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Tutte le nuove stelle Michelin 2019. Tre Stelle a Mauro Uliassi, non arrivano nuove Due Stelle. Male Roma e Milano

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Va in scena dall'Auditorium Paganini di Parma la presentazione della guida Michelin dedicata alla ristorazione italiana. L'edizione 2019 premia Mauro Uliassi, ma lascia a secco Milano e Roma, e non premia nuovi bistellati. Spazio ai giovani.

 

Si riparte dall'Auditorium Paganini, ancora una volta a Parma. Cambio di set dopo due anni di passerella sul palco del Teatro Regio della città, scelto dalla Michelin per celebrare l'alta ristorazione italiana con tutti gli onori del caso. Ma la cerimonia che rivela le nuove stelle dell'edizione 2019 della Rossa si ferma per il terzo anno consecutivo nel cuore della food valley emiliana, dove ormai la Michelin sembra sentirsi a casa. E dunque spetta a Parma accogliere il gotha del mondo enogastronomico nazionale, riunito per una mattinata che scioglie le attese di un anno. La guida francese, pur nella parzialità di una visione ancorata a un certo classicismo e indirizzata su binari preferenziali (per esempio l'alta ristorazione d'hotel), continua a catalizzare l'attenzione degli addetti ai lavori, condensa aspettative e speranze, scatena il gioco dei pronostici. Tanti sono i nomi, giovani e meno giovani, che inseguono un sogno in grado di spostare pubblico, con positive ricadute sul fatturato dell'attività (lo sottolinea Norbert Niederkofler, il nuovo tre stelle dell'edizione 2018, intervistato prima della cerimonia: “500 telefonate in due giorni per prenotare al ristorante subito dopo la premiazione dell'anno scorso”; anche se i bilanci si fanno sul lungo periodo). Sul palco dell'Auditorium c'è un nuovo Cicerone – Gwendal Poullennec, neodirettore internazionale delle Guide Michelin, che ha raccolto il testimone di Michael Ellis – ma il copione non cambia: sala gremita (e diretta live streaming, che l'anno scorso ha incollato allo schermo 35mila spettatori, fanno sapere da casa Michelin), flash dei fotografi pronti a non perdere neppure una lacrima.

La gioia per Uliassi. Ma dove sono le due stelle?

Chi si commuove più degli altri è Mauro Uliassi, nuova tristellato dell'edizione 2019, che ora conta 10 indirizzi a Tre Stelle: “10 è il numero perfetto”, chiosa Poullennec, e per la prima volta nella storia della Michelin Italia, la guida elegge un nuovo Tre Stelle in due annate consecutive. Un bel riconoscimento, a lungo atteso e auspicato, per lo chef di Senigallia (94/100 e Tre Forchette sulla guida Gambero Rosso).

Ma l'altra notizia significativa non è per nulla incoraggiante: resta a quota 39 la compagine dei bistellati. Questo significa che per gli ispettori della Rossa nessun ristorante della Penisola (nessuno!), quest'anno, è meritevole di conquistare le Due Stelle. Un dato che sinceramente ci sembra poco rappresentativo, e finisce per appiattire sullo stesso livello una serie di realtà molto diverse tra loro per talento e ambizione. Pensiamo per esempio a Riccardo Camanini (Lido84), che tutti i pronostici segnalavano come papabile candidato. Ma anche a Francesco Apreda a Roma, ancora fermo sulla prima stella, in un panorama cittadino dove la Rossa non sembra proprio essere capace di districarsi con criterio (in città arriva una prima stella per il Moma, la perdono Magnolia - che l'aveva avuta da pochissimo - e Stazione di Posta, e pure il maestro Antonello Colonna; la conferma Pipero dopo il cambio chef).

 

Nessuna nuova stella a Milano. Viterbo batte Roma

Per non parlare di Milano, dove quest'anno non arriva neppure una stella nonostante il gran movimento visto attorno alla Madonnina durante l'anno. Quindi nessun macaron per Carlo Cracco – che si pensava potesse già riprendere la seconda stella persa prima del trasloco in Galleria – né per Luigi Taglienti (Lume), tra i più accreditati a salire di rango insieme ad esempio a realtà come Contraste. E in generale sembra difficile pensare che in città – in quella che oggi molti considerano la capitale gastronomica d'Italia – nessuno abbia colpito gli ispettori tanto da meritare almeno un macaron. Va assai meglio a Torino, dove arrivano tre nuove prime stelle, per Carignano, Spazio7 e Cannavacciuolo Bistrot. Lo chef di Villa Crespi, tra l'altro, piazza una assai bizzarra doppietta, conquistando il macaron anche per il bistrot di Novara al Teatro Coccia. E piacciono agli ispettori anche Viterbo e provincia: il capoluogo della Tuscia finisce così per oscurare la Capitale, con la prima stella a Danilo Ciavattini, e un macaron in arrivo a Vitorchiano, per Casa Iozzia. A secco di stelle anche Firenze, Bologna e Napoli.

Le prime stelle

Sono 29, in tutto, le nuove prime stelle, con qualche bella notizia per le giovani leve: Davide Caranchini con Materia (Cernobbio), Matteo Grandi per Degusto (San Bonifacio), il team dell'Harry's Piccolo a Trieste, i ragazzi del Giglio a Lucca, Floriano Pellegrino e i Bros a Lecce, Nino Rossi (Qafiz, Santa Cristina in Aspromonte) in Calabria. A secco, invece, un favorito della vigilia come Gianluca Gorini. Primo macaron anche per Vitantonio Lombardo (dopo il trasloco a Matera, che si appresta così a festeggiare con una nuova bandierina sulla mappa il suo 2019), Domingo Schingaro ai Due Camini di Savelletri, La Tenda Rossa di Cerbaia, che rientra nella compagine stellata dopo qualche anno, in una Toscana piuttosto premiata dalla Rossa (anche se meno che in passato), che invece dimentica completamente e incomprensibilmente alcune regioni, come la Liguria (a secco benché il momento storico avrebbe potuto consigliare una attenzione maggiore, visto che alla fine la Michelin è una guida turistica, che dovrebbe impegnarsi a spostare flussi ora più che mai utili in un territorio in difficoltà) e l'Emilia Romagna, con l'unica new entry a Rimini (Abocar due Cucine), mentre ancora nulla arriva a premiare la bravura di Massimiliano Poggi. E intanto continua a collezionare stelle Enrico Bartolini, stavolta premiato in Piemonte, per la Locanda del Sant'Uffizio. Davvero bizzarra dunque la fotografia di alcuni territori. Di Milano abbiamo detto, ma anche il ritratto fatto di Roma è distante dalla realtà. E il brutto momento delle metropoli non viene compensato da altre intuizioni che faticano a emergere, con ovviamente alcune eccezioni e picchi come la scelta di Sapio a Catania.

I premi speciali

Soddisfazione anche per Emanuele Petrosino, premiato come Giovane Chef 2019 e capace di confermare la stella per I Portici di Bologna anche a seguito del cambio della guardia che all'inizio del 2018 l'ha visto prendere il testimone lasciato da Agostino Iacobucci, sotto la supervisione di Nino Di Costanzo.

 

 

 

Tre Stelle

 

Uliassi, Senigallia (AN)

St. Hubertus dell'Hotel Rosa Alpina, San Cassiano (BZ)

Piazza Duomo, Alba (CN)

Le Calandre, Rubano (PD)

Da Vittorio, Brusaporto (BG)

Dal Pescatore, Canneto sull'Oglio (MN)

Osteria Francescana, Modena

Enoteca Pinchiorri, Firenze

La Pergola, Roma

Reale, Castel di Sangro (AQ)

 

I nuovi Due Stelle

Nessuno

 

I nuovi Una Stella

Cannavacciuolo Cafè e Bistrot, Novara

Locanda del Sant'Uffizio, Cioccaro (AT)

Cannavacciuolo Bistrot, Torino

Carignano, Torino

Spazio7, Torino

Sedicesimo Secolo, Orzinuovi (BS)

Materia, Cernobbio (CO)

12 Apostoli, Verona

Degusto Cuisine, San Bonifacio (VR)

Astra, Collepietra (BZ)

In Viaggio, Bolzano

Stube Hermimtage, Madonna di Campiglio (TN)

Harry's Piccolo, Trieste

Abocar Due Cucine, Rimini

Giglio, Lucca

Al 43, Lucignano (SI)

La Tenda Rossa, Cerbaia (FI)

Moma, Roma

Danilo Ciavattini, Viterbo

Casa Iozzia, Vitorchiano (VT)

Locanda Severino, Caggiano (SA)

Caracol, Bacoli (NA)

Vitantonio Lombardo, Matera

Due Camini, Savelletri (BR)

Bros, Lecce

Qafiz, Santa Cristina in Aspromonte (RC)

St. George by Heinz Beck, Taormina (CT)

Sapio, Catania

Confusion Lounge, Porto Cervo (OT)

 

 

I premi speciali 2019

 

Passion for wine: Lokanda Devetak (San Michele del Carso, GO)

Servizio di sala: Barbara Manoni, Casa Perbellini (Verona)

Qualità nel tempo: La Bottega del 30 (Castelnuovo Berardenga, SI)

Giovane chef: Emanuele Petrosino, I Portici (Bologna)

 

 

 

 


Spizzeasy Paradise Pizza a Bologna. I ragazzi di Brisa inventano lo speakeasy della pizza da Teglia

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Le pizze proposte al banco sono frutto delle ricerche su farine e ingredienti di Davide Sarti, pizzaiolo di Brisa. Con lui da Teglia c'è pure dj Uovo, protagonista delle serate speciali nello Spizzeasy appena inaugurato al piano inferiore della pizzeria. 

