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ABCheese, Eleonora Baldwin e i formaggi: Vezzena e Lagorai

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Dopo l’esplorazione dell’Altopiano della Paganella, con l’assaggio di formaggi incredibili per varietà e sapore, mi dirigo in Valsugana, una terra che promette tante eccellenti realtà casearie d’alpeggio. Fra queste scovo due notevoli prodotti di malga – ovvero fattorie estive ad alta quota dove le vacche pascolano libere e si cibano di una dieta estiva a base di erbette e fiori che variano a seconda del territorio – oggi sono sulle tracce del formaggio Vezzena e del Lagorai.

Vezzena

Per raggiungere le malghe bisogna ingranare le marce basse, arrampicarsi lungo strade tortuose e salire di quota. La mia prima meta è il passo Vezzena, a circa 1400 metri di altitudine dove trovo Paoletto Lorenzini alla sua Malga Palù, non lontano dal confine col Veneto ad est, e dal Lago di Caldonazzo ad ovest. Lui produce il vero Vezzena, un Prodotto Agroalimentare Tradizionale e Presidio Slow Food di rara bontà.

 Vezzena, un Prodotto Agroalimentare Tradizionale e Presidio Slow Food

Storia e Territorio

Tipico formaggio d'alpeggio del Trentino e simbolo della tradizione casearia locale, il Vezzena nasce molti secoli fa, largamente utilizzato da grattugia prima della guerra 15-18. I grandi grana a quell’epoca non erano ancora in auge. In seguito, con l’intensiva commercializzazione dei formaggi grana, il Vezzena anziché perdere popolarità, conquista ulteriore pregio. Si dice addirittura che l’imperatore Francesco Giuseppe d’Austria lo voleva ogni giorno sulla sua tavola.Unico per gusto e aroma, grazie alle essenze dell’altopiano presenti nella dieta delle vacche e per la lunga stagionatura, il Vezzena oggi è prodotto da giugno a settembre in un ristretto numero di malghe della provincia di Trento nei territori di Vezzena, altipiano di Lavarone e Folgaria.

Lavorazione e Stagionatura

Il pascolo d’alpeggio fa davvero la differenza. In questo caso influisce in maniera fondamentale nella natura stessa del prodotto. Il Vezzena si produce solo nel periodo d’alpeggio, da giugno a settembre. Ma come si fa il Vezzena? Il latte crudo della sera, proveniente esclusivamente da malghe del territorio, parzialmente scremato per affioramento naturale, viene unito a quello della mungitura mattutina e inoculato con latto-innesto. La temperatura viene poi portata a 35°C, e nel caso della lavorazione di Paoletto alla sua malga, il riscaldamento del latte nella caldaia di rame, avviene mediante un focolare a legna posto al di sotto. Alla giusta temperatura viene aggiunto caglio bovino e la coagulazione avviene in circa 25 minuti. Si procede quindi a rompere il coagulo alle dimensioni di un chicco di mais, e poi la pasta viene cotta a 46° C. Qui rimane in sosta sotto siero per un periodo che varia dai 10 ai 30 minuti. L'estrazione della massa dal siero avviene a mano, si taglia poi in porzioni utili per ottenere le forme. I blocchi, posti nelle fascere di legno, sono accatastati e sottoposti a pressatura: un lavoro manuale che richiede molta forza di braccia. Dopo una sosta di 2 giorni in un locale umido e caldo, le forme vengono messe in salamoia.

Dopo la salamoia, le forme vanno in stagionatura su assi di legno dove una volta al mese vengono pulite. Il periodo di stagionatura varia a seconda della destinazione: da un minimo di 8 mesi per la versione “vecchio” e 18 mesi per la variante “stravecchio”.

Assaggio

Il Vezzena è un delizioso formaggio semigrasso a pasta dura. La crosta è abbastanza tenera, elastica, e invece dura e asciutta se più stagionato. Anche quando è molto invecchiato, il Vezzena conserva la sua personalità suadente e burrosa, sprigionando aromi che variano a seconda del periodo di pascolo. Se il Vezzena è fatto con il latte di giugno per esempio, il gusto tradisce una delicata nota “agliosa”. Aprendo la forma, il Vezzena appare con una pasta paglierina tendente al giallo più acceso, elastica e tenera con piccole occhiature. In bocca è adesiva, sapida e ricca di note di latte caldo e burro fuso. Dopo i 18 mesi di stagionatura l’occhiatura scompare, la pasta molto gialla si inizia a scagliare, i profumi si fanno più complessi e la bocca avverte ricche sensazioni erbacee e speziate. Ottimo con una birra con luppoli audaci, o con un bicchiere di vino contadino, il Vezzena chiama soprattutto pane caldo.

Lagorai

Lagorai

Infettata dalla febbre di malga, mi reco in Valsugana, e precisamente alla Malga Casarina, alla ricerca di una altro prodotto che nasce ad alta elevazione. L’aria è pulita e frizzante qui a 1500 metri, nel comune di Scurelle. La struttura che ospita il caseificioconserva le caratteristiche peculiari delle malghe di una volta: muri esterni in pietra e il tetto coperto di “scandole”. Qui incontro Francesco Lenzi, il casaro che con la sua famiglia manda avanti una magnifica lavorazione artigianale di formaggi d’alpeggio e promuove l’iniziativa “Adotta una Mucca”. Il suo fiore all’occhiello è il formaggio Lagorai.

Storia e Territorio

Nell’altopiano Lagorai, in Valsugana e nel territorio di Telve in provincia di Trento, già dal XII secolo moltissime malghe di proprietà di feudatari locali effettuavano una produzione estiva di formaggi. Questi erano per lo più destinati al consumo dei contadini locali che affidavano al capo-malga le proprie vacche affinché trascorressero l’estate in alta quota. Il Lagorai di malga era anche molto ricercato però dagli affinatori, che lo stagionavano in cantine a valle e lo commerciavano poi nella città più grandi. Nel tempo e con la nascita di sempre più numerosi caseifici a valle, le malghe sono state sempre più abbandonate. Fino a pochi anni fa il Lagorai veniva venduto fresco ad affinatori a prezzi stracciati. Per fortuna una recente rinascita e apprezzamento del formaggio d’alpeggio ha fatto si che molti casari abbiano effettivamente ricominciato a stagionare autonomamente gran parte delle forme di Lagorai e a venderle in proprio.

Lavorazione e Stagionatura

Il latte crudo munto la sera da vacche di razza grigia alpina, bruna alpina e pezzata rossa viene scremato e lasciato in contenitori di acciaio in un locale fresco e semibuio a riposare una notte. Una volta scremato, il latte viene poi aggiunto a quello munto la mattina successiva. La caseificazione del Lagorai avviene solo con aggiunta di caglio naturale, senza l’uso di fermenti industriali o selezionati. Attesi 20-25 minuti, si procede alla rottura della cagliata con lo spino alla grandezza di una nocciola. Si travasa la cagliata rotta nelle fuscelle, e si spurga il siero con diversi rivoltamenti. Tutto esclusivamente a mano! Dopo una giornata le forme così ottenute vengono messe in salamoia.

La stagionatura del formaggio Lagorai avviene nel casarìn – una cantina seminterrata, buia, fresca (mai fredda) e fatta di pietra a vista – dove viene appoggiato su assi di larice o di abete, e lasciato maturare senza l’utilizzo di alcun tipo di conservante. Il Lagorai è prodotto in malga da fine maggio ai primi di ottobre, e stagiona per un minimo di tre mesi, con un periodo ottimale di maturazione di 5 mesi.

Assaggio

Il formaggio stagionato semigrasso Lagorai si presenta in forme di circa 5 kg, con uno scalzo stondato che varia tra i 12 e i 14 cm. Aprendo la forma, le essenze del Lagorai si sprigionano in una straordinaria tessitura di aromi. La pasta è paglierina, tenera e presenta occhiature irregolari. In bocca la consistenza è adesiva, elastica con un bagaglio di sapori che include latte, burro, panna e lievi note erbacee e floreali. Servito su taglieri o fuso con la polenta, il Lagorai è degno compagno di speck e cetriolini sottaceto, pane caldo e vino schietto.

Che rivelazione i formaggi del Trentino! L’alpeggio, i sapori puliti e genuini del pascolo di montagna, la serenità che provoca il suono dell’erba strappata dal brucare delle vacche. E poi artigiani attenti e appassionati che quotidianamente portano avanti un importante discorso a difesa della tradizione e del territorio. Applausi.

a cura di Eleonora Baldwin

Questi e altri formaggi li racconto in ABCheese, viaggio nell’Italia dei formaggi, un programma che va in onda tutti i martedì su Gambero Rosso Channel - SKY 412 alle 12 e alle 21:30, con repliche sab e dom alle 17:00 e alle 22:30

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Wild Raspberries. All'asta le ricette illustrate di Andy Warhol: la parodia della cucina francese

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Omelette alla Greta Garbo e maialino alla Trader Vic's, dolci di marzapane e sculture di frutta. Queste e altre ricette nel volumetto disegnato dall'artista alla fine degli anni Cinquanta. Ora i fogli vanno all'asta da Christie's e rivelano un'ironia esilarante. Che precorre mode e manie dei gourmet contemporanei. 

Un Andy Warhol inedito. Prima della zuppa pop

Era il 1959. Andy Warhol non era ancora l'artista che oggi conosciamo tutti. Anzi, all'epoca realizzava illustrazioni di libri per bambini, ma già si dilettava con quella passione totalizzante per l'arte che avrebbe condizionato per sempre il suo modo di guardare il mondo. Facendone l'interprete per eccellenza della cultura pop. Quello universalmente noto per aver sdoganato le lattine di zuppa Campbell's, solo per restare in ambito gastronomico. Uno sguardo ironico e cinico sulla società contemporanea, il suo, che già gli apparteneva pur nella dimensione di un giovane artista che muove i primi passi tra gallerie e collezionisti di New York. Nel '59 fu Suzie Frankfurt, celebre arredatrice e decoratrice d'interni, a restare affascinata dai suoi lavori, tanto da proporgli di lavorare con lei su un progetto che della creatività artistica fece lo strumento ideale di una parodia garbata e divertita per immagini e parole. Wild Raspberries è il titolo con cui quel volumetto illustrato è passato alla storia, pur restando confinato al novero dei collezionisti del genere fino al 1997, quando il figlio di Frankfurt ne trovò per caso una copia tra le carte di sua madre, autorizzandone una ristampa.

Wild Raspberries. Cucina francese per tutti

All'epoca, infatti, il libricino nato dalla voglia di condividere uno sguardo controcorrente sul costume e le mode coeve fu confezionato dai due in soli 34 esemplari, tutti colorati a mano. L'oggetto della parodia? Sin dal titolo, quei lamponi selvatici (l'ispirazione viene dal cinema: Wild Strawberries, Ingmar Bergman, 1957) intendevano richiamare l'immaginario di una compassata cucina francese, tutta ingredienti nobili e impiattamenti raffinati, che allora regnava incontrastata nei ricettari di cucina, protagonista di tanti libri di culto della fine degli anni Cinquanta. Warhol si occupò delle illustrazioni, sua madre le corredò con testi scritti a mano sulla linea indicata dalla Frankfurt. Diciannove tra pastelli e litografie che negli ultimi dieci giorni - il termine per portarne a casa uno scade proprio oggi – sono finiti all'asta da Christie's, con un prezzo d'ingresso tutto sommato contenuto rispetto alle cifre da capogiro a cui ci hanno abituato gli ultimi pezzi firmati Andy Warhol battuti all'asta.

Ricette all'asta

Qualche migliaio di dollari per assicurarsi una delle litografie della serie a scelta, come l'esilarante Piglet a la Trader Vic's, esempio calzante di maialino arrosto servito su vassoio d'argento con ricco corredo di fiori, frutta e nastri. Come per molte pagine della serie, a far la differenza ci pensa la didascalia con le istruzioni per l'uso: vorreste portare in tavola un maialino croccante come il nostro? Niente di più semplice: “Contattate Trader Vic e spendete 40 sterline per ordinare un maialino succulento per 15 persone. Alle 6.45 pm parcheggiate la vostra Cadillac proprio davanti all'ingresso del ristorante e ritirate il pacco”. Tra le ricette suggerite anche altre strambe creazioni, dalle foglie di vite marinate con patè di foie gras al gateau di marzapane, dall'omelette Greta Garbo (“always to be eaten alone in a candlelite room”, da consumare in solitudine in una stanza a lume di candela) alle susine alla Warhol con purea di lamponi e una generosa spruzzata di Lucky Whip (la panna spray della pubblicità); ma attenzione: “le susine necessarie per la ricetta sono reperibili sono negli ultimi tre giorni di giugno nel Nord del Wisconsin”. Quando l'ironia del genio precorre i tempi. Se pensate di non poterne fare a meno avete ancora qualche ora per fare la vostra offerta.

 

Per informazioni sull'asta https://onlineonly.christies.com/s/andy-warhol-christies-book/wild-raspberries-one-plate-see-f-s-iv-134a-19/30926

Wild Raspberries | Andy Warhol e Suzie Frankfurt | 1959, ristampa 1997, Bulfinch Press

 

a cura di Livia Montagnoli

Azienda Agricola Janas e Locanda di Colle Ombroso. Una storia di qualità in Umbria

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Il nome è sardo, come l'anima del progetto. Fatto di passione, fatica, coraggio e racconti di un padre, e prima di lui un nonno, che da bambini correvano nel bel mezzo di un mare dorato, di spighe di grano.  

Un sogno, o meglio un percorso intrapreso con degli amici con i quali ha rimesso in sesto un casale in Umbria. E continuato grazie all'appoggio, anche concreto, del marito. “Il progetto di avviare un'azienda agricola è sempre esistito. Poi, Ivan ed io, ci siamo innamorati di un casale a Porano, a pochi chilometri da Orvieto e Bolsena, e di questa terra. Che col senno di poi si è rivelata particolarmente adatta alla coltivazione dei grani”. Così, Eleonora Satta, quarantenne con un lavoro sicuro e ben remunerato alle spalle, nel 2010 si è rimessa in gioco assieme e grazie a Ivan, compagno di vita e di viaggio. Da qui è nata l'azienda agricola Janas.

Azienda Agricola Janas

L'azienda agricola dei due ex informatici, “in realtà Ivan continua a fare l'informatico di mattina, per poi vestire i panni del contadino nel pomeriggio”, prende il nome dalle fate. “La leggenda narra che nella zona dove vivevo, la Barbagia, le fate coltivavano il grano ma non riuscivano a panificare le loro farine, così lo facevano fare alle donne del paese”. In una sorta di collaborazione tra uomo, natura e magia. “I grani della leggenda erano gli stessi di cui mi parlavano mio padre e mio nonno, quelli vicino casa, altissimi, forti e rustici come la mia terra”. Cresciuta con il mito e i ricordi di questi grani, Eleonora ha un unico desiderio: piantarli nella sua azienda agricola. Desiderato, prima. Fatto, poi: “Dal 2010, quando abbiamo inaugurato Janas, coltiviamo il Senatore Cappelli. Per risalire alla varietà ci siamo fatti aiutare dai genetisti e, ovviamente, dai racconti degli anziani del mio paese”. Erano solo gli inizi. “Non lo nego, in principio non sono mancati i momenti di sconforto. Quando inizi a concretizzare la bella idea e ti scontri con tempi e scartoffie burocratiche, vorresti mollare tutto. Se poi nel tuo progetto rientra anche la ristorazione, si salvi chi può!”.

