Quantcast
Channel: Gambero Rosso
Viewing all 5335 articles
Browse latest View live

Lorenzo Cogo riapre El Coq. A Vicenza tante anime in una: gourmet, bistrot, galleria, caffetteria e bottega

$
0
0

È passato meno di un mese dall'ultimo servizio di Marano Vicentino, e oggi, nel giorno del suo trentesimo compleanno, il giovane chef è pronto a riaprire in piazza dei Signori, nel cuore di Vicenza, dove rileva i locali del Caffè Garibaldi. Che continuerà a coesistere con il ristorante gourmet.  

30 anni e un nuovo inizio

30 anni. Tante sono le candeline che Lorenzo Cogo spegne il 19 luglio, che ha scelto di far coincidere con il primo giorno di un nuovo inizio, quello di El Coq che rinasce a Vicenza. E così mentre si appresta a entrare negli “enta”, il giovane chef che di carriera alle spalle ne può raccontare già molta sceglie di mettersi in gioco ancora una volta, ricominciando da dove aveva lasciato poco meno di un mese fa, dopo 5 anni di cammino, con alterne vicende, nella tranquillità di Marano Vicentino, a 30 chilometri dalla città.

La storia di El Coq fin qui, d'altronde, la conoscono tutti, come quella del suo chef e patron, che conquistava la prima stella a 25 anni. Poi è arrivato il restyling del ristorante, pochi tavoli e spazio minimal, tante idee per vivacizzare un'offerta che doveva saper farsi valere anche nella provincia più appartata, dal pranzo low cost alle colazioni di lavoro, agli eventi tematici in compagnia di colleghi e produttori del territorio. Non un ristorante gourmet come gli altri, insomma. Fino al 30 giugno 2016, quando El Coq come l'abbiamo conosciuto a Marano Vicentino ha chiuso i battenti, per sempre.

 

El Coq a Vicenza. Gourmet, caffetteria e bistrot

In vista un investimento molto più ambizioso (dopo aver rinunciato, per esempio, a curare la proposta di cucina del Caffè Pedrocchi di Padova, in cerca di un progetto tutto suo, sul modello dello chef/imprenditore), e soprattutto concreto, tanto che, come non capita spesso per problemi tecnici dell'ultimo secondo e rinvii di varia natura, la tabella di marcia dettata dallo chef e diffusa a mezzo stampa è stata rispettata a pieno. E allora eccolo il primo servizio di El Coq in piazza dei Signori, al civico 1 che per lungo tempo ha ospitato il Caffè Garibaldi, proprio dirimpetto alla Basilica palladiana di Vicenza. Un grande spazio, 750 metri quadri, distribuito su due piani, al primo il ristorante gourmet (con ingresso separato), l'anima di El Coq; su strada, invece, il Caffè Garibaldi dell'era Cogo, uno spazio destinato a caffetteria, cocktail bar, pranzi veloci in stile bistrot e colazioni con croissant a pasticceria della casa per tramandare la tradizione del luogo.

 

La proposta gastronomica e la “galleria d'arte”

Il Caffè aprirà solo in un secondo momento, per ora si comincia con la proposta gourmet, solo la sera: le prenotazioni sono già attive da qualche giorno, apertura sette giorni su sette e due menu degustazione da 5 e 8 portate, che affiancheranno una carta ancora top secret (da cui scegliere la formula 3 piatti a 70 euro). Per ora sul sito del ristorante campeggia il bel logo che celebra il trasferimento di El Coq, la basilica palladiana sullo sfondo, a firmaAle Giorgini. Ma l'intero locale si trasformerà in galleria d'arte per l'esordio (fino al 23 settembre), in collaborazione con Illustri: sulle pareti, infatti, prenderà forma la “gustosa mostra di illustrazione” Food Show, un allestimento inedito che coinvolge 35 tra i migliori illustratori italiani per un “menu” d'autore per tutti i gusti, che racconta il cibo tra piatti coloratissimi e ingredienti visionari.

 

La bottega: El Casolin

Ma Lorenzo Cogo ha scelto di dare spazio anche al rapporto con quel territorio che ha ispirato la sua cucina finora e continuerà a costituire un asse portante della proposta gastronomica. Così, al pian terreno ci sarà posto per El Casolin, una bottega di cose buone a tutti gli effetti, per la vendita al pubblico dei prodotti del territorio, di biscotti, torte e pane della casa. The show must go on, come amano dire da queste parti.

 

El Coq e Caffè Garibaldi | Vicenza | piazza dei Signori, 1 | dal 19 luglio (solo il gourmet) | per info e prenotazioni tel. 0444 330681 | www.elcoq.com


Demanio Marittimo.Km-278. Una notte sulla spiaggia di Senigallia con il panino tra la terra e il mare

$
0
0

Dalle 6 del pomeriggio fino all'alba del giorno dopo, sulla spiaggia di Marzocca per una notte culturale, tra arte, architettura, design e street food. Con il panino che celebra il territorio marchigiano e il gelato di un grande maestro artigiano. 

Il festival della cultura contemporanea

Un'altra notte d'estate all'insegna di Demanio Marittimo.Km-278. È quella che si appresta a vivere la spiaggia di Senigallia, sulla costa marchigiana, per la sesta edizione dell'happening dedicato alla cultura contemporanea e all'innovazione, tra arte, design, architettura e food. Il progetto, a cura di Cristiana Colli e Pippo Ciorra, scommette come ogni anno sulla possibilità di trasformare uno spazio pubblico in palcoscenico da condividere, per dodici ore ininterrotte, dal tramonto all'alba. E così, sulla spiaggia di Marzocca ripensata per l'occasione, il 22 luglio si incontreranno i protagonisti del festival promosso dalla rivista Mappe, che vede la collaborazione del MAXXI di Roma e del Comune di Senigallia, oltre al supporto di un'ampia rete di imprese, istituzioni e associazioni culturali. Nello spazio allestito sul tema delle migrazioni e delle nuove barriere che dividono l'Europa, ma pure tutto giocato sulla luce che anima l'allestimento 2016 a cura di un team della SAAD di Ascoli Piceno, si muoveranno personalità note del mondo dell'architettura, fotografi, pensatori, giornalisti, scrittori, ma anche artisti e performer internazionali. E tornano con un nuovo format anche gli Speed Talk di architettura e design.

Lo street food in spiaggia

Oltre ai palchi e agli spazi espositivi, avvolti in volumi luminosi che avranno il compito di evocare una costellazione luminosa nella notte di Senigallia, ci sarà spazio anche per lo street food, appuntamento ormai consolidato della manifestazione, che coinvolge ogni anno Mauro Uliassi in veste di giudice d'eccezione. Quest'anno il concorso di idee per la realizzazione del Demanio Marittimo Street Food se lo aggiudica la giovane Chadia El Karouachia, studentessa dell'Istituto alberghiero A. Panzini di Senigallia, che ai giudici ha presentato un “panino tra la terra e il mare”, designato come piatto ufficiale per la notte del 22 luglio per l'ispirazione che celebra l'unione tra colline, mare e monti che caratterizza le Marche e la cura del packaging di presentazione. Al dolce invece ci penserà un funzionale carretto dei gelati d'avanguardia, il Gelato Cow Joy, progettato per IFI da Riccardo Diotallevi, con l'intento di garantire la qualità di un gelato artigianale anche fuori dal laboratorio. E il prodotto in questione, per la notte sulla spiaggia, sarà quello di un grande maestro gelatiere come Paolo Brunelli, della gelateria e cioccolateria omonima a Senigallia, che proporrà un gusto esclusivo dedicato all'evento.

 

Demanio Marittimo.Km-278 | Marzocca, Senigallia (AN) | il 22 luglio, dalle 6 pm alle 6am | www.mappelab.it

I migliori ristoranti cinesi di Milano del 2017. Secondo la Guida del Gambero Rosso

$
0
0

Percorsi alternativi e ineludibili del mangiare a Milano: la cucina cinese tra ristoranti gourmet e street food di qualità, passando per trattorie tutte da scoprire.

La cucina etnica, in Italia, passa da qui. Primo a intercettare mode e a diffonderle, a generare nuove ossessioni, talvolta a privarle di contenuti fino al momento di reinterpretarle da capo, il capoluogo lombardo è il centro nevralgico e internazionale dell'Italia che si riunisce intorno a un tavolo. O davanti a un bancone. Sì, perché le nuove modalità di fruizione fanno tutt'uno con l'apertura verso altre tradizioni. Ecco dunque che il riso alla cantonese ha fatto posto al sushi, la tempura al ramen e così via, immolando sempre nuovi sapori al santuario del gusto.

 

Cucina orientale ieri e oggi

Dimenticate i ristoranti patacca, quelli tutti cineserie, finte lacche, vassoi rotanti e falsi simulacri di un esotismo a buon mercato, quelli delle prime tavole cinesi della metà degli anni '80 (ma ne sopravvivono ancora parecchi di quel genere, eh) quando la cucina orientale era sinonimo di ristorazione di basso o bassissimo livello, fatta di surgelati e qualità scadente, di oscure cucine nei cui frigoriferi si raccontava si trovasse di tutto, appiattita su sapori indecifrabili e sempre uguali, ad appannaggio di ristoratori ignari, senza alcuna cultura gastronomica se non un vago ricordo dei loro luoghi d'origine, e ben disposti a plagiare materie prime e procedure a uso di un consumo sciatto e fagocitante del molto a poco prezzo. Così era allora, quando si moltiplicavano i primi ristoranti cinesi, con i tavoli rotondi e i menu chilometrici zeppi di nomi misteriosi o di banalità stile pollo alle mandorle e gelato fritto. Dimenticate quelli e dimenticate anche gli altri, quelli riservati a una élite che “se ne intendeva” (o faceva finta), vantava conoscenze oltre confine e oltreoceano e inforcava incerta le bacchette. Dimenticate tutto questo. È preistoria. Oggi, nell'epoca degli immigrati di seconda e terza generazione, dei millennials, delle distanze annullate, dei cibi etnici fin sugli scaffali della Gdo, si è formata un'imprenditoria che esce dalla nicchia di genere per entrare in quella della ristorazione tout court. Che non manca di mescolare le carte in tavola, forte di liste di vini da fare invidia a molti ristorati nostrani, di attente selezioni di prodotti, di declinazioni di nuovi concept e un lavoro sulle ricette che, scardinata la gabbia della fusion come si intendeva un tempo, propone semplicemente una cucina esotica moderna, spesso d'autore, esattamente come capita nelle nostre latitudini gastronomiche.

 

I Mappamondi

Ora che il ramen ha la stessa familiarità della pizza, che i wanton sono entrati nel nostro dizionario alimentare al fianco di pasta alla Norma e carpacci, si torna a credere, di nuovo, nella cucina orientale. Consumata senza clamori: un piatto e via, come fosse la più casalinga delle paste. Pizza e birra come noodles e cocktail? Perché no? Nulla vieta di unire suggestioni diverse per tavole che, si spera, saranno sempre più libere da confini imposti. Così nella Guida ai Ristoranti di Milano 2017 del Gambero Rosso abbiamo visto emergere, in modo sempre più evidente, i ristoranti esotici, per quantità e qualità. Tanto da meritare una classifica a se stante, individuata dal simbolo dei Mappamondi, da 1 a 3. E sono tanti, tantissimi, quelli che volano in alto. Tanto che abbiamo visto come una delle caratteristiche più interessanti del mangiare a Milano, quest'anno, sia il mangiare orientale. Partiamo dalla cucina cinese (con la selezione dei ristoranti a 2 Mappamondi). Ma non ci fermiamo qui.

 

Ba Asian mood

Ba Asian Mood | zona Wagner

Tre fratelli per tre locali. E questo di Marco Liu è il più "cinese" tra quelli della famiglia (gli altri sono Gong e il giapponese Iyo). E con questo intendiamo che è il più informale, vivace, semplice e meno glamour... ma non fatevi ingannare, lo stle è sempre quell superchic della famiglia Liu. Insomma, una specie di trattoria (almeno rispetto alle altre insegne) dove a fare la parte del leone sono le specialità della cucina cantonese, rivista in chiave leggera, insieme a una cucina di contaminazione dal forte accento orientale (in pieno "asian mood" come dice il nome) con proposte sempre azzeccate. Il servizio è attento e il menu è ricco per quantità e qualità dei piatti. Lunga e di piena soddisfazione la serie di dim sum, ricca la sezione di proposte al vapore (non perdete i cannelloni di riso con vari ripieni), poi spaghetti e riso nelle ricette più diverse, tante opzioni di carne e pesce (provate i crostacei, a partire dal "soft shell crab" al pepe nero di Sichuan). I dolci sono al vassoio, la cantina accompagna bene il cibo e comprende interessanti distillati, passione di Marco.

Ba Asian Mood | Milano | via C. Ravizza, 10 | tel. 02 4693206 | www.ba-restaurant.com

 

Bon Wei | zona Bullona

L'insegna è tra quelle che si possono chiamare, senza tema di smentita, cinesi di seconda generazione: elegante, con un servizio a regola d'arte e un'illuminazione suggestiva, e dove la cucina è questione anche di cultura del prodotto e delle ricette. In carta (quasi un centinaio di piatti) proposte che coprono più o meno tutto lo sfaccettato repertorio della cucina cinese, non solo quella cantonese. Ci sono i grandi classici (e assaggiarli qui vi darà un buon parametro per il futuro): anatra alla pechinese, ravioli al vapore, riso e spaghetti in varie ricette, con tanto di verdure presentate a mo' di scultura (ebbene sì). Ma non mancano piatti come la pancetta croccante saltata, le costine di maiale ai cinque aromi, il rombo in salsa chili, l'astice saltato con zenzero. Se amate le zuppe non perdetevi quella agropiccante. Carta dei vini tra le migliori a Milano in questa categoria di ristoranti, ma in alternativa ci sono anche birre e tè cinesi.

Bon Wei | Milano | via L. Castelvetro, 16 | tel. 02 341308 | www.bon-wei.it

Dim Sum

Dim Sum | zona Venezia

I dim sum sono i piattini, il giro di sfizi e piccole golosità che in Cina accompagnano il tè, soprattutto a pranzo e si possono mangiare anche fuori pasto. Il fatto che il ristorante si chiami così suggerisce quale sia la proposta, decisamente più informale e leggera rispetto a quella tradizionale. Una lunga serie di roll, ravioli, involtini, saccottini e polpette (sfiorano la quarantina) che aprono – e talvolta chiudono – la cena, o magari la coprono dall'inizio alla fine. Volendo, però, ci si può sbizzarrire con zuppe, paste e riso, pollo, manzo e maiale, pesce (con rombo e branzino in prima fila) e verdure in scenografiche preparazioni. Completa il quadro la lista di tè (ottimi) e una cantina con una interessante e inaspettata sezione di bollicine, mentre il locale è decisamente bello e l'accoglienza affabile e cordiale.

Dim Sum | Milano | via N. Bixio, 29 | tel. 02 29522821 | www.dim-sum.it

 

Ghe Sem

Ghe Sem | zona Cadorna

Nuovo locale, nuovo format: dim sum (cibo informale cinese di cui i ravioli al vapore sono l'esempio più noto) e cocktail, in un abbinamento cui nessuno aveva ancora pensato. Lo hanno fatto poco tempo fa Fabrizio Casolo insieme ad altri soci in una formazione che non mancherà di incuriosire. Al mangiare ci pensa Daniele Ferrari (impegnato anche a La Pesa 1902), al bere Giovanni Parmeggiani, autore di un (ottimo) bere miscelato con sakè protagonista, pensato ad hoc per il cibo di cui sopra. A proposito: la fattura è certosina, i ripieni (circa una ventina di varianti) vi sapranno stupire. Per esempio gamberi, capesante, seppie, mascarpone e 'nduja, ossobuco e zafferano, storione e caviale, verdure e funghi. In più insalate, tartare, piatti e dolci sempre in stile fusion, e se avete voglia di divertirvi venite prima di cena al Drink Sum, l'aperitivo del Ghe Sem.

Ghe Sem | Milano | via V. Monti, 26 | tel. 02 45374300

 

 

Gog

Gong | zona Venezia

Il terzo locale della famiglia Liu (dopo Ba Asian Mood e il giapponese Iyo) è scenografico e molto suggestivo, soprattutto a cena. Un'atmosfera lussuosa e raffinata, decisamente elegante e mondana voluta da Giulia Liu. E rappresenta un'evoluzione rispetto alla proposta familiare: su una base cinese, moderna e curata, è stata innestata una visione giapponese nella tecnica e nell'impiattamento, per di più con prodotti a 360°. Il che porta a risultati mai banali, con qualche vertice d'eccellenza così come con qualche passaggio più d'effetto che di sostanza. Ma il menu è stimolante, non ci si annoia e si scoprono nuovi abbinamenti: tartare di gambero rosso di Mazara con salsa al mango e basilico shiso; yakisoba special allo scoglio (davvero curiosi); involtino di spigola e pak choi; pekin duck di Bresse che sorprende per qualità e gusto. Dolci della casa golosi e colorati. Eccellente cantina guidata dal giapponese Mototsugu Hayashi che ha raccolto la sfida di abbinare i migliori vini nostrani a questa originale cucina (per la cronaca affidata a un suo connazionale).

Gong | Milano | corso Concordia, 8 | tel. 02 76023873 | www.gongmilano.it

 

Lon Fon | zona Repubblica

Un piccolo ristorante curato e garbato caratterizzato da una cucina vera ed elegante. La proposta non si discosta molto da quella “classica” dei cinesi in Italia, ma la differenza la fa la qualità, dalla materia prima alla realizzazione dei piatti, con una mano particolarmente felice, inoltre raccontata da un servizio preciso e gentile. Ai fornelli da sempre c'è Rita Tsui, coadiuvata dai figli in sala. La specialità del locale sono i ravioli, di carne e pesce, sia al vapore che alla piastra, preparati in casa e serviti fumanti: sono deliziosi e da soli giustificherebbero la visita. Ottima inoltre l'anatra alla pechinese, fatta come vuole la tradizione con le crepes maison, e soprattutto sempre presente in carta senza dover essere ordinata prima (come in genere avviene a causa della lunga e laboriosa preparazione). La sala è piccola (prenotate) senza eccessi di sfarzo. Conveniente il rapporto qualità/prezzo (a pranzo ancora di più).