 

Non solo pane. La pizza di Brisa

Ai ragazzi di Brisa la fantasia non manca. Ma per fortuna loro – e dei bolognesi che abitualmente frequentano il loro forno in città – le idee sono sostenute anche da una concreta capacità di metterle in pratica. Ecco perché la storia del Forno Brisa, che oggi conta due punti vendita dentro le mura del capoluogo emiliano ed entro dicembre inaugurerà un terzo locale in via San Felice, pur essendo relativamente giovane racconta di una scommessa vinta con caparbietà. Senza trascurare una buona dose di divertimento. Il team è cresciuto, la ricerca su materie prime e tecniche di panificazione si è approfondita, il brand è diventato garanzia di qualità e positività, assurgendo a punto di riferimento della scena gastronomica bolognese, e imponendosi nel panorama italiano tra i panifici che orientano l'evoluzione del settore. All'inizio del 2018 i ragazzi hanno preso anche la gestione diretta di una pizzeria al taglio appena fuori dalle mura (in via San Mamolo), già Sega, oggi ribattezzata Teglia.

Teglia Paradise Pizza. Lo Spizzeasy

Con la precedente proprietà Brisa ha collaborato sin dall'inizio – era il 2016 – fornendo gli impasti, da qualche mese, invece, la produzione si è attestata sulla formula perfezionata nel laboratorio di via Galliera, e Teglia è diventata una vetrina in più per raccontare una sperimentazione sulla pizza che procede in parallelo a quella sulla panificazione. Ma non finisce qui, perché grazie al restyling che ha ripensato il piccolo spazio in stile Brisa – tanto colore e atmosfera informale, con il murales Wall of Fames di Collettivo FX, che ritrae tra gli altri Gabriele Bonci, Carlo Petrini, Michael Jackson e Grace Jones – i ragazzi hanno ricavato al piano inferiore uno “spizzeasy”(lo speakeasy della pizza) che sarà il centro di un progetto artistico sviluppato in collaborazione con la label di musica house di dj Uovo. Quindi Spizzeasy Paradise Pizza, fresco di inaugurazione, è il risultato di una contaminazione ragionata tra cucina, arte, musica, una factory creativa (brand di street wear personalizzato compreso) che ospiterà serate musicali ed eventi privati. Ma anche occasioni speciali animate da chef, dj, locali bolognesi, pizzaioli ospiti, pronti a lasciare in eredità farciture d'autore che saranno riproposte al banco.

Responsabile in laboratorio è Davide Sarti, pizzaiolo di Brisa e ideatore del progetto Teglia: farine semintegrali macinate a pietra e prodotti del territorio, ma non solo, per gusti classici e ricette pensate per valorizzare piccole produzioni locali. E poi le pizze della “tradizione” bolognese: la pizza lasagna, con impasto di spinaci, ragù, besciamella e parmigiano; quella con crema di parmigiano e mortadella che ricorda il ripieno del tortellino; la “tortellone” con ricotta, ortica, parmigiano e olio alla salvia; quella con purè e cotechino. Tanta capacità comunicativa, dunque, ma ancora una volta gusto e solidità imprenditoriale a sostenere un'operazione coerente con la filosofia di un collettivo che non sembra intenzionato a smettere di lanciarsi in nuovi progetti.

 

Teglia Paradise Pizza – Bologna – via San Mamolo, 25

 

a cura di Livia Montagnoli

In viaggio in Australia. Adelaide e dintorni, tra vini, prodotti e tradizione indigena

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Quella meridionale è la parte più interessante per la gastronomia e l’enologia australiana. Nel numero di novembre del Gambero Rosso trovate uno speciale, qui un assaggio.

 

Ogni ora delle ventiquattro di viaggio necessarie per raggiungere l’emisfero sud, dall’altra parte del mondo, sarà senz’altro ricompensata. Lo stato dell’Australia Meridionale rappresenta infatti la zona del paese a più alto coefficiente enogastronomico: basti pensare che dalla capitale Adelaide in meno di due ore si possono raggiungere le diverse zone che fanno di questo stato un territorio particolarmente vocato alla produzione di vino. Qui convivono numerosi e variegati artigiani, produttori (dai formaggi ai distillati) e cuochi che hanno trovato in questa zona la propria dimensione creativa e lavorativa.

Adelaide, diventata una delle capitali mondiali dei cocktail bar

Partiamo naturalmente da Adelaide, la capitale che, oltre ad avere qualcosa da raccontare su cucina e mixology, è il perfetto inizio del viaggio in virtù della sua posizione geografica. È infatti circondata dalle zone che rendono famosa questa porzione di Australia: siamo al centro delle due principali aree, la Barossa Valley e la McLaren Vale, e dominata dalle colline delle Adelaide Hills. Prima di mettersi in cammino è però doveroso scoprire la metropoli, non trattarla insomma come punto di partenza. Adelaide non ha una particolare attrattività storico-urbanistica, ma (oltre a essere tranquilla e vivibile) è via via diventata una delle capitali mondiali dei cocktail bar. Il gin è di tendenza, sono numerosi i locali dedicati al bere miscelato; idem per la birra, in un paese in cui è molto amata e dove i produttori di craft beer da tempo colorano il panorama del bere bene cittadino: sono una quarantina i birrifici artigianali nel raggio di una manciata di chilometri dalla capitale. Quelli che meritano la visita? Port Dock Brewery sulla strada che porta a Port Adelaide, Grumpy’s Brewhaus sulle colline a Hahndorf, Barossa Valley Brewing nell’omonima valle, Goodieson Brewery in McLaren Vale e Lobethal Bierhaus sempre in collina. Tra i vicoli del centro di Adelaide compaiono invece bar nascosti e divertenti pub: su Peel Street c’è il valido whisky bar Clever Little Tailor o in fondo a Gilbert Place l’Hains & Co specializzato in gin e rum. E ancora il Proof su Anster Street, famoso per i suoi abbinamenti tra cocktail e toast gourmet o il sotterraneo Bank Street Social per una buona pinta di birra.

Jock Zonfrillo

Jock Zonfrillo e la sua cucina etica, vera, unica

Ma chi ha portato, proprio questa estate, Adelaide agli onori della cronaca gastronomica è stato lo chef Jock Zonfrillo, l’italo-scozzese che ha ottenuto il Basque Culinary World Prize per il suo ristorante Orana. Se volete sedervi per fare un’esperienza alla sua tavola dovete prenotare con largo anticipo oppure accontentarvi del suo bistrot Black Wood, al piano terra, che ha un’interessante proposta di cucina internazionale (anche se ben lontana dal format vincente che si trova al piano superiore). All’Orana si intraprende un avvincente viaggio tra i vari territori della sconfinata Australia, fino ai più sperduti; Zonfrillo infatti propone un menu che esplora le profondità di un paese abitato a lungo dagli aborigeni: è dalle loro tradizioni che lo chef ha deciso di partire per offrire una cucina etica, vera, unica. E lui è stato il primo a farlo. Non a caso ha ottenuto il premio basco riservato proprio ai cuochi che riescono a migliorare la società attraverso la gastronomia. Zonfrillo, scopritore e grande valorizzatore degli ingredienti autoctoni, è impegnato nella difesa della cultura delle popolazioni indigene australiane e nella salvaguardia della tradizione gastronomica aborigena. Da quando si è stabilito qui, nel 2000, ha visitato centinaia di comunità per comprendere le origini degli ingredienti e il loro valore culturale e ha scoperto che esistono almeno 20mila elementi (vegetali e animali) commestibili e originari dell’Australia. Il suo obiettivo è insomma decifrare e valorizzare questo immenso patrimonio e lo fa con la sua cucina.

Peri-peri chicken di Duncan WelgemoedPeri-peri chicken di Duncan Welgemoed

Duncan Welgemoed e il suo Africola, uno dei luoghi più alla moda di Adelaide

Se Zonfrillo può essere paragonato al Bottura australiano, Duncan Welgemoed è lo Scabin da cui andare per divertirsi seduti al bancone del suo Africola. Di certo non convenzionale come format, è definito dallo stesso chef  “il bar di un ristorante africano contemporaneo”. Africola è irrimediabilmente uno dei luoghi più alla moda di Adelaide. Ha appena scalato la quinta posizione nella Australia's Top Restaurants (è stato nel 2017 “Ristorante dell'anno” secondo Adelaide Advertiser e miglior ristorante del South Australia per tre anni consecutivi) descritto come "una celebrazione gioiosa della vita e della diversità culturale". Qui si mangia su una decina di sedute che guardano lo spazio cucina in cui una brigata di trentenni si barcamena tra piani di lavoro e fiamme vive: sapori selvaggi e decisi come la testa di mucca arrostita o gli ashed peppers with black sauce (i peperoni rossi in pastella di nero di seppia) e la citrus salad (con fegato di pollo, timo, scorza di limone, mais e uovo) o ancora il peri-peri chicken. Qui le influenze delle diverse culture del Sudafrica convivono con quelle del mondo: portoghesi, indiane, malesi, olandesi fino ai forti sapori australiani del bush che sono la parte selvaggia del paese. “In inglese “bush”vuol dire “arbusto” (ma in italiano può essere anche “entroterra”); nel bush australiano trovi eucalipti, cespugli, rovi, bacche e piccoli frutti selvatici, semi di acacia; dal bushvengono le carni di emù o wallaby e tutti quei prodotti che è comunemente difficile trovare in distribuzione. Nel nostro menu i punti fermi sono la cottura sul fuoco vivo e l’uso di vecchi utensili della cucina tradizionale; amo molto le verdure, i frutti di mare e le carni di rosticceria e al grande mercato cittadino prendiamo diversi prodotti di cui cerco di esaltare i sapori”, spiega Welgemoed.

Canguri in vigna

Nel numero di novembre del Gambero Rosso andiamo alla scoperta anche del vino australiano visto e considerato che lo sviluppo dell’enologia in questo paese è stato rapido ed efficiente, con un livello qualitativo ormai medio-alto e mirato a individuare nei vini un’impronta identitaria, australiana.