Oltre alla stanca e nota burocrazia italiana, i due si sono dovuti imbattere in problemi di ordine pratico, come decidere macchinari o terzisti, e nella fiducia, difficile da guadagnare, dei vicini che “inizialmente, sarà anche per il nostro approccio bio poco praticato in zona, ci guardavano con scetticismo”. Oggi le cose vanno bene, collaborano con le università, da quella di Firenze a quella delle Marche, partecipano a progetti europei e non, come Rete Semi Rurale, volti a salvaguardare la biodiversità. E coltivano in biologico Farro Monococco, 7 grani teneri e 2 duri: Solina, Gentil Rosso, Iervicella, Verna, Bolero, Gentil Bianco. Ancora, Senatore Cappelli e Tumminia.

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La Locanda di Colle Ombroso

In azienda si cucina anche. “Prima di trasferirmi definitivamente in Umbria ho frequentato il corso di cucina professionale del Gambero Rosso, proprio perché il nostro progetto includeva anche la parte ristorativa”. Non troppii tavoli a disposizione, ma poco importa, anche perché a gestire la Locanda di Colle Ombroso sono solo loro due. Lei in cucina, lui in sala. Nessun menu ufficiale e proposte che cambiano alla lavagna di volta in volta in base alle tempistiche dell'orto. Sì, perché oltre alla produzione di grano, molito a Montefiascone per produrre la loro pasta che è in vendita in azienda così come le farine, hanno l'orto e un “pollaio botanico” dove le galline razzolano libere tra camomilla e calendula, e dove i pulcini si riparano all'ombra delle enormi fogliolone di zucca. Producono anche ceci e farina di ceci, mais e farina di mais, olio (Rebetiko e Selvaggio) degli ulivi della Riserva Monte Rufeno, confetture di ortaggi e birra di grano, frutto di una collaborazione con un birrificio locale. La filosofia aziendale si basa infatti sulla microeconomia ovvero sulle collaborazioni con i piccoli imprenditori del territorio. “Il menu si basa su una ricerca territoriale: la carne la prendiamo da Poder Riccio, un'azienda agricola vicino a noi che alleva chianina allo stato brado, quella di maiale dagli allevamenti Neri e Stefanoni e il pollame dalle aziende Pulicaro eIl Fossile”.Anche i formaggi sono di caseifici della zona. “Nell'azienda agricola Delrio si trova un gorgonzola di pecora stagionato in grotta stupendo. Per altri formaggi di pecora vado invece da Danilo Basili, qui trovo una ricotta spettacolare. I vaccini, compreso burro e taleggio (buonissimo), li prendo alla Fattoria La Goccia. Da Augusto Peletti trovo invece un lombetto al primo sale speziato unico, è una loro ricetta segreta”. Per i vini si orientano verso i biodinamici, come quelli dell'azienda Ajola, che è di due ragazzi giovanissimi che dopo essersi laureati si sono messi a produrre vino, o del Podere Orto. A volte sono gli stessi clienti a consigliare i prodotti di una determinata azienda. “Quand'è così prendo la macchina e vado a conoscere di persona il produttore, sento se c'è affinità, se segue la nostra filosofia e se dietro al prodotto vi sono serietà e buona fede. Tutte cose constatabili di persona, anche perché - e noi ce l'abbiamo - la certificazione bio non è sufficiente. Almeno in un progetto come il nostro”.

{gallery}Janas prodotti{/gallery}

Collaborazioni e progetti futuri

Eleonora e Ivan hanno attivato anche delle vere collaborazioni, dalla farina di ceci (loro) e zafferanodell'azienda Croco e Smilace, ai formaggi caprini di Secondo Altopiano aromatizzati con la loro crusca. “C'è poi un ragazzo di soli ventisette anni che ha restaurato il Mulino Medievale dei Renzetti, e noi seminiamo il grano per lui. Da questa sinergia sono nate delle farine uniche”. Progetti futuri? “Vorremmo tanto poterci permettere di assumere qualcuno, anche se per ora contiamo sull'aiuto di stagisti e di wwoofer (un viaggiatore che si muove tra le fattorie del mondo ricevendo vitto e alloggio in cambio di manodopera). Poi, se la burocrazia e il poco tempo ce lo consentono, vorremmo avere il nostro mulino in azienda”. Così il cerchio si chiude. In un ecosistema di qualità, rilancio di territori dimenticati e a rischio spopolamento e soprattutto di giovani che mettono tra parentesi la lagna di un paese che non dà opportunità e che obbliga ad espatriare o all'apatia. E formano network d'eccellenza che si valorizzano a vicenda.

La Locanda di Colle Ombroso - Azienda Agricola Janas | Porano (TR) | Strada Provinciale 55 Km, Località Colle Ombroso | tel. 0763 616588

a cura di Annalisa Zordan

 

Partner e fornitori:

Carni

Azienda Agricola Il Fossile | Orvieto (TR) | Località San Bartolomeo | tel. 335 8743611 | www.aziendagricolailfossile.it

Allevamento Neri | San Lorenzo Nuovo (VT) | Loc. Renaccio, 18 | tel. 0763 727130 | www.allevamentoneri.it

Azienda Agricola Il Poder Riccio | Acquapendente (VT) | via G. Marconi, 48 | tel. 380 869 8987

Azienda Agricola Pulicaro | Acquapendente (VT) | Predio Pulicaro 27, Torre Alfina | tel. 0763 716757 | www.pulicaro.it

Azienda Agricola F.lli Stefanoni | Viterbo | via Cassia Nord, 60 | tel. 0761 250425

Formaggie salumi

Augusto Peletti Mastro Norcino | Orvieto (TR) | via Angelo Costanzi, 61 | tel. 0763 3056616 Azienda Agricola Danilo Basili | Orvieto (TR) | Località La Padella, 38 | tel. 329 697 7824

Caseificio Azienda Agricola Delrio | Bagnoregio (VT) | Località Monterado

Fattoria La Goccia | Orvieto (TR) | Località Poggente, 37 | tel. 347 140 5876 | www.fattorialagoccia.it

Fattoria Il Secondo Altopiano | Sugano di Orvieto (TR) | Località San Quirico, 4 | tel. 328 5696223 | www.ilsecondoaltopiano.com

Vini

Azienda Agricola 30 Querce | Lugnano In Teverina (TR) | via Lugnanese | tel. 339 765 3710 | www.trentaquerce.it

Azienda Agricola Ajola | Orvieto (Tr) | Località Sugano, 26

Azienda Vitivinicola Madonna del Latte | Orvieto (TR) | Località Sugano, 11 | tel. 335 649 0956 | madonnadellatte.it

Cantine Neri | Orvieto (Tr) | Località Bardano, 28 | tel. 0763 316196 | www.neri-vini.it

Azienda Agricola Palazzone | Orvieto (TR) | Località Rocca Ripesena, 68 | tel. 0763 344921 | www.palazzone.com

Podere Orto | Trevinano (VT) | Strada Provinciale 51 | 0763 476091 | www.podereorto.com

Tenuta Santa Croce | Sugano di Orvieto (TR) | San Quirico, 23 | tel. 0763 217163

Zafferano e Ortaggi (in base a necessità)

Croco e Smilace | San Miniato (PI) | via Elsa, 1, Località Canneto | tel. 3779565228 | www.crocoesmilace.it

Oasi agricola Orvieto | Orvieto (TR) | Via Angelo Costanzi, 53 | oasiagricola.altervista.org

L' orto di Lorenzo | www.lortodilorenzo.com

 

Dove trovare i loro prodotti:

Trattoria del Moro Aronne (che aprirà anche una gastronomia) | Orvieto (Tr) | via S. Leonardo, 7 | tel. 0763 342763 | www.trattoriadelmoro

Trattoria La Pergola | Orvieto (Tr) | via dei Magoni 9/B | tel. 0763.343065

Bar Sale e Pepe | Orvieto (Tr) | via Monte Nibbio, 2 | tel. 0763 301892

Ristorante Trippini | Civitella del Lago TR | via Italia, 14 | tel. 0744 950316 | www.ristorantetrippini.com

Ristorante Ditta Trinchetti | Roma | via della Lungaretta, 76 | tel. 06 5833 1189 | www.dittatrinchetti.com

Piccola Bottega Merenda | Roma | viale Anicio Gallo, 59 | tel. 06 7151 0455

Le Officine Del Gusto | Roma | via Conca d'Oro, 262 | tel. 06 3105 2652

 

 

 

 

 

 

 

I volti di Gourmet. Igles Corelli

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Igles Corelli ha un'esperienza pluridecennale. È uno chef, un formatore, un personaggio televisivo, un consulente. Ma prima di tutto è un grande uomo. Ecco la sua intervista.

Igles Corelli

Che dire: è semplicemente un grande. Un grande chef, sicuramente, ma prima un grande uomo. Nato ad Argenta nel '55, ha vissuto la storia della ristorazione italiana d'eccellenza senza perdere mai il gusto di mettersi in gioco, e la voglia di divertirsi - la sua ultima impresa è il trasferimento del suo Atman da Pescia a Villa Rospigliosi – che è stato uno dei primi a enfatizzare gli ingredienti di territorio (il suo) e continua quotidianamente a innovare la cucina (in generale). Indimenticabile il periodo del Trigabolo, il leggendario ristorante nelle campagne ferraresi di Argenta, in cui Igles ha formato una serie di chef che si sono poi affermati in giro per il mondo. Oggi lo chef continua a trasmettere, con un entusiasmo trascinante, il valore artistico e culturale della cucina italiana: è un personaggio televisivo (lo potete guardare su Gambero Rosso Channel), senza eccesso di esposizione mediatica, e fornisce consulenze per vari ristoranti del mondo. In poche parole anche lui rientra nella categoria dei miti viventi. Ed è per questo che non vediamo l'ora di sentirlo parlare durante Gourmet Expoforum, al Lingotto Fiere di Torino, dal 13 al 15 novembre. Dove affronterà il tema della cucina circolare.

© Flavio Signani - Insalata di gamberi

Qual è lo stato dell'arte?

Da una parte, i fruitori sono sempre più preparati e questo rappresenta un grande stimolo per noi chef.

Dall'altra?

Sembra assurdo ma più si lavora e peggio è, perché i costi aumentano e le incombenze burocratiche duplicano. Così oltre ai tempi biblici ci si mettono pure i costi legislativi onerosi.

Esiste una soluzione concreta?

La medicina giusta ce l'ha chi ha la possibilità di riformattare il ristorante. Spazio dunque ai nuovi format, con meno personale, puntando tutto sulla qualità delle materie prime. Il ristorante tradizionale è acqua passata.

Cosa dire a un ragazzo che vuole intraprendere questa carriera?

Se vuoi aprire un ristorante, vai al mare!

Se invece vuole fare il cuoco?

Vai all'estero e iscriviti in una scuola iperprofessionale.

In Italia non esistono scuole valide?

Oltre a Gambero Rosso e Alma, vedo gran poco.

Parliamo della cucina circolare. Cos'è?

Preferisco fare un esempio: parlerò del sedano. Nella cucina tradizionale, lo si lava e lo si utilizza per preparare i fondi. In quella circolare, lo si lava e lo si utilizza per differenti preparazioni: le foglioline vengono usate per aromatizzare il sale (sale al sedano), i filamenti vengono essiccati, polverizzati e usati per preparare il pane, la parte fuori serve per il brodo, quella intermedia per i fondi e il cuore per le insalate. Questo approccio è applicabile a tutti gli ingredienti. Il risultato è una cucina senza scarti, che valorizza al massimo la materia prima.

Come vede la cucina tra trent'anni?

Con sguardo verso il futuro, come del resto lo è ora, ma più organizzata di oggi. Spero anche che vi siano le università per i cuochi.

 

Gourmet 2016 | Torino | Lingotto Fiere, padiglioni 2 e 3 | dal 13 al 15 novembre | Tutte le informazioni per partecipare sono disponibili sul sito www.gourmetforum.it

Gallery Gourmet 2015

a cura di Annalisa Zordan

I volti di Gourmet

Iginio Massari 

 

 

 

Approvata la legge antispreco. Incentivi alle donazioni e semplificazione. Ecco cosa cambia

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Si è concluso con una bella vittoria l'iter legislativo della proposta che regola lo spreco alimentare in Italia secondo un modello all'avanguardia. Premi e non punizioni, abbattimento degli ostacoli burocratici ed educazione alimentare. 

Un iter lungo un anno

Il 2016 si era aperto con la lezione di responsabilità della Francia, che all'inizio di gennaio approvava la prima legge antispreco all'avanguardia nei confini dell'Unione Europea. A stretto giro, però, anche L'Italia aveva mostrato il suo impegno: alla metà di marzo approdava in Parlamento la proposta di legge contro lo spreco alimentare presentata nel 2015 dalla deputata Pd Maria Chiara Gadda, volta principalmente a semplificare la burocrazia che regola la procedura di raccolta e donazione di cibo ed eccedenze alimentari. E si parlava già di benefici e sconti sulla tassa dei rifiuti per le attività produttive e commerciali che avessero adottato comportamenti virtuosi, scegliendo la via del riciclo e della donazione.

Incassato il primo Sì della Camera, qualche ora fa, nella serata di martedì 2 agosto, anche il Senato ha dato il definitivo via libera, con 181 sì, 2 no e 16 astenuti. Un'aula compatta, dunque, di fronte alla norma che il ministro per le Politiche Agricole Maurizio Martina ha definito “una delle più belle e concrete eredità di Expo, un provvedimento che conferma l'Italia alla guida della lotta agli sprechi alimentari”. E forte della vittoria, il padrone di casa del Mipaaf ha subito alzato il tiro: “Con questa legge ci avviciniamo sempre di più all'obiettivo di recuperare un milione di tonnellate di cibo e donarle a chi ne ha bisogno attraverso il lavoro insostituibile degli enti caritativi”.

Premi e non punizioni

Con il Ministero in testa, che ora punta a diventare un vero e proprio laboratorio operativo per ridurre gli sprechi e aumentare l’assistenza ai più bisognosi. Evidenziando al contempo la peculiarità di un approccio che rende l'Italia un modello unico in Europa: a differenza della legge francese, modulata su un rigido sistema di sanzioni (pecuniarie e non solo) per i trasgressori, la legge italiana si concentra su incentivi e semplificazione. E allora ecco le principali novità della legge che presto entrerà in vigore, e per la prima volta nell'ordinamento italiano si concentra sui termini di “eccedenza” (prodotti alimentari che, fermo restando il mantenimento dei requisiti di igiene e sicurezza, rimangono invenduti per varie cause) e “spreco” (prodotti alimentari ancora commestibili, che vengono scartati dalla catena agroalimentare per ragioni commerciali, estetiche o perché in prossimità della data di scadenza), impegnandosi a regolarli.

