Un dolce natalizio dalle origini molto antiche, diffuso in diverse zone d’Italia: è il panforte, parente stretto del panpepato e conosciuto anche come pane natalizio. Ci siamo fatti raccontare la sua storia dal maestro pasticcere Luigi Biasetto di Padova, già campione del mondo di pasticceria e pluripremiato dalla guida Pasticceri&Pasticcerie.
Le origini del panforte
Il panforte è uno dei dolci più antichi della tradizione gastronomica italiana: le prime testimonianze scritte su questo prodotto risalgono al mille d.C. È diffuso in diverse zone d’Italia, anche se la sua fama è legata alla storia della città di Siena.
Il suo nome deriva da panis fortis, cioè pane acido. Faceva parte di una tradizione povera, in origine non era altro che una semplice focaccia a base di acqua, farina, residui di miele e frutta. Proprio la frutta era un ingrediente fondamentale: inserita nell’impasto senza alcuna cottura, capitava che non si asciugasse del tutto, donando al prodotto un caratteristico sapore asprigno.
Con l’arrivo delle spezie da Oriente, il panforte cambiò: all’impasto originale si aggiunsero cannella, cardamomo, chiodi di garofano, noce moscata. La sua preparazione fu affidata agli speziali,i farmacisti dell’epoca, e il suo consumo destinato alle tavole dei nobili, non più a quelle della gente comune.
Il panforte Margherita
Oltre al classico panforte, c’è anche una versione tipicamente senese chiamato panforte Margherita. La sua nascita è legata alla visita della regina Margherita a Siena del 1879. Per l’occasione venne preparato e offerto a Margherita un panforte diverso da quello comune, senza melone e con una copertura di zucchero vanigliato al posto del pepe nero. Questo prese il nome di panforte Margherita, nome con cui si identifica la versione bianca del panforte. Il dolce ha avuto tanto successo da sopravvivere fino ai nostri giorni e ottenere nel 2013 il marchio IGP. Farlo a casa non è impossibile, con la ricetta giusta. Noi abbiamo chiesto a un maestro dell'arte pasticcera.
La ricetta che il maestro Luigi Biasetto pluripremiato dalla guida Pasticceri&Pasticceriedel Gambro Rossoha regalato ai lettori del Gambero Rosso deriva dalla tradizione senese, ma varia rispetto all’originale per diversi ingredienti, come la presenza del cacao e della vaniglia.
Il panforte Margherita di Luigi Biasetto
Ingredienti
277 g di macedonia di arance candite
139 g di mandorle integrali
69 g di miele d'acacia
69 g di zucchero
69 g di nocciole
46 g di farina biscotti
14 g di acqua
7 g di cacao 22-24%
5 g di vaniglia in polvere
5 g di misto spezie per panforte (Luigi Biasetto consiglia di Gastone Dpm di Pistoia)
1 pizzico di sale
ostie
olio di riso per ungere gli stampini
stampini circolari da 2,5 cm
Procedimento
In contenitore mescolare la farina e il cacao con una frusta, quindi setacciarli. Cuocere lo zucchero con il miele e l'acqua a 120 gradi e versare tutto in una planetaria. Mettere anche la frutta e il mix di farina e cacao e le spezie, mescolare alla velocità più bassa. La frutta deve essere amalgamata delicatamente, senza romperla e senza mischiare eccessivamente il composto.
Disporre sul piano di lavoro degli stampini, ungerli con olio di riso e disporre sul fondo di onguno un disco di ostia dello stesso diametro. Distribuire il composto negli stampini. Con l'aiuto di un disco in plexi o un altro oggetto, schiacciare e livellare l'impasto del panforte, proteggendolo con la carta da forno. Spolverare con abbondante zucchero a velo e cuocere a 210°C per 20-25 minuti.
Dopo aver tolto gli stampini dal forno farli raffreddare leggermente e, con l'aiuto di una spazzola, togliere l'eccesso di zucchero a velo. Toglierli dagli stampini e servire.
Scomparso all'eta di 102 Livio Felluga, il patriarca della vitivinicoltura friulana. Lo salutiamo con un ricordo. Non solo di lui ma anche e soprattutto del suo grande, caparbio, amore verso la sua terra e i suoi frutti.
Se ne è andato il padre della viticoltura friulana all'età di 102 anni. LivioFelluga, spirito contadino e indomito visionario che, sin dal secondo dopoguerra non smise mai di credere nel suo territorio. Anche quando, nel pieno di una ricostruzione ancora tutta da fare, i più guardavano alle città e puntavano sull'industria, spopolando le campagne. Lui no. Scelse di continuare la tradizione di famiglia e scommettere sul vino e ancor più sul suo territorio, su quelle colline all'epoca in completo abbandono. Un ruolo fondamentale per tutta l'area, come ricordato anche nel 2009, quando l'Università di Udine gli conferì la laurea honoris causa in "Viticoltura, enologia e mercati vitivinicoli".
Nato a Isola d'Istria, oggi in Slovenia, nel 1914 dove si avvicinò sin da ragazzino alle vigne, fu negli anni '50 che acquistò i primi terreni a Rosazzo, seguendo un'intuizione che porterà a una delle aziende più floride della zona, con oltre 150 ettari di vigneti.
L'azienda con la carta geografica
Fondò l'azienda che porta il suo nome nel 1956 a Cormons e scelse un'etichetta che richiamava un'antica carta geografica del Friuli: dichiarazione d'intenti e d'amore che, però, parlava il linguaggio del marketing contemporaneo. Chiunque avrebbe preso in mano quella bottiglia (e negli anni a venire sarebbero stati tanti, e in tante parti d'Italia e del mondo) avrebbe saputo chiaramente il luogo di provenienza. Lungimirante anche nella scelta di non fermarsi solo alla tradizione, ma di fare suoi metodi di lavoro e idee innovativi. Per esempio non formandosi ai tre vitigni classici della zona, refosco, tocai (oggi friulano), malvasia; ma puntando su pinot e merlot e altre uve; dando corpo al sogno di portare di nuovo in vita la collina, opponendosi a quella trasformazione del panorama allora in atto. Ci riuscì, come riuscì a dare valore e fortuna a quell'angolo d'Italia e ai suoi frutti. Negli anni '70 arrivò fino in America, e poi ancora più in là.
Oggi la sua azienda è in mano ai figli: Maurizio, Andrea, Filippo ed Elda, e insieme a loro la moglie Bruna. A loro va il nostro saluto. Come lui amava raccontare, era orgoglioso che avessero ereditato passione e amore per questo lavoro, per il loro territorio, per la tradizione. In un'intervista che ci ha rilasciato in occasione dei suoi 100 anni (la potete leggere qui) raccontava che: “Ai miei figli che sono il mio presente e il mio futuro, ho sempre detto: sono generazioni che il vino ci dà il pane: producetelo con rispetto e passione”.
Oggi il patriarca della vitivinicoltura friulana non c'è più. Rimangono i suoi insegnamenti e il suo vino.
Antinori: "Il vino parli con una voce diversa". Il presidente dell'Unione vini, Rallo: "Sessanta nuove adesioni nel 2016. Avanti così". Ma è pur sempre un terremoto quello che ha coinvolto grandi brand come Antinori, Mastroberardino, Santa Margherita. Che ora corrono per sé. Ecco cosa potrebbe succedere.
La scissione dell'Uiv
È certo che questo 2016 resterà negli annali dell'Unione italiana vini, tra gli enti più rappresentativi del mondo del vino italiano. Perché l'uscita in blocco di 20 aziende dalla compagine guidata da Antonio Rallo fa rumore, pone degli interrogativi e apre nuovi scenari. A recidere i legami sono grandi brand che rispondono ai nomi, per citarne alcuni, di Antinori, Masi, Santa Margherita, Mastroberardino, Ferrari, fortemente orientati all'export, per un fatturato aggregato vicino agli 800 milioni di euro. Una svolta concretizzatasi a fine ottobre, con l'invio delle lettere di dimissioni. Ma i primi segnali si erano avuti già in primavera, quando in vista del rinnovo delle cariche in Uiv (cda e presidenza) spuntò tra i possibili candidati il nome di Ettore Nicoletto (Santa Margherita) in alternativa a quello, preannunciato e quasi scontato, di Antonio Rallo, vice presidente nel triennio di Domenico Zonin. In quel momento, si era capito che un'anima interna all'Unione vini spingeva in un'altra direzione, legata alla necessità di far venir meno quella suddivisione, interna alla Confederazione, tra le tre rappresentanze imprenditoriali (industriali, viticoltori/produttori, commercianti).
Il marchese Piero Antinori, nel lanciare l'idea di una "casa comune" del vino italiano, ha inteso porre l'attenzione proprio sull'opportunità di convogliare meglio le energie: "Non c'è niente di personale, non vogliamo spaccare la rappresentanza del vino italiano" spiega Albiera Antinori a Tre Bicchieri "ma vogliamo dare una scossa al sistema, perché riteniamo che ci sia bisogno di creare una rappresentanza unica del mondo del vino di qualità, capace di parlare con le istituzioni presentando richieste univoche". Se questa mossa porterà alla nascita di un nuovo soggetto non è ancora chiaro. "Del resto" aggiunge la presidente della storica azienda toscana "la pelle delle organizzazioni sindacali in Italia sta cambiando velocemente e nel vino pensiamo ci si debba riaggregare e rifocalizzare le priorità del comparto in maniera diversa da prima". Ad alcuni potrebbe sembrare un salto nel buio, oppure l'eterna diatriba in salsa italiana tra Guelfi e Ghibellini amplificata da diversità di vedute emerse, dapprima nel 2015, su alcuni punti del Testo unico del vino (poi, di fatto, firmato da tutte le sigle) e, più di recente, dalla gestione turbolenta dei bandi Ocm promozione, su cui chi è uscito da Uiv si attendeva una più decisa presa di posizione.
Un futuro in Federvini?
Ora, è probabile che sia la Federvini, guidata da Sandro Boscaini (Masi), a dare ospitalità a queste cantine, dal momento che gran parte di esse faceva già parte della federazione aderente a Confindustria. Il dg di Federvini, Ottavio Cagiano, ci tiene a chiarire che "l'uscita di questo gruppo da Uiv non è una nostra iniziativa. Se imprese di tale valore, dimensione e diversità" spiega a Tre Bicchieri "hanno deciso di fare questo passo è perché forse non si sentono pienamente rappresentate. E ciò deve portare la stessa Federvini a fare anch'essa un doveroso esame di coscienza".
Il buon momento dell'Uiv
Quindi l'Uiv perde i pezzi per strada? No. Nel 2016, ci ha guadagnato, aumentando le adesioni. Il saldo è a +40 iscritti, dal momento che sono 60 i nuovi ingressi e 20 le uscite. Un'ulteriore crescita, dopo quella del 2015, che irrobustisce il sindacato. E in termini di fatturato? "Il saldo è all'incirca alla pari ", fanno sapere da via De Rossi. Ovvero un giro d'affari da 5,5 miliardi di euro e l'80% del valore dell'export italiano. "Andiamo avanti così, abbiamo un'Uiv più forte", dice Antonio Rallo "che sarà capace di sintetizzare al meglio le idee da proporre alle istituzioni". Italiane ed europee, visto che Domenico Zonin, membro del Consiglio di Uiv, sarà a Bruxelles come vice presidente del Comité vins per incontrare il commissario all'Agricoltura, Phil Hogan. Sul tavolo, il tema cruciale della Pac post 2020.
La storia della cittadina romagnola è attraversata dalla produzione di sale, anche oggi che di 144 saline, solo una è ancora in attività. Presidio Slow Food dal 2004, l'oro bianco di Cervia ha plasmato l'identità locale, che rivivrà negli spazi rinnovati della Darsena, concessi tramite bando. Si cerca il progetto vincente, spazio a ristorazione e gastronomia.
L'oro bianco di Cervia. La storia
Cervia, circa 30mila abitanti nella provincia ravennate. E due anime molto diverse tra loro: 9 chilometri di spiagge affollate tra le più ambite della Riviera romagnola da un lato, una riserva naturale istituita a proteggere le antiche saline dall'altro. La consuetudine del territorio con la produzione e il commercio del sale, del resto, ha origini storiche che risalgono al periodo etrusco, ma le saline di Cervia saranno fonte di ricchezza e potere per molti secoli a venire, come testimonia l'impegno costante delle autorità locali per proteggere e rafforzare il business del sale. Al 1691, per esempio, risale la Torre di San Michele, un enorme magazzino per lo stoccaggio costruito per contenerne fino a 13mila tonnellate; e quando, alla fine del XVII secolo, Cervia sarà ricostruita sotto forma di città fortezza per volere di papa Innocenzo XII ci si preoccuperà di privilegiare gli impianti produttivi, che solo qualche anno più tardi si ingrandiranno con la realizzazione di un nuovo edificio, il Magazzino Darsena, inaugurato nel 1712.
Il Presidio, la riserva, il museo
Oggi la produzione del celebre sale dolce di Cervia, presidio Slow Food dal 2004, è preservata dalla raccolta artigianale della Salina Camillone (di 10 vasche antiche, solo una è ancora in attività, a scopo dimostrativo con una produzione stagionale che varia dai 500 ai 2000 quintali di sale, ma fino al 1959 si contavano ben 144 salinette a regime!), mentre la memoria del luogo rivive sui percorsi che attraversano la riserva istituita nel 1979. Oltre che nel museo allestito all'interno della Torre, il MUSA. Per il Magazzino Darsena, finora utilizzato come spazio espositivo temporaneo, invece, si profila un destino diverso, grazie allo stanziamento di 2,8 milioni di euro arrivato dalla regione Emilia-Romagna per ripensare il Magazzino (pregevole esempio di architettura industriale, già restaurato negli anni '80 da Giancarlo De Carlo) nell'ambito di un risanamento più ampio della Darsena di Cervia, che costerà complessivamente quasi 5 milioni di euro.
Un nuovo polo culturale e gastronomico. Il bando
Nello specifico, l'idea è quella di inaugurare un nuovo polo culturale che privilegi l'aspetto gastronomico, con strutture destinate alla ristorazione e alla degustazione, da coniugare con gli spazi indirizzati al commercio, al wellness, all'arte e al turismo tout court. Per questo, qualche giorno fa, il Comune ha reso noto un bando di concessione della durata di 12 anni, rivolto a chiunque sia in grado di produrre un progetto coerente con gli indirizzi suggeriti, per trasformare l'ex magazzino del sale in una piazza coperta che stimoli aggregazione e turismo. Al concessionario l'onere di versare un canone annuo di 50mila euro per i primi tre anni. Stabilito il vincitore del bando, nei prossimi mesi si procederà a istituire le gare d'appalto per la ristrutturazione, che dovrà essere completata entro il 2019. Pubblico e privato, dunque, che collaborano insieme per rilanciare uno spazio storico della città. Plausibile che uno degli asset su cui si impernierà l'operazione sia proprio quello gastronomico: all'offerta tecnica sarà attribuito fino a un massimo di 80 punti privilegiando criteri quali l'identità territoriale, la sostenibilità ambientale, l'accessibilità e il grado di innovazione. Sull'organizzazione degli spazi recita il bando: “Il Magazzino del sale Darsena dovrà contenere un’area didattica, museale ed espositiva ed un’area benessere per la valorizzazione della storia e degli usi del sale, un’area dedicata alla ristorazione ed un’area dedicata allo shopping. Inoltre potranno essere presenti uffici, attività professionali, palestre, ritrovi e sedi di associazioni, servizi per l'ospitalità di ristorazione e bar, servizi per il tempo libero e per la cura del corpo”.
L'osteria di mare all'ex Cral Saline
E con il progetto fa il paio il rinnovamento dell'ex Cral Saline, edificio costruito a cavallo tra XVII e XVIII secolo per lo sfruttamento delle saline, dove i lavori per la realizzazione delle Officine del Sale stanno per iniziare. Nel nuovo centro polifunzionale sorgeranno anche un'osteria del pesce con cucina a vista e un caffè letterario in collaborazione con librerie Coop. Nel nome di quell'oro bianco che è identità culturale, commerciale e gastronomica insieme.
Un anno di successi per lo chef modenese all'apice della ristorazione mondiale: dopo la vetta della World's 50 Beste il via ufficiale al progetto Food For Soul arriva anche la laurea ad honorem.
La corona d’alloro arriva a Modena
Dopo lo scettro conquistato lo scorso giugno scalando la vetta della classifica dei World's 50 Best Restaurants, lo chef dell’Osteria francescana di Modena questa volta sarà premiato con una corona d’alloro. La data è già stata annunciata, ma bisognerà attendere il prossimo 6 febbraio per assistere alla cerimonia della consegna della laurea ad honorem in Direzione Aziendale a Massimo Bottura, che il riconoscimento se lo aggiudica per aver dimostrato ottime capacità di gestione d'impresa e grande capacità di crescita.
E queste sono solo alcune delle motivazioni che hanno spinto l'Ateneo bolognese a conferire la laurea, accogliendo la proposta di candidatura mossa dal Dipartimento di Scienze Aziendali: “Il percorso di Massimo Bottura - spiega il Rettore dell’Università Francesco Ubertini - si colloca all’incrocio tra imprenditorialità, cultura e tecnica e rappresenta un esempio per la diffusione della cultura italiana e per lo sviluppo del Made in Italy a livello internazionale”.
Nelle parole del Rettore ritroviamo quelle qualità che hanno portato l’impresa di Bottura a emergere dalla proprio realtà, dal perimetro modenese sulla rotta di un percorso costellato di successi internazionali.
L’anno di Bottura
Quello che sta per concludersi è stato un anno di grandi successi e riconoscimenti per Massimo Bottura, che ha saputo coniugare all’amore per il suo territorio quella creatività e concretezza che sono all'origine della sua cucina, ma anche fonte di ispirazione per grandi progetti che travalicano le mura del ristorante. Proprio la voglia di guardare oltre, per aiutare il prossimo e tutelare il pianeta, hanno portato alla realizzazione del Refettorio Ambrosiano in occasione di Expo 2015, poi replicato in Brasile in occasione delle Olimpiadi di Rio, e ora attivo anche a Bologna e Modena, con formula diversa ma ugualmente concentrata sul recupero degli scarti alimentari e sulla manifestazione di solidarietà intesa come operazione culturale, oltre che sociale ed economica. Con l'obiettivo di moltiplicare nel mondo i progetti della Onlus Food For Soul, fondata dallo stesso Bottura. Prossima tappa New York, dove presto dovrebbe sorgere un Refettorio nel cuore del Bronx. Prima però c'è una laurea da ritirare. Appuntamento a febbraio.
