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Terra Madre Salone del Gusto 2016. Ecco dove si svolgerà la prima edizione diffusa dell'evento

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Torna dal 22 al 26 settembre 2016 il Salone del Gusto di Torino, in un’edizione veramente speciale. Nuovo nome, nuova sede, nuove date e un programma tutto da scoprire. 

Da Salone del Gusto a Terra Madre Salone del Gusto

Festeggia 20 anni quest’anno l’evento gastronomico di Torino per eccellenza, e in occasione di questo anniversario, cambia veste e si rinnova. Alcune novità dell’edizione 2016 del Salone del Gusto ve le avevamo già anticipate lo scorso dicembre: nuova sede - o meglio – più sedi, e date differenti, oltre a un’attenzione sempre maggiore sul progetto Terra Madre, ideato da Slow Food nel 2004 per riunire le realtà del settore agroalimentare impegnate a salvaguardare le produzioni del territorio. Attenzione talmente alta da modificare il nome stesso dell’evento, che da quest’anno diventa Terra Madre Salone del Gusto.

La location

È stata approvata ieri dalla giunta comunale la delibera sulla gratuità del suolo pubblico, su richiesta della sindaca Chiara Appendino. Confermati gli spazi del Parco del Valentino, occupato dal 29 agosto al 7 ottobre per la disposizione dei banchi espositivi, e concessi anche i padiglioni 2, 2b e 3 di Torino Esposizioni (la concessione di un ulteriore padiglione, il 5, dipenderà da relativi impedimenti dovuti a eventuali servizi elettorali in atto quei giorni). E ancora piazzale Valdo Fusi, piazza San Carlo e pizza Castello. Infine, l’intera via Po sarà trasformata nella “strada del gelato di qualità”, mentre i vari food truck e tutte le cucine su ruote saranno protagoniste lungo i Murazzi del Po. Altre aree della città coinvolte per i laboratori saranno Eataly, il Circolo dei Lettori, Palazzo Reale e il Teatro Carignano.

Quindi, niente più sede fissa al Lingotto come si sapeva (i costi di uno spazio fieristico tradizionale sono ormai esorbitanti), ma un evento dinamico che si snoda fra centro e periferia, coinvolgendo l’intera città. Torino infatti (e più in generale la regione Piemonte) assume ancora di più un ruolo significativo per questa edizione speciale, che vedrà anche i festeggiamenti per il trentesimo compleanno di Slow Food. Quello che la manifestazione si propone di fare quest’anno è proprio questo: vivere “in sintonia con i luoghi che la ospitano, sensibilizzando ancora di più i visitatori al rispetto del nostro patrimonio”, come ha commentato Carlo Petrini.

Programma e date

Le date sono fissate dal 22 al 26 settembre, mentre il programma non è ancora ben definito, ma verrà svelato con l’avvicinarsi della manifestazione. Si prevedono oltre 180 attività educative per le scuole e più di 5000 produttori da 160 paesi diversi coinvolti per le degustazioni. Il tema di questa edizione è Voler bene alla terra, un argomento in perfetta sintonia con la filosofia di Slow Food, e che deve essere quanto prima “portato il più vicino possibile ai cittadini”, ha dichiarato il sindaco di Torino Piero Fassino. Fra gli ospiti più attesi di quest’anno, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che, stando a quanto ha affermato Petrini, ritiene la su partecipazione all’evento “un dovere”. E poi laboratori del gusto, workshop, attività dedicate ai più piccoli, tanti assaggi, forum e conferenze per una manifestazione che, a 20 anni dalla sua nascita, riesce ancora a sorprendere.

Terra Madre Salone del Gusto | Torino | 22-26 settembre 2016 | www.salonedelgusto.com/it

a cura di Michela Becchi


Versi di vini. Cesare Pavese

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Continua la nostra ricerca di versi poetici dedicati all'uva e al vino. Siamo arrivati al '900, e oggi incontriamo una lunga lirica di Cesare Pavese.

Cesare Pavese

Nato a Santo Stefano Belbo, in terra di Langa, Cesare Pavese (1908 – 1950) fu il cantore di questa terra aspra e fascinosa, sia nei suoi romanzi (tra gli altri La bella estate, Paesi tuoi) che nelle poesie. Scrittore, poeta, intellettuale, affiancò l'attività di insegnante di lingua inglese e traduttore (firmò anche la versione italiana di Moby Dick di Hermann Melville; Ritratto dell'artista da giovane di James Joyce; Uomini e topi di John Steinbeck e molte altre opere contemporanee) a quella letteraria e saggistica. La prosa arrivò in un secondo momento, dopo gli arresti e il confino per motivi politici durante il periodo fascista. La sua attività narrativa fu febbrile e accompagnò i suoi anni più tormentati, fino al gesto ultimo del suicidio.

Dalla sua maggiore raccolta poetica, Lavorare stanca riportiamo questa lirica.

 

Paesaggio II

 

La collina biancheggia alle stelle, di terra scoperta;

si vedrebbero i ladri, lassù. Tra le ripe del fondo

i filari son tutti nell’ombra. Lassù che ce n’è

e che è terra di chi non patisce, non sale nessuno

qui nell’umidità, con la scusa di andare a tartufi,

entran dentro alla vigna e saccheggiano le uve

il mio vecchio ha trovato due graspi buttati

tra le piante e stanotte borbotta. La vigna è già scarsa:

giorno e notte nell’umidità, non ci viene che foglie.

Tra le piante si vedono al cielo le terre scoperte

che di giorno gli rubano il sole. Lassù brucia il sole

tutto il giorno e la terra è calcina: si vede anche al buio.

Là non vengono foglie, la forza va tutta nell’uva.

Il mio vecchio appoggiato a un bastone nell’erba bagnata,

ha la mano convulsa: se vengono i ladri stanotte,

salta in mezzo ai ai filari e gli fiacca la schiena.

Sono gente da farle un servizio da bestie,

ché non vanno a contarla. Ogni tanto alza il capo

annusando nell’aria: gli pare che arrivi nel buio

una punta d’odore terroso, tartufi scavati.

Sulle coste lassù, che si stendono al cielo,

non c’è l’uggia degli alberi: l’uva trascina per terra,

tanto pesa. Nessuno può starci nascosto:

si distinguono in cima le macchie degli alberi

neri e radi. Se avessero la vigna lassù,

il mio vecchio farebbe la guardia di casa, nel letto,

col fucile puntato. Qui, al fondo, nemmeno il fucile

non gli serve, perché dentro il buio non c’è che fogliami.

 

a cura di Giuseppe Brandone

 

Per leggere Versi di vini. Poeti italiani del 1900 clicca qui

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Una pellicola da mangiare: l'ultima novità per ridurre l’inquinamento

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Potrebbe rivoluzionare il mondo degli imballaggi di cibo: è un packaging edibile al 100% messo a punto da ricercatori americani e presentato al meeting annuale dell’American Chemical Society. 

Una pellicola protettiva da mangiare, fatta con le proteine del latte: a metterla a punto sono stati i ricercatori del Dipartimento per l'Agricoltura degli Stati Uniti. Presentata all’annuale meeting dell'American Chemical Society, la pellicola è prodotta a partire dalla caseina e completamente edibile e potrebbe innescare una vera e propria rivoluzione nel mondo del packaging.

La pellicola da mangiare

Lo smaltimento e il riciclo degli imballaggi di cui si serve l’industria del cibo non è un problema da poco: secondo l’ultimo rapporto del World Economic Forum datato gennaio 2016, il 32% di tutti i prodotti di plastica finisce in acqua e, entro il 2050, nei nostri oceani potrebbe esserci più plastica che pesce. Una buona parte di questi prodotti sono imballaggi che vengono dai settori industriali più vari, incluso quello alimentare.

Ma la chimica potrebbe venire in soccorso al pianeta: l’idea messa a punto dai ricercatori americani per una piccola azienda texana è ora sotto gli occhi di tutta la comunità scientifica. Il nuovo materiale per il packaging alimentare presentato al meeting di Philadelphia, spiegano gli studiosi coordinati da Peggy Tomasula e Laetitia Bonnaillie, è una barriera efficace e resistente che evita il passaggio dell’ossigeno e degli agenti contaminanti esattamente come le normali confezioni di plastica. Attualmente insapore, la si può consumare senza problemi perché non ha alcuna sostanza dannosa per la salute: in futuro, si potrebbe pensare di aromatizzarla e inserivi vitamine, probiotici e integratori alimentari.

Com’è fatta e quando arriverà sul mercato

Attualmente, le uniche pellicole commestibili create dalla comunità scientifica sono state messe a punto a partire dagli amidi delle patate: hanno però il difetto di essere molto porose e di far passare una quantità di ossigeno elevata all’interno. La pellicola alla caseina dei ricercatori americani avrebbe, nel proteggere i cibi dal passaggio di sostanze, un'efficacia 500 volte maggiore rispetto a quella della plastica “tradizionale”. Inizialmente, l’imballaggio era stato prodotto a partire dalla caseina pura ma questa si dissolveva facilmente a contatto con l’acqua. Con l’aggiunta della peptina citrica, si è ottenuto invece un materiale resistente anche a umidità e temperature elevate. Le due scienziate americane hanno annunciato che il prodotto potrebbe entrare stabilmente in commercio nei prossimi tre anni: tra le prime applicazioni? Il confezionamento di cibi in monoporzioni. Da mangiare tutte in un sol boccone, senza scartarle.

a cura di Francesca Fiore

La Gastronomica 2016: a Pietra Ligure, un festival per promuovere i prodotti locali

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A 31 anni dalla prima edizione, torna uno dei primi festival gastronomici organizzati in Liguria. Il 3 e il 4 settembre 2016, le strade di Pietra Ligure si animano con degustazioni e piatti della tradizione realizzati da chef locali.

Pietra Ligure, 1955: in questo comune della provincia di Savona, esattamente 31 anni fa, va in scena la prima edizione de La Gastronomica, manifestazione nata con lo scopo di promuovere e valorizzare tutti i prodotti tipici della riviera ligure. Il 3 e 4 settembre 2016 il festival, sospeso nel 1987, torna ad allietare i palati liguri con tutto il meglio della produzione regionale in una serie di degustazioni e cene all'aperto.

La Gastronomica

Un territorio che ha tanto da offrire agli amanti della buona tavola ma che ancora fatica a entrare nell'ottica contemporanea degli eventi, festival gastronomici e serate a tema, tanto care alla Capitale e alle altre grandi città della Penisola. Ora, anche la Liguria diventa finalmente protagonista di una manifestazione incentrata esclusivamente sull'agroalimentare e sulla cucina. Ci aveva già provato Genova lo scorso maggio 2016, con una cena organizzata presso gli spazi di Eataly, tutta a base di prodotti del territorio, “un'anticipo di Gastronomica”, come lo aveva definito l'assessore del Comune pietrese Daniele Rembado, in attesa del grande evento del 3 e 4 settembre, che grazie al lavoro di una rete virtuosa di produttori, ristoratori, commercianti ed operatori dell’accoglienza turistica e allo sforzo organizzativo del Comune vedrà la città animarsi con ristorantini all’aperto, grandi tavolate, musica e balli nei carruggi, laboratori, incontri e percorsi tematici”.

È ora tempo per La Gastronomica, dunque, di tornare alle origine, a Pietra Ligure, con assaggi e cene a cielo aperto. Presso le piazze del centro, i visitatori potranno intraprendere un vero e proprio percorso alla scoperta della storia della cucina ligure. Fra showcooking, laboratori e tanti assaggi, dalle panisette fritte – bastoncini a base di farina di ceci e olio extravergine di oliva – alle trenette al pesto, dai maltagliati con seppie e basilico alla focaccia, La Gastronomica si propone di rappresentare l'intera cultura gastronomica della regione. Piatti semplici dai sapori classici, espressione di quel legame indissolubile tra entroterra e mare tipico della cucina della riviera saranno al centro della degustazione, in abbinamento ai migliori vini del territorio.

a cura di Michela Becchi

 

ABCheese, Eleonora Baldwin e i formaggi: Caciocavallo di Agnone e Pecorino di Capracotta

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Ci sono regioni in Italia che già solo per estensione, offrono una varietà incredibile di formaggi. Io comunque sono sempre stata dell’idea che le dimensioni non contano, nemmeno quando si parla di territori. Anche nelle regioni più piccole, infatti, sono custoditi spesso grandi tesori. Nel Molise, ad esempio, ho trovato magnifici formaggi, quali il caciocavallo di Agnone, e il pecorino di Capracotta.

Caciocavallo di Agnone

Il più grande tesoro di questa piccola regione, è infatti l’arte antica della pastorizia e del formaggio: poche tipologie ma di grande qualità e dal sapore unico. Agnone, celebre per le botteghe degli ultimi ramai e per la fonderia di campane più antica del mondo, è il luogo di nascita di un caciocavallo straordinario. Sì, perché anche fare il formaggio è un’arte antica.

Caciocavallo

Storia e territorio

La zona è quella di Isernia nell’alto Molise. Un territorio impervio e montagnoso nel cuore della civiltà sannita, che è stato luogo importantissimo della millenaria tradizione della transumanza. In questo angolo appenninico incontaminato, il tempo sembra essersi fermato. Qui incontro la famiglia Di Nucci, importante dinastia di casari di questa zona, che cura la produzione di formaggi tipici della civiltà della transumanza dal 1662 con il capostipite Leonardo Di Nucci. Giovanni Di Nucci, invece, nei primi del '900 fu nominato dal governo come docente del primo corso per casari. Si tratta del primo corso per la lavorazione del latte della nascente industria casearia. Arrivati oggi alla decima generazione, con Serena Di Nucci che mi accompagna a conoscere la realtà della sua azienda, e a vedere come si fa il prodotto rappresentativo dei formaggi a pasta filata: il caciocavallo di Agnone.