Lo Fon | Milano | via Lazzaretto, 10 | tel. 02 29405153

Mandarinn

Mandarin 2 | zona viale Abruzzi

Anche il cibo italocinese ha il suo valore quando realizzato con attenzione, a partire dal pollo freddo in vino cinese, ai ravioli di gamberi al vapore, dai wanton fritti alla zuppa di pollo con i funghi, fino ai noodle con carne e verdure. Il pollo e i gamberi sono tra i cardini del menu, con tante, tantissime proposte dedicate. Non mancano special della casa come il salmone in salsa agrodolce, il vitello con funghi e bambù. L'atmosfera è piacevole, gli arredi curati, l'ambiente pulito e lineare, il servizio cortese. Non male neanche la carta dei vini affiancata dalla canonica proposta di bibite.

Mandarin 2 | Milano | via B. Garofalo, 22a | tel. 02 2664147 | www.mandarin2.it

Mi cucina di confine

MI - Cucina di Confine | zona Parco Sempione

Un bistrot orientale che ha convinto sin dai primi mesi di vita e diventato ben presto un riferimento per chi ama questo genere di cucina, aperta a qualche rivisitazione qua e là e con alcune incursioni nelle tradizioni limitrofe, senza un preciso copione. Il locale è etno-chic, con tanto legno e ferro a dominare nell'arredo insieme a mobili vintage per definire un ambiente decisamente piacevole. Nel menu, oltre alla Cina tradizionale e non (come per esempio nei dim sum con ripieni di ogni tipo), trovate i temaki giapponesi, piatti thai e malesi. Si passa dal classico pollo in crosta di mandorle al vitello saltato in salsa di fagioli neri, dalla sogliola stufata con bambù e funghi shitake agli involtini di salmone in salsa di mango. Difficile non divertirsi, anche se i sapori sono spesso intensi. Dolci al vassoio e cantina in linea con i migliori etnici di Milano

MI - Cucina di Confine | Milano | viale Cassiodoro, 5 | tel. 02 48513745 | www.mi-cucinadiconfine.it

 

Sarpi

Ravioleria Sarpi | zona Bullona

La Ravioleria è un posto molto semplice con menu all'osso: ravioli cinesi di manzo, maiale e vegetariani, e la tipica crespella di Pechino, Jian Biang, ripiena come i primi o di verdure miste. A fare la differenza - come sempre d'altronde - sono gli ingredienti: farine (miste bianca bio 0 e integrale) del Mulino Sobrino e uova, carni (quelle del vicino Walter Sirtori, rinomato macellaio meneghino con cui è nata una bella sinergia, emblematica delle trasformazioni che il mondo della cucina etnica sta affrontando). Non mancano ortaggi da aziende piemontesi e lombarde che Agie (il patron di questo street food con il piccolo bancone affacciato su strada) prende in bottega. Le verdure di stagione sono tritate a mano a punta di coltello, la speziatura è mirata, la fattura a prova di sfoglina. Li trovate già cotti e conditi con un filo d'olio o salsa di soia, o crudi da bollire a casa.

Ravioleria Sarpi | Milano | via Sarpi, 27 | tel. 331 8870596

 

Singapore | zona Parco Solari

Per gli amanti della cucina orientale è uno dei riferimenti principali in città, vuoi per l’ambiente piacevole anche se afflitto da tavoli un po' troppo ravvicinati, vuoi per l’assortimento di cantina che offre la possibilità di bere bene a prezzi ragionevoli (in alternativa birra, tè e sakè), ma è soprattutto la proposta gastronomica a convincere, con piatti classici della cucina cantonese preparati con buone materie prime e cotture precise, soprattutto per il branzino al vapore, l’anatra arrosto con spezie, i calamari stufati in salsa di soia. Da non perdere gli antipasti caldi (ottimi i ravioli di gamberi), le zuppe (tofu con verdure, per esempio, pinne di pescecane oppure mais con pollo) e gli spaghetti di riso alla Singapore (con manzo, gamberi e verdure saltate in padella con il curry).

Singapore | Milano | via V. Foppa, 40 | tel. 02 48952129

 

Tesoro | zona Cimitero Monumentale

Arrivarci non è semplicissimo: nel bel mezzo della cinesissima via Sarpi, è un locale nascosto al primo piano del piccolo "mall" asiatico tra via Paolo Sarpi e via Rosmini, tutto neon e luccicanze. Seguite scrupolosamente le indicazioni: evitare l'ascensore (che spesso non funziona), dribblare un altro cinese dove si rischia di finire per errore, ed entrare senza esitazioni in una specie di grande tavola calda non troppo glamour. A questo punto c'è la seconda inevitabile fase: non lasciarsi intimorire e capire le regole del gioco. Che sono quelle del pasto a prezzo fisso (meno di 20 euro) che vede protagonista un brodo a scelta (normale, piccante eccetera) servito in un pentolino poggiato su una piastra a induzione fissata al tavolo e di intensità regolabile. Dentro potrete cuocere una notevole quantità di ingredienti da pescare in un buffet ricco quanto ostico: le scritte sono in cinese ma il personale (e anche gli altri clienti) sono pronti a consigliare. Ci sono pesci, crostacei, carni, tofu, ortaggi, funghi, germogli, e anche molti “oggetti” misteriosi. Si possono fare vari giri, il brodo viene periodicamente rabboccato. Ci si può pure far grigliare una meno ricca serie di prodotti da un omino (decisamente accaldato). Tutto abbondante e freschissimo. Tutto autentico e perfino pop. La prima volta si fatica, la seconda ci si diverte.

Tesoro | Milano | via A. Rosmini, 14 | tel. 02 34938027

 

Guida Milano 2017 Gambero Rosso | Prezzo: 10€ | disponibile in edicola, in libreria e online

 

a cura di Antonella De Santis

 

 

Sarpi

Ravioleria Sarpi | zona Bullona

La Ravioleria è un posto molto semplice con menu all'osso: ravioli cinesi di manzo, maiale e vegetariani, e la tipica crespella di Pechino, Jian Biang, ripiena come i primi o di verdure miste. A fare la differenza - come sempre d'altronde - sono gli ingredienti: farine (miste bianca bio 0 e integrale) del Mulino Sobrino e uova, carni (quelle del vicino Walter Sirtori, rinomato macellaio meneghino con cui è nata una bella sinergia, emblematica delle trasformazioni che il mondo della cucina etnica sta affrontando). Non mancano ortaggi da aziende piemontesi e lombarde che Agie (il patron di questo street food con il piccolo bancone affacciato su strada) prende in bottega. Le verdure di stagione sono tritate a mano a punta di coltello, la speziatura è mirata, la fattura a prova di sfoglina. Li trovate già cotti e conditi con un filo d'olio o salsa di soia, o crudi da bollire a casa.

Ravioleria Sarpi | Milano | via Sarpi, 27 | tel. 331 8870596

Il gelato a modo mio. Qualità, battaglia dei prezzi e consigli pratici nel manuale di Simone Bonini

$
0
0

Tecniche e strumenti, ingredienti e ricette. Ma non solo. Manuale dall'anima ibrida, l'ultimo lavoro del gelatiere toscano per Giunti racconta il mestiere che ha portato al successo Carapina. E il suo gelato artigianale. Per davvero. 

Il manuale del gelato casalingo firmato Simone Bonini

Oggi è più difficile riconoscere una buona gelateria”. Esordiva così qualche tempo fa Simone Bonini interpellato su quel mestiere di cui ha fatto una missione, lui mastro gelatiere dal piglio fiorentino, paladino del biologico e del prodotto da filiera certa. Qualità nascoste all'interno di una Carapina (tante carapine), come il nome che ha scelto per il suo laboratorio, la bottega di piazza Oberdan a Firenze e il punto vendita di via dei Lamberteschi, ma pure il negozio romano, in via dei Chiavari. E ora anche la gelateria su ruote, a bordo di un food truck. Un piccolo impero del gelato artigianale che non gli ha tolto la voglia di spendersi per valorizzare il suo mestiere, spirito di contraddizione compreso, facendone una personalità indiscussa del settore gastronomico tout court. E allora eccolo Il gelato a modo mio. Tutto l'anno nella cucina di casa, l'ultima “fatica letteraria” di Simone Bonini, in libreria dal 3 agosto per Giunti editore.

Estate piena, e torrida: impossibile resistere a un buon gelato. E perché no, provare a realizzarlo in casa. A passare in rassegna le sezioni del libro (192 pagine in tutto), l'ultima pubblicazione dell'artigiano fiorentino potremmo considerarla un manuale pratico, che spazia dalla scelta degli ingredienti alla descrizione delle attrezzature utili allo scopo, dalle tecniche di preparazione del gelato alle ricette suggerite dal maestro.

Il mestiere del gelato oggi. Soldi contro qualità?

Ma, ben oltre il divertissement casalingo, il testo contribuisce a ribadire alcuni punti essenziali della filosofia del gelatiere Bonini, che mette insieme una serie di riflessioni sullo stato dell'arte e sul destino di un settore di cui delinea luci e (tante) ombre. Ben lontano dal livore di certe sterili polemiche, per carità, ma convinto assertore del proprio pensiero, nella veste del divulgatore che accorre in soccorso del pubblico, senza prendersi troppo sul serio. E allora, più che l'excursus sulla storia del gelato in Italia o l'introduzione del “Simone Bonini, libero pensatore, curioso e visionario”, la riflessione sul prezzo giusto ci sembra quanto mai utile per comprendere l'approccio di un visionario, come si definisce lui, che non dimentica di essere imprenditore.

A Bonini il tema sta molto a cuore, ne abbiamo già parlato in altre occasioni. Il manuale gli dà occasione per ribadirlo: “Mi pare chiaro ed evidente” sostiene a pagina 18, al paragrafo significativamente intitolato Soldi contro qualità “che i più penalizzati in questa guerra alla sopravvivenza siano i virtuosi del settore: quel 10% di produttori che si ostina a lavorare gran parte dei gelati nel proprio laboratorio, manipolando materie prime di qualità con costi altissimi, ormai insostenibili”.

Il listino prezzi ideale e il galateo del gelato

Ma allora è vero che c'è “un prezzo giusto per ogni sapore”? Spesso tratto in inganno dal fatto di non sapere bene come si produce un gelato, il consumatore continua a sottovalutare il problema. Bonini, dal canto suo, la battaglia sul prezzo non vuole rinunciare a ingaggiarla: il prezzo deve essere adeguato alle spese. “Com'è possibile servire un cono o una coppetta da 1,50 euro con due gusti di gelato fatti a base di latte e panna freschi, magari con i frutti di bosco?” si chiede nel libro Bonini. Un business così non sta in piedi, a meno di rinunciare a ingredienti freschi e lavorazioni artigianali. Proposte per un listino ideale? Prezzi diversificati per gusto: più bassi per sorbetti di frutta fresca di stagione, più alto per le creme a base di frutta secca o con liquori. Come in pizzeria, insomma, dove ingredienti diversi determinano la variazione di prezzo.

Sono sicuro che non potrete non schierarvi al mio fianco” conclude Bonini chiamando all'azione i lettori. Prima però gli fornisce un'utile infarinatura di Galateo del gelato, per tornare a non prendersi troppo sul serio. Lo sapevate che servire in tavola una coppa mista non è mai elegante? Ai vostri ospiti proponete non più di due gusti, in accordo col menu. E che una coppetta di sorbetto al vermut può sostituire un calice da dopocena? Gli altri suggerimenti scopriteli nel libro.

 

Il gelato a modo mio. Tutto l'anno nella cucina di casa | di Simone Bonini | Giunti Editore | 192 pp. | 19,50 euro | disponibile dal 3 agosto | www.giunti.it

 

a cura di Livia Montagnoli

Foto di Sarah Scaparo

I migliori ristoranti giapponesi di Milano del 2017. Secondo la Guida del Gambero Rosso

$
0
0

Una volta c'era solo il sushi e tutt’al più il sashimi e la tempura: adesso la cucina giapponese che si può provare è molto più varia. Soprattutto a Milano.

Tra i piatti tipici di Milano possiamo annoverare anche il sushi, tanto la cucina nipponica è entrata nella cultura gastronomica della città. Che ne ha intercettato per prima le potenzialità e l'ha trasformata dall'interno, forte di una rivoluzione fusion che ormai è, a buon titolo, riconoscibile come una cucina italo-nipponica (o nippo-italiana). Fatta di materie prime, ispirazioni, tecniche e suggestioni mutuate da una filosofia gastronomica all'altra. Ma i tempi sono ormai maturi per superare anche la triade tradizionale sushi-sashimi-tempura per portare sul piatto carni grigliate, zuppe, e altre pietanze fino a poco tempo fa ignorate dai più. E non è l'unica novità: perché la ristorazione giapponese è ormai una questione di alta cucina non di luogo di origine. Non più ad appannaggio di cuochi e ristoratori del Sol Levante, le tavole nipponiche sono frutto dell'impegno di italiani, cinesi, cingalesi. Svincolati da preconcetti non c'è altro parametro che quello del gusto e della qualità. E a Milano non mancano molte soddisfazioni. Ne abbiamo avuto testimonianza ancora una volta nella Guida Milano 2017 del Gambero Rosso, edizione numero 26 della guida cittadina che monitora tutto il buono da mangiare e bere del capoluogo lombardo. Quasi 1500 indirizzi e poco meno di 200 novità in 288 pagine (32 in più dello scorso anno) in cui spiccano le tavole etniche, valutate con i Mappamondi: da 1 a 3 secondo il livello raggiunto. Quello che vi proponiamo oggi è l'elenco dei migliori giapponesi, a 2 e 3 Mappamondi (assegnati a Iyo della famiglia cinese Liu, e al cingalese Wicky Pryan) ma sulla guida ci sono tanti altri ristoranti giapponesi, oltre a questi. Acquistate la Guida 2017 per scoprirli. Qui invece l'elenco dei migliori ristoranti cinesi.

 

Basara

Basara | zona Tortona e zona Duomo

Basara significa anticonformista, e questo promette questa insegna: un'offerta diversa da quella solita giappo. Sushi e sashmi, sì, ma con qualcosa di diverso: un pizzico di creatività a rinnovare i classici tmaki, uramaki &co. Ma è forse sul fronte dolce che rimarrete più stupiti, con una pasticceria basata sugli ingredienti del Sol Levante, come per il daifuku, un dolce di pasta di riso ripieno di marmellata di fagioli azuki. Due sedi, entrambe centrali ed entrambe con un ambiente minimale ed elegante, che si trasforma nei diversi momenti della giornata. Apprezzabili i servizii di take away e di consegna a domicilio.

Basara | via Tortona, 12 | tel. 02 83241025 | www.basaramilano.it

Basara | corso Italia, 6 | tel. 02 72020141 | www.basaramilano.it

 

Bento

Bento Sushi Restaurant | zona Garibaldi

Non ci sono solo sushi e sashimi (talvolta abbinati alla frutta) qui: c'è una felice contaminazione tra cucina nipponica e cucina mediterranea, spunti creativi e suggestioni varie. Come nel sushiburger di anguilla o nelle tartare che brillano per originalità (un esempio? Quella di salmone, avocado, cream cheese e mandorle tostate). Non mancano poi scottati (astice alla fiamma oppure tonno al sesamo ed erba cipollina), insalate (ad esempio quella con germogli di soia) e aperitivo con le Bento Tapas, ovviamente d’ispirazione nipponica. Italia-Francia in cantina con diverse etichette interessanti. L'ambiente è elegante e curato, minimalista nipponico, il servizio è preciso, cortese e puntuale. Take away e delivery serale.

Bento Sushi Restaurant | corso G. Garibaldi, 104 | tel. 02 6598075 | www.bentosushi.it

 

Fingers garden

Finger's | zona Porta Romana e zona Zara

Da più di 10 anni Roberto Okabe ha trovato la sua collocazione nella ristorazione meneghina. A partire dal 2004, quando ha aperto il primo locale, intimo e suggestivo, in zona Porta Romana, poi affiancato dall'altro, più spettacolare alle porte dell'Isola. La sua è una proposta nippo-brasiliana che in origine poteva sembrare eversiva, ma poi ha conquistato un pubblico fedele e si è ritagliata un suo spazio, al riparo da tanti (troppi) esperimenti di mix non sempre azzeccati. Oggi sushi, sashimi, tempura, nighiri, maki sono più puliti ed essenziali di qualche anno fa mentre i piatti "suoi" (Saudade do Brasil, i carpacci della casa, il Taiyo e Luna) non perdono smalto. Si potrebbe fare meglio sui dessert (buoni ma al vassoio) e sulla cantina, sulla media della categoria, ma la cucina, il servizio efficiente e la vivacità degli spazi (soprattutto il Garden in estate è gettonatissimo).

Finger's | via San Gerolamo Emiliani, 2 | tel. 02 54122675 | www.fingersrestaurants.com

Finger's Garden | via G. Keplero, 2 | tel. 02 606544 | www.fingersrestaurants.com

Fukurou

Fukurou | zona Lorenteggio

Cucina tradizionale realizzata in modo convincente, locale piccolo ma curato (meglio prenotare!) dove ogni ospite è accolto sempre con garbo e cortesia. Il menu è piuttosto ampio, quindi oltre a sushi e sashimi in diverse declinazioni, si trovano parecchi spunti, a partire da piatti vegetariani e ottime zuppe, passando per proposte come la guancia di ricciola alla griglia, il tonno scottato con salsa di bergamotto, peperoncino e pepe nero, il pollo fritto con salsa tartara, il maiale stufato con le verdure. Per tutti. Però, rimangono i punti di forza dell’offerta: l’ottima qualità delle materie prime e la grande attenzione dedicata a presentazioni e condimenti. Carta dei vini limitata a poche etichette e una formula pranzo più veloce e informale, dall’interessante rapporto qualità/prezzo.

