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Versi di vini. Giovanni Pascoli

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Nel nostro vagare tra secoli e poesie alla ricerca delle migliori liriche sul vino, arriviamo a Giovanni Pascoli e alla sua poetica del fanciullino, ai suoi versi dedicati alla vita campestre.

Allievo di Carducci all’Università di Bologna e poi rettore nello stesso ateneo, Giovanni Pascoli (1855 – 1912) è uno dei grandi nomi della poesia italiana. La poetica del fanciullino, a un passo dall'inizio del '900, è quella di una dimensione intima, quotidiana, quasi infantile della scrittura in versi. Quella che solo la poesia e il poeta sanno esprimere. Così il poeta vate tiene saldo il suo ruolo e quello delle liriche, che mantengono il valore morale e civile inattaccabile.

La prima raccolta poetica, Myricae,canta la natura, la sofferenza e il sogno. Protagonisti sono quadri di vita campestre, in cui dettagli minimi, luci e suoni diventano protagonisti, con loro l'avvicendarsi delle stagioni, il lavoro nei campi e nelle vigne, la vita contadina con i suoi momenti conviviali. Come in queste liriche che cantano, con accenti malinconici, di feste e di vino.

 

Convivio

O convitato della vita, è l’ora.

Brillino rossi i calici di vino,

tu ne’ bramoso più, né sazio ancora,

lascia il festino.

Splendano d’aurea luce i lampadari,

fragrante la rosa e il timo.

Sorrida in cerchio tuttavia di cari

capi il banchetto:

tu sorgi e… Triste, su la mensa ingombra

delle morenti lampade lo svolo

lugubre, lungo. Triste errar nell’ombra,

ultimo e solo.

 

I tre grappoli

Ha tre, Giacinto, grappoli la vite.

Bevi del primo il limpido piacere;

bevi dell’altro l’oblio breve e mite;

e…più non bere:

ché sonno è il terzo e con lo sguardo acuto

nel nero sonno vigila, da un canto,

sappi il dolore; e alto grida un muto

pianto già pianto.

 

Dalla raccolta poetica Odi e inni, il libro che rappresenta maggiormente la poesia storica e civile di Giovanni Pascoli, una lirica molto studiata nelle scuole.

 

A ciapin

Quella vendemmia ch’hai deposta senza

libarne, pura, nel cellier di sotto,

tre anni fa, per l’ora che in licenza

venga Pinotto;

quella vendemmia che sgorgò dal cerro

dal masso, credo; ch’odiò la fonte;

ch’altra non ebbe tanto del tuo ferro,

ferreo Piemonte;

quella vendemmia che ribollì scossa

tutta da un cupo palpito alla prima

luna di marzo come l’onda rossa

d’Abba Garima;

e ch’ora tiene nel suo forte vetro,

come in un muto e forte cuor, costretta

l’ira d’allora e il lungo pensier tetro

della vendetta:

Ciapin fedele, frema negli oscuri

Vetri segnati dalla cauta cera,

quella vendemmia! Resti ancor, maturi

quella barbera!

Non beva il vino dell’eroe chi chiede

al vin l’oblio del cuore e delle gambe

tremule! Ei vive: là vagar si vede,

solo, tra l’ambe.

Serbalo il vino dell’eroe che tace

ma vive. Ignote costellazioni

lui fissano e, con occhi tra le acace

tondi, i leoni.

Serbalo il vino dell’eroe che vuole

quello che vuole e là resta al comando

suo, donde, certo e allegro come il sole,

tornerà quando…

Serba per quando, ciò che ha fermo in cuore,

coi nostri pezzi che al ghebì selvaggio

son come cani e con il nostro onore

ch’è come paggio…

Serba la tua purpurea barbera

per quando, un giorno che non è lontano

tutto ravvolto nella sua bandiera

torni Galliano.

 

 

a cura di Giuseppe Brandone

 

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Intervista a Fausto Fratti: il Povero Diavolo chiude o riapre dopo Parini?

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Ristorante gourmet, piccola locanda di collina tra Rimini e l'Appennino, tanti eventi sul territorio per parlare di cibo, di tradizioni e di storia. Tutto questo potrebbe finire dopo l'estate. Il grande chef nato e cresciuto qui se ne va e la proprietà fatica a mettere assieme le forze per ripartire.

Non lo dice chiaro e tondo, ma è amareggiato Fausto Fratti. Uno dei ristoratori italiani più peculiari e sui generis dell'ultimo quindicennio di alta cucina nel Belpaese, artefice in un borgo remoto sulle colline di Rimini di una storia gastronomica da romanzo, capace di declinarsi non solo in un ristorante (premiatissimo da tutte le guide ormai da anni), ma anche in un palinsesto di eventi imposti e proposti con coerenza, lucidità e soprattutto continuità. Incipit, Spessore, La collina dei piaceri (che in questi giorni fa partire l'ennesima edizione) sono stati infatti, al pari e più del ristorante, in grado di trasformare un territorio tutt'altro che baricentrale in una delle tappe, quando non delle mete, irrinunciabili per foodies, addetti ai lavori, semplici appassionati. Quegli snodi dove se il cibo è il tuo mestiere o la tua passione, devi passare almeno una volta all'anno. Una conquista tutt'altro che banale e scontata, specie se centrata da una casa artigianale a tutti gli effetti, una impresa di famiglia fatta da due persone: Fausto e Stefania Fratti. Dal 1990 al 2016. Al 2016, sì, perché lo chef su cui tutto si era puntato nell'ultimo decennio, a settembre se ne va via. Le idee per ricominciare ancora una volta non sono poche, ma le gambe per farle correre si fanno più deboli e la mancanza di un erede fa venir meno qualche motivazione.

E così la Locanda del Povero Diavolo, mitico ristorante italiano degli anni Zero e degli anni Dieci, potrebbe non riaprire più, anzi probabilmente non riaprirà più, salvo ripensamenti. Ne abbiamo parlato con Fausto, amareggiato sotto al baffo.

 

Fausto come sarebbe a dire “non sappiamo se continuare”, come sarebbe a dire “vedremo se continuare”. Pier Giorgio Parini se ne va, ma troverai un altro chef per mandare avanti la tua casa a Torriana no?

Non è così scontato. Io non ho la tua età eh.

Cosa significa? Non mi risulta di parlare con un vecchio di novant'anni.

No, ma ce ne ho 62...

Appunto. Sessantadue. Mica vorrai andare in pensione a 62 anni...

Beh, tieni conto che lavoro da quando ce ne avevo 16. Fai un po' i tuoi conti. Poi c'è una coincidenza.

Quale coincidenza?

Il 1 settembre 2016 vado ufficialmente in pensione.

Va bene, ma questo non vuol dire nulla. Vai in pensione in qualità di dipendente, ma hai una azienda di proprietà, che è un grande brand nel mondo della gastronomia italiana.

È vero e questa è una responsabilità, ma ora dopo 26 anni non sappiamo come andare avanti. Davvero non ci abbiamo ancora pensato. Non posso dirti se e come riapriremo a settembre. Noi siamo due, senza l'aiuto di nessuno. Io ho 62 anni, Stefania ne ha 60, abbiamo i nostri problemi, i genitori da seguire e tutto il resto.

Insomma, vivi la decisione di Pier Giorgio Parini di andar via proprio in concomitanza con la tua pensione come un segnale simbolico per metterti a riposo?

Non è così pacifica la cosa, i programmi erano decisamente altri. Avevamo investito molto su questo chef, era tanto che stavamo assieme, è vero, ma l'idea era di continuare, avevamo investito molto qualche anno fa sul rifacimento della cucina e anche quello era un investimento su di lui. Ora ha deciso così, peccato.

Siete riusciti a confrontarvi?

No. Lui è impenetrabile. Di certo non avrà problemi, non gli mancheranno le proposte. Stiamo parlando di uno dei più grandi chef italiani in assoluto. Solo chi lo osserva tutti i giorni come me può capire la vivacità e la forza creativa enorme di questo ragazzo.

Insomma ti vedo più amareggiato che voglioso di ripartire.

Sai c'è il fattore tempo che io considero una variabile non trascurabile. Quando ripartimmo con Pier Giorgio, dopo che Riccardo Agostini andò via, avevo dieci anni di meno! Comunque è un vero peccato perché si era scritta una pagina unica.

Unica in che senso?

Unica perché nata dal nulla. Fatta con niente. Con pochissimi soldi e con tantissima costanza.

Immagini addirittura di interrompere le esperienze di Incipit, di Spessore de La Collina dei Piaceri, insomma di tutti gli eventi culturali e gastronomici di cui hai inventato il format?

Se si va in pensione si va in pensione e punto. Certo queste cose mi mancheranno ancora di più del ristorante perché eravamo riusciti a portare alcuni contenuti alle persone, superando il ghetto delle poche centinaia di addetti ai lavori.

Ci riprovo a parlare di futuro: fermo restando che anche una scodella di tagliatelle è qualcosa di assolutamente “intellettuale” e “di ricerca”, ma se tu prendendo proprio spunto da queste manifestazioni, dal territorio, dalla storia mettessi in piedi una nuova proposta? Più attenta alla tradizione, meno concettuale?

Vagamente ci ho pensato, certo. Potrebbe essere una strada. Dovrei trovare una persona giusta ed è la cosa più difficile. Dovrei trovare un ragazzotto intelligente che sia anche uomo, ma quando penso a ripartire mi viene anche in mente che non tutte le ciambelle poi riescono col buco. Intendiamoci, non mi mancano le idee, anzi. Certo, non immagino cosa potrebbe succedere sulle guide in autunno se solo ci azzardassimo a riaprire senza Pier Giorgio...

Già ci sei passato dieci anni fa?

Certo. Quando andò via Riccardo Agostini ci mazzolarono a dovere. Anche il Gambero Rosso, ad esempio, per mano di Marco Bolasco.

Però poi, con la costanza appunto, sono arrivate le Tre Forchette...

Sì. Ma è molto difficile, molto faticoso e molto duro farsi capire e altrettanto difficile trovare qualcuno che stia ad ascoltare. In questi giorni tutti parlano dell'addio di Pier Giorgio Parini al Povero Diavolo, ma a fare una telefonata sei stato solo tu.

 

a cura di Massimiliano Tonelli

 

Il Povero Diavolo | Poggio Torriana (RN) | via Roma, 30 | tel. 0541 675060 | www.ristorantepoverodiavolo.com

Scorticata. La Collina dei Piaceri del Povero Diavolo torna a Torriana, forse per l’ultimo anno

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Artigiani del gusto, cuochi da marciapiede, maestri pizzaioli, cucina di laguna e molto altro. Tutto questo è la festa di Scorticata, che celebra la sedicesima edizione nonostante le nubi che si intravedono all’orizzonte, per l’annunciato addio di Pier Giorgio Parini. 

Scorticata. Sedici anni fa come oggi. E poi?

Sedici anni. Quando ha cominciato a parlare all'Italia di piccoli produttori e gastronomia di qualità, Scorticata rappresentava uno dei rari baluardi per la valorizzazione del patrimonio enogastronomico nazionale. Oggi gli eventi e i festival tematici si moltiplicano, ma La Collina dei Piaceri ritorna ogni estate con il suo parterre di personalità e artigiani di altissimo livello, cuochi, pizzaioli, pasticceri, produttori, maestranze del cibo e del vino. E l'intento originale di Fausto Fratti, radunare a Torriana i migliori rappresentanti del settore senza perdere il gusto di fare festa, si mantiene intatto, animato dalla buona volontà del patron e dello staff del Povero Diavolo. L’appuntamento che si consumerà tra pochi giorni, però, potrebbe essere l’ultimo. È questo, al momento, il pensiero che un rassegnato Fausto Fratti ci ha consegnato qualche ora fa, raggiunto per raccontare cosa succederà a settembre, quando il suo chef, Pier Giorgio Parini, se ne andrà. Dopo dieci anni di strada insieme. Motivo in più per godere a pieno di una festa allegra, golosa, attraente e magica – come gli aggettivi che meglio prefigurano lo spirito di Scorticata – nella speranza che questa manifestazione entrata nella consuetudine dei festival gastronomici romagnoli (ora rinvigorita da Al Meni), possa continuare a rinnovarsi negli anni a venire, una volta ritrovata la voglia di ripartire ancora. E questo è l’augurio (e la speranza) che rivolgiamo al patron del Povero Diavolo.

 

L'edizione 2016. Dalla pizza alla cucina di laguna

Tra i temi protagonisti dell'edizione 2016 – dal 27 al 29 luglio -  la pizza, in quanto espressione di italianità per eccellenza, con tre dei più celebri rappresentanti dell'arte bianca della Penisola, uno per sera: apre i giochi Matteo Tambini da 'O Fiore mio, poi toccherà a Simone Padoan e Giancarlo Casa. Ma ci sarà spazio anche per la cucina della laguna veneziana e per la tradizione gastronomica delle Valli di Comacchio, entrambe rappresentate dagli chef di ristoranti che ne incarnano al meglio l'identità e la territorialità. Sono attesi per l'occasione Lionello Cera, Elio Bison e Gianni Bonaccorsi, che cucineranno al fianco di Pier Giorgio Parini. Con loro anche la squadra dei “cuochi da marciapiede”, formata da Luigi Taglienti, Mattia Spadone Pierpaolo Livorno

Immancabile l'allestimento di piazza dedicato a quanto di più goloso sa offrire il cibo made in Italy. E di nuovo le strade del paese si vestiranno a festa, con angoli destinati alla degustazione di salumi, formaggi, vini, birra e tante specialità di nicchia e prodotti di pregio. Tra i produttori invitati segnaliamo una piccola rappresentanza – dalla Torrefazione Lelli di Bologna al Caseificio di Sogliano, da Baladin al Pastificio dei Campi, a Petra - ma il numero dei partecipanti è davvero importante. La pasticceria, invece, è affidata alla sapienza dei maestri pasticceri: Corrado Assenza presenza fissa della manifestazione, porterà con sé anche le confetture e i torroni del Caffè Sicilia di Noto.

Ma si comincia già martedì 26 luglio con un fuori programma: alle 20.30 va in scena lo “spettacolo” di Personaggi, carne e allestimenti, con la carne di razza Romagnola di Giacinto Rossetti e Remo Camurani. Mentre per il 29 luglio (alle 18) è prevista la passeggiata guidata di 3 km tra i tesori del borgo. E tanta musica itinerante ad animare la festa per tutta la durata della manifestazione.

 

Scorticata, La Collina dei Piaceri 2016 | Torriana | dal 27 al 29 luglio, dalle 19.30 fino al termine della notte | www.facebook.com/scorticata/

Foto di Roberto Magnani

Libri. Papale Papale. Le ricette che salvano l'anima di Fabio Picchi

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Dopo la guida sentimentale di Firenze, Fabio Picchi torna con un libro che racconta la sacralità del cibo. Si chiama Papale Papale, il breviario gastronomico dello chef toscano.

