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Nasce l'Associazione Italiana Ambasciatori del Gusto: l'eccellenza (e l’unione) fa la forza

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Dalle idee di pochi al progetto di tanti, dal progetto ai (primi) fatti. Così, dopo un anno e mezzo dal primo incontro, continua a passi decisi il programma della valorizzazione della cucina italiana che sta prendendo vita in stretta collaborazione con il Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali Maurizio Martina.

Incredibile ma vero: gli chef italiani si alleano e si mettono fianco a fianco lasciando da parte le individualità e gli egocentrismi per ottenere un risultato che è maggiore alla somma dei singoli addendi. Non banale. Il tutto è nato qualche mese fa, si è fortificato durante Expo2015, ha dato vita al Food Act e ora segna una nuova tappa, la nascita di una vera associazione, con notaio, presidente, vicepresidente, soci onorari e tutto il resto. Il tutto sotto l’occhio attento, vigile e decisamente operativo di un sempre più lucido ministro Maurizio Martina.

Anche se ancora siamo alle fasi programmatiche, i primi frutti si vedono. A partire dal riuscire a mettere insieme in modo continuativo, intorno allo stesso tavolo, decine tra i più grandi talenti del mondo della gastronomia italiana. Ricordiamolo: è la prima volta che un tavolo di lavoro così ampio e valido trova ascolto e sostegno da parte delle istituzioni. E nessuno vuole bruciare questa occasione. Ristoratori, chef, pizzaioli, gelatai, pasticceri. Insomma, tutto quel che compone il mosaico del mangiar bene made in Italy. Maestri non solo ai fornelli, ma anche imprenditori da prendere a modello. L'Italia del cibo è il traino di questa Italia che incespica. E non è una questione di mode e dell'ossessione per la cucina, ma dipende dalla capacità di fare impresa (e creare lavoro) che il settore porta con sé.

 

ambasciatori

Ed eccolo qui, questo settore, riunito oggi (12 ottobre 2016) per tenere a battesimo l'Associazione Italiana Ambasciatori del Gusto. Una realtà senza scopo di lucro nata con il preciso intento di rappresentare e valorizzare il meglio del settore in ogni suo aspetto: dalla terra alla tavola, dal grande ristorante al bar, passando per pizzerie, gelaterie, riuniti sotto lo slogan “L'eccellenza fa la forza”. L'idea degli Ambasciatori, nata il 20 giugno scorso con 44 fondatori, è stata oggi presentata al Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari Forestali, un luogo, come dice il Ministro Martina, che è “casa vostra”. Una prima uscita, dunque, di quelle ufficiali che ha dato voce ad alcuni degli attori di questa iniziativa, che comprende 90 tra cuochi, pizzaioli, gelatieri, uomini di sala, pasticceri di 15 regioni diverse: sono i soci fondatori (e lo sarà chiunque aderirà entro la fine dell'anno), ambasciatori del patrimonio enogastronomico italiano nel mondo. C'è il gruppo ristretto degli 11 del consiglio direttivo (Cristina Bowerman, Paolo Marchi, Cesare Battisti - rispettivamente presidente, vicepresidente e segretario genrale - Renato Bosco, Mariella Caputo, Moreno Cedroni, Carlo Cracco, Alessandro Gilmozzi, Pietro Leeman, Roberto Petza, Marco Sacco), e gli associati benemeriti: Max Bergami, Marco Bolasco, Alberto Capatti, Davide Cassi, Eleonora Cozzella, Luigi Cremona, Annie Feolde, Andrea Grignaffini, Alfonso e Livia Iaccarino, Gualtiero Marchesi, Massimo Montanari, Aimo e Nadia Moroni, Luciano Pignataro, Giorgio Pinchiorri, Edoardo Raspelli, Severino Salvemini, Ezio e Renata Santin, Toni Sarcina, Massimiliano Tonelli, Enzo Vizzari.

Coinvolti sono tutti i protagonisti di questo mondo, nei mille rivoli professionali che un settore così ampio copre, impegnati a far conoscere la nostra gastronomia all'estero, ma anche a farsi ambasciatori degli agricoltori, allevatori, casari e gli altri artigiani che sono alle loro spalle nella filiera che porta il prodotto fin sulle nostra tavole, proprio perché gastronomia e agroalimentare sono strettamente collegati, soprattutto in un Paese come l'Italia, fatta di piccole realtà e identità di tradizione contadina.

 

 

Quella che Carlo Petrini, presidente onorario, vuole tutelare di fronte alla contaminazione con l'esterno, dalle insidie di trattati che renderebbero le nostre tipicità, fatte spesso di piccole riserve produttive, preda di un sistema di industrializzazione vorace, dove le nostre denominazioni perderebbero valore. Una posizione che è un no forte e chiaro al Ttip e che lancia un allarme sullo stato dell'agroalimentare in Italia (che però, risulta essere uno dei pochi in salute) e a cui Maurizio Martina risponde cristallinamente, facendo tintinnare un campanello d'allarme: non si tratta di impedire dei cambiamenti o di arroccarsi in maniera protezionistica come chiede a gran voce Carlin, ma di gestire meglio quelli già avvenuti, proprio in una situazione di assenza di regole e accordi precisi. Insomma: mentre noi discutiamo se fare trattati che rischierebbero di rendere meno forti i nostri marchi, questi sono, di fatto, già schiacciati da un modo che corre a passi veloci, dove se non siamo partecipi dei cambiamenti in atto non potremo che subirli: “alcune categorie vanno aggiornate” dice perentorio “servono risposte nuove, e nuovi strumenti per leggere un mondo nuovo. Il rischio è di alzare barriere con il resto del mondo, che ci renderà sempre più deboli e renderà i nostri piccoli produttori sempre più deboli in un mercato che si muove a passi veloci”. Dobbiamo pensare ad abbattere i muri, e non a costruirne di nuovi, di creare tavoli di lavoro comune, accordi che possano portare a una maggiore tutela dei nostri migliori prodotti e al riconoscimento reciproco.

 

Gli ambasciatori

La scelta di aprire ai soli chef-patron lascia perplessi poiché esclude parecchi grandi professionisti: nomi come Enrico Crippa, “dipendente” dei Ceretto, di Antonio Guida o Heinz Beck, chef resident di grandi catene alberghiere internazionali. Proprio quelle che, per loro natura, rappresentano una vetrina importante per l'Italia (a proposito di ambasciatori), quelli che accolgono i turisti stranieri e che, attraverso le loro strutture nel mondo, sono sede dei più importanti ristoranti italiani all'estero, con tanto di trasferte di nostri grandi chef, come accaduto per Francesco Apreda o Adriano Baldassarre. Speriamo che questa barriera sia presto superata, in virtù di quella necessità di eliminare muri cui il Ministro Martina ha fatto cenno nella giornata. “Bisogna fare squadradice Carlo Cracco, perché solo facendo squadra si è davvero forti. È un sentimento condiviso, anche dallo stesso Ministro che registra come un grande traguardo di questo lavoro sia da cercare proprio nel passaggio da individualità a collettivo con un potenziale di squadra”. Un esempio concreto di cittadinanza attiva che può fare qualcosa per il Paese.

 

Gli interventi

Gli chef ci sono tutti, visibilmente emozionati nel vedere che qualcosa si muove, coordinati da Paolo Marchi che ha colto l'occasione del parterre d'eccezione e dell'ufficialità della situazione per presentare il tema della prossima edizione del congresso Identità Golose. I saluti d'obbligo, i ringraziamenti del caso e qualche slancio programmatico contribuiscono a definire lo scenario che richiama, in prima battuta, a una maggiore consapevolezza del proprio ruolo. Che non è solo quello di cuoco, ma ditraino per lo sviluppo turistico e agroalimentare del Paese”, di snodo per l'identità culturale di un territorio e delle società che lo abitano, come ricorda Cristina Bowerman, presidente dell'Associazione e infaticabile nel dare una direzione chiara alla strada da percorrere. Non poesia, ma pratica, non parole ma numeri: la cucina è cultura e agricoltura, ha a che fare con il gusto e la bellezza, con la sensibilità, la storia, l'innovazione, la ricerca, l'educazione (anche alla sostenibilità) e la salute. Tutte cose che hanno un peso enorme in Italia. Su questi gli elementi sono tutti chiamati a riflettere e lavorare: “siamo uniti, forti e questo è solo l'inizio di un buon lavoro”.

 

I temi

Si parla di cibo in modo articolato, e ognuno individua tra i vari tasselli che definiscono questa realtà, quello che maggiormente sollecita la sua attenzione. Tema principale è il legame stretto con la terra, intesa non solo come tradizione, ma come luogo dell'agroalimentare, dove costruire un cortocircuito che valorizzi i produttori e gli restituisca la dignità del loro lavoro. Lo dice uno come Corrado Assenza (ma lo dice anche Petrini quando auspica un ritorno a un'economia dei territori e dei contadini), da sempre portavoce di un modello di sviluppo artigianale che ha ridato respiro alle realtà locali, al lavoro artigiano, alle produzioni che rifuggono dai grandi numeri per concentrarsi in una misura più umana e controllabile. Il suo è l'impegno verso una comunità agricola e artigianale, la responsabilità verso il consumatore: i cuochi, o i pasticceri o i pizzaioli, hanno la fortuna di poter guardare negli occhi i clienti, essere l'elemento di congiunzione tra chi produce e chi consuma. Questo è un onore, ma sento anche l'onere”. Un impegno che è lo stesso che Franco Pepe porta avanti di anni in una zona difficile, dove fino a poco tempo fa non girava l'agricoltura e non girava il commercio, una zona, quella di Caiazzo nell'alto Casertano (più di 15mila persone arrivate a mangiare da Pepe a fronte di 4500 abitanti), che viveva una situazione di stallo. Valorizzare il prodotto locale e con esso il produttore e l'intera zona è l'esempio pratico di quel traino di cui parlava Cristina Bowerman, in grado di far emergere le eccellenze e mettere in moto l'economia con l'indotto non solo legato alla propria attività (che pure dà lavoro a decine di persone), ma anche con il riflettore che ha contribuito ad accendere. Oggi sono attive parecchie botteghe artigiane che prima erano chiuse” dice “e i prodotti che cercavo solo io ora sono in vendita, le persone li conoscono, li apprezzano e li comprano”, un impegno, quello di Franco Pepe, volto a non spezzare quel legame che unisce contadini e territorio, ma tutelarlo così che i miei figli e i figli di quegli agricoltori, domani, possano continuare a fare questo mestiere in piena dignità”.

 

Se Assenza, Pepe e Petrini danno voce agli agricoltori, Davide Oldani apre alla necessità di creare un'opportunità per i più giovani. Il suo impegno è per lo sport (lui, che è il rappresentante di un connubio che unisce sport e alta cucina) e per la scuola. Vero tasto dolente di un'Italia che, se da una parte morde il freno e supera burocrazia assassina e difficoltà di ogni genere, si trova in questo settore, ma non solo, in una condizione di deprimente incapacità di formare le giovani generazioni. Sarà banale dirlo, ma bisogna puntare a far funzionare i cari vecchi istituti alberghieri.

 

Il prossimo appuntamento con la tutela e la valorizzazione della nostra gastronomia sarà la Settimana della Cucina Italiana nel Mondo, dal 21 al 27 di novembre. Un'iniziativa nata in collaborazione con il Ministero degli Affari Esteri e che coinvolge ambasciate, istituti di cultura, consolati e altre realtà presenti in tutto il mondo.

 

Info: ambasciatoritalianidelgusto.it

Clicca qui per leggere lo statuto

 

 

a cura di Antonella De Santis

 


Cineforum del gusto: il legame fra cibo e cinema alla Città del gusto di Lecce

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Cibo e cinema, un legame indistruttibile fin dalle prime proiezioni dell’era moderna. Sono talmente tante le opere cinematografiche che pongono l'accento sul tema enogastronomico, da aver bisogno di una guida: per coloro che si trovano a Lecce e dintorni, ecco una nuova serie di appuntamenti con il Cineforum organizzato dalla Città del gusto di Lecce.

Il programma

Un cineforum che coniuga film e sapori, per condurre lo spettatore in un viaggio inaspettato: è iniziato il 29 settembre il Cineforum del gusto alla Città del gusto di Lecce. Una serie di appuntamenti per approfondire il tema della cucina e dell'enogastronomia nelle pellicole di tutto il mondo, fra visioni e assaggi. A ogni film, è infatti abbinato un menu degustazione ispirato alle scene, l'atmosfera e il tema del lungometraggio. La selezione dei film è curata dal critico cinematografico e musicale, docente dell'Università del Salento, Luca Bandirali, mentre i piatti in abbinamento sono dello chef Alfredo De Luca.

{gallery}Cineforum con gusto{/gallery}

“Monsoon Wedding” (India, 2001) è stata la prima proiezione del cineforum, abbinata a una cena indiana servita tra il primo e il secondo tempo, a base di samosa classici e vegani, chapati, riso, curry di verdure, biryani di pollo: tutto il meglio della cucina indiana tradizionale riproposto in chiave contemporanea dallo chef. Il secondo appuntamento, venerdì 7 ottobre, è stato con il film britannico "La fine del mondo" (2013), con un classico panino inglese tradizionale in abbinamento, farcito con stinco di maiale (o alternativa vegetariane e vegana su richiesta), accompagnato da birra artigianale. Ancora molte altre le sessioni in programma al cineforum di Lecce, tutte previste per le giornate di giovedì e venerdì, con film e cene ancora da definire. Un modo originale e informale per avvicinare i più giovani al mondo dell'arte attraverso il cibo, e per restituire alla cucina e alla tavola il loro giusto valore.

Cineforum del gusto | ogni giovedì e venerdì | Città del gusto di Lecce | piazzetta Panzera | costo 15 euro
I prossimi appuntamenti

 

a cura di Francesca Fiore

foto di Viviana Martucci

 

Milano Golosa 2016: cucina pura e agricoltura sinergica al centro del festival meneghino

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La purezza al centro della cucina contemporanea. È questo il tema centrale per l’edizione 2016 di Milano Golosa, il festival meneghino previsto dal 15 al 17 ottobre 2016. Al Palazzo del Ghiaccio tre giorni di dibattiti, degustazioni, confronti e approfondimenti.

L’edizione 2016 fra cucina “selvaggia” e agricoltura sinergica

Un’idea di cucina primitiva e pura, l’agricoltura sinergica, il foraging: sono queste le tendenze che si stanno monitorando nel capoluogo lombardo, le stesse che saranno al centro dell’edizione 2016 di Milano Golosa, festival gastronomico giunto alla quinta edizione, che quest'anno ha un occhio di riguardo verso la cucina vegetariana e vegana. Andare oltre il piatto, come ha spiegato Davide Paolini, ideatore della manifestazione ai più conosciuto come Gastronauta, vuol dire andare “alla ricerca dell’origine di ciò che vi si trova dentro. Sempre più in cucina si ricerca l’integrità della materia prima, un’idea di purezza da preservare”. Andare alla scoperta dell’origine dei sapori, lavorare sulla genesi degli abbinamenti, ricercare l’essenzialità: sono diversi gli ospiti che si confronteranno su questi temi, da Valeria Mosca, nota forager e coordinatrice del centro ricerche Wood-ing sui cibi selvatici, a Alice Agnelli del blog Gipsy in the kitchen, passando per l’attrice Laura Torrisi che tratterà il tema celiachia.

 

Milano Golosa 2015

Il programma

Un calendario ricco di eventi, che si focalizza su 5 ingredienti chiave: il cacao, il latte, il luppolo, il miele e la farina. Per ognuno di questi prodotti ci sarà un esperto a raccontarne il ciclo di vita e le peculiarità: da Claudio Corallo, agricoltore italiano a São Tome e Principe, considerato il numero uno del cacao al mondo, a Roberto Rubino presidente dell’associazione nazionale Formaggi sotto il cielo; da Eugenio Pellicciari di Hops Company Italia, la prima azienda italiana a produrre e commercializzare luppolo, ad Andrea Paternoster che, con la sua azienda Mieli Thun, promuove il miele di qualità e la ricerca della purezza durante la produzione. Nella giornata del 15 ottobre il focus sarà sul glutine, con un incontro dal titolo “Senza glutine e creatività in cucina” e un cooking show serale. Si parlerà di vino, in particolare di Primitivo della Cantina San Marzano, di Brunello con una verticale a cura di Col D’Orcia, ma anche di bollicine con il Thiénot. Spazio anche al miele e all’agricoltura sinergica con l’incontro con Pietro Leemann “Agricoltura sinergica e cucina. Il cuoco contadino è possibile?”. Nella seconda giornata invece i temi centrali saranno il latte e il cacao: il primo sarà al centro di un incontro con Roberto Rubino, mentre il cacao sarà celebrato in una degustazione a cura di Claudio Corallo. E poi forum sul parmigiano, sulla pasta fresca e ancora sulla tavola gluten free. Per quanto riguarda i vini, invece, saranno protagonisti Il collio di Silvio Jermann, il Valpolicella della Cantina Marion e il Leonia Pomino di Frescobaldi. Nella giornata conclusiva, lunedì 17 ottobre, spazio al pane e alle premiazioni di due contest: “Migliore pizzeria d’Italia” e “Panino passione italiana”.

Milano Golosa | dal 15 al 17 ottobre | Milano | Palazzo del Ghiaccio | via G. B. Piranesi 14 | ingresso 10 euro | www.milanogolosa.it

a cura di Francesca Fiore

Street Food d'Italia 2017. Lombardia: La ravioleria Sarpi di Milano

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Deve ancora compiere un anno l'insegna meneghina che si è aggiudicata il premio speciale per il miglior cibo da strada della Lombardia dalla guida Street Food 2017 del Gambero Rosso. È la Ravioleria Sarpi, un locale interamente dedicato ai ravioli cinesi, realizzati con materie prime italiane.

Cucina cinese e tradizione italiana non sono mai state così vicine come ne La ravioleria Sarpi, insegna meneghina della zona considerata ormai da tempo la Chinatown di Milano, dove le due culture, quella orientale e quella occidentale, si fondono in un'unica, originale ricetta. È il raviolo, uno dei piatti più rappresentativi della cucina mandarina che è diventato da poco meno di un anno uno dei “mangiari di strada”preferito dai milanesi. E questo è accaduto grazie al piccolo locale monotematico che coniuga la tradizione gastronomica della Cina alla bontà delle materie prime made in Italy, a cominciare dalla carne. A creare questo originale format, HujianZhou (Agie per gli amici), appassionato gastronomo originario della Terra del Drago ma milanese di adozione ormai da tanti anni. Questa è la sua storia, un racconto di luoghi e culture che si uniscono attorno alla tavola.

Come nasce l'attività?

La Ravioleria nasce da un mio sogno, quello di portare il gusto della cucina cinese a Milano, una città che contava già diverse insegne etniche, ma dove mancava la parte più verace della nostra tradizione gastronomica, quella del cibo di strada.

E così l'idea del raviolo.

Sì, esclusivamente raviolo, ricetta pratica, gustosa, apprezzata da tutti e ideale per l'asporto. E poi anche le crespelle di Pechino, le Jian Biang, ma sono un prodotto secondario e poco richiesto.

Come si è sviluppata l'idea della Ravioleria?

Quasi per caso, perché nella vita facevo tutt'altro. Sono laureato in Economia alla Bocconi, ho frequentato un master internazionale in Istituto di Impresa a Madrid, e mio padre era imprenditore di abbigliamento. Il progetto di metter su bottega in cui vendere ravioli fatti in casa, proprio come li preparava mia nonna, c'è però sempre stato e devo ringraziare Walter Sirtori della storica macelleria di via Sarpi, se questo sogno è diventato realtà. Io e Walter ci siamo conosciuti per caso, siamo diventati dapprima amici e poi colleghi. È stato un incontro fortuito, che mi ha consentito, nel dicembre 2015, di aprire il locale, partendo da ingredienti di prima qualità come quelli della sua macelleria.

Che tipo di carne utilizzate per i ravioli?

Maiale, manzo, pollo. E poi abbiamo i ravioli vegetariani.

E le verdure dove le acquistate?

Tutti gli ortaggi – sempre di stagione – provengono da aziende piemontesi e lombarde, così come le uova.

Com'è fatta la pasta?

Interamente a mano, dal panetto alla chiusura del raviolo. Utilizzo farine biologiche dell'azienda agricola Cascina Orsine e poi altre del Mulino Sobrino. Il vero cuore della Ravioleria sono tre signore originarie del Dongbei, il Nordest della Cina: sono loro a mettere le mani in pasta giorno dopo giorno e a portare a Milano i sapori di casa, quelli della mia infanzia.

E tu come hai iniziato a stare dietro i fornelli?

Veramente, sono ancora in prova: sono autodidatta e sto imparando giorno dopo giorno.

C'è un raviolo che va per la maggiore?

In realtà i clienti sembrano apprezzarli un po' tutti.

Quindi l'attività ha ingranato bene?

Sì, a distanza di meno di un anno, mi ritengo soddisfatto.

Progetti per il futuro?

Abbiamo aperto da poco un altro locale qui a fianco, a due numeri civici di distanza. Si tratta di un'altra insegna di street food, tutta incentrata sull'involtino al vapore, e non fritto. Abbiamo poi anche un pane cotto a vapore farcito con la carne di manzo, ma questo – proprio come la crespella nella Ravioleria – rimane un prodotto secondario.

Ravioleria Sarpi | Milano | via Paolo Sarpi, 27 | tel. 331 8870596 | www.facebook.com/La-Ravioleria-Sarpi

a cura di Michela Becchi

Guida Street Food 2017 del Gambero Rosso | Euro 6,50 | acquistabile in edicola, libreria e on line

Guida Street Food 2017 del Gambero Rosso. Ecco i risultati

Street Food d'Italia 2017. Valle d'Aosta: Sushiball di Courmayeur

Street Food d'Italia 2017. Veneto: Gourmetteria di Padova

Street Food d'Italia 2017. Friuli-Venezia Giulia: Mamm Ciclofocacceria di Udine 

Cucina siciliana. L'abc dei prodotti e dei piatti della regione

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Un’isola al centro del Mediterraneo che ha dato vita a una cucina sincretica e ricca di sfumature, che mostra le tracce di tutte le culture che vi si sono stabilite negli ultimi due millenni. Per la rubrica sulle tradizioni regionali oggi scopriamo l’Abc della cucina siciliana.

