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In viaggio. Santorini, la perla vulcanica del mar Egeo e i suoi vini

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A scoprire le spiagge più belle ci penseranno i vostri compagni di viaggio, voi concentratevi sulla terra, quella scura vulcanica di Santorini. E sui suoi vini: ecco i migliori dell'isola.

L’antica Grecia è stata non solo una delle culle della viticoltura, ma anche il centro di diffusione della vite in tutto il Mediterraneo. Sulle rotte delle navi elleniche, hanno viaggiato le barbatelle di gran parte dei vitigni oggi coltivati in Europa. Un viaggio in Grecia ha sempre il sapore di un ritorno al passato, anche nel campo del vino, soprattutto se ci si spinge nelle isole dell’Egeo, fin dal 4000 a.C teatro della Civiltà Cicladica.

 

Uno scoglio nel mare

Mare blu cobalto. Una scogliera sale scura dalle acque profonde, bordata da una fila di case bianche che si perdono in un cielo d’azzurro smaltato. È l’inconfondibile profilo di Santorini. Ogni volta che appare all’orizzonte riempie d’emozione e stupore. Non ci si abitua a un tale spettacolo della natura, così violento nella sua bellezza ammaliante. Santorini è una roccia nera dispersa nel profondo Egeo, dove mito, storia e leggenda incrociano da sempre le loro oscure trame. Non è solo un’isola delle Cicladi, è un piccolo universo scomparso e risorto. È la scheggia di un misterioso passato che si perde negli abissi del Mediterraneo con il suo carico di segreti.

 

Santorini tra storia e leggenda

Ciò che vediamo oggi è solo il fantasma di una grande isola emersa in età preistorica. Nel corso del IV millennio a. C. l’odierna Santorini era chiamata Stroggyli (rotonda), per la sua forma circolare e ospitava insediamenti di antiche civiltà cicladiche.Verso il 1700 a.C., a seguito di una violentissima esplosione vulcanica, buona parte dell’isola si è inabissata nelle profondità dell’Egeo. Del tremendo cataclisma sono rimaste solo le creste di alcune pareti dell’antico cratere e un piccolo gruppo d’isolotti.L’antica civiltà dell’isola è stata completamente distrutta dall’esplosione. Ne restano alcune testimonianze presso gli scavi archeologici di Akrotiri, una piccola Pompei riemersa dalle ceneri nel 1967. L’esplosione di Santorini è stata un evento di portata enorme, con tsunami, piogge di ceneri a Creta e profondi cambiamenti climatici nel bacino orientale del Mediterraneo, testimoniati anche da fonti egizie. Se, dalla storia, vogliamo poi addentrarci nei territori della leggenda, allora Santorini è spesso identificata con la mitica Atlantide. La famosa terra misteriosamente scomparsa e la cui ricerca non finirà mai.

Vite

Il territorio vulcanico e le vigne

Santorini è un vero museo a cielo aperto che riunisce ogni aspetto dei territori di natura vulcanica con i loro colori: spiagge di sabbia scura, rocce rosse, pomici bianche, basalti neri, ceneri grigie e rosa. Un campionario di minerali d’impressionante varietà, che crea un paesaggio di una bellezza abbagliante. Non è un caso che in una terra così pietrosa e ricca di sostanze minerali, la vite abbia trovato dimora da sempre. Nonostante i territori d’origine vulcanica rappresentino solo l’1% della superficie terrestre, sono spesso aree d’eccellenza per la viticoltura. Basti pensare, solo per rimanere in Italia, all’Etna, al Vesuvio, ai Campi Flegrei, al Vulture, a Pitigliano e a Soave.

Gli scavi di Akrotiri hanno permesso di datare la presenza della vite sull’isola fin dall’epoca precedente al 1700 a.C., data della grande catastrofe. Una tradizione che non si è mai interrotta nel corso dei secoli successivi, fino ad arrivare ai giorni nostri. Le viti di Santorini, piantate su terreni sabbiosi, non hanno conosciuto il flagello della fillossera, sono ancora a piede franco e spesso centenarie. I suoli sono costituiti da sabbia, lapilli, pomici, ceneri e rocce di pietra lavica; sono ricchissimi di minerali e poverissimi di sostanze organiche.

L’isola ha un clima mediterraneo, caldo e arido, reso ancora più secco nei mesi estivi dallo spirare costante e violento del Meltemi. Le piogge sono molto rare e la vite si è dovuta adattare a una situazione di carenza d’acqua. In estate, l’unica risorsa idrica è data dalla condensa mattutina, generata dall’evaporazione dell’acqua di mare per le alte temperature diurne. Per sfruttare questa rugiada marina, la vite è coltivata a terra, con una forma dall’allevamento a canestro: le piante sembrano dei grandi nidi posati in buche scavate nel terreno, con i tralci avvolti in forma circolare. Solo in questo modo, la vite riesce a trattenere la poca umidità e a difendersi dal vento.

 

I vitigni

Il vitigno più famoso di Santorini è l’assirtiko, che copre circa l’80% della superficie vitata dell’isola. È una varietà che si è adattata benissimo al clima dell’Egeo e anche quando arriva a maturazione completa, conserva una forte componente acida. È un vitigno di straordinaria qualità e duttilità. I suoi vini da giovani possono ricordare il profilo di Chabis e Sancerre, mentre con l’invecchiamento sviluppano aromi terziari, minerali e d‘idrocarburici, che fanno pensare alla Mosella.

Un altro vitigno a bacca bianca autoctono è l’aidani che in passato era utilizzato soprattutto per la produzione del famoso VinSanto. Vinificato in purezza, dona vini aromatici, con note floreali e fruttate di grande armonia ed equilibrio.

L’athiri è un vitigno a bacca bianca presente in diverse isole del mar Egeo, in particolare a Santorini, Rodi e Creta. Viene generalmente usato in blend per produrre il Santorini Dop.

Tra i vitigni a bacca rossa, il mavrotragano è sicuramente il più interessante, anche se copre solo il 2% della superficie vitata dell’isola. È una varietà che ha rischiato l’estinzione a causa delle sue bassissime rese. I grappoli arrivano spesso a maturazione in tempi diversi, obbligando a vendemmie laboriose e a micro-vinificazioni. In passato era coltivato solo da piccoli viticoltori per la produzione di vino passito; oggi viene vinificato in rosso e produce vini che si stanno rivelando molto interessanti.

Oltre a mavrotragano si coltiva anche la mandilaria, vitigno presente a Santorini, Creta, Rodi, Paros, in alcune zone dell’Attica, Tessaglia, Eubea e Macedonia. Produce vini rossi di carattere, con tannini robusti, che richiedono un lungo affinamento per smussare le spigolosità giovanili e trovare la giusta armonia.

 

Gli assaggi più interessanti

Le giornate dedicate agli incontri con i produttori e alle degustazioni, hanno confermato l’elevato livello della produzione: vitigni di grandi potenzialità, come assyrtiko e mavrotragano, avrebbero raccolto maggiore fama e successo se non fossero stati confinati in una piccola isola dell’Egeo. Ma, paradossalmente, questa marginalità rispetto alla globalizzazione internazionale ha consentito loro di mantenere una territorialità e una continuità storica con le tradizioni millenarie, che si rivela oggi uno degli aspetti più affascinanti dei vini di Santorini.

 

Hatzidakis

Il tour è cominciato conla cantinaHatzidakis, che produce in regime di agricoltura biologica, nella zona centrale dell’isola, vicino a Pyrgos. La nuova cantina è completamente scavata nella roccia, per mantenere temperature costanti e offre una bellissima vista sulle vigne della tenuta. Tra le etichette degustate, ci è piaciuto l’Aidani 2015: intensa aromaticità floreale e fruttata, con un perfetto equilibrio gustativo tra freschezza e frutto succoso. Grande bottiglia l’Assyrtico de Milos Vieilles Vignes 2014. Un vino prodotto con le uve di un singolo vigneto, con piante di oltre cent’anni. Il bouquet è complesso, con note floreali, sentori di buccia di cedro candita, pietra focaia, ricordi iodati e cenni d’idrocarburo. Al palato ha una bell’ampiezza, con aromi in evoluzione verso note resinose, minerali e speziate. Una sorpresa il Mavrotragano 2012 un vino rosso dal bouquet elegante, che esprime aromi di piccoli frutti di bosco, erbe aromatiche, spezie e una lieve nota fumé. Al palato ha un buon corpo, grande complessità, profondità aromatica e un perfetto equilibrio tra tannini e freschezza.

 

Estate Argyros

Estate Argyros

Estate Argyros è una cantina di grandi tradizioni, che dal 1903 produce vini nella tenuta di Episkopi Gonia, vicino a Pyrgos. Di particolare finezza l’Aidani 2015, con raffinati profumi floreali e un’aromaticità sottile, ben sostenuta da una piacevole freschezza. L’Assyrtiko Eastate Argyros 2015 è prodotto con le migliori parcelle della tenuta, coltivate con vigne ultracentenarie. È un vino di grande intensità con una fresca verve citrina, sentori minerali e iodati. Interessante anche la versione Oak maturata in barriques, ma con un uso del legno molto discreto, che conserva intatte le caratteristiche dell’assyrtiko. L’assaggio del Mavrotagano 2013 conferma quanto già detto su questo vitigno: un vino rosso complesso, elegante, capace di regalare sensazioni di grande armonia. Chiudiamo la degustazione con 3 versioni di VinSanto, rispettivamente invecchiate in legno per 4, 12 e 20 anni. È il vino tradizionale dell’isola, prodotto con i tre vitigni a bacca bianca: 80% assyrtiko, 10% athiri e 10% aidani. Il VinSanto 2008 esprime aromi di scorza candita, miele d‘agrumi e uva passa, con acidità che rende il sorso piacevole. Più complesso, morbido e avvolgente il VinSanto 2000, già caratterizzato da note di frutta secca, frutta candita e miele. Infine il VinSanto 1992 si apre con un bouquet intenso e profondo, con aromi di fichi secchi, dattero, miele di castagno, scorza d’arancia candita. Perfetto da degustare con del cioccolato fondente.

 

Domaine Sigalas

Tra le cantine più importanti, il Domaine Sigalas è l’unica che si trova nella parte settentrionale dell’isola, tra Imerovigli e Finikia. Sotto il fresco pergolato del Domaine Sigalas, la degustazione conferma la grande qualità dei vini della tenuta. In particolare l’Assirtyko Kavalieros 2014 e il Mavrotragano 2014 sono due etichette di valore assoluto. Il primo è prodotto da un singolo vigneto con vecchie vigne di oltre 60 anni. Al naso è caratterizzato da grande eleganza, con note di cedro, limone, erbe aromatiche, miele d’agrumi, pietra bagnata e sentori iodati. Al palato ha una buona struttura, con aromi fruttati, che virano verso note tropicali, su un sottofondo minerale. Il sorso è fresco e dinamico, grazie a una vibrante acidità. Il Mavrotragano si conferma un vino rosso di straordinario fascino. La versione di Sigalas spicca per finezza dei profumi, complessità e profondità aromatica, mettendo in luce un perfetto equilibrio tra tannini setosi e freschezza. Tra gli altri vini di Sigalas, ci è piaciuto l’Aidani 2015 per il profilo floreale e aromatico, con belle note di frutta esotica. Perfetti il Santorini 2015, assyrtiko in purezza così come la versione Barrel, in cui il legno è utilizzato con discrezione e lascia sempre in primo piano la freschezza del vitigno. Complessa e quasi opulenta, la versione Nychteri 2013, una vendemmia tardiva di assyrtiko, che colpisce per complessità e ricchezza del bouquet, caratterizzato da note di frutta candita, miele d’agrumi e camomilla.

 

SantoWines

Santo Wines

La degustazione dei vini di Santo Wines, cooperativa di piccoli produttori dell’isola, sì è rivelata molto interessante, non solo per la qualità dei vini, ma anche per scoprire la grande duttilità dell’assyrtiko. Santo Wines, infatti, è l’unica cantina che produce una piccola quantità di bottiglie di Metodo Classico. Si può così cominciare la degustazione di assyrtico da uno spumante per arrivare al VinSanto, passando per varie tipologie di vini bianchi fermi. Il Santorini Sparkling Brut, affinato sui lieviti per circa 20 mesi, mette in luce il bel potenziale del vitigno anche per la spumantizzazione. Il bouquet citrino, con note di pesca bianca e crosta di pane è sorretto da un’acidità tagliente e da una nitida vena minerale. Il Santorini Assirtyko 2015 è un vino diretto, con intense note di cedro e agrumi, freschezza affilata e chiusura minerale tipica del terroir. Molto interessanti le versioni Santorini Nykteri 2015 e Nykteri 2013 Reserve (75% assyrtiko, 15% athiri, 10% aidani),in cui l’affinamento in legno dona all’assyrtiko complessità senza coprire le sue caratteristiche tipiche. Il VinSanto 2009 (85% assyrtiko, 15% aidani), matura per almeno 3 anni in barriques di rovere francese. Il bouquet regala aromi vellutati di agrumi canditi, uva passa, albicocche secche, ben bilanciati dalla freschezza. Tra i rossi, il Mavrotragano 2014, si distingue per eleganza e profondità aromatica, mentre il Kameni 2013, mandilaria in purezza, si caratterizza per notevole struttura, aromi di confettura, note speziate e trama tannica importante.

 

Boutari

Altre cantine

Tra gli altri assaggi segnaliamo un paio di etichette della cantina Boutari: il Santorini 2015, un vino pulito ed essenziale nella sua nitida freschezza minerale e citrina e l’Abeliastos 2003, prodotto con mandilaria in purezza: in calice da dessert, ricco e complesso, con aromi di frutta secca, fichi, datteri, spezie e cannella. Perfetto per accompagnare formaggi stagionati e saporiti o dolci al cioccolato.

Il Thalassitis assyrtiko in purezza di Gaia Winery è prodotto sulla costa orientale dell’isola da vecchie vigne, con rese di 25 hl/ha. Spicca per intensità degli aromi e per la caratteristica freschezza, sapida e minerale.

Chiudiamo con il rosso Caldera 2007 di Canava Roussos, prodotto con mandilaria e una piccola percentuale di assyrtiko. Un classico vino di terroir, con aromi di frutta rossa, confettura, note speziate e sentori minerali quasi fumé.

 

a cura di Alessio Turazza

 

 

 

 

 

Cantine solidali: quando il vino restituisce

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Vendemmie e bottiglie per finanziare onlus, reimpianto delle specie botaniche, progetti a sostegno delle donne e dei carcerati. Ma quanto investono le cantine nella solidarietà? Ecco alcuni esempi virtuosi

L’idea di rinvestire una parte del proprio fatturato in opere di solidarietà sia nel proprio territorio sia altrove, dando al vino una valenza “sociale”, sta diventando sempre più popolare. Sono molte le aziende che si stanno confrontando con queste tematiche, ognuna con una propria visuale, ma accomunate dallo stesso spirito di “restituzione”. Un’idea che si sta allargando a vari ambiti che abbracciano la cultura, i progetti di sviluppo, la conservazione del paesaggio, ecc.

 

Cantina Quarta e le campagne charity

Alessandra, giovane produttrice salentina non ha impiegato più di tanto per convincere suo padre Claudio Quarta, fondatore dell’omonima azienda, nel creare nell’ambito della gamma aziendale “un vino di qualità alla portata di tutti”, in grado di finanziare anche le associazioni attive nel sociale. In sostanza chi ha acquistato una bottiglia di vino Rosso Salento Igp Qua.Le, prodotto nella cantina di Emèra, ha finanziato con il 5% del prezzo della bottiglia (euro 6,50), una delle Onlus indicate dall’azienda. Qua.Le è “un vino che non è affatto snob” lo descrive così Alessandra “non si dà arie, non partecipa ai concorsi. Un vino giovane, da festa, alla portata di tutti. E anche il packaging, realizzato con materiale riciclato, ci aiuta a rendere il vino più sostenibile per l’ambiente”. Grazie a questa campagna Amka Onlus (sanità di base, microcredito e accesso all’acqua potabile), Charity Water (progetti idrici), Made in carcere (prodotti artigianali da materiali di riuso) e Salina dei Monaci (preservazione dell’ambiente) hanno beneficiato complessivamente dell’importo di 11 mila euro (10.937 euro), il 5%, appunto, del fatturato di 218.736 euro. Una somma, niente affatto piccola, considerando il breve periodo della campagna - giugno 2014 giugno 2016 - e nessun investimento per la promozione, che è stata consegnata a Roma durante una conferenza stampa lo scorso 17 giugno. Ora il progetto, annuncia Alessandra Quarta, si aprirà ad altre realtà: entro il 15 settembre 2016 le organizzazioni no profit e le associazioni di volontariato interessate, potranno inviare la propria candidatura, scrivendo ad alessandra@qualevino.it

 

Carlo Pellegrino per Pantelleria

Un altro esempio di solidarietà è quello messo in campo dalla Carlo Pellegrino con “Insieme per Pantelleria”. Nella notte del 29 maggio scorso dei delinquenti rimasti sinora ignoti, hanno appiccato degli incendi che nel corso di quasi quattro giorni hanno mandato in fumo oltre 600 ettari tra bosco e macchia mediterranea insieme a qualche vigneto. Particolarmente colpita la Montagna Grande, Monte Gibele, parte di Serra della Ghirlanda. L’azienda con sede a Marsala e Pantelleria, ha voluto lanciare l’iniziativa “Insieme per Pantelleria”, che ha come obiettivo di contribuire concretamente al progetto della Riserva Naturale Orientata, raccogliendo fondi per la realizzazione di un vivaio dove riprodurre, e successivamente reimpiantare, le specie botaniche più rare, e quindi maggiormente a rischio di estinzione, che costituiscono un patrimonio di biodiversità di valore inestimabile per l’isola. La raccolta fondi è avvenuta nel mese di giugno – durante il quale sono stati raccolti 3 mila euro, con una vendita di 6 mila bottiglie - nel canale Ho.Re.Ca. servito dalla Pellegrino e nell’enoteca aziendale di Marsala, attraverso la vendita di bottiglie di Gibelè o Nes, zibibbo tranquillo e Passito prodotti a Pantelleria dall’azienda, che hanno contribuito con 0,50 centesimi a bottiglia al finanziamento del reimpianto dei boschi e l’acquisto delle attrezzature utili. La campagna, per altro, è stata prorogata nell’Enoteca aziendale di Pantelleria sino al 31 agosto: complessivamente l'azienda punta a raccogliere altri 6 mila euro.

