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Babingtons e il rito del tè vittoriano a Roma. Una storia imprenditoriale lunga oltre 150 anni

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Nella sala da tè più celebre della città, ai piedi della scalinata di piazza di Spagna, si respira ancora un'atmosfera autenticamente british, come ai tempi delle signorine di buona famiglia che la fondarono a fine Ottocento, importando in città il rito della merenda inglese. Ma oggi come si rinnova un'attività imprenditoriale che non sembra temere il peso del tempo? 

Babingtons. 150 anni e più di storia

Since 1893, recita l'insegna. E non siamo a Londra, bensì nel cuore di Roma, proprio dove la scalinata di Trinità dei Monti disegna una delle quinte scenografiche più accattivanti della città. In piazza di Spagna, ai piedi dello scalone monumentale progettato da Francesco De Sanctis, la casa del tè di Babingtons preserva la nota tradizione britannica da oltre un secolo, senza accusare i segni del tempo. E anzi, proprio la storia di cui si è fatta custode ha consentito all'attività fondata alla fine dell'Ottocento da due giovani signorine inglesi di buona famiglia – Isabel Cargill Anna Maria Babingtons – di attraversare indenne il XX secolo (scongiurato il rischio di una definitiva battuta d'arresto a seguito della crisi del '29), accrescendone il fascino e incentivando al contempo il desiderio (e la necessità) di intraprendere nuove sfide imprenditoriali per restare al passo con i tempi. In sinergia con un altro tempio della storia inglese fuori dai confini nazionali come la Keats and Shelley Memorial House, che dirimpetto alla storica sala da tè ha stabilito un filo diretto con l'insegna e oggi continua a richiamare gli inglesi in visita alla città, tanti turisti, ma pure i clienti abituali, quelle famiglie della Roma bene che non rinunciano al rito del tè, e hanno fatto propria una tradizione tipicamente britannica.

Il rito del tè. Da Londra alla conquista di Roma

All’epoca in Italia il tè poteva essere acquistato in farmacia, usato esclusivamente come bevanda medicinale per placare la febbre: il fiuto imprenditoriale delle due signorine sancì una piccola rivoluzione. Nelle sale alla moda “rivestite con linoleum verde scuro e marrone, con sedili imbottiti alle pareti, sedie in legno e paglia con cuscini verdi e una grande palma ornamentale al centro (da racconti dell'epoca, ndr)”cominciò un pellegrinaggio di curiosi che non si sarebbe più interrotto. Sì, perché anche oggi che l'attività è gestita dalla quarta generazione della famiglia di Isabel, i cugini romani Rory Bruce Chiara Bedini, Babingtons è diventato un rifugio privilegiato per chi non ha smesso di ricercare la tranquillità di una pausa che lascia fuori i ritmi concitati della città e regala ancora la suggestione di sedersi alla tavola di inizio secolo, dove fanno bella mostra di sé stoviglie d'epoca - rigorosamente spaiate e conservate tra i cimeli di famiglia - e tovaglie ricamate (anch'esse originali), mentre affaccendate cameriere (solo donne) procedono sicure a versare il tè, servito a una temperatura rispettosa delle diverse miscele. In fondo è un rito anche questo, ben distante dalla solennità della cerimonia del tè giapponese, e piuttosto una parentesi per ritrovarsi in famiglia o con gli amici, proprio come da secoli avviene nel regno di Sua Maestà, dove il momento del tè ha assunto una valenza sociale che aveva finito con l'affievolirsi nel tempo ma oggi sta tornando in auge con forza, proprio a partire dagli esclusivi alberghi della capitale inglese: "A Londra è tornata a impazzare la moda della sala da té, accessibile a patto di spendere cifre elevate. Parliamo anche di 70-80 sterline per consumare una merenda rinforzata a base di tè, sandwich e scones", conferma Chiara, che sottolinea però come i tempi siano profondamente cambiati.

La sala da tè della Capitale. Dalla Dolce Vita al turismo internazionale

In Inghilterra, come a Roma tra le mura di Babingtons, tra i frequentatori più assidui oggi troviamo le danarose comitive di donne arabe, che in sala da tè si ritrovano al riparo da occhi indiscreti per godersi un intrattenimento socialmente accettato dalla religione islamica. E proprio gli arabi, insieme a ricche famiglie di cinesi, turisti inglesi e russi, e romani che ancora abitano in centro città sono i clienti più assidui dell'insegna di piazza di Spagna, che vive di richieste internazionali tanto quanto della curiosità di chi tra i suoi divanetti in velluto ricerca il fascino della Dolce Vita, quando a bere un tè si ritrovavano Audrey Hepburn e tanti altri divi e personalità dell'epoca. Il segreto però sta anche nell'aver saputo preservare l'esclusività dell'insegna, in controtendenza rispetto a quanto suggerirebbe una moderna strategia di espansione imprenditoriale. Per dir la verità, negli anni Ottanta un tentativo di uscire oltreconfine aveva portato all'inaugurazione di una sala da tè in Giappone, a Ginza, ma presto l'esperimento è rientrato, e oggi per sperimentare la formula Babingtons è obbligatorio arrivare fin sotto la scalinata di Trinità dei Monti. In attesa che il futuro porti nuove sfide da abbracciare con convinzione, magari in Europa, "ma mai in franchising, vogliamo e dobbiamo mantenere il controllo diretto dell'attività". Di inglese, infatti, da Babington's si respira un rigoroso rispetto dell'etichetta, pure questo un piacevole anacronismo rispetto ai tempi che corrono, che all'esperienza in sala da tè garantisce ancora un'allure particolare: nessun vicino di tavolo esagera con il tono di voce, la musica di sottofondo (spesso anche dal vivo, grazie all'accompagnamento dell'arpa) è un piacevole sottofondo, la mise en pace una gioia per gli occhi, proprio come i piattini ricolmi di bontà che arrivano in tavola.

Il Tea Shop, le miscele, gli eventi

Ma il Babingtons dei tempi moderni sa far convivere il rispetto della tradizione con un'anima più commerciale: oggi chi varca la soglia di piazza di Spagna 23 è accolto dal negozio della maison, in un tripudio di miscele e monorigine – tra cui lo special blend creato nel 1950 per l'acqua di piazza di Spagna, il tè degli Amanti e l'Autumn simphony, il White passion e il più tradizionale Earl Grey Imperial, le miscele dedicate a Roma e una selezione di monorigine ricercate nel mondo, frutto di continue ricerche e degustazioni, tutte acquistabili online - biscotti e dolci a portar via, gadget e accessori per il tè. Dietro, si aprono le salette riservate a chi vuole concedersi qualche minuto in più, fino all'ultimo scrigno, una piccola stanzetta con camino che è il cuore della casa, e oggi rivive ogni lunedì alle 5 in punto con il rito del tè vittoriano. L'appuntamento - che è una delle tante iniziative in calendario tra corsi di degustazione, servizio del tè, letture a tema (e anche questo è segno della volontà di “svecchiare” il brand senza snaturarlo, catturando la curiosità e le tasche di un pubblico più eterogeneo) ricalca l'atmosfera dei Victorian Tea Parties, nell'Inghilterra di fine Ottocento, quando la Regina Vittoria non nascondeva la propria passione per la bevanda nazionale.

I Victorian Tea Parties e l'interpretazione romana

Del resto giù durante il XVIII secolo il rito del tè pomeridiano, per spezzare la fame tra il pranzo e la cena, divenne consuetudine che accomunava nobiltà e borghesi. Ma con l'avvento del cosiddetto High Tea (il nome potrebbe derivare dai tavolini alti intorno a cui ci si riuniva), durante la rivoluzione industriale, il momento del tè pomeridiano finì per costituire un pasto vero e proprio, sostituendosi alla cena. Di rigore quindi allineare in tavola un cospicuo numero di snack salati e dolci, che in piazza di Spagna assumono i contorni di corroborante banchetto invernale. A cominciare dai piccoli muffin con formaggio e prosciutto – più simili a focaccine fatte in casa – fino alla selezione di finger sandwich ripieni (dal classico all'uovo al più rinfrescante con cetriolo); per proseguire con le proposte dolci: scones e tea cakes serviti con burro, marmellata di fragole e panna montata, Brandy snaps (una golosa cialda di caramello all'arancia farcita con panna), una fetta di tea loaf con frutta secca e spezie e la barocca Victorian traditional cake, ancora una volta un trionfo di panna. Da bere quattro diverse miscele di tè, che si avvicendano durante il pasto. Costo 40 euro, per due ore a bordo della macchina del tempo. Con nota di colore a margine che non fa che confermare il vero segreto della casa, che la sua storia non ha bisogno di inventarla, perché carta canta: oggi, come un tempo, buona parte delle ricette sono ripresedal famoso libro di cucina di Mrs. Beeton, una vera e propria Bibbia dell’arte dei fornelli e della conduzione della casa. Pubblicato a puntate dal 1859 in poi su The Englishwoman’s Domestic magazine, uscì successivamente in volume nel 1861 con il titolo The Household Management. E una copia del celebre libro di economia domestica è principale fonte di ispirazione per le proposte che arrivano in tavola dalla colazione al pranzo, alla merenda (si chiude alle 21), tra Eggs Benedectine Royal e Roast Beef Club Sandwich, omelette e zuppa di zucca e zafferano. Non solo tè, per questa insolita isola made in England che si rinnova nel cuore di Roma.

 

Babingtons | Roma | piazza di Spagna, 23 | dalle 10 alle 21 | www.babingtons.com

 

a cura di Livia Montagnoli


In viaggio. Canelli e le dolci colline del Moscato

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Per capire davvero il mondo del Moscato e dell’Asti bisogna immergersi nel suo territorio, dove si produce. Sono sufficienti pochi minuti dall’autostrada fra Asti e Alba per ritrovare un paesaggio ordinato di filari, cascinali isolati e colline arrotondate che l’Unesco ha iscritto nel suo patrimonio.

Risaliamo la Val Bera e ci dirigiamo verso l’azienda Caudrina nel territorio di Castiglione Tinella, dove ad attenderci a bordo di un quad in grado di superare le ripide pendenze dei vigneti c’è Romano Dogliotti, uno dei padri nobili del Moscato d’Asti.

L’attività è intensa, ma c’è il tempo per fermarsi a parlare davanti a uno scenario di colline che si susseguono a perdita d’occhio e di montagne sullo sfondo. Neive è di fronte, qualche collina più in là, e Dogliotti ci mostra l’etichetta del suo moscato La Selvatica disegnata da Romano Levi, il “grappaiolo angelico” (la definizione è di Veronelli) di Neive, famoso per le sue etichette disegnate a mano e per la sua grappa distillata in modo artigianale. “Ci mise un mese a fare questa etichetta del mio Moscato, ma è il ricordo di un grande amico”.

 

Il Moscato oggi

Sono uomini come Dogliotti che hanno fatto la storia recente dell’Asti che è un mondo del tutto particolare nell’ambito dell’enologia italiana. Da una parte un pugno di grandi nomi “industriali” che hanno in mano gran parte del mercato, dall’altra circa 4 mila famiglie di produttori, piccoli contadini conferitori o vignaioli come Dogliotti che hanno deciso di creare le proprie etichette. Oggi l’immagine dell’Asti Spumante e del Moscato d’Asti è quella dei milioni di bottiglie prodotte e vendute in tutto il mondo: Russia, Stati Uniti, Germania, Gran Bretagna, ora anche Cina. “Nel 2012, quando sono diventato presidente del Consorzio, ho trovato un prodotto con un’immagine un po’ vetusta, impolverata”dice Gianni Marzagalli presidente del Consorzio per la tutela dell’Asti Docg “Stiamo cercando di svecchiare e migliorare quest’immagine, perché c’è un territorio e un vitigno che sono unici e irripetibili”. Allora, non più solo il prodotto da supermercato che si stappa sotto le feste: si punta a un consumo più allargato che, vista la bassa gradazione alcolica, possa competere con la fetta di mercato degli anacolici. “È un vino che piace al pubblico femminile, il 60% dei consumatori di Asti negli Stati Uniti sono donne, percentuale che si alza al 70% in Russia”sottolinea Giorgio Bosticco, direttore del Consorzio.

contratto

Le cattedrali sotterranee di Canelli

A Canelli, la città dove nel 1865 è nato lo spumante italiano (il “Moscato Champagne” lo chiamarono allora, quando i cugini francesi erano meno attenti alla protezione del loro marchio) ci sono le cattedrali sotterranee: le grandi cantine delle case storiche scavate a ridosso della collina che domina la città. Scavate nel tufo, temperatura costante 12°-14°, perfetta per far riposare il Moscato e l’Asti Spumante. E così spettacolari da aver ottenuto dall’Unesco il riconoscimento di Patrimonio dell’Umanità. Hanno l’atmosfera di vere cattedrali, mattoni a vista, volte a botte, colonne. Oggi sono 4 le grandi case aperte alle visite.

Coppo. È un’azienda familiare fondata nel 1892 e arrivata alla quarta generazione, votata alla produzione di spumanti metodo classico, ma anche del classico Barbera, Chardonnay e Gavi.

Contratto. Nel palazzo liberty nel centro di Canelli,la storica etichetta è passata dalla famiglia che la aprì nel 1867 a un grande produttore langarolo: Giorgio Rivetti. Legrandiose cattedrali sotterranee, 40 metri di profondità, sono le più estese (circa 5000 metri quadrati).

Bosca. Ha lanciato nel mondo i propri vini pensando agli emigranti partiti verso l’America, e ha aperto sedi a Buenos Aires e New York: nelle sue cantine esprime un’attenzione speciale per l’arte. Un’emozione è la Sala della Piramide: opera di Eugenio Guglielminetti, grande scenografo. Novità, sempre in cantina, la splendida collezione di calici da spumante: il più antico è del ’700.

Gancia. È uno dei nomi più famosi, ma non appartiene più alla famiglia di Carlo Gancia, l’inventore del primo spumante italiano che la fondò nel 1850: è stata acquisita dal magnate russo Roustam Tariko. La produzione ovviamente rimane qui. Il labirinto segreto di cantine si snoda per circa un chilometro, e il percorso si conclude in uno spazio espositivo di 500 metri quadrati che rievoca la storia della casa.

 

È in queste cantine che riposano il Moscato e l’Asti: innovazione e tradizione si incrociano a seconda delle politiche aziendali, ma Luigi Coppo, rappresentante dell’ultima generazione di un’azienda fondata nel 1892, ci tiene a sottolineare che il moscato prodotto qui può avvalersi della nuova menzione “Canelli”, zona storicamente vocata per questo vino. E ci spiega che, contrariamente a quanto comunemente si pensa, “è un vino che può invecchiare anche 2-3 anni e l’abbinamento può essere anche con qualcosa di salato, come un formaggio erborinato o il prosciutto crudo, come ormai avviene in tanti locali di New York”.

 

Una (gran)Donna del Vino

Fra le 55 produttrici che fanno parte delle Donne del Vino piemontesi, c’è pure un manipolo di indomite produttrici di Moscato. Come Mariuccia Borio che negli anni ’70 ha ereditato dal padre – lei unica figlia – la Cascina Castlet a Costigliole d‘Asti e ha deciso di mettersi a produrre vino, con passione e grande rispetto del territorio e delle sue tradizioni.

Ha recuperato un vitigno autoctono come l’uvalino, ha puntato alla ricerca e alla modernità (le bellissime bottiglie-design lo confermano) ma si emoziona soprattutto quando parla del suo Moscato d’Asti Docg, così allegro, fresco, profumato: unico al mondo. Vino da dessert per eccellenza, ma che lei fa assaggiare volentieri con la soma d’aj, ovvero pane, olio e aglio, come fanno da sempre i vignaioli di qui.