Fukurou | via A. T. Trivulzio, 16 | tel. 02 40073383

Iyo

Iyo | zona piazza Firenze

È uno dei più importanti e (giustamente) rinomati ristoranti giapponesi di Milano. Ed è nato da una famiglia cinese che annovera tra le sue insegne, anche i due cinesi Gong e Ba Asian Mood. La famiglia. Liu è la garanzia di una ristorazione di alto livello, curatissima in ogni dettaglio: dagli arredi supereleganti al servizio estremamente professionale e preciso, dalla materia prima eccellente alle proposte ricche e non banali, fino a una carta dei vini da rimanere a bocca aperta (con tante bollicine ed etichette internazionali). Insomma: punta a giocare nella serie A dei ristoranti meneghini, divincolandosi dai limiti del genere. In cucina (a vista) Michele Biasioni, sul banco sushi Haruo Hichikawa. Carta ricchissima che non gira tutta intorno ai crudi, ma mette a segno cose come nigiri Lobster (con astice, maionese all’acqua di pomodoro e caviale Kaluga Amur), il filetto di triglia scottato con olio caldo, cipollotto al sesamo, gelatina di limone allo zenzero e salsa al jalapeno o l'ardito Kamo (un'anatra di Barberie allevata in Italia con composta di tamarillo e miele di eucalipto, wakame e cipollina d’India confit). Perfino il dessert ha un suo perché: vedi lo yuzu con sorbetto ai frutti rossi, caprese al sakè di yuzu e croccante al pistacchio di Bronte.

Iyo | P. della Francesca, 74 | tel. 02 45476898 | www.iyo.it

 

Izu

Izu | zona Porta Romana

Mattoni grezzi, travi d’epoca e grandi lampade sono la cornice della grande passione del titolare. Che presenta un menu ricco di buone idee, in particolare su pesce e crostacei, sicuramente al top per la qualità e ben preparati. I piatti classici ci sono tutti, anche con qualche leggera contaminazione: innumerevoli le proposte di sushi e sashimi, carpacci e tartare, temaki e gunkan, accompagnate da fritture leggerissime. Più fantasia nelle portate principali: suzuki loto style (branzino in scrigno di loto con verdure e germogli di zenzero), Black Cod cileno al forno in salsa di miso, shoga yagi (filetto di Angus con ciliegino, baccelli di soia e shitake), tori j style (bocconcini di pollo con crema di curry giallo, fave di cacao polverizzate e menta). Il tutto da accompagnare non solo a uno dei vini presenti in carta, ma anche dai validi cocktail preparati nell'angolo bar. In chiusura minitorte di alta pasticceria e un buon gelato artigianale.

Izu | corso Lodi, 27 | tel. 02 59900221 | www.sushi-izu.it

Kitchen society

Kitchen society | zona Bullona

Non fatevi confondere dai Pata Negra appesi al soffitto: qui si mangia (anche) sushi. In una versione meno filologica, certo, e l'incontro di suggestioni gastronomiche risulta evidente sin dal menu, dove campeggiano tartare di ispirazione californiana, tonno tonnato, biscotti di crostacei, hamburger di salmone. Per il resto ci sono uramaki e roolls che prendono a piene mani dalle materie prime nostrane, extravergine in primis. Mentre da bere ci si può sbizzarrire anche sul fronte miscelato. È frutto del lavoro e dell'inventiva di Alex Seveso, anima e motore di questo locale, che trova un riferimento nel Caffè Vespucci, "quasi" gemello a Ispra (via lungolago Amerigo Vespucci 78, tel. 0332 781589).

kitchen society | via G. Chizzolini (ang. via P. della Francesca) | tel. 340 6763939 | www.kitchensociety.it

Al mercato

Al Mercato Noodle & Hot Dog Bar | zona Bocconi

Street food, ma asiatico, quello che ha fatto perdere la testa a Beniamino Nespor ed Eugenio Roncoroni. I due artefici di questo locale (e non solo questo). La versione asiatica di Al Mercato, è approdata a Milano con discreto anticipo rispetto alla moda imperante. Il posto è piccolo, due piani, pochi tavoli e tanti clienti affezionati: il paradiso per chi ama i noodle di ogni tipo, saltati o in brodo, in più ricette. Ma la carta offre altre pietanze: yakitori con diversi tagli di carne, piatti in stile thai con curry, asian sandwich (dal panino vietnamita al ramen burger), dumpling (ravioli alla piastra con vari ripieni) e sfiziosità gourmet (a prezzi ovviamente superiori) come il poke o le bbq ribs del Sichuan. Per i neofiti ci vuole un po' di coraggio, per chi se ne intende è godimento puro, "bagnato" da qualche vino e cocktail studiati per trovare il non facile abbinamento con i cibi.

Al Mercato Noodle & Hot Dog Bar | via Bligny, 3 | tel. 02 87064275 | www.al-mercato.it

Nozomi

Nozomi | zona Venezia

Giapponese, sì, ma no crudo. Nozomi svicola dall'apparente obbligo della copia sushi-sashimi per approdare a una proposta di cotti in vari modi. Troneggia il ramen: comfort food a base di noodle di frumento, serviti in brodo di carne o pesce, cui sono dedicate in menu quattro varianti - con verdure, soia, miso, macinato - e vari accompagnamenti. Ci sono poi tempura, udon, shabu shabu, ravioli, ben fatti e con ingredienti di qualità, proposte stagionali e una bella lista di sakè (della stessa gestione la Saketeca GO, vedi scheda). Ambiente semplice, servizio cortese e veloce.

Nozomi | via P. Calvi, 2 | tel. 02 76023197 | www.nozomi.milano.it

Qor

Qor | zona Wagner

È stato uno degli apripista della buona fusion: mix sensato e di grande gusto di cucina giapponese e italiana. E a distanza di tanti anni dall'apertura con tutte le rivoluzioni gastronomiche avvenute all'ombra del Duomo, ha ancora un pubblico fedele e trasversale viste anche la tranquillità dell'ambiente, il piccolo dehors e la zona defilata. Scegliete i Qor Creation, ne vale la pena. Si tratta di coni croccanti, light roll, nigiri scottati, kaly kaly. Sul fronte “classico” (ovviamente nipponico) ci sono sushi di ogni tipo - consigliamo gli uramaki - e sashimi. Poi ravioli, cirashi e fritti di carne e di pesce. Per assaggiare un esempio di quella fusion di cui vi parlavamo, provate i famosi udon liguri, gli spaghetti di riso saltati con pinoli, patate, seppia e pesto. Chiusura affidata a un dolce del vassoio. La cantina è quella tipica di un buon etnico.

Qor | via Elba, 30 | tel. 02 463091 | www.qor.it

Sushi b

Sushi-b | zona Brera

C'è la la veranda coperta con il giardino verticale di ordinanza, per essere in linea con i gusti della città in fatto di ambientazioni. Lo spazio esterno è l'ideale per un aperitivo - e i cocktail sono molto validi – o per la cena nei mesi caldi. Al primo piano c'è il ristorante vero e proprio, con tavoli ben distanziati, poltrone comode, un banco teppanyaki (con zona cottura separata dai clienti). Nel seminterrato c'è il sushi bar e il privé con chef table per dieci persone. Insomma: un locale articolato e molto raffinato dove la cucina tiene il passo: carpacci e tartare equilibrati, sushi/sashimi con 25 tra pesci, molluschi e crostacei (il mix "creativo" è esemplare), tempura pure solo di verdure, roll e hosomaki. C'è tanto Giappone ma pure parecchia fusion, Su tutto una grande tecnica che affianca la materia prima, ma non perde di vista il sapore principale. Cantina precisa, servizio giovane che funziona bene anche nei momenti di affollamento.

Sushi-b | via Fiori Chiari, 1a | tel. 02 89092640 | www.sushi-b.it

Wicky

Wicky's Wicuisine Seafood | zona Duomo

Wicky Pryan è un personaggio dalla biografia romanzesca, esponente di una delle migliori espressioni della fusion. In questa nuova sede Wicky mette in pratica la sua filosofia culinaria che si nutre di suggestioni, di una segreta sublime armonia che lui ricerca con costanza. Una visione panoramica riguardo gli ingredienti gli fa attingere da una tavolozza ampia che va dai prodotti nostrani a tutto il mondo, pur avendo come punto di partenza un'idea di cucina giapponese. Piatto esemplare di questo approccio enciclopedico è il carpaccio dei cinque continenti: salmone, ricciola, tonno e branzino conditi da una salsa con una trentina di spezie provenienti da diverse parti del mondo nella quale i vari pesci vengono marinati per due settimane. Ma anche il sushi milanese con il riso allo zafferano dà la misura dei risultati che può raggiungere una felice contaminazione. I prezzi sono importanti, ma a pranzo c'è proposta semplificata a 45 euro e un soddisfacente Bento box. Si beve bene, con tanti bianchi e tante bollicine e un vasto assortimento di sakè per terminare. Il servizio è ieratico, comunque perfetto.

Wicky's Wicuisine Seafood | corso Italia, 6 | tel. 02 89093781 | www.wicuisine.it

Yazawa

Yazawa | zona Moscova

Un giapponese specializzato in carne, quella Wagyu per la precisione. Il manzo famoso in tutto il mondo per la sua succosità e l'ottimo rapporto tra magro e grasso. Non certo per la sua convenienza: il costo di produzione e importazione di questo prodotto è altissimo. Questo dà la misura dei prezzi di questa insegna, punto di riferimento per questo prodotto nel capoluogo meneghino. I menu degustazione vanno da 90 a 150 euro, non proprio alla portata di tutti. Il piatto principale (caratterizzato da diversi tagli di carne) viene preceduto da antipasti caldi e freddi come namban (pesce in carpione giapponese), polpo piccante con bastoncini di verdure e Wakame (zuppa di alga). Grazie alle griglie (yakiniku) sul tavolo, le fettine di Waygu possono essere cotte direttamente dai commensali. Per accompagnare il tutto si sceglie da una fornita carta dei vini.

Yazawa | via San Fermo, 1 | tel. 02 36799710 | www.yazawa.it

Yoshi

Yoshi | zona Moscova

La proposta è orientale, nipponica per la precisione, ma no mancano anche incursioni fusion e creative. Di grande soddisfazione. La base sta tutta nella selezione delle materie prime, tutte di alta qualità e scelte con cura, ma bisogna ammettere che al resto ci pensa la bravura dello chef. Che convince già dalle tartare in apertura, tutte veramente gustose e ben fatte per passare poi ai maki con salmone selvaggio o tonno rosso, ma anche alla tempura e ai pesci al vapore. Vale la pena lasciare un po' di spazio pure per i golosi dolci. Il conto finale è in linea con il livello della proposta e del servizio.

Yoshi | via G. Parini, 7 | tel. 02 36591742 | www.ristoranteyoshi.com

Zazà rmen

Zazà Ramen | zona Moscova

Una trattoria nipponica vera, che non occhieggia agli inevitabili sushi e sashimi, ma si basa su uno dei cibi popolari più amati a Oriente (e negli ultimi tempi anche qui in Occidente): il ramen. Tagliolini di frumento in brodo con carne, pesce o verdure. Funziona così: ognuno sceglie la combinazione che preferisce (c'è anche l'opzione vegetariana), ingannando magari l'attesa con yaki-gyoza, yaki-tori e sfizi vari, e altre proposte da sbocconcellare che sono però solo il contorno della zuppa, e chiudendo poi con gustosi dessert. La versione proposta va sì incontro ai gusti occidentali, ma è naturale (senza additivi) e a cottura espressa. La sala è confortevole, con tavoli creati da legni tagliati in sezione. Si beve vino italiano, birre, distillati e liquori della tradizione del Sol Levante, sakè e shochu (i distilati di riso, grano saraceno o patate dolci) o le bevande al tè verde.

Zazà Ramen | via Solferino, 48 | tel. 02 36799000 | www.zazaramen.it

Zero

Zero Contemporary Food | zona Magenta

Lo spettacolo dal bancone ha sempre il suo fascino: il taglio e la preparazione di sushi e sashimi sono momenti imperdibili per gli appassionati. Ma anche la sala ha il suo perché, soprattutto per chi vuole rilassarsi e godersi il cibo in tranquillità. E il cibo è nipponico, ma non solo: oltre alla tradizione del Sol Levante, infatti, ci sono diversi abbinamenti insoliti e creativi, con accostamenti originali, rivisitazioni e contaminazioni che rendono questo posto un indirizzo sempre poliedrico e originale. Ma anche il bere qui ha molto da dire: con una carta dei vini molto interessante, con una discreta selezione di bollicine italiane e d'Oltralpe.

Zero Contemporary Food | corso Magenta, 87 | tel. 02 45474733 | www.zeromagenta.it

 

Guida Milano 2017 Gambero Rosso | Prezzo: 10€ | disponibile in edicola e libreria | clicca qui per acquistare la guida online

 

a cura di Antonella De Santis

Iyo | zona piazza Firenze

È uno dei più importanti e (giustamente) rinomati ristoranti giapponesi di Milano. Ed è nato da una famiglia cinese che annovera tra le sue insegne, anche i due cinesi Gong e Ba Asian Mood. La famiglia. Liu è la garanzia di una ristorazione di alto livello, curatissima in ogni dettaglio: dagli arredi supereleganti al servizio estremamente professionale e preciso, dalla materia prima eccellente alle proposte ricche e non banali, fino a una carta dei vini da rimanere a bocca aperta (con tante bollicine ed etichette internazionali). Insomma: punta a giocare nella serie A dei ristoranti meneghini, divincolandosi dai limiti del genere. In cucina (a vista) Michele Biasioni, sul banco sushi Haruo Hichikawa. Carta ricchissima che non gira tutta intorno ai crudi, ma mette a segno cose come nigiri Lobster (con astice, maionese all’acqua di pomodoro e caviale Kaluga Amur), il filetto di triglia scottato con olio caldo, cipollotto al sesamo, gelatina di limone allo zenzero e salsa al jalapeno o l'ardito Kamo (un'anatra di Barberie allevata in Italia con composta di tamarillo e miele di eucalipto, wakame e cipollina d’India confit). Perfino il dessert ha un suo perché: vedi lo yuzu con sorbetto ai frutti rossi, caprese al sakè di yuzu e croccante al pistacchio di Bronte.

Iyo | P. della Francesca, 74 | tel. 02 45476898 | www.iyo.it

 

Izu | zona Porta Romana

Mattoni grezzi, travi d’epoca e grandi lampade sono la cornice della grande passione del titolare. Che presenta un menu ricco di buone idee, in particolare su pesce e crostacei, sicuramente al top per la qualità e ben preparati. I piatti classici ci sono tutti, anche con qualche leggera contaminazione: innumerevoli le proposte di sushi e sashimi, carpacci e tartare, temaki e gunkan, accompagnate da fritture leggerissime. Più fantasia nelle portate principali: suzuki loto style (branzino in scrigno di loto con verdure e germogli di zenzero), Black Cod cileno al forno in salsa di miso, shoga yagi (filetto di Angus con ciliegino, baccelli di soia e shitake), tori j style (bocconcini di pollo con crema di curry giallo, fave di cacao polverizzate e menta). Il tutto da accompagnare non solo a uno dei vini presenti in carta, ma anche dai validi cocktail preparati nell'angolo bar. In chiusura minitorte di alta pasticceria e un buon gelato artigianale.

Izu | corso Lodi, 27 | tel. 02 59900221 | www.sushi-izu.it

 

Kitchen society | zona Bullona

Non fatevi confondere dai Pata Negra appesi al soffitto: qui si mangia (anche) sushi. In una versione meno filologica, certo, e l'incontro di suggestioni gastronomiche risulta evidente sin dal menu, dove campeggiano tartare di ispirazione californiana, tonno tonnato, biscotti di crostacei, hamburger di salmone. Per il resto ci sono uramaki e roolls che prendono a piene mani dalle materie prime nostrane, extravergine in primis. Mentre da bere ci si può sbizzarrire anche sul fronte miscelato. È frutto del lavoro e dell'inventiva di Alex Seveso, anima e motore di questo locale, che trova un riferimento nel Caffè Vespucci, "quasi" gemello a Ispra (via lungolago Amerigo Vespucci 78, tel. 0332 781589).

kitchen society | via G. Chizzolini (ang. via P. della Francesca) | tel. 340 6763939 | www.kitchensociety.it

 

Torino città veg friendly. Il programma dell'Appendino e cosa pensano i ristoratori in città

$
0
0

Fa già discutere la scelta della neo-giunta 5 Stelle, che si propone di promuovere la dieta vegana e vegetariana per salvaguardare ambiente, salute e animali. A partire dalle scuole. Ma chi lavora nel settore che dice? 

La svolta 5 Stelle. La promozione della dieta vegana

Che l'insediamento di un sindaco 5 Stelle a Torino preannunciasse una svolta radicale, non era necessario aspettare le prime delibere della neonata giunta Appendino per intuirlo. Certo, la giovane sindaco designata per guidare il capoluogo piemontese per il prossimo quinquennio dimostra di avere le idee ben chiare, ma solo il tempo dirà quanto riuscirà a influire sulle prospettive di una città già di per sé culturalmente all'avanguardia e stimolante. E allora, pronti e via, il primo importante banco di prova sarà proprio il Programma di governo per la città di Torino 2016-2021, approvato solo poche ore fa durante la prima seduta del consiglio comunale. Il documento che indirizzerà la gestione della città nei prossimi anni, infatti, ripropone molti dei valori per cui il Movimento si batte da sempre, e, non troppo a sorpresa, tra gli obiettivi prioritari spunta La promozione della dieta vegana e vegetariana sul territorio comunale come atto fondamentale per salvaguardare l’ambiente, la salute e gli animali”. Apriti cielo: può la causa veg diventare motivo di interesse da parte di un'amministrazione cittadina? E se sì, come influirà questa campagna di sensibilizzazione sulle attività e le consuetudini locali?

Dieta vegana vs tradizione regionale. Perché?

