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Vino e arte. Alla mostra di Asti la presentazione della nuova Nizza Docg

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Sarà Palazzo Mazzetti, in festa per l'inaugurazione della mostra Sutherland-Vangi, ad accogliere la prima uscita ufficiale della denominazione vinicola Nizza Docg, che del legame con la storia locale e il territorio ha fatto un emblema di identità ed eccellenza. Coinvolte 43 cantine dell'astigiano. 

Grande arte & grandi vini. Un binomio che si ripropone venerdì 16 dicembre alle 18 ad Asti, negli scenari d’eccellenza di Palazzo Mazzetti (Corso Vittorio Alfieri 357), per l’inaugurazione della mostra “Sutherland-Vangi. Un alto dialogo tra pittura e scultura”. Una mostra che proseguirà fino al 12 marzo e che presenta nella residenza settecentesca astigiana un dialogo stimolante fra opere dipinte e opere plastiche con due esposizioni antologiche dedicate a Graham Sutherland, protagonista della scena artistica britannica del ‘900, e a Giuliano Vangi, tra i più grandi scultori figurativi contemporanei (a lui è stato dedicato tra l’altro un museo inaugurato nel 2002 vicino a Tokyo, e ad Asti sono presenti 26 sue sculture e una decina di disegni). Il tutto grazie al collezionista torinese Gianni Tinto, grande amico di Vangi, e all’ammirazione di entrambi per Sutherland.

 

Nizza Docg. Un vino del territorio

A fare da contraltare i vini: per l’inaugurazione è prevista infatti la partecipazione speciale dell’Associazione Produttori del Nizza Docg e la presentazione della nuova denominazione d’eccellenza. Ma non si tratta di un “accompagnamento enologico” e basta. Piuttosto, l’esempio di una scelta di comunicazione innovativa e fattiva: il vino, pur eccellente, non è visto tanto come prodotto a sé, ma in quanto ambasciatore di un mondo impegnato “con” e “per” il territorio.

Il Nizza è il vino storico più rappresentativo del Monferrato, ha visto riconosciuta la sua unicità con un disciplinare del 2014 e quest’anno ha potuto presentare sul mercato le prime bottiglie con la denominazione ufficiale “Nizza”. Lo stesso nome “Nizza”, che indica l’appartenenza geografica e non il nome del vitigno (Barbera) è una scelta precisa e dice quanto il vino voglia esprimere la tradizione, la cultura e la passione del e per il territorio. Oggi l’Associazione dei Produttori del Nizza conta 43 cantine tutte fortemente determinate a lavorare in sinergia. Tra loro, ma anche con le varie realtà locali istituzionali, sociali e culturali. Come conferma la presenza alla mostra di Asti.

 

Sutherland-Vangi | Asti | Fondazione Palazzo Mazzetti | Corso Vittorio Alfieri, 357 | dal 17 dicembre al 12 marzo 2017 | tel. 0141 530403 | info@palazzomazzetti.it | www.palazzomazzetti.it- www.ilnizza.net

 

a cura di Rosalba Graglia


Cristina Bowerman per beneficenza al nuovo Quirinetta Caffè e Cucina di Roma. Riffa di Natale e cucina d'autore

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Alla metà di novembre è arrivato il Quirinetta Social Bar, qualche giorno fa il Caffè e Cucina: così rivive sotto le cure di Viteculture lo spazio storico del teatro Quirinetta, all'insegna di musica, cocktail e buon cibo. E lunedì 19 dicembre arriva Cristina Bowerman, per una serata a favore di Intersos. 

Quirinetta Social Bar. Musica e cocktail nel centro di Roma

Sono passate solo poche settimane da quando nei sotterranei del Quirinetta ha preso forma un nuovo spazio dedicato alla condivisione e all'intrattenimento. Che del resto sono le prerogative fondanti del club (appendice del Teatro Quirino pensata da Marcello Piacentini negli anni Venti nei sotterranei di Palazzo Sciarra, poi Nuovo Cinema Quirinetta fino al 2000, quando ha chiuso battenti, prima di riaprire nel 2011 come teatro) a pochi passi dalla Fontana di Trevi, nel cuore di Roma. Così mentre sul palco si avvicendano artisti della scena indie romana e musicisti di fama internazionale, al banco (un vero e proprio “piano bar”) del Quirinetta Social bar – il salotto nascosto con un divano, un tavolo, il palco, che ha inaugurato lo scorso 16 novembre - ci si ritrova per trascorrere una serata in compagnia e bere bene. Il format ha preso vita nello spazio della Sala Venere e vive di programmazione propria, presentando ogni sera – dalle 20 alle 2, 7 su 7 - un proprio calendario di eventi, tra concerti, dj set e stand up comedy.

Caffè e Cucina. Il nuovo ristorante del Quirinetta

E l'occasione ha portato a ripensare anche la formula del preesistente Quirinetta Caffè,ora più centrato sul cibo sotto l'insegna Caffè e Cucina, che ha aperto all'inizio di dicembre proprio accanto all'ingresso del teatro di via Minghetti, con orario prolungato dalle prime ore del mattino fino a notte fonda (7-2) con un'offerta che spazia dal caffè di Massimo Bonini (Lady Cafè) per la colazione alla cucina di territorio proposta a pranzo e cena, con prodotti selezionati e grande attenzione alle specialità artigianali. Pasticceria della casa, carta dei vini biologica e biodinamica, etichette di Birra del Borgo completano l'offerta del nuovo spazio che vede la supervisione dell'associazione Viteculture (e la direzione artistica di Mamo Giovenco), fautrice della rinascita del Quirinetta, celebre polo culturale nella Roma degli anni Cinquanta e oggi nuovamente punto di ritrovo che assomma tre anime in una, tra musica, cibo e cocktail. Tra qualche giorno, lunedì 19 dicembre a partire dalle 19, il Caffè e Cucina riceverà una visita speciale in occasione della serata benefica a favore dell'organizzazione umanitaria Intersos, che opera per sostenere le vittime di guerre, violenza e disastri naturali.

La serata benefica con Cristina Bowerman

Il progetto del momento si chiama Luogo Protetto e punta a realizzare a Roma un centro di accoglienza per minori stranieri non accompagnati, recuperando un'ex scuola abbandonata nel quadrante Est (in città l'associazione gestisce dal 2011 il Centro A28, con finalità analoghe). Ospite e protagonista della serata a tavola – i cui proventi finanzieranno il progetto solidale – sarà Cristina Bowerman, che animerà la cucina durante la cena evento concertata con This is Food, che agli ospiti presenti regalerà l'opportunità di vincere prodotti artigianali, pranzi e cene in ristoranti della Capitale, biglietti e abbonamenti per concerti e appuntamenti culturali durante il gioco a premi della Riffa Food&Culture. Ma il valore aggiunto saranno proprio i piatti della chef di Glass e Romeo, che proporrà al Quirinetta alcune creazioni originali, in abbinamento ai cocktail del resident bartender Riccardo Gambino. Menu food&drink a prezzo fisso, a 25 o 40 euro, con la possibilità di partecipare alla riffa natalizia e ascoltare buona musica mixata da Andrea Lai Dj Solko.

 

 

Quirinetta Caffè e Cucina | Roma | via Minghetti, 2 | tutti i giorni, dalle 7 alle 2 | www.quirinetta.com

Quirinetta Social bar | Roma | via Minghetti, 5 | tutti i giorni, dalle 20 alle 2

Cristina Bowerman e Riffa Food&Culture | Roma | via Minghetti, 2 | lunedì 19, dalle 19 | menu 25 o 40 euro | www.quirinetta.com

 

a cura di Livia Montagnoli

 

 

Cresce il mondo del caffè a Roma. Apre Faro, nuova caffetteria di qualità

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Dopo diverse esperienze all'estero e la (breve) parentesi capitolina da Roscioli Caffè, il giovane Dario Fociani è pronto a lanciarsi in un progetto tutto suo, assieme al socio Arturo Felicetta: aprire un bar di soli caffè specialty con tanti metodi di estrazione alternativi e la massima attenzione all'oro nero.

Il progetto

In una città come Roma con una scena gastronomica in costante fermento, non potevano mancare le nuove aperture natalizie. E questa volta si tratta di una scommessa eccezionale, di un investimento ardito e di un progetto con radici profonde. Quelle di Dario Fociani, ex Roscioli Caffè ma, ancora prima, The Barn di Berlino, Allpress Espresso di Londra e altre realtà caffeicole a Melbourne, in Australia. Un trentenne con le idee chiare e un sogno grande, quello di aprire un locale interamente dedicato al caffè di qualità nella sua città natale, Roma, per cercare di diffondere la cultura di questo prodotto in un panorama che per troppo tempo è rimasto ancorato a usanze e tradizioni antiche e non più valide. E proprio a ridosso delle feste natalizie ce l'ha fatta, insieme all'amico e socio Arturo Felicetta, che ha alle spalle anni di esperienza dietro il bancone dell'Antico Caffè Greco di via Condotti, il Dean bar a Prati e il BrewDog. Insieme, i due giovani sono pronti a inaugurare un nuovo modo di bere caffè nel Rione Sallustiano-Ludovisi.

Il locale

Con queste premesse, nasce Faro, locale in via Piave a pochi passi da Piazza Fiume, una zona sempre più interessante dal punto di vista gastronomico. In un quartiere del genere, non poteva mancare un progetto sul caffè che, nel caso di Faro, si traduce in caffè specialty selezionati, metodi di estrazione alternativi e classici espressi realizzati a dovere. A curare gli arredi del locale, la giovane architetto Laura Iacomini, che insieme ai due soci ha scelto di riproporre nella Capitale lo stile delle caffetterie nord europee contemporanee, minimal ed essenziale, basato tutto sul legno e linee nette. Gli spazi all'interno del locale sono pensati per dare al cliente la possibilità di consumare la propria bevanda al bancone oppure più comodamente ai tavolini, dove è possibile restare a lavorare, leggere, studiare, godersi una pausa pranzo in completo relax, proprio come accade in tutti i bar stranieri.

A coadiuvare l'intero progetto, Dafne Spadavecchia, esperta di comunicazione e organizzatrice di eventi per diverse agenzie internazionali, che accompagnerà i due soci all'inizio di questo percorso.

Il caffè

I chicchi scelti sono quelli di Rubens Gardelli, pluricampione italiano di tostatura e marchio di garanzia per il caffè italiano di ricerca, dalla sua miscela Cignobianco a tutti gli altri monorigini, da gustare in filtro o in espresso. E poi quelli di The Barn, torrefazione e caffetteria di Berlino che lavora solo con caffè specialty e che sarà presente da Faro per circa un mese. Ma la carta dei caffè è destinata ad ampliarsi, con altri marchi italiani e stranieri che si alterneranno nel menu di mese in mese: da Ditta Artigianale a Le Piantagioni del Caffè, dal Bugan Coffee Lab al Workshop, Tim Wendelboe e molti altri ancora. L'unico caffè sempre presente in carta è quello di Gardelli, che sarà – come tutti gli altri – disponibile anche per la vendita. Da Faro è inoltre possibile acquistare le varie attrezzature per il brewing (estrazione con metodo filtro), dal v60 all'aeropress con tanto di bilance, filtri in carta e tutto il necessario per preparare a casa una bevanda ad hoc.

Ad accompagnare caffè filtro, cappuccini ed espressi, lieviti per la prima colazione e una proposta gastronomica contemporanea a cura di Lorenzo Gregori, giovane chef appassionato che negli ultimi anni si è fatto le ossa al C1B0 di Roma, e che nella nuova caffetteria porterà piatti espressi veloci e sfiziosi, adatti per la pausa pranzo o il momento dell'aperitivo.

Faro debutta sabato 17 dicembre 2016 e sarà aperto tutti i giorni dal lunedì alla domenica dalle 7 alle 19.

Faro | Roma | via Piave, 55 | dal 17 dicembre 2016

a cura di Michela Becchi

Disfida di Barletta, il 17 e 18 dicembre lo “scontro” fra le migliori etichette pugliesi e francesi

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La Disfida di Barletta torna a nuova vita. La celebre vicenda che portò 13 cavalieri italiani e 13 francesi a sfidarsi il 13 febbraio del 1503 sarà rievocata a il 17 e 18 dicembre, al Castello Svevo. Ma questa volta il duello sarà all’ultimo calice: la disfida moderna, infatti, metterà a confronto le migliori etichette italiane e quelle dei colleghi francesi. 

Disfida di Barletta, uno scontro fra Italia e Francia

Da vicenda storica a scontro-incontro fra vini. È la Disfida di Barletta del 1503, che sarà rievocata il 17 e 18 dicembre al Castello Svevo. Ma questa volta,  per la moderna “La Disfida – Wine Challenge”, a sfidarsi saranno 39 vini italiani e francesi divisi in due squadre.

La Disfida è un avvenimento avvenuto ormai più di cinquecento anni fa, durante la Guerra d’Italia che sconvolse il Sud della Penisola tra il 1499 e il 1504. La mattina di Sant’Elia, il 13 febbraio 1503, 13 cavalieri italiani e 13 francesi si sfidarono, rievocando lo scontro che in quegli anni si consumava fra gli aragonesi e i francesi di Luigi XII per la conquista del Regno di Napoli. Già un anno prima una sfida fra spagnoli e francesi a Trani si era conclusa con un nulla di fatto. Ma a Barletta furono gli italiani, all’epoca assoldati dagli aragonesi, a trionfare. E oltre al danno, i francesi subirono anche la beffa: sicuri della vittoria, finirono in prigione per non aver portato con sé il compenso necessario per pagare dazio in caso di sconfitta.

 

I vini protagonisti della sfida moderna

La moderna Disfida vedrà fronteggiarsi 39 vini italiani e altrettanti francesi, suddivisi in due squadre: si contenderanno la vittoria Nero di Troia e Languedoc, Franciacorta e Champagne, Cremant e Prosecco. La degustazione sarà alla cieca e durerà due giorni: andranno in scena dei veri e propri duelli che vedranno un vino italiano sfidarne uno transalpino. Al termine della due giorni, le giurie popolare e tecnica decreteranno la squadra e le etichette vincenti.