 

Frescobaldi e il Gorgona dei detenuti

Impossibile, poi, non citare il progetto vino Gorgona portato avanti dalla famiglia Frescobaldi: dal 2011 gli agronomi e gli enologi del gruppo toscano lavorano con i detenuti dell'omonima isola di pena, offrendo loro competenze sulla viticoltura e sul vino, che potranno utilizzare successivamente per costruirsi un nuovo futuro. Il vigneto in questione, affittato per 13 mila euro annui dalla famiglia, comprende due ettari di Vermentino e Ansonica, da cui nascono le 4.000 bottiglie del bianco di Gorgona. Un'esperienza destinata a essere a breve ripetuta anche nell'isola carceraria di Pianosa.

 

Bortolomiol e le donne del Nepal

Spostandoci più a Nord, le sorelle Bortolomiol dell’omonima azienda di Valdobbiadene non sono nuove a progetti di sostegno alle donne in varie parti del mondo. Questa volta è stata scelto il Nepal devastato dal terremoto del 25 aprile 2015 e in particolare la Ong Jay Nepal con sedi nel Paese himalaiano e a Roma. Spiega Elvira Bortolomiol: “Abbiamo deciso di sostenere un progetto per la costruzione e l’avviamento di un laboratorio di cucito gestito da donne nel distretto di Bodgaunper farlo diventare un percorso di indipendenza economica delle donne stesse”. Jay Nepal è impegnata nello sviluppo di una microeconomia in grado di permettere maggiore indipendenza alle donne e di creare un volano per un sistema economico in grande sofferenza.“Ci impegneremo in un'azione diretta per attivare la produzione di borse in stoffa che poi verranno utilizzate anche come contenitori delle bottiglie di vino”. Complessivamente si tratta di un finanziamento di 6 mila euro che verranno raccolti anche in occasione di un concerto che si terrà presso l’azienda.

 

Le Manzane e La Città della Speranza Onlus

Sempre nelle terre del Prosecco Superiore, a San Pietro di Feletto, l’azienda Le Manzaneogni anno sceglie di fare una vendemmia solidale con la raccolta di fondi. Nel 2016 è stata la volta de La Città della Speranza Onlus. Alla festahanno partecipato oltre 400 volontari insieme ai piccoli ospiti della Clinica Oncoematologica di Padova e ai loro familiari. L’incassoe parte del ricavato dellavendita, nel periodo prenatalizio, dellebottiglie di Prosecco Superiore ottenuto con l’uva vendemmiata domenica 6 settembre sono state destinate alla Onlus. Lo scorso 18 marzo il titolare dell’azienda Ernesto Balbinot ha consegnato alla Fondazione Città della Speranza un assegno di 13.099 euro, frutto della “Vendemmia solidale, festa e beneficenza nella terra del Prosecco Superiore”. In precedenza era stata la volta della solidarietà in Braille per i non vedenti o ancora il sostegno all’associazione dei Clown in Corsia della Fondazione Dottor Sorriso Onlus che hanno la missione di rendere più serena la degenza dei bambini in ospedale. Dopo averli conosciuti, sono rimasto colpito dal loro cuore e dalla loro professionalità” ha raccontatoBalbinot.“Sono stato contento di mettere a disposizione i miei vigneti per raccogliere, insieme, i frutti della solidarietà”.Già perché vino e solidarietà, vanno decisamente d’accordo.

 

Planeta e l'impegno sul territorio

Anche proporre l’arte è un modo di promuovere e valorizzare i territori. L’azienda siciliana Planeta da luglio a settembre, propone spettacoli e musica nelle sue cantine. Nel Teatro in Vigna a Sciaranuova sull’Etna annunciata la seconda edizione di Sciaranuova Festival che ospiterà quattro spettacoli teatrali sotto la direzione artistica di Paola Pace. Inoltre, a settembre prende il via la settima edizione della residenza itinerante per artisti Viaggio in Sicilia, col titolo “Mappe e Miti del Mediterraneo”, a cura di Valentina Bruschi. Sette giovani artisti percorreranno la Sicilia più nascosta, da ovest all'estremo est e poi a ritroso, infine presso il Baglio dell'Ulmo fisseranno le suggestioni del Viaggio nelle loro opere, in vista della mostra in programma nel 2017. “Crediamo” confermano Alessio e Francesca Planeta “nell'impegno a promuovere iniziative culturali di qualità, cercando, così, di valorizzare anche attraverso questa chiave i territori della Sicilia in cui siamo presenti, ricambiando in parte tutte le opportunità che ci offrono. Un tributo alla nostra terra”.

 

Claudio Quarta Vignaiol0 | Taranto S.P 124 | tel. 0832 704398| www.claudioquarta.it

Carlo Pellegrino | Marsala (TP)| Via del Fante, 39 | tel. 0923 719911 | www.carlopellegrino.it/wines/ 

Frescobaldi | Firenze | via Santo Spirito, 11 | tel. 055 27141 |  www.frescobaldi.com

Bortolomiol | Valdobbiadene (TV) | via G. Garibaldi, 142 | tel. 0423 9749 | http://www.bortolomiol.com/

Le Manzane | San Pietro di Feletto (TV) | via Maset 47B | tel. 0438 486606 | http://www.lemanzane.com/

Planeta | tel. 0925 1955465, 091 327965| http://planeta.it/

 

a cura di Andrea Gabbrielli

 

 

 

Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 7 luglio

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Mangiare sulle isole minori. 14 indirizzi per l'estate 2016

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Ritmi lenti e rilassati, mare cristallino e pescoso, vulcani, vigne, panorami bellissimi, se la vostra meta vacanziera è lontano dalla terraferma, non c'è che l'imbarazzo della scelta: da nord a sud, l'Italia è ricchissima di isole, piccolissime o più estese, mondane o selvagge. Sono un piccolo paradiso in mezzo al mare. Ma dove mangiare?

Piccoli scogli emersi nel mare, verdeggianti o scogliosi, terre vulcaniche assolate e bellissime. Da nord a sud l'Italia è ricchissima di piccole isole. Ecco una mappa gastronomica al mangiare lontano dalla terraferma. 

 

Mazzorbo

Venissa

Venissa

La dimora della famiglia Bisol è un gioiello di fascino ed eleganza, una struttura straordinaria che gode di un'ambientazione magica, con le acque della laguna che, in stagione, allagano letteralmente una parte degli orti e delle vigne. Resort, vigneto, osteria, ristorante dove operano quattro talenti per un'inedita cucina a otto mani. Sabina Joksimovic, Alba Rizzo, Michelangelo D’Oria e Serena Baiano, ognuno impegnano su una portata, si impegnano a mettere in pratica il manifesto di Venissa, che si basa sulla conoscenza, il rispetto, la valorizzazione della materia prima locale, dei luoghi, del territorio, dell'ambiente e del lavoro di ognuno. Il lavoro di squadra è già, di per sé, un interessante progetto che apre notevoli prospettive e anche i risultati non sono da meno.

Venissa | Marzobbo (VE) | fondamenta Santa Caterina, 3 | tel. 041 5272281 | www.venissa.it

 

Carloforte

 

Da Nicolo

Il nome Pomata è, da 40 anni, sinonimo di grande cucina sarda. Questo di Carloforte è un indirizzo stagionale, aperto solo da quando inizia la stagione della pesca del tonno, con una posizione panoramica a due passi dal porto, ambiente curato e servizio impeccabile, proprio di chi è del mestiere da sempre. La cucina qui è carlofortina, che significa di mare e isolana ma con decise influenze liguri, con il tonno a fare da protagonista di un menu che cambia in base al mercato e non manca di qualche proposta di carne. Le linguine tonno, capperi, pecorino e buccia di limone sono in carta dai primi anni '70, ma i piatti sono tanti: dal fior fiore di tonno con caviale di melanzane e pomodoro, fino alla reale in crosta di pane speziato. Si chiude con un buon sorbetto al mirto. A pranzo c'è un degustazione a prezzi mini In carta la migliore produzione enologica dell'isola, oltre a etichette nazionali e d'Oltralpe. Possibilità di pernottamento.

Da Nicolo | Carloforte (CI) | corso Cavour, 32 | tel. 0781 854048 | http://www.danicolo.net/ www.luigipomata.com

 

Niko Caffè

La bellissima vista sul porto di Carloforte è già un valido motivo per sedersi ai tavoli fuori e sorseggiare un drink. Ma il valore aggiunto del Niko Caffè è la varietà e la qualità della proposta gastronomica che riesce a coprire senza problemi l'intera giornata. Al mattino brioche soffici per accompagnare cappuccini ed espressi, per la pausa pranzo piatti unici, fresche insalate e panini con diverse farciture, nel tardo pomeriggio gelati e semifreddi artigianali, mentre la sera la location diventa particolarmente suggestiva e si presta a essere teatro ideale per trascorrere il tempo seduti a chiacchierare, sorseggiando un calice di vino o un cocktail.

Niko Caffè | Carloforte (CI) | piazza V. Emanuele III, 9 | tel. 0781 857132 |

 

Elba

Osteria del Noce

Salite le scale per godere del panorama isolano, dall'altura di Marciana Marina, dove il Noce da anni rappresenta un approdo solido e di piena soddisfazione. Qui troverete una tavola semplice e tradizionale, buona materia prima (qui, d'altronde, ce n'è in abbondanza), pesce freschissimo ma pure qualcosa di carne, e impronta casalinga con le paste fresche tirate a mano e il pane maison. La è vista incantevole e la cucina genuina. Fuori dalle dinamiche di una ristorazione turistica il Noce propone piatti di ispirazione isolana con accenti liguri, date le origini dei titolari, sulla lavagna trovate scritte le specialità del giorno, ma alcuni piatti sono intramontabili come l'insalata di polpo con patate e fagioli, l'acciugata e poi i corzetti alla salsa di noci, gli spaghetti alla bottarga e limone, e un bel fritto di paranza. A concludere il pasto dolci casalinghi al cucchiaio. Le etichette regionali, anzi isolane, sono le protagoniste della carta dei vini. Conto onesto, servizio efficiente e informale, allenato ai grandi numeri.

Osteria del Sole | Elba | via della Madonna, 14 | tel. 0565 901284 | www.osteriadelnoce.it

Tamata

Tamata

Tamata in polinesiano significa tentare, ed è con entusiasmo e coraggio e questo ristorante ha osato. A partire dall'ambiente, dato che non c'è un vero e proprio locale, ma un dehors allestito con gusto in una piazzetta in località Porto Azzurro raccolta e al contempo piena di vita, dove si cena a lume di candela. La proposta è stagionale e di territorio, originale e moderna, e l'attitudine gourmet che rivela l'esperienza in grandi ristoranti dello chef, Fabio Molinari, si manifesta i piatti come il gambero con la sua polvere, stracciatella, biscotto morbido di pistacchio e aria di Campari o gli spaghetti con spuma di riccio; non mancano piatti di carne: come i cappellacci di cinghiale in brodo affumicato, caprino e fave di cacao; o la Chianina su carbone (un pan di Spagna salato al sesamo nero), patata ratta e salsa bernese. La carta dei vini segue a ruota le evoluzioni del menu (con etichette dell'isola e non solo), e il servizio non manca di attenzioni ai clienti: tutto opera di Barbara di Prospero.

Tamata | Elba (LI) | via C. Battisti, 3 | tel. 0565 940048 | www.tamataristorante.it

 

Giglio

Da Santi

A Giglio Castello, appena fuori del paese, in un villino in pietra a ridosso della scarpata e a un passo dalla pineta, una location affascinante che, in più, gode di una bella terrazza affacciata sopra la baia di Campese e sul borgo storico. La cucina di mare si basa sul pescato preparato in modo semplice: occhiate alla griglia come il pesce bandiera, boccadoro o pesce cappone, anche se non mancano scampi e cozze. Razza al limone e prezzemolo, ravioli di pesce, insalata di polpo, e via dicendo per una proposta senza incertezze. E poi il buon fritto.

Da Santi | Giglio (GR) | Via Santa Maria, 3 | tel. 0564 806188

 

Arcobalena

Nel centro storico di Giglio Castello, Arcobalena è gestito dalla stessa famiglia da quasi 30 anni. Cosa che assicura costanza e genuinità, servizio sorridente e cordiale, prodotti locali e freschissimi in arrivo tanto dal mare quanto dalla campagna, cotture eseguite al momento. Una cucina come potrebbe essere quella di casa, curata e sincera; con tanto pescato del giorno preparato in modo semplice. E i tavolini che si rincorrono tra i vicoli che ne aumentano la suggestione.

Arcobalena |Giglio (GR) | via Vittorio Emanuele, 48 | tel. 0564 806106 | http://www.arcobalena.net/ristorante_arcobalena.htm

 

Ponza

Acquapazza

Acqua Pazza

Gino e Patrizia Pesce sono una garanzia: hanno esperienza e mestiere da vendere, conoscono le insidie di una posizione privilegiata ma ad alto tasso turistico come quella sull'isola di Ponza, riescono ad avere costanza negli anni pur non mancando di sferzate di rinnovamento. La loro è una cucina intellegibile da chiunque (e apprezzata da tutti) ma mai uguale a se stessa. Tutto parte dal miglior pesce locale, abbinato a erbe profumate e verdure: esempio ne siano il polpo alla menta con verdure o la seppia gusto brace con carciofi. I sapori mediterranei giocano la parte del leone: tanto nei primi come i tagliolini con gamberi rossi cotti e crudi e pomodoro e basilico come negli scampi e gamberoni al vapore accompagnati da patate, pomodori, basilico, olive e cipolle di Tropea Si beve molto bene da una lista importante e ben congegnata. Il servizio saprà accudirvi e consigliarvi al meglio, pure ad alti regimi.

Acqua Pazza | Ponza (LT) | piazza C. Pisacane, 10 | tel. 0771 80643 | www.acquapazza.com

 

Oresteria

È il fratellino minore dell'Orestorante, storico ristorante pontino. Un ambiente informale, accogliente e colorato, dagli arredi marinari, dove si gustano golosi assaggi di mare, ma anche un vero e proprio menu "pop", tutto a cura dello chef Oreste Romagnoli. Il pesce canta, e una dimostrazione della sua bontà si ha nell'antipasto misto, imperdibile e colorato mix di assaggi tra cui il trito di merluzzo marinato e schiacciata di pane, le polpettine di pesce al pomodoro, l'insalata di polpo. Non mancano proposte dal gusto più robusto, come gli spaghetti al ragù di calamaro o gli gnocchetti alla cacciatora di pesce ma, anche qui, vince la semplicità: per esempio con la palamita alla siciliana con capperi, olive e pomodorino. Ampia carta dei vini, presentata con professionalità. 

Oresteria | Ponza (LT) | corso C. Pisacane, 50 | tel. 347 3011376

 

Capri

Mamma

Mammà

Salvatore La Ragione ha avuto il merito di dare una sua precisa identità a questo luogo che rischiava di rimanere incastrato nel ruolo di gregario della Torre del Saracino di Vico Equense, di cui condivide la paternità di Gennaro Esposito. Invece Mammà ha un suo stile consolidato, fatto di reinterpretazioni misurate e molto azzeccate dei classici della cucina campana. E di una vista strepitosa dalle ampie vetrate che regalano una luce magnifica. La pancetta di ricciola marinata alla salsa di soia con zuppetta di porro e crema di patate viola e sedano rapa o la parmigiana di pesce bandiera con melanzane e salsa di gorgonzola sono due esempi di come la cucina di mare possa trovare vigore e nuovi accenti. La selezione dei vini in cantina presenta ottime referenze da tutta Italia con qualche incursione d'Oltralpe. Il servizio è professionale e cordiale.