A cura di Sofia Cavassa e Tiziana Piva (prova del master in Comunicazione e Giornalismo Enogastronomico del Gambero Rosso)
Imperversano i ladri di Parmigiano, che da 5 anni a questa parte costringono i produttori a dormire con un occhio sempre aperto. Per risolvere il problema e tutelare la produzione, a partire dal 2017 saranno costruiti una serie di bunker per conservare e difendere il formaggio, con tanto di vigilanza.
I furti
Un investimento da 9 milioni di euro per una struttura di 10mila metri quadrati che arriverà a contenere, su scaffali lunghi complessivamente 85 chilometri, 170 mila forme di Parmigiano. Ovvero l’87% dell’intera produzione della provincia di Modena. Sono i numeri dei bunker, caveau per conservare il formaggio nel rispetto del disciplinare e sotto attenta vigilanza da parte di custodi addetti, attualmente in costruzione lungo la via Emilia. Perché già da (troppo) tempo nelle campagne emiliane i proprietari dei 350 caseifici della zona non dormono sonni tranquilli a causa dei continui furti. L'ultimo risale a un paio di settimane fa a Guastalla, dove i ladri del Parmigiano – dopo aver sfondato l'ingresso del magazzino e scaricato un estintore per intossicare i cani – sono fuggiti via con 50mila euro di forme. E questo è solo l'ennesimo di una lunga serie di spiacevoli avvenimenti che stanno vanificando il lavoro dei produttori. Si tratta, infatti, di bande specializzate nel furto del Parmigiano, un fenomeno che ha cominciato a manifestarsi già 5 anni fa e che si è acuito a partire dal 2014. I ladri del Parmigiano seguono una schema ormai prestabilito: dopo il sopralluogo preventivo, selezionano il caseificio più isolato e intervengono di notte. È il caso della Latteria Sociale Agricoltori di Roncocesi e di tante altre realtà del territorio che lavorano con il terrore costante di perdere tutto.
I bunker
Per scongiurare il problema, a partire da gennaio 2017 saranno creati dei bunker, già in costruzione, dove i produttori potranno conservare il formaggio. A presentare il progetto, Gema Magazzini Generali, società situata nel cuore della culla del grana e che nel Reggiano possiede già un altro caveau con oltre 230mila forme. “Garantiamo tre o quattro livelli di sicurezza. A volte il singolo caseificio ha solo un campanello d'allarme che, però, suona nel deserto”, ha commentato il rappresentate di Gema CamilloGalaverni. “Dietro questa piaga c'è una vera e propria organizzazione”, ha aggiunto RiccardoDeserti, direttore del Consorzio del Parmigiano Reggiano. Ma a quanto ammonta il danno dei furti? Il 2016 sembrava essere iniziato nel migliore dei modi, ma a ridosso delle feste natalizie c'è stata una nuova impennata: “Da settembre a oggi contiamo una ventina di furti o tentati furti e circa 1.500 forme sparite. Ogni forma vale circa 350 euro, quindi il conto è semplice: mezzo milione di euro”. Si tratta, dunque, di 600mila chili di latticini “che finiscono in canali diversi da quelli ufficiali”. Con i bunker, il direttore auspica per tutti i produttori di poter risolvere il problema, ma specifica: “Serve anche una cabina di regia con le forze dell'ordine e un'operazione di intelligence per contrastare il fenomeno”.
Prima volta del Gambero Rosso in Sud Africa: tra degustazioni di varietà autoctone, visite alle tante cantine italiane e premiazione dei migliori ristoranti della capitale legislativa, si chiude il Worldtour 2016 del Gambero Rosso. Si riparte a gennaio
Qualche anno fa sarebbe stato impensabile anche solo ipotizzare un evento con 65 cantine italiane nella capitale legislativa del Sud Africa. L’evento di Città del Capo, il primo per il Gambero Rosso sul continente africano, è il segnale di una geografia dell’export enologico in continua evoluzione. Mercati come quello della stessa Rainbow Nation, ma anche quello nigeriano, hanno conosciuto uno sviluppo significativo dei consumi nell’ultimo decennio. Come prima tappa del Roadshow è stata scelta la culla del vino sudafricano, a ridosso dell’oceano e a pochi chilometri dalle principali zone viticole del Paese, da Stellenbosch a Costantia.
L’evento si è svolto al The Lookout lungo il V&A Waterfront di Città del Capo, il 1 di dicembre, e ha visto la presenza di 500 persone. Buono il livello medio di conoscenza mostrato e grande interesse per le nostre varietà, spesso coltivate con esiti molto interessanti. “Coltiviamo sangiovese e nebbiolo dal 1999. Dopo una serie di studi abbiamo iniziato a vinificare dal 2006 e abbiamo trovato uno stile che valorizza uve e il nostro territorio a ridosso della montagna di Helderberg, nel cuore di Stellenbosch”, commenta l’enologo Henri Kotzé. “E devo ammettere” aggiunge “che la qualità media di tutti vini italiani proposti all’evento è davvero impressionante, non abbiamo mai avuto degustazioni come questa”. Oltre agli operatori, tantissimi i produttori sudafricani accorsi alla degustazione per un confronto con i colleghi italiani in un clima particolarmente disteso e stimolante.
Giro di cantine
Nei giorni successivi all’evento, lo scambio culturale tra Vecchio e Nuovo Mondo viticolo è stato portato a un nuovo livello: oltre 20 produttori italiani sono stati accompagnati dai degustatori del Gambero Rosso e del corrispettivo locale, ovvero la guida Platter grazie alla nota giornalista Winifred Bowman, in alcune delle migliori cantine sudafricane. Tra le tappe, Groot Costantia, la prima azienda del Sud Africa fondata nel 1685, tanto per ricordare quanto l’epiteto di Nuovo Mondo non sia esattamente così centrato quando si parla di vino in Sud Africa. Tra gli assaggi anche il Grand Costance, vino dolce da uve moscato bianco e rosso, celebrato anche da Napoleone. E poi approfondimenti e diverse orizzontali con i vini che hanno strappato i punteggi più alti nella guida locale sia per quanto riguarda lo chenin blanc sia il pinotage, senza dubbio le due varietà che più hanno da raccontare come identità, carattere e diversità di stile. “Il pinotage è un’uva difficilissima da trattare per le sue curve di maturazione, ma sa esprimere tantissimo le varietà di terreno. Vengo spesso in Italia e sono assolutamente convinto che alcuni distretti toscani possono essere una seconda patria per il pinotage”, ci rivela il presidente della South African Pinotage Asociation, De Wet Viljoen, enologo alla Neethlignshof.
Viticoltori italiani in Sud Africa
Meritano un capitolo a parte i nostri connazionali che stanno producendo vino, ma non solo, con ottimi risultati in Sud Africa. Tra le nuove realtà conosciute Idiom, come numerose aziende visitate anche qui i risultati migliori arrivano più dai vini cosiddetti base che dalle riserve. La famiglia Bottega si è trasferita in Sud Africa negli anni ’60 e oggi hanno una splendida cantina a Stellenbosch appena rifatta con un ristorante di cucina italiana in cima a una collina che guarda la baia. Una splendida struttura e un progetto ambizioso: “Vogliamo proporre diverse cucine regionali italiane da abbinare non solo ai nostri vini ma anche alle etichette che importiamo attraverso la società Vinotria”, commenta Roberto Bottega che insieme a Pedro Estrada Belli importa oltre 250 vini italiani, il mercato si concentra molto intorno a Johannesburg, ma si sta espandendo grazie anche ai tanti ristoranti italiani: “C’è tantissimo lavoro da fare per comunicare il nostro patrimonio di varietà ma siamo sicuri che avremo ottimi ritorni”, chiosa.
Lasciato un panorama da brivido, rinfrescato dal vento fresco che soffia dall’Antartico e ci spostiamo in un’altra realtà italo-sud africana: Dalla Cia, fondata da Giorgio dalla Cia sempre a Stellenbosch. Friulano, è stato prima enologo per la Meerlust per poi fondare la sua azienda che è diventata famosa soprattutto per la grappa. “Produciamo 90 litri di grappa al giorno, qui le vinacce le buttano via. Abbiamo preso una grande distilleria e abbiamo applicato criteri qualitativi”, ci racconta nella sua osteria Pane&Vino, adiacente alla distilleria.
Chiudiamo con la storia di Giulio Bertand, imprenditore tessile di Biella che si è trasferito in Sud Africa a metà degli anni ’90. “Avevo bisogno di un buon olio per condirmi l’insalata e un buon vino per i miei pasti, così ho deciso di iniziare la produzione chiamando i migliori tecnici che potevo per coronare il mio sogno”, commenta Giulio. La sua selezione di oli, che poggia principalmente su cultivar italiane, è di livello mondiale, così come il livello di vino: su tutti un rosato da uve sangiovese, Caruso: elegantissimo, calibrato, con un finale di gran classe.
Cape Town, i ristoranti premiati
Anche in Sud Africa prosegue il lavoro di selezione delle migliori cucine italiane per la guida Top Italian Restaurants. Durante l’evento, come miglior ristorante a Città del Capo è stato premiato 95 Keerom, uno dei tanti locali di Giorgio Nava, autentico pioniere della cucina italiana nel Paese. È partito per una battuta di caccia al tonno, si è innamorato del Sud Africa – difficile dargli torto - non è più andato via.
“Sono arrivato a Cape Town nel 1999, ho aperto il mio primo 95 Keerom, poi diversi locali Carne, dove propongo le carni del mio allevamento nel centro del Paese dove ho 24.000 ettari di terreno con animali allo stato brado. Ho importato la razza romagnola e propongo carni locali come l’antilope”, racconta Giorgio. “La cucina italiana piace tantissimo, stiamo cerando di pulirla rispetto alle tante salse, stracotture e spezie alla quale sono più abituati. Una proposta più semplice, fresca, con un ottimo olio d’oliva, cotture delicate e porzioni giuste per assaggiare più piatti”. Nel suo Carne valorizza tutte le parti della bestia, 26 tagli, e anche il suo 95 Morgenster, la cantina di Giulio Bertand, offre una cucina di altissimo profilo, precisa negli accostamenti, di prodotto, di grande freschezza.
Come trattoria di Città Capo premiata invece Magica Roma, il locale di Franco Zezia ed Ezio de Biagi nel quartiere Pinelands, una “dry zone”, dove la vendita di alcolici al dettaglio è ancora vietata. Il ristorante, aperto nel 1988, conserva un’atmosfera genuina, con Franco ed Ezio – in Sud Africa dagli anni ’70 - a girare tra i tavoli per consigliare i piatti del giorno. Menu molto ampio, anche troppo, che include anche la pizza, per una proposta solida e affidabile.
(link alla video intervista).
95 Keerom | St, Cape Town City Centre |Cape Town 8000| http://95keerom.com |
Magica Roma | Central Building 8 | Central Square | Pinelands | Cape Town 7405 |
Una degustazione eccezionale di 10 annate che abbracciano 30 anni di storia di questo vino unico nel panorama della campagna romana. All’insegna della continuità grazie anche a un terroir davvero straordinario per clima e giaciture.
Sono le ceneri vulcaniche, le pozzolane o come le chiamano i frascatani, le terrinelle a connotare indelebilmente i vini della Tenuta di Fiorano del Principe Alessandrojacopo Boncompagni Ludovisi. Duecento ettari nel Comune di Roma, tutti situati nel Parco Archeologico dell’Appia Antica, dove sono coltivati vigneti, uliveti, seminativi e grano. Una terra antica con la colata lavica di Capo Bove, denominata dagli addetti ai lavori Cava Boncompagni Ludovisi, testimonianza diretta dell’ultima eruzione avvenuta 290.000 anni fa del Vulcano Laziale. Un vulcano, ancora attivo ma fortunatamente in sonno millenario, che si staglia all’orizzonte, disegnando lo skyline dei Colli Albani e dei Castelli Romani. Proprio in questo suolo così ricco di sali minerali pescano le radici delle viti di cabernet sauvignon e di merlot, che danno vita al Fiorano Rosso, lo storico vino aziendale.
Alberico Boncompagni Ludovisi
La sua creazione si deve a un altro Boncompagni Ludovisi, Alberico, Principe di Venosa (Roma 14 /2/1918 – Roma 13/07/2005) un personaggio molto riservato, sicuramente fuori del comune, capace di formidabili intuizioni, che il tempo ha ammantato di leggenda. Quando nel 1946 ereditò la proprietà, decise di impiantare cabernet sauvignon e merlot, proprio negli stessi anni in cui a Castiglioncello di Bolgheri, Mario Incisa della Rocchetta, aveva optato per il cabernet sauvignon da cui sarebbe nato il Sassicaia. Sin dagli esordi si avvalse del fior fiore dei consulenti dell’epoca, dall’enologo e georgofilo prof. Giuseppe Palieri, a Tancredi Biondi Santi – suo il Brunello di Montalcino Riserva 1955 del Greppo, uno dei migliori vini del Novecento - e poi ancora con il suo allievo, il grande Giulio Gambelli.
Alberico, pur servendosi dell’apporto di questi personaggi, aveva le idee molto chiare sia sulla conduzione dei vigneti – nessuna concimazione chimica, solo letame proveniente dai suoi allevamenti di bestiame – sia nella gestione della cantina: vinificazione in tini di legno di rovere e di castagno, movimentazione del vino per caduta, maturazione in botti da 10 hl e soprattutto, nessuna fretta di vendere. La notorietà dei vini Boncompagni Ludovisi, nonostante l’alta qualità, fu sempre limitata dalla diffusione circoscritta, in pratica, alla sola Capitale: il Principe non voleva tra i piedi né agenti di commercio e né importatori e pretendeva il pagamento immediato, e in contanti, del suo vino.
Paolo e Alessandrojacopo Boncompagni Ludovisi
Improvvisamente nel 1998 Alberico, decise di spiantare i vigneti e infermo si ritirò in città, decidendo poco dopo di cedere parte della Tenuta di Fiorano a un suo cugino, il Principe Paolo Boncompagni Ludovisi, il quale, insieme a suo figlio Alessandrojacopo, iniziò ad occuparsi dell’azienda e a reimpiantare i vigneti (1999). Alla morte di Alberico (2005), una parte della Tenuta andò in eredità alle sue nipoti, le tre sorelle Albiera, Allegra e Alessia Antinori che hanno creato la Fattoria di Fiorano (Via di Fioranello, 34), l’altra parte si aggiunse a quella già in possesso di Paolo Boncompagni Ludovisi e di suo figlio Alessandrojacopo, oggi unico proprietario della Tenuta di Fiorano (Via di Fioranello, 19-31).
Il Fiorano Rosso
Per quanto riguarda il Fiorano rosso, le proporzioni 65% di cabernet sauvignon e 35% merlot sono state mantenute ma in generale le istruzioni trasmesse da Alberico ad Alessandrojacopo sui vari aspetti della coltivazione, produzione e vinificazione, sono state e sono, rigidamente rispettate anche dopo l’arrivo in azienda del consulente enologo, Lorenzo Costantini. La produzione dei 4 vini aziendali (Fioranello e Fiorano nella versione bianca e rossa) è di circa 35.000 bottiglie all’anno. Il Fiorano bianco ha preso i Tre Bicchieri con le annate 2010, 2012 e 2013; il Fiorano rosso con il 2011. La degustazione di Fiorano rosso (dieci annate) si è svolta a Trevinano (VT) nell’omonimo Castello, di proprietà di Alessandrojacopo Boncompagni Ludovisi, sabato 17 dicembre 2016.
(I punteggi sono personali valutazioni dell’autore).
La degustazione
Fiorano Rosso 2012
Andamento stagionale: estate calda e siccitosa. La pioggia arrivò a settembre durante le operazioni vendemmiali. Uve in ottimo stato sanitario.
Rubino con riflessi violacei molto vivi; note olfattive caratterizzate da una frutta rossa molta viva e intensa. In bocca molto piacevole e sapido. Bello spessore con una tannicità serica, tendenzialmente avvolgente. È un vino che sta crescendo in bottiglia. Per le valutazioni ne riparliamo ad aprile 2017 quando, terminato l’affinamento in bottiglia, sarà immesso al consumo.
Fiorano Rosso 2011
Andamento stagionale: marzo e luglio abbastanza piovosi proprio nel periodo di maggior sviluppo della vegetazione. Agosto asciutto, ottimo stato sanitario delle uve e ed eccellente maturazione.
Rubino cupo, profondo con pronunciati riflessi violacei. Note di visciola matura e di tabacco scuro, molto piacevoli ed equilibrate. In bocca una intensa freschezza fa il paio con una tannicità armonica. Bella struttura e grande sapidità.
Valutazione: 91/100.
Fiorano Rosso 2010
Andamento stagionale: nel periodo precedente la vendemmia condizioni climatiche favorevoli con ventosità, assenza di pioggia e di umidità. Eccellente qualità delle uve in vendemmia. È l’anno dell’arrivo, dopo l’estate, del consulente: l’enologo Lorenzo Costantini.
Rubino molto pronunciato con riflessi porpora. Naso molto intenso, concentrato, elegantemente equilibrato, in cui prevalgono frutta rossa e una lieve speziatura. In bocca l’acidità si avverte ma in perfetto equilibrio con alcol e acidità. Bel vino sapido, pieno e lungamente persistente.
Valutazione: 92/100.
Fiorano Rosso 2009
Andamento stagionale: ottimo stato di maturazione delle uve dopo una giusta piovosità nei mesi primaverili e a fine agosto. Annata molto equilibrata.
Rubino netto con riflessi granati. Note olfattive, intense e persistenti, in cui si avverte la frutta rossa sotto spirito e una sensazione di funghi e terra sullo sfondo. In bocca è un vino equilibrato, elegante, concentrato ma anche dotato di una buona freschezza e sapidità. Molto piacevole e persistente.
Valutazione: 90/100.