 

a cura di Giovanni Angelucci

 

QUESTO È NULLA...

Nel numero di novembre del Gambero Rosso, un'edizione rinnovata in questi giorni in edicola, trovate il viaggio completo con un approfondimento sui vini australiani, da quelli provenienti dalle Adelaide Hills (una delle zone più importanti del paese con le sue 60 aziende vinicole) ai vini della Barossa Valley (famosa per i suoi potenti vini prodotti con uve shiraz e chardonnay), passando per quelli della McLaren Vale, culla di alcuni dei vigneti più antichi del mondo. Non solo, trovate anche le storie dei produttori incontrati durante il viaggio, come quella di Kris Lloyd, proprietaria dell’azienda Woodside Cheese Wrights dove realizza sontuosi formaggi a base di latte di vacca, capra e bufala o del mastro birraio Alistair della Lobethial Brewery. Un servizio di 10 pagine che comprende il punto di vista di Simon Wilkinson, editore e critico gastronomico per The Advertiser in Adelaide, l'intervista a Zonfrillo e tutti gli indirizzi utili, tra cantine e ristoranti.

 

Il numero lo potete trovare in edicola o in versione digitale, su App Store o Play Store

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Merano WineFestival 2018. Report e premiati

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In un insolito clima autunnale con miti temperature primaverili, si è conclusa la 27° edizione del Merano Wine Festival. Ecco come è andata.

 

Merano Wine Festival

Dal 9 al 13 novembre, la città altoatesina ha ospitato il meglio del mondo del vino italiano e non solo, offrendo agli appassionati un’occasione unica per degustare grandi etichette. Dalla prima edizione del 1992, la manifestazione è progressivamente cresciuta, fino ad affermarsi come una delle vetrine più importanti del settore enogastronomico. Ciò che non è cambiata negli anni è la ricerca della qualità e dell’eccellenza, da sempre unica stella polare del festival. È questa la chiave del successo dell’evento, che anche quest’anno ha fatto registrare il tutto esaurito, con una partecipazione di pubblico numerosissima, soprattutto nelle giornate di sabato e domenica. Le lunghe file all’ingresso, fin dalle prime ore della mattinata, testimoniano l’attesa per una manifestazione che continua a calamitare l’interesse del pubblico e degli addetti ai lavori. Proprio per venire incontro alle necessità della stampa e degli operatori di settore di parlare con i produttori e degustare i vini con un minimo di calma, per l’anno prossimo sarebbe opportuno prevedere uno spazio dalle 9:00 alle 11:00 riservato solo agli accreditati e poi aprire i battenti al grande pubblico.

L’edizione 2018

Nel corso dei cinque giorni, il festival ha ospitato oltre 400 produttori di vino, 200 artigiani del gusto, 15 chef, offrendo un ampio e variegato panorama delle eccellenze dell’enogastronomia. La Gourmet Arena ha contribuito ad arricchire il programma, offrendo in degustazione i prodotti del territorio, birre artigianali e una selezione di distillati, in particolare whisky, rum, liquori della tradizione italiana e vermouth. Senza dimenticare i numerosi appuntamenti che quest’anno hanno animato The Circle, l’area dedicata a degustazioni, incontri e intrattenimento. Particolarmente ricco e interessante è stato il programma delle Charity Wine Masterclasses, dedicate a vini e territori di tutto il mondo. Un’occasione per approfondire e conoscere le migliori eccellenze enologiche con un fine anche umanitario: come da tradizione, il ricavato dei ticket delle masterclass sarà devoluto al Gruppo Missionario di Merano per la realizzazione di specifici progetti umanitari in Africa.

La sostenibilità ambientale

Di anno in anno, cresce l’importanza della prima giornata del Festival, Naturae&Purae Bio&Dynamica, che ha visto la partecipazione di circa 120 produttori. I consumatori sono sempre più attenti agli aspetti ambientali legati al mondo del vino e apprezzano le aziende che hanno sposato questa filosofia produttiva, rifiutando l’utilizzo in agricoltura delle sostanze di sintesi e limitando gli interventi all’uso di solo zolfo e rame. Sempre affollatissimi i banchi del Pavillion des Fleurs, che ha accolto le grandi etichette dei prestigiosi Chateaux dell’Union des Grand Crus de Bordeaux. Un’occasione imperdibile per assaggiare alcuni tra i rossi più celebri al mondo. Il festival si è chiuso il 13 con la consueta giornata Catwalk Champagne. Una vera delizia per gli appassionati delle bollicine d’oltralpe, con 34 famose Maison e oltre 150 etichette. Durante la degustazione il palco della Kursaal è stato animato dalla presenza dello chef Karl Baumgartner del ristorante Schöneck Southtyrol, protagonista di uno showcooking in abbinamento allo Champagne di Marguerite Guyot.

Calice di vino rosso

Focus sui vitigni PIWIresistenti all’oidio e alla peronospora

Quest’anno il Merano WineFestival ha dedicato un ampio spazio ai vitigni resistenti. Nella giornata d’apertura The Circle ha ospitato un banco d’assaggio animato da 20 produttori e sabato 10 si è tenuta la Masterclass, “La sfida dei vitigni resistenti alle malattie: PIWI!” .

È un settore in crescita e in rapida evoluzione, che è bene osservare con attenzione e senza pregiudizi. Siamo ancora in una fase sperimentale, con vitigni da conoscere meglio, sia per quanto riguarda le esigenze pedoclimatiche, che per le tecniche di vinificazione. Le vigne sono quasi tutte giovanissime e sono spesso alle prime vendemmie. I vitigni PIWI (acronimo di Pilzwiderstandfähig) resistenti all’oidio e alla peronospora, sono l’ultima frontiera di un lungo processo d’ibridazione. Non stiamo parlando di manipolazione genetiche ma semplicemente di incroci tra piante. I primi esperimenti risalgono alla fine dell’800, quando i vigneti europei furono devastati dalla fillossera e attaccati da oidio e peronospora. Cominciarono in quell’epoca i tentativi di ibridare la vite europea con quella americana, ma con scarsi risultati.

A che punto è arrivata questa nuova viticoltura

Oggi si lavora su incroci con viti asiatiche o americane, cercando di ottenere piante resistenti alle malattie, capaci di produrre uve enologicamente interessanti. Si tratta di un lavoro in continua evoluzione, che ha portato a individuare una serie di varietà adatte alla produzione di vino: solaris, bronner, johanniter, helios, souvigner gris, muscaris, aromera, cabernet cortis, cabernet carbon, prior e regent. C’è ancora molto scetticismo su questa nuova viticoltura, ma sarebbe un errore metterla in competizione con la tradizione millenaria della vitis vinifera europea. Non solo siamo agli albori di un lungo percorso, ma anche alle prese con una tipologia di viticoltura che potrebbe affiancarsi alla “tradizionale” in condizioni e situazioni particolari. Se pensiamo alla coltivazione della vite in zone impervie e montane, in prossimità di borghi abitati o alla coabitazione della vigna con altre coltivazioni, i vitigni resistenti possono offrire un interessante modello d’integrazione con ambiente circostante. Il vantaggio di non dover fare trattamenti, neppure con zolfo e rame o di ridurli comunque al minimo, consente di avere una perfetta sostenibilità ambientale. La degustazione del Merano Wine Festival ha evidenziato che il settore è ancora un vero e proprio cantiere, ma già in grado di esprime qualche buona bottiglia: Metodo Classico Souvignier Gris Brut Millesimato 2015 Lieselehof; Metodo Classico Johanniter Naran 2016 Pravis; T.N. 06 Piwi Weiss 2017 Thomas Niedermayr; Vino del Passo Solaris 2017 Lieselehof, Solaris 2017 Plonerhof; Vin de la Neu 2016 Nicola Biasi; Naranis 2016 Francesco Poli; Aromatta 2014 Villa Persani; Cerealto 2017 Terre di Cerealto; Ratio 2017 Ceste.

I vincitori degli Award Platinum

Come ogni anno il Merano Wine Festival ha premiato con l’Award Platinum i migliori vini presenti alla manifestazione. Il massimo riconoscimento, assegnato dal WineHunter Helmuth Köcher attraverso la guida The WineHunter Award, quest’anno è andato alle seguenti etichette:

Alto Adige Pinot Nero Riserva DOC Burgum Novum 2015, Castelfeder

Alto Adige Gewürztraminer DOC Terminum 2015, Cantina Tramin

Costa D’Amalfi Bianco DOC Fiorduva 2016, Marisa Cuomo

Collio Friulano DOC Riserva Zegla 2013, Renato Keber

Franciacorta Vittorio Moretti 2011, Bellavista

Molise Rosso DOC Don Luigi 2014, Di Majo Norante

Langhe Rosso DOC Luigi Einaudi 2013, Poderi Luigi Einaudi

Barolo Bricco San Pietro Vigna D’La Roul DOCG 2013, Rocche dei Manzoni

Barolo Marcenasco DOCG 2014, Renato Ratti

Barolo Ciabot Mentin DOCG 2014, Domenico Clerico

Barbaresco Vanotu DOCG 2015, Pelissero

Sardegna Rosso IGT Turriga 2014, Argiolas

Pantelleria DOC Ben Ryé 2016, Donnafugata

Carmignano Vin Santo Occhio Di Pernice DOC 2011, Tenuta di Artimino

Brunello di Montalcino Riserva DOCG Millecento 2012, Castiglion Del Bosco

Toscana Rosso IGT Monteverro 2014, Monteverro

Toscana IGT Desiderio 2015, Avignonesi

Colli Toscana Centrale IGT Flaccianello Della Pieve 2015, Fontodi

Rosso Toscana IGT Paleo 2015, Le Macchiole

Toscana Rosso IGT Casalferro 2015, Ricasoli

Bolgheri Rosso Superiore DOC Ornellaia 2015, Tenuta Ornellaia

Toscana IGT Siepi 2016, Castello di Fonterutoli

Vigneti Delle Dolomiti IGT San Leonardo 2013, San Leonardo

Amarone Della Valpolicella DOCG Riserva Di Costasera 2012, Masi Agricola

Amarone Valpolicella DOCG 2013, Carlo Ferragù

Alto Adige Pinot Bianco DOC Rarità 2005, Cantina di Terlano

Franciacorta Dosage Zéro Noir 2009, Ca’ Del Bosco

Barolo Bussia Riserva DOCG 2009, Parusso Armando

Carmignano DOCG Capezzana 2008, Villa Di Capezzana

Trento DOC 976 Riserva Del Fondatore 2008, Letrari

Trento DOC Madame Martis Brut Riserva 2008, Maso Martis

Trento DOC Cuvée Dell’Abate Brut Riserva 2008, Abate Nero

Valpolicella Amarone Classico Riserva DOCG 2008, De Buris

Veneto Rosso IGP Harlequin 2009, Zymé

 

meranowinefestival.com

 

a cura di Alessio Turazza 

 