 

Lavorazione e stagionatura

Questo formaggio semiduro a pasta filata, “cacio a cavallo di una pertica”, dalla classica forma a pera, sormontata da una piccola testa sapientemente rifinita, è talmente antico da venire chiamato “formaggio archeologico”. La tecnica produttiva e la filatura, che ne denotano l'originalità e la qualità organolettica, vengono effettuate con pochi semplici passaggi e soli quattro elementi: latte vaccino crudo, siero-innesto, caglio e sale. L’acqua bollente e una sapiente manualità fanno il resto.

Il latte viene inoculato con siero-innesto e, alla temperatura di 38-40°, addizionato con caglio di capretto. La cagliata subisce una rottura in due fasi alle dimensioni di un chicco di riso. La pasta viene poi lasciata depositare sul fondo della caldaia, dove rimane sotto siero, ad acidificare. Dopo l’estrazione, la massa viene tagliata a fette per essere filata in acqua a 80°. La formatura avviene ovviamente a mano. Dopo essere stato raffreddato in acqua, il formaggio così ottenuto viene salato in salamoia. La maturazione avviene in grotta, a cavallo delle travi, trascorso un tempo variabile, il formaggio è disponibile in tre stagionature: semi stagionato, stagionato e “extra”.

 

Assaggio

Il caciocavallo di Agnone è versatile e generoso. Quello semi-stagionato, ovvero lasciato a maturare fino a 60 giorni, mostra una crosta chiara, dura, liscia, sottile e una consistenza morbida e pastosa. Quello stagionato, e cioè appeso alle travi dai 60 ai 120 giorni, ha la crosta color nocciola e vanta un sapore più deciso ma assolutamente elegante, caratteristico della sua pasta distesa con leggera sfogliatura. Il caciocavallo “extra”, stagionato in cantina di pietra di fiume Rapillo di Agnone per oltre 180 giorni, presenta una crosta con presenza di muffe; la pasta è semidura, compatta, abbastanza fessurata, di colore paglierino chiaro o paglierino, con occhiatura rada di dimensione fine. Tradisce un’inaspettata solubilità e un retrogusto audace, complesso e armonico, nel quale è possibile comunque distinguere il bagaglio erbaceo dell’eccellente latte di partenza. Io l’ho consumato in purezza ma immaginatelo con una bruschetta. O con dei fichi maturi! Si abbina a vini bianchi o rossi di bassa gradazione alcolica e a birre chiare. Salute!

 

Pecorino Capracotta

Pecorino di Capracotta

Per trovare una seconda specialità molisana mi inerpico a 1500 metri, nel paese di Capracotta. Qui sono alla ricerca di un prodotto originalissimo. Il pecorino di Capracotta è un formaggio molto antico, le sue origini risalgono all'epoca dei Sanniti. Oltre a essere inserito nell'elenco dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali Italiani della regione Molise, questo prodotto fa parte anche dell'Arca del Gusto della Fondazione Slow Food, e assume diversi profili organolettici in funzione del pascolo dove le pecore brucano. La sua più grande particolarità? È fatto senza strumenti, solo con le mani.

 

Storia e territorio

In questa zona un tempo c’era un via vai continuo di greggi che dalle montagne e dalle colline percorrevano i tratturi, cioè i tracciati formati dal passaggio del bestiame. Capracotta – comune più alto dell'Appennino – rimane uno dei simboli forti della civiltà transumante dell’Europa mediterranea. Parliamo dell’epoca dei massari, ovvero proprietari del bestiame destinati per generazioni a guidare le proprie mandrie dalle valli ai monti, e che dai pascoli estivi di altura le trasferivano a quelli invernali di pianura. L’ultimo erede di una nota dinastia di massari a Capracotta è un elegante galantuomo ormai in pensione, e che di professione ha sempre fatto il notaio, ma che alla tradizione di famiglia non ha saputo rinunciare. Del notaio Michele Conti infatti sono le 700 pecore che producono il latte per il pecorino di Capracotta PAT che voglio assaggiare.

 

Lavorazione e stagionatura

Il latte ovino intero viene riscaldato a circa 36-38° e addizionato con caglio di agnello. La cagliata viene rotta con lo spino alle dimensioni di un chicco di riso. La pasta viene poi semicotta a 42-45°. In seguito viene estratta e versata nelle fuscelle dove si pressa a mano facendo spurgare il siero. Altra particolarità di questo prodotto è che il formaggio viene in seguito scottato nel siero. La salatura avviene in salamoia, e la stagionatura varia dai 3 ai 6 mesi su assi di legno.

 

Assaggio

Ecco il momento tanto atteso! La crosta del pecorino di Capracotta è dura, rugosa, di colore paglierino o nocciola chiaro a seconda della stagionatura. La pasta è dura, compatta, untuosa, di colore paglierino, con occhiatura rada e di dimensione fine e irregolarmente distribuita. Il sapore non è mai lo stesso, le erbe dei pascoli si diversificano fra loro infatti a seconda dell'esposizione o dell'altitudine. Non c’è pertanto modo di prevedere – o uniformare – il gusto di questo pecorino. Il consiglio è questo: rallentare, aprire una forma, versare un bicchiere di rosso strutturato e tagliare una fetta di pane casereccio. Il resto è piacere.

 

Quante sorprese mi ha riservato il Molise: una piccola regione ma ricca di tradizioni, di storia e di grandi sapori. Formaggi d’altri tempi, semplici, genuini e più che a Km 0. Espressione del territorio molisano da generazioni, questi formaggi narrano storie – come quelle della famiglia Di Nucci e del Notaio Conti – che si contano sulle dita di una mano.

 

a cura di Eleonora Baldwin

 

Questi e altri formaggi li racconto in ABCheese, viaggio nell’Italia dei formaggi, un programma che va in onda tutti i martedì su Gambero Rosso Channel - SKY 412 alle 12 e alle 21:30, con repliche sab e dom alle 17:00 e alle 22:30

 

 

Piccolo Peck. Il nuovo bistrot informale nel tempio gastronomico di Milano

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Sulla scia di quella strategia di rinnovamento che ha portato una ventata di modernità tra le fila delle celebre insegna meneghina, giovedì nello spazio di via Spadari aprirà il primo bistrot di Peck, progettato da Alessandro Scandurra. Ecco perché e come sarà. 

Da Peck è l'ora del cliente

Dall'apertura domenicale al servizio brunch, dall'orario prolungato al pranzo a domicilio per le feste, al gelato artigianale su stecco lanciato all'inizio dell'estate. Nel tempio gastronomico di via Spadari 9, Milano, a 150 metri dal Duomo, negli ultimi tempi l'obiettivo dichiarato è quello di riportare al centro dell'esperienza il cliente. E le sue molteplici esigenze, che si tratti del milanese alto spendente che da decenni si aggira tra gli scaffali di Peck in cerca di qualche etichetta di prestigio, del turista straniero con ambizioni gourmet o del semplice curioso con qualche euro a disposizione da “investire” in cibo di qualità. Perché una cosa è certa, l'insegna fondata nel 1883, gestita negli ultimi decenni dalla famiglia Stoppani – e dal 2013 di proprietà Marzotto, con il cavalier Pietro e suo figlio Leone – da oltre un secolo è un punto di riferimento per chi è in cerca dell'eccellenza enogastronomica in città. E nata come bottega di prelibatezze a gestione familiare ha saputo trasformarsi in azienda fiorente sommando alla vendita di food&beverage l'attività di catering e ristorazione (con Al Peck e Peck Italian Bar, dopo l'esperienza di Cracco Peck, dal 2001 al 2007, che ha lanciato Carlo Cracco a Milano), acquistando al contempo quel respiro globale fondato sul made in Italy e sul prestigio di un brand ormai molto celebre in Corea e Giappone – dove si contano ben 21 corner a marchio Peck e un grande punto vendita extralusso – che presto punterà su Londra e New York.

La nuova strategia e il primo bistrot

La ristrutturazione dell'attività è in atto da tempo, frutto di un progetto di rinnovamento concentrato proprio sullo svecchiamento dell'insegna, pur sempre un tempio gastronomico, ma intenzionata ad abbracciare una filosofia più moderna. Compito finora assolto secondo tabella di marcia e tra qualche giorno suggellato dall'apertura del Piccolo Peck, il primo bistrot di Peck firmato dall'architetto Alessandro Scandurra (noto anche per l'Expo Gate). Secondo quanto riferisce il Corriere della Sera, il locale nel locale – ospitato nello spazio di via Spadari – aprirà già giovedì 1 settembre, quando terminati i lavori di ristrutturazione in corso dalla prima settimana d'agosto (che hanno coinvolto anche l'adiacente Peck Italian Bar di via Cantù) il cuore del negozio si presenterà in veste nuova rievocando quell'atmosfera da caffè viennese che la bottega di Peck doveva avere alle origini, all'epoca di Francesco Peck, salumiere di Praga che vendeva salumi e carni affumicate in via Orefici, civico 2 (il trasloco nella sede attuale risale al 1918). Non a caso il progetto è stato affidato all'architetto che già ha firmato il lussuoso punto vendita inaugurato a Seul all'inizio del 2015, oltre 900 metri quadrati all'interno del Lotte World Mall dedicati a vendita, degustazione e consumazione dei prodotti in catalogo.

Informalità e menu per una pausa golosa

Con una differenza sostanziale: all'esclusività dell'allestimento coreano farà da contraltare il calore del bistrot meneghino, con tonalità del cioccolato e del miele e un elegante bancone in legno, vetro scuro e zinco. Da mangiare tavola fredda, proposte per l'aperitivo e degustazione dei prodotti in vendita, non necessariamente a prezzi stellari. Per completare la proposta del ristorante al primo piano, dove lo chef Matteo Vigotti (insieme a una brigata di oltre 20 persone) già interpreta la tradizione gastronomica meneghina adattandola al respiro internazionale dell'insegna. Questo è quello che promette Leone Marzotto, oggi Ceo dell'azienda, intenzionato a sfatare il pregiudizio che allontana tanti clienti dall'uscio di via Spadari, tanto prestigioso da essere avvicinato con eccessiva reverenza. Clima informale, quindi, ed ennesimo esperimento centrato sulla diversificazione dell'offerta (già sperimentata con il bar), con l'idea di replicare il format in città se l'esperienza dovesse rivelarsi felice.

 

Piccolo Peck | Milano | via Spadari, 9 | da giovedì 1 settembre | www.peck.it

 

a cura di Livia Montagnoli

Terremoto ad Amatrice. La perfetta amatriciana con i prodotti e i produttori locali

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Continua la nostra ricognizione tra le attività dell'agroalimentare delle zone colpite dal sisma. E lo facciamo a partire dagli ingredienti del piatto simbolo di Amatrice e di questo terribile terremoto. Ecco la perfetta amatriciana (quella che aiuta i produttori locali).

Amatriciana sì, ma che lo sia in tutto e per tutto. Mentre si ricorrono le iniziative di sostegno alle popolazioni colpite dal sisma del 24 agosto, molte delle quali si snodano intorno al piatto simbolo della città più duramente colpita, Amatrice, da cui prende il nome l'amatriciana. È importante che insieme alle donazioni si rimetta in moto, quanto prima la macchina produttiva e arrivi il sostegno all'economia locale. Insomma i 2 euro per ogni piatto venduto di amatriciana nelle migliaia di ristoranti che hanno aderito alla più diffusa iniziativa benefica sono importanti, ma diventano ancora più importanti se ogni piatto è capace non solo di inviare risorse finanziarie, ma anche di muovere indotto direttamente sul territorio. Lo si può fare solo modificando gli ingredienti visto che praticamente mai un piatto di amatriciana che ordiniamo al ristorante è realizzato con materie prime provenienti da amatrice.

Amatriciana sia, dunque, ma con i prodotti del territorio, e in questo caso ci allarghiamo al territorio compreso tra Lazio, Umbria e Marche, ovvero quelle aree che hanno avuto maggiori perdite.

Abbiamo così immaginato la ricetta della amatriciana, la abbiamo scomposta in tutti gli ingredienti (abbiamo lasciato da parte il sale e l'olio, visto che proprio non è zona ma per quest'ultimo potete optare per dell'ottimo olio sabino che comunque innesca benefici sull'economia reatina) e per ciascuno siamo andati a cercare i produttori, in zona, dai quali si possono ordinare.

 

Guanciale

Il sugo all'amatriciana vuole il guanciale, guai a confondersi: la pancetta lasciatela per altre preparazioni. Qui servono listarelle non troppo sottili diguanciale succoso e dal sapore intenso. È un salume che si produce a partire dalla gola del maiale, che dona una forma triangolare, con la parte magra al centro e il grasso intorno. Salatura e speziatura danno il caratteristico aroma che, in alcuni casi, si arricchisce anche di una lieve affumicatura. Almeno 60 i giorni di attesa prima che il guanciale sia pronto per essere tagliato e messo a sudare in padella dando così la base per il sugo. Il pomodoro si aggiunge in un secondo momento. Secondo la tradizione usando come parte grassa il solo grasso sciolto del guanciale, che in molti tolgono dalla pentola prima di aggiungere il pomodoro, possibilmente San Marzano, fresco o pelato.

Dalla zona tra i Monti della Laga e quelli Sibillini arrivano in Italia, soprattutto nelle regioni del centro, attraverso i canali della grande distribuzione i prodotti del salumificio Sa.No che si trova ad Accomuli: prosciutto e guanciale amatriciano. Nonostante la tragedia che ha colpito tutta la zona, i danni allo stabilimento non sono stati ingenti, e la produzione riprenderà al più presto. Ad Accumoli opera anche la Cooperativa Grisciano Serafino che segue i dettami del biologico, dall'allevamento semibrado del suino nero reatino, alla sua lavorazione e stagionatura. La vendita dei salumi al momento continua attraverso alcuni punti vendita Eataly.