Al tavolo della giuria tecnica sommelier ed esperti del Best italian wine awards, giornalisti, influencer del settore e opinion leader, mentre quella popolare vede la partecipazione di personaggi come l’attore Christopher Lambert, che in Francia è anche produttore e distributore di vini, e l’attore pugliese Riccardo Scamarcio. Ospite d’onore della kermesse sarà Lino Banfi, Ambasciatore della Puglia nel mondo, oltre che selezionatore di eccellenze sotto il nuovo marchio Bontà Banfi. I vini in gioco sono stati selezionati dal presidente di Assoenologi Riccardo Cotarella, mentre a guidare le degustazioni sarà Luca Gardini, Miglior sommelier del mondo 2010. Chi vincerà?

 

La Disfida – Wine Challenge | Barletta (BA) | Castello Svevo |  piazza Fratelli Cervi, 5 | il 18 e 19 novembre | www.ladisfida.it

 

a cura di Francesca Fiore

 

Libri. 11 nuovi volumi su cibo, chef e dolci da leggere e regalare

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Sapete come e quando il ristorante è diventato il luogo di culto che è oggi? O chi sono i giovani chef su cui puntare? Volete imparare a fare i cioccolatini o il panettone? E come tenere in perfetto ordine la cucina e le sue suppellettili? Ecco 11 libri da regalare e regalarsi a Natale.

Cioccolatini

Creare cioccolatini non significa solo sperimentare nuovi abbinamenti. Ma anche trovare il modo di garantire a questi dolcetti una shelf life stabile, gestire il food cost, creare ricette bilanciate. Ci sono infiniti elementi di cui tenere conto per mettersi alla prova del cioccolato, soprattutto per farlo con un approccio professionale. Quello firmato da Danlo Freguja non è solo un efficace manuale per chi con il cioccolato vuole lavorare, ma anche un bel libro illustrato che racchiude forme, ricette, decorazioni e moltissime nozioni pratiche.

Cioccolatini | Danilo Freguja | Bibliotheca Culinaria | 260 pag | 52 euro

 

Giovani & audaci: trentatré cuochi rivoluzionari

La cucina italiana della seconda metà degli anni '10? È quella che vede all'orizzonte un esercito compatto, per quanto eterogeneo, di giovani cuochi. Allievi, emuli, o ribelli rispetto ai 40-50enni di oggi che sono ormai l'Olimpo dell'alta ristorazione. E proprio su questa filiazione/ribellione, si gioca la definizione di una loro identità gastronomica che già oggi si rivela senza tante ritrosie. Sono consapevoli, preparati, informati, hanno orizzonti internazionali anche quando le loro cucine si trovano in piccoli centri della provincia italiana. Con i pedi nella tradizione e la testa nell'avanguardia (o presunta tale). Sono 33 giovani cuochi di cui si raccontano storie e ricette, di cui si individuano 10 maestri (o padri spirituali) e altrettanti stili, i 33 su cui puntare per riscrivere la cucina italiana di domani. Raccontati con spirito lieve e grande ironia, toni surreali e gusto per il paradosso.

Giovani & audaci: trentatré cuochi rivoluzionari | Stefano Cavallito, Alessandro Lamacchia, Paolo Vizzari | Edt | pag. 208 | 16.90 euro

 

A new way to eat

Ex allieva di Jamie Olivier, Anna Jones firma un libro che si propone di svelare i segreti di un nuovo modo di mangiare, che poi troppo nuovo non è: sano, leggero, gustoso. E quasi sempre senza carne. Più di 200 ricette veloci, semplici, ma non per questo meno appetitose, che sanno soddisfare la gola, migliorando la percezione di sé e il modo di sentirsi in relazione con il mondo. E tutto, a partire da un cambiamento che riguarda lo sguardo che si rivolge alla cucina e al modo di nutrirsi prima ancora che le ricette. C'è, alla base, una forte consapevolezza della percezione dei sapori e della costruzione dei piatti. Consistenze in prima linea, ma anche varietà negli ingredienti e attenzione nel combinarli per trarre il massimo da ognuno di loro e da ogni piatto. Per la cronaca: è tra i libri di ricette vegetariane più cool del momento. Ci sarà un motivo.

A new way to eat | Anna Jones | Eifis edizioni | pagg. 350 | 28,50 euro

 

È nato prima l'uovo o la farina?

Come le lettere dell'alfabeto per le parole, o le note per le melodie, gli ingredienti sono i componenti base delle ricette. Esattamente come per le parole o le musiche, bisogna studiarli a fondo per usarli nel modo migliore, conoscere le regole cui sottostanno e le storie che racchiudono. Così, non importa quanto semplici sono gli elementi di partenza, il risultato potrà sempre essere molto più che la somma di tutti gli ingredienti. Perché, mentre si elaborano e si combinano, portano anche un po' di quella storia che racchiudono, la somma di quelle informazioni a metà strada tra conoscenza tecnica, memoria emotiva, ispirazione colta. Così Carlo Cracco torna con un nuovo libro che mette insieme 60 ricette per 11 ingredienti, ognuno con il suo valore e la sua storia.

È nato prima l'uovo o la farina? | Carlo Cracco | Rizzoli | pagg. 288 | 18,90 euro

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I dieci comandamenti del cibo

Jay Rayner è il critico gastronomico dell’Observer, oltre che presenza frequente in radio e tv. Umorismo graffiante, conoscenza approfondita della materia (sia teorica che pratica), stile dissacrante come d'uso nei paesi anglosassoni più che da noi. Stronca, chiede, sfata miti, bacchetta, solleva dubbi, si informa e informa, e intanto esce, assaggia e giudica. Con ostinata convinzione e pari autorevolezza. Ma qui, in questo libro, non sono i piatti provati a essere sul palcoscenico, quanto la definizione delle regole auree per godere appieno di quel che si mangia. Un decalogo che Rayner ha definito giorno dopo giorno, tavola dopo tavola, seguendo la sua gola ma anche la sua curiosità e la voglia di capire come stanno davvero le cose, si tratti di biologico o di quel che comporta il consumo della carne. Da questo decalogo si definisce un modo, forse nuovo, di approcciare al cibo.

I dieci comandamenti del cibo | Jay Rayner | Edt | pagg. 214 |13,50 euro

 

La gioia del riordino in cucina

Roberta Schira pare seguire i passi di Marie Kondo e del suo bestseller Il magico potere del riordino per aprire le porte di un paradiso in terra: la cucina perfettamente organizzata e in cui ogni cosa ha il suo posto. Per quanto possa sembrare buffo, tutto parte da lì, spiega l'autrice, da quel cuore della casa che è molto vicino al cuore delle persone. Quelle che preparano cibo per sé e per gli altri. Ecco dunque che il percorso per sistemare la cucina coincide a quello per migliorare il rapporto con se stessi e, soprattutto con il cibo. Quello consumato e quello preparato, ovviamente. Un manuale pratico che è, anche, un'indicazione della strada da percorrere verso l'armonia.

La gioia del riordino in cucina | Roberta Schira | Antono Vallardi ed. | pagg. 128 | 12,80 euro

Cibo

Parlare tanto di cibo fa bene al cibo? E fa bene a chi vuole conoscerlo di più? A partire da queste domande Andrea Segrè cerca di ridefinire un vocabolario dell'alimentare che smarchi gli infiniti dibattiti, le mode e le sentenze, i modi di dire, gli schieramenti e le manie verbali per concentrarsi, in modo centripeto, sull'unico termine fondamentale del nostro mangiare: cibo. A partire da quell'unica parola, Segrè parla di alimentazione. Sgomberando il campo dal florilegio di aggettivi, dai neologismi e da quella babele alimentare che è ormai l'inevitabile interferenza di ogni nostro mangiare e di tutte le considerazioni che seguono. In un mondo in cui la cultura di riferimento è diventata quella alimentare, è possibile tornare al suo grado zero e definire, di nuovo, i confini lessicali del mangiare? Segrè ci prova, in un dizionario minimo dell'alimentazione che analizza i termini e i concetti chiave, dalla A alla Z.

Cibo | Andrea Segrè | Il Mulino | pagg. 114 | 12 euro

 

Panettone

50 pasticceri per il dolce simbolo del Natale. Nel bellissimo libro illustrato di Bibliotheca Culinaria il panettone viene interpretato dai maestri dell'arte dolce, ma solo dopo un'introduzione tecnica di uno dei più grandi nomi della pasticceria italiana: il Maestro Iginio Massari che spiega, passo passo, tutti i segreti dei grandi lievitati. Dal lievito madre agli impasti, dalla cottura alla conservazione. Un percorso dentro il dolce più amato delle feste, dalla ricetta classica alle molte varianti. Vero banco di prova per maestri dell'arte bianca e grandi chef, terreno di sperimentazione nei gusti, negli impasti, nelle farciture. I grandi nomi della pasticceria ci sono tutti: Gino Fabbri, Luigi Biasetto, Sal De riso, Andrea Besuschio, Luca Montersino per tantissime ricette, tradizionali, creative, perfino decorate.

Panettone | Bibliotheca Culinaria | pagg 258 | 69 euro

 

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Al ristorante

Quando sia accaduto non lo sappiamo con esattezza. Fatto sta che il ristorante è assurto a sintesi della contemporaneità, o meglio a “laboratorio di modernità”: palcoscenico dove si condensano, tra i vapori di piatti succulenti, aspettative e frustrazioni, manie e vezzi. Un microcosmo popolato da chef, sommelier, camerieri e produttori, in cui filosofi e sociologi trovano il loro spazio, quando non il loro ruolo. Nel profilare questi nuovi templi in cui officiare il rito del cibo, si ripercorre la storia della cultura (non solo) gastronomica e della ristorazione europea dal '700 ai giorni nostri.

Al ristorante | Christoph Ribbat | Marsilio | pagg. 201 | 16,50 euro

 

Trita Carne

Quanto c'è di vero nell'immagine dei cuochi che restituisce la tv? Molto poco, a leggere le pagine di Leonardo Lucarelli che racconta, in prima persona, la vera vita di un cuoco: lui. Stanchezza, disciplina militare, livore e anarchia, lavoro nero, perfezionismo, alcol e droga, ma anche genialità e grandi personaggi romanzeschi che da soli, valgono questo viaggio negli inferi dei ristoranti. Quel che si nasconde dietro la porta che separa la sala dal luogo di preparazione del cibo sono temperature impossibili, carichi pesanti da sollevare senza tregua, tagli e bruciature, schiene dolenti per le lunghe ore in piedi a ripetere maniacalmente sempre lo stesso gesto. Succubi di regole non sempre legali e di passioni smodate.

Trita carne | Leonardo Lucarelli | Garzanti | pagg. 288 | 16.40 euro

 

Il banchetto di nozze e altri sapori

Dalla Calabria albanese al Trentino passando per la Germania. Un romanzo di formazione che segue da presso il protagonista attraverso il suo girovagare tra un paese all'altro e tra una tradizione gastronomica all'altra. Il cibo sancisce legami e definisce le situazioni, crea una rete tra le persone e il territorio, fa da goloso corollario a ogni evento, piccolo o grande che sia, della vita del protagonista. Attraverso piatti e ricette punteggia di aromi evocativi le pagine di un libro che, si scopre, si snoda intorno all'appuntamento quotidiano con il cibo. Che è anche, e soprattutto, un appuntamento affettivo.

Il banchetto di nozze e altri sapori | Carmine Abate | Mondadori | pagg. 162 | 15 euro

 

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a cura di Antonella De Santis

 

Il cioccolato gioiello di Bulgari, dal Giappone alla conquista degli Emirati Arabi

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Da qualche anno la maison di gioielli ha avviato una produzione esclusiva di cioccolatini e praline prodotte in Giappone con ingredienti del territorio e specialità italiane. In vendita nelle boutique di Tokyo e Osaka, ora le creazioni dei maître chocolatier giapponesi arrivano negli Emirati Arabi, con due boutique extra-lusso per clienti in cerca di esclusività anche a tavola. 

Il cioccolato di Bulgari. Made in Giappone

Conosciuto dai viaggiatori in cerca di esperienze gastronomiche di prim'ordine principalmente per il ristorante in vetta alla Bulgari Tower di Tokyo affidato alle cure di Luca Fantin (recentemente insignito delle Tre Forchette dalla nuova guida Top Italiana Restaurant in the World attesa per la primavera 2017), il quartier generale giapponese della maison di gioielli nasconde un laboratorio d'autore ancor più longevo. Nel 2008 il maitre chocolatier Miura Naoki avviava la sua collaborazione con il brand made in Italy per produrre una linea di gemme di cioccolato che nulla ha da invidiare a una collezione di gioielli. Un anno dopo l'altro il catalogo si è rinnovato all'insegna di un connubio culturale che getta un ponte tra la tradizione artigianale italiana e gli ingredienti reperiti sul territorio nipponico, dalle castagne locali al sake di Kyoto, oltre alle specialità che raccontano l'Italia del gusto, dall'aceto balsamico al brandy di Franciacorta, al gorgonzola (sì, persino il formaggio erborinato finisce in un cioccolatino, in abbinamento con scorza d'arancia e una ganache al cioccolato bianco). Che incontrano a loro volta pregiate selezioni di cacao in arrivo dal mondo. E se la tradizione artigianale continua a essere prerogativa essenziale del concept, è indubbio il valore aggiunto dalla cura per il dettaglio e dall'arte della presentazione propri della cultura giapponese, che dietro al banco in resina nera della boutique fa sfoggio di tecnica ed estetica sopraffina per allineare una collezione ordinata di miniature di cioccolato incorniciate da contenitori in vetro.