Ci abbiamo parlato a lungo con Fabio Picchi, ascoltando racconti e riflessioni, dalla nascita del primo Cibrèo, quasi 40 anni fa, ristorante cui ha affiancato, negli anni, il Cibreino, il Caffè Cibrèo e il Teatro del Sale, spazio multiculturale che unisce attività artistiche e cucina. Fino ai progetti futuri di questo e del prossimo anno. Picchi, per tutti il Picchi, è chef, ristoratore, scrittore, imprenditore, e animatore di un'intensa attività culturale con molti libri all'attivo. L'abbiamo sentito animarsi su ogni ricordo e ancor più su ogni progetto, e sono molti quelli che compongono il mosaico delle sue attività. Tutte nate dallo stesso pensiero e dall'attitudine di guardare le cose attraverso la griglia dei sensi, quelli che portano dritti al cuore.

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Papale papale

Papale Papale

Così, quando ci è arrivato tra le mani quella sorta di breviario che è Papale Papale, non abbiamo saputo resistere alla tentazione di sfogliarlo subito. Di scoprire quel che si nasconde dietro quel messale laico del mangiare e cucinare che riporta, nella copertina come nella scelta del titolo, del formato e dei font, proprio ai libriccini di preghiere. L'afflato spirituale, del resto, c'è. Quello della mistica del cibo che partecipa del tutto divino. “Noi prima percepiamo (con un semplice morso) e poi viviamo in un'esplosione di coscienza il progetto divino” scrive. A dare conto di un approccio che dà alla trascendenza una matrice tutta terrena. Fatta di molecole che si trasformano in molecole. Di alimenti che vengono elaborati e celebrati nel rito intimo della tavola. Di cibi che diventano nutrimento per il corpo e per lo spirito. Per compiere questo miracolo, bastano“lontano dagli abusi, due mezzi bicchieri di un buon lambrusco, una scheggia di grana, una fetta di salame su un crosticino di pane” per ricongiungerci con l'universo mondo e percepire l'immortalità dell'anima.

Fabio Picchi

La sacralità del cibo e la necessità della fame

Così di racconto in poesia, e di poesia in ricetta, il Picchi accompagna dalle prime ore del giorno con la colazione fino alla cena e allo spuntino per placare la fame notturna, non tralasciando neanche le merende di metà mattina e metà pomeriggio. E per ognuna dispensa racconti e suggestioni, poesie e riflessioni prima che ricette (tutte senza dosi precise, quasi a voler intendere che la cucina è quella che si fa a casa, un po' a occhio, e un po' adattata da ognuno secondo il proprio gusto personale o le possibilità del momento); e in ogni narrazione segue il trascorrere delle stagioni che non porta solo a prodotti diversi, ma anche a diversi stati d'animo ed esigenze emotive; e ogni capitolo accompagna tra viaggi e incontri: di persone, sapori e tutto quel che, di giorno in giorno, è incappato sulla strada del Picchi, ed è diventato ingrediente. Se non di ricette, almeno di stralci di vita vissuta.

L'invito è gettarsi nella sacra e profonda intimità del cibo, senza peccare di vanaglioria, ma lasciandosi portare dalla semplicità poetica del cibo, presente e assente: “voglio bene alla mia piccola fame” dice “che è giusto avere ogni tanto e che mi dà misura dell'oscenità di tutta la fame del mondo”. Contro gli sprechi e contro l'avarizia. Contro l'esagerata sontuosa celebrazione e contro la trasandatezza. Contro le mode, ma a favore di piatti che, già nel nome, contengono anche un po' di racconto. Così, alla colazione coraggiosa fanno eco le zucchine alla poverella arricchita di metà mattino, alla ricetta rincuorante del desinare le cotolette matte della merenda, continuando fino ai sempreverdi spaghetti di mezzanotte.

E la cucina allora, non è solo densa di meraviglia e concretezza, ma si fa strumento stesso di liriche, presta le sue parole al Picchi che tra prose ispirate e versi brevi, inventa un canto degli elementi, dove aria acqua terra e fuoco si sporgono dai limiti costretti della meccanica per alzarsi verso l'alto della tavola.

Papale Papale | Fabio Picchi | Giunti | pp. 256 | prezzo 20 euro

 

a cura di Antonella De Santis

 

 

 

Estate 2016 sempre più made in Italy: in aumento turisti e shopping di cibo

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Sempre più turisti scelgono l’Italia per trascorrere le vacanze estive. E si fanno tentare dal cibo. Coldiretti svela i vini preferiti dagli stranieri.

 

Turismo made in Italy

Le vacanze saranno all'insegna del made in Italy. Lo afferma una ricerca Coldiretti/Ixé sull' “Estate 2016”, secondo cui la spesa per i prodotti enogastronomici non è mai stata così alta, con un importo complessivo stimato in circa 12 miliardi di euro. Complici anche i drammatici episodi di terrorismo internazionale che stanno condizionando la scelta delle vacanze: più di un italiano su quattro (27%) non andrà all'estero, ma anche chi rimane in Italia non rinuncia ai pasti fuori casa. Per il resto, il 70% degli italiani trascorre le vacanze tra visite ai frantoi, malghe, cantine, aziende, sagre, agriturismi o mercati degli agricoltori per acquistare prodotti locali a Km 0. Una tendenza che premia l’agriturismo, dove si prevedono oltre 6,5 milioni di presenze nell’estate 2016, anche perché garantisce un ottimo rapporto prezzo/qualità.

Shopping che passione. I vini preferiti dagli stranieri

Mentre, contemporaneamente, si registra un aumento degli stranieri che scelgono l'Italia, considerato Paese sicuro: gli arrivi dall’estero sono stimati in aumento dell'1,8% tra maggio e ottobre. E, tra questi, più di sei stranieri su dieci (62%) fanno shopping di cibo, che batte nettamente negli acquisti i tradizionali souvenir (50%), l’abbigliamento (48%) e l’artigianato (25%). La passione per il cibo, sottolinea la Coldiretti, raggiunge l’apice per i russi con una percentuale dell’87%, spinta anche dall’embargo che ha fatto sparire i prodotti italiani dalle loro tavole, ma è trasversale per tutti i Paesi.

L'apprezzamento per la tipologia di vino, varia a seconda della provenienza: gli americani amano particolarmente Chianti, Brunello di Montalcino, Pinot Grigio, Barolo e Prosecco. Quest'ultimo, a sua volta, piace molto anche ai tedeschi insieme all’Amarone della Valpolicella ed al Collio, mentre i russi bevono soprattutto Chianti, Barolo, Asti e Moscato d’Asti.

Intanto, la stessa Coldiretti ha assegnato le “bandiere del gusto” a tavola, che salgono al numero record di 4965 (con 79 nuovi prodotti inseriti) sulla base delle specialità alimentari tradizionali presenti sul territorio nazionale. Sul podio Campania, Toscana e Lazio.

 

LE BANDIERE DEL GUSTO ASSEGNATE NEL 2016

Regione

Specialità

Campania

486

Toscana

460

Lazio

396

Emilia-Romagna

387

Veneto

378

Piemonte

336

Liguria

294

Calabria

269

Puglia

251

Lombardia

247

Sicilia

242

Sardegna

189

Friuli-Venezia Giulia

163

Molise

159

Marche

151

Abruzzo

148

Basilicata

113

Trentino

105

Alto Adige

90

Umbria

69

Val d’Aosta

32

Totale

4965

Fonte: Elaborazione Coldiretti sul censimento dei prodotti tradizionali regioni 2016

L’Italia del cibo alle Olimpiadi di Rio de Janeiro. Da Oldani a Rubio, con Ferrari e Barilla

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Conto alla rovescia per l’inizio dei Giochi Olimpici che dal 5 agosto punteranno l’attenzione del mondo sul Brasile. Per gli atleti di Casa Italia arriverà Davide Oldani, che potrà contare su molte eccellenze made in Italy. A cominciare dalla pasta. Alle Paralimpiadi Chef Rubio protagonista.

Dall’etica allo sport. L’Italia del cibo alle Olimpiadi

Il precedente non può che essere di buon auspicio. Nel 2012, quando i Giochi Olimpici si tennero a Londra, lo chef di Casa Italia era Massimo Bottura, che proprio in quei giorni cominciava a riflettere sulla possibilità di sfruttare la visibilità planetaria delle Olimpiadi per lanciare un messaggio di speranza al mondo. Tra qualche giorno quell’idea maturata insieme al collega David Hertz si concretizzerà nel RefettoRio della favela di Lapa. Non meno blasonata, però, sarà la compagine di chef e sponsor della gastronomia made in Italy che seguirà la delegazione di atleti azzurri per sostenerli a tavola durante la trasferta brasiliana.

Quando manca poco più di una settimana alla cerimonia inaugurale delle Olimpiadi 2016 (il 5 agosto) ogni dettaglio relativo alla “formazione” gastronomica di Casa Italia è stato rivelato. Della partecipazione di Davide Oldani, per dir la verità, si parla già da qualche mese, ben prima che lo chef di Cornaredo tornasse sulla cresta dell’onda con la cucina completamente rinnovata del nuovo D’O, alla ricerca di un’emancipazione da quell’etichetta di cucina pop che comincia a andargli un po’ stretta. E sicuramente la presenza a Rio, dove arriverà il 28 luglio per mettersi all’opera, contribuirà a regalargli quella notorietà in più davanti alla comunità internazionale.

Oldani a Rio. Contaminazione e benessere

L’invito del Coni non l’ha lasciato indifferente – anzi si è detto molto emozionato – ed è pronto a presentare al team azzurro “una cucina orizzontale ed etica, che unisca Italia e Brasile” come ha dichiarato a Gazza Golosa, nella speranza di riuscire a coronare il sogno di incontrare Husain Bolt. L’obiettivo è quello di dimostrare che buono e sport possono andare d’accordo, senza dimenticare l’impegno etico: Oldani ha già dato la propria disponibilità per collaborare al servizio del RefettoRio. Intanto perfeziona il piatto simbolo delle Olimpiadi 2016 a Casa Italia: si chiama Ciaolà, una sintesi tra il “ciao” italiano e la “olà” portoghese, alludendo alla contaminazione culturale che caratterizzerà la sua cucina a Rio. Nel piatto quattro colori sgargianti che riproducono la torcia olimpica, quattro salse che raccontano l’eccellenza delle materie prime italiane, dai pomodori datterini allo zafferano in stimmi, dai fiori di borragine al Grana Padano, alla ricotta vaccina. Con l’ausilio di foglie di stevia e caffè.

Il made in Italy a Rio. Contro l’italian sounding

Ma lo Sport and food ambassador – questo il ruolo di Oldani – degli Azzurri lavorerà molto con i prodotti del territorio, dalla frutta fresca al pesce, alle verdure locali, in abbinamento alle specialità che la brigata porterà con sé dall’Italia. Immancabile la pasta, con ricette inedite ideate in collaborazione con Barilla, fornitore ufficiale del ristorante dell’Italia team con 2700 kg di pasta (classica, integrale o senza glutine) a disposizione per i menu azzurri. Ma tra gli sponsor di Casa Italia ci sarà anche Grana Padano, protagonista sulla tavola dello chef e alleato di Coldiretti in difesa del made in Italy. Contro l’italian sounding Coldiretti e Coni hanno pensato di approfittare della vetrina olimpica promuovendo l’iniziativa #Riomangioitaliano. L’hashtag che già circola sui social network testimonia l’arrivo in Brasile di molte eccellenze dell’agroalimentare tricolore con l’obiettivo di farle scoprire al mondo per contrastare il made in Italy “taroccato” di cui il Brasile è grande produttore. Autentica cucina tricolore dentro e fuori da Casa Italia, dunque. E in abbinamento le bollicine Trentodoc di Cantine Ferrari, partner ufficiale di Casa Italia. Fino al 21 agosto, quando sarà tempo di contare le medaglie conquistate sul campo.

Chef Rubio alle Paralimpiadi. Oltre le barriere

Poi, dal 7 al 18 settembre, a Rio arriveranno gli atleti paralimpici. E con loro, a Casa Italia (che il Cip ha deciso di ricavare in una parrocchia della città, per coinvolgere i ragazzi delle favelas), ci sarà Chef Rubio, cuoco designato per rappresentare la cucina italiana alle Paralimpiadi di Rio 2016. All’insegna di condivisione e aggregazione. Valori importanti a tavola, come nello sport.

ABCheese: Eleonora Baldwin e i formaggi: burro di malga e formaggio paganella

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Nella mia ricerca dei prodotti tipici e rappresentanti della nostra cultura agroalimentare oggi metto sotto il microscopio il burro di malga e il formaggio paganella, due specialità uniche del Trentino.

Per combattere il caldo di questa estate che non dà tregua, una soluzione è recarsi nelle zone più temperate del nostro paese. La montagna d’estate è una benedizione. Ed eccomi in Trentino a circa 1000 metri di altitudine, sull’altopiano della Paganella, in provincia di Trento, dove c'è tanto da vedere. Però, tra un’escursione e l’altra, l’attività fisica fa venire fame, c’è una bella aria frizzantina e tante interessanti curiosità casearie tutte da scoprire. Quindi smessi gli scarponcini da trekking, macchina fotografica al collo, e grande appetito, vado alla ricerca del burro di malga e del formaggio paganella: due prodotti rappresentativi di questa zona.

burro di malga

Burro di malga

Se alla base di tutto il processo di produzione del formaggio c’è il latte, è bene ricordare che esiste un altro nobile veicolo per rendere giustizia a questo nostro patrimonio agricolo: il burro! E allora, via verso Andalo dove, affacciato sulle Dolomiti del Brenta, c’è il Maso Grezi. Qui Christian Maines insieme alla sua famiglia gestisce un’azienda agricola e un caseificio che garantiscono genuinità, sapori d’una volta e sostenibilità. E dove si produce un burro da leccarsi i baffi.

Si fa presto a dire burro, ma farlo è un’arte. Qui, in malga – ovvero la “sede “ estiva di molte aziende che trasformano il latte approvvigionato da pascoli ad alta quota – il burro ha anche un sapore particolare: è tutta un’altra cosa. Perché? Quando una vacca pascola allo stato brado e bruca erbette alpine e fresche, fiori di campo e cereali presenti sopra i 1000 metri, il bouquet aromatico del suo pasto si arricchisce di potenti note floreali ed erbacee. In aggiunta alla dieta, anche l’acqua di fonte che beve, la temperatura e il moto che la vacca pratica i questi pascoli d’alpeggio, aumentano la carica proteica del suo latte. Tutto questo si traduce in sapore.