Aglio rosso di Nubia (Aglio di Paceco o Aglio di Trapani)

Un ingrediente fondamentale per la cucina trapanese: l’aglio rosso di Nubia. È coltivato a Nubia, frazione del comune di Paceco, in provincia di Trapani, da qui le diciture alternative del nome. La sua produzione avviene in gran parte nella Riserva naturale integrale Saline di Trapani e Paceco o nei comuni limitrofi di Erice, Buseto Palizzolo, Valderice, Marsala e Salemi e Trapani. Il suo colore rosso è dato un alto livello di allicina, cioè la sostanza che dà al prodotto il suo caratteristico aroma ed è responsabile delle sue proprietà farmacologiche. La raccolta avviene fra maggio e giugno, nelle prime ore del mattino per permettere ai produttori di cercare più facilmente le trecce grazie all’umidità che si deposita sulle foglie: la gran parte delle operazioni vengono ancora effettuate manualmente. Per non impoverire il terreno si coltiva in rotazione con il Melone giallo di Paceco. A Trapani si usa per condire il cous cous e per le Busiate al pesto trapanese: un sugo  base di aglio pestato, pomodorino pizzuto, mandorle, basilico e olio extravergine d’oliva, che in dialetto locale viene chiamato appunto "pasta cull'agghia".

Aglio rosso di Nubia

Alaccia salata di Lampedusa

Era uno degli alimenti principali dei pescatori di Lampedusa, durante le traversate del Mar di Sicilia per andare a pescare le spugne. L’alaccia (sardinella aurita) è molto simile alla sardina, ma meno slanciata e più grande: ha molte proprietà organolettiche, è ricca di Omega3 ed è facile da digerire. Ancora oggi si pesca come un tempo, ovvero con lampara e cianciolo, una rete a circuizione che, grazie alle luci delle barche, attrae il plancton e dunque i pesci che se ne cibano. Si pesca fra maggio e novembre, viene consumata marinata in aglio, limone e prezzemolo, sottolio, oppure fritta, dopo averla impanata leggermente con la farina sfumandola con aceto.

Alaccia

Bottarga di tonno

Una specialità che accomuna diverse zone in Sicilia, dal territorio del trapanese alle Isole Egadi, da Marzamemi a Capo Passero, l’estrema punta sud orientale dell’isola. Particolarmente rinomata è la bottarga di Favignana, dove la pesca al tonno è non solo un’attività commerciale ma anche un rito da secoli. Qualcuno la chiama, semplicemente, “uova di tonno siciliano”, perché si produce a partire proprio dalle uova del pesce: la sacca ovarica viene estratta con cura dalla femmina, lavata e ricoperta con sale marino, infine pressata e stagionata. Solitamente di tonno rosso o di muggine, è un alimento che ha un livello elevato di proteine; si può trovare intero, della forma della sacca ovarica, un  “panetto” da grattugiare o tagliare a listarelle oppure direttamente in polvere, ovviamente di minor pregio. Negli ultimi anni si produce anche la bottarga di tonno a pinna gialla, meno pregiato, per questioni di sostenibilità della fauna ittica. La bottarga è un alimento molto saporito: per questo di solito si grattugia sulla pasta cotta con pochissimo sale, ma si si consuma anche come antipasto, a fettine, su crostini ricoperti di burro.

Bottarga di Tonno

Caciocavallo (palermitano e ragusano DOP)

Il caciocavallo è un formaggio a pasta filata diffuso in tutte le zone di quello che un tempo era il Regno delle Due Sicilie; in Sicilia sono due le varietà locali, il palermitano e il ragusano DOP. Il primo, chiamato anche caciocavallo di Godrano, viene fatto esclusivamente con il latte di vacche di una razza autoctona, la cinisara, che fa parte del gruppo delle razze italiane podoliche: una razza a mantello nero, molto resistente e longeva, capace di nutrirsi anche con foraggi grossolani. Dal colore giallo paglierino, questo formaggio ha una pasta compatta e un sapore piccante, può essere consumato “fresco”, cioè dopo 2 settimane di maturazione, o stagionato, dopo circa 6 mesi. 

Il secondo, ragusano DOP o anche caciocavallo ibleo, viene prodotto a partire dal latte di vacche modicane, che stanziano nella campagna intorno ai Monti Iblei; ha un sapore dolce e delicato, che diventa via via più intenso e piccante secondo la stagionatura che va dai 4 mesi a un anno; così come il palermitano si può mangiare crudo, come antipasto, oppure nei primi piatti al forno. Ma se volete gustarlo in una versione speciale, provatelo all'argentiera: vi basterà adagiarlo in padella con un filo d’olio, farlo dorare da entrambi i lati, sfumandolo a cottura ultimata con un goccio di aceto. Infine, insaporite con prezzemolo trito, origano e pepe nero.

Ragusano Dop

Carciofi (spinoso di Menfi, violetto di Catania)

Trovare un carciofo con le spine al di fuori della Sicilia non è sempre cosa facile, nella provincia di Agrigento è invece la regola. Pianta dalle origini antichissime, il carciofo spinoso è una varietà autunnale, il suo sapore è croccante e delicato allo stesso tempo, l’aroma intenso. Grazie a un elevato contenuto di lignina che lo rende particolarmente resistente, è perfetto per la conservazione sottolio, in alternativa si cuoce sulla brace o al forno, spesso cosparso di pangrattato e prezzemolo.

Il carciofo violetto di Catania è invece una varietà ibrida, più delicata e tenera del cugino di Menfi; è coltivato in tutta la Piana di Catania, in particolare a Ramacca, dove lo si celebra con una sagra. È ideale per essere consumato ripieno (alla messinese), per il risotto, le paste fresche, alla brace, fritto o sottolio.

Carciofo spinoso di Menfi

Cardi selvatici o Carduna

Varietà selvatica appartenente alla famiglia del carciofo (Cynara cardunculus), è un prodotto molto apprezzato in Sicilia, in particolare nella provincia di Palermo. Della pianta si mangia il gambo, che può arrivare anche al metro e cinquanta di altezza. Cresce spontaneamente un po’ in tutto il bacino del Mediterraneo, ma qui viene considerato una vera prelibatezza, adatta a palati raffinati: ha un sapore simile a quello del carciofo, ma più caratteristico e amarognolo, con sfumature che ricordano il sedano. Fritto in pastella è un antipasto tipico del palermitano, ma si consuma spesso anche come contorno, gratinato al forno, oppure in umido con il pomodoro a pezzetti.

Cardi selvatici

Cappero di Pantelleria

Riconosciuto con marchio IGT dal 1996, il cappero di Pantelleria è uno dei prodotti siciliani più conosciuto fuori isola, il suo nome scientifico è Capparis spinosa, Nocellara la cultivar. Della pianta che cresce su tutto il territorio di Pantelleria si consumano i boccioli, i capperi appunto, che vanno raccolti in maniera rapida, prima che si schiudano, nelle prime ore del mattino. Più raramente si mangiano anche i frutti, noti come cucunci. Dopo la raccolta, vengono messi a maturare in una salamoia di sale marino: una fase cruciale per togliere ai bottoni delle inflorescenze l’eccesso di amaro. La maturazione dura 10 giorni, durante i quali i produttori li mescolano in continuazione: una volta scolati vengono rimessi sotto il sale nuovo per ripetere l’operazione. Dopo questa seconda fase di maturazione si possono mangiare. Oltre che per aromatizzare pesci come il baccalà e il tonno, i capperi  sono fondamentali per la “sciachisciuca”, cioè la caponata di Pantelleria o la celebre insalata pantesca, fatta con patate, cipolle rosse, pomodorini, olive e gli immancabili capperi.

Cappero di Pantelleria

Cavolo trunzo di Acireale

Il nome di questo prodotto riprende un epiteto con il quale i catanesi prendono in giro gli abitanti di Aci: in primis quelli di Acireale, ma anche quelli di Aci Trezza, Aci Sant’Antonio, Aci Catena, Aci Castello, Aci Bonaccorsi. Il cavolo trunzo è appunto coltivato in tutto questo territorio, si tratta di un cavolo rapa che trae “forza” e colore dalle pendici dell’Etna. Fino a metà degli anni 50 era un ortaggio molto diffuso ma adesso ne restano coltivazioni in poche decine di ettari. Ha dimensioni contenute, un colore violaceo chiaro e dei lunghi rami che partono dalla base, si coltiva in due cicli, da maggio a giugno e da ottobre e novembre. I catanesi lo mangiano appena saltato con gli spaghetti, ridotto a pesto con le tagliatelle, nelle minestre insieme ad altre verdure, in insalata o stufato come contorno alle carni locali.

Cavolo trunzo di Acireale

Cipolla di Giarratana

Nota soprattutto per le sue dimensioni, che vanno dai 500 grammi ai due chili, arrivando talvolta a toccare anche i tre chili, ha un sapore incredibilmente dolce: è la cipolla di Giarratana. Dalla forma leggermente schiacciata e dal colore bianco, cresce nel comune di Giarratana, sui Monti Iblei, e nei dintorni della provincia di Ragusa. Grazie al sapore mai pungente è ottima da consumare cruda, nelle insalate, oppure condita con olio e sale. Spesso viene cucinata ripiena ma da il meglio di sé nella così detta “scaccia Sciclitana”, cioè la focaccia chiusa, insieme alla salsa di pomodoro e prezzemolo.

Cipolla di Giarratana

Cous cous trapanese

Il cous cous, o cùscusu in dialetto trapanese, più che un prodotto è una preparazione comune a tutto il Nord Africa e alla Sicilia Occidentale. La zona di Trapani è specializzata in questo piatto: non a caso è qui che si svolge il celebre Cous Cous Fest, per la precisione a San Vito Lo Capo. Per i siciliani della parte occidentale mangiare il cous cous è come mangiare un piatto di pasta: una pietanza naturalizzata ormai da secoli, fondamentale nella dieta locale. È fatto di grani di semola del diametro di un millimetro cotti al vapore nella cuscussiera, una pentola di terracotta adibita esclusivamente a questa pietanza, che ha dei piccoli forellini per far passare il vapore. L’operazione con cui le massaie formano le palline, ancora svolta a mano, è detta “incocciare”: a Trapani si fa con la “ghiotta”, un brodo di pesce misto in cui di solito si trovano scorfani, cernia, gallinella, gamberi, scampi, luvaro e anguille delle saline trapanesi. Se arricchito da verdure come peperoni, melanzane, zucchine e patate diventa cous cous pantesco: un piatto centrale nel panorama gastronomico di Pantelleria. La differenza con quello tunisino sta sia nel condimento, di pesce invece che di carne, ma anche nelle dimensioni delle palline, più grandi e grossolane in Sicilia, più piccole in Nord Africa. Un piatto tipico del trapanese, in particolare dell’entroterra, è “I frascatuli ”, ovvero granelli di semola incocciata grossolanamente cotta a vapore e accompagnata da una zuppa di fave, carote, ceci e cavolfiore.

Cous Cous Trapanese

Foto di Frédérique Voisin-Demery

Fagioli (Fagiolo Cosaruciaru di Scicli e Fagiolo Badda di Polizzi Generosa)

In dialetto siciliano cosaruciaru vuol dire semplicemente “cosa dolce”: fino ai primi del ‘900 il fagiolo cosaruciaru aveva un grande peso nell’economia locale. Prodotto fra Scicli e Modica, in provincia di Ragusa, si raccoglie dalla metà di ottobre a novembre, mentre in versione essiccata si trova in commercio tutto l’anno. Ha un colore bianco panna, con macchiatura marrone-rossiccia e grazie alla delicatezza del suo sapore si adatta a tante ricette diverse, ma è soprattutto adatto a essere consumato nelle zuppe o in insalata, veniva conservato cosparso da un pugno di cenere onde evitare le tignole, ovvero le farfalline del grano.

Il Fagiolo Badda, in siciliano palla, è un prodotto particolare: la sua pianta dà origine a fagioli di colori diversi. Si coltiva a Polizzi Generosa, paesino in provincia di Palermo che fa parte dei Monti delle Madonie e al di fuori di questa zona è praticamente sconosciuto. Secondo l’ecotipo specifico può essere di volta in volta avorio con macchie rosa-arancioni, o avorio con macchie nere-viola scuro. I polizzani lo chiamano anche “fasolo badda bianca”, “badda niura”, o “munachedda”. Si semina fra giugno e luglio e si raccoglie circa 60 giorni dopo, il suo sapore è sapido, erbaceo, con una leggera nota salmastra e astringente. È molto digeribile e usato per la preparazione di molti piatti locali: tagliatelle con pomodoro fresco e fagioli freschi, i “fasoli chi finucchieddi”, ovvero una zuppa fatta con la cotenna di maiale, fagioli badda e finocchietto selvatico. Infine un piatto particolare, il cunigghiu. Non fatevi ingannare dal nome, è un piatto povero fatto con fagioli, ventresca, baccalà e verdure.

Fagiolo Badda di Polizzi Generosa

Fave larghe di Leonforte

In provincia di Enna, quasi al centro della Sicilia, c’è un prodotto coltivato da secoli e ancora oggi senza meccanizzazione alcuna: la fava larga di Leonforte. In passato veniva coltivato a rotazione con il frumento ed aveva l’importante funzione di dare azoto al terreno. A Leonforte sono dette fave cucivuli, indicando così la capacità di cuocere velocemente, senza necessità di ammollo. Si raccolgono da marzo a maggio: le prime si mangiano fresche e possono essere consumate crude insieme al pecorino, quelle più tardive si consumano e secche vengono impiegate per la preparazione di paste e zuppe o, ancora, vengono cotte in padella con pancetta, cipollotti e pepe, diventando la “frittedda”. Un piatto particolare fatto con le fave secche è il macco: una zuppa del giorno dopo, o meglio, dei giorni dopo. Perché con un piatto solo i contadini siciliani riuscivano a coprire tre pasti: una prima versione in brodo con l’aggiunta di pasta o pane, il giorno dopo sotto forma di zuppa e, infine, i rimasugli venivano lasciati a seccare per essere poi impanati nella farina e fritti.

Fave larghe di Leonforte

Gambero rosso di Mazara del Vallo

Il gambero rosso di Mazara del Vallo, o gambero rosso di Sicilia (Aristaeomorpha foliacea) è un vero e proprio culto in Sicilia. La specie è diffusa in tutto il Mediterraneo e nell’Oceano Atlantico, ma secondo i mazaresi (e non solo loro) è nelle loro acque che da il meglio di sé. Mazara del Vallo, cittadina della Sicilia sud-occidentale, è affacciata sul Mar Mediterraneo e dista meno di 200 chilometri dalle coste del nord Africa; la pesca del gambero è l’unico caso di pesca industriale in Italia, si usa congelarlo direttamente in barca, subito averlo pescato, per preservarne le carni pregiate. In epoche passate, le barche dei pescatori oltrepassavano addirittura lo Stretto di Gibilterra per pescarlo, mentre oggi la zona di pesca è più limitata. Da anni la comunità tenta di far istituire la Denominazione d’origine sul prodotto, ma senza riuscirci. Il nome viene naturalmente dal suo colore: un rosso intenso e brillante, con delle sfumature che ricordano i coralli. Il suo sapore è inconfondibile, la polpa bianca e compatta. Spesso è consumato crudo, per via della sua delicatezza, oppure insieme a tagliatelle e paste fresche.

Gambero Rosso di Mazara del Vallo

Lenticchie (Lenticchia di Villalba e Lenticchia di Ustica)

La coltivazione della lenticchia di Villalba risale agli inizi del XIX secolo con un picco della produzione negli anni '60 del secolo scorso, poi man mano ridotta fino quasi a scomparire. Oggi c’è una riscoperta di questo prodotto povero ma essenziale nella dieta: una lenticchia verde a seme grande, molto versatile e resistente. Ha una cottura molto lunga, quasi un'ora, ma non si sfalda facilmente: per questo è adatta a ricette come le insalate, dove il chicco deve rimanere integro.

Dalla lenticchia più grossa alla più piccola: la lenticchia di Ustica. Coltivata da sempre sui terreni lavici della piccola isola di Ustica (Palermo) con tecniche completamente manuali, è una lenticchia di dimensioni ridotte, dal colore marrone scuro con sfumature verdoline. Non ha bisogno di ammollo e la cottura dura intorno ai 40 minuti. Due le ricette isolane più note sono la pasta con le lenticchie preparata con gli spaghetti spezzati e la zuppa di lenticchie e verdure, arricchita con finocchietto selvatico e basilico.

Lenticchie di Ustica

Mandarino tardivo di Ciaculli

Chiamato anche marzuddu, per la sua maturazione tardiva intorno al mese di marzo, questo mandarino prende il nome da una frazione di Palermo. È una varietà endemica e molto rara: la produzione è limitata a circa 200 ettari fra le borgate di Ciaculli e Croceverde Giardina. Si tratta però di un mandarino che rischia di scomparire entro i prossimi decenni: le proprietà estremamente parcellizzate, infatti, non guadagnano molto dal prodotto, mentre la vendita dei terreni per altre coltivazioni sembra diventare sempre più redditizia. Ha un aroma intenso, una buccia molto sottile e pochissimi semi: coltivato quasi esclusivamente in biologico, perché resistente alle malattie e agli sbalzi di temperatura, il suo sapore è particolarmente dolce, grazie all’elevato contenuto zuccherino; con il marzuddu si producono delle ottime marmellate da gustare tutto l’anno.

Mandarino tardivo di Ciaculli

 

Masculina da magghia

Nel catanese spesso si sente parlare di masculina, cioè le acciughette rese celebri dai Malavoglia, chiamate anche anciuvazzi. I masculina da magghia, in particolare, sono le piccole acciughe che rimangono incastrate nelle reti durante la pesca di aguglie, spigole, tonni, triglie e sgombri. È un antichissimo metodo di cattura: si calano le “tratte”, cioè le reti, fra le ultime ore della notte e l’alba, quando si ritirano su le acciughe rimangono incastrate, cosa che provoca un dissanguamento naturale nel pesce, in modo che la carne risulti più tenera. L’area prediletta è il Golfo di Catania, una zona che va da Capo Mulini ad Augusta, mentre il periodo migliore è aprile. Una volta pescati, i pescatori vanno alla Piscaria, il famoso mercato del pesce di Catania. Sono diversi i piatti che si fanno con queste piccole acciughe: una delle preparazioni più semplici e tradizionali li vuole infilzati in uno spiedone e arrostirli sulla brace, alternando i pesci con fettine di limone e alloro. Altro piatto tipico è la pasta alla catanese o pasta chi masculuna, condita semplicemente con le acciughe passate in padella con aglio e finocchietto selvatico.

Masculina da magghia

Melone Giallo Madras, di Paceco o Cartucciaro

Un prodotto che potrebbe sembrare tradizionale, ma che è invece stato introdotto solo negli anni ‘90, rimpiazzando il “vecchio” melone di Paceco: è il Madras, affiancato poi da altre varietà come il Campero e dagli Helio. Precoci e molto produttivi, si sono lentamente sostituiti al classico melone cartucciaro, più difficile da coltivare e sono ormai entrati a far parte della “nuova tradizione” di Paceco, piccolo comune della provincia di Trapani. Si raccoglie da giugno ad agosto e quando i prezzi subiscono un crollo dovuto all’abbondanza, intorno alla metà di luglio, nei campi intorno a Paceco si possono vedere distese di meloni lasciate per nutrire capre e pecore. A Trapani si utilizza soprattutto per fare granite e dolci, oltre che come frutto da tavola.

Melone Giallo di Paceco

Meusa

Ci spostiamo a Palermo per un piatto popolare, una volta pasto tipico dei lavoratori della zona, oggi uno street food conosciuto anche al di fuori dei confini regionali: la meusa. Per la precisione il pani ca meusa: una pagnotta morbida chiamata vastedda, spolverata di sesamo in cima, riempita con pezzetti di milza di vitello cotti nello strutto. Alcune varianti prevedono, oltre alla milza, anche pezzettini di polmone. Il meusaro ha un’attrezzatura specifica per preparare il piatto: una padella enorme un po’ inclinata dove lo strutto rimane caldo in attesa che arrivi la milza, da cucinare solo appena prima di servirla. Il panino può essere schittu (celibe) o maritatu (spostato): cioè può essere ripieno di sola milza oppure ripieno di milza condita con pezzettini di caciocavallo o ricotta.

Pani ca meusa

Olive (biancolilla, tonda iblea, nocellara del belice, cerasuola)

La Sicilia ha un enorme patrimonio olivicolo: attualmente le varietà d’olivo descritte con certezza sono venticinque, ma altri trenta genotipi sono sotto osservazione da parte degli esperti per individuarne proprietà organolettiche e caratteri sensoriali. L’olio extravergine d’oliva è un elemento essenziale della cucina siciliana: rappresenta il condimento di ogni piatto, ed è utilizzato anche per friggere. Le varietà più importanti sono la biancolilla, la cerasuola, la nocellara del Belice, la tonda iblea. La prima è la più diffusa, le sue zone d’elezione sono il trapanese e il palermitano, dà vita ad oli mediamente fruttati; con la cerasuola, diffusa maggiormente nelle province di Agrigento, Palermo e Trapani, si producono oli con fruttato di media o alta intensità, secondo la maturazione; la nocellara del Belice, protetta dalla Denominazione d’origine, si coltiva soprattutto a Trapani e dà un olio fruttato, dal gusto particolarmente inteso e corposo, con sentori di pomodoro; infine la tonda iblea, diffusa prevalentemente nella Sicilia sud-orientale, tra le province di Caltanissetta, Catania, Ragusa e Siracusa, produce un olio fruttato a media o alta intensità e si distingue per la netta nota di pomodoro e carciofo.

Tonda Iblea

Padduni

Particolare formaggio prodotto esclusivamente con capra girgentana (agrigentina), conosciuto anche come balluni o badduni, nome che deriva dalla sua forma sferica (pallone). Non supera mai il peso di 300 grammi e la sua lavorazione non prevede alcuna stagionatura. Viene preparato in tutta la Sicilia, da capre allevate al pascolo, fuori dalla stalla, nel periodo che va da febbraio a ottobre. Il suo sapore è particolarmente delicato e per questo è spesso usato nei dolci; è inoltre ricco di proteine e grassi e per questo viene spesso consigliato a coloro che fanno attività fisica.