Mentre qualcuno già le accusa di voler dichiarare guerra alla carne, in barba alle consolidate tradizioni gastronomiche piemontesi che del bollito misto con i suoi bagnet fanno il re della tavola, Chiara Appendino e il neo assessore all'Ambiente Stefania Giannuzzi fanno riferimento alla causa della sostenibilità, alla necessità di tutelare l'ambiente, il territorio e il benessere dei cittadini. Agendo anche sulle abitudini alimentari, perché no. In un contesto peraltro già favorevole a tutte quelle istanze che sulla dieta di qualità e la promozione dei prodotti del territorio fanno leva per proporre nel mondo l'immagine di una città gastronomicamente evoluta. Certo, il rischio che la proposta si trasformi in una lotta tra schieramenti contrapposti, con fanatismi di sorta da un lato e dell'altro, esiste e dev'essere scongiurato quanto prima.

D'altronde non molti sanno che nel panorama italiano Torino è già una delle città più evolute sul fronte dell'alimentazione vegetariana e vegana, e, a dispetto delle credenze popolari, il numero delle attività ristorative locali concentrate su questa proposta cresce esponenzialmente già da qualche anno. Ora, come ribadisce orgogliosa l'assessore Giannuzzi, non a caso vegetariana, “Torino è una delle prime città italiane in cui la dieta basata sul consumo di vegetali viene inserita tra le linee guida, ma in Europa sono molto più avanti”, e che la questione alimentare non debba limitarsi solo al contesto etico, ma pure alle conseguenze sull'impatto ambiental è un'urgenza già ribadita “dalla Fao e dall'Onu”. L'idea, quindi, non sembra affatto quella di demonizzare il consumo di carne, piuttosto far ricadere sotto la voce “promozione della cultura ambientale” la valorizzazione della filosofia vegana, con iniziative didattiche che si concentrino soprattutto sulle scuole.

Foto di Giorgio Violino

Le reazioni. Vegan e creativo si può: Soul Kitchen

Come la pensa chi lavora nel settore? Da tre anni Luca Andrè è lo chef di Soul Kitchen Vegan&Raw Restaurant, che sull'alternativa vegana ha costruito una proposta gastronomica fuori dagli schemi, obiettivo primario fare buona cucina, senza preconcetti o stereotipi: “Statisticamente Torino è la città più vegana d'Italia e una delle prime in Europa dopo Londra e Berlino. E quando 10 anni fa sono arrivato in città quest'apertura già si percepiva. Ora l'appoggio dell'Appendino non può che farci piacere, certo dovremo vedere cosa si riuscirà a combinare in concreto, non è facile sostenere una scelta spesso ridicolizzata, quando invece parliamo anche di salute, ambiente e sostenibilità”. Insomma, la città è molto ricettiva e la clientela (trasversale) non manca, anche per merito della professionalità dei ragazzi di Soul Kitchen (che ci aveva caldamente consigliato il barman Dennis Zoppi per la nostra guida del mangiar bene a Torino fatta dagli chef): “La cucina vegana non è solo gastronomia e piatti senza personalità. La nostra sfida è quella di lavorare su una cucina espressa, siamo 7 persone in brigata e 4 in sala. Lavoriamo per migliorarci ed essere d'esempio”. Come può aiutare il sostegno dell'amministrazione? “Sarebbe molto intelligente lavorare nelle scuole. Si parla di far girare testimonianze video di sensibilizzazione, insomma non il solito programma all'italiana. Per un'alternativa veg nelle mense scolastiche, invece, temo si dovrà ancora aspettare”.

Mezzaluna. Pionieri della cucina vegana

Gli fa eco Daniela Zaccuri, che già nel 1994 apriva in piazza Emanuele Filiberto la gastronomia bistrot vegana Mezzaluna, oggi punto di riferimento indiscusso per la comunità veg di Torino, ma frequentata anche da tanti clienti “onnivori”: “A cena riempiamo il locale senza problemi, 65 coperti e una clientela trasversale. Molti vengono da noi per sentirsi più leggeri, negli ultimi 3 anni la risposta è davvero cambiata”. Al netto delle mode - “pur considerando che dalla macrobiotica dei Novanta si è passati al biologico a tutti i costi, poi alla sua normalizzazione, e oggi assistiamo al boom vegano e crudista” - Torino ha cominciato a svegliarsi già nel 2001, “con l'organizzazione del primo Veg Festival, ormai un appuntamento importante”.

E l'impegno del neo sindaco? “Ci fa immensamente piacere. Già da tempo, in realtà, l'amministrazione ha scelto di interpellarci per rivedere la dieta nelle mense scolastiche, a partire dallo studio di pasti equilibrati, che comprendano più verdure. Vedremo cosa succederà”. Finora Torino ha risposto positivamente agli stimoli: “La cucina vegana sta vivendo una parabola crescente. E so di diversi istituti alberghieri in città che promuovono corsi sul tema proprio per formare i ragazzi in risposta alla richiesta crescente del mercato”.

Tre Galline. Baluardo della tradizione, con criterio

Ma Torino, come dicevamo all'inizio, è pur sempre un rifugio per cultori e nostalgici dell'autentica cucina regionale, e di rinunciare alla tradizione (per fortuna!) non se ne parla. Basta spostarsi di qualche metro, lasciato il locale di Daniela, per averne la conferma. In via Bellezia, zona Quadrilatero Romano, Tre Galline è un vero e proprio presidio della tradizione gastronomica torinese: “Convivere con le istanze vegane non è facilissimo” esordisce schietto il titolare Riccardo De Giuli La cucina piemontese è molto improntata alla carne; certo, noi abbiamo in menu anche un'alternativa vegetariana, dobbiamo poter accontentare tutti i clienti”. Ma sulla “radicalizzazione” dell'Appendino il parere non è pienamente favorevole: “La questione è mal posta, io sono contrario a qualunque imposizione, credo piuttosto nel mercato. E non necessariamente è sensato spingere la dieta vegana, piuttosto mi concentrerei sulla promozione di un'alimentazione equilibrata e sana”. Secondo un'evoluzione che del resto è già in atto, “dagli anni Ottanta molto è cambiato, il consumo di carne si è sicuramente ridimensionato, anche per motivi di salute ed ecologici. Dobbiamo mostrarci tutti attenti a queste esigenze”. La chiosa che mette tutti d'accordo? “Facciamo educazione alimentare”.

 

Soul Kitchen - Vegan & Raw Restaurant | Torino | via Santa Giulia, 2 | tel. 011 884700 | www.thesoulkitchen.it

Mezzaluna | Torino | Piazza Emanuele Filiberto, 8 | tel. 011 4367622 |www.mezzalunabio.it

Tre Galline | Torino | via Bellezia, 37 | tel, 011 4366553 | www.3galline.it

 

a cura di Livia Montagnoli

Foto di copertina di Giorgio Violino: Panino morbido alla zucca e nocciole con medaglione di seitan, Soul Kitchen

Milano premia il cibo sostenibile. Il bando per orti, catering, progetti che valorizzano la Food Policy

$
0
0

Sull'onda del progetto Food Smart Cities for Development, con il finanziamento dell'Europa, Milano promuove un bando di micro credito per le attività impegnate a migliorare il sistema alimentare metropolitano. Ecco come partecipare. 

Food Policy. Non solo promesse

Orti, catering, attività antispreco e tutte le idee concrete che possono aiutare Milano a trasformarsi in quella moderna capitale sostenibile che ambisce a diventare. L'obiettivo dell'ultimo concorso indetto dal Comune con il contributo dei finanziamenti europei è proprio quello di premiare le buone pratiche alimentari che proliferano nel capoluogo lombardo, sull'onda della Food Policy varata in occasione di Expo. Nel corso dell'ultimo anno le buone intenzioni, che molti temevano restassero disattese, sono state confermate da altrettante iniziative virtuose: l'impegno preso dalla città, che ha aderito al manifesto delle Food Smart Cities promosso da molte capitali internazionali, necessita di conferme continue e la strada da percorrere è ancora molta. Anche ora che sullo scranno del sindaco siede proprio Giuseppe Sala, commissario straordinario ai tempi della grande Esposizione Universale che ha restituito lustro e dinamismo a Milano.

Il bando. Per un sistema alimentare equo e sostenibile

Stavolta, in collaborazione con Equo Garantito, associazione che raggruppa molte organizzazioni del Commercio Equo e Solidale in Italia, il Comune si rivolge a tutte le attività ideate negli ultimi mesi per sostenere le buone pratiche locali sul cibo sostenibile, invitandole a partecipare al bando Micro-azioni per la creazione di un sistema alimentare locale più equo e sostenibile. In palio un premio di 2500 euro, che sarà corrisposto alle tre attività vincitrici.

Possono partecipare al concorso orti urbani e micro giardini, micro catering e gruppi di acquisto solidale, mercati contadini e tutte le attività che si impegnano per il recupero degli scarti e delle eccedenze alimentari, purché si tratti di progetti già in essere promossi da associazioni, Ong, comitati, imprese che abbiano sede nel territorio di Milano o nell'area metropolitana. Per iscriversi c'è tempo fino al 30 agosto 2016. Poi una giuria si preoccuperà di selezionare le migliori proposte, che il pubblico online voterà (tra il 5 e il 20 settembre) per decretare il podio, sulla base di criteri quali la replicabilità, la potenzialità di far bene su ampia scala, l'impatto sui beneficiari designati, il livello di innovazione e l'impatto sociale e ambientale.

Le priorità sono quelle di sempre, sottoscritte dal Comune di Milano tra gli obiettivi cardine della Food Policy: garantire accesso al cibo sano e acqua potabile, promuovere la sostenibilità del sistema alimentare,educare al cibo, lottare contro gli sprechi, sostenere e promuovere la ricerca scientifica in campo agroalimentare. E il bando, seppur garantendo un piccolo contributo (che però fa morale), mira proprio a valorizzare le proposte che vogliono migliorare il sistema alimentare metropolitano. Il bando e i moduli di partecipazione sono disponibili sul sito di Equo Garantito.

 

Il bando sul sito di Equo Garantito

I modelli di viticoltura: la pergola a bocca di lupo di Carema

$
0
0

A Carema le montagne scoscese hanno imposto un'imponente opera di architettura botanica per permettere alle viti di prosperare. Così nascono le pergole a bocca di lupo che tracciano labirinti irregolari sul profilo roccioso.

Il territorio

In alcuni territori la coltivazione della vite assume forme così caratteristiche da connotare il paesaggio in modo indelebile ed eterno. Tra questi particolari luoghi, possiamo sicuramente annoverare Carema e i suoi monumentali vigneti. Carema si trova in una terra di confine, oggi tra la Valle d’Aosta e l’Alto Piemonte, in passato limesdella Gallia e del regno di Borgogna. In questa zona, la tradizione vitivinicola ha origini millenarie e i vini di Carema erano apprezzati alle corti di Papi, principi e sovrani, fin dal lontano 1500. Una lunga storia, che ha contribuito a creare uno scenario paesaggistico di una bellezza e fascino incomparabili e un vino di qualità assoluta.

Per salire verso Carema, bisogna percorrere il maestoso anfiteatro morenico d’Ivrea. Un’area d’antica origine glaciale, creata dal lento trasporto di sedimenti rocciosi per opera del grande ghiacciaio della Dora Baltea. Un’enorme lingua ghiacciata, che occupava l’attuale bacino della Valle d’Aosta, scendendo verso la Pianura Padana. Un territorio d’origine morenica, che si stringe e si fa via via più angusto, mentre si sale verso lo stretto imbocco tra le montagne. A Carema, la vite è coltivata sulle ripide pendici rocciose del monte Maletto, a un’altitudine compresa tra i 350 e i 700 metri sul livello del mare. I vigneti seguono lo sviluppo della conca naturale della sinistra orografica della Dora Baltea, che scorre a fondo valle. Grazie a questa particolare posizione, possono godere del buon irraggiamento solare diurno, che mitiga il clima piuttosto freddo e battuto dai venti del nord. Un ambiente difficile per un vitigno esigente come il nebbiolo, che solo per opera dell’ingegno umano, ha trovato un habitat per esprimersi esaltando le sue caratteristiche di finezza ed eleganza.

 

I vigneti di Carema

Se si alza lo sguardo verso la montagna, non si crede ai propri occhi. Ci si trova di fronte a vigne che sono una splendida opera d’architettura e ingegneria. La parete è segnata da massicci gradoni scavati nella roccia viva e delimitati da muretti a secco. Dai muri di contenimento, salgono colonne troncoconiche (pilùn) realizzate in pietra e calce, distanziate circa 3 metri l’una dall’altra. I pilùn sorreggono un pergolato (topia), costituito da un reticolato di travi di castagno, che offre un naturale sostegno ai tralci della vite. I suoli dei terrazzamenti sono composti da terra d’origine morenica proveniente dal fondo valle e lo scorrimento delle acque piovane è regolato da una serie di condotte scavate nella roccia. Le terrazze sono collegate tra loro da un vero e proprio labirinto asimmetrico, apparentemente disordinato, di scale e sentieri, che seguono l’andamento della montagna.

La prima sensazione è di trovarsi al cospetto di un maestoso tempio dedicato al culto della dea vite. Un monumentale sito architettonico, che disegna geometrie ardite sulla roccia. Muri a secco, colonne, scale in pietra si alternano in un armonioso ordine compositivo, dando vita a un paesaggio unico e affascinante. Camminare tra le vigne di Carema è un’esperienza emozionante, ci si addentra in un luogo quasi fatato, in cui la natura e lavoro dell’uomo hanno trovato un perfetto equilibrio, frutto di una secolare convivenza. Questo ingegnoso apparato architettonico permette di coltivare la vite in condizioni quasi estreme.

 

L'impatto delle vigne sulle temperature, le viti e il territorio

Le vigne vivono in perfetta simbiosi con la montagna, sfruttando al meglio tutte le risorse di questo difficile territorio. I maestosipilùn in pietra, infatti, non hanno solo la funzione di sorreggere il pergolato, ma anche di accumulare il calore dell’insolazione diurna per restituirlo poi durante la notte. In questo modo addolciscono gli sbalzi termici e favoriscono una costante e lenta maturazione delle uve. Questa forma d’allevamento, chiamata in loco “pergola a bocca di lupo”, consente di sfruttare al massimo il calore del sole, che di giorno scalda la conca di Carema. Le pergole, addossate alla parete della montagna, proteggono le uve dai venti freddi che scendono dal nord dalla valle e i sostegni di castagno offrono un perfetto riparo ai grappoli, preservandoli dalle intemperie. Le topie sono completamente coperte dalle viti che, con la loro vegetazione, formano un tetto verde sopra i piloni di pietra. Natura e architettura si completano e compenetrano in perfetta armonia.

Le vigne hanno piante vecchissime, dai tronchi enormi, nodosi e contorti, vere sculture lignee. In una forma dall’allevamento di questo tipo, non può esistere la logica del reimpianto, ma solo la sostituzione puntuale delle fallanze con nuove piante. Tutto procede nel segno della continuità e della tradizione, secolare e immutabile, che mantiene le vigne nella loro struttura originaria. In un vigneto con queste caratteristiche, la vendemmia non può che essere manuale e solo piccoli mezzi riescono a inerpicarsi sui sentieri per portare le uve in cantina. Una forma di coltivazione faticosa, “eroica”, in cui il lavoro dell’uomo è legato indissolubilmente alla vigna, dalla sua progettazione e costruzione, alla costante opera di manutenzione, fino alla gestione del ciclo annuale delle piante, che con il suo eterno ripetersi, sembra racchiude l’essenza di questo incantato microcosmo.

 

Il nebbiolo di Carema

Quando nel 1967 è stata istituita la Doc Carema, gli ettari complessivi erano circa 35, ma oggi ne rimangono solo una ventina. Il vigneto di Carema è coltivato quasi esclusivamente con uva nebbiolo. Il nobile vitigno delle Langhe, in questa zona si esprime con un profilo particolare, con profumi più sottili, corpo meno potente, grande finezza e viva acidità. Ha un colore rosso rubino con riflessi granati. Al naso prevalgono gli aromi floreali ed eterei di rosa e violetta, che si aprono poi a delicate note di piccoli frutti rossi e morbidi sentori speziati. Il sorso è dinamico, nervoso, con trama tannica ben integrata, piacevole freschezza e bella mineralità.

 

I produttori

Tra le aziende del territorio, ricordiamo la Cantina Produttori di Nebbiolo di Carema. Tra le sue etichette di maggior prestigio: il Carema Classico Doc, invecchiato 2 anni, di cui di almeno 12 mesi in botti grandi di rovere; il Carema Riserva Doc, invecchiato 3 anni, di cui di almeno 12 mesi in botti grandi di rovere. Ferrando Vini, che produce il Carema Doc Etichetta Bianca, con affinamento di trentasei mesi, di cui trenta in botti di rovere e il Carema Doc Etichetta Nera invecchiato 3 anni, di cui 2 in barrique. A tavola, gli abbinamenti classici sono con secondi piatti di carni rosse o con selvaggina, in particolare con arrosto alle noci o alle castagne, cervo alla valdostana, stufato di manzo.

 

Cantina Produttori di Nebbiolo di Carema | Carema (TO) | via Nazionale, 32 | tel. 0125 811160 | www.caremadoc.it

Ferrando | Ivrea (TO) |via Torino, 599/a | tel.  0125 633550 | www.ferrandovini.it

 

a cura di Alessio Turazza

 

Per leggere I modelli di viticoltura: la bellussera e vigneti storici nella terra del Piave clicca qui


René Redzepi apre 108. Il nuovo urban restaurant firmato Noma a Copenhagen

$
0
0

Informale, per famiglie e amici che vogliono condividere la buona tavola, legato ai prodotti del territorio. Ma anche sperimentale come sa essere il Noma. Ecco 108, che apre anche a colazione, con The Corner. 

Aspettando il 108

Kristian Baumann and René Redzepi are delighted to announce the opening of our sister restaurant, 108. Poche parole e l'orgoglio che merita l'ennesimo colpo centrato dal team del Noma, per annunciare l'inaugurazione del nuovo “urban restaurant”, come lo definiscono dalle parti del molo di Christianshavn, che Redzepi e il suo staff regalano alla città di Copenhagen. 108 aprirà il 27 luglio, concretizzando un progetto che ha richiesto mesi di preparazione e un rodaggio sul campo che ha coinvolto anche gli spazi del fratello maggiore, il Noma, fino all'aprile scorso prestati alla causa della sperimentazione, con il pop up che ha anticipato la realizzazione della nuova insegna. E così mentre la cucina del Noma si cimentava con la platea australiana di Sydney, l'inverno passato il ristorante di Strandgade, civico 93, ha presentato agli ospiti un menu alla carta che gettava le basi per definire l'anima del 108, qualche civico più in là, ideato sin dall'inizio come “un posto per famiglie che vogliono stare insieme”, ideale anche per una cena veloce o un'uscita del venerdì sera.

