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Ferragosto al mare o in montagna. Con lo street food d’autore da Cortina a Ostuni

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Per tutta l’estate lo stabilimento LullaBay ospita lo chef mauritiano di Ceglie Messapica, che porta in spiaggia la sua idea di street food. A Cortina El Brite de Larieto inventa la cucina mobile che arriva ad alta quota. A Cagliari l’ape di Cucina.Eat. Idee perfette per un insolito pranzo di Ferragosto. E non solo. 

Street food di Ferragosto. All’aperto, ma gourmet

Con lo street food d’autore Vinod Sookar, e sua moglie Antonella Ricci (con cui guida la cucina di Al fornello da Ricci, a Ceglie Messapica), hanno una consuetudine già avviata qualche tempo fa, quando con altri illustri colleghi italiani hanno aderito al progetto milanese JarIt, pietanze in barattolo e take away a prezzi popolari e semplici da mangiare, ma con tutti i crismi di un piatto d’alta cucina. Quest’estate però lo chef di origini mauritiane ha deciso di riprovarci con un progetto solista, a bordo di un vecchio furgoncino Bedford del ’73, trasformato per l’occasione in una cucina su ruote equipaggiata di tutto punto. Vinod non è certo il primo chef di rango a cedere al fascino del cibo di strada, e, in buona compagnia, fornisce solo una delle molteplici opportunità a chi vuole trascorrere un Ferragosto all’aperto senza rinunciare ai piaceri della buona tavola. Dimenticate il pranzo in famiglia che vi tiene inchiodati con le gambe sotto a un tavolo fino a pomeriggio inoltrato; e mettete una croce sopra anche su improbabili menu di Ferragosto serviti da sparuti ristoranti rimasti aperti in città. Qualche spunto per trascorrere un giorno di festa alternativo senza gravare troppo sul portafoglio ve lo proponiamo noi, al mare o in montagna che sia.

Gustopia. Street food da spiaggia a Ostuni

Chi si trova in Puglia può contare sullo street food da spiaggia di Vinod. Lo chef ha inaugurato il progetto Gustopia già da qualche settimana in collaborazione con lo stabilimento LullaBay di Ostuni (località Pilone), che ospita il suo furgoncino bianco e azzurro per tutta l’estate. E il menu parla chiaro, spaziando tra gli ingredienti del territorio e il ricordo di sapori esotici che Vinod porta con sé dall’infanzia.  Quindi immancabili sandwich e panini gourmet (come il pane al nero di oliva cellina ripieno di chutney di melanzane e menta, stracciatella, cipolla in agrodolce di Acquaviva e capocollo di Martina Franca), ma anche pietanze più complesse, dal Curry di pesce dell’Adriatico con latte di cocco e riso basmati al Naan indiano farcito con pulled pork e salsa bbq artigianale, alle pettole di pollo al curry in emulsione di pomodoro fresco piccante.

El Brite Mobile a Cortina

Se invece avete scelto di trascorrere le vacanze lontano dal mare, a Cortina d’Ampezzo El Brite Mobile corre in soccorso di chi non sa rinunciare a un pic nic ad alta quota che non preveda solo speck e panini. Meglio se con vista sulle Dolomiti. Lo chef Riccardo Gaspari e sua moglie Ludovica  Rubbini, che insieme gestiscono il celebre ristorante-rifugio ampezzano El Brite de Larieto, hanno ideato una cucina mobile che arriva dovunque siano richieste cucina creativa, stagionalità e spirito conviviale. Su, fin oltre i 2000 metri, per esempio, ma anche nel bel mezzo di un bosco o in riva a un ruscello di montagna. La cucina mobile viene allestita nello spazio concordato con i commensali, e così un tavolo per minimo 4 persone (fino a un massimo di 10 commensali) a cui sarà servito un pranzo a menu fisso che parla di montagna.  Qualche esempio? La tartare di manzo su crostino di topinambur e per proseguire gli spaghetti Felicetti cotti in brodo di pino mugo con briciole croccanti; ma anche erbe di montagna e succo di sambuco, pancetta croccante e formaggi del caseificio Piccolo Brite. Insomma, un menu opulento ben lontano dal consueto street food. Ma per i più tradizionalisti El Brite apparecchia la tavola anche sull’erba, con la tovaglia a quadretti di rigore. Dove? Sui prati di Alverà, con vista sulla Conca di Cortina, e un cestino pieno di delizie.

Panino.eat. L’ape di Cucina.eat a Cagliari

E proprio negli ultimi giorni anche Cagliari ha scoperto lo street food gourmet. Ad aprire le danze ci pensa l’ape di Cucina.eat, insegna d’eccellenza più volte premiata dalla nostra guida. Panino.eat si muoverà tra i parcheggi della città, radunando una squadra di tutto rispetto: a bordo sulla cucina mobile gli chef Manuele Senis, Enrico Carta e Pierluigi Fais, coadiuvati dal maestro gelatiere Fabrizio Fenu. Il menu? Panini – da non perdere il Maialino, con pancia di maiale, crema di pomodoro e lattuga arrosto - e sfizi, ma anche zuppe e fritture secondo lo spirito che anima la bottega bistrot di Alessandra Meddi e Giuseppe Carrus. E presto si viaggerà oltre i confini dell’isola.

 

Gustopia al LullaBay | Pilone, Ostuni (BR) | via del Procaccia | www.lullabay.it

El Brite Mobile | Cortina d’Ampezzo (BL) | Località Larieto, strada per Passo Tre Croci | www.elbritedelarieto.it

Cucina.eat | Cagliari | piazza Galileo Galilei, 1 | www.shopcucina.it

a cura di Livia Montagnoli

 


Ferragosto alternativo. Con le ricette di Eugenio Roncoroni, Luciano Monosilio e Floriano Pellegrino

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Da nord a sud, ognuno ha le proprie tradizioni e abitudini. Noi abbiamo chiesto a tre giovani chef di Milano, Roma e Lecce delle ricette originali per stupire gli amici durante il pranzo di Ferragosto. 

Eugenio Roncoroni – Al Mercato

Padre milanese e mamma californiana, con alle spalle anni vissuti intensamente negli States. È proprio da qui, specie dalla California, che importa un modo diverso di fare ristorazione, e decide di aprire, insieme al socio Beniamino Nespor, l'ormai stra noto Al Mercato. Che a Milano conta la casa madre con doppia anima - gourmet e burger bar - dove la cucina sta nel mezzo, il Noodle Bar e il Taco Bar. Tre indirizzi giovani e informali ma non per questo da sottovalutare. Anzi, qui il cibo di strada è cosa seria. Provare per credere. Venendo al Ferragosto, Eugenio consiglia di cimentarsi con le Animelle e salsa al fiore di cappero e zeste di limone.“Un tipico esempio di come una ricetta apparentemente pesante in realtà risulti leggera al palato e aromatica, con sapori sia mediterranei che di montagna. Insomma, un twist italiano per una ricetta francese”.

Animelle e salsa al fiore di cappero e zeste di limone

1 animella di vitello intera

1 l di latte

1 testa di aglio

Pepe in grani

200 g di farina

Timo e maggiorana sfogliata

1 noce di burro

Zeste di limone

Sale maldon

Fare sobbollire l'animella nel latte, con aglio e pepe in grani per 1 ora e mezza, raffreddare e sgranare l'animella. Passarla nel mix di farina ed erbe, sciogliere una noce di burro in una padella e arrostire nappando in continuazione l'animella.

Per la salsa

500 g di panna

100 g di brodo di carne

100 g di vino bianco

100 g di fiori di cappero

Unire tutti gli ingredienti e ridurre della metà. Prima di impiattare filtrare la salsa con un colino fine. Impiattare asciugando prima l'animella dal grasso in eccesso, ponendo la salsa sulla base del piatto, poi l'animella e infine abbondante zeste di limone, sale maldon e pepe grattato sopra.

Luciano Monosilio - Pipero al Rex

Classe 1984, ha esordito a soli vent'anni nella cucina dei fratelli Roscioli, per poi navigare nelle acque di Pierangelini, Uliassi e Crippa. Approdando infine da Pipero al Rex, il ristorante all’interno dell’Hotel Rex a Roma, che lo vede affianco del grande ristoratore Alessandro Pipero. Luciano Monosilio è un fuoriclasse, tant'è che la sua cucina, fatta di sapori netti, sperimentazioni e fervida curiosità, convince sempre di più. E quando gli abbiamo chiesto una ricetta in occasione di Ferragosto non si è certo limitato al tradizionale pollo e peperoni - un classico della cucina romana, in particolare uno dei piatti immancabili nel pranzo del Ferragosto capitolino – no: è andato oltre. Ecco dunque la sua ricetta del diaframma, peperoni, avocado e rapanello.

Diaframma, peperone, avocado e rapanello (per 4 persone)

Per il fondo di manzo (da preparare il giorno prima)

100 g di ossi di manzo

20 g di sedano

20 g di carote

10 g di cipolla

20 g di olio extravergine di oliva

10 g di saba

20 g di aceto di mele

1 g di anice stellato

2 g di pepe in grani

Mezzo limone

Far rosolare in una casseruola sedano, carote e cipolla con l’olio extravergine, aggiungere pepe e anice stellato, sfumare con aceto di mele e saba. Infine coprire con acqua e lasciar bollire per 24 ore il tutto a fuoco lento. Dopo ventiquattro ore filtrare, far freddare e congelare in una teglia alta gastronorm, in modo da poterlo decantare e filtrare da tutte le impurità. Ridurre il liquido rimasto e lasciarlo riposare. Verrà poi utilizzato per laccare il diaframma dopo la cottura.

Per la salsa avocado (da preparare il giorno prima)

1 avocado

100 g di rum

50 g di acqua

70 g di zucchero di canna

30 g di succo di limone

20 g di foglie di menta

40 g di zenzero

Pulire l'avocado togliendo molto attentamente il nocciolo e la buccia, senza rimuovere la parte verde che si trova tra buccia e polpa. Mettere sottovuoto, con il composto di rum, acqua, zenzero, zucchero di canna, succo di limone e menta precedentemente bollito e raffreddato. Lasciar riposare per 15 ore. Poi frullare il composto con un frullatore a immersione, fino a ottenere una salsa liscia e omogenea. Riporre la salsa in una pompetta.

Per i peperoni

2 peperoni verdi

2 spicchi d’aglio

10 g di olio extravergine di oliva

1 g di sale

Bruciare i peperoni verdi con un cannello, raffreddare in acqua e ghiaccio, togliere la pelle, aprirli e pulirli bene, rimuovendo semi e filamenti bianchi. Una volta tagliati a metà, metterli sottovuoto con olio extravergine e sale, e cuocerli per tre ore in acqua a 65° C. Una volta cotti, scolarli e asciugarli bene.

Per l’insalata di rapanelli:

4 rapanelli

Tagliarli a rondelle molto fini e conservare in acqua e ghiaccio.

Per il diaframma

200 g di diaframma di manzo

Dividere il diaframma in quattro parti e scottare sulla piastra ciascun pezzo da tutti i lati. Lasciare riposare 2 minuti, poi infornare a 180° C per 4 minuti e lasciare riposare per altri 4 minuti.

Una volta preparati tutti gli elementi (per ultimo il diaframma), laccare ciascun pezzo di diaframma con il fondo, ricoprire con il peperone verde, disporre sul piatto tre punti abbondanti di salsa di avocado e terminare con l’insalata di rapanelli crudi (vedi foto in apertura).

Floriano Pellegrino – Bros

Ha cominciato al fianco di Ilario Vinciguerra, e da lì non si è più fermato: è volato in Spagna, alla corte di Martin Berasetegui, per poi proseguire il suo viaggio formativo nelle più grandi cucine internazionali. Da Eneko Atxa a Renè Redzepi, ritornando in Spagna da Andoni Luis Aduriz, passando per Londra, da Hibiscus, e Francia, da Le Grenouillere. Oggi, non ancora ventiseienne, gestisce insieme ai fratelli Francesco e Giovanni il ristorante Bros a Lecce. A pochi chilometri da Scorrano, il paese natale. In occasione di Ferragosto propone il Cucumarazzu, gambero, rafano, aneto. “Un piatto nato dal nostro amore per uno dei prodotti meno conosciuti della tradizione estiva pugliese, in particolar modo salentina: la meloncella, che a Scorrano viene chiamata cucumarazzu”. A onor di cronaca in Salento questo ortaggio viene chiamato in modi diversi a seconda del comune: minunceddhra, pupuneddhra, spiuleddhra, cucumbarazzu, cummarazzu... “La straordinarietà di questo prodotto è che sino a oggi la sua diffusione è limitata soltanto al Salento e ad alcune aree dell’Afghanistan. È dunque un vero e proprio patrimonio gastronomico da tutelare e promuovere. A questo si aggiunge un tocco di sacralità: tradizione vuole che i primi cucummarazzi si raccolgano a giugno, nel giorno di Sant’Antonio. Da questo momento in poi diventa il compagno quotidiano della dieta estiva di noi salentini”. Simile esteticamente a un cetriolo, ma molto più vicino come consistenza e caratteristiche a un melone, è croccante, ricco d'acqua, dal sapore leggermente dolce e “la sua capacità di assorbire i liquidi nei quali è immerso lo rende perfetto per le insalate, oltre che molto amato dagli anziani sprovvisti di dentiera! Per questo i nostri nonni preparavano al mattino presto un’insalata a base di cucummarazzu, olive nere, cipolle, olio e aceto. Da mangiare a pranzo, dopo che l'ortaggio ha assorbito tutti i liquidi e gli aromi”. Da qui nasce la ricetta di Foriano, che però innova gli abbinamenti per raccontare il Salento moderno.

Cucumarazzu, gambero, rafano, aneto (per 1 insalata)

Per la granita di rafano

100 g di centrifugato di rafano

300 g di acqua minerale

Mettere il composto in un bicchiere pacojet e congelare. Grattare per formare una granita.

Per la crema di aneto

300 g di centrifugato di aneto

100 g di acqua di cozze

3 g gelatina vegetale

Scaldare a 60° C tutti gli ingredienti, lasciar raffreddare e rompere con una forchetta.

Per l'insalata

1 cucumarazzu

Centrifugato di aneto

2 gamberi di Gallipoli

Formare dai caroselli delle palline di diverse dimensioni eliminando la buccia. Metterli al vac (sottovuoto) per tre volte con il centrifugato di aneto diluito con acqua, precedentemente preparato. Aggiungere i gamberi di Gallipoli a crudo, pelati e sottratti dell'intestino, la granita di rafano e la crema di aneto.

 

Al Mercato | Milano | via Sant'Eufemia, 16 | tel. 02 87237167 | www.al-mercato.it

Pipero al Rex | Roma | via Torino, 149 | tel. 06 4815702 | www.hotelrex.net

Bros | Lecce | via Acaja, 2 | tel. 0832 092601 | www.brosrestaurant.it

 

a cura di Annalisa Zordan

foto di apertura: www.albertoblasetti.com

 

 

 

Nughedu Welcome: in Sardegna nasce il primo borgo social eating in Italia

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Nasce in Sardegna il primo Comune social eating, nel piccolo borgo di Nughedu Santa Vittoria, in provincia di Oristano. Accade il 19 agosto, giorno in cui il paesino sardo si trasformerà in un ristorante diffuso a cielo aperto. 

L’evento

Siamo a Nughedu Santa Vittoria, piccolo Comune in provincia di Oristano nella regione sarda di Barigadu. Il prossimo 19 agosto, questo paesino di appena 497 abitanti si prepara a trasformarsi nel palcoscenico perfetto per celebrare una giornata all'insegna del social eating. Ovvero un ristorante diffuso a cielo aperto, che coinvolge veramente tutti, dagli chef professionisti alle casalinghe amanti della cucina. Il progetto è stato ribattezzato Nughedu Welcome e, come lascia intuire il nome, nasce dalla volontà di ampliare e rafforzare l'attrattività turistica del borgo, mettendo in luce le potenzialità che condivide con buona parte della Sardegna: accoglienza calorosa, cultura tradizionale e voglia di raccontarsi, partendo proprio dalla tavola, luogo di condivisione per eccellenza.