Mammà | Capri (NA) | via Madre Serafina, 6 | tel. 081 8377472 | www.ristorantemamma.com

 

Il Riccio

Un luogo incantevole, sospeso tra terra, cielo e mare. La vista è unica, con modulazioni d'azzurro che si ritrovano anche all'interno, dalle sedie alle ceramiche. La vista è unica, e ci ricorda perché Capri sia una delle mete più ambite al mondo, che tanto fascino e leggenda porta con sé. Insieme a quella portata anche dai nomi del jet set che l'hanno frequentata e ancora continuano a farlo. Qui si può mangiare praticamente a tutte le ore con materie prime freschissime selezionate con cura, elaborate con tecnica raffinata, valorizzate al massimo. La carta di Salvatore Elefante è quella della semplicità e dell'eleganza, ma non manca di intuizioni originali e molto centrate: la tartare di spigola con burrata e mela verde, quella di tonno con lime ed erba cipollina, le candele spezzate con ventresca di baccalà. Il dessert gode di un ambiente a parte dove troneggia un buffet di crostate, mignon, dolci al cucchiaio. Ampia selezione in cantina, soddisfacente sia per gli amanti dei grandi vini campani, sia per quanti vogliano spaziare in altri territori. Il servizio gira con velocità, mantenendosi sempre cordiale e professionale.

Il Riccio | Capri (NA) | Anacapri via Gradola, 4 | tel. 081 8371380 | www.capripalace.com

 

Ischia

Indaco dell'Hotel Regina Isabella

Il panorama non manca, con tanto di terrazza a ridosso del mare. Ma poi è quel che c'è nel piatto a fare la differenza. In cucina c'è Pasquale Palamaro, una bella esperienza alle spalle con maestri importanti, primo fra tutti Antonino Cannavacciuolo. Ma ormai Palamaro viaggia da solo con una sua precisa identità gastronomica che raggiunge un livello ammirabile nelle preparazioni di mare come in quelle di terra: i suoi piatti sono tanto materici quanto concettuali, sostenuti da sostanza e altrettanto pensiero: tataki di tonno con germogli e ricotta, consommé di zucca lunga con tortellini al Provolone del Monaco e perlage di tartufo nero; zuppa di sconcigli con sedano rapa, finocchio di mare e un profumo di rosmarino che sprigiona dalla parte sottostante. Bellissime le consistenze dello stracotto di manzo, liquirizia e barbabietola, mentre fra i dessert sono eccellenti due destrutturazioni dolce/non dolce: il porcini, salsedine e nocciole, e il RoccoCocco. La carta dei vini è estesa, il servizio corretto ma con margini di miglioramento, data la cucina.

Indaco dell'Hotel Regina Isabella | Ischia (NA) | piazza Santa Restituta, 1 | tel. 081 994322 | www.reginaisabella.it

Danì

Danì Maison

Il nome sta a significare che questa è la casa dello chef, Nì, Nino Di Costanzo, e non per modo di dire, dato che ha trasformato in ristorante la residenza di famiglia, e il giardino in orto. Una ventina i posti, un'atmosfera rilassata e bellissima in cui godere di una cucina fantasiosa e curatissima, anche nelle presentazioni, ma che pur lasciando stupiti non disorienta mai. Perché la rotta, qui, è definita da un prodotto magnifico, tecniche puntuali e cotture al millimetro. Una cucina che lo stesso chef definiscedi tradizione ma rivista in chiave contemporanea. Dove leggerezza, materia prima, sapore formano la struttura portante per liberare la fantasia in proposte di forte impatto, come la famosa pasta e patate. Tra vecchi piatti e nuovi, è un viaggio emozionante tra i sapori ischitani, come nel raviolo di coniglio e mozzarella did bufala affumicata, o nel risotto napoletano al peperone imbottito.

Danì Maison | Ischia porto (NA) | prima traversa Montetignuso, 28 | tel. 081 993190 | www.danimaison.it

 

Tremiti

Gabbiano

Le Tremiti non abbondano certo per la vita mondana. Ed è il loro bello. Ma, per chi volesse fermarsi per gustare un buon piatto c'è un indirizzo affidabile e piacevolissimo che fa del pesce freschissimo il proprio nume tutelare. Si tratta di una buona tavola d'albergo, in bella posizione, in un contesto naturale di gran fascino, che lo rende davvero unico. Carta dei vini adeguata e servizio professionale e cortese.

Gabbiano | Tremiti (FG) | Villaggio San Domino | piazza Belvedere | tel. 0822 463410 | www.hotel-gabbiano.com

 

a cura di Antonella De Santis

 

 

 

La Cassatina Dai Dai incontra il Biscotto Mattei. Un biscotto-gelato che parla toscano

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Due aziende storiche del settore dolciario toscano, Mattei e Dai Dai: un biscottificio di lunga data e una gelateria artigianale celebre per le sue cassatine. Insieme inventano il biscotto gelato dell'estate, solo panna fresca, biscotti di Prato e copertura al cioccolato fondente. 

Che estate sarebbe senza gelato? Le idee insolite

Non troppo tempo fa, era l'inizio dell'estate, vi raccontavamo di milanesi a passeggio con un'insolita “brioche” di panettone fuori stagione farcita di gelato uso siciliano. Nel capoluogo meneghino, il panettone a porter dell'estate 2016 lo firmano Vergani e Alberto Marchetti. Una, la storica maison dolciaria fondata nel 1944, ci mette il panettone a lunga lievitazione formato mignon, l'altro, il mastro gelatiere di Torino che ha conquistato anche Milano, i gusti più celebri della gelateria che porta il suo nome, dal cioccolato al croccante di nocciole piemontesi, allo zabaione al Marsala. Ma il connubio pasticceria e gelato, in vista dei mesi più caldi dell'anno, sembra piacere a molti.

Non è da meno lo storico Biscottificio Mattei di Prato, quello dei Biscotti di Prato con le mandorle nel sacchetto blu (da non confondere con i cugini più celebri, i Cantucci toscani). Dal 1858 l'azienda vanto della produzione dolciaria regionale sforna biscotti fedeli alla ricetta originale, solo farina, zucchero, uova, mandorle e pinoli, senza l'aggiunta di lieviti o aromi, che eredita la tradizione dei panificatori pratesi. Dal 1908 alla guida del biscottificio è subentrata la famiglia Pandolfini, ma la filosofia aziendale non è cambiata, alla ricerca di una gamma di prodotti che riesca ad accontentare una richiesta che si spinge oltre i confini nazionali, tra Brutti buoni, Pan di Ramerino, savoiardi e Biscotti della Salute. Il Biscotto Mattei per eccellenza, però, resta sempre quella losanga profumata ricca di mandorle. Come rifargli il look per l'estate?

La Cassatina Mattei. Dai Dai e il Biscotto di Prato

In collaborazione con Dai Dai, la gelateria di Castiglioncello gestita dai fratelli Bartoletti, che dal 1984 ha saputo ritagliarsi un posto tra le realtà gastronomiche degne di nota della regione e d'Italia. Dai Dai, come quel grido d'incitamento che accompagnava la marcia del carretto dei gelati per i viottoli e la pineta di Castiglioncello all'inizio del secolo, quando la specialità più ambita da grandi e piccini era la cassatina di panna ricoperta di cioccolato che tutti i vacanzieri in arrivo sulla spiaggia del paese hanno assaggiato almeno una volta, da quando Toni Bartoletti ha recuperato la ricetta di un tempo, acquisendo i diritti di produzione della celebre cassatina. Oggi, con i figli di Toni, la produzione della gelateria artigiana Dai Dai si è molto diversificata, a comprendere pure bocconcini, mattonelle, tartufini e meringhe. E tanti gusti che reinterpretano la cassatina, oltre la classica ripiena di panna, dal caffè alla menta, al cioccolato.

Fino all'ultima invenzione: la Cassatina Mattei. Proprio la collaborazione con il biscottificio di Prato ha portato a sperimentare un nuovo mix, e così al cuore di panna fresca si aggiunge una manciata di Biscotti di Prato sbriciolati, e un guscio sottile di cioccolato fondente che ricopre la cassatina speciale per metà. Due ricette storiche che si fondono e un processo di lavorazione interamente manuale, per un prodotto già disponibile in confezione da 20 pezzi per l'ordine online e in vendita presso la sede storica di Mattei in via Ricasoli o alla gelateria Dai Dai di Castiglioncello. Non resta che assaggiare, l'estate è ancora lunga.

 

 

www.gelateriadaidai.it/prodotto/cassatine/cassatina-mattei/

 

Il decalogo della buona mensa scolastica. I genitori scrivono al ministro Lorenzin

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Il quadro allarmante prefigurato dall'indagine dei Nas in migliaia di mense scolastiche italiane ha spinto i genitori riuniti nella Rete nazionale Commissioni mensa a invocare l'aiuto del ministro della Salute. A lei è rivolto il documento in dieci punti per migliorare il servizio di refezione su scala nazionale. 

Le mense scolastiche oggi. L'allarme dei Nas

Ora ci sono i dati, confermati dai Nas in conferenza stampa, il 20 giugno scorso: una mensa scolastica su quattro tra le migliaia coinvolte nei controlli di conformità per la qualità dei servizi di refezione non ha superato il test. Il che significa che l'indagine partita su segnalazione dei genitori ha rilevato su tutto il territorio nazionale oltre 600 situazioni di non conformità, disponendo persino il sequestro di una trentina di strutture per il mancato rispetto delle norme igienico-sanitarie e strutturali. E tra i principali problemi riscontrati è proprio la difficile tracciabilità di molte derrate alimentari destinate al consumo dei bambini a far parlare di sé. Sintomo di una gestione che troppo spesso non assicura trasparenza, tra casi di forniture di falso cibo biologico, cibi contaminati e un generale peggioramento del servizio nel triennio 2014-2016.

Che fare di fronte a risultati tanto evidenti? La soluzione può essere davvero quella prospettata qualche settimana fa a seguito di una sentenza del Tar di Torino che ammetteva il cosiddetto diritto al panino per la pausa pranzo a scuola?

Dalla classifica al decalogo

La querelle è ben lungi dal trovare una soluzione, mentre i genitori si organizzano in associazioni di volontari come la Rete nazionale Commissioni mensa, che un paio di mesi fa aveva stilato una classifica delle migliori mense d'Italia, coinvolgendo gli istituti di 40 città e assegnando un punteggio al servizio di refezione secondo parametri d'eccellenza, come l'utilizzo di prodotti bio, l'abbondanza in tavola di legumi, pesce, cereali alternativi, la varietà della proposta e le cotture sane. L'ultima sfida, arrivata sulla scrivania del ministro della Salute Beatrice Lorenzin, è il decalogo della buona mensa scolastica stilato dai genitori di venti città italiane.

L'apertura del Ministero a seguito dell'indagine dei Nas, infatti, ha riacceso la speranza di quelle migliaia di genitori che già da tempo chiedono l'approvazione e il rispetto di alcuni valori cardine della buona alimentazione: più biologico e meno insaccati (se non proprio l'eliminazione, nel rispetto delle indicazioni dell'Oms), cucine interne in ogni scuola, ma anche controlli incrociati tra commissioni, Nas e Asl per monitorare la situazione e, non meno importante, tariffe uniformi per usufruire del servizio da Nord a Sud della Penisola.

Normativa nazionale e controlli mirati

Le richieste di sempre, insomma, nel rispetto delle stesse prerogative qualificanti individuate per stilare la classifica dello scorso maggio. Ora però l'idea è quella di bypassare la competenza dei singoli Comuni per ottenere l'approvazione di un disciplinare condiviso in tutta Italia. Cominciando dall'istituzione di una commissione mensa in ogni scuola, legittimando il potere di controllo dei commissari, genitori volontari che spesso si trovano in situazioni sgradevoli quando le ditte che gestiscono il servizio impediscono di scattare foto a etichette e alimenti “sospetti”. E poi ci sono le questioni tecniche, che vanno ben oltre l'introduzione di criteri minimi nazionali per riequilibrare la dieta dei ragazzi. Quindi bene al bio e alla filiera corta, ma soprattutto controlli rigorosi degli imballaggi, delle etichette e dei centri cottura.

D'altronde si stima che ogni studente, al termine della scuola dell'obbligo, avrà accumulato ben 2000 pasti consumati in mensa. E allora si capisce perché quello che molti considerano allarmismo diventi una questione importante.

 

Qui il decalogo completo

Locali Storici d'Italia 2016. La guida sulla storia dell'ospitalità all'italiana e l'omaggio alle grandi Signore

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Edizione numero 40 per la guida che riunisce le attività leggendarie dell'ospitalità italiana, quelle con almeno 70 anni di vita, tra ristoranti, trattoria, caffè, confetterie, grapperie e hotel. Sul fil rouge di una storia al femminile, tra incontri celebri, aneddoti d'epoca e piatti memorabili.   

I locali storici d'Italia. L'associazione

Con il patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, l'associazione Locali storici d'Italia “si prefigge, attraverso appropriate iniziative culturali, turistiche ed editoriali, la valorizzazione e la tutela dei più antichi e prestigiosi locali – alberghi, ristoranti, trattorie confetterie, pasticcerie, grapperie, caffè letterari - che hanno almeno settant’anni di vita e sono stati protagonisti o artefici di pagine della storia d’Italia attraverso gli avvenimenti di cui sono stati sede e i personaggi che li hanno frequentati”. È questo il cuore del manifesto che accomuna 240 soci riuniti in sodalizio per difendere un passato fatto di insegne celebri, piatti memorabili, aneddoti che raccontano la storia dell'Italia a tavola come componente irrinunciabile del buon vivere e del patrimonio culturale nazionale. Che ci accomuna tutti in quell'approccio all'ospitalità che ci ha reso celebri nel mondo, di cui oggi è importante salvaguardare il ricordo per valorizzarne le ricadute sul turismo culturale nazionale.

Con questo obiettivo l'Associazione nasceva nel 1961, per volere del giornalista Enrico Guagnini e del ristoratore Angelo Pozzi alla guida di una di queste realtà storiche, Savini in Galleria a Milano. E oggi, il Consiglio Direttivo annovera insegne come il Caffè Florian di Venezia o la Grapperia Nardini di Bassano del Grappa. Ma tante sono le attività storiche che in tutta la Penisola vantano l'appartenenza a questa elite storica composta di alberghi, trattorie, ristoranti e confetterie, caffè e grapperie, con la partecipazione ad honorem di locali altrettanto storici che tengono alta la bandiera dell'enogastronomia italiana nel mondo.

 

La guida. L'omaggio alle donne

Tra le molte iniziative promosse dai soci, da 40 anni i Locali Storici d'Italia pubblicano una guida a caffè, ristoranti e hotel il cui legame con la storia del Paese e della cucina italiana è certificato dal gruppo. E l'edizione 2016 di questo vademecum dedicato a chi ama il turismo culturale, presentata solo qualche giorno fa e disponibile su richiesta, ha deciso di concentrarsi sulle Signore dei Locali Storici, le donne che hanno contribuito al successo delle attività che guidano o di cui sono state protagoniste, suggerendo un percorso al femminile tra le pagine di una guida organizzata per itinerari tematici già dal 2011.

Gli anni scorsi, per esempio, era stata la volta dei locali protagonisti dell'Unità d'Italia e di quelli Liberty, delle stirpi più longeve e degli indirizzi frequentati dai più grandi artisti del passato.

 

New entry e primati

Una guida da collezione, insomma, illustrata (dal pittore Gianni Renna) come i manuali di un tempo, e diretta da Claudio Guagnini, per un totale di oltre 300 pagine, che quest'anno annoverano sei nuovi ingressi, tra cui l'Harry's Bar di Firenze e l'Antica Bottega del vino di Verona dell'Associazione famiglie dell'Amarone d'Arte, ma anche la leggendaria Locanda del Cerriglio al porto di Napoli, riaperta nel 2014, dove si racconta Caravaggio fu assalito nell'ottobre del 1609. Molto apprezzata dai cultori del genere anche la sezione Primati: quali sono le città che vantano più locali storici? Chi si distingue per l'arredo più originale? Quale il caffè più allagato d'Italia e chi ottenne per primo il brevetto Reale? La risposta a questi e molti altri quesiti tra le pagine di una guida che vi trascinerà in un passato fatto di servizi di porcellana, concertini jazz e ricette della tradizione.

 

Locali Storici d'Italia 2016 | per info e richieste www.localistorici.it

È Pokémon Go mania. Anche al ristorante. E il Maialino di New York diventa “palestra”

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Sconti per giocatori, cene a tema, proclami sui Social. I ristoranti americani non resistono alla febbre per il gioco mobile che sfrutta la realtà aumentata e dissemina le città di mostriciattoli da catturare. E si organizzano per attirare clienti. 

Pokémon Go. Cos'è

La chiamano realtà aumentata, e da manuale prevede la possibilità di ampliare il bagaglio di percezioni dell'uomo attraverso le tecnologie più avanzate. Strumento prediletto del demonio, neanche a dirlo, è quello smartphone di cui nessuno sa più fare a meno. E, inutile negarlo, molti di noi sono già caduti nell'ultima “trappola” per smartphone addicted sviluppata da Niantic e lanciata dalla Nintendo (nonostante solo da poche ore sia stata rilasciata la versione italiana, gratuita, dell'app). Si chiama Pokémon Go, sta letteralmente facendo impazzire il mondo, e ha trasformato i display e le fotocamere di tanti telefoni in un vero e proprio campo di battaglia, che dalla realtà circostante prende in prestito l'ambientazione live, nient'altro che le strade delle nostre città e i luoghi in cui ci muoviamo ogni giorno.