Fiorano Rosso 2008
Andamento stagionale: lo stress idrico estivo è stato affrontato in scioltezza dalle viti, grazie alle riserve d’acqua costituite in primavera. Vendemmia asciutta nella seconda decade di settembre con uve in eccellente stato sanitario e di maturazione.
Rubino netto con riflessi granata. Naso speziato/aromatico con una pronunciata e piacevolissima frutta rossa matura (cassis). In bocca la struttura è molto elegante, spessa ma vellutata con una fresca sapidità ben espressa. Bel vino, uscito prima del 2007.
Valutazione: 90/100.
Fiorano Rosso 2007
Andamento stagionale: l’inverno 2006/2007 è stato tra i più miti e meno piovosi degli ultimi decenni mentre aprile e luglio sono stati particolarmente caldi e afosi. Vendemmia asciutta con ottime uve in cantina.
Rubino intenso e concentrato. Naso con tenui sentori di frutta rossa ancora in lenta evoluzione. In bocca grande concentrazione ma anche grande equilibrio, armonia ed eleganza. Sicuramente più pronto in bocca che al naso. È un grande vino ma in maturazione assai lenta. È stato immesso al consumo dopo l’annata 2008 proprio per questa sua caratteristica di evoluzione tardiva.
Valutazione: 90+/100.
Fiorano Rosso 2006
Andamento stagionale: annata assai scarsa di pioggia con sviluppo vegetativo contenuto. Stato sanitario buono ma quantità raccolta inferiore.
Rubino classico con riflessi granata. Naso con delicati sentori erbacei e frutta rossa tendenzialmente vegetale. In bocca la tannicità è più pronunciata ma è meno in equilibrio rispetto alle altre annate. Si direbbe che ha un impianto più bordolese di altre annate ma in cui prevale una certa semplicità.
Valutazione: 88/100.
Fiorano Rosso 1994
Andamento stagionale: estate calda e secca preceduta da una primavera favorevole con conseguente anticipo dello sviluppo vegetativo. Vendemmia anticipata con quantità al di sotto della media per effetto della scarsa piovosità.
Rubino classico con riflessi granata. Naso in cui si avverte un’acidità volatile più elevata rispetto alle altre annate con un effetto spalla rispetto ai frutti rossi. In bocca l’acidità toglie armonia al vino rendendolo meno importante esaltando, di contro, la tannicità. È una delle ultime annate di Alberico Boncompagni Ludovisi e corrisponde a un’annata di difficile equilibrio.
Valutazione: 86/100.
Fiorano Rosso 1988
Andamento stagionale: perfetta maturazione delle uve grazie a un’annata equilibrata sia rispetto alla piovosità, al caldo mai eccessivo e a una buona escursione termica.
Rubino classico con riflessi granata. Naso con delicati sentori di frutta rossa e lievi sentori speziati. In bocca, caldo, strutturato, armonico con una evoluzione controllata. Piacevole con una bevibilità vecchio stile un po’ “sauvage” che si fa rimpiangere rispetto a tanti odierni vini naturali.
Valutazione: 90/100.
Fiorano Rosso 1987
Andamento stagionale: annata difficile, fredda e piovosa, con clima sfavorevole durante la vendemmia. Uva non ottimale
Il vino nel suo complesso risente della difficoltà complessiva dell’annata che si avvertono sia al naso che in bocca anche a causa delle condizioni delle uve ma anche di vecchi contenitori in legno.
Fiorano Rosso 1986
Andamento stagionale: è l’anno della nevicata a Roma che a febbraio portò ben 23 cm di neve imbiancando tutti i Castelli.
Rubino con lievi riflessi aranciati. Naso fine, elegante, equilibrato con delicati sentori di frutta rossa. In bocca bel vino, armonico, lungamente persistente. Davvero piacevole e in grande forma. Una sorpresa non scontata per una bottiglia di 30 anni.
Un patto per la tutela e la valorizzazione dei prodotti di alta qualità. È il progetto dei consorzi Dop e Igp italiani e francesi dei settori formaggi e salumi, che hanno deciso di fare squadra comune per portare le proprie idee in Europa. L’obiettivo è quello di potenziare e rendere più efficaci i piani produttivi dei prodotti tutelati, attraverso una serie di proposte che saranno presto sul tavolo della Commissione Europea.
Il patto fra francesi e italiani
“Nemici” sul mercato, alleati quando si tratta di valorizzare le produzioni d’eccellenza dei rispettivi Paesi. Alcuni produttori italiani e francesi hanno deciso di mettere insieme le forze per acquistare maggiore peso in Europa. Grazie all’incontro di qualche settimana fa a Reggio Emilia, l’accordo è stato raggiunto fra i consorzi italiani formaggi Dop Asiago, Grana Padano, Parmigiano Reggiano, Pecorino Romano, prosciutti Dop Parma e San Daniele, e quelli francesi dei formaggi Dop della Savoia e del Comtè.
Cosa dice l’accordo
La prima fase dell’accordo prevede che tutti i consorzi impegnati nel patto rilevino in maniera precisa i dati economici che riguardano le quantità di materia prima, di latte prodotto o animali allevati, la sua trasformazione nei salumifici e nei caseifici certificati per la filiera DOP, la stagionatura e l’immissione in mercato. Contemporaneamente sarà analizzata la domanda sul mercato, nazionale ed estero, in modo da attuare iniziative di comunicazione e di ricerca tecnica per migliorare l’offerta qualitativa. Infine, una serie di proposte saranno portate sul tavolo della Commissione europea per migliorare i piani produttivi.
“Analizzare l’esperienza nell’applicazione di questo recente strumento di regolazione dell’offerta introdotto dalle norme comunitarie” ha spiegato Giuseppe Liberatore, presidente dell’Aicig, l’associazione italiana che raccoglie i consorzi che hanno promosso l’iniziativa,“ci mette in grado di fornire delle indicazioni al legislatore in modo da rendere i piani produttivi sempre più adatti alle necessità di valorizzazione e tutela delle denominazioni”.
I primi mercatini di Natale, in Germania e Alsazia, risalgono al XV secolo. In Italia si è invece dovuto attendere gli anni novanta del secolo scorso per assistere alla loro diffusione, proprio in quegli anni è nato il più importante mercatino di Natale italiano, quello di Bolzano.
Porta delle Dolomiti, da sempre accogliente punto d'incontro tra nord e sud, Bolzano conquista il visitatore fin dall'arrivo con le sue atmosfere nordiche e una cultura secolare radicata nel territorio. In questo periodo, poi, ospita il più noto dei mercatini di Natale del Trentino Alto Adige. Gli altri sono quelli di Merano, Bressanone, Brunico e Vipiteno. Passeggiando lungo le classiche casette di legno, a Bolzano si incontrano produttori di speck, conserve, confetture, frutti di bosco ed erbe aromatiche. Tisane, succhi di mela, vini, formaggi, grappe, salse e paté in un tripudio di colori e profumi.
Aperto fino al 6 gennaio (ma non il 25 dicembre) ospita una grande varietà di prodotti. Qui potete trovare tutti gli espositori coinvolti. Se poi volete andare alla scoperta degli indirizzi golosi della città, di seguito una selezione dalle nostre guide.
Bolzano e la sua tradizione gastronomica
Il calore dell'ospitalità italiana incontra il rigore nordico e la sua efficiente valorizzazione di spazi, risorse, tradizioni. Sono le due anime del capoluogo altoatesino che, da una parte, ha preservato un rapporto profondo con la natura circostante, le valli alpine e i torrenti che solcano il territorio, i boschi di conifere e l'attività delle malghe. Dall'altra è una città turistica moderna, che tanto può offrire al visitatore che scelga di trascorrere un week end curiosando tra le vie dell'antico nucleo medievale, arrivando a Piazza delle Erbe, che tuttora mantiene vivo lo spirito contadino di Bolzano nel colorato mercato che dal lunedì al sabato propone i prodotti in arrivo dalle valli, pane fragrante e brezel, erbe spontanee, speck e formaggi.
Se poi si vuol godere dei piaceri della buona tavola, ci si può rigenerare dal tepore dei piatti della tradizione tirolese: canederli in brodo e cervo in salmì, gulash e tafelspitz (il bollito di manzo servito con cren), taglieri di speck e formaggi di malga. Per concludere con il classico dei classici: uno strudel di mele dalla sfoglia sottile e un inebriante aroma di cannella. Ecco, dalle nostre guide, i consigli del Gambero Rosso per scegliere a colpo sicuro l'indirizzo giusto, per godere del meglio della gastronomia locale, tra spuntini veloci, golose merende e cene confortanti.
Collocata nel cuore di Bolzano, non passa certo inosservata quest'insegna in perfetto stile tirolese. Dall'ingresso affacciato su una delle storiche vie della città si accede in un ambiente caldo e confortevole tutto in legno, oppure nel piacevole cortile interno. La cucina prevede piatti tipici del luogo, a cominciare dalle zuppe, sostanziose e saporite, per non parlare dei canederli allo speck o al formaggio, o degli gnocchetti agli spinaci conditi con panna e prosciutto. Poi gulash, carré di maiale affumicato, entrecote di manzo accompagnati da ricchi contorni quali patate al forno e polenta. Come dolce consigliamo il tiramisù della casa. La carta dei vini contempla note etichette locali e italiane. Un Gambero nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.
Cavallino Bianco | Bolzano | via dei Bottai, 6 | tel. 0471 973267 | www.weissesroessl.org
Zur Kaiserkron
In un palazzo settecentesco, questa è un'insegna che da anni è sulla breccia ma che ora vive una nuova giovinezza grazie all'ingresso, nel team, del bravo e già noto Claudio Melis, uno dei Marchesi Boys che dalla natale Sardegna è approdato nelle Dolomiti. Il menu danza con creatività fra Mediterraneo e Alto Adige, con proposte light per il pranzo e il gourmet serale dalle 19 alle 21.
Zur Kaiserkron | Bolzano | Piazza della Mostra, 2 | tel. 0471 980214 | www.kaiserkron.bz
Laurin
Il contesto d'eccezione che ospita questa tavola vale da solo il viaggio: la struttura, grand hotel di charme di inizio Novecento, è uno dei simboli cittadini, con interessanti opere d'arte del XX secolo e il bar affrescato da Bruno Goldschmitt; la bellissima sala accoglie tra arredi in legno secolare, mentre d'estate si gode di un giardino di rara suggestione. In questa cornice si inserisce a meraviglia la cucina solare e fresca del giovane Manuel Astuto: altoatesino di origini siciliane opera un bel sincretismo tra materie prime d'eccellenza provenienti da tutta la Penisola, ingredienti esotici (certificati Fair Trade), prodotti locali e stagionali, e un tocco estroso che impreziosisce abbinamenti di mare e di terra. La cantina è all'altezza del contesto, con un'ampia selezione di bottiglie importanti. DueForchette nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.
Dove un tempo si soggiornava in prossimità della dogana, oggi sorge uno dei locali più apprezzati del territorio. Per il comfort degli ambienti, curati e studiati nel design e negli arredi, e per il buon livello del cibo proposto. Si viene per un aperitivo accompagnato da piatti interessanti da gustare al bancone, bello e accogliente, con una proposta enologica che in parte si lascia ammirare alle pareti e nelle cantinette e in parte si legge con piacere dalla ricca carta. Da quest'anno ai fornelli c'è Marc Bernardi che sembra proseguire sulla linea dei suoi predecessori: leggerezza, gusto, abbinamenti azzeccati. Così dal nuovo menu potrebbe capitarvi di provare gli ottimi cubetti di testina di vitella con asparagi, marmellata di cipolla di Tropea e funghi pioppini e i ravioli al pomodoro ripieni di burrata con crema di fave e olio al basilico. Note più esotiche nei secondi, come nella zuppetta di pesce al cocco e curry. Tecnica e piacevolezza altresì nei dolci come nella mousse di cioccolato fondente con crema al limoncello, limoni sciroppati e caramello al limone. La cantina, tutta da visitare, è del XIII secolo. Una Forchetta nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.
Un'altra insegna per andare sul sicuro. Calda e confortevole, in tavola assicura una valida versione della tradizione altoatesina, realizzata secondo le ricette antiche e con materie prime selezionate con rigore (molte biologiche). Servizio premuroso e amichevole. Si beve anche bene.
In questo banco del mercato di Piazza delle Erbe, di fronte al locale Hopfen & Co. (con cui condivide la proprietà), troverete letteralmente pane per i vostri denti. Pane declinato in tante forme, colori e consistenze; dallo scuro e aromatico pane di segale, a panini soffici, dalle pagnotte caserecce agli immancabili brezel: dorati, soffici e salati al punto giusto, serviti caldi, ideali per accompagnare una birra d’aperitivo o il passeggio.
Qui lo spirito dell’osteria all’italiana è ancora vivo e attivo. Ci si viene per mangiare qualcosa di veloce, per una merenda, per un aperitivo o un semplice bicchiere di vino o di birra. L’ambiente è accogliente e la simpatia e la cordialità del personale renderanno tutto più piacevole. Le tartine sono la specialità della casa, farcite al momento in tante varianti anche se quella con la tartara resta la più gettonata. Un po’ tapas bar, un po’ ristorante, a pranzo potete approfittare del menu del giorno sicuri di una cucina tradizionale ben eseguita. Si mangia con formula self service e si può anche ordinare d’asporto.
Dai Carrettai | Bolzano | via dr. Streiter, 20b | tel. 0471 970558
Sonia Ebner
Il chiosco della signora Sonia Ebner si trova nell'animato mercato di Piazza delle Erbe. Specialità della casa i wurstel artigianali, selezionati da produttori di fiducia e serviti con salse contenute in deliziose ciotoline. Si va dal Meraner, bianco di vitello e prezzemolo, al Frankfurter a quello al formaggio, a quelli affumicati tutti cotti al momento e serviti con bretzel caldi o morbido pane da spezzare con le mani (di segale, bianco o rosetta). Le varianti sono tante e resistere a questo street food teutonico diventa quasi impossibile. Sorriso, cortesia e prezzi nella media fanno il resto.
Sonia Ebner | Bolzano | Piazza delle Erbe (ang. via del Portico Laubengasse) | tel. 347 0350225
Walter e Michi's Wurstelstand
È la terra promessa di ogni amante dei wurstel. Siamo nel centro città e dal 1930 il chiosco della famiglia Egger è un’istituzione per assaggiare il sapore autentico dello street food per eccellenza di questa regione. Sono tante le tipologie disponibili, dai Meraner bianchi, ai Käsekreiner (con formaggio) al Currywurst (servito spezzato con una profumata salsa al curry) agli affumicati. Il pane è sempre soffice e le salse sono generose. Non mancano contorni come i deliziosi crauti e pane d’eccellenza come i bretzel, soffici e salati al punto giusto. Da bere bibite, birra e succo di mela, consigliatissimo per sembrare davvero esperti dell’universo del cibo di strada altoatesino.
Walter e Michi's Wurstelstand | Bolzano | via Goethe, 7 | tel. 338 7645637
È il secondo esercizio di Andreas Acherer, giovane e brillante astro della pasticceria italiana - il primo è la Patisserie Blumen di Brunico - che ha dato una scossa alle tradizioni di questa città, alleggerendo le preparazioni e ricreando un mix di bellezza, gusto, profumi e varietà che ha reso la casa madre di Brunico una delle migliori pasticcerie d'Italia. Anche qui, una serie incredibile di pasticcini, biscotteria di classe assoluta, torte e dolci anche in monoporzione, assortimento di tavolette di cioccolato, cioccolatini e praline sia sfusi sia in elegantissime confezioni regalo, i must (Punte del Castello e Ame Soeur) che hanno fatto la fama di Andreas. Eccezionale la cura nel packaging, in occasione delle feste, dei dolci della tradizione. La novità rispetto a Brunico è che qui è in funzione anche un bar, per consentire ai golosi di degustare le delizie proposte in abbinamento con caffè, infusi o cioccolate. L'ambiente, luminoso e bellissimo, è affacciato su una delle zone pedonali intorno a piazza Walther che costituiscono il salotto buono di Bolzano. DueTorte nell’edizione 2017 della guida Bar d’Italia.
Per l'invidiabile posizione, in piazza Walther, cuore artistico della città, per lo splendido dehors e per essere annesso al rinomato hotel con centro benessere, viene definito il salotto buono di Bolzano. A tutto ciò vanno aggiunte la qualità dell'offerta e la professionalità del servizio. Si comincia al mattino con un caffè dalla notevole persistenza, o un cappuccino dalla crema compatta e omogenea. Dolci e ottime brioche fanno il resto. Nel pomeriggio non fatevi mancare un eccellente tè con l'immancabile fetta di Sacher. Tra le specialità degne davvero di questo nome, la collezione di mieli di qualità che comprende praticamente tutte le regioni d'Italia e la selezione di formaggi e birre. Snack salati per pranzo e qualche piatto cucinato sempre all'altezza della situazione. Due Chicchi e Tre Tazzine nell’edizione 2017 della guida Bar d’Italia.
Mettere d’accordo i siciliani su origine e nome dell’arancino, o arancina che dir si voglia, è cosa davvero difficile. Ma potrebbe farlo Arancinario, il primo libro che raccoglie le ricette locali più utilizzate dedicate a questa prelibatezza dello street food locale siciliano. L’idea è di Arancinotto, il celebre stampo per arancini, che ha coinvolto i suoi follower nella raccolta di ricette e nel progetto editoriale.
Arancinario, il ricettario costruito a partire dal web
Dal classico ragù e piselli a quello con il pesce spada o la parmigiana di melanzane, dalla ricetta gourmet dell’arancino San Domenico alla versione dolce con cassata e colata di miele caldo. Sono tantissime le ricette da sperimentare per creare un arancino perfetto, che sia tradizionale o in versione innovativa. Ora le ricette sono tutte raccolte in Arancinario: un progetto partito dal web, con i follower di Arancinotto a cercare e suggerire le ricette da inserire nel libro. E la preziosa collaborazione di Stephanie Cabibbo, food blogger del circuito GialloZafferano, a fare chiarezza fra i mille spunti.