 

La nuova boutique di Dubai

E ora che il format ha trovato la sua consacrazione – i giapponesi sono molto esigenti in fatto di cioccolato, e la linea di Bulgari ha saputo accontentarli – il brand è pronto per conquistare nuovi mercati, come il danaroso parterre degli Emirati Arabi, dove la boutique Bvlgari Il Cioccolato ha aperto i battenti qualche giorno fa, nella City Walk di Dubai. Nel frattempo alla guida del laboratorio si sono avvicendati diversi maitre chocolatier, oggi è Kanako Saito a gestire la linea di produzione, che per la prima volta dovrà garantire l'invio del prodotto (realizzato esclusivamente nella sede di Tokyo) a migliaia di chilometri di distanza, per alimentare le vetrine del nuovo retail. Negli Emirati i cioccolatini di Bulgari possono contare su un partner come Meraas, che conosce bene il mercato locale e per la maison ha già curato l'apertura del Bulgari Resort e delle residenze costruite nella Jumeirah Bay Island, dove entro la prossima primavera inaugurerà una seconda boutique del cioccolato. E con il cioccolato, a Dubai arriveranno anche i panettoni e i prodotti stagionali marchiati Bulgari, disponibili nella boutique disegnata dallo studio giapponese Design Fresco con lampadari in vetro di Murano Barovier&Toso (che illumina anche la sala del ristorante di Ginza con lampadari in oro e cristallo).

 

www.bulgarihotels.com

Il Cottìo della Vigilia con Culinaria. Al Mercato Pinciano di Roma rivive l'asta del pesce solidale

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L'asta tradizionale dell'antivigilia affonda le radici nel Medioevo e attraversa secoli di folclore romano tra il Portico d'Ottavia e i mercati generali. Rito di piazza che abbatteva le barriere sociali, ai popolani venivano donati cartocci di frittura con il pesce meno pregiato. La tradizione rivive per un giorno con Roy Caceres e Giulio Terrinoni, al mercato per la Comunità di Sant'Egidio. 

L'asta del pesce della tradizione romana

La notte della Vigilia l'opulenta tavola dei ricchi signori romani traboccava di pesce pregiato a freschissimo: “Mo entra un barilozzo de caviale […], poi l'oliva dorce, er pesce de Fojjano, l'oijo, er tonno e l'inguilla de Comacchio” chiosavano sagaci i versi della satira di Gioacchino Belli intitolata alla Viggija de Natale. Tutt'altra sorte spettava alle classi meno abbienti, i popolani e gli indigenti,  pure loro tra la folla che già dalla mattina dell'antivigilia, il 23 dicembre, si muoveva frenetica tra i banchi del mercato del pesce del Portico d'Ottavia cercando di spuntare l'offerta migliore per il banchetto del 24 dicembre. Storia e folclore di una Roma che non c'è più, la Roma sparita, insieme al ricordo del mercato del Ghetto che dal Medioevo fino al 1885 ha ospitato quella Pescheria Vecchia di cui oggi resta memoria solo nella toponomastica. E proprio all'ombra del portico di epoca imperiale nacque la tradizione popolare del Cottìo, la vendita all'asta del pesce che animava la notte tra il 23 e 24 del mese (fino a poche ore prima del Cenone di magro). L'usanza si fa risalire indietro nel tempo fino al XII secolo e ha attraversato secoli di romanità, fino oltre il trasferimento dello storico mercato del pesce, in piazza San Teodoro prima, ai mercati generali poi, ancora oltre la metà del Novecento. E non è un caso che i nostri nonni ancora conservino memoria dell'appuntamento, che era pure occasione per condividere l'atmosfera di festa, al di là delle divisioni sociali. In tempi più antichi, il Cottìo (dal latino medievale "coctigium") iniziava nelle primissime ore del mattino e si svolgeva in forma di asta secondo modalità tradizionali.

Dal Portico d'Ottavia ai mercati generali

Per le contrattazioni venivano usati termini in gergo comprensibili solo ai "cottiatori" e agli acquirenti: venditori al minuto, gestori di trattorie, cuochi di nobili famiglie romane. Uno spettacolo con tutti i crismi dell'evento di piazza che anticipava uno tra gli appuntamenti a tavola più attesi del calendario religioso, quando nelle aristocratiche case romane sfilavano anguille, pescetti marinati, brodo di pesce, pastasciutta al sugo di tonno e baccalà con pinoli e uvetta, con accompagnamento di mele e broccoli fritti in pastella. Dal 1927, invece, la “cerimonia” viene regolata da schemi più precisi, con il trasloco nella struttura di via Ostiense: i cancelli aprivano intorno alla mezzanotte, quando tutti avevano facoltà di accedere al mercato in vista di un risparmio sull'acquisto del pesce. E proprio per non scontentare nessuno i grossisti offrivano cartocciate di pesce fritto, quello meno pregiato, regalato a chi non poteva permettersi di partecipare all'asta.

Il Cottìo di Culinaria. Con Caceres e Terrinoni

Prima che potesse diventare moda, l'usanza si è persa definitivamente con la chiusura dei mercati generali, ma quest'anno Francesco Pesce e Fabrizio Darini – organizzatori dell'appuntamento annuale con Culinaria, che il suo legame con la storia, i mercati e le tradizioni della Capitale non l'ha mai nascosto – hanno scelto di rievocarne il ricordo con un inedito Cottìo al Mercato Pinciano. L'appuntamento, patrocinato dal Comune di Roma e dell'Arsial, prenderà forma tra le 12 e le 15 di venerdì 23 dicembre tra i banchi di via Antonelli, ed è pure un'opportunità per fare del bene, in omaggio allo spirito solidale delle antiche cartocciate. Alla manifestazione hanno aderito Roy Caceres e Giulio Terrinoni, che al mercato cucineranno una serie di piatti a base di pesce della tradizione della Vigilia romana; con loro anche gli chef di tre trattorie del territorio: Urbana 47, Enzo al 29 eL'Oste della Bon'Ora in arrivo dai Castelli romani. Tra i piatti proposti anche una pasta e fagioli di mare, che al pesce abbinerà i fagioli borbontini (da Borbona, tra i paesi del reatino colpiti dal sisma); al mercato si potrà mangiare in cambio di un'offerta libera da destinare alla comunità di Sant'Egidio. E alla Comunità gli chef di Culinaria destineranno anche cento pasti distribuiti la sera della Vigilia ai centri d'accoglienza della Capitale. La solidarietà c'è, la buona cucina e le ricette della tradizione pure. Ecco servito il Cottìo (d'autore) dei tempi moderni.

 

Il Cottìo di Culinaria | Roma | Mercato Pinciano, via Giovanni Antonelli | il 23 dicembre, dalle 12 alle 15

 

a cura di Livia Montagnoli

Pasticceri e Pasticcerie 2017. Sal De Riso di Pasticceria Sal De Riso

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Con Sal De Riso si conclude il nostro viaggio fra le novità a Tre Torte (massimo riconoscimento) della guida Pasticceri e Pasticcerie d'Italia 2017. E in occasione delle feste, il maestro pasticcere ci ha regalato una golosa ricetta natalizia.

Caffè e cappuccini, torte, mignon, lievitati. Ma anche cocktail, pizze gourmet e piatti partenopei realizzati a regola d’arte. Sal De Riso di Minori, in provincia di Salerno, è il locale polifunzionale di Salvatore (Sal) De Riso. Maestro pasticcere, Salvatore con gli anni ha deciso di specializzarsi anche in altri settori della gastronomia per offrire ai suoi clienti un'esperienza a tutto tondo. E lo ha fatto con un locale ambizioso, ben 250 metri quadri dedicati al buono in ogni forma, che gli è valso il massimo riconoscimento sia nella guida Pasticceri e Pasticcerie d'Italia 2017 con le Tre Torte, sia nella guida Bar d'Italia 2017 con i Tre Chicchi e le Tre Tazzine.

Gli inizi: il legame con il territorio

Il laboratorio firmato De Riso ha aperto i battenti nel 1988: a quel tempo Sal aveva 21 anni e veniva da 7 anni di esperienze nelle cucine di grandi alberghi della Costiera Amalfitana. “Dopo la scuola alberghiera, ho cominciato subito a lavorare in diverse brigate ma sentivo già l’esigenza di creare qualcosa che rispecchiasse il mio modo di vedere la pasticceria”. E soprattutto, qualcosa che richiamasse il suo territorio. “Il legame fra cibo e terra di appartenenza non era un argomento così scontato in quegli anni. Soprattutto nella pasticceria” racconta, e aggiunge:“Sono stato uno dei primi a proporre dei dolci studiati appositamente per raccontare un territorio”. Nasce infatti nell’88 una delle creazioni che ha cambiato per sempre lo stile di pasticceria di Sal: il profitterol al limone, “una vera novità per l’epoca. Fino ad allora, i profitterol erano solo ed esclusivamente al cioccolato”. Il giovane pasticciere propone la variante dei limoni della Costa d’Amalfi, oggi un ingrediente imprescindibile in quasi tutte le sue ricette. E dai limoni è passato poi ai fichi bianchi, le albicocche, le ciliegie e tutti gli altri prodotti che caratterizzano il gusto della Costiera. Sono nate così le ricette che hanno reso Sal famoso fra gli appassionati più golosi, come la Delizia al Limone o la più recente Panarea, dedicata all’omonima isola, a base di pistacchio Dop di Bronte, biscotto di mandorle e ricotta di bufala campana.

Lo stile e le fonti di ispirazione

E com’è oggi la pasticceria di Sal De Riso? “Semplicemente, è la mia. Unica nel suo genere perché rispecchia me, il mio modo di essere e di lavorare. Cerco di inserire in ogni creazione un tocco personale ed è questo che contraddistingue i miei dolci”. Ma prima di arrivare a uno stile tutto suo, il pasticcere ha seguito e ascoltato i consigli dei grandi maestri: “Non bisogna mai sentirsi arrivati. Il confronto è alla base di qualsiasi crescita professionale e personale, per questo seguo molto i miei colleghi”. E fra tutti, è il maestro Iginio Massari ad aver contribuito particolarmente nella formazione di Sal De Riso: “Massari non dice mai come va fatta una cosa. Piuttosto manda dei messaggi, guida, accompagna durante la preparazione e fornisce consigli preziosi. Sta poi all’allievo saperli cogliere”. E trasformarli e tradurli poi in creazioni proprie con uno stile personale e ben definito: “Le lezioni di Massari sono quelle che più di tutte mi hanno segnato, e che porto sempre con me. È un vero maestro, in grado di insegnarti non solo la tecnica ma anche l’approccio alla pasticceria”.

I locali e il personale

Sono passati tanti anni da quel 1988, anni di fatica e sacrifici, nei quali Sal De Riso ha moltiplicato i locali a suo nome, che oggi sono 4: il laboratorio a Tramonti, quello di Roma, la pasticceria da asporto in via Gallia, sempre nella capitale, e il neonato di Minori, con 53 i dipendenti suddivisi fra ufficio, confezionamento e laboratorio. “La formazione del personale è fondamentale per me. Generalmente, scelgo ragazzi usciti dalla scuola alberghiera, che affianco soprattutto durante il primo periodo. Il team di un laboratorio deve essere ben consolidato”. Specialmente in quello di Minori, dove convivono bar, pasticceria e bistrot, con un menu stagionale che cambia ogni 3/4 mesi e propone piatti tradizionali della cucina partenopea, ma anche qualche ricetta più contemporanea come gli hamburger. E poi la pizza, con classico impasto alla napoletana. La più richiesta? “La Amalfi, con fior di latte di Tramonti, prosciutto crudo di Sant’Ilario, carpaccio di limoni di Amalfi e zenzero”.

La formazione e la comunicazione

Oltre a formare i propri collaboratori, Sal De Riso tiene anche dei corsi di pasticceria in Campania, e non solo: “Lavoro molto con l’Italian Chef Academy di Roma e poi con altre realtà della mia regione. Mi piace insegnare e noto con piacere un interesse sempre crescente verso questo mestiere”. Anche grazie alla diffusione sempre più ad ampio raggio di programmi televisivi di cucina: “Ho avuto la mia prima esperienza televisiva 15 anni fa, con La Prova del Cuoco. Da allora, sono stato chiamato anche da altri canali e, devo ammettere, che la visibilità che la televisione può dare al nostro settore è davvero notevole”. Così come quella che riviste, siti web e i blog più specializzati offrono ormai da anni: “prodotti editoriali come quelli del Gambero Rosso – e anche lo stesso canale TV – hanno rappresentato e sono ancora oggi un mezzo di comunicazione fortissimo per la ristorazione italiana”. Ma quale consiglio darebbe Sal De Riso a un giovane aspirante pasticcere? “Sembrerà scontato, ma il primo requisito da avere è la passione. Senza un amore smodato per la cucina, questo mestiere diventa impossibile. È un lavoro che richiede tanta fatica e che lascia poco tempo libero. Se non si ha la giusta tenacia, non lo si può affrontare”. E poi, naturalmente, tanto studio e dedizione. “E confronto con gli altri, sempre”.

I nuovi progetti

Nonostante sia trascorso solo poco tempo dall’inaugurazione del suo ultimo locale, ci sono già tante nuove idee in cantiere per il futuro. A cominciare dall’apertura di due “se non tre” nuovi locali. A Roma, innanzitutto, “dove vorrei riproporre il format della pasticceria/bar/bistrot di Minori”. E poi a Milano. E – perché no – forse un giorno “anche a Firenze”. Progetti impegnativi sui quali De Riso è disposto a scommettere a una condizione: “Voglio seguire i miei team nelle varie città. Noto la differenza con il locale di Minori, dove sono impegnato quotidianamente: il lavoro è più snello per tutti e c’è più organizzazione; e io riesco a gestire meglio il controllo su tutta la linea. A distanza, è davvero impossibile”.

La ricetta

Con l’arrivo delle feste, Sal De Riso ci regala la più natalizia delle ricette dolci campane, quella degli struffoli.