L’obiettivo

Piatti tradizionali della cucina sarda, nuovi abbinamenti e rivisitazioni delle ricette classiche: è questo il mix gastronomico che il festival si propone di promuovere durante la giornata che culminerà con la cena a cura di Roberto Petza, chef del ristorante S’Apposentu di Casa Puddu, Tre Forchette sulla guida Ristoranti d’Italia 2016 del Gambero Rosso. In occasione di Nughedu Welcome, il cuoco sardo presenterà la rivisitazione della pasta in brodo. Ma l’evento non si focalizza solamente sull’alta cucina: tutti gli abitanti del paese apriranno le proprie case (e cucine) per un confronto diretto sulle preparazioni tradizionali del territorio con i propri compaesani e con i turisti che raggiungeranno il paese. “Siamo giovani eroi del quotidiano, crediamo nei valori dell'autosostentamento, nelle proprietà magiche della nostra terra, capace di dare origine a frutti dal sapore sconosciuto”: così si definiscono i ragazzi del team organizzativo di Nughedu Welcome, il cui obiettivo è quello di promuovere un territorio attraverso le sue ricchezze gastronomiche. “Siamo custodi della nostra biodiversità, lottiamo per proteggere la qualità delle nostre produzioni e consideriamo l'innovazione un'opportunità per osteggiare il fantasma dello spopolamento”, un fenomeno troppo spesso ricorrente nei piccoli borghi del Sud Italia, specialmente nelle isole.

Nata dalla collaborazione fra Nabui, società che sperimenta modelli di sviluppo a impatto sociale, e Gnammo, portale web italiano di social eating, la manifestazione è sostenuta dall’amministrazione comunale di Nughedu Santa Vittoria. I biglietti per la cena con lo chef Petza sono acquistabili direttamente dal sito di Gnammo, al prezzo di 25 euro l'uno.

 

Per info https://gnammo.com/Nughedu%20Welcome

a cura di Michela Becchi

ABCheese, Eleonora Baldwin e i formaggi: Mozzarella Bufala di Paestum e Ficaccio

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Vado in Campania, a sud di Salerno, dove in direzione Paestum approfondisco una mia personale indagine sulla mozzarella di bufala DOP lasciata in sospeso… e già che sono in zona, ad Eboli sondo il legame tra territorio, tradizione e agricoltura facendo la conoscenza di un prodotto legato a un frutto tutto cilentano, i fichi: il formaggio Ficaccio.

Mozzarella di Bufala di Paestum

Non si può dire di amare e conoscere la mozzarella di bufala senza averne assaggiato tutte le varianti. In nome della ricerca, imbocco la via Lattea in direzione Salerno, verso la piana del Sele. La mia meta è il caseificio dell’Azienda Agricola Barlotti, dove storia e tradizione si sposano con la qualità e il sapore delle loro mozzarelle. Da dove si rilassano le bufale, pigramente sdraiate nella loro personale spa di fanghi, si vedono da un lato i templi dello scavo di Paestum, e dall’altro una stupenda fascia di spiaggia sul Mar Mediterraneo. Per ottenere un chilo di mozzarella di bufala servono circa 4 litri e mezzo di latte. Con questi stimoli artistici, non sorprende che la qualità di questo latte renda la mozzarella unica!

Mozzarella di bufala

Storia e Territorio

Le prime testimonianze sulla mozzarella di bufala risalgono al 1400, quando veniva chiamata semplicemente ‘mozza’, perché la fase finale del processo di lavorazione termina con la mozzatura. Risalgono al XII secolo i primi documenti storici che testimoniano come i monaci del monastero di San Lorenzo a Capua avevano l’abitudine di offrire il formaggio mozza o “provatura” – quando affumicato – ai pellegrini che si recavano in processione alla chiesa del convento. Il termine ‘mozzarella’ compare per la prima volta nel 1570 nel compendio di pietanze di Scappi, uno dei cuochi della corte papale.

Le macro-zone di produzione della mozzarella di bufala DOP sono 4: in Campania è nel territorio delle province di Caserta, Salerno e parte delle province di Benevento e Napoli; nel Lazio è prodotta in parte delle province di Frosinone, Latina e Roma. In Puglia in parte della provincia di Foggia, mentre in Molise in parte della provincia di Isernia.

Lavorazione e Stagionatura

Il latte crudo di bufala appena munto, termizzato o pastorizzato, viene addizionato con siero-innesto della lavorazione precedente. La cagliata si ottiene con aggiunta di caglio di vitello, e poi rotta con lo spino alle dimensioni di una noce. La pasta viene lasciata sotto siero per acidificare fino al punto di filatura. Passato questo tempo, la cagliata sminuzzata viene filata in mastelli di legno con acqua bollente. A questo punto i casari provvedono, uno di fronte all’altro, a mozzare le varie forme di formaggio, dando loro a seconda della specifica pezzatura, la classica forma tondeggiante, o a ciliegia o a treccia. Il segno che la mozzarella è stata mozzata a mano e non a macchina è una riconoscibile “stella” a 3 punte sulle forme mozzate. Il processo si conclude con salatura in salamoia. Appena 3 ore dopo la salamoia, la mozzarella è pronta per l’assaggio.

Assaggio

La “buccia” della mozzarella di bufala è una superficie liscia e sottile, abbastanza elastica e di color bianco porcellanato. Azzannandola con un morso appassionato, la pasta è filata, croccante, delicata e rilascia siero bianco che cola sul mento. A volte può presentare alveoli irregolari, dai quali sgorga siero e amore. Il gusto è quello del latte, del fieno, floreale e selvatico. La sapidità è presente ma non incisiva. Tutto della mozzarella di bufala di questa zona parla di delicatezza ed equilibrio.

Ficaccio

Viaggio verso Eboli. Qui voglio incontrare Antonio Madaio, un uomo che ha creato un’azienda unica qui in Campania, che crea formaggi freschi campani, ma anche semi-stagionati e stagionati di grande qualità, in maniera totalmente naturale e rispettosa della tradizione. Il mio obiettivo è saperne di più sul formaggio Ficaccio, un prodotto che unisce due elementi rappresentanti del Cilento: la freschezza del latte di bufala e la nota erbacea delle foglie di fico cilentano.

Ficaccio

Storia e Territorio

Prodotto dall’azienda di famiglia Casa Madaio nel territorio del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano, il Ficaccio è una formaggio fatto con due latti, vaccino e bufalino, che stagiona avvolto in foglie di fico.

Lavorazione e Stagionatura

La miscela di latte crudo vaccino e bufalino, viene portata a temperatura e addizionata di caglio. La coagulazione avviene dopo una ventina di minuti. Dopodiché viene rotta alla dimensione di un chicco di riso. Raccolta la cagliata nelle fuscelle, si lascia spurgare il siero con numerosi rivoltamenti. Dopo tre giorni di riposo in ambiente umido, su assi di legno, le forme vengono sottoposte a una lavorazione particolarissima.

Prima di andare in stagionatura, ciascuna forma di Ficaccio viene infatti avvolta manualmente in foglie di fico umide. Così matura per circa 30 - 40 giorni in grotte naturali nella vicina località di Castelcivita, in un habitat ideale grazie al tasso di umidità che gli conferisce freschezza, morbidezza e il tipico gusto di fico.

Assaggio

La forma tonda di circa 18 cm con scalzo di 5 cm è interamente avvolta da foglie di fico e legata con un giro di rafia. Aprendo la forma, la buccia appare sottile, lucida e liscia. La pasta è paglierina, e non presenta occhiatura. L’aroma è latteo e la sua natura mista vaccina e bufalina si avverte netta nel naso. Ma quello che più colpisce è la costante presenza di una nota verde, Mediterranea e fruttata data della foglia di fico. In bocca, la pasta è leggermente elastica e adesiva, ma immediatamente solubile con il calore della masticazione. Il bagaglio aromatico è confermato al palato, con una sapidità bilanciata e un finale incisivo dato dal fico, che chiude con eleganza l’insieme armonico.

Il Cilento è un territorio meraviglioso, e sento che può dare ancora tanto...ma tanto! Il mio viaggio non può quindi che continuare, alla scoperta di altri meravigliosi e unici formaggi.

 

Questi e altri formaggi li racconto in ABCheese, viaggio nell’Italia dei formaggi, un programma che va in onda tutti i martedì su Gambero Rosso Channel - SKY 412 alle 12 e alle 21:30, con repliche sab e dom alle 17:00 e alle 22:30

 

a cura di Eleonora Baldwin

 

Per leggere ABCheese: Eleonora Baldwin e i formaggi: Fiocco della Tuscia e Gran Ducato di Castro clicca qui 

Per leggere ABCheese: Eleonora Baldwin e i formaggi: Vezzena e Lagorai clicca qui

Per leggere ABCheese: Eleonora Baldwin e i formaggi: burro di malga e formaggio paganella clicca qui

Per leggere ABCheese: Eleonora Baldwin e i formaggi. Caciocavallo podolico e cacioricotta pugliese clicca qui

Per leggere AB Cheese: Eleonora Baldwin e i formaggi. Burrata e ricotta forte clicca qui 

Per leggere AB Cheese: Eleonora Baldwin e i formaggi. Scamorza nell’acqua e pampanella clicca qui

Per leggere AB Cheese: Eleonora Baldwin e i formaggi. Brinato della Marcigliana e Conciato di Rebibbia clicca qui

Per leggere A B Cheese: Eleonora Baldwin e i formaggi. Pecorino romano e caciofiore clicca qui

Per leggere A B Cheese: Eleonora Baldwin e i formaggi. Mozzarella di bufala a Conciato romano clicca qui

Per leggere A B Cheese: Eleonora Baldwin e i formaggi. Fiordilatte e Provolone del Monaco Dop clicca qui

Per leggere A B Cheese: Eleonora Baldwin e i formaggi. Pecorino affinato in botte e stracchino clicca qui

Per leggere A B Cheese: Eleonora Baldwin e i formaggi. Ricottina aromatizzata e Gregoriano clicca qui

Per leggere A B Cheese: Eleonora Baldwin e i formaggi. Abbucciato Aretino e Pecorino Riserva Mascalzone clicca qui

Per leggere A B Cheese: Eleonora Baldwin e i formaggi. Val di Chiana: Pecorino Fresco di Torrita di Siena e Tomino di Capra di Ville di Corsano clicca qui

Per leggere A B Cheese: Eleonora Baldwin e i formaggi. Squacquerone di Romagna Dop e formaggio di fossa Dop clicca qui

Per leggere A B Cheese: Eleonora Baldwin e i formaggi. Mascarpone e pannerone clicca qui

 

 

 

 

Guida ristoranti dell'Espresso. Enzo Vizzari racconta la rivoluzione dei cappelli

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Dal 1978, anno della prima edizione, a ieri, il giudizio della guida ristoranti d'Italia dell'Espresso si sintetizzava in voti modulati in ventesimi, sul modello della Guida Gault Millau con cui inizialmente era in partnership. Il 15 agosto 2016, nel consueto anticipo ferragostano sulle pagine di Repubblica, l'annuncio della rivoluzione: nell'edizione 2017 - che verrà presentata il prossimo 20 ottobre come di consueto a Firenze alla stazione Leopolda - non ci saranno più i voti. Al posto loro, i cappelli. Non più da zero a tre, bensì da zero a cinque. Ci siamo fatti spiegare bene il meccanismo e la novità dal curatore Enzo Vizzari.

Direttore, è una rivoluzione o no?

Non parlerei di una rivoluzione, semplicemente aboliamo i punteggi in ventesimi e inauguriamo una valutazione da 0 a 5 cappelli.

Perché?

È necessaria una premessa: in Italia ci sono 200.000 posti che somministrano cibo, e io sono per una guida (questo vale anche per quella dei vini) sempre meno generalista. Ecco perché nell'edizione del 2017 citeremo 2.700 ristoranti, di cui 2mila con la scheda. Questi rappresentano il vertice della piramide qualitativa.

Insomma essere menzionati è un riconscimento in sé...

Esatto! Già essere in guida è un premio.

È chiaro, ma perché cambiare così radicalmente sulle modalità di valutazione?

Anno dopo anno ho trovato sempre più difficile assegnare, a ragion veduta e in modo coerente, una valutazione espressa in frazione di punto a locali fra loro profondamente diversi. E giudicati da collaboratori altrettanto diversi. Non aveva più alcun senso dare un punteggio di 14.5 a un ristorante in Val Badia e di 14 a un altro locale a Pachino, per esempio, solo perché magari erano valutati da due collaboratori diversi. Così ho deciso di tagliare la testa al toro, eliminando i punteggi e inserendo sei fasce: da 0 a 5 cappelli.

Che cosa giudicano i cappelli?

Il giudizio riguarda esclusivamente la cucina. Questo è il mantra della nostra guida.

0 cappelli che cosa significheranno?

Rappresentano quei ristoranti in cui vale comunque la pena fermarsi.

Una mezza rivoluzione comunicata ad agosto a guida praticamente chiusa. Ma gli ispettori già lo sapevano?

No. Lo sapevamo in tre persone, proprio per evitare che ci fosse disparità di valutazione.

Quindi le schede rimarranno invariate?

Sì.

È stata dunque una decisione presa in corso d'opera o è stata tenuta segreta?

È stata custotida in segreto. La decisione l'ho presa l'anno scorso, subito dopo la presentazione dell'edizione 2016.

La scala con i simboli è una prerogativa della guida Michelin che con le stelle ha dato vita a un simbolo riconosciuto in tutto il mondo. Avete preso spunto? In cosa vi differenzierete?

Mi ripeto: il nostro giudizio riguarda esclusivamente la cucina.

Non misurare in voti (centesimi o ventesimi poco cambia) significa anche livellare i locali nelle sei macro categorie, senza evidenziare chi in una ci sta stretto e chi, invece, conquista la posizione per il rotto della cuffia. È un modo per prendersi meno responsabilità? Così non si rischia il pressappochismo?

Direi di no. Il pressappochismo non c'è, sia per il fatto che i ristoranti vengono selezionati a monte (solo 2.700 su un totale di 200.000 ristoranti in Italia), sia perché dietro c'è un ragionamento ponderato e, soprattutto durante questa fase di passaggio, siamo stati molto tirati. Ho quasi la certezza che quest'anno i delusi saranno molti di più rispetto ai soddisfatti. Però ora riesco a rivedere una coerenza nei giudizi. Spero che anche i lettori leggano questo filo rosso, poi sta a loro condividerlo o meno.

Togliere il giudizio numerico aiuta anche a valutare i ristoranti che non si riescono a visitare ogni anno?

Assolutamente no. Nel sistema informatico, quando viene inserita la scheda pretendo tassativamente che venga allegata anche la ricevuta fiscale. In guida non entra un ristorante che non sia stato visitato almeno una volta. E qui ci distinguiamo dalla Michelin nella quale, se un ristorante non ha alcuna stella, è il locale stesso a inviare la scheda con tutte le informazioni di servizio (orari, giorno di chiusura, etc..).

Meno responsabilità da una parte (un range più largo implica di volta in volta non giustificare il mezzo punteggio), più responsabilità dall'altra, quando ogni cambiamento verrà vissuto come un terremoto. Ne siete consapevoli?!

Assolutamente sì!

A scanso di equivoci: 1 cappello equivarrà a?

1 cappello parte da 15/20, però a seguire non c'è una trasposizione pari pari, quindi non è detto che 2 cappelli equivalgano a 16/20 per intenderci...

Questo punto rimane un segreto professionale. In attesa di vedere i risultati il 20 ottobre, ecco alcune anticipazioni: tra i premi speciali, quello come cuoca dell'anno ad Antonia Klugmann de L'Argine di Vencò a Dolegna del Collio, in provincia di Gorizia. Novità dell'anno a Danì Maison di Nino di Costanzo a Ischia e Lume di Luigi Taglienti a Milano. Giovane chef dell'anno è invece il 27enne Francesco Brutto dell'Undicesimo Vineria a Treviso. E maître dell’anno è Sokol Ndreko del Lux Lucis dell’Hotel Principe di Forte dei Marmi.

 

a cura di Annalisa Zordan

 

 

 

Mille chilometri per promuovere la filiera corta: ecco il tour di L'Alveare che dice sì!

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Un tour di mille chilometri per mettere insieme produttori e consumatori, stimolando la nascita di tante piccole reti di filiera corta. È l’obiettivo di "L'Alveare che dice sì!", start up creata nell’incubatore del Politecnico di Torino, I3P, che quest’estate trasformerà 6 città italiane in Food Innovation Villages. 