Naturalmente, oltre all’alimentazione delle vacche, è importante anche la tradizionale tecnica di lavorazione del burro: semplice sì, ma che richiede grande competenza.

 

Lavorazione

Ma quindi come si fa il burro? C’è ancora chi usa la tradizionale zangola a mano, un fusto di legno con una pala circolare che a tutti gli effetti “monta” la crema di latte fino ad ottenere il burro. Grazie alle moderne tecnologie però, anche in piccole produzioni artigianali si può fare il burro di malga secondo tradizione: affidando la lavorazione a macchinari poco ingombranti che sostituiscono la forza “di braccia” zangolando la crema di latte. Dopo un tempo di agitamento regolare a temperatura bassa e costante, avviene la magia: una separazione di massa.

Ma vediamo passo passo come avviene la nascita del panetto di burro di montagna. Il latte crudo appena munto si lascia sedimentare a temperatura fresca, questo fa si che affiori, dopo un tempo di circa 12 ore, la crema di latte, o panna.

La panna, densa e profumata, viene versata nella zangola meccanica, che la agita e rimescola a bassa temperatura. Dopo un tempo che varia a seconda di molti fattori (come umidità dell’aria, temperatura esterna, percentuale di grasso nel latte) tutto il grasso solido si separa dal latticello.

Il latticello viene spurgato e tenuto da parte per uso in pasticceria o in cucina, mentre la massa solida di burro viene estratta dalla zangola e strizzata per eliminare il liquido residuo. Questo si fa premendo a mano il burro in stampi di legno intagliati. Appena formato, si estrae il panetto dallo stampo e si fa cadere in un bagno d’acqua ghiacciata. Fatto!

 

Assaggio

Scordatevi burri pallidi, incartati e venduti in blocchi da mezzo chilo sullo scaffale del supermercato! Il burro di malga è giallo paglierino, trasuda grasso e al taglio presenta ancora qualche gocciolina d’acqua imprigionata nella sua struttura. Il burro di malga, al contrario di quello industriale, profuma di erba fresca, di latte, di aria mattutina. Ed è incomparabile per sapore: ricco, opulento e rotondo. Il burro di montagna si spalma con facilità ed è buono da mangiare sul pane caldo o usato in cucina per cuocere pietanze straordinarie, dalle più umili alle più lussuose.

 

Paganella

Paganella

Alla ricerca di questo prodotto locale di cui ho poche notizie, mi dirigo in Val di Non. Passando attraverso estese coltivazioni di mele, arrivo a Coredo di Predaia che si trova sulla sponda orientale della valle, a circa 850 metri di altitudine. Qui raggiungo il Caseificio Sociale di Coredo, un luogo come tanti in questa zona vocata al concetto di tutela dei produttori.

 

Storia e territorio

Nei vari paesi di questa zona c’erano i caseifici “turnari” dove ogni allevatore portava il proprio latte per trasformarlo in formaggio. Questo veniva lavorato e poi consegnato al produttore, ovviamente pagando i costi di trasformazione. Nel caseificio, inaugurato nel 1965, oltre ad altre lavorazioni, si produce il paganella con latte di montagna ottenuto da vacche alimentate con foraggi tipici di questo territorio, che conferiscono al paganella profumi, sapori e aromi inconfondibili.

 

Lavorazione e stagionatura

Il paganella è un formaggio semi-grasso, prodotto con latte di vacca parzialmente scremato, a pasta semi-cotta. Il latte viene pastorizzato e vi si aggiunge caglio di vitello. Dopo una breve attesa, la cagliata viene rotta con la lira e poi con lo spino in grani della dimensione di una nocciola. Dopo l’estrazione dalla caldaia, la cagliata rotta trova posto nelle fascere: questo travaso della massa avviene a mano, contestualmente allo spurgo del siero. Si procede, infine, alla salatura in salamoia.

Le forme stagionano in cantina a umidità controllata per minimo 60 giorni, ma il periodo ottimale per il paganella sono 90 giorni, trascorsi i quali è pronto per essere finalmente assaggiato.

 

Assaggio

Dal sapore fragrante e delicato, il paganella è un formaggio molto versatile ed espressivo di questo territorio. L’intensità aromatica è dovuta alle note erbacee e floreali presenti nella pasta elastica e semi-grassa. Presenta occhiature irregolari e un colore perlaceo tendente al panna. In bocca la consistenza è adesiva e pastosa. Chiede un secondo assaggio e il degno compagno: un calice di vino della piana Rotaliana. Il formaggio paganella è un ingrediente eccellente per arricchire risotti, polenta pasticciata e i tipici canederli. In purezza, si affianca bene a miele di montagna, confettura di sambuco, o alla mostarda di fichi.

 

Che sapori, e che scoperte qui in questa zona del Trentino! Le lavorazioni antiche, tramandate di generazione in generazione – dettate da un latte che gode di condizioni climatiche e di biodiversità uniche – mi hanno davvero stregato. Sento che il Trentino ha ancora molto da dire in termini di formaggi: una sola esplorazione di queste zone non è assolutamente sufficiente. Sacrificandomi in nome della ricerca… il mio viaggio continua!

 

 

 

a cura di Eleonora Baldwin

 

Questi e altri formaggi li racconto in ABCheese, viaggio nell’Italia dei formaggi, un programma che va in onda tutti i martedì su Gambero Rosso Channel - SKY 412 alle 12 e alle 21:30, con repliche sab e dom alle 17:00 e alle 22:30

 

Per leggere ABCheese: Eleonora Baldwin e i formaggi. Caciocavallo podolico e cacioricotta pugliese clicca qui

Per leggere AB Cheese: Eleonora Baldwin e i formaggi. Burrata e ricotta forte clicca qui 

Per leggere AB Cheese: Eleonora Baldwin e i formaggi. Scamorza nell’acqua e pampanella clicca qui

Per leggere AB Cheese: Eleonora Baldwin e i formaggi. Brinato della Marcigliana e Conciato di Rebibbia clicca qui

Per leggere A B Cheese: Eleonora Baldwin e i formaggi. Pecorino romano e caciofiore clicca qui

Per leggere A B Cheese: Eleonora Baldwin e i formaggi. Mozzarella di bufala a Conciato romano clicca qui

Per leggere A B Cheese: Eleonora Baldwin e i formaggi. Fiordilatte e Provolone del Monaco Dop clicca qui

Per leggere A B Cheese: Eleonora Baldwin e i formaggi. Pecorino affinato in botte e stracchino clicca qui

Per leggere A B Cheese: Eleonora Baldwin e i formaggi. Ricottina aromatizzata e Gregoriano clicca qui

Per leggere A B Cheese: Eleonora Baldwin e i formaggi. Abbucciato Aretino e Pecorino Riserva Mascalzone clicca qui

Per leggere A B Cheese: Eleonora Baldwin e i formaggi. Val di Chiana: Pecorino Fresco di Torrita di Siena e Tomino di Capra di Ville di Corsano clicca qui

Per leggere A B Cheese: Eleonora Baldwin e i formaggi. Squacquerone di Romagna Dop e formaggio di fossa Dop clicca qui

Per leggere A B Cheese: Eleonora Baldwin e i formaggi. Mascarpone e pannerone clicca qui

 

 

 

 

 

 

 

Merenda a scuola. Basta cibo spazzatura, nei distributori automatici frutta e snack naturali: la proposta di legge

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Le Camere si pronunceranno sul testo solo il prossimo ottobre, intanto però la proposta avanzata da tre deputati del PD trova l’appoggio del Ministro della Salute e si delinea all’orizzonte. Obiettivo? Ridurre la disponibilità di junk food e invogliare i ragazzi a consumare snack sani e nutrienti. Dalla frutta secca allo yogurt.

Mangiare bene a scuola. La proposta contro il junk food

Nutrirsi bene, un insegnamento che frutta. È solo uno degli slogan che da qualche tempo a questa parte informa l’orientamento del Ministero dell’Istruzione, che a incentivare il consumo di frutta e verdura tra i bambini in età scolare ci pensa da diversi anni con iniziative di sensibilizzazione, campagne educative e programmi concreti che fanno capo al portale Frutta nelle scuole. Quella che arriva nelle ultime ore dal Parlamento, però, è una proposta di legge che conscia di una necessità urgente – ridurre il livello di obesità infantile – invoca un giro di vite sulle abitudini alimentari dei ragazzi, spesso spostate a favore di merendine confezionate e snack ipercalorici e ricchi di grassi. D’altronde i dati diffusi da Ministero della Salute e Miur parlano chiaro: in Italia il sovrappeso tra bambini e ragazzi è molto più diffuso che in altri Paesi europei, a dispetto delle nostre radici mediterranee. E il problema si concentra principalmente tra gli 8 e i 10 anni, dove sono il 25% a soffrire di problemi con la bilancia, spesso in mancanza di un controllo da parte dei genitori, che solo troppo tardi prendono consapevolezza delle conseguenze sulla salute dei propri figli.

Frutta fresca e marmellata bio: le macchinette che amano il cibo

E allora stop al cibo spazzatura, intimano i tre deputati firmatari della proposta contro il junk food nelle scuole; o almeno che sia difficile reperirlo. Il testo, firmato da Umberto D’Ottavio, Massimo Fiorio e Luigi Dallai (del Partito Democratico) chiede di introdurre l’obbligo per gli esercenti di distributori automatici – non dimentichiamo che l'Italia è uno dei paesi leader a livello mondiale nel vending – di rifornire le macchinette a scuola di yogurt, latte, frutta fresca e secca, snack salutari a naturali. Al bando invece “alimenti e bevande contenenti un elevato apporto di acidi grassi saturi, acridi grassi trans, zuccheri semplici aggiunti, sodio, nitriti e nitrati utilizzati come additivi, dolcificanti, teina, caffeina, taurina”, responsabili dell’accumulo di peso e poco interessanti, quando non addirittura nocivi, da un punto di vista nutrizionale. L’obiettivo però non è quello di incentivare i ragazzi a perdere l’attrazione per il cibo, anzi, al vaglio del tavolo interministeriale tra Salute, Agricoltura e Istruzione ci sarebbe proprio la selezione di alimenti e snack golosi ma sani, che portino gli studenti a riscoprire un rapporto più genuino con il cibo, persino quando scelgono le macchinette al posto della merenda preparata dalla mamma.

Gli equilibri economici. E la priorità educativa

Perché la proposta trovi un responso bisognerà aspettare ottobre, ma il più ambizioso programma di educazione alimentare negli istituti scolastici italiani è già in atto. Nel caso specifico però sarà importante coinvolgere anche gli esercenti, chiamati a gestire alimenti facilmente deperibili, come yogurt, frutta fresca e snack senza conservanti, che con le macchinette, si sa, non vanno proprio d’accordo. E allora, perché la proposta non si scontri con meri interessi economici, i firmatari scommettono sulla collaborazione delle aziende agricole locali, invitate a stringere sodalizi con i distributori. Il sostegno del ministro Giannini – che già aveva indicato tra le priorità della riforma della Buona Scuola l’educazione alimentare – c’è.

I precedenti

E gli esempi virtuosi che arrivano dalle scuole italiane sono di buon auspicio. Per tornare al progetto Frutta nella scuole di cui sopra, dal 2009 sono 82 gli istituti di Roma, Bologna e Bari che agli studenti offrono l’alternativa di distributori di merende sane a prezzi contenuti. E molte scuole hanno cominciato a muoversi autonomamente nella stessa direzione. Così mentre qualcuno chiede a gran voce regole più chiare per le mense scolastiche, c’è chi si muove per migliorare un altro momento cardine nella giornata alimentare dei ragazzi, la merenda. Che è probabilmente anche il più rischioso per quantità di schifezze ingurgitate. Aspettiamo l’apertura del nuovo anno scolastico per vedere che succederà.

 

 


Premi Foodies 2016. Calabria: Masseria Fornara di Cassano allo Ionio

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Un'avventura nata senza tante pretese, ma che oggi è diventata una vera e propria impresa. Il riso della Masseria Fornara è un marchio autentico di qualità, ma l'azienda della Piana di Sibari produce anche altro. 

L’azienda

Piana di Sibari, seconda metà del 1800. In questa terra baciata dal sole Pietro Perciaccante inizia l’attività agricola di famiglia, oggi portata avanti dal pronipote Matteo, parte della sesta generazione. Si inizia con ulivi, alberi da frutto – principalmente peschi, limoni e aranci – e riso, poi abbandonato negli anni ’60 per l’elevato costo della manodopera. Circa 20 anni dopo, viene recuperata la coltivazione del seme. “Tutto il riso veniva venduto ad aziende del nord, almeno fino al 2006, anno in cui abbiamo cominciato lavorare e commercializzare a marchio nostro il ‘Riso Masseria Fornara’”, racconta Matteo.Un prodotto di grande successo fin dall’inizio, tanto da costringere gli agricoltori ad acquistare altri semi da zone limitrofe: “cerchiamo di soddisfare la richiesta con i nostri appezzamenti, ma alle volte è talmente alta da esaurire ogni scorta”.

La produzione

 “Inizialmente producevamo solo carnaroli, disponibile sia in versione classica che integrale, che resta ancora oggi la tipologia principale”. Ma non è l’unico: presenti anche riso arborio, nerone e un riso aromatico della classe varietale basmati. Le tenute contano circa 60 ettari e vengono curate secondo la “lotta integrata”, che consiste nella diminuzione di uso di fitofarmaci o, nel caso in cui questi non possano essere diminuiti, in una riduzione dei loro effetti. Nel caso di Masseria Fornara  “vengono aumentati i tempi di carenza, ovvero il tempo che passa dal momento del trattamento a quello della raccolta. In questo modo, la pianta può assorbire e degradare il fitofarmaco”. Gli appezzamenti sono a rotazione triennale e il concime è naturale, “la pollina, che altro non è che il letame dei polli”.

Oltre al riso, si produce anche olio extravergine di oliva, “una piccola quantità, solo per soddisfare il nostro fabbisogno. Abbiamo poche piante, di varietà Grossa di Cassano, Tondina e Coratina. Durante il periodo natalizio abbiamo venduto qualche pacco regalo con una bottiglia di olio, ma capita di rado che ci venga richiesta perché è davvero una produzione contenuta”.

Alta produzione invece di frutta, specialmente agrumi e pesche. Ma per il futuro, l’azienda punta ancora sui cereali: “vogliamo riuscire ad avere i 3 cereali principali: riso, orzo, farro. Inoltre, vorremmo dedicarci alla coltivazione di grandi come il Senatore Cappelli”.