Il videogioco che rispolvera un cult di tanti anni fa (negli anni Pikachu e compagni sono stati protagonisti di videogiochi, anime, film, manga, libri e gadget disparati) nasce dal mix tra geolocalizzazione (grazie al GPS) e realtà aumentata – tutte robe che negli anni Novanta non c'erano e che ora conferiscono appeal a un must sopito - e in pochi giorni è già il gioco mobile più popolare di sempre negli Stati Uniti.

 

I Pokémon a spasso per la città. Anche al ristorante

Obiettivo? Catturare i Pokemon che si materializzano in differenti punti della città e solo in determinati orari: a quel punto sarà sufficiente inquadrare il mostriciattolo nel display e “lanciargli contro” una Pokeball per intrappolarlo, affrettandosi prima che fugga. Di fatto, il gioco, che proprio sul dialogo costante con la realtà pone l'accento chiamando il giocatore a diventare protagonista in prima persona, ha già creato qualche problema, tanto che negli Stati Uniti si moltiplicano i divieti per mantenere l'ordine pubblico, dalle autostrade dell'Arizona alla metropolitana di New York, dove Pokémon Go è stato bandito.

Ok, ma cosa c'entra questo con cibo e ristoranti? In quanto luoghi ricorrenti nella quotidianità di molti, anche i ristoranti – quelli americani, ma succederà anche in Italia? - si sono trasformati in campi di battaglia affollati di Pokémon scorrazzanti. E subito i ristoratori più scaltri hanno intuito serie opportunità di business, confermate dagli esperti del settore, che, sostengono, se i ristoranti troveranno il modo di attirare i giocatori nella propria “palestra”, allora il gioco potrebbe incrementare decisamente gli affari.

 

Dal gioco al business. Se il ristorante diventa “palestra”

Come? Basta seguire qualche semplice step e poi stare ad aspettare. Precisamente ogni proprietario di attività commerciale (ristoranti compresi) può acquistare, rigorosamente in Pokecoins sull'app, un Lure Model, cioè un richiamo per attirare Pokémon nel luogo prescelto per circa 30 minuti. E così succederà ogni volta che l'attività vorrà far gola ai giocatori presenti nei paraggi, che visualizzeranno gli animaletti sulla mappa e accorreranno al ristorante, trasformandosi in potenziali clienti. Ma c'è anche il caso fortuito per cui un ristorante si trovi nel raggio di 15 metri da PokeStops preesistenti e inconsapevolmente si ritrovi infestato di Pokémon da catturare, com'è successo agli ignari gestori di Maialino, una delle celebri insegne newyorkesi di Danny Meyer (che ora è diventata una “palestra” a tutti gli effetti, come altre insospettabili insegne della Grande Mela, tra cui il bistrot Balthazar).

Fantascienza? Macché! Oltreoceano i casi si moltiplicano: c'è chi segnala con un cartello all'entrata la cattura di un Pokémon avvenuta proprio all'interno del ristorante, chi investe qualche dollaro per trasformarsi in palestra, chi lancia appuntamenti via Facebook, invitando i giocatori a partecipare alla caccia al Pokémon organizzata per la cena. E già circolano in rete i menu a tema per il perfetto giocatore, o le serate di gioco collettivo con consumazione obbligatoria. Alcuni, invece, propongono sconti per invogliare i giocatori a entrare, “combattere” e mangiare. Mentre i siti specializzati si affrettano a pubblicare guide e classifiche dei ristoranti dove recarsi a colpo sicuro per collezionare un buon bottino di animaletti colorati.

Certo, come tutte le ossessioni, anche Pokémon Go può dare assuefazione, e i ristoratori più severi, in America, già sono costretti a pagarne le conseguenze. Così dopo il “divieto di telefonino” che ha caratterizzato i primi anni 2000, ora molti ristoranti espongono un cartello chiaro e inequivocabile: “Vietato l'ingresso ai giocatori di Pokémon Go”. E in Italia, che succederà?

Il business della pizza vale un milione di posti di lavoro. E le pizzerie aumentano, non solo a Napoli

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Migliaia di pizzerie nelle principali città d'Italia – vince Roma con 15500 insegne – e un profilo professionale che paga: boom di assunzioni nel settore e un milione di lavoratori che vivono grazie alla pizza, tra dipendenti e indotto. 

Lavorare con la pizza

Un milione di posti di lavoro. Tanto cospicua è la ricaduta del settore della pizza sul sistema occupazionale italiano. Al moltiplicarsi di pizzerie in tutta la Penisola – secondo l'ultima stima promossa dagli organizzatori di Pizza Village sono 183mila le insegne dedicate alla pizza, da Nord a Sud dell'Italia – corrisponde infatti un ingente giro d'affari, che occupa oltre 500mila dipendenti e arriva al milione di occupati considerando l'indotto del settore (fornitori compresi).

A sorpresa, però, non è Napoli la Mecca per pizzaioli e aspiranti tali: Roma strappa il primato, con 15.500 pizzerie dislocate in tutta la città, e Milano la segue al secondo posto con oltre 9000 insegne. Questo significa che la capitale della pizza per eccellenza, Napoli, ottiene solo il terzo gradino del podio per numero di pizzerie, con 8200 locali che celebrano l'orgoglio della tradizione gastronomica partenopea. Chiaro che nell'analisi dei dati si dovrà tener conto del rapporto pizzerie per abitanti... E allora Napoli riconquista la scettro che le spetta? Niente affatto.

Tante pizzerie in tutta Italia, da Sassari ad Aosta

Da questa curiosa indagine pizza oriented, le sorprese emergono una dopo l'altra: è la provincia di Sassari, con una pizzeria ogni 147 abitanti, a strappare il miglior rapporto pizzerie pro capite. Seguono Grosseto, Savona, Aosta (!), Nuoro, ancora una volta in Sardegna, tracciando una mappa che definire inaspettata è dir poco. Tra le grandi città, Roma arriva ancora una volta per prima, al 22eismo posto, Milano si piazza al 60esimo e Napoli solo al numero 81, con una pizzeria ogni 381 residenti.

Dati che fanno sorridere, certo, ma tutto sommato ci piace riportare al rango che più gli si addice, quello del puro divertissement. Più interessante, invece, per le ricadute sul fronte occupazionale, la classifica che valuta il rapporto tra numeri di addetti in pizzeria e popolazione locale, che vede balzare in testa Venezia, dove un abitante ogni 55 trova lavoro in pizzeria.

In seconda e terza posizione tornano Sassari Aosta, poi Rimini.

 

La pizza che fa bene al Pil

Insomma, il settore della pizza, sembra avere le potenzialità per alleviare la crisi occupazionale dei giovani italiani, e i dati diffusi dalle associazioni di categoria campane non mancano di confermare il trend: nella regione che ha visto nascere la pizza come la conoscono in tutto il mondo, gli enti di formazione professionale per pizzaioli fanno registrare da anni un numero di richieste ingente, a cui corrisponde, entro i 3 mesi dal termine del percorso formativo una probabilità di assunzione pari al 90%. E nel lungo periodo la percentuale sale addirittura al 97%. Tutti contenti, dunque? Sicuramente lo sono gli organizzatori di Pizza Village, la manifestazione partenopea che all'inizio di settembre festeggerà la sesta edizione sul lungomare Caracciolo di Napoli, e molto si è spesa in questi anni per valorizzare l'arte bianca dei pizzaioli. E con loro festeggia tutta la città: ogni anno la presenza di turisti negli alberghi partenopei in concomitanza con il Pizza Village aumenta del 30% (nel 2015 sono stati 600mila i visitatori), e il festival, da solo, riesce a coinvolgere oltre 1000 addetti ai lavori. Insomma, la pizza si conferma un business a tutto tondo, nel Dna degli italiani.


Versi di vini. Giosuè Carducci

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Nel nostro viaggio alla scoperta delle più belle poesie dedicate al vino, rientriamo in Italia per incontrare uno dei più noti poeti della fine dell'800. Premio Nobel per la letteratura e uomo politico, Giosuè Carducci non nascose mai la sua passione per il buon bere.

Giosuè Carducci

Premio Nobel per la letteratura ne 1906, Giosuè Carucci (1855 – 1907) è uno dei poeti più famosi dell’Ottocento italiano e, per quanto ci riguarda, non era certo insensibile al buon vino, come, del resto, alle donne. Impegnato attivamente nella vita politica dell'epoca, che non di rado cantò nelle se rime, i temi storici e paesaggistici furono in gran parte presenti nella sua produzione letteraria. Anche se non mancano argomenti più intimi.

 

L’ostessa di Gaby

 

È verde e fosca l’alpe e limpido e fresco il mattino,

e attraverso gli abeti tremola d’oro il sole.

Cantan gli uccelli a prova, stormiscono le cascatelle,

precipita la scesa nel vallone di Niel.

Ecco le bianche case. La giovine ostessa a la soglia

ride, saluta e mesce lo scintillante vino.

Per le forre de l’alpe trasvolan figure ch’io vidi

certo nel sogno d’una canzon d’armi e d’amore.

 

Da Juvenilia XCIV: Brindisi

 

Evoè, Lieo: tu gli animi ( Bacco )

Apri, e la speme accendi

Evoè, Lieo: ne’ calici

Fuma, gorgoglia e splendi.

Tenti le noie assidue

Co’ vin d’ogni terreno

E l’irrompente nausea

Freni con l’acre Reno.

Chi ne le cene pallide

Cambia le genti e merca

E da i traditi popoli

Oro ed infamia cerca:

A noi conforti l’anima

Pur contro a’ fati pronte

Il vin de’ colli italici.

 

E poiché il vino c’era (da Rime e Ritmi)

 

e poiché il vino c’era

Riempii la mia coppa.

Come pazzo cantando attesi

l’alba lunare:

a canzone finita i miei sensi

se n’erano andati.

 

E per finire, l’immortale San Martino

 

La nebbia a gl’irti colli

piovigginando sale,

e sotto il maestrale

urla e biancheggia il mar;

ma per le vie del borgo

dal ribollir de’ tini

va l’aspro odor de i vini

l’anime a rallegrar.

Gira su’ ceppi accesi

lo spiedo scoppiettando:

sta il cacciator fischiando

sull’uscio a rimirar

tra le rossastre nubi

stormi d’uccelli neri,

com’esuli pensieri,

nel vespero migrar.

 

a cura di Giuseppe Brandone

 

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Barolo Docg, i piani di Vietti dopo l'ingresso degli americani di Krause Holdings

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Luca Currado resta ceo dell'azienda di Castiglione Falletto e pianifica le strategie future ora che ad affiancarlo c'è il gruppo statunitense: “Ridurremo tipologie e bottiglie per valorizzare i grandi cru”. 

 

La cessione di Vietti. Cosa cambia

Di americani in Langa alla ricerca di un solido business nel Barolo si parlava da tempo. Finalmente, l'affare è stato concluso, perché l'accordo firmato il 12 luglio tra Kyle J. Krause (Krause Holdings) e Luca Currado (Vietti) rappresenta l'esordio per un investitore statunitense nel Barolo. Prima o poi doveva accadere. Ma i motivi della cessione della storica azienda di Castiglione Falletto (premiata coi Tre bicchieri nella Guida vini d'Italia 2016 col Rocco di Castiglione 2011) non sono da ricercare tanto nella volontà di fare cassa di fronte a un'offerta irripetibile (la cifra non è stata resa nota), semmai nella volontà di crescere assieme. Il marchio non cambia, l'enologo Luca Currado mantiene il ruolo di ceo, sua moglie Elena Penna si occuperà di accoglienza e mercati esteri, così come non cambiano gli incarichi di Mario Cordero (genero del compianto Alfredo Currado, papà di Luca) e dei circa 20 dipendenti tra cantina e campagna. Oggi, con l'ingresso dei 12 ettari in pancia alla Krause Holdings, la Vietti, che produce 250 mila bottiglie annue in 34 ettari (in parte in affitto), potrà vantare, oltre alle etichette (d'autore) che già possiede, una serie di menzioni della Docg Barolo tra le più note: Codana (Castiglione), Briccolina, Meirame, Teodoro e Cerretta (Serralunga), Mosconi e Le Coste (Monforte).

 

Un percorso comune. Chi è Kyle Krause

Quando il signor Kyle è venuto in cantina e mi ha detto che mi avrebbe messo a disposizione ben 12 ettari con questi cru di Barolo non ci ho pensato due volte”, racconta Currado “e ora ci attende un percorso comune”. Mister Krause e la moglie Sharon, che hanno lontane origini italiane, oltre a controllare negli Usa la catena del food Kum&Go, la Solar Transport (in Iowa) e a possedere numerosi immobili, sono titolari di diverse aziende agricole negli Usa e hanno una grande passione per il vino italiano. Un'ulteriore prova di fiducia per gli ex titolari della Vietti, che ora è pronta a fare un salto di qualità e scrivere una nuova pagina della sua lunga storia, partita alla fine del 1800 con il capostipite Carlo. “Siamo consapevoli di avere a disposizione un materia prima eccezionale”, aggiunge Currado, che dai Krause ha avuto garanzie (scritte) sugli investimenti futuri, in nuovi vigneti e in zone d'eccellenza.

La Krause Holdings, che il suo acquisto in Piemonte lo ha piazzato a giugno 2015, rilevando la Enrico Serafino dal portafoglio di Campari per 6,9 milioni di dollari, ha firmato un accordo in cui ci sono ampi spazi di manovra per lo stesso Currado: “Esordiremo già da quest'anno coi nuovi cru, che vogliamo integrare gradualmente nella gamma. Vogliamo crescere sul mercato italiano, oggi al 30-35%. Elimineremo due o tre etichette. Dovremo poi lavorare al reimpianto dei vigneti. Del resto, avere una vasta scelta qualitativa in Piemonte significa avere la sicurezza di fare grandi vini. Ecco perché abbiamo accettato la proposta. É stato un po' come mettere assieme i giocatori del Real Madrid e del Barcellona”.

 

 

a cura di Gianluca Atzeni

 

Bottura apre il Refettorio nel Bronx nel 2017? E intanto negli Usa è allarme cibo sprecato

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Ha fatto il giro del mondo la foto scattata nelle cucine della Francescana, Massimo Bottura e Robert De Niro insieme “progettando il Refettorio nel Bronx”. L’attore è stato ospite dello chef, che si prepara a Rio, ma già pensa a New York. E intanto arrivano i dati preoccupanti sullo spreco di cibo negli USA. 

Robert De Niro in Francescana

Mentre gli occhi di tutti sono puntati su Rio, dove presto si apriranno i Giochi Olimpici e l’attesa per scoprire l’annunciato RefettoRio Gastromotiva sarà finalmente soddisfatta, Massimo Bottura continua a far parlare di sé. Anche quando si limita a dirigere la cucina della Francescana, nel quartier generale di Modena, che solo qualche giorno fa ha salutato l’arrivo di un ospite illustre. In Italia per trascorrere le vacanze con la famiglia, come tanti altri big americani che quest’anno hanno scelto le bellezze della Penisola per concedersi un po’ di relax, Robert De Niro ha deciso di concedersi un pranzo speciale in Francescana. Un ritorno alle origini, sulla traccia dei luoghi che molti anni l’avevano visto in scena nel film girato in Emilia da Bernardo Bertolucci, Novecento. Ad accoglierlo sulla porta di via Stella lo chef in persona, che durante il pranzo ha illustrato all’attore i suoi piatti, raccontando con la parlantina che lo contraddistingue prodotti tipici e tradizioni gastronomiche del modenese e della cucina emiliana.

Insieme per il Refettorio nel Bronx

Ma è lo scatto che ha immortalato l’incontro tra i due, pubblicato proprio da Bottura sul suo profilo Instagram, a suggellare una sintonia che potrebbe avere sviluppi concreti: “Planning the new Refettorio in the Bronx!!! 2017 with Bob”, si legge nella didascalia della foto che li ritrae assorti in cucina. Uno scatto da oltre 20mila like che ha fatto inevitabilmente il giro del mondo, riportando l’attenzione sull’agenda dello chef modenese, scandita da appuntamenti importanti proprio nell’anno che l’ha visto trionfare a New York poco più di un mese fa, vincitore della World’s 50 Best Restaurants. Quando l’esperienza di Rio – in collaborazione con David Hertz, con lui a Roma la settimana scorsa per presentare alla Fao il refettorio di Lapa – sarà conclusa, Bottura ha intenzione di lavorare concretamente al progetto che ha in testa da tempo, e l’ennesimo annuncio al fianco di un testimonial d’eccezione non fa che confermarlo: il Refettorio del Bronx per i senzatetto di New York si farà, entro il 2017. All’indomani dell’incoronazione come miglior chef del mondo, Bottura rivelava alla stampa di aver già preso contatti con il console italiano a New York Francesco Genuardi, con l’idea di replicare il format ideato durante Expo: una “soup kitchen”, come l’ha definita, che sia laboratorio di cultura alimentare per restituire dignità al cibo, riducendo gli scarti.