Bisogna attendere qualche settimana per avere il guanciale del salumificio Berardi che rimanda a ottobre per la produzione di quest'anno, dato che quella dello scorso anno è esaurita da tempo. Servirà un po' di tempo ma la lavorazione delle carni non dovrebbe subire ritardi perché il laboratorio di trasformazione nella zona di Campotosto sembra aver superato senza danni il sisma. Per ora, come detto qui sono attivi nelle operazioni di soccorso, avendo come base l'agriturismo Lo Scoiattolo, alle porte di Amatrice. Dalla zona tra i Monti della Laga e quelli Sibillini arrivano in Italia, soprattutto nelle regioni del centro, attraverso i canali della grande distribuzione i prodotti del salumificio Sa.No. che si trova ad Accumoli: prosciutto e guanciale amatriciano. Nonostante la tragedia che ha colpito tutta la zona, i danni allo stabilimento non sono stati ingenti, e la produzione riprenderà al più presto. Ad Accumoli opera anche la Cooperativa Grisciano Serafino che segue i dettami del biologico, dall'allevamento semibrado del suino nero reatino, alla sua lavorazione e stagionatura. La vendita dei salumi al momento continua attraverso alcuni punti vendita Eataly.

 

Pecorino

A complemento di questo sugo robusto e saporoso non può mancare il formaggio: pecorino romano, sapido e lunghissimo nel sapore. I molti allevamenti della zona stanno man mano verificando l'entità dei danni, e anche nelle situazioni meno tragiche qualche capo è andato perduto, la carenza di acqua è un problema da risolvere quanto prima, insieme alla messa in sicurezza delle strutture e, in alcuni casi, al riallaccio di luce e gas, fondamentali per la lavorare e conservare il latte.

Ad Amatrice il latte di molti degli allevatori della zona viene conferito ai fratelli Petrucci, che meno di un anno fa avevano affiancato allo stabilimento di Rieti anche il Caseificio Storico di Amatrice. Attualmente lì non c'è gas, quindi la produzione è ferma. Il latte, seppur con tutti gli ostacoli alla mobilità di questi giorni, viene raccolto quotidianamente e lavorato a Rieti. I loro prodotti, tra cui il pecorino matriciano, si trovano in tutta Italia, nei canali della grande distribuzione, con il marchio Caseificio Storico di Amatrice.

Nonostante il punto vendita di Amatrice non ci sia più e l'azienda abbia subito pesanti perdite, soprattutto nelle zone rivolte verso i monti Sibillini e quelli della Laga, il gruppo agroalimentare Grifo continua la produzione negli stabilimenti umbri, a Norcia e Colfiorito. Superando anche in questo caso le molte difficoltà nelle vie di comunicazione la raccolta giornaliera del latte è ripresa, mentre la vendita prosegue negli indirizzi umbri.Nonostante il punto vendita di Amatrice non ci sia più e l'azienda abbia subito pesanti perdite, soprattutto nelle zone rivolte verso i monti Sibillini e quelli della Laga, il gruppo agroalimentare Grifo continua la produzione negli stabilimenti umbri, a Norcia e Colfiorito. Superando anche in questo caso le molte difficoltà nelle vie di comunicazione la raccolta giornaliera del latte è ripresa, mentre la vendita prosegue negli indirizzi umbri.

Per ora ci sono solo per i formaggi, pecorini e ricotte soprattutto, ma a breve inizierà la stagione della lavorazione degli insaccati e dei salumi e per quella data assicurano, dalla cooperativa Rinascita 78, che saranno pienamente operativi. Almeno per quanto riguarda i lavori di norcineria, con guanciali, salsicce e altri salumi. Non ci sono previsioni invece per le lavorazioni delle carni fresche. Ci vorrà del tempo, anche perché i danni subiti sono stati ingenti nella struttura di Illica, che ospitava anche il punto vendita, e nell'agriturismo con annesso shop di Grisciano. L'azienda segue l'intera filiera casearia, dall'allevamento semibrado alla stagionatura naturale del pecorino. I prodotti in questo momento si trovano solo presso il negozioDal Caciaro, a Quintodecimo di Acquasanta terme (AP). 

 

La pasta

Filiera chiusa per il pastificio di Alice Alessandrini che coltiva grano duro (anche Senatore Cappelli) sui Sibillini, tra i 500 e i 1000 metri di altitudine, e produce pasta secondo metodi artigianali, con essiccazione intorno ai 40° per almeno 36 ore. I diversi formati di pasta del marchio Regina dei Sibillini, sono ben presenti nelle gastronomie del centro Italia e in alcuni negozi del nord. 

 

Salumificio Sa.No |Accumoli (RI) | via Salaria Nuova, km. 141,900 | tel 0746 80565| http://www.sano-salumi.com/

Grisciano Serafino | Accumoli (RI) | via Salaria, km. 13,200 | tel. 076 80626

Regina dei Sibillini | Montefortino (FM) | via R. Papiri, 30 | tel. 366.3261658 | http://www.reginadeisibillini.it/

Salumi Berardi | Campotosto (AQ) | Poggio Cancelli | tel. 0862 909260 http://www.salumiberardi.it/

Petrucci formaggi | Rieti | via Angelo Maria Ricci, 111 | tel. 0746 204688 | http://www.petrucciformaggi.com/

Gruppo Grifo Alimentare | Ponte San Giovanni (PG) | Strada dei Loggi, 59 | tel. 075 597021 | http://www.gruppogrifo.it/

Cooperativa Rinascita 78 | Accumoli (RI) | http://www.rinascitacoop78.it/

Regina dei Sibillini | Montefortino (FM)| via R. Papiri, 30 | tel. 366 3261658 | http://www.reginadeisibillini.it/

 

a cura di Antonella De Santis

La Food Policy di Milano. Mercati all'avanguardia e food start up. E la sorpresa Mercato Agricolo

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Aperture serali e domenicali, street food d'autore, imprenditoria giovanile, attività innovative e cucina della tradizione. I mercati rionali e le periferie della città nascondono queste e tante altre potenzialità. A Milano l'hanno capito. 

I mercati rionali di Milano e il rilancio intelligente

Ventuno. Tanti sono i mercati coperti dislocati sul territorio urbano di Milano; di alcuni abbiamo avuto modo di parlare a più riprese, unici per qualità dell'offerta, originalità della proposta, voglia di ripartire da un modello all'avanguardia che del mercato faccia un luogo di aggregazione e promozione di gastronomia e cucina territoriale. Suffragio, Darsena, ma pure il meno celebre e periferico Lorenteggio; storie già raccontate, percorsi già avviati che guardano con fiducia al futuro. Ma c'è di più, come si evince da una strategia amministrativa che oggi fa capo a Cristina Tajani, assessore al commercio della neogiunta Sala. A lei, nelle scorse settimane, il compito di visitare tutte le strutture per capire quanto di buono c'è ancora da fare e quali prospettive di crescita permette ciascuno dei mercati cittadini. L'idea di base, per tutti, sembra essere un orario lungo che vira verso l'apertura serale (come già succede al mercato Morsenchio in viale Ungheria) in affiancamento alle iniziative domenicali e a cambiamenti più radicali, con progetti di restyling delle strutture e degli allestimenti interni che potrebbero coinvolgere molti edifici, come il mercato di piazzale Lagosta, non molto distante dalla movida di Isola e dal fermento dei grattacieli di piazza Gae Aulenti, dove sono proprio i commercianti ad aver studiato un progetto per rinnovare gli spazi.

Concessioni, investimenti e consorzi per il mercato del futuro

D'altronde l'unione fa la forza, e il Comune lo sa bene. Così il modello di gestione auspicato dovrebbe essere quello del consorzio, perché la crescita sia univoca e generalizzata, a cominciare dalla messa in sicurezza di tutte le strutture. Per i lavori di manutenzione Palazzo Marino ha previsto di stanziare entro il 2017 oltre un milione di euro; nel frattempo però conta di affidare in gestione diversi mercati cittadini, offrendo canoni e termini di concessione vantaggiosi e chi presenterà progetti in linea con la filosofia di rinnovamento intrapresa dietro impulso della Food Policy. Una sfida collettiva, insomma, che al cibo affida anche un ruolo di riscatto sociale, al di là dell'evidente potenziale economico che si nasconde dietro a una strategia capillare volta a coinvolgere soprattutto le periferie, sul modello virtuoso del mercato di Lorenteggio, dove tra un banco e l'altro ha trovato spazio l'associazione culturale Dynamoscopio.

Food start up in periferia con l'aiuto di Palazzo Marino

Con questo obiettivo, all'inizio di agosto il Comune ha deciso di offrire il proprio sostegno alle start up di giovani under 35 e donne intenzionati a investire nei quartieri meno centrali. Diciannove in tutto, per la prima tranche, molte legate alla vendita e somministrazione di cibo, con idee affini alla valorizzazione dei mercati rionali. Per questi progetti d'impresa illuminati il Comune ha stanziato un milione e mezzo di euro, selezionando i vincitori tra 70 candidati. Dieci attività si concentreranno sulla ristorazione innovativa o rivisitata, con un finanziamento pari al 50% dell'investimento. E molti degli spazi destinati alle nuove attività commerciali appartengono al demanio del Comune: l'idea è quella di riqualificarli con finalità di laboratorio, commercio e nuovo artigianato. I quartieri coinvolti? La Bovisa e Bruzzano, Greco, Lorenteggio e tante altre zone periferiche. Le idee sono molteplici e prenderanno vita nei prossimi mesi, dai corsi formativi sulla pasta fresca (C'è pasta per te a Villapizzone, con produzione e vendita diretta) alla kebabberia gourmand con prodotti a km 0 di Greco, dall'hamburgeria con carne di struzzo, asino, cavallo e canguro della Bicocca alla cucina africana di un'imprenditrice camerunense di Corvetto, alla frittura di pesce di Sfrigola a Lorenteggio. Al ciclo-spazio con noleggio, riparazione, bar e garden market lungo la ciclopedonale della Martesana.

Il mercato di Porta Genova. Da Metropolitano ad Agricolo

Tutt'altro che periferico, invece, il progetto che riprende forma a Porta Genova, dove le sorti del mercato gastronomico avviato in concomitanza con Expo da Andrea Rasca (all'epoca il primo Mercato Metropolitano) hanno subito alterne vicissitudini dopo la fuoriuscita del suo ideatore. A rimetterlo in piedi, dopo la chiusura per debiti, gli agricoltori di Unaproa (consorzio già attivo durante Expo) in veste di Mercato Agricolo. L'esperimento si protrarrà per 4 mesi, fino a dicembre, e la riapertura è imminente, con affiancamento di street food d'autore, vendita di prodotti locali e orticoltura fai da te. Dopo l'accordo con le Ferrovie dello Stato, proprietarie dello spazio, il consorzio ha incassato anche l'ok di Tajani e Palazzo Marino. Ora tutti sperano che i nuovi concessionari gestiscano con lungimiranza l'attività. E chissà che l'esperienza possa trasformarsi in progetto permanente. Quel che è certo è che la città continua a beneficiare di un grande fermento, amministrativo e imprenditoriale. Che poi, senza l'uno non esisterebbe l'altro.

 

a cura di Livia Montagnoli


La Via del Gelato di Pontassieve: caffè e gelato artigianali in Toscana

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Una gelateria, ma anche un bar, una realtà giovane attenta alla qualità del caffè e del gelato. Fra vari metodi di estrazione, gusti insoliti e ottime materie prime, La Via del Gelato sta conquistando il palato di fiorentini e turisti. 

Lei è un’ex naturalista, lui un odontoiatra. A unirli è la passione per la buona tavola, in particolare per la pasticceria. Dopo corsi di formazione e tanto studio, Manuela Cerullo e Matteo Goretti hanno introdotto a Pontassieve, piccolo comune in provincia di Firenze, un format unico per la zona: una gelateria artigianale dove è possibile degustare anche espresso e caffè filtro. Ma la vera novità è la combinazione ricercata di questi due prodotti, creata in collaborazione con esperti del settore.

{gallery}La via del Gelato{/gallery}

L’attività

Ha aperto i battenti appena due anni fa la piccola gelateria di Pontassieve, nata dalla volontà dei due ragazzi di iniziare un’attività in proprio. “Dopo la laurea in scienze naturali e diverse esperienze nel settore, ho deciso di cambiare lavoro e seguire la mia passione per la pasticceria e la gelateria”, racconta Manuela. “Con Matteo abbiamo frequentato dei corsi, io ho lavorato per un po’  in una gelateria della zona finché nel 2014 non abbiamo deciso di provare con una nostra attività”. Le ricette sono studiate con cura da Manuela, affiancata in laboratorio da un’altra ragazza: “Matteo porta avanti la sua professione da odontoiatra; alle volte abbiamo dei collaboratori ma come personale fisso siamo solo in due”.

Le materie prime

“Per le materie prime laddove possibile cerco di rimanere legata al territorio e di valorizzare i piccoli produttori, ma non è una regola fissa. Quello che conta è sempre la qualità”. Nocciole del Piemonte, pistacchi di Bronte, frutta e verdura di stagione da coltivatori della zona delle colline del Chianti, cioccolato Domori: questi e molti altri gli ingredienti selezionati da Manuela. “Oltre ai gusti classici, amo sperimentare e giocare con i sapori. Al momento, con l’aiuto di un’amica nutrizionista, ho creato una linea di Gusti del Benessere, ovvero combinazioni di frutta e verdura golose e sane, adatte soprattutto per le giornate più calde quando si ha voglia di qualcosa di leggero”. E quindi lampone e barbabietola, mango, pesca e carota, kiwi e spinaci “e il sorbetto di basilico, uno di quelli che è andato per la maggiore”. Gli affari per questa giovane realtà sembrano andare bene, “nonostante siamo fuori Firenze, questa zona è ricca di turisti. Ci sono tanti agriturismi immersi nel verde delle colline, che sono molto gettonati dagli stranieri per le loro vacanze”. Ma fra i progetti futuri, “c’è sicuramente quello di aprire anche un punto vendita a Firenze. La nostra clientela è in continuo aumento e ora che la voce si è sparsa molte persone iniziano a venire appositamente da Firenze per il nostro gelato”.