Pane cunzatu e pani tipici (nero di castelvetrano e lentini)

Il pane in Sicilia, come in altre parti d'Italia, è una vera e propria religione: non c’è tavola che non ne abbia una o più varietà. Era il cibo di chi non poteva permettersi pasta, carne o pesce e veniva accompagnato spesso da verdure crude come la cipolla: ancora oggi in una buona parte delle case siciliane, soprattutto nei paesini di montagna, il pane viene preparato in casa e cotto nel forno a legna. Fatto generalmente di farina di semola di grano duro, in molte zone viene aperto in orizzontale, a mo’ di torta, per essere farcito al suo interno con pomodoro, olio extravergine d’oliva, sale, origano e spesso anche sarde salate e formaggi vari: è u pani cunzatu (pane condito).

Pani cunzatu

Oggi vi raccontiamo anche due varietà di pane locale che stanno recentemente vivendo un processo di riscoperta: il pane di Lentini e il Nero di Castervetrano. Il primo è un pane antico prodotto nei comuni di Lentini e Carlentini, in provincia di Siracusa con semola di grano duro e una piccola aggiunta di farina di timilia, tumminìa in siciliano, un grano tardivo coltivato ormai solo in pochissime zone della Sicilia. Ha una caratteristica forma a esse, la crosta sottile, scura e tenera con semi di sesamo in cima, una mollica compatta e soffice tendente al giallo paglierino, un sapore tendente al sapido. Il nero di Castelvetrano viene prodotto nell’omonima città in provincia di Trapani e nella vicina Campobello di Mazara; anche in questo caso si mischiano due farine di semola, quella di grano biondo siciliano e la farina di timilia, entrambe integrali e macinate in mulini a pietra naturale. Questo mix rende particolarmente evidenti il tostato, i sentori di mandorla e di malto. Il pane ha una crosta dura e scura, con semi di sesamo sulla sommità, mentre la mollica è di colore giallo e tendente al dolce.

Panelle

Sono un caposaldo dello street food palermitano: si comprano nelle friggitorie oppure dai carretti ambulanti ubicati solitamente in prossimità dei mercati. Sono frittelle sottili - anche se nessun palermitano le chiamerebbe così - fatte con farina di ceci, acqua e prezzemolo, che si mettono nelle così dette mafalde, panini morbidi da circa 200 grammi ricoperti di semi di sesamo. Insieme alle panelle nel panino spesso si mettono anche i cazzilli, le crocchette di patate alla palermitana, dalla forma lunga e un po’ schiacciata, condite con abbondante prezzemolo. Indispensabili le gocce di limone da spremere sul panino aperto per aggiungere freschezza alla pietanza.  

Panelle

Pecorino siciliano DOP e pecorino rosso

Il pecorino siciliano è un formaggio a pasta semidura che deriva dalla cultura greca: è fatto esclusivamente con latte di pecora crudo, ha una pasta bianca e compatta e un sapore caratteristico tendente al piccante. Può essere consumato in diversi stadi di stagionatura: come tuma, a pochi giorni dalla produzione, come primo sale, dopo circa 15 giorni, semistagionato, dopo uno o due mesi, oppure stagionato, dopo una maturazione che va dai 3 ai 4 mesi. Solo in quest’ultimo caso avrà il marchio DOP.  

Pecorino siciliano

Il pecorino rosso è un formaggio di latte di pecora a pasta filata che ha una caratteristica particolare: durante la stagionatura è infatti strofinato con sugo di pomodoro e olio d’oliva, cosa che gli conferisce il caratteristico colore rosso. Un trattamento fatto a mano, dopo circa due mesi di maturazione, quando la pasta è ancora tenera: l’impasto di pomodoro e olio crea una pellicola protettiva sulla buccia, lasciando respirare comunque il formaggio per il resto della stagionatura. A volte al misto di olio e pomodoro si aggiunge anche del peperoncino.

Pomodoro a fiore di Corleone o Corleonese

Coltivato nel palermitano e nel trapanese, è una varietà antica di “pomodoro indeterminato”, definizione che indica piante dallo sviluppo pluriennale che continuano a produrre fiori e frutti in varie fasi. Raggiungono altezze elevate e hanno bisogno di supporti per svilupparsi al meglio, non solo: devono essere sottoposte al processo di “sfemminellatura” - detto anche scacchiatura - cioè l'eliminazione dei germogli cosiddetti ascellari, ai lati del fusto centrale della pianta. Produce frutti costoluti, schiacciati, dal colore rosso intenso a maturazione: con questo prodotto si produce un sugo dall’aroma intenso e inconfondibile, ma può essere anche mangiato in insalata.

Pomodoro a fiore di Corleone

Pomodoro di Pachino

Il pomodoro di Pachino non è un prodotto tradizionale siciliano. L’abbiamo inserito in questo elenco per spiegare quello che in pochi ancora sanno: questo dolce pomodorino dalle dimensioni contenute e dal colore brillante è in realtà frutto di sperimentazione biotecnologica. La varietà, infatti, è stata introdotta nel 1989 dalla multinazionale sementiera israeliana HaZera Genetics, che l'aveva ottenuta attraverso una specifica selezione: da questa selezione sono nati ben quattro tipi di pomodorino di Pachino, il ciliegino, il costoluto, il grappolo e il tondo liscio, tutti ora a marchio IGT. Il disciplinare IGP prevede per la produzione una zona di coltivazione che comprende i comuni di Pachino e Portopalo di Capo Passero, più parte dei comuni di Noto (Siracusa) ed Ispica (Ragusa).

Pomodoro di Pachino

Piacentinu ennese DOP

Formaggio prodotto con latte di pecora intero, caratterizzato dall’aggiunta di zafferano e pepe nero, che danno al prodotto una colorazione fra il giallo e l’arancione e un sapore deciso e leggermente piccante, molto particolare. Il suo peso varia fra i 3 chili e i 4 chili e mezzo, matura circa 60 giorni, dopo i quali il sapore diventa aromatico e dolciastro grazie alla presenza dello zafferano. Il piacentinu ennese è uno degli elementi portanti della gastronomia tipica della provincia di Enna, in particolare tra i monti Erei e la valle del Dittaino, e dalla storia antica: si racconta infatti che nel XI secolo Ruggero I, conte di Altavilla, curò la moglie Adelasia da una depressione invitando i produttori ad aggiungere un pizzico di zafferano al formaggio locale.

Piacentinu ennese

Pistacchio di Bronte DOP

È l’oro verde di Bronte: per questo paesino immerso nel verde della parte catanese del Parco dei Nebrodi il pistacchio rappresenta un patrimonio inestimabile. Tutti qui hanno dei legami con questo prodotto: chi lo coltiva, chi lo vende, chi lo trasforma in sughi e creme. È un frutto prezioso ma difficile da coltivare, soprattutto in una zona dove l’acqua scarseggia. E che produce i suoi frutti solo ad anni alterni. La raccolta è “eroica”: in bilico sui massi di lava, aggrappati ai rami della pianta, si staccano i chicchi uno ad uno per farli cadere in un sacco di telo che si lega al collo. In compenso, questo lavoro darà pistacchi saporiti e sapidi, dal sapore unico e inconfondibile, molto più saporiti di quelli provenienti dai principali concorrenti di Bronte, ovvero Turchia, America Latina e Iran, ma anche più costosi. In Sicilia il pistacchio viene consumato da solo, come snack salato dopo essere stato leggermente tostato, o impiegato come ripieno di paste fresche e secche, inserito in mille preparazioni dolci fra i quali la saporita torta al pistacchio, granite e gelati.

Pistacchio di Bronte

Provola siciliana (provola dei Nebrodi, dei Monti Sicani, delle Madonie)

La provola è uno dei formaggi più caratteristici e diffusi in Sicilia: è un formaggio a pasta filata ottenuto da latte vaccino crudo, solitamente da vacche di razza modicana. Ha una tipica forma a pera affusolata, crosta è liscia e tendente all’ambrato, pasta compatta e bianca, uapore delicato e dolce che diventa sempre più deciso secondo la stagionatura. Vogliamo raccontarvi tre provole legate a territori specifici: la provola dei Monti Nebrodi, quella dei Monti Sicani e la provola delle Madonie. La prima è l’unica provola siciliana a subire un processo di stagionatura: ha una pasta bianca tendente al paglierino, compatta e morbida, con un sapore dolce leggermente acidulo e piccante secondo la stagionatura. Altra caratteristica è il fatto di essere manipolata a lungo, prima della filatura della pasta, quasi come fosse un impasto per il pane: grazie a questo procedimento il formaggio tenderà a sfogliarsi in bocca durante il consumo. Raggiunge anche i 5 chili di peso e può maturare dai 30 giorni, per la versione fresca, a oltre 4 mesi per quella ultra stagionata, e a volte all’interno del formaggio si trova del burro o un limone intero.

Provola dei NebrodiProvola dei Nebrodi

La provola dei Monti Sicani, fatta sempre con latte vaccino, è molto più piccola: difficilmente raggiunge il chilo. La particolarità di questo formaggio è la sua salatura, che  avviene in salamoia satura per quattro/sei ore. La pasta è morbida, untuosa, di colore bianco o avorio o paglierino chiaro si consuma fresca o leggermente stagionata (massimo un paio di giorni).

Infine, la provola delle Madonie, simile per aspetto alla provola dei Nebrodi, ma più schiacciata e panciuta. È un formaggio prodotto da latte vaccino, con una crosta liscia e sottile di colore giallo paglierino, una pasta compatta, tenera ed elastica. Ha un sapore dolce e delicato, grazie alla stagionatura massima di 15 giorni, anche in questo caso la salatura è in salamoia. Esiste anche una versione leggermente affumicata.

Ricotta salata e ricotta infornata

La ricotta salata o secca, in siciliano ricotta funnata, è diffusa un po’ in tutto il Sud Italia, ma qui diventa protagonista indiscusso di diversi piatti, fra i cui la celebre pasta alla norma, fatta con melanzane fritte, sugo di pomodoro, basilico e l’immancabile montagna di ricotta grattugiata. A differenza della ricotta fresca, con cui condivide gran parte del procedimento di realizzazione, questo tipo di ricotta viene salata a mano con il sale marino grosso e lasciata stagionare dai 10 ai trenta giorni. È prodotta quasi esclusivamente con latte di pecora.

Ricotta salata

La ricotta infornata è un prodotto tipico siciliano: fatta con latte misto (pecora e capra) viene realizzata infornandola a una settimana dalla salatura e ripetendo l’operazione 5 o 6 volte. Molto utilizzata nella provincia di Messina, ha un sapore “neutro”: molto delicato e in equilibrio fra dolce e salato, con un leggerissimo sentore di nocciole tostate e frutta secca. È particolarmente adatta a essere consumata come antipasto insieme ad altri ingredienti come salumi olive e formaggi, o grattugiata sui maccheroni alla norma.

Sale marino di Trapani

La tradizione delle saline siciliane porta con sé una storia che risale all’epoca fenicia: per sfamare le persone meno abbienti si usava far essiccare i pesci più poveri nei laghi salati, in modo da ricavare piatti saporiti anche con poche risorse. La Sicilia è una delle tre regioni che producono  la maggior parte del sale marino italiano, insieme a Calabria ed Emilia Romagna. È Trapani oggi la provincia d’elezione per il prezioso minerale: qui di produce il sale marino di Trapani IGT, mentre un tempo il primato veniva conteso a Siracusa, dov’erano concentrate la gran parte delle saline siciliane, ma nella seconda metà del ‘900 questa produzione fu gradualmente abbandonata. Oggi a Trapani i produttori sono sia industriali che artigianali: ogni anno si effettuano circa tre raccolti, a seconda delle condizioni climatiche. Trapani, Paceco e l'isola di Mozia rappresentano i punti cardine di questa produzione: rispetto agli altri sali da cucina, questa tipologia contiene più potassio, più magnesio e una quantità minore di cloruro di sodio.

Sale marino di Trapani

Suino Nero dei Nebrodi

Molto più simile ad un piccolo cinghiale, il suino nero vive allo stato brado sui monti del Parco dei Nebrodi, che si estende fra le provincie di Messina, Catania ed Enna. Di taglia piccola e dal mantello scuro, ha una carne molto saporita grazie alla sua alimentazione quasi esclusivamente a base di ghiande, che viene integrata solo nei periodi di gestazione: da vita a una serie di ottimi prodotti a consumo locale, che raramente raggiungono i mercati del continente. Fra questi il salame fellata, il tipico salame da suino nero, la salsiccia dei Nebrodi, il capocollo, il lardo, la pancetta ed un ottimo prosciutto crudo.

pancetta di suino nero

Talli o tenerumi di zucchina

I talli di zucchina sono un prodotto che si consuma in poche zone d’Italia: oltre alla Sicilia si mangiano in Campania e Puglia. In Sicilia vengono chiamati tenerumi: altro non sono che le foglie della zucchina serpente, una zucchina lunga e stretta dal sapore dolce e delicato che si mangia prevalentemente in umido con cipolla, patata, poca polpa di pomodoro, pepe nero e prezzemolo. Da giugno a metà ottobre si raccolgono le foglie e i germogli più teneri, che verranno poi trasformati nella pasta con i tenerumi: minestra in brodetto con i talli e lo stesso procedimento di cui sopra.

talli

Vastedda della Valle del Belice e Vastedda palermitana

L'aspetto tipico di questi due formaggi ne ha determinato i loro nomi: la vastedda in Sicilia indica infatti una forma ovale schiacciata, che in alcuni casi si utilizza per dare il nome al pane, in altri ai formaggi. La vastedda della Valle del Belice è un formaggio di latte crudo di pecora belicina della Valle del Belice, un'area compresa tra le province di Palermo,Trapani e Agrigento. È un formaggio che estivo, che si produce da maggio a ottobre e si consuma fresco, dopo tre giorni dalla produzione: è l’unico formaggio di pecora italiano a pasta filata. Dal colore bianco avorio, ha un sapore delicato e fresco, con una lieve nota acidula: ha una particolare lavorazione che diminuisce la massa grassa mantenendo i livelli di proteine, cosa che lo rende più leggero e digeribile.

La Vastedda palermitana invece è molto più simile a un caciocavallo: prodotta con latte di vacca crudo, è un formaggio a pasta filata salato in salamoia e consumato dopo 48 ore di riposo.

Vastedda del BeliceVastedda del Belice

Zafferano

Chiudiamo questa piccola rassegna con una spezia molto significativa per l'isola: lo zafferano. Introdotto dagli arabi, veniva soprannominato l'oro rosso di Sicilia: è prodotto in diverse regioni d’Italia, ma qui diventa un imprescindibile ingrediente di una delle preparazioni più tipiche, le arancine. Cresce principalmente nella provincia di Enna ma, dopo un lungo periodo di abbandono, la coltivazione si sta diffondendo lentamente su tutto il territorio regionale. Imprescindibile l’accoppiata con il piacentinu ennese.

Zafferano

Il testo è stato revisionato dallo chef Adrea Rizzo di Osteria dei Vespri, dallo chef Fabio Cardilio di Buatta Cucina popolana e dallo chef Luca Casablanca di Tischi Toschi.

a cura di Francesca Fiore

L'abc della cucina calabrese

L'abc della cucina sarda

L'abc della cucina pugliese

Trieste Coffee Festival: alla scoperta del caffè di qualità in Venezia Giulia

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Continua la scia degli eventi dedicati all'oro nero d'Italia ed è ora la volta di Trieste di ospitare tre grandi manifestazioni sull'argomento. Due sono aperte al pubblico, l'altra è rivolta agli addetti ai lavori; tutte nascono con lo stesso intento: quello di diffondere la cultura del caffè di qualità nella nostra Penisola.

Il festival

Una città che si può raccontare intorno a un elemento che la rende magica, il caffè”: così Alberto Polojac, responsabile acquisti e qualità di Imperator – azienda importatrice di caffè crudo – e ideatore del Trieste Coffee Festival,ha descritto la sua città, che dal 16 al 23 ottobre 2016 si prepara a ospitare una serie di eventi dedicati all'oro nero.Un festival diffuso, che toccherà diversi punti del capoluogo friulano, ma che avrà come sede principale Casa Maier, palazzo storico di fine Settecento. “Trieste è la Capitale del Caffè“, ha aggiunto Fabrizio Poloiaz, presidente dell'Associazione Caffè Triestee fondatore di Primo Aroma, “e vogliamo dimostrarlo al grande pubblico, perché sia consapevole di quanto sia duraturo, profondo e prezioso il legame della città con la bevanda. Lo faremo con tante iniziative, rivolte ai consumatori e agli amatori del caffè, in occasione del 125° anniversario dell’Associazione Caffè Trieste, la più antica in Italia”. A comporre la ricca miscela della manifestazione, incontri per curiosi di ogni età, laboratori per bambini, torrefazioni aperte e sfide tra baristi triestini. Tema principale di questa edizione è la sostenibilità, argomento che verrà affrontato mercoledì 19 ottobre a Casa Maier in un forum che chiama a raccolta tutti i membri Scae. Spazio anche all'arte del bere miscelato con la serata del 21 ottobre Jubilee Coffee Night, che vede protagonisti cocktail d'autore a base di caffè. E per chi ama l'aroma dell'espresso ma non tollera la caffeina, il 23 ottobre c'è la sezione Deca Hour che propone una serie di caffè decaffeinati in degustazione.

Gli eventi collaterali

Il Trieste Coffee Festival coinvolge al suo interno un altro evento già collaudato in diverse città d'Italia, partito dapprima da Milano, passato per Roma, Trieste, Lecce, Firenze e ora pronto ad approdare nuovamente nel capoluogo friulano. È Io bevo caffè di qualità, ideato dall'esperto Andrej Godina e dal pluricampione di caffetteria Francesco Sanapo, affiancati dal trainer Scae Andrea Matarangolo. Tre nomi che nel settore del caffè sono garanzia di eccellenza e professionalità e che guideranno i visitatori durante le degustazioni da mercoledì 19 a sabato 22 ottobre, in un'edizione speciale presso l'Antico caffè San Marco di Alexandros Delithanassis. La caffetteria sarà animata da dibattiti, workshop, letture, mostre e proiezioni di documentari a tema e, naturalmente, da tanti assaggi di caffè specialty, miscele e monorigini, tostati ed estratti in maniera differente, dall'espresso al v60. Un evento, Io bevo caffè di qualità, che continua a raccogliere l'entusiasmo del pubblico delle varie città d'Italia, restituendo valore alla bevanda tanto cara agli italiani: “Nella percezione dell'utente medio, il caffè è il prodotto dell'attimo fuggente, si beve in pochi secondi e spesso di fretta”, ha commentato Godina. E aggiunge: “Il nostro obiettivo è di riportare le persone alla degustazione lenta e meditata di una buona tazza di caffè e a dare al prodotto la dignità che merita”.Si comincia la mattina, con il cappuccino decorato ad hoc dai campioni di latte art e si prosegue poi con le degustazioni e le mostre fotografiche sulle piantagioni di caffè. Per andare poi alla scoperta della macchina espresso e della moka, con una dimostrazione pratica da parte dei professionisti che sveleranno al pubblico i segreti per gustare un ottimo caffè fatto in casa. In concomitanza con l'evento infine, nella stessa settimana, prende vita anche il salone Triestespresso Expo, fiera B2B dedicata agli addetti ai lavori giunta alla sua ottava edizione, che coinvolge tutti i professionisti del settore, dagli importatori ai rivenditori, dai torrefattori ai baristi.
 

Trieste Coffee Festival | Trieste | dal 16 al 23 ottobre 2016 | Piazza Cavana, 14 | www.facebook.com/triestecoffeefestival
Io bevo caffè di qualità | Trieste | dal 19 al 22 ottobre 2016 | via Cesare Battisti, 18 | www.facebook.com/events/190730431335316/
Triestespresso Expo | Trieste | dal 20 al 22 ottobre 2016 | piazza della Borsa, 14 | www.triestespresso.it/contatti.html

a cura di Michela Becchi

Settimana del pianeta terra: gli eventi che celebrano il legame fra territori, cibo e vino

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Un legame indissolubile e costitutivo, quello fra la terra e le vigne, che dà vita a uno dei prodotti più importanti per il Made in Italy. In occasione della Settimana del Pianeta Terra fra le altre cose si celebra anche lo scambio fra terreni vulcanici e vini, in una regione come il Lazio, da sempre condizionata nel suo sviluppo dalla presenza del Vulcano Laziale.

La settimana del pianeta terra

Un festival scientifico che coinvolge tutta Italia e che dal 2012 è un punto di riferimento per tutti coloro che si occupano di geoscienze. È la Settimana del pianeta terra - L’Italia alla scoperta delle geoscienze, prevista dal 16 al 23 ottobre 2016, e ha in calendario 311 eventi dislocati un po’ in tutta Italia fra trekking, lezioni aperte, giochi didattici e degustazioni. L’obiettivo è far conoscere il mondo delle geoscienze coniugando la divulgazione scientifica e la meraviglia della scoperta. E non poteva certo mancare un focus sul vino, prodotto di territorio che ha reso famoso il marchio italiano nel mondo.

Lazio: Vulcani di-vini e I vini e i tufi dell'argilla

Uno degli eventi più interessanti sul tema vino-territorio è Vulcani di-vini, organizzato dall’associazione Geonatura nel Parco Regionale dei Castelli Romani. Il Vulcano laziale, anche conosciuto come Vulcano dei Colli Albani o Castelli Romani, rappresenta ciò che resta di un imponente vulcano complesso, costituito da molti vulcani sovrapposti, che abbraccia un territorio in cui la vigna è elemento quasi naturale. L’escursione partirà da Monte Porzio Catone, dove si trova il Museo Diffuso del Vino, per poi spostarsi verso l’area archeologica del Tuscolo, una città pre-romana, romana e medievale del Lazio, posta in uno dei punti più belli dei Colli Albani da cui si gode di un’incredibile vista sulla Capitale. Al ritorno, una visita tra i filari di un vigneto e una degustazione di prodotti tipici presso un’azienda agricola locale.

 

Uva in lavorazione

 

Ancora un appuntamento con i vini laziali con I vini e i tufi dell’argilla a Civita di Bagnoregio, festival previsto per il 23 ottobre. L’obiettivo è raccontare i pregi naturalistici ed enologici del territorio teverino, quello confinante con l'Umbria di cui il borgo laziale è punto nevralgico. I partecipanti, oltre a visitare Palazzo Alemanni, risalente alla seconda metà del XVI secolo, e il Museo del borgo, saranno condotti alla scoperta dei più caratteristici vini della zona grazie ad alcuni esperti che li guideranno durante l’assaggio.