Il tour dell’Alveare

Grazie ad un Food Truck e a un team formato da cameraman e storyteller, L’Alveare che dice Si! attraverserà il nostro territorio per scoprire prodotti e aziende locali, analizzare le pratiche che ruotano attorno al consumo di cibo e raccontare come la tecnologia abbia cambiato e stia rivoluzionando le nostre società, soprattutto in ambito alimentare. L’obiettivo è mettere insieme tutte quelle esperienze che cercano di cambiare il volto del consumo attuale di cibo, puntando su sharing economy, filiera corta e sostenibilità.

Sarà Torino ad aprire il tour, in occasione dell’inaugurazione del Salone del Gusto Terra Madre prevista per il 22 settembre. Il team di L’Alveare che dice si! si sposterà a Milano dal 28 al 30 settembre, per proseguire verso Bologna dove sosterà dal 1 al 3 ottobre. La Capitale ospiterà i trucker dal 5 al 7 ottobre, mentre Napoli dal 5 al 7. Infine Bari, ultima tappa del viaggio, dal 13 al 15 ottobre. Ma i giovani imprenditori non saranno da soli: ad accompagnarli in ogni tappa del tour ci saranno alcune fra le più brillanti e innovative aziende in ambito food e sharing economy. Al fianco dei trucker ci sarà ad esempio Gnammo, portale di social eating più grande d’Italia, o Last Minute Sotto Casa, piattaforma che permette ai negozianti di vendere gli alimenti rimasti in dispensa a fine giornata con prezzi al ribasso, riducendo così gli sprechi.

Come si crea un alveare

Fondato da Eugenio Sapora, L’Alverare che dice Si! è un progetto che mette insieme domanda e offerta declinandole localmente: l’app gratuita, infatti, permette di creare dei piccoli alveari, ossia delle reti di consumatori e produttori su base geografica.

Per partecipare basta scaricare l’app gratuita o iscriversi al portale: da qui ogni utente potrà unirsi a un alveare già creato, oppure crearne uno che raggruppi consumatori e  produttori più vicini a lui. Una volta entrati nell’alveare, il consumatore può comprare i prodotti on line e ritirarli nei punti di raccolta settimanali, senza obbligo di frequenza o di spesa minima. Dalla frutta e verdura alle uova, passando per miele, pane ma anche carne e formaggi: il tutto rigorosamente a chilometro zero, o quasi. Il gestore dell’alveare tiene i contatti tra produttori e consumatori e ha la possibilità di organizzare delle vere e proprie gite, per conoscere i produttori.

https://alvearechedicesi.it/it

 

a cura di Francesca Fiore

Top Chef Italia. La giuria, i nomi, gli sfidanti, i cuochi

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Il nuovo (ennesimo?) talent show culinario, che andrà in onda da metà settembre su canale Nove, ha finalmente rivelato i 15 concorrenti. Ecco chi sono.

Top Chef Italia

Il format televisivo decennale (inaugurato negli States nel 2006, ha poi toccato Arabia, Canada, Chile, El Salvador, Finlandia, Francia e Belgio, Grecia, Indonesia, Messico, Olanda, Polonia, Portogallo, Romania, Spagna, Svezia, Stati Uniti, Vietnam) finalmente approda in Italia. Parliamo di Top Chef Italia, talent show culinario che coinvolge 15 cuochi professionisti, con anni di esperienza alle spalle, chi come executive, chi come sous chef, chi come capo partita o consulente. Che si sfideranno per 8 settimane sotto gli occhi attenti di una giuria d'eccezione, composta da Annie Féolde, forte dell’esperienza fatta nella famosissima Enoteca Pinchiorri a Firenze, Giuliano Baldessari, chef della sua creatura Aqua Crua di Barbarano Vicentino, Moreno Cedroni, cuoco marchigiano che si divide fra La Madonnina del Pescatore di Senigallia, il Clandestino Susci Bar di Portonovo e Anikò salumeria ittica. E dall’italo-argentino Mauro Colagreco, chef del ristorante Mirazur (Relais&Chateaux di Mentone). In premio, al vincitore del programma, oltre al titolo di primo Top Chef Italia, ben 50mila euro. Vediamo i 15 partecipanti, alcuni conosciuti, altri meno.

I concorrenti

Palmiro Carlini: 40 anni, di Offida in provincia di Ascoli Piceno, è lo chef di una società di alberghi. Fin da piccolo appassionato di cucina, con alle spalle molte esperienze all'estero, tra cui Miami e Abu Dhabi. Per lui il cibo è “l'amore più sincero” e in cucina la cosa che gli piace di più è il taglio. L'obiettivo? Diffondere la neurogastronomia, perché con un piatto si può rendere felice una persona.

Matteo Torretta: 35 anni di Milano, executive chef del ristorante Asola. Comincia a cucinare a 14 anni grazie alla nonna, ma capisce di voler fare lo chef in quinta superiore, dopo aver visto il maestro Gualtiero Marchesi in azione. Con lui ha cominciato la sua gavetta, continuata nelle cucine di Perbellini, Cracco e Cannavacciuolo. Il cibo per lui è “orgasmo per il palato” e la sua cucina è riconoscibile: cotture veloci e sapori forti. L'obiettivo? Vincere, fare bella figura e far cambiare idea alle persone che hanno parlato a sproposito di lui.

Masaki Kuroda: 36 anni, giapponese di nascita, italiano d'adozione. È lo chef del Ristorante Serendepico in provincia di Lucca. Quando ha iniziato a cucinare sedici anni fa, lo faceva soprattutto in famiglia. Poi è diventata una vera e propria professione. Per lui il cibo è “energia per vivere” e la sua cucina è caratterizzata da sapori agrumati e da impiattamenti esteticamente belli. L'obiettivo? Imparare, conoscere tanta gente e, perché no, aprire un ristorante italiano in Giappone.

Dario Picchiotti: 36 anni, di Bologna, titolare dell'Antica Trattoria di Sacerno, aperta insieme alla compagna Giada. Anche lui cucinava con la nonna, a sette anni facevano assieme i pici. Dalla passione alla professione, il passo è stato breve. Tanto, dietro alla scrivania, non ci sarebbe proprio riuscito a stare. Per lui il cibo è “una cosa intima” e la cucina è “l'ultima forma d'arte alla portata di chiunque”. La sua, di cucina, è caratterizzata da assemblaggi semplici e zero esercizi di stile. L'obiettivo? Avere una rivalsa.

Simone Ciccotti: 44 anni, di Perugia, è il cuoco e l'oste dell’Antica Trattoria San Lorenzo di Perugia. La passione gliel'ha trasmessa la nonna ma poi ha maturato molte esperienze professionali, anche con Marchesi. Il cibo per lui trasmette “l'amore verso la terra e i suoi prodotti” e la sua cucina è fatta di sapori decisi, spezie ed erbe. L'obiettivo? Rinascere e rimettersi in gioco.

Matteo Fronduti: 39 anni, di Milano, patron del Ristorante Manna. Inizia a cucinare per puro divertimento, poi trasformatosi in mestiere. Però, a distanza di vent'anni, assicura di divertirsi ancora. Il cibo per lui è trasformazione che ha come unico obiettivo il buono. Autodefinisce la sua cucina immediata: niente voli pindarici per pensare a cosa si sta mangiando. Il suo obiettivo? Divertirsi e misurarsi sul campo con dei colleghi meritevoli.

Federico D’Amato: 27 anni, di Reggio Emilia, è lo chef de partie al Caffè Arti e Mestieri, il ristorante di famiglia. A onor di cronaca, il padre è lo chef Gianni D’Amato che a causa del sisma del maggio 2012 ha dovuto chiudere il Rigoletto, perdendo così le due stelle. Federico, il figlio, ha lavorato prima in sala e poi in cucina. Oggi per lui il cibo deve trasmettere sensazioni personali” e la sua cucina punta all'equilibrio cercando però di coinvolgere tutti i sapori, amaro e umami compresi. L'obiettivo? Mettersi in gioco, individuare i propri limiti e confrontarsi. Poi, essendo un'esperienza nuova, crescere anche professionalmente.

Jacopo Bracchi: 26 anni, di Milano, ha lavorato nella cucina di Alain Ducasse insieme alla fidanzata Maria (anche lei concorrente). E tra un po', sempre insieme, apriranno il loro ristorante vicino a Parma. Al posto di studiare, a undici anni, cucinava con la nonna così senza alcun dubbio, si è iscritto all’istituto alberghiero. L'obiettivo? Vedere chi fra i due (Jacopo e Maria) vince! Scherzi a parte, vuole dare soddisfazione alla famiglia.

Maria Anedda: 25 anni, nata e cresciuta a Parma, si è poi trasferita a Parigi per inseguire i propri sogni professionali. Nella cucina di Alain Ducasse ha conosciuto Jacopo e con lui aprirà un ristorante nella provincia parmense. Inutile dire che da buona emiliana era circondata da donne che cucinavano, così ha cominciato anche lei fin da bambina, poi si è iscritta ad Alma e da lì è volata verso le cucine professionali. Il cibo per lei è un alimento e un'espressione d'amore, la sua cucina è elastica e include diversi metodi di cottura e sapori. L'obiettivo? Dopo quattro anni passati in Francia vuole dedicarsi alla sua patria in tutto e per tutto, anche attraverso questo grande trampolino di lancio.

Filippo Crisci: 29 di anni, di Caserta, chef de partie all'Hotel Palace di Milano Marittima. Prima ha fatto esperienza nelle cucine di Paolo Teverini, del Capri Palace, della Taverna Righi, de La Siriola. La cucina per lui è un modo di comunicare, e lui comunica con sapori e colori mediterranei, quindi erbe, aromi e fiori sono sempre presenti. L'obiettivo? Arrivare fino alla fine per vedere a che livello sta.

Ornella De Felice: 39 anni, di Roma, è la chef del ristorante Coromandel. I primi ricordi legati alla cucina risalgono all'infanzia, ma la sua vocazione la scopre tardi, a 30 anni. A quel punto, dopo la laurea in sociologia, trasforma la passione in professione. La prima volta in una cucina professionale è in quella di Cristina Bowerman. La cucina per lei è un dono verso il prossimo e nella sua, di cucina, ci deve essere sempre un tocco di evasione dalla tradizione, dato da sapori forti, spezie orientali e fuochi principalmente alti. L'obiettivo? Vincere per avere un riscatto nei confronti di un percorso non lineare, ma anche per dimostrare ai genitori che questa era la strada giusta per lei.

Chiara Canzoneri: 32 anni, friulana, è chef del ristorante Hendrick’s di Gorizia. Cresciuta in una famiglia di pescatori, è diventata mamma a 20 anni e lavora in cucina da quando ne aveva 14. La sua cucina si basa su profumi e materie prime del territorio, con cotture veloci e non invadenti. Non ama gli eccessi. L'obiettivo? Vincere per ripagare i tanti sforzi fatti.

Micaela Di Cola: 38 anni, nata e cresciuta a Roma, è figlia d'arte ma non lavora più nel ristorante di famiglia: è food stylist e chef consulente, ovvero assiste l’apertura dei ristoranti. Il cibo per lei è una coccola. Cosa ereditata dal padre. Così come ha ereditato il palato, che lei però continua ad allenare. La sua cucina è varia e veloce, dai sapori freschi. L'obiettivo? Metterci la faccia e magari aprire un suo ristorante.

Raffaele Liuzzi: 52 anni, viene dalla Puglia ma vive in Romagna, dove è lo chef del Ristorante Liuzzi a Cattolica. Non è stato discepolo di nessuno chef ma dai grandi ha appreso le tecniche. La sua cucina è il risultato di anni di esperienza, curiosità, studio. E ha lo scopo di emozionare anche grazie ai contrasti. L'obiettivo? Al di là di avere visibilità, far conoscere la sua idea di cucina.

Erica Petroni: 29 anni, di Merano, è lo chef del suo ristorantino portatile Food Art Factory. Si è avvicinata al mondo della ristorazione in maniera insolita: inizialmente si è laureata in Design, poi ha iniziato a curare libri degli chef, ha lavorato nei locali più disparati (anche nella cucina di Bottura) e ha pure fatto la critica gastronomica. È una vagabonda, quindi l'idea di avere un ristorante portatile ha chiuso il cerchio. Per lei la cucina è una danza e il cibo è un'emozione, un'esplosione di colori, profumi, sapori. Il suo stile non è delicato, sarà anche per il fatto che la sua strumentazione è basic. L'obiettivo? “Vincere e dimostrare che la Petroni è la numero 1!”.

 

 

Mangiare a Venezia. Guida ai ristoranti in città indicati dai grandi chef

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Tocca a Venezia, una delle città più belle d'Italia (e del mondo?) ma anche covo di posti mediocri attira turisti. Per scongiurare ogni tipo di fregatura abbiamo chiesto agli addetti di consigliarci tre posti ciascuno. Ecco i 21 indirizzi.

Arrigo Cipriani - Harry's Bar

Cominciamo la carrellata di indirizzi veneziani con un mito vivente: Arrigo Cipriani. Ottantaquattro anni vissuti intensamente, ristoranti sparsi in tutto il mondo e quella autorevolezza ottenuta esportando un marchio del made in Italy che evoca i favolosi anni Cinquanta. Anni in cui Hemingway divenne cliente fisso dell'Harry's Bar, fondato da suo padre Giuseppe nel 1931. Ma veniamo ai consigli di Arrigo: Antiche Carampane a San Polo e, nelle Isole, La Locanda Cipriani a Torcello e Da Romano a Burano. Il nome del primo merita una divagazione: in questo quartiere sorgevano le case del Signor Rampani, dette Ca’ Rampani, dove il governo decise di trasferire in blocco le meretrici della città. Fu così che le nuove residenti vennero chiamate sbrigativamente carampane e il termine è diventato, per l'appunto, sinonimo di prostituta. Per arrivarci dovrete districarvi tra le calli e i campielli vicino al mercato del pesce di Rialto e Campo San Polo, ma la cucina di pesce (secondo disponibilità del mercato) vi ripagherà a dovere. La Locanda Cipriani, invece, fa rima con lusso, tradizione e mondanità. È infatti un'insegna famosa, avviata sempre dal padre Giuseppe, meta di celebrità. E non a torto: la location è strepitosa. Da Romano è invece la trattoria fondata da uno dei primi ristoratori dell'isola, Romano Barbaro. Famosa per i suoi ambienti abbelliti da quadri e opere dei tanti artisti, celebri e non, che l'hanno visitata, e per la cucina marinara e lagunare. Da non perdere il Risotto di Go' fatto con il ghiotto di laguna, un pesciolino che un tempo si pescava in tutta la laguna ma che oggi è difficile da reperire, per via della penuria di pescatori.

 Antiche Carampane

Maurizio Gasparello – Pantagruelica

Anche il talent scout degli artigiani del gusto – che da pochi mesi nel suo negozio può mescere e somministrare – consiglia le Antiche Carampane “per la cucina casalinga e il servizio ineccepibile”. Il secondo indirizzo è Al Covo “per la cura che Cesare (Benelli) ci mette nella scelta delle materie prime”. Piatto imperdibile?“Il consiglio è di farvi consigliare, perché la proposta varia in base alla disponibilità del mercato”. Il nostro, di consiglio, è quello di provare il Gran antipasto bollito di pesce, crostacei e molluschi nostrani. Oppure, nell'indecisione, optate per il menu degustazione. “Il terzo indirizzo è per gli amanti del vino: Vini da Gigio. Il patron è un vero esperto”. Qui si mangia anche. Qualche esempio? Baccalà mantecato con polenta, sarde in saor o capesante alla veneziana. E ancora, tagliolini con granseola, spaghetti con caparossoli (vongole), anguilla alla griglia o seppie alla veneziana con polenta.Ci sono anche portate di carne, dal fegato alla veneziana ai masorini (anatre) alla buranella.

Al Covo

Lionello Cera - Antica Osteria da Cera

Al Covo è la prima scelta anche per lo chef Lionello, mente e anima della grande insegna di famiglia. “Adoro andare a cena dal mio carissimo amico Cesare, sia per l'ospitalità che per i loro piatti della tradizione veneziana. Per colazione vado Da Augusto, a Camponogara. Qui meritano le loro brioche integrali”. Per un ottimo gin tonic consiglia di andare da Mauro Lorenzon a La Mascareta. Anche se l'oste veneziano è famoso per l'altra sua passione: quella del vino, tant'è che la Mascareta è il luogo per eccellenza del buon bere, scrigno di bottiglie di ogni tipo, prezzo, provenienza. E punto di incontro imprescindibile per tutti i "wine bevar" (come li chiama lui) della città. Qui si mangia pure, dalle sarde in saor al baccalà mantecato, dalla zuppa di pesce ai tortellacci di branzino.