Ingredienti

4 uova intere

50 g. di burro ammorbito

60 g. vino bianco

50 g. di fruttosio

1 pizzico di sale

500 g. di farina 00

scorza di limone, arancia e mandarino q.b.

500 g. di miele millefiori

Diavolini q.b.

Frutta candita q.b.

Olio extravergine di oliva q.b.

Setacciare la farina e disporla a fontana. Al centro, aggiungere il vino bianco, il fruttosio, il burro morbido e le uova sbattute, il sale e gli agrumi grattugiati. Iniziare a impastare parendo dal centro, emulsionando prima tutti gli ingredienti morbidi e liquidi e poi, lentamente, facendo assorbire tutta la farina. Quando l’impasto sarà liscio e setoso, avvolgerlo in un foglio di nylon per alimenti. Lasciar riposare la pasta in frigorifero per circa un’ora. Stendere il panetto sul tavolo realizzando dei sottilissimi filoncini e disporli uno vicino all’altro. Cospargere con abbondante farina e, con l’aiuto di un coltello, tagliare tanti piccoli gnocchetti. Setacciare gli gnocchetti eliminando la farina in eccesso e friggeterli in olio extravergine d’oliva. Una volta che saranno ben dorati, togliere gli struffoli e far assorbire l’olio in eccesso sopra un foglio di carta assorbente. In un contenitore capiente, mettere gli struffoli cotti con abbondante miele millefiori, unire i cubetti d’arancia candita e rimestare con un cucchiaio di legno. Decorate la superficie con i diavolini (piccoli confettini colorati) e piccoli pezzi di clementine, ciliegie e filetti di arancio candito.

Pasticceria Sal De Riso | Minori (SA) | via Roma, 80 | tel. 089 877941 | www.salderiso.it

a cura di Michela Becchi

Pasticceri & Pasticcerie 2017 del Gambero Rosso | Prezzo: 14,90 | disponibile in edicola, libreria eonline

Pasticceri & Pasticcerie 2017 del Gambero Rosso. Classifica e premiati

Pasticceri e Pasticcerie d'Italia 2017. Walter Musco di Pasticceria Bompiani

Pasticceri e Pasticcerie d'Italia 2017. Maurizio Colenghi di Dolce Reale

Pasticceri e Pasticcerie d’Italia 2017. Ernst Knam di Pasticceria Knam


La piadina romagnola regina del web. È lo street food più ambito

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Street food che passione. Il trend che negli ultimi anni sta invadendo piazze e vie delle nostre città aumenta la visibilità dei prodotti tipici italiani, delle preparazioni tradizionali e dei piatti locali. Ed è la piadina romagnola a essere incoronata street food più ricercato dai consumatori: premiata dall'apprezzamento trasversale del pubblico, adesso la piadina romagnola è diventata regina del web.

La piadina romagnola, una lunga tradizione

Farina di grano, strutto o olio di oliva, lievito, sale e acqua. Ingredienti semplici per un prodotto amato in tutto il mondo. Una pietanza semplice ma gustosa, dalla lunga storia, le cui tracce si fanno risalire addirittura all’impero romano: la ricetta originale fu però trascritta nel 1371. La piadina romagnola adesso è stata eletta anche regina del web: con 1.100.000 visualizzazioni è lo street food più ricercato su Google. A confermarlo è Mauro Rosati, consigliere del ministro alle Politiche agricole Maurizio Martina, che ha presentato uno studio sul valore aggiunto delle Dop e Igp nei prodotti agroalimentari agli Stati generali della Piadina romagnola di Riccione. Il secondo posto va all'arancino, a debita distanza, con 480mila visualizzazioni.

 

La piadina in cifre

A due anni dal riconoscimento dell’IGP, la piadina romagnola continua ad aumentare le sue vendite, mentre i prodotti a marchio diventano sempre più preponderanti. Sul fronte della produzione la Piadina IGP ha toccato quota 30mila tonnellate con un incremento del 20% rispetto al 2015. Secondo i dati del Consorzio di promozione e tutela della piadina romagnola il fatturato della Piadina Romagnola IGP è di 30 milioni di euro, su un valore dell’indotto di circa 100 milioni di euro. Ad oggi, circa una piadina su tre ha la certificazione di Indicazione Geografica Protetta, con il riminese a rappresentare la parte più consistente, ben il 77% del totale.

 

Lo street food e i prodotti DOP

Ma c’è di più: secondo il report si sta verificando uno spostamento dei consumi, da prodotti “generici” di street food, a prodotti con una forte caratterizzazione identitaria e territoriale. Nei primi 9 mesi del 2016 le vendite dei prodotti Dop-Igp hanno fatto registrare un aumento del 7,2%, mentre quello dei generici si è fermato al +1,2%. Se si considera il settore specifico del cibo di strada, l’aumento è ancora più evidente, con un +15%. “I nostri prodotti DOP e IGP valgono 2 miliardi e mezzo dell'intero settore agroalimentare” ha spiegato Simona Caselli, assessore regionale alle Politiche agricole, “un patrimonio che va tutelato e promosso. Fondamentale è il ruolo dei consorzi nella valorizzazione”.

 

a cura di Francesca Fiore

Biondi Santi, alleanza strategica coi francesi del gruppo Epi

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La famiglia Descours, titolare di noti brand di Champagne, entra nel capitale di Tenuta il Greppo, storico marchio del Brunello. Jacopo Biondi Santi resterà il presidente: "Svilupperemo ulteriormente il nostro business". 

L'alleanza strategica

Investitori francesi entrano nel capitale di Tenuta il Greppo, la storica cantina di Montalcino che inventò la formula del Brunello, grazie a Ferruccio Biondi Santi nel 1888. Jacopo Biondi Santi, figlio del compianto Franco (scomparso tre anni fa), giunto alla sesta generazione, ha annunciato la firma di una partnership strategica con la famiglia Descours, che guida il gruppo Epi (Europeenne de participations industrielles), proprietario dei marchi di Champagne Charles Heidsiek e Piper-Heidsieck, di Chateau La Verrerie (valle del Rodano), ma anche di importanti brand dell'abbigliamento di lusso, come Bonpoint e J.M.Weston.

Un'alleanza siglata il 16 dicembre, che sarà formalizzata definitivamente a gennaio 2017, che è stata annunciata da entrambe le società con una nota ufficiale congiunta, e che aveva posto le sue basi a giugno 2016. Di fatto, un nuovo ingresso di investitori stranieri in una delle zone più rappresentative del made in Italy. Jacopo, alle prese con il delicato e controverso tema della successione aziendale, ha così messo fine alle voci di una sua uscita dall'azienda trovando nuovi capitali che gli consentono di guardare al futuro. "Da soli eravamo troppo piccoli per resistere e svilupparci", ha chiarito. Smentite le ipotesi di possibili cessioni a gruppi come Lvmh o Prada. Tenuta il Greppo ripartirà con l'aiuto dei francesi del gruppo Epi. E avrà tre anime: una produttiva, una commerciale e una holding. Jacopo resterà il presidente. Non sono stati resi noti i dettagli dell'operazione, il suo ammontare, né quale sia la suddivisione del capitale societario, ovvero chi sarà il socio di maggioranza. "Il Gruppo Epi ci fornirà il supporto necessario allo sviluppo del nostro business" dice Biondi Santi, che è l'enologo della cantina "e questo contribuirà a rafforzare i nostri vini e il Brunello a livello internazionale". 

 

Il futuro del Greppo. La crescita del marchio toscano

Il presidente di Epi, Christopher Descours, sottolinea la volontà di far crescere i vini del marchio Biondi Santi, attraverso le capacità e l'esperienza di Jacopo, con cui sono stati condivisi valori e progetti futuri: "Questa partnership" afferma Descours "è un perfetto esempio del modo in cui Epi group intende sviluppare globalmente i brand ai massimi livelli d'eccellenza. Sono contento di questa partnership tra Epi, tenuta Biondi Santi e la famiglia Biondi Santi, il cui know how, spirito pionieristico e vocazione all'eccellenza si sposano con quelli di Epi". Oggi l'azienda agraria Biondi Santi conduce i 47 ettari del Greppo e 105 ettari dei Pieri. Sono circa 80 mila le bottiglie prodotte annualmente, comprese 10 mila di Riserva, che vengono messe in commercio solo in caso di vendemmie eccezionali.

 

www.biondisanti.com/

 

a cura di Gianluca Atzeni

Gambero rosso di Mazara del Vallo su e-commerce, il rilancio parte dal web

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Rilanciare un prodotto sfruttando la forza dell’e-commerce. È quello che hanno fatto alcuni produttori di Mazara del Vallo con il gambero rosso: grandi ed eleganti scatole spedite in tutto il mondo. Per diffondere all’estero un prodotto di assoluta eccellenza.

Il rilancio web del gambero rosso di Mazara

Sono Singapore, Dubai, Londra, Francia e Germania le “mete preferite” del Gambero rosso di Mazara. Il rilancio della filiera ittica di uno dei distretti più importanti del Mediterraneo parte dal web, grazie all’e-commerce e alla campagna promozionale creata dal marchio Rosso di Mazara, ora diventato “Rosso di Mazara - gambero con il cuore”. Alcuni imprenditori locali hanno deciso di sfruttare la potenza dell’e-commerce per far conoscere al mondo un prodotto tanto pregiato. “Il gambero di Mazara” ha spiegato l'imprenditore Paolo Giacalone, “è il più costoso al mondo, non è di allevamento e viene pescato nel Mediterraneo nella zona Fao 37.2, cioè una zona esclusiva dove esistono ben 38 tipi di gambero di colori e specie diverse”.

 

Come funziona l’e-commerce

Sull’e-commerce sono disponibili diverse varietà: il Dandy, il gambero dal colore tendente al viola, considerato un “viaggiatore”, e il Ventinove, il gambero dal colore rosso brillante che invece vive in acque più profonde ed è più sedentario. Entrambe le tipologie sono disponibili nelle taglie small, medium e large, con spese di spedizione completamente gratuite. Inoltre, sul sito c’è anche la possibilità di comprare il gambero lavorato, optando per “Lo sfizio di Venere”, una tartare di gambero viola, oppure “Nudo e Crudo”, una cruditè di gamberi e gobbetti. Un progetto che ha già registrato un notevole successo, con un boom di richieste e spedizioni per le feste di Natale 2016. “Gli chef che ormai sono i promotori delle eccellenze alimentari” ha raccontato l’imprenditore siciliano“affermano che il gambero di Mazara è il migliore in assoluto perché è pescato a 700 metri di profondità (quello bianco a 350) e preparato con grande professionalità dai pescatori di Mazara che lo surgelano a bordo senza utilizzare bisolfiti”.

www.rossodimazara.com/ecommerce

 

a cura di Francesca Fiore 

Torrone. Come farlo a casa per Natale

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Panettone e pandoro dominano la scena delle feste natalizie. Al torrone spetta in genere un ruolo da attore non protagonista. Ma in realtà il torrone è un dolce più antico e offre una straordinaria gamma di varianti: friabili e teneri, nocciolati, mandorlati e al pistacchio, di sesamo e di noci, farciti e ricoperti di cioccolato, speziati o al liquore. Ma voi avete mai provato a farlo a casa?

Il torrone. La storia e le varianti

Il panettone e il pandoro questo Natale, come tutti i Natali a partire dagli anni Sessanta, da quando cioè si sono diffusi su tutto il territorio nazionale, si contenderanno la tavola delle feste. Eppure, non tutti sanno che il dolce storicamente più legato alle feste di fine anno è il torrone. Che a differenza del panettone, nato milanese, e del pandoro, veronese di origine, fa parte del patrimonio dolciario di tutto il Mediterraneo. Secondo alcuni è nato nell’antica Roma, secondo altri in Cina da dove, tramite gli Arabi, sarebbe giunto nel bacino del Mediterraneo. Non a caso la tradizione di questo dolce appartiene anche a Spagna, Grecia e Francia. Più o meno gli stessi ingredienti, fondamentalmente tre: frutta secca, miele e albume. Ma solo in Italia c’è una così allargata e colorata famiglia di torroni che segue la vocazione e la disponibilità della frutta in guscio del territorio. In Piemonte, patria della nocciola tonda e gentile delle Langhe Igp, è a base di nocciola. Di mandorla in tutto il Veneto, a Cremona (dove il torrone sarebbe nato ufficialmente nel 1441, in occasione delle nozze di Bianca Maria Sforza Visconti e Francesco Sforza) e in Puglia, dove la mandorla di Toritto, in provincia di Bari, è tutelata da un Presidio. In Campania si gioca il derby tra la squadra dei nocciolati (nell’Avellinese e nel Salernitano, zone di nocciole di Giffoni Igp e dell’Alta Irpinia) e dei mandorlati (specie a Benevento). In Sicilia, da dove provengono le mandorle di Noto e di Avola e i famosi pistacchi di Bronte, stupisce con una grande gamma di prodotti, tra i quali la giurgiulena al sesamo, chiamata giuggiulena o cubbaita.

Ma è un prodotto che si può preparare a casa? Lo abbiamo chiesto a Pietro Scaldaferro, artigiano di quarta generazione (l'azienda è nata a Mira nel 1919), di quelli che ci mettono non solo la selezione delle materie prime e la cura nella lavorazione, ma anche l’anima. Il suo non è un mandorlato canonico, piuttosto sono dei fiocchi friabili leggermente ambrati dal sapore straordinario. E molto probabilmente inarrivabile se ci si dovesse cimentare a casa nella preparazione.