Cosa cambia. Semplificazione e finanziamenti

Oltre agli annunciati tagli degli adempimenti burocratici, il ministero coinvolgerà attivamente organizzazioni agricole, enti caritativi, industria e grande distribuzione intorno al cosiddetto Tavolo Indigenti, potenziato con lo stanziamento di 2 milioni di euro per l'acquisto di alimenti da destinare ai più bisognosi, che saranno indirizzati a finanziare il bando Agea per l'acquisto di latte crudo da trasformare in UHT per le donazioni. L'investimento complessivo arriverà nei prossimi anni a 10 milioni di euro. Al tempo stesso il ministero finanzierà con 1 milione di euro l'anno (dal 2016 al 2018) tutti i progetti virtuosi volti a limitare gli sprechi, reimpiegare le eccedenze e produrre imballaggi riciclabili. E sempre su fronte degli incentivi alle attività produttive, ai Comuni è data facoltà di applicare uno sconto sulla Tari per chi distribuisce gratuitamente le eccedenze agli indigenti.

 

Ridurre lo spreco. Le nuove condizioni

Tra i cambiamenti previsti (e auspicabili) l'incentivo alle family bag al ristorante, la possibilità di donare pane nell'arco delle 24 ore dalla produzione, la raccolta dei prodotti agricoli rimasti sul campo per cederli a titolo gratuito, la donazione di cibi con etichette sbagliate, purché l'errore non riguardi la data di scadenza o gli allergeni contenuti tra gli ingredienti, la promozione delle produzioni a chilometro 0, la cessione gratuita di prodotti alimentari confiscati. Ultima, ma non meno importante, l'educazione alimentare: al ministero della Salute il compito di emanare linee guida per i gestori delle mense collettive, così da ridurre e prevenire lo spreco.

 

a cura di Livia Montagnoli

Festival gastronomici per tutti i gusti: gli appuntamenti di agosto e settembre 2016

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Estate, tempo di vacanze. E cosa c’è di meglio che partecipare a un festival enogastronomico? La Penisola pullula di manifestazioni, iniziative ed eventi dedicati al cibo, spesso organizzati in piccoli centri. Ecco una piccola rassegna delle principali manifestazioni di agosto e settembre.

I festival gastronomici di agosto

Cominciamo dal Sud, in Salento, meta gettonatissima durante i mesi estivi. A Giurdignano, a ridosso di  Capo d'Otranto, dal 6 al 7 agosto c’è Gustarte. Un festival che coniuga arte e cibo, per valorizzare le specialità locali. Quest’anno, inoltre, la sezione Salento Wine & Oil accenderà i riflettori del festival su alcuni fra i più importanti produttori ed oleifici del territorio, con degustazioni e seminari aperti.

Risaliamo la Penisola verso il Veneto, per il Facefood Festival - Il villaggio del cibo, che si tiene dal 1 al 7 agosto a Marghera, Venezia. Negli 8mila metri quadrati dedicati al festival non c’è spazio solo per le eccellenze gastronomiche veneziane, ma anche per la buona musica, con un fitto programma di concerti.

FaceFood Festival, Marghera (VE)

Lo street food mette tutti d’accordo

E sono molti anche gli appuntamenti con lo street food, il vero “re” dell’estate (come vi spieghiamo nella nostra guida Street Food 2017). Si parte con l’International Street Food Parade, previsto dal  4 al 7 agosto 2016 a Reggio Calabria. Per chi ama i furgoncini, a Termoli, dal 5 al 7 agosto, c’è il Food Truck Fest, dove troverete camion, minivan e apecar provenienti da tutta Italia, con un focus particolare dedicato alle birre artigianali. Chi si trova nei pressi di Como può fare una capatina a Tremezzo, sulle sponde del lago,  per il Festival del cibo di strada, dall’8 all’11 agosto. Altro appuntamento da non perdere, ma questa volta in Toscana, è I sapori della Garfagnana – Festa del vino e del formaggio, che si terrà a Casciana, in provincia di Pisa, dal 5 al 7 agosto. Infine, per concludere al meglio il mese più caldo dell’anno vi proponiamo alcuni eventi nel Lazio e in Campania.  A Torvaianica, sul litorale romano, dal 12 al 15 agosto ci sarà l’Italian Street Truck Food Festival, che propone specialità da tutto il paese e darà spazio anche alla musica, alla moda e all’arte di strada. Infine, In Vico Veritas 2016, previsto per il 27 agosto a Vico di Palma, piccola frazione del comune di Palma Campana, Napoli: passeggiate per i vicoli del paese alla scoperta delle bellezze naturali del luogo, accompagnate da assaggi e degustazioni di prodotti a chilometro zero.

Street Food Festival Tremezzo

I festival gastronomici di settembre

Si parte da Podenzano, in provincia di Piacenza: al Castello Medievale Grazzano Visconti dal 2 al 4 settembre si tiene il Festival del cibo di strada. Un’occasione per gustare le specialità emiliane e visitare un’affascinante struttura risalente al 1395. Non troppo distante da Piacenza, ma in Lombardia, c’è il Camunia Street Food Festival, un evento previsto per il 2, 3 e 4 settembre che vi permetterà di visitare Pisogne, cittadina sulla sponda nord orientale del Lago d’Iseo, in provincia di Brescia. Nelle stesse giornate, sempre in Lombardia ma a Nord di Milano, ci sarà lo Street Food Festival di Cesano Maderno, in provincia di Monza e Brianza.

Cous Cous Fest, San Vito Lo Capo (TP)

Chi preferisse dirigersi a Sud, invece, può partecipare al Cous Cous Fest, ormai storico festival di San Vito Lo Capo, dedicato alla pietanza che unisce le due sponde del Mediterraneo, il cous cous. L’edizione 2016 del Cous Cous Fest -International Festival of Cultural Integration si aprirà il 16 settembre per concludersi il 25: una settimana fitta di eventi dedicati a cibo e integrazione, di concerti ed esibizioni, di dibattiti e cooking show.

Chiudiamo al Nord con Stuzzicante, il primo street food festival di Vicenza, previsto dal 23 al 25 settembre. E ancora a Cesena, con un altro evento dedicato allo street food: il  Festival Internazionale del Cibo di Strada, dal 30 settembre al 2 ottobre.

 

I festival al Nord Italia

Facefood Festival - Il villaggio del cibo | Marghera (VE) | dall’1 al 7 agosto | www.facefoodfestival.it

Festival del cibo di strada | Tremezzo (CO) | dall’8 all’11 agosto

I sapori della Garfagnana – Festa del vino e del formaggio | Casciana (PI) | dal 5 al 7 agosto 

Festival del cibo di strada | Podenzano (PC) | dal 2 al 4 settembre

Camunia Street Food Festival | Pisogne (BS) | dal 2 al 4 settembre

Street Food Festival | Cesano Maderno (MB) | dal 2 al 4 settembre

Stuzzicante Festival | Vicenza | dal 23 al 25 settembre

 

I festival in Centro Italia

Food Truck Fest | Termoli (CB) | dal 5 al 7 agosto | www.foodtruckfest.it

Italian Street Truck Food Festival | Torvaianica (RM) | dal 12 al 15 agosto

In Vico Veritas 2016 | Vico (RM) | Vico di Palma, frazione di Palma Campana  (NA) | 27 agosto

 

I festival al Sud Italia

International Street Food Parade | Reggio Calabria | dal 4 al 7 agosto

Gustarte | Giurdignano (Le) | dal 6 al 7 agosto

Cous Cous Fest | San Vito Lo Capo (TP) | dal 16 al 25 settembre  | www.couscousfest.it

 

 

a cura di Francesca Fiore

Food Ink: a Londra, apre il primo ristorante con stampante 3d

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È da tempo che si discute la possibilità di creare piatti d’autore con la stampante 3d. A Londra ci sta provando un nuovo ristorante pop up che propone ricette della tradizione eseguite con nuove tecnologie. 

Cucina e sala 3D. Fantasia o realtà?

Un panorama schizofrenico quello della ristorazione londinese, in continua evoluzione e costante fermento. Come ogni novità che si rispetti, anche l'esperimento del ristorante 3d ha trovato terreno fertile nel capoluogo inglese per tentare l'avventura di un'innovazione gastronomica mai vista prima con questo rigore in una cucina professionale. Si chiama Food Ink ed è il primo locale pop up dove tutti i piatti sono realizzati con stampante 3d. Dal cibo alle posate, dai tavoli ai piatti, tutto all’interno del ristorante è creato su misura con le stampanti di ultima generazione, strumenti ormai noti  per gli utilizzi più disparati, creazioni gastronomiche alternative comprese, ma ancora molto da approfondire per i benefici che potrebbe garantire al settore della ristorazione.

Il menu di Food Ink. Presto in tour

Il menu ideato per Food Ink coniuga la cucina britannica classica a quella molecolare, partendo da sapori e abbinamenti tradizionali della gastronomia inglese, rivisitati e reinterpretati secondo il gusto contemporaneo. Al momento, solo una decina di commensali hanno potuto gustare i piatti del ristorante, realizzati davanti ai loro occhi, al prezzo di 264 sterline per 9 portate. La cena si è svolta al Dray Walk nel quartiere di Storeditch, a cura degli chef Joel Castanye e Mateu Blanche, rispettivamente provenienti da El Bulli e La Boscana. La stampante è firmata byFlow, compagnia ideatrice di Focus, prima stampante portatile 3D multi materiale creata nel 2014. Ma come funziona questo macchinario? In realtà occorrono pochi e semplici step: tutti gli ingredienti, una volta ridotti in pasta, vengono poi inseriti in un contenitore a siringa che è collegato alla stampante. “Per aggiungere magia alla magia” spiegano gli ideatori sul sito del ristorante, facendo appello all'arte, alla creatività, alla poesia, alla tradizione, qualità senza le quali “la tecnologia è priva di significato”.
Una scelta più che giusta, perché la novità attrae sempre, bisognerà però aspettare per capire quale sarà la risposta del pubblico, anche a lungo termine”, ha commentato il consigliere della Federazione Italiana Cuochi ed esperto di nuove tecnologie di cotture chef Fabio Tacchella. “Come per la nouvelle cuisine e dopo di questa la cucina molecolare”, aggiunge, “anche questa tecnica ‘alle stampanti’ può dare spunti positivi e interessanti al settore della ristorazione”.
E attenzione a seguire da vicino gli sviluppi futuri, perché presto – entro la fine del 2016 – l'evento potrebbe essere replicato in diverse città del mondo, grazie a Food Ink on tour: da Berlino a Sydney, da Tokyo a Singapore, una tappa è prevista anche a Roma.

a cura di Michela Becchi

www.foodink.io

L’innocenza del Sauvignon friulano. Fino a prova contraria

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Quanto tempo ci vorrà ancora per chiudere l’inchiesta sul Sauvignon friulano che, a quanto pare, non sta portando a nessun risultato? 

Tanto più dopo le notizie (dicembre 2015) che le analisi dei vini, ripetute più volte e da laboratori diversi (Dott. Mario Malacarne della Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige e D.ssa Emilia Garcia Moruno del Centro di ricerca per l’enologia di Asti) non hanno evidenziato anomalie di sorta. Peccato però che l'immagine e l’economia del Friuli Venezia Giulia siano stati, direttamente e indirettamente, danneggiati dal presunto scandalo. Ora la Procura di Udine ha chiesto una proroga delle indagini e quindi bisognerà attendere gli esiti: se c’è qualcuno che ha sbagliato deve pagare. Ma in fretta. Le aziende per competere sul mercato non possono avere ombre sulla loro reputazione.

Sauvignon. Il caso della presunta frode

Sono stati davvero pochi quelli che a settembre 2015, quando scoppiò in tutta la sua virulenza il caso della presunta frode in commercio per adulterazione del Sauvignon, invitarono alla cautela e mantennero un saggio atteggiamento di basso profilo, sapendo di trattare una materia specialistica, forse più attinente al mondo della sperimentazione e della ricerca che ad altro. La maggior parte della stampa, cartacea e web, optarono per la facile strada del titolo ad effetto - Sauvignon Connection, titolarono molti giornali - e del processo mediatico preventivo, con la conseguenza di esporre al pubblico ludibrio aziende, piccole e medie, più avvezze a frequentare i filari e le cantine che non tribunali e studi legali.

Le conseguenze

Di fatto le ricadute negative sono state spalmate sull’intero vino friulano – con grave danno di tutto il comparto regionale - e non solo sul Sauvignon o sulle aziende, loro malgrado, rimaste coinvolte. Molte di queste considerazioni sono state fatte, la scorsa settimana nella sala Nassyria del Senato della Repubblica dove su invito del Senatore Alessandro Maran (Pd), che ha introdotto e moderato l’incontro, si sono ritrovati Annalisa Chirico, Presidente del Movimento “Fino a prova contraria”, il giornalista Mauro Nalato, autore del libro “Il caso Sauvignon in Friuli. Quando la giustizia fa paura” (Chiandetti Editore), Andrea Oliviero, viceministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali e NicoD'Ascola, presidentedella Commissione Giustizia del Senato (Ap), per parlare del caso Sauvignon, inserendolo nel più vasto ambito della crisi della giustizia italiana. Il Senatore Maran prendendo la parola ha evidenziato che “questa volta il caso è raccontato dal libro di Mauro Nalato che ricostruisce tutti i passaggi di come un vino di grande successo, addirittura premiato con un riconoscimento internazionale, si sia poi trasformato in un disastro epocale. Basti pensare che uno dei produttori ha addirittura ricevuto una telefonata di un importatore Usa che gli chiedeva quale fosse il rapporto tra il Sauvignon e la mafia, avendo letto di Sauvignon Connection. Non è stato facile spiegare che la mafia non c’entrava nulla e si trattava solo di enfatici titoli giornalistici”. Secondo Annalisa Chirico “la nostra è la raffigurazione della consapevolezza che nella giustizia italiana qualcosa non va: gli indagati sono condannati ad una pena mediatica che colpisce indistintamente tutti, colpevoli e non. Nel caso del Sauvignon sono tutti produttori sbattuti in prima pagina in violazione del segreto istruttorio con grave danno reputazionale del brand. A noi evidentemente piace dare un’idea peggiore di quello che siamo”. La testimonianza del giornalista Mauro Nalato lo conferma:“Ho presentato la mia pubblicazione lo scorso 9 Aprile a Udine. Ha suscitato una buona eco sulla stampa e sulla televisione ma ad oggi, questo è il primo invito che ho ricevuto dopo quella data. In questi lunghi mesi nessuno (ente o associazione) mi ha invitato per parlarne. Mi sono chiesto, perché? La risposta che mi sono dato è la paura di essere coinvolti. Trovarsi ingarbugliati in vicende come questa, dove sai quando entri ma non sai quando esci e non sai quanto ti costa, mette paura. Ci sono piccole aziende che già hanno speso 25-30 mila euro di avvocati, cifre enormi per loro. Qualcuno ha calcolato che per uscirne– tre gradi di giudizio - ci vorranno circa 100.000 euro. Come dire che la giustizia può essere esercitata solo da chi è dotato di grandi sostanze”. Atteso l’intervento del viceministro alla Politiche agricole, Andrea Oliverio, il quale premettendo di non poter entrare nello specifico in quanto competente del coordinamento dell’Icqrf (Repressione frodi), ha evidenziato che “se siamo di fronte ad una ipotesi di reato rispetto alla quale si sta indagando, allo stesso tempo siamo di fronte a un fatto compiuto, ad una messa in difficoltà, anche forte, di un prodotto dell’eccellenza italiana”. Si poteva evitare? “La risposta è sì, si poteva evitare. Infatti il settore vinicolo viene normalmente sottoposto a controlli. Molte delle azioni messe in campo dalla Procura di Udine potevano essere fatte in via ordinaria dai soggetti preposti al controllo. È un punto che ci deve far riflettere anche perché sono controlli pesantissimi, costosi ma ordinari. La vicenda è controversa e anche delicata perché si parla di sperimentazioni - che nel comparto vitivinicolo non sono così strane - per l’innovazione del prodotto. Da questo punto di vista, il controllore deve avere delle competenze elevate e specifiche”.Il viceministro ha poi concluso con “la convinzione che qualcuno debba pagare laddove si commettono azioni così negative, debba pagare il pubblico, quanti svolgono indagini improprie e quanti diffondono notizie che portano a distruggere dei comparti produttivi”.