Le sfide per il miglior panettone. A Milano, Napoli e Parma le gare fra i pasticceri italiani

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Due città, due competizioni, stesso obiettivo: decretare il miglior lievitato delle feste. Il 17 e 18 novembre a Milano e Parma vanno in scena due sfide a colpi di impasti, per scovare il panettone più buono d'Italia. Intanto, a Napoli, il 1 e 2 dicembre torna il contest che elegge il Re di tutti i dolci. 

 

Le gare fra pasticceri

Milano apre di nuovo le danze, come spetta di diritto alla città che secondo leggenda al panettone ha dato i natali. È ancora qui, infatti, negli spazi del MegaWatt, che andrà in scena per l'undicesimo anno consecutivo Re Panettone (17 e 18 novembre), la kermesse che celebra il dolce delle feste per antonomasia, invitando i pasticceri della Penisola a presentare le loro interpretazioni del grande lievitato. Un evento ormai consolidato e che si ripete ancora una volta anche a Napoli, per un secondo appuntamento in programma il 1 e 2 dicembre nei saloni dello storico Grand Hotel Parker's. A inaugurare la serie sempre più nutrita di contest a tema dolce, quest'anno, sarà poi un'altra manifestazione, La Tenzone del Panettone, evento che chiama a raccolta i maestri pasticceri italiani, fra nomi noti ed emergenti, per sfidarsi a colpi di lievitazioni fino a eleggere il migliore del 2018. A ospitare la gara, il circolo Il Castellazzo di Parma, di nuovo il fine settimana del 17 e 18 novembre prossimi.

Re Panettone a Milano

Ma cominciamo con il festival storico del Natale gastronomico italiano, Re Panettone. Esposizioni, degustazioni, una mostra-mercato e poi momenti di approfondimento, cooking show e incontri con i pasticceri: questi e molti altri gli appuntamenti da non perdere, per una due giorni all'insegna del gusto in cui sarà possibile assaggiare le migliori specialità di oltre 40 professionisti. Come sempre, la giuria di esperti assegnerà il premio PanGiuso al miglior panettone e il più buon lievitato innovativo. Per gareggiare, i panettoni devono essere realizzati con metodo artigianale, senza additivi e conservanti, così da ottenere la Certificazione Re Panettone, istituita lo scorso anno per attestare freschezza, naturalità e artigianalità del prodotto mediate controlli specialistici. Ma ci sarà anche spazio per i dolci casalinghi, giudicati dai maestri pasticceri in persona.

E a Napoli...

In Campania, invece, via libera all'abbinamento fra panettone e vino, grazie al wine bar curato dall'Associazione Italian Sommelier, Delegazione di Napoli, in collaborazione con Wine&Thecity, un angolo del vino dove i visitatori potranno sperimentare accostamenti nuovi, con vini dolci, passiti e spumanti del Consorzio di Tutela dei Vini del Sannio, alla ricerca del miglior compagno per il dolce delle feste. Cuore pulsante dell'evento resta però la competizione, che decreterà il miglior panettone realizzato da uno dei 25 pasticceri in gara.

La Tenzone del Panettone

Altro festival ormai noto nel settore è La Tenzone del Panettone, in scena da sette edizioni e quest'anno alle prese con ben 58 panettoni diversi, tra tradizionali e innovativi, realizzati da 36 artigiani professionisti. Lontani i tempi dei duelli cavallereschi organizzati per il piacere di qualche signorotto locale, la terra delle corti emiliana anche quest'anno onora ben altra tradizione, quella gastronomica, con una rappresentanza sempre più sentita della pasticceria parmigiana, da Davide Battistini a Cristiano Quagliotti, da Ivan Ciulli a Riccardo Primiani. Contest a parte, durante il fine settimana sarà possibile anche provare prodotti nuovi e degustare le prelibatezze dei lievitisti più amati di sempre: Salvatore Gabbiano, Andrea Tortora, Fabrizio Galla, Giuseppe Mascolo, tanto per citarne alcuni. Spazio anche ai giovani, con il Junior Pastry Award, dedicato ai pasticceri emergenti, e ancora riconoscimenti messi in palio dai diversi sponsor dell'evento.

Re Panettone – Milano – 17-18 novembre 2018 - www.repanettone.it/it/edizione-corrente/milano-2018/

Re Panettone – Napoli – 1-2 dicembre 2018 - www.repanettone.it/it/edizione-corrente/napoli-2018/

La Tenzone del Panettone – Parma – 17-18 dicembre 2018 - www.tenzonedelpanettone.it/

a cura di Michela Becchi

Prove dal Master. Riccardo Camanini: un artigiano in cucina

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Si riconosce immediatamente la profondità di una persona. Si fa presto a capire quando, dietro la divisa di un cuoco, si cela ben altro. Un mondo affascinante, tutto da condividere. È il mondo di Riccardo Camanini, astro emergente di una cucina di alto livello che si radica nel territorio per definirsi orgogliosamente italiana.

 

Quest'anno il suo Lido 84 ha raggiunto il traguardo delle Tre Forchette, entrando, di fatto, nel Gotha dei ristoranti italiani. Proprio in occasione della cena delle Tre Forchette del Gambero Rosso di lunedì 29 ottobre 2018 all’Hotel Sheraton di Roma, lo abbiamo incontrato nelle cucine dell’albergo.

 

Oggi è stato premiato con le Tre Forchette del Gambero Rosso, e ha conquistato Stelle Michelin e Cappelli dell'Espresso. Come vive questi momenti? Cosa significano i premi?

Il riconoscimento è diventato una parte importante per noi chef. Funge da continuo stimolo per migliorarci, ci invita a essere responsabili in quello che facciamo, in come lo facciamo; non solo per aumentare la qualità del prodotto, ma anche per permetterci di inventare e riscoprire la tradizione, la cultura che si nasconde dietro un piatto. Perché mi piace pensare che noi siamo così: dei piccoli artigiani che creano spinti da una passione profonda.

Rispetto al pubblico, invece?

Questi sono eventi che spostano tanto in termini di clientela. Basta considerare il mio ristorante, Lido 84, a Gardone Riviera, un paesino di neanche tremila abitanti sulle rive del Garda. Un posto incantevole dove d’inverno l’affluenza di turisti è fortemente ridotta. Da quando i riflettori dell’alta cucina si sono spostati anche sul Lido, devo dire che questo problema è diventato soltanto un lontano ricordo.

Quindi i premi esprimono davvero la bravura di un cuoco?

È chiaro che la gastronomia non vive un premio come avviene nello sport, dove una volta tagliato il traguardo, sei primo. Qui, invece, l’attenzione segue soprattutto il momento storico contingente, la situazione socioeconomica. Valori che influiscono e determinano le scelte che si fanno in questo campo. A volte, quindi, il riconoscimento cade in un contesto particolare che individua, in uno specifico chef, quell’intreccio tra richiesta del pubblico, qualità, rispetto del territorio e innovazione, che ne determina il successo.

Come si sente a essere uno degli ospiti più attesi delle Tre Forchette di stasera?

Sono veramente emozionato. Fino a quattro anni fa, prima di aprire il Lido, guardavo questo evento dall’esterno. Ascoltavo le interviste dei grandi cuochi, mi entusiasmavo solo all’idea di poterci essere anch’io, un giorno. Ebbene, ora sono qua. E cucinare insieme ai tanti colleghi che ho sempre ammirato, è stimolante e incredibile.

Cosa ha preparato per l’occasione?

Non me ne vogliano i romani, ma stasera abbiamo preparato i rigatoni cacio e pepe cotti nella vescica di maiale. È una ricetta che vuole onorare la storia della Roma antica, perché è nata dalla lettura del testo De re coquinaria, di Marco Gavio Apicio, in cui si parla di un metodo particolare di conservazionee trasporto del cibo nelle vesciche suine. Questo metodo potrebbe essere considerato uno dei primi sistemi alla base della nascita degli insaccati. Come a dire: non ci si inventa mai nulla. È un omaggio che voglio fare a questa grande città e a uno dei piatti più tipici e squisiti della sua cucina.

Lei ha un modo di lavorare non ordinario, con cuochi e camerieri che quasi si invertono nei ruoli, per informare sempre i clienti sui piatti che mangiano. E poi ci sono i tre briefing al giorno e l’ora di lettura del sabato sui testi di gastronomia per tutto lo staff. Insomma, una cucina che si potrebbe definire “partecipativa”. Quanto ha portato, di tutto questo, nei piatti che ha preparato stasera?