Come farlo a casa

Ma la curiosità è tanta, così abbiamo chiesto al signor Scaldaferro se è fattibile un torrone home made: “Certo, si può fare in casa, ma bisogna avere uno strumento essenziale: il termometro da cucina. Meglio se avete anche la planetaria. Riesce poi più facilmente un torrone morbido che uno friabile, perché questo dovrebbe essere cotto a bagnomaria per molte ore. Quanto alla ricetta, la nostra ha dei particolari accorgimenti tecnici e capirete che non posso divulgarla, posso solo consigliare l'utilizzo di miele siciliano e mandorle pugliesi”. Così, una volta appurata la fattibilità ci siamo rivolti a Maurizio Santin, chef pasticcere, meglio conosciuto come il Cuoco Nero, volto di Gambero Rosso Channel. Ecco la ricetta.

Ingredienti:

500 g di mandorle intere tostate

200 g di nocciole intere tostate

300 g di miele

300 g di zucchero

100 g di acqua

100 g di scorze di arancia e cedro canditi a cubetti

la scorza di 1 limone tritata finemente

3 albumi

2 fogli di ostia molto grandi

Preparare una meringa italiana nella planetaria con gli albumi e lo sciroppo di acqua e zucchero. Continuando a montare unire il miele bollente (scaldato a bagnomaria fino a 120° C) versandolo a filo e continuare a lavorare la meringa fino al completo raffreddamento. Aggiungere il resto degli ingredienti amalgamando delicatamente con una spatola. Quando il composto è omogeneo, versarlo su un foglio di ostia e spianarlo con una spatola da pasticceria leggermente bagnata d’acqua. Coprire con l’altro foglio di ostia e pressare il torrone con il mattarello arrivando ad uno spessore di 2 cm. Ritagliare nella classica forma rettangolare e conservare all’asciutto.

 

Torronificio Scaldaferro | Dolo (VE) | via Ca' Tron, 31 | tel. 041 410467 | www.scaldaferro.it

 

a cura di Annalisa Zordan

Giro di bicchieri e ristoranti italiani a Mosca, Varsavia e Zurigo

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Non sono bastati la crisi del rublo e l'embargo a far passare la voglia russa di Italia: il Gambero Rosso porta i vini del Belpaese a Mosca e premia i migliori ristoranti italiani in città

Mosca, dove il vino italiano non è mai stato secondo a quello francese

Nonostante il peggioramento del livello di cambio tra rublo ed euro l’Italia mantiene la leadership assoluta tra i Paesi esportatori di vino in Russia. Con oltre 180 milioni di vino in valore mantiene il primato su Francia e Spagna, rispettivamente a quota 112 e 100. Purtroppo il livello corrisponde a quello del 2010 dato che, dopo il 2013, anno del boom in cui l’Italia superò i 260 milioni in valore esportato, si è perso tutto quanto conquistato. La consolazione è che la situazione è condivisa da tutti i Paesi importatori e che l’andamento non ha per nulla a che vedere con la percezione del vino italiano, che rimane quello maggiormente considerato, ma con l’andamento del valore della moneta russa, strettamente connesso con quello delle materie prime, prima e grande fonte economica del Paese. L’Italia mantiene le posizioni soprattutto su vini imbottigliati e spumanti, di cui copre oltre il 60% dell’import russo.

L’evento Tre Bicchieri, alla sua quinta edizione - sono invece già otto gli anni passati dal primo evento Gambero Rosso sul vino a Mosca - ha contato la presenza di 2000 persone, tra trade e appassionati, provenienti dall’intero paese. “È fuori discussione che questo sia l’evento del vino italiano per il mercato russo” dice Dmitry Fedotoff, giornalista e membro del board dell’Unione dei viticoltori e produttori russi che, insieme a Eleonora Guerini, ha condotto le due masterclass: una sui Premi Speciali della Guida Vini d’Italia 2017 e l’altra sui vini del Consorzio Prosecco. “Nessun altro” continua Fedotoff “ha pari valenza e attrattiva, per il numero dei produttori presenti ogni anno e per il valore dei vini in assaggio. L’Italia e il Made in Italy esercitano un fascino straordinario, non è un caso che la cucina italiana e il vino italiano siano considerati i più ambiti e quelli che non temono rivali. Ci sono molti mercati importanti in cui la Francia mantiene storicamente il primo posto tra i Paesi importati ma non qui. L’Italia mantiene saldo il suo primato da tantissimi anni. Questo è un momento complicato per via del cambio sfavorevole ma bisogna continuare a insistere e farsi trovare pronti appena le cose torneranno a marciare spedite”.

 

Mosca. I ristoranti premiati

La tappa di Mosca è l’occasione per fare il punto sul momento della ristorazione italiana in città. Nonostante l’embargo, negli ultimi anni la cucina italiana ha fatto un notevole balzo in avanti in città. Ecco alcune anticipazioni della nostra guida Top Italian Restaurants in the World, annunciate durante la cerimonia d’apertura. Si parte con un locale unico nel suo genere: Balzi Rossi, il satellite del celebre ristorante a Ventimiglia. Grazie alle qualità dello chef Emanuele Mongilllo, e il suo team di cucina interamente italiano, nello specifico campano, il ristorante strappa le Tre Forchette Tricolore, il massimo punteggio. “Balzi Rossi è un luogo particolare. Qui nessuno parla russo, il servizio di sala è francese, mentre la cucina è tutta italiana”, ci racconta Emanuele. La sua è una cucina mediterranea con qualche influsso internazionale che si porta dietro dalle esperienze in Asia e in Australia. In un ambiente da club, con luci che cambiano colore, jazzisti e acrobate che divertono il pubblico, Emanuele è riuscito a mantenere un’offerta di carattere, identità e integrità dei sapori. Raggiungendo un livello che non ci si aspetterebbe in un tale contesto. Tra i piatti da non perdere, una felicissima rivisitazione del polpo e patate e dei golosissimi ravioli di coniglio.

Cambiamo storia. Il premio per la migliore pizza in città spetta a Valentino Bontempi, bresciano, dal 2005 a Mosca. Dopo aver aperto il suo ristorante e scritto diversi libri, ha deciso di riproporre l’idea della pinsa romana, bassa e fragrante, utilizzando farine biologiche, una lunga lievitazione e ingredienti di qualità a prezzi accessibili. La sua Pinzeria by Bontempi è un locale solido, centratissimo: attorno alla pinsa, gira una valida selezione di primi, zuppe, secondi e nuove proposte quotidiane.

Infine, il premio per la migliore carta dei vini ci riconduce sul percorso di un altro grande cuoco italiano: Nino Graziano, palermitano, un autentico apripista tra i nostri talenti italiani nel mondo. È alla guida di diversi ristoranti russi, tra i quali Semifreddo dove, oltre all’ottima cucina, abbiamo pescato una carta di vini italiani fenomenale per profondità, ricerca e articolazione. Grazie al sistema Coravin, si possono ordinare al bicchiere Sassicaia, Ornellaia e molti altri campioni dell’enologia tricolore. Si tratta di una selezione curata e appassionata capace di accogliere classici e prodotti di nicchia, sfoggiando un portafoglio di Barolo e Barbaresco da incorniciare. I ricarichi sono russi, ovvero decisamente salati secondo i nostri standard. E non mancano le nuove aperture che monitoreremo con attenzione, su tutte il ristorante Ovo all’interno dell’Hotel Lotte, il primo ristorante all’estero aperto da Carlo Cracco da poche settimane. Prende il posto di un ristorante francese: a conferma della forte inversione di tendenza che stiamo riscontrando a livello internazionale.

 

Varsavia. Il mercato più dinamico dell'Est Europa

A Varsavia, tappa del tour Vini d’Italia Experience, l’aria era frizzante nonostante la nebbia. Non è un mistero per nessuno che, tra i Paesi dell’Europa dell’Est, la Polonia sia il più dinamico e vitale, con investimenti del governo rilevanti su servizi e infrastrutture che attraggono sempre maggiori investitori e turismo. Una ventina di aziende presenti all’evento, arricchito dalla presenza di formaggi e salumi offerti da Nuova Castelli di Reggio Emilia, che ha richiamato 500 persone circa, 50 della quali hanno potuto assistere alla masterclass dedicata ai vini delle aziende presenti, in un ipotetico Giro d’Italia tra vitigni e denominazioni diverse. Tomasz Prange, direttore di Wino Magazyn, ci dà uno spaccato molto interessante sul mercato polacco: “In dieci anni di presenza nell’Unione Europea il mercato del vino è cambiato in modo sensibile. I polacchi sono storicamente bevitori – e produttori – di vodka e birra. E per quanto ancora rimangano tali è innegabile che a oggi il vino sia la scelta più trendy, colta e raffinata. Accompagnata da una curiosità che credo non sia così facile trovare altrove. Le persone sono molto aperte, assaggiano tutto, senza preconcetti e assunti. E il vino italiano rimane una delle opzioni preferite, senza ombra di dubbio”. A oggi il problema rimane il cambio sfavorevole, ma è indubbio che con l’economia in espansione il futuro è roseo.

 

Zurigo, dove l'Italia è di casa

Anche a Zurigo la tappa del Gambero Rosso faceva parte del tour Vini d’Italia Experience. Oltre quaranta aziende in degustazione, accompagnate dai prodotti della Surgital, in una delle cornici più eleganti ed esclusive della Svizzera, Paese che da sempre rappresenta uno dei mercati più interessanti per il vino italiano, per continuità geografica e grazie a un grande movimento migratorio negli anni Settanta che ha portato la ristorazione italiana - da sempre grande volano per il vino italiano - a rappresentare la scelta qualitativamente più valida. Quarto mercato di esportazione per i nostri vini, la Svizzera rappresenta uno dei maggiori successi commerciali dagli ultimi dieci anni per il vino italiano. Poco superiore al 30% nel 2006 (con la Francia che superava il 40%) oggi supera il 35% (con la Francia scesa al 32%) ed è leader indiscussa con la sola eccezione dei vini spumanti. Insomma, un mercato da tenere bene sotto osservazione.

 

 

Balzi Rossi | Russia | Moskva 123242 | Kudrinskaya pl., 1 | www.balzi-rossi.ru

 

Pinzeria by Bontempi | Moskva 119019 | Bolshoy Znamenskiy Lane, 2, стр. 3 | www.pinzeria.ru

 

Semifreddo | стр. 55, Moskva 119021 | ul. Timura Frunze, 11 | www.semifreddo-group.com

 

 

a cura di Eleonora Guerini e Lorenzo Ruggeri

Tenzone del Panettone 2016. Vince la vasocottura di Denis Dianin, per la tradizione bene Tagliazucchi e Servi

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La quinta edizione di questa singolare sfida è andata in scena alle porte di Parma: 90 giurati per dirimere la scelta tra 50 panettoni artigianali in arrivo dalle migliori pasticcerie d'Italia. Oltre ai classici, premiati i più innovativi, la migliore Pastry Queen e i più convincenti pasticceri under 30. 

La sfida dei panettoni

Lontani i tempi dei duelli cavallereschi organizzati per il piacere di qualche signorotto locale, la terra delle corti emiliane onora ben altra tradizione, quella gastronomica, con una sfida a singolar tenzone che oppone i panettoni di 50 maestri pasticceri italiani. Per la Tenzone del Panettone, ideata da Massimo Gelati Vittorio Brandonisio nel 2011, è la quinta edizione organizzata per celebrare i migliori grandi lievitati per le feste natalizie, secondo una formula ormai consolidata che attribuisce svariati premi di categoria. Quello che cambia è il punto di incontro, alle porte di Parma, per la prima volta ospiti del relais Circolo del Castellazzo, dove fino a qualche ora fa una giuria di esperti si è cimentata con l'assaggio di panettoni tradizionali e innovativi, assegnando tra gli altri anche il Junior Pastry Award alla migliore prova di un pasticcere under 30 e tanti insoliti riconoscimenti come il premio rosa per la Pastry Queen, la medaglia al miglior packaging, l'Opera Award per chi ha saputo utilizzare un'eccellenza del territorio come l'aceto balsamico nell'elaborazione di un panettone creativo. Fondamentale il compito della giuria (due, per dir la verità: al giudizio tecnico di giornalisti, critici e addetti ai lavori, quest'anno si è aggiunto il parere della giuria di qualità, composta da gourmet e personalità diverse), che per decretare le terzine vincenti di ognuna delle batterie principali – Tradizione, Innovazione, Junior Pastry – ha valutato gusto, forma, colore, qualità, ingredienti, profumo, sofficità, taglio, alveolatura, distribuzione uniforme della frutta e cottura.

I concorrenti, il regolamento

Di rigore la specifica sulla condicio sine qua non per prendere parte alla tenzone: tutti i panettoni in gara sono rigorosamente artigianali, realizzati senza ingredienti che ne prolunghino artificialmente la conservazione, niente semilavorati che ne facilitino la produzione artigianale, omogeneizzandone i sapori, né lieviti disidratati e mix. Tra i contendenti passati sotto il giudizio incrociato anche celebri nomi della pasticceria nazionale, da Sal De Riso Vincenzo Tiri, da Attilio Servi Claudio Gatti, da Andrea Tortora a Salvatore Gabbiano, Ezio Marinato; e nel consesso di nomi eccellenti particolare riguardo è stato dedicato alla pasticceria al femminile, spesso ignorata (o ben poco rappresentata) in queste competizioni. Tra le partecipanti in gara per il titolo di pastry queen del panettone Carmen Vecchione, Stella Ricci, Paola Ziliani, Micol Pisa ed Eleonora Franco, Laura Coletti. Tra le giovani leve Giuseppe Lombardo, Luca Rubicondo, Angelo Mattia Tramontano, Alessandro Gaido, Chiara Gastaldo. Tutti insieme – in rappresentanza di una tradizione dolciaria legata al panettone che ormai ha travalicato i confini regionali - per allestire un banchetto delle grandi occasioni, che al termine della manifestazione è arrivato sui banchi della mensa dei poveri del Convento dell'Annunciata di Parma. A seguire i vincitori suddivisi per categoria:

 

I migliori 10 panettoni tradizionali

Valter Tagliazucchi

Attilio Servi

Alessandro Masia

Andrea Tortora

Salvatore Gabbiano

Mauro Scaglia

Andrea Urbani

Ezio Marinato

Massimo Adami

Emanuele Lenti

 

 

I migliori 10 panettoni innovativi

Denis Dianin

Alessandro Gaido

Grazia Mazzali

Giuseppe Lombardo

Germano Labbate

Diego Poli

Armando Palmieri

Gabriele Ciacci

Vincenzo Faiella

Angelo Mattia Tramontano

 

La top 10 assoluta

Denis Dianin

Valter Tagliazucchi

Attilio Servi

Alessandro Masia

Andrea Tortora

Alessandro Gaido

Salvatore Gabbiano

Mauro Scaglia

Andrea Urbani

Ezio Marinato

 

Under 30

Alessandro Gaido

Giuseppe Lombardo

Angelo Mattia Tramontano

 

Pastry Queen

Pina Toscani

Grazia Mazzali

Paola Ziliani

 

www.tenzonedelpanettone.it 

 

a cura di Livia Montagnoli

Per le festività in Italia si stapperanno 62 milioni di bottiglie. E le bollicine italiane piacciono anche all’estero

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Positive le stime dell'Osservatorio del vino sui consumi di Natale e Capodanno. L'estero (+24%) premia gli spumanti di qualità. Si berrà soprattutto Prosecco, ma c'è dinamismo anche tra le altre Doc e Docg, dalla Franciacorta al Trento Doc. 