Caffè e gelato

Ma come si abbina il caffè artigianale al gelato di qualità? “Il gusto al caffè esiste da sempre, la nostra ricerca è sull’estrazione della bevanda, il metodo da scegliere, la materia prima, il grado di macinatura”. L’interesse verso il caffè nasce dall’amicizia con Simone Guidi, trainer Scae esperto di brewing (estrazione del caffè filtro) “che ci ha fatto scoprire tutte le declinazioni di questo prodotto, dall’espresso al filtro”. Manuela e Matteo si sono così incuriositi al punto da inserire nel locale, fin dall’apertura, una macchina per espresso e altri 3 sistemi di estrazione, v60, aeropress e chemex. La torrefazione scelta è quella di Bagno a Ripoli, Piansa, e le bevande sono realizzate da Manuela in persona: “Oltre ad ascoltare i preziosi consigli di Simone, ho seguito dei corsi anche all’Umami Coffee Campus”, centro di formazione per baristi, torrefattori e appassionati nel comune di Scandicci. “Il pubblico di Pontassieve è ancora un po’ restio al caffè filtro”, ma La Via del Gelato può, per fortuna, fare affidamento all’elevato tasso di turisti, “solitamente molto più abituati a questo tipo di bevanda”.

Gusti ed esperimenti

Non è un caso quindi che La Via del Gelato sia stata selezionata dai professionisti esperti di caffè per l’evento dello scorso luglio 2016 Io bevo caffè di qualità, manifestazione che si propone di diffondere la cultura dei caffè specialty. “Per il festival abbiamo cercato di utilizzare il caffè nelle sue diverse sfumature, confrontandoci con i baristi presenti all’evento. Quello che ci siamo proposti di fare è stato creare dei gusti in cui il caffè fosse il protagonista assoluto e dove fosse possibile percepire le differenze fra le varie tipologie di prodotto e della sua lavorazione”. Come il caffè bianco, “esteticamente simile al fiordilatte, ma dal sapore più intenso e aromatico. E poi un gusto al caffè con granella di fave di cacao, per il quale abbiamo selezionato un caffè dell’Orang Utan Coffee Project”, iniziativa che si impegna ad aiutare i coltivatori delle piantagioni a lavorare in totale rispetto per l’ambiente. Infine, “abbiamo pensato a una sorta di fiordilatte con caffè freddo estratto in 3 diverse macinature; lo spessore della polvere di caffè influenza il gusto e il corpo della bevanda, e quello che abbiamo voluto creare è un gelato dalla consistenza particolare”.

Altri esperimenti sono stati (e saranno) fatti da Manuela per creare nuovi gusti, alcuni a base di espresso, altri a base di caffè filtro. La differenza principale? “È nella texture e, ovviamente, nel profilo aromatico. Dalla moka al filtro all’espresso, l’identità di un caffè muta notevolmente, acquisendo o perdendo note più o meno amare, più o meno agrumate, più o meno dolci e così via. Fortunatamente non ci sono difficoltà a livello di mantecatura neanche con i caffè meno corposi, come un filtro estratto con metodo v60” commenta. E aggiunge: “il mio percorso nel settore del caffè è appena cominciato e ho ancora tanto da imparare. Col tempo, spero di riuscire a gestire sempre meglio il prodotto e creare ricette originali e gustose”.  

La via del Gelato | Pontassieve (FI) | via Aretina, 152 | tel. 055 832 8099 | www.facebook.com/viadelgelato

a cura di Michela Becchi

 

 

Anteprima Tre Bicchieri 2017. Sicilia

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Iniziamo oggi le anticipazioni dei premiati batterie di assaggio per la guida Vini d'Italia 2017 del Gambero Rosso. E partiamo dal sud Italia, per la precisione dalla Sicilia. Da oggi, sul sito Gamberorosso.it le anticipazioni ufficiali dei vini premiati con i Tre Bicchieri. 

Sono 21 i Tre Bicchieri siciliani quest'anno: il massimo storico. Ad avvalorare, ancora una volta, la crescita qualitativa dell’enologia isolana. Una realtà regionale vivace e dinamica, che si muove velocemente lungo alcune direttrici: al centro l’asse portante dei territori, quelle macroaree con ben definite peculiarità e caratteristiche. L’esempio più illuminante è quello dell’Etna, un areale che non cessa di far parlare di sé. È una zona unica, dalla straordinaria vocazione, dove ogni anno nascono nuove aziende e vedono la luce nuove etichette, nuovi cru. All’Etna vanno ben 6 Tre Bicchieri, di cui due sono debuttanti: l’elegante Alta Mora ’14 di Cusumano e il raffinato Buonora ’15 di Tasca d’Almerita.

Altra denominazione emergente è il comprensorio di Faro, nel messinese, con la riconferma dei due Tre Bicchieri dell’anno scorso, e l’emergere, nel generale auspicato allargamento della base produttiva (Faro è una piccola denominazione che era sul punto di sparire) dell’eccellente Faro ’14 di Bonavita, a un passo dal massimo alloro. Il Sud Est, l’area che conta al suo interno anche il vasto territorio del Cerasuolo di Vittoria, rafforza il suo già notevole peso portando a 6 il numero dei vini premiati, con 2 sorprendenti Nero d’Avola, il Sosta Tre Santi ’10 di Nicosia e il tradizionale Saro ’13 di Rudinì, le new entry di quest’anno.

La Sicilia occidentale non sfigura con i suoi 7 Tre Bicchieri, tra i quali debuttano l’elegante Shymer ’13 di Baglio di Pianetto, dell’entroterra palermitano - areale in forte crescita qualitativa - e l’affascinante Favinia La Muciara ’15 di Firriato, un perfetto mariage di catarratto, grillo e zibibbo della recente tenuta di Favignana, magnifica isola dell’Arcipelago delle Egadi in cui dopo oltre un secolo è ritornata finalmente la vite.

Tutto va a comporre un ritratto dell’enologia siciliana di grande suggestione. Si tratta d’una regione sempre più centrale nel panorama produttivo italiano, dove i nomi classici si confermano e consolidano le posizioni conquistate con vini sempre più centrati, meno concentrati e più eleganti, quasi sempre ottenuti dalle mille uve della tradizione. Ma in Sicilia c’è, fortunatamente, ancora moltissimo spazio per la (ri)scoperta di terroir eccellenti e per nuove aziende che sappiano leggere il territorio e le sue autentiche vocazioni.

 

I vini premiati


Alcamo Beleda '15 Rallo

Cerasuolo di Vittoria Cl. Dorilli '14 Planeta

Cerasuolo di Vittoria Giambattista Valli Paris '12 Feudi del Pisciotto

Eloro Pachino Saro '13 Rudinì

Etna Bianco Alta Mora '14 Cusumano

Etna Rosso Prephylloxera La V. di Don Peppino '14 Tenuta delle Terre Nere

Etna Rosso San Lorenzo '14 Girolamo Russo

Etna Rosso V. Barbagalli '13 Pietradolce

Etna Rosso Zottorinoto Ris. '12 Cottanera

Faro '14 Casematte

Faro Palari '12 Palari

Favinia La Muciara '14 Firriato

Lorlando '15 Assuli

Nero d'Avola Sosta Tre Santi '10 Nicosia

Passito di Pantelleria Ben Ryé '14 Donnafugata

Saia '14 Feudo Maccari

Shymer '13 Baglio di Pianetto

Sicilia Carricante Buonora Tascante '15 Tasca d'Almerita

Sicilia Mandrarossa Carthago '14 Settesoli

SP 68 Rosso '15 Occhipinti

Tripudium Rosso Duca di Castelmonte '13 Pellegrino

Boom dello street food per l'estate 2016: gli italiani preferiscono i piatti della tradizione

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Secondo un'indagine di Coldiretti, il 2016 è stato un anno record per lo street food, una moda che ormai da anni impazza fra gli appassionati della buona tavola e che affonda le sue radici nelle tradizioni gastronomiche più antiche.

Non ha più bisogno di tante presentazioni ormai il cibo da strada, protagonista di tutti gli eventi enogastronomici della Penisola. Una formula sfiziosa, veloce, comoda e sempre golosa: lo street food ha da diversi anni conquistato il palato di italiani e turisti, al punto da diventare un vero e proprio format di ristorazione. Pubblicata lo scorso luglio 2016, l'ultima edizione della guida Street Food d'Italia 2017 del Gambero Rosso mostra ancora una volta l'ampia diffusione di questa tendenza. Sono infatti 450 gli indirizzi segnalati da Nord a Sud, dalle grandi città ai piccoli borghi. Tante le insegne valide che hanno puntato tutto sui mangiari di strada, così come gli eventi dedicati, con formule diversificate sì, ma con richiami espliciti a tradizioni antiche.

2016: anno record per lo street food

Il 2016 sembra essere stato l'anno che più di tutti ha registrato un boom di consumo di cibo da strada, secondo quanto riportato da Coldiretti. Quasi 2 italiani su 3 infatti hanno optato per il pranzo in strada, soprattutto durante la stagione estiva. Dalle arancine siciliane alle piadine romagnole, dalle olive all'ascolana ai filetti di baccalà, dal panino con la porchetta a quello con la meusa, le varianti del cibo di strada all'italiana sono molteplici e tutte gustose. E nonostante aumentino sempre più food truck e locali che reinterpretano la tradizione a proprio gusto, gli italiani continuano a preferire le ricette classiche.

Tra coloro che mangiano cibo da strada, a essere nettamente preferito dall'81%è il cibo della tradizione locale, mentre il 13% sceglie quello internazionale come gli hot dog e solo il6%i cibi etnici come il kebab, in netto calo rispetto al passato”, ha sottolineato Coldiretti. Via libera quindi ad arrosticini, polenta fritta, focaccia genovese e panzerotti: gli italiani restano fedeli al comfort food dell'infanzia. Fra i vari fattori che favoriscono il fenomeno del cibo da strada c'è la presenza sempre più compatta dei food truck, vere e proprie cucine su ruote che portano tutto il buono della loro tradizione locale in giro per le varie città dello Stivale. La diffusione di queste apette, secondo Coldiretti, “ha avuto una vera e proprio esplosione nell'estate 2016 e ha inoltre permesso la nascita di catene specializzate”. Un'estate all'insegna del pasto prêt-à-porter, quella del 2016, ma il fenomeno dello street food – ormai si sa – non si fermerà di certo qui.

a cura di Michela Becchi

I volti di Gourmet. Davide Oldani

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Il nuovo ristorante, più grande e più confortevole, a poca distanza dalla vecchia sede del D'O, l'esperienza di Casa Italia durane le Olimpiadi, lo sport e l'impegno con i futuri chef. Davide Oldani è uno dei volti di Gourmet Expoforum, al Lingotto Fiere di Torino. E ci racconta qual è l'evoluzione della sua cucina POP.   

Davide Oldani

Dopo una gavetta al fianco di Marchesi, Ducasse, Hermé, tredici anni passati nel suo ristorante D’O a Cornaredo, e dopo essere addirittura diventato una case history nell'Harvard Business School Review; l'ideatore della cucina POP (in poche parole: alta qualità e prezzi accessibili) con otto libri alle spalle e alla soglia dei cinquanta anni, continua a stupire. Ultima novità: il nuovo D’O, con più laboratorio, più cucina, più partecipazione, più creatività, più sostenibilità. Ma sempre a Cornaredo, suo paese d'origine. Così Davide Oldani, logisticamente spostatosi solo di pochi metri, ingrana la quinta e spinge ancor di più su una cucina fatta per tutti, alzando però il livello. Il segreto? Lo svelerà durante il suo intervento a Gourmet Expoforum, al Lingotto Fiere di Torino, dal 13 al 15 novembre. Nel frattempo ecco qualche anticipazione.

 

{gallery}Davide Oldani{/gallery}

Sei stato lo chef di Casa Italia durante le Olimpiadi a Rio. Come è stata l'esperienza brasiliana?

È stata un'esperienza perfettamente in linea con la mia filosofia, secondo cui la grande cucina deve essere sempre abbinata al movimento. E viceversa. Questo perché il cibo per me non deve avere limiti o restrizioni e lo sportivo non deve precludersi al gusto. In poche parole si può mangiare bene in maniera sana. Senza esclusioni. Anche perché, a pensarci bene, l'uomo può fare a meno di tutto tranne che del cibo e del movimento.

Seguendo il parallelismo sport e cibo. Cosa accomuna i due mondi?

Le regole dello sport si applicano perfettamente anche in cucina, in fin dei conti c'è sempre una squadra che gioca per ottenere un risultato soddisfacente.

Come prosegue il nuovo D'O?

Lo dico a dita incrociate: bene. È l'inizio di un nuovo percorso che ci permette (a me e alla mia brigata) di avere una vita più agiata grazie a una cucina più grande.

La risposta da parte del pubblico?

Positiva, le prenotazioni continuano ad esserci.

E i tempi di attesa raggiungono addirittura l'anno e mezzo. La ristorazione in Italia come è messa?

Vive un bel momento anche se è sempre più difficile essere cuochi: i clienti sono decisamente più preparati di un tempo e i cuochi, di conseguenza, sono costantemente sotto esame.