Nordic Cuisine. Economica e informale

Insomma, un locale informale che ai clienti sia in grado di prospettare un'alternativa democratica ed economica (si spazia dai 12 ai 26 euro per portata) di quella New Nordic Cuisine promossa dal Noma in giro per il mondo. Alla fine del 2016 l'insegna pluripremiata chiuderà definitivamente i battenti, ma di questo e dei progetti futuri in casa Redzepi per ora non ci si preoccupa. E tra qualche giorno anche il 108 sarà pronto per mostrare alla città cosa significhi portare in tavola un'idea gastronomica che privilegia il rapporto con la natura e con i produttori locali, dopo un'accurata ricerca sul territorio che ha richiesto mesi di trasferte in giro per la regione e un bagaglio di competenze tecniche non comune per valorizzare anche gli ingredienti più insoliti e quelli dimenticati. Molto ha contato la fermentazione: tutto ciò che è stato raccolto e “collezionato” negli ultimi mesi – bacche e frutta secca, funghi e fiori, semi di zucca e interiora di calamaro – ha richiesto metodi di conservazione innovativi, perché di ogni stagione si potesse preservare il meglio.

Non solo cena. La colazione di The Corner

Cosa si mangerà, dunque, al 108? Menu alla carta, certo, ma anche pietanze da condividere con gli altri commensali grazie alla formula del “livretter”, dalla spalla di agnello al pesce grigliato, alla composizione di verdure grigliate servite al centro del tavolo con patate novelle marinate con noci e tartufo e diverse salse d'accompagnamento. E un piccolo angolo del locale – The Corner- sarà dedicato alla caffetteria e wine bar, pronta a trasformarsi dalla mattina alla sera: cappuccino, espresso e brioche per la colazione (dalle 7), un buon calice di vino dall'ora di pranzo fino a sera. Mentre il ristorante aprirà solo per cena, dalle 17 alla mezzanotte. Qualche proposta dalla carta di esordio? Agnello crudo con sottaceti dell'anno (18 euro), Maccarello affumicato con uva spina e olio di legno d'abete, Finocchio estivo con formaggio di capra fresco, Pollo arrosto con tartufi estivi (a 26 euro, è il piatto più caro in menu), Fiori di sambuco in tre versioni (parfait, granita, caramello), Lamponi e rose (13 euro). Ci sarà da divertirsi. E le prenotazioni online sono già aperte.

 

108 | Copenhagen | Strandgade, 108 | dal 27 luglio | https://108.dk/en/

Mangiare a Torino. Ecco le tendenze food del 2016

$
0
0

A cena in hotel, i piaceri dell’orto, l’easy chic: a Torino stanno cambiando un po’ le regole della ristorazione. Con risultati davvero stuzzicanti.

Indovina dove si va a cena

Diciamolo subito: fra i torinesi e i ristoranti di hotel non c’è mai stato grande feeling. Nell’immaginario del torinese medio un pranzo o una cena in hotel sono sostanzialmente banali, buoni tutt’al più per un appuntamento di lavoro o un evento un po’ numeroso. Ma adesso tira un’aria nuova. E agli indirizzi più classici, dove officiano chef di esperienza consolidata – Ruggero Rolando al Carignano del Sitea, Daniele Giolitto all’NH Lingotto, Maurizio Di Bella al Golden Palace – si affiancano giovani chef attorno ai trent’anni che stanno portando una ventata di innovazione e di qualità nella cucina d’albergo.

Les Petit Madaleine

Una delle rivelazioni dell’anno è Stefano Sforza, giovane (30 anni giusti giusti, è nato nel 1986) chef di Les Petites Madeleines, il ristorante del rinato Hotel Turin, grand hotel di charme a due passi dalla stazione, impeccabile recupero a cura di una famiglia di albergatori di vaglia, i Marzot.

Stefano Sforza ha un bel curriculum: è uno che a 17 anni ha lavorato nella cucina di Ducasse, poi al blasonato Bellevue di Cogne, al Cambio di Torino, da Trussardi, giusto per fare qualche nome. Alle Petites Madeleines, nella sala classica e in quella delle grandi occasioni, la splendida Sala Mollino, propone una cucina che sorprende, fra rivisitazioni di grandi classici, come il vitello tonnato,con sedano riccio, acciuga del mar Cantabrico e cappero croccantea ricette di pesce e di verdure eccellenti: il Giardino dello Chef, la seppiolina ripiena di patata, chips di riso, datterino giallo, maionese di acqua di cozze e limone, le animelle con il gambero rosso, il tagliolino al limone con erbe selvatiche, ostrica e caviale, il rombo glassato all’uva, l’anatra a vermouth e via declinando fra sorprese convincenti. Menù che iniziano sempre con un aperitivo torinesissimo, un vermuttino di Cocchi, e si accompagnano a una carta di vini che va alla ricerca di etichette di nicchia, con un ottimo rapporto qualità-prezzo.

Carlina. foto S.Bonatelli

Non ha ancora 30 anni Vasyl Andrusyshyn, head chef del ristorante dell’NH Carlina (foto S.Bonatelli) e anche lui ha un bel background, che spazia dal Noma di Copenhagen alla rimpianta Locanda Mongreno di Pier Bussetti (da anni ormai in Russia), dove ha lavorato con Andrea Chiuni, attuale responsabile di tutta la ristorazione dei locali di proprietà dei De Giuli (oltre al Carlina, i Tre Galli e Le Tre Galline). Il suo menù d’hotel è piacevolmente rassicurante (vitello tonnato, agnolotti, filetto di merluzzo o galletto, e sempre qualche tocco inedito, dalla yuca fritta e salsa chimichurri al latte di mandorla), ma la vera sorpresa è nel menù “oltre l’hotel”, 10 portate che spaziano dai gamberi con papaya verde e maracuja al ceviche vegetale, il piccione con carota speziata e pannocchia ad altri audaci accostamenti

 

E poi c’è una signora chef – e non è che ce ne siano tante - al ristorante Pain Perdu dell’Art Hotel Boston: Loredana Fiorio. Passione per la cucina trasmessa da una zia, un bel curriculum di ristoranti storici torinesi dal San Giors a Porta Palazzo, al Salsamentario all’Antica Trattoria Con Calma, le Tre Galline, l’hotel San Rocco di Orta San Giulio. Ora al Pain Perdu punta soprattutto al prodotto, ad esaltarne il sapore. Come in un suo piatto feticcio: la Pasta fatta a mano, ragù e nocciole del Piemonte.

 

Passione orto

L’onda lunga della passione per l’orto – un nome per tutti, Crippa al 3 Forchette e 3 Stelle Piazza Duomo di Alba – è arrivata anche in città, naturalmente. Il green food piace e convince: da Ivan Milani che a Piano 35, il ristorante del Grattacielo Intesa San Paolo, oltre ad aver piantato un po’ di pomodori nella serra bioclimatica, si avvale di un orto a 360°, grazie alla ricerca di vegetali in collaborazione con Valeria Mosca di Wood*ing, wild food lab,passando per il Salsamentario di via Monferrato che oggi è diventato l’Orto, ristorante vegano e crudista, o ancora per l’orto di Casa Format, il nuovo progetto di Giovanni Grasso e Igor Macchia della Credenza di San Maurizio Canavese. Un paio di segnalazioni nuove e ad hoc, entrambe molto “verdi” anche come scenario.

 

Sulla prima collina torinese, in Val Pattonera, Antonio Chiodi Latini ha aperto a Villa Somis il suo ristorante New Food che definisce “vegetale-integrale”. Per lo chef (e la moglie, regina delle orecchiette) una conversione totale dopo anni di approfondimento della filosofia del nutrizionista americano Colin Campbell, e del filosofo Rudolf Steiner. Risultato: una cucina sorprendente, una vera esperienza declinata in un menù che si ispira ai quattro elementi della natura: aria, acqua, terra e fuoco. Dal menu cose come l’insalata mista composta da oltre 20 ingredienti, la “rossa francese”rapa acidificata e sbiancata in aceto di mele, la giardiniera di verdure fresche abbinate a verdure essiccate e polverizzate, le orecchiette, fino al cremoso di finocchi con cardamomo e martin sec su salsa di prezzemolo per dessert. Vini bio, se volete: ma si scopre quanto sia piacevole pasteggiare con estratti di verdure e acqua al tè in infusione fredda.

La gardenia

Altra grande appassionata di verdure, fiori edibili e via declinando è Mariangela Susigan del ristorante d'autore (2 Forchette per il Gambero Rosso) La Gardenia di Caluso, mezz’ora da Torino. Il sottotitolodel locale è programmatico: dall’orto al piatto. E c’è un grande orto nel giardino della bella casa ottocentesca dove ha sede il ristorante, e in giardino viene allestita ora in estate (ancora due appuntamenti il 21 e 28 luglio, ma il discorso si riprenderà) una tavola conviviale deliziosamente “au vert”, con un menù tutto orto che annovera Radici colorate, Zucchine matita, Peperone, terra di mandorla, Porcini, Erbe fini per cominciare, e poi Ravioli di Borragine e Ortica, Calendula, Malva, seirass fumè, quindi Melanzana perlina e Caponata in viaggio e per finire Zuppa di Ciliegie dell’Orto, vino speziato, Ribes nero, yogurt, lime. Vini del Canavese e una Tisana d’Erbe e Fiori per chiudere la cena.

 

Pizza (e non solo) ma easy chic

Non le solite pizzerie, ma locali dove si può gustare un’ottima pizza fatta con le farine giuste e anche piatti da ristorante ed eccellenti dessert. Il tutto in location neochic, curate nei dettagli, ma easy in quanto a prezzi: perfetto. Due posti nuovi seguono questa quanto mai azzeccata filosofia a Torino.

Opposto

Il primo è Opposto, aperto da poche settimane in uno dei luoghi più fascinosi della città: piazza Vittorio quasi all’angolo con via Po. Locale minimal elegante, bella terrazza sulla piazza e proposta intelligente. L’idea è di Marco Bonomi, che in città gestisce pizzerie celebrate (Amici Miei, Alla lettera, Il Padellino). Qui ha inventato una nuova formula: accanto alle pizze “normali”ci sono le “pizze piccole” preparate con consumata bravura dal pizzaiolo Aniello, per tutti Nino. Una bella idea per gustarsi una pizza calda fino all’ultimo boccone e per provarne più di una. E poi ci sono i piatti “da ristorante” (in cucina giovani chef che arrivano da Fra Fiusch e dai Tre Galli), proposti anche in mezze porzioni: polpo alla piastra, hummus di ceci, yogurt greco e olio alla paprika; fregula sarda; sarde croccanti; azzeccati i dolci come il semifreddo allo zenzero e il tre uova-tre latti, sorprendente. Bella carta dei vini, cocktail fatti come si deve, con l’attenta supervisione di Pamela su tutto. E visto che il punto forte è l’easy in fatto di prezzi, segnaliamo qualche cifra: 3,5€ la margherita piccola, 7,50€ i piatti, e a pranzo niente coperto.

Rural

Un altro imprenditore del food, Marco Ceresa, patron del ristorante Ruràl di via San Dalmazzo e di alcune latterie-gastronomie, ha appena aperto nel quartiere di tendenza di Regio Parco, vicino al Campus Einaudi, Ruràl Pizza. Il luogo è una ex vetreria in via Mantova reinterpretata con gusto minimal-vintage e conviviale. Qui il pizzaiolo Micky, ex della pizzeria Il Sarchiapone, prepara pizze classiche e non con farine macinate a pietra (punto di forza la pizza bianca Ruràl by Micky, con fiordilatte, stracchino di alpeggio di Aurelio Ceresa, rucola e prosciutto crudo, 10€). Ma anche qui si possono gustare piatti creativi da ristorante (li prepara lo chef ruràlGiacomo), come la terrina di polpo con pesto alle mandorle e caponatina di verdure, i tagliolini freschi con ciuffetti di calamaro, datterini e profumo di limone, il burger di salmone con maionese allo zenzero, e ottimi dessert (sontuosa la tavolozza gourmand, con 4 assaggi diversi).

Un'informazione che può essere interessante visto il periodo: sia Opposto che Ruràl pizza sono aperti per tutto agosto.

 

Les Petites Madeleines | Torino | Hotel Turin Palace | via Sacchi, 8 | tel. 011 0825321 | www.turinpalacehotel.com

Ristorante Carlina | Torino | NH Carlina Collection | piazza Carlo Emanuele I | tel. 011 8601607 | www.ristorantecarlina.it

Pain Perdu | Torino | Art Hotel Boston | via Massena, 70 | tel. 011 500359 | www.hotelbostontorino.it

Antonio Chiodi Latini New Food | Torino | Villa Somis | strada Val Pattonera, 138 | tel. 320 3258949 | www.villasomis.it

Ristorante Gardenia | Caluso (TO) | corso Torino, 9 | tel. 011 9832249, www.gardeniacaluso.com

Opposto | Torino | piazza Vittorio Veneto, 1 | tel. 011 8120744 | www.ristoranteopposto.it

Ruràl Pizza | Torino | via Mantova, 27 | tel. 011 2359179 | www.ruralpizza.it

 

a cura di Rosalba Graglia

 

 

 

 

PanB. Fast food all'italiana a Vimercate che scommette sulla cottura a vapore. “Sotto i tuoi occhi”

$
0
0

Crescono sotto una campana di vetro i “panini” ideati da Adriano Continisio, ribattezzati Pan Bolla. E il prodotto, buono e replicabile, potrebbe conquistare presto le principali città italiane, grazie a un format che scommette sul fast food di qualità. 

Novità golose dalla Brianza

Navigando distrattamente in rete può capitare di imbattersi in storie nascoste, che mai avresti immaginato di scovare, specie in un centro commerciale dell'hinterland milanese, a Vimercate (in Brianza), dove l'esperienza di PanB ha preso forma qualche tempo fa. Ed è proprio la segnalazione che non ti aspetti, di Lydia Capasso per Gastronomia Mediterranea, che mette in moto quella curiosità alla perenne ricerca di idee nuove a proposte gastronomiche accattivanti, da condividere con tutti gli appassionati della buona tavola, anche quella “fast”, che al centro commerciale trova ospitalità perché al suo pubblico si rivolge, senza però condividere gli standard a ribasso di gran parte delle attività di ristorazione veloce.

Quella di PanB – nomignolo affettuoso per Pan Bolla e insegna del punto vendita che due mesi fa ha aperto tra le vetrine di Due Torri – è una storia che nasce sotto una campana di vetro. Ma se proprio dobbiamo dirla tutta, quando l'idea di questi panini che crescono rapidamente grazie al vapore fu sviluppata per la prima volta dal maestro panificatore Adriano Continisio la campana era in acciaio, e il “miracolo” dei Pan Bolla conservava la sua dimensione più intima.

Pan Bolla. Il panino al vapore di Adriano Continisio

Solo al termine della cottura, rigorosamente a vapore, il panetto si mostrava in tutta la sua fragranza, con quella crosticina croccante all'esterno e un cuore soffice, pronto per la farcitura. Cosa è successo nel frattempo? Procediamo con ordine. Pan Bolla è un prodotto di panificazione piuttosto insolito, ideato dal panificatore ed esperto di lievitazioni (da tempi non sospetti) Adriano Continisio, già food blogger della prima ora con il suo Profumo di Lievito. A lui si deve la ricetta conservata a lungo nel cassetto e oggi pronta per conquistare il mondo. Almeno quello della ristorazione veloce, grazie a una qualità indispensabile come quella della replicabilità.

L'investitore c'è, la voglia di cimentarsi finalmente con il mercato (quello più trasversale, senza snobismi gourmet) pure. Perché il format si concretizzi, però, occorre radunare una squadra di persone fidate. E allora ad Adriano si affianca Paola Sersante, altra vecchia conoscenza del web, dispensatrice di ricette e non solo col suo blog Anice e Cannella: a lei il compito di sviluppare farciture a abbinamenti che possano valorizzare un prodotto all'esordio.

Il format replicabile: PanB

Ma con loro c'è anche Paolo Barichella, una carriera d'eccellenza nel food design che per PanB cura il concept (a lui spetta la paternità della campana di vetro, “per comunicare al meglio come nasce il prodotto, 'Sotto i tuoi occhi' come recita il nostro claim'”) e alle spalle vanta lo sviluppo di soluzioni per il Bistrot di Autogrill, oltre alla definizione di nuovi format gastronomici replicabili, da Cioccolati Italiani a Princi. Nove mesi di gestazione e PanB comincia a servire i primi “panini”; i frequentatori del centro commerciale, incuriositi dalla novità, premiano il coraggio.

Il prodotto. Segreti e farciture

Ma cos'è esattamente un Pan Bolla? Stando ai suoi ideatori, la migliore risposta al panino farcito da fast food, con un fondamentale asso nella manica: non richiede l'utilizzo di forni, non ricorre alla frittura, sono sufficienti una piastra calda e una campana di vetro. Oltre al giusto know how per gestire i panetti durante la cottura a vapore (generato dall'umidità dell'impasto, liberata in cottura). L'impasto è frutto di un mix di farine selezionate, lunga lievitazione (circa 40 ore), percentuale d'acqua elevata, molto digeribile, soffice. Sotto la campana i panetti da 100 grammi crescono come una bolla – il procedimento ricorda quello delle crescentine – poi vengono messi a raffreddare capovolti, aperti, farciti e nuovamente riscaldati con il ripieno.