Lo produce anche passito, l’Aviè, perfetto sia con i pasticcini piemontesi che con i formaggi erborinati. E mette un tocco femminile in tutto: così tra i suoi vigneti, ha ospitato una delle panchine giganti del progetto Big Bench all’artista americano Chris Bange. Un gesto di accoglienza al femminile, e un posto perfetto per godersi il paesaggio.

 

Mangiare

 

Ristorante S.Marco | Canelli (AT) | via Alba, 136 | tel. 0141 823544 | www.sanmarcoristorante.net| prezzo medio 40 euro vini escl.

Un’antica osteria con stallaggio diventata raffinato ristorante blasonato: è il regno di Mariuccia Ferrero, innamorata del territorio, dei tartufi e del Moscato. È stata lei a preparare a Doha, in Qatar, la cena per l’ingresso nel Patrimonio Unesco dei paesaggi vitivinicoli di Langhe-Roero e Monferrato.

Ristorante dell’Enoteca| Canelli (AT) | c.so Libertà, 65/a | tel.0141 832182 | ristoranteenotecacanelli.com | prezzo medio 35 euro vini escl.

Nella storica sede dell’enoteca, tra le mura ottocentesche della vecchia cantina, un celebrato ristorante di tradizione con bella scelta di vini.

Ristorante Belbo da Bardon | San Marzano Uliveto (AT) | v.le Asinari, 25 | tel. 0141 831340 | prezzo medio 40 euro vini escl.

Una cascina nel verde, ristorante da fine ‘800; gestione familiare, atmosfera tipica, ricette di tradizione e buona carta dei vini.

Il Cascinale Nuovo | Isola d’Asti (AT) | s.s. 231 Asti-Alba, 15 | tel. 0141 958166 | www.walterferretto.com | prezzo medio 50 euro vini escl.

Il ristorante “con camere” dello chef Walter Ferretto, atmosfera raffinata-minimal, cucina di osservanza piemontese (ma anche piatti di pesce).

 

Dormire

 

Centro Storico | Canelli (AT) | via XX Settembre (ang. p.zza Amedeo D’Aosta| tel. 331 96 74 991 | www.camerecentrostorico.it| | doppia prima colaz. incl. da 68 euro
Cinque camere di design in pieno centro nella tranquillità di un cortile interno. La colazione si fa presso la pasticceria Bosca

La casa in collina | Canelli (AT) | reg. S. Antonio, 54 | tel. 0141 82 28 27 | www.lacasaincollina.com | doppia prima colaz. incl. da 110 euro
Agriturismo di charme in una cascina piemontese d’antan fra i vigneti, come in un romanzo di Pavese: sei camere giocate su colori diversi, ricca colazione a buffet con specialità del territorio.

I tre poggi | Canelli (AT) | reg. Merlini, 22 | tel. 0141 82 25 48 | www.itrepoggi.it | doppia prima colaz. incl. da 120 euro
Più che un albergo o un agriturismo, è una dimora di charme in una cascina del ‘700 immersa fra vigne, ecosostenibile, 9 camere, un miniappartamento, piccolo centro benessere, ristorante di cucina del territorio e vini biodinamici.

 

Foodshop

 

Pasticceria Bosca |Canelli (AT) |p.zza Amedeo d’Aosta, 3 | tel. 0141 82 33 29 | www.pasticceriabosca.it

Da quasi 40 anni Sergio Bosca è il patron della pasticceria nel centro di Canelli, votata al territorio. Specialità a km0, in cui trionfa la piccola pasticceria piemontese, e infinite specialità alla nocciola e al cioccolato. Speciali i dolci delle feste , a cominciare dal classico panettone piemontese basso (ovviamente anche al Moscato).

 

Le cattedrali sotterranee

 

Cantine Contratto |Canelli (AT) | via G.B. Giuliani, 56 | tel. 0141 823349 |
www.contratto.it 


Cantine Coppo | Canelli (AT) | via Alba, 68 | tel. 0141 82 3146 | www.coppo.it

Cantine Bosca | Canelli (AT) | via G.B.Giuliani 23 | tel. 335 7996811 - 0141 96 | www.bosca.it

Cantine Gancia | Canelli (AT) | c.so Libertà, 66 | tel. 0141 8301 - 0141 830262 | www.gancia.it

 

Cascina Castlet | www.cascinacastlet.com | www.donnedelvino.it

 

testi a cura di Dario Bragaglia e Rosalba Graglia

foto a cura di Dario Bragaglia

 

 

 

 

 

Barawards 2016: la classifica dei migliori bar e ristoranti d'Italia secondo Bargiornale

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Una redazione che da anni si impegna a valorizzare le migliori caffetterie d'Italia e non solo: Bargiornale premia ogni anno anche cocktail bar e ristoranti, locali che si sono distinti per il design e i bar rivelazione dell'anno. Ecco i risultati svelati durante la cerimonia di premiazione della scorsa sera, 12 dicembre.

La rivista specializzata nei bar italiani di qualità ha decretato i numeri uno nel settore del caffè dell'anno 2016. E non finisce qui: Bargiornale, con una giuria di professionisti e addetti ai lavori, premia ogni anno anche ristoranti e locali innovativi che si sono distinti per qualità delle materie prime e attenzione al servizio. Durante la cena di gala del 12 dicembre, presso il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano, sono stati svelati i nomi dei vincitori.

La ristorazione

C'è il riconoscimento per il Miglior Bar d'Albergo, che per l'edizione 2016 vede protagonista l'Hotel Vittoria di Brescia, e c'è anche quello per il Bar Rivelazione dell'Anno, assegnato al The Craftman di Reggio Emilia. Ma gli ispettori di Bargiornale, che durante l'anno hanno visitato in incognito – proprio come accade per le nostre guide del Gambero Rosso – i vari locali, segnalano anche i ristoranti più golosi dove sostare per un pasto gourmet. Fra questi, è Trippa di Milano a vincere il premio Ristorante Rivelazione dell'Anno, mentre il Miglior Ristorante d'Albergo è il Seta del Mandarin Hotel di Milano. Il miglior chef? Giorgio Bartolucci di Eurossola, Domodossola.

Le innovazioni tecnologiche e il design

Alta l'attenzione anche sulle innovazioni tecnologiche: Intellidraught del Gruppo Celli vince il premio Innovazione dell'Anno per gli Arredi Tecnici e Tecnologie, mentre il Gruppo Cimbali – azienda produttrice di macchine per espresso – si aggiudica il riconoscimento Innovazione dell'Anno per la categoria Strumenti e Accessori di Servizio con la sua Faema E71. Premiati anche i locali con il design più moderno e accattivante: Piano 35 Lounge Bar di Torino è stato riconosciuto come Bar Design dell'Anno, mentre il ristorante con gli arredi migliori è ilD'O di Cornaredo.

I cocktail

Non manca, poi, uno sguardo all'universo del bere miscelato, sempre più al centro dell'attenzione della critica e dei consumatori. La cocktail list migliore è quella del Jerry Thomas Project di Roma, ma sul podio si posizionano anche i drink di Filippo Sisti di Carlo e Camilla in Segheria, riconosciuti come Miglior Proposta Aperitivo al Ristorante. Il premio Cocktail Bar dell'Anno va invece al Jigger di Reggio Emilia. Menzioni speciali poi per i Maestri dello Spirito Italiano: Dario Comini, Giuseppe Gallo e Leonardo Leuci. Ma il Bartender dell'Anno è uno solo, Bruno Vanzan. Premiato anche il Miglior Bartender Italiano all'Estero, Luca Cinalli dell'Oriole di Londra. Presenti, infine, anche i premi assegnati da sponsor speciali, come quello Rancilio Barista dell'Anno che va a Giulio Panciatici di Orso Laboratorio Caffè di Torino, il premio Martini Barteam dell'Anno al Mag Cafè di Milano, e il premio Vecchia Romagna Giovane Talento dell'Anno a Luca Menegazzo di Estremadura Cafè, Verbania.

Il caffè

Last but not least, il premio per le caffetterie migliori d'Italia. A vincere la medaglia d'oro è Griso, bar/torrefazione di Seveso, in provincia di Milano, gestita da Antonio Biscotti e Claudia Balzan. “Quando abbiamo saputo di essere fra i primi 10 bar d'Italia, su un totale di 39, eravamo emozionatissimi”.Un'emozione palpabile, che trapela ancora oggi, la mattina dopo la cerimonia, nella voce di Claudia: “Siamo stati i primi ad aprire le danze. È stato un momento unico. Finora non avevamo ricevuto alcun premio e non ce lo aspettavamo”. Ma cosa ha permesso a Griso di fare questo salto di qualità quest'anno? “La passione c'è da sempre, da quando abbiamo aperto nel '91. Siamo stati autodidatti per molto tempo e solo negli ultimi anni abbiamo iniziato a seguire dei corsi di formazione. Sicuramente, la differenza si sente”. E infine “un ringraziamento speciale va anche al Gambero Rosso, fra i primi ad accorgersi di noi”.

Seguono sul podio, la torrefazione/caffetteria veneziana Cannaregio di Maela Galli e il Bar Vabres di Palermo di Alessio Vabres.

a cura di Michela Becchi

Report Federdoc per il 2016: il vino italiano si consuma sempre più all’estero

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Confermata la vocazione all’export e l’incremento dei volumi e dei valori in particolare delle Denominazioni di origine. Il calo del consumo pro capite nel mercato domestico, non si arresta. Bene il Testo Unico del Vino. Giudizio positivo sulla riconferma di Martina al Mipaaf ma deve tornare a tempo pieno. 

Il Report di Federdoc

Mentre i consumi interni pro capite continuano a calare, non è un mistero che ormai l’80% delle etichette nazionali sono destinate a superare i confini italiani”. Lo scenario del vino italiano è stato descritto così dal Report annuale Federdoc, la federazione nazionale dei consorzi di tutela delle denominazioni di origine, illustrato dal Presidente Riccardo Ricci Curbastro. Ma più che continuare a evocare il passato – i mitici anni Sessanta con i 120 litri di consumo pro capite - si tratta di fare i conti con il presente e i suoi 35 litri a testa che rendono il consumo italiano sostanzialmente simile a quello di altri paesi europei. Osserva Ricci Curbastro che “forse in questi anni è mancata da parte del nostro mondo, una difesa della dimensione culturale del vino ora pienamente riconosciuta dal Testo Unico del Vino (TUV) che lo individua come patrimonio nazionale”. Anche sul TUV il giudizio è ampiamente positivo, ma come ha fatto notare Giuseppe Liberatore, delegato ai rapporti istituzionali di Federdoc, “dobbiamo subito iniziare a lavorare per scrivere ed approvare i 20 decreti applicativi necessari a rendere pienamente operativo il Testo Unico”.

 

Export in crescita

L’export del vino italiano intanto continua a correre. A fronte di 48,5 milioni di ettolitri (fonte MIPAAF, Ismea, UIV) di produzione complessiva, lo scorso anno le esportazioni hanno toccato i 5,4 miliardi di euro e nel primo semestre del 2016 hanno fatto registrare un +4,5% in volume e un lusinghiero +7,9% in valore. Con i vini a Denominazione di Origine che a loro volta crescono del 5% in volume e dell’8% in valore. Anche a fronte di un ipotizzato rallentamento nel II semestre dell’anno, i dati – è stato detto – avrebbero in ogni caso un andamento positivo.

Nel corso di questo ultimo anno Federdoc ha svolto il suo ruolo istituzionale di controllo e vigilanza con efficacia. “Vale la pena ricordare che in sede europea abbiamo ottenuto la modifica della proposta di liberalizzare l’uso delle varietà che avrebbe causato un vulnus gravissimo all’intero sistema delle Indicazioni Geografiche oppure l’intervento nell’attribuzione dei domini .wine e .vin che ha evitato nel mondo del Web di approfittare della rinomanza delle DO più note, usurpandone di fatto il nome con grave danno sia per i produttori che per i consumatori”.

E infine l’impegno nella lotta alla contraffazione - ha concluso il Presidente Riccardo Ricci Curbastro - con la “stipula di un protocollo di intesa con l’Ispettorato Centrale Repressione Frodi, l’AICIG ed E-bay e l’attivazione del programma VE.RO, con la conseguente possibilità di segnalare in modo tempestivo irregolarità di tutti i tipi presenti nel Web e che ha comportato il blocco di 368 annunci di vendita in contrasto con gli interessi delle DOP e IGP”.

 

La continuità al Ministero

Nel corso della conferenza stampa è giunta la notizia della riconferma del ministro al dicastero delle Politiche agricole. Il presidente Federdoc ha commentato la nomina dicendo che “Maurizio Martina è stato un ottimo ministro con una grande capacità di sintesi. Il nostro augurio è che ritorni a tempo pieno alla sua attività istituzionale perché negli ultimi mesi il settore ha sofferto per la campagna elettorale sul referendum. Valga per tutti l’esempio della vicenda del decreto sull’Ocm Vino promozione e dei tanti problemi che sta provocando”.

 

a cura di Andrea Gabbrielli

Top Italian Restaurants in the World sbarca in Asia: ecco i migliori locali italiani

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Ritmi serrati per il tour del Gambero Rosso nel Sud Est Asiatico, dove crescono interesse e curiosità per le etichette Made in Italy e per il cibo nostrano. Da Taipei a Osaka, da Hong Kong a Tokyo, ecco le prime anticipazioni della guida "Top Italian Restaurants in the World"

Taipei. L'interesse per il vino passa dal web

Ha preso il via da Taiwan la decima edizione del Top Italian Wines Roadshow del Gambero Rosso. E per la seconda volta il tour mondiale del Gambero Rosso ha fatto tappa a Taipei, una delle capitali meno note e affascinanti dell'Estremo Oriente, culturalmente a metà strada tra Cina e Giappone. Ben 65 tra le migliori cantine italiane hanno affrontato un mercato già solido per quanto giovane, se si considera l’età media dei partecipanti all’evento (520 tra trade, media e winelovers) che denota quanto la conoscenza sul vino sia nettamente superiore alla media asiatica. Tantissimi i giovani che si sono formati in Europa per poi rientrare alla base e aprire chi un blog chi un winebar, chi un sito specializzato per la vendita.

I tre seminari (condotti da Lorenzo Ruggeri e Marco Sabellico) hanno evidenziato un crescente entusiasmo per i bianchi, una buona conoscenza dei territori e un’apertura in fatto di gusti. “Il mercato è ancora dominato dai vini francesi ma le nuove generazioni sono molto aperte a provare nuovi vini e stanno finalmente campendo che l’Italia non è solo Piemonte e Toscana”, commenta Serena Hsiang, giornalista che sta lavorando a un libro sulle varietà autoctone italiane. La grande spinta in favore del vino italiano arriva dalla nostra ristorazione. Steve Chen, che ha fondato nel 2011 Chopstick, unica azienda d’importazione locale specializzata solo in vini italiani (130 etichette di oltre 20 cantine): “La quota del vino italiano è salita sopra il 10% del mercato. È ancora una piccola porzione, ma decisamente in crescita nel 2016 grazie al successo della ristorazione italiana. Anche attori stranieri come Jamie Oliver stanno per aprire un ristorante italiano a Taipei e sono in cantiere grandi investimenti all’insegna dei sapori italiani. Questo farà aumentare significativamente la quota di vino italiano nei prossimi anni”. Insomma, è un mercato da monitorare con grande attenzione, tutt’altro che saturo, e chi ci sta credendo sta già collezionando ottimi ritorni.

 

Taipai. I ristoranti premiati

Di pari passo con la promozione dei vini, filtrano le anticipazioni sui ristoranti italiani selezionati nella guida Top Italian Restaurants in the World. Tra i migliori esempi di ristorazione italiana sono stati premiati Piccola Enoteca, il locale di Boris Wang a Zhubey City (un’ora d'auto da Taipei; specialità romane, funghi e tartufi) e Al Sorriso, locale aperto da poco a Taipei da Marco Lotito, con una cucina di taglio innovativo ma fedele alle nostre materie prime. Come migliore carta dei vini il premio è andato a Botega del Vin, ristorante storico in città di Giorgio, un oste autentico, che coniuga una selezione enologica vasta e mirata, fortissima sul Veneto, e una cucina solida e fedele alle tradizioni che pesca bene nelle specialità veronesi. Infine, il riconoscimento per la miglior pizza è stato ritirato da Augustin Wu per il suo Antico Forno: locale che offre un impasto fragrante e saporito, con buone materie prime e continui investimenti sulla formazione del personale.