L’ossessione della perfezione e lo spreco di cibo

E la missione dello chef sembra quanto mai apprezzabile e necessaria stando agli ultimi dati diffusi dal Guardian in un lungo articolo sulla piaga dello spreco alimentare. Secondo il quotidiano americano, gli Stati Uniti sprecano quasi il 50% di cibo prodotto ogni anno. Perché? “Cultura della perfezione” la definisce l’articolo per evidenziare quell’idea imperante di “normalità” che obbliga produttori e distributori a scartare frutta e verdura che non rispondono a forme e grandezze standard secondo i canoni estetici più diffusi. Ed è tutto vero: il dato è frutto di un’inchiesta che ha raccolto il parere di decine di fattori, imballatori, trasportatori, attivisti e funzionari del governo. Tutti confermano la necessità di immolare sull’altare della perfezione persino i prodotti di qualità e di alto valore nutrizionale, pena l’esclusione dal mercato. La conseguenza più evidente? Ogni anno circa 60 milioni di tonnellate di prodotto finiscono al macero. Anche se tra gli obiettivi dell’amministrazione Obama la lotta allo spreco costituiva un punto importante, con l’impegno a dimezzarne la percentuale entro il 2030.

Risultato difficilmente raggiungibile senza una piena presa di coscienza del problema a livello globale. E allora che uno chef sulla cresta dell’onda come Massimo Bottura continui a impegnarsi per la causa in prima persona non può che valergli il plauso della comunità internazionale. Ora Rio, nel 2017 il Bronx. Poi chissà.

I vini di Giornata Winery: gli autoctoni italiani made in California

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Lontane origini italiane e una passione per i vitigni nostrani, che i Terrizzi in California hanno scelto per produrre vini in perfetto Italian style: Sangiovese, Fiano, Barbera, Aglianico.

Il loro cognome, Terrizzi, tradisce origini italiane e in effetti Brian qualche antenato siciliano ce l’ha, anche se ormai la sua famiglia è americana da generazioni. Eppure quel poco che è rimasto di italiano nel suo Dna è cosi prepotente da portarlo, insieme alla moglie Stephanie, a investire nella produzione di vini Italian style da vitigni italiani, anziché percorrere la strada più redditizia e comune dei vitigni internazionali: cabernet, chardonnay, merlot che riempiono gli scaffali americani e le tasche dei produttori californiani più o meno capaci.

 

Giornata Winery: l'azienda

Giornata Winery produce 24mila bottiglie, solamente da vitigni italiani. Una scelta da outsider: esistono infatti soltanto altre due cantine in tutta la California che hanno scelto la stessa strada: Palmina in Santa Barbara County e Idlewild Winery con i vigneti in Mendocino County. Qualche cantina poi, oltre alla produzione classica di vini da tipologie di uve internazionali, sperimenta un paio di etichette con autoctoni italiani o spagnoli, ma si tratta di esperimenti appunto, nessuno ci ha investito radicalmente come i Terrizzi.

 

L'amore per l'Italia

L’avventura di Giornata Winery iniziò 11 anni fa; Brian conobbe Stephy alla Fresno State University, dove lei stava ultimando la sua laurea in Enologia, da aggiungere a quella già conseguita in Viticoltura. Lui, Brian, aveva sempre avuto il pallino dell’Italia (il famoso gene prepotente nel Dna, appunto), era reduce da diversi viaggi di formazione presso cantine toscane e non solo (per citarne una, Isole e Olena). Si incontrarono a Fresno, si innamorarono, si sposarono e trascorsero il viaggio di nozze lavorando la vite in Italia. Rientrarono in California nell’estate del 2005 con tutti i buoni propositi e pronti a mettere a frutto quanto raccolto in Italia, ma incontrarono le prime resistenze: “Ricordo quando acquistammo i terreni qui a Templeton(qualche chilometro a sud di Paso Robles, Central California, ndr)” racconta Brian Terrizzi gli altri viticoltori cercarono di farci desistere dall’idea di piantare vitigni italiani qui. Uno di loro mi disse ‘se vuoi fare il Nebbiolo, trasferisciti in Italia, qui è impossibile e non è redditizio’. Ma noi andammo avanti con il nostro progetto”. Lo dice con fierezza, di fronte ai campioni dei suoi vini che stiamo per assaggiare con non poco scetticismo italiano, mentre sua moglie, Stephanie, lo guarda con quella complicità che solo anni di sforzi e sacrifici sanno costruire.

 

Vitigni italiani: una scelta poco popolare

Perché di sacrifici, questa coppia, ne ha fatti tanti: se non è facile essere viticoltore e produttore in Italia, non lo è nemmeno in California, partendo da zero (nessuna vigna in eredità, nessuna tradizione da seguire), scegliendo di produrre qualcosa che l’80% del pubblico americano probabilmente farà fatica a capire e ad apprezzare.“Quindi siamo partiti”continua Brian “abbiamo piantato fiano, pinot grigio, vermentino, friulano, sangiovese, barbera, nebbiolo, aglianico, abbiamo importato tutta l’attrezzatura per la vinificazione, dai silos d’acciaio ai tonneau, alle anfore di terracotta dove fermentiamo il pinot grigio”. La cantina è piccola, “Italian size” (dice lui), la scelta è quella di rispettare i vitigni, di manipolare il meno possibile il vino, in netto contrasto con la tendenza californiana caratterizzata purtroppo troppo spesso da un uso spropositato del legno e da una selezione a dir poco esuberante dei lieviti: “Abbiamo in mente il palato italiano, non quello americano”spiega Brian “quindi le nostre scelte di vinificazione vanno verso vini più eleganti, meno maturi, meno strutturati. Raccogliamo molto presto rispetto alle altre cantine della zona, vogliamo mantenere una certa acidità”.

 

Il lavoro in vigna

Ma quello che succede nella vigna è soprattutto affare di Stephy, è lei l’artista della vite, recentemente nominata tra le 10 più promettenti winemakers della California. È lei che ha tutte le informazioni sul terreno, sulla densità, sul metodo di coltivazione, ma anziché raccontarle con le parole sceglie di farcle vivere: ci carica su una jeep impolverata e guida a tutta velocità tra colline, vigneti, paesaggio un po’ bruciacchiato (la California tra primavera ed estate non è esattamente l’Eden), fattorie con querce e alberi di noce. Stephy è una donna del vino: alle parole, preferisce i fatti.

 

Il territorio

La regione di Paso Robles è a pochi chilometri dalla costa pacifica, praticamente sulla faglia di Sant’Andrea, il clima è marittimo, con giornate calde, nottate e mattinate fresche grazie alla nebbia marina che si spinge fino alle colline. “C’è un terreno molto diversificato” spiega Stephy dopo aver guidato con la jeep su per quello che sembrava un sentiero e fatto scappare innumerevoli quaglie selvatiche “dato dal susseguirsi di diversi movimenti geologici: abbiamo in generale una base calcarea, mista ad argilla, ma ci sono residui fossili e marini quasi dappertutto. E poi è friabile - (spezza un sasso di arenaria con le mani): le radici affondano facilmente”. La nebbia, the marine fog, è determinante per l’escursione termica, è la chiave che permette ai Terrizzi di giocare con gli aromi e l’acidità. Il tour delle vigne continua, Stephy controlla i primi frutti che stanno spuntando sulle viti di Sangiovese, le brillano gli occhi, scherza: “Talk a little bit Italian to them, maybe it helps. Parla un po’ italiano con loro (i frutti) magari li aiuta”.

 

Vini californiani

I vini

Le vigne sono tutte certificate organic, no pesticidi, no erbicidi, la vegetazione spontanea viene incoraggiata. Sulla collina, i vigneti sono a 600 metri di altitudine, in lontananza l’oceano, tutto intorno campi di erbe aromatiche selvatiche: senape, salvia, timo. Gli stessi profumi si ritrovano nel Sangiovese di Giornata Winery, Luna Matta Vineyard 2012: il vitigno è evidente e riconoscibile, con i sentori di frutti rossi, le ciliegie e il potpourri, ma c’è una nota minerale di grafite e un sentore di conchiglia che lo rendono inusuale. L’acidità è buona, l’alcol (14,5%) sorprendentemente ben integrato, i tannini sono morbidi, non invadenti. È un Sangiovese dal mood californiano, senza tutti quei secoli di storia sulle spalle, è rilassato, inconsapevole.

Notevole anche l’Aglianico 2012, vinificato in due stili: uno più pulito (barrique francese nuova solo al 10 per cento, il 2012 ha ricevuto 92 punti Wine Enthusiast e Vinous) e uno più complesso (con un terzo di barrique nuove, l’annata 2012 ha avuto 94 punti Wine Enthusiast). Al naso ha note di terra, rosmarino, selvaggina, è intenso, anche qui parlano il vitigno e il territorio più che la tecnica di vinificazione.

Interessante anche il Barbera che sfodera tutto il suo bouquet floreale, piacevole al naso il Nebbiolo con note di liquirizia e frutti rossi, ma un po’ mancante di profondità al palato. Tra i bianchi il Fiano è sicuramente degno di nota, molto minerale e fresco.

 

Lo stile dei vini

In generale si capisce che i Terrizzi hanno in mente di piacere a un palato più italiano che californiano, cosa che sottolinea la sana follia di questa scelta, dovendosi loro confrontare con il mercato statunitense: i vini più importati in Usa sono italiani (Prosecco imperat), ma dai vini locali gli americani non si aspettano certo queste caratteristiche, cercano robusti Cabernet e i cremosi Chardonnay. “Non mi aspetto di essere compreso ora” dice Brian “vedo che il palato americano si sta evolvendo e gli sforzi che stiamo facendo noi oggi, daranno frutti tra decenni, le mie figlie raccoglieranno questa eredità”. La piccola Aida (la figlia di 9 anni) lo ascolta, poi lo guarda intensamente e dice: “Papà, io da grande voglio fare la tennista”.

 

Giornata Wines | Usa | California | Paso Robles | 470 Marquita Ave | tel. +1 805 434 3075 | http://www.giornatawines.com/

 

a cura di Laura Donadoni

Pavé-Break. Apre a Milano la seconda sede del format che ha rivoluzionato la colazione

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Inaugura oggi il nuovo punto vendita di Pavé, bakery d'eccezione che ha fatto innamorare milanesi e turisti con la sua offerta poliedrica. Dopo il successo della prima sede e della neonata gelateria, arriva Pavé-Break, locale pensato per l'asporto e per la colazione al bancone. Ecco le novità.

L'obiettivo

La premessa è chiara e semplice: creare un locale orientato all'asporto e alla consumazione al banco. Questo è quello che il nuovo Pavé Break in via della Commenda, zona Tribunale, si propone di offrire al cliente. Dopo il successo del primo indirizzo in via Felice Casati, il team di Pavé ha deciso di completare l'offerta dando ai clienti la possibilità di consumare una colazione o un caffè veloce al banco prima di andare a lavoro. “L'unico difetto della prima sede è sempre stato lo spazio limitato del bancone”, racconta Luca Scanni, uno degli ideatori della pasticceria.“Pavé Break nasce invece per soddisfare le esigenze dei lavoratori, dei turisti di passaggio e di tutti i consumatori che hanno fretta di arrivare in ufficio”. In questo senso, il nuovo locale va a completare l'offerta di quello di Porta Venezia, con un lungo bancone e pochi tavoli e un'offerta studiata per chi, nonostante la mancanza di tempo, non voglia privarsi del gusto di una brioche d'autore o di un panino sfizioso.

 

Pavé-Break

A questo si aggiunge la proposta studiata per l'asporto: quiche, fagottini farciti, brioche salate, “i nostri classici e qualche nuova ricetta, per dimostrare che un servizio di asporto di alta qualità è possibile”. L'offerta per la colazione resta la stessa: brioche, lieviti assortiti e qualche monoporzione. Il caffè invece rimane un punto da sviluppare, “speriamo col tempo di poter approfondire anche questo tema, a cominciare dalla sede di Porta Venezia”. E il gelato? “Quello resterà un reparto separato. Vogliamo che ogni punto viva di un'identità propria”.

Lo stile

Il design e lo stile del locale rispecchiano l'anima della prima sede: tavolo grande, rigorosamente in condivisione secondo la filosofia che muove da sempre il team di Pavé e un lungo scaffale a parete per i prodotti da forno confezionati della linea prêt-à-pavé (biscotti, torte da forno, creme, tavolette di cioccolato), linee semplici ed essenziali che ricordano le bakery di stampo anglosassone. Per il momento, con ben tre locali, il team di Pavé può ritenersi soddisfatto, ma continua a progettare nuove idee per il futuro: “al momento tutti gli altri progetti sono congelati. Quando Pavé-Break avrà ingranato, potremo concentrarci su altro”.

Si parte con orario estivo sperimentale (7.30-16.00), per poi definire un orario fisso a partire da settembre: “Probabilmente dovremo aprire prima la mattina, considerando l'afflusso di persone, di passaggio e non, qui in zona Tribunale”. Per tutta la giornata di oggi, l'espresso sarà offerto dal personale di Pavé-Break.

Pavé-Break | Milano | via della Commenda, 25| www.pave.it

a cura di Michela Becchi

Ein Prosit: la prima volta a Grado. Edizione estiva per la rassegna enogastronomica friulana

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Un parterre di ospiti d’eccezione, con Davide Scabin, i fratelli Costardi e tanti altri chef pronti ad animare le serate di Grado. Ma anche la tradizionale mostra assaggio con le specialità e i vini del territorio, le degustazioni guidate e i seminari. Tutto questo è Ein Prosit, in versione balneare. Aspettando ottobre. 

Ein Prosit. Il battesimo al mare

Edizione balneare, la definisce qualcuno. Ma non è certo la prima uscita per il festival dedicato all’enogastronomia che da diciotto edizioni riunisce gli appassionati del genere in Friuli Venezia Giulia. Solitamente associato alla cittadina di Malborghetto, l’appuntamento con Ein Prosit tornerà puntuale anche quest’anno, nel mese di ottobre. Ma prima, tra pochi giorni, dal 22 al 24 luglio, la rassegna si trasferisce al mare, inaugurando la prima edizione di Ein Prosit Grado, con l’intento di omaggiare le tradizioni della nota località lagunare in provincia di Gorizia (la cosiddetta Isola d’oro) e offrire ai visitatori un contesto estivo di grande fascino dove muoversi tra degustazioni guidate e cene speciali. Non cambia infatti l’organizzazione per aree tematiche di una manifestazione già sufficientemente rodata per poter assicurare al pubblico diversi momenti significativi, che i più affezionati riconosceranno senza difficoltà.

Formula che vince non cambia

A partire dalla grande Mostra-Assaggio che ospiterà un’ottantina di prodotti enogastronomici, prevalentemente locali, che insisteranno sul rapporto con il mare e la pesca della cittadina goriziana. Non a caso il festival avrà luogo sul lungomare Nazario Sauro di Grado e presso la Diga, con orario 18.30-24. E in tre giorni sarà in grado di ospitare oltre 40 eventi, tra laboratori di sapori, workshop e show cooking, conferenze e tavole rotonde sul mondo del vino, e degustazioni guidate. Sul fronte enologico, ogni produttore presenterà 4 vini bianchi, fermi o spumantizzati per raccontare la produzione della propria azienda; lo spazio delle degustazioni guidate, invece, prevede una proposta geograficamente più articolata, tra Champagne e Borgogna, Riesling e Sauvignon a confronto, tra Friuli Venezia Giulia e regione della Loira, con l’introduzione di esperti del settore e partecipazione a numero chiuso su prenotazione.

Itinerari del gusto: le cene gourmet

Per gli amanti della buona tavola, invece, gli Itinerari del gusto – in collaborazione con il Consorzio Grado Turismo e con la Regione FVG – garantiranno tante opportunità di sperimentare le specialità locali, come la variante gradese del fritto della cucina lagunare in abbinamento ai grandi bianchi del territorio, ma soprattutto la possibilità di partecipare alle cene in compagnia di chef di fama internazionale che hanno aderito alla manifestazione. Ospitato presso i principali ristoranti della città, il calendario delle cene gourmet vede la partecipazione di Davide Scabin, Andrea Canton, Alessio Devidè, Antonia Klugmann, i fratelli Costardi, Wicky Prian e Hirohiko Shoda. Sul sito i dettagli degli appuntamenti e i menu delle cene, solo su prenotazione. Molti degli chef coinvolti saranno protagonisti anche dei seminari presso la Diga, gratuiti e a numero chiuso, per parlare del presente e futuro della cucina italiana; con loro anche Emanuele Scarello e Giuliano Baldessari.

 

Ein Prosit Grado | Grado (GO) | Lungomare Nazario Sauro e Diga | dal 22 al 24 luglio | ingresso giornaliero alla mostra 20 euro | www.grado.einprosit.org

a cura di Livia Montagnoli

Guida Milano 2017 del Gambero Rosso. Ecco i premiati

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Passato l'Expo cosa resta a Milano del grande circo del cibo? Molta vitalità e tante insegne nuove. Alcune inaugurate durante l'esposizione universale che oggi consolidano la loro presenza, altre che hanno aperto i battenti negli ultimi mesi. Abbiamo monitorato il panorama ristorativo del capoluogo lombardo per raccontarvelo nella nuova edizione della Guida Milano.

Milano un anno dopo. Nella città del dopo Expo l'euforia non si è sedata. Anzi. Fioriscono progetti e si moltiplicano iniziative gastronomiche, con nuovi concept, organismi imprenditoriali articolati oppure idee semplici ma non per questo meno valide, vedi i mercati o gli spazi informali ma di grande qualità che fioccano da una parte all'altra della città. Il capoluogo lombardo è il punto di passaggio, quando non di approdo, dei gradi chef, il luogo in cui germinano idee e progetti, si sviluppano manie e ossessioni che solo dopo qualche mese arriveranno (forse) nelle altre città. La Milano da bere, che è sempre più Milano da mangiare, conferma ancora la sua attitudine internazionale e mondana.