Il Sauvignon in Friuli

Sino al 2014 il Sauvignon prodotto in Friuli era un vino conosciuto e apprezzato soprattutto dai consumatori locali e aveva come principale area di diffusione commerciale il centro nord Italia mentre all’estero, di fatto, era scarsamente sconosciuto. Le aree del Sauvignon in Italia sono sempre state limitate alle Venezie, all’Alto Adige e all’Emilia Romagna con delle sporadiche presenze nelle altre regioni. Una superficie complessiva nazionale tutto sommato assai ridotta – al di sotto dei 4.000 ettari (3744 censiti nel 2010) - tanto che il Sauvignon non è nemmeno menzionato nelle tabelle Istat dei 50 vitigni più coltivati. Quindi una massa critica scarsa, poco in grado di farsi largo tra Francia, Australia, Nuova Zelanda, Sudafrica, California e Sud America, dove la diffusione del vitigno è senz’altro maggiore.

Uno squarcio sulle peculiarità della produzione italiana si era creato nel 2014 quando a Bordeaux la giuria internazionale del Concorso Mondiale del Sauvignon aveva assegnato la Medaglia d’oro e il Trofeo speciale a Roberto Snidarcigdell’omonima azienda di Dolegna e al suo vino, il Doc Collio Sauvignon Tiare 2013. Con il consueto tempismo alcuni gruppi di ipercritici nostrani non persero l’occasione per stigmatizzare il riconoscimento che giurati così tanto diversi per cultura della degustazione e per conoscenza del vitigno, avevano voluto assegnare a un Sauvignon friulano. Di fatto il premio permetteva a un pubblico molto vasto, di conoscere un nuovo vino e un nuovo terroir per il Sauvignon oltre a quelli già ampiamente conosciuti. Ma le ricadute positive furono anche per il resto del vino regionale: la stampa non parlò solo di Sauvignon ma anche di Collio, Colli Orientali e altro ancora. Non solo. In Friuli, come del resto accade in altri luoghi d’Italia, il successo degli altri, non si perdona. Invidia, autolesionismo, scarso senso di squadra, cupio dissolvi, ecc., le motivazioni possono essere diverse. E così il periodo di grazia non durò molto perché da lì a poco sarebbe iniziata la “Sauvignon Connection” che in poco tempo avrebbe cancellato tutti i benefici effetti che si erano venuti a creare e che a tutt’oggi pesano sull’immagine dell’intero vino friulano, non solo del Sauvignon. “Ci siamo mossi sulla base di elementi serissimi, in maniera mirata– aveva dichiarato il procuratore capo di Udine, Antonio De Nicoloal quotidiano Il Piccolo del 10 Settembre 2015 – Eravamo stati messi in guardia da chi, in questo stesso settore, lavora in modo onesto. Da alcuni produttori del Sauvignon che seguono fedelmente il disciplinare e che si erano accorti che alcuni competitors esaltavano irregolarmente gli aromi del vino”. Parte un'inchiesta in grande stile nella quale vengono chiamati in causa il consulente Ramon Perselloe sua moglie Lisa Coletto insieme a una quarantina di aziende (ndr. chi scrive volutamente ha scelto di non pubblicare per l’ennesima volta l’elenco) tra cui diversi nomi noti e lo stesso Roberto Snidarcig e la sua Tiare di Dolegna del Collio (vincitore del concorso Sauvignon del Mondo e Cantina Emergente per il Gambero Rosso). Il resto è la storia che abbiamo narrato e che ancora deve finire.

a cura di Andrea Gabbrielli

 


Mangiare a Rio: i piatti tipici della cucina carioca

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A Rio de Janeiro non è mai troppo tardi per mangiare: se girovagate per le sue strade, a qualsiasi ora del giorno e della notte troverete un ristorantino aperto per una Feijoada, un chiosco che vende Aracaje, un camioncino che propone Bolinho de bacalhau. Se è vero che la cucina brasiliana è del tutto peculiare rispetto a quello del resto del Sud America, lo è a maggior ragione la tradizione carioca: collocata in un punto strategico, Rio de Janeiro è stata per secoli crocevia di popoli dall’Europa e dall’Africa.

La cultura gastronomica carioca è una sintesi di tre influenze principali: la cucina degli indios, la tradizione portoghese e quella degli schiavi africani. A Rio, questa commistione è avvenuta in maniera spontanea e senza traumi: l’apporto della tradizione africana è sempre stato di fondamentale importanza. Le cuoche nere erano addirittura considerate “superiori”: secondo gli abitanti di Rio, più scura era la pelle delle maggiori erano le doti culinarie.

Dall’Africa sono arrivati i brodi, l’uso del cocco, dell’olio di palma e l’abilità nell’abbinare la frutta ai piatti salati, mentre i portoghesi hanno introdotto galline e uova, il pane, il vino, lo zucchero, i dolci, il miele e, soprattutto, il sale. Tutto questo si innesta sulla cucina indios, fatta prevalentemente di vegetali della foresta e pesce. Le spezie di Rio, in particolare, sono un esempio perfetto di questo sincretismo gastronomico: la celebre miscela carioca, che da il tocco brasiliano ad ogni piatto, è fatta di cipolla, carote e aglio essiccati, pepe, cumino, semi di senape, rosmarino e coriandolo, ma può variare a seconda delle zone. Ecco una carrellata delle migliori pietanze che potrete trovare nelle strade e nei ristoranti di Rio de Janeiro.

Cucina carioca: la carne

Feijoada

Feijoada

Se si parla di cucina carioca, è doveroso partire dal piatto che la rappresenta di più, se non altro per la sua fama al di fuori della città. La zuppa di fagioli e carne è preparata in vari modi, ma sono costanti alcuni ingredienti: fagioli neri, tagli economici di carne di maiale o scarti (coda, piede, frattaglie, pancetta, lardo, orecchia, salsiccia), carne bovina, acqua e spezie. La sua preparazione dura circa 12 ore: carne e fagioli vengono messi in ammollo la sera prima e la cottura non può durare meno di 3 ore. Una pietanza semplice ma lunga da realizzare, che in epoca moderna viene spesso proposto in versione “veloce”: assolutamente da evitare se si vuole mangiare un vero piatto carioca.

 

Cozido a carioca

Cozido à carioca

Il cozido, o bollito, potrebbe essere considerato l’antenato della feijoada. Di origini europee, dove era tradizione cuocere a lungo la carne con le verdure, il cozido à carioca si distingue per l’uso delle spezie, in particolare la miscela carioca, per le banane e il platano, sempre presenti nel piatto, o per altri ingredienti locali come la Carà e l’Inhame, due tuberi. Solitamente si realizza con polpa di vitellone, lingua, lardo, prosciutto di maiale e altri tagli: a parte si cuociono uova, banane e platani che vengono aggiunti al bollito solo alla fine. Si serve con pirao, la crema di manioca, e arroz branco, riso bianco.

Coxinha de galinha

Coxinha de galinha

La Coxinha de galinha è una sorta di crocchetta ripiena di carne di pollo, peperoni e cipolle. La storia narra che il piatto fu creato per soddisfare il figlio del Conte D’Eu, Gastone D’Orleans, e di Isabella del Brasile, figlia dell'imperatore Pietro II, che voleva mangiare sempre carne di pollo. La preparazione è elaborata e spesso le donne brasiliane cucinano le crocchette per congelarle crude e friggerle solo al momento giusto. Per il ripieno si usa la carne del pollo disossata, la cipolla tritata, il peperone a striscioline, passata di pomodoro e prezzemolo, mentre per fare l’impasto esterno il brodo del pollo lessato, latte, burro, farina 00 e tuorli d’uovo.

Filè à Osvaldo Aranha

Filé à Osvaldo Aranha

Ecco un piatto che ha nome e cognome, quello di Osvaldo Aranha, politico brasiliano degli anni ´30 ed ex ministro. Pare che fu proprio Aranha a richiedere, in un ristorante di Lapa, che sul filet mignon venisse messo l’aglio fritto e accompagnato da patate portoghesi: in pochi decenni il piatto si affermò in tutta Rio, diventando uno dei simboli della cucina della metropoli. Si tratta di un filet mignon cotto in maniera classica, sul quale viene messo dell’aglio fritto e accompagnato da patate, riso e farina di tapioca o yuca.

 

Churrasco

Churrasco

Chiudiamo il capitolo sulla carne con il Churrasco che, benché non sia di origini carioche ma piuttosto del sud, si è affermato particolarmente a Rio: carni di diverso tipo siano arrostite su uno spiedone detto espeto e servite direttamente in tavola. Tradizione vuole che nei ristoranti in cui si servono anche altri piatti, ogni commensale disponga di due talloncini, uno verde e uno rosso: in questo modo, il cliente sazio può sollevare il talloncino rosso per stoppare le portate di carne arrosto, altrimenti servite senza soluzione di continuità. Il churrasco deve stare lontano dalla brace: l’obiettivo è cuocere la carne affumicandola leggermente. Sono diversi i tipi di carne cucinati così: i più celebri sono la Picanha (codone di manzo tagliato a triangolo) la Maminha de alcatra (spinacino di manzo), la Fraldinha (parte posteriore del manzo vicino alla costata), il lombinho (lonza di maiale), ll coração de frango (cuore di pollo), la costela de porco (coste di maiale) e la linguiça (salsiccia).

Il pesce a Rio de Janeiro

Bolinho de bacalhau

Bacalhau

Il pesce per eccellenza di Rio è il merluzzo, spesso declinato come baccalà, cioè sottoposto a salatura. Sono tante le ricette che si fanno con questo pesce: la più famosa è sicuramente il Bolinho de bacalhau, le crocchette di baccalà. Si prepara con il baccalà già cotto, patate, aglio, cipolla, prezzemolo e uova (solitamente due tuorli e un albume). Una volta dissalato e lessato il baccalà, l’acqua di cottura viene usata per bollite le patate, aromatizzandole. Nella ricetta originale, la cipolla viene usata cruda e unita all’impasto di baccalà e patate appena prima di formare le polpette: queste verranno poi fritte nell’olio di mais.

 

Zuppa Leao Veloso

Zuppa Leão Veloso

D’influenza francese, la Sopa Leão Veloso è una sorta di versione brasiliana della bouillabaisse marsigliese: una delicata zuppa con vari tipi di frutti di mare. Il brodo viene realizzato con le teste di gamberetti e altri scarti, soffritto di cipolla, pomodoro e zenzero, mentre nel piatto, oltre ai gamberi troverete l’aragosta, l’astice, i calamari, crostacei e molluschi vari. Tipica del Nord del Paese si è affermata anche a Rio grazie alle varianti qui realizzate, che prevedono anche l’uso di frutta come il platano e la banana.

Croquetes de camarao

Croquetes de camarão

Un piatto diffuso in tutto il Brasile, ma soprattutto sulla costa occidentale: le Croquetes de camarão, o crocchette di gamberi. Vengono realizzate con un ripieno di gamberetti freschi, burro, cipolla, patate lesse, pomodoro, aglio, peperoncino e prezzemolo. In alcune varianti si aggiungono anche del formaggio filante e delle olive. Importantissimo è il fumetto di pesce, in cui verranno bollita e schiacciata la patata, poi unita al ripieno: le crocchette verranno poi passate nell’uovo e nel pangrattato per essere infine fritte in olio di mais.

Camarão com chayote

Lo stufato di gamberi con chayote, chiamati anche chucu, è un piatto molto popolare nel centro di Rio. Il chayote, conosciuto in italiano come sechio o zucca centenaria, appartiene alla famiglia delle cucurbitacee ed è molto consumato dal Messico in giù. Secondo la tradizione, la ricetta si afferma a Rio già nel XIX secolo: una ricetta di origini portoghesi a cui si aggiunge un tocco indigeno grazie all’introduzione del chayote, alimento molto consumato prima dell’arrivo degli europei.

Contorni e stuzzichini

Acaraje

Acarajé

Piatto d’ispirazione afro, l’Acarajè è “conteso” fra Rio e Bahia: entrambe le città se ne attribuiscono la paternità. In realtà le frittelle di fagioli neri sono diffuse un po’ in tutta la parte centrale e centro sud del Paese: vengono riempite con il vatapá, una salsa fatta con farina, arachidi, zenzero, pepe, olio di palma, latte di cocco e cipolla. Piatto per tutte le ore, potete trovarlo prevalentemente in versione street food, ma anche in qualche ristorante di livello.

 

Farofa

Farofa

Pianta originaria del Sudamerica e dell’Africa Subsaharian, la radice di manioca è uno degli alimenti più consumati in Brasile. Si tratta di una pianta della famiglia Euphorbiaceae: visivamente ricorda una carota, ma ha la polpa bianca e soda. É proprio da questo tubero che si ricava la farina di manioca, utilizzata poi per diversi piatti fra cui la Farofa: un contorno fatto di farina al salto a cui si possono aggiungere varie cose come salsicce, uova, cipolla, trippa, banana, cavolo e pancetta. Accompagna piatti di carne o pesce ed è considerata il pasto degli operai per eccellenza.