In Italia esistono scuole valide?

Sì. Ed è proprio perché credo negli istituti alberghieri, che ho voluto dare il mio contributo nell'apertura della Scuola di Ospitalità Alberghiera Olmo di Cornaredo. Un progetto didattico che partirà a ottobre e coinvolgerà anche lo sport. L'educazione fisica avrà infatti un ruolo fondamentale perché lo sport insegna molto, a partire dal fatto che per andare avanti si deve essere disposti a fare dei sacrifici.

In questa scuola pubblica (che ha dovuto fare i conti con il fallimento dell’impresa che stava eseguendo i lavori) sarai anche docente?

Sì, faccio parte del team che ha costruito il programma didattico.

Cosa dire a un ragazzo che vuole intraprendere questa carriera?

Punto primo: bisogna studiare, perché è una scuola come tutte le altre. Punto secondo: mai illudersi che sia tutto riflettori e giornali, il mestiere del cuoco richiede sacrifici enormi.

La tua cucina POP è nata dal desiderio di amalgamare l’essenziale con il ben fatto, il buono con l’accessibile. Ora sei andato oltre: parlaci dell'evoluzione del modello Oldani.

Consiste nel voler dare sempre più accessibilità al cibo, aumentandone la qualità, senza per questo rinnegare la cucina POP, dato che è la strada che mi ha portato fin qui. Ecco perché nel nuovo D'O la cucina, realizzata da Marrone con soluzioni tecniche d’avanguardia, è decisamente più grande. Ed ecco perché c'è una vera e propria test-kitchen dove nascono i nuovi piatti e si sviluppano le collaborazioni con le aziende. Diciamo che il nuovo modello Oldani pensa ai clienti ma è anche orientato a lavorare con quelle aziende che apprezzano la nostra filosofia.

Come vedi la tua cucina tra trent'anni?

Trent'anni fa iniziavo a cucinare grazie a un idolo (Marchesi), oggi ho raggiunto il mio obiettivo. Sinceramente tra trent'anni mi vedo a degustare. E più sportivo di oggi.

La cucina in generale?

Porzioni sempre più ridotte per un cibo sempre più di qualità. Me lo auspico quanto meno.

 

D'O | Cornaredo (MI) | Piazza della Chiesa, 14 | tel. 02 9362209 | www.cucinapop.do

 

Gourmet 2016 | Torino | Lingotto Fiere, padiglioni 2 e 3 | dal 13 al 15 novembre | Tutte le informazioni per partecipare sono disponibili sul sito www.gourmetforum.it

Gallery Gourmet 2015

 

a cura di Annalisa Zordan

 

I volti di Gourmet

Iginio Massari

Igles Corelli

Gabriele Bonci 

White Gold. A New York la nuova macelleria con ristorante di April Bloomfield

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Aprirà nelle prossime settimane nell'Upper West Side l'ennesima sfida nell'ambito dello street food della celebre chef inglese alla guida dello Spotted Pig. Destinata alla vendita al dettaglio di carne certificata proporrà anche un'offerta gastronomica a base di hot dog, pollo arrosto, bistecche e chopped cheese. 

Il chopped cheese. Cos'è

Per le strade del Bronx e nelle bodegas di Harlem tutti saprebbero descrivere un chopped cheese. Il resto del mondo – e persino chi frequenta esclusivamente i quartieri alti di New York – invece, necessita di qualche dettaglio in più per inquadrare una delle tante proposte che la scena gastronomica popolare della Grande Mela sa offrire a chi decide di perdersi tra baracchini, mercati e laboratori di street food. Cos'è dunque un chopped cheese? Parente stretta dell'hamburger, questa polpetta schiacciata di carne macinata di manzo e formaggio filante guarnita con gli ingredienti della casa e servita in panino finora era rimasta confinata all'ambito del cibo di strada più modesto, in attesa che qualcuno fosse disposto a scommettere sul potenziale di un abbinamento tanto goloso, un po' come è stato nel recente passato per il pollo fritto, oggi protagonista indiscusso di Fuku, celebre insegna dell'impero newyorkese a firma David Chang.

E d'altronde negli Stati Uniti, come a casa nostra, non sono pochi gli chef di un certo calibro che negli ultimi anni hanno scelto di abbracciare la filosofia dello street food, per presentarne una versione gourmet senza snaturarne troppo lo spirito.

Bloomfield/Friedman. Dallo Spotted Pig al White Gold

Nella schiera di coraggiosi, per quanto riguarda il panorama americano, è impensabile non annoverare l'accoppiata April Bloomfield eKen Friedman, team affiatato di lungo corso che ai successi dello Spotted Pig (da più di 10 anni il gastropub di riferimento del West Village a Manhattan) e del Breslin Bar all'Ace Hotel ha recentemente sommato l'incursione nell'american fast food del Salvation Burger, ospitato all'interno dell'hotel Pod51 (che riaprirà presto, dopo l'incendio che ha coinvolto le cucine all'inizio dell'estate). E proprio dall'ultima avventura è nato il desiderio di concentrarsi con maggiore attenzione sull'universo della macelleria in squadra con due celebrità di nuova generazione della carne ecosostenibile e certificata: Erika Nakamura e Jocelyn Guest. Con loro, la chef inglese e il suo compagno apriranno presto una macelleria con ristorante (in Italia i fautori – stellati – del genere sono i fratelli Damini di Arzignano) al 375 di Amsterdam Avenue, che servirà i ristoranti del gruppo, le cucine domestiche dell'Upper West Side e i clienti che sceglieranno di consumare sul posto, colazione, pranzo e cena.

Foto di Melissa Hom

White Gold. Macelleria con ristorante, dall'hot dog al pollo arrosto

L'inaugurazione è prevista per il mese di settembre, in cucina ci sarà Robert Flaherty, uno degli chef della brigata Bloomfield. E l'insegna non lascia adito a dubbi: White Gold, come viene chiamato il grasso più succulento dell'animale nel gergo della macelleria old school. La cucina servirà bistecche cotte a puntino e pollo arrosto, banh mì e hot dog, ma anche la specialità locale di cui sopra, il chopped cheese, nella variante della casa: carne di manzo di prima scelta in arrivo da Scholharie County (New York), formaggio di qualità, insalata iceberg, jalapeno, cipolla rossa e maionese. Al prezzo di 15 dollari con contorno a scelta. Non proprio il più economico in città, ma già piuttosto atteso dai gourmet newyorkesi, che tra qualche settimana potranno aggiungere una nuova tappa sulla mappa dello street food d'autore della Grande Mela.

 

White Gold | New York | Amsterdam Avenue, 78thstreet, Upper West Side | da settembre

 

a cura di Livia Montagnoli

Foto di copertina Bobby Doherty, New York Magazine

Pizza che passione: boom estivo anche per asporto e surgelate

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La pizza e gli italiani, un amore indissolubile soprattutto d’estate. A confermare la passione del nostro Paese per questo prodotto è una ricerca condotta da Buitoni: nei mesi più caldi dell’anno 7 italiani su 10 la scelgono come pasto completo.

 

Numeri da record per la pizza italiana

Un mercato con numeri da capogiro: sono 56 milioni le pizze che settimanalmente sforna il Bel Paese, media che subisce uno slancio da maggio a settembre (dato Doxa). Che sia il piatto preferito dagli italiani è quasi scontato: nell’ultimo decennio il giro d’affari dell’intero settore ha toccato i 3 miliardi annui. Non solo in pizzeria o al ristorante: spesso gli italiani consumano comodamente a casa le pizze da asporto o surgelate. Ed è il comparto dei surgelati a restituire i numeri più performativi: il peso delle pizze surgelate sul totale del settore raggiunge l’11% e fa registrare una quota di penetrazione assoluta intorno al 63%.

pizza bianca

I motivi di tanto amore, secondo lo studio di Buitoni, sono diversi: oltre alla bontà del piatto e alla sua identificazione con la cucina della penisola (45%), il 52% degli intervistati lo sceglie perché rappresenta un simbolo di socialità e condivisione, mentre per il 78%, quasi 8 italiani su 10, è un pasto completo e veloce, che evita la preparazione di più portate. La pizza, inoltre, è percepita come un pietanza appetitosa (67%), ma allo stesso tempo genuina (65%), se preparata con ingredienti semplici.

 

I gusti e i momenti preferiti per la pizza

Grazie al metodo WOA (Web Opinion Analysis), Buitoni ha potuto sondare le preferenze degli italiani anche per quanto riguarda gusti e preferenze specifiche. Così è evidente che al Nord la preferita è la pizza prosciutto e funghi (89%), seguita dalla classica Margherita (87%) mentre al Sud regna su tutti la bufala (82%), seguita dalla marinara (71%) e dalla tonno e cipolle (64%). Ed è proprio l’accoppiata tonno e cipolle quella prediletta dagli uomini (75%), mentre le donne scelgono per lo più la Norma (67%), la frutti di mare (59%) e la pomodorini, capperi e olive (45%).

Per quanto riguarda il momento migliore per gustarla, è sempre il fine settimana a farla da padrone: l’83% degli intervistati ha dichiarato di mangiare la pizza prevalentemente nei week end, in particolare il sabato (32%). Numeri che però vengono completamente scombussolati durante la pausa estiva, quando, per scarsa voglia di cucinare o per l’effetto delle uscite serali, ogni giorno è buona per ordinare una pizza.

 

A cura di Francesca Fiore





 

Open Baladin Fest a Torino. Birra viva e cibo di strada per i 20 anni del birrificio piemontese

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Secondo appuntamento nel giro di un paio di mesi per gli appassionati di birra artigianale che seguono le gesta di Teo Musso e del suo birrificio, ormai ventenne. Dal 2 al 4 settembre ci si ritrova a Torino: il programma, cosa si beve e si mangia. 

20 anni di Baladin

La festa del suo birrificio, di una storia lunga 30 anni (20 se consideriamo la prima cotta a marchio Baladin) nel mondo della birra artigianale Teo Musso l'ha celebrata con tutti i suoi estimatori poco più di un mese fa, a Piozzo (provincia di Cuneo), dove tutto è cominciato. Cinque giorni, dal 13 al 17 luglio, per ripercorrere una carriera longeva e illuminata, e presentare i progetti futuri, primo fra tutti il Baladin Open Garden, nuovo stabilimento e “parco divertimenti” che sarà completato entro la primavera 2017. Ma per fare festa è sempre il momento buono. E così tra pochi giorni, dal 2 al 4 settembre, si replica. A Torino. Non è la prima volta dell'Open Baladin Fest, che quest'anno celebra la terza edizione in piazzale Valdo Fusi, quartier generale torinese del locale che Musso ha esportato anche a Roma e Milano. Un fine settimana lungo, fino a tarda notte, da condividere con gli appassionati di cultura brassicola che nell'esperienza di Baladin riconoscono un faro per l'evoluzione del comparto artigianale italiano, oggi in grande spolvero e ramificato su tutto il territorio nazionale. Quest'anno, immancabilmente, il tema della manifestazione insiste sul compleanno già ricordato, per celebrare “20 anni di birra viva” in compagnia di 200 birrifici per 200 birre artigianali italiane.

La festa della birra viva

Birra viva, e dunque non pastorizzata, come quella che ha recentemente ottenuto il riconoscimento di legge che identifica e tutela – per la prima volta nel nostro Paese – le produzioni artigianali nel comparto birrario. Ma viva anche per lo spirito di condivisione che animerà la festa, caratterizzata non a caso da momenti di riflessione e scambio durante gli incontri con i mastri birrai, invitati a raccontarsi nello spazio del Salotto con il birraio. Le birre invece, tante, troppe per riuscire a orientarsi con cognizione di causa, saranno raccontate e introdotte da Lorenzo Dabove, meglio noto come Kuaska tra gli addetti ai lavori, che ancora una volta torna a Torino in qualità di grande esperto in materia per presentare tutte le birre alla spina servite nel corso del festival. E se festa di piazza dev'essere, anche l'offerta gastronomica sarà adeguata alle aspettative: sono 7 le cucine di strada che lavoreranno no stop per servire le specialità della tradizione regionale tricolore, in abbinamento alle birre in degustazione. Spazio dunque alle polpette di Norma, polpetteria artigianale piemontese, alle bombette pugliesi della Valle d'Itria, a lampredotto e trippa fiorentina, gnocco fritto emiliano e patate ripiene rivisitate dai ragazzi torinesi di Poormanger. Al fritto di paranza provvederà la pescheria Gallina, altra referenza gastronomica garantita in città, mentre fritti, burger e sfizi saranno a cura della cucina di Open Baladin. Orgoglio a marchio Baladin anche per la partnership con Pepino, insegna storica di piazza Carignano, che servirà per l'occasione il Pinguino alla birra Open White e sorbetti alla Cola e alle Cedrata della casa.

Aspettando il crowdfunding

Musica, laboratori creativi e street art completano il programma del festival, che fornirà un'occasione in più per aderire al crowdfunding che Baladin lancerà il prossimo ottobre per finanziare il completamento del parco di Piozzo. Tra gli appuntamenti da non perdere le due cotte pubbliche (sabato e domenica pomeriggio) per scoprire come si produce la birra, tra materie prime, processi di lavorazione e piccoli trucchi del mestiere. E per i veri cultori della birra che non vogliono farsi trovare impreparati sul sito di Baladin è già disponibile l'elenco delle etichette in degustazione.

 

Open Baladin Fest | Torino | piazzale Valdo Fusi | dal 2 al 4 settembre, fino all'1 | kit degustazione 5 euro (bicchiere, pochette e 1 gettone) | www.baladin.it/it/eventi/open-baladin-fest-2016

 

a cura di Livia Montagnoli


Anteprima Tre Bicchieri. Puglia

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Arriviamo in Puglia con l'elenco ufficiale delle etichette che conquistano i Tre Bicchieri nella guida Vini d'Italia 2017. Un risultato che risente dell'andamento climatico delle ultime due annate: caldissima la 2015, decisamente fredda la 2014.