La vendita

Fra i principali canali di vendita del Riso Masseria Fornara, c’è la grande distribuzione organizzata. “Quello che mi preme”, spiega Matteo, “è riuscire a rispondere alle esigenze del Meridione. Questo è il mio obiettivo primario e credo che la Gdo sia il mezzo migliore per arrivare a una fascia più ampia di clientela. Voglio che il mio prodotto sia accessibile a tutti. La qualità si paga, certamente, ma rendere il riso un prodotto di nicchia non avrebbe senso. Bisogna puntare alla massa e cercare di diffondere il concetto di qualità delle materie prime fra il maggior numero di persone possibile, non solamente a un’èlite”. E quindi supermercati, ma anche piccoli negozi alimentari e botteghe artigianali della Calabria ospitano il riso della Piana di Sibari. “Siamo presenti anche nella bassa Campania, in Basilicata e nella bassa Puglia”.

Un reparto di e-commerce non è ancora disponibile, “ma ci stiamo lavorando. Intanto, è possibile acquistare la nostra frutta online sul sito Campoverde, una cooperativa agricola di cui siamo soci, che unisce circa 400 produttori del Sud e che si occupa di rivendere frutta fresca e trasformata, in Italia e all’estero”.

La comunicazione

Punti vendita a parte, Masseria Fornara conta anche un ristorante nel comune di Quattromiglia, in provincia di Cosenza, con cucina territoriale e di tradizione, Vineria Ferrocinto. Tanta attenzione alla carta dei vini e alla stagionalità: questa è l’anima del ristorante, che a breve ospiterà showcooking e degustazioni guidate. “Vogliamo puntare di più sulla comunicazione del prodotto e abbiamo intenzione di farlo attraverso la ristorazione. Crediamo che la tavola sia il luogo ideale dove riunirsi per parlare di cibo e comunicare la qualità degli ingredienti”. Sul riso si sa ancora ben poco, “e quale modo migliore di imparare qualcosa se non attraverso l’assaggio?”.

Masseria Fornara | Cassano allo Ionio (CS) | Contrada Garda | tel. 0981 415141 | www.risomasseriafornaradisibari.com

a cura di Michela Becchi

Foodies 2016 del Gambero Rosso | Prezzo: 14,90 | disponibile in edicola e libreria |acquista la guida online

Per saperne di più www.gamberorosso.it/it/food/1023339-foodies-2016

Premi Foodies 2016. Abruzzo: Ursini di Fossacesia

Premi Foodies 2016. Lazio: Banco di Roma

Premi Foodies 2016. Trentino Alto Adige: El Molin di Cavalese

Premi Foodies 2016. Campania: La Galleria di Gragnano

Premi Foodies 2016. Marche: Osteria Ophis di Offida

Premi Foodies 2016. Campania: Mini Caseificio Costanzo di Lusciano

Premi Foodies 2016. Emilia Romagna: Caseificio Malandrone di Pavullo Nel Frignano

Premi Foodies 2016. Toscana: Pank di Firenze 

Premi Foodies 2016. Campania: Il Giardino di Ginevra di Capasulla 

Senza glutine, con Gusto. La terza serie con Marcello Ferrarini su Gambero Rosso Channel

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Attenta alle necessità della dieta celiaca, ma capace anche di ingolosire con ricette e consigli adatti a tutti: è la cucina di Marcello Ferrarini, chef celiaco e creativo, protagonista della terza stagione del programma gluten free sul canale 412 di Sky.

In cucina con Marcello Ferrarini

Non c’è due senza tre. Dopo il buon riscontro delle scorse edizioni, Marcello Ferrarini torna sugli schermi di Gambero Rosso Channel, canale 412 di Sky, per raccontare la cucina del senza glutine dalla prospettiva di chi con la celiachia ci convive ogni giorno, ai fornelli e nella vita. Lo chef ha già avuto modo di dimostrare come sia possibile conciliare gusto, benessere e salute, e anche nella terza serie di Senza glutine, con Gusto si divertirà a proporre tante alternative golose e facili da replicare nella cucina di casa per portare in tavola ricette gluten free che non mortifichino il gusto. In Italia sono circa seicentomila le persone affette da celiachia (quelle che ne sono consapevoli, molti altri convivono con la malattia senza accorgersene fino all’insorgere dei primi sintomi), costrette a eliminare il glutine dalla propria dieta e così un numero consistente di prodotti che lo contengono. Ma questo non significa rinunciare al piacere della buona tavola, come ha raccontato a più riprese Marcello Ferrarini, capace di suggerire la giusta combinazione di ingredienti e tecniche per rendere gustosi e saporiti i menu senza glutine.

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Ricette gluten free… Per tutti

Marcello, chef professionista da molti anni, ha maturato una lunga esperienza nel settore e ancor prima di ergersi a paladino del gluten free dietro una telecamera ha fatto della possibilità di offrire nuove opportunità gastronomiche a chi soffre di celiachia una vera e propria missione. E così anche la terza serie di Senza glutine, con Gusto, in onda dal 27 agosto su Gambero Rosso Channel, proporrà tanti utili consigli per celiaci e ristoratori, approfondendo le novità in arrivo dal mondo gluten free e cucinando tante pietanze adatte per tutte le occasioni, che – puntata dopo puntata – andranno a comporre un ricettario ideale del senza glutine. Emiliano doc e figlio d’arte, Ferrarini ha scoperto di essere celiaco solo a 30 anni, quando già da tempo frequentava le cucine dei ristoranti per professione e diletto.

Da quel momento la sua ricerca si è orientata verso il “diversamente gourmet”, sperimentando una cucina piuttosto innovativa per aggirare l’ostacolo del senza glutine. In poche parole una proposta buona, creativa, con gusto e per tutti, che sia d’aiuto ai celiaci, ma conquisti ogni palato: “Piatti che abbiano sapori, idee e consistenze che si sposino bene, creando ricette facili, belle, colorate e buone per tutti”. Ricordando sempre che non esiste una cucina normale e una non, e che anzi è compito della tavola creare opportunità per unire, superando le differenze e accantonando sterili etichette. E che la selezione delle materie prime è fondamentale per la riuscita di un buon piatto… Senza glutine con gusto!

Senza glutine con Gusto, terza stagione | Gambero Rosso Channel, canale 412 di Sky | dal 27 agosto, ogni sabato e domenica alle 19

 

Gourmet Expoforum 2016. Al Lingotto di Torino torna la fiera dell'Ho.Re.Ca. e Food&Beverage

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Segue il successo della prima edizione il ritorno al Lingotto Fiere della manifestazione dedicata agli operatori professionali impiegati nell'Ho.Re.Ca. e Food&Beverage. Conferme e novità di Gourmet 2016, dal 13 al 15 novembre. 

Gourmet Expoforum. Il bilancio della prima edizione 

Novembre 2015. Al Lingotto di Torino, Gourmet Expoforum esordiva sulla scena delle manifestazioni professionali dedicate al settore dell'Ho.Re.Ca. e Food&Beverage, gettando le basi per la normalizzazione di un appuntamento annuale in grado di scandire l'agenda degli operatori di settore. Con l'obiettivo di rappresentare un punto di riferimento per il comparto, registrare le nuove tendenze, presentare agli addetti ai lavori le tecnologie all'avanguardia e fornirgli consigli spendibili per migliorare la propria attività.

E il progetto, nato dalla collaborazione tra Gl Events e Gambero Rosso con l'idea di confermare Torino e il Piemonte quali capitali dell'HO.Re.Ca. e Food&Beverage, ha riscontrato il successo sperato, con oltre 8mila visitatori professionali in arrivo dall'Italia e dall'estero, tra chef, ristoratori, gestori e proprietari di bar, pasticcerie, pub, panetterie, botteghe del gusto, ma anche potenziali investitori desiderosi di trasformarsi in imprenditori del futuro, abbracciando il business di settore.

{gallery}Gourmet 2015{/gallery}

Un settore in crescita. La risposta di Gourmet

D'altronde sono in aumento gli under 35 impiegati nel comparto del “fuori casa”, invogliati a cimentarsi con la scena ristorativa in funzione di una domanda che continua a crescere, in Italia e nel mondo, confermando le potenzialità del mercato enogastronomico nazionale. E l'anno scorso al Lingotto Fiere il pubblico di Gourmet ha potuto contare su una selezione di 220 aziende chiamate a presentare prodotti e servizi professionali. Assistendo a più di 100 eventi organizzati nell'area Forum, con l'opportunità di confrontarsi e aggiornare il proprio bagaglio di competenze. Proprio ai nuovi imprenditori Gourmet si rivolgeva al suo esordio, prospettando loro un modello fieristico esclusivo, un cantiere di idee che non è semplice evento espositivo, e che nel 2016 sarà riproposto dal 13 al 15 novembre, ancora una volta al Lingotto Fiere.

Formazione professionale, competenze manageriali, capacità di comunicare, predisposizione alla risoluzione dei problemi, creatività, proiezione internazionale, creazione di network: sono queste le risorse indispensabili per l'imprenditore che vuole portare la propria impresa al successo. Questi gli strumenti e gli stimoli che la seconda edizione di Gourmet si propone di offrire ancora una volta al suo pubblico.

Gourmet 2016. Le novità

Gourmet 2016 sarà una fiera attiva, occasione di approfondimento delle dinamiche e delle eccellenze del settore, attenta a creare valore, a dare prospettiva di crescita agli operatori e qualità ai clienti consumatori. Futuro e innovazione sono le due parole chiave. Ecco perché si è scelto di dare più spazio alle start up tecnologiche, e così ai nuovi chef, pizzaioli, gelatieri, ristoratori che interverranno nel Forum, affiancando i veterani del settore. E anche lo spazio dedicato agli espositori cresce: l'area dedicata raddoppia e si rinnova nel layout, con 2 padiglioni dedicati alle aziende e un percorso suddiviso in 5 settori merceologici, dalle attrezzature, forniture, arredi e complementi d’arredo al beverage, dalla comunicazione (servizi, start up, enti ed editoria) al food (facendo attenzione a pane, pasta, pizza), al caffè (con macchine da caffè, tè, pasticceria e gelateria). Mentre il Forum, quest'anno ricco di appuntamenti, darà voce ai protagonisti del settore (chef stellati, maestri di pane e pizza, bartender e gelatieri), tra incontri strategici e formativi, degustazioni, workshop e contest, organizzati e curati dagli esperti di Gambero Rosso.

Le iscrizioni per gli espositori sono aperte, e già l'80% delle aziende presenti nel 2015 ha confermato la propria adesione. Per scoprire tutte le new entry non perdete l'appuntamento con Gourmet 2016.

 

Gourmet 2016 | Torino | Lingotto Fiere, padiglioni 2 e 3 | dal 13 al 15 novembre | Tutte le informazioni per partecipare sono disponibili sul sito www.gourmetforum.it

Gallery Gourmet 2015

Intervista a Enrico Panero. Corporative Executive Chef di Eataly Mondo, tra formazione a cucina

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Interprete dello stile Eataly in Italia e nel mondo dopo quasi dieci anni di carriera nella squadra di Farinetti. In veste di supervisore, senza dimenticare di essere chef, dal piano per alleggerire la cucina all'apertura di Stagioni a Roma. A Eataly Downtown. 

Eataly Mondo

Enrico Panero ha 29 anni, professione (da una vita) chef. E da qualche settimana Corporative Executive Chef di Eataly Mondo, un ruolo finora mai ricoperto nella storia di Eataly e cucito proprio sul profilo del giovane talento cuneese, che Oscar Farinetti ha cominciato a seguirlo dal 2007, quando a Torino nasceva il primo store dedicato alla valorizzazione del made in Italy enogastronomico dall'imprenditore. Oggi capostipite di una grande famiglia che conta aperture in tutta Italia e in molte città del mondo, in crescita costante e anzi in procinto di inaugurare anche a Trieste e Copenaghen, e raddoppiare a New York. E se è vero che in cucina l'età non conta - molti sono i giovani talenti della ristorazione che già vantano carriere importanti – il cammino percorso da Enrico Panero sin qui stupisce per maturità e capacità organizzativa. E infatti quando gli si chiede conto di qualche preoccupazione circa la necessità di supervisionare per ruolo chef molto più esperti (per età anagrafica e carriera) di lui, Enrico non ha dubbi: “Certo, il compito che mi spetta non è semplice e migliorerò strada facendo, ma nella mia vita professionale ho sempre ricoperto ruoli di responsabilità. Mi ha aiutato molto l'essere aperto al confronto”.

 

Enrico Panero. Una vita in cucina, con Eataly

Del resto anche il curriculum gioca a suo favore: classe 1987, piemontese di Savigliano, le prime esperienze serie le matura da Aimo e Nadia e al fianco di Ugo Alciati nella cucina di Guido, poi nel 2007 arriva l'occasione di Eataly al Lingotto, un salto nel buio che non lo scoraggia, lo segue da quasi dieci anni e gli dà modo di continuare a formarsi nel mondo. Per due anni sarà executive chef di Eataly Tokyo, poi pronto a seguire l'apertura di Eataly New York, dove non manca di bussare alla porta di Del Posto. E prima di tornare in Italia lo aspetta un passaggio nei Paesi Baschi, nell'asador più celebre a mondo, Etxebarri. La storia più recente lo vede alla guida del ristorante Da Vinci, all'interno di Eataly Firenze, che segue fino allo stravolgimento del format. Poi, negli ultimi mesi, si vocifera possa arrivare nella cucina di Settembrini, a Roma, come conseguenza dell'entrata in società di Oscar Farinetti. E invece quello che si profila per il suo futuro lo rivela un comunicato stampa che fa il giro del mondo un mese fa.

Ma cosa significa, dunque, ricoprire il ruolo di corporate executive chef per un colosso che conta 26 sedi in costante aggiornamento e decine di ristoranti tematici in ognuna di esse?

Lo stile Eataly. Dal manifesto alla semplicità nel piatto

Il mondo Eataly continua a crescere, era necessaria una figura che coordinasse la linea di cucina, con l'obiettivo di definire uno stile ancor più riconoscibile, anche se molto è già stato fatto”. Una filosofia del made in Italy, dunque, improntata sul manifesto che già guida l'orientamento di ogni executive chef assunto da Eataly. Ma come conciliarlo con le ambizioni personali di un giovane chef? “Il manifesto è il mio stile di cucina, riesco a interpretarlo facilmente. L'abbiamo strutturato nel tempo privilegiando la semplicità e piatti riconoscibili alla vista, che valorizzino i prodotti”. Nulla di scontato, però, perché “essere semplici è difficile, soprattutto quando hai a che fare con grandi numeri: uno spaghetto al pomodoro eseguito come si deve non mancherà mai in menu”. Italianità quindi, ma anche capacità di avvicinarsi ai mercati territoriali, soprattutto per quanto riguarda le sedi nazionali. All'estero invece si porta la vera cucina italiana: i rispettivi executive chef sono italiani o comunque molto pratici di cucina tricolore.