La buona annata delle bollicine italiane

Bollicine italiane in decisa crescita per queste festività. L'Osservatorio del vino stima in 62 milioni di bottiglie da 0,75 litri il consumo di spumanti italiani nel nostro territorio, in aumento del 10% sullo scorso anno; parallelamente, all'estero si prevede un consumo di 158 milioni di bottiglie, con un lusinghiero +20%; nello stesso periodo, l'Italia importerà quasi 3,5 milioni le bottiglie dall'estero. Un quadro nel complesso buono per questo segmento del vino made in Italy, in vista di uno dei periodi più attesi dell'anno dal punto di vista commerciale. A guardare poi la produzione, se saranno confermate le tendenze registrate tra gennaio e settembre, il 2016 potrebbe chiudersi per la spumantistica nazionale a quota 625 milioni di bottiglie, ovvero 4,69 milioni di ettolitri e +18% di aumento sul 2015; allo stesso tempo, le esportazioni dovrebbero superare quota 450 milioni di bottiglie, pari a 3,4 milioni di ettolitri.

 

Il mercato degli spumanti Doc

"La famiglia degli spumanti italiani rappresenta un record di biodiversità e ricchezza organolettica", afferma il presidente di Uiv, Antonio Rallo, ricordando le 153 tipologie Doc, le 18 Docg e le 17 Igt che compongono la gamma delle bollicine italiane. Le vendite fuori confine sono trainate in particolare dagli spumanti Doc. Questa categoria, in particolare, cresce del 23% a volume e del 29% a valore, secondo le stime dell'Osservatorio su dati Ismea, con un'importante performance del Prosecco (+28% a volume e +38% a valore). Nel solo periodo gennaio-settembre, le esportazioni di vino italiano hanno superato i due milioni di ettolitri, con incrementi a due cifre nei dodici mesi (base annua): +21% a volume e +24% a valore. Confermato anche il dinamismo delle tipologie minori, che rappresentano comunque oltre il 20% della produzione italiana. Tra queste, per citarne alcune, Franciacorta, Trento Doc, Oltrepò Pavese. "I nostri spumanti" aggiunge Rallo "stanno conquistando nuovi consumatori, stimolano modalità e occasioni di consumo innovative e moderne, rivelandosi un eccellente apripista per gli altri vini di qualità del nostro Paese".

I dati sulle vendite estere sorridono in modo particolare agli spumanti di qualità. Quelli "comuni", infatti, segnano un +7% in quantità ma perdono il 3% del valore rispetto allo scorso anno; gli spumanti "varietali" sono in flessione rispettivamente dell'1% e del 2%.

 

Export. Regno Unito e Usa in testa

I clienti principali delle bollicine italiane restano quelli anglosassoni: il Regno Unito, primo mercato di destinazione, che in nove mesi ha visto crescere i valori del 46%, a 236 milioni di euro, per un quantitativo pari a circa 700 mila ettolitri (+30%); seguito dagli Stati Uniti, dove l'export italiano vale oltre 185 milioni di euro (+31% sul 2015) e un incremento in quantità del 23%, a 465 mila ettolitri. Sul fronte europeo, la Francia ha importato tra gennaio e settembre 28 milioni di euro di spumanti italiani, aumentando le richieste del 75%, per una spesa cresciuta del 57%. Anche la Spagna mostra più interesse per le nostre bollicine con un aumento a valore del 71%. Spumanti italiani in terreno positivo anche sui canali tradizionali del mercato interno: nella grande distribuzione organizzata, le vendite risultano in aumento del 13% in quantità, per una spesa corrispettiva che sale del 15%.

 

a cura di Gianluca Atzeni


Frutta secca per Natale: da dove viene, quanto costa, quale acquistare

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Il Natale si avvicina e così anche il momento degli acquisti e della spesa per pranzi e cene delle feste. A fine pasto, immancabile sulle tavole degli italiani è il cesto di frutta secca con noci, nocciole, mandorle, fichi, datteri. Ma come si riconosce la frutta secca di qualità? Ecco i consigli degli esperti e una golosa ricetta per il panforte.

Panettoni, pandori, torroni e frutta secca: sono gli immancabili del Natale, i prodotti che chiudono, secondo tradizione, i pranzi o le cene dei giorni di festa. Le ceste colme di frutta secca, dalle noci alle mandorle, dalle nocciole ai datteri, accomunano le case degli italiani nel periodo natalizio. Ma quanto veramente sappiamo su questi prodotti? Dove si acquistano i migliori? Come è stata l'annata 2016? Per chiarire un po' di dubbi, abbiamo chiesto il parere a due esperti del settore, Giorgio Pace di Piccola Bottega Merenda e Luigi Scorrano, proprietario (insieme al fratello Andrea) di Pomarius. Due botteghe romane di alto livello, specializzate in ortofrutta, fresca e non solo. Con loro, abbiamo cercato di capire di più riguardo a prezzi, aree di provenienza e differenze fra i vari prodotti. Abbiamo chiesto poi consigli anche ai fratelli Cherchi di Cagliari, da anni un punto di riferimento per tutti gli appassionati del capoluogo sardo, e a Opera Waiting, laboratorio di pasticceria di Siena che ha, fra le sue specialità, il panforte, dolce a base di frutta secca.

2016: un'annata difficile

Proprio come per tutti gli altri prodotti della terra, anche la frutta a guscio ha bisogno di particolari cure e può essere danneggiata da repentini cambi di temperatura e condizioni meteorologiche particolarmente avverse. Per cui, prima di scegliere la frutta secca da portare in tavola, quest'anno, è bene tenere a mente una cosa: l'annata che si è appena conclusa non è stata delle migliori. Il clima eccessivamente caldo dell'inverno, unito all'intenso mese di pioggia fra aprile e maggio, ha fatto dapprima essiccare e poi marcire la frutta, noci in primis. E di quella scampata al maltempo, molta è stata mangiata dai cinghiali. C'è stato poi l'attacco della mosca della noce, Rhagoletis, un insetto che danneggia i frutti dell'albero sviluppando le larve all'interno del mallo. Una volta rovinato, il mallo aderisce al guscio e il liquido nero rilasciato dai tessuti in disfacimento spesso macchia anche il gheriglio. Inoltre, i vasi conduttori che portano nutrimento al seme cessano di funzionare, con conseguente raggrinzamento del gheriglio stesso e sviluppo di muffe. Naturalmente, ci sono anche aziende che sono riuscite a salvare il raccolto, ma la produzione resta comunque limitata. La maggior parte della frutta secca in vendita, dunque, viene acquistata dai commercianti presso i fornitori nazionali, che spesso prendono le materie prime dall'estero.

La tracciabilità e i prezzi

La problematica maggiore legata alla frutta secca è infatti la tracciabilità: “In un'annata del genere bisogna stare più attenti del solito. O si acquista dal comune di Grenoble, in Francia, dove c'è l'unica Dop europea per le noci, oppure ci si mette alla ricerca di un bravo produttore preparato”, spiega Giorgio Pace. Perché “è faciletrovare un fornitore, molto più difficile è trovare un prodotto tracciato e sicuro”. Ci sono poi materie prime estere certificate biologiche, “ma questo non garantisce sulla qualità dell'intero processo produttivo. La coltivazione può anche essere bio, ma gli altri passaggi della filiera restano nebulosi e poco chiari”.

Per essere più sicuri del nostro acquisto, un dato da considerare – anche se non è sempre sinonimo di qualità – è il prezzo. Quanto deve costare un chilogrammo di noci? “In un'annata del genere è impossibile trovarle sotto gli 8 euro al kg. Se costano meno, probabilmente non sono di buona qualità”. Il prezzo delle mandorle invece non deve essere inferiore agli 8/9 euro al kg, mentre per le nocciole, “che aumentano ogni anno”, siamo attorno ai 25 euro al kg. In ultimo i fichi secchi, altro prodotto molto acquistato durante le feste, dovrebbero costare almeno 16 euro al kg.

Noci, nocciole e mandorle

Al momento, sto aspettando delle noci particolari da un produttore di Poggio Catino (in provincia di Rieti), Amedei, che è riuscito a recuperare una varietà antica, un'antenata della noce americana. Abbiamo fatto innestare degli alberi e stiamo cercando di riportare in vita questa produzione”, racconta Giorgio. Il duo di Pomarius invece si rifornisce dal Consorzio noci di Nogalba, in provincia di Rovigo. “In particolare, abbiamo la noce Lara, una varietà molto pregiata perché più oleosa e morbida”.

Per le nocciole invece, Giorgio fa affidamento a un produttore biodinamico di Zagarolo, vicino Roma, “una zona dove stanno lavorando particolarmente bene per quanto riguarda l'agricoltura biologica e biodinamica”. Le mandorle sono sempre quelle dell'azienda agricola Il Mandorleto di Maurizio Stellino, “nostro fornitore di fiducia da 4 anni”. Si tratta di frutti “coltivati naturalmente, ricchi di latte e molto dolci. Unici nel loro genere”. Tanto da dover essere prenotate 6/7 mesi prima del Natale. Da Pomarius si trovano invece quelle tostate a legna da una torrefazione di frutta secca di Alezio, in provincia di Lecce, non lontano da Gallipoli. È Porcino, azienda attiva dal '91 che produce frutta disidratata, candita, fichi mandorlati e molte altre specialità del territorio. Ci sono poi le mandorle d'Avola, note per il loro aroma e gusto intenso e la tipica forma piatta. La pasticceria Opera Waiting utilizza quelle di Lorenzo Nastasi dell'omonima azienda nata nel 1928, “semplicemente squisite”. In Sardegna – e più in generale nel Meridione – è molto diffusa anche la tradizione delle mandorle salate. Al bancone della gastronomia I CherChi di Cagliari si trovano quelle di diversi piccoli produttori locali, salate e non, insieme a noci californiane, “che hanno un ottimo rapporto qualità/prezzo”, nocciole del Piemonte Igp e quelle tostate dell'azienda Parisi nella provincia di Napoli.

Fichi, datteri e mix di frutta

Durante le feste, non possono mancare anche fichi secchi e datteri. Quest'ultimi, nella maggior parte dei casi, provengono dall'estero: “I datteri migliori sono quelli israeliani”, dice Luigi. E aggiunge: “Ci si può rifornire al Mercato Ortofrutticolo di Guidonia, a un passo da Roma, dove arrivano dopo un'attenta preselezione”. I fratelli Cherchi invece prediligono quelli tunisini, “dolci e aromatici”, ma esistono anche quelli made in Italy, specifica Giorgio: “La Calabria è una regione produttrice di datteri, soprattutto la zona di Cosenza. Ma le quantità non sono sufficienti per soddisfare le esigenze di tutti”. Per i fichi invece, da Piccola Bottega Merenda si trovano quelli dell'azienda Lugin del Südtirol, che realizza anche mele disidratate, pere, prugne, fragole, albicocche e un mix di frutta secca. E poi i fichi bianchi con alloro e finocchietto dell'azienda cilentana Aura, “una vera specialità per stupire gli ospiti a fine pasto”. Luigi invece fa affidamento alla realtà calabrese Colavolpe, da anni un punto di riferimento per i fichi secchi (di produzione propria) disponibili anche ricoperti al cioccolato, sotto spirito con grappa e limone, melassa di fichi, e le crocette con noci e scorzette di cedro fresco.

I dolci con la frutta secca

E con la frutta secca si possono preparare diverse specialità dolci di Natale, a cominciare dal panforte di Siena, per finire con il panpepato, tipico di Terni e Ferrara, e poi ancora torroni, nella versione bianca oppure quella nera al cioccolato, barrette e croccanti. Giorgio offre poi biscotti con frutta secca a cura del laboratorio Suljma di Marino (in provincia di Roma), gestito da Alessandra Ripanti: a realizzati con farine di grani antichi macinati a pietra e frutta biologica. Per i panforti invece, “stiamo aspettando quelli di Opera Waiting di Poggibonsi, squisiti”.

La ricetta

E direttamente da Siena, arriva la ricetta originale del panforte, dolce natalizio con frutta secca per antonomasia. A fornircela è Peccati di Gola, pasticceria segnalata con le Due Torte nella nostra guida Pasticceri e Pasticcerie d'Italia 2017. Il panforte affonda le sue radici nell'anno Mille, quando i farmacisti dell'epoca iniziarono a unire insieme bucce di arancia, cedro, melone con mandorle e spezie. Verso la fine dell'Ottocento, uno speziale di Siena preparò in occasione della visita della regina Margherita un panforte senza melone e ricoperto di zucchero. Nacque così il panforte Margherita, nome con cui è ancora oggi conosciuto il dolce fra gli abitanti di Siena.