La Puglia è una regione così estesa e complessa che è difficile valutarla come se fosse un’unica realtà produttiva, ma quest’anno più che delle numerose variabili geografiche ci sembra sia importante parlare di quelle climatiche. Da diversi anni infatti affermiamo come ci sia una crescita costante del livello qualitativo del comparto vitivinicolo pugliese, sia per quanto riguarda i vini di punta che per la produzione di vino quotidiano, ma quest’anno anche le migliori intenzioni si sono dovute arrendere di fronte all’andamento climatico delle ultime due annate. Due annate che, per motivi opposti, sono state particolarmente difficili e che sono diventate una sorta di “tempesta perfetta” nelle nostre degustazioni.

In effetti la maggior parte dei vini rossi giovani che abbiamo assaggiato quest’anno appartenevano all’annata 2014, che più o meno dovunque in Puglia è stata fredda, piovosa e con episodi di grandine. Il risultato, quasi inevitabile, sono stati vini che nella maggior parte dei casi hanno mostrato note verdi, una certa fragilità e una mancanza di struttura piuttosto anomale per i prodotti di questa regione. Le eccezioni sono state davvero poche, se si considera che sui 36 vini che hanno raggiunto le nostre finali solo 9 erano della vendemmia 2014.

La quasi totalità dei vini bianchi assaggiati invece proveniva dall’annata 2015. Annata molto calda, che ha penalizzato praticamente ovunque la freschezza e l’acidità, già abitualmente punto dolente della produzione bianchista pugliese, con il risultato di una serie di vini magari di buona ricchezza di frutto ma poco piacevoli o con un finale appesantito. Discorso simile per i vini rosati. Tutto questo non ha ci ha impedito di constatare come continui a crescere il successo dei vini realizzati con uve primitivo, in particolare quelli a denominazione di origine come Gioia del Colle o Manduria. A questo proposito va detto che si sta sfatando anche un vero e proprio “mito”, quello per cui i vini a base primitivo non sarebbero in grado di migliorare con gli anni, tanto che quest’anno una delle “new entry” dei nostri Tre Bicchieri è un Gioia del Colle Primitivo del 2010, il Senatore dell’azienda Coppi.

Le altre novità dei Tre Bicchieri sono sempre dei Primitivo: uno dalla stessa zona, ed è il Gioia del Colle Riserva ’13 della cantina Tre Pini, l’altro da Manduria, il Primitivo di Manduria Passo del Cardinale ’14 di Paolo Leo. Per il resto grandi conferme, da aziende storiche come Leone de Castris, Torrevento o Felline, a cantine che sono ormai delle certezze per quanto riguarda la qualità dei vini prodotti, come Due Palme, Rubino, Polvanera o Chiaromonte, insieme e realtà più recenti frutto di imprenditori appassionati, come Vespa o Carvinea.

 

Castel del Monte Nero di Troia Ottagono Ris. 2014 Torrevento

Gioia del Colle Primitivo 17 2013 Polvanera

Gioia del Colle Primitivo Muro Sant'Angelo Contrada Barbatto 2013 Chiaromonte

Gioia del Colle Primitivo Ris. 2013 Cantine Tre Pini

Gioia del Colle Primitivo Senatore 2010 Coppi

Negroamaro 2014 Carvinea

Oltremé Susumaniello 2015 Tenute Rubino

Primitivo di Manduria 2015 Felline

Primitivo di Manduria Passo del Cardinale 2014 Cantine Paolo Leo

Primitivo di Manduria Raccontami 2014 Vespa – Vignaioli per Passione

Salice Salentino Rosso 50° Vendemmia 2014 Leone De Castris

Salice Salentino Rosso Selvarossa Ris. 2013 Cantine Due Palme

Chef Rubio a Casa Italia per la Paralimpiadi di Rio. Chef e inviato speciale nel segno dell'integrazione

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Star del piccolo schermo, ma pure chef di talento che non esita e schierarsi in difesa dei più deboli, con l'idea di abbattere le barriere attraverso la buona cucina. A Rio sarà chef degli atleti azzurri, dal 6 al 17 settembre. Ecco cosa proporrà. 

Chef Rubio a Rio

Spenti i riflettori sulle Olimpiadi di Rio, la megalopoli brasiliana si appresta ad accogliere gli atleti paralimpici, che dal 6 al 17 settembre si contenderanno le medaglie della quindicesima edizione dei Giochi Paralimpici. Con loro, a Casa Italia – che per l'occasione si trasferisce all'interno della Parrocchia dell'Imaculada Conception nella Rocinha, la favela più grande della città – arriverà anche Chef Rubio, scelto mesi fa dal Comitato Paralimpico per rappresentare l'impegno sociale della cucina italiana e proporre la propria idea di condivisione a tavola agli atleti azzurri impegnati nella competizione. La notizia circola da tempo, e lo stesso Gabriele Rubini - star del piccolo schermo, ex rugbista e oggi apprezzato chef mediatico – non ha mancato di ribadire a più riprese la soddisfazione per l'incarico ricevuto, che gli permetterà di promuovere di fronte a una platea internazionale la buona cucina “come nutrimento per il bene sociale di ogni categoria”, perché “a tavola, come nella vita, non sono ammesse barriere e tutti ci cibiamo degli stessi piaceri” (si veda a tal proposito la serie web di videoricette realizzata da Rubio in LIS, la Lingua dei Segni Italiana). E se da subito è stata chiara l'intenzione di lavorare su due fronti complementari, valorizzando le specialità e le ricette italiane ma ricercando i prodotti migliori sul territorio brasiliano, i dettagli dell'operazione cominciano a delinearsi solo nelle ultime ore, con le prime indiscrezioni circa le molteplici iniziative che lo chef romano ha intenzione di portare a termine durante la trasferta verde-oro.

Ai fornelli. Ricette italiane e ingredienti del Brasile

La cucina, prima di tutto, nel segno dell'integrazione: il menu parla tricolore, con l'idea di percorrere un ideale giro d'Italia tra pasta alla Norma e cotoletta alla milanese, zuppa di pesce, cacio e pepe e pesto ligure, con proposte vegane e celiache all'occorrenza. Ma le materie prime arriveranno dai mercati di Rio. Pranzi su richiesta e cene da 150 coperti a sera, che Rubio gestirà con l'aiuto della chef Fernanda Morici Longobardo e del miscelatore Edgardo Fontana. La presenza del barman anticipa uno dei progetti più originali che prenderà forma a Casa Italia, Miniature, come i suoi ideatori hanno scelto di ribattezzarlo in riferimento alle mini degustazioni di cibo in abbinamento con drink alcolici o analcolici, servite in apertura e chiusura di cena, per giocare una volta di più a tavola. L'umore della brigata, insomma, è alto.

Inviato speciale

E Chef Rubio avrà modo di testimoniarlo ogni giorno tramite social network e a mezzo stampa. Su Twitter pubblicherà ogni giorno un video di 30 secondi che restituisca il senso della sua esperienza senza prendersi troppo sul serio. Mentre per la Gazzetta dello Sport curerà la Rubrioca, un appuntamento video quotidiano di 2 minuti, in compagnia del giornalista Gianluca Pasini, per raccontare aneddoti e curiosità del “dietro le cucine”. Senza dimenticare i cardini che guidano l'esperienza delle Paralimpiadi come la cucina di Casa Italia: inclusione ed eguaglianza.  

 

Foto di CaRbonelli&Seganti

Giardiniera: ecco le migliori

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L'aspetto e i colori richiamano l'estate ed esprimono gioia di vivere, un vegetale impulso ai piaceri della tavola e alla convivialità. Nei casi migliori. Perché trovare una buona giardiniera non è facile. Noi ci siamo riusciti.

Colori accesi, consistenze integre e croccanti. Acidità ben dosata: così deve essere una buona giardiniera. Almeno in teoria, perché poi spesso gli ortaggi risultano molli e gommosi, troppi acidi, troppo spenti nei colori, con tracce di ossidazione all'occhio e al palato, con gusto e aromi distanti da quelli di partenza.

Se si sente solo l'aceto che giardiniera è? Per questo c'è chi preferisce prepararla in casa scegliendo ortaggi freschi, lessandoli separatamente, contenendo i tempi di cottura e la presenza dell'aceto in modo da mantenere le verdure carnose e al dente.

giardiniere

La giardiniera

La giardiniera nasce povera, preparata a fine estate con quello che l'orto regalva in quel periodo dell'anno generoso di verdure, per consumarle durante l'inverno. Ortaggi a pezzi, sale, aceto, talvolta vino bianco e zucchero, una cottura di pochi minuti a misura del vegetale rispettandone la croccantezza: un aspetto fondamentale. La versione classica è composta dal tradizionale quartetto di ortaggi: peperoni, carote, sedano, cavolfiori, spesso integrati da cipolle e finocchi. In alcuni casi è arricchita da zucchine, zucca, olive denocciolate, fagiolini. Oltre a personalizzazioni esclusive con sedano rapa, puntarelle, cetrioli, ravanelli, piselli, cipolla rossa, mele, pere, funghi, perfino melanzane, patate e topinambour.

 

Gardiniera classica e le altre: variazioni sul tema

Quello delle giardiniere è un mondo che contempla delle varianti, spesso distanti dalla ricetta originale. Tra queste va ricordata la Giardiniera di Anna, figlia di Morgan (www.lagiardinieradimorgan.com), speziata e piccante di peperoncino fresco e zenzero (oltre alla base di carote, finocchi, cavolfiori e peperoni). La cuneese Bon Aptit dell'azienda agricola L'Orto del Pian Bosco (www.ortodelpianbosco.it, tel. 0172 62591 - 349 4002969) è una giardiniera rossa, praticamente una ratatouille di peperoni di Cuneo, sedano, carote, zucchine, cavolfiore, fagiolini e cipolle (di produzione propria) fatta in umido, dove l'aceto (Mengazzoli di Curtatone) sottolinea l'aspro del pomodoro.

Nella giardiniera piemontese Oliveri di Strevi di Alessandria (www.oliveri-piemonte.it, tel. 0144 324987), le verdure (fagiolini, carote, sedano, cipolle, peperone quadrato di Carmagnola, cavolfiore) sono cotte nella salsa di pomodoro San Marzano e sono arricchite dal tonno, con la zampa acidula dell'aceto: una specie di caponata al tonno. La giardiniera di verdure e funghi sott’olio dell'azienda savonese di Federico Santamaria (www.federicosantamaria.it, tel. 019 5284270 - 335 7708025) contiene più del 50% di funghi galletti e sanguin, oltre a peperoni di Carmagnola, sedano, carote, olive taggiasche denocciolate e piante aromatiche. Pinzimonio toscano sott'aceto si chiama l'insolita e speziata giardiniera dell'Osteria de' Ciotti - Gusteria, di Tavola, Prato (www.allagusteria.it, tel. 0574 623992), con cavolfiori, carote, sedano, peperoni rossi, finocchi, fagiolini e cipolline sbollentati in aceto, invasati e riempiti con una miscela bollente di aceto di pinot grigio e vino, abbondantemente profumati con alloro, pepe, chiodi di garofano, timo, semi di senape e cannella.

 

La degustazione

Ecco quindi una classifica che mette in fila le migliori giardiniere, lavorate dal fresco, senza uso di additivi e conservanti, in vendita nel mercato di nicchia (e non) per scegliere a colpo sicuro la compagna ideale di insalate estive, di pasta o di riso, il contrappunto agrodolce e colorato in panini, antipasti, aperitivi rustici o nel tagliere di salumi e formaggi, la spalla complice di piatti di carni e di pesce azzurro, di salumi cotti, di insalate di fagioli, e in inverno accanto a cotechino e bolliti. Abbiamo scelto sia le giardiniere in agrodolce, sia quelle conservate in olio (di semi di girasole o extravergine d'oliva). Da quest'ultimo gruppo di prodotti sono uscite le giardiniere migliori.