Banana de terra frita

Banana de terra

La banana de terra, meglio conosciuta come platano, è una pianta molto diffusa in tutta l’America Latina: in Brasile se ne fa un uso quasi quotidiano. Esteticamente è molto simile a una banana ma il sapore è molto particolare: molto simile a quello della patata quando è acerbo, più dolce e simile alla banana quando è maturo. A Rio si utilizza fritto (Banana de terra frita), o arrosto (assada).

 

Quiabo refogado

Quiabo refogado

L’Okra, chiamata anche Gombo, è una pianta di origini africane, appartenente alle Malvacee: un ortaggio molto usato nella cucine tradizionali asiatiche, africane e latinoamericane. La ricetta di base la vuole in umido o soffritta, spesso servita con riso e fagioli, utilizzata come contorno per carni e pesci o impiegata per legare le salse, grazie al suo liquido gelatinoso. IlQuiabo refogado, l’Okra in umido, è un piatto che deriva dalla tradizione indios: la prima cosa da fare per preparalo è strofinare l’ortaggio con del limone e lasciarlo riposare per 15 minuti, in modo da eliminare la gelatina. Subito dopo bisogna sciaquarla eliminando il limone, tagliarla a tronchetti privandola delle estremità e soffriggerla in padella con aglio e cipolla, aggiungendo un bicchiere d’acqua per farla stufare.

 

Bolinho de arroz

Bolinho de arroz

Senza voler essere blasfemi, il Bolinho de arroz, ricorda molto un arancino al burro: è una crocchetta di riso tipica delle Botequim, le botteghe brasiliane in cui si acquistano alimenti ma si può anche pranzare. Originaria del sudest del Paese, si è diffusa molto rapidamente nel resto del Brasile, in particolare a Rio: è un piatto povero, che si realizza riutilizzando gli scarti di altre pietanze. Si prepara utilizzando il riso già cotto e raffreddato, del burro, del formaggio grattugiato, erba cipollina, prezzemolo e un cucchiaino di lievito: si mescola tutto insieme aggiungendo sale e pepe e si formano delle crocchette allungate. Una volta formate le crocchette si passano nell’uovo e nel pangrattato e si friggono poco alla volta in olio di mais.

I dolci di Rio

Brigadeiro

Brigadeiro

Un dolce semplice e goloso, tipico di Rio: una sorta di pallina al cioccolato leggermente croccante all’esterno e morbida dentro. Creato intorno al 1940, è stato chiamato così in onore del Brigadeiro Eduardo Gomes, uomo politico e militare molto celebre in Brasile. É preparato con latte condensato, cacao amaro e burro, che vengono fatti sciogliere a fuoco basso in un pentolino, in modo da amalgamarli e addensare il tutto: si lascia raffreddare per un po’, finché non è possibile lavorare la pasta con le mani. Si formano quindi delle palline, si fanno rotolare nelle codette di cioccolato e si sistemano nei classici pirottini di carta.

 

Ambrosia

Ambrosía

Da non confondere con il dolce al latte diffuso un po’ in tutto il Sud America, l’Ambrosía di Rio de Janeiro è una semplice macedonia a base di melone e una serie di frutti tropicali a piacere, su cui si grattuggia finemente del cocco fresco. Utilizzata a fine pasto soprattutto d’estate, è un dolce che si trova sia nei locali che nelle case di Rio.

 

Doce de Abobora com Coco

Doce de Abóbora com Coco

Il dolce di zucca con cocco è un dolce tipico delle Festas juninas, che si tengono nel mese di giugno in coincidenza con la raccolta del mais. Si può trovare in due versioni: cristallizzato o sciroppato. Per prepararlo basta sbucciare la zucca e tagliarla a pezzetti, mettendola in padella con abbondante zucchero, cannella e chiodi di garofano. Si aggiunge mezzo dito d’acqua e si lascia sciogliere lo zucchero a fiamma bassa: si cuoce almeno per 30 minuti. A metà cottura si schiacciano i pezzi di zucca ancora interi e si aggiunge della farina di cocco o del cocco fresco grattuggiato, lasciando cuocere finché non il tutto non si amalgama. Si lascia raffeddare e si servecon queijo branco, formaggio primo sale, o requeijão, un formaggio spalmabile tipico del Brasile.

a cura di Francesca Fiore

Squisito! La nuova pizzeria a metro con bottega di San Patrignano nel centro di Verona

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Si parla senza indugio di  franchising sociale tra i responsabili della Comunità che dal 1978 si dedica all'accoglienza e al reinserimento. E il punto vendita di Verona sarà il primo di una serie d'aperture dedicate alla pizza al metro, già testata da Sp.accio, a Coriano. 

La pizza di San Patrignano a Verona

Pizza e bottega. Ma non come tutte le altre. È una vetrina discreta nel centro di Verona a segnare l'inizio di una sfida che vede scendere in campo, quello gastronomico, San Patrignano. Un punto di partenza che in realtà è un arrivo, e ribadisce l'impegno della comunità che dal 1978 porta avanti un progetto di inclusione sociale fondato su tre cardini: accoglienza, recupero e reinserimento. Proprio all'ultima fase di questa missione fa riferimento l'idea di mettere in piedi un franchising sociale garantito dalla credibilità di San Patrignano, centro nevralgico di un'attività solidale oggi riconosciuta in tutta la Penisola e nel mondo. Squisito!, hanno ribattezzato il primo laboratorio che da qualche ora accoglie gli avventori in corso Castelvecchio 3/a, con il patrocinio del Comune di Verona e dell'Ulss 20. Dietro al concretizzarsi dell'iniziativa però c'è anche il finanziamento di Fondazione Cattolica Assicurazioni e Fondazione Cassa di Risparmio Verona, entrambe decise a scommettere su un'apertura pilota studiata nei minimi dettagli perché possa essere d'esempio per la rete di punti vendita che prenderà le mosse dall'esperienza di Valentina, Stefano e Carlo, pronti al rientro in società sotto la supervisione della Comunità e del responsabile Antonio Morgese.

Pizza e bottega. Il progetto pilota

Ma cos'è esattamente Squisito!? Una pizzeria a metro che finora ha visto all'opera tanti professionisti, coinvolti nella realizzazione del locale, dallo studio milanese Nicola Gallizia, che collabora da tempo con la Comunità e ha curato gratuitamente l'interior design del punto vendita, a Luca Mazzanti, curatore del progetto per San Patrignano, che sulla produzione artigianale di cibo ha già deciso di scommettere da tempo, convogliando la buona volontà dei ragazzi nella realizzazione di prodotti a marchio SanPa, dai biscotti ai formaggi (a tal proposito si veda anche l'iniziativa della Casa Circondariale Femminile di Rebibbia, con la supervisione di Vincenzo Mancino, ma anche l'esperienza di Pane Quotidiano a Vicenza), alla piadina. E non è un caso che il primo punto vendita di una lunga serie – che toccherà le principali città italiane – riservi uno spazio dedicato proprio alla commercializzazione dei prodotti di filiera San Patrignano, con un'area retail a scaffale. Il cuore di Squisito!, però, resta il banco della pizza in teglia, prodotta nel laboratorio sul retro: pizza versione stirata romana al metro, farine italiane selezionate, lunga lievitazione, ingredienti a chilometro zero, farciture classiche e proposte più originali. Da consumare sul posto o a portar via.

Spazio SanPa. Dai prodotti artigianali a SP.accio

Un prodotto da scoprire, insomma, anche se la cura che la Comunità ha riposto finora nei molteplici progetti avviati sul territorio nazionale fa ben sperare. Non è un caso isolato, per esempio, il corso di formazione per Operatore della produzione pasti rivolto a 13 ragazzi di San Patrignano, che si è da poco concluso in Emilia Romagna con la consegna dei diplomi. Tra i docenti d'eccellenza gli chef Vincenzo Cammerucci e Stefano Ciotti, e il sommelier Stefano Bariani. Ma le opportunità di formazione per i ragazzi accolti in Comunità sono moltissime.

C'è il caseificio per la lavorazione artigianale senza additivi e conservanti e la stagionatura dei formaggi, da latte a km 0. La produzione avviene a Coriano (dove tutto è cominciato con Vincenzo Muccioli), Rimini, dove si trova anche il forno della Comunità, che produce ogni giorno pane da lievito madre e tanti prodotti tipici romagnoli, dalla piadina ai biscotti al vino sangiovese Aulente. Mentre a Botticella, ancora in Romagna, si lavorano e stagionano le carni suine di Mora Romagnola e maiale di San Patrignano, che danno origine a una grande varietà di prodotti da norcineria. Senza dimenticare la gamma di conserve e il miele da apicoltura biologica, prodotto dal 2006. Una lunga consuetudine con il cibo, dunque, che fa capo al sito web di Spazio Sanpa, dove acquistare online tutti i prodotti citati.

E pure la pizzeria ha un precedente già ben avviato: si chiama SP.accio ed è una vecchia conoscenza della guida Pizzerie d'Italia del Gambero Rosso (prossima all'uscita con l'edizione 2017). Dopo i lavori di ammodernamento dell'anno scorso, la pizzeria con emporio di Coriano ha riaperto i battenti e continua a macinare grandi numeri, servendo pizza tonda al piatto e stirata al metro. Come quella che da oggi impareranno a conoscere bene anche a Verona.

 

Squisito! | Verona | corso Castelvecchio, 3/a | tel. 045 8035811 | www.facebook.com/squisitoverona/

Per i prodotti di San Patrignano www.spaziosanpa.com

 

a cura di Livia Montagnoli

I vizi capitali nell'era dei social network. Instagram è per il girone dei golosi

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L'infografica di AQuest si diverte ad associare i principali vizi capitali con le passioni che affidiamo alle comunità digitali. E su Instagram spopola il cibo. Ecco perché la gola è il vizio che gli appartiene. 

I social network sono lo specchio dell'anima. Derive dei tempi moderni. Giusto o sbagliato che sia, scoraggiante o meno, non sta a noi deciderlo. Piuttosto è difficile non sottolineare quanto il nostro approccio alla vita e alle relazioni con gli altri sia indiscutibilmente cambiato con l'avvento di comunità virtuali, cinguettii, hashtag ed emoticon. Che si tratti di manifestare i propri interessi, esprimere il proprio umore in tempo reale o semplicemente mettersi in mostra, gli strumenti social sono una soluzione sempre a portata di mano. O di smartphone. Un esempio lampante dei tempi che cambiano? L'infografica dell'agenzia creativa AQuest, che i social network ha deciso di ricondurli ai vizi capitali, evidenziando quale passione/ossessione vada più forte sull'uno o sull'altro, sulla base di preferenze e post della comunità digitale. Con una buona dose d'ironia. E così se Tumblr, prevedibilmente, è associato alla lussuria, scopriamo che Facebook è il regno degli invidiosi, perché spesso “valutiamo la felicità degli altri dal loro profilo” e questo acuisce il senso di invidia e inadeguatezza di molti. Più facile cedere all'ira attraverso cinguettii al vetriolo e hashtag da hater, come evidenzia l'infografica passando in rassegna le parole chiave di Twitter. Poi c'è LinkedIn, il network dedicato alla sfera professionale: il suo vizio non può che essere la superbia.

Instagram e il girone dei golosi

E la gola? È indubbiamente Instagram il campione del food porn, anche se da qualche settimana Twitter sta cercando di recuperare terreno, come vi abbiamo raccontato pochi giorni fa in merito alla costituzione del Twitter Food Council. Per il momento, però, il social network che comunica per immagini è lo strumento ideale per condividere foto di cibo, suscitando l'apprezzamento del nutrito girone dei golosi. Sulla piattaforma, all'hashtag #food corrispondono oltre 8 milioni di scatti; più di 5 milioni di post sono associati al termine food porn, un altro milione abbondante al neologismo foodgasm. E nello specifico sono quasi tre milioni le immagini associate al caffè, un milione e mezzo di utenti preferisce le torte, oltre un milione non sa resistere alla pizza. Ma anche birra e vino stimolano la creatività dei golosi, soprattutto la prima: ne parlano 1 milione e 200mila fotografie in tutto il mondo. Siete affaticati da tutte queste informazioni? Potete sempre ricorrere alle Emoji, il rifugio perfetto per gli accidiosi.

 

Tutti i dati dell'infografica di AQuest

Mangiare a Rio durante le Olimpiadi. 11 ristoranti informali per conoscere la cucina carioca

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In occasione delle Olimpiadi di Rio de Janeiro, la città carioca è pronta a un'invasione di tifosi, pronti a scoprire, da vicino, la cucina brasiliana e le sue varianti. Iniziamo oggi la nostra guida al mangiare a Rio, partendo dalla cucina d'autore.

Abbandonato il capitolo gourmet, chi si trova a Rio de Janeiro non può non provare un locale tipico della città: la churrascaria. Qui si serve carne arrostita, cotta sui tradizionali spiedoni brasiliani, detti espeti. Il churrasco, piatto del sud del Paese, è infatti una grigliata mista di vari tipi di carne, dal pollo al maiale, passando per la pecora e l’agnello: gli spiedoni sono posti abbastanza distanti dalla brace, in modo da dare alla carne un preciso aroma di affumicatura.

Churrascaria Palace, Rio de Janeiro

Churrascaria Palace

Copacabana ospita invece la Churrascaria Palace, un ampio e arioso ristorante da 200 posti che da oltre 60 anni è un punto di riferimento per gli amanti della carne arrosto, soprattutto per il buon rapporto qualità prezzo. Il menù offre oltre 20 diversi tagli di carne: il più famoso è la picanha borboleta, il taglio a “farfalla”  della picanha, inventato proprio qui nel lontano 1980. Altre proposte di rilievo sono la spalla di agnello stile douro (alla portoghese), il French rack d'agnello, costolette alla salsa barbecue. Il locale ha un legame fortissimo con la Bossa Nova, che pare che sia nata nei suoi dintorni, grazie al fatto che i musicisti di Rio erano abitué delle sue cucine. Servizio “rilassato”, in pieno stile carioca.

Churrascaria Palace | Rio de Janeiro | Rua Rodolfo Dantas, 16 B | tel. +55 21 2541-5898 | www.churrascariapalace.com.br

 

Fogo do Chao, Rio de Janeiro

Fogo do Chao

Se vi trovate nel quartiere Botafogo potete provare Fogo do Chao, churrascaria in stile “gaucho” che si trova ai piedi del Pan di Zucchero: un marchio ormai riconosciuto in tutto il continente, con più di 30 locali in tutto il Brasile, Stati Uniti, Messico e Porto Rico. La sua storia inizia nel lontano Rio Grande do Sul molti anni fa: dal primo locale a Porto Alegre il brand è diventato importante per i brasiliani. I 400 posti del locale potrebbero trarre in inganno, invece la qualità del churrasco e dell’abbondante buffet è indiscutibile. La cucina richiama le originarie grigliate della Pampa, a sud del Brasile: fra i piatti più rinomati la picanha arrosto, un taglio di carne tipico della cucina latinoamericana che corrisponde al "codone di manzo", l’agnello, la salsiccia di stinco, la bistecca di bife ancho, cioè della parte più tenera del controfiletto. Ampia la selezione di dessert per concludere il pasto, fra cui l’Omaggio a Porto, un croccante di mousse al cioccolato ripieno di gelatina di porto e copertura di sciroppo alla nocciola; la tarte tatin e il Brasileirinho trio: una mousse di noce di cocco con noci del Brasile e sciroppo di guava. Ricca cantina con proposte di livello internazionale.