Gli altri appuntamenti

In Trentino Alto Adige è prevista per l'8 ottobre l’escursione geologica al Monte Seceda nei pressi di Ortisei (Bolzano), che si concluderà con la degustazione di vini tipici della Val Gardena, analizzando nel dettaglio le caratteristiche particolari dei vini legati al “terroir” porfirico. Il 22 ottobre in Friuli Venezia Giulia, a Sgonico (Trieste) ci sarà Borgo Grotta Gigante - campi solcati e visita alla Grotta, che permetterà di scoprire gli affascinanti Karrenfeld, i famosi campi solcati, un fenomeno legato al carsismo superficiale. Nella seconda parte dell'escursione si passerà al Centro Visite della Grotta Gigante per una visita guidata nella cavità carsica. In Emilia Romagna il 16 ottobre è prevista invece un’escursione nella Riserva Geologica del Piacenziano: A spasso nel piacenziano toccherà i principali punti di interesse geologico-naturalistici dell'area e in particolare i maestosi calanchi fossiliferi del Rio Carbonaro, risalenti a 5 milioni di anni fa. Al rientro dall’escursione, si potranno degustare le specialità territoriali. Infine, Il monte Conero raccontato è l’evento previsto nelle Marche per il 23 ottobre I partecipanti potranno scoprire le Grotte romane, le incisioni rupestri e, naturalmente, assaggiare i prodotti marchigiani e i vini che nascono dal territorio del Monte Conero, in particolare quelli della cantina Angeli di Varano.

Tutti gli appuntamenti della Settimana del Pianeta Terra

 

a cura di Francesca Fiore

 

“Al bar e ristorante scelgo io!”, le tovagliette illustrate che rendono i locali accessibili a tutti

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Ristoranti aperti a tutti e accessibili, non solo dal punto di vista architettonico ma anche linguistico e della comunicazione. È questo l’obiettivo di  “Al bar e ristorante scelgo io!”, progetto di Fipe e Confcommercio Bergamo, ideato per rendere più semplici le ordinazioni non solo a turisti e stranieri, ma anche ai bambini autistici. Semplicemente, con una tovaglietta.

Le tovagliette illustrate

C’è chi non conosce la lingua e finisce per ordinare la prima cosa che trova sul menù, c’è chi ha problemi a comunicare e non riesce ad ordinare esattamente quello che vuole, accontentandosi di quello che suggerisce il cameriere. E c’è chi, caso ancora più grave, non riesce a comunicare una specifica intolleranza alimentare. Ma una tovaglietta illustrata può risolvere molti problemi: un’idea semplice, che potrebbe spingere i ristoranti a essere sempre più inclusivi. La tovaglietta contiene disegni e semplici diciture, ed è stata creata sia in versione italiana che inglese per permettere di semplificare le ordinazioni da parte dei bambini in età prescolare, delle persone che non conoscono la lingua italiana, o delle persone con difficoltà cognitive o di comunicazione. Come ha spiegato Marcello Fiore, direttore generale di Fipe “la tovaglietta incarna perfettamente lo spirito con cui ogni pubblico esercizio dovrebbe operare: un luogo in cui i clienti possano trascorrere momenti piacevoli e a proprio agio. Un gesto di attenzione semplice ma che conta moltissimo per chi lo riceve, in grado di rendere i nostri locali ancora più inclusivi e accoglienti”. La tovaglietta è stata realizzata in collaborazione con il gruppo pubblici esercizi Ascom Bergamo, e una onlus locale, l'associazione Angelman.

Come sono fatte le tovagliette

Le tovagliette saranno distribuite nelle due versioni, italiana e inglese: la seconda, rivolta a coloro che non conoscono la nostra lingua, presenta anche la traduzione dei piatti e delle bevande. Sul lato sinistro abbiamo tutte le immagini che riguardano le bevande: dal caffè alle spremute, dall’acqua frizzante al thé freddo. Sul lato destro invece tutto ciò che riguarda la ristorazione: pasta, pizza, verdure, cornetto, insalata e così via. Ai margini destro e sinistro ci sono invece le illustrazioni dei gesti primari, che servono per comunicare ai camerieri ciò che vogliano: ancora, basta così, aiutami, per favore, bagno, grazie, mi piace/non mi piace. Tutto è rappresentato da immagini semplici e colorate, oltre che da simboli appartenenti al sistema della Comunicazione Aumentativa Alternativa (CAA), un approccio nato per i bambini e i ragazzi affetti da autismo e disabilità complesse, che sta diventando uno strumento molto usato. Un'iniziativa a cui faranno seguito molte altre ancora, per rendere la tavola un vero luogo di scambio e condivisione, fra tutti. I progetti per il futuro di “Al bar e ristorante scelgo io!”  prevedono infatti anche l’inclusione anche delle persone non vedenti. Secondo gli ideatori, il prossimo passo sarà rendere l’iniziativa ancora più completa e solidale, corredando immagini e traduzioni con le diciture in braille.

 

a cura di Francesca Fiore


Appunti di degustazione. Etna: le vigne del vulcano, modello per l’Isola

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È lui a dettare il tempo. Un tempo lento, quello della natura, dell’agricoltura e della vite. Qui i tempi e i ritmi – attraverso il fumo che ne costituisce il costante respiro – è il vulcano a scandirli. ’A Muntagna, come si chiama da queste parti. E la rinascita vitivinicola dell’Etna è un continuo confronto col passato: dai vitigni alle vigne.

In secoli di storia il lavoro naturale dell’Etna ha creato un ambiente unico nel suo genere per il paesaggio e per la viticoltura. A partire dalle altitudini – visto che qui la vite cresce anche oltre i mille metri d’altezza – passando per i suoli e i sottosuoli adatti alla coltivazione di alcune grandi varietà e fino ad arrivare al microclima, particolare, diverso dal resto della Sicilia, con forti escursioni termiche: tutti elementi fondamentali per la crescita dell’uva che si trasformerà in vino. E non a caso si parla, per le vigne dell’Etna, di isola nell’Isola.

 

La Doc Etna

Tutto ciò ha radici antiche ed è regolamentato da un disciplinare, redatto per la prima volta nel 1968 e modificato solo qualche anno fa. Ma per spiegare il senso profondo della Doc Etna, già alla fine degli anni Sessanta, si presero in esame gli scritti di un testo di fine ‘500, la Storia dei Vini d’Italia, dove i vini del vulcano venivano descritti come prodotti “la cui bontà è attribuita alle ceneri dell’Etna. Questo – e non solo questo – determina quello che si può definire una grande produzione vitivinicola territoriale. I terreni sono lavici, in alcune zone sassosi, in altri si arriva ad avere sabbia e cenere. Alcuni impianti sono allevati con l’alberello etneo franco di piede, producono naturalmente piccole quantità, ma una qualità d’uva altissima, e arrivano ad avere anche un secolo d’età o più. Le varietà tradizionali sono diverse: il nerello mascalese è il vitigno più importante per i rossi, seguito dal nerello cappuccio che può entrare nell’assemblaggio fino a un massimo del 20%.

Per i bianchi l’uva carricante è la più rappresentativa, ma anche il catarratto può essere utilizzato, fino a un massimo del 40% o solo del 20% per la tipologia Etna Bianco Superiore. Il perfetto sviluppo dei vitigni in queste aree è garantito da un clima unico. Ci troviamo nel profondo Sud Italia, ma ad altitudini tra le più alte in Europa per la coltivazione della vite (si arriva a oltre i mille metri d’altezza).

Le aree di produzione sono suddivise in contrade. Nel versante Nord sono soprattutto le uve a bacca rossa a dominare le vigne e trovano nei comuni di Castiglione di Sicilia e Randazzo la loro zona d’elezione. I bianchi invece sono più comuni sul versante Est, specie nel comune di Milo, unico areale dove è possibile produrre le tipologia Superiore.

Salvo Foti

Il lavoro dell'uomo e i Vigneri di Salvo Foti

A tutto ciò si somma il lavoro dell’uomo. Non inteso come somma delle tecniche di cantina di ogni singola azienda, bensì come quel bagaglio di esperienze che partono dalla vigna, sono tramandate di padre in figlio e vanno a formare il tessuto sociale di un’intera comunità. Ha le idee chiare su questo Salvo Foti, grande enologo e conoscitore dell’Etna, che dal 2000 guida il progetto I Vigneri che rimanda alla Maestranza dei Vigneri, un’associazione di viticoltori sorta a Catania nel lontano 1435. Quindici anni fa si sentiva sempre più parlare di vitigni alloctoni e migliorativi, di meccanizzazione. Nonostante tutti continuassero a dire che il vino si fa in vigna, era in realtà proprio il lavoro della vigna che non veniva più preso in considerazione. Con I Vigneri” racconta Foti “siamo ripartiti da un modello che vede le persone al centro di tutto. Un progetto sociale che, facendo un passo indietro, riparte dal lavoro in campagna. Ho iniziato insieme a due viticoltori che lavoravano con mio padre: ora siamo una trentina”.

Quali sono i punti chiave dell'associazione? “Vigneri significa coltivare l’alberello etneo, erigere i muretti a secco, non irrigare e utilizzare solo sistemi compatibili con l’ambiente di cura del vigneto. Significa quindi coltivare un paesaggio, prima che una vigna, salvaguardarlo e regalarlo alla generazione futura. Non si fa un vino per mettere sul mercato una determinata etichetta, ma per portare dentro una bottiglia un territorio intero, a partire dalle persone che il territorio l’hanno custodito”. Ma se dovessimo dare una definizione, che vini producono i Vigneri? “Si usano tanti aggettivi per descrivere e vendere i vini, oggi” sorride l’enologo “Noi facciamo vini umani. E non importa se questi costeranno qualche euro in più: dietro ci sono mille ore l’anno di lavoro per ettaro e una professionalità che avvalora un territorio che si può tramandare”.

Ora il progetto de I Vigneri è uscito dall’Etna, spostandosi nelle zone di Lipari, Pachino, Pantelleria e arrivando sino in California. Sono diverse le cantine che chiedono a Salvo consigli e suggerimenti e, non a caso, sono sempre di più le aziende che “copiano” – nel senso buono del termine – il lavoro portato avanti dall’enologo catanese. Vedere i nuovi impianti che vengono allevati ad alberello, vedere costruire i muretti a secco a delimitare le vigne, vedere ri-scommettere e reimpiantare soprattutto gli autoctoni è una prova di tutto ciò: se si gira per le contrade e se si assaggiano i vini che qui sono nati, si sente che sono sempre più veri figli del vulcano, con le loro genuine imperfezioni, ma testimoni reali di un territorio viticolo antico e delle persone che lo vivono.

Ecco le cantine più rappresentative di questa zona

 

Cusumano

Alta Mora – Cusumano

Sono Alberto e Diego Cusumano a gestire con impeccabile maestria una realtà che in una quindicina d’anni è riuscita ad affermarsi sia qualitativamente sia a livello commerciale, con una presenza importante in tanti mercati internazionali. La principale sede aziendale si trova a Partinico, mentre le vigne si dividono in ben otto areali diversi che passano per Piana degli Albanesi, Monreale, Butera e Pachino. Da alcuni anni si è aggiunta la bellissima realtà Etnea, Alta Mora, che dispone di circa 20 ettari nelle vocatissime zone di Guardiola, Verzella, Porcaria e Pietramarina e una cantina all’avanguardia capace di produrre vini moderni, dallo stile preciso e pulito e testimoni del particolare terroir etneo. Per ora la produzione si attesta intorno alle 50mila bottiglie, ma è destinata a crescere. Diversi i vini prodotti, a partire da un Etna Bianco e un Etna Rosso, fino ad arrivare ai singoli cru.

Alta Mora – Cusumano | Castiglione di Sicilia | contrada Verzella | tel. 091 8908713 | www.altamora.it

 

Etna Bianco ’13 | euro 13

Da sole uve carricante coltivate a 600 metri slm a spalliera, nelle contrade Praino a Milo e Verzella a Castiglione di Sicilia. Vinificato solo in acciaio, a tre anni dalla vendemmia, mostra ancora tutta la vitalità e la forza di un vino giovane con le note di agrume candito e fiori gialli a dominare un naso affascinante e sfaccettato. La bocca è tesa, fresca e profonda, emerge la mineralità che ci si aspetta e il finale è lungo e pulito.

 

Etna Rosso ’13 | euro 15

Da uve nerello mascalese in purezza coltivate nelle contrade Verzella, Pietramarina, Feudo di Mezzo e Solicchiata tra i 600 e gli 800 metri slm. Ha profumi di frutto rosso maturo, spezie dolci e fiori. In bocca è soave, moderno, profondo, cremoso e delineato da una freschezza balsamica che rende la beva fine e lunga. Di buona struttura, dal tannino carezzevole, morbido, avvolgente e dall’aroma molto pulito.

 

Benanti

Benanti è senza dubbio una realtà ai vertici della viticoltura Etnea. Il merito va tutto al cavalier Giuseppe Benanti che ha fortemente creduto in questo territorio ed ora, grazie all’ausilio dei figli Antonio e Salvino, continua l’opera iniziata alla fine degli anni ottanta. Oramai gli ettari sono 45 e si trovano negli areali più vocati tra cui Guardiola, Verzella, Porcaria e Pietramarina. Merito di tutto ciò anche la fiducia data all’allora giovanissimo enologo Salvo Foti, in azienda dalle prime vendemmie. Attualmente la conduzione enologica è affidata a Vincenzo Calì. Il lavoro svolto in tanti anni si riassume molto bene nel riassaggio di vecchi millesimi di Pietramarina, Rovitello o Serra della Contessa, vera e proprie perle etnee capace di invecchiare alla perfezione e continuare, nel tempo, a offrire tutte le caratteristiche che il territorio vulcanico è capace di offrire.

Benanti | Viagrande (CT) | via Garibaldi, 361 | tel. 095 7893399 | www.vinicolabenanti.it

 

Etna Bianco Sup. Pietramarina ’11 | euro 39

Da uve carricante in purezza coltivate ad alberello a 950 metri slm in contrada Caselle. È uno dei fuoriclasse dell’Etna, esce dopo quattro anni di affinamento, e mantiene nel tempo tutto il carattere dei vini etnei. Profuma di zagara, limone candito e elicriso, in bocca è teso, vibrante e al contempo ricco di corpo e struttura. Ottima la beva garantita da freschezza balsamica. Finale lungo, pulito e di gran sapore.

 

Etna Rosso Serra della Contessa ’11 | euro 35

Da uve nerello mascalese per l’80% con saldo di nerello cappuccio, coltivate a Monte Serra a 500 metri slm. Vigne vecchissime di oltre cent’anni, alcune delle quali franche di piede. È un vino di enorme complessità, che emerge per le note di spezie, ribes, ciliegia e non manca un tocco di resina, tabacco e sottobosco. La bocca è profonda, freschissima, agile nella beva, dal tannino morbido e setoso. Finale balsamico, pulito, lungo.

 

calcagno

Calcagno

Calcagno è una piccola realtà artigiana fondata e portata avanti dai fratelli Gianni e Franco. La prima annata prodotta risale al 2006, ed ora la produzione si attesta intorno alle 20mila bottiglie. Quattro le etichette prodotte, un bianco, un rosato e due rossi frutto dei cru Feudo di Mezzo e Arcurìa. Gli ettari in tutto sono tre, vigneti bellissimi intorno alla cantina, nel versante Nord, in una zona tra le più vocate. Siamo a circa 650 metri sul livello del mare e le piante hanno un’età media di ottant’anni. Il lavoro si svolge principalmente in vigna, attraverso l’utilizzo di soli concimi animali, rame, zolfo, tanto tanto lavoro, ma nessun prodotto chimico. Il risultato è apprezzabile: vini dalla sincera artigianalità, veri figli di un territorio e delle annate, con tutte le eventuali piccole ma affascinanti imprecisioni che la natura regala.

Calcagno | Randazzo (CT) | via Galliano, 51/a | tel. 338 7772780 | www.vinicalcagno.it

 

Etna Rosso Feudo di Mezzo ’12 | euro 19

Da uve nerello mascalese con piccolo saldo di nerello cappuccio, è un vino che nasce in piena contrada Feudo di Mezzo da cui prende il nome. Un autentico cru che regala vigne ad alberello vecchissime, tra i 70 e i 90 anni. I profumi sono balsamici, terrosi, lavici e speziati e incarnano in pieno la zona di produzione. In bocca è teso, affilato, a tratti duro e spigoloso, dalla struttura piena e dal tannino puntuto ed evidente. Finale lunghissimo, fresco e vibrante.

 

Etna Rosso Arcuria ’12 | euro 19

Stesso assemblaggio, lavorazione e vinificazione del feudo di Mezzo, ma nasce nelle vigne in contrada Arcurìa. Al naso sono i sentori più fruttati a prevalere, con la fragolina di bosco e il ribes a precedere sentori di spezie dolci e fiori. La bocca è piena e compatta, dal tannino morbido e dalla beva avvolgente e setosa. Finale nel segno degli aromi olfattivi, con l’acidità che riesce a spingere il vino lasciando il sorso fresco e pulito.

 

duca salaparuta

Duca di Salaparuta

Duca di Salaparuta è uno dei marchi della Sicilia vitivinicola più conosciuti in Italia e nel mondo. Fondata agli inizi dell’ottocento, vanta oggi una proprietà di 120 ettari, più altri vigneti in affitto ed arriva a una produzione di circa 9milioni di bottiglie. Nel 2001 fu acquistata dall'Ilva di Saronno e, in quindici anni, si sono viste valorizzate molte potenzialità, secondo logiche imprenditoriali innovative e rispettose delle diverse realtà storiche e di territorio, che comprende tre celebri marchi, Florio, Corvo e, appunto, Duca di Salaparuta. Sull’Etna la presenza è garantita dalla prestigiosa Tenuta Vajasindi che regala dei vini unici, frutto di vigneti terrazzati tra i 6 e i 700 metri d’altezza. Nella cantina museo si può apprezzare il vecchio e affascinante palmento. Qui, oltre all’autoctono nerello mascalese, si coltiva da sempre il pinot nero, protagonista in purezza del Nawàri.

Duca di Salaparuta | Castiglione di Sicilia (CT) | fraz. Solicchiata | ss 120 km 195 | tel. 091 945201 | www.duca.it

 

Vajasindi Làvico ’12 | euro 12

Da uve nerello mascalese in purezza, situate nelle Tenuta Vajasindi, coltivate ad alberello tra 600 e 880 metri slm. Al naso mostra fin da subito fragranza e vitalità, con le note fruttate a fare da padrone. Mora, ciliegia, fiori secchi e un tocco speziato anticipano un palato morbido e setoso, ben equilibrato da un tannino maturo e da una freschezza balsamica che ravviva la beva. Finale lungo e pulito.

 

Vajasindi Nawàri ’12 | euro 29

Da uve pinot nero in purezza, storicamente coltivate dall’azienda sull’Etna. Dalla tenuta Vajasindi un vino che profuma di mora, ribes, fragolina e spezie dolci. Non mancano le note di fori secchi e le leggera sensazioni balsamiche che anticipano un sorso snello, dal tannino delicatissimo, leggiadro nello sviluppo e dal finale leggermente amaricante e molto fresco.

 

Girolamo Russo

La Girolamo Russo è un’azienda agricola etnea attiva fin dagli anni quaranta, ma è da una decina d’anni a questa parte che, con l’imbottigliamento dei vini, si assiste a un cambio radicale della politica aziendale. Il merito va a Giuseppe Russo, persona schiva, vignaiolo bravo e appassionato, che in pochi anni ha portato la Russo ai vertici della produzione figlia del vulcano, con tutte le etichette che rappresentano in pieno il terroir di provenienza. I vini sono molto eleganti, di bellissima beva, mai troppo semplici o banali piuttosto strettamente artigiani e sinceri, nel senso più alto del termine. Le vigne si trovano tra Passopisciaro e Randazzo: dodici ettari a San Lorenzo, sei a Feudo e uno a Feudo di Mezzo. Tre i cru prodotti di Etna Rosso che si affiancano al ‘A Rina’, più un rosato e un bianco, tutti ottenuti da tanto lavoro in vigna, nessun prodotto di sintesi utilizzato e una lavorazione volta sola ad esaltare le caratteristiche che la natura regala.

Girolamo Russo | Castiglione di Sicilia (CT) | fraz. Passopisciaro | via Regina Margherita, 78 | tel. +39.328.3840247 | www.girolamorusso.it

 

Etna Rosso Feudo di Mezzo ’13 | euro 35

Un vero e proprio cru, che arriva dalla contrada omonima, prodotto in circa mille bottiglie. Frutto di uve nerello mascalese (con piccolissime percentuali di cappuccio) è un vino dai sentori di piccoli frutti di bosco, spezie, fiori secchi e dai tratti di sottobosco e tabacco. In bocca è cremoso, dalla freschezza balsamica, leggiadro e vitale. Il tannino è maturo, l’acidità accompagna il sorso in un finale pulito ed elegante.

 

Etna Rosso San Lorenzo ’13 | euro 35
Stessi vitigni del Feudo di Mezzo e anche qui le vigne coltivate nella contrada omonima. 12 ettari di vigneto dislocato sui 7-800 metri slm. Alcune piante superano il secolo di età e affondano le radici in tutto il substrato vulcanico. I profumi mostrano il frutto rosso e le erbe medicinali, seguono sentori di rosa passita, macchia mediterranea e resina. Bocca equilibrata e suadente, fresca e lunghissima.

 

Graci

Diciotto ettari di vigna, in contrada Arcurìa sul versante nord, e un patrimonio di piante che raggiungono i cento anni. Non distante la cantina, un’antica struttura restaurata con rispetto in cui ha sede un antico palmento ottocentesco. A condurre questa bellissima realtà Alberto Graci che sceglie il solo utilizzo di lieviti autoctoni, botti grandi per la maturazione dei vini, vasche in cemento e solo interventi naturali in vigna. Il risultato lo si percepisce nei vini prodotti, eleganti e sinceri, di grande equilibrio e profondità. Il fiore all’occhiello aziendale è il Quota 1000, che deve il suo nome dall’altezza delle vigne: si trova in contrada Barbabecchi, resta fuori dal disciplinare dell’Etna Rosso, ma rimane uno dei vini più affascinanti mai assaggiati in questa zona. Il resto arriva dalle rinomate contrade Arcuria, Feudo di Mezzo, Moganazzi e Santo Spirito.

Graci | fraz. Passopisciaro | Castiglione di Sicilia (CT) | c.da Arcuria | tel. 348 7016773 | www.graci.eu

 

Etna Rosso Arcurìa ’13 | euro 30

Da un’antica vigna in contrada omonima, ecco un grande rosso etneo, ottenuto esclusivamente da uve nerello mascalese. L’Arcuria 2013 è prodotto con lieviti indigeni, la fermentazione avviene in tini di rovere e la maturazione in botte grande. I profumi mostrano tutta l’essenza del vulcano con i sentori terrosi e balsamici in evidenza. Non manca la parte fruttata a precedere una bocca sapida, dal tannino carezzevole, lunghissima per sapore, pulizia aromatica e freschezza.