Nasce così il primo ricettario interamente dedicato all’arancino, uno degli street food italiani più amati al mondo, già disponibile nello store online di Arancinotto e presto anche nelle librerie. Suddiviso in 5 categorie - tradizionali, siciliane, gourmet, dolci, fuori dall'isola - il libro fornisce spiegazioni dettagliate passo passo, trucchi e segreti da applicare per migliorare le ricette, consigli su come abbinarli ad altre pietanze o a bevande di vario tipo.
La storia e la tecnica
Il libro non è solo una raccolta delle ricette più diffuse sull’isola, ma anche un compendio per imparare a creare arancini perfetti. Una sorta di mini guida con indicazioni generali sulla cottura del riso, la formatura delle palle, la croccante panatura, fino al delicato momento della frittura. Una parte del libro è dedicato all’aspetto storico-culturale, con il prezioso contributo dello studioso Carlo Blangiforti: informazioni sulla storia dell’arancina, sulla sua evoluzione e diffusione, e un chiarimento sulla diatriba riguardante il “sesso” da attribuire al piatto: “è meglio arancina, alla palermitana, con la forma tonda ad evidenziare una specie di rotondità, morbidezza materna, oppure arancino, alla catanese, a punta, simbolo del vulcano Etna e della virilità maschile?”.
Ma Arancinario è anche un progetto multimediale, grazie alle video ricette di Stephanie Cabibbo, da guardare attraverso il qr-code, per carpire in tempo reale i segreti di questo amatissimo street food.“L’arancino o l’arancina – ha spiegato Blangiforti -è, senza alcun dubbio, protagonista dello street-food siciliano e come nessun altro piatto racchiude in sé il profondo e intimo senso della sicilitudine: un piatto radicato nell’anima della tradizione capace di innovarsi e trasformarsi in un ciclo continuo. Anche per questo, l’Arancinario, che ne testimonia la vitalità, è un libro da leggere, coccolare e custodire con l’amore che solo i siciliani hanno verso la cosa più bella e vera della vita, il cibo”.
Dopo la cessione delle italiane Sella&Mosca e Teruzzi&Puthod, completata nei giorni scorsi, il gruppo di Sesto San Giovanni cede la grande azienda cilena da 370 ettari nella regione di Santa Cruz e punta a concentrarsi sul comparto degli spirit.
Campari sempre più lontano dai vini fermi
Nuovo passo di Campari verso il disimpegno dal comparto dei vini fermi. Per 30 milioni di euro, il gruppo guidato dalla famiglia Garavoglia ha siglato un accordo per cedere i vini Lapostolle in Cile, attraverso la vendita di Marnier Investissments ad Alexandra Marnier Lapostolle, che assieme a suo marito creò questo brand nel 1994 nella regione di Santa Cruz. Il marchio sudamericano era entrato di recente nel portafoglio di Campari nell'ambito dell'acquisto di Grand Marnier, avviato a marzo 2016.
Con questa operazione, Campari cede i vini, il pisco a marchio Lapostolle (un brandy ottenuto dalle uve, molto diffuso in Cile e Peru), i circa 370 ettari di vigneti, gli impianti di vinificazione e produzione, il magazzino, l'attivo immobiliare e le attività alberghiere cilene come il "Lapostolle residence". Il closing dell'operazione è previsto tra due mesi, e include una posizione finanziaria netta di 23,3 milioni di euro.
La razionalizzazione delle attività. Focus sugli spirit
La cantina cilena ha un portafoglio di prodotti d'alta gamma, tra cui Sauvignon Blanc, Chardonnay, Cabernet Sauvignon, Merlot, Carmenère e Syrah. Distribuito in oltre 60 Paesi in tutto il mondo, il marchio Lapostolle include vini pluripremiati come Clos Apalta 2005, al primo posto nella Top 100 di Wine Spectator nel 2008. Nell’anno fiscale terminante il 31 dicembre 2015, Marnier Chile S.A. ha registrato vendite nette pari a 13,6 milioni di euro e un ebitda di 1,8 milioni.
Bob Kunze-Concewitz, ceo del Gruppo Campari, spiega che l'accordo per la vendita dell'azienda cilena segue quelli di Sella&Mosca e Teruzzi&Puthod, completata pochi giorni fa: "Campari conferma il suo impegno a uscire completamente dal business dei vini fermi, in linea con la strategia volta a razionalizzare le attività non strategiche e aumentare il focus sul core business degli spirit", si legge in una nota. Da inizio 2016, sono state cedute attività non strategiche per complessivi 96 milioni di euro.
I brand a priorità globale rappresentano il maggiore focus del Gruppo e comprendono Aperol, Appleton Estate, Campari, SKYY, Wild Turkey e Grand Marnier. Con sede principale in Italia, a Sesto San Giovanni (Milano), Campari conta 18 impianti produttivi e 2 aziende vinicole in tutto il mondo, e una rete distributiva propria in 19 Paesi. Il Gruppo impiega circa 4 mila persone e nei primi nove mesi 2016 ha fatturato 1,18 miliardi di euro.
Se piogge e gelo vi fanno battere i denti e la fine delle festività vi rende più malinconici, non temete: a gennaio sono molti gli eventi che vi permetteranno di assaggiare e scoprire delle autentiche specialità. Ecco i festival enogastronomici da non perdere questo mese.
Fagiolata di San Defendente
A ridosso del Capodanno, Costigliole d’Asti celebra la festa di San Defendente cuocendo la tradizionale zuppa di fagioli, zampino e cotiche di maiale: un pasto una volta dedicato ai più poveri della comunità, grazie al volere di Guglielmo Baldissero, signore del feudo di Baldissero d’Alba nel XII secolo. Questa tradizione, ormai divenuta celebre, è portata avanti allo stesso modo fin dal 1200: ogni anno, il 2 gennaio, 50 grandi pentoloni ripieni di deliziosa zuppa vengono distribuiti gratuitamente ad appassionati e turisti; a seguire i dolci tipici locali, chiamati “le carità”. Prima del pasto condiviso, una sfilata in costume con i membri della Confraternita dei batì per rievocare la vicenda storica.
È il radicchio rosso il protagonista di questo festival che si svolge a Dosson, frazione del comune di Casier, in provincia di Treviso dal 27 gennaio al 5 febbraio 2017. Giunto ormai alla sua 31esima edizione, il festival celebra questo prezioso prodotto locale e i suoi abbinamenti migliori, con cene, laboratori, cooking show e tavole rotonde. Protagonisti ai fornelli Walter Volpato, Alessandro Silvestri, Alessandra Bazzocchi e il Team Venezia Chef, che valorizzeranno il radicchio e la sua storia abbinandolo a prodotti come il cinghiale toscano, il pesce di Chioggia, la pasta fresca romagnola.
Festa del Radicchio Rosso di Treviso | Dosson | frazione di Casier (TV) | dal 27 gennaio al 5 febbraio 2017 | www.radicchiorossodosson.it
Festival della Cucina Mantovana (Mantova)
Dal tortello amaro ai bigui con li sardeli, dai macarun col stracot al risotto lambrusco e salsiccia, passando per gli agnoli e il capunsel: è la cucina tipica di Mantova, celebrata in questo festival che parte il 21 gennaio e dura fino a marzo. Ogni week end in via
Melchiorre Gioia 3 saranno protagonisti due piatti tipici della cucina mantovana, più un menu fisso, cucinati da chef locali con i prodotti della produttori del mantovano. Inoltre musica, spettacoli e intrattenimento per tutte le età.
Un ciclo di incontri che mette insieme cinema e buon cibo. Chef campani di alto livello “accompagneranno” gli spettatori nelle sale dell’Hart Cinema Food Music di Napoli, per abbinare i sapori locali ai cortometraggi selezionati dalla cineteca di Pasta Garofalo. Si parte con il film, si prosegue con il cooking show dello chef che viene affiancato da un attore, uno scrittore o un artista che racconta i legami fra sapori e immagini. Partito a novembre con Lino Scarallo e Antonio Pisaniello, a gennaio il festival vede protagonista Marianna Vitale, che cucinerà dopo la proiezione di The Whool family il 19 gennaio. Altri due appuntamenti sono previsti per questo ciclo di incontri che si concluderà a marzo: il 2 febbraio sarà proiettato Caserta Palace Dream insieme alle creazioni della chefRosanna Marziale, mentre il 23 marzo sarà la volta di Armandino e la Madre con lo chef Nino Di Costanzo.
In Poltrona con lo Chef | Napoli | Hart | via Francesco Crispi, 33 | 19 gennaio 2017 | www.hartnapoli.it
Ravello chocolate festival (Ravello)
È la prima edizione per questo festival dedicato al cioccolato, che si terrà a Ravello, in provincia di Salerno dal 3 al 5 gennaio 2017. Organizzato dall’associazione Notte ravellese, sarà un viaggio sensoriale nel mondo del cioccolato, con un’area enogastronomica dedicata agli abbinamenti, dai classici ai più creativi. Diversi gli appuntamenti in programma, dal museo del cioccolato allestito per l’evento al cooking show “Cioccolato all’opera”, al ChocoRavello contest "AAA cioccolatino per Ravello cercasi", oltre ai cooking show e ai laboratori di chef e pasticceri nelle sale dell’albergo Bonadies. Tutti gli eventi sono a ingresso gratuito.
Ravello chocolate festival | Ravello (SA) | hotel Bonadies | piazza Fontana Moresca, 5 | dal 3 al 5 gennaio 2017 | www.ravellochocolatefestival.com
In 12 mesi tantissime nuove attività hanno visto la luce: ristoranti d'autore o semplici bar, gastronomie e mercati gastronomici. Tanti indirizzi di riferimento per chi ama il buon mangiare e il buon bere. Ecco i migliori secondo gli esperti del settore.
Quale è stata la novità dell'anno che sta per finire nel mondo della ristorazione? Lo abbiamo chiesto agli addetti ai lavori. A chi, per professione, quei ristoranti li prova, li racconta, li giudica. E non solo per quanto riguarda la cucina d'autore. Dopo un anno a raccontarvi noi queste novità, in chiusura 2016 abbiamo chiesto un parere esterno. Abbiamo cercato di capire quali sono le migliori novità del 2016 per tre diverse categorie: ristoranti gourmet, trattorie/pizzerie/locali etnici, bar/cocktail bar/gastronomie e affini. Come vedrete c'è stato qualche indisciplinato che ha voluto di puntare su locali di prossima apertura o insegne che contano più di 12 mesi di vita (anche se di pochissimo). Qualcuno, poi, ha deciso che duplicare le segnalazioni in una sezione e ignorare l'altra. Nonostante tutto, però, ne è uscita fuori una mappa molto ricca delle migliori novità dell'anno che sta per finire. Prendete appunti e inserite gli indirizzi in agenda perché tutte le insegne, nessuna esclusa, sono da provare.
I risultati? Li trovate qui, ma intanto vi diciamo che in cima alla classifica c'è Luigi Taglienti, con il suo Lume, a Milano, che ha riscosso 7 preferenze, a seguire, con 5, Paolo Lopriore il cui Portico, ad Appiano Gentile, è stato votato sia come ristorante gourmet che come trattoria evoluta. Segue il nuovo locale di Enrico Bartolini al Mudec di Milano con 4. Anche Signore te ne ringrazi (Montecosaro) ha conquistato voti in diverse categorie: tanto al magnifico ristorante dall'anima tutta vegetale, quanto alla pizzeria. A 3 si trova anche Sbanco di Roma.
PIZZERIE/TRATTORIE/ETNICO Sbanco. Perché in una zona nevralgica di Roma si incontrano la pizza (eccellente) di Stefano Callegari, la cucina (a cavallo fra tradizione e innovazione) di Marco Pucciotti con ai fornelli Sarah Cicolini e tante ottime birre.
BAR/COCKTAIL BAR/GASTRONOMIE Agaveria La Punta (Roma). Perché unisce alla grande cocktail d’autore una cucina etnica di ottima qualità, un connubio perfetto nel cuore di uno dei quartieri più tradizionalisti della città, Trastevere.
Roberto Bentivegna
Passione Gourmet
RISTORANTE GOURMET Se.Sto on Arno (Firenze) Un cuoco dalle grandi basi classiche e dal promettente futuro finalmente calca il palcoscenico che gli compete. Piatti belli, ricchi, sostanziosi ma anche eleganti e raffinati. Una partenza folgorante.
PIZZERIE/TRATTORIE/ETNICO Signore te ne ringrazi (Montecosaro). Nelle sale di un antico convento, Michele Biagiola e la sua squadra, grazie a un impasto lievissimo e a farciture gastronomicamente di primo piano, azzerano tutti i pregiudizi verso i ristoranti che servono anche la pizza.
BAR/COCKTAIL BAR/GASTRONOMIE Damascegliere (Milano). il cocktail bar del campione italiano 2016 di bartender Diageo Mattia Pastori, ex Mandarin Bar a Milano ed ex Armani/Bamboo. Un bel locale in zona Garibaldi, dove si possono trovare, oltre ad eccellenti cocktail, piccoli piatti in accompagnamento.
Image may be NSFW. Clik here to view.Ercoli1928 ai Parioli
PIZZERIE/TRATTORIE/ETNICO Sta per aprire ed è il Cibreo di Firenze. Sarebbero sufficienti il nome del locale e quello di Fabio Picchi per incuriosire, ma il concept è ancora più figo...
BAR/COCKTAIL BAR/GASTRONOMIE La nuova proprietà e il raddoppio di Ercoli1928, nella speranza che ci sia una spinta propulsiva ad un settore, quello dei negozi di specialità alimentari, in cui Roma è ferma da anni.
Image may be NSFW. Clik here to view.
Zuma Restaurant
Eleonora Cozzella
Repubblica Sapori
RISTORANTE GOURMET DaFilippo a Pietrasanta (Lucca). Una nuova scommessa in un locale elegante, urban style, con cucina a vista e pezzi d'arte disseminati qua e là. Ma soprattutto un menu che diventa gioco e complicità: non lista di piatti ma di ingredienti. Il cliente sceglie il prodotto e con lo chef si pensa a come prepararlo.
PIZZERIE/TRATTORIE/ETNICO Ieri Oggi Domani a Napoli. È un omaggio appassionato alla città più zeppa di contraddizioni e magica del mondo, attraverso i volti noti del cinema ritratti alle pareti, che diventano ispirazione per piatti e pizze. E attraverso i prodotti di territorio: ecco la pizza Ieri, Oggi, Domani, con fiordilatte misto bufala, peperoni di Pontecorvo Dop, salsiccia rossa di Castelpoto, evo bio. O la genovese con i profumi delle case partenopee la domenica
RISTORANTE GOURMET Enrico Bartolini al Mudec (Milano). Una delle cucine contemporanee più nitide e gustose d'Italia oggi finalmente in una sede coerente con le ambizioni e con una sala che gira alla perfezione.
PIZZERIE/TRATTORIE/ETNICO Oliver Glowig al Mercato Centrale (Roma). Rappresenta l'incontro tra alto e basso, tra cucina d'autore e tavole pop, all'interno di uno dei progetti imprenditoriali più importanti per la Capitale negli ultimi anni: il Mercato Centrale
BAR/COCKTAIL BAR/GASTRONOMIE. Roscioli Caffè (Roma). Il tassello che mancava nel mondo Roscioli: maritozzo e caffè a colazione, club sandwich a pranzo, ostriche e Champagne (o un Gin Tonic) all'aperitivo, tutto all'insegna dell'eccellenza.
Image may be NSFW. Clik here to view.Agaveria La Punta
Lorenza Fumelli
Agrodolce
RISTORANTE GOURMET L’attesissima apertura de IlPortico di Paolo Lopriore ad Appiano Gentile non delude: un concentrato di gusto e avanguardia.
RISTORANTE GOURMET Le Giare (Bari). Lo chef Antonio Bufi e la compagna di lavoro e vita Lucia Della Guardia hanno riaperto a settembre il ristorante Le Giare di Bari, prendendone le redini in totale autonomia. Niente menù alla carta per il momento, ma solo “anarchie”, le degustazioni dello chef tra trippe di baccalà, radici e tuberi dalla Murgia più selvaggia, ficoidi glaciali, infusioni di sake e anemoni di mare. In giro si dice che ne combini più lui in cucina che il Don Juan di Castaneda con pejote e datura.
PIZZERIE/TRATTORIE/ETNICO Piovono zucchine (Brindisi). Già note in rete per un post malinteso e contestato sulla loro pagina Facebook, le cuoche Simona Avallone e Annalisa Presta e il responsabile di sala Giuseppe Ferrario sono gli artefici – o gli artigiani, come amano definirsi - di Piovono zucchine, il primo ristorante autenticamente vegano recentemente aperto a Brindisi. Prodotti rigorosamente stagionali, prezzi competitivi e impiattamenti accattivanti la loro forza, oltre all’innegabile impatto del graphic design di Elvira Gerardi su menù, pareti e comunicazione social.
BAR/COCKTAIL BAR/GASTRONOMIE FudOff (Catania). Nuovo e già avvincente capitolo della saga Fud dell’instancabile Andrea Graziano, Fud Off ha aperto a fine agosto in Via Santa Filomena a Catania e già fa tendenza. Tapas e micro-piatti di pesce, carne e veg a cura di Valentina Chiaramonte, chef palermitana in trasferta meglio nota come Chez-munita, e “sicilian coctels” tra l’assortimento beverage firmato dal sommelier Emanuele Fioretti. Aperto solo di notte, ca va sans dire.
Image may be NSFW. Clik here to view.Lume
Alfonso Isinelli
Agrodolce
RISTORANTE GOURMET Lume (Milano). Luigi Taglienti ha forse trovato il posto ideale dove fondere classicità e avanguardia come pochi altri sanno fare in Italia. E aggiungo una piccola nota sul ritorno di Michele Biagiola, che nel suo Signore te ne ringrazi (Montecosaro) fa grande cucina vegetale.
PIZZERIE/TRATTORIE/ETNICO Il Portico (Appiano Gentile) di Paolo Lopriore. So di essere provocatorio ma oggi è il posto più popolare e colto d'Italia fra cavedani, lucci e frattaglie.
BAR/COCKTAIL BAR/GASTRONOMIE Fud Off a Catania. Ultima impresa del piccolo impero di Andrea Graziano: un vero inno al sud, Sicilia in primis, ma non solo, sia nel bere miscelato, che nel cibo che lo accompagna.