 

La Guida Milano 2017

Per Milano il 2016 è l'anno del dopo Expo, quello in cui le esperienze nate sotto l'egida dell'esposizione universale hanno preso la loro strada facendo valere la qualità del loro progetto. È anche l'anno del trentennale del Gambero Rosso e dell'edizione numero 26 della Guida Milano: quasi 1500 indirizzi e poco meno di 200 novità in 288 pagine (32 in più dello scorso anno) che consigliano su come orientarsi nella Babele enogastronomica meneghina. Una guida che quest'anno, come già avvenuto per quella di Roma, accoglie un nuovo simbolo di valutazione, la cocotte,da una a tre a seconda del grado di eccellenza dei bistrot (49 segnalati in questa guida), che in nessun'altra città dello Stivale si ispirano come qui agli esempi transalpini di piccola cucina d'autore in veste casual anche se non mancano proposte di natura diversa.

In tutti questi anni abbiamo raccontato la città e le sue trasformazioni, le mode e le manie gastronomiche, le invasione di concept restaurant e il ritorno alle trattorie. Lo abbiamo sempre fatto avendo come linea guida quella della qualità dell'offerta. Per rendere ancora più tangibile questo nostro monitorare, anno dopo anno, la Milano da mangiare abbiamo voluto accendere un faro su chi in questi anni è sempre stato un baluardo della qualità. Ristoranti, botteghe, enoteche presenti dalla prima edizione della guida, quella del 1991, fino a oggi, che hanno accompagnato la crescita enogastromica della città meritando il premio “30 anni della nostra storia”.

 

Il toto chef

Un vortice di arrivi nel capoluogo meneghino ne conferma il ruolo di traino nella scena gastronomica nazionale. Per molto tempo o per pochi mesi, con grandi progetti o piccoli format snelli e contemporanei, Milano è the place where to be&cook. Ora più che mai, complice forse Porta Nova, quel quartiere modernissimo e cosmopolita che è sorto in pieno centro, quasi caduto dall'alto, dimostrando che è ancora possibile, per le nostre antiche città, rifondarsi porprio nel loro cuore, senza per questo snaturarsi. Negli ultimi mesi sono stati tanti gli chef che hanno trovato il loro posto in città: tra tutti Enrico Bartolini, arrivato qui dalla Brianza fino al terzo piano del Mudec, il Museo delle Culture, che non mancherà di ritagliarsi un ruolo di primo piano e che già si è aggiudicato il premio come Novità dell'anno. Ci sono poi Luigi Taglienti, che ha appena inaugurato al Naviglio Grande, mentre i fratelli Cerea hanno conquistato un avamposto alla Terrazza Gallia dell'Excelsior Gallia, mentre Felice Lo Basso ha traslocato sulla terrazza della Townhouse davanti al Duomo, con il ristorante che porta il suo nome. Giancarlo Morelli invece ha scelto una formula diversa: quella della trattoria moderna.

 

Gli etnici

Come ogni metropoli cosmopolita che si rispetti Milano ha dalla sua una grande apertura verso le tradizioni gastronomiche di ogni parte del mondo. Cambiano magari le suggestioni, le passioni e le ossessioni, ma c'è una sempre maggiore e fertile commistione di sapori, tecniche, filosofie. A gradi diversi, certo, si va dalle fusioni di gusto alle interpretazioni il più possibile fedeli all'originale. Da una parte c'è Wicky Pryan con la sua cucina contaminata e personalissima, speziata e incredibilmente equilibrata, che rinnova l’essenza Kaiseki con materie prime da tutto il mondo, una rigorosa attenzione alla stagionalità e una decisa influenza mediterranea. Ci sono poi altri, ben saldi e sempre più centrati nella loro proposta: Iyo, insegna di punta della famiglia Liu (insieme a Gong e Ba Asian Mood) e Yoji Tokuyoshi; senza dimenticare le più informali esperienze della ravioleria di via Sarpi e di Ghe Sem, che mette insieme din sum e cocktail, e registrando l'affermarsi della cucina peruviana che sta prendendo sempre più piede.

 

Le pizze

Una piccola ma determinata compagine di pizzaioli campani è approdata a Milano con le succursali dei loro locali partenopei: primo tra tutti GinoSorbillo che sceglie però non di portare la sua famosa pizza al forno, ma la variante fritta, con la sede meneghina dell'Antica Pizza Fritta Zia Esterina. Insieme a Zia Esterina c'è anche Starita a parlare la lingua dell'arte bianca, con una proposta identica a quella che ne ha decretato il successo a Napoli.

 

Guida Milano 2017 Gambero Rosso | Prezzo: 10€ | disponibile in edicola, in libreria e online

 

 

I PREMIATI


TRE FORCHETTE




 

93
Villa Crespi | Orta San Giulio (NO)
 
92
Dal Pescatore | Canneto sull'Oglio (MN)
 
91
Seta del Mandarin Oriental Milano | Milano
 
Ilario Vinciguerra Restaurant | Gallarate (VA)
 
Da Vittorio | Brusaporto (BG)
 
90
Berton | Milano
 
 
TRE GAMBERI
 
Caffè La Crepa \ Isola Dovarese (CR)
 
La Madia | Brione (BS)
 
Osteria della Villetta dal 1900 | Palazzolo sull'Oglio (BS)
 
Osteria del Treno | Milano
 
 
TRE BOTTIGLIE

Al Donizetti | Bergamo
 
 
TRE MAPPAMONDI

Iyo | Milano
 
Wicky's Wicuisine Seafood | Milano
 
 
 
I Premi Speciali
 
La novità dell'anno
Enrico Bartolini Mudec Restaurant | Milano
 
Miglior servizio di sala
Il Luogo di Aimo e Nadia | Milano
 
Miglior servizio di sala in albergo
Terrazza Gallia dell'Excelsior Gallia | Milano
 
Miglior qualità/prezzo
Esco | Milano
 
Spazio di Niko Romito Formazione | Milano
 
Antica Trattoria del Gallo | Gaggiano (MI)
 
La Piazzetta | Montevecchia (LC)
 
 
Le botteghe del gusto
Gli indirizzi da non perdere per una spesa a prova di buongustaio
 
El Büscia | Milano
Ciclosfuso | Milano
Grazioli
Legnano (MI)
L'Orto di Brera | Milano
Pavè - Gelati & Granite | Milano
Procacci Milano | Milano
La pâtisserie des Rêves | Milano
Pescheria Schooner | Milano
 
 
 
30 anni della nostra storia
i ristoranti, i negozi e le enoteche che hanno accompagnato la crescita enogastronomica della città e rappresentano un esempio di qualità costante negli anni
 
RISTORANTI E TRATTORIE
 
Boeucc Antico Ristorante (Boeucc)
Osteria Grand Hotel (Grand Hotel Pub)
Joia
Il Luogo di Aimo e Nadia  (Aimo e Nadia)
Masuelli San Marco
Montalcino
Osteria del Treno
Al Pont de Ferr
Ribot
A' Riccione
Rovello 18 (Trattoria Rovello 18)
Sadler (Sadler Osteria di Porta Cicca)
Savini
Trattoria del Fulmine (Il Fulmine) – Trescore Cremasco (CR)
Pierino Penati - Viganò Brianza (LC)
I Castagni – Vigevano
Spontini Spontini
(c.so Buenos Aires)
 
 
ENOTECHE
 
La Cantina di Manuela
Cantine Isola
Cotti
Enoclub
Gaboardi Pogliani (Gaboardi)
Iemmallo
N’ Ombra de Vin
Ricerca Vini
Ronchi
Vino Vino (c.so San Gottardo)
 
 
SPECIALITA' ALIMENTARI
 
Faravelli
Macelleria Equina Pellegrini
Baita del Formaggio di Rusconi
La Grotta dei Formaggi
Rosticceria Galli
Peck
Drogheria Soana
Il Salumaio di Montenapoleone
Bottega del gelato da Cardarelli
Il Forno
Panificio Moderno
Panino Giusto
Maria Vailati (Vailati)
Cattaneo
Biffi
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Il Kamut compie 30 anni: dal grano orientale al marchio registrato, quando il marketing supera la leggenda

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L'intuizione l'ha avuta Bob Quinn nel 1986. Da allora l'azienda del Montana garantisce il disciplinare di produzione di una coltivazione arrivata dall'Anatolia, passata per l'Egitto e oggi appannaggio di Canada e Stati Uniti. Ma l'Italia è il principale acquirente. Ecco la storia del Kamut, tra leggenda e verità. 

30 candeline per il Kamut

Quando si parla di grani antichi e cereali alternativi il rischio è sempre lo stesso: confondere la realtà con aneddoti che si perdono nella notte dei tempi e storie leggendarie degne dei più celebri miti di fondazione. Ma quanto conosciamo davvero la storia dei cereali “buoni” (o presunti tali) che portiamo in tavola e quanto il loro fascino deriva da brillanti strategie di marketing? Il Kamut ci offre un esempio calzante per affrontare il tema. Cereale particolarmente apprezzato per imponderabili qualità organolettiche, quanti sanno che il Kamut è un marchio registrato?

Per essere precisi, proprio quest'anno la Kamut International festeggia il trentesimo anniversario del brand, ideato nel 1986 per contraddistinguere e commercializzare una specifica varietà di grano e garantirne la coltivazione biologica. Così mentre la sua carta d'identità recita Triticum turgidum ssp. Turanicum, il nome che ha reso famoso questo frumento originario del bacino Mediterraneo in tutto il mondo non può prescindere dal simbolo universalmente noto come marchio registrato: ®.

Dalla leggenda...

Ma per gli amanti delle leggende calate in scenari esotici, anche il kamut può vantarne una, come raccontava qualche anno fa Dario Bressanini nel best seller Le Bugie nel carrello. E gli elementi perché possa affascinare gli animi più ingenui ci sono tutti, come in ogni favola che si rispetti: narra la storia che subito dopo la seconda guerra mondiale un pilota militare americano ritrovasse una manciata di semi vecchi di quattromila anni in un'antica tomba egizia. Nel 1949 i semi avrebbero preso il volo alla volta del Montana, sottoposti alle cure amorevoli di un vecchio agricoltore americano; ne nacque una piccola produzione che il contadino portava in giro per le fiere dello stato. A identificare quei chicchi più grandi del normale un nome che ne raccontava le origini: grano del faraone Tut. Poi, per qualche anno, si perse traccia della nuova varietà, fino a quando, nel 1977, la famiglia Quinn recuperò i semi in uno scantinato del Montana avviando una produzione su larga scala.

… Al marketing

Il nome Kamut, però, arrivò solo nel 1986, frutto di una ricerca sul dizionario dei geroglifici egizi, dove accanto alla descrizione di grano e pane compariva il termine kamut, che solo il 3 aprile 1989 fu registrato da Bob Quinn, che contemporaneamente fondava la Kamut International. Esotismo e presunta antichità (richiamati dal disegno della piramide che spesso compare sulle confezioni) non fanno che rendere più accattivante il brand agli occhi dei consumatori, ma storia e biologia contraddicono la leggenda. Basti pensare che il frumento, in Egitto, si diffuse solo durante il periodo Tolemaico. Più probabile invece è l'origine anatolica del Triticum turgidum, anche detto grano orientale o Khorasan, proprio per richiamarne la provenienza dall'area mediorientale, al confine tra Turchia e Iran. Coltivato da tempi antichissimi, la sua prima volta nella letteratura scientifica risale però al 1921. Poi, probabilmente la sua coltivazione si diffuse anche in Egitto, e da lì qualche seme arrivò fino in Montana. Insomma, il Kamut che conosciamo oggi, come molti grani cosiddetti “antichi”, sarebbe frutto di una selezione moderna del grano orientale, parente stretto del grano duro.

Un successo planetario. L'intuizione di Bob Quinn

Quel che più ci interessa a livello di diffusione sul mercato è che dopo la registrazione del marchio (con tanto di certificato di protezione della specie) solo le aziende autorizzate possono acquistare e commercializzare il Kamut. E qui subentra la lungimirante strategia di marketing della Kamut International, che, come dicevamo, assicura il rispetto di un disciplinare rigoroso, ma d'altro canto controlla e regola il mercato a suo piacimento. Ne derivano un prezzo prestabilito così da garantire sicurezza e stabilità ai produttori e una coltivazione concentrata principalmente tra il Montana e il Canada. Nel frattempo l'apprezzamento per il kamut è esploso in tutto il mondo, e la Kamut International vende anche in Australia, Giappone ed Europa, vantando tra i principali acquirenti proprio l'Italia, che acquista la metà delle produzioni globali di Kamut con oltre 300 aziende licenziatarie e un centro di ricerca a Bologna (che è pure polo commerciale e di smistamento importante per la Kamut International), nonostante spesso arrivi in negozio a un prezzo 4 volte superiore rispetto ai prodotti realizzati con farine tradizionali.

Intanto la multinazionale, che non ama parlare di monopolio, continua a garantire elevati standard di produzione, a cominciare dal metodo di agricoltura certificata per arrivare ai parametri proteici (fra il 12 e il 18%), al quantitativo minimo di selenio e alla purezza del grano khorasan. E Bob Quinn è ormai universalmente noto come guru del Kamut. A marchio registrato. Prossimi obiettivi? Una partnership con Barilla, che a mister Quinn – pioniere del biologico col cappello da cow boy – piacerebbe molto.

 

www.kamut.com

 

a cura di Livia Montagnoli

ABCheese: Eleonora Baldwin e i formaggi. Caciocavallo podolico e cacioricotta pugliese

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Due formaggi vaccini caratteristici della Puglia. Sono incredibili specialità di questa regione: il caciocavallo podolico e il cacioricotta. Da assaggiare assolutamente.

La Puglia, che regione straordinaria! Il mio viaggio in giro per l’Italia alla volta delle eccellenze casearie si ferma nuovamente ad esplorare nuove zone di questa magnifica regione, più precisamente nei pressi di Monopoli, in provincia di Bari. La ricerca di oggi mi porta a scoprire i segreti di due formaggi tipici di questa zona, due rarità identificative di questa magnifica terra: il caciocavallo podolico e il cacioricotta vaccino.

 

Caciocavallo podolico

Caciocavallo podolico

Il caciocavallo podolico pugliese è davvero unico: è fra i più antichi e tipici formaggi a pasta filata del nostro Mezzogiorno. Ma anche quello più a rischio di estinzione. Quello vero è conosciuto sin dai tempi della Magna Grecia e poi apprezzato dai Romani, ma di vacche podoliche al giorno d’oggi ne restano davvero poche. Vado in provincia di Bari a Monopoli a cercare l’autentico caciocavallo podolico. Lo trovo nell’allevamento biologico Masseria Colombo, dove pascolano libere e felici oltre 250 vacche di razza podolica. Il caciocavallo podolico pugliese è prodotto anche nelle province di Foggia e nel territorio del Gargano.

 

Storia e territorio

I bovini podolici, secondo alcuni esperti, discenderebbero dal Bos primigenius o Uro, il primo bovino addomesticato. È una razza particolare di vacca probabilmente introdotta dall’Ucraina durante le invasioni barbariche. Originariamente il bovino podolico, grazie alla sua robusta corporatura, era allevato soprattutto per il lavoro di soma. I pochi capi di bovino podolico oggi sul nostro territorio sono allevati esclusivamente allo stato brado. Le qualità organolettiche del latte, e quindi del formaggio, derivano dall'alimentazione costituita da un pascolo ricco di essenze aromatiche, fiori e macchia mediterranea.

La caratteristica unica di queste bestie è di non mangiare mai in stalla, bensì al pascolo, producendo pochissimo latte ma molto saporito. Proprio là dove il pascolo è povero, l'acqua scarseggia ed è duro sopravvivere, la razza podolica trova il suo ambiente più adatto.

 

Lavorazione

La tipicità del caciocavallo podolico, oltre che nella particolarità della trasformazione risiede nella peculiarità del latte di partenza. La lavorazione del latte crudo prevede l’aggiunta di siero-innesto ottenuto facendo sostare il siero della lavorazione precedente nel tinaccio bagnato dal siero acido per la caseificazione. Dopo il riscaldamento alla temperatura di 40 gradi circa, viene addizionato di caglio di vitello. Dopo pochi minuti, la cagliata viene rotta alle dimensioni di un chicco di riso. La pasta, che viene lasciata maturare sotto siero, raggiunge la giusta acidità e viene poi filata con acqua a 80-90 gradi. La formatura avviene esclusivamente a mano, la salatura in salamoia.

 

Stagionatura

La stagionatura avviene in maniera simile a quella del provolone, ma a maturazione media di 1-2 mesi, la pasta rimane normalmente più tenera e dal gusto meno piccante. La stagionatura minima è comunque 3 mesi. Il nome caciocavallo trova origine dall'uso di appendere ad asciugare i formaggi, legati in coppia, a cavallo di una trave in ambiente fresco. Secondo altre fonti, invece, la denominazione nasce al tempo del Regno di Napoli, quando si usava imprimere sulla superficie del formaggio un marchio che rappresentava un cavallo. Per la sua longevità il caciocavallo podolico pugliese può anche maturare fino a 6 anni, assumendo sfumature e un bagaglio aromatico incredibile.