I prezzi indicati sono quelli medi al dettaglio. Tranne la prima classificata, le altre aziende sono in ordine alfabetico

 

Mordan

1° classificata

La Giardiniera di Morgan

Un'amica giardiniera moltiplicata per cinque. Da questa cinquina proviene il vincitore della classifica. Il brand (registrato) porta il nome del suo creatore, lo chef Morgan Pasqual del ristorante vicentino Cinque Sensi, dove la giardiniera è nata per accompagnare i piatti serviti a tavola. Chiude il locale, nel 2013, ma non la lavorazione del delizioso mix di verdure che diventa il fiore all'occhiello di un'azienda di trasformazione quasi monoprodotto, al quale Morgan dedica interamente tempo, cura ed esperienza. Alla base c'è un bel progetto che ha come partner l’Organizzazione Produttori Ortofrutticoli Veneto, con occhio attento alle produzioni ortofrutticole tipiche del Veneto e la sostenibilità. La lavorazione è dal fresco partendo da verdure stagionali tagliate rigorosamente a mano in pezzi grandi e rustici, sottoposte a microcotture a vapore con una tecnologia che garantisce l'idratazione per salvaguardare consistenze, colori e lucentezza. Cinque le versioni, abbiamo detto, nate strada facendo e dedicate ai membri della famiglia Pasqual: due in agrodolce, tre in olio (70% di olio evo dell’azienda agricola Caldera di Manerba del Garda, Brescia, 30% olio di semi di girasole bio di Joe & Co di Montecchio Maggiore, Vicenza), con soste e maturazioni in liquidi agrodolci per arrotondare e intensificare il sapore. Stessa base di verdure: carote, finocchi, cavolfiori, peperoni rossi, gialli e verdi. Ortaggi intonsi e dai colori vividi (finalmente con cavolfiori bianchi candidi!), estrema cura nella lavorazione, dalla toelettatura delle verdure all’etichettatura e al confezionamento nei vasi Bormioli o con tappo a pressione: da un litro, magnum da un litro e mezzo, doppio magnum e jeroboam da 5 litri. Cominciamo dalla prima classifica, la “giardiniera di Luciana” (la moglie di Morgan), con gli ortaggi base più sedano e cipolla bianca, cotti con più aceto e più a lungo, e conservati in olio. Un eccellente prodotto dal gusto pieno, rotondo ed equilibrato, con i sentori vegetali freschi, puliti e centrati al naso e in bocca, il giusto apporto agrodolce, una bella intensità e persistenza “virile”, l'adeguata varietà degli ortaggi, riconoscibili nelle loro caratteristiche aromatiche, la struttura perfetta, croccante al punto ottimale e nello stesso tempo fondente. Si mangia che è un piacere, da sola o in compagnia: anche con il vino! Seguono, ma con un certo scarto, le altre. La “giardiniera di Morgan”, la prima nata, agrodolce e con le verdure base, perfette, colorate e al dente, è la più semplice e con l'agrodolce che tende a coprire i profumi vegetali. La “giardiniera di Giovanni” (il figlio), in olio, con scalogno, topinambur, cetriolini, sedano rapa, pere e mele ad arricchire la base “di famiglia”, ha dalla sua la varietà orticola, l'inconsueta presenza di frutta e il gusto intenso (ma è più “grassa” e scura, meno equilibrata e con la struttura appena disomogenea). La “giardiniera di Giada” (la figlia primogenita), sempre in olio, si distingue per la ricchezza vegetale (sedano, cipolle viola, fagiolini e cipolle borrettane oltre alla base), il gusto più aggressivo e gli aromi più acetosi (e le consistenze più “vibranti”). Discorso a parte per la “giardiniera di Anna”,

Confezione da Luciana: 500 ml, prezzo 14-16 euro

Confezione da Morgan: 1000 ml, prezzo 16-18euro

Confezione da Giovanni: 580 ml, prezzo 17-19 euro

Confezione da Giada: 750 ml, prezzo 19,50-21 euro

La Giardiniera di Morgan | Malo (VI) | via Pacinotti, 2 | tel. 0445 607976 | www.lagiardinieradimorgan.com

 

La Baita&Galleano

Una delle migliori giardiniere della batteria, meritevole del secondo posto, comunque da podio, proviene dal Ponente Ligure ed è di filiera. Coltivazione degli ortaggi (in biologico), lavorazione (secondo stagione e dal fresco, possibilmente a poche ore dalla raccolta) e confezionamento (molto curato e invitante, dall'inserimento delle verdure nel vaso all'etichetta) vengono effettuati in questa azienda agricola e di trasformazione, nell'entroterra tra Albenga e Diano Marina, diretta da Marco Ferrari. Anche l'olio extravergine – l'Agazan (non filtrato, da olive raccolte anticipatamente) – è di produzione propria. “La giardiniera di verdure in liquido Baita” (oltre all'olio, vino Pigato, aceto di vino e zucchero di canna) è un bel mix colorato di ortaggi tagliati a pezzi grandi (zucchine trombette di Albenga intere, carote, sedano, zucchino verde, peperone rosso, cavolfiori, cipollotto, finocchi). I colori sono vivaci e brillanti, fedeli a quelli originali, solo il cavolfiore vira leggermente al grigio-rosa. Il naso è delicato, pulito, correttissimo, richiama il mondo vegetale e giusti sentori agrodolci. La bocca conferma la precisione del liquido di governo e delle sensazioni aromatiche delle verdure, fresche, caratteristiche, piacevolissime. Bell'equilibrio di sapore, intensità e persistenza. Anche la struttura è adeguata, carnosa e croccante: perfetta nelle zucchine, forse leggermente cedevole nel peperone e un po' tenace nel cavolfiore.

Confezione da 310 g (230 g sgocciolato), prezzo 7,50-10 euro

Confezione da 1000 g (750 g sgocciolato), prezzo 20-25 euro

La Baita&Galleano | Borghetto d'Arroscia (IM) | fraz. Gazzo | tel. 0183 31324 - 347 3635797 - 347 1210060 | www.labaitagazzo.com

 

I Contadini

I punti di forza di questa giardiniera in agrodolce: la filiera chiusa, la lavorazione a mano e dal fresco, la pastorizzazione soft. Gli ortaggi provengono dai terreni di questa azienda agricola capitanata da Emanuele Trentin e situata nel tacco d'Italia, non distante da Santa Maria di Leuca, sulla strada provinciale lungo il Mar Jonio che costeggia alcune fra le più belle spiagge italiane. Nel vaso di vetro la classica cinquina di ortaggi, tagliati in pezzi grandi e dai colori vivaci: cavolfiori, carote, peperoni gialli e rossi, finocchi, oltre ad aceto di mele, zucchero, sale integrale e succo di limone. Naso leggermente chiuso e decisamente agrodolce. Al palato ritornano l'agro e una dolcezza un po' forzata. Sapidità importante e, tranne per i peperoni, consistenza piuttosto tenace, come di cottura un po' indietro.

Confezione da 580 g (320 g sgocciolato), 5-6,50 euro

I Contadini | Ugento (LE) | Strada prov.le 290 Felline-Torre San Giovanni, km1 | tel. 0833 555227
- 328 9303313 | www.icontadini.com

 

Contini

Una giardiniera da podio quella prodotta da Contini, macelleria nata nel 1959 che nel 2011 diventa macelleria-gastronomia “dinamica” aperta alle nuove sollecitazioni provenienti dal mondo del food. Grazie soprattutto all'ultima generazione, la figlia del patron Amerigo Contini, Alice, chef creativa che realizza preparazioni innovative, e al di lei marito, Andrea Amici, sommelier, che si occupa della parte “dinamica” dell'attività. La Giardiniera Alice è una classica giardiniera casalinga, confezionata dentro vasi Bormioli, dove cavolfiore, carote, peperoni, mela, cipolle e sedano occhieggiano colorati e in ottima forma nel liquido di governo composto da olio di girasole e aceto. Ha il coraggio di essere tale, diretta, senza ruffianerie, con la forza della materia prima e di una ricetta semplice e lineare, eseguita a regola d'arte e manualmente. Il profumo è delicato, pulito e caratteristico di verdure fresche all'agro. Stesse sensazioni in bocca, equilibratissime, con una sapidità fin troppo controllata che sottolinea l'essenzialità della ricetta e la delicatezza “femminile” della giardiniera. Perfetta la consistenza degli ortaggi, carnosi e croccanti, un filo un po' soft il peperone.

Confezione da 500 g, prezzo 8,50-10 euro

Contini | Cremona | via Giuseppina, 37c | tel. 0372 432319 - 392 3006023 - 392 3121202 | www.macelleriacontini.com

 

Oscar qualità/prezzo

Le Conserve della Nonna

Salsa contadina gigante - verdure miste in olio. Così si chiama la giardiniera Le Conserve della Nonna, del gruppo Fini, in vendita nelle principali catene della grande distribuzione. Pochi ortaggi, l'essenziale quartetto di peperoni, carote, cipolle e sedano, di provenienza italiana tranne i peperoni (spagnoli), lavorati dal fresco a fine estate-inizio autunno, tagliati a pezzettoni, scottati in aceto e conservati in agrodolce insieme a olio di semi di girasole (e con acido citrico). I colori sono corretti, vividi e brillanti. Corrispondente anche il profumo, tipico, abbastanza fresco e pulito, piacevolmente agrodolce. Al palato buon equilibrio dolce-acido-sapido e aromi degli ortaggi centrati. La struttura tradisce un lieve eccesso di cottura, tranne le cipolline, perfette nella consistenza al dente ma solubile. Buono il peperone anche se un po' cedevole.

Confezione da 400, g 3 euro

Le Conserve della Nonna | Ravarino (MO) | via Confine, 1583 | tel. 059 900432 | www.leconservedellanonna.it| www.nonsolobuono.it

 

De Carlo

Tre i plus della giardiniera De Carlo. La grande varietà di verdura utilizzata, oltre una dozzina secondo stagione (finocchi, cavolo bianco, sedano, carciofini, puntarelle, zucca gialla, ravanello, peperoni rossi e gialli, cavolo rapa, carote gialle e quelle viola di Polignano Presidio Slow Food, olive denocciolate), proveniente in parte dai propri campi nell'agro di Bitonto, in parte acquistati da contadini della zona. La lavorazione artigianale e dal fresco. E l'olio impiegato (il 22% del peso totale), l'evo prodotto da questo pluripremiato frantoio pugliese, che ogni anno colleziona premi in concorsi di settore. L'aspetto è artigianale, non ci sono dubbi, con gli ortaggi tagliati in pezzi medi. I colori, una bella tavolozza di tonalità, sono leggermente spenti. La consistenza – tranne quella del cavolfiore – un po' morbida.

Confezione da 310 g, prezzo 7,50-10 euro

De Carlo | Bitritto (BA) | via XXIV Maggio, 54 | tel. 080 630767 | www.oliodecarlo.com

 

Natura Del Santo

La “Giardiniera di Nonno Gianni”, sott'aceto, ha un aspetto molto classico e caratteristico, con i colori vivaci e brillanti che catturano l'occhio e il tradizionale quartetto di ortaggi – peperoni rossi e gialli (in grande quantità), carote, cavolfiori, cipolline borrettane – tagliati a pezzettoni e belli comodi dentro il barattolo di vetro in abbondante liquido. Lavorata dal fresco con il taglio a mano dei vegetali, esprime al naso e in bocca un'elevata acidità. La consistenza è croccante e al dente, forse eccessivamente tenace nella carota ma perfetta nelle cipolline, che rappresentano il punto forte della giardiniera per gusto e aromi e l'esemplare equilibrio agrodolce. Altra nota di merito: il cavolfiore bianco latte, senza tracce scure di ossidazione. Sapidità molto alta.

Confezione da 580 g (320 g sgocciolato), prezzo 5,50-7,50 euro

Natura Del Santo | Santa Giustina in Colle (PD) | loc. Fratte via Pio X, 18 | tel. 049 5790598 | www.delsanto.it

 

Cascina Pizzavacca


La giardiniera è uno dei fiori all'occhiello della Cascina Pizzavacca, nella Bassa Piacentina, sulla strada del Po che scorre vicino. Tutto è realizzato in azienda dalla famiglia Pisaroni: coltivazione, trasformazione e confezione in olio di semi di girasole. Una giardiniera di filiera, dunque, molto piacevole in ogni senso. A cominciare dall'aspetto, un bel colpo colorato su ortaggi intonsi e in splendida forma, tagliati alla perfezione in pezzi grandi che vanno oltre al solito quartetto: peperoni rossi e gialli, carote, sedano, cipolle borrettane e cipolle rosse, cavolfiore, fagiolini. Il naso è molto delicato e poco “agro”, come pure le sensazioni in bocca, ma il sapore e gli aromi sono puliti, coerenti e centrati, con gli ortaggi (ottimi) perfettamente identificabili. La consistenza perfetta, croccante e godibilissima, denota una cottura finalmente al giusto grado. Eccellenti in particolare il cavolfiore (anche se il colore è leggermente rosato) e la cipolla rossa.

Confezione da 490 g, prezzo12-16 euro

Cascina Pizzavacca | Villanova sull'Arda (PC) | loc. Soarza via Po, 1 | tel. 0523 837395 - 334 3914275 | www.pizzavacca.it

 

Ursini

Anche per la giardiniera del frantoio Ursini (Che giardiniera!) una grande varietà di vegetali, la più ricca della batteria, la lavorazione rigorosamente dal fresco e l'olio extravergine d'oliva di produzione propria. Gli ortaggi, provenienti per lo più da agricoltori del posto, sono: peperoni, cavolfiori, funghi champignon, finocchi, zucchine, carote (del Fucino), cipolla rossa, sedano e sedano rapa, zucca, pere, mele, melanzane e perfino patate (di Avezzano), che compongono il 74% del contenuto. Una giardiniera atipica, con la partecipazione dell'olio evo (18,5%) «per evitare che l'aceto copra tutti gli aromi, più versatile e facile da abbinare al vino e ai piatti» precisa Peppino Ursini. E arricchita da spezie: pepe nero, rosa e bianco, cannella, semi di anice. Gli ortaggi sono tagliati a pezzi medio-piccoli, i colori sono poco vivaci e brillanti, e a parte la patata la consistenza è cedevole. Ma al palato è una giardiniera piaciona, molto sapida però accattivante.

Confezione da 250 g, prezzo 12-14 euro

Ursini | Fossacesia (CH) | loc. Santa Maria La Nova, 12 | tel. 0872 579060 | www.ursini.com

 

 

I prezzi sono quelli medi al dettaglio. Tranne la prima classificata, le altre aziende sono in ordine alfabetico

 

a cura di Mara Nocilla

Gol-Finger con Andrea Golino. La quarta stagione sulla finger cuisine su Gambero Rosso Channel

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Ricette facili da replicare, divertenti e gourmet, per portare in tavola idee originali da mangiare rigorosamente con le mani. A guidarci nell'universo del finger food ancora una volta c'è Andrea Golino, dal 14 settembre sul canale 412 di Sky. 