Tania Mauri
GazzaGolosa della Gazzetta dello sport, on line e non, Gustosano, Bio Magazine, Le vie del Gusto e on line su Identità di pizza, la Guida di Identità Golose, Identità Golose.
RISTORANTE GOURMET Lume (Milano) di Luigi Taglienti: il cuoco, giovane e con grandi esperienze internazionali, stupisce con le iperboli mai eccessive dei suoi piatti in un ideale combinazione fatta di semplicità e ricchezza tra le sue radici liguri e il capoluogo meneghino che l’ha adottato e premiato.
PIZZERIE/TRATTORIE/ETNICO Sbanco (Roma) pizzeria con cucina: i fritti e gli sfizi sono una tentazione a cui si cede facilmente; le pizze, tradizionali o piacione come la rosetta con la mortadella o la cacio e pepe, sono buone, gustose e ben fatte; le birre sono artigianali e il locale, post industriale, è grande e accogliente.
BAR/COCKTAIL BAR/GASTRONOMIE Lounge bar al 37° piano del grattacielo di Intesa Sanpaolo: lounge bar panoramico immerso nel verde della serra bioclimatica ricca di essenze esotiche e mediterranee, che si affaccia a perdita d'occhio su tutta Torino. Cocktail preparati dal bartender Mirko Turconi in abbinamento a piccole degustazioni preparate dalla brigata guidata dallo chef Ivan Milani. Voglio però segnalare anche Bocum: aperto un anno fa (sì nel 2015 ma è posto dove vale la pena fare una tappa) è il primo locale mixology di Palermo, luogo suggestivo e affascinante dove si mescolano arte contemporanea, buon bere e ottimo cibo.
Image may be NSFW. Clik here to view.Stazione di Posta
Giulia Mancini
Repubblica Sapori; Agrodolce
RISTORANTE GOURMET Stazione di Posta (Roma): ritrovata la leggerezza della mano, Luigi Nastri torna ai fornelli romani, dopo la parentesi parigina; con sé una rinnovata freschezza nelle tecniche classiche.
PIZZERIE/TRATTORIE/ETNICO RavioleriaSarpi (Milano): contenuto e contenitore di un'integrazione culturale, più che progetto imprenditoriale. Esplosione di sapori e consistenze in ogni boccone, non solo nei ravioli ma anche nelle crespelle della cucina imperiale: sapori che valgono la lunga attesa.
RISTORANTE GOURMET Lume (Milano): il ristorante dove Luigi Taglienti serve quella che è forse la cucina più coraggiosa d'Italia. Una vertigine acida che non rinuncia all'eleganza.
PIZZERIE/TRATTORIE/ETNICO Signore te ne ringrazi (Montecosaro) di Michele Biagiola, per la formula originale, che alterna pizze gourmet a grandi paste secche e piatti vegetariani in continuità con le Case, ma in un contesto informale.
RISTORANTE GOURMET La casella ristoranti d’autore quest’anno non può che essere occupata da EnricoBartolini, lo chef monstre che ha guadagnato 4 stelle Michelin con 3 aperture: Casual a Bergamo, Mudec a Milano, Trattoria Enrico Bartolini a Castiglione della Pescaia. Un “grande slam” difficile da ripetere per chiunque.
PIZZERIE/TRATTORIE/ETNICO Alla voce pizzeria ci sarebbero più segnalazioni, ma mi ha colpito il Rossopomodoro LAB di Roma: gestione diretta e pizzaiolo super (Angelo Pezzella) stanno lì a dimostrare che il mondo della pizza è in continua evoluzione.
BAR/COCKTAIL BAR/GASTRONOMIE Yugo a Roma è il cocktail bar che mi è piaciuto di più. Carte generose sia per cibo che per bevande e abbinamenti centrati. Una formula contemporanea che mette insieme i piatti fusion di Anthony Genovese, le ricette di Patrizio Boschetto e l’interior di Danilo Maglio.
RISTORANTE GOURMET Il ristorante al Mudec di Bartolini (Milano), per aver riconfermato l'eccellenza con 2 stelle Michelin a 6 mesi dall'apertura.
PIZZERIE/TRATTORIE/ETNICO Framento (Cagliari), vera e propria innovazione cittadina nel proporre una pizza gourmet di altissima qualità con ingredienti locali per la quasi totalità, lunghe lievitazioni e farine selezionate.
BAR/COCKTAIL BAR/GASTRONOMIE Mud di Filippo a Pietrasanta, per il bellissimo locale e per la scelta di puntare su due bravi professionisti come barman: Thomas Cecere ex Lux Lucis di Forte dei Marmi e Alessandro Pitanti.
Sara Porro
Food Writer
RISTORANTE GOURMET Lume (Milano). Dopo varie peripezie, Luigi Taglienti ha finalmente uno spazio simile al suo talento - ovvero, grande e luminoso.
PIZZERIE/TRATTORIE/ETNICO Ravioleria Sarpi (Milano). Nessuno fa lo street food come i cinesi - se poi per i jiaozi, i ravioli tradizionali, si usa la carne della Macelleria Sirtori lì a fianco si raggiungono nuove vette
BAR/COCKTAIL BAR/GASTRONOMIE Mercato del Suffragio (Milano). Tecnicamente non un'apertura di quest'anno, visto che ha aperto a metà dicembre del 2015, ma tra la pizza del forno di Davide Longoni, il pesce di Schooner e la piccola selezione di vini naturali questo mercato merita la menzione nonostante l'anacronismo.
Image may be NSFW. Clik here to view.Il Puntino del Punto
Lorenzo Sandano
L'Espresso; Cook.Inc
RISTORANTE GOURMET Il Portico (Appiano Gentile) di Paolo Lopriore. La possibilità rinnovata di apprezzare una delle cucine più identitarie e virtuose d'Italia, in un formato inedito, che regala nuova linfa vitale a un grande interprete della cucina italiana.
PIZZERIE/TRATTORIE/ETNICO Puntino del Punto ( Lucca). Un centratissimo format Food&Drink dall'animo contaminato, che segue la filosofia di "brutalità elegante" del ristorante madre. Tutta l'energia agricola e minimale dei ragazzi del Punto, condensata in un concept immediato, divertente e autentico.
BAR/COCKTAIL BAR/GASTRONOMIE Gesmàkh (Asiago). La bottega artigiana delle meraviglie, griffata dal ristorante gourmet La Tana di Asiago. Dolci, conserve, sughi, snack salati e lievitati d'autore. Un progetto che preserva i dettami qualitativi e ideologici dei Tana Boys, veicolati in un contenitore pop dall'animo rispettoso e avanguardista.
Luciana Squadrilli
Free lance
RISTORANTE GOURMET Bros (Lecce): ragazzi bravissimi che sanno quello che vogliono e stanno facendo un bellissimo lavoro su un territorio poco conosciuto gastronomicamente, il Salento.
PIZZERIE/TRATTORIE/ETNICO Taverna Volpetti (Roma). In realtà è la costola ristorativa di Vopetti, una storica gastronomia romana, a Testaccio mancava un posto dove bere bene e mangiare cose buone dopo aver fatto la spesa al negozio accanto.
BAR/COCKTAIL BAR/GASTRONOMIE Il Caffè Roscioli (Roma) un posto dove andare spesso e pre diversi motivi, dall'ottimo caffè al sontuoso club sandwich.
Image may be NSFW. Clik here to view.
Sbanco
Valentina Venturato
Cucina e vini
RISTORANTE GOURMET Anche se ha aperto nel 2015, era proprio sul finire dell'anno, quindi lo considero 2016. Retrobottega: cucina gourmet in un ambiente non ingessato, il tutto nel cuore di Roma. Piatti ricercati ma mai esasperati, pochi ingredienti e tanta ricerca. Un'esperienza gastronomica di buon livello a prezzi più che accessibili, elemento da non sottovalutare soprattutto sulla piazza romana.
PIZZERIE/TRATTORIE/ETNICO Sbanco (Roma) L'impasto è quello super collaudato dell'ormai uno e trino Stefano Callegari. Sul menù si conta un elenco generoso di pizze, ma per non sbagliare è sempre meglio andare sul classico, la Margherita. Provata diverse volte, è sempre eccellente. Le iniziali sbavature in cottura ora sono un ricordo. Il forno ha fatto il suo necessario rodaggio e va che è una meraviglia.
BAR/COCKTAIL BAR/GASTRONOMIE Gatsby Caffè (Roma) Tre piani per un caffè in stile retrò, che affaccia su Piazza Vittorio, luogo da anni abbandonato, non solo gastronomicamente parlando. Recentissima apertura (lo scorso novembre) segna un nuovo corso per l'Esquilino, si inizia la mattina con torte e lieviti, pranzi veloci con panini e bagel per arrivare all'aperitivo serale con cocktail ben eseguiti accompagnati da finger food per niente banali.
Valerio Massimo Visintin
Corriere della Sera
RISTORANTE GOURMET Sorpreso negativamente dal Mudec del pluristrombazzato Enrico Bartolini, confido in Oldani, Lo Basso e Taglienti, ai quali debbo ancora fare visita.
PIZZERIE/TRATTORIE/ETNICO Piccolo Peck (Milano). Un ritaglio nel corpo di Peck, la più celebre gastronomia milanese. Bocconi eleganti per pasti rapidi e merende in un contesto lussuosamente straniante.
BAR/COCKTAIL BAR/GASTRONOMIE Mimì Gourmet (Milano). Un chiosco con piatti schietti preparati al momento dal cuoco Giulio Facciolla.
RISTORANTE GOURMET Lume (Milano). La ripartenza di Luigi Taglienti, con meno vincoli rispetto al passato e una serenità che gli permette di divertirsi. Già ai vertici di una Milano mai stata così buona e varia.
PIZZERIE/TRATTORIE/ETNICO Al Cambio (Bologna). Non un'apertura ma un cambio di gestione e marcia, avvenuto grazie all'apporto del duo Pompili-Benassi. Pura, semplice, gustosa ed economica: LA trattoria di ieri e di oggi.
RISTORANTE GOURMET. Lume a Milano: Luigi Taglienti non fa copia e incolla e cucina già la cacciagione migliore della città. DueCamini a Borgo Egnazia: Domingo Schingaro ha grande cultura del prodotto e cucina dannatamente bene
PIZZERIE/TRATTORIE/ETNICO. Il Portico di Appiano Gentile (Como): nessuno come Paolo Lopriore sa sviluppare le radici del nostro mangiare. Per questo lo segnalo come trattoria evoluta.
Mud da Filippo | Pietrasanta (LU) | via Padre Eugenio Barsanti 45 | tel. 0584 70010
Oliver Glowig al Mercato Centrale | La tavola, il vino, la dispensa | Mercato Centrale | Roma | via Giovanni Giolitti, 36 | tel. 06 92939569 | http://www.mercatocentrale.it/roma/
Alla fine degli anni Ottanta, Veronelli la definiva patronne e sommelier “elettiv’erettiva”, riassumendo le qualità di una donna che per il vino e la ristorazione ha speso gran parte della sua vita. Dopo esattamente 30 anni Maida Mercuri è ancora alla guida del Pont de Ferr, e dal quartier generale dei Navigli ripercorre con noi l’evoluzione della sua osteria.
Gli anni Ottanta sui Navigli
“Tanti anni fa il Ticinese era il quartiere dei ladri. Un labirinto di vicoli e cortili, dov'era facile far perdere le tracce di sé. C'era un bar, La Latteria. La mattina si andava lì per recuperare il bottino della notte precedente: sul tavolino era pieno di autoradio allineate”. Storia della Milano che fu, gli anni Ottanta visti dai Navigli, quando i canali meneghini erano ben lontani dal boom di popolarità che li avrebbe trasformati in fulcro della movida cittadina dalla metà degli anni Novanta.
Lo ricorda come fosse ieri Maida Mercuri, che al quartiere ha legato gli ultimi 30 anni della sua vita, e dal suo quartier generale di ripa di Porta Ticinese, proprio dove il Naviglio Grande è attraversato da un ponticello in ferro, ha accompagnato l'evoluzione dei Navigli, assecondandone gli umori e dettando la rotta, ostessa fiera e anticonvenzionale al timone del Pont de Ferr.
Image may be NSFW. Clik here to view.
Quand'è arrivata lei, con quella intraprendenza un po' sfrontata di chi dalla sua ha l'entusiasmo della prima volta, di insegne intorno ce n'erano ben poche: “Il pioniere fu Bisignani, da avventori era il nostro punto di riferimento. Poi, alla fine dell'86 siamo arrivati noi, proprio di fronte alla sua osteria”.
Era il 14 dicembre, il Pont de Ferr (in società con Licio Mannucci) muoveva i primi passi sulla scena gastronomica milanese, a uso e consumo di chi, in una zona ben poco alla moda della città, cercava l'onestà di una cucina semplice, solo un paio di piatti caldi in menu, ma soprattutto un pretesto per condividere un buon bicchiere in osteria. Sì, perché nella storia di Maida il vino è una presenza importante, mai ingombrante, la scintilla che invoglia a lanciarsi in nuovi progetti: "Accadde un giorno che io incontrai il vino..." è l'incipit degno di una favola che si nutre dei ricordi di una vita. "Avrò avuto 18 anni, ero a cena in Chianti, con un amico, pensammo di bere un goccio di vino. Sulla tavola c'era il classico fiasco impagliato... Bevvi tutto il bottiglione!" Dunque questo era il vino? Maida non ebbe più dubbi: "Fu colpo di fulmine".
Image may be NSFW. Clik here to view.
Da sommelier a ostessa. L’inizio del Pont de Ferr
Così, dopo una parentesi in Sardegna per scoprire nuove tradizioni marinare e vitivinicole, venne il ritorno a Milano, per intraprendere il percorso da sommelier. Prima il corso professionale, "ero l'unica donna sola, nessuna storia alle spalle nel mondo del vino, molti mi guardavano con sospetto”; ma la diffidenza e l’ostracismo di qualche collega non fiaccarono la voglia di emergere, “anzi, tutti mi volevano, una donna in prima linea a servire vino… All’epoca ero una mosca bianca”. E proprio negli ambienti più compassati della Milano bene, dall’hotel Gallia al Michelangelo, Maida si fa le ossa. Ma intanto monta l’insoddisfazione per una dinamica che la lascia interdetta: il vino è una gioia da condividere, servire grandi etichette con il distacco proprio di certi contesti cominciava a sembrarle una nota stonata. “Per me il vino è comunicazione”. Una considerazione lucida che attraversa gli ultimi decenni: consapevolezza rivelatrice all’inizio degli anni Ottanta, solida conferma oggi che al Pont de Ferr l’ambizione della cucina non trascura l’anima dell’osteria e la carta dei vini continua a far parlare di sé. Insomma nasceva così l’osteria sul Naviglio Grande: “La gente stava fuori fino a tarda ora, chiedeva una tavola semplice e godereccia. Noi servivamo pane, salame, affettati toscani, buon vino”. E il motto stampato sul primo menu ribadiva lo spirito della casa: La buona cucina è amica del vivere bene e nemica della fretta. In tavola arrivavano pasta e fagioli, pappardelle, uno stufatino di asinello con polenta, tra i dolci la sbrisolona, il salame di cioccolato, i biscottini di pasta frolla. Per chi preferiva semplicemente accompagnare un calice di vino, il tagliere con mortadella e pancetta d’asino, coglioni di mulo e coppa, la selezione di formaggi. Fino a quando non fu il momento di evolversi: “Chi fa questo mestiere capisce quand’è ora di cambiare passo. Sull’evoluzione del Pont de Ferr potrei inventare tante leggende, la verità però sta dietro a una considerazione semplice: se il cibo è più allettante, la scelta più varia, il cliente beve più vino”.
Image may be NSFW. Clik here to view.Matias Perdomo
Una cucina in evoluzione. L’arrivo di Matias Perdomo
Nel frattempo il Pont de Ferr era cresciuto, dal 1991 stava aperto anche a pranzo, e già da qualche anno marciava all’unisono con i desideri e le aspirazioni della Milano da bere. Nel 1989 era arrivato anche il sigillo di Luigi Veronelli, che sul profilo di Maida Mercuri cuciva l’appellativo ammirato di “patronne e sommelier elettiv’erettiva”. E ben note erano pure le frequentazioni vip dell’osteria, da Fabrizio De Andrè con sua moglie Dori ad Alda Merini. Tutte presenze assidue alla tavola del Pont de Ferr.
Nel 1993 però arriva la prima novità evidente: “Ahmed era il nostro lavapiatti tunisino, è cresciuto in cucina con noi. Da quell’anno cominciò a curare il menu, uscivano piatti diventati storici come la brandade di baccalà o l’agnello in crosta di lavanda. Era una cucina classica, autentica, che rivedeva la tradizione, attenta all’equilibrio e alla leggerezza.”
Poi, nel 2000, sarebbe venuto Juan Lema Pena, uruguajo, a raccogliere un testimone passato – ironia della sorte – in tante mani straniere. Intanto i Navigli diventavano quel quartiere ambito che oggi conosciamo tutti, e il Pont de Ferr procedeva dritto per la sua strada, con i primi lavori di ristrutturazione e ingrandimento, una carta dei vini sempre più ambiziosa. Juan indirizzò nuovamente la cucina, aprendo la strada al connazionale Matias, un giovane chef di 21 anni, che quando all’inizio degli anni Duemila arriva a Milano di cucina italiana non sa quasi nulla. Di cognome fa Perdomo. E questo, a posteriori, dice molto su quel che sarebbe successo negli anni a seguire: “Quando nel 2006 Matias prese in mano le redini della cucina faceva già parte della famiglia da tempo; gli chiesi se aveva voglia di assumersi la responsabilità, mi rispose senza esitare”. E la cucina cambia passo ancora una volta: sono gli anni della provocazione, “Matias azzardava con molti ingredienti a contrasto, la frutta nel salato, gli zuccheri soffiati”. Il Pont de Ferr sperimenta una nuova giovinezza, a far la differenza è ancora una volta l’intraprendenza di Maida che può contare sull’indiscutibile talento del suo pupillo.