Il ruolo di un corporate executive chef. Dalla formazione alla cucina

Enrico, di base a Roma, comunica con ognuno di loro, viaggia spesso e si preoccuperà di avviare le prossime aperture, selezionando e formando il personale. Intanto prova i piatti, studia i nuovi menu nel rispetto della stagionalità, insomma “passo molto tempo in cucina, non è proprio un lavoro da ufficio!”. I vantaggi per il gruppo? È tutta una questione di stile: “Un coordinamento più efficiente ci permetterà di raggiungere traguardi sempre più ambiziosi. Abbiamo già cominciato a diminuire del 20% l'apporto di sale e grassi nei nostri piatti”. Il piatto simbolo di questo nuovo corso è la Panzanella liquida con melanzane arrosto e ricotta fresca. L'ha ideata Enrico e potete ordinarla in tutti gli Eataly del mondo: priva di sale, ricorre al sedano per recuperare sapidità, utilizza melanzane cotte sottovuoto a vapore e ricotta selezionata. Un esempio perfetto di come si ragiona oggi nelle cucine di Eataly. Ma c'è bisogno di seguire molto anche la proposta di ristorazione informale, quella dei cosiddetti “ristorantini”.

Stagioni a Roma

A cominciare da Roma, dove il 29 luglio inaugura Stagioni, frutto di un progetto pilota già sperimentato a Bologna. In cucina ci sarà Enrico in persona, almeno per il primo periodo, affiancato da Roberto Cotugno, executive chef di Eataly Roma. Il nuovo format prenderà il posto del ristorantino delle verdure, al piano terra della struttura di Ostiense: “Il menu si concentrerà prevalentemente sulle verdure, ma serviremo anche carne e pesce. La sfida principale invece si lega alle cotture: i piatti simbolo sono il Gran Vapore e il Gran Crudo e utilizzeremo verdure e ortaggi delle aziende locali”. Quindi basso contenuto di grassi e sale, cotture leggere e voglia di raccontare il prodotto per creare l'atmosfera di un ristorante del benessere dove i piatti sono attenti all'etica (“per esempio useremo il caffè torrefatto nel carcere di Torino”). Menu alla carta a pranzo e cena, la sera anche proposta degustazione. E una sorpresa in serbo per gli ospiti: “Abbiamo deciso di abbattere le barriere tra sala e cucina. Stiamo lavorando per realizzare un bancone aperto dove i clienti potranno confrontarsi con gli chef”.

 

Aspettando Eataly Downtown

E poi? Tra un paio di settimane si apre anche a New York, nel nuovo mall firmato Santiago Calatrava a Ground Zero. Al 4 World Trade Center, Eataly Downtown si presenterà nella formazione consueta: prodotti a scaffale, wine-bar, ristorantini (dalla piadineria al salad bar, alla mozzarella station, dalla pizzeria di Rossopomodoro alla pasticceria) e ristorante più formale. Tra i punti di forza la bakery e lo spazio ribattezzato Orto e Mare, che a dispetto del nome si concentrerà sulla colazione. Mentre l'Osteria della Pace servirà cucina regionale del Sud Italia e Manzo vedrà in cucina lo chef Riccardo Orfino.

E a New York tutti lo stanno aspettando: “All'estero andiamo molto bene, penso a Tokyo che all'inizio è stata una sfida difficile e oggi è conquistata dalla nostra proposta. Ma New York non si batte: abbiamo avuto un successo enorme”. Il mondo ama l'Italia gastronomica.  

 

a cura di Livia Montagnoli

Berberé a Milano. La pizzeria dei fratelli Aloe apre il quinto locale nel quartiere Isola

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Artigianalità, ricerca, materie prime d'eccellenza e anima pop. Le qualità per avere successo non mancano, e infatti dal 2010 Berberè è sulla cresta dell'onda. Prima Bologna, poi Castel Maggiore, Firenze e Torino. E a ottobre finalmente Milano. 

Milano capitale della pizza d'autore

Era nell'aria. L'apertura di Berberè a Milano l'aspettavano tutti. Della rivoluzione del panorama gastronomico meneghino in fatto di pizza abbiamo già avuto modo di parlare, rilevando come il capoluogo lombardo sia andato popolandosi, soprattutto nell'ultimo anno, di insegne che sulla qualità di farine selezionate, impasti, lunghe lievitazioni e materie prime d'eccellenza hanno scommesso tutto. Modificando l'approccio del milanese tipo alla pizza tonda, fritta, da passeggio. A Milano ormai convivono tanti campioni della pizza nazionale, da Gino Sorbillo (prossimo a triplicare) ad Antonio Starita, ai ragazzi che sul loro insegnamento hanno costruito le basi per aprire pizzerie di successo (vedi Marghe). E anche Stefano Callegari non esclude di arrivare presto in città.

Il format Berberè

Berberè, invece, è degno rappresentante di quel filone della pizza gourmet maturato a Nord, che tra le sue esperienze più celebri vanta realtà del calibro di 'O Fiore mio, I Tigli, Renato Bosco. Il progetto dei fratelli Aloe nasceva nel 2010 a Bologna (l'altro avamposto del Nord che oggi beneficia di un rinnovato interesse per pizza e panificazione), con l'obiettivo di rielaborare la pizza valorizzandone l'artigianalità, senza cedere il passo a esasperazioni gourmet e anzi privilegiando l'anima pop del prodotto, la sua tradizione. Ma pure avviando una ricerca accurata delle materie prime - dal pomodoro di Torre Guaceto al Fiordilatte della Puglia Querceta, dalle carni della macelleria Zivieri alle farine semintegrali selezionate con Alce Nero - e uno studio approfondito su impasti e farine. Premesse (e promesse) mantenute anche quando si è trattato di replicare il brand, a seguito del successo bolognese. Nel frattempo sono arrivati Berberè Castel Maggiore, Firenze e Torino: locali dall'approccio informale, particolarmente apprezzati da un target giovane in cerca di una bella esperienza gastronomica.

Berberè a Milano

E allora perché non puntare su Milano? Non a caso la pizzeria dei fratelli Aloe aprirà nel cuore del quartiere Isola, quella zona della città che mantiene intatta la sua anima popolare nonostante le rivoluzioni urbanistiche maturate intorno a piazza Gae Aulenti, che hanno contribuito a trasformare il quartiere nel nuovo must della movida meneghina. Ma i milanesi dovranno avere ancora un po' di pazienza, l'inaugurazione è prevista per il mese di ottobre (a meno di un anno dall'apertura di Torino). Il quinto locale del team sorgerà nell'ex Circolo Sassetti di via Sebenico e dà seguito all'esperienza dei fratelli Aloe con il temporary restaurant di Expo. Quindi niente franchising, ma gestione diretta e supervisione su tutte le pizze che usciranno dal forno. Due mesi non sono poi molti. Comincia il conto alla rovescia.

 

www.berberepizza.it

Foto di Francesca Sara Cauli

Terrae Motus a Caiazzo. Franco Pepe apre una paninoteca d'eccellenza

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Uno dei più grandi pizzaioli italiani apre a poca distanza dalla sua pizzeria (Pepe in Grani) un nuovo locale dedicato a schiacciate e panini. Nelle farciture gli stessi ingredienti delle celebri pizze. E l'impasto sarà proprio quello della pizza.

Il senso potrebbe essere quello dei bistrot veloci di supporto ai grandi ristoranti. Succede, a vario titolo, un po' in tutta Europa. Pensa a Parigi e prendi ad esempio un ristorante come Le Chateaubriand che dopo anni di code fuori e clienti che attendevano improduttivamente lunghe mezzore per l'agognato tavolino, ha deciso di aprire, next door, Le Dauphin: architettura di grido, pochi tavolini e posti al bancone. E poi piatti versione tapas, sempre però firmati da Inaki Aizpitarte come per il ristorante principale. Per cenare, certo, ma anche per appoggiarsi e bere un bicchiere assaggiando qualcosa di sfizioso mentre si aspetta che si liberi il tavolino di là.

La formula è, a ogni modo, diffusa da Milano a Londra, da New York a Madrid: bar, ristoranti in versione fast, che siano in sinergia e in complementarietà con il main restaurant. E che siano in grado di vivere una vita indipendente oltre che di essere di aiuto alla casa madre, solitamente posizionata nelle immediatissime vicinanze. Ricaduta economica da non trascurare: invece di far attendere il cliente senza costrutto, si trasformano i lunghi minuti che lo separano dall'ottenere un posto in qualcosa di produttivo, utile per aumentare lo scontrino medio oltre che per non indispettire gli avventori non particolarmente portati all'attesa. E soprattutto si evita la perdita di clienti, quella percentuale che dopo un certo numero di minuti ad aspettare in piedi, al freddo o al caldo o comunque allo scomodo, tende ad andarsene via. Molto diverso è farli accomodare in un confortevole ristorantino "d'appoggio", in un'accogliente enoteca, in un bar di tutto rispetto.

 

Il progetto Terrae Motus

I punti di partenza da cui nasce la nuova iniziativa di Franco Pepe sono questi, e sono anche tanti altri. Ci sono implicazioni economiche, sociali, umane, familiari, perfino aspetti urbanistici. Vediamo un po'. Il nuovo locale si chiama Terrae Motus innanzitutto, e già pensi a Lucio Amelio, alla Reggia di Caserta, a una delle più grandi collezioni d'arte contemporanea in Italia, nata per dare una risposta creativa alla devastazione ingiusta del sisma del 1980. Anche il centro storico di Caiazzo, il paese di Franco Pepe nell'alto casertano, aveva bisogno di rinascita e di creatività. L'arrivo di Pepe in Grani nel 2012 - la pizzeria casa madre di Franco Pepe, premiata con i Tre Spicchi del Gambero Rosso nella guida Pizzerie, e universalmente riconosciuta come una delle migliori del mondo - ha dato una sferzata incredibile e ha contribuito a riattivare un'economia che però ha ancora bisogno di essere corroborata. Negli ultimi mesi, come per un sisma, il corso principale della cittadina era stato squassato da lavori stradali infiniti con ulteriore disagio per il commercio. Terrae Motus ora arriva proprio lì, sul corso di Caiazzo, in un locale di tre livelli arrampicato in un bel palazzetto con tanto di terrazzino. Al piano terra gli sgabelli, il forno, il bancone, un po' di bottega; nel piano sotterraneo la cantina; sopra una sala vera e propria. Ebbene sì, uno dei più grandi maestri italiani della pizza (assieme a Mario Cipriano di Birra Karma e di Vincenzo Coppola, storico agronomo del grande pizzaiolo) apre il suo secondo locale a Caiazzo. La sfida? Sperimentare lo stesso impasto della pizza utilizzato da Pepe in Grani, ma modularlo sulla schiaccia e addirittura sui panini, con l'idea di far sì che gli ingredienti dei condimenti delle pizze diventino in alcuni casi le imbottiture dei panini stessi. Aperto in soft opening dal 26 luglio, per rodare tutto e arrivare al llivello di accuratezza nel prodotto come nel servizio cui ci abituato.

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Una storia italiana, l'imprenditoria familiare che fa bene alla comunità

"Il progetto consiste nel recuperare tutti quei clienti che vengono da me, ma che non riescono a trovare posto" ci spiega in video Franco Pepe. Semplice semplice. Ma in realtà la visione di Terrae Motus ha una complessità profonda e sana come tutte le cose su cui mette le mani Pepe. Sarà una proposta commerciale in grado di cambiare le sorti di un paese e di una comunità, come e più di quanto già fatto con Pepe in Grani. E sarà, ancor maggiormente, un ambasciatore di un territorio ancora troppo poco valorizzato rispetto ai contenuti e ai valori oggettivi.

Tutto il resto riguardante Terrae Motus ce lo racconta Franco Pepe nel video. Da ascoltare fino alla fine perché la chiave di lettura più autentica e rivelatrice di questo progetto sta in quel passaggio di staffetta generazione che vede Franco come nipote di fornaio e figlio di pizzaiolo e ora padre di Stefano, giovane ragazzo che da un po' è entrato a lavorare col papà. Il nonno di Franco Pepe faceva il pane a Caiazzo, sempre in centro storico, il nipote ora torna a fare pane (panini per la verità) con un occhio alla quarta generazione appena entrata in azienda. Una storia italiana di crescita graduale, di costanza, di concretezza, di amore - quando non di ossessione - per la qualità.

 

Terrae Motus | Caiazzo (CE) | via Aulio Attilio Caiatino | apertura in soft opening a partire dl 26 luglio 2016

 

a cura di Massimiliano Tonelli

Da droga a superfood. Il ritorno della Canapa

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Dopo cinquant’anni di oblio, la canapa torna a fare capolino nelle campagne italiane. Non solo filati e corde: oggi la canapa è un alimento prezioso per la salute e la ricerca in cucina. Parola ai protagonisti: coltivatori, trasformatori e chef.

Sono passati meno di cento anni, ma in pochi ricordano che l’Italia a cavallo tra il finire dell’800 e i primi del ’900, era il secondo paese al mondo (dopo la Russia) a produrre canapa. Ci hanno pensato le fisime proibizionistiche statunitensi (e i loro interessi economici) e uno Stato poco lungimirante a rendere illegale e bandire l’uso della pianta mettendo in soffitta secoli di storia e di cultura contadina.

Il primo censimento agricolo della Repubblica Italiana del 1861 rileva una consistente quota di canapa. I fusti venivano raccolti e messi a macerare in acqua. In questo modo il materiale si decomponeva e si riusciva ad estrarre la fibra meccanicamente, per sbattitura”, spiega il Rodolfo Santilocchi, docente di agronomia e coltivazioni erbacee all’Università Politecnica delle Marche. Con la fibra estratta si producevano corde, tessuti, carta, materiale edile fino ad arrivare addirittura un’intera automobile: la Ford Hemp Body Car di Henry For (1941) era realizzata e alimentata interamente in canapa.

 

Canapa

Benefici in campo e nel corpo

La canapa è un’ottima risorsa per un’agricoltura sostenibile e moderna: non è una coltura intensiva e si adatta molto bene alla rotazione colturale. “Dopo la canapa si può coltivare grano o mais nell’anno successivo perché il terreno viene lasciato pulito: da quando sono sparite certe colture (tra cui la barbabietola da zucchero) ci sono poche specie che permettano una rotazione razionale”spiega ancora il prof. Rodolfo Santilocchi. La canapa offre invece un aiuto efficace per mantenere la fertilità del terreno e non necessita di pesticidi nocivi (che costano anche molto). Inoltre, può costituire una bella risorsa anche per la biodedilizia e per la tessitura: si stanno cercando sistemi di estrazione meccanica della fibra.