Giancarlo Perbellini – Dopolavoro del JW Marriot Venice Resort

Abbiamo chiesto i tre posti del cuore a Venezia anche al grande chef veronese, perché qui, sull’Isola delle Rose, ha messo in piedi con la sua brigata il ristorante di punta del JW Marriot Venice Resort (dove consigliamo di provare la ricciola marinata). Al primo posto piazza Ai Rusteghi, “un posto straordinario in una location tranquilla e suggestiva, con vini di altissimo livello e salumi e formaggi di qualità”. Per i cicchetti consiglia invece Estro, gestito da “un gruppo di ragazzi giovani e professionali, veramente bravi. Qui provate i loro i cicheti gourmet”. Sì perché non si tratta del solito bacaro veneziano: gli interni sono nuovi e l'arredamento minimal, con calici realizzati a lume da un giovane artigiano e lampade eseguite ad hoc dai maestri del vetro. I vini alla mescita vi stupiranno e, oltre ai cicchetti, la sera propongono piatti veri e propri, dagli spaghetti con stracciatella, cozze e lime, al branzino con i carciofi violetti di sant'Erasmo (in stagione). Ma meritano anche i loro tramezzini. Infine Perbellini suggerisce L'Osteria Santa Marina, vicino a Rialto. Può sembrare strano che a cinque minuti dal Canal Grande e dall'orda di turisti che affollano il Ponte di Rialto ci sia un posticino di forma e di sostanza come questo. Che propone una cucina genuina, di laguna e di mare, schietta e sincera. Tra l'altro c'è la possibilità di cenare fuori, ai tavoli che affacciano sul campo di Santa Marina.

Franco Tonolo - Pasticceria Tonolo

Il “sovrintendente ai sapori” (la definizione è sua) che da oltre 60 anni sta al timone di questa pasticceria storica fa una premessa: “Scegliere tre indirizzi mi risulta complicato. Punto primo perché molti posti cambiano gestione ogni sei mesi, quindi sono poco autentici. Punto secondo perché questa zona lavora molto con gli studenti e la maggior parte sono bar”. Detto questo anche Franco sceglie i ragazzi di Estro (di cui vi abbiamo già parlato), poi anche Impronta Cafè, un indirizzo in cui si può mangiare a ogni ora del giorno, dalla colazione al mattino presto, all'ultimo drink verso mezzanotte. Se passate invece per pranzo o per cena potete scegliere dal ricco menu: Baccalà mantecato con saor, polenta di Sponcio e lardo; Tartare di tonno rosso con verdurine croccanti e stracciatella di burrata allo zenzero; Impronta mista di pesce alla fantasia dello chef; Tagliolini neri alla pescatora con pesto di basilico e mandorle; Gnocchi di patate all’arancia con ragù d’anatra e frappè di spinaci; Frittura di calamari e gamberi con verdure pastellate o il pescato del giorno. Altrimenti provate i loro club sandwich. Ultimo indirizzo consigliato è una drogheria: La Bottega del Gusto.

Ai Rusteghi

Davide Bisetto - Oro Restaurant dell'Hotel Cipriani alla Giudecca

Il primo consiglio in assoluto è Ai Rusteghi, vicino Rialto. Enoteca con una selezione di vini pazzesca, una rarità a Venezia, che propone cicheti particolari”. Come baccalà, uova, acciughe del Cantabrico; patè di cinghiale; ciauscolo di Visso; sopressa di Valli del Pasubio e Castelmagno; salame nostrano tagliato al coltello o filetto di trota affumicata. Non a caso questo locale lo abbiamo selezionato anche noi. “Sono attratto dai posti dove gli chef o i patron hanno una sensibilità spiccata verso la materia prima. Ecco perché consiglio anche Estro, dove lo chef nippofiorentino Masahiro Homma prepara una versione innovativa dei cicheti veneziani, e da Riviera, a Dorsoduro, dove il menu cambia in base alla disponibilità del mercato del pesce”. Questo locale delle Zattere, storica sede della Compagnia dei Luganegheri, propone sempre pesce fresco. Dal menu: selezione di pesci crudi leggermente marinati; Capesante scottadito, crema di patate, timo limone; Tataki di tonno, spadoni (taccole) e falso miele di sedano; Pappardelle di grano saraceno, porcini e mazzancolle; Gazpacho d’anguria e pomodoro, carpaccio di capesante e orate o Seppie alla veneziana con la loro salsa al nero, polenta biancoperla. Ci sono anche proposte di terra. Un consiglio: prenotate nel delizioso dehors che guarda il Canale della Giudecca, proprio davanti al maestoso Mulino Stucky.

Giovanni d'Este – Ai Rusteghi

L'oste Giovanni consiglia l'Antica Carbonera “per la sua proposta semplice e di qualità. Poi il proprietario è un professionista vero, quando ci vado mi faccio consigliare da lui”. Qui potete scegliere tra piatti di carne e di pesce: dalle schie di laguna con polenta bianca morbida al carpaccio di bue, dalla zuppa di pesce alla torcellana a quella di pasta e fagioli alla veneta. Il secondo indirizzo è l'Oro Restaurant dell'Hotel Cipriani alla Giudecca. Motivo? “Perché è semplicemente bello farsi coccolare!”. “Per un tuffo nel passato andate invece all'Harry's Bar, qui ci andavo con i miei genitori quando ero bambino e li accompagnavo a fare aperitivo, e qui ci ritorno sempre molto volentieri. È il fiore all'occhiello di noi veneziani”. Effettivamente nel locale è passato il mondo intero: da Hemingway a Capote, da de Chirico alla Callas, da Orson Welles a Naomi Campbell. L'Harry's Bar più che un locale è un mito: fondato da Giuseppe Cipriani, prese questo nome da quello del giovane americano Harry Pickering che si trasferì negli anni ’20 a Venezia con una zia per curarsi dall'alcolismo. Dopo un litigio, la zia lo abbandonò lasciandogli pochissimi soldi. Cipriani, all'epoca barman nell'hotel in cui risiedeva l'americano, ebbe pietà del giovane e gli prestò 10.000 lire, somma notevole per l'epoca, per consentirgli di rientrare in patria. Qualche anno dopo, il giovane, guarito dall'alcolismo, tornò a Venezia e, rintracciato Cipriani, gli restituì l'intera somma aggiungendovi 30.000 lire perché potesse aprire una sua attività. Cipriani decise di chiamare il suo locale “Harry's Bar” in suo onore, era il 1931.

Da Romano

Massimiliano Alajmo – Quadri

“Non sei stato a Venezia se non sei stato a Harry’s Bar”, si dice. Concorda anche lo chef padovano che consiglia l'Harry’s Bar “perché è un posto mitico. Ci vado per mangiare il fegato alla veneziana e i carciofini, e per bere un martini cocktail ben fatto”. Il secondo consiglio è Da Romano a Burano, “la classica trattoria veneziana dove provare la granseola e gli antipasti di mare”. C'è l'imbarazzo della scelta: canocchie, gamberetti di laguna, garusoli, latticini, polipi, schie, astici, aragoste, sauté di cozze e vongole. E ancora cannestrelli, capesante, o alla brace o al forno, sarde in saor, scampi, baccalà...Terzo indirizzo? La Mascaretaci vado nel weekend, anche per passare la serata con l’oste Mauro Lorenzon”.

Local

Irina Freguia - Vecio Fritolin

La patron del Vecio Fritolin, insegna storica a due passi dal ponte di Rialto, opta per Local e Il Ridotto. “Sono posti che fanno della qualità il loro cavallo di battaglia, una rarità a Venezia”. Il primo lo dichiara fin dal nome: esprime la filosofia del chilometro zero intelligente, del supporto ai piccoli produttori locali, dell'utilizzo di materie prime (a partire da quella ittica, fornita da pescatori di fiducia) in prevalenza del territorio. Lo chef Matteo Tagliapietra ha buona mano e meticolosità nella realizzazione dei piatti che spaziano dal fegato alla veneziana alla capasanta gratinata, dal risotto di gò agli spaghetti con i garusoli. Tutto presentato con fantasia e creatività. Anche da Il Ridotto si va sul sicuro. A partire dalla cantina, ampia, intelligente, mai banale e da sempre nelle mani di Bonaccorsi, una delle istituzioni del vino in Laguna. Per continuare con la cucina che non sbaglia un colpo. Sia in alcuni classici della casa (vedi i sempre buonissimi tubetti in ristretto di fumetto di gò ed erbe aromatiche oppure gli spaghetti neri con ricci di mare, peperone candito e cavolo nero), sia nelle creazioni come il sandwich di sarde con panzanella, verdure su ricotta e capperi canditi; le capesante e carote al tè nero affumicato o l'astice con frutti rossi. “Per fare colazione, invece, vado spesso da Marchini Time, dove trovo poche proposte ma tutte valide”.

Wildner

Matteo Tagliapietra – Local

Dulcis in fundo lo chef del Local suggerisce il Wildner per la qualità del cibo e la location - la bella vista sull'isola di San Giorgio merita la visita - Vi consiglio di provare il bollito classico”. La cucina del Wildner è seria, attenta ai presidi Slow Food (dalla Fassona ai capperi di Salina, dal mais Biancoperla alla bresaola di montagna), ma anche alla stagionalità, al territorio e alla tradizione. Gustate anche il loro fegato alla veneziana con polenta alla griglia, le sarde e code di scampi in saor, il baccalà mantecato e le seppie al nero con piselli. “Un'osteria che mi piace molto è invece Dal Pupi a Cavallino-Treporti, si trova in mezzo alla laguna e ci si può arrivare in barca. Qui provate, quando è stagione, i loro spaghetti con le masenete”. Concludiamo infine con un bacaro: “Vado spesso da Risorto, hanno una bella selezione di birre e gin, i cicheti sono buoni e loro sono simpatici”.

 

GLI INDIRIZZI SCELTI DAGLI CHEF

RISTORANTI e TRATTORIE

Antiche Carampane | Venezia | Rio Terà de le Carampane, 1911, Sestiere San Polo | tel. 041 524 0165 | www.antichecarampane.com

Antica Carbonera | Venezia | calle Bembo, Sestiere di San Marco | tel. 041 5225479 | www.anticacarbonera.it

Locanda Cipriani | Torcello (VE) | Piazza Santa Fosca, 29 | tel. 041 730150 | www.locandacipriani.com

Al Covo | Venezia | via Castello, 3968 | tel. 041 5223812 | www.ristorantealcovo.com

Local | Venezia | Salizzada dei Greci, 3303, Sestiere Castello | tel. 041 2411128 | www.ristorantelocal.com

Osteria Dal Pupi | Cavallino-Treporti (VE) | via Del Pra’ 3 | tel. 041 5301989

Il Ridotto | Venezia | Castello, 4509 | tel. 041 5208280 | www.ilridotto.com

Riviera | Venezia | Zattere Dorsoduro, 1473 | tel. 041 5227621 | www.ristoranteriviera.it

Da Romano | Burano (VE) | via San Martino DX, 221 | tel. 041 730030 | www.daromano.it

Oro Restaurant dell'Hotel Cipriani alla Giudecca | Venezia | Giudecca fondamenta San Giovanni, 10 | tel. 041 2408815 | www.hotelcipriani.com

L'Osteria di Santa Marina | Venezia | campo Santa Marina, 5911, Sestiere Castello | tel. 041 5285239 | www.osteriadisantamarina.com

BACARI ed ENOTECHE

La Mascareta | Venezia | calle lunga Santa Maria Formosa, 5183, Sestiere Castello | tel. 041 5230744 | www.ostemaurolorenzon.it

Risorto | Venezia | campo san provolo, 4700, Sestiere Castello | tel. 3403017047

Ai Rusteghi | Venezia | San Marco 5513| tel. 3387606034 | www.osteriairusteghi.com

Vini da Gigio | Venezia | Cannaregio, 3628a | tel. 041 5285140 | www.vinidagigio.com

Wildner | Venezia | riva degli Schiavoni, 4161, Sestiere Castello | tel. 041 5227463 | www.hotelwildner.com

BAR e PASTICCERIE

Da Augusto | Camponogara (VE) | Piazza G. Mazzini, 8 | tel. 041 462291

Harry's Bar | Venezia | Calle Vallaresso, 1323, Sestiere San Marco | tel. 041 5285777 | www.harrysbarvenezia.com

Impronta Cafè | Venezia | Dorsoduro, 3815 | tel.041 2750386 | www.improntacafevenice.com

Marchini Time | Venezia | | Campo S. Luca, 4598 | tel. 041 2413087 

BOTTEGHE

La Bottega del Gusto | Venezia | calle S. Pantalon Dorsoduro, 3762 | tel. 041 5242892

 

LA NOSTRA SELEZIONE

Antica Osteria da Cera | Campagna Lupia (VE) | via Marghera, 24 | tel. 041 5185009 | www.osteriacera.it

Dopolavoro del JW Marriot Venice Resort | Venezia | Isola delle Rose, Laguna di San Marco | tel. 041 8521300 | www.jwvenice.com

Harry's Bar | Venezia | Calle Vallaresso, 1323, Sestiere San Marco | tel. 041 5285777 | www.harrysbarvenezia.com

Local | Venezia | Salizzada dei Greci, 3303, Sestiere Castello | tel. 041 2411128 | www.ristorantelocal.com/it/home

Oro Restaurant dell'Hotel Cipriani alla Giudecca | Venezia | fondamenta San Giovanni, 10 | tel. 041 2408815 | www.hotelcipriani.com

Pantagruelica | Venezia | Dorsoduro, 2844 | tel. 041 5236766 

Quadri | Venezia | Piazza San Marco, 121 | tel. 041 5222105 | www.alajmo.it

Ai Rusteghi | Venezia | San Marco 5513| tel. 3387606034 | www.osteriairusteghi.com

Pasticceria Tonolo | Venezia | Dorsoduro, 3764 | tel. 041 5237209 | www.facebook.com/PasticceriaTonolo

Vecio Fritolin | Venezia | calle della Regina, 2262, Sestiere Santa Croce | tel. 041 5222881 | www.veciofritolin.it

 

a cura di Annalisa Zordan

 

Guide ai ristoranti in città indicati dai grandi chef:

Mangiare a Milano

Mangiare a Napoli

Mangiare a Firenze

Mangiare a Torino

Mangiare a Roma

 

 

 

 

Il Manuale del buon gourmet dalla Francia di inizio ‘800. La ristampa da collezione del Grimod

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A cimentarsi nell’impresa è stata la storica casa editrice Tallone, dove i libri sono ancora composti a mano. E così è stato per il Manuel des Amphitryons, uno dei più celebri trattati di gastronomia che oggi rivive in 320 copie di lusso. Realizzate in dieci anni di lavoro. 

Da Parigi ad Alpignano

Se è vero che l’editoria vecchia maniera stenta a sopravvivere è altrettanto fondata la speranza che lo spazio per iniziative culturali come quella che ha riabilitato il prezioso Manuel des Amphitryons continuerà a esistere grazie al buon cuore di piccoli editori che resistono ai tempi che cambiano. Ma prima di parlare dell’impresa – meritevole anche di sottoscrivere un’ideale sodalizio tra Italia, Francia, Germania e Inghilterra in  un momento in cui serrare i ranghi del Vecchio Continente può solo far bene alla causa europea – sarà necessario esplorare più a fondo il testo che il gastronomo francese Alexandre Balthazar Laurente Grimod de la Reyniere dava alla stampa nella prima metà dell’Ottocento, segnando un precedente importante per l’evoluzione della moderna gastronomia francese, e non solo. L’autore, un ricco avvocato parigino vissuto a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo (a lui si deve anche l’Almanach des Gourmands, una guida ai ristoranti parigini di inizio secolo, tra le prime prove di critica gastronomica), scrisse il Manuel nel 1808, raccogliendo al suo interno le regole delle buone maniere a tavola come l’arte del saper vivere districandosi tra tavole borghesi e degustazioni di carne e pesce. Tutto con una buona dose di ironia che contribuisce a rendere il testo appetibile anche per i lettori moderni.