 

Hong Kong, sette anni in fiera

Come da consuetudine, l’evento Tre Bicchieri di Hong Kong anticipa l’apertura dell’ Hong Kong International Wine & Spirits Fair. Sette anni fa la prima tappa: “Era la prima volta che mi affacciavo in Asia e si aveva la sensazione di dovere costruire tutto. Oggi, fortantamente, le cose sono molto cambiate anche grazie al Gambero Rosso che è diventato un benchmark su questo mercato. Èvero i rossi continuano a dominare, ma c’è spazio anche per bianchi morbidi ed elganti”, commenta Michele Montresor (Ottella). Oltre 60 cantine premiate nella guida Vini d’Italia 2017 si sono cimentate con il mercato più ambito in Asia, la porta d’accesso per la Cina continentale. “È finita la logica del label drinker, oggi il pubblico di Hong Kong ha grande consapevolezza. E vedo una ricerca crescente del vino maturo, fanno più fatica i vini giovani, soprattutto i bianchi. Tra le etichette che hanno avuto balzo significativi di prezzo, Fiorano ha fatto delle performance eclatanti, mentre il Piemonte in generale sta raccogliendo grossissimi consensi. In generale, il gotha dei collezionisti vuole viaggiare sempre più verso l’Italia. L’Italia non fa ancora status, ma la tendenza è nettamente a nostro favore”, commenta Raimondo Romani, proprietario dell’unica casa d’asta sul vino italiano a Hong Kong: la Gelardini & Romani. L’evento, abbinato come tutti gli eventi Tre Bicchieri a una masterclass sui premi speciali della Guida, è partito lento per poi vedere una presenza importantissima di trade e giornalisti, con oltre 450 partecipanti finali. Grande curiosità anche per il primo Grignolino che ha strappato i Tre Bicchieri nella Guida: “C’è stato tantissimo interesse su questo vino, purtroppo dopo la notizia del premio sono finite velocemente le bottiglie. Proprio non me l’aspettavo”, chiosa Giuseppe Visco (cantina Vicara).

 

Hong Kong. I ristoranti premiati

Ad Hong Kong, con congrue disponibilità economiche, si può mangiare italiano meglio che in alcune città italiane. Non è un azzardo, la qualità della fascia alta della nostra ristorazione è impressionante, grazie anche alla facilità d’importazione delle materie prime. Tra i premiati spicca Alessandro Cozzolino, solo 26 anni, chef del Ristorante Grissini, premiato con le Tre Forchette Tricolore, il massimo punteggio. Casertano, è tra i più giovani e talentuosi cuochi in giro per il mondo: umile, creativo, con una mano sicurissima. La sua è una cucina dalla pulizia di sapori magistrale. Come migliore pizza è stato premiato Ciak-In the Kitchen, il locale di Umberto Bombana aperto nel 2012 e gestito dallo chef Valentino Ugolini, capace di valorizzare un ottimo impasto a lunga lievitazione con ingredienti di altissima qualità e farine ricercate. Il tutto a prezzi molto accessibili. Infine, per il miglior wine bar italiano è stato selezionato 121bc, locale di Andrew Cibej, satellite dell’originario 121bc di Sydney. È stato aperto nel 2013 e propone un format insolito per l’Asia: solo vini biologici e biodinamici italiani, di piccoli produttori. Se siete in cerca di orange wines e di qualcosa di nuovo, 121bc è un’oasi nel contesto asiatico. E si mangia anche molto bene. Infine, segnaliamo Giando, altro ristorante selezionato in Guida: ottima cucina (raro caso in cui chef e proprietario coincidono: Giandomenico Caprioli) insieme a una cantina profondissima, abbinata a un fuoriclasse della sala: Emanuele Berselli.

 

Osaka, la grande tavola del Giappone

Grande ritorno - il quarto - con il Top Italian Wines Roadshow a Osaka, la grande tavola del Giappone. Una città che offre un rapporto abitanti/ristoranti praticamente senza uguali, con un’offerta gastronomica ricchissima di specialità, a partire dallo street food (in cima i takoyaki, imperdibili polpette di polpo vendute a ogni angolo) fino a un’alta ristorazione che offre il meglio dell’enologia italiana. Nell’occasione, è stata presentata l’ultima edizione della guida Vini d’Italia in giapponese, alla sua quarta edizione. I tre seminari sono stati condotti da Lorenzo Ruggeri e Marco Sabellico con il supporto di Isao Miyajima, traduttore della guida e probabilmente il più grande esperto di vino italiano in Giappone. Inutile aggiungere che la cura del dettaglio, la curiosità e la conoscenza degli operatori del settore giapponesi è un unicum fuori dai confini italiani. Ogni anno si tratta di un confronto vero, serrato, appassionato. E per i produttori italiani, 65 per l’occasione, è stata un’altra occasione di business importantissima.

 

Osaka. I ristoranti premiati

A Osaka, i premi sono andati a tre donne forti, determinate e preparate. Inziamo con Ayako Masaki, sommelier di Vivacchus, premiato come migliore selezione di vini italiani: un luogo dove si beve bene e si lavora molto sull’aspetto educativo in maniera originale e curata. Come migliore pizzeria è stata selezionata la Pizzeria Ciro ad Akashi, trenta minuti di auto da Osaka, grazie al lavoro della pizzaiola Kimiko Kotani, che offre dischi ben lievitati, con cornicioni alti e materie prime freschissime. Infine, come miglior ristorante italiano a Osaka è stato premiato Splendido del Ritz Carlton, dove lavora Oriana Tirabassi, di Collo del Tronto: “Qui hanno una sensibilità gastronomica altissima e materie prime eccezionali. All’inizio ho avuto difficoltà come donna ma poi sono riuscita a farmi rispettare. Hanno grandissima tecnica, io li ho contagiati con la mia passione”.

 

Tokyo. La capitale della ristorazione

Oltre 110 cantine italiane hanno preso parte all’evento Tre bicchieri, in collaborazione con il Vinexpo, dopo l’ottima collaborazione dello scorso maggio a Hong Kong. Un evento unico per partecipazione e qualità di partecipanti ed esibitori. Oltre al seminario sui premi speciali, c’è stato un momento di approfondimento sul fenomeno Prosecco. Una tappa importante ogni anno per il vino italiano in Giappone: “Quest’anno in Asia abbiamo avuto una quindicina di contatti importanti per tappa, mai così tanti. A Hong Kong abbiamo trovato un importatore e anche in Giappone abbiamo trovato nuovi spunti”, commenta Marco de Bartoli export manager della cantina Baglio di Pianetto.

 

Tokyo. I ristoranti premiati

La qualità della ristorazione italiana a Tokyo è senza dubbio tra le più alte al mondo. Durante la cerimonia d’apertura, sono stati premiati ben cinque locali. Per le carte dei vini, i riconoscimenti sono andati a due locali nati dall'idea di sommelier che hanno viaggiato in Italia per poi rientrare: Keisuke Kuroda (ex Pinchiorri) e oggi Kurodino 1 e 2, e Kazuo Naito con il suo Vino della Pace. Due locali con carte dei vini profonde, mirate, con annate incredibili. Per le pizzerie, i primi Tre Spicchi, massimo punteggio, sono andati a Napoli Sta’ ca’, aperto nel 2012 da Giuseppe Erricchiello. E poi due ritoranti con le Tre Forchette tricolore: Heinz Beck e il Ristorante di Luca Fantin alla Ginza Tower di Tokyo, uno dei migliori chef italiani nel mondo, dal 2009 in Giappone. Cucina di prodotto, stagionalità, freschezza e grandissima mano. Insomma, due esperienze di altissimo livello di cucina italiana nel mondo.

 

I premiati in oriente

 

Seoul

Top Italian Restaurant - Ciuri Ciuri

Top Pizzeria - Salvatore Cuomo The Kitchen

Top Wine List - La Cucina

 

Pechino

Top Italian Restaurant - Mio (Tre Forchette Tricolore)

Top Pizzeria - La Pizza

Top Wine List - Opera Bombana

 

Taipei

Top Italian Restaurants - Piccola Enoteca (Zhubey City) e Al Sorriso

Top Pizzeria - Antico Forno

Top Wine List - La Botega del Vin

 

Hong Kong

Top Italian Restaurant - Grissini (Tre Forchette Tricolore)

Top Pizza - Ciak - In the Kitchen

Top Wine Bar - 121BC

 

Osaka

Top Italian Restaurant - Splendido

Top Pizzeria - Ciro (Akashi)

Top Wine List - Vivacchus

 

Tokyo

Top Italian Restaurants - Heinz Beck Tokyo (Tre forchette Tricolore) e Il Ristorante di Luca Fantin (Tre Forchette Tricolore)

Top Pizzeria - Pizzeria Peppe Napoli sta' ca'' (Tre Spicchi Tricolore)

Top Wine List - Il Vino della Pace e Kurodino

 

 

a cura di Lorenzo Ruggeri

 

 

Piccola Enoteca No.84 Guangming | 3rd Road | Chubei City | Hsinchu County 302 | Taiwan | www.piccolaenoteca.com

Al Sorriso 106, Taiwan, Taipei City, Da’an District, 219-2

Ristorante Grissini 1 Harbour Road | Hong Kong | hhongkong.grand.hyatt.com/zh-Hans/hotel/dining/GrissiniItalianrestaurant.html

Ciak-In the Kitchen 15 Queen's Road Central |  Hong Kong | www.ciakconcept.com/home.htm

Giando 9 Star Street Shop 1 | G/F Tower 1 Starcrest | Wan Chai | Hong Kong | www.giandorestaurant.com

Vivacchus 2-8 Awajicho |  Chuo-Ku | B1, Osaka 541-0047 

Pizzeria Ciro 2-4-1 Nakasaki 2 fields | Akashi Urban Life | Akashi 673-0883

Splendido del Ritz Carlton 1F Osaka 530-0001 | www.ritzcarlton.com/en/hotels/japan/osaka/dining/splendido

Kurodino 3-4-17 Ginza Optica 6F | Chuo 104-0061 | Prefettura di Tokyo

Vino della Pace 4 Chome-2-6 Nishiazabu | Minato | Tokyo 106-0031

Sta’ ca’1-11-4 Azabudai nnaatorip Building aF | Minato 106-0041 | Prefettura di Tokyo  | www.napolistaca.jp

Heinz Beck 100-0005 Tokyo | Marunouchi, 1 Chome−1−3 |Tokyo | www.heinzbeck.jp

Ginza Tower di Tokyo 2-7-12 Ginza | Chuo-ku | Tokyo | www.bulgarihotels.com/it_IT/tokyo-osaka-restaurants/tokyo/il-ristorante

Italian sounding, una truffa da 54 miliardi di euro

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L’Italian sounding, quel fenomeno per cui si utilizzano immagini e marchi che fanno riferimento all’Italia allo scopo di vendere prodotti che nulla hanno a che fare con l’Italia. Una truffa a tutti gli effetti, il cui volume d’affari, secondo Assocamerestero, tocca i 54 miliardi: più della metà dell'intero fatturato dell'industria alimentare del nostro Paese.

Una truffa da 54 miliardi di euro

 

Il cibo italiano è apprezzato e richiesto in tutto il mondo. Se le conseguenze positive di questa fama sono evidenti, lo sono forse meno quelle negative. Una fra tutte è l’Italian sounding: un fenomeno che si riferisce all’uso di immagini, parole o marchi che richiamano le produzioni gastronomiche italiane al solo scopo di vendere prodotti che non hanno alcun legame con lo Stivale. Secondo l’indagine condotta da Assocamerestero, l'associazione che riunisce le 78 Camere di commercio italiane all'estero, il volume d’affari del settore ha toccato una cifra record, 54 miliardi di euro, pari alla metà del fatturato dell’industria alimentare italiana (132 miliardi di euro). L'acquisto di prodotti Italian Sounding, secondo le elaborazioni di Assocamerestero sulla base dei dati Istat, risulta ancor più grave se si considera il dimezzamento dei tassi dell'export del settore alimentare avvenuto nel corso del 2016, rispetto al +6,7% registrato nel 2015.

 

L’indagine sull’Italian Sounding

L’analisi di Assocamerestero è stata realizzata negli Stati Uniti, in Canada e in Messico, una zona che assorbe circa il 15% dell'intero export di cibo italiano. I prodotti analizzati sono diversi: latticini, pasta, salse, prodotti a base di carne, aceto, olio, prodotti sott'olio e sott'aceto, prodotti da forno e vino. Inoltre, la ricerca si è concentrata su tutti quegli elementi che possono far scattare nella mente del consumatore l’idea di “prodotto italiano”: dal tipo di bene al canale di vendita, dalle caratteristiche del packaging alle differenze di prezzo tra il prodotto imitato e quello autentico.

 

I prodotti più a rischio

Ed è proprio il prezzo una delle variabili che evidenziano immediatamente il problema: per ogni prodotto spacciato per italiano si rileva in media un prezzo ribassato del 30% rispetto all’originale, con punte che toccano l’80%. Sono i latticini il prodotto più sottoposto al fenomeno dell’Italian Sounding: prendendo ad esempio un mercato importante come quello di Chicago, gli abbattimenti di prezzo oscillano dal -13% della fontina al -38% del “parmesan”, dal -48% dell’Asiago al -50% del mascarpone. In alcuni casi, come a Los Angeles, si toccano picchi del -75% per il provolone, -68% per il gorgonzola e -80% per fontina e pecorino. “Il giro d’affari dell’Italian Sounding ci dice che nel mondo esiste una forte domanda di Italia ancora da intercettare”, ha spiegato Gian Domenico Auricchio, presidente di Assocamerestero, “Siamo infatti convinti che il danno d’immagine arrecato da imitazioni ben lontane dai nostri standard di eccellenza possa essere arginato solo attraverso la diffusione della cultura e dell’educazione al consumo dei prodotti 100% made in Italy e lavorando sulle alleanze che le Camere di commercio estere sono in grado di stabilire con le comunità d’affari locali”.

 

 

a cura di Francesca Fiore

L'Hamburgheria di Eataly apre a Lucca. Ora sono otto gli spin off del gastro-store dedicati a La Granda

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Si inaugura venerdì 16 dicembre, nel centro della cittadina toscana, che accoglie per la prima volta sul territorio regionale il brand nato in casa Eataly e oggi presente in più città d'Italia per valorizzare la carne di razza bovina piemontese. Con i prodotti made in Eataly in vetrina. 

L'hamburger di Eataly a Lucca

Carne La Granda, birra Baladin, farine Mulino Marino, la pasticceria di Luca Montersino, il caffè Vergnano. E il manifesto di Eataly, da Copenaghen a New York, al Brasile, è scritto. Corre in parallelo la storia dell'Hamburgheria di Eataly, che dal 2011 a oggi si è moltiplicata, sotto la direzione di Fabrizio Cardamone, in diverse città d'Italia assecondando la filosofia del brand ideato da Oscar Farinetti: una vetrina in più per i prodotti che non possono mancare tra i banchi e gli scaffali del gastro-store che fa impazzire il mondo. Un concept nato proprio tra le mura di casa Eataly che oggi si mantiene da solo, portando il verbo del made in Italy certificato pure in città dove la madre putativa non è ancora arrivata. Come a Lucca, dove tra pochi giorni, venerdì 16 dicembre, una nuova Hamburgheria aprirà i battenti proprio nel cuore medievale della città (in un palazzetto quattrocentesco con corte porticata: uno spazio di 350 metri quadri affacciato su via Fillungo per promuovere anche nel centro toscano le carni di razza bovina piemontese del Presidio Slow Food tutelato dagli allevatori del Consorzio La Granda, che nelle cucine di Eataly si trasformano nell'hamburger Giotto.