Nei PanBolla finiscono Prosciutto di Parma Dop, fior di latte di Agerola, origano fresco e crema di pistacchi di Bronte, mortadella di Bologna Igp e verdure fresche, salmone norvegese, provola affumicata, spezie, erbe aromatiche e tanti altri ingredienti. C'è anche la versione dolce, il Bollicino: un pizzico di zucchero nell'impasto e una farcitura golosa a base di creme, per una sorta di bomba al vapore.

Fast food all'italiana. Obiettivo: replicare

Le materie prime sono tutte selezionate e l'artigianalità resta un nostro valore, ma PanBolla è e vuole offrire un approccio da fast food” ribadisce Paolo Barichella “Puntiamo alla replicabilità, Vimercate è il nostro progetto pilota, ma l'idea di aprire altri punti vendita per diffondere il brand è concreta”. Il limite, per ora, resta l'unico laboratorio a disposizione (che coincide con il punto vendita), “le prime nuove aperture dovranno rispettare un raggio di 80 km dal centro di produzione, altrimenti la qualità del prodotto fresco ne risente”. E quindi si comincerà da Milano, con 5-6 punti vendita, non necessariamente in centri commerciali, anzi, “anche in città, ma il target resterà più eterogeneo possibile”. Poi l'obiettivo è quello di aprire altri laboratori, arrivare a Roma e “se il format si dimostra vincente scommettere su modelli espressi, come i chioschi in posizioni nevralgiche”. Gli investitori pronti a finanziare l'espansione ci sono, persino per l'estero.

 

PanB | Vimercate (MB) | Centro Commerciale Torri Bianche | www.panb.it

a cura di Livia Montagnoli

Notte dei Maestri del Lievito Madre: a Parma una serata dedicata al panettone

$
0
0

Torna il 25 luglio la Notte dei Maestri del Lievito Madre, un festival dedicato all'arte bianca, alla lievitazione e ai suoi maggiori esponenti. L'obiettivo? Destagionalizzare il panettone e proporlo tutto l'anno.

Parma, città creativa per la gastronomia

Siamo a Parma, città creativa per la gastronomia Unesco da dicembre 2015. Una città ricca di tesori artistici, culturali e paesaggistici, che si estende su zone collinari e appenniniche. Le valli del Ceno, del Taro e del Parma, costellate da borghi antichi e boschi suggestivi, sono terre generose, che rappresentano per i produttori locali una risorsa preziosa per le loro coltivazioni e i loro pascoli. Dai salumi ai formaggi, senza dimenticare l'ampia produzione vitivinicola, Parma ha infatti tanto da offrire agli amanti della buona tavola.

L'evento

È in virtù delle antiche tradizioni culinarie e della recente elezione a patrimonio dell'Unesco, che Parma è stata scelta per ospitare la Notte dei Maestri del Lievito Madre, l'evento che da due anni si propone di restituire valore alla tecnica della lievitazione, da sempre parte della cultura gastronomica del nostro Paese. Si parla di pane, di lievito naturale, ma soprattutto di grandi lievitati. In particolare, sarà il panettone il protagonista della notte del 25 luglio, il lievitato delle feste natalizie per eccellenza che, da qualche anno a questa parte, sta entrando nelle abitudini di consumo degli italiani e non solo 365 giorni l'anno. Secondo i dati diffusi dal Sole 24 Ore, si parla di panettone fino a 500 volte al giorno e più della metà delle citazioni online nel mondo vengono dall'estero (52,8%).

Tanto che qualcuno ha già pensato di sdoganarne una versione estiva per chi trascorre i mesi caldi in città, quel panettone ripieno di gelato che fa gola ai milanesi, di cui abbiamo già avuto modo di parlare. A Parma, invece, l'organizzazione dell'evento, con il patrocinio del Comune e della Camera di Commercio di Parma e di Parma! Unesco City of Gastronomy, èaffidata al Gastronauta, che da diversi anni si impegna a ideare festival dedicati al grande lievitato delle feste, come “Panettone Tutto l'Anno”. La sera del 25 sarà Davide Paolini a condurre la degustazione dei migliori prodotti artigianali dei maestri di pasticceria e lievitazione. A selezionare i professionisti, Claudio Gatti della pasticceria artigianale Tabiano di Tabiano Terme di Salsomaggiore. Fra loro, personalità del calibro di Salvatore De Riso, Gino Fabbri, Salvatore Gabbiano, Mauro Morandin e molti altri.


Di seguito, l'elenco dei 26 Maestri, provenienti da tutta Italia:

Marco Avidano- Pasticceria Avidano a Chieri (TO)

Mario Bacilieri- Pasticceria Bacilieri a Marchirolo (VA)

Maurizio Bonanomi- Pasticceria Merlo a Pioltello (MI)

Renato Bosco- Saporè di San Martino Buon Albergo (VR)

Roberto Cantolacqua Ripani- Pasticceria Mimosa di Tolentino (MC)

Emanuele e Giancarlo Comi- Pasticceria Comi a Missaglia (LC)

Diego Crosara- specialista nell'arte del gelato

Salvatore De Riso- Sal De Riso a Tramonti (SA)

Denis Dianin- D&G Patisserie di Selvazzano Dentro (PD)

Gino Fabbri- Gino Fabbri Pasticcere a Bologna

Francesco Favorito- specialista del Gluten free

Salvatore Gabbiano- Pasticceria Gabbiano di Pompei (NA)

Claudio Gatti- Pasticceria Tabiano a Tabiano Terme (PR)

Stefano Gatti- Il Fornaio a Viareggio (LU)

Emanuele Lenti- Premiata Forneria Lenti a Grottaglie (TA)

Grazia Mazzali- Pasticceria Mazzali a Governolo (MN)

Mauro Morandin- Pasticceria Mauro Morandin a Saint-Vincent (AO)

Alfonso Pepe- Pasticceria Pepe a Sant'Egidio del Monte Albino (SA)

Carlo Pozza- Da Venicio di Arzignano (VI)

Paolo Sacchetti- Il Nuovo Mondo a Prato

Attilio Servi- Pasticceria Attilio a Pomezia (RM)

Anna Sartori- Pasticceria Sartori a Erba (CO)

Valter Tagliazucchi- Il Giamberlano a Pavullo Nel Frignano (MO)

Vincenzo Tiri- Tiri 1957 di Acerenza (PZ)

Carmen Vecchione- DolciArte di Avellino

Achille Zoia- La boutique del Dolce a Cologno Monzese (MI)

 

Notte dei Maestri del Lievito Madre | Parma | piazza Garibaldi | il 25 luglio dalle 20.30

a cura di Michela Becchi

Guida Street Food 2017 del Gambero Rosso. Ecco i risultati

$
0
0

Giunta alla sua quarta edizione, la guida Street Food del Gambero Rosso ha segnato (inaugurato?) un trend inarrestabile. Lo confermano le nuove aperture dedicate al consumo facile e veloce nei mercati, la grande affluenza a sagre, festival ed eventi dedicati al cibo da strada, i tanti, tantissimi chef, di prima e lunga esperienza, che investono sulle tre ruote.

Chiamatela come volete, mangiari da strada o street food, fatto sta che la moda impazza. E non passa settimana, nella fitta agenda dei gastrofili, senza una manifestazione che offra agli avventori supplì, arancini, panzerotti, olive ascolane e chi più ne ha più ne metta. Tanti gli eventi dedicati, e altrettante le nuove aperture, con formule diversificate sì, ma con richiami espliciti a tradizioni antiche. È lo street food di oggi, di ieri e di domani. Che la nostra guida continua a raccontare anche nella nuova edizione arricchendosi di nuovi indirizzi e lasciando molto spazio ad artigiani originali e concentrati sull'eccellenza. Sono 450 gli indirizzi selezionati, da Nord a Sud, passando per Milano, Bologna, Firenze, Livorno, Roma, Napoli, Palermo e Cagliari, e finendo nei piccoli centri lontano dai clamori delle grandi città. Tutti accomunati dalla qualità delle proposte. E non mancano quelli sensibili alla sostenibilità o alle nuove tecnologie. E in questo viaggio lungo tutto lo Stivale, abbiamo passato in rassegna, regione per regione, le ricette (quest'anno tutte dedicate al fritto) più rappresentative di questo modo di mangiare, cammin facendo.

I premi regionali e i premi speciali

Sempre per ciascuna regione abbiamo individuato venti premiati, in base al rispetto e alla qualità delle materie prime utilizzate, alla valorizzazione del territorio, all'originalità della formula. Oltre ai nuovi campioni regionali, Gambero Rosso ha indetto due premi speciali: Street Food da Chef, per la rielaborazione inedita di un piatto tipico dello street food nell'alta cucina. E Street Food on the road, dedicato alla migliore proposta di cibo di strada itinerante. Il primo è andato a  Boccacciello Bistrot del Boschetto (Roma), un'idea geniale di Pietro Parisi, il famoso cuoco contadino di Palma Campania, che in un sol vasetto riesce a raccoglie ingredienti della terra e ricette della tradizione campana, dalle melanzane alla parmigiana al gattò di patate. Il secondo, all'Ape Aperò (L’Aquila): food truck ricolmo di eccellenze abruzzesi che propone panini e piatti della tradizione rielaborati dalle brave chef Paola e Valentina che hanno trovato il modo di continuare on the road il progetto avviato in città prima del sisma del 2009. Progetti futuri

Questa edizione, realizzata in collaborazione con Generali Italia, fa parte di un progetto più ampio: #Viviamopositivo, iniziativa organizzata da Generali e The Gira, con lo scopo di esaltare le bellezze del nostro paese, comprese quelle in versione street food. Non mancheranno gli aperitivi, o meglio gli Aperitivi in Rosso, organizzati con il supporto di Genagricola, holding agroalimentare di Generali. Il tour, progetto e organizzato con il contributo di Competitive Mind, diventerà poi una trasmissione di Max Mariola, uno dei talent più amati e seguiti di Gambero Rosso Channel, che farà tappa in 10 città per conoscere e far conoscere le eccellenze dello street food italiano. Sintonizzatevi su Gambero Rosso Channel, canale 412 di Sky.

 

Guida Street Food 2017 del Gambero Rosso | Euro 6,50 | acquistabile in edicola, libreria e on line

 

a cura di Annalisa Zordan

 

IN COLLABORAZIONE CON GENERALI ITALIA

Ecco l'elenco dei premiati:


I campioni regionali dello street food italiano

VALLE D’AOSTA
Sushiball Courmayeur (AO)

PIEMONTE
Panetteria Brusconi Cucina Popolana Torino

LIGURIA
Moltedo | Recco (GE)

LOMBARDIA
Ravioleria Sarpi | Milano

VENETO
La Gourmetteria | Padova
  
TRENTINO ALTO ADIGE
Briciole Food & Drink | Rovereto (TN)

FRIULI VENEZIA GIULIA
Mamm Ciclofocacceria Udine

EMILIA ROMAGNA
Punto G | Piacenza

TOSCANA
Semel | Firenze

MARCHE
Il Furgoncino | Pesaro

UMBRIA
BacalinoPerugia

LAZIO
Mama Pasta | Roma

ABRUZZO
Alla Chitarra Antica | Pescara

MOLISE
Maramimmo | Termoli (CB)

CAMPANIA
Da Gigione | Pomigliano d'Arco (NA)

PUGLIA
Piadina Salentina | Lecce

BASILICATA
Le Stuzzicherie di Silvana | Avigliano (PZ)

CALABRIA
La Romana | Crotone

SICILIA
Nino  u' Ballerino Palermo

SARDEGNA
Sebaderia Dulcinea | Nuoro


Premi Speciali


Street Food On The Road

Un’Ape ricolma di eccellenze abruzzesi che propone panini e piatti della tradizione rielaborati dalle brave chef Paola e Valentina che hanno trovato il modo di continuare on the road il progetto avviato in città prima del sisma 

Ape Aperò | L’Aquila | tel. 340 3003895



Street Food da Chef

A Roma un vasetto che raccoglie ingredienti della terra e ricette della tradizione campana. È l’idea geniale di Pietro Parisi, il famoso cuoco contadino di Palma Campania. Dalla melanzane alla parmigiana al gattò di patate.

Boccacciello Bistrot | via del Boschetto, 129 | Roma
tel. 06 90232531 | www.boccacciellobistrot.it
 

30 Case cantoniere in concessione. Il bando dell’Anas le trasforma in alberghi e ristoranti

$
0
0

Il progetto pilota promosso dall’Anas con l’approvazione del Ministero dei Beni Culturali e del Demanio offre l’opportunità di valorizzare gli edifici dismessi lungo le strade statali della Penisola. E così dietro alla facciata rosso pompeiano di tante Case Cantoniere nasceranno attività di accoglienza di qualità. 

Le Case cantoniere come risorsa per il turismo sostenibile

Il progetto arriva da lontano: già sul finire del 2015 il Ministero dei Beni Culturali si era detto pronto a incentivare il recupero delle Case cantoniere dismesse in vista del Giubileo, per promuovere il turismo diffuso sul territorio. L’intenzione di trasformare gli ex edifici gestiti dall’Anas in ristoranti, alberghi e luoghi deputati all’ospitalità, per dirla tutta, era già contemplata nell’Art Bonus, il testo varato dal ministro Dario Franceschini nel 2014, che in materia di gestione e valorizzazione del patrimonio nazionale si pronunciava in favore del recupero di spazi ed edifici demaniali ormai inutilizzati, con l’affidamento a privati o cooperative che potessero restituirgli nuova vita. E le celebri Case cantoniere, con la facciata rosso pompeiano che fa capolino su tante consolari e strade statali d’Italia, sembravano offrire un’opportunità concreta per il rilancio di un turismo lento e sostenibile, in tutta la Penisola. Quindi la collaborazione tra Ministero, Anas e Demanio aveva portato a individuarne ben 1600 in attesa di essere recuperate, chiamate a rappresentare “un brand formidabile” del sistema Italia, come ribadiva convinto Il ministro Franceschini.

Il bando dell’Anas. Il progetto pilota

Oggi il censimento dell’Anas ridimensiona il computo a 1244 Case cantoniere, di cui 650 ancora a disposizione (il 10% ad alto potenziale turistico), pronte a intraprendere una nuova vita dopo 186 anni (il 13 aprile 1830 un Regio Decreto del Regno di Sardegna istituiva la figura del Cantoniere) di onorato servizio a garanzia della sicurezza sulle strade. Ecco allora il primo bando di una lunga serie, che coinvolgerà 30 unità tra Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Lazio e Puglia destinate a diventare bar, alberghi, ristoranti o punti d’accoglienza all’avanguardia, free wi-fi e infopoint.

Per partecipare alla gara indetta dall’Anas c’è tempo fino al 31 ottobre 2016: lo Stato si riserverà la possibilità di valutare l’offerta economica più vantaggiosa in base alla qualità della proposta, poi decreterà gli assegnatari. E nel frattempo l’Anas si impegna a ristrutturare gli immobili, per un investimento complessivo ci circa 8 milioni di euro in tre anni (per ristrutturarle tutte servirebbero 300 milioni, si cercano collaborazioni e investitori decisi a finanziare il progetto su vasta scala che seguirà il progetto pilota). Concretamente, se il progetto non si arenerà dopo le prime battute – come purtroppo è capitato di vedere spesso in Italia - le prime Case cantoniere 2.0 saranno pronte per l’estate 2017, e al concessionario spetterà valorizzarle con progetti di ospitalità sostenibile, dietro compenso di un canone d’affitto mensile che si aggira tra i 1500 e i 1800 euro.

I criteri di assegnazione. Viaggiare, fermarsi, riscoprire

Per chi deciderà di cimentarsi con la sfida, l’Anas ha messo a punto un manuale di progettazione, “destinato ai progettisti che devono redigere progetti di recupero delle case, alle imprese coinvolte nella realizzazione, agli allestitori e, infine, ai gestori che avranno così una sorta di vademecum per l'arredo e l'allestimento di ogni ambiente della casa cantoniera”, si legge nel documento. Tra i servizi che si intende promuovere, la ristorazione – come la possibilità di pernottare in una struttura alberghiera sui generis – riveste un ruolo importante, confermando l’importanza del turismo enogastronomico per il nostro Paese. Ma i candidati dovranno prestare attenzione a preservare l’identità del luogo, muovendosi sui valori dell’autenticità, della genuinità e del legame con il territorio, garantendo efficienza energetica e innovazione tecnologica.

Chi può partecipare? Start up, singoli imprenditori, consorzi, cooperative e associazioni con almeno tre anni di esperienza nel settore turistico-ricreativo. Le concessioni dureranno 10 anni, poi si procederà con un nuovo bando di gara. Tra le strutture che presto potrebbero rinascere come alberghi, ristoranti, botteghe tipiche ben 5 case nell’area di Cortina d’Ampezzo, ma anche strutture dislocate lungo la via Francigena, ad Altamura, Cisterna di Latina, Castagneto Carducci e sul lago di Garda. Sul sito del progetto pilota tutte le informazioni per partecipare.

 

www.casecantoniere.it

 

a cura di Livia Montagnoli

La pizza in Sardegna. Ci provano Roberto Petza e Luigi Pomata con Sa Scolla e Next

$
0
0

Hanno inaugurato a distanza di pochi giorni, entrambi col desiderio di lanciarsi in nuovi progetti oltre ai celebri ristoranti che gestiscono sull'isola, uno nel Campidano, l'altro a Cagliari. Ecco come nascono e cosa aspettarsi dalle pizze di Sa Scolla e Next, tra territorio e ambizioni gourmet. 

Tutta l'Italia ama la pizza

Regione che vai, pizza che trovi. Peccato di gola irrinunciabile e baluardo della tradizione gastronomica italiana, la pizza è capace di scatenare discussioni senza vincitori tra opposte fazioni, tra sostenitori del partito della pizza napoletana, irriducibili della pizza romana, cultori della sua declinazione gourmet e ferventi praticanti della pizza a taglio. E se da un lato il business di settore fa registrare numeri da record (con conseguenti ricadute sull'occupazione), non serve un libro (seppur davvero ben scritto e congegnato come La Buona Pizza) per ricordarci che la fortuna della pizza come l'Italia l'ha esportata nel mondo risiede proprio nella molteplicità di storie che sa raccontare, nella varietà di territori, risorse, ingredienti, competenze artigianali, idee a cui può attingere un'arte antica, ma capace di rinnovarsi.