Ingredienti

540 g. di zucchero

175 g. di acqua

500 g. di scorzette di arancia candita

420 g. di scorzette di cedro candito

50 g. di miele

400 g. di farina 00

626 g. di mandorle

20 g. di cannella

1 bacca di vaniglia

fogli di ostia q.b.

Versare l'acqua in un pentolino, aggiungere lo zucchero e portare a bollore. Aggiungere i canditi e cuocere a una temperatura di circa 110°C. A fuoco spento, unire miele, farina, mandorle, cannella, vaniglia e mescolare. Una volta ottenuto un impasto omogeneo, versarlo in stampi da forno foderati con i fogli di ostia e cuocere in forno a 180°C per circa 15 minuti.

a cura di Michela Becchi

I produttori

Colavolpe | Belmonte Calabro (CS) | piazzale Nicola Colavolpe | tel. 0982 47017 | www.colavolpe.com/

Il Mandorleto | Enna | Strada Vicinale Gerace 166 | www.ilmandorleto.it/contattaci/

Lorenzo Nastasi & C. | Avola (SR) | corso Gaetano d'Agata, 18 | tel. 348 7407960 | lorenzonastasi.it/contatti.php

Parisi | Somma Vesuviana (NA) | via Macedonia, 64 | tel. 081 8931091 | www.parisispa.com/

Porcino | Alezio (LE) | via Fratelli Bandiera, 6 | tel. 328 5874440 | porcinotorrefazione.com/contatti/

 

Novità da New York: Brooklyn perde le sue stelle. Chef's Table trasloca a Manhattan, chiude Luksus

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Con il trasferimento della cucina pluripremiata di Cesar Ramirez, Brooklyn perde l'unica insegna tristellata, che si trasferisce nella seconda sede del celebre store Brooklyn Fare. Intanto nel quartiere chiude anche Luksus, la cucina nordica e stellata di Daniel Burns. 

Il tavolo dello chef più esclusivo di New York

È una sciame di stelle quello che negli ultimi giorni sta interessando il distretto di Brooklyn alla volta di nuove destinazioni. Da molti anni la ristorazione newyorkese è prodiga di insegne dedicate agli amanti delle tavole gourmet, anche quando si tratta di scovarle negli spazi più impensati. Come lo Chef's Table at Brooklyn Fare, la cucina che ha saputo conquistare ben tre stelle (dal 2011) crescendo in seno al grocery store di Schermerhorn Street, Dowtown Brooklyn. Oggi il ristorante condotto dallo chef Cesar Ramirez è una delle insegne più acclamate d'America, e parte del suo successo lo deve proprio alla formula scenografica che di uno spazio ridotto ha fatto il proprio punto di forza: fino a qualche giorno fa tutto avveniva nell'open space dove i commensali – seduti intorno al banco a ferro di cavallo – godevano di uno scambio immediato con la cucina a vista. Solo 18 posti, e prenotazione quasi impossibile, a meno di non muoversi con largo anticipo (6 settimane come minimo). Ma la fine del 2016 porta grandi novità, al passo di un trasferimento (annunciato da tempo) che il tavolo dello chef più ambito di New York lo ricostruisce a Manhattan, dove dal 2013 esiste un succursale dello storico gastrostore Brooklyn Fare.

Il trasloco di Chef's Table. Si riapre a Manhattan

Assecondando gli auspici di molti, infatti, il proprietario del brand, Moe Issa, ha confermato qualche giorno fa l'apertura di uno Chef's Table a ridosso del complesso di Midtown West, dove in origine avrebbe dovuto trovare spazio un nuovo format guidato dallo chef Jared Sippel. E invece la sorpresa dell'ultimo secondo è arrivata con il trasloco del primo e unico Chef's Table in città quello di Cesar Ramirez, che tale rimarrà fino a contrordine, nonostante le prime indiscrezioni già anticipino una riapertura dello spazio di Brooklyn dopo un rinnovamento locali che si protrarrà per le prossime settimane, portando novità anche nella formula di ristorazione, probabilmente una cucina di stampo mediterraneo affidata al team dello chef. Per ora i fedelissimi dell'insegna possono ritrovare l'anima dello Chef's Table sulla 37esima di Manhattan, con qualche minima novità dovuta al cambio di location: oltre ai 18 coperti al banco, il nuovo spazio può accogliere altri 16 commensali, seduti ai tavoli che trovano posto in sala. In degustazione un menu da 13 portate, ispirato alla cucina francese come alle influenze orientali e giapponesi che hanno reso celebre la cucina di chef Ramirez, dalla carne di manzo Wagyu al riso con tartufo bianco, dal granchio imperiale con Granny Smith e pere all'aragosta con ravanelli e alghe kelp. Costo per cenare in uno dei ristoranti più esclusivi della città, anche dopo il trasloco, 330 dollari, bevande escluse.

 

Chiude il Luksus

E così mentre il trasferimento di Chef's Table lascia sguarnito il borough di Brooklyn di insegne tristellate, nel quartiere si annuncia un altro terremoto gastronomico da non sottovalutare. Il prossimo 31 dicembre anche la cucina stellata di Daniel Burns prenderà un'altra strada. Lo chef arrivato in città dai Paesi Scandinavi dopo l'alunnato presso il Noma e poi nel team di Momofuku era approdato a Brooklyn nel 2013, con l'apertura di Luksus, la tavola nordica nascosta dietro il Greenpoint Beer Bar Torst. L'anno successivo, era il 2014, la proposta di Burns aveva meritato la stella, facendo parlare di sé soprattutto per l'assenza di una carta dei vini: peculiarità del ristorante, sin dalle origini, l'idea di valorizzare l'abbinamento tra cucina gourmet e birra. Proposta convincente per gli ispettori della Rossa, che finora hanno continuato a premiare l'insegna. Ora però lo chef ha confermato la decisione di dedicarsi a nuovi progetti, ancora da definire, e così, tra qualche settimana, Brooklyn perderà un'altra insegna stellata. La birreria, invece, resterà aperta. Magra consolazione per chi è in cerca di una tavola fine dining.

Chef's Table at Brooklyn Fare | New York | Manhattan, 431 West 37thStreet | www.brooklynfare.com/pages/chefs-table

 

a cura di Livia Montagnoli

La Siriola. Tre Forchette in Alta Badia

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Lui è un giovane chef triestino, ma in Alta Badia ha trovato casa. E ha saputo risollevare le sorti di uno storico ristorante altoatesino: la Siriola dell'Hotel Ciasa Salares. Che grazie a Matteo Metullio riconquista le Tre Forchette nella guida Ristoranti d'Italia 2017 del Gambero Rosso.

La Siriola

È l'inverno tra il 1989 e il 1990 quando la famiglia Wieser apre l'Hotel Ciasa Salares. All'epoca puntare sulla grande ristorazione, in una località montana, non è per niente scontato. Invece la decisione di investire sulla cucina d'autore è nata subito, ed è stata vincente. Sin da metà degli anni '90 per La Siriola sono arrivati il favore della clientela e i riconoscimenti della critica: le Tre Forchette del Gambero Rosso e la Stella Michelin.

Da lì in poi le cose però non sono andate avanti in modo costante. Dopo il primo chef Corrado Fasolato, che ha portato il ristorante sul gradino più alto della guida del Gambero Rosso, le cose hanno registrato qualche incertezza, e per ben due volte abbiamo deciso di sospendere la valutazione in guida per un cambio chef che non lasciava intuire l'andamento successivo. È successo dopo l'uscita di Claudio Melis, che aveva sostituito Fasolaro a metà degli anni zero, e dopo l'uscita di Fabio Cucchelli, nel 2013. Ogni volta un punto interrogativo sul futuro di questa cucina così in vista in Alta Badia. E ogni volta una bella conferma, talvolta scalfita da qualche imprecisione. Così tra cambi in cucina, sospensioni di giudizio e altri alti e bassi, è dal 2005 che la Siriola manca all'appuntamento con le Tre Forchette.

Matteo MetullioMatteo Metullio

Matteo Metullio

Le ha riconquistate quest'anno, dopo un 2016 in cui ci ha pienamente convinto che la direzione intrapresa dal nuovo chef è quella buona, capace di riportare la struttura ai livelli che abbiamo conosciuto in epoche passate. Il merito è di questo giovane talento triestino che in Alba Badia ha trovato un posto del cuore. Matteo Metullio, classe 1989, a San Cassiano è approdato alla corte di Norbert Niederkofler al St. Hubertus dell'Hotel Rosa Alpina, dove si è fermato per 4 anni. “In Alta Badia stavo bene”. È nel pieno della stagione invernale 2012-2013 che si sposta al Ciasa Salares come sous chef. In quel momento la Siriola non vive un buon momento: “lavorava poco” dice con franchezza Metullio.

È il giovedì prima di Pasqua del 2013, a 4 giorni dalla chiusura della stagione, che lo chef annuncia che va via. Il martedì dopo, Wilma e Stefan Wieser chiamano Metullio in riunione: hanno deciso di puntare su di lui. “avevano visto dei cambiamenti nella stagione appena passata e molti clienti erano contenti” racconta Matteo. “Il signor Stefan, che è in sala, si era reso conto che forse i meriti di quei cambiamenti erano anche miei, del lavoro fatto come secondo”. Ci sono un paio di piatti, soprattutto: la tagliatella di farina di carrube con il ragù di lepre, verza brasata e affumicata e rafano fresco grattugiato e poi il club sandwich di piccione “che è rimasto in carta fino al 2014 e ancora mi chiedono”. Sono piatti simbolici di un cambiamento “la cucina di oggi non è tanto distante da quei piatti lì”.

 

La siriolaLa Siriola. Un angolo

L'arrivo come chef

Si preparano per la stagione estiva, che ha un andamento più rilassato rispetto a quella invernale. Per l'apertura di giugno “rivoluzioniamo completamente la cucina e ripartiamo da zero con una squadra giovanissima”. Insieme a lui Davide De Pra, del 1985, “ma con noi anche persone del 1994”. La proprietà è convinta di questo cambiamento, “non facile dopo 25 anni di storia”: il coraggio viene premiato.

Dal canto suo Matteo mette a segno una cucina non dimentica dell'ambente in cui si trova “stasera siamo a meno 12. Quando sei sottozero arrivi in un ristorante hai voglia di qualcosa di caldo”. Ma senza che l'ambito locale sia un recinto chiuso. Definito il proprio orizzonte di riferimento, varcati i confini di un territorio cui si sente legato ma non vincolato, fa sua una tradizione che si basa sulla scelta delle materie prime giuste, su una tecnica certa e su un fondamento, che è quello della cucina mediterranea, “ma bisogna anche giocare” aggiunge. Deciso nel reclamare la libertà di una cucina pienamente mediterranea e non solo altoatesina “anche perché non sono nato qui”.

 

Il caso dello spaghetto freddo a km 4925

La grande notorietà è legata a un primo piatto da servire freddo. È il 2014 quando lavora a una pasta che è un tuffo nell'anima gastronomica della Penisola. È la pasta di Gragnano cotta nell'acqua di pomodori San Marzano, gli scampi di porto Santo Spirito, l'olio di olive di Taggia affumicato, le uova dei contadini di San Cassiano e il basilico calabrese. Per caso la prova Maurizio Donelli che ne parla su Sette del Corriere della Sera, non prima di aver ragionato insieme su quel piatto che riunisce ingredienti che arrivano anche da posti molto lontani dall'Alta Badia. “Secondo me questi sono gli ingredienti giusti” dice al giornalista e gli spiega che, anche a costo di essere impopolare, “per me il chilometro zero non è che una parentesi del chilometro vero”. Insomma: se la migliore verza si trova a distanza ravvicinata, bene, altrimenti va a cercarla altrove, anche lontano. “Ci mettiamo a vedere quanto dista il luogo di origine di ogni ingrediente e sommiamo le distanze. Così nasce lo spaghetto freddo a km 4925”. L'articolo è pungente, la risonanza immediata. Anche per la sfrontatezza di quel giovane cuoco nell'affermare il suo No al km zero. “Tantissime persone mi hanno scritto che finalmente qualcuno diceva apertamente questa cosa, anche se non sono mancate delle critiche”.

SriolaLa SIriola. Un piatto di Matteo Metullio

Il chilometro vero

La sua presa di posizione sul chilometro zero è frutto di tante riflessioni. “Cosa trovo qui in inverno a meno 12 gradi?” si chiede. Poi aggiunge: “cucinare a chilometro zero va bene fino a un certo punto, ma fatemi capire perché è normale mangiare pesce a Milano, che fa riferimento a Genova che sta quasi a due ore di macchina, e non è la stessa cosa per noi che abbiamo Venezia, e il suo pesce, a 2 ore e mezzo?”. Insomma: rivendica la sua completa libertà “solo parte della mia cucina e dei miei ingredienti sono del territorio. Al ristorante si deve venire per stare bene e passare una bella serata, a prescindere dalla provenienza della materia prima. Poi, che interessa a un americano se la cucina è italiana o dell'Alta Badia?” dice, e aggiunge ancora: “in un ristorante servono passione, prodotti sani e di qualità, soprattutto serve onestà. E l'onestà è anche quella di dire le cose come stanno. E poi non sono un filosofo, ma un cuoco. E devo cucinare con quel che serve per fare una buona cucina”.

Aggiunge che il chilometro zero non è una cosa che ha a che fare espressamente con la cucina “ma con l'impatto che hanno i trasporti sull'ambiente”. Le domande si inseguono: perché solo in cucina questa attenzione si è trasformata in una ossessione? Perché non si fanno le stesse battaglie anche in altri settori? Perché non si fa lo stesso ragionamento per il vino? Perché al km. zero si dà un valore gastronomico? “La verità è che siamo un paese di ipocriti” conclude “ma le persone si stanno rendendo conto di essere state prese in giro”. E così quella pasta fredda è diventata il simbolo della libertà da certe forzature del politicamente corretto.