 

Assaggio

La forma a pera con la testina è una grande caratteristica del caciocavallo podolico, quasi come lo è il suo latte e il suo sapore. La crosta è sottile, liscia, di colore paglierino. La pasta è dura, untuosa con la tipica fibrosità della pasta filata. Il sapore è dolce e delicato nel formaggio giovane, diviene leggermente piccante in quello stagionato. La stagionatura ideale è quella di 9 mesi, tempo durante il quale il formaggio ha avuto tempo di maturare ma non invecchiare troppo. Mantiene intatto il sapore fresco ed erbaceo del pascolo, e suggerisce appena il carattere maturo e audace dello stagionato più forte, leggermente piccante, con lievi note di affumicatura naturale, nocciole e dalla spiccata sapidità.

Cacioricotta

Cacioricotta pugliese

Il cacioricotta pugliese è davvero molto antico ed è alla base della cucina di molte province di questa magnifica regione. Al caseificio Di Leo ho trovato un prodotto tipico di questa zona, e che attraverso una tradizione familiare tramandata di padre in figlio, trasforma il latte vaccino in uno splendido prodotto semi-stagionato. Normalmente infatti il cacioricotta si trova di capra o di pecora. Qui in provincia di Bari trovo quello di vacca, tipico pugliese. Essenziale per la definizione delle caratteristiche organolettiche del cacioricotta è ovviamente l'alimentazione degli animali che forniscono il latte. Infatti la presenza, nel periodo tardo primaverile-estivo, di erba secca dà un sapore più deciso al latte e quindi al formaggio, anche se la resa del latte è notevolmente ridotta.

 

Lavorazione e stagionatura

Questo particolare formaggio senza maturazione e di produzione stagionale (primavera-estate) è ottenuto con tecniche di lavorazione che mescolano quelle del formaggio e della ricotta. Il nome cacioricotta deriva appunto dal latte vaccino e dalla particolare tecnica di lavorazione la cui conseguenza è la presenza nella cagliata sia della caseina del latte, che dell'albumina. Il cacioricotta pugliese è ottenuto portando il latte crudo di vacca a 90° C e addizionando caglio di vitello. La rottura della cagliata avviene dopo pochi minuti e la travasatura nelle fuscelle, fatta a mano, spurga il siero con 2-3 rivoltamenti manuali. Viene poi salato in superficie. La stagionatura per il cacioricotta varia a seconda di come lo si desidera consumare. Per il fresco il cacioricotta matura per 2/3 giorni, il semi-stagionato o stagionato, fino a 30/40 giorni.

 

Assaggio

Bianco candido o leggermente paglierino a seconda della stagionatura, il cacioricotta vaccino pugliese presenta una crosta sottile, quasi inesistente. La pasta è compatta, friabile e senza alcuna occhiatura. Di media intensità aromatica, presenta invece un sapore ricco di note erbacee e floreali date dal pascolo. Il gusto è rotondo e latteo, in bocca è altamente solubile e chiede vino beverino. La morte sua? Trucioli di cacioricotta fanno una degnissima fine sulle orecchiette alle cime di rapa.

 

L’abbraccio ricevuto dalla Puglia, con i suoi sapori, aromi, colori e volti sorridenti è materno e unico. I luoghi visitati e le persone conosciute in questa terra splendente resteranno per sempre impressi nella memoria.

Evviva la Puglia!

 

a cura di Eleonora Baldwin

Questi ed altri formaggi li racconto in ABCheese, viaggio nell’Italia dei formaggi, un programma che va in onda tutti i martedì su Gambero Rosso Channel - SKY 412 alle 12 e alle 21:30, con repliche sab e dom alle 17:00 e alle 22:30

 

Per leggere AB Cheese: Eleonora Baldwin e i formaggi. Burrata e ricotta forte clicca qui 

Per leggere AB Cheese: Eleonora Baldwin e i formaggi. Scamorza nell’acqua e pampanella clicca qui

Per leggere AB Cheese: Eleonora Baldwin e i formaggi. Brinato della Marcigliana e Conciato di Rebibbia clicca qui

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Per leggere A B Cheese: Eleonora Baldwin e i formaggi. Mozzarella di bufala a Conciato romano clicca qui

Per leggere A B Cheese: Eleonora Baldwin e i formaggi. Fiordilatte e Provolone del Monaco Dop clicca qui

Per leggere A B Cheese: Eleonora Baldwin e i formaggi. Pecorino affinato in botte e stracchino clicca qui

Per leggere A B Cheese: Eleonora Baldwin e i formaggi. Ricottina aromatizzata e Gregoriano clicca qui

Per leggere A B Cheese: Eleonora Baldwin e i formaggi. Abbucciato Aretino e Pecorino Riserva Mascalzone clicca qui

Per leggere A B Cheese: Eleonora Baldwin e i formaggi. Val di Chiana: Pecorino Fresco di Torrita di Siena e Tomino di Capra di Ville di Corsano clicca qui

Per leggere A B Cheese: Eleonora Baldwin e i formaggi. Squacquerone di Romagna Dop e formaggio di fossa Dop clicca qui

Per leggere A B Cheese: Eleonora Baldwin e i formaggi. Mascarpone e pannerone clicca qui

Extravergine di oliva: i grandi oli di Spagna

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Il primo produttore al mondo di olio extravergine ormai non punta più solo sulla quantità, ma si focalizza sull'incremento dello standard qualitativo dei prodotti. Grazie ad alcune aziende illuminate che segnano la via e vincono i concorsi internazionali.

Un po' troppo spesso, anche quando si parla tra addetti al settore o semplici appassionati, si tende a identificare l'extravergine spagnolo come un prodotto di qualità inferiore rispetto a quello nostrano, tant'è che tendiamo ad associarlo alla dicitura “miscela di oli extra vergine originari dell'Unione Europea”. Parliamo infatti di un paese che da sempre è il primo produttore al mondo di olio di oliva e, data la mole di drupe che raccoglie e lavora, inevitabilmente tende a privilegiare l'aspetto quantitativo.

 

La Spagna dei migliori extravergine e delle grandi quantità

La Spagna però, per quanto riguarda la presenza di eccellenze, non è seconda a nessuno tanto che gli oli iberici si stanno affermando anno dopo anno in tutti i principali concorsi internazionali, in particolare quelli di alcune zone specifiche che stanno facendo della produzione “premium” la loro cifra stilistica. È il caso, per esempio, della zona di Priego de Cordoba che sta vedendo una crescita esponenziale nel ranking dei migliori extravergini al mondo. Ovviamente non parliamo dell'Eldorado dell'olio. Come ogni zona di produzione anche la Spagna (e in particolare l'Andalusia) ha i suoi problemi strutturali che qui sono legati prevalentemente al lungo periodo nel quale si prevede un calo delle quotazioni dell'olio d'oliva con una conseguente insostenibilità del sistema che oggi come oggi è fortemente dipendente dai sussidi comunitari. Questo dato però ancora non riguarda la produzione di extravergine di alta qualità che anno dopo anno si è ritagliato una fetta di mercato parallela che riguarda il consumo gourmet e l'esportazione del prodotto, così come in Italia. D'altro canto il prossimo anno si prevede una buona campagna olearia per la Spagna che, secondo le primissime stime della Gea Iberica, dovrebbe essere l'unico paese a veder incrementata la produzione, a differenza dell'Italia per la quale è previsto un calo del 47%, ma ovviamente parliamo di dati molto approssimativi ed estremamente variabili. Ma torniamo a parlare di olio.

 

La degustazione

La curiosità per questi prodotti “premium” ci ha spinto a rivolgerci a Oleo-le (ve ne avevamo parlato qui) , una delle oleoteche più fornite di Siviglia, dove si può trovare una bella selezione di oli delle migliori aziende spagnole. Qui sotto i dettagli dell'assaggio.

 

Oli spagnoli

Del Campo San Juan (Jaen) – Supremo Monocultivar Picual

Straordinario fruttato intenso che all'olfatto regala sensazioni di pomodoro datterino, mela verde, valeriana, foglia di mirto e basilico. Al palato rasenta la perfezione con le sue note di pomodoro verde e rucola, ma soprattutto grazie all'ottimo equilibrio tra amaro e piccante mai invadenti. Grande eleganza e coerenza aromatica.

 

Finca La Torre (Bobadilla, Malaga) – Monocultivar Hojiblanca

Uno dei marchi più blasonati quando si parla di extravergine spagnolo di eccellenza. In questo caso il loro monovarietale di hojiblanca è un inno alla complessità, alla potenza e all'eleganza. All'olfatto si riscontrano il pomodoro verde, la menta, il basilico, una nuance balsamica che rimanda alle conifere, ma anche ortica e maggiorana. Al palato si esalta con l'amaro e il piccante decisi ma non aggressivi, ma soprattutto con i suoi sentori di pomodoro, rucola, zenzero e ravanello. Un olio che impressiona assaggio dopo assaggio.

 

Sucesores de Hermanos López (Luque, Córdoba) – Morellana Monocultivar Picudo

Un fuoriclasse che ogni anno vince vari concorsi internazionali. Si tratta di una produzione limitata di 8000 pezzi tra lattine e bottiglie che contengono il “succo” di questa particolare varietà autoctona. Parliamo di un intreccio aromatico perfetto tra sentori di pomodoro e note erbacee che rimandano alle erbe officinali, alle conifere, ma anche ortica, rucola e mela verde. Al palato impressiona per lunghezza, complessità e precisione, ma anche per la sua coerenza stilistica e aromatica col pomodoro e la rucola in pole position e dietro un amaro che rimanda alla borragine.

 

Oleo Aureo (Sevilla) – Monocultivar Pico Limon

Con l'avvento di nuove tecnologie e con la raccolta precoce sempre più diffusa, sempre più di rado capita di degustare oli dal fruttato leggero eleganti e precisi. È il caso di questo incredibile monovarietale di Pico Limon, cultivar autoctona e quasi in via di estinzione che in questo olio trova la sua ragion d'essere. Al naso è delicato ma lascia emergere sensazioni di timo, scorza di lime, citronella, mela, menta e pinolo. Al palato è più piccante che amaro (quasi assente) e risulta estremamente elegante e pulito.

 

Soleae (Herguijuela de la Sierra, Salamanca) – Monocultivar Manzanilla Cacereña

Nasce nel 2008 questa azienda che fin dall'inizio si è sempre fatta portatrice di un'agricoltura sostenibile in contrapposizione alle produzioni intensive. Il loro olio di punta è questo accattivante monovarietale dal fruttato medio che ci regala sensazioni di mela verde, camomilla, pera acerba, maggiorana, rucola e una lieve scorza d'arancia. Al palato si distingue per il suo piccante potente e per l'amaro elegante confermando le sensazioni di agrume e rucola.

 

Oro Bailen (Villanueva de la Reina, Jaén) – Monocultivar Arbequina

Altro nome blasonato, forse tra le aziende spagnole più conosciute all'estero tanto che la loro Picual si può trovare facilmente anche qui in Italia. Sicuramente più difficile trovare la loro Arbequina, un fruttato medio che si esprime con sensazioni olfattive che rimandano a carciofo, frutta secca, ravanello e una lieve ortica. Al palato risulta leggermente maturo con il piccante poco più potente dell'amaro e conferma la nota di carciofo con un piacevole finale ammandorlato.

 

Del Campo San Juan | Spagna | Jaen | http://www.aceitesanjuan.com/

Finca La Torre | Spagna | Malaga | Bobadilla | http://aceitefincalatorre.com/

Sucesores de Hermanos López | Spagna | Córdoba | Luque | http://www.aceiteshl.com/

Oleo Aureo | Spagna | Sevilla | http://oleoaureo.com/

Soleae | Spagna | Salamanca | Herguijuela de la Sierra | http://www.soleae.com/

Oro Bailen | Spagna | Jaén | Villanueva de la Reina | http://www.orobailen.com/indexesp.html

 

a cura di Indra Galbo

 

Guida Milano 2017 del Gambero Rosso. La cucina cinese

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Percorsi alternativi e ineludibili del mangiare a Milano: la cucina cinese tra ristoranti gourmet e street food di qualità, passando per trattorie tutte da scoprire.

La cucina etnica, in Italia, passa da qui. Primo a intercettare mode e a diffonderle, a generare nuove ossessioni, talvolta a privarle di contenuti fino al momento di reinterpretarle da capo, il capoluogo lombardo è il centro nevralgico e internazionale dell'Italia che si riunisce intorno a un tavolo. O davanti a un bancone. Sì, perché le nuove modalità di fruizione fanno tutt'uno con l'apertura verso altre tradizioni. Ecco dunque che il riso alla cantonese ha fatto posto al sushi, la tempura al ramen e così via, immolando sempre nuovi sapori al santuario del gusto.

 

Cucina orientale ieri e oggi

Dimenticate i ristoranti patacca, quelli tutti cineserie, finte lacche, vassoi rotanti e falsi simulacri di un esotismo a buon mercato, quelli delle prime tavole cinesi della metà degli anni '80 (ma ne sopravvivono ancora parecchi di quel genere, eh) quando la cucina orientale era sinonimo di ristorazione di basso o bassissimo livello, fatta di surgelati e qualità scadente, di oscure cucine nei cui frigoriferi si raccontava si trovasse di tutto, appiattita su sapori indecifrabili e sempre uguali, ad appannaggio di ristoratori ignari, senza alcuna cultura gastronomica se non un vago ricordo dei loro luoghi d'origine, e ben disposti a plagiare materie prime e procedure a uso di un consumo sciatto e fagocitante del molto a poco prezzo. Così era allora, quando si moltiplicavano i primi ristoranti cinesi, con i tavoli rotondi e i menu chilometrici zeppi di nomi misteriosi o di banalità stile pollo alle mandorle e gelato fritto. Dimenticate quelli e dimenticate anche gli altri, quelli riservati a una élite che “se ne intendeva” (o faceva finta), vantava conoscenze oltre confine e oltreoceano e inforcava incerta le bacchette. Dimenticate tutto questo. È preistoria. Oggi, nell'epoca degli immigrati di seconda e terza generazione, dei millennials, delle distanze annullate, dei cibi etnici fin sugli scaffali della Gdo, si è formata un'imprenditoria che esce dalla nicchia di genere per entrare in quella della ristorazione tout court. Che non manca di mescolare le carte in tavola, forte di liste di vini da fare invidia a molti ristorati nostrani, di attente selezioni di prodotti, di declinazioni di nuovi concept e un lavoro sulle ricette che, scardinata la gabbia della fusion come si intendeva un tempo, propone semplicemente una cucina esotica moderna, spesso d'autore, esattamente come capita nelle nostre latitudini gastronomiche.

 

I Mappamondi

Ora che il ramen ha la stessa familiarità della pizza, che i wanton sono entrati nel nostro dizionario alimentare al fianco di pasta alla Norma e carpacci, si torna a credere, di nuovo, nella cucina orientale. Consumata senza clamori: un piatto e via, come fosse la più casalinga delle paste. Pizza e birra come noodles e cocktail? Perché no? Nulla vieta di unire suggestioni diverse per tavole che, si spera, saranno sempre più libere da confini imposti. Così nella Guida ai Ristoranti di Milano 2017 del Gambero Rosso abbiamo visto emergere, in modo sempre più evidente, i ristoranti esotici, per quantità e qualità. Tanto da meritare una classifica a se stante, individuata dal simbolo dei Mappamondi, da 1 a 3. E sono tanti, tantissimi, quelli che volano in alto. Tanto che abbiamo visto come una delle caratteristiche più interessanti del mangiare a Milano, quest'anno, sia il mangiare orientale. Partiamo dalla cucina cinese (con la selezione dei ristoranti a 2 Mappamondi). Ma non ci fermiamo qui.

 

Ba Asian mood

Ba Asian Mood | zona Wagner

Tre fratelli per tre locali. E questo di Marco Liu è il più "cinese" tra quelli della famiglia (gli altri sono Gong e il giapponese Iyo). E con questo intendiamo che è il più informale, vivace, semplice e meno glamour... ma non fatevi ingannare, lo stle è sempre quell superchic della famiglia Liu. Insomma, una specie di trattoria (almeno rispetto alle altre insegne) dove a fare la parte del leone sono le specialità della cucina cantonese, rivista in chiave leggera, insieme a una cucina di contaminazione dal forte accento orientale (in pieno "asian mood" come dice il nome) con proposte sempre azzeccate. Il servizio è attento e il menu è ricco per quantità e qualità dei piatti. Lunga e di piena soddisfazione la serie di dim sum, ricca la sezione di proposte al vapore (non perdete i cannelloni di riso con vari ripieni), poi spaghetti e riso nelle ricette più diverse, tante opzioni di carne e pesce (provate i crostacei, a partire dal "soft shell crab" al pepe nero di Sichuan). I dolci sono al vassoio, la cantina accompagna bene il cibo e comprende interessanti distillati, passione di Marco.