La Forchetta, la Stella e il Rebelot. Prima della rottura
Non tutti però lo capiscono, “ricordo che tanti clienti abituali dopo aver letto il menu andavano via, i primi mesi furono difficili, ma tornare indietro sarebbe stato dichiarare di aver perso la battaglia”. Il tempo le diede ancora una volta ragione: i piatti si fanno più centrati, l’estetica ricercata, ai fan della prima ora si aggiunge un coro di apprezzamenti unanime. Ed è in una notte del 2011 inaspettata e impensabile fino a qualche anno prima che lo staff del Pont de Ferr al completo si ritrova a festeggiare con Massimo Bottura il traguardo più ambito: per lo chef modenese arrivava la terza Stella, la cucina di Matias conquistava la prima. Ad accompagnare quella Forchetta che il Gambero Rosso già da tempo gli assegnava, facendo in più occasioni sfiorare la seconda. Come buttare benzina sul fuoco: Maida non si ferma, e nel 2013 ecco l’idea Rebelot, “che è arrivata girando per il mondo, con la voglia di attribuire centralità alla cockteleria accompagnandola con piccoli piatti sfiziosi. Un modo più semplice di approcciare la ristorazione, cresciuto grazie all’apporto di Mauricio Zillo”.
Nel frattempo si perfeziona un nuovo restyling, per dotare il ristorante dell’allure che merita nel suo nuovo ruolo. Ma nel 2015 la separazione da Perdomo determina un repentino cambio di rotta e la perdita della Stella. In cucina arriva Vittorio Fusari, chef italiano di grande esperienza.
Image may be NSFW. Clik here to view.Maida Mercuri e Vittorio Fusari (foto di Carlo Fico)
Il Pont de Ferr oggi. Tradizione, prodotto e tecnica
La parola spetta ancora una volta a Maida: “Non ho mai pensato di dover tirare avanti, piuttosto ho voluto accanto a me uno chef che sapesse cos’è la cucina, la sua storia e tutti quei sapori che portiamo nel Dna, da cui oggi molti deragliano. I piatti che arrivano in tavola, la materia prima e le tecniche di lavorazione mi ricordano quei profumi e quel gusto della nostra adolescenza; certo, ci vuole sempre quello zic in più che renda visibile la novità del piatto”.
Eccolo allora il presente del Pont de Ferr, grandi prodotti, tecnica, etica e una solida cultura gastronomica e medico-alimentare, per un cibo che nutre, diverte e non stanca. Un ritorno alle origini, in parte, tanto che “molti clienti storici sono ritornati a trovarci”, ma soprattutto un momento di rottura, dichiarato: “Avevo voglia di mediare, non certo di tornare indietro. Piuttosto mi piace l’idea di riproporre un bagaglio che si sta perdendo, la tradizione non va coperta, ma riscoperta”. Ma è un'altra la qualità che non può mancare in cucina: “Mi piacciono le persone che propongono piatti pensati con la loro testa, continuo ad apprezzare la cucina di ricerca, ma più che altro come curiosità che esula dal quotidiano. E invece per tutti i giorni voglio scommettere sulla valorizzazione dei prodotti: l’anno scorso avevo in carta un cappone (allevato libero) cotto a bassa temperatura nel carbone, servito con una tazzina del suo brodo e ravioli farciti con interiora… In sala la gente si voltava. Un perfetto esempio di equilibrio tra prodotti, tecnica e innovazione”. Nei piatti che arrivano in tavola, del resto, c’è sempre lo zampino di Maida, che insieme al suo chef perfeziona accostamenti e nuove creazioni.
Image may be NSFW. Clik here to view.Vittorio Fusari, tonno scottato con salsa bernese, alga nori fritta e mostarda di pomodoro
Il bilancio dei 30 anni. Guardando al futuro
Ora è il momento di festeggiare, fino alla prossima primavera un menu speciale da 5 portate ricorderà agli ospiti l’evoluzione degli ultimi 30 anni: un piatto per ogni chef che ha guidato la cucina. Ma oggi cos’è diventato il Pont de Ferr? “Un locale che guarda sempre avanti, dove la vera innovazione è recuperare la nostra storia. E uno spazio dove c’è sempre modo di lasciarsi andare, tra le mura intrise del nostro passato: nessuno ti chiederà di liberare il tavolo dopo due ore…La mia soddisfazione più grande è guardare i clienti che allentano il nodo della cravatta”.
E poi c’è il futuro, quello che sarà: “Il futuro è mostrare la qualità, invitare gli ospiti a guardare, chiedere, toccare con mano”. Per questo da marzo si comincerà a proporre un’esperienza molto particolare, “Vieni a passare una giornata con noi, l’ho voluta chiamare: dalle 9 della mattina al servizio serale per scoprire l’anima del Pont de Ferr”. E in primavera arriverà pure il menu che omaggia la storia della cucina italiana.
Maida invece, come si ritrova dopo 30 anni? “Come una donna soddisfatta che ha avuto un grande amante: il vino. Sentire il suo profumo mi emoziona ancora oggi: c’è sempre un momento della giornata in cui sento la necessità di dedicargli il mio tempo”. Tra un calice di champagne, un bicchiere di Barolo e un vino in anfora, l’ultimo colpo di fulmine in ordine di tempo. Perché di innamorarsi non ci si stanca mai. E Maida lo sa.
Pont de Ferr | Milano | Ripa di Porta Ticinese, 55 | tel. 02 89406277 | www.pontdeferr.it
Dopo oltre dieci anni alla guida del celebre ristorante italiano di Manhattan e un lungo sodalizio con il Batali & Bastianich Hospitality Group, lo chef Mark Ladner abbandona la sua cucina per sperimentare un nuovo format improntato alla ristorazione veloce. E scommette sulla pasta, dalla prossima primavera.
La cucina italiana di Del Posto
Se la fama di Del Posto si lega principalmente a quella del suo fondatore e patron Mario Batali – tra gli ambasciatori più noti della cucina italo americana negli Usa, a lui il compito di portare in tavola l’Italia durante l’ultima cena alla Casa Bianca con la delegazione guidata da Renzi, e pure il merito di aver creduto nel progetto Eataly con i soci Joe Bastianich e Oscar Farinetti – a New York tutto riconducono la proposta del celebre ristorante di Manhattan al volto di Mark Ladner. Lo chef è a capo della brigata sin dal 2005, quando più di dieci anni fa Batali e la famiglia Bastianich (Lidia e il figlio Joe) decidevano di intraprendere quella ricerca sulla cucina made in Italy fine dining che li avrebbe portati all’apprezzamento unanime di critica e pubblico, fino alla conquista della stella Michelin: piatti raffinati, servizio attento, cantina all’altezza del cibo, con tante etichette che hanno sostanziato il mito del vino italiano oltreoceano. Dal canto suo, all’epoca, Ladner arrivava da precedenti esperienze nel gruppo Batali/Bastianich, prima sous chef da Babbo, poi alla fine degli anni Novanta motore delle start up Lupa Osteria Romana e Otto Enoteca Pizzeria. Fino all’approdo nella cucina di Chelsea, per la sfida più ambiziosa. Da allora Mark quella cucina non l’ha più lasciata.
L’addio di Mark Ladner
Ecco perché l’annuncio recentemente confermato da Batali ha destato l’attenzione della stampa di settore americana: alla fine di gennaio Ladner lascerà Del Posto, passando il testimone al suo braccio destro Melissa Rodriguez, la prima donna a New York a guidare un ristorante insignito delle quattro stelle dal New York Times. E Mark, che farà? I progetti per il futuro prossimo si preannunciano quantomeno intriganti: dopo anni spesi tra stelle e menu esclusivi, lo chef originario di Cambridge (Massacchusets) aprirà un fast food tutto suo, dedicato alla pasta, con l’auspicio che il format possa rivelarsi efficace e pronto per moltiplicarsi, dando luogo a una nuova catena d’autore dopo i successi si altri colleghi celebri come David Chang, che nell’ultimo anno ha scommesso (centrando il bersaglio) sul pollo fritto di Fuku. Ristorazione veloce e informale, dunque, sfida ambiziosa, ma non impossibile, e chiaramente centrata su un must della cucina italiana. Del resto i newyorkesi si confermano tra gli ammiratori più assidui del made in Italy, come conferma il successo di pubblico che ogni giorno premia le due sedi cittadine di Eataly, tra le food hall più gettonate in città (nonostante la concorrenza più che qualificata).
Pasta Flyer. Il fast food della pasta
L’insegna c’è già, si chiamerà Pasta Flyer, cucina dal vecchio mondo “at light speed”, preannunciata sul sito dell’attività da un inconfondibile fotogramma in bianco e nero degli anni Cinquanta, con la Vespa per la gita fuoriporta. Al Greenwich Village i lavori per l’apertura del primo punto vendita, attesa per la primavera 2017, sono già cominciati. E lo chef sa il fatto suo, dopo anni di indagini e analisi di mercato per centrare un format già nei piani dal 2014 (quando lo chef testò il gradimento del pubblico con una serie di pop up ispirati ai ramen bar, tra fusilli gluten free con crema di porcini e tartufo e lasagne vegetariane), e ora tutti lo attendono al varco per capire se riuscirà a portare nella città del fast food – una dimensione ormai particolarmente appetibile per tanti chef – la prima catena di qualità dedicata alla pasta, servita al dente e condita con ingredienti di qualità. Poche le indiscrezioni trapelate finora, una di grande interesse: da Pasta Flyer Ladner proporrà agli americani diversi formati del pastificio Felicetti. E grazie alla messa a punto di uno speciale sistema di cottura la pasta sarà pronta per essere servita in circa 15 secondi. Fantascienza? Per ora c’è la benedizione di Batali, tra qualche mese sapremo se il pasta bar di Mark Ladner sarà un successo.
Anche Just Eat, colosso delle consegne a domicilio, si impegna nella lotta allo spreco. E lo fa riunendo una serie di ristoranti che hanno scelto di ridistribuire le eccedenze alimentari e trasformare gli avanzi in pietanze gourmet. Da gennaio 2017, nasce il Ristorante Solidale firmato Just Eat.
Just Eat
Continua a far parlare di sé Just Eat, piattaforma leder nella consegna a domicilio presente in Italia dal 2011, che ha intrapreso un piano di espansione che sembra inarrestabile. Dal lancio di UberEats, servizio di consegne a domicilio per chi non può o non vuole recarsi al ristorante nato in collaborazione con il colosso dei trasporti californiano Uberal Food Tech Accelerator, acceleratore di startup del settore food, all'entrata in borsa a Londra: Just Eat è costantemente al centro della scena del food tech contemporaneo. Con progetti innovativi, idee originali e mosse commerciali scaltre, che consentono all'azienda di crescere di anno in anno e ampliare il proprio raggio d'azione.
Il progetto
E ora è il momento del Ristorante Solidale, primo progetto di food delivery solidale sviluppato in collaborazione con Caritas Ambrosiana, organismo pastorale della Diocesi di Milano già impegnato nella lotta allo spreco alimentare attraverso la ridistribuzione di eccedenze alimentari presso le comunità più disagiate. Il progetto prenderà vita a partire da gennaio 2017 a Milano, ma Just Eat ha già in mente di replicare a Roma e in molte altre città d'Italia con il supporto dei ristoranti partner che vorranno contribuire all'iniziativa. Partner di progetto, PonyZero, società di servizi specializzata nella distribuzione urbana ecologica, che supporterà Just Eat nelle fasi di consegna e ritiro del cibo. “Siamo molto orgogliosi di annunciare la nascita di questo progetto in collaborazione con PonyZero e Caritas Ambrosiana poiché per noi, che lavoriamo nel mercato dei servizi per ordinare cibo a domicilio, il food rappresenta una risorsa preziosa il cui valore è inestimabile.” spiega Daniele Contini, Country Manager di Just Eat in Italia.
Il ristorante
Sono 12 i ristoranti che hanno già dato adesione al progetto: il giapponese Kombu, i tre punti vendita di C'era una volta una Piada, LapaMilano, Tram-Laboratorio del tramezzino veneziano, i due ristoranti Il bue e la patata e i quattro store della catena Panini Crocetta. Prodotti freschi, pane, piatti pronti per essere ritirati dal servizio a domicilio ed eccedenze alimentari trasformate in ricette sane e golose: saranno queste le specialità offerte dai ristoranti del circuito. “Con Ristorante Solidale vogliamo contribuire insieme ai ristoranti a sensibilizzare anche la città e le istituzioni sull’impatto negativo generato dalle perdite alimentari e diffondere maggiore consapevolezza sul valore di azioni solidali”, chiosa Contini.
Gli obiettivi
Il progetto segue i passi avanti sanciti dalla nuova legge contro lo spreco alimentare del 19 agosto 2016, in vigore dal 14 settembre scorso. Si tratta di un intervento finalizzato a favorire, a fini di solidarietà sociale, il recupero e la donazione di beni alimentari, farmaceutici ed altri prodotti in favore di soggetti che operano senza scopo di lucro. A questo proposito sono previsti, proprio per agevolare le operazioni, beneficifiscaliper chi cede a titolo gratuito prodotti alimentari.
Grandi o piccole, italiane o straniere. Ecco le etichette che 30 addetti ai lavori, tra sommelier, giornalisti, wine ambassador, ci hanno consigliato per il nuovo anno.
Abbiamo chiesto ai più grandi nomi legati al mondo del vino di suggerirci, ognuno, due etichette per brindare al nuovo anno, una italiana, l'altra no. La Francia fa la parte del leone, come era prevedibile. Ma non manca qualche sorpresa. Tra grandi maison e piccole o piccolissime cantine, ecco 60 bottiglie per festeggiare il novo anno.
Donato Addesso
Locanda Severino (Caggiano - SA). Maître di sala e Responsabile di cantina
ETICHETTA ITALIANA. Giulio Ferrari. Difficile pensare alle bollicine italiane senza tirare in ballo Ferrari e in particolare il suo Giulio: nonostante il numero di bottiglie prodotte riesce a mantenere una qualità altissima.
ETICHETTA INTERNAZIONALE: Dom Pérignon 2004. Ci ho pensato e ripensato ma non posso farne a meno: Champagne molto noto, molto diffuso, a mio parere super annata per piacere e complessità. Appassionati e amanti del buon gusto non possono non provarlo e apprezzarlo!
Image may be NSFW. Clik here to view.Abissi Riserva Pas Dosè di Bisson
Roberto Adduono
Re Maurì (Salerno). Maîtree sommelier
ETICHETTA ITALIANA. Rimanendo in Italia, come apertura propongo Abissi Riserva Pas Dosè di Bisson, un Metodo Classico da bianchetta genovese, vermentino e cimixia che rimane per circa 26 mesi ad affinare nei fondali del Mar Ligure a circa 15 m di profondità a temperatura costante, e dopo 12 mesi sboccato e ricolmato con lo stesso spumante. Secco, minerale, salmastro, iodato con finale elegante e marino, perché non accompagnarlo ai fantastici antipasti (anche crudi) preparati?
ETICHETTA INTERNA. Se volessimo dare un tocco internazionale al nostro cenone, bypassiamo la Francia, andiamo in Spagna, Cava Elias Terns Brut Nature Gran Riservas di Parato Vinicola. Versione spagnola del Metodo Classico, xarel-lo, macabeo, parellada e piccolo tocco di chardonnay. Note di lungo affinamento con ben 60 mesi sui lieviti, 50% del vino base di annata 2005, struttura imponente e sensazioni gustative complesse e persistenti; dunque il consiglio è di servirlo ad una temperatura leggermente più alta dei classici 8/10 °C. Tante bollicine e tanta fortuna per l'anno che verrà. Auguri!
Ivano Antonini
Blend4 (Azzate - VA). Sommelier e ristoratore.
ETICHETTA ITALIANA. Spumante Metodo Classico Pas Dosé Fongaro 2011: il vitigno durella si sta affermando come una delle uve autoctone più interessanti per la produzione di Metodo Classico. Siamo sui Monti Lessini e la famiglia Fongaro produce diverse tipologie di vini da questo vitigno. Ho scelto il pas dosé perché è la quintessenza della purezza della durella. Caparbio e docile al tempo stesso con un carattere sapido davvero stuzzicante.
ETICHETTA INTERNAZIONALE:Champagne Brut Blanc des Noirs Elise Dechannes 2008. Siamo a Les Riceys, comune principe del pinot nero dell'Aube nel sud della Champagne. Elise Dechannes è una piccola produttrice che coltiva i suoi vigneti con la filosofia della biodinamica. Il risultato è quello di ottenere degli Champagne di carattere e personalità. Il suo BdN 2008 nasce da una grandissima annata. Ampiezza, fascino e piacevolezza di beva in un corpo di grande struttura. Per un brindisi non usuale.
Alfredo Buonanno
Krèsios (Telese Terme - BN). Maître e sommelier
ETICHETTA ITALIANA. Metodo Classico Brut di Falesco. Roscetto 100%. Vitigno sconosciuto per molti, ma non per la famiglia Cotarella la quale dopo lunghi studi ha deciso di “vivacizzare” (con rifermentazione sui lieviti che dura per ben 36 mesi) quest’uva tipica che nasce su terreni di origine vulcanica nell’area di Montefiascone. Sintesi perfetta di quella che è la valorizzazione dei numerosissimi vitigni autoctoni presenti sul territorio italiano, nostro vero punto di forza.
ETICHETTA INTERNAZIONALE.Methode Traditionnelle Brut di Quartz Reef: 64% pinot noir, 36% chardonnay. Straordinario esempio di metodo classico prodotto veramente al sud del mondo (47° parallelo sud), in Nuova Zelanda, nell’area del Central Otago. Come si può dedurre dal nome, l’azienda - e quindi i vigneti - sono situati sopra il più vasto giacimento di quarzo della Nuova Zelanda, caratteristica che dona ai vini un corredo aromatico esaltante oltre che una grande sapidità e lunghezza in bocca. Con queste bollicine, la Nuova Zelanda conferma la straordinaria competenza raggiunta in brevissimo tempo, capace di sfidare anche i più blasonati metodo classico al Mondo.
Stefano Caffarri
Giornalista. Il Cucchiaio d'argento
ETICHETTA ITALIANA. Il Metodo Classico De' Fratelli di Ca de Noci, uno spumante delle mie terre in assenza di solfiti e da uve autoctone da vigne vecchie di spergola.