 

Etna Bianco Arcurìa ’13 | euro 24

Un bianco prodotto sul versante nord (area perlopiù dedicata alle varietà rosse) frutto della varietà carricante coltivata in contrada Arcuria, in una vigna di circa 2,5 ettari a 600 metri slm. L’annata 2013 profuma di zagara e agrume candito, non manca un tocco di zafferano e fiori di acacia, che precedono una bocca vibrante per freschezza acida, saporita e mediterranea, ricca di vitalità. Finale molto sapido e pulito.

 

I Custodi delle Vigne dell’Etna

I Custodi delle Vigne dell’Etna è una piccola ma bellissima realtà che fa parte del consorzio I Vigneri di Salvo Foti. Nata nel 2007 e condotta da Mario Paoluzzi, può contare su poco più di 12 ettari per una produzione che si attesta sulle 40mila bottiglie. Una viticoltura assolutamente artigiana e una vinificazione che segue i dettami del biologico caratterizzano le etichette prodotte, per il momento due Etna Rosso, un rosato e un bianco. Il resto è fatto di impianti ad alberello etneo, terrazzamenti in pietra lavica, pali in castagno a sostegno delle viti e muretti a secco. Un paesaggio unico che ritroviamo in pieno nell’assaggio dei vini.

I Custodi delle Vigne dell’Etna | fraz. Solicchiata | Castiglione di Sicilia (CT) | c.da Moganazzi | tel. 095 374418 | www.icustodi.it

 

Etna Bianco Ante ’13 | euro 25

Un bianco ottenuto da carricante (in prevalenza), con saldo di minnella e grecanico. Solo impianti ad alberello per l’Ante, vigne poste tra i 900 e i 1200 metri slm e l’utilizzo nella vinificazione di solo acciaio. Il risultato sorprende per una complessità olfattiva che spazia da note di anice a sentori di fiori secchi e spezie. In bocca è sapido, fresco e vitale, tornano le sensazioni olfattive e il finale è iodato e profondo.

 

Etna Rosato Alnus ’13 | euro 18

Dalle vigne aziendali più giovani un rosato che rappresenta una certa storia dell’Etna vinicolo. Ottenuto da nerello mascalese con saldo di cappuccio, ha profumi di spezie fini, fiori e piccoli frutti rossi. La bocca sorprende davvero. Agile e scattante grazie all’acidità dei miglior bianchi, trova nello sviluppo buon corpo e struttura. Nel finale si avverte una leggera tannicità che spinge il sorso in profondità e regala sapore e avvolgenza.

 

I Vigneri

I Vigneri è una delle realtà più belle e affascinanti di tutto l’Etna. Non una semplice cantina ma un vero e proprio progetto che mira alla salvaguardia del paesaggio e delle persone che lo vivono. L’idea e la creazione la dobbiamo a Salvo Foti, enologo di grande esperienza, che vanta una conoscenza della viticoltura etnea come pochi altri. Il nome (deriva dall’antica mestranza dei Vigneri costituita a Catania nel lontano 1435) è attribuito all’azienda, ma anche a un consorzio di realtà che seguono le regole agricole e vinicole trasmesse da Foti. Tutto parte dalla difesa dell’aberello etneo, dall’ambiente circostante, dai muretti a secco. E arriva immancabilmente a vini ricchi di fascino, dalla trama setosa, dal carattere vivo e vitale. Alcune vigne superano i cento anni di età e sono posti ad altitudini importanti, intorno ai mille metri. Diverse le etichette. Si parte dal Vigna di Milo, un carricante che arriva da una vigna centenaria sul versante est, al Vinupetra, vino ottenuto da nerello mascalese, cappuccio, alicante e francisi provenienti da Passopisciaro, versante nord. C’è anche spazio per il Vinudilice, un rosato proveniente da una vigna posta a ben 1300 metri sul livello del mare.

I Vigneri | Milo (CT) | via Abate, 3 | tel. 366 6622591 | www.ivigneri.it

 

Etna Bianco Vigna di Milo ’13 | euro 35

Il Vigna di Milo proviene da un’area a 900 metri d’altezza, posta sul versante est, in cui il protagonista unico è il carricante allevato ad alberello. Parliamo di un bianco dall’incredibile complessità olfattiva, che parte da note di fiori gialli e sensazioni di erbe di montagna, fino ad arrivare a sentori di zafferano e arancio candito. La bocca è agile e vitale, di gran sapore e dal finale iodato.

 

Etna Rosso Vinupetra ’12 | euro 42

Possiamo considerare il Vinupetra come uno dei rossi simbolo della storia vinicola dell’Etna. È ottenuto da nerello mascalese, con saldo di cappuccio, alicante e francisi, queste ultime varietà meno diffuse, ma naturalmente e storicamente presenti nelle vigne centenarie del versante nord. Al naso sono i sentori speziati, terrosi e di sottobosco a prevalere, mentre il palato è ricco e cremoso, ma sempre ingentilito da acidità balsamica e da una sapidità che rende il sorso profondo e affascinante.

 

Palmento Costanzo

Palmento Costanzo rappresenta molto bene l’idea di recupero di un vecchio Palmento (Santo Spirito) e di una decina di ettari di vigna che nascono attorno ad esso. Il merito va a Mimmo e Valeria Costanzo, desiderosi di attuare un progetto legato al vino che partisse però dal paesaggio. Ci troviamo in Contrada Santo Spirito, a Passopisciaro, ed è impossibile non rimanere a bocca aperta di fronte ai terrazzamenti che arrivano fino alla cantina. L’architettura scelta ha voluto lasciare intatto il Palmento, ed è qui che si interseca la modernità di una cantina appena fatta. A completare ciò botti in legno a forma d’uovo di ultima generazione. Tra i vini assaggiati spiccano le selezioni Nero di Sei e Bianco di Sei, nomi numerici che si rifanno al vulcano, sesto sito siciliano della World Heritage List Unesco.

Palmento Costanzo | Castiglione di Sicilia (CT) | c.da Santo Spirito | tel. 0942 983349 | www.palmentosantospirito.com

 

Etna Bianco ’14 | euro 14

Frutto di uve carricante, allevate in contrada Santo Spirito. Vino schietto e sincero, caratterizzato da sentori di fiori bianchi, sensazioni agrumate e un tocco di erbette mediterranee. Bocca sapida e fresca, dall’acidità spiccata, ma ben unita a una materia ricca e decisa, ma mai pesante. Finale pulitissimo in cui riemergono nitide le sensazioni provate al naso.

 

Etna Rosso Nero di Sei ’12 | euro 20

Ottenuto da nerello mascalese con saldo di nerello cappuccio, dalle vecchie vigne terrazzate in contrada Santo Spirito. Fermentazione spontanea e affinamento in barrique di rovere per un rosso complesso, dall’impostazione moderna, che non perde la genuinità delle sensazioni territoriali. Il naso offre profumi di sottobosco e mora, mentre la bocca è sapida e freschissima.

 

Scammacca del Murgo

Trenta ettari situati sul versante est, quasi tutti dedicati alla doc Etna. Tutto parte ai primi degli anni ottanta, quando il barone Emmanuele Scammacca del Murgo decide di trasformare le proprietà terriere in aziende agricole. Ora sono Michele, Pietro e Matteo, figli del barone, a occuparsi dell’azienda, che può vantare anche di una bella realtà agrituristica dotata di 15 camere. Il primo Etna Rosso fu imbottigliato nel 1982 (una delle prime aziende a imbottigliare), mentre bisogna aspettare il ’90 per il primo spumante metodo classico, da allora punto di forza della produzione. Tra i vini fermi i più interessanti arrivano dalla linea Tenuta San Michele, prodotti solo nelle migliori annate e frutto dei migliori appezzamenti. Gli spumanti invece sono ottenuti da nerello mascalese e godono di una permanenza sui lieviti molto lunga.

Scammacca del Murgo | Santa Venerina (CT) | via Zafferana, 13 | tel. 095 950520 | www.murgo.it

 

Extra Brut ’08 | euro 25

L’esperienza di Scammacca del Murgo nella spumantistica di qualità è nota e l’Extra Brut sta lì a dimostrarlo. Quattro anni sui lieviti e nessun dosaggio regalano uno spumante dai sentori floreali, di agrume, in cui non manca la sensazione di crosta di pane. Bocca fresca, delicata, snella e profonda, dalla carbonica equilibrata, cremosa e pulita.

 

Etna Bianco Tenuta San Michele ’14 | euro 20

L’Etna Bianco Tenuta San Michele è un bianco da uve carricante provenienti dalla vigna omonima. L’attenta selezione dei grappoli regalano un vino molto preciso e pulito aromaticamente, dai sentori di fiori gialli e erbette aromatiche, fresco e sapido in bocca, dal finale lungo, nitido e leggermente iodato.

 

Terrazze dell'Etna

Terrazze dell’Etna è un progetto giovane e ambizioso che fa capo all’ingegnere Nino Bevilacqua, coadiuvato da sua figlia Alessia. Parliamo di 36 ettari di vigna, nel cuore del parco naturale dell’Etna in comune di Randazzo. Il lavoro ha portato all’acquisizione di tante e piccole parcelle, alcune delle quali oramai non più governate, per ottenere vigne terrazzate tra i 7 e gli 800 metri. La produzione è affidata all’enologo Riccardo Cotarella. Diversi i vini prodotti, tutti ben fatti e d’impostazione moderna, tuttavia fedeli al territorio d’appartenenza. Si punta specialmente sul nerello mascalese, vinificato in purezza, in assemblaggio con nerello cappuccio o con varietà internazionali, fino ad arrivare ad una versione “in bianco”. Sul fronte spumanti apprezzabili il Rosé sempre da nerello e il Brut da uve chardonnay.

Terrazze dell'Etna | Randazzo (CT) | loc. Bocca d’Orzo | tel. 328 6175952 | www.terrazzedelletna.it

 

Etna Rosso Cirneco ’12 | euro 30

Ottenuto da sole uve nerello mascalese, il Cirneco ’12 è un vino moderno e complesso, dalle note di frutto di bosco, ribes e mora, e dai leggeri sentori di spezie dolci e macchia mediterranea. In bocca mostra la sua struttura, ma il corpo è ben equilibrato tra morbidezza, un tannino puntuto, ma mai invadente, e una freschezza balsamica che sorregge il sorso. Finale lungo e pulito, di ottima sapidità.

 

Cuvée Brut Rosé | euro 22

Bollicina metodo classico ottenuta da uve pinot nero coltivate sull’Etna, con saldo di nerello mascalese. 36 mesi sui lieviti per uno spumante dai profumi di fragolina di bosco e pasticceria. Bocca ricca, fresca, profonda, con la carbonica fine e perfettamente dosata che armonizza bene acidità, sapidità e morbidezza. Finale molto lungo, pulito e di gran sapore.

 

tornatore

Tornatore

Bisogna risalire al 1865 per capire quando la famiglia Tornatore, attraverso il bisnonno dell’attuale titolare, inizia a occuparsi di vigne e di vini. Attualmente è Francesco Tornatore, importante imprenditore nel settore dell’industria elettronica, a occuparsi della gestione aziendale. Parliamo di una realtà che può vantare 60 ettari di proprietà, più 40 in gestione, ubicati sul versante nord. Per ora sono 46 gli ettari dedicati alla vigna, non manca un uliveto e un piccolo noccioleto, mentre la restante parte è in riconversione viticola e si appresta a diventare la vigna a corpo unico più grande dell’intera denominazione. Qui si sta attuando una viticoltura moderna, meccanizzata dove possibile, e si è scelto il cordone speronato come forma di allevamento. L’altitudine media varia dai 550 ai 700 metri nelle contrade Crasà, Pietrarizzo, Malpasso, Pietramarina, Torre Guarino, Carranco e Trimarchisa, tutte nel comune di Castiglione di Sicilia.

Tornatore | Castiglione di Sicilia (CT) | via Pietramarina, 8 | tel. 095 7563542 | tornatorewine.com

 

Etna Rosso ’13 | euro 15

Da uve nerello mascalese con saldo di nerello cappuccio. La modernissima cantina Tornatore ci regala un rosso di sicuro fascino, vinificato in cemento e affinato in botte grande. Profumi complessi di tabacco, piccoli frutti rossi, spezie e fiori si susseguono molto nitidi e anticipano un sorso morbido e avvolgente, dalle sfumature sapide, fresche e dal finale iodato.

 

Etna Bianco ’14 | euro 15

Da uve carricante e catarratto coltivate a 650 metri slm, sul versante nord del vulcano. Il naso offre profumi di mela verde, agrume, fiori gialli e non manca un tocco balsamico, marino e di anice. La bocca è ricca e saporita, di buona lunghezza e complessità, attraversata da una spiccata acidità e da tanta sapidità, che lo rendono snello nella beva, ma soprattutto ci riportano in pieno al terroir etneo.

 

 

a cura di Giuseppe Carrus

 

 

Articolo uscito sul numero di Agosto 2016 del Gambero Rosso. Per abbonarti clicca qui

Saperi e Sapori 2.0: 15 chef a Lamporecchio per celebrare la selvaggina

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Il progenitore di tutti i meeting culinari italiani torna a splendere in una versione 2.0: è “Saperi e Sapori”, festival ideato dallo chef Igles Corelli nel lontano 1989, che fino al 2003 è stato occasione di incontro e scambio fra chef d’alta cucina e giovani promesse. Quest’anno la riedizione, con una formula nuova, all’Atman a Villa Rospigliosi di Lamporecchio, Pistoia, dal 17 al 19 ottobre 2016.

Saperi e Sapori 2.0

Un evento gastronomico che ha come obiettivo il dialogo fra cuochi, un’occasione d’incontro per aprirsi a nuove suggestioni e collaborazioni, uno strumento per andare oltre i confini della propria creatività. È sempre stato questo il cuore di Saperi e Sapori, il proto festival di Igles Corelli, padre di tutti i festival italiani, a partire dal Salone del gusto.

E il 2016 è l’anno della rinascita, in cui Saperi e Sapori viene proposto in una nuova versione di tre giorni allAtman, dove Igles Corelli è approdato ormai da qualche tempo e che si è recentemente spostato da Pescia a Lamporecchio, sempre in provincia di Pistoia, all'interno di una delle più belle dimore storiche del ’600, Villa Rospigliosi. Il tema dell’edizione 2.0 è “Ti salva il selvatico – In cucina, nei campi, nei boschi, nei fiumi e nei mari”. Quindici chef stellati cucineranno ogni sera pietanze a base di selvaggina per un menu di cinque portate accompagnato da cinque diversi vini.

Villa Rospigliosi

I protagonisti

Non sono mai mancati i nomi a Saperi e Sapori, che negli anni ha visto alternarsi ai fornelli chef illustri provenienti dal nostro territorio ma anche da Spagna, Francia, Germania, Stati Uniti e Svizzera. Lunedì 17 ottobre saranno protagonisti Mauro Uliassi, con Fondente di patata dolce con tartufo nero e grouse abbinato a un Barbaresco Gallina 2012 di Lequio, Peter Brunel con Il cinghiale in cinta abbinato a un Chianti Rufina 2009 di Cerreto Libri, Roy Caceres con l’Antipasta abbinata a un Côtes Catalanes Horizon Rosé 2014, Domaine de l’Horizon, Philippe Léveillé con Confit di coscia d’anatra al miele, aceto balsamico tradizionale e pepe del Madagascar abbinato a un Saint Emilion Grand Cru La Dame De Onze Houres 2012, Domain de Valmengeaux e Aurora Mazzucchelli con La lepre e l’uva, abbinato a un Recioto della Valpolicella ammandorlato 2011 di Corteforte.

Martedì 18 è la volta di Stefano Baiocco con Tiramisù di porcini, abbinato a un Fiano di Avellino Pietramara et. Nera 2013 de I Favati, Fabrizia Meroi con Raviolo di patate tipico al camoscio abbinato a un Venezia Giulia Malvazija 2012 Skerk,Francesco Sposito con Ricordo di zuppa forte abbinato a un Sevennières-Chenin Chamboreau 2010 Domaine FL, Alessandro Gravagna con Il cervo, la trota dell’Isonzo e il pistacchio abbinato a un Boca 2007 di Le Piane e Loretta Fanella con Viola come una viola e un mirtillo abbinato a un Aleatico di Gradoli 2014 Montemaggiore Occhipinti.

A chiudere la tre giorni, Mercoledì 19, Fulvio Pierangelini con Gambero rosso abbinato a un Cotes Catalanes Horizon Blanc 2014 di Domaine de l’horizon, il padrone di casa Igles Corelli con Risotto di alzavole e ricci di mare abbinato a un Venezia Giulia Ograde 2012 Skerk, Salvatore Tassa con Dalle Alpi alle Piramidi - il cervo prende l’orient express, abbinato a un Dolceacqua 2015 di Rondelli, Gianfranco Vissani con Confusion abbinato a un Caiarossa 2009 dell’omonima cantina e Mauro Gualandi con Le visciole in carrozza di mandorle abbinato a uno Champagne Blanc de Noir Brut Louis Nicaise.

Saperi e Sapori | Lamporecchio (Pt) | Atman a Villa Rospigliosi | via Borghetto, 1 | dal 17 al 19 ottobre |  www.saperiesapori.it

 

a cura di Francesca Fiore

Guida Bar d'Italia 2017 del Gambero Rosso. Ecco i premiati. A Marelet il premio illy Bar dell'Anno

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Al bar come al ristorante, ma anche come in libreria, panetteria, boutique, pasticceria. Perché quello dei bar è un mondo sempre più composito. Un mix multiforme e aperto alla contaminazione che ha saputo rinnovare anche il suo prodotto simbolo: il caffè. Solo fino a pochi anni fa intoccabile, oggi oggetto di studi e sperimentazioni. Una riflessione e in basso tutti i premi di quest’anno. Per le schede e gli altri esercizi segnalati, comprate la guida!

Esce la diciassettesima edizione della guida Bar d'Italia 2017. 1320 indirizzi dislocati su tutta la Penisola che danno conto di un mondo in continuo divenire: dinamico, informale, libero da formalismi e regole rigide. Un mondo che di anno in anno si presenta rinnovato e ricco di sorprese all'appuntamento con la nostra guida.

Grandi maestri dell'arte bianca, panettieri, affermati ristoratori, storici torrefattori: sono molti quelli che hanno scelto di confrontarsi con il mondo della caffetteria e con il bar, inteso oggi come luogo di una poliedrica realtà gastronomica, ma anche socioculturale. Competenze diverse che convergono nella stessa direzione, che scommettono nella definizione di un locale profondamente radicato nella nostra cultura, ma che al tempo stesso evolve alla velocità della luce, diventando fulcro di una proposta gastronomica che, negli anni, è andata ben oltre la colazione o lo snack pomeridiano. Dolce e salato per pranzo, cena e aperitivo ma anche per pause fuori orario che esulano dai classici canoni della ristorazione, e sono sempre di più all'insegna della qualità.

 

Un concept in evoluzione

Il bar invade nuovi territori: diventa bottega, rosticceria, panetteria, pasticceria, torrefazione, ristorante; ma anche libreria, concept store, spazio espositivo, negozio di moda e via dicendo. Già lo scorso anno avevamo tratteggiato le tante anime che convivono sotto il breve nomignolo, attraverso il comun denominatore del cibo e della libertà di fruizione. Conquistare e soddisfare una clientela sempre più esperta e diversificata - in termini di gusti, abitudini alimentari, intolleranze, attenzione alla genuinità e tracciabilità dei prodotti offerti - ha continuato a stimolare la creatività di molti professionisti del settore che si sono messi in gioco sia nella creazione di nuovi locali, nati con architetture e spazi appositamente vocati a dare risalto ai vari momenti "gastronomici" della giornata (con relative proposte gastronomiche), sia nel plasmare nei loro locali un’offerta gastronomica camaleontica che segua in maniera adeguata le varie fasi della giornata.

 

Il caffè: non più solo espresso

Prendi il caffè ad esempio, che del bar è protagonista indiscusso. Sta vivendo una sua fase di rinascimento, in cui gli addetti del settore – che siano piccoli torrefattori o grandi industrie – percorrono nuove strade con l'obiettivo comune di valorizzarlo al massimo, sia nella sua tradizionale veste di espresso (diversificando la proposta con monorigine pregiati torrefatti nel rispetto totale della materia prima e delle sue qualità organolettiche o con miscele di grande qualità), ma proponendo anche nuove estrazioni (v60, aeropress, syphon e altri sistemi che danno vita al caffè filtro), che aprono la strada a più modalità di intendere il caffè, ampliando il volto di questa tanto amata bevanda. Merito, va detto, anche di baristi sempre più esperti e formati, che attraverso studio e ricerca conoscono la materia prima e le sue fasi di lavorazione e sanno valorizzarla al meglio attraverso una corretta estrazione.

 

Un locale vocato alla contaminazione

Ma al bar oggi si va anche per comprare una buona pagnotta di pane fresco; grazie a panificatori attenti che hanno ben coniugato la panetteria con tutta l'offerta che ne consegue (come lievitati e altri prodotti da forno), alla convivialità della caffetteria, in un unico piacevole spazio dove fare spesa, sorseggiare un buon caffè oppure gustare un panino farcito o un trancio di pizza a pranzo. E poi ci sono i grandi maestri pasticceri, che escono dai confini della pasticceria di famiglia e portano al bar creazioni dolci – e anche salate – dalla tecnica perfetta. Anche il bar così acquista quell’allure di profumata fabbrica di delizie dolci un tempo appannaggio della sola pasticceria. Da tempo si sono messi in gioco anche espertissimi barman, per dedicarsi a quella parte della giornata, l'aperitivo, che comincia dal tardo pomeriggio e prosegue senza tempi definiti, che è puro divertimento e intrattenimento e che ha luogo sempre al bar, valorizzando il tutto con cocktail d'autore, calici di vini e bollicine accuratamente selezionati, liquori e distillati d'eccellenza.