Il Manuel di Grimod. La ristampa numerata

È quello che deve aver pensato anche Enrico Tallone, figlio di Alberto,  fondatore della casa editrice Tallone di Alpignano (Torino) specializzata da quasi ottant’anni nella pubblicazione di libri composti a mano (un laboratorio bottega di famiglia, dal 1938, che vale la pena visitare). Il che significa scegliere le carte migliori – nel caso specifico carta artigianale di cotone Magnani e Fabriano – utilizzare pigmenti naturali e inchiostro selezionato per le illustrazioni (incise sul modello dei rami originali), radunare 360mila caratteri inglesi, Caslon del 1720 per la precisione. E riporre tanta pazienza nell’opera, che ha impegnato la piccola casa editrice per ben 10 anni. Ora però il risultato è alla portata di tutti, o meglio di quei collezionisti che non vogliono perdere l’opportunità di esibire questa prestigiosa edizione nella propria libreria. Il testo, stampato in lingua originale, è stato tirato in 320 copie numerate. Al suo interno, i fortunati che ne sfoglieranno le pagine troveranno una narrazione suddivisa in tre capitoli principali: il galateo delle carni e dei pesci, una serie di menu rappresentativi della tavola francese di inizio Ottocento, a pochi anni dalla Rivoluzione e già in pieno Impero, e un manuale di buone maniere per il fine buongustaio, con molti suggerimenti validi per stare a tavola anche ai giorni nostri. Lo completano due saggi di Armando Torno e Gerarde Roero di Cortanze. Il prezzo? 480 euro. Come si addice a un prodotto che il lusso lo riconduce all’alto artigianato made in Italy.

Mentre per chi volesse approfondire storia, vizi e virtù di uno dei più celebri gastronomi della storia, Il Buongustaio eccentrico di Ned Rival (1983), edito in lingua italiana da Slow Food/Giunti  Editore (2007), ripercorre storia e opere di Grimod de la Reyniere.

 

a cura di Livia Montagnoli

Appetitosamente a Siddi. In Sardegna per parlare di Cibo e viaggio, gustando l’isola nel piatto

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Va in scena a casa di Roberto Petza l’undicesima edizione del festival dedicato alla cultura gastronomica e alla riscoperta delle eccellenze sarde. Incontri, proiezioni, concerti, tavoli sociali e una colazione all’alba da ricordare. Il programma. 

Siddi. 650 anime e un festival decennale

Di borghi semisconosciuti e gioielli nascosti nell’entroterra isolano, la Sardegna ne custodisce molti. E Siddi, 650 abitanti, circondato dagli scenari fermi nel tempo della Marmilla, è a pieno titolo uno di questi tesori da scoprire. Il paesino del Medio Campidano, per dir la verità, più di un motivo per essere famoso ce l’ha. A cominciare dalla presenza di S’Apposentu a Casa Puddu, il ristorante che Roberto Petza ha trasformato in una meta imperdibile per i viaggiatori in cerca di esperienze gastronomiche da ricordare. A breve distanza da qui, meno di dieci chilometri, lo chef ha istituito anche una scuola, un’accademia di cucina, e recentemente inaugurato la sua pizzeria d’autore, Sa Scolla. Ma, dicevamo,  di pretesti validi per salire in macchina alla volta di Siddi ce ne sono anche altri. Alla fine di agosto, per esempio, tutto il paese di anima per accogliere Appetitosamente, un festival dedicato al cibo e all’incontro tra culture, che l’edizione passata, la decima, ha visto tra i suoi protagonisti proprio lo chef Petza. Quest’anno, con un po’ di ritardo sulla tabella di marcia, la manifestazione prenderà il via venerdì 26 agosto e si protrarrà fino a domenica 28. E il tema 2016, non a caso, traccia un legame a doppio filo tra Cibo e viaggio, per ragionare di scoprire il mondo approfondendo la conoscenza di persone, territori, consuetudini e costumi, suoni, profumi, gusti e identità alimentari. Cibi come espressione di cultura.

Appetitosamente. Il programma

Il programma, che si articolerà tra diversi luoghi di riferimento dentro e fuori il paese, prevede quindi spettacoli musicali e folcloristici, proiezioni, arte, laboratori gastronomici e produzioni di qualità protagoniste della mostra mercato, ma anche degustazioni e appuntamenti con la cucina d’autore. Tra gli incontri da non perdere gli approfondimenti in programma all’ex pastificio di Casa Puddu – con Percorsi di Vite e Gusti, esperienze e prospettive – e l’appuntamento di domenica pomeriggio con Le cucine di Babele al Museo Casi Steri.

Sul fronte gastronomico, invece, le danze si aprono venerdì sera, nel bosco di querce secolari del Parco Sa Fogaia, con le cena sarda e i racconti in movimento di gustose esperienze. Altrettanto suggestivo il consueto appuntamento all’alba presso la tomba di Giganti Sa Domu de s’Orcu: dopo una passeggiata di gruppo per raggiungere il sito archeologico, il pubblico potrà assistere allo spettacolo musicale per fisarmonica di Antonello Salis. A seguire la colazione al sorgere del sole con le specialità tipiche del territorio. E i piatti della tradizione saranno protagonisti anche di Aggiungi un posto a tavola: sabato sera le vie del borgo si trasformeranno in un grande banchetto a cielo aperto, con la partecipazione degli abitanti del posto e la musica degli artisti in arrivo dall’Italia e dall’estero. Durante tutto il corso della manifestazione sarà possibile degustare alcune eccellenze locali, dal torrone al miele, passando per i prodotti realizzati con lievito madre.  E un buon bicchiere di Vernaccia. Si chiude con Mangia come parli domenica sera in piazza Da Vinci; in assaggio paste, pane e cibi tipici di Siddi e della Sardegna. Prima di rinnovare l’appuntamento per il prossimo anno.

Appetitosamente | Siddi (VS) | dal 26 al 28 agosto | www.facebook.com/appetitosamente/?fref=ts

 

 a cura di Livia Montagnoli

Ricette di pesce d'autore. Pascucci al Porticciolo, Monastero Santa Rosa e La Torre del Saracino

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Abbiamo chiesto a 12 chef “marittimi” quali sono i piatti preferiti del loro attuale menu estivo. E ci siamo fatti dare le rispettive ricette. È la volta di Gianfranco Pascucci, Christoph Bob e Gennaro Esposito.

Pascucci al Porticciolo (Fiumicino)

Un’evoluzione durata anni, costata impegno e fatica, ha portato lo chef Gianfranco Pascucci a trasformare il ristorante dell’albergo di famiglia in una meta per appassionati gourmet. Una cucina che riesce a essere sorprendente e creativa, esaltando le risorse del litorale senza mai snaturarle: il tocco dello chef è sempre evidente, anche nella ricerca di prodotti inusuali, come ad esempio le “radici di mare", dei vegetali che crescono sulle dune di Focene. Ai lettori del Gambero Rosso regala la ricetta del suo taglierino estivo, con l'incredibile lardo di mare. Ingrediente creato di sana pianta dallo chef (di cui ci svela la preparazione) che si scioglie in bocca proprio come l'autentico lardo.

Pascucci al Porticciolo | Fiumicino (RM) | viale Traiano, 85 | tel. 06 65029204 | www.pascuccialporticciolo.com

Taglierino estivo con pomodorini, mazzancolle e lardo di mare (per 4 persone)

Per il lardo di mare

100 g di ventresca di centrolofo nero

1 foglia di alloro

1 rametto di rosmarino

50 g di alga kombu

10 g di pepe rosa

3 cucchiai di miso chiaro

Marinare la ventresca nel miso, aggiungendo l’alloro, il rosmarino, l’alga kombu e il pepe rosa. Lasciar riposare anche una settimana.

Per il sugo di pomodorini

100 g di pomodorini infornati (perino, ciliegino, siccagno,piennolo)

200 g di acqua di pomodoro camone

100 g di polpa di pomodoro giallo

Per la pasta

200 g di taglierini

3 mazzancolle

1 spicchio di aglio

Pinoli tostati

Qualche foglia di dragoncello e di basilico rosso

Pepe q.b.

Saltare in aglio e olio le mazzancolle, a parte cuocere la pasta lasciandola molto al dente. Togliere l’aglio dalle mazzancolle e aggiungervi la pasta: finire di cuocere la pasta aggiungendo l’acqua di pomodoro. Poco prima di servire, a fiamma spenta, aggiungere un cucchiaio di polpa di pomodoro e i pomodorini infornati. Decorare con qualche foglia di dragoncello e basilico. Terminare con il lardo di mare, precedentemente sciacquato e tagliato sottile come fosse vero lardo, e il pepe schiacciato.

Il Refettorio del Monastero Santa Rosa

Il Monastero Santa Rosa non ha certo bisogno di presentazioni: trasformato in hotel di lusso e inserito in uno delle location naturali più affascinanti d’Italia, è ormai celebre in tutto il mondo. Merito non solo del servizio impeccabile dell’albergo e della sua bellezza, ma anche della cucina del Refettorio, ristorante guidato dallo chef Christoph Bob. È qui, a Conca dei Marini, su una scogliera incastonata nella Costiera Amalfitana, che lo chef “tedesco napoletano” si fa ambasciatore dei nostri sapori attraverso una cucina delicata e fresca, anche grazie alla qualità dei prodotti provenienti quasi esclusivamente dall’orto del monastero. Come nella ricetta che più lo convince del menu estivo di quest'anno: Pescato al sale con insalata dell’orto e salsa al miele e limone.

Il Refettorio del Monastero Santa Rosa | Conca dei Marmi (SA) | via Roma, 2 | tel. 0898321199 | www.monasterosantarosa.com

Pescato al sale con insalata dell’orto e salsa al miele e limone (per 4 persone)

Per il pescato in crosta di sale alle erbe

4 filetti di pesce a scelta spinati e porzionati

500 g di sale fino

50 g di sale grosso

Erbe aromatiche tritate (origano, timo, maggiorana)

100 g di albumi montati

Unire il sale grosso e fino, aggiungere le erbe aromatiche e frullare. A parte montare gli albumi a neve (la consistenza non deve essere troppo soda) e incorporare al sale ottenendo una crema. Coprire la superficie dei filetti di pesce dalla parte della pelle con la crema, quindi adagiare i filetti su una padella rovente dalla parte della pasta di sale per farla rapprendere. Quando si sarà ottenuta una crosta compatta e dura, togliere dal fuoco. Disporre i filetti su una teglia unta con olio extravergine d'oliva e infornare a 180° C per 8 minuti.

Per il pesto

1 mazzo di menta

40 ml di olio extravergine d'oliva

4 cubetti di ghiaccio

Sfogliare il mazzo di menta, lavare le foglie e frullarle insieme all’olio e al ghiaccio utilizzando un mixer a immersione, quindi conservare la salsa ottenuta in frigorifero.

Per la crema

4 limoni

1 cedro

ml 50 olio extravergine di oliva

Sbucciare due limoni, eliminando la parte bianca, frullare la polpa e aggiungere il succo degli altri due limoni e del cedro, quindi aggiungere l’olio e montare utilizzando delle fruste.

Per l’insalata

1 limone

Erbe spontanee

1 cucchiaio di miele

Fiori eduli

Olio extravergine d'oliva

Sale

Lavare e mondare le erbe spontanee, condire con un cucchiaino di miele, il succo di un limone, olio e sale. Sistemare in ogni piatto un filetto di pesce in crosta di sale, vicino mettere l’insalata e guarnirla con i fiori eduli. Guarnire i piatti con la crema di limone, il pesto di menta e le foglioline di erbe spontanee.

La Torre del Saracino

Una cucina che esalta i sapori del territorio, ripropone piatti della tradizione reinterpretati alla luce delle tecniche moderne, sempre fedele a se stessa ma comunque sorprendente: è la cucina dello chef Gennaro Esposito. Alla Torre del Saracino il mare domina su tutto: non solo per la splendida vista sul Golfo di Napoli, ma soprattutto per la precisa impronta dello chef nel menù, fra piatti storici riattualizzati e sperimentazioni. Il tutto condito da un’accoglienza e un servizio impeccabili. Lo chef regala la ricetta delle melanzane alla scapece con palamita e ostriche al profumo di limone e vaniglia.

La Torre del Saracino | Marina Equa, Vico Equense (NA) | via Torretta, 9 | tel. 081.8028555 | www.torredelsaracino.it

Melanzane alla scapece con palamita e ostriche al profumo di limone e vaniglia (per 4 persone)

Per la gelatina di ostriche

125 cc di acqua

2 bucce di limone

1⁄4 di bacca di vaniglia

15 cc di succo di limone

6 ostriche

10 g di colla di pesce

Versare in un pentolino l'acqua e le bucce del limone. Riscaldare fino a raggiungere 50°C, aggiungere la polpa della bacca di vaniglia e portare alla temperatura di 85°C. Allontanare il pentolino dal fuoco e aggiungere il succo di limone. Sigillare con la pellicola e lasciare in infusione per 30 minuti. Successivamente frullare il tutto e passare al colino cinese. Nel frattempo aprire le ostriche, versare l'acqua contenuta al loro interno in un pentolino e riscaldare fino a ebollizione. Aggiungere le ostriche e lasciar cuocere per 3 minuti. Raffreddare immediatamente togliendo le ostriche dall'acqua. Aggiungere al primo composto (acqua, limone e vaniglia), la stessa quantità di acqua di ostriche. Far intiepidire il tutto e aggiungere le ostriche e la colla di pesce, precedentemente ammollata e strizzata. Riporre il tutto in frigorifero per circa 30 minuti.

Per le melanzane alla scapece

2 melanzane media grandezza

500 ml di olio extravergine di oliva

2 peperoncini di fiume media grandezza

2 olive verdi

1 spicchio di aglio

sale

aceto

peperoncino rosso

Pelare le melanzane e tagliarle a dadini. Ricoprirle con abbondante sale e lasciar riposare per circa 30 minuti. Successivamente rimuovere il sale, asciugare i dadini di melanzana con carta assorbente e infine friggere in olio extravergine di oliva. Dopo la cottura, condire le melanzane con sale, aceto, pepe, aglio, olive tritate, peperoncino e i peperoncini verdi di fiume tagliati a julienne. Far riposare in frigo per almeno un'ora.

Per la gelatina di acqua di pomodoro

250 g di pomodori (70 cc di acqua di pomodoro)

4 g di colla di pesce

Tagliare i pomodori a fette e passarli. Rivestire un colino con un panno di lino e versare la polpa del pomodoro. Lasciare filtrare l'acqua contenuta nei pomodori per almeno 2 ore. Trascorse le due ore, riscaldare l'acqua ottenuta dai pomodori e aggiungere i fogli di colla di pesce, precedentemente ammollati nell'acqua e strizzati bene. Mescolare fino a completo scioglimento della colla di pesce e riporre in frigo per almeno 30 minuti.

Per la palamita

200 g di palamita

Scottare la palamita su brace rovente da entrambe i lati e raffreddare immediatamente. Scaloppare e tenere da parte. Una volta completate tutte le componenti, disporre al centro del piatto le melanzane alla scapece e alternare prima la gelatina di acqua di pomodoro e successivamente quella delle ostriche. Ultimare il piatto aggiungendo la palamita.

 

a cura di Francesca Fiore

foto di apertura: www.andreadilorenzo.it

 

Per leggere Ricette di pesce d'autore. Balzi Rossi, Lorenzo e La Pineta clicca qui

 

 

Xylella fastidiosa. In Salento il campo sperimentale per scongiurare il virus. E lottare contro l’abbattimento degli ulivi

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L’Ue continua a pretendere l’abbattimento degli ulivi infetti, per evitare che la Xylella si diffonda nel continente. Dal canto suo la Puglia si rimbocca le maniche, e oltre di contrasto mette a dimora 16 diverse varietà per studiare il batterio killer. 

Xylella vs ulivi. Una lotta senza fine

Da oltre un anno la Puglia ha ingaggiato una battaglia feroce con un nemico difficile da contrastare. E tutti abbiamo imparato a conoscere la Xylella fastidiosa. A febbraio scorso è finito il commissariamento del governo, e gli ulivi superstiti  - quelli che sono riusciti a sopravvivere alla furia del batterio o non sono incappati negli abbattimenti predisposti dalla squadra tecnica per contenerlo – sono passati sotto sequestro della Procura, per non lasciare nulla di intentato: gli alberi ancora infetti sarebbero stati abbattuti. E solo una settimana fa il Presidente della Regione Puglia Michele Emiliano, convocato a Palazzo Chigi per riferire sullo stato attuale delle cose è stato molto chiaro: la xylella non è più un’emergenza, è vero, ma principalmente perché ormai in Puglia tutti gli agricoltori la considerano endemica. Ecco perché le misure preventive e contenitive che saranno prospettate davanti all’Unione Europea sono quelle adottate nei casi di grave fitopatia, a cominciare dalla cura di automobili e mezzi agricoli per evitare che diventino veicolo di trasmissione del batterio per arrivare all’istituzione di un’agenzia che si occupi in modo permanente di contrastare e fare ricerca sulla Xylella.