La canapa è una pianta annuale che appartiene alla famiglia delle Cannabinacee. Preferisce i terreni fertili alluvionali, per questo tradizionalmente era coltivata nei migliori fondo valle. Tuttavia, si adatta a molte tipologie di terreno fino a un’altitudine di 1.500 metri, il che la rende una coltura molto diffusa in tutta Italia e nel mondo. Si semina tra fine marzo e fine aprile, in base alle condizioni del tempo. La canapa coltivabile in Italia deve avere un livello di THC (principio attivo: delta-9-tetraidrocannabinolo) inferiore allo 0,2% ed è comunemente indicata come canapa sativa (o industriale). Di fatto, non esiste una distinzione vera tra canapa, cannabis e marijuana: è la stessa pianta, ma con concentrazione di THC differente.

Ma il seme di canapa è anche uno dei frutti oleiferi più preziosi per la nutrizione, tanto che spesso il consumo di canapa è consigliato come integratore nella nutraceutica. Il motivo sta nell’elevato contenuti di acidi grassi essenziali come gli Omega 3,6 e 9, difficilmente presenti nel giusto rapporto in altri oli vegetali. Inoltre è ricca di vitamine A, B e D che sono fondamentali per combattere lo stress ossidativo e i radicali liberi. Consumare semi di canapa e l’olio estratto meccanicamente da essi (quindi senza solventi chimici) aiuta ad alzare le difese immunitarie diminuisce i livelli di colesterolo, combatte il diabete, le malattie vascolari ed è utile anche per combattere psoriasi e depressione: un vero e proprio superfood.

 

Gli usi oggi

Oggi, la parte più appetibile della canapa è però il seme. “In realtà non è riscoperta”sorride Santilocchi “Ma una vera e propria scoperta. Mai prima del 2000 si era pensato in Italia di poter mangiare i semi di canapa che invece sono un alimento sano e completo”. La canapa autoctona italiana (la più diffusa è la Carmagnola) è per lo più una varietà da fibra: arriva a 8 metri ed è difficile raccoglierne il seme. “Oggi la canapa che si coltiva in Italia è per lo più la francese Futura 75: si presta meglio per la raccolta manuale del seme. Ma stiamo già sperimentando varietà italiane da impiantare per ottenere lo stesso scopo”racconta Marco Cartechini, giovane agricoltore e frantoiano marchigiano che tra i primi ha scommesso in questa nuova avventura. “Di ritorno dal Biofach del 2005 rimasi stupito da quello che in Canada si faceva con la canapa. Così, un po’ per gioco, ne parlai ai mie due amici Mattia Guarnera (titolare del Birrificio Guarnera di Jesi) e Antonio Trionfi Honorati (titolare dell’omonima azienda agricola nelle colline jesine) e da lì nacque l’idea di provarci insieme”. Nel suo frantoio di Montecassiano, specializzato nell’estrazione meccanica di semi oleosi, Marco produce un ottimo olio di canapa a marchio Made in Natura e dal suo mulino arrivano anche farine vive di canapa, lino, sesamo che arricchiscono la creatività di tante cucine.

 

Formaggio alla canapa

Canapa da bere e da mangiare e usare 

Filami non fumami” è il titolo del progetto culturale in cui è impegnato Antonio Trionfi Honorati: “L'intento è quello di ricreare la filiera della canapa nella Vallesina dove fino alla metà anni ’60 costituiva una delle colture tradizionali. La canapa è etica al 100%: è una coltura stagionale, se ne ricavano olio, farina, fibre per diversi e molteplici usi. Non ha bisogno di nulla, non ti chiede nulla, ma in compenso ti copre, ti scalda, ti sfama”. Nell’agriturismo Al Casino del Marchese di Jesi, i semi di canapa sono sempre presenti nel menu, impreziosiscono anche uno degli ottimi formaggi del caseificio e sono protagonisti di una linea di cosmesi tutta naturale. Un’idea completamente diversa quella di Mattia Guarnera: il suo birrificio Guarnera produce birra agricola (cioè composta per almeno il 51% di materie coltivate a filiera chiusa nell’azienda) utilizzando i fiori essiccati di canapa al posto del luppolo. Il risultato sono birre d’ispirazione belga con un gusto del tutto personale, dominato da un amaro e da un erbaceo difficilmente rintracciabili in altre creazioni.

 

Fieno

La pasta all'uovo alla canapa

Passando dalle Marche al Lazio, incontriamo la storia di Felice Arletti, anima dell’Agriristoro Il Calice e la Stella di Canepina (Viterbo), primo locale in Italia a proporre un menu degustazione a base di canapa a partire dal 2004. “Il nostro è un progetto agricolo. Vogliamo portare l’agricoltura e le tradizioni della nostra terra nel piatto. Non potevamo ignorare una coltura come la canapa che, addirittura, dà il nome al nostro paese: Canepina. Pensate che a qui il corredo da sposo si regalava anche al marito ed era fatto rigorosamente in canapa. Il mio è filato con la canapa dell’azienda agricola di mia nonna”.

Nella sua cucina potrete assaggiare l’originale fieno di Canepina, piatto storico, lavorato con farina di canapa e ripreso nella produzione anche dal locale pastificio Fanelli. “Questa pasta era l’unica pasta fresca nel 1600 era l’unica impastata con l’uovo: segno di ricchezza di un paesino che era il centro del commercio della canapa”. Una pasta più fina dei tagliolini che tradizionalmente veniva sbollentata in acqua e quindi asciugata in un telo di canapa affinché potesse assorbire tutto il sugo di condimento restando ben tenace. “Oggi, la versione impastata con la canapa la serviamo con un pesto di basilico oppure ortica o anche un ragout bianco di coniglio leprino e granella di nocciole dei Cimini: 400 anni di storia in un solo piatto”.

Prodotti derivati dalla farina di canapa

Il gelato e gli altri impieghi

Dalla sperimentazione di due gelaterie liguri, Perlecò ad Alassio e U Magu a Pietra Ligure, arriva il gelato alla canapa: Fior di Cannabis è ottenuto dai soli fiori di canapa, ha un gusto aromatico gradevole e mantiene vive le virtù nutrizionali della pianta. Insomma, l’impiego dei semi di canapa in cucina è ampio: decorticati sono ideali per impreziosire zuppe e minestre, tostati o al naturale sono ottimi da aggiungere allo yogurt o per farne panature. La farina che se ne ricava è completamente priva di glutine e amido e ricca di antiossidanti: perfetta per chi vuole mangiare sano. Ma può essere usata anche a crudo come spezia, o nella panificazione unita ad altre farine. Il suo gusto è erbaceo, amarognolo, lievemente balsamico, non sempre facile da abbinare. Ma la fantasia di molti chef su tutto il territorio nazionale sta lavorando nel verso giusto per poter portare in tavola un alimento etico, sano ma anche gustoso.

Agricoltura, salute, cucina e nuove opportunità lavorative si fondono nella riscoperta della coltura della canapa” proclama Giovanni Bernardini, presidente di Copagri per le Marche: “Sono sinergie fondamentali per il rilancio del comparto agricolo. Fare cultura, recuperare le tradizioni rurali e gastronomiche e farne qualcosa di nuovo è il volano migliore per la ripresa economica del nostro paese. È un segno che una coltura secolare registri un nuovo successo grazie all’interesse e la passione di giovani, che certamente non l’hanno neppure conosciuta. E se i giovani sono il nostro futuro, la canapa può avere un futuro in agricoltura”.

 

 

Tavole & botteghe

 

Il Casino del Marchese | Jesi (AN) | via Piandelmedico, 101 | www.trionfihonorati.it

Agriristoro Il Calice e la Stella | Canepina (VT) | p.zza Garibaldi, 9 | tel. 328 9024 761 | www.selvacimina.it

Il Convito di Curina | Castelnuovo Berardenga (SI) | loc. Curina | s.da p.le 62 | tel. 0577 355 630 | www.villacurinaresort.com

Ristorante Il Buontempone | Macerata (MC) | p.zza U. Pizzarello, 17 | tel. 0733 231 343

 

Gelateria Perlecò | Alassio (SV) | via Torino, 46 |

Gelateria U Magu | Pietra Ligure (SV) | p.zza Castellino, 3 | tel. 019 624151 |

Oleificio Cartechini | Montecassiano (MC) | via Collina, 13 | tel. 0733 290 940 | www.oleificiocartechini.com

Bottega della Canapa | www.bottegadellacanapa.com

Cesena | via Cervese, 1303 | tel.0547 384886

Bologna | via Marsala, 31 | tel. 051 4121290

Ferrara | via Garibaldi, 125 | tel. 0532 243462

Faenza (RA)| c.so Garibaldi, 18 | tel. 0546 061679

 

info


Lucanapa | Potenza | via L. Braille, 18 | tel. 0971 54390 | www.lucanapa.com

AssoCanapa | Carmagnola (TO) | via Morello, 2/a | tel. 011 0447 974 | www.assocanapa.org

 

a cura di Laura Di Pietrantonio
foto Manuela Tolve

 

Articolo uscito sul numero di Luglio 2016 del Gambero Rosso. Per abbonarti clicca qui

 


In che modo l'Internet of Things cambierà il modo di fare viticoltura?

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Tappi, bottiglie e vigne connesse. L'Internet delle cose sta entrando sempre più nel mondo del vino: ecco quali progetti hanno in serbo i grandi gruppi della Communication Technology. E intanto vi raccontiamo la case history del Consorzio Vini di Montefalco.

Avete sentito parlare di Iot, l'acronimo di Internet of Things? Ve ne abbiamo già parlato (qui qui). Si tratta di oggetti connessi a internet che comunicano tra di loro, si scambiano dati, posizioni e anche soluzioni. Ombrelli che mandano sms ai proprietari per avvisarli dell'arrivo della pioggia, frigoriferi che fanno autonomamente la spesa online, wc che si azionano da soli per ripulirsi, forchette che avvertono chi le utilizza che sta mangiando troppo velocemente. Fantascienza? No, non si tratta di nessuna realtà futuribile, ma di proposte già sul mercato e sempre più in via d'espansione anche in Italia. Un dato tra tutti: aoggi, secondo Gartner, la multinazionale leader dell'Information Technology, gli oggetti connessi sarebbero circa 5 miliardi e diventeranno 25 miliardi entro il 2020. E tra questi ci sono anche vigne, tappi e bottiglie di vino che, attraverso software, applicazioni, reti, telecamere e sensori, "comunicano" con produttori e consumatori per massimizzare la produzione, ridurre al minimo i rischi, dare informazioni.

Abbiamo provato a sentire chi sta sperimentando questo tipo di tecnologia, sia dal lato fornitore, sia dal lato cantina. E tutti gli interlocutori sembrano essere concordi sulle grandi potenzialità che esso avrebbe proprio in campo vitivinicolo.

 

Aree di applicazione dell'Iot

Quali sono i possibli ambiti dell'Iot nel mondo del vino? Solair Corporate, la prima start in Italia acquistata dal colosso Microsoft (lo scorso maggio) ha provato a tracciare i possibili ambiti di applicazione dell'Iot nel mondo del vino. Dal lato della produzione: misurare e analizzare una varietà di fattori ambientali per ridurre al minimo i rischi per l'uva, migliorare la qualità e ottimizzare i consumi; effettuare il monitoraggio remoto delle macchine. La manutenzione preventiva e il controllo dei processi possono migliorare continuità produttiva ed efficienza. Da lato della distribuzione invece l'applicaizone riguarda la possiilità di localizzare, tracciare e rintracciare la localizzazione delle bottiglie lungo la supply chain fino al consumatore. Tracciare la catena significa tracciare i processi interni e distributivi per garantire che vino e distributore siano prodotti e venditori ufficiali. In questo senso la tracciabilità favorisce la protezione del Brand e porta valore al cliente finale. Per il consumatore, infine, la prospettiva riguarda la possibilità di creare contenuti personalizzati e promozioni ad hoc per migliorare la customer experience e fidelizzare il cliente.

 

Dalla Vigna Connessa di Ericsson al 5G di Tim

Andiamo a monte. E precisamente in vigna, dove l'apporto dell'Iot sta mostrando il suo miglior potenziale. Come? Raccogliendo dati sul suolo e sugli aspetti meteorologici (umidità dell’aria, temperatura, intensità dei raggi solari), rilevando la presenza di malattie della vite e di conseguenza prevedendo l'uso di pesticidi solo lì dove strettamente necessario. Si capisce che, oltre a favorire la produzione, l'Internet delle cose in questo caso si integri ancora meglio nel concetto di sostenbilità, tanto declamato dalla vitcoltura contemporanea.

Non a caso, i maggiori gruppi del mondo della comunicazione si stanno affacciando alla smart agricolture, come nel caso di Ericsson con il progetto Vigna Connessa, attraverso il sistema TracoVino, in collaborazione con Intel, Telenor Connexion e MyOmega System Technologies. Tre anni di sperimentazione in Germania su quattro aziende vitivinicole della Mosel Valley, e adesso il lancio sul mercato italiano. Il servizio permette ai produttori di vino di raccogliere dati sull’umidità dell’aria e del suolo e sulla temperatura, oltre che sull’intensità dei raggi solari, facendo leva sui sensori Iot e sui gateway Iot di Intel connessi a un servizio cloud. Le informazioni possono essere usate per compiere analisi predittive, per supportare la gestione delle risorse e il monitoraggio da remoto in tempo reale, migliorando la qualità della produzione, riducendo i costi e l’impatto ambientale. Per esempio, è possibile individuare il momento migliore per la vendemmia. Più tecnicamente, l’utilizzo della Device connection platform (Dcp) di Ericsson, insieme alla soluzione di sicurezza per l’Iot, fornisce un sistema di autenticazione per i dispositivi dotati di sim e una connettività end-to-end sicura e criptata che supporti una più efficace produzione di vino. I dati elaborati possono, quindi, essere visualizzati direttamente sul proprio dispositivo attraverso un'app.