ETICHETTA INTERNAZIONALE. Uno Champagne, banale ma vero: il Brut Nature Millesimato diMarie Noelle Ledru.
Anna Cardin
Osteria Giorgione (Venezia). Direttore e sommelier
ETICHETTA ITALIANA. Cuvèe Augusto Dosaggio Zero, Tenuta di Corte Giacobbe - Dal Cero, Roncà. L'avvolgenza dello chardonnay abbraccia l'esuberanza della durella. Completa un quadro già impeccabile, il tocco minerale dato dal terreno vulcanico.
ETICHETTA INTERNAZIONALE. Cuvèe Diaphane Blanc de Blancs, Premier Cru Pascal Redon, Trepail. Pienezza e consistenza supportate da bollicine mai stanche. Campione d'equilibrio e di complessità olfattiva.
Armando Castagno
Degustatore e relatore AIS, critico e scrittore
ETICHETTA ITALIANA. Per un brindisi italiano ho pensato a qualcosa che fosse fuori dalle rotte più battute. L’Alta Langa milesimato 2012 di Paolo Avezza è un Metodo Classico ottenuto da uve di pinot nero e chardonnay coltivate a Canelli, in una delle sue aree collinari più fresche e più alte, e con esposizione verso Nord. Non ci viene bene solo il moscato, evidentemente. Il vino mi è sembrato di estrema compostezza e sobrietà in ogni aspetto, da quello aromatico, fine e sottile, a quello legato all’effervescenza. Fa quasi tre anni di presa di spuma e quindi, oltre a sprigionare una bella energia, ha anche un certo peso, il che lo rende credo adatto a tutto il pasto, dolci esclusi.
ETICHETTA INTERNAZIONALE. Anche sullo spumante d’Oltralpe tento una scelta contromano: mi ha molto colpito quest’estate lo Champagne Rosé des Lys Édition 2008 di Lancelot-Wanner, azienda puntiforme e forse poco nota in Italia ma alla quinta generazione di vignaioli, l’ultima delle quali rappresentata da Philippe, che ha 36 anni. La piccola cantina è in una capitale dello Champagne: Cramant, ma le vigne sono sparse nei migliori comuni della Côte des Blancs. Questo rosato viene da un 90% circa di chardonnay di Cramant, Oiry, Avize e Chouilly, e da un 10% di pinot noir di Bouzy, vinificato fermo. Il Rosé des Lys è uno Champagne elegante, floreale come il nome promette, davvero sapidissimo, dosato extra-brut quindi ben diritto e incisivo.
Image may be NSFW. Clik here to view.Weingut Emmerich Knoll Ried Loibenberg Riesling Smaragd
ETICHETTA ITALIANA. Erpacrife bianco spumante Metodo Classico: più italiano di così non si può. Anzi, completamente autoctono. È lo spumante metodo classico Erpacrife fatto con erbaluce di Caluso, timorasso, cortese e moscato bianco. Un nome che potrebbe ricordare quello di un animale delle favole e che invece è l'acronimo di quattro nomi, quattro amici, che fanno tutti vino nelle rispettive aziende, ma che 10 anni fa hanno unito forza ed affetto per questo progetto comune.
ETICHETTA INTERNAZIONALE. Weingut Emmerich Knoll Ried Loibenberg Riesling Smaragd. Un Riesling austriaco della regione della Wachau per un brindisi denso e potente grazie a uve raccolte a perfetta maturità. Note di agrumi e pesca che fanno da contrappunto a sentori di tabacco e a sensazioni iodate.
Gabriella Cicero
Il Duomo (Ragusa). Restaurant manager
ETICHETTA ITALIANA. Tasca d’Almerita Brut: vino spumante da tutto pasto per la sua versatilità si presta anche a un utilizzo per un aperitivo o per realizzare un wine cocktail. Azienda storica siciliana, con la sua bollicina trasmette il sentimento siciliano dell’accoglienza, come trovare riparo in un caldo pomeriggio assolato tra l’odore di zagara e l’ombra dei carrubi.
ETICHETTA INTERNAZIONALE. Krug s.a tutta la vita. Il miglior regalo da fare a se stessi per coccolarsi da soli o in compagnia dell'amore della nostra vita. Avvolgente, voluttuoso, elegante, complesso e infinito come i sentimenti delle donne, per augurarci che nell’anno che verrà saremo le migliori compagne di noi stesse, per brindare a nuovi viaggi dentro e fuori noi stesse.
Emilio Cremascoli
La bottega del vino (Milano). Proprietario e sommelier
ETICHETTA ITALIANA. Giulio Ferrari 95 Annata del secolo, produttore Ferrari/Lunelli, Trentino Alto Adige. Il mio preferito, la bollicina più elegante, persistente ed espressiva della nostra Terra. Un'annata eccezionale, l'ho bevuta pochi giorni fa e mi ha emozionato!
ETICHETTA INTERNAZIONALE. Salon 2002, le Mesnil sur orger Champagne. Lo Champagne! Fine, raffinato, di una delicatezza sopraffina ma nello stesso tempo lunghissimo al palato... il mio Champagne preferito.
Maurizio Filippi
Sala della Comitissa – Ristorante con Enoteca (Baschi -TR). Sommelier
ETICHETTA ITALIANA. Letrari Riserva Brut 2009, Trentodoc. Un metodo classico di inimmaginabile struttura adatto a persone con grandi pretese, ma anche a chi bada alla piacevolezza senza compromessi. Bollicina di montagna, sottile, che solletica il palato e fa arrivare aria di festa. Capace di abbinarsi a diverse espressioni culinarie, mostra la sua veste giocosa in un colore intenso che racconta della lunga permanenza sui lieviti di seconda fermentazione e coccola i sensi con piacevoli conduzioni dolci di frutta ed erbe aromatiche tra le quali spicca la camomilla. Il pensiero diventa un sorriso al gusto pieno e morbido, in perfetto equilibrio con una vivace acidità. Festeggiare l’arrivo dell’anno nuovo con un calice di questo maestoso vino è predisporsi al buon auspicio, al piacere ed alla soddisfazione senza mezze misure.
ETICHETTA INTERNAZIONALE. Champagne Brut Millesimé 2002 Fernand Hutasse ed Fils. Dopo 90 mesi sui lieviti non può costringersi tale maestà in una flûtea una temperatura glaciale: è un'emozione senza pari in un ampio calice, in una condizione di piacevole attesa tenendolo nel caldo delle mani. Non releghiamo questo vino a un brindisi, ma a un tempo che può diventare lungo nei nostri calici ad accompagnare l’intera serata e il nostro cenone. Capace di raccontare un millesimo celebrato e, allo stesso momento, trovare un'infinita dinamicità nell’acidità carezzata da un bollicina che sul palato è come la seta della camicetta della signora al centro della serata.
Andrea Gherra, Pietro Vergano
Consorzio e Banco vino e alimenti (Torino)
ETICHETTA ITALIANA. De fratelli 2012 Ca del Noci. Da vecchie vigne di spergola di oltre 45 anni, coltivate senza l'utilizzo di concimi e irrigazioni, uve raccolte a mano il 13 agosto 2012, leggera macerazione sulle bucce, affinamento 36 mesi sui lieviti naturali in bottiglia senza dosaggio. Bolla fresca, minerale, grande beva e senza solfiti aggiunti quindi no mal di testa il giorno dopo.
ETICHETTA INTERNAZIONALE. Strohmeier Rosé Sekt Nature 2013 (20% annate vecchie) Blauer Wildbacher Austria. Il produttore sviluppa un'agricoltura simbiotica. È un vino un po' controcorrente, da una zona che sta stupendo per varietà e complessità nella vitivinicoltura. Si tratta di un rosato da tutto pasto, con un bel carattere, ma anche questo con grande bevibilità (e puoi mangiarci anche i ravioli di finanziera).
Image may be NSFW. Clik here to view.Oenoteque Dom Perignon 1996
Cristiana Lauro
Wine ambassador
ETICHETTA ITALIANA. Non è una bollicina, ma punto lo stesso sul Valentini Trebbiano 2010, che è il più buon Trebbiano che Valentini abbia mai fatto, alla faccia del 2007 che è stato ancora più premiato dalla stampa internazionale: chiaro segno che per giudicare è sempre meglio aspettare il giusto tempo.
ETICHETTA INTERNAZIONALE. Oenoteque Dom Perignon 1996. Perché è un gigante di armonia e di equilibrio con un perlage raffinatissimo in un'annata fra le migliori degli ultimi anni, ma la maison lo ha fatto uscire di scena troppo presto. Prima di mandare i grandi in pensione dobbiamo essere certi che il nuovo che avanza sia all'altezza della situazione
Annalisa Linguerri
Ristorante Villa Magenta. Titolare e sommelier
ETICHETTA ITALIANA. L’insolita Franciacorta: Extra Brut Arcari+Danesi. Azienda relativamente giovane con la voglia di osare in questa versione da pinot nero e 38 mesi di affinamento sui lieviti. Sposa potenza, eleganza, struttura e piacevolezza. Ottimo sia da abbinare a piatti che per un semplice ma importante brindisi.
ETICHETTA INTERNAZIONALE.La Closerie Fac Simile Jerome Prévost. Uno Champagne inusuale, un pinot meunier in purezza succoso, fruttuoso ma diretto. “La terra va lavorata come un fornaio fa con il pane” si dice, e Prévost ci riesce davvero bene. Uno Champagne ricco e completo, piacevole e dinamico.
Image may be NSFW. Clik here to view.Pascal Mazet - Brut Nature - Premier cru
Pasquale “Paky” Livieri
Bottega EnoGastronomica Il Sorì (Roma). Oste
ETICHETTA ITALIANA. Porta del Vento - Mira - Brut Nature Avrei 2000 ragioni, tante quanto il numero di bottiglie di questo vino, per spiegare questa scelta. Ma ancora una volta mi ritrovo a preferire un vino spumante (non dosato) che mi avvicina al mare, ma questa volta è quello di casa: il caldo Mar Mediterraneo. Siamo nell'entroterra palermitano, Camporeale per l'esattezza, e la cantina Porta del Vento (alla decima vendemmia più o meno) ci regala questo vino spumantizzato con il primo mosto della vendemmia successiva a quella del vino base, quindi senza aggiunta di lieviti: impatto olfattivo immediato su note iodate per poi aprirsi su mineralità non invasiva e sentori di frutta a polpa gialla acerba, da masticare. Vibrante e persistente accompagna piacevolmente zampone e/o cotechino.
ETICHETTA INTERNAZIONALE. Pascal Mazet - Brut Nature - Premier cru. Negli anni Pascal Mazet ci regala sempre più materie interessanti. Nello specifico questo è un vino che mi ha affascinato da subito, mi rimanda alle baie del nord della Spagna dove mi rilasso praticando surf. Ha profumi inconfondibili di erba falciata e agrumi in punta di piedi, note resinose che rimandano alle Asturie, in particolare a una session della baia di Cadavedo, dove il rio porta in spiaggia, in un paesaggio lunare misto a sassi profumi di montagna e una spiccata mineralità bianca. Vino preciso, netto, tagliente. Accompagnare ostriche e plateau royale è per lui un gioco da ragazzi.
Alberto Lupetti
Ideatore e curatore delle guida Grandi Champagne e del sito LeMieBollicine.
ETICHETTA ITALIANA GiulioFerrari. Nel l'ampio panorama delle bollicine italiane, Ferrari rimane saldamente il punto di riferimento e il loro Giulio la raffinata summa di questa abilità.
ETICHETTA INTERNAZIONALE. AlexandreFilaine. Piccolissimo, quasi introvabile, ma assolutamente straordinario. Dopo tanti anni, non pensavo di riuscire ancora a emozionarmi in questo modo! Come brindare meglio al nuovo anno?
Mauro Mattei
Brand Manager
ETICHETTA ITALIANA. ValentinoBrut Zero Rosè 2011,Rocche dei Manzoni. A Monforte d'Alba, la famiglia Migliorini, veri pionieri della vinificazione a Metodo Classico nelle Langhe, ci regala in questo millesimo una versione maiuscola del loro spumante rosato. Almeno 60 mesi sui lieviti, un utilizzo del legno, nell'affinamento dei vins clair, meno percettibile che nel passato e zero dosaggio, lasciano spazio a un frutto minuto e ricercato, capitanato da invoglianti note agrumate. Un sorso dinamico, supportato da un'invidiabile freschezza, è volano di piacevolezza e bevibilità.
ETICHETTA INTERNAZIONALE. Montlouis Petillant "Triple Zero", Domaine De La Taille Aux Loups (Jacky Blot). Montlouis-sur-Loire: dal cuore della valle della Loira un metodo ancestrale da 100% chenin blanc. Le tre Zero che ritroviamo in etichetta sono il manifesto programmatico del vino stesso: no Chaptalization, no liquer de tirage, no dosaggio. Uno spumante raffinato e vigoroso, che sfrutta l'enorme carica, varietale e glicerica, dello chenin e la rilancia nel bicchiere allungandola, sfruttando la scia di un'acidità ficcante, quasi severa.
Walter Meccia
Il Palagio - Four Seasons Hotel (Firenze). Sommelier
ETICHETTA ITALIANA. Casa Caterina - L'Estro Vino bianco insolito della Franciacorta, note di frutta tropicale quasi candita, seguita da cera d'api, per una bocca sinuosa con rilascio di burro fuso. Abbinamento ideale potrebbe esser un risotto allo Champagne con crudo di crostacei.
ETICHETTA INTERNAZIONALE. Pol Roger - Millesime 2006 Giusto un decennio, il miglior modo per ricordare questi 10 anni passati, e partire con un grande 2017. Millesimo che dona fragranza, eleganza e morbidezza in tutta la componente organolettica. Bottiglia ottimale sia per il brindisi che per un gran tutto pasto. Consigliata la magnum (anche per due persone!)
ETICHETTA ITALIANA. Il Conegliano Valdobbiadene Extra Dry Col del Sas dell'azienda Spagnol (10 euro!) è un Prosecco profumato e docile da servire ben freddo così da godere di profumi delicati e gusto avvolgente mitigato dalla temperatura, ottimo esemplare di una tipologia dal successo incontrollabile in tutto il mondo.
ETICHETTA INTERNAZIONALE. Cercando uno Champagne per nulla banale e potentemente caratteriale basta pescare nella batteria di PascalDoquet: l'Horizon è uno chardonnay puro che conduce i profumi di pera, glicine, iodio e rosa canina su un orizzonte di complessità coinvolgente. Il sorso è al contempo teso e cremoso in un equilibrio magistrale.
Fabrizio Pagliardi
Tra i proprietari di Remigio champagne e vino (Roma); collaboratore della guida 99 champagne
ETICHETTA ITALIANA. Il moscato Regina di felicità di Cascina Baricchi. Buona parte del vino è composto di diverse annate di ice-vine. Un moscato spumante complesso e di grande impatto senza sacrificare la bevibilità e la piacevolezza.
ETICHETTA INTERNAZIONALE. Champagne brut tradition di Pascal Mazet. Prodotto base con uno stile classico, fresco, di grande bevibilità e con un dosaggio medio basso che mette d'accordo un po' tutti i gusti, cosa che a capodanno non è da sottovalutare
Giuseppe Palmieri
La Francescana (Modena). Responsabile sala e cantina
ETICHETTA ITALIANA
Due bianchi, entrambi italiani, che rappresentano due punti di vista diversi, due vignaioli moderni con i piedi piantati nella terra in cui sono nati e lo sguardo rivolto al passato senza troppa nostalgia. Cristina Tiberio e il trebbiano d'Abruzzo Fonte Canale: femmineo, stretto e sottile, dinamico, algido e preciso, forte di tutte le qualità che servono per sfidare gli anni. Damijan Podversic, il gigante buono dalle mani forti e dal cuore grande: la sua Ribolla è una fotografia a colori che racconta un vino polveroso e largo, ficcante, disarmante per equilibrio e potenza; una chiave fatta a misura per aprire la porta sul futuro che disegni i tratti arancione di un vitigno senza eguali al mondo. In un paese in cui ci si divide continuamente, due vini agli opposti che parlano un linguaggio comune, e rappresentano la grande ricchezza del nostro Paese. buon anno!
Cristina Parizzi
Ristorante Parizzi (Parma). Proprietaria, padrona di casa e sommelier
BOLLICINA ITALIANA Franciacorta Brut Cuvée Royal Montenisa (chardonnay, pinot nero e pinot bianco). Per un abbinamento a un menu di pesce di Capodanno, per la sua espressività ed eleganza, persistenza, cremosità e perlage fine con note di pesca bianca, mela e sentori di pane tostato. Nasce nel 1999 Tenuta Montenisa per i Marchesi Antinori in Lombardia.
BOLLICINA INTERNAZIONALE Dom Pérignon. Per un brindisi al 2017, la bollicina più lussuosa e raffinata del mondo che nasce in Francia, grazie all’abate benedettino, conoscitore di vino, Dom Pierre Pérignon. La storia dice che alcune bottiglie poste dall’abate in cantina ad affinare sarebbero scoppiate. Così avrebbe scoperto la presa di spuma. Le uve sono pinot nero e chardonnay. Al palato denso, profondo e fitto, dai profumi di pesca e ananas ma anche spezie orientali. Immortale.
Alessio Pietrobattista
Critico. Guida vini L'Espresso
ETICHETTA ITALIANA. Il brindisi di Capodanno per me è classicità... a cominciare dal metodo. Se poi la bollicina è a un prezzo invitante meglio ancora. Tra le mura amiche, proporrei la classica esuberanza e il ricercato rigore del Trento Brut 2013 di Letrari: bolla carezzevole e invitante, degna apertura di un cenone coi fiocchi.
ETICHETTA INTERNAZIONALE. Per salutare il vecchio anno invece lo Champagne Extra Brut Terroirs di Agrapart: un blanc de blancs fresco e affilato, con sensazioni iodate e gessose, ideale per dare il giusto sprint al nuovo anno.
Alberto Piras
Il Luogo di Aimo e Nadia (Milano). Chef sommelier
ETICHETTA ITALIANA Il mio brindisi è dedicato al Franciacorta Dosage Zero Noir 2006 di Ca' del Bosco: il Metodo Classico ultimo nato in casa Ca' del Bosco, ottenuto da un singolo vigneto nei pressi di Erbusco; i suoi 9 anni di seconda fermentazione in bottiglia gli conferiscono complessità potenza ma sopratutto grande eleganza che si evidenzia al palato con una bollicina decisamente fine.