Il campo sperimentale in Salento. Monitoraggio e prevenzione

E se dal canto suo, dopo il dissequestro delle piante dello scorso 25 luglio, l’Europa chiede a gran voce l’abbattimento degli ulivi sospetti, per scongiurare la diffusione del batterio nel resto del continente, in Salento si lavora per la costituzione di un campo sperimentale per la ricerca. Il terreno  si trova ad Acquarica del Capo, in provincia di Lecce, e grazie alla collaborazione tra la Regione e Coldiretti Lecce sono già stati messi a dimora 200 ulivi di 16 diverse varietà all’interno di un appezzamento di terreno di 2 ettari in cui sono già presenti piante secolari di varietà ogliarola affette da Xylella. Tra le varietà di ulivo messe a dimora: Leccino, Ottobratico, Nocellara del Belice (auto radicato e innestato), Cassanese (auto radicato e innestato), Giarraffa, Biancolilla, Ogliarola, Cipressino, Carolea, Frantoio (innestato e auto radicato), Itrana e Roggianella (solo alcune delle 25 specie su cui grava ancora il divieto di impianto da parte dell’Ue, che ha scatenato la protesta dei Comuni salentini). Nel campo sperimentale le piante saranno monitorate per testare la risposta del batterio alla quarantena, e i test di laboratorio realizzati in collaborazione con gli istituti universitari pugliesi e il consorzio agrario di Lecce serviranno a mettere a fuoco una strategia sempre più mirata per limitare i danni. E scongiurare le misure più drastiche imposte dall’Ue. Perché la partita non si giochi più solo nei palazzi del potere, ma soprattutto sul campo.

Chef’s Table. A settembre la terza stagione su Netflix, e stavolta si parla solo francese

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Alain Passard, Michel Troisgros, Adeline Grattard e Alexandre Couillon. È questo il quartetto delle meraviglie scelto da David Gelb per omaggiare la cucina francese con il suo programma di culto, la docuserie dedicata alla vita degli chef. Disponibile con nuovi episodi dal 2 settembre. 

Chef’s Table. Un successo mondiale

Su Netflix la fortuna di Chef’s Table – come di tanti altri contenuti di qualità legati al racconto del cibo (si veda Cooked di Michel Pollan) – non sembra destinata a scemare. Da quando la prima serie del documentario dedicato alla vita dei più celebri chef internazionali fuori e dentro le proprie cucine è stata rilasciata un paio d’anni fa, il prodotto confezionato con la direzione artistica di David Gelb (già regista di Jiro Dreams of sushi) è diventato un cult per gli appassionati di cultura gastronomica, ricevendo un apprezzamento incondizionato da parte di tanti estimatori del genere docufilm per la qualità della realizzazione e l’ambizione del progetto. Che, non a caso, dopo un inizio brillante – il primo episodio della prima stagione era dedicato a Massimo Bottura, e ha contribuito a rafforzarne il mito agli occhi degli spettatori di tutto il mondo – ha proseguito per la sua strada in grande spolvero. Così, complice una diffusione sempre più capillare della tv in streaming on demand che da novembre scorso fa impazzire anche l’Italia, a maggio è arrivata la seconda serie: 6 episodi nuovi di zecca, 45 minuti ciascuno, che i più voraci avranno consumato in pochi giorni. Protagonisti sullo schermo, ancora una volta, sei personalità capaci di donarsi allo sguardo delle telecamere oltre la cucina, ognuno selezionato dopo una ricerca accurata che ne indagava la personalità. E scelto per la forza del messaggio da comunicare: da Ana Ros ad Alex Atala, da Enrique Olvera a Grant Achatz, da Dominique Crenn ad Anand Gaggan. Per l’Europa solo la chef slovena di stanza a Caporetto.

La terza serie. La cucina francese

Ma i piani di produzione, come anticipato qualche mese fa, erano molto più lungimiranti. Visto il successo dell’iniziativa, infatti, la squadra di David Gelb si è portata avanti col lavoro, registrando anche le puntate che presto confluiranno nella terza e quarta serie di Chef’s Table. Molto presto, per essere precisi: già il prossimo 2 settembre, dalla mezzanotte, gli episodi della terza stagione saranno disponibili per tutti gli utenti di Netflix. E lo sguardo, stavolta, si concentrerà su un orizzonte più limitato, per rendere omaggio a una delle cucine più longeve e celebrate nel mondo, quella francese. La parentesi monografica prevede solo 4 episodi, ognuno dedicato a un maestro dell’alta ristorazione francese, a cominciare da Alain Passard, quest’anno più volte sotto i riflettori per la lunga e felice carriera trascorsa in cucina. Con lui anche Michel Troisgros, nume tutelare della ristorazione d’Oltralpe, Adeline Grattard, “nuova” leva con il suo fusion parigino Yam’Tcha, e Alexandre Couillon, che la produzione è andata a scovare il Normandia, dove guida il bistellato La Marine. L’Italia quindi è fuori ancora una volta. Bisognerà attendere la primavera 2017 per scoprire se la quarta stagione di Chef’s Table premierà qualche protagonista della nostra cucina. Le alternative non mancano. 

a cura di Livia Montagnoli

Miniguida ai laghi minori d’Italia: dove mangiare intorno al Lago di Bolsena

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Sull’antica via Francigena, nel complesso del Vulsinio, c’è il lago vulcanico più grande d’Italia: il Lago di Bolsena. Malgrado questo record, con i suoi 113 km il Lago di Bolsena rientra a pieno titolo nei laghi “minori” del nostro paese: nei dintorni piccoli paesi gioiello, specialità gastronomiche da scoprire e percorsi naturali sorprendenti. 

Un lago immerso nella storia

Interamente racchiuso nella provincia di Viterbo, il Lago di Bolsena riserva non poche sorprese ai turisti che lo visitano: nei campi intorno crescono viti, ulivi, frutta e ortaggi, che si alternano ai boschi di querce e castagni, poco più distanti. Racchiuso fra il Monte Bisenzio e la penisola di Capodimonte, le sue coste sono generalmente basse e sabbiose, ideali per fare il bagno o pescare, sebbene in alcuni punti siano più paludose. Importante centro per gli Etruschi, il Lago di Bolsena è citato da Plinio nella sua Naturalis Historia: qui si svolge la drammatica vicenda di Santa Cristina, martirizzata sotto l'imperatore Diocleziano, all’inizio del IV secolo, che poi diventerà Santa Cristina da Bolsena ed è tuttora la patrona del lago.

A poca distanza dalle rive del lago sorgono due piccole isole, l’isola Bisentina e l’isola Martana. Secondo la tradizione cristiana quest’ultima, la più piccola, avrebbe custodito le spoglie della santa perché non cadessero preda dei barbari. Non solo: l’isola Martana, che prende il nome dall’unico affluente del lago, il fiume Marta, è stata in passato teatro di un’altra tragedia, quella di Amalasunta, regina dei Goti, che prese il potere alla morte di Teodorico, nel 526. Dopo essere stata portata con l'inganno sull'isola, vi fu trucidata dal cugino Teodato: è ancora presente, nella parte orientale dell'isola, una targa in sua memoria.

Cosa vedere al Lago di Bolsena: itinerari turistici e attività

Il Lago di Bolsena offre diversi percorsi e attrattive turistiche, grazie anche alla ricchezza di flora e fauna. La più grande delle due isole, la Bisentina, è del tutto circumnavigabile e spesso dalle coste del lago partono battelli di turisti per visitarla: la natura qui è quasi incontaminata, tranne che nella parte dominata dai giardini all’italiana, e i panorami sono mozzafiato. Sull’isola si trovano numerosi monumenti, come la chiesa dei Santi Giacomo e Cristoforo, il convento Francescano, la villa dell'isola e la terribile Malta dei Papi: un carcere cavato nella terra destinato a segregare a vita i condannati per eresia.

A poca distanza dal lago si trovano diverse aree con sorgenti di acqua termale, già utilizzate dagli Etruschi per la cura del corpo e per il relax, anche grazie alle notevoli proprietà benefiche delle fonti. Esistono diversi tratti di balneazione libera e importanti stabilimenti, fra cui il più grande a Bolsena, le Terme dei Papi.

La bellezza della flora del lago invoglia i turisti a partecipare alle varie escursioni: sono diversi i percorsi di trekking da fare in queste zone, per ammirare le insenature segrete, gli anfratti ricchi di vegetazione, i reperti storici che si trovano lungo i sentieri intono al lago. La ricchezza del territorio attrae varie specie di uccelli acquatici, che sostano nel lago durante le migrazioni: gli amanti del bird-watching potranno dunque ammirare folaghe, garzette, aironi cenerini, svassi maggiori e minori e molte altre specie, oltre naturalmente a quelle presenti tutto l’anno sulle rive del lago, come gabbiani e cigni.

Per chi fosse interessato ad attività più sportive, il lago offre molti tipi di attività: dalle scuole di vela alla canoa, dal tiro con l’arco alle gite in mountain bike, passando per parapendio e immersioni subacquee e tour a cavallo.

Civita di Bagnoregio

Cosa visitare nei dintorni del lago

Se non avete voglia di sostare ad oltranza sulle rive del lago, potete visitare i dintorni ricchi di storia e arte. Nella cittadina di Bolsena, ai piedi del lago, sono diversi i monumenti da ammirare: la Collegiata di S. Cristina che racchiude tre chiese comunicanti tra loro dall'interno, le catacombe del IV secolo, il Castello Monaldeschi della Cervara, la Fontana di San Rocco, le Porte di San Giovanni e San Francesco.

Allargando il raggio d’azione intorno a Bolsena si trovano diversi centri che non lasceranno delusi i turisti: Civita di Bagnoreggio, Montefiascone, Capodimonte. A poco più di 20 km si trova la “Città che muore”, Civita di Bagnoreggio: abbarbicata sullo sperone di tufo che si erge nella valle dei Calanchi, modellata da secoli di erosione, rivela tutta la sua bellezza in maniera improvvisa, anche grazie al fatto che la struttura della città è rimasta intatta dalla fine del XVI secolo. Per godere di un panorama a 360 gradi, Montefiascone fa al caso vostro: a 640 metri di altezza sul mare, offre un panorama che va dal Mar Tirreno alla Maremma, dai Monti dell'Umbria ai Monti Cimini, dai Monti della Tolfa alla conca del lago. Ai suoi piedi una vallata ricca di ulivi e vigneti dove si produce il vino locale: Est!Est!!Est!!!. Imperdibile, poi, una visita alla gemma del Lago di Bolsena, Capodimonte: arroccato su una penisola della riva sud occidentale del lago, a 334 metri, è meta di turisti e non solo in estate.

Coregone, sbroscia e latterini: i piatti tipici del lago

Nei dintorni del lago, il re della tavola è naturalmente il pesce d’acqua dolce: coregone, persico, luccio, cefalo, trota e anguilla. Il coregone è forse il più amato dagli abitanti del luogo: le due ricette più celebri lo vogliono cucinato alla mugnaia, cioè cotto in padella dopo essere stato infarinato, e alla bolsanese, ovvero al forno con l’aceto.

Il piatto tipico dei pescatori del lago è la sbroscia, una zuppa di pesce con patate, cipolla, pomodoro e mentuccia, da servire su fette di pane raffermo. Altri piatti tipici dei dintorni sono i latterini alla brace, secondo la vecchia usanza dei pescatori di mangiare i pesci al mattino, cotti sui carboni ardenti, e la minestra di tinca, che si mangia con i tagliolini cotti nel suo brodo. Nei dintorni, inoltre, si producono diversi vini da accompagnare ai piatti locali: oltre al già citato Est!!!Est!!!Est!!!, la Cannaiola di Marta e l'Aleatico di Gradoli.

Per gustare appieno i sapori e i profumi del Lago di Bolsena ecco una piccola guida con il meglio delle selezioni del Gambero Rosso: non solo ristoranti, ma anche pizzerie, bar e pasticcerie.

CONSIGLI DALLA GUIDA RISTORANTI D’ITALIA 2016

La parolina (Trevinano): Un ristorante che probabilmente non ha bisogno di molte presentazioni, data la fama di Iside De Cesare e Romano Gordini. Qui li tradizioni romana, toscana e romagnola si incontrano, in uno spazio sempre teso verso l’innovazione e la ricerca, attorniato da uno dei paesaggi campestri più romantici della zona. Due Forchette Gambero Rosso nell’edizione 2016 della Guida Ristoranti d’Italia.

Il Bocconcino (Bagnoregio): Una sintesi fra i prodotti della cucina sarda e quelli della cucina locale, con un’attenzione particolare per le carni alla brace. Servizio cordiale e attento, carta dei vini piccola ma ragionata sui piatti per questa trattoria a due passi dalla suggestiva Valle dei Calanchi.

Villa San Michele (Vitorchiano): Immerso in uno splendido parco, a 30 km dal lago, la cucina di Lorenzo Iozzia parte da ingredienti locali per dare un tocco siciliano al menù. Piatti semplici che nascondono una elaborazione accurata, carta dei vini ampia e servizio preciso: inoltre due fornite carte per caffè e acqua.

Fuori guida:

Locanda di Colle Ombroso (Porano, località Colle Ombroso): Nessun menù ufficiale e piatti che cambiano secondo la stagionalità dei prodotti per questo locale all’interno dell’omonimo agriturismo a Porano. Piatti improntati sulla cucina umbra, chilometro zero grazie all’orto privato, birre artigianali del birrificio locale: qui tutto è filiera corta. La cucina è aperta solo nei week end o su prenotazione.

CONSIGLI DALLA GUIDA PIZZERIE D’ITALIA 2016

Al Solito Posto (Viterbo): Pizza a lunga lievitazione, e un bel lavoro di sperimentazione con le farine per Raffaele Zena che oltre alla sua pizza all’italiana nel locale di Viterbo propone anche altri piatti. Grande attenzione per gli ingredienti e per gli olii extravergine del territorio, buona carta dei vini.

Al Vecchio Orologio (Viterbo): Diversi tipi di pizza per la proposta di Paolo Bianchini, molto conosciuto nel viterbese: sottile come da tradizione locale oppure napoletana. Tre diverse farine per gli impasti e olii di ottimo livello. Da provare la Vera Napoli.

CONSIGLI DALLA GUIDA PASTICCERI&PASTICCERIE 2016

Armante - Le delizie dei Borboni (Viterbo): Partiti da Marcianise e approdati a Viterbo, gli Armante collezionano successi da quattro anni, con la loro pasticceria rigorosamente napoletana. Un posto da non perdere per gli amanti di sfogliatelle e babà, ma anche per panettoni, dolci lievitati e torte classiche.

Casantini (Viterbo): Due sedi per questa pasticceria, una in pieno centro e l’altra nel quartiere Pila. Ottimi i dolci al cioccolato, le torte, i pasticcini e le brioches da colazione: qualche proposta anche per celiaci e vegani.

Catanese (Viterbo): Classici della pasticceria siciliana creati da Antonino Carbone, in particolare dell’area catanese: dalle classiche paste di mandorla e marzapane, ai dolci a base Pan di Spagna, passando per crostate e pasticcini.

Le Cose Buone (Viterbo): Pasticceria a base francese, ma declinata sui prodotto del territorio: le produzioni spaziano dalle brioches salate ai semifreddi, dalle torte più classiche ai mignon.

Etoile di Alice (Viterbo): Primo piano per le mono porzioni, colorate, invitanti e realizzate in diverse versioni, per una pasticceria a guida tutta femminile. Focus sui prodotti locali e sulla creatività, con in più un intero scaffale dedicato a chi ha intolleranze o ha fatto la scelta vegana.

Polozzi (Viterbo): Torte giocate su acidità e consistenze, solide basi di pasticceria “casereccia” e una visione moderna, per un locale sempre in equilibrio fra l'apporto fondamentale di due generazioni di pasticceri: le sapienti mani della mamma e la creatività e vivacità del figlio. Inoltre, i due hanno appena aperto una gelateria nella centrale via Roma.

Pasticceria Adriano (Orvieto): Golose monoporzioni e invitanti bicchierini colorati per la pasticceria di Maurizio di Maio. Specialità della casa è il Pandolce Etrusco, ma sono eccellenti anche le torte a base cioccolato e cannella, i semifreddi e le confetture.