Ho cercato di portarvi tutto. La cultura e la formazione sono fondamentali in cucina. Il nostro è un lavoro sartoriale, artigianale. L’obbiettivo è di far conoscere il nostro punto di vista. Cerco sempre di trasmettere qualcosa di vero al mio gruppo; questo non significa solo tecnica, iniziativa, ma, soprattutto, cultura, approfondimento. Sono queste le cose che mi hanno spinto a leggere molti libri, ad approfondire questa mia grande passione. Ecco cosa voglio insegnare a chi mi sta intorno. Ecco cosa ho cercato di farvi assaporare questa sera.

 

Sicuramente Apicio non avrebbe trovato insolito trasportare un cibo nelle vesciche di maiale, ma sarebbe probabilmente rimasto impressionato dalla creatività che, oggi, questo metodo di conservazione porta nella realizzazione di un piatto così carico di genio, storia e gusto. Perché una cosa è certa: assaggiare quei rigatoni catapulta in una realtà sensoriale che richiede un’attenzione in più per essere realmente compresa.

 

Lido 84 – Gardone Riviera (BS) – corso Zanardelli, 196 – 0365 20019 – www.ristorantelido84.com

 

A cura di Fabrizio Cardoni

Allievo del Master in giornalismo, comunicazione e critica enogastronomica

Appuntamenti solidali. Aggiungi un posto a tavola a Milano e A tavola con le stelle a Verona

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L'ultimo weekend di novembre è all'insegna della solidarietà con due appuntamenti imperdibili, uno a Milano e l'altro a Verona.

 

Paolo Lopriore, Eugenio Boer, Christian Milone, Andrea Ribaldone, Eugenio Roncoroni, Diego Rossi. E ancora Paco Magri, Matteo Monti, Misha Sukyas, Franco Aliberti, Pino Cuttaia, Max Mascia, Giancarlo Perbellini, Mauro Buffo; tutti chiamati a cucinare in nome delle solidarietà.

Aggiungi un posto a tavola a Milano

La cucina e gli chef hanno dimostrato a più riprese di saper essere solidali e compatti quando si tratta di far bene alle persone in difficoltà. Succederà anche il 24 novembre, in occasione della cena di gala del 24 novembre organizzata, in collaborazione con Identità Golose, all'interno dell'Ospedale Niguarda di Milano. Luogo singolare per una cena di gala, ma il motivo è presto detto: l'obiettivo della serata è raccogliere fondi per sostenere il lavoro dell’équipe multidisciplinare del Centro Clinico NeMO, che da 10 anni si prende cura dei pazienti con malattie neuromuscolari, i quali possono andare incontro a problemi di disfagia. Una patologia gravosa in quanto inibisce la normale deglutizione di cibi e liquidi, limitando così la possibilità di nutrirsi con piacere e godere della tavola, oltre a influire negativamente, nei casi più gravi, sull'assorbimento di tanti nutrienti indispensabili per l'organismo. Ed è proprio in coerenza con l'obiettivo solidale della serata che i 10 chef coinvolti - Christian Milone (Trattoria Zappatori, Pinerolo), Andrea Ribaldone (Osteria Arborina, La Morra), Eugenio Roncoroni (Ristorante Al Mercato, Milano), Eugenio Boer (Bu:r, Milano), Paolo Lopriore (Ristorante Il Portico, Appiano Gentile), Paco Magri (Ristorante Dordoni, Cremona), Matteo Monti, Misha Sukyas (Star Food Network), Diego Rossi (Trippa, Milano) e Franco Aliberti (Tre Cristi, Milano) – proporranno un menu speciale adatto ai pazienti, ma senza per questo perdere gusto e ricercatezza; per dimostrare che l'alimentazione buona e sana è un diritto di tutti.

A tavola con le stelle. A Verona il pranzo della solidarietà

Il 25 novembre, la solidarietà si sposta a Verona al Due Torri Hotel con un pranzo della domenica che vede protagonisti gli chef Pino Cuttaia (La Madia, Licata), Max Mascia (San Domenico, Imola), Giancarlo Perbellini (Casa Perbellini, Verona) e Mauro Buffo (12 Apostoli, Verona), insieme ai resident Roberto Ottone e Debora Vena. Apertura delle danze con lo Scampo di Buffo, per continuare con il Risotto mantecato al limone, polvere di funghi, rafano cren e spuma di tonnatodi Giancarlo Perbellini e l'Uovo in raviolo, burro di malga, parmigiano e tartufodi Max Mascia. Pino Cuttaia, invece, si occuperà del secondo Falso magro e gli chef resident Roberto e Debora dei dessert e della piccola pasticceria. In abbinamento ai vini offerti per l’occasione da Gruppo Italiano Vini, Allegrini e Masi Agricola, sostenitori dell'iniziativa. Il ricavato dell’iniziativa sosterrà il progetto “Casa di Deborah” promosso dalla associazione veronese Famiglie per la Famiglia che si occupa della prevenzione delle sofferenze familiari e dell'attivazione delle risorse relazionali familiari. Si tratta di un nuovo spazio inaugurato a settembre, destinato all’accoglienza, allo studio assistito e ai laboratori pratici con l'obiettivo di dedicare un luogo d’incontro agli adolescenti: “Una casa per adolescenti – spiega Giuseppina Vellone, psichiatra e psicoterapeuta, co-fondatrice dell’associazione Famiglia per le Famiglie - alcuni provenienti da famiglie in difficoltà, dove possano frequentare laboratori di lettura, cucina, cinema, musica e teatro. Abbiamo pensato a un luogo dove, attraverso la sensorialità e la conoscenza di linguaggi artistici, i ragazzi possano riscoprire il senso del tempo e trovare adulti che sappiano ascoltare. Uno spazio dove anche gli adulti un po’ delusi e affaticati possono trovare un sorriso”. Appuntamento alle ore 12.30 per far bene e farsi bene.

 

Aggiungi un posto a tavola, 24 novembre ore 20.00 - Centro Clinico Nemo, Ospedale Niguarda di Milano, blocco Sud, piazza Ospedale Maggiore, 3 – Per prenotare: contenuti.centrocliniconemo.it

A tavola con le stelle, 25 novembre ore 12.30 - Due Torri Hotel – Verona - Piazza Sant’Anastasia, 4 – 250 € a persona – Per prenotare: 3923947210

 

a cura di Annalisa Zordan 

foto di Denis Capuozzolo ed Elena Tagliati 

 

Ristoranti con stelle Michelin 2019 in Italia regione per regione

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La nuova edizione della Rossa premia 29 nuovi indirizzi, di cui 9 al Sud, e celebra il talento di Mauro Uliassi assegnandogli il terzo macaron. Ora i tristellati italiani sono 10, mentre in tutto sono 367 le insegne stellate nella Penisola. Eccole tutte, regione per regione. 

 

Sono in totale 367 gli indirizzi stellati sull’ultima edizione della guida Michelin Italia, presentata venerdì 16 novembre a Parma (l’anno prossimo ci si sposta a Piacenza). La cerimonia, che ha portato alla consacrazione di Mauro Uliassi e del suo ristorante a Senigallia – ora la compagine tristellata tricolore è a quota 10 – ha premiato anche 29 nuovi stellati: sono 318, in tutta la Penisola, le insegne che possono vantare un macaron. Mentre scendono a quota 39, senza new entry di sorta, gli indirizzi bistellati. È la Lombardia la regione più stellata, nonostante quest’anno Milano sia rimasta a secco (perdendo anzi la stella di Armani), seguita dal Piemonte e dalla Campania. E dunque ecco tutte le stelle assegnata in Italia (il secondo Paese più stellato nel mondo, dopo la Francia) dalla Rossa, regione per regione.

 

Ristoranti con stella Michelin in Valle d’Aosta

Aosta | 1 stella | Vecchio Ristoro

Cogne |1 stella | Le Petit Restaurant

 

Ristoranti con stella Michelin in Piemonte

Acqui Terme (AL) | 1 stella | I Caffi
Alessandria (AL) | 1 stella | I Due Buoi
Alessandria Spinetta – Marengo (AL) | 1 stella | La Fermata
Canelli (AT) | 1 stella | San Marco
Isola D’asti (AT) | 1 stella | Il Cascinale Nuovo
Penango Cioccaro (AT) | 1 stella | Locanda del Sant’Uffizio
Tigliole (AT) | 1 una stella | Ca’ Vittoria
Pollone (BI) | 1 stella | Il Patio
Alba (CN) | 3 stelle | Piazza Duomo
Alba (CN) | 1 stella | Larossa
Alba (CN) | 1 stella | Locanda del Pilone
Benevello (CN) | 1 stella | Villa d’Amelia
Canale (CN) | 1 stella | All’Enoteca
Cervere (CN) | 2 stelle | Antica Corona Reale-da Renzo
Cherasco (CN) | 1 stella | Da Francesco
Grinzane Cavour (CN) | 1 stella | Marc Lanteri al Castello
Guarene (CN) | 1 stella | La Madernassa
La Morra (CN) | 1 stella |Osteria Arborina
Piobesi d’Alba (CN) | 1 stella | 21.9
Priocca D’alba (CN) | 1 stella | Il Centro
Santo Stefano Belbo (CN) | 1 stella | Il Ristorante di Guido da Costigliole
Serralunga D’alba (CN) | 1 stella | La Rei
Serralunga D’alba (CN) | 1 stella | Guido
Treiso CN | 1 stella | La Ciau del Tornavento
La Morra (CN) | 1 stella | Massimo Camia
Novara | 1 stella | Tantris
Novara | 1 stella | Cannavacciuolo Cafè & Bistrot |
Orta San Giulio (NO) | 2 stelle | Villa Crespi
Soriso (NO) | 2 stelle | Al Sorriso
Orta San Giulio (NO) | 1 stella | Locanda di Orta
Caluso (TO) | 1 stella | Gardenia
Pinerolo (TO) | 1 stella | Zappatori
Rivoli (TO) | 1 stella | Combal.zero
San Maurizio Canavese (TO) | 1 stella | La Credenza
Torino | 1 stella | Cannavacciuolo Cafè & Bistrot
Torino | 1 stella | Carignano
Torino | 1 stella | Casa Vicina-Eataly Lingotto
Torino | 1 stella | Magorabin
Torino | 1 stella | Spazio 7
Torino | 1 stella | Vintage 1997
Torino | 1 stella | Del Cambio
Venaria Reale (TO) | 1 stella | Dolce Stil Novo alla Reggia
Verbania – Fondotoce (VB) | 2 stelle | Piccolo Lago
Verbania – Pallanza (VB) | 1 stella | Il Portale
Vercelli (VC) | 1 stella | Cinzia da Christian e Manuel