Fogo de Chao | Rio de Janeiro |Av. Repórter Nestor Moreira, s/n | tel. +55 21 22797117 | www.fogodechao.com.br

 

Tacacà Do Norte, Rio de Janeiro

Tacacà Do Norte

Negli ultimi anni una nuova generazione di chef si sta dedicando alla riscoperta della cucina amazzonica: in particolare in Perù e Brasile sono molti i cuochi che fanno ricerca sui sapori dei nativi, sperimentano nuovi piatti e catalogano prodotti fin ora sconosciuti. Per chi ha voglia di provare i sapori della cucina amazzonica un indirizzo interessante a Rio è Tacacà Do Norte: un locale piccolo, molto informale e sempre affollato, in cui si possono trovare uomini in giacca e cravatta che mangiano insieme a operai e tassisti. La cucina è particolarmente amata per il tacaca, da cui prende il nome: la zuppa tipica del nord del Paese servita con le piccanti e fresche foglie di jambu. Altri piatti rinomati serviti al Tacacà Do Norte sono le costolette di tambaqui, un grosso pesce d’acqua dolce, le chele di granchio fritte e il gelato cremoso alla tapioca. Chicche della cucina sono anche la vellutata e i succhi di acaj: a detta degli avventori, Tacacà do Norte è l’unico locale a prepararli nel modo tradizionale, senza aggiungere zuccheri o prodotti addolcenti.

Tacacà Do Norte  | Rio de Janeiro | Rua Barão do Flamengo, 35 | tel. +55 21 2205-7545

 

Espirito Santa, Rio de Janeiro

Espírito Santa

Situato in un palazzo del XIX, nel tranquillo quartiere di Santa Teresa, il locale della chef Natacha Fink propone rivisitazioni creative dei provenienti dalla tradizione amazzonica e del nord est del Paese. Tra le specialità la moqueqa di pintado, pesce d’acqua dolce tipico del Rio delle Amazzoni, le costine di maiale a lunga cottura servite con patate dolci, la vatapà baiana con gamberetti. Buone le proposte vegetariane, come la versione a base di banane della zuppa di cocco e gamberetti e il queijo coalho, formaggio del nord est, servito dentro piccole sfere di manioca ricoperte da chutney piccante. Molti i cocktail a base di frutta amazzonica che potrete sorseggiare seduti nella terrazza posteriore con vista su tutto il quartiere.

Espirito Santa | Rio de Janeiro | Rua Almirante Alexandrino, 264 | tel. +55 21 2507-4840 | www.espiritosanta.com.br

Bistrot e cucina informale

Confeitaria Colombo, Rio de Janeiro

Confeitaria Colombo

Se preferite un pranzo più veloce e informale, o uno spuntino veloce, a Rio ci sono diversi indirizzi che fanno al caso vostro. Uno degli storici punti di ritrovo degli abitanti della città è sicuramente la Confeitaria Colombo, in pieno centro. Fondata nel 1894, è la più grande sala da tè di Rio, ma offre una varietà di proposte anche per il pranzo: se vi trovate lì vicino sarà irresistibile il richiamo della maracujà azedo, la crostata al frutto della passione, o dei petit four, i biscotti agli anacardi. Particolarità del locale è il fatto di servire anche la feijoada completa, il tradizionale piatto brasiliano fatto di fagioli e carne, ma in una stanza separata dal resto dei clienti, al piano di sopra.

Confeitaria Colombo | Rio de Janeiro |Rua Gonçalves Dias, 32 | tel.+55 21 2505-1500 | www.confeitariacolombo.com.br

 

Escondinho, Rio de Janeiro

Escondidinho

Un posto frequentato prevalentemente da famiglie brasiliane, garanzia dell’autenticità delle proposte, è Escondidinho. Letteralmente “nascondino”, data la sua posizione in un vicolo non facile da trovare, nel centro di Rio.  Aperto nel 1947, Escondidinho propone una cucina casalinga rivisitata e porzioni abbondanti. Fra i piatti più amati e conosciuto del locale ci sono le costolette di mucca cotte per 5 ore e servite con crescione e uova impanate con farofa, la farina di manioca al salto. Altre prelibatezze della casa sono  il pollo in umido con okra, servito esclusivamente il giovedì, e dolci come  il “Mineiro com Botas”: flambé di formaggio, banana, guava, Cointreau e brandy. Il locale è aperto solo a pranzo e durante i giorni feriali.

Escondidinho | Rio de Janeiro | Beco dos Barbieri, 12, negozi di A e B | tel. +55 21 2242-2234 

 

Gurume, Rio de Janeiro

Gurumê

Un indirizzo prevalentemente giapponese ma con sperimentazioni fusion: è Gurumê, al piano superiore dello Shopping Fashion Mall. Ideato dal celebre studio Bernardes Arquitetura, il locale è guidato dallo chef Shin Koike, già apprezzato per il suo lavoro a Sao Paulo. La sala principale ha un tavolo comune e un sushi bar, mentre la seconda sala ha un’atmosfera più intima: una stanza che ricorda un po' un tunnel con teck brasiliano. Fra le proposte dello chef, oltre ai classici sushi, sashimi, ceviche e nigiri, anche piatti particolari come i pop corn di gamberi, gli huramaki di legumi e il risotto nero ai frutti di mare.

Gurumê | Rio de Janeiro | Shopping Center Fashion Mall, Estrada da Gávea, 899 | tel. +55 21 3324-4290 | www.japagurume.com.br

 

Iraja Gastro, Rio de Janeiro

Irajá Gastrô

Un ultimo indirizzo a Botafogo, per provare gastro pub che ha fatto della creatività la sua arma principale: è Irajá Gastrô. Abbinamenti insoliti e sperimentazioni, menù sempre in evoluzione, cordialità e accoglienza informale sono i tratti caratteristici del locale. La gran parte della carta è impostata sulla tradizione, ma non mancano le sorprese: fra queste un’insalata caprese con mozzarella di bufala su cinque tipi diversi di pomodoro, le chips dimanioca con parmigiano e burro, le costolette di maiale con una versione più elegante del tradizionale tropeiro, il misto di fagioli, pancetta e manioca. In carta anche piatti della gastronomia amazzonica come il pirarucu, uno dei pesci d'acqua dolce più grande del mondo, servito con banana saltata e un fondente di cuore di palma e condito con una vinaigrette al peperoncino.

Irajá Gastrô | Rio de Janeiro | Rua Conde de Irajá, 109 | tel. +55 21 2246-1395 | www.irajagastro.com.br

 

Miam Miam, Rio de Janeiro

Miam Miam

Mattoni a vista e stile retrò per il Miam Miam, locale della chef Roberta Ciasca, che ha creato il suo marchio basandosi sul confort food. Situato nel quartiere Botafogo, l’ambiente è rilassato e cordiale, l’arredamento è fatto di oggetti vintage degli anni '50, '60 e '70,  acquistabili dai clienti. Le proposte della chef spaziano fra i classici brasiliani rivisitati e le sperimentazioni sui prodotti locali, con un’attenzione particolare all’estetica del piatto. Varie le proposte per i vegetariani, fra cui molto quotato è il ragù di lenticchie con funghi saltati, okra speziato e aglio arrosto. Prelibatezze della casa sono la trota affumicata con patate al forno, la tilapia alla griglia con salsa di zenzero e coriandolo, il maiale con riso basmati e ananas, le lasagne di melanzane con yogurt di latte di pecora.

Miam Miam | Rio de Janeiro | Rua General Góes Monteiro 34 | tel. +55 21 2244-0125 | www.miammiam.com.br

 

Nova Capela, Rio de Janeiro

Nova Capela

Voglia di bolinho de bacalhau, le famose polpette di baccalà? Al Nova Capela, nel quartiere di Lapa, potrete assaggiare una delle migliori versioni di Rio. Situato poco distante dal Mercato Gloria, il locale è rinomato non solo per il cibo, ma anche per il suo servizio: i camerieri, tra i migliori della città, portano delle eleganti giacche bianche che diventano parte del design del posto, evocando uno stile retrò. Da provare l’agnello arrosto servito con riso ai broccoli e patate arrosto, il cinghiale in umido e l’agnello alla brace. Particolarità del locale è l’apertura della cucina fino a tarda notte, in modo da servire i clienti di ritorno dalle effervescenti serate di Rio.

Nova Capela | Rio de Janeiro | Av. Mem de Sá, 96 |tel. +55 21 2252-6228

 

Oui Oui, Rio de Janeiro

Oui Oui

Stessi proprietari del Miam Miam, per un locale ispirato dalla Belle Époque, ma con una proposta gastronomica particolare: è Oui Oui. Situato nel quartiere di Humaitá, la cucina del locale offre solo piccole porzioni, a metà strada tra tapas e antipasto. Nessuna differenza fra primi e secondi, condivisione del cibo fra i clienti: i piatti arrivano in tavola in cesti di paglia con foglie di banano, contenitori di argilla e piastrelle di ceramica e legno. Fra le proposte più apprezzate della chef Ciasca troviamo il merluzzo con cipolle, uova, patate fiammifero e tapenade, le verdure thailandesi con cocco grattugiato e anacardi, le mini-salsicce con salsa di frutto della passione, le costine di maiale caramellate con purea di zucca e formaggio di capra. Importante la carta dei vini, con un’ampia scelta fra etichette locali ed europee: inoltre possibilità di mezze bottiglie, in modo da abbinare più facilmente con la varietà di piatti.

Oui Oui |Rio de Janeiro | Rua Conde de Irajá, 85 | tel. +55 21 2527-3539 | www.restauranteouioui.com.br

a cura di Francesca Fiore

 

Fast food all'italiana. Territorio, stagionalità, replicabilità: segreti da esportazione

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Da Gramburger a 'O Macarò, a Johnny Bruschetta. La formula informale e scanzonata che fa il verso al fast food d'importazione piace agli imprenditori italiani. La differenza? Alti standard di qualità e prodotti garantiti. 

Dallo street food al fast food

Street food mania. Quante volte l'abbiamo scritto? Mai troppe a guardare quanto un fenomeno di ritorno apparentemente importato dall'estero – e invece radicato nella cultura nazionale – sia ancora in grado di radunare folle di avventori in cerca di cibo semplice e buono e momenti da condividere, che si tratti di un raduno di piazza o dell'ultima bottega aperta in città. E anzi la tendenza è stata capace di affinare lo stile, così che oggi, nel 2016, ci troviamo finalmente a parlare di cibo di strada di qualità (se non addirittura d'autore), prontamente censito dalla guida Street food del Gambero Rosso: l'ultima edizione è appena uscita in libreria. Ma pur registrando l'andirivieni di food truck, apecar e cucine su ruote, non possiamo tralasciare la china che, come diretta conseguenza della moda imperante, sta rivoluzionando anche l'immagine del fast food (sporco, brutto e cattivo, questo sì, d'importazione) per ricondurlo nell'alveo del cibo genuino, locale, di stagione. E rispettoso del consumatore.

Gli ultimi esempi che abbiamo rintracciato sul territorio italiano, peraltro, parlano di un movimento esteso a contesti diversificati, non necessariamente dipendente dal panorama (e dalla platea) cittadino. Certo, la scalabilità continua a restare prerogativa importante, pur nel rispetto di standard di produzione elevati. Lo abbiamo visto con Pescaria a Polignano, come con PanB all'interno del centro commerciale di Vimercate. Ma pure le grandi città vantano esempi degni di nota, tra tutti non ci stanchiamo di ricordare Banco a Roma, che del fast good ha fatto un Vangelo, e recentemente ha raddoppiato nel cuore di Trastevere. Mentre tra i veterani del genere ci sentiamo di annoverare Fud, che della tradizione siciliana ha fatto un perfetto brand da “fast food”, a Catania e Palermo.

Gramburger a Lanciano. Abruzzo chiama Italia

E le idee continuano a girare, toccando anche località decentrate. Come Lanciano, 35mila abitanti in provincia di Chieti, Abruzzo. Anzi Frentania, com'è chiamato il territorio compreso tra le foci dei fiumi Sarno e Biferno, a cavallo tra Abruzzo e Molise. Qui, da qualche giorno, ha inaugurato il primo locale di una catena di fast food ribattezzata Gramburger. La particolarità? Ingredienti del territorio che fanno bene all'economia locale, radunando un gran numero di aziende abruzzesi (anche per attrezzature e forniture d'arredo). Per la carne, invece, si spazia tra i migliori allevamenti italiani, anche se il vanto della casa resta il panino Abruzzese, con hamburger di arrosticino, ventricina arrostita e pecorino abruzzese. Dietro al progetto ci sono due imprenditori locali, Piero Brighella e Rocco Finardi; l'idea è quella di sviluppare un franchising che già da settembre valuterà le richieste di adesione di affiliati in tutta Italia, forte di proposte trasversali, dal Uagliò con hamburger di salsiccia affumicata , friarelli e tabasco al Toscanaccio, focaccia con hamburger di Chianina, maionese al pepe nero e lardo di Colonnata. Al motto di “qualità nella diversità”.

'O Macarò a Napoli. Italian pasta fast food

Tutto incentrato sull'appeal della tradizione partenopea è invece 'O Macarò a Napoli, un pasta bar sul modello che abbiamo visto proliferare recentemente a Roma (uno, Mama Pasta, l'abbiamo premiato come campione regionale del Lazio). La pasta è quella del Pastificio Setaro di Torre Annunziata, gli ingredienti sono tutti campani, i sughi tradizionali (dal ragù allo scarpariello, all'ischitana), i piatti sono preparati sul momento, pronti da consumare o take away. Gli ordini disponibili via app.

 

Johnny Bruschetta raddoppia

Orgoglio regionale grida anche il raddoppio dello scanzonato Johnny Bruschetta, che dalla tradizione toscana ha ereditato taglieri, salumi, formaggi e crostoni di pane. Lo spirito del locale che un anno fa inaugurava a Firenze, zona Sant'Ambrogio, condivide con le osterie locali l'atmosfera verace, con il modello fast food un menu tutto incentrato sulle bruschette, in oltre 30 varianti, servite in tavola in tagliere (lunghi anche 2 metri). Anche qui prodotti del territorio, stagionalità a pane studiato per la causa. I nomi in menu sono quelli delle località più celebri della Toscana. E l'idea è piaciuta tanto da replicare a Marina di Massa (MS), dove il secondo locale, a portata di mare, ha appena inaugurato. Ingredienti reperiti nel raggio di 50 km, 40 varianti di bruschetta in menu, vini toscani e birre artigianali. Ma Daniele Martini, ideatore del brand, guarda già a Londra.