Finger food... Nella cucina di casa

Di mangiare con le mani, assaggiando un po' qui un po' là, magari durante una cena in terrazza con gli amici, nessuno sarebbe mai pago. Atmosfera informale, colori, insoliti accostamenti di sapore, “cicchetti” freschi, divertenti, moderni, con ingredienti di stagione. Altissima qualità. Il finger food di Andrea Golino è tutto questo e molto altro: ecco perché ancora una volta, per la quarta edizione della fortunata serie in onda su Gambero Rosso Channel, lo chef si appresta a coniugare cucina e intrattenimento con ironia e semplicità. Agli affezionati spettatori del canale 412 di Sky non resta che prendere nota: Gol-Finger torna il 14 settembre 2016 con la nuova serie in onda ogni mercoledì alle 22. Cosa c'è da aspettarsi? Come sempre ritroveremo Andrea Golino alle prese con l'ideazione e la preparazione di cibo prêt à manger. Ma tutto inizia tra i banchi dei mercati romani, dove lo chef scoverà gli ingredienti più giusti per rivisitare i grandi classici della cucina nostrana con il brio della modernità – due le ricette proposte in ogni puntata - e tanti consigli utili per chi vuole cimentarsi con la cucina finger food tra le mura domestiche.

Gol-finger. La quarta stagione

E così dopo il tour per la Penisola che ha visto protagonista la finger cuisine (ora anche in un libro, Gol-finger, 70 ricette tra tradizione e creatività) da Nord a Sud durante la terza edizione di Gol-Finger, Andrea Golino torna alla base, arricchito dalle esperienze gastronomiche raccolte nei mesi passati, alla scoperta delle migliori eccellenze italiane. Perché formula che vince non si cambia, e ciò che conta è ritrovare ancora una volta le passioni di un buongustaio che ama cimentarsi con i piatti tipici della tradizione italiana per riproporli in versione finger food, adatti alla cucina di tutti i giorni. E Andrea Golino non si stanca di ripeterlo: “Finger cuisine non vuol dire cucinare una pietanza e metterla in un piatto piccolo. La portata finger va pensata prima di essere eseguita, trasformando piatti e sapori della tradizione in piccoli bocconi di gusto”. Mangiare è bello, ma “spilluzzicare” è ancora meglio! Scopritelo su Gambero Rosso Channel.

 

Gol-finger | Gambero Rosso Channel, canale 412 di Sky | dal 14 settembre 2016 alle 22


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Guida ai prodotti regionali: l’Abc della cucina pugliese

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Il testo è stato revisionato dallo chef Pietro Zito di Antichi Sapori, Andria 

La Puglia è una di quelle regioni in cui si trova  un po' di tutto: la sua cucina è varia, grazie alla sua estensione geografica e all’affaccio su due mari. Così, chi si visita l’entroterra potrà godere del sapore delle carni e della pasta fatta in casa, mentre chi sosta sul mare potrà assaporare i piatti a base di pesce. Ma quella del tacco d'Italia è una tradizione gastronomica ricchissima e varia. Per conoscerla, ecco l’Abc della cucina pugliese.

Acquasale

Partiamo da quello che oggi è considerato un antipasto, ma che in tempi passati costituiva un vero e proprio pranzo per pescatori e contadini, che dovevano passare fuori casa la gran parte della giornata: l’acquasala. È una sorta di panzanella che si prepara con pane pugliese raffermo o biscottato e ammollato nell’acqua, cipolla, sale, pomodori e origano. Le sue origini risalgono alle crociate: pare che i pugliesi usassero offrire l’acquasala ai guerrieri cristiani in procinto di partire dai porti della regione.

Acquasala

Bombette

Piatto tipico della Valle d'Itria e in particolare della zona di Taranto, le bombette pugliesi sono involtini di capocollo di maiale ripieni di formaggio canestrato pugliese, sale, pepe e prezzemolo. Ne esistono molte varianti: all’interno spesso si aggiungono anche salumi o peperoncino. Si cuociono sulla brace, anche se tradizionalmente venivano cucinati proprio dai macellai, nel retrobottega: oggi sono diventati uno street food molto amato.

Bombette pugliesi

Cacioricotta pugliese

Un prodotto che prende il nome dalle tecniche miste che servono a prepararlo: in parte sono quelle del formaggio, in parte quelle della ricotta. Solitamente prodotto con latte di capra o pecora, anche se talvolta, per esempio nella zona di Bari, si trova anche a base di latte di mucca. Si consuma fresco, con una maturazione di 2-3 giorni, oppure con una stagionatura che varia fra i due e i tre mesi e un gusto più salato. Si trova in varie stagioni ma il momento migliore per la sua produzione è la tarda primavera o l’inizio dell’estate: malgrado la resa del latte sia minore che negli altri periodi, l’erba secca mangiata dagli animali conferisce al formaggio un sapore più deciso. (Ne abbiamo parlato qui http://www.gamberorosso.it/it/food/1025089-abcheese-eleonora-baldwin-e-i-formaggi-caciocavallo-podolico-e-cacioricotta-pugliese)

Canestrato pugliese

Tipico delle zone di Foggia e di Bari, il canestrato pugliese è un formaggio a pasta pressata non cotta, ottenuto da latte intero di una specifica razza di pecore, la gentile, che pare derivi dalla razza merinos: queste si nutrono quasi esclusivamente di erba fresca. Il prodotto lega la Puglia all’Abruzzo: il periodo migliore per realizzarlo va da metà dicembre a maggio, cioè quando le mucche vengono portate in transumanza dalle montagne abbruzzesi al Tavoliere. Il suo nome deriva dai tipici canestri di giunco realizzati tradizionalmente in Puglia: nella versione più fresca, stagionato mediamente 90 giorni, viene abbinato a verdure e frutta, mentre quella più stagionata è più adatta a essere grattugiata sulla pasta o inserita all’interno degli involtini.

Canestrato pugliese

Cavatelli e orecchiette

Due delle paste fresche simbolo della regione: certamente non le uniche, ma sicuramente fra le più celebri. Le orecchiette pugliesi tipiche della zona di Bari risalgono a un periodo fra il XII e il XIII secolo. La ricetta più tipica le vuole con le cime di rapa, ma spesso si trovano anche con broccoli e altre verdure, oppure con il ragù. I cavatelli vengono dal Molise, ma furono “esportati” in Puglia molto tempo fa, tanto da diventare parte del patrimonio gastronomico della regione. Sono fatti con un impasto di semola di grano duro e acqua, a volte con aggiunta di patate: hanno una forma allungata con una incavatura all'interno. Anche in questo caso vengono preparati con verdure come broccoli o funghi cardoncelli, oppure al sugo.

Cavatelli e orecchiette

Ciceri e tria

Antica ricetta salentina, al centro di un rituale antico quanto affascinante, chiamato le Tavole di San Giuseppe, in cui alcune famiglie benestanti dei vari paesi allestiscono banchetti per i meno abbienti della comunità, durante i quali interpretano i santi. Il nome deriva dalla parola araba itriyah, che vuol dire pasta secca, ma sono conosciuti anche come Massa di San Giuseppe, proprio per il legame con la festa del 19 marzo. È un piatto realizzato con i ceci lessati, la pasta tria - fatta con semola di grano e acqua - e i frizzuli, cioè parte della pasta tria fritta in olio extravergine d’oliva.

Ciceri e tria

Lampascioni

I lampascioni sono piante erbacee appartenenti alla stessa famiglia degli asparagi, conosciuti con molti nomi: cipolla canina, cipollaccia turchina, cipollaccio col fiocco o giacinto dal pennacchio. Il nome scientifico è muscari comosum e la parte commestibile è quella in cima, che assomiglia ad una cipolla. Hanno un sapore particolare: la decisa nota amara iniziale si trasforma in un retrogusto più rotondo e delicato sul finale, mentre l’odore è dolciastro e aromatico. A causa della complessità del loro sapore si cucinano in maniera molto semplice: in padella, nella frittata, oppure marinati con l’aceto.

Lampascioni

Muschiska

Prodotta a Foggia, in particolare nei comuni di Rignano Garganico e Sannicandro Garganico, è una ricetta a base di carne di pecora, capra o vitellone, condita con sale, aglio e finocchio e messa ad essiccare al sole per due o tre settimane. Si mangia sia cotta sulla brace che cruda: il suo nome deriva dall’arabo mosammed, che vuol dire “cosa dura”. Secondo l’età dell’animale scelto il suo sapore varia: più delicato se l’animale è giovane, più rustico e sapido se l’animale è più maturo.

Muschiska

Pallone di Gravina

Il Pallone è un formaggio semiduro a pasta cruda filata, prodotto con latte bovino crudo, originario di Gravina ma prodotto anche nelle Murge e in Basilicata. Legato al percorso della transumanza, in cui Gravina rappresentava una sosta quasi obbligata per i pastori, ha una forma tondeggiante e si produce da gennaio a marzo: può essere consumato fresco, dopo 3 settimane, oppure stagionato, dopo 3 o 4 mesi, quando assume una leggera nota piccante. In Puglia si consuma da solo, come antipasto, o all’interno di panini e pucce.

Pallone di Gravina

AAAAAAAAAAAAAAAAPane di Altamura

Il pane di Altamura è un prodotto DOP realizzato rimacinato di semola di grano duro di diverse varietà: appulo, arcangelo, duilio, simeto. Queste tipologie sono prodotte nell’area fra i comuni di  Altamura, Gravina di Puglia, Poggiorsini, Spinazzola e Minervino Murge: ha una crosta molto croccante e una mollica soffice di colore giallo paglierino. Ne esistono due versioni: la prima è alta, accavallata e viene chiama U sckuanéte (pane accavallato), mentre la seconda è più bassa ed è chiamata A cappidde del padre de simone (cappello di prete a falda larga).

Pasticciotti

Dolce tipico salentino, è fatto di pasta frolla cotta in forno, ripieno di crema pasticciera e spennellato di tuorlo d’uovo sulla parte superiore. La nascita del prodotto risale almeno all'inizio del Settecento e nei secoli ne sono state inventate diverse varianti, fra cui quella dedicata al presidente Obama dopo la sua elezione. I salentini lo mangiano appena sfornato: l’ideale per gustare appieno del sapore e della fragranza del dolce. Spesso si consuma al mattino presto come parte della prima colazione.

Pasticciotti pugliesi

Puccia

Pane di semola morbido e rotondo di origini salentine, frequentemente si trova in una versione che prevede, nell'impasto, anche pezzi di pomodoro, cipolla e olive, la puccia è ormai famosa ben oltre i confini pugliesi. Si produce anche in altre zone della regione e assume nomi diversi secondo la provincia: a Foggia, ad esempio, viene chiamata papòsc ed è fatta con lo stesso impasto della pizza. Una versione particolare è la puccia caddhipulina, che si prepara a Gallipoli per la vigilia dell’immacolata concezione, il 7 dicembre: era tradizionalmente farcita con capperi e acciughe sotto sale, anche se in tempi moderni si aggiungono spesso tonno, pomodori e olio extravergine. La puccia si mangia come un panino: si può farcire con gli ingredienti più vari ed è solitamente servita divisa a metà.

Ricotta forte

Una ricotta dal sapore intenso e piccante, come non se ne trovano in nessun altro angolo d’Italia: la ricotta forte. Una volta fatte le mozzarelle, il siero di latte di vacca (a volte anche di capra) non viene buttato ma impiegato per produrre una ricotta dal gusto deciso. La lavorazione è differente dagli altri formaggi: al siero viene aggiunto circa il 10% di latte e portato a una temperatura fra i 70 e gli 80 gradi. La ricotta che man mano affiora, viene rimossa con una schiumarola, salata e messa nelle tipiche fuscelle di giunco. Queste vengono poi lasciate su tavoli di legno a “spurgare” per 3 o 4 giorni, in modo da far perdere il liquido. In questo modo si avvia un processo di irrancidimento controllato: le fuscelle vengono infatti sostituite da contenitori di terracotta smaltata o da recipienti di legno dove la massa viene continuamente rimescolata con un cucchiaio di legno apposito, per evitare che si formino muffe. A questo punto la ricotta inizia a diventare densa assumendo un color crema e un odore molto forte. Ha un sapore intenso e aromatico, sempre più piccante che diventa cremoso e sapido sul finale man mano che aumenta il periodo di stagionatura, che può durare fino a 5 mesi. Si usa in piccole quantità per dare più vigore ai sughi, all’interno dei panzerotti fritti oppure spalmata sul pane.

Ne abbiamo parlato anche qui http://www.gamberorosso.it/it/food/1025035-ab-cheese-eleonora-baldwin-e-i-formaggi-burrata-e-ricotta-forte

Ricotta forte

Sgagliozze

La polenta al sud: difficile da immaginare, per chi non è mai stato a Foggia e Bari. Ma anche qui c'è una versione regionale, realizzata con farina di granturco. Si preparano delle fette di polenta poi lasciate seccare per 2 o 3 giorni in modo che perdano un po’ di acqua, successivamente tagliate a triangoli e fritte nell’olio. Si mangiano come antipasto o come street food. L’etimologia del nome non è certa: potrebbe derivare da scaglia, quindi pezzo tagliato in maniera grossolana, oppure da moneta, in relazione al suo colore dorato.

Sgagliozze

Stracciatella e burrata

Due formaggi tipici che hanno reso famosa la cucina pugliese: stracciatella e burrata. La stracciatella, di mucca o di bufala, è un formaggio a pasta filata fresco e dal sapore leggermente acidulo ma delicato: tipico della provincia di Foggia, è fatto di straccetti di mozzarella e panna (ne abbiamo parlato anche qui http://www.gamberorosso.it/it/food/1025035-ab-cheese-eleonora-baldwin-e-i-formaggi-burrata-e-ricotta-forte). La mozzarella viene “stracciata” a mano, in modo da formare filamenti irregolari. La burrata è il passo successivo: un sacchetto di pasta filata liscia e morbida che racchiude un cuore di stracciatella. È prodotta un po’ in tutta la Puglia, ma il suo territorio d’elezione sono le Murge, in particolare Andria.

A cura di Francesca Fiore

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