I prodotti, il menu. Fast food di qualità

La formula, ben nota, si replica in occasione di ogni nuova apertura: nel panino da farine biologiche macine a pietra finiscono pure, a seconda dei gusti, i wurstel naturali di Cis-Massimo, i burger di Strolghino di culatello del norcino Massimo Pezzani di Antica Ardenga di Soragna, il kebab firmato La Granda. E in carta la carne certificata gioca nella parte del leone, tra tartare, costata di Fassona, tagliata di manzo, Carrè 40. In alternativa la selezione i focacce farcite con salumi e formaggi di qualità (dal Raschera Dop del caseificio Perla alla pancetta affumicata di Massimo Pezzani), o, in soccorso dei vegetariani, pietanze a base di verdure fresche di stagione. E il menu bimbi che strizza l'occhio alla formula Happy meal di un noto fast food, mettendo nel piatto ben altra materia prima: hamburger, chips fritte sul momento, una bibita e un gioco in omaggio. Da bere le birre artigianali di Birra del Borgo e Baladin (in bottiglia o alla spina) e il Vino Libero, ma pure la selezione di bibite naturali Lurisia, Baladin e Niasca Portofino; dolci Golosi di Salute e caffè. Ecco costruito un format trasversale, per tutta la famiglia, facilmente replicabile, che assomma tutti i punti di forza della strategia commerciale di casa Farinetti.

 

Il format Hamburgheria. E l'ascesa del brand

E oggi vive di franchising e rigorosi documenti di affiliazione, perché ogni nuova sede renda giustizia all'idea di fast food di qualità che ha dato avvio al progetto: cura del prodotto, professionalità e gentilezza, servizio puntuale, veloce, prezzi accessibili. Con una fee d'ingresso di 50mila euro, royalties del 3% del fatturato imponibile, margine operativo lordo del 70%. In cambio dell'uso del marchio, il supporto nella progettazione, l'assistenza pre-apertura, la formazione degli addetti in sede. Il punto vendita di Lucca non differirà, adottando lo stile del brand sin nel design degli ambienti, che potranno accogliere fino a cento commensali, cui si aggiungono i 50 coperti su strada nella bella stagione. Al lavoro 15 giovani dipendenti, tra sala e cucina, per gestire un'apertura continuata dalle 12 alle 24, che si propone di accontentare anche il turismo in transito su via Fillungo.

 

In equilibrio tra la ricerca di un'identità propria e il modello già replicato in realtà cittadine molto diverse tra loro, dalla prima inaugurazione torinese di piazza Solferino all'hamburgheria romana di via Veneto, al corner milanese di via Durini, all'interno del Brian&Barry Building (che in funzione del sodalizio ospita anche la steakhouse Meataly). Ma nel frattempo l'Hamburgheria è arrivata anche a Verona, in corso Porta Nuova, Bergamo (con il grande spazio di via Sant'Orsola, sviluppato su tre piani), Settimo Torinese (con dehor, terrazza e market Eataly al pian terreno) e Parma, presso il Barilla Center, ultima in ordine d'arrivo prima della novità lucchese.

 

L'Hamburgheria di Eataly | Lucca | via Fillungo, 91a | da venerdì 16 dicembre, dalle 12 alle 24 | www.hamburgheriadieataly.it 

 

a cura di Livia Montagnoli

Bar d’Italia 2017. Lombardia: Pasticceria Roberto di Erbusco

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Un cascinale del 1800 ospita pasticceria, bar e, da pochissimo, una nuova cucina-laboratorio. È la Pasticceria Roberto di Erbusco, guidata da Giovanni Cavalleri, che quest’anno si è aggiudicata Tre Chicchi e Tre Tazzine nell’edizione 2017 della guida Bar d’Italia del Gambero Rosso.

Torte, mignon, panettoni, macaron, praline ma anche cocktail, pasticceria salata, panini gourmet e naturalmente tanto ottimo caffè. Dagli esordi del locale nel 1981 a oggi, la Pasticceria Roberto ha fatto tanta strada, ampliando offerta e locali grazie a Giovanni Cavalleri, erede della tradizione di famiglia e membro dell’Accademia maestri pasticceri italiani. Dopo essere stato premiata dalla guida Pasticceri&Pasticcerie d’Italia, quest’anno la Pasticceria Roberto si è aggiudicata anche il massimo riconoscimento nell’edizione 2017 della guida Bar d’Italia, Tre Chicchi e Tre Tazzine.

 

Ci racconta gli esordi?

La pasticceria è stata aperta da mio padre nel 1981, e nel 1988 abbiamo affiancato il bar. La svolta per noi è avvenuta nel 1994 quando abbiamo deciso di ristrutturare uno splendido cascinale del 1800 e trasferire lì tutta l’attività. Qui adesso abbiamo 90 posti a sedere.

 

Qual è l’offerta per il caffè?

Per il caffè ci riforniamo dal laboratorio di torrefazione Giamaica Caffè di Gianni Frasi, uno dei caffè artigianali migliori in circolazione a parer mio. In particolare proponiamo due miscele: un indonesiano e un caffè a basso contenuto di caffeina. Poi facciamo cappuccini, marocchini, caffè americano e anche il caffè napoletano fatto in caffettiera.

 

Pasticceria Roberto, Erbusco

Come mai non un decaffeinato?

Abbiamo deciso di escludere il decaffeinato dalla nostra offerta, perché per noi è molto importante non offrire prodotti trattati (in realtà il caffè decaffeinato viene trattato con un solvente chiamato diclorometano che si volatilizza a temperature di 40 gradi, quindi non influisce né sulle proprietà organolettiche né sul gusto del caffè, che invece viene lavorato a 200 gradi, ndr). Il gusto dei clienti è molto cambiato negli ultimi anni: sono più attenti e non si accontentano di un prodotto qualsiasi.

 

Cosa si beve nel bar oltre al caffè?

Oltre a caffè, tè e tutte le varianti di questi prodotti, puntiamo molto sui frullati, sulle spremute e i centrifugati freschi. In questo momento vengono realizzati in laboratorio, ma a breve allestiremo un angolo interamente dedicato a questi prodotti, dove i clienti potranno sbizzarrirsi.

 

Qual è l’offerta riguardo ai dolci?

La mattina abbiamo i lievitati e le brioches, 15 o 16 tipologie diverse per impasti e farciture. Pandoro e panettone li facciamo quasi tutto l’anno, poi abbiamo le torte da tè, come la torta di mele, la Sacher, oppure la torta alla nocciola che è fatta senza farina né lattosio ed è molto richiesta dai clienti ultimamente. Ancora sul versante dolce facciamo i macaron, la pasticceria mignon, le torte da cerimonia, i dolci al cucchiaio che sono stagionali. In questo periodo dell’anno serviamo anche le fette di panettone caldo al tavolo, accompagnate dallo zabaione.

 

E sul versante salato?

Per quanto riguarda il salato proponiamo le pizzette sfogliate, la pasticceria salata, i tramezzini con prodotti freschi e sempre differenti.

 

Cosa propone il menù del pranzo?

In pausa pranzo i nostri clienti possono gustare, oltre all’offerta salata quotidiana, anche piatti freddi della tradizione locale, e non solo: vitello tonnato, tartare di pesce, insalate ricche e saporite ma anche panini gourmet. Uno che va per la maggiore è l’hamburger di pesce.

 

Giovanni Cavalleri, Pasticceria Roberto, Erbusco

E per l’aperitivo?

Da bere naturalmente abbiamo le etichette più importanti della zona della Franciacorta, perché ci piace valorizzare le produzioni locali, dove possibile. Poi abbiamo cocktail, sia quelli classici che i più creativi. Ad esempio un cocktail che si beve molto da noi, è quello fatto con Franciacorta e Aperol, una versione locale dello Spritz. Accompagniamo le bevande con grissini salati fatti da noi, tartine e una selezione di salumi e formaggi del territorio.

 

Chilometro zero sì o chilometro zero no?

In realtà no. Cerchiamo di valorizzare la nostra regione, per quanto riguarda vini, salumi e formaggi, ma anche l’olio extravergine che utilizziamo è quello del lago d’Iseo. Però se serve qualche prodotto che proviene da fuori non ci facciamo problemi a contattare il fornitore. Purtroppo non tutto in pasticceria può essere basato sulla filiera corta e sul chilometro zero.

 

Progetti per il futuro?

A gennaio abbiamo aperto una piccola cucina che supporta il bar, in modo da aumentare e migliorare l’offerta sia salata che dolce. È ancora uno spazio limitato per cui abbiamo deciso di ampliare i locali e creare una cucina da ristorazione ma a uso esclusivo del bar, una delle poche esistenti in Italia così strutturata. La formula sarà più snella rispetto a una cucina da ristorazione, più funzionale, ma efficiente allo stesso modo.

Pasticceria Roberto | Erbusco (BS) | via Provinciale, 38 | tel. 030 726 7669 www.pasticceriaroberto.com

 

a cura di Francesca Fiore

 

Guida Bar d’Italia 2017 del Gambero Rosso | Prezzo: 8,50 euro | disponibile in edicola, libreria e online

Bar d’Italia 2017, i premiati

Guida Bar d’Italia 2017. Campania, Sal De Riso di Minori

Guida Bar d’Italia 2017. Bologna: Gino Fabbri Pasticcere

Guida Bar d'Italia 2017. Puglia: Pino Ladisa di Valenzano


Mondobog. Giulillustratrice, l'alimentazione per i bambini raccontata in un disegno

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Ricette, illustrazioni, racconti e attitudine green: il tutto il una pagina web che rimanda a un progetto illustrato pensato per gli insegnati e dedicato all'alimentazione dei bambini.

Giulia Gorga ha 24 anni e fa l'illustratrice. Si è da poco diplomata all'Accademia di Belle Arti di Roma in grafica editoriale ma già da due anni ha un suo spazio virtuale, un blog – oggi diventato un sito a tutti gli effetti – in cui unisce la sua passione per il cibo e la cucina (approfondita anche attraverso corsi), alla sua professione. Qui lei scrive le sue ricette, le fotografa, le racconta, le disegna. Non necessariamente in quest'ordine. “Non c'è una regola precisa”dice “dipende da quel che faccio”. Perché quel che fa è non è sempre uguale, anche se comuni denominatori sono la cucina (quella cucinata e non solo mangiata) dall'attitudine green e una creatività fatata che mescola parole e immagini, disegni e fotografie con naturalezza e spirito lieve. Dati di accesso non ne dà: “prima controllavo di più” dice “dopo un anno avevo più di 2mla lettrici al mese, oggi non so”.

I libri per bambini

Giulia ama i libri per bambini, quelli in cui accanto alle parole ci sono sempre dei disegni. E ha deciso che questa sarà la sua strada. Così il suo sito è sempre più kidsorientedcon ricette vegetariane dedicate ai più piccoli e storielle per genitori che vogliano arricchire di racconti il momento della pappa: “Ho pensato di dare uno spunto alle mamme e ai papà che possono leggerle ai bambini”. Molto forte è andato il post sul sushi vegetariano: “Ho illustrato la ricetta passo per passo con una decina di tavole”. Ma anche quelli di ricette per Natale o altre occasioni di festa vanno alla grande, sempre declinate in versione kids and green.

Non sono post veloci da realizzare, quelli di Giulia: ci vuole tempo per pensare al piatto, prepararlo e poi corredare il tutto di foto, disegni, e di quei raccontini smilzi che rincorrono le immagini. E i lettori, soprattutto italiani e statunitensi, apprezzano. Anche se non sempre le pubblicazioni sono a ritmo costante: “il blog è un hobby dove scrivo le mie storielle”..

Ma non è finita qui. Al suo attivo ci sono un paio di libri illustrati (uno sullo svezzamento), qualche collaborazione con riviste e siti che condividono la sua stessa filosofia alimentare. Un turbinio di iniziative e impegni che ruotano intorno alle stesse tematiche: “continuo a interessarmi di cucina e bambini e sono sempre più orientata all'illustrazione e a divulgare la corretta alimentazione per i bambini” spiega, e aggiunge: “tante mamme mi hanno chiesto dei consigli”.

A tu x tu

AtuXtu

E poi c'è quello che è oggi ancora un progetto sperimentale, molto interessante. È una via di mezzo tra un prototipo e la sua tesi all'Accademia di Belle Arti, si chiama AtuXtued è un kit pensato per gli insegnati e dedicato all'alimentazione dei bambini.

Creato, elaborato e illustrato da lei, si compone di 6 libri con testi e immagini racchiusi in un box di legno decorato, ovviamente sempre da lei. I libri, che qualche insegnante inizia a chiedere anche singolarmente , approfondiscono ognuno un tema diverso, dalla composizione dei cibi alla stagionalità dei prodotti, alle merende (con tanto di codice qr che riporta al sito e alla ricetta).

a tu x tu

Il tutto corredato da un cartellone in feltro da appendere in classe per spiegare in modo immediato alcuni temi che potrebbero risultare difficili per i bambini, per esempio gli elementi che compongono i cibi (con disegnini di colore diverso per carboidrati e proteine) e poi tanti giochini per lasciare che i più piccoli imparino divertendosi e socializzando tra di loro.

C'è voluto parecchio tempo” dice “ho parlato a lungo con insegnanti, sono stata a contatto con i bambini e mi sono confrontata con nutrizionisti”. Per ora c'è un primo esemplare, ma è molto probabile che ce ne saranno presto degli altri, magari con qualche piccola variazione, data dalla continua esperienza sul campo: “Ora sto monitorando il progetto nella sua fase conclusiva, quella dell'applicazione pratica in classe… Li accompagno nei primi momenti. Ma gli insegnanti possono andare avanti anche da soli”.

{gallery}a tu x tu{/gallery}www.giulillustratrice.com

 

 

a cura di Antonella De Santis

 

 

Birre sotto l'albero a Roma. Un week end con le birre di Natale tra Be.Re, Macche e Bir&Fud

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Il Natale porta con sé panettone, torroni e tante specialità invernali. Ma non solo: per gli amanti della birra artigianale c'è un universo di proposte natalizie da scoprire e la manifestazione capitolina si prende l'onere di guidare la spedizione. Dal 16 al 18 dicembre in due locali cult della Capitale, più uno: la novità Be.Re. 

Birre sotto l'albero. Il prefestival da Be.Re.

La novità più evidente sta nella scelta della sede inaugurale, che per l'edizione 2016 di uno degli appuntamenti più attesi dai birrofili capitolini coinciderà con un'ulteriore opportunità per scoprire a pochi giorni dall'apertura l'ambizioso progetto di Be.Re. a piazza Risorgimento, che ha già raccolto nelle scorse settimane l'apprezzamento di addetti ai lavori e appassionati del mondo brassicolo. Del resto la tap list della birreria nata a pochi metri dalle mura vaticane è diretta espressione del nume tutelare di Manuele Colonna, storico publican della Capitale, che negli ultimi 15 anni (appena festeggiati) dietro al bancone del Macche (Ma che siete venuti a fa, in via Benedetta, Trastevere) ha saputo indirizzare da pioniere del genere qual è stato i trend di un mercato nazionale della birra artigianale in crescita costante. E oltre alla selezione brassicola d'autore chi varca l'uscio del quartiere Prati può accompagnare la sua birra con i Trapizzini di Stefano Callegari, anche lui coinvolto nel progetto dall'imprenditore Luigi Parise, che lì accanto gestisce anche il Pergamino Caffè. Insomma, per tutti quelli che a Natale non si accontentano di scartare un panettone e piuttosto sono in cerca di una guida alle tradizionali (e innovative) birre di Natale, venerdì 16 dicembre l'appuntamento con la data d'apertura di Birre sotto l'albero è proprio nel locale di piazza Risorgimento.