È il momento di invertire il senso di marcia: fast food all'italiana da esportazione.

 

Gramburger | Lanciano (CH) | viale delle Rose | www.gramburger.com

'O Macarò | Napoli | via Cervantes, 66 | tel. 081 4203103 | www.omacaro.it

Johnny Bruschetta | Firenze | via de' Macci, 77r | tel. 055 2478326 | www.johnnybruschetta.com

Johnny Bruschetta | Marina di Massa (MS) | via San Leonardo, 480/d  

 

a cura di Livia Montagnoli

Calici di Stelle 2016: degustazioni a cielo aperto per l’estate

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Torna la manifestazione dell’estate che unisce il gusto del buon vino al piacere di una serata all’aria aperta. Dal 6 al 14 agosto, Calici di Stelle presenta il meglio della viticoltura italiana lì dov’è protagonista ogni giorno, tra campagne e cantine della Penisola. 

L’evento

L’appuntamento con Calici di Stelle è ormai tappa fissa del calendario enogastronomico italiano, e accomuna i wine lover di tutta Italia nella condivisione di un brindisi all'aria aperta in vigna. Dietro l’organizzazione di questo festival diffuso che coinvolge molte regioni della Penisola c’è la collaborazione tra l’Associazione Nazionale Città del Vino e il Movimento del Turismo del Vino. Complici le piacevoli serate estive, l’evento si propone di coinvolgere il pubblico in visite guidate, spettacoli e laboratori seguendo il filo conduttore del piacere regalato dal vino e dalla condivisione della buona tavola.

Dalla Valle d’Aosta alla Sicilia, sono numerose le cantine che hanno aderito al festival per un brindisi che raccoglie enoappassionati di tutta la Penisola e vini dagli aromi e profumi più disparati, che raccontano di quell’estrema diversificazione territoriale che rende unica la viticoltura nazionale, tra piccolissime cantine, brand prestigiosi e vitigni autoctoni quasi sconosciuti. Tra le regioni coinvolte, il Veneto da anni ospita l’evento e presenta il maggior numero di aziende vitivinicole pronte a confermare un anno dopo l’altro la propria adesione, dalle montagne di Cortina d’Ampezzo ai Colli Euganei.

Foto in vigna

Anche quest’anno è stato indetto il premio La Stella di Federica: Miglior Foto di Calici di Stelle 2016, che valorizza il miglior scatto in grado di catturare l’essenza della relazione fra vino e ambiente circostante. In regalo per il fotografo, una Magnum speciale di Città del Vino, che sarà consegnata in occasione della Convention di Autunno delle Città del Vino.

Vino e offerta culturale, insieme alla magia dei territori riscoperti sotto le stelle, sono l'abbinamento vincente della manifestazione, in una formula che unisce la filosofia del buon bere a eventi, spettacoli, design e arte, tutto vissuto con il naso all’insù, nelle notti delle stelle cadenti. Si partecipa su prenotazione e si inizia dall’aperitivo al tramonto fino a notte inoltrata. In abbinamento, naturalmente, non mancheranno prodotti tipici delle varie regioni, da gustare con il calice adatto, sperimentando nuovi accostamenti enogastronomici. Per i curiosi che hanno voglia di saperne un po’ di più sull’astronomia, l’Unione Astrofili Italiani è pronta a condurre osservazioni guidate alle stelle.

 

Calici di Stelle 2016 | dal 6 al 14 agosto, dal tramonto | www.cittadelvino.it

a cura di Michela Becchi

Culinary Discoveries. Giro del mondo gastronomico per viaggiatori extralusso by Four Seasons

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Tre settimane in tour, tra Asia ed Europa, a bordo del jet privato del celebre gruppo che dell'ospitalità esclusiva ha fatto il suo vanto. Con la consulenza di René Redzepi, tra foraging, cene stellate, mercati esotici. Il costo? 135mila dollari! 

Viaggi da sogno con Four Seasons

Siete in cerca di un volo low cost last minute verso qualche assolata spiaggia del pianeta? Allora la proposta che stiamo per affrontare non fa al caso vostro. Ma merita comunque di essere raccontata. In fondo sognare non costa nulla. E chi non vorrebbe ritrovarsi a girare il mondo a bordo di un jet extralusso rotta impostata verso mete gastronomiche affascinanti e sempre diverse? È sufficiente strofinare la lampada di Aladino e il genio del Four Seasons arriverà in soccorso di tutti quei viaggiatori che stabiliscono la tabella di marcia in funzione dell'esclusività dell'esperienza. E della passione per la buona tavola, ca va sans dire. Ben più noto per la catena di alberghi 5 stelle che gestisce in molti Paesi del mondo, il gruppo che ha fatto del lusso e della professionalità due qualità imprescindibili dell'ospitalità, possiede anche un jet privato, diretta emanazione di quell'accoglienza esclusiva che cerca di regalare ai suoi ospiti anche ad alta quota, da uno scalo all'altro tra i migliori hotel a marchio Four Seasons. Ma c'è di più.

Il jet privato e gli itinerari tematici

L'aereo extralusso non si limita a collegare il circuito internazionale di alberghi del gruppo, e propone ai clienti in grado di spendere cifre da capogiro cinque diversi itinerari di viaggio studiati per esaudire i desideri di ognuno, dalla formula ideata per i più avventurosi alle incursioni culturali, al giro del mondo in 24 giorni toccando le principali capitali internazionali. Da qualche tempo, al pacchetto si è aggiunta la voce Culinary Discoveries, che punta a conquistare i danarosi viaggiatori con un tour gastronomico fuori dal comune. Tre settimane, 21 giorni, e un diario di bordo ideato insieme a Renè Redzepi; sul sito dell'iniziativa le prenotazioni sono già aperte, partenza prevista per il 27 maggio 2017. Rientro alla base il 14 giugno. E un pagamento da 135mila dollari (!!) a persona per riservare un posto a bordo. Come si giustifica la spesa? La consulenza eccellente non lascia adito a dubbi, e d'altronde l'introduzione al viaggio suggerita sul sito non fa che confermare l'unicità di un itinerario che si muove tra Europa e Asia alla scoperta di persone, tradizioni, luoghi e prodotti che restituiscono un quadro complesso e variegato delle culture gastronomiche incrociate dal jet sulla sua rotta.

Culinary Discoveries. Il viaggio

Si comincia da Seoul, Sud Corea, con la cena in casa dello chef Jung Kuk Lee, un passaggio alla tavola del pluripremiato Jungsik e la scoperta ravvicinata del cibo votivo all'interno di un tempio buddista. A Tokyo invece gli esploratori gastronomici proveranno la cucina de L'Effervescence, tra una partita di baseball, la coreografia di Kill Bill e un'uscita di foraging con lo chef Namae Shinobu. Seguono il tour dei mercati di Hong Kong scortati da uno chef stellato e la scoperta della cucina thailandese a Chiang Mai. In India si atterra a Mumbai, per visitare i migliori ristoranti della città. Poi il jet si porterà sui cieli d'Europa, toccando Firenze, Lisbona, Copenhagen e Parigi. L'ambasciatore della capitale portoghese sarà lo chef Nuno Mendes (ma è prevista anche una cena da Belcanto), a Parigi invece ci si muoverà tra prodotti gourmet, mercati e una cena esclusiva da Le Cinq. A Copenaghen sarà di nuovo il momento del foraging, guidati da Redzepi in persona, che preparerà per i viaggiatori una cena esclusiva. E in Italia? Dopo una degustazione in cantina alla Tenuta Valgiò, a Lucca gli ospiti saranno accolti da Damiano Donati. Ma ci sarà tempo anche per una visita a Dario Cecchini, una cena al Bucaniere di San Vincenzo e l'immancabile tour agli Uffizi. Ah, ovviamente a bordo si beve solo Dom Perignon!

 

www.fourseasons.com/aroundtheworld/private_jet_travel_itineraries/#culinary_discoveries

a cura di Livia Montagnoli

 


Birra AI. Da Londra la birra che cambia ricetta adattandosi al gusto dei clienti

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Troppa acida, poco corposa, non aromatizzata a sufficienza. Grazie all'intelligenza artificiale e a complicati algoritmi ora i consumatori possono scegliere come ottenere la birra perfetta. E suggerire la ricetta ai mastri birrai. La startup inglese. 

Che dietro a una buona birra artigianale ci sia tanta conoscenza della materia prima e una buona dose di competenza scientifica molti non lo sospettano nemmeno. Ma provate a chiedere cosa ne pensa in merito a un mastro birraio, che con reazioni chimiche, microbiologia, ph e soluzioni acide e basiche deve fare i conti ogni giorno. Materia complessa quella della produzione brassicola, eppure da secoli praticata dall'uomo, dapprima (e per molto tempo, fin quasi al limitare del XIX secolo) senza averne troppa contezza, sull'onda delle fermentazioni spontanee, oggi supportata dalle tecnologie più disparate. Spingendosi pure a esiti paradossali, come quando entrano in gioco sofisticati algoritmi che chiamano in ballo social network e internauti. Come sarebbe?

Birra AI. La parola al cliente

La birra in questione, non a caso, è stata ribattezzata AI – intelligenza artificiale – ed è frutto del perfezionamento delle ricerche portate a termine dalla start up londinese IntelligentX, che “sostituendosi” ai mastri birrai ha messo a punto un algoritmo che passa in rassegna le caratteristiche della birra associandole a specifici passaggi della produzione, alla tipologia e alla dose degli ingredienti. Quel che succede una volta che il prodotto arriverà sul mercato è la conseguenza più innovativa del progetto: dopo aver assaggiato la birra, il cliente può relazionarsi con i produttori tramite un bot di Facebook Messenger, che gli permetterà di esprimere gusti, preferenze, punteggi da 1 a 10 sulle qualità del prodotto ed eventuali modifiche della ricetta da suggerire. All'azienda il compito di registrare e analizzare il responso, stilare un bilancio del gradimento generale e modificare la ricetta in base ai trend più significativi. Questo vuol dire che ogni lotto sarà diverso dall'altro, poiché la ricetta si affinerà di cotta in cotta grazie al gusto dei consumatori. Intelligenza artificiale al servizio del consumatore, dunque, ma anche utile strumento per i produttori, che potranno ricevere i feedback dei clienti in modo più rapido e funzionale.

Basti pensare che le ricette delle prime birre AI prodotte in Inghilterra, in quattro varianti diverse (4.50 sterline ciascuna), sono già cambiate oltre 10 volte. Con l'obiettivo di creare la birra perfetta?

 

www.intelligentx.ai

Versi di vino. Vincenzo Cardarelli

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Avanguardia prima, ritorno all'ordine poi. Così per Vincenzo Cardarelli, che attraversò la vita letteraria dei primi del '900 da giornalista e poeta, dando voce e forza al movimento chiamato il rondismo. Continuiamo così il nostro viaggio nella poesia di tutti i tempi per trovare le più belle liriche dedicate al tema del vino.

La nostra corsa attraverso la poesia di ogni epoca ci fa approdare al '900, continuiamo a indagare tra i versi dei poeti per scoprire come cantavano il loro amore pr il vino. Arriviamo oggi a un giornalista che nel 1919 fondò la rivista culturale La Ronda professando un ideale di restaurazione classicista, auspicando un ritorno a Leopardi. Scrittore e poeta, oltre che giornalista, VincenzoCardarelli (1887 – 1959), fu animatore della vita culturale germinata intorno alla rivista, da cui nacque il movimento letterario detto rondismo. La sua produzione poetica si colloca a cavallo tra l'avanguardia degli anni '10 e la restaurazione del decennio successivo, ma ben presto rifiutò le istanze trasgressive dei primi del novecento per richiamare a una maggiore compostezza, professando un ritorno all'ordine e al ruolo dell'intellettuale.

Diverse le sue raccolte poetiche, ma, in particolare, ne riportiamo due, dal volume Poesie.

Ottobre

Un tempo era d’estate,

era a quel fuoco, a quegli ardori,

che si destava la mia fantasia.

Inclino adesso all’autunno

dal colore che inebria,

amo la stanca stagione

che ha già vendemmiato.

Niente più mi somiglia,

nulla più mi consola,

di quest’aria che odora

di mosto e di vino,

di questo vecchio sole ottobrino

che splende sulle vigne saccheggiate.

 

Ricordate il persiano Omar Kayyam, il massimo cantore del vino? Ebbene, una lirica di Cardarelli è dedicata a lui

A Omar Kayyam

Kayyam, nei mattini d’estate,

basta avere una foglia in bocca,

il sole dei giardini

ci ubbriaca meglio del tuo vino

che noi non berremo.

Abbiamo, dopo di te,

bevuto in ben altre cantine.

Abbiamo la gola rossa

dei nostri vini d’Occidente,

o mio vecchio, melodico persiano.

Ma la tua dolce infanzia di filosofo,

questa è un gran dono.

Tu hai guardato il mondo

tra nebbie e per distanze siderali.

Tu hai potuto iridare

di primordiali curiosità

l’ombra della vita.

Dove tutto non era

che disperata certezza

tu hai fatto domande,

proposto accordi e tutto era concluso.

E quando, non la durezza

della faccia di Dio,

pietosamente a te ascosa,

ma la tua carne stanca

ti rimbrottava,

da quell’oscuro e flebile scontento

nasceva la grazia d’un ritmo.

Così dell’umano

viaggio eludesti

le premesse fatali,

convinto di non saperle

e illuso di doverle ricercare.

E questo era il buon vino,

Kajjam.

Il dio che ti propiziava

questa bevanda d’inganni

faceva la tua fortuna

e il tuo canto.

E tu libavi alle rose

del tuo ridente sepolcro,

non sospettando, o impavido,

che la tua vita era già

un cimitero fiorito.

 

a cura di Giuseppe Brandone

 

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Franco Pepe a L’Albereta. In autunno la nuova pizzeria all’interno del Relais della famiglia Moretti in Franciacorta

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Franco Pepe prova di nuovo a conquistare il Nord e firma un accordo con Mauro De Rosa (At Carmen per il gruppo Moretti) per portare la sua pizza in Franciacorta. La pizzeria aprirà in autunno all’interno dell’Albereta, completando un’offerta di ristorazione d’eccellenza. 