 

Ristoranti con stella Michelin in Liguria

Genova | 1 stella | The Cook
San Remo (IM) | 1 stella | Paolo e Barbara
Imperia-Porto Maurizio | 1 stella | Sarri
Ameglia (SP) | 1 stella | Mauro Ricciardi alla Locanda dell’Angelo
Bergeggi (SV) | 1 stella | Claudio
Noli (CV) | 1 stella | Il Vescovado

 

Ristoranti con stella Michelin in Lombardia

Almè (BG) | 1 stella | Frosio
Cavernago (BG) 1 stella | Il Saraceno
Bergamo | 1 stella | Casual
Brusaporto (BG) | 3 stelle | Da Vittorio
Chiuduno (BG) | 1 stella | A’anteprima
San Paolo d’Argon (BG) | 1 stella | Florian Maison
Trescore Balneario (BG) | 1 stella | LoRo
Treviglio (BG) | 1 stella | San Martino
Villa D’almè (BG) | 1 stella | Osteria della Brughiera
Calvisano (BS) | 1 stella | Gambero
Castrezzato (BS) | 1 stella | Da Nadia
Concesio (BS) | 2 stelle | Miramonti l’Altro
Corte Franca – Borgonato (BS) | 1 stella | Due Colombe
Desenzano Del Garda (BS) | 1 stella | Esplanade
Gardone Riviera – Fasano (BS) | 1 stella | Lido 84
Gargnano (BS) | 2 stelle | Villa Feltrinelli
Gargnano (BS) | 1 stella | La Tortuga
Gargnano (BS) | 1 stella | Villa Giulia
Manerba Del Garda (BS) | 1 stella | Capriccio
Orzinuovi (BS) | 1 stella | Sedicesimo Secolo
Pralboino (BS) | 1 stella | Leon d’Oro
Sirmione (BS) | 1 stella | La Rucola
Albavilla (CO) | 1 stella | Il Cantuccio
Bellagio (CO) | 1 stella | Mistral
Campione D’Italia (CO) | 1 stella | Da Candida
Como (CO) | 1 stella | I Tigli in Theoria
Pellio D’intelvi (CO) | 1 stella | La Locanda del Notaio
Torno (CO) | 1 stella | Berton al Lago
Cernobbio (LC) | 1 stella | Materia
Lecco (LC) | 1 stella | Al Porticciolo 84
Viganò (LC) | 1 stella | Pierino Penati
Seregno (MB) | 1 stella | Pomiroeu
Cornaredo (MI) | 1 stella | D’O
Milano | 2 stelle | Enrico Bartolini al Mudec
Milano | 2 stelle | Il Luogo di Aimo e Nadia
Milano | 2 stelle | Seta
Milano | 2 stelle | VUN
Milano | 1 stella | Alice-Eataly Milano Smeraldo
Milano | 1 stella | Berton
Milano | 1 stella | Contraste
Milano | 1 stella | Cracco
Milano | 1 stella | Innocenti Evasioni
Milano | 1 stella | Felix Lo Basso
Milano | 1 stella | Iyo
Milano | 1 stella | Joia
Milano | 1 stella | Lume
Milano | 1 stella | Sadler
Milano | 1 stella | Tano Passami l’Olio
Milano | 1 stella | Tokuyoshi
Milano | 1 stella | Trussardi alla Scala
Canneto Sull’Oglio (MN) | 3 stelle | Dal Pescatore
Quistello (MN) | 1 stella | Ambasciata
Certosa Di Pavia (PV) | 1 stella | Locanda Vecchia Pavia “Al Mulino”
Vigevano (PV) | 1 stella | I Castagni
Madesimo (SO) | 1 stella | Il Cantinone e Sport Hotel Alpina
Mantello (SO) | 1 stella | La Présef
Villa Di Chiavenna (SO) | 1 stella | Lanterna Verde
Fagnano Olona (VA) | 1 stella | Acquerello
Laveno-Mombello (VA) | 1 stella | La Tavola
Olgiate Olona (VA) | 1 stella | Ma.Ri.Na.

 

Ristoranti con stella Michelin in Trentino Alto Adige

Alta Badia – San Cassiano (BZ) | 3 stelle | St. Hubertus
Alta Badia – San Cassiano (BZ) | 2 stelle | La Siriola
Alta Badia – Corvara (BZ) | 1 stella | La Stüa de Michil
Appiano sulla Strada del Vino – S. Michele (BZ) | 1 stella | Zur Rose
Bolzano | 1 stella | In Viaggio, Claudio Melis
Castelbello Ciardes (BZ) 1 stella | Kuppelrain
Collepietra (BZ) | 1 stella | Astra
Chiusa (BZ) | 2 stelle | Jasmin
Dobbiaco (BZ) | 1 stella | Tilia
Falzes – Molini (BZ) | 1 stella | Schöneck
Merano (BZ) | 1 stella | Sissi
Mules (BZ) | 2 stelle | Gourmetstube Einhorn
Nova Levante (BZ) | 1 stella | Johannes-Stube
Ortisei (BZ) | 1 stella | Anna Stuben
Sarentino (BZ) | 1 stella | Alpes
Sarentino (BZ) | 2 stelle | Terra
Selva di Val Gardena (BZ) | 1 stella | Alpenroyal Gormet
Tesimo (BZ) | 1 stella | Zum Löwen
Tirolo (BZ) | 2 stelle | Trenkerstube
Tirolo (BZ) | 1 stella | Culinaria im Farmerkreuz
Cavalese (TN) | 1 stella | El Molin
Madonna Di Campiglio (TN) | 1 stella | Dolomieu
Madonna Di Campiglio (TN) | 1 stella | Il Gallo Cedrone
Madonna Di Campiglio (TN) | 1 stella | Stube Hermitage | NUOVA
Moena (TN) | 1 stella | Malga Panna
Trento – Ravina (TN) | 2 stelle | Locanda Margon
Vigo Di Fassa – Tamion (TN) | 1 stella | ‘L Chimpl

 

Ristoranti con stella Michelin in Friuli Venezia Giulia

Cormons (GO) | 1 stella | Al Cacciatore - della Subida
Sappada (BL) | 1 stella | Laite
Dolegna del Collio – Vencò (GO) | 1 stella | L’Argine di Vencò
San Quirino (PN) | 1 stella | La Primula
Trieste | 1 stella | Harry’s Piccolo
Colloredeo Di Monte Albano (UD) | 1 stella | La Taverna
Rivignano (UD) | 1 stella | Al Ferarùt
Ruda (UD) | 1 stella | Osteria Altran
Udine – Godia (UD) | 2 stelle | Agli Amici

 

Ristoranti con stella Michelin in Veneto

Cortina D’Ampezzo (BL) | 1 stella | Tivoli
Pieve D’Alpago (BL) | 1 stella | Dolada
Puos D’Alpago (BL) | 1 stella | Locanda San Lorenzo
San Vito di Cadore (BL) | 1 stella | Aga
Vodo Cadore (BL) | 1 stella | Al Capriolo
Pontelongo (PD) | 1 stella | Lazzaro 1915
Rubano (PD) | 3 stelle | Le Calandre
Selvazzano Dentro (PD) | 1 stella | La Montecchia
Treviso (TV) | 1 stella | Undicesimo Vineria
Follina (TV) | 1 stella | La Corte
Oderzo (TV) | 1 stella | Gellius
Castelfranco Veneto (TV) | 1 stella | Feva
Campagna Lupia – Lughetto (VE) | 2 stelle | Antica Osteria Cera
Scorzè (VE) | 1 stella | San Martino
Venezia | 1 stella | Glam
Venezia | 1 stella | Met
Venezia | 1 stella | Oro Restaurant
Venezia | 1 stella | Osteria da Fiore
Venezia | 1 stella | Quadri
Venezia | 1 stella | Il Ridotto
Venezia | 1 stella | Venissa
Altissimo (VI) | una stella | Casin del Gamba
Asiago (VI) | una stella | La Tana Gourmet
Asiago (VI) | una stella | Stube Gourmet
Barbarano Vicentino (VI) | 1 stella | Aqua Crua
Lonigo (VI) | 2 stelle | La Peca
Vicenza (VI) | 1 stella | El Coq
Bardolino (VI) | 1 stella | La Veranda
Schio (VI) | 1 stella | Spinechile
Arzignano (VI) | 1 stella | Macelleria Damini & Affini
Cavaion Veronese (VR) | 1 stella | Oseleta
Isola Rizza (VR) | 1 stella | Perbellini
Malcesine (VR) | 1 stella | Vecchia Malcesine
San Bonifacio (VR) | 1 stella | Degusto Cuisine
Verona | 1 stella | 12 Apostoli
Verona | 1 stella | Il Desco
Verona | 2 stelle | Casa Perbellini
Verona | 1 stella | Osteria la Fontanina

 