La differenza, oltre alla qualità delle materie prime, la fanno proprio loro, gli artigiani, i pizzaioli e persino gli chef che decidono di cimentarsi con una sfida sempre rischiosa proprio per i difficili equilibri che regolano la buona riuscita del prodotto. E ora sembra essere arrivato il momento della Sardegna.

La pizza in Sardegna

Sull'isola, per dir la verità, le realtà di qualità esistono, basti pensare alla pizzeria a taglio di Massimo Bosco a Tempio Pausania, che ha raccolto il riconoscimento delle Tre Rotelle sull'ultima edizione (2016) della guida Pizzerie d'Italia del Gambero Rosso. E anche le statistiche diffuse qualche giorno fa per fare il punto sul comparto della pizza vedono la provincia di Sassari, a sorpresa, in prima linea per numero di occupati nel settore e, soprattutto per computo di pizzerie procapite. Ma la storia (le storie) che segnaliamo stavolta è quella di due personalità note sulla scena gastronomica sarda, due chef che seguendo percorsi diversi, a distanza di qualche centinaio di chilometri, hanno raggiunto obiettivi simili a breve distanza di tempo l'uno dall'altro.

È una manciata di giorni a separare l'apertura delle seconde insegne di Roberto Petza e Luigi Pomata, che un punto in comune lo trovano sul terreno della pizza.

Sa Scolla. La pitza di Roberto Pezza

All'inizio di luglio, nella campagna campidanese, lo chef triforchettato del S'Apposentu ha dato vita a un nuovo format, Sa Scolla, pizzeria con cucina di campagna e parte di un più ampio progetto di formazione incentrato sulla valorizzazione della professionalità e sulla rivitalizzazione del territorio. Sa Scolla (la scuola, come l'Accademia Casa Puddu che ospita la nuova pizzeria) nasce a Baradili (a una decina di chilometri dal S'Apposentu), e propone agli ospiti una pizza frutto di impasto a lievitazione naturale, steso basso e farcito con i prodotti del territorio. Al forno c'è il giovane Stefano, il pizzaiolo, la carta prevede alternative classiche (6 riferimenti), 5 pizze stagionali e 5 gourmet, pitze, come le ha ribattezzate scherzosamente lo chef, rivendicando la paternità di accostamenti inconsueti, dalla palamita con cipolla alla variante con pecora e maialino. Più territoriale di così si muore. E infatti anche le classiche rivelano ingredienti che gridano l'orgoglio isolano, dal fior di latte locale al capocollo. Prezzi popolari, dai 4.50 ai 10 euro per le proposte più ricercate. E da bere birre artigianali sarde.

In aggiunta una breve carta da bistrot contadino, con menu fisso a 35-40 euro, tutto a base di carne locale, ideato insieme allo chef Adriano Zucca.

Next. La pizza gourmet di Luigi Pomata

Ancor più fresco d'apertura è il locale polifunzionale di Luigi Pomata: Next Food&Lounge. Operativo da qualche giorno a Cagliari, affianca l'insegna più nota dello chef e propone agli ospiti un'atmosfera minimal e informale, con bella terrazza sulla città. La cucina in stile tapas è affidata ad Abele Fois, da tanti anni al fianco dello chef, ma quel che più ci interessa per il nostro percorso sulle tracce della pizza isolana sono le 4 pizze gourmet evidenziate in carta.

Lunga lievitazione e alta idratazione, le pizze di Next sono guarnite fuori dal forno, a cottura ultimata; tra gli ingredienti che aprono i giochi ventresca di tonno, stracciatella, mortadella, tartufo, ma si cambierà spesso, in base a estro e stagionalità. Da bere anche le birre artigianali selezionate da Antonello Pomata, fratello di Luigi. Con apertura all day long, da mezzogiorno all'una.

Senza dimenticare che proprio a Cagliari chi è in cerca di una buona pizza può bussare da Framentu, la nuova pizzeria di Pierluigi Fais che vi abbiamo raccontato qualche mese fa.

 

Sa Scolla | Baradili (OR) | via Santa Margherita, 17 | tel. 0783 95025 | www.facebook.com/sascolla/

Next | Cagliari | viale Regina Margherita, 14 | tel. 070 654464 | www.facebook.com/nextfoodandlounge/?fref=ts

 

a cura di Livia Montagnoli


Torino Veg Friendly. Dopo la domenica vegana, il sabato della carne

$
0
0

Continua a Torino la polemica che ha accolto il piano vegano della nuova giunta a 5 Stelle guidata dal sindaco Chiara Appendino. E i macellai stanno affilando i coltelli…

Il sabato della carne

Torino vegan city non piace affatto, comprensibilmente, ai macellai torinesi. Dopo la promozione della dieta vegana e vegetariana nel programma della sindaca Appendino, Lorenzo Lavarino, presidente dell’Associazione Macellai torinesi auspica un passo indietro e teme “effetti negativi non solo per l’intera categoria, ma anche per allevatori, ristoratori, chi vende carne e latticini, grande distribuzione compresa”.

I macellai si sentono discriminati e pensano che la questione vegetariano o no andrebbe lasciata alle scelte individuali e in mano comunque ai nutrizionisti. Rincara le critiche Luigi Frascà, presidente di Assomacellai di Confersercenti. “Chiediamo all’amministrazione di istituire un sabato della carne per promuoverne il consumo consapevole. Una giornata dedicata a pollo e cotolette prima della purificazione veg della domenica”, aggiunge con una nota polemica. “Che un’amministrazione pubblica sponsorizzi un certo stile alimentare lascia allibiti ed esula dai compiti istituzionali: è discriminatorio per un’intera categoria” aggiunge Frascà.

Il timore è evidentemente che il programma della nuova giunta possa causare un calo delle vendite in un settore in cui la situazione non è certo rosea: solo nei primi due mesi dell’anno a Torino e provincia hanno chiuso 29 macellerie, oggi sono 455.

 

I timori del settore. Le ricadute sul mercato

Timori diffusi anche fra i ristoratori: il turismo enogastronomico è una risorsa importante per il territorio e Fulvio Griffa, presidente dell’associazione pubblici esercizi e titolare del ristorante Sibiriaki nel Quadrilatero cita non caso due punti di forza della tradizione gastronomica torinese come il bollito e il fritto misto (per tacere della salsiccia di Bra o la battuta di fassone...)

Quello che più mi inquieta è vedere come un argomento di nicchia come questo sia entrato nel programma di governo. Le priorità sono altre, le nostre scelte alimentari non riguardano la politica”. Si chiede un’informazione più equa, per esempio sui rischi del vegan per l’alimentazione dei bambini. I toni insomma si infiammano, sebbene l’assessore al commercio Alberto Sacco si dichiari pronto a cercare soluzioni e a mangiare un sushi di carne.

Tant’è la nuova giunta continua con le proposte singolari, dal taglio al wi-fi (che il responsabile dipartimento radiazioni dell’Arpa sostiene siano pericolosi per la salute quanto il caffè e alcuni sottaceti, secondo la legge) alla volontà di realizzare “colombaie in alcune aree verdi per fornire una alimentazione adeguata ai piccioni”.

 

a cura di Rosalba Graglia

Mangiare in montagna. La Val di Fiemme fra natura, prodotti tipici e ristoranti

$
0
0

Fra viste mozzafiato e piccoli musei, i diversi borghi della Val di Fiemme costituiscono un patrimonio prezioso per il turismo nazionale. Alla bellezza del territorio si aggiungono l'autenticità dei suoi prodotti e la bravura degli chef locali, capaci di rendere questa valle una meta imperdibile per gli amanti della montagna e della buona tavola. 

La Val di Fiemme: natura e paesaggi senza tempo

Attraversata dal torrente Avisio, la Val di Fiemme fa parte, insieme alle limitrofe Val di Fassa e Val di Cembra, delle principali valli dolomitiche del Trentino Orientale. L'affascinante paesaggio naturalistico si colloca fra 2 dei più grandi parchi regionali, quello di Paneveggio Pale di San Martino e quello altoatesino del Monte Corno. Il primo si trova in un'area ricca di grandi contrasti cromatici, tra le pareti rosate delle Dolomiti, le rocce scure di Cima Bocche, i pascoli verdi delle malghe. Il parco comprende un'ampia porzione di uno dei nove gruppi montuosi iscritti nella lista dei beni naturali riconosciuti dall'Unesco, quello delle Pale di San Martino, il più esteso della valle. Fra le varie bellezze del parco spicca la Foresta dei Violini, una distesa di abeti rossi chiamata così per l'antica tradizione dei liutai della valle di utilizzare il legno di quegli alberi per i loro strumenti musicali. L'altro grande parco che delimita la Val di Fiemme, quello del Monte Corno, comprende invece la più ampia varietà di flora e fauna del Trentino Alto Adige. Anemoni, gigli selvatici, orchidee – oltre a una vasta area rocciosa costituita da pietre calcaree di dolomia – costituiscono il paesaggio mozzafiato dell'area naturalistica.

 

 

Parco naturale Paneveggio Pale di San Martino

Arte e cultura della valle

Il territorio dolomitico custodisce, fra i suoi monti solenni, anche preziose risorse artistiche e culturali. Fra i tanti punti da visitare, imperdibile è il Museo Diocesano di Trento, con annessi reperti archeologici sottostanti la basilica paleocristiana di San Vigilio. E il Museo Geologico delle Dolomiti di Predazzo, che comprende la più ricca collezione di fossili invertebrati conservata in Italia. Qui, durante il periodo estivo, è possibile proseguire la visita con il Sentiero geologico del Dos Capèl”, una passeggiata guidata alla scoperta del territorio circostante. Sempre a Predazzo, precisamente nella frazione di Bellamonte, si trova un museo insolito, quello Etnografico del Nonno Gustavo, chiamato così proprio perché si propone di far rivivere ai visitatori le antiche usanze degli abitanti della valle ai tempi dei nostri nonni. Oltre 300 anni di storia sono infatti rappresentati dai 1800 pezzi raccolti nel museo, principalmente attrezzi utilizzati in passato dai boscaioli, contadini, fabbri, falegnami e vari artigiani, insieme ai vari strumenti della cucina. Per gli amanti dell'arte, invece, c'è il Centro Arte Contemporanea di Cavalese, che da anni si propone di presentare e promuovere gli artisti del luogo con le loro opere pittoriche.

 

Museo Geologico delle Dolomiti di Predazzo

Prodotti tipici: quali sono e dove trovarli

Dopo lunghe passeggiate ed escursioni, non possono mancare le soste gastronomiche. La terra è rigogliosa e generosa, con tanto da offrire agli amanti del buon cibo, a cominciare dalle erbe spontanee, radici, licheni, bacche che costituiscono una risorsa inesauribile per gli chef che desiderano portare in tavola il gusto del proprio territorio. Le migliori si trovano alla società agricola Terre Alte, che insieme alla cooperativa Oltre fa parte del progetto Antiche Radici, volto al recupero delle antiche tradizioni agricole della Val di Fiemme.

Si passa poi all'ampia varietà dei formaggi di malga, testimoni della ricchezza che caratterizza questa zona. Qui, così come in Val di Fassa, si producono principalmente formaggi a crosta lavata come il Cuor di Fassa o il più noto Puzzone di Moena. Un valido punto di riferimento per i latticini è il Caseificio Social Val di Fiemme a Cavalese, che offre oltre 30 tipi di formaggi a latte vaccino e caprino, ed è parte del Gruppo Formaggi del Trentino che si occupa di distribuire i prodotti a livello regionale e nazionale. Durante una gita in Trentino, non può mancare poi un assaggio di speck, altra specialità locale che trova la massima espressione da Il Maso dello Speck a Daiano. Per altri insaccati e salumi vari, c'è invece la macelleria Dagostin nel comune di Varena.

 

Maso dello Speck

Consigli dalla guida Ristoranti d'Italia (comprala qui)

Costa Salici, Cavalese (TN): Per un assaggio della cucina tradizionale trentina, Costa Salici è il luogo ideale. Attenzione spasmodica alla stagionalità e una selezione curata delle materie prime del territorio caratterizzano la cucina del ristorante. Il menu si sviluppa attorno ai prodotti della terra e ai sapori di una volta, con piatti d'autore che interpretano al meglio il gusto della valle. Il giardino con vista sulle dolomiti impreziosisce ancora di più l'ambiente accogliente e informale.

 

Costa Salici

El Molin, Cavalese (TN): El Molin è la creatura dello chef Alessandro Gilmozzi, amante della natura e della botanica. L'obiettivo del ristorante è infatti quello di trasferire i sapori dei boschi circostanti nel piatto, attraverso l'uso di gemme, licheni e tutto ciò che la terra ha da offrire. A cominciare dall'antipasto per finire con il gin, di produzione propria, ogni portata è studiata per raccontare un angolo della valle. E dalla scorsa primavera, la creatività dello chef si esprime anche su ruote, in versione cibo da strada con il food truck El Lares che propone panini gourmet ripieni degli ingredienti tipici della tradizione trentina.

 

El Molin

Osteria de l'Acquarol, Panchià (TN): Alessandro Bellingeri e Perla Cardenas, come la maggior parte dei ristoratori locali, hanno deciso di puntare tutto sulle ricette classiche di un tempo, rivisitate e reintepretate in chiave moderna e con gusto personale. A rendere ancora più piacevole il pasto, l'ambiente tipicamente montano dominato dal legno e dai colori caldi, e l'atmosfera suggestiva dell'hotel che lo ospita, il Rio Bianco, il più antico di tutta la Val di Fiemme.

 

Osteria de l'Acquarol

GLI INDIRIZZI

Dove dormire

Agriturismo Fior di Bosco | Loc. Comuni Valfloriana (TN) | tel. 0462 910002 | www.agriturfiordibosco.com

Hotel Rio Bianco | Panchià (TN) | via Nazionale, 42 | tel. 0462 810060 | www.riobianco.it

Dove acquistare

Caseificio Sociale Val di Fiemme | Cavalese (TN) | via Nazionale, 8 | tel. 0462 340284 | www.cascavalese.it

Dagostin | Varena (TN) | p.zza del Mercato, 1 | tel. 0462 340422 | www.dagostin.it

Il Maso dello Speck | Daiano (TN) | pozze di sopra, 2 loc. Ganzaie | tel. 0462 342244 | www.titospeck.it

Terre Alte | Castello Molina di Fiemme (TN) | via Latemar, 1

Dove mangiare

Costa Salici | Cavalese (TN) | via Costa dei Salici, 10 | tel. 0462 340140 | www.costadeisalici.com

El Molin | Cavalese (TN) | p.zza C. Battisti, 11 | tel. 0462 340074 | www.elmolin.info

Osteria de l'Acquarol | Panchià (TN) | via Nazionale, 42 | tel. 0462 813082 | www.osteriadelacquarol.it

L'itinerario gastronomico della Val di Fiemme è disponibile nella nostra guida Foodies 2016 (acquistala qui)

a cura di Michela Becchi

 

 

 

Il vino, di generazione in generazione. Le Rive e le famiglie del Prosecco

$
0
0

Le famiglie del vino al cambio generazionale. Chi sono e come si muovono le nuove leve del vino? Quelle che hanno assorbito lo spirito e l'attività familiare e ora impongono, lentamente o con accelerazioni repentine, il loro stile? Iniziamo da quelle che, nel Conegliano Valdobbiadene, danno vita a uno dei vini più venduti e amati, in Italia e all'estero: il Prosecco.

Sul verde pendio di Muro Cà del Poggio il panorama è da mozzare il fiato e per un momento ne godiamo la vista tralasciando le bollicine, l’export e i grandi numeri. Siamo sui colli del Prosecco superiore, nel Comune di San Pietro di Feletto, dove nel 2009 e nel 2013 è passato il Giro d’Italia. Capita spesso di incontrare sulla Strada del Vino nel Conegliano Valdobbiadene ciclisti professionisti che da tutto il mondo vengono qui ad allenarsi conquistati dalle bellezze del luogo oltre che dalla bontà del Prosecco.

 

Il territorio

Analizzando il territorio è possibile dividere la Docg in due parti: quella occidentale del comprensorio di Valdobbiadene con colline ripide e pendenze fino all’80% e quella orientale di Conegliano caratterizzata dalla dolcezza dei colli e dalle forme più soavi. Le Prealpi Venete alle spalle delle colline, infine, dominano il paesaggio proteggendo le vigne dai venti del nord.

Il paesaggio è caratterizzato dalla presenza della vite, capace di disegnare linee e trame infinite spesso interrotte da piccoli casolari, boschi e campanili dei centri abitati che dominano dai colli più alti fungendo da punti di riferimento.

È la glera, la varietà atta a dare il Prosecco, che domina nei vigneti. I sistemi di conduzione variano a seconda delle pendenze e dell’andamento dei versanti. Filari trasversali per la zona di Valdobbiadene con impianti a cappuccina a densità irregolare, Sylvoz e Guyot per la zona di Conegliano dove il vigneto acquista un volume maggiore.

L’ampia diversità di suoli del comprensorio e le diverse condizioni climatiche che vi si sviluppano sono gli elementi chiave per comprendere con chiarezza le diverse risposte della glera nelle varie sottozone.

 

Le Rive

Tra queste anche Le Rive, sottozone geografiche che prevedono regole più restrittive: la provenienza da un’unica località sempre indicata in etichetta, produzione inferiore rispetto alle altre tipologie, vendemmia manuale, vincolo dell’anno di produzione e solo tipologia spumante.

Le colline di Conegliano-Valdobbiadene, peraltro candidate a entrare nell’Unesco - patrimonio dell’Umanità - comprendono circa 6000 ettari vitati, con quasi 160 aziende iscritte al consorzio che, per 15 comuni della provincia di Treviso, arrivano a una produzione annua intorno ai 70 milioni di bottiglie.

 

La presenza sul territorio della prestigiosa Scuola di Enologia di Conegliano ha dato alla generazione dei baby boomers, la generazione X e i millennialsla spinta a investire su queste colline anziché abbandonarle, trasformando così un territorio che trent’anni fa produceva in gran parte grano turco in una risorsa molto più vantaggiosa.