 

Assaggi e degustazioni guidate con Kuaska

Poi, sabato 17 e domenica 18, la manifestazione entrerà nel vivo con un calendario di eventi e degustazioni officiato da Lorenzo Kuaska Dabove, padrone di casa per due giorni dietro al banco di Bir&Fud, dove avranno luogo le degustazioni guidate. Alla buona riuscita del festival contribuirà pure, come di consueto, il Macche (non più pervenuto, invece, l'Open Baladin, per motivi piuttosto ovvi, dopo la cessione di Birra del Borgo ad Ab Inbev e tutte le incomprensioni di sorta): entrambi i locali presenteranno al pubblico un gran numero di birre natalizie, oltre alle etichette standard della tap list, comunque disponibili per chi preferisse qualcosa di più leggero e dissetante. E le spine verranno aperte già dalle 11 della mattina, in accompagnamento pure a una English breakfast rinforzata, disponibile dalle 10 alle 12 di domenica 18. Già confermata la partecipazione di tanti publican e birrai, a disposizione del pubblico per raccontare le proprie birre e trasformare un momento di condivisione in un'occasione in più per scoprire l'universo delle produzioni artigianali. Se questo non dovesse bastare, dalle 16, Lorenzo Dabove salirà in cattedra per condurre i laboratori di degustazione guidata (solo su prenotazione). Questa la scaletta degli assaggi, con le etichette natalizie dei birrifici coinvolti:

 

Sabato 17 dicembre ore 16.00
Foglie d'Erba - Nadal Imperial Brown Ale
P3 Brewing - Jordi
Carrobiolo - IGA
Extraomnes - Kerst Reserva
Vecchia Orsa - Orsa d'aria
Hilltop - Via della Cornacchia

Domenica 18 dicembre ore 16.00
Eastside Brewing - Sleazy Way
Birrificio di Cagliari - Emily
Rebel's Microbrewery - Black Viking
Birrificio dell'Aspide - Banshee
Crak - BW01
No Tomorrow Beer - TdT Whisky Barrel

 

Birre vive sotto la Torre

E a dimostrazione che dicembre non è solo il mese di torroni, cenoni, tombolate e sagre natalizie, in contemporanea con l'appuntamento romano anche a Vigevano si festeggia la birra artigianale, con la versione natalizia di Birre vive sotto la Torre (quella della Cavallerizza del Castello), da venerdì 16 a domenica 18 con Baladin, Bibibir, Castagnero, Castelli Romani, Diciottozerouno, Decameron, Jeb, Legnone, Lambrate. Più street food, mercatini e laboratori di degustazione di rigore.  

3Bee, l’alveare hi-tech che monitora e cura le api

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Un’arnia che monitora e cura le api, prevenendo gli eventuali pericoli per la loro salute. È 3Bee, il progetto di un giovane dottorando dell’università degli Studi dell'Insubria, premiato da Fondazione Barilla come una delle 20 migliori invenzioni al mondo nel settore della sostenibilità alimentare.

L’alveare hi-tech

L’importanza delle api è ormai un dato conclamato: sono molti gli studi che spiegano perché un’eventuale scomparsa - o anche solo un calo significativo - di questi animali creerebbe danni irreparabili all’ambiente. Ma a proteggere le api potrebbero essere proprio le loro arnie, riprogettate tenendo conto degli ultimi progressi della tecnologia. Ed è quello che ha fatto Riccardo Balzaretti, 28enne comasco, dottorando in Biotecnologie, Bioscienze e Tecnologie chirurgiche dell'università degli Studi dell'Insubria, insieme a Niccolò Calandri, dottorando in Elettronica al Politecnico di Milano, ed Elia Nipoti, tecnologo alimentare laureato all'università degli Studi del capoluogo lombardo: un alveare hi-tech in grado di monitorare la vita delle api, individuare gli eventuali rischi per la sopravvivenza e curarle. Adesso, grazie all’incubazione presso ComoNext, il parco scientifico tecnologico di Lomazzo, l'arnia 3.0 sarà prodotta dalla nuova start-up, scelta da Fondazione Barilla fra le 20 invenzioni top del “Bcfn Yes! International Competition”, contest che premia i migliori progetti su cibo e sostenibilità di giovani studenti e ricercatori.

 “L'arnia del futuro”, ha spiegato Riccardo Balzaretti, “non servirà solo alla salvaguardia delle preziosissime api, ma sarà d'aiuto ai ricercatori che avranno così un dispositivo affidabile per studiare i recenti fenomeni connessi alla moria delle api, come la famosa sindrome da spopolamento dell'alveare”.

 

Come funziona 3Bee

Il sistema progettato dai tre giovani startupper si servirà di uno strumento di monitoraggio elettronico da applicare sulle arnie, che sia in grado di rilevare informazioni sulla vita delle api come la qualità dell’aria e lo spettro sonoro dell’arnia. Questi dati saranno condivisi con ricercatori e apicoltori, in modo da strutturare strategie e sistemi di tutela, ma anche con i consumatori che vorranno osservare la vita delle api. Dai favi dell’alveare 3.0 uscirà miele certificato e altri prodotti di assoluta qualità come la pappa reale e la propoli.

La tecnologia che sarà impiegata per 3Bee è del tutto sostenibile, per funzionare sfrutta infatti l'energia solare e le vibrazioni prodotte dalle api. Ma non solo: acquistando i prodotti certificati delle arnie hi-tech tutti potranno contribuire alla diffusione del sistema presso altri allevamenti.

“Questa arnia hi-tech”, ha spiegato il dottorando, “potrà essere utilizzata dagli apicoltori per migliorare la qualità di vita all'interno dell'alveare, permettendo di intervenire tempestivamente in caso di bisogno. Il miele realizzato con il nostro alveare sarà 'certificato' dall'analisi oggettiva dei nostri sensori”.

www.3bee.it

 

a cura di Francesca Fiore

 

Il Natale regionale. Il pane nero della Valle d'Aosta, nella ricetta di Mauro Morandin

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Il pane nero, pane di segale cotto nei forni comunitari della Valle d’Aosta, durante il periodo natalizio si trasformava in un dolce: ci siamo fatti raccontare questa antica tradizione, ormai quasi dimenticata, dal maestro pasticcere Mauro Morandin. Che ci ha regalato la ricetta della sua rivisitazione, Le Pain de Saint Ours.

La tradizione del pane nero in Valle d’Aosta

In molti paesi il forno comunitario è stata per lungo tempo una necessità, ma anche uno strumento di aggregazione collettiva: in Valle D’Aosta vi si cuoceva il pane di segale, detto anche pane nero, un paio di volte l’anno, solitamente fra ottobre e dicembre. Ed è proprio il pane nero che vi racconteremo oggi, attraverso le parole di uno dei migliori pasticceri italiani, Mauro Morandin, erede di una lunga tradizione di famiglia e Due Torte nella guida Pasticceri&Pasticcerie 2017. 

 

Il pane si trasforma in dolce

Il pane nero è un prodotto semplice: un pane fatto di frumento e segale, poco lievitato e adatto alle lunghe conservazioni, in grado di sfamare le famiglie che rimanevano isolate durante la stagione invernale. E come spesso accadeva nelle piccole comunità del nostro paese, quello stesso pane veniva trasformato in un dolce durante le feste di Natale.“La nostra è una regione povera” racconta Mauro Morandin “e per le feste natalizie non si aveva molto con cui fare i dolci, anche a causa della stagione fredda che non concedeva granché. Il pane di segale veniva infornato una o due volte l’anno e, in prossimità del Natale, si faceva una raccolta dei rimasugli della credenza: miele di castagno, fichi, noci e altra frutta secca”.  

 

Mauro MorandinIl maestro Mauro Morandin

La frutta secca

Racconta Morandin: “negli anni passati, grazie ad inverni un po’ più miti di quelli attuali, c’era più disponibilità di prodotti come i fichi, che si fanno ancora adesso ma in misura minore. Nella bassa Val d’Aosta c’erano addirittura i mandorli”. Prodotti preziosi che servivano da riserva per i mesi più freddi: “Questi frutti venivano trattati, nel caso dei fichi, o lasciati essiccare, nel caso delle mandorle, per essere consumati durante l’inverno. Una riserva di energia, ma anche un momento di piacere durante le giornate fredde”.

La frutta secca veniva utilizzata per farcire questo pane dal sapore leggermente amarognolo dovuto alla farina di segale: “Non c’era farina bianca, ma solo segale che dava al pane un aroma più salato e note di tostatura. Il lievito utilizzato era quello naturale, le lievitazioni lunghe. Era una sorta di antenato del panettone in versione valdostana: un prodotto sano, che doveva ingolosire, ma anche nutrire”. Un dolce della tradizione contadina ormai quasi del tutto scomparsa che il maestro Morandin ha rielaborato in una ricetta moderna. Ed ecco Le Pain de Saint Ours, il Pane di Sant’Orso, un panettone che si ispira all’antico pane nero dolce di cui troverete la ricetta più avanti.

 

 

Mauro MorandinPain de Saint Ours

La bevanda di rito: la Coppa dell’amicizia

Le tradizioni natalizie valdostane non si limitavano al pane dolce cotto nei forni collettivi, ma investivano anche la dimensione del bere, mettendo in scena, anche in questo caso, un piccolo rito condiviso. Che, ci racconta Morandin, a differenza del pane, viene ancora rispettato nelle comunità della regione. È la Coppa dell'amicizia, o Coupe de l'amitié, che indica un recipiente di legno con un coperchio dotato di vari beccucci che viene usato tra amici, parenti e vicini di casa. Dai beccucci si beve, passandosi la coppa l’un l’altro, una bevanda a base di caffè e grappa conosciuta anche come caffè alla valdostana.

“La coppa dell’amicizia è un rito molto bello che si porta avanti ancora oggi”  spiega il pasticcere valdostano, “una tradizione rimasta salda. Si beve tutti dalla stessa coppa, un caffè corretto con più o meno grappa, che permette di rinsaldare i rapporti di vicinato e le relazioni fra compaesani, che in posti così piccoli e isolati sono una risorsa fondamentale”.

 

Pain de Saint OursPain de Saint Ours

 

 

 

Il Pain de Saint Ours, la ricetta di Mauro Morandin

La ricetta che il maestro Mauro Morandin ha voluto regalare ai nostri lettori prevede due fasi: un impasto serale e un secondo impasto da fare la mattina seguente.

 

Ricetta per un Pain de Saint-Ours per dieci persone (2kg circa)

 

Ingredienti per l’impasto serale:

175 g di zucchero

190 g di acqua

200 g di tuorli d’uovo

200 g di lievito naturale (lievito madre)

400 g di farina manitoba 

180 g di burro

 

Ingredienti per l’impasto mattutino: 

150 g di farina manitoba

70 g di farina di segale 

50 g di zucchero

50 g di miele di castagno

80 g tuorli d’uovo

50 g di burro

12 g di sale

200 g di mele candite

100 g di noci in pezzi

 

Primo impasto

Disporre lo zucchero, metà dei tuorli d’uovo e metà acqua in un contenitore (o planetaria) e sbattere energicamente per almeno 10 minuti. Aggiungere nel contenitore la farina, il lievito e continuare ad impastare. Man mano che l’impasto prende forma aggiungere i tuorli d’uovo e l’acqua rimasti. Solo quando la pasta sarà incordata, aggiungere il burro. Versare l’impasto in un contenitore, assicurandosi che se ne riempia solo metà e lasciare lievitare tutta la notte, o fino a che l’impasto non raggiunge almeno il doppio del suo volume.

 

Secondo impasto

Mettere l’impasto della sera precedente in un contenitore o una pirofila più grande e aggiungere la farina manitoba e la farina di segale. Solo quando sarà incordata unire i tuorli, lo zucchero, il miele, il burro, il sale e la frutta.

Mettere l’impasto sul tavolo e dividere la pasta in due pezzature da 1kg l’una, oppure in quattro da 500 grammi. Pirlare (lavorare la pasta cercando di fare una palla il più sferica possibile, facendola roteare lievemente nel corso della lavorazione). Una volta creata la palla metterla nel pirottino.

Dopo circa 6 ore di lievitazione, a 30 gradi, il volume della pasta dovrà essere triplicato e la calotta lucida e tesa. A questo punto fare la croce sulla calotta (non con un coltello ma con una lametta, in modo da non rompere la pasta) e infornare. Il forno deve essere a 175 gradi, in modalità ventilata.

Cuocere per 50 minuti circa le forme da 1 kg, per 35 minuti circa quelle da mezzo kg. Per controllare l’umidità della pasta provare a infilare uno stecchino prima di togliere dal forno.

Una volta cotto il dolce deve essere appeso a testa in giù per una notte intera.

 

Morandin | Saint-Vincent (AO) | via Chanoux, 105 | tel. 0166 512690 | www.mauromorandin.it

 

a cura di Francesca Fiore

 

 

 

Pastificio Agnesi chiude lo stabilimento a Imperia. Produzione trasferita a Fossano

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Agnesi, antico pastificio ligure nato nel 1824, chiude lo stabilimento di Imperia per trasferire la produzione a Fossano. Con quasi 10 milioni di euro di investimenti, il Gruppo Colossi (proprietario del marchio) ha dotato la nuova sede di tecnologie e macchine moderne.

Il trasferimento

Chiude definitivamente lo stabilimento di Imperia che per quasi due secoli è stato sede della produzione della pasta Agnesi. Con la fine del 2016, si chiude così anche un pezzo di storia della tavola degli imperiesi, ma il marchio - fortunatamente - non scompare. La produzione è stata infatti trasferita a Fossano, presso un nuovo stabilimento dotato di macchinari d'avanguardia e delle migliori tecnologie in grado di garantire all'azienda la realizzazione di tutti i tipi di pasta. Un investimento significativo, che per il Gruppo Colussi, proprietario del marchio dal 1999, si traduce in circa 10 milioni di euro.

La storia

La pasta Agnesi accompagna liguri e non solo da quasi due secoli: nata nel 1824 nel piccolo comune di Pontedassio, l'azienda è da sempre uno dei simboli più noti dell'industria alimentare di Imperia. Una realtà che negli anni ha saputo evolversi e adattarsi alle esigenze di mercato e alle condizioni esterne. Come il terremoto del 1887, che distrusse quasi completamente Oneglia e costrinse la famiglia Agnesi a costruire un nuovo e moderno mulino e uno stabilimento di 3 piani vicino al porto. Nel 1920, Agnesi presenta sul mercato la prima confezione di pasta, che fino ad allora veniva venduta sfusa e successivamente, negli anni '50, realizza due fra le prime locandine pubblicitarie italiane. L'azienda è stata infatti una delle prime realtà tricolori a scommettere sull'advertising, elaborando spot che sono passati alla storia della pubblicità italiana, entrando nelle case di tutti i consumatori. Come il celebre slogan “Silenzio, parla Agnesi”, della fine degli anni '80, oggi pietra miliare della pubblicità televisiva italiana a tema alimentare.

Le motivazioni

Come spiegato da Colussi, la decisione di trasferire tutta la produzione dallo stabilimento di Imperia a quello piemontese, annunciata da tempo, è legata all’impossibilità di adeguare e sviluppare il sito produttivo ai requisiti richiesti dal mercato nazionale ed internazionale della pasta. Con questo investimento, il marchio Agnesi punta così ad accrescere il suo sviluppo e la sua presenza in tutti i mercati in cui opera. La nuova sede apre i battenti venerdì 16 dicembre 2016, giorno in cui prenderà il via la produzione. 

a cura di Michela Becchi

I mercatini di Natale 2016 da non perdere. E le rispettive specialità gastronomiche

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L'atmosfera magica dell'Avvento, tra luci colorate, canti di Natale e leccornie di ogni tipo, nella più classica tradizione nordeuropea, è racchiusa negli scintillanti mercatini di Natale. Sparsi un po' ovunque fanno la felicità di grandi, che qui possono acquistare un bel po' di regali, e piccini. E sono per antonomasia l'occasione ideale per concedersi qualche strappo (goloso) alla regola.    