CONSIGLI DALLA GUIDA BAR D’ITALIA 2016

Torrefazione Bonanni (Viterbo): Tre Chicchi dalla guida Bar d’Italia 2016 per i fratelli Bonanni: una vera istituzione del caffè. Bar dedicato alla degustazione di miscele create nel laboratorio a pochi passi dal locale.

Chalet Garbini 1908 (Viterbo): Punto di ritrovo storico, è stato riaperto da poco dai gestori del ristorante Decò Bistrot. Buono il caffè e i lieviti, ma vale la pena assaggiare anche i piatti del giorno elencati su una lavagnetta. Invitante l’aperitivo a base di vini locali o spritz.

Antico caffè di Neri (Viterbo): Pausa colazione di rispetto per questo bar situato in una zona suggestiva della città. Da provare il Caffè della Casa: un mocaccino in coppetta, con latte schiumato vellutato e avvolgente.

Caffè Grandori (Viterbo): Affacciato sulla piazza sede del Museo Etrusco, il bar è specializzato in colazioni ma anche in aperitivi, grazie a ottimi drink e cocktail. Molti gli eventi organizzati dai gestori, con serate di musica e iniziative varie, che rendono l’ambiente vivace e giovanile.

Light Cafè (Viterbo): Ampie vetrate che richiamano i caffè mitteleuropei, merita una visita sia per colazione che per il pranzo. Aperitivi organizzati in maniera eccellente, grazie ai dj set e alle preparazioni di Sara Zaffamenti.

Caffetteria Max Drink Ciccarelli (Viterbo): Ottimi caffè e cappuccini, lieviti a regola d’arte, offerta variegata e possibilità di gustare i prodotti nel dehors su una via semipedonale. Interessante punto di ritrovo anche per pranzi e aperitivi, con un’ampia scelta di pizze e tramezzini.

Gran caffè Schernardi (Viterbo): Altra riapertura di un locale storico, in cui si ritrovata la borghesia viterbese dai primi del ‘900 fino agli anni ‘80. La nuova gestione ha mantenuto lo stile classico, sia nell’arredamento che nelle proposte: valutato con i Tre Chicchi dalla guida 2016 per l'ottimo caffè. Riaperto anche il ristorante interno a prezzi competitivi.

Tredici Gradi Slow Bar (Viterbo): Immerso nella suggestiva piazza del Gesù, offre caffè ben fatti e dolci realizzati nel vicino ristorante gemello. Richiestissimi i ciambelloni e le crostate, su prenotazione anche ricche colazioni all’inglese o all’americana.

Duomo (Orvieto): Posizione centrale, ambiente moderno e informale, vivacità nel servizio. Buone le brioches e discreto tutto il servizio caffetteria, disponibile a ogni ora. Piatti turistici per il pranzo, ma non mancano altre piacevoli sorprese.

Montanucci (Orvieto): Storico bar con solida reputazione ed ambiente classico e accogliente. Non solo colazioni ma anche cioccolate artigianali, torte e dolci di vario tipo. Da provare la torta al semolino e, per la pausa pranzo, le le lumachelle, pasta di pane arrotolata con prosciutto e formaggio.

Indirizzi

La Parolina | Trevinano (VT) | Via Giovanni Pascoli, 19 | tel. 0763 717130 |www.laparolina.it

Il Bocconcino | Bagnoregio (VT) | Via Giacomo Matteotti, 3 | tel. 0761 793313 | www.ristorantebagnoregioilbocconcino.it

Villa San Michele | Vitorchiano (VT) | Via De la Quercia | tel. 0761 373441 | www.villasanmicheleviterbo.it

Locanda di Colle Ombroso | Località Colle Ombroso, Porano (TR) | Strada Provinciale, 55, Km 4.8 | tel. 340 2714727 | www.locandacolleombroso.com

 

Al Solito Posto | Viterbo | Piazza Del Santuario, 34 | Tel. 0761 345727 | www.daraffaelealsolitoposto.it

Al Vecchio Orologio | Viterbo | via Orologio Vecchio, 25, | tel. 335 337 754 | www.alvecchioorologio.it

 

Armante - Le delizie dei Borboni | Viterbo | via Monte Santo, 24 | tel. 338 7240116

Casantini | Viterbo | via Cairoli, 27 | tel. 0761 307039

Catanese | Viterbo | via Roma, 19 | tel. 0761 309647

Le Cose Buone | Viterbo | via della Marrocca, 66 | tel. 0761 092214 | www.lecosebuone.eu

Etoile di Alice | Viterbo | via del Lavatoio, 2 | tel. 0761 223580 | www.etoiledialice.com

Polozzi | Viterbo | Piazza della Rocca, 5 | tel. 0761 346727

Pasticceria Adriano | Orvieto | via della Pace, 26 | tel. 0763 342527

 

Torrefazione Bonanni | Viterbo| via G. Amendola, 29 | tel. 0761324706

Chalet Garbini 1908 | Viterbo | Piazzale Gramsci n.2 | tel. 0761 321336

Antico caffè di Neri | Viterbo | via Saffi, 6 | tel. 3319970341

Caffè Grandori | Viterbo | piazza della Rocca, 32 | tel. 0761092308 | www.grandori.it

Light Cafè | Viterbo| via della Palazzina 127 | tel. 0761 3332144931

Caffetteria Max Drink Ciccarelli |Viterbo| via Marconi, 79/83 | tel 0761306013

Gran Caffè Schernardi |Viterbo| Corso Italia, 11 | tel. 0761 345860 | www.grancaffeschenardi.it

Tredici Gradi Slow Bar | Viterbo | Piazza del Gesù | tel. 0761 220366

Duomo | Orvieto | via Barzini, 14 | tel. 0763 342750

Montanucci | Orvieto | Corso Cavour, 21 | tel. 0763 341261 | www.barmontanucci.com

 

a cura di Francesca Fiore

 

 

 

Mistura 2016. L'incontro delle cucine millenarie per la nona edizione

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Al via la nona edizione di Mistura, il festival più colorato e sabroso del Perù. E il più grande del Latinoamerica.  

Il Padiglione Internazionale: l'incontro delle cucine millenarie

Dal 2 al 11 settembre nella Costa Verde di Magdalena a Lima torna Mistura, la grande festa gastronomica con focus sulla cucina peruviana, e sudamericana in generale, e su come questa possa rappresentare un motore di sviluppo economico e sociale. Fil rouge di questa edizione sono le antiche cucine del mondo, tant'è che una delle numerose novità di quest'anno è il Padiglione Internazionale che ospita India, Marocco e Messico, paesi che come il Perù hanno culture gastronomiche millenarie, caratterizzate da una grande biodiversità e una dispensa di prodotti unici. Paesi che qui racconteranno le loro cucine attraverso le parole degli chef più rappresentativi. Solo per fare qualche nome: Mitsuharu TsumuraPalmiro Ocampo, Virgilio MartínezDiego MuñozRodolfo Castellanos Elena Reygadas. A completare il quadro, gli interventi degli chef provenienti dal Giappone e circa 300 proposte gastronomiche, tra ristoranti e “camioncinodel sabor”. E ancora, i pescadores-cocineros, un gruppo di pescatori che si dedicarà alla preparazione di piattidi pesce.

Il Grand Mercato

Come ogni anno, un'attenzione speciale è riservata ai diversi attori della filiera, ai produttori locali e a chi lavora la terra. I cui frutti si possono trovare nel Gran Mercato, cuore pulsante della fiera. In questa edizione, dato che il 2016 è l'anno internazionale dei legumi, nella Cucina del Gran Mercato verranno preparate le minestre, quelle più rappresentative della biodiversità peruviana: con pajuro o poroto (fagiolo gigante peruviano), con pallares (fagiolo bianco di Lima), con tarwi o chocho (specie di lupino), con maní (anacardi) o con garbanzos (ceci). Oltre a gustare, gli avventori qui possono apprendere le tecniche migliori per cucinare i prodotti peruviani, attraverso le classi tenute da cuochi locali e internazionali.

Mistura sostenibile

Insieme al fitto calendario degli interventi dei grandi chef, Mistura ospita anche diversi concorsi, tra cui quello in onore di Teresa Izquierdo, cuoca scomparsa cinque anni fa, consegnato a un gruppo di cuochi imprenditori delle province attorno a Lima: Supe, Barranca, Pativilca, Huacho, Huaral, Huarochirí e Cañete. Non solo, in questa nona edizione la parola d'ordine è sempre più sostenibilità. Che si concretizza attraverso il riciclo dei prodotti che non vengono usati dai ristoranti presenti in fiera e che andranno a comporre il menu di un “pop-up gastronomico”.

 

Mistura | Perù | Costa Verde - Magdalena del Mar | mistura.pe | 2-11 settembre 2016

 

 

 


Tre cocktail da fare a casa con l'Elephant Gin

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La passione per il bere miscelato ha fatto del Gin uno degli spirits di assoluta tendenza nel mondo, Italia inclusa. Ed ecco allora delle ricette studiate per voi dalla barlady Katerina Logvinova.  

Gin. Cos'è?

Troppo facile dire gin. È infatti necessario fare una distinzione tra quello olandese, prodotto dalla distillazione di un fermentato ottenuto da frumento e orzoin cui viene messa a macerare una miscela di erbe, spezie, piante e radici, detti botanicals. E il London Dry Gin, dove la base di partenza è un alcol neutro. Il minimo comun denominatore rimangono comunque le bacche di ginepro che ne caratterizzano profumo e gusto. Da qui il nome. Nonostante le origini olandesi e la diffusione in principio solo in Inghilterra, questo distillato viene prodotto oggi in tutto il mondo, dall'America alla Spagna, dall'Italia (qui trovate i15 gin italiani da provare assolutamente) alla Germania.

Un gin che difende gli elefanti

Katerina per i suoi cocktail usa proprio un gin tedesco, prodotto a sud est di Amburgo, che oltre a essere di ottima qualità, è anche sensibile alla salvaguardia degli elefanti. Parliamo dell'Elephant Gin, un London Dry Gin nel quale alcune botanicals provengono dall'Africa, come buchu, coda di leone, artiglio del diavolo, baobab o artemisia africana, e grazie al quale (devolve il 15% dei profitti) vengono in parte finanziate le organizzazioni Space for Elephants e Big Life Foundation che si battono contro l'esportazione incontrollata di avorio, la quale ogni anno provoca la morte di circa 35mila elefanti. Uno ogni quarto d'ora. Ma torniamo a un argomento più frivolo: ecco le tre ricette, passo passo.

Perfect Serve Elephant Tonic
Riempire con il ghiaccio un bicchiere

Mettere 1 fetta di zenzero fresco

Raffreddare il bicchere, mecolando il ghiaccio

Togliere lo zenzero

Aggiungere due fette di mela

Versare 50 ml di Elephant Gin

Lentamente versare 200 ml di acqua tonica premium

Oasentrunk

60 ml Elephant Gin

75 ml Suco di mela fresco

15 ml sciroppo di miele

25 ml limone

4 foglie di basilico l

Shakerare e versarlo, filtrando sul ghiaccio

Guarnizione: una rondella di lime e 2 foglie di basilico (vedi foto apertura)

Classic No 10
35 ml Elephant gin

25 ml Earl Grey Tea

15 ml lime

10 ml sciroppo di zucchero

Shake&Strain

 

Too good to go: l’app che aiuta la lotta allo spreco. E al ristorante si spende meno

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Ideata in Danimarca, l’app che coinvolge ristoranti e clienti che vogliono risparmiare senza rinunciare al gusto oggi è diffusa anche in Germania, Francia e Inghilterra. La formula per il successo? Ordini al ristorante il piatto rimasto invenduto, paghi meno e riduci lo spreco. 

Lotta allo spreco. Anche al ristorante

Too good to go: troppo buono per essere lasciato andare. O, meglio, per finire nella spazzatura.  Parla chiaro l’applicazione danese ideata nel 2015, che a distanza di un anno sale alla ribalta delle cronache internazionali per la capacità di toccare la coscienza di molti e superare così i confini nazionali. Oggi il sistema è ampiamente diffuso in Germania, Francia e Inghilterra (nelle capitali Berlino, Parigi e Londra), in attesa che altri Paesi possano usufruire di un servizio di grande attualità, visto il contributo che reca alla lotta allo spreco alimentare. E così, mentre anche l’Italia si dota di una legge che incentiva a donare, favorendo il recupero di scarti ed eccedenze alimentari ancora buoni da mangiare, e il nostro Massimo Bottura si spende per la causa sostenibile e solidale di là dall’Atlantico, con il Refettorio di Rio inaugurato pochi giorni fa, la tecnologia al servizio dell’ingegno accorre in soccorso alla causa. Perché lo spreco alimentare – che gli ultimi sondaggi confermano essere duro a morire – possa un giorno trasformarsi in un lontano ricordo. Intanto l’app destinata ai ristoranti e ai consumatori che non si lasciano scoraggiare dalle apparenze cerca di limitare i danni.

Too good to go. Come funziona

Come funziona Too good to go? La start up mette in rete i ristoranti e le attività commerciali che hanno deciso di donare il cibo destinato alla pattumiera in mancanza di alternative valide. Una sorta di doggy bag acquistata a distanza, insomma: il cliente potrà comprare il cibo direttamente tramite app, selezionando attraverso una mappa geolocalizzata i ristoranti aderenti più vicini per esaminare le proposte del giorno o, ancor meglio, individuando un piatto specifico e rintracciando il ristorante che lo mette in vendita a un prezzo ribassato, come per ogni articolo “di seconda mano” che si rispetti. A Londra, per esempio, dove il circuito coinvolge già 95 ristoranti, la spesa non supera mai le 4 sterline per “piatto”, servito al cliente che si reca all’indirizzo dell’attività per ritirarlo a fine servizio in pratiche vaschette ecosostenibili (fornite dagli ideatori dell’app). Dietro all’invenzione che fa bene ai ristoratori (li aiuta a monetizzare il food cost in percentuali molto più alte, trasformando lo spreco in guadagno) e ai clienti c’è Chris Wilson, che supportato dal suo team è intenzionato a raggiungere un numero di esercenti e utenti iscritti al servizio sempre maggiore. E d’altronde le app impegnate nella lotta allo spreco si moltiplicano in tutto il mondo.

I precedenti italiani

Anche l’Italia – dove ogni anno finiscono nella spazzatura 8 milioni di euro – non sta a guardare. Da My Foody  e Recup (a Milano) a Last Minute Sotto casa (a Torino), da Ratatouille (in Veneto) a Food for Good, che il cibo lo recupera tra i banchetti di catering ed eventi, l’impegno è capillare e crescente.  In attesa che Too Good to go coinvolga anche i ristoranti del nostro Paese.

 

www.toogoodtogo.co.uk

a cura di Livia Montagnoli

Theresa May sul junk food. Il dietrofront della premier inglese: non si può danneggiare l’industria alimentare

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Le ultime dichiarazioni della neopremier in materia di prevenzione dell’obesità infantile scatenano la reazioni di chi nella lotta al junk food ci ha sempre creduto, come Jamie Oliver. Ecco perché la Gran Bretagna non applicherà le restrizioni promesse. 

Educazione alimentare made in UK. Un ambasciatore d’eccellenza

È stato uno dei primi a calcare il palcoscenico delle cucine televisive Jamie Oliver, oggi acclamata chef star inglese, conosciuto in tutto il mondo per trasmissioni d’intrattenimento, documentari e libri che pubblica a ciclo continuo. Ma il giovane chef, che non ha mai disdegnato di mostrarsi in pubblico con la sua nutrita famiglia – il quinto figlio è arrivato appena qualche giorno fa – sin dall’inizio della sua carriera come chef ha deciso di convogliare la propria visibilità in favore dell’educazione alimentare, impegnandosi concretamente contro l’abuso di junk food in età scolare (in passato ha anche ridisegnato il menu di alcune mense scolastiche aderenti a un programma alimentare fondato sul binomio gusto e salute) e sfruttando il mezzo televisivo per promuovere invece il cibo sano, genuino e homemade.