Ristoranti con stella Michelin in Emilia Romagna

Bologna | 1 stella | I Portici
Imola (BO) | 2 stelle | San Domenico
Sasso Marconi (BO) | 1 stella | Marconi
Savigno (BO) | 1 stella | Trattoria da Amerigo
Cesenatico (FC) | 1 stella | La Buca
Cesenatico (FC) | 2 stelle | Magnolia
Codigoro (FE) | 1 stella | La Capanna di Eraclio
Codigoro (FE) | 1 stella | La Zanzara
Modena | 3 stelle | Osteria Francescana
Modena | 1 stella | L’Erba del Re
Modena | 1 stella | Strada Facendo
Borgonovo Val Tidone (PC) | 1 stella | La Palta
Carpaneto Piacentino (PC) | 1 stella | Nido del Picchio
Parma | 1 stella | Inkiostro
Parma | 1 stella | Parizzi
Polesine Parmense (PR) | 1 stella | Antica Corte Pallavicina
Soragna (PR) | 1 stella | Locanda Stella d’Oro
Quattro Castella – Rubbianino (RE) | 1 stella | Ca’ Matilde
Rubiera (RE) | 1 stella | Arnaldo-Clinica Gastronomica
Rimini – Miramare | 1 stella | Guido
Rimini | 1 stella | Abocar Due Cucine
Pennabilli (RN) | 1 stella | Il Piastrino

 

Ristoranti con stella Michelin nelle Marche

Loreto (AN) | 1 stella | Andreina
Senigallia (AN) | 3 stelle | Uliassi
Senigallia – Marzocca (AN) | 2 stelle | Madonnina del Pescatore
Pesaro (PU) | 1 stella | Nostrano

 

Ristoranti con stella Michelin in Toscana

Cortona (AR) | 1 stella | Il Falconiere
Firenze | 3 stelle | Enoteca Pinchiorri
Firenze | 1 stella | Borgo San Jacopo
Firenze | 1 stella | La Leggenda dei Frati
Firenze | 1 stella | Ora D’Aria
Firenze | 1 stella | Il Palagio
Firenze | 1 stella | La Bottega del Buon Caffè
Firenze | 1 stella | Winter Garden By Caino
San Casciano in Val Di Pesa – Cerbaia (FI) – 1 stella | La Tenda Rossa
Tavarnelle Val Di Pesa (FI) | 1 stella | La Torre
Tavarnelle Val Di Pesa – Badia a Passignano (FI) | 1 stella | Osteria di Passignano
Castiglione della Pescaia (GR) | 1 stella | La Trattoria Enrico Bartolini
Massa Marittima – Ghirlanda (GR) | 2 stelle | Bracali
Montemerano (GR) | 2 stelle | Caino
Porto Ercole (GR) | 1 stella | Il Pellicano
Seggiano (GR) | 1 stella | Silene
Marina Di Bibbona (LI) | 1 stella | La Pineta
Forte Dei Marmi (LU) | 1 stella | Bistrot
Forte Dei Marmi (LU) | 1 stella | Lorenzo
Forte dei Marmi (LU) | 1 stella | Lux Lucis
Forte Dei Marmi (LU) | 1 stella | La Magnolia
Lucca | 1 stella Michelin | L’imbuto
Lucca | 1 stella | Giglio
Lucca | 1 stella | Butterfly
Viareggio (LU) | 2 stelle | Piccolo Principe
Viareggio (LU) | 1 stella | Romano
Lamporecchio (PT) | 1 stella | Atman a Villa Rospigliosi
Castelnuovo Berardenga (SI) | 1 stella | La Bottega del 30
Castelnuovo Berardenga (SI) | 1 stella | Poggio Rosso
Castiglione d’Orcia (SI) | 1 stella | Osteria Perillà
Chiusi (SI) | 1 stella | I Salotti
Colle Di Val d’Elsa (SI) | 2 stelle | Arnolfo
Chiusdino (SI) | 1 stella | Meo Modo
Gaiole in Chianti (SI) | 1 stella | Il Pievano
San Casciano Dei Bagni – Fighine (SI) | 1 stella | Castello di Fighine
San Gimignano (SI) | 1 stella | Cum Quibus
San Gimignano – Lucignano (SI) | 1 stella | Ristorante al 43

 

Ristoranti con stella Michelin in Umbria

Norcia (PG) | 1 stella | Vespasia
Baschi (TR) | 2 stelle | Vissani

 

Ristoranti con stella Michelin nel Lazio

Acuto (FR) | 1 stella | Colline Ciociare
Lido di Latina (LT) | 1 stella | Il Vistamare
Ponza (LT) | 1 stella | Acqua Pazza
Rivodutri (RI) | 2 stelle | La Trota
Fiumicino (RM) | 1 stella | Pascucci al Porticciolo
Labico (RM) | 1 stella | Antonello Colonna Labico
Fiumicino (RM) | 1 stella | Il Tino
Gennazzaro (RM) | 1 stella | Aminta Resort
Roma | 3 stelle | La Pergola
Roma | 2 stelle | Il Pagliaccio
Roma | 1 stella | Acquolina Hostaria in Roma
Roma | 1 stella | All’oro
Roma | 1 stella | Aroma
Roma | 1 stella | Assaje
Roma | 1 stella | Bistrot 64
Roma | 1 stella | Il Convivio-Troiani
Roma | 1 stella | The Corner
Roma | 1 stella | Enoteca la Torre
Roma | 1 stella | Glass Hostaria
Roma | 1 stella | Imàgo
Roma | 1 stella | La Terrazza dell’Eden
Roma | 1 stella | Metamorfosi
Roma | 1 stella Michelin | Moma
Roma | 1 stella | Per Me
Roma | 1 stella | Pipero
Roma | 1 stella | Enoteca al Parlamento Achilli
Roma | 1 stella | Tordomatto
Acquapendente – Trevinano (VT) | 1 stella | La Parolina
Viterbo (VT) | 1 stella | Danilo Ciavattini
Vitorchiano (VT) | 1 stella | Casa Iozzìa

 

Ristoranti con stella Michelin in Campania

Vallesaccarda (AV) |  1 stella | Oasis – Sapori Antichi
Sorbo Serpico (AV) | 1 stella | Marennà
Telese (BN) | 1 stella | Krèsios
Telese (BN) | 1 stella | Locanda del Borgo
Caserta (CE) | 1 stella | Le Colonne
Vairano Patenora (CE) | 1 stella | Vairo del Volturno
Bacoli (NA) | 1 stella | Caracol
Brusciano (NA) | 2 stelle | Taverna Estia
Capri – Anacapri (NA) | 2 stelle | L’Olivo
Capri – Anacapri (NA) | 1 stella | Il Riccio
Castellammare di Stabia (NA) | 1 stella | Piazzetta Milù
Ischia/Casamicciola (NA) | 1 stella | Il Mosaico
Ischia (NA) | 2 stelle | Danì Maison
Ischia – Lacco Ameno (NA) | 1 stella | Indaco
Massa Lubrense / Nerano (NA) | 2 stelle | Quattro Passi
Massa Lubrense / Nerano (NA) | 1 stella | Taverna del Capitano
Massa Lubrense / Termini (NA) | 1 stella | Relais Blu
Napoli | 1 stella | Il Comandante
Napoli | 1 stella | Palazzo Petrucci
Napoli | 1 stella | Veritas
Quarto (NA) | 1 stella | Sud
Sant’agata Sui Due Golfi (NA) | 2 stelle | Don Alfonso 1890
Sant’Agnello (NA) | 1 stella | Don Geppi
Sorrento (NA) | 1 stella | Il Buco
Sorrento (NA) | 1 stella | Terrazza Bosquet
Pompei (NA) | 1 stella | President
Vico Equense (NA) | 1 stella | Antica Osteria Nonna Rosa
Vico Equense (NA) | 1 stella | Maxi
Vico Equense – Marina Equa (NA) | 2 stelle | Torre del Saracino
Capri (NA) | 1 stella | Mammà
Amalfi (SA) | 1 stella | La Caravella
Caggiano (SA) | 1 stella | Locanda Severino
Conca dei Marini (SA) | 1 stella | Il Refettorio
Eboli (SA) | 1 stella | Il Papavero
Maiori (SA) | 1 stella | Il Faro di Capo d’Orso
Mercato San Severino (SA) | 1 stella | Casa del Nonno 13
Paestum (SA) Le Trabe
Positano (SA) La Serra
Positano (SA) La Sponda
Positano (SA) | 1 stella | Zass
Ravello (SA) | 1 stella | Rossellinis
Salerno (SA) | 1 stella | Re Maurì
Paestum Capaccio (SA) | 1 stella | Osteria Arbustico

 

Ristoranti con stella Michelin in Abruzzo

Castel Di Sangro (AQ) | 3 stelle | Reale
L’aquila (AQ) | 1 stella | Magione Papale
Guardiagrele (CH) | 1 stella | Villa Maiella
San Salvo (CH) | 1 stella | Al Metrò
Civitella Casanova (PE) | 1 stella | La Bandiera
Pescara | 1 stella | Café les Paillotes
Roseto degli Abruzzi (TE) | 1 stella | D.one Restaurant

 

Ristoranti con stella Michelin in Puglia

Conversano (BA) | 1 stella | Pashà
Barletta (BA) | 1 stella | Bacco
Putignano (BA) | 1 stella | Angelo Sabatelli
Andria (BA) | 1 stella | Umami
Carovigno (BR) | 1 stella | Già Sotto l’Arco
Ceglie Messapica (BR) | 1 stella | Al Fornello-da Ricci
Ostuni (BR) | 1 stella | Cielo
Savelletri (BR) | 1 stella | Due Camini
Trani (BT) | 1 stella | Quintessenza
Lecce | 1 stella | Bros’

 

Ristoranti con stella Michelin in Basilicata

Matera | 1 stella | Vitantonio Lombardo

 