Inizialmente chiamati Mercati di San Nicola - fu in seguito alla Riforma protestante che vennero ribattezzati Christkindlmarkt, in opposizione al culto dei santi - i mercatini di Natale pare abbiano avuto origine attorno al XV secolo in Germania e Alsazia: il primo documento che attesta un mercato natalizio risale infatti al 1434, era la Vigilia di Natale in una Dresda dell'epoca, agghindata a tema per l'occasione. Si è dovuto attendere più di un secolo per quello di Strasburgo, risalente al 1570, e quello di Norimberga del 1628. Abbiamo volto vedere come sono diventati oggi. E con l'occasione vi diamo qualche dritta sui prodotti enogastronomici da non perdere assolutamente.

Dresda - Germania

In Germania è innegabile la grande tradizione legata al Natale e ai tipici mercatini natalizi ospitati nelle piazze delle città, che si riempiono di banchi e stand con oggetti di artigianato e prodotti gastronomici locali. Il più antico è quello di Dresda. Fatevi un giro nel cuore del centro barocco, tra le tegole rosse delle casette di legno del famoso Striezelmarkt, facilmente riconoscibile dalla grande piramide natalizia (il loro albero di Natale, per intenderci) alta quasi 15 metri. Voluto da Federico II, in origine si trattava di un mercato della carne per consentire agli abitanti, dopo il periodo di digiuno prenatalizio, di scegliere finalmente la carne per l'arrosto di Natale. In seguito è però diventato il punto di riferimento per altri prodotti tipici, tra cui lo Striezel, che nel 1500 ha dato il nome al mercato stesso.

Lo Striezel, meglio conosciuto come Stollen, è una specie di panettone fatto con farina, uova, burro, frutta secca e canditi. Che ogni anno diventa il protagonista della cerimonia di inaugurazione del mercato, aperto ufficialmente con il taglio di uno stollen gigante. In moltissime bancarelle del mercato è facile incorrere anche nel Pflaumentoffel, altro prodotto tipico, ovvero una specie di spazzacamino fatto con le prugne, che viene solitamente regalato come portafortuna. E nei Quarkkeulchen, delle frittelle dolci di patate. Immancabile anche il Leipziger Lerche, dolce tipico di Lipsia poi diffusosi in tutta la Sassonia, fatto di pasta frolla, mandorle, noci e marmellata di fragole. Non dimenticate poi di assaggiare la birra Radeberger, la prima birra Pilsner prodotta in Germania che conquistò, a partire dal 1905, anche la corte reale della Sassonia e il Glühwein, ovvero il classico vin brulé. Oltre lo Striezelmarkt, se siete a Dresda visitate anche gli altri mercati: il mercatino di Frauenkirche, quello medievale presso le ex scuderie del Palazzo Reale e l'Avvento nella Piazza Neumarkt. Ovviamente se vi perdete tra le vie della città incapperete sicuramente in altri mercatini.

Norimberga - Germania

Tra i mercati più antichi d'Europa, quello di Norimberga è conosciuto come il Christkindlesmarkt (mercatino del Bambin Gesù) e ogni anni va in scena nella grande Piazza del Mercato, Hauptmarkt. Tra le centinaia di bancarelle di legno, decorate con festoni rossi e bianchi, si trovano ovviamente i tanti prodotti tradizionali. Primo tra tutti il Lebkuchen, dolce inventato dai monaci in Franconia nel XIII secolo e preparato dai fornai di Ulma e Norimberga, anche se solo quest'ultima è diventata la più famosa esportatrice. La leggenda narra che l'imperatore Federico III, a Norimberga per affari politici, abbia invitato tutti i bambini della città nella piazza centrale per un evento speciale dove ha presentato il Lebkuchen con il suo ritratto stampato. Questo dolce, simile al nostro panpepato, fatto con miele, anice, coriandolo, chiodi di garofano, zenzero, cardamomo, mandorle, noci, nocciole, noci e frutta candita, è anche conosciuto come Honigkuchen (torta di miele) o Pfefferkuchen (torta di pepe). Ritornando a noi, tra le bancarelle agghindate a festa - la più bella si aggiudica il Pflaumentoffel d’oro – troverete anche le tipiche Nürnberger Rostbratwurst, ovvero le piccole e chiare salsicce di Norimberga IGP, preparate con carne suina, senza cotenna e pancetta, solitamente aromatizzate, a seconda del produttore, con maggiorana, pepe, cerfoglio, cardamomo, zenzero e limone. Se le salsicce vengono fatte con carne di manzo o vitello, prendono il nome di Brätwurst. A completare l'offerta i prodotti già menzionati per Dresda, come il Pflaumentoffel o il Glühwein.

Strasburgo - Francia

Quello di Strasburgo è il più antico mercatino di Francia e con circa 300 chalet distribuiti in 12 location nel cuore della città è anche uno dei più grandi mercatini natalizi d’Europa. Il consiglio è quello di lasciarsi trasportare dalle luci, gli aromi e gli addobbi dei vari chalet e abeti, ma se il tempo stringe date priorità al mercatino che si trova proprio accanto alla maestosa cattedrale gotica di Notre-Dame e a quello dedicato ai sapori e ai piccoli produttori dell'Alsazia in Place des Meuniers, che si trova a dieci minuti a piedi dalla cattedrale. L'Alsazia, oltre a essere terra vocata al vino, è ricca di prodotti particolari che ben si sposano ai calici del territorio. Provate assolutamente la loro tarte flambée, simile a una pizza, cotta a legna anch'essa ma farcita con cipolle, pancetta panna acida ed erbe. Non perdetevi la Choucroute alsaziana, tutta crauti e carne di maiale, e non dimenticatevi che siamo nella terra del Foie gras. Sul fronte dolci, sicuramente troverete nel vostro percorso i Bredele, dei biscotti tipici natalizi, e i Männele, delle brioche a forma di omino.

Ogni anno, poi, le strade di Strasburgo ospitano un paese, quest'anno è il Portogallo in Place Gutenberg, che espone i suoi prodotti tipici, come il Bolo Rei, ciambella tipica natalizia a forma di corona (da qui il nome) con uvetta, noci e frutta candita. Nascosta nell'impasto una fava secca: chi la trova deve pagare il bolo rei l'anno avvenire. E ancora i Filhós (frittelle di zucca cosparse di zucchero e cannella),i Sonhos (altro tipo di frittelle con un impasto di uova, farina e burro)e iRabanadas (una specie di french toast).

 

a cura di Annalisa Zordan

 

 

Roberto Naldi Collection. L'ospitalità italiana a 5 stelle arriva a Parigi con un ristorante gourmet

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Dietro al successo del gruppo c'è l'esperienza dell'imprenditore campano che dalla famiglia ha ereditato la passione per l'hotellerie. Oggi la “collezione” comprende sei insegne, con l'ultimo arrivo nel centro di Parigi e un premio importante arrivato a Lugano. E la ristorazione è un asset importante per il gruppo, che ora scommette su Michelino Gioia, a Roma e Parigi. 

Roberto Naldi. Una vita per l'hotellerie

Al 1985 risale la costituzione della Roberto Naldi Hotels, nel 2008 il gruppo si trasforma in Roberto Naldi Collection, per identificare un riposizionamento del brand che ambisce all'eccellenza internazionale nel settore dell'ospitalità. Ma l'imprenditore di origini campane che rivendica l'appartenenza del suo tesoretto di hotel extra lusso mettendoci il nome e la faccia, all'accoglienza del cliente e al mondo dell'hotellerie ha dedicato tutta la vita. E del resto in casa Naldi la tradizione alberghiera è affare di famiglia sin dalla metà del Novecento, quando prima nonno Roberto Fernandes, poi l'ingegner Giovanni Naldi hanno avviato l'attività nel settore, non nascondendo l'ambizione che il nipote Roberto avrebbe espresso nei decenni a seguire. In questo percorso verso la ricerca della perfezione - “perché il vero segreto di un servizio a 5 stelle è anticipare le esigenze del cliente, e la differenza la fa proprio la capacità di prevedere imprevisti e desideri” - il 1977 è una data importante: mentre Roberto si trasferisce a Lugano per studiare management alberghiero, suo padre concretizza nella cittadina svizzera affacciata sul lago Maggiore l'acquisto di uno storico hotel in stile Belle Epoque, lo Splendid Royal. È l'inizio di una storia che si consoliderà dapprima nel Canton Ticino, con l'acquisto del Grand Eden Hotel, poi a Roma (negli ultimi 30 anni) e più recentemente a Parigi, l'ultimo sogno realizzato in ordine di tempo: portare l'ospitalità firmata Roberto Naldi nella Ville Lumiere.

Da Lugano a Parigi, passando per Roma. Ospitalità all'italiana

A forte connotazione familiare e saldamente legata alle proprie radici italiane – espresse nella cura per il restauro di edifici storici come nella volontà di promuovere la cucina nazionale, declinandola su elevati standard internazionali – oggi la storia del gruppo procede in controtendenza rispetto al fermento accentratore del sistema hotellerie, che negli ultimi anni ha visto penetrare nel mercato di settore italiano molti grandi gruppi stranieri. E invece i sei indirizzi della Roberto Naldi Collection – ai due di Lugano si aggiungono nella Capitale il Parco dei Principi progettato da Giò Ponti, lo Splendid Royal che nel 2001 ha recuperato gli spazi di un antico monastero a Porta Pinciana e l'hotel Mancino 12 (come l'anno di fondazione), nella capitale francese da poco più di un mese lo Splendid Royal Paris – continuano orgogliosamente a rivendicare l'impronta italiana, anche quando si tratta di ricevere un riconoscimento ambito come l'Happy Guest Award (premio attribuito ogni anno dall'associazione LHW, The Leading Hotels of the World), che per il 2016 finisce a Lugano, come attestato di stima per l'ottima ospitalità assicurata dallo staff dello Splendid Royal. Una conferma ulteriore che la strada intrapresa qualche decennio fa ripaga gli sforzi: “Oggi tutti gli hotel del gruppo incarnano lo spirito e gli standard di un servizio a 5 stelle, e sono competitivi a livello internazionale”, conferma l'imprenditore riassumendo la missione di un gruppo che impiega 500 collaboratori e nel 2017 conta di accogliere oltre 200mila ospiti, generando un fatturato complessivo di 49 milioni di euro.

Ristorazione a 5 stelle. Con Michelino Gioia

In parallelo procede l'offerta ristorativa destinata ai clienti come al pubblico esterno, che è parte integrante e fondamentale del pacchetto di servizi proposti. E Roberto Naldi lo sa bene, tanto scommettere con convinzione sulla crescita delle sue insegne di punta. Come il Mirabelle di Porta Pinciana, su rooftop con vista mozzafiato dello Splendid Royal di Roma, dove la continuità in cucina è assicurata dalla mano di Stefano Marzetti. Novità in vista, e ampiamente annunciate, per il ristorante del Parco dei Principi: qualche mese fa in forze alla squadra dell'hotel è arrivato lo chef Michelino Gioia, che prenderà possesso della nuova cucina quando i lavori di ristrutturazione nella struttura saranno completati. Una data? “Il progetto è molto ambizioso, stiamo procedendo con cura rispettando i tempi burocratici necessari. Ma entro l'estate 2017 dovremmo essere pronti per presentare il nuovo ristorante del Parco dei Principi. Intanto lo chef lavora in affiancamento e supervisione alla cucina del Paolina Borghese, per eventi e clienti dell'hotel”. E non solo, perché la recente apertura parigina ha alzato la posta in gioco.

La novità parigina

L'albergo di Rue du Cirque ancora non è pronto per offrire un servizio di ristorazione (“stiamo lavorando per sistemare lo spazio”), ma la posizione privilegiata tra l'Eliseo e Fabourg Saint-Honorè – in pieno centro cittadino e molto ricettiva – autorizza a pensare in grande: “Tra marzo e aprile 2017 saremo pronti a inaugurare il ristorante, una sala da 44 coperti affacciata su strada, pensata per accontentare anche la richiesta esterna, a pranzo e cena”. E rigorosamente impostata sulla cucina italiana. Questo significa che tra qualche mese l'Italia potrà contare su un nuovo ambasciatore della cucina gourmet sul suolo parigino, e con la supervisione di Michelino Gioia, che lavorerà da gennaio in affiancamento al giovane resident chef (in arrivo dall'Italia, il nome è ancora top secret) per preparare al meglio l'apertura. Con una doppia proposta modulata sulle esigenze di un pubblico eterogeneo: a pranzo un'offerta più veloce e informale, per cena la trasformazione in tavola fine dining di alto livello.

Del resto al momento prenotare una camera allo Splendid Royal Paris per la notte di San Silvestro potrebbe costarvi tra i 900 e i 2000 euro. Se non è lusso questo.  

 

www.robertonaldicollection.com

 

a cura di Livia Montagnoli

 


Ricette di Natale dal mondo. L'Uruguay di Matias Perdomo

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In Italia il Natale è sinonimo di freddo e piatti elaborati. Ma dall'altra parte del mondo, dove a dicembre si è nel pieno della stagione calda, quale sono i piatti natalizi? Lo abbiamo chiesto a Matias Perdomo, chef del Contraste di Milano, che ci ha raccontato come festeggia in Uruguay

Immagina che torni dalla spiaggia e a casa trovi l'albero di Natale con tutti gli addobbi e la neve finta. Ecco, questo è il Natale in Uruguay”. A parlare è Matias Perdomo, chef di Contraste a Milano. È lui che ci fa notare come, pur trovandoci dall'alta parte del mondo, non ci si scosti molto dalla tradizione che conosciamo qui. “Tu sei in pantaloncini e ti ritrovi con Babbo Natale tutto imbottito come se facesse freddo, invece ci sono 40 gradi”. È l'eredità di una colonizzazione che, prima che politica e commerciale, è stata culturale. “La tradizione locale non c'è, le persone non ne hanno consapevolezza: non ci siamo resi conto che dobbiamo fare la nostra festa; quel che c'è, invece, è lo specchio della colonizzazione” che arriva fino ai momenti più intimi e familiari, come il Natale. “Trovi panettoni, torroni, noci, le stesse cose che si mangiano in Italia”.

Lui in Italia c'è venuto per dare una mano a un amico che lavorava a Milano, al Pont de Ferr, e quel locale sui Navigli lo ha trasformato non tanto negli arredi rimasti spartani, quanto nei piatti, al seguito di una creatività lasciata libera di esprimersi e di elaborare tecniche e suggestioni diverse. Spagnole soprattutto. Ma questo è ormai acqua passata, perché il nuovo progetto di Perdomo, insieme ai compagni di avventura Thomas Piras e Simon Press, lo vede più maturo, alla guida di un ristorante che prima di ogni cosa è un luogo dell'ospitalità. Un candido salotto borghese in cui Perdomo si mette alla prova in un percorso di contrasti (ma sarebbe meglio forse dire dialogo) tra cucina e sala e, soprattutto, cucina e clienti. Ai quali promette una proposta tailor made che vuole soprattutto essere armonia tra i contrasti. A partire da quel cortiletto tranquillo che accoglie unacucina coraggiosa e quasi sfrontata, cosmopolita ed elegante.