 

Parola d'ordine: flessibilità

A guardarli bene sono tutti artigiani del gusto a pieno titolo, con un grande bagaglio di competenze anche molto diverse e complementari tra loro, che hanno saputo mettere sul piatto proposte di altissima qualità, in una versione più easy e anche più economicamente sostenibile per il pubblico e che accontenta in modo impeccabile e più flessibile, esigenze e desideri in continuo divenire. Insomma, dal bar non usciresti più, perché puoi imbatterti in un burroso croissant da gustare sorseggiando un caffè - che sia un espresso o un cold brew - o in una colazione continentale con eggs and bacon, frutta fresca e centrifugato antiossidante a conforto, o ancora in un dolce-gioiello firmato da un grande maestro pasticcere, in un piatto d’alta cucina o in un cocktail d’autore. Il tutto in un solo luogo, curato ma accessibile e informale, fruibile ma attento alla qualità e alla genuinità della proposta e spazio ideale per momenti di socialità e contatti umani scanditi da ritmi a volte lenti a volte veloci: quel luogo è il bar.

 

La Guida 2017 e i premi

Giunta quest'anno alla sua 17a edizione la Guida Bar d'Italia del Gambero Rosso racconta questo universo in continuo divenire attraverso una selezione di 1320 indirizzi sul territorio nazionale. In vetta troviamo i locali che si sono distinti per aver messo in campo i migliori caffè (Tre Chicchi), insieme alla più completa e curata proposta gastronomica (Tre Tazzine) e che vengono premiati con il massimo riconoscimento del combinato disposto di tre chicchi e tre tazzine. 29 bar finalisti concorrono al contest promosso da illy, storico sponsor della Guida nonché attore importante nella divulgazione della cultura del caffè in Italia e nel mondo, per la premiazione del miglior bar dell'anno, scelto da una squadra di giornalisti ed esperti enogastronomici, premiato durante la presentazione delle guida.

Tre Chicchi e Tre Tazzine vanno anche ad alcuni caffè storici d'Italia, secondo i canoni stabiliti dall'Associazione Locali Storici d'Italia (4 indirizzi), a quei locali che hanno meritato il massimo riconoscimento per dieci anni consecutivi (14 indirizzi) e ai migliori bar dei grandi alberghi (5 indirizzi). Anche quest'anno, inoltre, Illy premia 42 bar italiani che propongono le migliori colazioni dell'anno, valorizzando al massimo il primo pasto della giornata. E poiché il bar italiano è teatro di un altro importante rituale, l'aperitivo, anche quest'anno la guida segnala il locale che propone il miglior aperitivo dell'anno e lo premia in collaborazione con Sanbitter. Ai migliori cocktail bar italiani è dedicata anche una menzione speciale della guida, novità di questa diciassettesima edizione.

 

 

Bar d’Italia del Gambero Rosso 2017 | pp. 416  | euro 8,90 | La guida è acquistabile in edicola, libreria e on line

 

 

a cura di Silvia Cittadini

 

Ecco l’elenco completo dei bar incoronati con Tre Tazzine e Tre Chicchi suddivisi per categoria:

 

Tre Tazzine&Tre Chicchi - Finalisti Bar dell'Anno

 

Piemonte

Canterino - Biella
Relais Cuba Chocolat  Restaurant-Cafè - Cuneo

 

Liguria

Douce - Genova
 

Lombardia

La Pasqualina - Almenno San Bartolomeo [BG]
Sirani - Bagnolo Mella [BS]
Bedussi - Brescia
Viennoiserie Gian - Castiglione delle Stiviere (MN)
Pasticceria Roberto - Erbusco [BS]
Pavé - Milano
Marelet - Treviglio [BG]
Morlacchi - Zanica [BG]

 

Veneto

Il Chiosco - Lonigo [VI]

 

Friuli Venezia Giulia

Caffetteria Torinese - Palmanova [UD]
Vatta  - Trieste
Via delle Torri - Trieste

 

Emilia Romagna

Gino Fabbri Pasticcere - Bologna
Staccoli Caffè - Cattolica (RN)
Bar Roma - Novellara [RE]
Dolce Salato - Pianoro (BO)
Lievita - Riccione [RN]
Nuova Pasticceria Lady - San Secondo Parmense [PR]

 

Toscana

Tuttobene - Campi Bisenzio [FI]

 

Marche

Il Picchio - Loreto [AN]

 

Lazio

Cristalli di Zucchero - Roma
 

Campania

Sal De Riso Costa d'Amalfi - Minori [SA] 


Puglia

300mila Lounge - Lecce
Pino Ladisa - Valenzano [BA]

 

Sicilia

Sciampagna - Marineo [PA]
Irrera - Messina

 

Tre Tazzine&Tre Chicchi - Caffè storici

 

Piemonte

Converso - Bra [CN]
Baratti & Milano - Torino
Caffè Mulassano - Torino

 


Veneto

Gran Caffè Quadri - Venezia 

 

Bar dei grandi alberghi

 

Veneto

Bar Dandolo dell’Hotel Danieli - Venezia

Gabbiano e Fortuny dell’Hotel Cipriani - Venezia

 

Toscana

Atrium Bar & Lounge del Four Seasons Hotel - Firenze
Winter Garden Bar del St.Regis Florence - Firenze



Lazio

Stravinskij Bar dell’Hotel De Russie - Roma
 


Le Stelle

I locali che per almeno dieci anni consecutivi hanno conquistato tre tazzine & tre chicchi

 

Piemonte

Converso - Bra (CN)
Baratti & Milano - Torino
Caffè Mulassano - Torino
Caffè Platti -  Torino


Liguria
Murena Suite -  Genova

 

Lombardia

Zilioli - Brescia
Colzani - Cassago Brianza [LC] 

 

Veneto

Biasetto - Padova
Bar Dandolo dell’Hotel Danieli - Venezia

 

Toscana

Tuttobene - Campi Bisenzio [FI]

 

Abruzzo

Caprice - Pescara

 

Lazio

Stravinskij Bar dell’Hotel De Russie - Roma

 

Sicilia

Caffè Sicilia - Noto [SR]
Antico Caffè Spinnato - Palermo
Di Pasquale - Ragusa

 

Premio Sanbittèr&Gambero Rosso

aperitivo dell’anno

Zizzola - Noale (VE)

Alluvione Sannio, un anno dopo. Come è oggi la situazione?

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La denuncia dei produttori: “Dopo le promesse non è arrivato alcun risarcimento”. Nel Psr Campania un bando dai criteri ritenuti restrittivi stanzia 5 milioni di euro, ma le richieste superano i 100 milioni. Il Consorzio: "Ci siamo rialzati con le nostre forze"

Il 15 ottobre 2015, dopo otto ore di pioggia ininterrotta, acqua, fango e detriti invasero vallate e pianure in provincia di Benevento, allagando abitazioni, campi coltivati, vigneti, in diversi Comuni tra Dugenta e Ariano Irpino. L'alluvione del beneventano scaricò 60 milioni di metri cubi d'acqua in breve tempo. Fu una dura ferita per questo territorio della Campania, che ne subì un'altra del tutto simile pochi giorni dopo, il 19 ottobre, nell'area della Val Fortore. Una settimana dopo il maltempo, i cittadini avevano ancora la pala in mano per ripulire case, cortili e scantinati. E nelle campagne, strade e ponti furono fortemente danneggiati dall'esondazione di fiumi e torrenti. Le vigne vennero rovesciate in poco tempo dalla furia delle acque: oltre seicento gli ettari interessati in decine di comuni tra cui Torrecuso, Ponte, Solopaca. A un anno da quel disastro, il territorio si è rialzato, come raccontano gli stessi produttori colpiti, i vigneti sono stati rimessi in piedi, le cantine sono nuovamente attive, i macchinari ripristinati, ma ciò che non si è ancora visto è il rimborso dei danni.

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I danni nella provincia di Benevento

Nella provincia di Benevento, la più produttiva della Campania, ci sono circa diecimila ettari di vigna; sotto il fango di un anno fa è finito meno del 10% della superficie totale, come spiega il numero uno del Consorzio vini Dop Sannio, Libero Rillo: “Ci stiamo rialzando, ma è stata la caparbietà dei nostri coltivatori e imprenditori vitivinicoli a consentire la ripartenza del settore dopo l'alluvione. Nel senso che ognuno ha agito con le proprie forze, fisiche ed economiche. I risarcimenti sono stati annunciati, promessi da parte dell'amministrazione regionale, dopo molto tempo passato a conteggiare le perdite assieme a Prefetture, Comunità montane e tecnici regionali, ma non si è visto ancora niente”.

 

I 5 milioni per i danni atmosferici del Piano di Sviluppo Rurale

Attualmente, un bando del Piano di sviluppo rurale (Psr) 2014-2020, con scadenza il 25 novembre, prevede investimenti per oltre 70 milioni di euro, di cui 5 per il ripristino del potenziale produttivo per le imprese danneggiate da eventi atmosferici, che abbiano subito almeno il 30% di danno sulla produzione lorda vendibile. Cinque milioni di euro a fronte di richieste di risarcimento stimate per oltre cento milioni di euro.

 

L'iniziativa della cooperativa

È evidente che con questi tetti non sarà facile accedere al contributo”, commenta Carmine Coletta, agronomo e presidente di Cantina Solopaca, la cooperativa che un anno fa, dopo essere stata colpita dal maltempo, lanciò un'intelligente campagna di raccolta fondi dal titolo 'sporche ma buone', con cui provò a rialzarsi immediatamente, dopo essere finita in ginocchio e nel fango del fiume Calore, vendendo circa centomila bottiglie recuperate, non più etichettabili, ma il cui vino non era stato compromesso. Un souvenir autentico della storica alluvione che consentì ai soci di Solopaca di recuperare 300 mila euro in pochi mesi, su un danno stimato alla cantina pari a quasi un milione di euro. “Finora non abbiamo ottenuto nulla su alcun fronte, ma quello che più dispiace è che non ci sia stata concessa nemmeno la proroga dei versamenti dei contributi Inps, così come ci fu prospettata”, sottolinea Coletta, ricordando che la cantina, che quest'anno festeggia con un libro e diversi eventi i suoi 50 anni di attività, consente a ben 600 conferitori di uve di andare avanti. “Quella che stiamo vivendo ci sembra una storia di ordinaria burocrazia” aggiunge “e ci stiamo quasi rassegnando al fatto che tutto cadrà sulle nostre spalle. Un bando poco chiaro sulle richieste di risarcimento non chiarisce, per esempio, se il danno sulla plv debba essere valutato in rapporto al fatturato complessivo, che nel nostro caso è di 900 mila euro su 10 milioni di euro. Però ci sono viticoltori che hanno perso tutto il vigneto”. Di fatto, Solopaca produrrà nel 2016 tra 20 e 25% di uve in meno, considerando anche l'annata non facile per gelate e peronospora, nei mesi primaverili.

 

Amarezza anche tra i produttori privati e piccole cantine. “La cifra prevista dal bando Psr è irrisoria e la situazione generale è tale per cui siamo stati abbandonati a noi stessi”, si sfoga Lorenzo Nifo, proprietario dell'azienda Nifo Sarrapochiello, che un anno fa subì danni soprattutto ai vigneti: 3 ettari su circa 18. “Una parte di questi ettari non è utilizzabile mentre in un'altra abbiamo recuperato le piante rimettendole in piedi e riposizionando pali e fili. Nel frattempo, abbiamo fatto alcuni nuovi impianti che potrebbero compensare le perdite di quest'ultimo anno. Per quanto mi riguarda, questo 2016 è meglio non ricordarlo. E ciò che ho fatto l'ho potuto fare grazie alle mie forze e alla solidarietà degli amici”.

La giovane produttrice Giusy Rapuano(Torre del Pagus, azienda da 15 ettari) fu una delle prime a postare sul suo profilo Facebook le terribili foto dell'alluvione e delle pietre trascinate dall'acqua che invasero la sua cantina a Paupisi. “Abbiamo riacquistato dei macchinari per la cantina, abbiamo perso anche del vino, mentre per quanto riguarda i vigneti l'esondazione del fiume Calore ha raso al suolo due ettari nel comune di Ponte, che in parte sono stati reimpiantati e per il resto sono rimasti così”. I risarcimenti? “Abbiamo fatto richiesta tramite i nostri agronomi. Ma, finora, chi ha potuto ha rimesso le cose a posto da sé”.

 

Grande delusione è la parola che Luca Baldino, che gestisce la cantina Santiquaranta, ripete più spesso. La sua azienda da 6 ettari produce, tra le altre cose, il Moscato di Baselice, dopo aver recuperato la varietà intorno al 2000. “L'alluvione lo ha distrutto, noi lo abbiamo estirpato, abbiamo sistemato il terreno e rifatto l'impianto, che sarà nuovamente produttivo nel 2019”. Oltre 30 mila euro la spesa per i lavori e sicuramente non sono sufficienti: “L'impianto dovrà essere completato” spiega Baldino che, come altri imprenditori, aveva compilato a suo tempo la ben nota “scheda C”, riservata alle attività produttive per la stima dei danni, che nel suo caso sono ammontati a 160 mila euro (compresi quelli alla cantina di trasformazione), dopo le perizie dei vigili del fuoco. “Viviamo un paradosso: dopo l'alluvione è stato dichiarato lo stato d'emergenza e di calamità naturale, l'Inps non ha concesso la posticipazione dei contributi previdenziali, il Psr è uscito con ritardo e ora il bando che scade a novembre prevede criteri che non ci daranno accesso ai risarcimenti. Non capisco lo spirito di questa norma. Si è scelto” sottolinea Baldino “di introdurre un parametro d'accesso ai fondi come quello del 30% sulla produzione lorda vendibile, che taglia fuori gran parte delle aziende come la mia. Pertanto, secondo questo bando, chi ha perso il vigneto e non l'uva, che era già stata raccolta, è come se non avesse perso nulla. Il risultato è che non presenterò neppure la domanda”.

 

Un anno tra isolamento e incertezze

A un anno dall'alluvione, il prezzo pagato dalle comunità non è meramente economico. Le ferite sul territorio provinciale sono ancora visibili, come fa notare Gennarino Masiello, vice presidente nazionale e presidente della federazione campana di Coldiretti: “Gli interventi necessari a evitare che si ripeta un evento simile non sono stati messi in campo, né sul fronte prevenzione del rischio idrogeologico, né su quello del ripristino della viabilità. Ancora oggi, in alcune zone, ci sono famiglie isolate che per rientrare a casa devono parcheggiare l'auto a centinaia di metri e percorrere dei ponti a piedi”. Sul piano dei rimborsi, invece, Masiello sottolinea l'assenza di coordinamento: “Passata la fase d'emergenza, non c'è stata la possibilità di sederci attorno a un tavolo con le istituzioni e pianificare le priorità”. Pochi giorni fa il Governo, attraverso il ministro per le Politiche agricole, Maurizio Martina, ha annunciato misure per risollevare il settore agroalimentare nel Centro Italia, dopo il terremoto dello scorso agosto, tra cui indennizzi fino al 100%, 35 milioni per le imprese, un piano di rilancio da 220 milioni in tre anni attraverso i Psr: “Fatto salvo che le vite umane hanno la priorità su ogni cosa” fa notare Masiello “sia un terremoto sia un'alluvione provocano dei danni alle imprese che in quanto tali vanno riparati, senza particolari distinzioni”.

 

L'opzione assicurativa

In pratica, per le imprese agricole e vitivinicole che vogliono evitare le pastoie burocratiche e l'incertezza normativa, l'unica via certa sembrerebbe assicurare il raccolto, fa notare la Confagricoltura, considerate le esigue disponibilità del Fondo di solidarietà nazionale per le calamità naturali (appena il 2% dei danni all'agricoltura italiana sono stati coperti). L'Ue da tempo insiste su questa strategia e il Piano nazionale di sostegno incentiva l'opzione assicurativa. Anche se, la percentuale di produttori del sud Italia che sceglie di stipulare una polizza contro le calamità naturali è ancora troppo bassa rispetto alle imprese del Nord Italia.

 

a cura di Gianluca Atzeni

Italy Food Week alla Maker Faire di Roma: gli hashtag della fiera più innovativa del settore

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Inizia oggi, 14 ottobre 2016, la Maker Faire di Roma, l'appuntamento con la tecnologia giunto alla quarta edizione che presenta tutti i progetti più innovativi nel settore dell'agroalimentare. Tanti i dibattiti e i forum dedicati, ognuno dei quali avrà un hashtag a seconda del tema.

Future Food Institute

Hamburger a base di macro algae, cocktail stampati in 3D, funghi edibili ottenuti dai fondi di caffè, larve allevate in casa, barrette di cioccolato con alga spirulina: questi e molti altri i progetti che verranno presentati a partire da oggi, 14 ottobre 2016, alla Maker Faire di Roma, la fiera di settore dedicata alla tecnologia. Per la quarta edizione, ad animare i progetti dell'area food destinati a cambiare il mondo del cibo, ci sarà il Future Food Institute (FFI), trust bolognese dedicato all'agroalimentare fondato da Sara Roversi, Andrea Magelli, Matteo Vignoli Alessandro Pirani. Una comunità globale di attori responsabili per l'alimentazione e il miglioramento del mondo, ideato da You Can Group come organizzazione non-profit che si impegna a studiare e analizzare le nuove tendenze in tutto il mondo attraverso la sperimentazione di nuove soluzioni per aiutare le organizzazioni del sistema alimentare a pianificare e creare un futuro sostenibile per il pianeta. Serre automatizzate da gestire con un click, stampanti 3D, sensori in grado di decifrare il contenuto del cibo e alimenti particolari come alghe e insetti, saranno solo alcuni degli elementi alla portata dei makers in arrivo da tutto il mondo.

Maker Faire Roma

Italy Food Week

E con la partecipazione di ben 20 studenti del Food Innovation Program, il Future Food Institute prenderà attivamente parte all'iniziativa social dell'evento. Si tratta di un hashtag di Twitter Italia, che gode del patrocinio del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali: è #ItalyFoodWeek, la dicitura che caratterizzerà i vari post delle giornate del festival. Per tutta la durata della Maker Faire, i temi trattati avranno degli hashtag dedicati per ogni singola giornata, da #zerosprechiFW (venerdì 14 ottobre) a #kmzeroFW (sabato 15 ottobre), e ancora #apranzoinsiemeFW (domenica 16 ottobre).

Call for school

Altra novità di quest'anno, che coinvolge sempre più studenti giovani e appassionati, è la call for school, ovvero un contest per le scuole per la prima volta aperto anche agli istituti alberghieri e agrari. I ragazzi hanno presentato numerosi progetti di prototipazione per l’ambito food, e fra questi solo quelli più innovativi e originali sono stati scelti dalla giuria di esperti, che decreterà il vincitore domenica 16 ottobre. 

Maker Faire | Roma | dal 14 al 16 ottobre | via Portuense, 1645 | www.makerfairerome.eu/it


A cura di Michela Becchi

 

A Cesena inaugura nuova Fiera e (presto) Città del gusto di Romagna del Gambero Rosso

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Il cantiere si è protratto per un anno e mezzo, ora il nuovo complesso fieristico è pronto per presentarsi al pubblico della cittadina romagnola completamente rinnovato. E con una sorpresa inedita: la nuova Città del gusto di Romagna, prima incursione di Gambero Rosso sul territorio regionale, uno dei più vocati dal punto di vista enogastronomico. Le prossime tappe. 

Gambero Rosso e Cesena Fiera insieme

Poco meno di un anno fa, l'annuncio ufficiale della partnership tra Gambero Rosso e Cesena Fiera. Era il dicembre 2015, e la volontà di riportare in auge i padiglioni del complesso fieristico della cittadina romagnola dava adito alla pubblicazione di un bando di gara pubblico per favorire un intervento di restyling radicale, frutto di un investimento complessivo da 3 milioni e 400mila euro. Nell'ambito del progetto, Gambero Rosso si assicurava la possibilità di realizzare un centro d'eccellenza enogastronomica esteso su 500 metri quadri all'interno del polo fieristico: una nuova Città del gusto di Romagna destinata alla formazione sia nel campo enogastronomico, che nella promozione e comunicazione del settore. E a disposizione per l'organizzazione di eventi locali, nazionali e internazionali durante il periodo di gestione previsto dall'accordo, sei anni per cominciare. Data di fine lavori prevista: autunno 2016. E puntuale, la nuova Fiera di Cesena aprirà le porte al pubblico durante la cerimonia inaugurale in programma per il pomeriggio di sabato 15 ottobre, anche se per scoprire la Città del gusto di Romagna bisognerà attendere ancora un paio di mesi, fino all'inizio di dicembre, quando il centro di formazione a cura del Gambero Rosso presenterà il proprio calendario di attività.

Aspettando la Città del gusto di Romagna

Nel dettaglio, il nuovo polo si presenta all'appello dotato di nuovi spazi, sale riunioni, un'illuminazione a led, una sala polifunzionale e una cucina industriale estesa su oltre 120 metri quadri per garantire light lunch, aperitivi e servizio di ristorazione agli appuntamenti organizzati in Fiera; oltre all'area destinata alla nascita della Città del gusto, che proporrà corsi, degustazioni e iniziative didattiche rivolte a professionisti e amatori, valorizzando il patrimonio di eccellenze locali nel cuore di uno dei territori della Penisola più vocati sul versante enogastronomico, come ricordava qualche mese fa Paolo Cuccia, esprimendo la propria soddisfazione per l'accordo raggiunto. “Il Gambero Rosso è particolarmente lieto di quest'accordo per l'importanza del partner Cesena Fiera”ribadiva all'epoca il presidente di Gambero Rosso“e per la qualità del territorio romagnolo denso di eccellenze e caratterizzato da una attenta gestione amministrativa. Tra qualche ora saranno ancora una volta le parole del sindaco di Cesena Paolo Lucchi, del presidente della Fiera Renzo Piraccini e di Paolo Cuccia a raccontare il progetto alla città in occasione della cerimonia ospitata nella sala dei Tre Papi. A seguire l'aperitivo con show cooking di Giorgione, volto di Gambero Rosso Channel. In attesa che la nuova Città del gusto giochi le sue carte. Ancora un po' di pazienza.  

 

Cesena Fiera | Cesena | via Dismano, 3845 | www.cesenafiera.com

Michelin Washington D.C. 2017. Una nuova metropoli Usa per la Rossa: nessun 3 stelle

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Tra i protagonisti dell'esordio stellato nella città presidenziale c'è Josè Andres, celebre chef e imprenditore spagnolo che conquista due stelle con il suo Minibar. Ma le stelle non fioccano: tre i bistellati, nove i ristoranti che raggiungono quota uno. Eppure la scena gastronomica locale vale il viaggio (e merita un'edizione dedicata): Michael Ellis spiega perché. 