 

Dopo le Tre Forchette

Siamo molto felici del risultato” dice, a pochi giorni dalla riapertura invernale del 7 dicembre. Come sta andando? “Per ora promette molto bene”. Per la nuova stagione, tranne 4 o 5 piatti, la carta è completamente rinnovata. Rimane lo spaghetto freddo, “per me è un piatto estivo ma non riesco a toglierlo”. Ci sono poi cose come il toast di scampi e faraona affumicata con maionese di agrumi e insalata di carciofi, eredità di quel club sandwich che tanto ha segnato il percorso in cucina “cui eravamo affezionati e non volevamo abbandonare del tutto”; l'agnello servito su una crema soffice al latte di capra, camomilla, spugnole e verza alla griglia; o il tortello liquido si robiola su purea di zucca croccante all'amaretto, uova e petto di quaglia e tartufo bianco. Piatti che tracciano il profilo di una cucina di montagna, ma che hanno come riferimento l'Italia intera.

 

La Siriola dell'Hotel Ciasa Salares | San Cassiano/Sankt Kassian (BZ) | Armentarola | strada Pre de Vì, 31 | tel. 0471 849445 | www.ciasasalares.it

 

a cura di Antonella De Santis

Presentato il Piano Strategico per il Turismo 2017-2022. Ristorazione ed agroalimentare in prima linea

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È Dario Franceschini ad anticipare in Consiglio dei Ministri il Piano frutto di un processo di partecipazione tra forze che al settore turistico posso portare un contributo concreto. Si scommette sulla valorizzazione del brand Italia e sulla qualità dell'accoglienza. E l'enogastronomia gioca un ruolo fondamentale. 

L'Italia deve investire nel turismo

Diamo una rotta al futuro. È l'auspicio che incalza sulla “copertina” del Piano Strategico per il Turismo concertato dal Governo negli ultimi mesi per individuare le linee programmatiche in materia di economia del turismo relative al periodo 2017-2022. Un documento importante per un Paese come l'Italia, dove nel 2016 l'occupazione nel turismo ha coperto il 12,8% del totale nazionale, con particolare spinta nel ricettivo e nella ristorazione, che nel periodo considerato ha dato lavoro a 1,4 milioni di persone. E tanto più necessario per dotare il settore di una cornice unitaria per una gestione più coerente e ordinata, a vantaggio degli operatori professionali e di chi dell'offerta turistica fruisce ogni giorno nelle situazioni più disparate (solo nel 2016 oltre 60 milioni di visitatori dall'estero). Le leve fondamentali, si legge nell'executive summary, sono “l'innovazione tecnologica e organizzativa, la valorizzazione delle competenze e la qualità dei servizi”. Il Piano, così indirizzato, è stato presentato dal ministro del Mibact Dario Franceschini - “Un documento di svolta che rafforza l’idea di Italia come museo diffuso e, proponendo anche nuove destinazioni, individua nel turismo, sostenibile e di qualità, uno strumento di policy per il benessere economico e sociale di tutti” - in Consiglio dei Ministri e si propone l'obiettivo di rilanciare la leadership italiana sul mercato turistico mondiale.

 

Il soft power della ristorazione

Poco più di cento pagine per delineare le priorità di un settore che vale 171 miliardi di euro, con una riflessione racchiusa in 4 obiettivi fondamentali: diversificare l’offerta turistica, innovare il marketing del brand Italia, accrescere la competitività e migliorare la governance del settore. E soprattutto per quanto attiene ai primi due punti, anche l'enogastronomia nazionale può (e deve) giocare un ruolo importante, come si specifica in merito al ruolo trainante della ristorazione di qualità: “In tale ambito la ristorazione, come interfaccia diretta del turista verso il mondo dell’enogastronomia, non solo rappresenta il valore aggiunto della destinazione ma si conferma fattore propulsivo dell’intera filiera agro-alimentare. Sono molti i Paesi in Europa e nel mondo che stanno investendo sulla cucina come espressione autentica di soft power da spendere nella competizione globale sia in funzione turistica che nella più generale competizione economica. Ne deriva la necessità di mettere a punto una serie di azioni di comunicazione, promozione e marketing finalizzate a valorizzare le potenzialità della ristorazione come autentica espressione della cultura e dello stile di vita degli italiani”.

Accoglienza di qualità. L'importanza della formazione

È questo il passaggio più rappresentativo del PST in termini di valorizzazione del patrimonio e della tradizione enogastronomica nazionale, ma altrettanto importante è la specifica sulla necessità di potenziare le attività formative per innalzare la qualità dell'accoglienza; in questo contesto dovrebbe rientrare la valorizzazione degli istituti per l'enogastronomia e l'ospitalità alberghiera, nell'ottica di uno sviluppo coerente dell'alternanza scuola-lavoro, attraverso l'implementazione del sistema di stage.

Le filiere d'eccellenza, lo storytelling

E più in generale il Piano è caratterizzato dalla volontà di individuare e raccontare nuovi itinerari turistici, per valorizzare le aree emergenti attraverso un approccio interdisciplinare, che comprende anche lo sviluppo dell'asset enogastronomico (“rafforzare la tipizzazione delle offerte territoriali attraverso il riconoscimento delle autenticità”, si legge in un altro passaggio). In parallelo dovrà muoversi la valorizzazione del brand Italia attraverso la promozione delle filiere d'eccellenza, agroalimentare ed enogastronomia comprese: “I distretti produttivi possono diventare, specie per le destinazioni emergenti un richiamo in quanto luoghi rappresentativi del “saper fare” italiano. Tra l’altro, molti distretti produttivi (specie di carattere artigianale), compresi quelli agroalimentari, vivono immersi nel patrimonio storico e artistico dei nostri centri urbani, nel contesto dei quali rappresentano un’interessante testimonianza dell’evoluzione delle antiche tradizioni manifatturiere”.

E sul piano tecnico la messa a punto di una serie di strumenti di controllo e sviluppo del settore, dalla regolamentazione della sharing economy (si veda querelle su home restaurant e AirBnb) alla digitalizzazione delle aziende che operano nel turismo. C'è molto lavoro da fare. La speranza più grande è che si possa farlo insieme.

 

a cura di Livia Montagnoli

Orsonero Coffee. Nasce una nuova caffetteria di ricerca a Milano

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Il panorama del caffè italiano continua a crescere, anche se è ancora agli inizi. Eppure c'è chi decide di scommettere sul Belpaese per aprire il suo bar di ricerca con caffè specialty e metodi di estrazione alternativi. È il caso del canadese Brent Jopson, ora proprietario di una caffetteria di livello a Milano.

Aprire un locale a Milano

Mia moglie è di Milano, ma a parte questo penso che questa città sia la scelta più ovvia per qualsiasi imprenditore ambizioso con voglia di fare qualcosa di diverso in Italia. Qui le persone sono più aperte alle nuove esperienze e le tendenze più originali prendono subito piede”. E solo in una città del genere, in costante evoluzione, sempre più attrattiva per turisti italiani e stranieri, l'appassionato barista Brent Jopson poteva trasferirsi per aprire la sua caffetteria. Perché quando si è stati abituati a un panorama caffeicolo come quello di Vancouver – città natale di Brent – aprire un bar in Italia è una decisione azzardata ma rappresenta anche una scommessa significativa. Ma Brent e sua moglie Giulia Gasperini sono intenzionati a rimanere nel capoluogo lombardo, dove la scena gastronomica è in pieno fermento: fra nuove aperture, locali d'avanguardia e format diversi, Milano è in grado di rispondere alle esigenze della clientela con un'offerta ampia, articolata nelle fasce di prezzo e nella formula. E anche il panorama dei bar comincia a svilupparsi (www.gamberorosso.it/it/food/1025158-dove-bere-un-buon-caffe-a-milano-5-indirizzi-in-citta-e-1-in-periferia), con caffetterie specializzate e altri locali che approcciano alla bevanda simbolo dell'Italia in modo più attento alla qualità. Da un mese a questa parte, alla lista delle caffetterie valide si è aggiunto un nome nuovo, OrsoneroCoffee.

Il locale

Ha aperto i battenti appena un mese fa in zona Buenos Aires il locale di Brent e Giulia, e già inizia a conquistare il palato di milanesi e turisti. A curare gli arredi, lo studio di architettura ForestieriPacePezzani, che ha puntato sugli elementi tipici delle caffetterie straniere: legno chiaro e linee nette, pochi mobili e stile minimal. Dietro il bancone, una macchina espresso firmata La Marzocco e diversi strumenti per l'estrazione con metodi alternativi, dal v60 all'aeropress, dal cold brew alla macchina per caffè filtro all'americana. I chicchi sono tutti specialty e per ora la miscela scelta è quella della torrefazione di Forlì Gardelli Specialty Coffees. Ma in futuro la carta dei caffè è destinata ad aumentare: “Tra gli italiani mi piacciono molto quelli di Rubens Gardelli e di Francesco Sanapo di Ditta Artigianale, ma ce ne sono ancora tanti altri da provare. Di recente, ho assaggiato quelli della torrefazione Nero Scuro di Bassano del Grappa, che fra l'altro ha un sito internet davvero ben fatto dal quale è possibile acquistare facilmente monorigini e blend”, spiega Brent. E tanti altri caffè saranno acquistati dall'estero: “Ci sono tante torrefazioni di qualità in Europa e non solo. Spero di riuscire a portare più caffè possibili nel mio locale”. Attualmente Orsonero è una caffetteria nel senso più stretto del termine: niente dolci o proposte gastronomiche, ma solo croissant per la prima colazione dalla pasticceria Loria. “Speriamo di inserire qualche piatto e qualche dolce fatti in casa il prima possibile”, aggiunge. Oltre al caffè, sono disponibili anche 12 diversi tipi di tè.

Italia e Canada a confronto

E fra le nuove selezioni di caffè, non mancheranno alcuni nomi dal Canada: “Il panorama del caffè a Vancouver è davvero eccezionale. Secondo me, lì si possono trovare le più innovative caffetterie del Nord America. È una meta imperdibile per ogni appassionato”. Fra le torrefazioni più interessanti, Brent segnala 49th Parallel, Matchstick, BowsandArrows, Timbertraie PhilandSebastian.Ma anche l'Italia in fatto di oro nero può dire la sua: “Sono innamorato della cultura italiana del caffè. L'esperienza di consumare un espresso al bancone è unica e, se ben fatto e con il giusto equilibrio, l'espresso è una bevanda fantastica”. Purtroppo però, è molto difficile trovarne uno estratto a dovere: “Non si trovano facilmente caffè specialty – e più in generale caffè di qualità – nei bar italiani. A parte questo, i baristi purtroppo spesso non sono preparati, anche se a Milano si comincia a notare un certo interesse verso questo settore”.

Il problema più rilevante è però quello legato al prezzo: “I clienti italiani si aspettano di pagare al massimo 1 euro per un espresso, e in questo modo è impossibile servire un caffè di qualità. Ci sono tante torrefazioni valide, ma non vengono valorizzate”. Ma locali come quello di Brent e Giulia possono contribuire a migliorare e innalzare il livello dei bar medi italiani. Nonostante abbia appena aperto, Orsonero già riesce a vendere quotidianamente diversi caffè filtro: “Il pubblico ha accolto bene la novità e molti clienti che provano il filtro per la prima volta, ne rimangono entusiasti e ritornano. Così si genera il passaparola”, spiega Giulia.

Brent Jopson: la formazione

Come ha imparato Brent a estrarre il caffè? “Ho iniziato come autodidatta. Sono appassionato di caffè da sempre, perché a Vancouver frequentavo diversi locali che servivano specialty. E questo mondo mi ha incuriosito al punto da spingermi a provare a rifare le bevande in casa”. Perché l'informazione sull'argomento è tanta e a portata di tutti e “chiunque può imparare a estrarre bene il caffè con pochi strumenti”. Bastano un v60, una bilancia, un macinacaffè e tanto studio. La ricerca deve però essere approfondita con corsi professionali se si vuole aprire un'attività: “Ho frequentato corsi Scae di barista e tostatura qui in Italia e ho intenzione di continuare a seguire altre lezioni per migliorarmi”. E oggi è proprio l'espresso italiano il metodo di estrazione preferito da Brent: “Adoro sperimentare con la macchina e cercare ricette e dosi differenti per i vari tipi di caffè che utilizzo, a seconda della varietà e del grado di tostatura. Per me, è il metodo più difficile e affascinante”.

Progetti futuri

Una scelta rischiosa quella di Brent: abbandonare la sua amata Vancouver, in pieno fermento caffeicolo, per addentrarsi nella Milano da bere e da mangiare, ma ancora poco evoluta in fatto di caffè. La coppia ha in serbo diversi progetti per il futuro: “Vorremmo aprire un'altra caffetteria con cucina. Mia moglie è una pasticcera e ci piacerebbe poter servire le sue creazioni”. E non solo quelle dolci: “A Vancouver sempre più caffetterie stanno iniziando a servire menu interessanti con piatti appetitosi. È giunto il tempo di coniugare il buon caffè al buon cibo”. E forse un giorno ricavare anche un piccolo spazio per una macchina tostatrice: “In Canada, mi tostavo da solo il caffè ma era più un hobby che una professione. Sono più interessato al lavoro di barista ma non escludo la possibilità di cominciare a tostare seriamente, un giorno”. E non esclude nemmeno l'ipotesi di tornare in Canada, “dove mi piacerebbe aprire un bar specialty”, dopo l'esperienza made in Italy. Ma per ora Milano resta il terreno da battere: “Secondo me funzionerà. Basti pensare a quello che è accaduto in questa città con il settore della birra artigianale. È praticamente esploso da un giorno all'altro”.

Orsonero Coffee | Milano | via Broggi, 15 | te. 366 5477441 | www.facebook.com/orsonerocoffee/?fref=ts

a cura di Michela Becchi

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