Il cambio di rotta di Theresa May

Spesso interlocutore privilegiato della politica inglese in materia di educazione alimentare, nelle prossime settimane sarà chiamato a condurre una delle sfide più difficili di sempre: il nuovo primo ministro Theresa May, infatti, di fronte al compito di rafforzare economicamente il Paese in vista della Brexit ha scelto di privilegiare l’industria alimentare, annunciando una evidente marcia indietro rispetto alle misure drastiche promesse dal governo contro il cibo spazzatura, come in passato è stato per l’introduzione della tassa sulle bibite zuccherate (tra le cause principali di obesità infantile) che resterà comunque in vigore.  E pensare che solo qualche settimana fa i due protagonisti della storia avevano dialogato a mezzo stampa scambiandosi reciproche “cordialità”: da un lato il neopremier labourista si dichiarava grande fan dello chef dell’Essex, dall’altro Oliver si dimostrava impaziente di ottenere un incontro ufficiale per discutere una nuova strategia che favorisse il cibo sano contro l’obesità infantile, basata principalmente sul cambiamento delle formule di marketing e comunicazione dell’industria alimentare. D’altronde accanto ai Tories di David Cameron lo chef si era mostrato sempre disponibile al confronto, senza dimenticare di svolgere quel ruolo scomodo di “spina nel fianco” – come si è recentemente definito – per condurre il dibattito politico verso risultati concreti.

Superfood e ricette di famiglia contro il junk food

Anche se il suo sostegno al cibo preparato tra le mura domestiche – “è più sano, nutriente e appagante” – più volte sbandierato nelle ultime settimane, coincide con la pubblicazione  di un nuovo libro dedicato proprio ai Family classics, le ricette di famiglia, preparate però secondo criteri che privilegiano il benessere riducendo grassi e ingredienti non salutari. Valorizzando, per esempio, i 14 supercibi protagonisti di uno degli ultimi programmi tv di Jamie, che da sempre si spende per una cucina intelligente, “che usa cibi semplici”. Qualche esempio? Le uova ricche di proteine di qualità e molto versatili, la patata americana e il latte di capra, il pesce e le erbe spontanee, ma anche le noci, i fagioli neri e le alghe marine. O il riso selvatico.

La May in difesa dell’industria alimentare

Consigli pratici che Jamie Oliver non si stancherà di divulgare anche davanti all’ultima doccia fredda che cambia le carte in tavola: è il Times a riferire la bocciatura delle proposte avanzate dal ministro della sanità Jeremy Hunt recanti misure contro il cibo spazzatura. In concreto, per preservare posti di lavoro e sostenere l’industria alimentare, la May ha accantonato proprio le restrizioni sulla pubblicità al junk food invocate da Oliver (e con lui dalla Public Health England, l’autorità sanitaria inglese), per evitarne la trasmissione prima delle 9 di sera. E così anche il divieto di esporre junk food alle casse dei supermercati. Quale sarà la prossima mossa dello chef?

 

a cura di Livia Montagnoli

Open a Reggio Calabria. Cibo (di qualità) e lavoro per il negozio della legalità e dell’interculturalità

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Sugli scaffali ci sono i prodotti d’eccellenza dell’agroalimentare italiano e le proposte del circuito equo solidale, all’accoglienza sono chiamati ragazzi italiani e stranieri che lavorano insieme per raccontare il piacere del cibo. Ecco come si fa integrazione in Calabria. 

Open. Legalità e buon cibo

Quando si parla di sostenibilità il rischio è quello di cadere nella trappola della retorica, quasi che quel termine fosse un paravento sufficiente a promuovere un’impresa. Ma ciò che sta succedendo a Reggio Calabria da qualche giorno allontana ogni dubbio circa la bontà di un’operazione sostenibile che ha portato all’apertura del primo punto vendita etico in una città del Mezzogiorno di cui, purtroppo, non sentiamo parlare spesso. Si chiama Open, e l’insegna vuole essere di buon auspicio per la missione che il locale di via Filippini ha deciso di portare avanti, coniugando il sostegno ai piccoli produttori locali con l’apertura al contributo dei commercianti stranieri presenti in città. Open, quindi, più nello specifico affonda le radici in urgenze che vanno ben oltre il puro e semplice appoggio alla filiera alimentare sostenibile, perseguendo la via della legalità e dell’interculturalità. E la partita si gioca sul campo del cibo, incoraggiando la cooperazione tra piccoli commercianti stranieri e partner locali. Così ad accogliere i clienti nello spazio ideato dall’Associazione International House ci sono ragazzi italiani e stranieri che lavorano insieme e presentano l’ampia gamma di prodotti in vendita sugli scaffali, frutto di un’attenta selezione sul territorio locale, nazionale e mediterraneo.

I prodotti. Eccellenze italiane e cibo etnico

Perché in fondo, superate le presentazioni di rito, da Open si arriva soprattutto per acquistare specialità enogastronomiche e prodotti d’eccellenza, molti in arrivo dal circuito equo solidale, altri rintracciati nel circuito Slow Food. L’accento è posto sulle referenze italiane, da Nord a Sud della Penisola: dal succo di mela biodinamico Zolla14 ai capperi di Salina, dal miele invecchiato in barrique di Ancona alla fava cottoia di Modica, alla frutta e verdura a km 0 di BioAgri. Ancor più attinenti al criterio di territorialità sono i prodotti  a marchio Calabria Solidale, la onlus che dal 2012 riunisce tutti i produttori regionali che hanno scelto di perseguire legalità, trasparenza, solidarietà, rispetto del lavoro e tutela dell’ambiente. Principi tutt’altro che scontati. E infatti Open si propone soprattutto di denunciare i casi, ancora troppo frequenti, di sfruttamento della manodopera straniera, proponendo invece un’alternativa fondata sulla collaborazione e sulla valorizzazione del lavoro, che promuove al tempo stesso la filiera del prodotto, raccontandone la storia “in uno spazio articolato come un racconto da vivere” sostengono gli ideatori. 

Progetto Open. L’integrazione si fa con la qualità

D’altronde l’iniziativa fa capo a un progetto più ampio – Open, tante vie per l’integrazione – sostenuto da Fondazione con il Sud per sperimentare nuove forme di inclusione sociale degli immigrati e fare della Calabria una “terra d’accoglienza”. Per esempio offrendo agli stranieri lavori utili per la comunità, dalla cura del verde pubblico ai servizi di promozione del territorio calabrese. E ora si aggiunge anche il negozio di cibi d’eccellenza, “perché l’integrazione si fa attraverso la cultura che promuove la qualità”.

 

Open | Reggio Calabria | via Filippini angolo Giudecca, 23/25 | http://assinternationalhouse.it/open/

 

a cura di Livia Montagnoli

Foto di Marco Costantino

ABCheese, Eleonora Baldwin e i formaggi: Cacioricotta caprino del Cilento e mozzarella nella mortella

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Il Cilento è sempre stato fonte d’ispirazione: il suo mare, la natura ma anche lo stile di vita. E quello alimentare. Proprio qui negli anni ‘50 il fisiologo statunitense Ancel Keys scoprì per primo i benefici dell’alimentazione e dello stile di vita cilentano sulla salute. Stile che lui stesso ribattezzò “Dieta Mediterranea”. Pane, pasta, frutta, verdura, moltissimi legumi, olio extra vergine di oliva, pesce azzurro e pochissima carne sono alla base di questo stile alimentare... ma il formaggio? È previsto? Se sì, quanto? E di che tipo? Sono venuta proprio qui alla fonte, per scoprirlo.

Cacioricotta Caprino del Cilento

Le mie ricerche mi portano a fare una scoperta felice: il cacioricotta di capra, prodotto semplice e dalle umili origini pastorali, è non solo ammesso dalla Dieta Mediterranea, ma ne è addirittura un portabandiera. Presidio Slow Food e Prodotto Agroalimentare Tradizionale, il cacioricotta caprino del Cilento è un formaggio fresco o di breve stagionatura, a pasta fresca, semi-stagionata o stagionata, buono e sano.

Storia e Territorio

La zona di produzione del cacioricotta caprino del Cilento è il basso Cilento in provincia di Salerno. Mi dirigo quindi verso Casal Velino, a 5 km dal mare, all’azienda agricola biologica a conduzione familiare I Moresani. Qui si produce tutto ciò che la dieta mediterranea prevede: olio extra vergine d’oliva, allevamento di maiali, polli e vitelli podolici, marmellate, sottolio, vino della casa... e formaggi di capra. Mi ritrovo in un’oasi di benessere per lo spirito ma anche per il corpo (e lo stomaco). “La volontà è quella di riproporre canoni di vivibilità e convivialità che molti purtroppo non riescono più a godere”, spiega Gino Fedullo, ultima generazione alla guida dell’azienda. Ma parliamo del cacioricotta. Perché è un prodotto così rappresentativo di questa zona e delle sue tradizioni alimentari? “Il Cilento è capra!” Questa zona infatti è terra di capre di razza cilentana, che pascolano un nutrimento ideale: macchia mediterranea, arbusti, cespugli, alberi bassi. E grazie all’azione del pascolo caprino, il sottobosco è mantenuto sempre pulito, sgombro e ben concimato. Questa “manutenzione del territorio” tutta naturale ha effetti benefici sulla crescita delle piante ad alto fusto e sulla possibilità di controllare eventuali focolai. Tutto ha un senso.

Lavorazione e Stagionatura

La particolarità di questa lavorazione – tecnica che si ritrova anche in Puglia e Basilicata – è il recupero delle siero-proteine. In sostanza, grazie al forte riscaldamento del latte di capra, questa lavorazione unisce due tecniche in una: la coagulazione del latte “presamica” (caratteristica del formaggio o ‘cacio’) e quella “termica” (tipica della ricotta) ovvero la ricottura del siero.

Terminologia complessa a parte, è molto più semplice comprendere la lavorazione osservandone i passaggi: il latte crudo di capra viene riscaldato a 90° e poi raffreddato a 36-37° C. A questo punto viene inoculato con siero-innesto e aggiunto il caglio di capretto. La cagliata viene poi rotta alla grandezza di un chicco di riso e lasciata ad acidificare sotto siero. Dopo l’estrazione, la cagliata viene versata delicatamente nelle fuscelle. Quando le forme si sono raffreddate, si procede alla salatura a secco. Dopo una paio di giorni le forme vengono estratte dalle fuscelle, lavate e disposte su dei graticci, dove vengono unte con una miscela di olio d'oliva e aceto. Una volta si lasciavano asciugare sotto gli alberi di ulivo, in un’immagine poetica.

La stagionatura per il fresco è di 2-3 giorni, per il semi-stagionato o stagionato, si arriva fino a 30-40 giorni di maturazione. Il cacioricotta caprino del Cilento nasce come formaggio stagionale, si produceva infatti solitamente da aprile a settembre, ma vista l’odierna produzione di latte senza interruzioni, il cacioricotta ora è prodotto tutto l’anno.

Assaggio

Il mio momento preferito! Ho due forme davanti a me, una fresca di appena qualche giorno, l’altra ha compiuto da poco un mese. La superficie esterna nel formaggio fresco è candida, con impresse le tipiche rigature dei canestri. La pasta è morbida, bianca e senza occhiatura. Nel formaggio stagionato la crosta è leggermente più dura, di colore paglierino e la pasta è dura, compatta, scagliosa e leggermente piccante, anch’essa di colore paglierino. Il gusto è ricco di note erbacee, che virano al piccante con la maturazione. La componente caprina non è aggressiva e in bocca anche l’assaggio dalla forma stagionata è solubile e delicatamente sapido.

Il fresco si abbina bene con le olive salelle ammaccate del Cilento (altro Presidio Slow Food), pane rustico caldo, fave fresche, pancetta cruda. Lo stagionato è ottimo da grattugia, spolverato su pastasciutte e zuppe, primi piatti come i fusilli al ragù di castrato, e altre pietanze tipiche del Cilento. C’è anche chi osa e ne lascia cadere trucioli sul pesce. Questo formaggio predilige vini rossi frizzanti o mediamente strutturati.

Mozzarella nella Mortella

Penserete che sono fissata, ma mi trovo costretta, mio malgrado, a parlare ancora di mozzarella qui in Campania. Perché dopo il cacioricotta caprino, l’altra tipologia di formaggio ammessa dalla Dieta Mediterranea – benché più grassa, e quindi da consumare in quantità minori – è proprio la pasta filata della mozzarella. La mozzarella che vado a investigare oggi però è veramente speciale e unica, l’emblema di questa parte del Cilento e che si produce esclusivamente nella zona alle pendici del monte Gelbison. Parlo de “a mozzarella inda a mortedda”.

Storia e Territorio

Questa formaggio fresco a pasta filata si produce nel basso Cilento, nel territorio compreso nel Parco Nazionale del Cilento. Vado quindi al Caseificio Chirico a Marina di Ascea, dove si lavora ancora secondo tradizione e in famiglia. Come aspetto si potrebbe dire che la mozzarella nella mortella assomiglia alla stracciata, ma questa mozzarella qui ha una particolarità davvero inusuale: viene avvolta in rami di mirto, caratteristica che ne determina sia aspetto che aroma.

Ma perché il mirto? Questa particolarità deriva dall’esigenza di conservare bene il formaggio durante il trasporto al mercato paesano. Usando le fronde fresche e verdi di mirto (“mortella” in dialetto campano) presente in abbondanza in questa zona, si avvolgeva la pasta filata per formare un pacchetto aromatico che, grazie alle proprietà antisettiche della pianta, salvaguardasse allo stesso tempo il prezioso contenuto. “Questo formaggio è la storia di questo territorio ma anche un po’ la storia della mia famiglia”, spiega Silvia Chirico, che insieme al padre manda avanti con passione, umiltà e grazia il caseificio di Marina di Ascea. La ricetta e la lavorazione di questo prodotto appartengono alla famiglia Chirico da diverse generazioni, che ne mantengono viva la tradizione attraverso i gesti e l’amore tramandato e ripetuto quotidianamente.

Lavorazione e Stagionatura

Ma qual’è la particolarità della lavorazione della mozzarella nella mortella? Vediamone gli affascinanti passaggi. Il latte vaccino intero lavorato a crudo viene addizionato con caglio di vitello e fatto coagulare. La cagliata viene rotta e lasciata a maturare in caldaia dopo l'estrazione del siero, ottenendo così una massa asciutta e ben protetta da una pellicina. Una volta tagliata la massa a listarelle con un coltello, si procede alla tradizionale operazione di filatura e formatura addizionando molta acqua bollente e sale in filatura, tutto esclusivamente a mano. La pasta viene poi “stracciata” ovvero tirata e maneggiata per ottenere delle forme allungate di circa 15-18 cm, schiacciate per la lunghezza da un lato e piene dall’altro, con un peso che non supera i 100 grammi ciascuna. Questi “spicchi” uniti dalla parte sottile vanno a formare un insieme di circa 10 pezzi (per un peso totale intorno al chilo). I rami di mirto selvatico raccolti in precedenza vengono aperti a ventaglio al centro del quale viene ospitato l’insieme degli spicchi di formaggio. Raccolti attorno al formaggio i rami avvolgono completamente gli spicchi. Le due estremità del fascio vengono legate con rametti di ginestra e il gioco è fatto. Dopo 4 ore la mozzarella nella mortella è pronta da assaggiare.

Assaggio

Inutile dire l’emozione che si prova quando si va ad aprire il fascio di mirto: venire assaliti da un profumo di Mediterraneo, latte e oli essenziali è tutt’uno con la sensazione di essere testimoni di un retaggio antico e solenne, che non va assolutamente perso. La pasta filata, in questo breve lasso di tempo a contatto con le foglioline di mirto, acquisisce un’incredibile carica aromatica, dove ovviamente dominano le note di mirto, anche se la componente lattea non è da meno. Il gusto rispecchia lo stesso carattere dei profumi, con in più la freschezza e la particolare consistenza della pasta, che in bocca è prima leggermente gommosa, poi subito solubile e delicatamente sapida.

La mozzarella nella mortella è un prodotto che si degusta in purezza, e si accompagna bene con prosciutto crudo e pomodorini freschi, o infilata in un bel panino da portare in spiaggia. Questo formaggio predilige vino bianco giovane, magari anche frizzante.

Ancel Keys diceva nel suo libro “Mangia bene e starai bene”. Aveva proprio ragione. Devo dire che i sapori cilentani trovati in questa zone, rappresentati in prima linea dal grandioso cacioricotta e dalla fenomenale mozzarella nella mortella, hanno su di me un effetto benefico. Al gusto unico di questi prodotti si unisce poi lo straordinario carattere e generosità delle persone che li producono. Grazie, Cilento!

 

a cura di Eleonora Baldwin

 

Questi e altri formaggi li racconto in ABCheese, viaggio nell’Italia dei formaggi, un programma che va in onda tutti i martedì su Gambero Rosso Channel - SKY 412 alle 12 e alle 21:30, con repliche sab e dom alle 17:00 e alle 22:30

 

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