L'ultima arrivata in casa Michelin. E sono 29

È un esordio col freno a mano tirato quello della Michelin Washington, che pure segna un altro tassello significativo nella strategia di “colonizzazione” intrapresa nell'ultimo anno in casa della Rossa. Al quartier generale della Michelin la stagione è entrata nel vivo e proseguirà spedita nelle prossime settimane con altre attese cerimonie di presentazione: per l'Italia la data da segnare in agenda è il 15 novembre. E la guida, pur con le dovute considerazioni circa le dinamiche di un sistema per molti versi fin troppo paludato, continua a ribadire il suo prestigio scaldando le platee gastronomiche di tutto il mondo. Dimostrandosi per molti versi particolarmente attenta nel sancire l'evoluzione di una ristorazione meritevole di essere presa in considerazione ben oltre il blasone e la dottrina accademica. Le ultime conferme in merito sono arrivate dall'edizione UK, pronta a fotografare un panorama fresco e anticonvenzionale capace di coesistere con i grandi della storia gastronomica nazionale; e prima ancora dalle incursioni in Estremo Oriente, che hanno portato alla ribalta dei riflettori tante insegne popolari, garantendo un posto nell'Olimpo stellato allo street food. Ma la capacità – e la voglia – di restare al passo coi tempi attualizzando costantemente un'autorevolezza che si nutre del tempo si ribadisce anche indirizzando lo sguardo su nuovi, e mirati, obiettivi, perché in fondo è il piglio dello scopritore di talenti quello che non deve (dovrebbe) mai far difetto a un ispettore.

E così ci troviamo a raccontare l'ultimo esordio editoriale in casa Michelin, che stavolta pesca nello stimolante panorama gastronomico statunitense, elevando al rango di New York, Chicago e San Francisco anche Washington D.C., la ventinovesima edizione della collezione Michelin. Dieci anni dopo (era il 2006) la pubblicazione della prima Rossa metropolitana a stelle e strisce, dedicata a New York (anche se sul percorso americano dell'editore francese pesa le retromarcia su Los Angeles e Las Vegas, entrambe accantonate nel 2010).

Washington capitale gastronomica. Ecco perché

Cosa deve aspettarsi, dunque, un viaggiatore in cerca di soddisfazioni gastronomiche in visita alla città presidenziale? Per Michael Ellis, il numero uno di casa Michelin, la scelta di concentrarsi su Washington è stata una decisione logica, seppur meditata a lungo: “Ci troviamo di fronte a una metropoli cosmopolita, particolarmente importante sulla scena internazionale e ben rappresentata sul fronte gastronomico da molteplici espressioni culinarie che coesistono tra loro”. E le previsioni più rosee parlano di un panorama ristorativo in crescita, “grazie a giovani chef promettenti che stanno riscoprendo i prodotti locali e l'identità gastronomica del territorio, supportati da nuove tecniche e influenze internazionali”. Per quest'anno la perlustrazione degli ispettori si è concentrata sull'area metropolitana, in cerca degli chef più promettenti; nessuno di loro però ha meritato il riconoscimento più ambito: le tre stelle restano nel mirino per la prossima edizione.

Le stelle. Uno spagnolo in testa

Chi potrà ambirvi è Josè Andres, chef e imprenditore spagnolo d'adozione americana, che a Washington conquista due stelle per la cucina stravagante e d'avanguardia del suo Minibar, una delle molteplici insegne che ha portato al successo sul territorio statunitense. Insieme a lui si aggiudicano la doppia stella altre due celebri realtà della ristorazione locale, che conquistano il piazzamento senza troppe sorprese: Pineapple&Pearls (aperto solo pochi mesi fa) e The Inn at Little Washington, premiato per la solida interpretazione della cucina francese classica e contemporanea. Nel novero delle prime stelle, invece, si accomodano nove ristoranti, tra cui si segnalano la cucina giapponese di Sushi Taro e l'ispirazione italiana della Masseria, guidata dallo chef patron Nick Stefanelli. Completa la lista della Michelin Washington 2017 la sezione dedicata alle insegne Bib Gourmand, segnalate per l'ottimo rapporto qualità/prezzo, con 19 referenze.

 

Michelin Washington D.C. 2017

 

Due Stelle

Mini Bar

Pineapple&Pearls

The Inn at Little Washington

 

 

Una Stella

Blue Duck Tavern

The Dabney

Fiola

Kinship

Masseria

Plume

Rose's Luxury

Sushi Taro

Tail Up Goat

 

a cura di Livia Montagnoli


Versi di vini. Alda Merini

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Ci siamo, è la nostra ultima puntata. E abbiamo voluto dedicarla ad Alda Merini. Vogliamo chiudere con lei questa lunghissima cavalcata tra i versi dei più grani poeti di tutti i tempi, alla ricerca delle parole che hanno raccontato il vino e lo hanno trasformato in materia poetica.

È la poetessa italiana più importante degli ultimi anni, Alda Merini (1931-2009) per anni vicina al Nobel per la letteratura senza però mai aggiudicarselo. Segnata da una vita difficile, un'esistenza piena di inciampi e illuminata da una poesia che incanta, che addolora e vivifica. Un racconto autobiografico, il suo, che traccia i confini di un'esperienza piena di un vissuto profondo, mai vinta, mai in fuga dalle ingiurie della vita e dal vibrare dei sentimenti che canta con i suoi versi dolenti e veri.

 

Sete perenne

Vino, gagliardo come la dea ragione

in te l’idea si fa suono e

si colora il Mito.

Appaiono vestali tinte di giada,

il periplo del canto si snoda in

veli che ricordano l’anima.

O vino che canti il mio dolore,

vino che sei il precipizio estremo,

vino che dai l’illusione della morte e

fai solo dormire

fino al nuovo dolore.

 

 

Le osterie

A me piacciono gli anfratti bui

delle osterie dormienti,

dove la gente culmina nell’eccesso del canto,

a me piacciono le cose bestemmiate e leggere,

e i calici di vino profondi,

dove la mente esulta,

livello magico di pensiero

troppo sciocco è piangere sopra un amore perduto

malvissuto e scostante,

magico l’acre sapore del vino

indenne,

meglio l’ubriacatura del genio,

meglio sì meglio

l’indagine sorda delle scorrevolezze di vite,

io amo le osterie

che parlano il linguaggio sottile

della lingua di Bacco,

e poi nelle osterie

ci sta il nome di Charles

scritto a caratteri d’oro.

 

 

a cura di Giuseppe Brandone

 

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Mitch Lienhard è il San Pellegrino Young Chef 2016. È americano il giovane talento più promettente

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20 sfidanti, i migliori giovani chef del mondo, e tre giorni di competizione serrata sotto gli occhi di sette giudici d’eccezione. La finalissima di San Pellegrino Young Chef va in scena a Milano e premia il pupillo di Dominique Crenn. Delusione e premio di consolazione per Alessandro Rapisarda. 

La competizione, la finalissima e i 7 saggi

San Pellegrino Young Chef, un anno dopo. Si gioca a Milano la partita finale della competizione che si prefigge di premiare il talento giovanile esaltando le doti degli chef più promettenti del panorama gastronomico internazionale. E tre giorni fa loro hanno accettato ancora una volta la sfida, puntuali all’appello con l’ultima prova sotto i riflettori del The Mall, dopo aver trionfato nei rispettivi gironi che li hanno visti impegnarsi per mesi, dalle prime selezioni alla messa a punto dei piatti vincenti. Dietro al tavolo dei giudici, allineati l’uno accanto all’altro col piglio compassato delle grandi occasioni (ma a trapelare è anche lo sguardo benevolo che accompagna l’emozione degli sfidanti, da maestro ad allievo in cucina come sul palco) sette grandi nomi dell’alta ristorazione mondiale: Gaggan Anand, Elena Arzak, Mauro Colagreco, Carlo Cracco, Wylie Dufresne, David Higgs e Roberta Sudbrack . Dall’altra parte, affaccendati tra pentole e mise en place, i 20 giovani finalisti, in rappresentanza di altrettante cucine nazionali. Ma a guardar bene, la presenza italiana non è mai stata numerosa come quest’anno.

L’Italia fuori

Con il giovane Alessandro Rapisarda, eletto campione tricolore lo scorso giugno in occasione della finale nazionale e affiancato dal tutor Davide Oldani, partecipano alla competizione che decreterà il vincitore assoluto anche Andrea Miacola e Matteo Zonarelli, rispettivamente in rappresentanza del Benelux e del Nord Est Asiatico (da Macao, dove Matteo lavora nello staff di chef Umberto Bombana). Ma il meccanismo delle finalissime, si sa, non può che essere spietato. E così la tre giorni di gara si è articolata secondo copione: alle copiose eliminazioni della prima e seconda giornata (il 13 e 14 ottobre) è seguito l’ultimo duello a tre, i più meritevoli di alzare la coppa del San Pellegrino Young Chef 2016 secondo insindacabile verdetto della super giuria. Sul campo sono caduti in molti, a cominciare dai ragazzi italiani: neanche il Risotto alla marinara di Rapisarda che tanto aveva convinto in sede di finale nazionale (e pure perfezionato grazie ai consigli del patron del D’O, che il piatto l’aveva definito buono ed elegante, lodandolo per la sua immediatezza) è riuscito a strappare un biglietto per l’ultima prova, nonostante l’interessamento e la curiosità manifestati dai giudici.

Lo spettacolo della finale

A disputarsi il gradino più alto del podio, invece, sono arrivati Shintaro Awa, origini asiatiche ma in gara per la Francia, dalla cucina dell’Hotel Bristol Epicure di Parigi, David Andres, spagnolo dell’ABaC Restaurant di Barcellona, e Mitch Lienhard in rappresentanza degli Stati Uniti, da una delle più celebri cucine americane a tre stelle, il Manresa di Los Gatos (California). E a parlare nella finale di sabato sono stati ancora una volta i piatti, preparati live davanti alla platea del The Mall, sotto la pressione dell’inesorabile countdown proiettato sui maxi schermi in sala: Maccarello con patate per la Francia, Latte di capra, pistilli di carciofo, agnello e fumo di pino per la Spagna, Anatra arrosto con arancia speziata e patata dolce per l’America.

Il nome del vincitore, annunciato da un impeccabile Alessandro Cattelan come talent show comanda (qualcuno ha ancora dubbi sulla mediaticità degli chef?), arriva poco prima delle 21, a chiudere quasi due ore di spettacolo in diretta streaming che si finge prima serata televisiva: qualche battuta di rito con la giuria dei “7 saggi”, che si sbilanciano sulle qualità indispensabili del perfetto young chef, l’endorsement dei mentori – Yannick Allenò, Andoni Luis Aduriz, Dominique Crenn – gli applausi a scena aperta, gli stacchetti musicali, i contributi video e le cucine operose sullo sfondo.

Il premio in California. Orgoglio Usa

And the winner is Mitch Lienhard, che colpisce dritto il bersaglio col suo bagaglio di competenze tecniche. Premi di consolazione per Daniel Nates, alfiere sudamericano, che si aggiudica l’Inspiring message Award grazie al voto della rete, e Alessandro Rapisarda vincitore dell’Acqua Panna Contemporary Tradition Award: così il giovane chef si prende la rivincita per l’indubbia capacità di interpretare la tradizione marchigiana (e italiana) rinnovandola, nel rispetto dei grandi ingredienti del territorio. Intanto però anche quest’anno – dopo un 2015 nel segno dell’Irlanda di Mark Moriarty -  il premio approda lontano, di là dall’oceano, sancito dalle parole di un’orgogliosa Dominique Crenn, che chiosa sul grande valore della cucina americana contemporanea. Quando il turno dell’Italia?

 

a cura di Livia Montagnoli

I Vini d'Italia 2017 de L'Espresso. 300 vini e tre classifiche pensate per il consumatore

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Tante novità per il nuovo corso della guida dedicata ai migliori vini d'Italia dal gruppo L'Espresso. Al cambio della guardia  - per Andrea Grignaffini e Antonio Paolini è la prima edizione da curatori – corrisponde un rinnovato interesse per il consumatore, al centro di una selezione che distingue etichette da conservare, da comprare o da bere subito.  

Aria di cambiamento

3 per 100. E così l'ultima edizione della guida I Vini d'Italia de L'Espresso si presenta al consueto appuntamento con enofili appassionati e lettori affezionati offrendo loro tre percorsi in uno, tre scelte alternative e complementari. Tre classifiche stilate a seguito di 20mila degustazioni e concertate grazie a un lavoro di gruppo coordinato dai neo-curatori Andrea Grignaffini e Antonio Paolini. Del resto, la guida presentata negli ultimi giorni, è il primo banco di prova dopo il chiacchierato cambio della guardia che a febbraio 2016 aveva portato alla sostituzione degli storici curatori Ernesto Gentili e Fabio Rizzari, lasciando presagire un cambio di rotta radicale. Delle vicissitudini interne al gruppo si è molto discusso – forse fin troppo -  all'epoca, ora la parola spetta ai fatti. E le novità, come prevedibile, sono molte: a cominciare dai punteggi che spariscono – analogamente a quanto preannunciato per la guida ristoranti di prossima uscita – per avvicinare il giudizio alle esigenze del consumatore, senza arroccarsi in “bizantinismi incomprensibili” spiegano in casa L'Espresso. Anche perché, conferma Paolini, “ci siamo resi conto che la qualità media dei vini è cresciuta molto, consapevolezza e capacità tecnica sono diventate patrimonio diffuso: oggi è difficile trovare un vino cattivo. In un quadro del genere, tra i punteggi delle bottiglie ci sarebbero stati scarti infinitesimali”.

Trecento etichette per tre classifiche

E allora eccola salire agli onori della cronaca questa qualità diffusa sul territorio nazionale e riassunta nella cosiddetta “carica dei 300”. Cento sono le etichette da conservare gelosamente in cantina, in attesa che il tempo gli renda giustizia; cento le referenze da comprare, approfittando dell'ottimo rapporto qualità/prezzo; altrettanti i vini “da bere subito”, forti di una piacevolezza che conquista nel presente, “bottiglie non necessariamente d’annata, con una energia di beva talmente forte da poter essere consumate in tempi rapidi”, per dirla con le parole di Andrea Grignaffini. Il filo conduttore sembra essere il mordente che ha guidato il lavoro della nuova squadra nella direzione di un vademecum dedicato a chi il vino lo compra, per indirizzarlo sulle bottiglie migliori senza snobismi di sorta. In totale sono 1500 le etichette segnalate – compresa la sezione dedicata alle migliori espressioni di ogni denominazione, oltre 100 referenze, suddivise per regioni -  premiando coerenza, personalità, e tutti quei valori identitari che rendono unica e variegata l'offerta enologica italiana. E nella roccaforte dei 300 si avanza senza troppe distrazioni e tecnicismi superflui  - bianchi, rossi, passiti e frizzanti insieme -  se non perseguendo le linee guida già menzionate (“da conservare”, “da bere subito”, “da comprare”) e un criterio di valore decrescente, pur non sottolineato da punteggi numerici. Di seguito i vini che entrano in classifica, molti in degustazione nella giornata di presentazione delle guide L'Espresso il prossimo 20 ottobre, alla Stazione Leopolda di Firenze.

I Vini d'Italia 2017 de L'Espresso | a cura di Andrea Grignaffini e Antonio Paolini | dal 14 ottobre | 18 euro

 

a cura di Livia Montagnoli

 

LE 3 CLASSIFICHE

I 100 vini da bere subito

1 Barbaresco Crichët Pajé 2007 - I Paglieri - Roagna 
2 Greco di Tufo Pietra Rosa 2013 - Di Prisco 
3 Franciacorta Extra Brut Vittorio Moretti Riserva Meraviglioso - Bellavista 
4 Franciacorta Brut Satèn Vintage Collection 2011 - Ca’ del Bosco
5 Alto Adige Pinot Bianco Plattenriegl 2015 - Girlan
6 San Leonardo 2011 - Tenuta San Leonardo
7 Alto Adige Terlano Riserva Terlaner Nova Domus 2013 - Produttori Terlano
8 Langhe Riesling Hérzu 2014 - Germano Ettore
9 Marsala Vintage Riserva Superiore Ambra Dolce 1980 - Cantine Intorcia
10 Nekaj 2012 - Podversic Damijan
11 Cerasuolo d’Abruzzo Le Cince 2015 - De Fermo
12 Scrio 2013 - Le Macchiole
3 Cerasuolo di Vittoria Classico Grotte Alte 2012 - Occhipinti Arianna
14 Fiano di Avellino Pietramara 2015 - I Favati
15 Montecitorio 2014 - Vigneti Massa
16 Cerasuolo d’Abruzzo 2015 - Pepe Emidio
17 Barolo Bricco Pernice 2011 - Cogno Elvio
18 Gattinara Riserva 2011 - Travaglini Giancarlo
19 Alto Adige Extra Brut Riserva 2010 - Arunda
20 Fiano di Avellino Contrada Santaniello 2013 - Vigne Guadagno
21 Trento Brut 2013 - Letrari
22 Rossese Superiore Luvaira 2014 - Maccario Dringenberg
23 Montepulciano d’Abruzzo I Vasari 2013 - Fratelli Barba
24 Trebbiano d’Abruzzo Vigneto di Popoli 2014 - Valle Reale
25 Cerasuolo d’Abruzzo Pepe Rosa 2015 - Stefania Pepe
26 Brunello di Montalcino 2011 - Ventolaio
27 Vermentino di Gallura Luris 2015 - Depperu
28 Etna Bianco Pietrarizzo 2015 - Tornatore
29 Trento Brut Riserva 2010 - Maso Poli
30 Vermentino di Gallura Superiore Karagnanj 2015 - Tondini Orlando
31 Chianti Classico 2014 - Riecine
32 Vino Liquoroso Secco Vecchio Samperi - De Bartoli Marco
33 Albana di Romagna Passito Scacco Matto 2013 - Fattoria Zerbina
34 Collio Malvasia Vigna 80 anni 2015 - I Clivi
35 Nero di Orgosa 2014 - Orgosa
36 Alto Adige Pinot Bianco Sirmian 2015 - Nals Margreid
37 Verdicchio di Matelica Vigneto Fogliano 2013 - Bisci
38 Lambrusco di Sorbara Radice 2015 - Paltrinieri Gianfranco
39 Prosecco Superiore Rive di Farra di Soligo Brut Millesimato - Col Credas 2015 - Adami
40 Prosecco Superiore Brut Particella 68 - Sorelle Bronca
41 Rosso di Montalcino Ignaccio 2013 - Il Marroneto
42 Chianti Classico Baron’Ugo 2014 - Monteraponi
43 Chianti Classico 2014 - Isole e Olena
44 Rosso Piceno Superiore Brecciarolo Gold 2014 - Velenosi
45 Sicilia Grillo “Grillo Parlante” 2015 - Fondo Antico
46 Amarone della Valpolicella 2013 - Zonin 1821
47 Tauma 2015 - Pettinella
48 Bordò 2012 - Poderi San Lazzaro
49 Not 2013 - Paraschos
50 Franciacorta Brut Blanc de Blancs - Cavalleri
51 Valpolicella Classico 2015 - Allegrini
52 Cortona Syrah 2013 - Amerighi Stefano
53 Dogliani Sorì dij But 2015 - Abbona Anna Maria
54 Oltrepò Pavese Pinot Nero Extra Brut “Nature Ecru” 2010 - Anteo
55 Salice Salentino Mani del Sud 2012 - Apollonio
56 Albana di Romagna Secco Gioja 2015 - Giovannini
57 Etna Rosso 2014 - Murgo
58 Prosecco Superiore Extra Dry Millesimato 2015 - Biancavigna
59 Nebbiolo d’Alba Superiore Cumot 2013 - Bricco Maiolica
60 Grechetto Colle Ozio 2014 - Bussoletti Leonardo
61 Merlot Sebino IGT 2009 - Ca’ del Bosco
62 Colli Euganei Cabernet Girapoggio 2009 - Ca’ Lustra
63 Ciliegiolo Vigna Vallerana Alta 2014 - Camillo Antonio
64 Alto Adige Santa Maddalena Classico Huck am Bach 2015 - Cantina di Bolzano
65 Sannio Falanghina Fois 2015 - Cautiero
66 Cesanese di Olevano Romano Silene 2014 - Ciolli
67 Montecucco Sangiovese Riserva 2013 - Tenuta di Montecucco
68 Riviera del Garda Bresciano Gropèl 2011 - Comincioli
69 Frascati Superiore Abelos 2015 - De Sanctis
70 Portico Rosso 2013 - Fanti Giuseppe
71 Morellino di Scansano Heba 2015 - Fattoria di Magliano
72 Lambrusco Grasparossa di Castelvetro Canova 2015 - Fattoria Moretto
73 Franciacorta Brut - Ferghettina
74 Dolcetto d’Alba Piano delli Perdoni 2015 - Mossio Fratelli
75 Oltrepò Pavese Pinot Nero Giorgio Odero 2013 - Frecciarossa
76 Alto Adige Schiava Gschleier Alte Reben 2014 - Girlan
77 Nerojbleo 2012 - Gulfi
78 Bolgheri Rosso Superiore Podere Ritorti 2013 - I Luoghi
79 Collio Bianco della Castellada 2011 - La Castellada
80 Ciliegiolo 2014 - La Palazzola
81 Lambrusco Frizzante 2015 - Le Barbaterre
82 Blanc de Morgex et de la Salle 2015 - Maison Vevey Albert
83 Valtellina Grumello 2012 - Marsetti Alberto
84 Sicilia Catarratto Vigna del Masso 2015 - Feudo Montoni
85 Oltrepò Pavese Metodo Classico Pinot Nero Rosè - Monsupello
86 Cesanese del Piglio Nerva 2014 - Petrucca e Vela
87 Nosiola 2015 - Pisoni
88 Pinot Noir 2014 - Podere Concori
89 Primitivo di Gioia del Colle “17” 2013 - Polvanera
90 Esegesi 2013 - Rosi Eugenio
91 Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Le Vaglie 2015 - Santa Barbara
92 Marchese di Villamarina 2011 - Sella & Mosca
93 Rosso Piceno Superiore Picus 2014 - Simone Capecci
94 Malvasia 2013 - Skerlj
95 Mantonico 2013 - Statti
96 Langhe Chardonnay 2015 - Cisa Asinari dei Marchesi di Grésy
97 Alto Adige Gewurztraminer Nussbaumer 2014 - Tramin - Produttori Termeno
98 Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Riserva Plenio 2013 - Umani Ronchi
99 Rossobordò 2013 - Valter Mattoni
100 Breganze Torcolato Riserva Sarson 2013 - Vignaioli Contrà Soarda 