 

Le Manzane

Custodi delle Rive di Manzana e di Formeninga, Osvaldo, Ernesto e Marco Balbinot rappresentano le tre generazioni che si sono succedute e si intrecciano ancora oggi all’interno di Le Manzane, azienda fondata nel 1984 ma che ha avuto origine già nel ‘58 quando Osvaldo diede inizio alla sua attività commerciale. Il trait d’union che li lega è la ricerca di una continuità qualitativa e la passione per il territorio. Quello che li differenzia è l’approccio al lavoro e la diversa interpretazione delle richieste del mercato. Per Ernesto la qualità è il primo obiettivo. Giudica negativamente le cooperative che svendono il territorio ed è contrario alla pratica delle private label e dei phantom brands. Marco, il figlio, anche lui enologo, è spesso in viaggio nel sud-est asiatico affiancato da wine-educators per promuovere l’abbinamento cibo-vino. Racconta che a Shanghai, Hong Kong e Tokyo il Prosecco viene recepito e consumato come un prodotto giovane, di moda, dai prezzi accessibili. Nota che il tè, e la cultura e l’attenzione con il quale viene abbinato e consumato nella cucina orientale sono il contesto migliore nel quale poter inserire il Prosecco e il vino italiano in generale. Pur denunciando il fenomeno dell’Italian sounding in varie parti del globo è fiducioso nel gioco di squadra che può nascere tra la Doc, la Docg e le Istituzioni Italiane.

 

Lo stile di famiglia

Staresempre sul prodotto prima di tutto come viticoltori è il concetto chiave della famiglia Balbinot. Sempre alla ricerca di uno stile personale sono riusciti a trovare in una sosta prolungata in autoclave il metodo migliore per dare più struttura ed equilibrio ai loro vini di punta. Ne è un esempio lo Sprìngo Blue Conegliano Prosecco Superiore Docg Brut Rive di Formeninga 2015. Poco più di 8000 bottiglie provenienti da questa Riva. Delicato nel colore e nel perlage, ha un naso fine dove i sentori di frutta a polpa bianca e cenni floreali sono più lievi ma avvolti da una chiara nota di arancia amara, sentori di crosta di pane e tonalità erbacee. La bocca è affilata, con un allungo sapido e una bella cremosità che nel finale restituisce equilibrio e piacevolezza. Beverino e versatile negli abbinamenti si sposa magnificamente con un tortino ai porcini su fonduta di formaggi o con una crema di fagioli lamom con salsa al basilico.

Più dolce e fruttato all’olfatto e voluminoso all’assaggio la versione Dry 2015 proveniente dalla Rive di Manzana. Ideale su biscotti ai frutti di bosco e grano saraceno o con un tronchetto al tiramisù.

 

Adami

Arrivata oggi alla quarta generazione di viticoltori, la famiglia Adami opera in questo territorio dal 1933, anno in cui venne acquistato il Vigneto Giardino: una vigna posta sui versanti collinari di Colbertaldo, a ridosso delle prime vette dolomitiche. Da questo momento nasce la filosofia produttiva che caratterizza ancora oggi il lavoro della maison trevigiana: selezione e separazione delle uve in base alla loro provenienza. La discontinuità, invece, è stata quella di far percepire le differenze del territorio valorizzando il più possibile l’identità di un vigneto e il relativo trasferimento del territorio alle uve.

 

Lo stile familiare

Maturità della buccia, periodo di raccolta e pressatura sono i tre aspetti principali su cui si è concentrata la sperimentazione che i fratelli Franco Armando Adami hanno portato avanti per nove anni. Continuando ad assaggiare l’uva, come hanno fatto i loro predecessori, hanno realizzato delle micro selezioni territoriali in base ai tempi di maturazione delle uve, comprendendo i diversi momenti di vendemmia. Avere uve capaci di esprimere al meglio tutto il loro potenziale: mantenimento dell’acidità, piena espressione dei precursori aromatici e buccia perfettamente matura, ha permesso poi in cantina lo sviluppo di una tecnica di estrazione capace di modificarsi in base alla provenienza e l’annata.

Convinto che dentro la selezione territoriale delle Rive si possano andare a cercare le differenze tra un Prosecco e un altro Franco Adami è certo del fatto che da qui a 50 anni un progetto di vino come il Prosecco, con idee chiare e numeri importanti, saprà

ritagliarsi un ruolo di co-protagonista accanto allo Champagne sul mercato globale. Per la famiglia Adami il Prosecco è un vino semplice ma non banale. Capace di donarsi subito al consumatore, riservandosi a livello mondiale momenti e modalità di consumo ben precise.

Gli asset strategici per centrare un tale obiettivo sono il lavoro, lo studio, la ricerca e l’insegnamento che proiettati in maniera trasversale su tutta la Docg avranno il merito di comunicare un territorio che è arrivato dopo l’idea vincente del Prosecco. Portando sempre più nel bicchiere personalità, sottozone e storia e dimostrando riconoscibilità e costanza qualitativa.

 

Il Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg “Asciutto” Rive di Colbertaldo Vigneto Giardino 2015 rivela tutto questo, presentandosi con un paglierino chiaro e bollicine sottili. Al naso è molto intenso dominato inizialmente da note di pesca, pera e cenni floreali poi si apre su sfumature agrumate e di salvia. In bocca l’attacco è morbido e avvolgente rivelando nel finale una piacevole sapidità e golosi ritorni fruttati. Un vino diretto ed essenziale che va giù alla grande. Da provare su una zuppa di pesce all’ischitana.

Il Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg Brut Rive di Farra di Soligo Col Credas 2015 invece ha un aspetto che tende più sul verdolino con bollicine continue. Naso profondo e intenso. Il floreale espresso nella prima fase olfattiva lascia poi spazio a sentori di cedro, timo e mandorle dimostrando una grande eleganza d’insieme. L’assaggio è dinamico, progressivo,

giocato tutto su una netta vervesapida, moderata freschezza e carbonica perfettamente integrata. Un sorso appagante e persistente che restituisce nel finale di bocca corrispondenza e piacevolezza. Gran vino. Ideale con uno spiedino di gamberi tostati con le mandorle o ravioli freschi di burrata su concassea di pomodoro.

 

 

Bortolomiol

Spostandosi verso Valbobbiadene è possibile incontrare un’azienda oggi tutta al femminile che conserva un legame a queste colline fin dal ‘700 e la cui mission è basata sulla tutela del territorio che assicuri uno sviluppo sostenibile. Le sorelle Bortolomiol: Maria Elena, Elvira, Luisa Giuliana hanno saputo raccogliere il testimone lasciatogli dal padre Giuliano, fondatore dell’azienda. Personaggio di spicco della zona è stato uno degli uomini chiave per la nascita del Prosecco per come lo conosciamo oggi e per essere un grande conoscitore del metodo Martinotti-Charmant.

Oggi Bortolomiol è un’azienda in equilibrio con l’ambiente. Il concetto di forte legame con il territorio di papà Giuliano è stato un insegnamento trasmesso e portato avanti dalle figlie. Un lavoro che parte in vigna e in cantina e viene esteso a tutta l’azienda e alle diverse fasi della filiera produttiva. Giuliano Bortolomiol aveva capito già nel ‘49 l’unicità delle varie zone e dei singoli vigneti: un’intuizione che ha permesso all’azienda di migliorarsi sempre di più nella tecnica spumantistica. Elvira è convinta che la produzione biologica e il grande lavoro d’identificazione territoriale, permesso dall’introduzione de Le Rive, stia offrendo oggi all’azienda di famiglia l’opportunità di valorizzare al meglio la propria viticoltura eroica lasciando emergere chiari elementi di distinzione e riconoscibilità.

 

Lo stile familiare

Per le sorelle Bortolomiol la comunicazione del proprio territorio oggi non può che essere social. Bisogna essere leggibili e visibili al mondo, creare un network tra il web e turismo enogastronomico e sfruttare al meglio la vicinanza con la città di Venezia. Elvira racconta che essere donne-manager in un mondo, come quello enologico, dominato dalla presenza maschile non è stato facile ma l’unione della famiglia è stata ed è, tuttora, il punto di forza per guidare al meglio l’azienda. Sottolinea come sul territorio ci sia sempre una maggiore presenza di giovani e come, malgrado molti di loro non posseggano ancora una filiera produttiva completa, si stiano dimostrando degli ottimi viticoltori.

Ci dice che all’interno del consorzio i valori ereditati sono vissuti e messi in pratica in modi diversi e le varie situazioni vanno sempre monitorate e gestite al meglio. Insomma una visione manageriale e di tutela del territorio che ha un colore unico al comando: il rosa. E ci fa piacere ricordare la maggiore sensibilità che le donne Bortolomiol hanno per i tanti impegni a scopo umanitario come il progetto Benin (Africa), l’appoggio alla Comunità di Sant’Egidio e all’iniziativa “Wine for life”.

 

Da una vigna di settant’anni proviene Il Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg Brut Rive San Pietro di Barbozza Motus Vitae 2013. Brillante, paglierino chiaro e perlage sottile. Al naso è potente ed elegante. Sentori di nocciole, frutta a polpa bianca matura, pesca ed ananas sono avvolti da note di erbe aromatiche, felce e mandarino. Assaggio morbido, dove freschezza e sapidità giocano nelle retrovie restituendo tensione e slancio nel finale di bocca. Perfetto con fesa di tacchino al cartoccio alle punte d’asparagi bianchi di Corbanese o Phat Thai Thailandese.

Il Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg Brut Prior 2015si svela più lieve nei colori ma con aromi freschi e golosi che rimandano al glicine, pere e sambuco invitando subito all’assaggio. Avvolgente ed equilibrato chiude su lunghi rimandi fruttati e floreali. Dalla beva pericolosa per piacevolezza è ideale con crostini al guanciale o frittura di salvia, porcini e fiori di zucca. In alternativa Uramaki e Tempura giapponese.

 

Le Manzane |S. Pietro di Feletto (TV)| via Maset, 47/B | tel. .0438.486606 | http://www.lemanzane.com/it/

Adami | Colbertaldo di Vidor (TV) | via Rovede, 27 | tel.0423 982110| http://www.adamispumanti.it

Bortolomiol |Valdobbiadene (TV)| via G. Garibaldi, 142 | tel. 0423 9749  | http://www.bortolomiol.com/

 

a cura di Emanuele Schipilliti

 

Apre il Mercato Metropolitano di Londra. Le botteghe dell'ex cartiera, non solo made in Italy

$
0
0

A Elephant&Castle c'è un nuovo mercato gastronomico che prova a conquistare i londinesi. Andrea Rasca apre i battenti del primo Mercato Metropolitano all'estero; per ora in fase di preopening, dalla prossima settimana a pieno regime. Ecco chi c'è. 

Un mercato italiano a Londra

Ampiamente annunciato, il Mercato Metropolitano di Andrea Rasca arriva anche a Londra, con qualche settimana di ritardo sulle stime previste. Ma l'ambizione del progetto è tale da rendere trascurabile il prolungarsi dei tempi tecnici necessari per allestire lo spazio di 4000 metri quadri dove il format ideato per Expo 2015 e oggi in piena attività a Torino (ex stazione di Porta Susa) si confronterà per la prima volta con l'estero. Per farlo, Andrea Rasca ha individuato un partner importante in Peabody: a febbraio scorso i due soci stringevano l'accordo per la concessione  di un anno dell'edificio di Newington Castle dove oggi campeggia l'insegna Mercato Metropolitano, una vecchia cartiera non distante da Elephant&Castle e dal Borough Market. Tutto come da piani, con l'obiettivo di riqualificare spazi urbani in disuso, promuovere l'artigianalità e l'educazione alimentare.

Nel caso specifico, poi, il mercato agirà da traino per il made in Italy di qualità, già tanto apprezzato nella capitale inglese.

Mercato Metropolitano London. Chi c'è

Le prime indiscrezioni sull'organizzazione interna del MM già suggerivano molto delle attività che avrebbero animato lo spazio, di cui cominciavano a parlare poco più di un mese fa, rilevando la presenza di un market affidato alle cure di Prezzemolo & Vitale, realtà palermitana alla sua prima esperienza oltre Manica. Ora però il discorso si fa più interessante, e concreto: solo da un paio di giorni il mercato lavora in regime di preopening, alcune delle attività sono già operative, per  l'inaugurazione bisognerà attendere il 26 luglio, quando anche le altre botteghe si uniranno alla squadra. Poi, per tutto il mese d'agosto, continuerà la fase di rodaggio; a settembre la struttura girerà a pieno regime. Noi vi raccontiamo chi c'è.

Ad accogliere i primi avventori ci hanno pensato la Bakery, Manuelina – che i  milanesi conosceranno per il punto vendita in Rinascente, aperto circa un anno fa – storica insegna di Recco (dal 1885) e ambasciatrice della famosissima focaccia ligure ripiena di formaggio filante, La Latteria di Simona di Vietri con produzione di mozzarella sul posto, la gelateria di Badiani, celebre realtà fiorentina.

Street food, cocktail, birra artigianale e champagne

Ma fanno parte della squadra schierata in prima linea dal fischio d'inizio anche la bottega di Cucina emiliana con pasta fresca all'uovo, gnocco fritto e tigella, quella dedicata alla Cucina sudtirolese, l'Enoteca e la Caffetteria, il food truck di Cucina mediorientale. Operativo sin dal primo giorno anche il market di Prezzemolo & Vitale, con prodotti italiani e inglesi e banco fresco per la vendita di salumi e formaggi. Dalla prossima settimana l'offerta di amplierà con l'apertura della pizzeria napoletana, dell'area aperitivo per accompagnare un tagliere di formaggi con un calice di Champagne, del Cocktail bar. E non solo: a completare l'offerta anche una spazio dedicato alla cucina tradizionale inglese, un box per quella indiana e l'area della birra artigianale gestita dai ragazzi di The Italian Job (il pub di Marco Pucciotti e Giovanni Campari – Birrificio del Ducato – a Londra).

Qualche settimana in più sarà necessaria per inaugurare gli spazi non food: cinema, coworking, gym, urban garden, ostello/pop up hotel. Mentre già si profila un fitto calendario di attività di intrattenimento, dai concerti ai corsi di cucina, agli show cooking. Apertura dalle 11 am alle 11pm, lunedì escluso.

 

Mercato Metropolitano London | Londra | 44 Newington Causeway | www.mercatometropolitano.co.uk

 

a cura di Livia Montagnoli

Foto di Sara Montali

Michelin Singapore. La prima edizione dispensa stelle allo street food. E Robuchon fa cinquina

$
0
0

La guida gommata presenta la prima edizione dedicata alla ristorazione di un Paese gastronomicamente sempre più allettante. E fotografa la varietà della città-stato asiatica: tra street food stellati e grandi chef internazionali spunta anche la cucina “tokyo-italian”. 

Lo street food che vale la stella

Mangiare al ristorante stellato con meno di 5 euro? A Singapore da qualche giorno è possibile. Centrando l'obiettivo di censire una delle scene ristorative universalmente considerata tra le più in crescita degli ultimi anni, anche la Rossa è arrivata nella città-stato del Sud Est asiatico per pubblicare la prima edizione della guida gastronomica più famosa nel mondo. E la partenza si conferma delle migliori: tra le pagine d'esordio, gli ispettori dispensano stelle a 29 insegne, mentre 34 realtà che si sono distinte per il buon rapporto qualità/prezzo ottengono il rango di Bib Gourmand. A dir la verità, però, a fare notizia è soprattutto la scelta di premiare due attività di street food con una stella ciascuno, confermando l'alto livello qualitativo raggiunto nel Sud Est Asiatico ed Estremo Oriente dal cibo di strada, che spesso finisce per rappresentare una componente  fondamentale nelle abitudini alimentari degli abitanti locali.

E così ora la stella brilla sulle insegne di Hill Street Tai Hwa Pork Noodle  e Hong Kong Soya Sauce Chicken Rice and Noodle, entrambe votate alla preparazione di pietanze popolari consumate dai commensali in locali a dir poco spartani. Non è la prima volta che la Michelin riconosce il valore dello street food: proprio in occasione dell'ultima edizione di Hong Kong, la Rossa aveva inaugurato una sezione tutta dedicata ai migliori rappresentanti del genere. Viene da chiedersi quante stelle in più potrebbe contare l'Italia se solo anche da noi la guida francese assegnasse riconoscimenti alle eccellenze dello street food, per ora a farlo ci pensa la nostra guida peraltro appena uscita.

Robuchon è il re di Singapore

Al tempo stesso, però, la nuova guida di Singapore non manca di rilevare l'attrazione della cultura gastronomica locale per le insegne fine dining, soprattutto se a guidarle sono grandi chef di fama internazionale. Ecco perché l'unico che porta a casa il risultato pieno è Joel Robuchon, nuovo tristellato di Singapore con il ristorante omonimo. Ma senza troppa fantasia da parte dell'editore, il maestro della cucina francese si aggiudica anche le due stelle per il suo Atelier, il format nato a Parigi e presto esportato nel mondo con grande apprezzamento di pubblico e critica. Una doppietta (ma sarebbe meglio parlare di cinquina) importante, che lo vede in buona compagnia.

Conquista la due stelle anche il Restaurant Andre, già presente al numero 32 della World's 50 Best e molto ben piazzato nella 50 Best asiatica, e non è un caso visto il lungo alunnato di Andrè Chiang presso i numi tutelari della ristorazione francese, da Pierre Gagnaire a Robuchon. Due stelle anche per Odette, Shisen Hanten, Shoukouwa Les Amis.

Mentre sono 22 le insegne che ottengono la prima stella. Tra loro, oltre alle due proposte street food, anche Terra che l'insegna identifica come “Tokyo-Italian restaurant”. E il motivo è presto detto: lo chef giapponese Seita Nakahara non nasconde la sua passione per l'Italia e la cucina del Belpaese, che l'ha portato a viaggiare in lungo e in largo per la Penisola, prima di stabilirsi a Singapore. E oggi tra i piatti di Terra non può mancare la pasta fresca. 

 

a cura di Livia Montagnoli

Viewing all 5335 articles
Browse latest View live