 

Una festa aperta

Sarà per il clima, sarà per l'atmosfera più animata, ma lo spirito del Natale, in Uruguay, è quello di una festa tra amici “vedo che in Italia si sta più in casa, è una festa intima, da passare in famiglia, da noi no, il Natale è una festa grande, si sta con gli amici” e riflette “forse dipende dal fatto che qui, con il freddo, si tende a chiudersi, mentre da noi, con il caldo, si sta più i mezzo alla gente. Per me il Natale è invitare gli amici in spiaggia, stare all'aperto”. Festa grande il 24 dicembre, dunque. E il 25? “Il 25 ci si ritrova, sì, ma più liberamente, tra pochi amici o familiari”. Il momento più importante, nei festeggiamenti del Natale è dunque la Vigilia. Per il Capodanno, invece, 31 dicembre e 1 gennaio hanno più o meno la stessa importanza, ma mentre il 31 c'è un grande buffet in cui si cucinano tante cose, il giorno successivo, anche se lo spirito è ugualmente festoso, si sta insieme con quel che è avanzato dalla sera prima.

 

I piatti tipici

I piatti che si portano in tavola sono diversi, “molto dipende dalle famiglie di origine: c'è molta mescolanza di culture in Uruguay, e ogni famiglia, soprattutto in queste occasioni, porta un po' della sua storia in cucina”. C'è però qualcosa su cui tutti sono d'accorgo: “la grigliata”. Per Perdomo è un po' il piatto simbolo dell'Uruguay: “in qualunque momento la fai, è buona. Mette d'accordo tutti. È un rito, un momento in cui si sta insieme, tutti intorno a chi sta cucinando. Siamo sempre pronti per una grigliata”. Si accompagna con la salsa chimichurri a base di prezzemolo aglio e pomodoro.

Si fanno anche dei piatti più legati alla cultura locale, anche se ricordano da vicino alcune tradizioni nostrane. “Dal mio punto di vista” dice“ci sono due piatti che sono il simbolo del Natale nella mia famiglia: la lingua alla vinagreta e i pomodori ripieni: sono pomodori ramati con riso, tonno, maionese e altri ingredienti”. È il piatto che accompagna per tutte le feste, ridondante e semplice. “È una bomba, anche se ovviamente un pochino è cambiato con gli anni. È un po' l'incubo di tutti i bambini sotto le feste”. Poi spiega, “se ne fanno almeno quattro a testa”.

pomodoro

Pomodori ripieni
4 pomodori ramati

200 g. di riso

maionese

tonno sottolio

olive

capperi

mozzarella

 

Tagliare il pomodoro a 3/4 e svuotarlo.
Cuocere il riso, condirlo con maionese, tonno, olive verdi, capperi, mozzarella
Riempire il pomodoro con il riso e coprire con la parte che abbiamo tagliato precedentemente e tenuto da parte.

Ps. Quattro a persona è la quantità minima!

 

 

Contraste | Milano | viaGiuseppe Meda, 2 | tel. 02 49536597 | http://www.contrastemilano.it/

 

 

a cura di Antonella De Santis

 

Panino e Lino. Nel 2017 a Milano e Roma, l'alimentari di Beppe Palmieri si moltiplica

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A tre anni dall'apertura modenese l'alimentari d'autore di Modena si prepara a uscire dalla città, forte di un'identità costruita sul campo con prodotti d'eccellenza, competenza e semplicità. E proprio la poesia di un piatto di tortellini con la panna o di un panino ben raccontato costituirà l'ossatura di un format pronto a conquistare Milano e Roma. Per cominciare. 

Generi alimentari e cucina casalinga. Panino e Lino

Grandi novità con il punto esclamativo. Non lascia adito a dubbi l'annuncio che Giuseppe Palmieri affida al suo blog per anticipare un bel progetto in vista nel futuro di Panino. Il braccio destro di Massimo Bottura, maitre e colonna portante della Francescana di Modena, non ha mai fatto mistero del suo lato più goliardico e pop, quello che qualche anno fa lo portava a concepire l'alimentari in cui tutti vorrebbero avere la fortuna di entrare. Il negozio di leccornie di una volta - dove si respira profumo di buono, mentre dietro al banco si farcisce un panino e si versa un calice di vino – ripensato per la Modena dei giorni nostri. Senza nessuna presunzione di assurgere al glamour, né tanto meno vivere di luce riflessa sulla popolarità della Francescana, e anzi con la ferma convinzione che la sincerità di una bottega di alimentari (“non una gastronomia!”) può spogliarsi di tutto il superfluo senza perdere in efficacia: “Ecco perché da Panino non troverete il foie gras. È una scelta coerente con il nostro obiettivo”. Quello che non manca mai invece sono una mortadella sontuosa o una golosa composta di mirtilli dell'Appennino modenese, la coppa di testa e la mostarda extra piccante (insieme alla giardiniera nel panino che è diventato un must della casa), i peperoni di Senise e le amarene brusche di Modena. Da lì in poi il gioco si è moltiplicato in più forme, prima con il take away Panino di Corsa, fino alla definizione del format Lino, affettuosamente dedicato a quei tortellini con la panna che per ogni modenese sono sinonimo di tradizione e cucina casalinga. E presto riconosciuto come imperdibile tavola genuina del fine settimana.

Milano e Roma per il 2017

E allora ecco che le novità in arrivo con il 2017 assumono contorni decisamente golosi: sì, perché promette Palmieri, Panino e Lino sono pronti per approdare in due nuove città italiane, grazie al supporto di un partner solido, affidabile, “speciale”, ma ancora top secret. L'accordo c'è, le destinazioni pure: Milano e Roma. Ma mentre per il capoluogo lombardo è già stato individuato uno spazio (operativo probabilmente a partire da giugno), a Roma Giuseppe Palmieri e i suoi nuovi soci sono ancora in cerca del posto giusto, e l'apertura potrebbe arrivare con il prossimo autunno. Quel che Palmieri si sente di confermare, invece, è la filosofia che ogni futura sede ideale dovrà ereditare e trasmettere ai clienti: “A Modena abbiamo saputo trovare la giusta poesia, fatta di qualità e contenuti, ma anche di persone”. Insomma, “Panino porta in dote un'identità forte costruita sui prodotti, ma la differenza la fa sempre il servizio, e per questo è importante investire sulle risorse umane”. Sul piano dei contenuti il nuovo format riprenderà i punti di forza di Panino e Lino, sommandoli in un unico spazio, con una proposta quotidiana di 10 panini e 5 paste fresche, tra cui sempre presenti due evergreen della casa: i tortellini con la panna e la lasagna. E una decina di etichette al calice e in bottiglia.

Un concept semplice, diretto, popolare, com'è giusto e logico che sia nell'evoluzione naturale delle cose: “Negli ultimi tre anni ho avuto tanti contatti, diverse proposte anche molto allettanti dal punto di vista economico per replicare il format altrove. Ma ho avuto paura di lasciarmi ingolosire con il rischio di perdere di vista l'obiettivo”. Che, per l'appunto, è quello di trasferire l'anima e la poesia della prima esperienza a ogni nuovo punto vendita. Anche quando (e se) arriverà il momento di prevedere un piano d'espansione più massiccio, “per esempio un paio di aperture all'anno senza escludere l'estero, magari in direzione dei mercati orientali, Singapore e via dicendo”. Ambizione, competenza e una buona propensione a osare con la consapevolezza però di restare con i piedi ben piantati per terra: “Modena è una piazza difficile, la clientela è molto esigente. Noi abbiamo rodato il format in casa, l'abbiamo perfezionato, ora siamo pronti per guardare all'esterno consapevoli di poter essere credibili”. Superfluo dirlo, ma ne (ri)sentiremo parlare.

www.dapanino.it

 

a cura di Livia Montagnoli e Antonella De Santis

Future Food Market: a Milano apre il supermercato del futuro firmato Ratti

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Dopo l'esperienza di Expo2015, il Future Food Market di Carlo Ratti, l'architetto del Mit, apre ufficialmente i battenti a Milano, nel centro commerciale Bicocca Village. Un supermercato innovativo con materie prime di qualità e schermi interattivi che mostrano la filiera produttiva dei vari ingredienti.

Il progetto da Expo2015 a oggi

Un progetto pensato per garantire la trasparenza e il libero scambio tra produttore e consumatore che punta a creare un nuovo modo di concepire gli acquisti alimentari: erano queste le premesse anticipate da Carlo Ratti, architetto alla guida del Mit, in occasione del lancio del Future Food District, padiglione all'interno di Expo2015 a Milano. Si trattava, a quel tempo, di un'area permanente dedicata alla Scienza e tecnologia dell'alimentazione all'interno del complesso della Scienza e della Tecnica. Oggi, il Supermercato del Futurodiventa realtà a Milano, nel nuovo spazio a cura di CoopItalia dove saranno venduti oltre 6mila prodotti diversi. Il nuovo store meneghino - una superficie di 1000 metri quadri all'interno del Bicocca Village, centro commerciale della periferia nord della città ma servito dalla nuova linea M5 – ha già debuttato qualche giorno fa.

Tavole interattive e proiezioni in tempo reale sulle origini e le caratteristiche dei prodotti su oltre 50 monitor, questi i punti di forza del supermercato, che punta tutto sulla tracciabilità e trasparenza della filiera per educare i consumatori e renderli sempre più consapevoli delle proprie scelte alimentari. “Ci siamo ispirati a una scena di Palomar di Italo Calvino, dove il protagonista entra in una formaggeria di Parigi e immediatamente si sente dentro un museo”, ha spiegato Carlo Ratti. “Dietro ogni formaggio c'è una pastorizzazione diversa, un pascolo differente e un altro cielo. Proprio come al Louvre, dove dietro ogni oggetto c'è la presenza della civilizzazione che gli ha dato forma. Crediamo che i supermercati di domani ci faranno sentire un po' come Palomar”. Perché “ogni prodotto avrà una storia da raccontare” e il compito dei negozianti è proprio quello di rendere questo racconto fruibile a tutti.

La tecnologia e gli obiettivi

Il cuore del supermercato sono infatti proprio questi schermi, sui quali vengono proiettate non solo informazioni sull'origine e il produttore ma anche quelle nutrizionali, nonché consigli su come smaltire le confezioni nella spazzatura. Il consumatore può selezionare sullo schermo i diversi prodotti, a seconda delle categorie: biologici, gluten free, vegan friendly, senza lattosio, prezzi scontati e via discorrendo. Una tecnologia di livello, la stessa alla base del sistema dei videogiochi Kinect Xbox, a cura di Accenture. Un investimento significativo, che è costato a Coop ben 4,5 milioni di euro. L'obiettivo? Raggiungere i 2mila clienti al giorno. Oltre ai 600 metri quadri destinati alla distribuzione, nel supermercato del futuro ci sono anche spazi riservati all'area bar e ristorazione self-service. Tutto all'interno del centro commerciale Bicocca Village, nella periferia meneghina, una location non casuale che garantisce un passaggio continuo e quotidiano di clientela: “Abbiamoscelto un centro di intrattenimento come il Bicocca Village perché qui c’è il secondo cinema in Italia per biglietti staccati, una palestra con 8.000 iscritti, l’università Bicocca con 30mila studenti, ha spiegato Alfredo De Bellis, vicepresidente di Coop Lombardia. Un progetto ambizioso, che mira a raggiungere in breve tempo un numero considerevole di persone, tanto da offrire già un servizio di spesa online, da ritirare nel parcheggio prima di lasciare il centro commerciale, per rendere il momento degli acquisti settimanali più snello e veloce e incontrare le esigenze dei consumatori. “Questo negozio è un ibrido”, ha commentato il presidente di Coop Italia Marco Pedroni, “continueremo a introdurre innovazioni. Non costruiremo altri negozi così in Italia, ma potremo applicare specifiche tecnologie all'esistente”.

a cura di Michela Becchi

Street Food d'Italia 2017. Puglia: Piadina Salentina di Lecce

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Siamo a Lecce, nel cuore del Salento, terra di panzerotti e pasticciotti. Ma il premio per il miglior Street Food regionale della guida del Gambero Rosso questa volta è andato a un locale che propone un prodotto inaspettato. È la piadina romagnola, rivisitata alla maniera salentina.

Il mare è sempre l'Adriatico, ma a tutt'altra latitudine. A Lecce, è il più romagnolo dei cibi di strada a distinguersi fra le tante prelibatezze regionali. Il team di Piadina Salentina, piccolo locale aperto 4 anni fa, ha infatti deciso di puntare tutto sulla piadina romagnola reinterpretata con prodotti pugliesi. A raccontarci la storia di questa insolita avventura è Loris Di Patre, uno dei collaboratori del proprietario Marco Mascialino.

Quando nasce l'attività?

Abbiamo aperto 4 anni fa, nel 2012.

E tu come ti sei avvicinato alla cucina?

Ho lavorato come barman per tanti anni, sempre in locali molto attenti alla qualità delle materie prime e con una buona selezione gastronomica per l'aperitivo. Per cui, sono stato sempre circondato dal buon cibo. Per il resto, sono autodidatta.

Come si distingue la piadina salentina da quella romagnola?

Innanzitutto per l'utilizzo dell'olio extravergine di oliva, che è uno dei simboli della nostra cucina, in sostituzione dello strutto, immancabile nella tradizione romagnola.

Tutto qui?

Non solo. Utilizziamo ingredienti locali anche per le farciture: cime di rapa, cicoria e tutte le verdure tipiche della nostra terra. E poi latticini, salumi, abbinamenti classici della cucina pugliese e altri più insoliti. Anche le farine sono tutte made in Puglia.

Che farine utilizzate?

Inizialmente, lavoravamo molto con il grano Cappelli, poi abbiamo cominciato a usare anche farine integrali e semi integrali, sempre di mulini locali. Ultimamente, stiamo utilizzando il Tritordeum. un cereale di origine spagnola derivato dall’ibridazione tra un grano duro e un orzo selvatico.

Quale piadina va per la maggiore?

Ce ne sono diverse. Tutte quelle con le verdure, che spesso abbiniamo a creme particolari, come quella di topinambur, quella di fave, rapa rossa oppure quella di avocado, una delle più apprezzate.

Altri prodotti oltre alla piadina?

Sì, i crescioni: stessi ingredienti della piadina, solo che l'impasto viene farcito e chiuso prima della cottura.

Fate anche piadine dolci?

Ancora no, ma forse in futuro ci attrezzeremo.

Cosa offrite da bere?

Abbiamo una selezione di diverse birre artigianali locali.

Quanti siete nel team?

7 in tutto.

Progetti per il futuro?

Abbiamo diverse idee e puntiamo a migliorarci sempre di più. Per ora però preferiamo non parlarne.

Piadina Salentina | Lecce | via Vito Fazzi, 2 | tel. 324 059 9820 | www.facebook.com/Piadina-Salentina-159500057540814/?fref=ts

a cura di Michela Becchi

Guida Street Food 2017 del Gambero Rosso | Euro 6,50 | acquistabile in edicola, libreria e on line

Guida Street Food 2017 del Gambero Rosso. Ecco i risultati

Street Food d'Italia 2017. Valle d'Aosta: Sushiball di Courmayeur

Street Food d'Italia 2017. Veneto: Gourmetteria di Padova

Street Food d'Italia 2017. Emilia Romagna: Punto G di Piacenza

Street Food d'Italia 2017. Trentino Alto Adige: Briciole Food and Drink di Rovereto

Street Food d'Italia 2017. Marche: Il Furgoncino di Pesaro 

Street Food d'Italia 2017. Umbria: Bacalino di Perugia 

Cosa e dove mangiare a Ferrara, la città delle biciclette e degli estensi

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La città capitale dell’antica Signoria degli estensi, simbolo dello splendore rinascimentale, della cultura universitaria e della sperimentazione urbanistica. È Ferrara, oggi diventata un luogo da scoprire in bici, in cui opere architettoniche inestimabili convivono con mercatini d’antiquariato, botteghe gastronomiche e festival musicali. Per la rubrica sulle città italiane, oggi vi raccontiamo Ferrara: cosa vedere e dove andare a mangiare in città.