L’estate di Franco Pepe. Terrae Motus e non solo

È un’estate intensa quella di Franco Pepe, pizzaiolo pluriacclamato di Caiazzo, provincia di Caserta. Dal 2012, quando l’idea di Pepe in Grani è sbocciata in un paese come tanti dell’alto casertano, la pizzeria di colui che molti considerano uno degli artigiani del gusto più geniali del nostro Paese (Tre spicchi sulla guida Pizzerie d’Italia del Gambero Rosso) ha saputo accendere i riflettori su un territorio altrimenti abbandonato a se stesso, oggi meta di pellegrinaggi gastronomici dall’Italia e dal mondo. Tutto per assaggiare la pizza del maestro. Che ai suoi estimatori ha recentemente deciso di regalare un’altra soddisfazione. È notizia delle ultime settimane l’apertura di Terrae Motus proprio sul corso di Caiazzo. L’obiettivo? Servire schiacciate e panini realizzati con l’impasto della pizza, come Franco ci ha raccontato in anteprima in una videointervista colto con le mani in pasta. E per un Pepe che raddoppia a Caiazzo, non è un mistero l’attrazione che il maestro nutre nei confronti del Nord, dove peraltro negli ultimi tempi la pizza d’eccellenza si fa strada a grandi passi proprio grazie a un numero cospicuo di trasferte d’eccezione.

Giù al Nord. Da Princi a Kytaly

Basti pensare a come sta cambiando il panorama milanese, con cui qualche anno fa (forse poco prima che i tempi fossero maturi) anche Franco Pepe si è confrontato in occasione della collaborazione con Princi, purtroppo non andata a buon fine. Nel frattempo, però, il maestro si è rimboccato le maniche e la sua pizza l’ha portata ancora più a nord, oltreconfine, avviando una collaborazione sull’asse Campania-Svizzera, a Ginevra, in qualità di consulente per Kytaly, locale di design made in Italy (dietro ci sono gli imprenditori Alessandro Bortesi e Robin Eguren) in pieno centro cittadino. Dalla scorsa primavera il menu del ristorante può vantare una selezione di 8 pizze firmate Pepe, realizzate con un impasto speciale che il pizzaiolo casertano ha studiato appositamente per questa collaborazione. Ma il progetto che partirà tra settembre e ottobre 2016 a Erbusco, nel cuore della Franciacorta, è di ben altro spessore. E ambizione.

Pepe all’Albereta. La pizza in Franciacorta

Tra un paio di mesi, infatti, anche gli ospiti de L’Albereta, esclusivo relais & chateux che fa capo alla famiglia Moretti, potranno gustare le pizze di Franco Pepe, grazie all’accordo sottoscritto con Mauro De Rosa, che per il gruppo Moretti (di cui è stato a lungo amministratore delegato) gestisce oggi ospitalità e ristorazione insieme a sua moglie Carmen (Moretti), con cui due anni fa ha fondato la società At Carmen. Per essere più chiari, a loro si deve l’arrivo di Fabio Abbattista all’Albereta e la decisione di rivoluzionare l’offerta gastronomica della struttura dopo la partenza di Gualtiero Marchesi. Proprio nell’ambito di questa rivoluzione, già qualche mese fa De Rosa annunciava l’intenzione di inaugurare un paio di strutture (chioschi li definiva) all’interno della tenuta di Erbusco, per valorizzare il vino e la pizza. Allora si pensava che il progetto sarebbe decollato in contemporanea con il completamento dell’installazione di Christo, oggi sappiamo che i tempi si sono leggermente allungati. Ma il prossimo autunno la pizzeria di Franco Pepe all’Albereta vedrà finalmente la luce.

La soddisfazione di Franco Pepe

La firma dell’accordo è di pochi giorni fa, Pepe ha già affidato la sua soddisfazione a poche parole sulla sua pagina Facebook: “Settembre vedrà nascere questo nuovo progetto in collaborazione con la famiglia Moretti presso il Relais & Chateaux L’Albereta. Un progetto importante in un luogo altrettanto importante che ha visto il passaggio di firme eccellenti della ristorazione nazionale ed internazionale”. E prosegue: “In tandem all’ottimo lavoro di Fabio Abbattista al LeoneFelice, avrò l’onere e l’onore di trasferire la qualità del mio lavoro dalle colline caiatine a quelle della Franciacorta, nella struttura dedicata alla mia pizza. Un impegno estremamente stimolante che ho deciso di affrontare per l’affinità che mi lega ai concetti chiave de L’Albereta e che diventano una naturale prosecuzione del progetto avviato con Pepe in Grani. Ringrazio la famiglia Moretti per aver fortemente creduto in questa collaborazione”.

La pizzeria in questione sarà separata dall’edificio principale e si articolerà su due piani. Il nome è ancora sconosciuto, ma è certo che l’accordo con il gruppo Moretti potrebbe aprire nuovi interessanti scenari (anche all’estero?) per la pizza di Franco Pepe. Non resta che aspettare consolandosi con un panino gourmet a Caiazzo.

 

a cura di Livia Montagnoli

Gigi Pipa. A Este la pizzeria con orto del giovane Alberto Morello

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Quando pizza gourmet significa soprattutto cura per la selezione degli ingredienti e amore per la propria terra il risultato può essere la pizzeria con orto che accoglie gli avventori a qualche chilometro da Padova. E nel piatto la sorpresa è ancora più evidente. 

Alberto Morello. Giovane pizzaiolo di talento

Un anno fa Alberto Morello riceveva il premio speciale Pizzaiolo Emergente durante la presentazione della guida Pizzerie d'Italia del Gambero Rosso (a chi toccherà quest'anno? Non manca molto per scoprirlo). Ventisei anni appena (oggi sono 27), il giovane pizzaiolo figlio di ristoratori della provincia padovana è riuscito a imporsi nel panorama regionale e italiano della pizza grazie all'impegno profuso per trovare e percorrere una strada tutta sua, forte di una “tradizione” territoriale che vede il Veneto in prima linea nella ricerca contemporanea sulla cosiddetta pizza gourmet. Basti pensare a Simone Padoan e Renato Bosco. Ad Este, 31 chilometri da Padova, invece, Alberto – che la pizzeria di viale Rimembranze la gestisce dal 2009 -  si tiene in equilibrio sul confine tra tonda e pizza da degustazione, servita in tavola a spicchi, da condividere con gli altri commensali. Riuscendo a fare bene entrambe. Tra “cucina di pizza”, lievito madre per la pizza gourmet – base fragrante e topping assemblati a parte – lievito di birra per l'impasto classico, per Margherita, marinara, radicchio di Treviso con fiordilatte pugliese, guanciale e bufala affumicata. Una pizza da Due spicchi meritati con ampio margine di crescita. A pochi passi dall'antico castello medievale: Pizzeria Gigi Pipa (dal 2002, completamente rinnovata nel 2015), recita l'insegna all'ingresso. Con sorpresa.

La pizzeria con orto. Dalla terra al piatto

La costante ricerca di ingredienti di stagione e prodotti del territorio ha spinto Alberto a dotarsi di un orto giardino (dove in estate si può anche mangiare, con vista sul castello) dove attingere a piene mani l'ispirazione per la sua carta di pizze gourmet. Che non a caso, tra le proposte da non perdere annovera una curiosa E che cavolo..., con cavolo nero, cavolo cappuccio, cavolini di Bruxelles, spuma di Parmigiano riserva 24 mesi, pane tostato al peperoncino. L'obiettivo è quello di raggiungere l'autosufficienza alimentare per quanto riguarda la selezione di verdure e ortaggi che finiscono sulla pizza, con l'idea di ridurre all'osso gli sprechi e controllare la filiera produttiva dalla terra al piatto. E, perché no, proporsi come esempio per i ragazzi di città che i prodotti dell'orto stentano a riconoscerli (e quando si parla di stagionalità la difficoltà è ancora più lampante). Così, in vista del nuovo anno scolastico, l'orto di Alberto potrebbe aprire le porte alle scuole della provincia padovana, trasformandosi in orto didattico.

Mentre la pizzeria con l'orto continua a sfornare proposte green particolarmente golose, come la pizza Dalla Terra, con fiori di zucca, zucchine e rape rosse o la signature dish Dall'Orto: Fior di latte, robiola di Roccaverano, bietina, topinambur, carota viola marinata, piselli, spuma di piselli e polvere di ortiche. E dalla cucina arrivano anche pane, biscotti e marmellate homemade. Quando si trova il tempo per curare l'orto? Il lunedì, giorno di riposo... Ma solo dalla cucina.

 

Gigi Pipa | Este (PD) | viale Rimembranze, 1 | tel. 331 4161253 | www.pizzeriagigipipa.it

Chiude Perimetro Food. Prodotto e ambizione non bastano: finisce male il progetto di Alberto Volpi

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Tre locali in poco meno di tre anni, a Brescia, Verona e Milano. Tre locali chiusi su tre, a fronte di un format destinato a conquistare l'Italia e l'Europa con i prodotti d'eccellenza made in Parma. E 7 milioni di investimento non sono bastati. Perché? 

Il sogno di un Good Food District

Perimetro è una guarnigione alimentare, armata di coltello e forchetta che a cavallo di scintillanti Berkel, difende e divulga il credo del buonmangiare. È fin troppo esplicita la dichiarazione d'intenti affidata allo slogan d'esordio del Good Food District bresciano fondato da Alberto Volpi quasi tre anni fa. O meglio, di quello che era (e avrebbe voluto essere) il distretto del gusto ideato dall'imprenditore di salumi da 170 milioni di fatturato sull'esempio della strada tracciata da Oscar Farinetti con Eataly. Perimetro Food, dicevamo, con l'intenzione di aprire in Italia ed Europa una rete di 10 store enogastronomici, ristorantino bistrot e bottega. E il sogno di raggiungere i 20 milioni di fatturato. E invece la realtà si è rivelata molto diversa dai progetti: ribattezzato sin dall'inizio l'Eataly dei salumi, alla fine del 2013 Volpi annunciava l'apertura del primo store, nel centro di Brescia, che dalla sinergia tra investimento industriale e valorizzazione delle risorse umane avrebbe tratto linfa per moltiplicarsi. Poi sono arrivati i punti vendita di Verona e Milano. Nel capoluogo veneto l'avventura si era conclusa già alla fine del 2015, evidenziando la brutta piega che solo qualche giorno fa ha finito per manifestarsi a pieno: con le chiusure di Milano e Brescia l'avventura di Perimetro è giunta al capolinea. Almeno sul territorio nazionale.

Perimetro Food. Il format

Procedendo con ordine, all'epoca il progetto scommetteva su una proposta di alta gamma incentrata sui sapori emiliani; e il motivo è presto detto: con Volpi si lanciavano nell'impresa anche Daniele Poletti di All Food (Parma) e Mauro Esposto di Gold Food (Roé). Quattro vetrine vista Duomo, design contemporaneo, prodotti selezionati anche da asporto e un menu breve di tipicità, dai tortelli alle erbe ai salumi (strolghino, salame di Felino, coppa, pancetta), dai cappelletti in brodo al Parmigiano vacche rosse, alla Sbrisolona, disponibile con orario no stop dalle 11 alle 23. Da bere Lambrusco e Franciacorta, per celebrare in tavola il rapporto di buon vicinato tra Emilia e Lombardia. A gennaio 2014 seguiva l'inaugurazione in piazza delle Erbe a Verona; entro l'anno, secondo i piani, la bandiera di Perimetro avrebbe dovuto sventolare anche in piazza della Signoria a Firenze e nel centro di Roma. Poi, a seguire, le aperture internazionali: Barcellona, Berlino, Parigi, Londra, Monaco e Mosca. Una scaletta ambiziosa e mai rispettata.

A sorpresa, invece, nell'aprile 2015 Perimetro era arrivato a Milano, al motto di “Parma da mangiare”, e proprio a due passi da Eataly Smeraldo, in corso Garibaldi, angolo piazza XXV Aprile. Dove i battenti hanno chiuso definitivamente alla fine di luglio, in contemporanea con il locale bresciano di piazza Paolo VI.

 

L'etica di Perimetro, la repubblica del buon lavoro

Cosa succederà ora? Certo, non si può dire che l'impresa sia stata avara di investimenti: sette milioni di euro per cominciare, uno speso esclusivamente in formazione. E un battage comunicativo che si dipanava tra molti (troppi?) slogan d'assalto, dal “buongusto per il bello” al perimetro come “area dell'eccellenza culinaria in gustimetria”. Dietro, si legge ancora sul sito, c'era la selezione di giovani motivati tra i 18 e i 30 anni, destinati a un contratto a tempo indeterminato previa formazione sul campo al seguito di Giampaolo Montali, già allenatore dell'Italia del volley, perché “il vero anello debole del settore finora è stato proprio il personale, poco professionalizzato e soggetto a un eccessivo turnover”, dichiarava convinto Alberto Volpi. Una trentina di ragazzi per cominciare, e un mese di training tra le colline di Parma; con l'idea di ampliare ogni anno l'organico di 70 unità.E allora cosa non ha funzionato?

La delusione. Ai giovani manca la passione (?)

Mentre Perimetro saluta e ringrazia affidando al web l'ennesimo slogan - “Crederci è umano, perseverare è Perimetro” - con una postilla (“ci vediamo a Londra”) che procrastina la parola fine, Alberto Volpi affida il suo disappunto alle pagine del Corriere della Sera. E riparte proprio da quel pallino per la formazione - “Perimetro è una repubblica fondata sul buon lavoro” - destinato a essere asse portante del progetto. Impegno, a suo dire, non corrisposto: “Che delusione, abbiamo scelto ragazzi per il 40% laureati e senza esperienza nel campo della ristorazione portandoli nei migliori caseifici e negli allevamenti di nicchia. Tutto a spese nostre. Volevamo trasmettergli la cultura del made in Italy ma non sono riusciti a comunicare al cliente l’eccellenza dei nostri prodotti. Forse a molti giovani manca la passione”. Parole pesanti dettate dalla frustrazione per una formula che evidentemente non ha portato i risultati sperati.

Qualità del prodotto, cattiva gestione. Chi ha la meglio?

Il patron lamenta l'abbandono del 50% del personale selezionato, intanto però gli sfugge una considerazione ben più amara (e veritiera?): la difficoltà di comunicare un prodotto di qualità, le critiche della clientela al menu sin troppo limitato, un format incapace di conquistare il pubblico con cui si è confrontato. La soluzione? L'estero, Londra in primis, ma solo “dopo una pausa di riflessione”, perché “il consumatore di target alto vuole un prodotto d’eccellenza. Il gruppo continua a crescere e penso che Perimetro potrà funzionare bene nelle capitali europee”. Certo è che, mentre il modello Eataly continua a spopolare in Italia e nel mondo, il fallimento di un progetto così ambizioso stride con l'immagine di un made in Italy enogastronomico che non conosce ostacoli. E giustificare il naufragio di un progetto di tale portata con le mancanze del personale sembra pretestuoso, mentre molto più sensate sembrano altre parole di commiato: “Passione, dedizione e volontà non sono bastate a far decollare il nostro sogno in Italia”. Come a dire che vanno bene il made in Italy, la ricerca sul territorio e la qualità del prodotto (online sono tante le recensioni di Perimetro che sottolineano la qualità, a fronte di una gestione poco oculata del servizio. E molti, ironia della sorte, lamentano la poca professionalità), ma quante sono le variabili da mettere in fila per compiere l'impresa?

 

www.perimetrofood.it

a cura di Livia Montagnoli

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