ETICHETTA INTERNAZIONALE. Come Champagne invece opto per un Blanc de Blancs e sono rimasto particolarmente impressionato daChampagne Blanc de Blancs extra brut Avizoise 2008 di Agrapart. In questo caso un brindisi dedicato alla purezza dello chardonnay di Avize in pieno stile Agrapart. Grande complessità note di estrema freschezza sia nei profumi che in bocca, Champagne dal gusto tagliente ma deciso e persistente.
Ramona Ragaini
Ristorante Andreina (Loreto - AN). Maître
ETICHETTA ITALIANA Pas Dosé Garofoli 2009, il nuovo nato dell'azienda Garofoli. Quale miglior augurio di un buon inizio anno con una novità? Ho scelto questa bollicina, perché rappresenta la nostra amata regione Marche essendo prodotta con uve verdicchio, esprimendo così tutta la purezza del nostro terroir. È uno spumante secco ma di grande personalità.
ETICHETTA INTERNAZIONALE. Gatinois Rosé Grand Cru. Ho scelto questo Champagne perché mi piace brindare al nuovo anno con un tocco tutto rosa. La sua struttura potente e "mascolina" lo rende non banale e allo stesso tempo ricercato e raffinato.
Gianni Sinesi
Reale – Casadonna (Castel di Sangro - AQ). Sommelier
ETICHETTA ITALIANA. Gatti rose perché è preciso, ha il giusto equilibrio tra frutto e la freschezza finale di bocca secco mai troppo dolce.
ETICHETTA INTERNAZIONALE. Jerome Prevost la closerie Les beguines: non è una grande maison ma una grande bottiglia da aprire in un bel momento come il brindisi di Capodanno.
Alberto Tasinato e Ilario Perrot
Mandarin Oriental (Milano). FB Manager e head sommelier
ETICHETTA ITALIANA. Alberto: Ferrari Perlé Bianco Riserva Ultimo nato in casa Ferrari, non si può non brindare con il vino più nuovo di questa maison. In più il millesimo 2006 è un'annata strepitosa. Ilario: Anna Maria Clementi Rosé, Cà del Bosco La massima espressione del pinot nero in rosa che abbiamo in Italia. Una bollicina invidiata anche Oltralpe!
ETICHETTA INTERNAZIONALE. Alberto: Delamotte Collection 2002 La bollicina sorella del grande Salon, siamo a Mesnil sur Oger. La bottiglia che forse mi ha più emozionato quest'anno tra le bollicine assaggiate. 2002, una delle annate che rimarrà nella storia per lo Champagne, in questo caso lo si sente già da oggi. Ilario: Krug Grande Cuvée Ne siamo ambasciatori per l’Italia. Un brindisi con Krug ha sempre il suo fascino! Uno dei multi vintage che non può mancare in occasioni di feste come queste.
Image may be NSFW. Clik here to view.Cantina della Volta rosé Metodo Classico 2012
Paolo Trimani
Enoteca Trimani (Roma). Proprietario
ETICHETTA ITALIANA. Cantina della Volta rosé Metodo Classico 2012: brillante fresco tagliente, strepitosa espressione di Sorbara, elegante e versatile, perfetto per accompagnare piatti saporiti e in particolare tortellini e cappelletti.
ETICHETTA INTERNAZIONALE. Jacquesson cuvée 739: uno Champagne classico e raffinato, potente e ricco di sfumature.
Fabio Turchetti
Giornalista. Il Messaggero; Slow Wine
ETICHETTA ITALIANA. Kius Rosé Marco Carpineti: un metodo classico laziale da nero buono di Cori, originale e interessante, a conferma dei traguardi raggiunti dal suo produttore;
ETICHETTA INTERNAZIONALE. Grand Rosé Paul Bara: vinoso, accattivante, di beva sciolta, appagante e coinvolgente, ottimo come aperitivo ma validissimo anche a tutto pasto.
Image may be NSFW. Clik here to view.
Champagne Egly-Ouriet Les Vignes de Vigny brut s.a.
Matteo Zappile
Il Pagliaccio (Roma). Restaurant Manager e sommelier
ETICHETTA ITALIANA.Metodo Classico La Hoz extra brut Umani Ronchi 2010. Non il solito spumante, Umani Ronchi dai Castelli di Jesi stupisce con questo verdicchio accompagnato dallo chardonnay, un Metodo Classico con 52 mesi di riposo sui lieviti. Il risultato è piacevole ed intrigante, dal finale agrumato, intenso e persistente, insomma; per nulla scontato in edizione limitata.
ETICHETTA INTERNAZIONALE. Bollicina Internazionale:Champagne Egly-Ouriet Les Vignes de Vigny brut s.a. La Francia, si sa, è protagonista indiscussa di brindisi e ricorrenze, ma Egly-Ouriet in questa occasione stupisce con un pinot meunier in purezza da vecchie vigne, quello che in molti considerano il vitigno da taglio della Champagne Ardenne, qui invece elevato e promosso a protagonista. Non delude, anzi stupisce ed affascina, carattere suadente ed elegante, degno compagno di una grande cena così come di un brindisi al nuovo anno.
Il Natale in Albania era una festa proibita negli anni del regime. Per questo è molto difficile trovare delle ricette delle feste. La cucina era un simbolo borghese, e quella del Natale era da cancellare. Così è stato. Ma qualcosa si è salvato. E ce lo racconta lo chef Fundim Gjieipali dell'Antico Arco di Roma.
La storia dell'Albania, anche quella culinaria, è la storia dell'eliminazione di una società e della sua memoria. “50 anni di comunismo hanno annullato un popolo” dice Fundim Gjieipali chef dell'Antico Arco di Roma. Albanese di Shiak, vicino Durazzo, approdato adolescente a Roma 21 anni fa, oggi è un riferimento per la cultura del suo paese di origine. Nel paese delle aquile ha anche un ristorante, il Padam, in un elegante edificio degli anni '30 di Tirana.
Image may be NSFW. Clik here to view.
“Durante il comunismo erano vietate le feste religiose”ricorda Fundim “qualcuno le celebrava di nascosto. Il primo vero Natale, da noi, è stato nei primi anni '90, dopo la caduta del regime: ricordo che sono arrivati anche Madre Teresa di Calcutta e Giovanni Paolo Secondo”. Ma nel frattempo le radici erano andate completamente perse. Non si ha più memoria di quel che è stato prima. Soffocato e cancellato da mezzo secolo di regime e invaso, poi, dalla cultura introdotta dalla televisione e dagli altri mezzi di comunicazione di massa, che hanno portato nelle case l'immaginario (fortemente edulcorato) dell'occidente e, soprattutto, della vicina Italia, presto diventata un miraggio, “è il paese che ha accolto di più il mio popolo: ci sono 500mila albanesi regolari”. Così è arrivata la cultura nostrana in quella terra affamata di ritrovare una propria identità. Ma non è andata così: la storia politica dell'Albania è la storia di una società di cui si sono perse le tracce e che, in tempi recenti, ha assorbito una cultura straniera.
Dal Natale al Capodanno
Essendo vietate le feste religiose, il Natalecon i suoi riti, anche quelli più domestici come l'albero decorato, era bandito e sostituito in blocco con il Capodanno. “Da noi esisteva l'albero del Nuovo Anno, e il Babbo del Nuovo Anno, tanto che quando sono arrivato in Italia, a 14 anni, avevo un po' di confusione: ogni mio simbolo di Capodanno lo trovavo quasi identico riferito al Natale. Ci è voluto un po' perché capissi cosa era successo davvero”. L'Albania è una nazione dove la religione è molto presente: “un paese a maggioranza musulmana anche se tendenzialmente laica, con cattolici, soprattutto al nord, e molti ortodossi. C'è molto rispetto per le religioni. Ma per 50 anni tutti i culti sono stati vietati”. I credenti praticavano di nascosto, gli altri assistevano inermi all'annullamento delle proprie tradizioni. Il Natale, semplicemente, non esisteva e tutt'ora è una festa poco sentita. “Alcuni vanno nelle chiese antiche fuori dalle città a celebrare il Natale, ma per il resto c'è poco” racconta, e fa l'esempio del suo ristorante di Tirana: “è prenotato già da settimane per il Capodanno, perché è normale per la gente festeggiare, anche al ristorante, pure se ormai i prezzi sono quasi come quelli italiani; per Natale invece si è faticato. Non si usa celebrarlo a tavola”.
La cultura dimenticata
Lo sguardo di Fundim coglie facilmente le differenze di due paesi tanto vicini. “In Italia è tutto un raccontare come sono fatti i tortellini o il brodo del 25, o quale è stato il menu della Vigilia. In Albania tutto questo non accade”. Un tempo si mangiavano i cibi più pregiati tenuti da parte per l'occasione, la frutta secca, e altri prodotti custoditi per le feste. Poi più niente. Ma questo non riguarda solo il Natale: la cucina tradizionale albanese è quasi scomparsa, cancellata dal comunismo. Era fortemente influenzata da quella ottomana: in 500 anni di storia albanese, nelle comunità, anche quelle cattoliche, sono entrate suggestioni mediorientali “e non turche, come spesso si dice”. Negli ultimi 20 anni c'è stata l'invasione della tradizione italiana, vuoi per vicinanza geografica, vuoi per vicinanza culturale: ci sono moltissime cose in comune tra i nostri piccoli centri di provincia e l'Albania di un tempo. “Oggi la pasta e altri piatti italiani si trovano ovunque in Albania. Se sono buoni, poi, è un altro discorso. Al Padam, nel menu delle feste, i fuori menu sono quasi tutti italiani, persino lenticchia e cotechino per il veglione. E la gente li conosce e li apprezza. Ma prima non era così”racconta ancora Fundim “vengo da una famiglia importante, di proprietari terrieri, dove un tempo si preparava tutto in casa. Era una cucina di matrice ottomana, che non c'entrava niente con quella di oggi”. Il racconto continua con quel che è accaduto dopo il 1945. “C'è stata una specie di annientamento anche di questo: la cucina era un simbolo borghese, per questo doveva essere cancellata. Con l'introduzione del programma di alimentazione sociale, che veniva insegnato nelle scuole di cucina. Era lo stesso un po' in tutti i paesi ex comunisti. E così è accaduto anche in molti altri ambiti delle arti e della cultura. Con la cucina e il divieto di festeggiare, hanno tolto alle persone anche l'entusiasmo, e cancellato una parte di umanità”.
Il vuoto dura ancora oggi, difficilmente sanabile, perché non esistono testimonianze scritte delle tradizioni di un tempo: “ho parlato con il figlio del re, tornato da poco dopo un lungo esilio, gli ho chiesto le vecchie ricette della sua famiglia: non ha trovato nulla, nulla di scritto”.
Ma nonostante tutto, qualche tradizione, a scavare, c'è, come frittelle, polpette o spiedini (come il shishkebab) legati alla cucina mediorientale. Tra i dolci, immancabile è ilbacklavà e altri con la pasta kataifi, sciroppo di rose, cannella, chiodi di garofano. “C'è un dolce che somiglia moltissimo, nell'impasto ma non nella forma, al babà. E anche questo si bagna con uno sciroppo. Una volta l'ho preparato in Albania con l'impasto del babà, e nessuno si è accorto della differenza”. Ma il piatto delle feste è il tacchino: “preparato in vari modi, per esempio con le erbe aromatiche, oppure farcito con castagne o con mele cotogne. Lo faccio anche io, ma con la conoscenza tecnica di oggi, per esempio nelle cotture”. E questa è la sua ricetta.
Petto d’anatra, mandarino, ginepro e castagne
4 petti d’anatra da circa 200 g. ciascuno
4 mandarini
500 g. di castagne
2 foglie di alloro
1 ramo di rosmarino
4 bacche di ginepro
1 scalogno
1 costa di sedano
1 carota
100 g. di latte
20 ml. di anice liquido
sale
pepe
olio extravergine qb
Cuocere le castagne in forno a 140° per 30 minuti, pelarle e metterle in un pentolino con il latte ed una foglia di alloro. Fare andare a fuoco lento sino a quando le castagne si ridurranno in pezzetti, aggiustando di sale e pepe. Frullare quindi con il mixer sino ad ottenere un composto omogeneo per riempire un sacco a poche tenuto in caldo.
Salare e pepare i petti di anatra per poi farli rosolare in una padella antiaderente ben calda, dalla parte della pelle. Appena ben rosolati, metterli in forno su una teglia per 10 min a 180°.
Togliere intanto dalla padella di cottura dei petti d’anatra il grasso in eccesso, aggiungere lo scalogno, il sedano, la carota, l’alloro, il ginepro e il rosmarino e poi sfumare con il succo del mandarino.
Fare andare sino a ridurre il succo e poi passare al setaccio ottenendo la salsa per condire da tenere in caldo.
Togliere i petti d’anatra dal forno, lasciarli riposare un paio di minuti e poi ridurli in fette.
Mettere da un lato la crema di castagne, quindi il petto d’anatra scaloppato ed infine laccare con la salsa al mandarino.
Un filo di olio extra vergine di oliva per guarnire in finale.
Il segreto sta nella criogenesi, che permette di abbattere il prodotto in meno di dieci minuti conservandone profumi e fragranza. Il risultato sono le pizze di ‘A Pizza, l’idea di due imprenditori partenopei che sta facendo parlare tutta la città. Perché se la pizza è surgelata, può considerarsi comunque verace?
La rivoluzione della pizza surgelata
Prodotti del territorio, ingredienti di qualità, lievitazioni controllate, cottura nel forno a legna: semplice come dire ‘A pizza, progetto all’avanguardia promosso dagli imprenditori napoletani Maurizio Ramirez e Guido Freda (con un passato tra le fila di McDonald’s), dopo due anni di studi e ricerche sul prodotto e la tecnologia. Dove per avanguardia si intende, negli auspici dei suoi promotori, un nuovo concetto di artigianalità, che con l’ausilio dell’innovazione tecnologica fa affidamento sulla possibilità di preservare il gusto e la fragranza della pizza tramite un processo di abbattimento rapido. Il primo punto vendita del nuovo brand napoletano “destinato a rivoluzionare il mercato del consumo domestico in Italia e nel mondo” (per dirla con le parole di chi l’ha inventato, che di sicuro non difetta di autostima) è già operativo da qualche giorno nel capoluogo campano, in via Bernini, proprio nella città che del suo attaccamento alla tradizione ha fatto una bandiera di autenticità nel mondo. Tutti d’accordo, dunque? Non proprio, perché quel proclama che rivendica per il nuovo ritrovato una preparazione genuina e senza macchia, “come vuole tradizione”, sembra essere arrivato alle orecchie dei Pizzaiuoli Napoletani come una provocazione che mette in discussione il lavoro di una vita.
La criogenesi che preserva l’artigianalità
Eppure i fondatori dell’azienda nata a Pozzuoli nel 2014 (sotto il nome di Vulcano Food Gourmet Srl) non lesinano nell’illustrare il progetto con dovizia di particolari: il prodotto “è la classica pizza napoletana fatta con farina 00, acqua e lievito madre, condita con pomodoro campano, fior di latte o mozzarella di bufala, olio extravergine d’oliva e basilico fresco e cotta nel tradizionale forno a legna. La tecnologia è un tunnel di refrigerazione di ultima generazione che consente l’abbattimento del prodotto da 90 gradi centigradi a -20 gradi centigradi in soli 10 minuti salvaguardandone gusto, profumi e proprietà nutritive”. Tutto avviene nello stabilimento di Pozzuoli, 900 metri quadri per concertare la filiera produttiva e logistica, con due forni a legna e un tunnel di refrigerazione ad azoto liquido messo a punto per ‘A Pizza, per una capacità produttiva di 9000 pizze al giorno.
Alla conquista del mercato internazionale
E del resto l’obiettivo dell’azienda è proprio quello di proporsi sul mercato nazionale e straniero (grazie al certificato di Export Usa rilasciato dalla US Food and Drug Administration) customizzando un pubblico eterogeneo, anche grazie alla copertura di una rete di franchising a cominciare dai flagship di Roma e Milano. Prospettando così un’alternativa ai servizi a domicilio o alla pizza surgelata industriale, tramite ordine telefonico e online e consegna a domicilio in tutta Italia, in un frozen packaging che mantiene la temperatura per 36 ore. Ma negli store che apriranno sul territorio nazionale si potrà anche mangiare in loco, e ordinare un trancio di pizza take away, per il consumo immediato.
Surgelata e verace? Impossibile. Disciplinare canta
Per ora il prodotto è disponibile in sette varianti - oltre alla Margherita, la Bufalina, la Bianca, la Primavera, la Porcina, la Vegetariana, la Friariella), e qui e là nella definizione dell’identità del brand si fa appello “alla storia tutta napoletana” dell’iniziativa – “dietro ogni pizza di ‘A pizza c’è un pizzaiolo in carne ed ossa che fa l’impasto, stende con le mani il panetto, condisce e inforna il prodotto nel tradizionale forno a legna” si ribadisce con forza - che pur rivolgendosi al mercato globale “non tradisce le origini, né cancella le tradizioni”. Ma proprio sull’ultimo punto l’Associazione Verace Pizza Napoletana ha qualcosa da ridire: una pizza surgelata non può essere verace, perché “il disciplinare Stg non prevede la congelazione del prodotto”, né alcun tipo di rinvenimento in forno. Per ora quindi il dibattito, che rimbalza da giorni sui social network coinvolgendo tanti volti noti della pizza napoletana, si concentra sulla necessità di distinguere le lavorazioni, senza gettare discredito su un’operazione imprenditoriale comunque figlia della cultura cittadina, ma pure profondamente diversa per aspirazioni (e risultato?) dalla tradizione della verace pizza napoletana. “L’importante è fare chiarezza”, ribadiscono all’unisono dall’Associazione, mentre i fondatori di ‘A Pizza invitano tutti a provare per credere. Di sicuro il mercato del surgelato ha un nuovo attore, ma a Napoli saranno pronti per questa pizza del futuro?
‘A Pizza | Napoli | via Bernini, 107 | www.apizza.it