La città delle biciclette

Se l’Italia è stata a lungo la terra delle grandi famiglie nobiliari, che con le loro vicende facevano la fortuna o la sfortuna di un territorio, Ferrara ne è uno degli esempi storicamente più riusciti. Erede di un immenso patrimonio culturale rinascimentale, ha vissuto il periodo di massimo splendore sotto la guida degli Este, famiglia padovana che qui regnò fino al 1598, rendendola una dei centri artistici e universitari più importanti in Europa. Su queste vie hanno discusso del futuro della penisola e riflettuto di arte, scienza e cultura personalità come Ludovico Ariosto, Torquato Tasso e Niccolò Copernico. Qui nacque una delle più antiche università d’Europa, nel 1391, e trovarono terreno fertile le prime grandi progettazioni urbanistiche della storia moderna. Per questo e per molti altri motivi, l’Unesco le ha conferito il titolo di Patrimonio Mondiale dell'Umanità per la prima volta nel 1995 come città del Rinascimento mentre, nel 1999, ha ricevuto un ulteriore riconoscimento per ilDelta del Po e per le Delizie estensi, gli edifici della corte circondati da giardini.

 

Cosa vedere a Ferrara

Non è facile visitare Ferrara senza farsi attrarre dalle vie suggestive, dai palazzi nobiliari e dalle piazze antiche. Non a caso questa città emiliana situata nella sul delta del Po è stata scelta da molti registi per le ambientazioni cinematografiche: da Ossessione di Luchino Visconti (1942) a Cronaca di un amore di Michelangelo Antonioni (1950), da La lunga notte del '43 di Florestano Vancini (1960) aIl giardino dei Finzi-Contini di Vittorio De Sica (1970), passando per l’opera di Antonioni con Wim Wenders, Al di là delle nuvole (1995).

Chiamata la “città delle biciclette” per le sue strade a misura di ciclista e l’alto numero di veicoli a due ruote, per conoscere la bellezza di Ferrara non si può prescindere dal visitare alcuni fra i monumenti e le chiese più belle di tutto il territorio italiano.

 

Castello estense FerraraCastello estense

Il Castello estense e l’Addizione Erculea

Si può partire dal celebre Castello Estense, fatto costruire nel 1385 dal marchese Nicolò II d’Este e chiamato anche Castello di San Michele, dal santo celebrato il giorno della posa della prima pietra. Eretto per difendersi dai ferraresi inferociti a causa delle pressanti tasse, nei secoli ha avuto diverse funzioni: prima armeria e magazzino, poi vera e propria sede della vita familiare degli Este.

Ferrara ha ospitato progetti urbanistici innovativi che le valsero l’appellativo di “prima città moderna d’Europa”. Il più celebre è l'Addizione Erculea, commissionata nel 1484 dal duca Ercole I d'Este all'architetto Biagio Rossetti. Il progetto aveva l’obiettivo di allargare il perimetro cittadino, collegando la città medioevale con una nuova zona, chiamata “aria nuova”, che comprendesse i prestigiosi edifici ducali sparsi a Nord di viale Cavour e corso Giovecca.

 

Duomo di San GiorgioIl Duomo di San Giorgio

Dal Duomo di San Giorgio a via delle Volte

Dal Castello, dopo aver visitato il Teatro Comunale e piazza Savonarola, si arriva facilmente al Duomo di San Giorgio, meglio conosciuto come Cattedrale, che si trova nell’antica piazza delle Erbe, oggi piazza Trento e Trieste. Costruito nel XII secolo, colpisce subito per la splendida facciata in marmo bianco in stile romanico, che si snoda in logge, arcate, statue, rosoni e bassorilievi di elevata importanza artistica. Alcuni particolari, posteriori alla creazione della facciata, hanno decisi tratti gotici, come ad esempio il Giudizio universale, posto sul protiro sorretto da due ippogrifi, e la statua della Madonna col bambino, posta in una loggia sopra il portale centrale. Il campanile rinascimentale, opera di Leon Battista Alberti, è rimasto incompiuto.

Per visitare la parte medievale della città e vedere una delle zone più suggestive di Ferrara suggeriamo una visita a Via delle Volte, due chilometri di strada fatta di ciottoli che attraversa una parte di centro storico. Prima che il corso del Po venisse deviato, questa bella via medievale era la sede delle negoziazioni fra mercanti. Le volte, i passaggi ad arco ancora oggi visibili, permettevano di arrivare ai magazzini sul fiume protetti dagli attacchi dei ladri e senza fare troppa strada.

 

Via delle Volte, Ferrara

Cosa mangiare a Ferrara

Frutto dell’incontro fra tradizione emiliana e veneta, la gastronomia ferrarese si sviluppò grazie alla corte estense, che considerava la cucina come una delle arti più importanti. Qui abbondano le paste fresche, come i cappellacci con la zucca, i cappelletti o caplit, i passatelli in brodo. Un primo tipico della città è il pasticcio di maccheroni alla ferrarese: una torta di pasta frolla ripiena di pasta, ragù bianco, funghi, tartufo, besciamella e noce moscata.

 

Cappellacci di zuccaCappellacci di zucca al tartufo

 

Per quanto riguarda i salumi, oltre al cotechino, c'è la celebre e ricchissima salama da sugo, una salsiccia fatta con vari tagli di carne di maiale, cotiche, pezzi di fegato e lingua, insaporita con spezie e vino rosso. Ma sono molti i salumi ferraresi degni di nota: fra questi il salame all’aglio, la cui nascita risale al 1383, la salama da tai, il salame Zia Ferrarese.

A Ferrara si mangia anche il pesce: un piatto tipico della città è l’acquadella ammarinata. A base di latterini impanati con la farina, fritti e conditi con aceto e alloro, per poi essere mangiati subito oppure confezionati in lattina e consumati successivamente.Fra i secondi di pesce, anche l’anguilla delle valle del Comacchio e le vongole di Goro, che si pescano nelle sacche di Goro, comune limitrofo situato sul Delta del Po.

 

Pan pepato ferraresePanpepato ferrarese

 

A Ferrara ci sono molti dolci tipici, molti legati al periodo rinascimentale. Ricordiamo, tra gli altri, la torta tagliatelle, chiamata anche ricciolina, fatta con una base di pasta frolla con in cima nidi di tagliatelle fresche che diventano molto croccanti dopo la cottura al forno. Il dolce più famoso è, però, il panpepato, preparazione tipicamente natalizia ma che ormai si trova tutto l’anno in varie versioni e aromatizzazioni.

 

CONSIGLI DALLA GUIDA RISTORANTI D’ITALIA 2017

Da Noemi

Una trattoria familiare, che propone i classici della tradizione emiliana, cucinati con cura e rispetto della materia prima. Interessanti anche i taglieri di salumi e formaggi, provenienti dai produttori locali. Ricca la carta dei dessert. Servizio informale e attento. Un Gambero nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

 

Il Don Giovanni

La cucina di Pierluigi Di Diego spazia dal mare alla terra, con un occhio sempre attento alla tradizione locale ma rinnovata da spunti di creatività. Sapori puliti, attenzione per le consistenze, materie prime scelte con grande cura. Equilibrati e originali i dessert, carta dei vini non troppo ampia. Due Forchette nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

 

L’antico giardino

Lo spirito di accoglienza che caratterizza i fratelli Francesco e Cristina Gardenale si riflette nell’ambiente curato e rilassante del loro locale. Bello lo spazio esterno, dove pranzare con una cucina prevalentemente di carne, fatta di sapori rassicuranti e ricette della tradizione. Cantina ben fornita con etichette nazionali e d’oltralpe. Due Forchette nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

 

Quel fantastico giovedì

Un locale intimo con un bel dehors per i giorni più caldi, in una zona un po’ decentrata. In menu tanto pesce, anche se non mancano i classici della tradizione emiliana. La materia prima è freschissima e trattata a dovere, con tocchi misurati di originalità. Interessante la proposta dei due menù degustazione. Carta dei vini adeguata all’offerta, con buone etichette alla mescita. Due Forchette nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

 

Il sorpasso

Cucina classica con piacevoli guizzi creativi a due passi dal Duomo. Ottimi piatti della tradizione, ma non manca qualche proposta con abbinamenti inaspettati che rendono il menù interessante ed equilibrato. In cantina l’offerta è adeguata alla proposta gastronomica, con un’evidente preferenza per i vini naturali. Due Gamberi nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

 

CONSIGLI DALLA GUIDA PIZZERIE D’ITALIA 2017

Fuori porta

Un locale giovane, appena fuori le mura estensi, diventato in breve tempo un punto di riferimento per la pizza napoletana in città. La pizza è leggera e friabile grazie alle lunghe lievitazioni, il cornicione soffice e gonfio al punto giusto, i prodotti di alta qualità. Il menù è ampio, con farciture classiche ma non solo. Ottimi i calzoni. In menù anche antipasti, primi e secondi di carne. Interessante la proposta di vini e di birre artigianali. Servizio celere e professionale. Due Fette nell’edizione 2017 della guida Pizzerie d’Italia.

 

Orsucci- Da Armando

Una pizzeria che resiste alle mode, con un menù solido e rassicurante. La pizza all’italiana qui si fa in due versioni, grande o piccola, viene cotta nel forno a legna e offerta al cliente a spicchi su un foglio di carta oleata. Un ruolo importante ce l'ha la farinata, qui chiamata semplicemente “ceci”, cotta in un grande testo di rame. Servizio da asporto per chi vuole gustare la pizza a casa. Una Fetta nell’edizione 2017 della guida Pizzerie d’Italia.

 

CONSIGLI DALLA GUIDA STREET FOOD 2017

Il covo del gusto

Filosofia green, atmosfera esotica e prodotti di qualità per il locale di Paolo Bertelli e Davide Volpin, ristrutturato completamente un paio di anni fa. Qui regnano hamburger e piadine fatte a regola d’arte, con tante farciture golose, ma anche le selezioni di salumi, tutti provenienti da produttori locali. Tra le bevande la Birra del covo, prodotta per loro da un birrificio artigianale.

 

CONSIGLI DALLA GUIDA BAR D’ITALIA 2017

Antica torrefazione del caffè Penazzi 1926

Il nome di Alberto Trabatti, quando si parla di caffè artigianale a Ferrara, è un porto sicuro per quanto riguarda qualità e specializzazione. Nel suo locale ha costruito una vera e propria filosofia del caffè, dove degustare e comprare le varietà Arabica tostate artigianalmente e provenienti da diverse parti del mondo. Interessante il nuovo spazio creato per raccontare il caffè con storie e immagini d’autore. Tre Chicchi e Una Tazzina nell’edizione 2017 della guida Bar d’Italia.

 

Caffè del corso

Un locale vivace e frequentato, soprattutto al mattino per provare le squisite colazioni. Lieviti a regola d’arte, farciture ricche, caffè intensi e cappuccini vellutati. Interessanti anche la pasticceria mignon, i biscotti e i bignè. Per pranzo piatti della tradizione estense ma anche sandwich e tramezzini. Due Chicchi e Due Tazzine nell’edizione 2017 della guida Bar d’Italia.

 

Frignani

Alla porte di Ferrara, un locale che prepara espressi eccellenti. L’offerta per la colazione è in continua evoluzione, così come quella per la pasticceria: dalle torte ai mignon, dai croissant con varie farciture alle brioches, passando per cannoli e biscotti. Interessanti le proposte gluten free e vegane. Per l’aperitivo vino al calice, cocktail e sfizi salati. Due Chicchi e Due Tazzine nell’edizione 2017 della guida Bar d’Italia.

 

L'emporio della piazza - torrefazione caffè

Prima solo torrefazione ora anche bar, per un indirizzo di qualità in piazza della Repubblica. Tanti monorigine provenienti da diverse parti del mondo e lavorati all’Antica torrefazione Penazzi 1926, che una volta aveva qui la sua sede storica. Oltre ai caffè si può gustare un cappuccino cremoso e qualche dolce da colazione. Bottega ben fornita anche per quanto riguarda i vini. Tre Chicchi e Una Tazzina nell’edizione 2017 della guida Bar d’Italia.

 

CONSIGLI DALLA GUIDA PASTICCERI&PASTICCERIE 2017

Caffè Europa

Un bar d’altri tempi, con un ambiente classico e raffinato. La proposta di pasticceria è davvero ampia e di qualità, incentrata sulle preparazioni classiche, dai bignè ai lievitati, dalle tartellette fino agli éclair. Le specialità della casa sono le torte e la piccola pasticceria, prevalentemente di stampo tradizionale, ma anche con qualche proposta più creativa. In menù anche proposte salate, piatti vegani e gluten free. Una Torta nell’edizione 2017 della guida Pasticceri&Pasticcerie.

 

Chocolat

Non lontano dal Duomo, un locale che punta molto su pasticceria artigianale e cioccolato, con praline, tavolette e creazioni di vario tipo. Cristiano Piraini è incline alla sperimentazione e propone spesso novità e rivisitazioni di dolci tradizionali. Grande attenzione al panettone, con la cura maniacale dei prodotti per farcirlo, cotture a regola d’arte e lievitazioni perfette. Importante la proposta per la colazione, con lieviti fragranti e golosi, ma la proposta include anche torte, macaron e mono porzioni. Due Torte nell’edizione 2017 della guida Pasticceri&Pasticcerie.

 

La pasticceria di Mauro Gualandi (Argenta)

Un posto un po’ fuori Ferrara (in una cttà simbolo per la grande cucina nostrana) che merita una visita: la pasticceria di Mauro Gualandi. L’invitante vetrina trabocca di dolci colorati, lieviti, croissant, torte e bignè. Da provare le tartellette, sempre fantasiose e creative. Specialità della casa il panettone, impeccabile per lievitazione, ingredienti e cotture. Importante anche la proposta salata, con pane, cracker, focacce, tortini e sfoglie. E una selezione di prodotti gourmet in vendita. Due Torte nell’edizione 2017 della guida Pasticceri&Pasticcerie.

 

indirizzi

Antica torrefazione del caffè Penazzi 1926 | Ferrara | via G. Bongiovanni 32 | tel. 0532 248641 | www.artlifecaffe.com

Caffè del corso | Ferrara | corso della Giovecca, 66 | tel. 0532 207408 | www.facebook.com/pages/Pasticceria-Caffe-Del-Corso/157817090909934

Caffè Europa | Ferrara | corso della Giovecca, 51 | tel. 0532 205456 | www.hoteleuropaferrara.com

Chocolat | Ferrara | via Cortevecchia, 55 | tel. 0532 242310 | www.facebook.com/chocolat.ferrara

Da Noemi | Ferrara | via Ragno, 31 | tel. 0532 769070 | www.trattoriadanoemi.it

Frignani | Ferrara | via Modena, 565 | tel. 0532 730252 | www.pasticceriafrignani.it

Fuori porta | Ferrara | via Caldirolo, 84 | tel. 0532 067182 | www.ferrarafuoriporta.it

Il covo del gusto | Ferrara | via Guido Picelli | tel. 331 161 2084 | www.ilcovodelgusto.it

Il Don Giovanni | Ferrara | corso Ercole I d'Este, 1 | tel. 0532 243363 | www.ildongiovanni.com

L’antico giardino | Ferrara | via Martelli, 28 | tel. 0532 412587 | www.ristoranteanticogiardino.com

L‘emporio della piazza - torrefazione caffè | Ferrara | piazza della Repubblica, 27/29 | tel. 0532 248641 | www.facebook.com/pages/Emporio-Della-Piazza/533948909980288

La pasticceria di Mauro Gualandi | Argenta (FE) | via Giacomo Matteotti, 38 | tel. 0532 852890 | www.facebook.com/pasticceriagualandi

Orsucci- Da Armando | Ferrara | Via Saraceno, 116 | tel. 0532 760000 | www.pizzeriaorsucciarmando.it

Quel fantastico giovedì | Ferrara | via Castelnuovo, 9 | tel. 0532 760570 | www.quelfantasticogiovedi.it

Il sorpasso | Ferrara | via Saraceno, 118 | tel. 0532 790289 | www.trattoriailsorpasso.it

 

a cura di Francesca Fiore

 

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