Con questo genere di sistema” spiega Franzen della cantina Calmont (una di quelle che ha già sperimentato il sistema Ericsson in Germania) “si riesce a lavorare in modo esatto procedendo per step: per esempio stabilendo quando fare la defoliazione, con giorno e ora precisi”. Maggiori dettagli nel video https://youtu.be/Goe3xialtac

 

Altro grande player del settore, pronto a scommettere sulla vigna connessa è Tim che ha appena siglato, proprio con Ericsson, un accordo per avviare il programma “5G for Italy” con l’obiettivo di creare un ecosistema aperto per la ricerca e la realizzazione di progetti innovativi abilitati dalla tecnologia 5G - la rete mobile di nuova generazione - al fine di accelerare la digitalizzazione del Paese. Si tratta della prima iniziativa in Italia che intende aggregare industrie, istituzioni, università, centri di ricerca, amministrazioni locali e piccole e medie imprese per sviluppare e testare nuovi servizi e progetti pilota che si avvalgono della tecnologia 5G. E, tra i principali settori di analisi, ci saranno saranno le Smart City, l’Internet of Things, l’Industria 4.0, il Trasporto e la Smart Agricolture, soprattutto in vigna: nuovi modelli di analisi che consentono di interpretare una serie significativa di dati (relativi alla temperatura o all’umidità) raccolti attraverso specifici sensori propri dell’Internet of Things e ottimizzare la filiera di produzione dei vini.

 

Grape Assistence: il progetto del Consorzio di Montefalco

Appurato che l'Iot potrebbe rivoluzionare – e in parte lo sta già facendo – il modo di fare viticoltura, bisogna fare un passo in avanti per capire il motivo per cui, più che negli altri settore, in questo in particolare l'unione fa la forza. Ce lo spiega Mattia Dell'Orto, fondatore della startup Leaf srl che, per il Consorzio Vini di Montefalco, sta protando avanti il progetto Grape Assistence. La prima fase del progetto è iniziata nel 2015, con Confagricoltura capofila e 10 cantine del territorio aderenti. "Quest'anno, invece" spiega Mattia Dell'Orto "è il Consorzio a ricoprire il ruolo da capofila, ma la cosa ancora più importante è che le aziende sono diventate 14, nonostante, finita la fase del Psr regionale, sia stato chiesto loro un contributo individuale. L'adesione ci fa capire che il primo obiettivo è stato raggiunto".

Ma vediamo come funziona il meccanismo. Inizialmente sono state collegate nove stazioni meteo del territorio: ogni postazione è dotata di sensori per il rilevamento della temperatura dell’aria, delle precipitazioni e dell’umidità relativa ed è stata messa in rete tramite sim card Gsm per l’invio automatico dei dati ad un server centrale. La seconda fase di lavoro ha previsto l’attivazione delle utenze informatiche per il servizio Dss (Decision support system) fornito da Horta srl, spin off dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza. In questo modo le aziende, non solo possono accedere a questi dati, ma vengono anche allertate tramite degli sms inviati ad hoc direttamente sullo smartphone.

"Credo che la parte più interessante del progetto" spiega Dell'Orto"sia il lavoro di un team messo a disposizione per tradurre queste informazioni in consigli pratici su quando e dove intervenire, grazie anche a un costante lavoro di monitoraggio sul territorio. Dal mese di aprile, infatti, il gruppo di lavoro ha iniziato le attività nei vigneti del comprensorio, effettuando settimanalmente sopralluoghi nelle parcelle sperimentali per verificare la corrispondenza delle informazioni rilevate dai sistemi Dss con le reali condizioni di sviluppo delle malattie". Ciò significa che il monitoraggio avviene sotto l'input dell'Iot, ma che poi viene concretizzato dal lavoro sul campo, grazie all'apporto di un'app che permette di prendere appunti, elaborare dati e diffondere informazioni.

 

I risultati oggi

"Parliamoci onestamente" continua Dell'Orto "il supporto dell'Iot in viticoltura è fondamentale e son sicuro che in futuro potrà avere sviluppi inaspettati, anche perché quello del vino è uno dei settori agricoli, al momento, più dinamici e fecondi. Tuttavia per le singole aziende diventa complicato seguire le informazioni tecniche provenienti da un software. Con Grape Assistence abbiamo almeno due valori aggiunti: l'apporto di una squadra di esperti che fornisce praticamente un libretto di istruzioni (con produzione di un bollettino settimanale per ogni cantina; ndr) e la licenza del Consorzio che rende possibile l'applicazione collettiva del progetto". Difficilmente, infatti, un'azienda da sola potrebbe decidere di acquistare un pacchetto del genere, sia per motivi di gestione sia di prezzo. Ma vediamo i risultati sul campo. "Nel primo anno di gestione" dice Dell'Orto, dati alla mano"l'’indice della Frequenza dei Trattamenti (Tfi – Treatment frequency index; ndr), che rapporta la dose di prodotto effettivamente utilizzata alla dose impiegabile indicata in etichetta, nei vigneti gestiti secondo le informazioni del progetto Grape Assistance è stato pari a 12,7: molto inferiore al valore potenziale di un piano di difesa a calendario che sarebbe stato pari a 23,3. Tradotto, significa che l'uo dei fitofarmaci è stato ridotto di circa il 40%. Quest'anno siamo a -20%, considerato che fino a qua si è trattato un anno molto piovoso, in cui il vero primo obiettivo prefisso era non perdere la qualità del prodotto". Secondo le stime Leaf, se nel 2015 tutte le aziende del Consorzio avessero adottato e seguito le istruzioni del programma Grape Assistance, oggi si parlerebbe di un risparmio di circa 105 mila euro all’anno, di cui ben 88 mila euro relativi ai soli prodotti chimici.

www.consorziomontefalco.it/territorio/grapeassistance

 

Il tappo parlante di Guala Clousure

Andando oltre la fase produttiva, l'Iot trova una sua applicazione pratica anche nella lotta alla contraffazione e nella comunicazione con il consumatore. Nel caso specifico non parliamo di etichette parlanti tramite il codice Qr, ma di tappi. Come quello da poco lanciato da Guala Clousures in collaborazione con l'olandese NXP: una chiusura intelligente, che interagisce con la tecnologia Nfc (Near field communication), dotata di sistemi tamper evident (anti manomissione), di anticontraffazione e di monitoraggio. Oltre a combattere la contraffazione, la tecnologia Ncf è capace di "parlare" con il consumatore. Nella fattispecie quest'ultimo, con un semplice tocco sul device (smartphone o tablet), è in grado di conoscere meglio i dettagli del vino, ricevere offerte speciali o premi fedeltà, verificarne la provenienza o l'integrità. Attivo anche il servizio che avvisa di un'eventuale apertura della bottiglia non autorizzata, tramite cui si risalirebbe a tentativi di contraffazione. Più o meno sulla stessa linea d'onda, l'altra nuova chiusura Guala Clousures in collaborazione con Authentic Vision che si serve, però, di un tag e di un indicatore visivo, come ad esempio un codice Qr, per fornire informazioni sulla bottiglia dal lato consumatore. Mentre dal lato produttore, dà la possibilità di connettersi ad un portale web per avere acceso ai dati relativi al marketing, alla business intelligence e alla supply chain.

http://www.gualaclosures.com/it/accordo-tra-guala-closures-e-authentic-vision-per-lo-sviluppo-di-chiusure-anticontraffazione-%E2%80%9Csmart%E2%80%9D/

 

La bottiglia smart di Kuvée

Altro ambito, altra curiosità. In California è arrivata la prima “smart bottle” proposta dalla start up Kuvée. Dotata di wi-fi e touchscreen, la bottiglia è in realtà un contenitore di "cartucce di vino" da 750 ml intercambiabili, appositamente realizzate per essere inserite all'interno della smart bottle e conservarsi anche per 30 giorni dalla prima apertura grazie ad un sistema ermetico, in modo da poter essere cambiate anche se non sono state finite. Una volta inserita la cartuccia, la bottiglia smart la riconosce automaticamente ed è in grado di mostrare sul display l’etichetta del vino, le informazioni sul produttore e sul processo di lavorazione, oltre all'indicatore sul livello del vino rimasto (visto che il contenitore non è trasparente). Inoltre, attraverso il touchscreen si può accedere al catalogo di vini messi a disposizioni da Kuvée con le relative cartucce. Al momento sono disponibili 48 etichette di 12 cantine (dai 15 ai 50 dollari).

https://www.indiegogo.com/projects/kuvee-the-smart-wine-bottle-that-keeps-wine-fresh#/

 

 

a cura di Loredana Sottile

 

Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 14 luglio

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Pescaria. Il fast food ittico all'italiana da Polignano a Milano

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L'idea è nata nel cuore di Polignano poco più di un anno fa, con l'obiettivo di valorizzare il pescato locale e proporre un nuovo modo di consumarlo, rapido, informale, ma creativo e di qualità. E grazie all'esperienza dello chef Lucio Mele e all'ottima materia prima, l'esordio è stato un successo. Ora si punta dritto su Milano. 

Fast food ittico, all'italiana

Doveva essere tutto pronto per ravvivare l'estate meneghina con una sferzata di sapori del Sud. Invece a Milano l'attesa per Pescaria si prolungherà un po' più del previsto: qualche problema tecnico ha rallentato il ritmo, ma la squadra made in Polignano si presenterà puntuale in via Bonnet il prossimo 7 settembre. E la schiera di proseliti che porta con sé – è sufficiente scovare qua e là il giudizio dei clienti che pazientemente si mettono in fila ogni giorno sull'uscio del piccolo locale di via Roma, nella celebre località turistica pugliese – fa ben sperare per l'esordio del concept che sul fast food ittico di qualità all'italiana ha voluto scommettere a partire da una consuetudine con il mare e i suoi prodotti che ha reso la Puglia famosa nel mondo.

L'idea di questo fish bar nascosto in una piccola stradina del centro di Polignano si è concretizzata poco più di un anno fa: era la fine di maggio 2015 e Pescaria apriva i battenti unendo le forze di tre soci dai profili complementari. Del pesce si sarebbe occupato Bartolo L'Abbate, proprietario di una delle migliori pescherie di Polignano, alla comunicazione e definizione del concept Domingo Iudice con il suo team di creativi Brainpull.

Pane verde al sesamo, scorfano in tempura, insalata di fagiolini, patate e basilico, stracciatella e pomodoro camone

I panini d'autore di Lucio Mele

Per l'elaborazione del menu, invece, Pescaria si avvale sin dall'inizio della collaborazione con lo chef Lucio Mele, pugliese di Manfredonia, classe 1980, poi trapiantato a Bologna e con un passato al fianco di maestri come Claudio Sadler e Alfonso Iaccarino. Qualche tempo fa l'esperienza, a Bologna, con un ristorante tutto suo, Sale Grosso, poi la passione per la cucina povera e gli ingredienti più semplici l'ha portato a sposare con convinzione il progetto Pescaria. Per il fish bar lo chef - che nel frattempo ha trovato anche il tempo per trionfare negli studi del Masterchef cinese con Maria Cicorella e Nicola Savino - studia gli abbinamenti, propone ogni giorno un panino diverso, oltre alla lista di best seller come la tartaruga con tartare di tonno pinna gialla, burrata pugliese, pomodorini freschi e pesto di basilico. L'idea di questa cucina di strada molto accurata è chiara: gli ingredienti sono quelli del territorio, l'anima è quella di un ritrovo informale che invita alla consumazione veloce ma in uno spazio confortevole.

Il nuovo locale a Polignano

E infatti, ancora prima della trasferta milanese, l'insegna è pronta a spostarsi in una nuova casa, un locale più spazioso in piazza Aldo Moro, dove è tutto pronto per l'inaugurazione di inizio agosto. Il motivo? “L'apprezzamento del pubblico ci ha travolto” ci spiega Domingo Iudice “ora avremo più spazio. E anche la cucina ne guadagnerà in qualità e complessità delle preparazioni. Avremo forni più grandi perché uno dei nostri segreti è il pane sempre fragrante. E più posti a sedere, con la speranza di gestire al meglio l'affluenza”. Il menu però non cambia: immancabili i panini, da quello con polpo fritto, cicoria, mosto cotto, ricotta e alici sott'olio a quello con tataki di tonno, bufala, friggitelli, pesto ai capperi e pomodoro. Poi sfizi e piatti del giorno, alici in saor e frittura mista, polpette di crostacei e insalate, ma pure crudi di pesce che annoverano le principali specialità della costa Adriatica, dalle cozze pelose alla violetta (il gambero viola), al polpo. E a Milano?

Pescaria a Milano

L'idea è quella di replicare il format così com'è, lavorando su un menu speculare con la supervisione dello chef, che seguirà personalmente il lancio”. In via Bonnet, mentre si ultimano i lavori, la formazione del personale su tecniche di conservazione e gestione della sala è già cominciata, perché l'idea di Pescaria venga rispettata a pieno. Ma la logistica sarà altrettanto importante: “il nostro pesce arriva da filiera controllata e vogliamo portarlo con noi al Nord. Per questo abbiamo avviato la collaborazione con uno stabilimento che curerà la logistica tramite la linea adriatica e predisposto una grande cella frigo per lo stoccaggio”. L'idea è quella di raccogliere una sfida con le consuetudini milanesi, presentando una valida alternativa a sushi, sashimi e moda del crudo. A suon di ricette tradizionali pugliesi. “Non mancherà, per esempio, il nostro panino best seller, e poi giocheremo molto con le preparazioni della cucina tradizionale, dalle zucchine alla poverella alla ricotta col limone, alle salse mediterranee”. Il pane sarà quello di semola pugliese, molti ortaggi arriveranno da fornitori di Polignano, le salse saranno tutte prodotte in casa. Il locale di via Bonnet potrà ospitare circa 80 coperti, senza servizio: ordinazione in cassa, una breve attesa e poi ritiro al banco. Con l'idea di implementare il consumo mordi e fuggi al bancone, con una proposta di tramezzini, tortini e frise.

L'inizio di un nuovo format replicabile?

E Domingo non ha paura a parlare di “democratizzazione del prodotto gourmet”: “Aumenteremo i prezzi solo del 20%, comunque restando al di sotto della media milanese. A Polignano il nostro panino con 100 grammi di pesce costa 8 euro”. Insomma, sul progetto milanese la squadra di Pescaria conta molto, “il format del fast food ittico l'abbiamo già definito a Polignano, questo invece sarà il nostro punto pilota per sperimentarci con la gestione a distanza”. Se tutto andrà bene l'idea è quella di migrare Oltreoceano, a New York, per una gestione diretta o in franchising. Di proposte del resto ne sono già arrivate molte, “ma fino alla fine dell'anno le nostre energie le spenderemo tutte su Milano”.

 

Pescaria | Polignano (BA) | via Roma, 29 (presto in piazza Aldo Moro) | t el. 080 4247600 | www.pescaria.com

Pescaria | Milano | via Bonnet, 5 | prossima apertura, il 7 settembre | dalle 12 alla mezzanotte

 

a cura di Livia Montagnoli

I volti di Gourmet. Iginio Massari

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È la manifestazione dedicata agli operatori professionali impiegati nell'Ho.Re.Ca. e Food&Beverage, con il coinvolgimento di chef, pasticceri, barman, imprenditori affermati che, durante questa occasione, mettono a disposizione dei visitatori il loro bagaglio di competenze ed esperienza. Parliamo di Gourmet Expoforum, che dopo il successo della prima edizione torna al Lingotto Fiere di Torino, dal 13 al 15 novembre.   