Ba Asian Mood | Milano | via C. Ravizza, 10 | tel. 02 4693206 | www.ba-restaurant.com

 

Bon Wei | zona Bullona

L'insegna è tra quelle che si possono chiamare, senza tema di smentita, cinesi di seconda generazione: elegante, con un servizio a regola d'arte e un'illuminazione suggestiva, e dove la cucina è questione anche di cultura del prodotto e delle ricette. In carta (quasi un centinaio di piatti) proposte che coprono più o meno tutto lo sfaccettato repertorio della cucina cinese, non solo quella cantonese. Ci sono i grandi classici (e assaggiarli qui vi darà un buon parametro per il futuro): anatra alla pechinese, ravioli al vapore, riso e spaghetti in varie ricette, con tanto di verdure presentate a mo' di scultura (ebbene sì). Ma non mancano piatti come la pancetta croccante saltata, le costine di maiale ai cinque aromi, il rombo in salsa chili, l'astice saltato con zenzero. Se amate le zuppe non perdetevi quella agropiccante. Carta dei vini tra le migliori a Milano in questa categoria di ristoranti, ma in alternativa ci sono anche birre e tè cinesi.

Bon Wei | Milano | via L. Castelvetro, 16 | tel. 02 341308 | www.bon-wei.it

Dim Sum

Dim Sum | zona Venezia

I dim sum sono i piattini, il giro di sfizi e piccole golosità che in Cina accompagnano il tè, soprattutto a pranzo e si possono mangiare anche fuori pasto. Il fatto che il ristorante si chiami così suggerisce quale sia la proposta, decisamente più informale e leggera rispetto a quella tradizionale. Una lunga serie di roll, ravioli, involtini, saccottini e polpette (sfiorano la quarantina) che aprono – e talvolta chiudono – la cena, o magari la coprono dall'inizio alla fine. Volendo, però, ci si può sbizzarrire con zuppe, paste e riso, pollo, manzo e maiale, pesce (con rombo e branzino in prima fila) e verdure in scenografiche preparazioni. Completa il quadro la lista di tè (ottimi) e una cantina con una interessante e inaspettata sezione di bollicine, mentre il locale è decisamente bello e l'accoglienza affabile e cordiale.

Dim Sum | Milano | via N. Bixio, 29 | tel. 02 29522821 | www.dim-sum.it

 

Ghe Sem

Ghe Sem | zona Cadorna

Nuovo locale, nuovo format: dim sum (cibo informale cinese di cui i ravioli al vapore sono l'esempio più noto) e cocktail, in un abbinamento cui nessuno aveva ancora pensato. Lo hanno fatto poco tempo fa Fabrizio Casolo insieme ad altri soci in una formazione che non mancherà di incuriosire. Al mangiare ci pensa Daniele Ferrari (impegnato anche a La Pesa 1902), al bere Giovanni Parmeggiani, autore di un (ottimo) bere miscelato con sakè protagonista, pensato ad hoc per il cibo di cui sopra. A proposito: la fattura è certosina, i ripieni (circa una ventina di varianti) vi sapranno stupire. Per esempio gamberi, capesante, seppie, mascarpone e 'nduja, ossobuco e zafferano, storione e caviale, verdure e funghi. In più insalate, tartare, piatti e dolci sempre in stile fusion, e se avete voglia di divertirvi venite prima di cena al Drink Sum, l'aperitivo del Ghe Sem.

Ghe Sem | Milano | via V. Monti, 26 | tel. 02 45374300

 

 

Gog

Gong | zona Venezia

Il terzo locale della famiglia Liu (dopo Ba Asian Mood e il giapponese Iyo) è scenografico e molto suggestivo, soprattutto a cena. Un'atmosfera lussuosa e raffinata, decisamente elegante e mondana voluta da Giulia Liu. E rappresenta un'evoluzione rispetto alla proposta familiare: su una base cinese, moderna e curata, è stata innestata una visione giapponese nella tecnica e nell'impiattamento, per di più con prodotti a 360°. Il che porta a risultati mai banali, con qualche vertice d'eccellenza così come con qualche passaggio più d'effetto che di sostanza. Ma il menu è stimolante, non ci si annoia e si scoprono nuovi abbinamenti: tartare di gambero rosso di Mazara con salsa al mango e basilico shiso; yakisoba special allo scoglio (davvero curiosi); involtino di spigola e pak choi; pekin duck di Bresse che sorprende per qualità e gusto. Dolci della casa golosi e colorati. Eccellente cantina guidata dal giapponese Mototsugu Hayashi che ha raccolto la sfida di abbinare i migliori vini nostrani a questa originale cucina (per la cronaca affidata a un suo connazionale).

Gong | Milano | corso Concordia, 8 | tel. 02 76023873 | www.gongmilano.it

 

Lon Fon | zona Repubblica

Un piccolo ristorante curato e garbato caratterizzato da una cucina vera ed elegante. La proposta non si discosta molto da quella “classica” dei cinesi in Italia, ma la differenza la fa la qualità, dalla materia prima alla realizzazione dei piatti, con una mano particolarmente felice, inoltre raccontata da un servizio preciso e gentile. Ai fornelli da sempre c'è Rita Tsui, coadiuvata dai figli in sala. La specialità del locale sono i ravioli, di carne e pesce, sia al vapore che alla piastra, preparati in casa e serviti fumanti: sono deliziosi e da soli giustificherebbero la visita. Ottima inoltre l'anatra alla pechinese, fatta come vuole la tradizione con le crepes maison, e soprattutto sempre presente in carta senza dover essere ordinata prima (come in genere avviene a causa della lunga e laboriosa preparazione). La sala è piccola (prenotate) senza eccessi di sfarzo. Conveniente il rapporto qualità/prezzo (a pranzo ancora di più).

Lo Fon | Milano | via Lazzaretto, 10 | tel. 02 29405153

Mandarinn

Mandarin 2 | zona viale Abruzzi

Anche il cibo italocinese ha il suo valore quando realizzato con attenzione, a partire dal pollo freddo in vino cinese, ai ravioli di gamberi al vapore, dai wanton fritti alla zuppa di pollo con i funghi, fino ai noodle con carne e verdure. Il pollo e i gamberi sono tra i cardini del menu, con tante, tantissime proposte dedicate. Non mancano special della casa come il salmone in salsa agrodolce, il vitello con funghi e bambù. L'atmosfera è piacevole, gli arredi curati, l'ambiente pulito e lineare, il servizio cortese. Non male neanche la carta dei vini affiancata dalla canonica proposta di bibite.

Mandarin 2 | Milano | via B. Garofalo, 22a | tel. 02 2664147 | www.mandarin2.it

Mi cucina di confine

MI - Cucina di Confine | zona Parco Sempione

Un bistrot orientale che ha convinto sin dai primi mesi di vita e diventato ben presto un riferimento per chi ama questo genere di cucina, aperta a qualche rivisitazione qua e là e con alcune incursioni nelle tradizioni limitrofe, senza un preciso copione. Il locale è etno-chic, con tanto legno e ferro a dominare nell'arredo insieme a mobili vintage per definire un ambiente decisamente piacevole. Nel menu, oltre alla Cina tradizionale e non (come per esempio nei dim sum con ripieni di ogni tipo), trovate i temaki giapponesi, piatti thai e malesi. Si passa dal classico pollo in crosta di mandorle al vitello saltato in salsa di fagioli neri, dalla sogliola stufata con bambù e funghi shitake agli involtini di salmone in salsa di mango. Difficile non divertirsi, anche se i sapori sono spesso intensi. Dolci al vassoio e cantina in linea con i migliori etnici di Milano

MI - Cucina di Confine | Milano | viale Cassiodoro, 5 | tel. 02 48513745 | www.mi-cucinadiconfine.it

 

Sarpi

Ravioleria Sarpi | zona Bullona

La Ravioleria è un posto molto semplice con menu all'osso: ravioli cinesi di manzo, maiale e vegetariani, e la tipica crespella di Pechino, Jian Biang, ripiena come i primi o di verdure miste. A fare la differenza - come sempre d'altronde - sono gli ingredienti: farine (miste bianca bio 0 e integrale) del Mulino Sobrino e uova, carni (quelle del vicino Walter Sirtori, rinomato macellaio meneghino con cui è nata una bella sinergia, emblematica delle trasformazioni che il mondo della cucina etnica sta affrontando). Non mancano ortaggi da aziende piemontesi e lombarde che Agie (il patron di questo street food con il piccolo bancone affacciato su strada) prende in bottega. Le verdure di stagione sono tritate a mano a punta di coltello, la speziatura è mirata, la fattura a prova di sfoglina. Li trovate già cotti e conditi con un filo d'olio o salsa di soia, o crudi da bollire a casa.

Ravioleria Sarpi | Milano | via Sarpi, 27 | tel. 331 8870596

 

Singapore | zona Parco Solari

Per gli amanti della cucina orientale è uno dei riferimenti principali in città, vuoi per l’ambiente piacevole anche se afflitto da tavoli un po' troppo ravvicinati, vuoi per l’assortimento di cantina che offre la possibilità di bere bene a prezzi ragionevoli (in alternativa birra, tè e sakè), ma è soprattutto la proposta gastronomica a convincere, con piatti classici della cucina cantonese preparati con buone materie prime e cotture precise, soprattutto per il branzino al vapore, l’anatra arrosto con spezie, i calamari stufati in salsa di soia. Da non perdere gli antipasti caldi (ottimi i ravioli di gamberi), le zuppe (tofu con verdure, per esempio, pinne di pescecane oppure mais con pollo) e gli spaghetti di riso alla Singapore (con manzo, gamberi e verdure saltate in padella con il curry).

Singapore | Milano | via V. Foppa, 40 | tel. 02 48952129

 

Tesoro | zona Cimitero Monumentale

Arrivarci non è semplicissimo: nel bel mezzo della cinesissima via Sarpi, è un locale nascosto al primo piano del piccolo "mall" asiatico tra via Paolo Sarpi e via Rosmini, tutto neon e luccicanze. Seguite scrupolosamente le indicazioni: evitare l'ascensore (che spesso non funziona), dribblare un altro cinese dove si rischia di finire per errore, ed entrare senza esitazioni in una specie di grande tavola calda non troppo glamour. A questo punto c'è la seconda inevitabile fase: non lasciarsi intimorire e capire le regole del gioco. Che sono quelle del pasto a prezzo fisso (meno di 20 euro) che vede protagonista un brodo a scelta (normale, piccante eccetera) servito in un pentolino poggiato su una piastra a induzione fissata al tavolo e di intensità regolabile. Dentro potrete cuocere una notevole quantità di ingredienti da pescare in un buffet ricco quanto ostico: le scritte sono in cinese ma il personale (e anche gli altri clienti) sono pronti a consigliare. Ci sono pesci, crostacei, carni, tofu, ortaggi, funghi, germogli, e anche molti “oggetti” misteriosi. Si possono fare vari giri, il brodo viene periodicamente rabboccato. Ci si può pure far grigliare una meno ricca serie di prodotti da un omino (decisamente accaldato). Tutto abbondante e freschissimo. Tutto autentico e perfino pop. La prima volta si fatica, la seconda ci si diverte.

Tesoro | Milano | via A. Rosmini, 14 | tel. 02 34938027

 

Guida Milano 2017 Gambero Rosso | Prezzo: 10€ | disponibile in edicola, in libreria e online

 

a cura di Antonella De Santis

 

 

Sarpi

Ravioleria Sarpi | zona Bullona

La Ravioleria è un posto molto semplice con menu all'osso: ravioli cinesi di manzo, maiale e vegetariani, e la tipica crespella di Pechino, Jian Biang, ripiena come i primi o di verdure miste. A fare la differenza - come sempre d'altronde - sono gli ingredienti: farine (miste bianca bio 0 e integrale) del Mulino Sobrino e uova, carni (quelle del vicino Walter Sirtori, rinomato macellaio meneghino con cui è nata una bella sinergia, emblematica delle trasformazioni che il mondo della cucina etnica sta affrontando). Non mancano ortaggi da aziende piemontesi e lombarde che Agie (il patron di questo street food con il piccolo bancone affacciato su strada) prende in bottega. Le verdure di stagione sono tritate a mano a punta di coltello, la speziatura è mirata, la fattura a prova di sfoglina. Li trovate già cotti e conditi con un filo d'olio o salsa di soia, o crudi da bollire a casa.

Ravioleria Sarpi | Milano | via Sarpi, 27 | tel. 331 8870596

Il vino possibile a Polignano. E a Borgo Egnazia gli chef che fanno del bene, da Scabin ad Assenza

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Si comincia a Polignano, con tre giorni di letteratura di gusto, ospiti e corner golosi in giro per la cittadina a picco sul mare. Poi la festa si sposta a Borgo Egnazia, dove Andrea Ribaldone accoglie i colleghi che hanno risposto all'appello del Pranzo possibile. Per Emma e Valentina. 

Il vino possible. I libri sul palco, il cibo tutto intorno

Sulla scia di una rassegna letteraria che ormai è appuntamento fisso dell'estate polignanese, Il vino possibile incontra l'universo della scrittura e del giornalismo per celebrare l'editoria a tema gastronomico, con tanti ospiti riuniti nel centro storico di Polignano a Mare, perla dell'Adriatico e della costa pugliese. E così dal 22 al 24 luglio, sul palco allestito in piazza dell'Orologio gli autori più celebri della libreria enogastronomica d'Italia e del mondo racconteranno le ultime fatiche, interagendo con la platea che affolla le strade della località turistica, per qualche sera vestite a festa con corner gourmet e stand di degustazione. Un percorso del gusto apparecchiato intorno al palco e negli angoli più suggestivi di Polignano, che coinvolgerà tanti artigiani pugliesi e produttori vinicoli nell'organizzazione di un vero e proprio banchetto di strada.

Tra le presenze certe i maestri dell'arte bianca del Consorzio del pane di Altamura Dop, ma anche la famiglia Anzivino con il miele di Molino a Vento, produttrice pure di formaggi erborinati, di fossa e salami di maiale nero da animali allevati allo stato brado, e il Caffè italiano di Ginosa, che dalla provincia di Taranto porterà le tette delle monache ripiene di crema chantilly; e poi i prodotti e i vini dell'Antica Cantina Enotria di Cerignola, i funghi cardoncelli della Murgia di Casal Manfredi e il pane di Pascal Barbato dell'Antica panetteria Fulgaro di San Marco in Lamis, il caciocavallo podolico e l'olio extravergine pugliese, le focacce e il pesce dell'Adriatico, per una proposta gastronomica che grida l'orgoglio pugliese per le sue tradizioni culinarie e le materie prime di qualità del territorio. Purché biologiche e biodinamiche. Come le etichette dei vignaioli d'Europa invitati a partecipare da Gerardo Leone.

Gli ospiti in cartellone

Sul palco, invece, si avvicenderanno volti noti, da Paolo Marchi a Chef Rubio, da Angela Frenda a Sonia Peronaci, da Licia Granello a Simone Salvini: gli appuntamenti in cartellone sono molti, come ha anticipato in conferenza stampa la direttrice della rassegna Rosella Santoro, ribadendo l'importanza di un festival fondato sulla cultura per il rilancio e la crescita economica del territorio pugliese, così ricco di risorse da valorizzare. Ma l'evento più attesto, quello più buono sotto molteplici punti di vista, andrà in scena a Borgo Egnazia il resort della famiglia Melpignano a Savelletri, non distante da Fasano, con parco che digrada sul mare.

 

Il Pranzo possibile. Sette chef per Emma e Valentina

È qui che prenderà vitaIl Pranzo possibile 2016 (dopo l'edizione dell'anno scorso organizzata da Tuccino), evento goloso e solidale al tempo stesso, dedicato al futuro di Emma e Valentina, due bambine come tante che una grave malattia ha costretto a convivere con gli ospedali. E allora, il 25 luglio (il ricavato del pranzo sarà devoluto alla causa) la tavola sarà apparecchiata proprio per loro, “perché ci sono persone che non hanno altra possibilità di godere se non attraverso il gusto, e almeno quello dobbiamo darglielo”, per dirla con le parole di Andrea Ribaldone, chef di Borgo Egnazia e papà di Emma, impegnato da tempo per garantire alle persone malate il diritto al cibo di qualità, da un punto di vista nutrizionale e gustativo. Al suo appello hanno risposto cinque protagonisti della cucina d'autore italiana, che insieme appronteranno il pranzo nella cucina dei Due Camini (il ristorante del Borgo): i fratelli Cerea, Pietro Zito, Cristina Bowerman, Corrado Assenza e Davide Scabin, che alla causa dell'alimentazione “terapeutica” ha dedicato gran parte delle sue ultime ricerche con il progetto Food Clenic. A fare gli onori di casa proprio Andrea Ribaldone e il suo braccio destro Domenico Schingaro.

E a sostenere il parterre di chef anche tanti produttori d'eccellenza che hanno scelto di contribuire alla causa, dalla Macelleria di Antonio Varvara all'Antico Frantoio Muraglia, all'associazione Buona Puglia che riunisce i grandi ristoratori pugliesi. La partecipazione al pranzo è vincolata all'offerta minima di 150 euro, da versare tramite bonifico all'associazione Artes, che avrà valore di prenotazione.

 

 

Il vino possibile | Polignano a Mare (BA) | dal 22 al 24 luglio | www.ilvinopossibile.com

Il pranzo possibile | Borgo Egnazia, Savelletri (Ba) | il 25 luglio | per info 392 2156074/ 346 9454567

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