 

I 100 vini da comprare

1 Brunello di Montalcino 2011 - Ridolfi 
2 Verdicchio di Matelica 2015 - Collestefano
3 Trebbiano d’Abruzzo Gianni Masciarelli 2015 - Masciarelli
4 Barolo del Comune di Serralunga d’Alba 2012 - Schiavenza
5 Barbaresco Riserva 2011 - Cantina del Pino
6 Barbaresco Mondino 2013 - Busso Piero
7 Brunello di Montalcino 2011 - Fattoi
8 Franciacorta Riserva Non Dosato Bagnadore 2009 - Barone Pizzini
9 Barbera d’Alba Mucin 2015 - Giacosa Carlo
10 Barolo 2012 - Boroli Silvano e Elena
11 Etna Rosso 2015 - Pietradolce
12 Nebbiolo d’Alba Bricco Capre 2012 - Mario Rivetti
13 Aglianico del Vulture Le Vigne a Capanno 2013 - Tenuta del Portale
14 Soave Classico Pressoni 2015 - Cantina del Castello
15 Montepulciano d’Abruzzo Casino Murri 2013 - San Giacomo
16 Sicilia Nero d’Avola Centuno 2013 - Cantina Sociale Viticultori Associati Canicattì
17 Roero Arneis Cecu d’ la Biunda 2015 - Monchiero Carbone
18 Nebbiolo d’Alba Diauleri 2014 - Serafino Enrico
19 Offida Pecorino Artemisia 2015 - Tenuta Spinelli
20 Alto Adige Brut Rosé Athesis - Kettmeir
21 Greco di Tufo Terra d’Uva 2015 - Ferrara Benito
22 Barbera d’Alba 2015 - Cascina Amalia in Langa
23 Moscato Passito La Bella Estate 2012 - Vite Colte
24 Vermentino di Sardegna I Fiori 2015 - Pala
25 Orvieto Classico Superiore Campo del Guardiano 2014 - Palazzone
26 Cerasuolo d’Abruzzo 2015 - Barone Cornacchia
27 Cannonau di Sardegna Costera 2014 - Argiolas
28 Cerasuolo d’Abruzzo Baldovino 2015 - I Fauri
29 Collio Bianco Bric 2015 - Muzic
30 Spumante Brut Muni Arione 2013 - Piccinin Daniele
31 Offida Passerina Ninfa Ripana Gold 2014 - La Cantina dei Colli Ripani
32 Sangiovese 2015 - Fiorano
33 Vermentino di Sardegna Orriu 2015 - Quartomoro di Sardegna
34 Aglianico del Vulture Vignali 2013 - Cantina di Venosa
35 Chianti Classico 2013 - Poggerino
36 Aglianico del Taburno 2013 - Nifo Sarrapochiello
37 Aglianico del Taburno 2013 - Fattoria La Rivolta
38 Susumaniello 2015 - Vallone
39 Campi Flegrei Falanghina Colle Imperatrice 2015 - Cantine degli Astroni
40 Rosso delle Ripalte 2014 - Tenuta delle Ripalte
41 Filemone Costa Toscana Vermentino 2015 - La Fralluca
42 Alto Adige Santa Maddalena Classico Antheos 2015 - Waldgries - Plattner Heinrich
43 Ciliegiolo Vigna Vecchia 2013 - Bussoletti Leonardo
44 Askos Malvasia Nera 2015 - Masseria Li Veli
45 Alto Adige Valle Isarco Kerner Praepositus 2015 - Abbazia di Novacella
46 Roero Arneis San Vito 2015 - Pelassa
47 Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore 2015 - La Staffa
48 Pelaverga 2015 - Cadia
49 Carignano del Sulcis Nur 2014 - Sardus Pater
50 Campi Flegrei Piedirosso 2013 - Contrada Salandra
51 Maccone Moscato Secco 2015 - Angiuli Donato
52 Collio Friulano 2015 - Anzelin Gianluca
53 Aglianico del Vulture Martino 2013 - Martino Armando
54 Erbaluce di Caluso Falavospa 2015 - Piatti Antonella
55 Blanc de Morgex et de la Salle 2015 - Celegato Carlo
56 Etna Bianco 2015 - Murgo
57 Dogliani Superiore Vigna dei Prey 2014 - Boschis Francesco
58 Albarossa 2013 - Bricco dei Guazzi
59 Pigato Le Russeghine 2015 - Bruna
60 Bonarda Oltrepò Pavese La Casetta 2015 - Cà di Frara
61 Carignano del Sulcis Maccori 2014 - Cantina Sociale Calasetta
62 Lessini Metodo Classico Riserva Extra Brut 2009 - Casa Cecchin
63 Dolcetto d’Alba 2013 - Cascina del Monastero
64 Freisa d’Asti Arvele 2013 - Cascina Gilli
65 Lugana Hamsa 2015 - Cascina Le Preseglie 
66 Morellino di Scansano Val delle Rose 2015 - Cecchi
67 Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore - Santa Maria d’Arco 2014 - Ceci Enrico
68 Bardolino Classico Superiore 2014 - Costadoro
69 Montepulciano d’Abruzzo Riserva 2011 - Filomusi Guelfi
70 Sannio Greco 2015 - Fontanavecchia
71 Treviso Prosecco Frizzante Collfondo - Fratelli Collavo
72 Prosecco Superiore Extra Dry Col dell’Orso - Frozza
73 Teroldego Rotaliano 2014 - Gaierhof
74 Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore - Macrina 2015 - Garofoli Gioacchino
75 Soave Classico Gini 2015 - Gini
76 Alto Adige Schiava Vecchie Vigne 2015 - Glogglhof
77 Rosso Piceno Signator 2014 - La Canosa
78 Campi Flegrei Falanghina 2015 - La Sibilla
79 Rosso Piceno Rubideo 2014 - Laila Libenzi - Azienda Agricola di Chiara Refe
80 Soave Classico Roccolo del Durlo 2014 - Le Battistelle
81 Bardolino Chiaretto Birò 2015 - Le Muraglie
82 Valpolicella Ripasso Classico Superiore I Progni 2014 - Le Salette
83 Cirò Rosso Classico 2014 - Librandi
84 Irpinia Aglianico 2013 - Lonardo - Contrade di Taurasi
85 Montellori Pas Dosé 2012 - Montellori
86 Alto Adige Lagrein 2015 - Muri/Gries
87 Grignolino d’Asti 2015 - Pavia Agostino e Figli
88 Colli Berici Tai Rosso 2015 - Pegoraro
89 Rosso d’Asia 2012 - Picchioni Andrea
90 Collio Malvasia 2015 - Pighin
91 Maquè 2015 - Porta del Vento
92 Alto Adige Schiava Mediaevum 2015 - Gumphof - Prackwieser Markus
93 Lugana Catulliano 2015 - Pratello
94 Rosa del Golfo 2015 - Rosa del Golfo
95 Sabbia Gialla 2014 - San Biagio Vecchio
96 Friuli Isonzo Malvasia 2015 - Sgubin Renzo
97 Friuli Colli Orientali Sauvignon 2015 - Specogna
98 Grechetto 2015 - Trappolini
99 Moscato di Sorso 2014 - Tresmontes - Nuraghe Crabioni
100 Sannio Falanghina 2015 - Vigne Sannite

 

I 100 vini da conservare

1 Taurasi Poliphemo 2012 - Tecce Luigi 
2 Barolo Monprivato in Castiglione Falletto 2011 - Mascarello Giuseppe e Figlio 
3 Barbaresco Pajé Vecchie Viti 2011 - I Paglieri - Roagna 
4 Barbaresco Sorì Tildin 2013 - Gaja
5 Brunello di Montalcino Riserva 2010 - Corte dei Venti
6 Brunello di Montalcino Riserva 2010 - Biondi Santi
7 Barolo Riserva Vigna Rionda 2006 - Oddero
8 Barolo Vigna Francia 2012 - Conterno Giacomo
9 Amarone 2007 - Quintarelli Giuseppe
10 Barolo Ester Canale Rosso Vigna Rionda 2012 - Rosso Giovanni
11 Barbaresco Asili 2013 - Ceretto
12 Amarone Ca’Bianca 2011 - Begali Lorenzo
13 Cannonau di Sardegna Barrosu Riserva Franzisca 2014 - Montisci Giovanni - Barrosu
14 Etna Rosso ‘A Rina 2014 - Russo Girolamo
15 Montepulciano d’Abruzzo 2012 - Valentini
16 Bolgheri Sassicaia 2013 - San Guido
17 Fiano di Avellino 2013 - Guido Marsella
18 Trento Extra Brut Riserva del Fondatore - Giulio Ferrari 2005 - Ferrari
19 Sforzato di Valtellina Albareda 2013 - Prevostini Mamete
20 Il Caberlot 2013 - Podere Il Carnasciale
21 Masseto 2013 - Ornellaia
22 Brunello di Montalcino Riserva 2010 - Tenuta di Collosorbo
23 Brunello di Montalcino Vecchie Vigne 2011 - Le Ragnaie
24 Messorio 2013 - Le Macchiole
25 Il Carbonaione 2013 - Poggio Scalette
26 Pecorino Frontone 2013 - Cataldi Madonna
27 Alto Adige Terlano Riserva Vorberg 2013 - Terlano
28 Verdicchio di Matelica Riserva Cambrugiano 2013 - Belisario
29 Greco di Tufo 2015 - Pietracupa
30 Montepulciano d’Abruzzo 2013 - Pepe Emidio
31 Brunello di Montalcino Cerretalto 2010 - Casanova di Neri
32 Fiano di Avellino Clos d’Haut 2015 - Villa Diamante
33 Alto Adige Brut Riserva Hausmannhof 2006 - Haderburg
34 Ribolla Gialla 2008 - Gravner Josko
35 Taurasi Vigna Cinque Querce 2010 - Molettieri Salvatore
36 Carignano del Sulcis 6Mura 2011 - Cantina Giba
37 Franciacorta Extra Brut Quinque - Uberti
38 Chianti Classico Riserva 2013 - Val delle Corti
39 Chianti Classico Riserva Il Poggio 2011 - Castello di Monsanto
40 Chianti Classico Riserva 2010 - Castell’in Villa
41 Alto Adige Val Venosta Riesling Castel Juval 2015 - Unterortl Aurich - Castel Juval
42 Amarone 2008 - Bertani Cav. G. B. 
43 Solaia 2013 - Marchesi Antinori
44 Valpolicella Ripasso Classico Superiore 2013 - Novaia
45 Carignano del Sulcis Superiore Terre Brune 2012 - Cantina di Santadi
46 Contrada “S” Sciaranuova 2014 - Passopisciaro
47 Sicilia Nero d’Avola Saia 2014 - Feudo Maccari
48 Pinot Grigio Fuoripista 2014 - Foradori
49 Aglianico del Vulture Rotondo 2012 - Paternoster
50 Rosso Piceno Superiore Morellone 2011 - Le Caniette
51 Sagrantino di Montefalco Chiusa di Pannone 2009 - Antonelli San Marco
52 Cannonau di Sardegna Riserva Kuentu 2011 - Atha Ruja
53 Moscato di Scanzo 2012 - Biava
54 Verdicchio di Matelica Riserva Jera 2012 - Borgo Paglianetto
55 Franciacorta Brut Vintage Collection Dosage Zéro 2011 - Ca’ del Bosco
56 Perdas Longas 2015 - Cadinu Francesco
57 Spumante Metodo Classico Il Mattaglio Blanc de Noirs 2010 - Cantina della Volta
58 d’Alceo 2012 - Castello dei Rampolla
59 Fiano Di Avellino 2015 - Colli di Lapio
60 Barbera d’Alba Francia 2014 - Conterno Giacomo
61 Amarone Classico Mithas 2010 - Corte Sant’Alda
62 Costa d’Amalfi Furore Bianco 2015 - Cuomo Marisa
63 Teroldego Rotaliano Marco Donati 2015 - Donati Marco
64 Sangiovese di Romagna Superiore Riserva Pruno 2013 - Drei Donà - Tenuta La Palazza
65 Albana di Romagna Secco Codronchio 2014 - Fattoria del Monticino Rosso
66 Valtellina Valgella Carterìa 2013 - Fay Sandro
67 Primitivo di Manduria Es 2014 - Fino Gianfranco
68 Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore - Podium 2014 - Garofoli Gioacchino
69 Etna Bianco Arcuria 2014 - Graci
70 Taurasi Nero Né 2011 - Il Cancelliere
71 Vitovska 2013 - Kante
72 Alto Adige Valle Isarco Riesling Kaiton 2015 - Kuenhof
73 Gavi Millesimato D’Antan 2003 - La Scolca
74 Colli Tortonesi Timorasso Il Selvaggio 2014 - La Vecchia Posta
75 Paleo Rosso 2013 - Le Macchiole
76 Prosecco Superiore Metodo Classico Alice .g 2012 - Le Vigne di Alice
77 Torgiano Rosso Riserva Rubesco Vigna Monticchio 2011 - Lungarotti
78 Tignanello 2013 - Marchesi Antinori
79 Barbera d’Alba Peiragal 2014 - Marchesi di Barolo
80 Montepulciano d’Abruzzo Riserva Inferi 2012 - Marramiero
81 Gavi Minaia 2015 - Martinetti Franco M. 
82 Alto Adige Lagrein Riserva 2013 - Mayr Josephus - Unterganzner
83 Chianti Classico Riserva Il Campitello 2013 - Monteraponi
84 Franciacorta Brut Cabochon 2011 - Monterossa
85 Le Pergole Torte 2013 - Montevertine
86 Kurni 2014 - Oasi degli Angeli
87 Cerasuolo di Vittoria Classico Manene 2012 - Paolo Calì
88 Alto Adige Sauvignon Voglar 2014 - Peter Dipoli
89 Soave Classico La Rocca 2014 - Pieropan Leonildo
90 Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico - Riserva San Paolo 2013 - Pievalta
91 Cesanese del Piglio Superiore Riserva Bolla di Urbano 2012 - Pileum
92 Collio Bianco 2015 - Raccaro Dario
93 Collio Bianco Fosarin 2012 - Ronco dei Tassi
94 Friuli Colli Orientali Schioppettino di Prepotto 2014 - Ronco Severo
95 Habemus Etichetta Rossa 2013 - San Giovenale
96 Barbera d’Alba 2015 - Sordo Giovanni
97 Amarone Monte Sant’Urbano 2012 - Speri Fratelli
98 Sagrantino di Montefalco Campo alla Cerqua 2012 - Tabarrini Giampaolo
99 Sicilia Nero d’Avola Lamuri 2014 - Tasca d’Almerita
100 Amarone Capitel Monte Olmi 2010 - Tedeschi Fratelli

Divagazioni a tavola. Complete Works: Table Top Shakespeare. 36 opere in un solo tavolo

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Per una volta non parliamo dello spettacolo della cucina, di quell'esperienza che viviamo ogni volta che siamo di fronte a un piatto ben realizzato o a un menu degustazione, ma di teatro vero e proprio. Che, per una volta, non si compie sulle tavole del palcoscenico, ma su un tavolo da pranzo.

Forced Entertainment: tutto Shakespeare cipolla su cipolla

Metti che c'è Il sogno di una notte di mezza estate, e metti che c'è la foresta magica e con essa gli spiritelli. Cosa c'è di meglio di un Gin (Gordon's dalla bottiglia verde, per la precisione) per incarnare uno spirito? Che poi in inglese spirit ha vari significati (come pure in italiano) tra cui 'essere soprannaturale' e 'alcolico'. Ecco allora che bottiglie piccole e grandi di liquori e distillati compongono il popolo del mondo delle fate del bosco, quello che rende l'esperienza degli umani, incarnati da vasetti ben più terragni, misteriosa al pari di un sogno, fitta di magie e incantesimi d'amore. Che dire poi della sanguinaria tragedia d'impronta senechiana, il Tito Andronico, in cui i sostenitori dei due fratelli aspiranti imperatori (due bicchieri a calice) sono buste di cipolle rosse e dorate? Sempre cipolle sono, solo di colori diversi, e rischiano di far piangere a lungo se qualcuno mette mano alla lama. E via così, col Giulio Cesare (una bottiglia d'olio) assassinato da Bruto (salsa di pomodoro) senza dimenticare che nel dramma c'è anche Marco Antonio, e come non pensare che possa essere una zuppa di carne in scatola? E poi ci sono il sale e il pepe che sono il re e la regina. Il resto sono solo parole: parole gli intrighi di corte, parole gli amori infelici, parole gli omicidi e le nozze del lieto fine. E sempre parole sono quelle che muovono i bicchieri di plastica, anonimi soldati tutti uguali. Sono parole che entrano ed escono dalle fitte trame shakespeariane e ne danno una sintesi efficace e cordiale, tutta volta a spiegarne l'intreccio, e insieme lasciano cadere, nel tessuto narrativo, fugaci commenti a punteggiare ritmicamente il lavoro. Come in uno spettacolo di burattini casalingo, con un meccanismo di comicità molto semplice. Ma senza che la poesia delle opere perda terreno pur scomparendo quasi del tutto la parola originale, sostituita dal racconto. Dunque, ricapitolando: lo spettacolo è fatto da oggetti d'uso quotidiano, mossi su un tavolo da un attore che racconta la trama delle opere di Shakespeare. Un ping pong tra vero e falso, originale e riscritto, che mette in moto il dispositivo del gioco e strappa un sorriso ma che rimane, comunque, un organismo drammatico credibile e denso di emozioni.

Forced entertainment

Forced Entertainment e il teatro da cucina

Non sarà l'opera più audace dei Forced Entertainment, a prima vista, ma è un corpus importante, radicale per quel suo richiamo prepotente al livello base del teatro, quello del gioco dei bambini, con cui condivide, non solo il verbo principale in molte lingue (to playin inglese o jouerin francese), ma anche quella sospensione dell'incredulità che ti fa vedere un cavallo in una scopa di saggina e bere un caffè inesistente da una tazzina vuota. Così anche per la maratona shakespeariana: 36 ore (una per ogni testo del Bardo) non consecutive da sorbire anche a piccole dosi. Basta un tavolo di legno e tanti oggetti di uso comune per mettere in scena tutte le opere di Shakespeare. Facile, ma solo a patto di saper creare quella magia che è già, di per sé stessa, una forma teatrale purissima. Il resto è passaggio diretto da parola ad azione, bilico tra commedia e tragedia, con il senso del dramma così potente da lasciare da parte l'incongruenza di quel livello minimo di messinscena, e con la forza del racconto che diventa azione senza mai essere agìta. Al massimo solo accennata mediante oggetti d'uso comune sul tavolo, che è tavolo da gioco, come quando si gioca in cucina da ragazzini, ma richiama anche alle tavole del palcoscenico.

 

 

Ci hanno abituato a lavori molto fisici, i Forced Enertainment, lunghi fino a modificare la percezione del tempo con quella miscela, peraltro già dichiarata a partire dal nome, di giocoso divertimento e di messa alla prova. Che obbliga il loro pubblico a “stare al gioco”, al loro gioco, che è talvolta estenuante, ma mai privo di ironia e quell'ammiccare che ti rende possibile ogni resistenza. Che stavolta usa il linguaggio della tavola e di tutto quel che, quotidianamente ci gira intorno. Foss'anche un martello (Malvolio ne La dodicesima notte): quante volte la tavola è stato il piano d'appoggio di lavoretti domestici?

 

forced

Una scaffalatura di ferro, di quelle da garage, accoglie i pochi oggetti di cui si compone ogni pièce, suddivisi opera per opera. Per non far perdere il senso che quel che si sta vedendo è solo il frammento di un'opera complessiva che aumenta di significato se vista tutta insieme. Con quelle forchette e quei barattoli di marmellata a riportare tutto a un livello intimo, che è quello della quotidianità.

 

Complete Works: Table Top Shakespeare | Force Entertainment | Spettacolo in inglese | Roma | Romaeuropa Festival | fino al 16 ottobre | www.romaeuropa.net

 

a cura di Antonella De Santis

foto di Hugo Glendinning

 

Michelin Paesi Bassi 2017. Un'edizione avara di stelle. Bene Amsterdam, festeggia Tribeca a Heeze

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Non arrivano particolari sorprese dal Teatro De La Mar di Amsterdam, dove si è svolta la cerimonia di premiazione della Michelin 2017 dedicata alla ristorazione dei Paesi Bassi. E il vincitore morale è Jan Sobecki, chef del Tribeca di Heeze, che si aggiudica subito Due Stelle, a 4 mesi dall'apertura. 

Venti ristoranti a Due Stelle e due tristellati. Da oggi è questa la mappa gourmet dei Paesi Bassi, che l'edizione 2017 della guida Michelin cristallizza con un nulla di fatto per il riconoscimento di nuove insegne a tre macaron – due erano, due si confermano: De Librije a Zwolle e De Leest a Vaassen - mentre cresce di una sola unità il computo dei bistellati. A festeggiare è la cittadina di Heeze, non lontano da Eindhoven, dove il ristorante Tribeca ottiene il riconoscimento a soli quattro mesi dall'apertura. E per l'impresa esulta lo chef Jan Sobecki, premiato proprio per la capacità di sviluppare una cucina sofisticata e completa al livello dei più ricercati standard internazionali in poco tempo.

La conta dei premiati è stata sancita dalla cerimonia di premiazione che si è tenuta al teatro De La Mar di Amsterdam, e proprio la capitale olandese ha visto aumentare il numero degli stellati in città grazie all'assegnazione di tre nuove prime stelle ad altrettante insegne degne di nota (almeno a giudizio degli ispettori della Rossa). Nella Venezia del Nord le soddisfazioni arrivano per Bolenius, Mos e Rijks (il ristorante del Rijksmuseum), e come loro festeggiano per l'ingresso nell'Olimpo degli stellati anche il Noble di Den Bosch e Cucina del mondo ad Heerlen, che a dispetto del nome non nasconde origini italiane. Si chiude così il breve computo delle conquiste, con un totale di 106 stelle che alla fine dei giochi, calcolando le stelle non riassegnate per chiusura attività, fa segnare un passo indietro per la ristorazione nazionale vista sotto la lente d'ingrandimento della Michelin: un macaron in meno rispetto all'edizione precedente. In compenso lo Chateau Neercanne di Maastricht ritira un premio speciale per la sua presenza in guida da 60 anni a questa parte, traguardo che condivide con poche altre insegne nel mondo.  

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