Anche quest'anno, ad animare la tre giorni di Gourmet Expoforum, ci saranno i fuoriclasse del food e del wine, che racconteranno (e dimostreranno praticamente) i segreti dei rispettivi mestieri a un pubblico di operatori del settore e non solo. Sì perché Gourmet è la manifestazione dedicata agli imprenditori di oggi e di domani, ma anche a chi vuole conoscere più da vicino, tutto quanto gira intorno al buon mangiare e al buon bere.

Iginio Massari

Fondatore nel 1993 dell'Accademia dei Maestri Pasticceri Italiani e nel 1996 di CAST Alimenti, scuola di cucina con sede a Brescia. Allenatore e Presidente della squadra italiana che ha vinto la Coppa del Mondo di pasticceria, a Lione nel 1997 e nel 2015, e a Roma nel 2002. Titolare della Pasticceria Veneto, la prima in Italia a essere entrata nell'esclusiva catena Relais Desserts, di cui è membro consigliere. Scrittore, pubblicista e dottore Honoris Causa in Scienze culinarie alla St. George University di Bruxelles. È Iginio Massari, una vera leggenda vivente. Che anno dopo anno continua, instancabilmente, non solo a essere un punto di riferimento per la pasticceria tradizionale italiana, ma anche a fornire nuovi spunti per far sì che la nostra arte dolciaria sia sempre al passo con i tempi. Non a caso, lo abbiamo coinvolto nel palinsesto di Gourmet Expoforum  che si terrà a Torino Lingotto Fiere dal 13 al 15 novembre. In questa occasione parlerà della progettazione di un dolce, dall'idea alla realizzazione. Vediamo qualche anticipazione.

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Qual è lo stato dell'arte (dolce)?

Il mondo della pasticceria sta vivendo un periodo florido anche grazie alla televisione e a tutti i programmi che ruotano attorno al food. La gente è invogliata a fare, sperimentare e i giovani sono decisamente più curiosi rispetto a quelli di ieri.

Ma?

Il problema principale è che rimane tutto nell'ambito dell'amatoriale. Faccio un esempio: le pasticcerie artigianali in Italia sono 14mila e servono circa 150mila pasticceri specializzati. Peccato però che non ci siano. Da una parte perché le stesse scuole di formazione sono troppo superficiali. Dall'altra perché di quei 14mila laboratori, solo una piccolissima percentuale fa un'attività di formazione vera e propria. Così se un giovane ha la fortuna di capitare in un laboratorio serio, allora impara e cresce. Altrimenti apprenderà poche cose e pure male.

Il problema principale in Italia è dunque la formazione. Quali sono le scuole più valide?

Ce ne sono 5 o 6. Non faccio nomi.

Come riconoscerle?

Se una scuola è valida sa coinvolgere i ragazzi.

Il governo dovrebbe far qualcosa in tal senso (sono davvero poche le scuole che lei reputa valide)?

Secondo me, dal momento in cui il cibo è ormai considerato la prima medicina (è innegabile che abbia un impatto diretto sulla salute dell'uomo), chi lo prepara dovrebbe affrontare quanto meno un esame di ammissione al mestiere. Lo stato dovrebbe intervenire affinché non tutti possano far da mangiare. Un po' come succede con la professione del medico, per intenderci.

Cosa dire a un ragazzo che vuole intraprendere questa carriera?

Chi impara un mestiere ha in mano la sicurezza del domani. Mi spiego: le banche possono pure fallire ma lui avrà imparato un mestiere intramontabile. Di questi tempi è una certezza.

Un consiglio pratico?

Approfondite (anche se devo ammettere che i ragazzi, oggi, sono meno superficiali di quelli di ieri) e fate esercizi di bella scrittura. Perché un dolce con una bella scritta è decisamente più apprezzato dal cliente finale. Niente zappatori dunque.

I clienti sono cambiati negli anni?

Sono più esigenti. Anche qui il segreto sta nell'educare: se uno mi chiede un dolce ipocalorico, io gli consiglio di mangiare metà porzione di un dolce normale!

Parliamo della progettazione di un dolce. Qual è la prima fase?

Punto primo bisogna capire che dolce si vuol fare. Se per esempio si deve progettare una torta di nozze, è necessario conoscere i simbolismi. Dunque: le decorazioni e i piani devono essere dispari perché la cerimonia di nozze implica indivisibilità. Gli stessi piani rappresentano la scalata verso la felicità, scalata che gli sposi si apprestano ad affrontare assieme. La base deve essere bianca perché è il colore della purezza, ed è invece bandito il rosso in quanto rappresenta la passione, che per forza di cose svanirà lasciando il posto alla gelosia. Lo stesso rituale del taglio a due mani ha un significato: da quel momento in poi le decisioni vengono prese in due.

Al di là dei simbolismi.

Bisogna conoscere causa ed effetto. Se voglio stupire il cliente con aromi delicati mi concentrerò sulla struttura e sulla masticabilità: se un aroma è molto delicato, ci deve essere masticazione. Se invece si vuole puntare su sapori forti e persistenti, si può fare a meno della masticazione, e ci si può sbizzarrire con le consistenze. Ancora: se il dolce deve essere servito in un posto caldo, allora utilizzerò più zucchero oppure mi farò aiutare dall'ausilio dell'alcol. Se l'obiettivo è di far bere le persone, creerò un dolce alle mandorle, caratterizzate da una forte astringenza. Potrei andare avanti all'infinito.

Ok. Non anticipiamo troppo! Qual è invece l'obiettivo comune di tutti i dolci?

L'incanto del palato, e prima ancora l'incanto visivo con colori armonici e forme pulite. Il dolce, nella sua semplicità, deve essere prima di tutto elegante.

Consigli concreti per raggiungere l'incanto del palato?

Fare in modo che, in un'unica cucchiaiata, si riesca a raccogliere tutto ciò che c'è nel dolce. Ecco perché l'altezza (del dolce) è vincolata dalle parti aromatiche che vengono inserite. Anche qui è un discorso di causa ed effetto.

Come vede la pasticceria tra trent'anni?

Se fossi così bravo, giocherei al SuperEnalotto. Tra l'altro potrei dire qualsiasi cavolata senza essere smentito.

Quindi?

E quindi non dirò nulla!

 

Gourmet 2016 | Torino | Lingotto Fiere, padiglioni 2 e 3 | dal 13 al 15 novembre | Tutte le informazioni per partecipare sono disponibili sul sito www.gourmetforum.it

Gallery Gourmet 2015

a cura di Annalisa Zordan

 

Twitter cede al food porn. Un team di chef ed esperti per produrre contenuti per i maniaci del cibo social

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Si chiama Twitter Food Council e risponde all’hashtag #FoodFlock. La squadra, presieduta da Alex Guarnaschelli, avrà il compito di stimolare la comunità Twitter su contenuti appetibili per gli occhi e per il palato. E conferma la moda imperante dei cibo sui social network.  

Food porn. Dalle origini a oggi

Puro e semplice fenomeno di costume? Non proprio. O almeno non solo. Non tutti sanno che il termine risale al 1984, quando l’ossessione per il cibo che oggi ci accomuna un po’ tutti complice il web cominciava a muovere i primi passi, registrata puntualmente dalla scrittrice Rosalind Coward, in riferimento all’importanza assunta dall’estetica del piatto nello stabilire relazioni con gli altri a tavola. Oggi l’espressione ha finito per mascherare una tendenza ben più ampia e generalizzata, una moda che ci è sfuggita di mano e ci trasforma tutti in fini “impiattatori” di pietanze casalinghe o abili food photographer al ristorante. Quel che è certo è che la battaglia dei social network fa molto affidamento sulla pornografia del cibo, costantemente presente tra i trend topic e oggetto di condivisioni che catturano migliaia di like e commenti. E se qualche tempo fa una ricerca della Oxford University additava il food porn tra le cause di incentivo all’obesità – “perché essere costantemente circondati da immagini di cibo aumento il desiderio di mangiarlo e la necessità di procurarcelo” – è rivelazione molto recente la strategia promossa da Twitter per riconquistare terreno di fronte ai numeri in crescita di Instagram.

Da Instagram a Twitter. L’importanza del cibo

Facendo leva proprio sul cibo, che tanta fortuna ha portato al social network tutto incentrato sulla condivisione di foto (le più caricate, neanche a dirlo, sono quelle ad alto tasso di golosità) e un ruolo centrale continua a giocarlo anche tra gli utenti di Twitter, con hashtag di successo planetario come #yummy, #foodgasm o semplicemente #foodporn (tweettato una media di 300 volte all’ora nell’ultimo mese). Ecco perché Twitter ha radunato un team di food influencer che agiranno sul social in qualità di Twitter Food Council, creando contenuti food oriented per alimentare le aspettative dei social media user assetati di food porn.

Il Twitter Food Council

La squadra comprende 17 tra chef e giornalisti di settore, che ogni giorno produrranno per Twitter, Vine e Periscope contenuti originali, rivolti specialmente ai più giovani. E chiunque vorrà interagire con il gruppo dovrà comprendere nei propri cinguettii l’hashtag #FoodFlock. Alla guida del team c’è la chef Alex Guarnaschelli, con lei anche celebri colleghi come Graham Elliot, Giada De Laurentiis e Josè Andres ed esperti del settore da magazine come Bon Appetit e Food&Wine, ma il numero degli chef coinvolti è destinato ad aumentare e l’azione del Food Council si sta già facendo notare in rete.

500 anni di food porn

Intanto sempre dall’America arriva l’ultima curiosa ricerca in materia di food porn: è il Food and Brand Lab della Cornell University a raccontare 500 anni di pornografia del cibo attraverso l’indagine su 750 dipinti a tema gastronomico realizzati da artisti americani ed europei dal Cinquecento ad oggi. La ricerca ha preso in esame gli alimenti più rappresentati dai pittori, confermando che il cibo più attraente per loro è sempre stato quello più insolito e raro, dai frutti di mare agli alimenti esotici. Ma in questa speciale classifica del food porn più condiviso nella storia entrano anche carciofi, aragoste, limoni e torte d’ogni genere. E voi, che cibo preferite fotografare?

Apre il primo Moleskine Café a Milano: caffè di qualità fra gli storici taccuini

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Ha inaugurato pochi giorni fa a Milano il primo Moleskine bar italiano. Un caffè letterario nel cuore del quartiere di Brera che propone espressi d’autore in un’atmosfera d’altri tempi ma con un tocco contemporaneo, fra design minimal e offerta moderna e originale. 

Un nuovo modello di bar

Un bar che coniuga l’antica atmosfera romantica dei caffè letterari a quella contemporanea delle caffetterie dei paesi nord europei, pensate per essere utilizzate non solo come luoghi di ristoro ma anche come spazi di condivisione, relax, locali in cui sorseggiare un buon caffè con calma godendosi la lettura di un libro o ultimando gli ultimi lavori al pc, avvalendosi del wifii disponibile. È il format vincente utilizzato da Starbucks e tante altre catene di caffetterie di stampo anglosassone, ma non solo. Sono sempre più, infatti, i bar indipendenti all’estero, ma anche in Italia, che stanno adottando questa formula.

È quello che si propone di fare anche il neonato Moleskine Café di Milano, inaugurato il 23 luglio 2016 nel cuore del Brera Design District, a corso Garibaldi. Dopo il primo Moleskine Café aperto all’aeroporto di Ginevra, definito dall’A.D. Berni come “l’alternativa contemporanea agli Starbucks”, il colosso dei taccuini punta ora sul capoluogo meneghino.

Caffè di qualità in un ambiente ricercato

E lo fa avvalendosi di una collaborazione di tutto rispetto nel campo caffeicolo. È Coffee Studio 7Gr, negozio specializzato in articoli e servizi per appassionati di caffè, dalle miscele e i monorigini in grani, ai corsi di formazione tenuti dai professionisti trainer Scae. L’azienda Sevengrams appartiene alle sorelle Mary, Angelita, Anna e Daniela Mauro, che selezionano accuratamente i chicchi per produrre caffè artigianali di livello a marchio 7gr.

Il locale si compone di linee minimal, essenziali, volumi netti. L’ambiente è predominato dai colori tenui e chiari, in contrasto armonico con il nero dell’ampio bancone dove, caffè a parte, è possibile degustare prodotti per la colazione dai lieviti alle paste, e proposte salate per una pausa pranzo veloce. Lo spazio si sviluppa su 2 livelli e conta anche un dehor esterno con qualche tavolino. Al piano inferiore, si trova il corner con gli ultimi prodotti delle collezioni Moleskine, dai taccuini alle penne, dalle borse alle diverse grammature dei fogli di carta.

Alla base del concept c’è Interbrand, società di consulenza del settore del design, che ha studiato l’arredamento del locale in modo da essere in perfetta sintonia con la filosofia che da anni guida l’azienda Moleskine: semplicità, essenzialità, eleganza. E il format che ne esce fuori è quello più all’avanguardia dei locali esteri, che restituisce il giusto valore alla pausa caffè, concepita come un momento di relax da dedicare a se stessi o da condividere con gli amici. Una sosta dal lavoro e dagli impegni quotidiani, ma anche un luogo dove rifugiarsi in cerca di concentrazione per scrivere, studiare, leggere. Una sintesi perfettamente riuscita fra i caffè letterari e i bar di ricerca, in cui vige il piacere. Della lettura e del buon caffè.

Colazioni intercontinentali e light lunch

A questo, si aggiunge la proposta della cucina, composta da 5 giovani chef. Si parte dalla colazione che va dai croissant francesi sfogliati alle “colazioni in vassoio”, come le ha definite Berni. Si tratta di “diversi menu in stile colazione da grande albergo. C’è l’opzione classica a base di pane, burro e marmellata, i salumi e i formaggi per rispondere alle esigenze dei clienti stranieri e la frutta fresca e lo yogurt per chi sceglie di iniziare la giornata con una colazione leggera”. Per il pranzo invece l’offerta è più snella e basata sui prodotti di stagione: “abbiamo tante insalate ricche, tutte con i germogli e altri ingredienti a seconda della disponibilità”. E poi i panini, o meglio, “gli open sandwich, fette di pane condite con verdure, pesce fresco o salumi del territorio”. Per le materie prime, la cucina del Moleskine Café si affida a piccoli fornitori locali, “cercando, laddove possibile, di utilizzare prodotti a km0”.

Moleskine Café | Milano | Corso Garibaldi, 45 | tel. 02 7200 0608 | www.facebook.com/Moleskine-Caf%C3%A9-Milan-Corso-Garibaldi

a cura di Michela Becchi

 

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