Ristoranti con stella Michelin in Calabria

Catanzaro (CZ) | 1 stella | Antonio Abbruzzino
Isola di Capo Rizzuto (KR) | 1 stella | Pietramare
Strongoli (KR) | 1 stella | Dattilo
Marina Di Gioiosa Jonica (RC) | 1 stella | Gambero Rosso
Santa Cristina d’Aspromonte (RC) | 1 stella | Qafiz

 

Ristoranti con stella Michelin in Sicilia

Licata (AG) | 2 stelle | La Madia
Caltagirone (CT) | 1 stella | Coria
Catania | 1 stella | Sapio
Linguaglossa (CT) | 1 stella | Shalai
Taormina (ME) | 1 stella | Principe Cerami
Taormina (ME) | 1 stella | La Capinera
Taormina (ME) | 1 stella | St. George by Heinz Beck
Salina (ME) | 1 stella | Signum
Vulcano (ME) | 1 stella | Cappero
Palermo | 1 stella | Bye Bye Blues
Bagheria | 1 stella | I Pupi
Terrasini (PA) | 1 stella | Il Bavaglino
Modica (RG) | 1 stella | Accursio
Ragusa | 2 stelle | Duomo
Ragusa | 2 stelle | Locanda Don Serafino
Ragusa | 1 stella | La Fenice

 

Ristoranti con stella Michelin in Sardegna

Cagliari (CA) | 1 stella | Dal Corsaro
Arzachena (OT) | 1 stella | ConFusion
Siddi (VS) | 1 stella | S’Apposentu

 


I grandi registi della storia di Campari. Spot d'autore con la regia di Garrone per i 100 anni del Negroni

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Fellini prima, poi Sorrentino e Sollima. E ora Garrone. Da tempo Campari affida la sua comunicazione a riuscite campagne pubblicitaria che raccontano storie cucite sull'identità del brand. Nel 2019 toccherà al regista di Dogman, con il cortometraggio che celebra l'invenzione del Negroni. 

 

Campari e il cinema. Da Fellini a Sorrentino

La storia d'amore tra Campari e il cinema è un affare di vecchia data (non a caso il gruppo è anche sponsor ufficiale della Mostra del Cinema di Venezia). Nel mezzo cinematografico, infatti, il marchio storicamente legato al rito dell'aperitivo all'italiana ha sempre trovato un potente alleato per raccontarsi e accrescere un mito fatto anche di celebri spot d'autore. Come la Ragazza in treno diretta da Federico Fellini nel 1984, all'epoca alle prese col suo primo spot per un marchio privato. Con le musiche di Nino Rota e un approccio nuovo alla promozione di un brand, che ha fatto del corto una tappa importante della storia della pubblicità in Italia. Nel 2017 la macchina da presa della nuova campagna Creation è affidata a Paolo Sorrentino: passano i tempi, non cambia la capacità di concentrare in pochi secondi l'appeal di un brand iconico, affidando allo stile unico del regista campano il compito di interpretare il concetto di Red Passion (la storia di uno sguardo, un incontro, un mistero, come in casa Campari hanno sempre voluto rappresentare la propria identità). Intanto, da qualche anno a questa parte, Campari investe anche nel talento dei giovani emergenti, finanziando un concorso cinematografico in collaborazione con la Scuola Civica Luchino Visconti di Venezia. E nel 2018, dopo la Creazione di Sorrentino, l'iniziativa Red Diaries – come si chiama oggi il ciclo di cortometraggi dedicati a Campari – ha coinvolto anche Stefano Sollima, regista di The Legend of Red Hand, con riferimento al talento dei bartender – i Red Hand – nel realizzare i migliori cocktail del mondo. In scena Zoe Saldana e Adriano Giannini, protagonisti di un giallo che parte da Milano per un viaggio intorno al mondo.

 

Il nuovo spot di Matteo Garrone

Cosa succederà nel 2019 – quale regista sarà coinvolto nel prossimo corto – Campari l'ha rivelato pochi giorni fa diffondendo in anteprima le foto del dietro le quinte dello spot Entering Red, disponibile per la visione online dal prossimo 5 febbraio, in contemporanea nel mondo (il red carpet, però, sarà srotolato solo a Milano, che ospiterà la premiere). Alla regia un altro peso massimo tra i cineasti italiani, quel Matteo Garrone (Reality, Gomorra), che recentemente ha confermato il suo talento con Dogman, film designato a rappresentare l'Italia nella corsa agli Oscar. Per Campari, Garrone ha diretto Ana de Armas e Lorenzo Richelmy, tra le pieghe di una storia che stavolta si snoda interamente a Milano, in omaggio alla storia dell'aperitivo rosso per eccellenza, il Negroni, che proprio nel 2019 festeggia il suo centenario. Un modo per tornare nel luogo dove tutto ha avuto inizio, celebrando anche il passato mitico del Camparino, fondato da Davide Campari in Galleria nel 1915. Tommaso Cecca, attuale bar manager del locale, sarà presente nel “film” per rappresentare l'arte della miscelazione insieme ai 5 colleghi bartender che formano la squadra internazionale dei Red Hands.

Libri. Il grande libro della carne

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Tutti i segreti della carne, dall'allevamento alla macelleria, dalla preparazione alla cottura, in un libro che spiega, in modo chiaro e schematico, tutto quel che c'è da sapere su manzo, maiale, agnello e non solo.

 

Conoscere la carne

Manzo, vitello, maiale, agnello, pollame, selvaggina. 6 paragrafi per altrettante tipologie di carne. Parte da qui Il grande libro della carne, il bel volume di Arthur Le Caisne: dall'inizio, ovvero dagli animali. Per ognuno un capitolo, per ogni capitolo, tanti paragrafi illustrati che spiegano, in modo chiaro e schematico, tutto, ma proprio tutto sugli animali: razze (per il manzo, per esempio, cui è dedicato il primo capitolo si trovano - tra le altre -matsusaka, piemontese, rubia galleca, podolica, salers) con l'indicazione di peso, provenienza, caratteristiche. Continuando con storia dell'animale (a partire dai suoi antenati), e nomenclatura (sempre nel caso del manzo: vitello, scottona, manza, vitellone, toro, manzo), informazioni sull'alimentazione degli animali, suggerimenti per la scelta della carne, tagli (noti e meno noti), e approfondimenti alcuni di essi, per esempio costata (sapete che la settima costola è la migliore?), fiorentina, porterhouse; confronti ta pezzi diversi, o uguali di diverse razze. Un focus illustra la più celebrata delle carni di manzo, la wagyu, le sue razze. Fino a giungere alle carni conservate, com bresaola o cecina de Leòn.

 

Non c'è solo il manzo

Chiuso un capitolo, se ne apre un altro. Dopo il manzo è il turno del vitello e poi degli altri animali, analizzando di nuovo cose come razze, tagli, storia, nomenclatura, senza tralasciare qualche curiosità, focus su alcune razze come mangalica (detto anche wagyu dei maiali) per i suini, o su specifiche tipologie di carni conservate. Nel caso del maiale, ovviamente, il protagonista è il prosciutto, che qui viene raccontato esaminando in modo comparato i migliori prodotti al mondo come culatello per l'Italia, cul noir per la Francia, prosciutto di Magonza proveniente dalla Germania. L'iberico merita un approfondimento, come pure il bacon, il lardo e il sanguinaccio. Seguono poi agnello, pollo, selvaggina, sempre con schede informative per conoscere a fondo i diversi tipi e tagli di carne.

 

In cucina: gli strumenti

Uguale attenzione è dedicata alle fasi della preparazione della carne e della cottura. Il primo, indispensabile passaggio, è quello attraverso gli strumenti, primi tra tutti i coltelli, raccontati nelle loro diverse parti, nei modelli e nell'uso. Uno spazio è dedicato, specificamente, a come e quando usare coltelli con lama seghettata e coltelli cosiddetti “da chef”, appuntiti e a lama dritta, una scelta che dipende anche dal tipo di cottura che si deve fare, dato che la forma del coltello influenza la superfici di scambio: il coltello seghettato – da pane – è adatto ai pezzi più duri, che richiedono lunga cottura come bolliti o stufati. Ma se il coltello è riconosciuto come lo strumento fondamentale in cucina, non altrettanto si può dire del tagliere, disponibile oggi in materiali diversi per usi diversi. Si passa poi alla pentola, o meglio le pentole - materiali e forme differenti adatte a cotture e carni differenti - alle temperature con i diversi strumenti di misurazione (e i consigli di utilizzo), le tecniche e le materie prime per una perfetta salatura (in quale momento deve essere effettuata? E con che sistema? È vero che il sale fa uscire i succhi? Concludendo con una bella carrellata di tipi di sale per scegliere quello giusto) e pepatura, uso di olio e burro.

 

Tecniche e processi

La frollatura è un primo passaggio indispensabile per rendere la carne gustosa e tenera, un processo che raramente si fa in casa, ma che è importante conoscere nei vari metodi come è importante imparare a distinguere gli stadi di evoluzione della carne al passare del tempo. Tenerezza e sapore dipendono, però, anche dal modo in cui viene tagliata la carne, che bisogna definire in base al pezzo e al metodo di cottura. Ci sono poi marinate, salamoie, e altri processi che hanno – anch'essi - moltissimo a che vedere con il tipo di carne e il tipo di strumento usato per cuocere.

Si passa poi ai metodi di cottura, primo tra tutti il barbecue, ancestrale e semplice solo all'apparenza: bisogna sapere gestire il calore, valutare colore della brace e distanza della griglia. Anche saltare in padella non è facile come sembra. O meglio, lo è, con le giuste conoscenze, e anche qui trucchi e suggerimenti aiutano a raggiungere un risultato ottimale. Lo stesso vale per cotture arrosto, stufati, bolliti, sotto vuoto e a bassa temperatura. Bistecca e brodo meritano una pagina a parte. Come anche grasso, collagene e via così, fino a giungere all'ultimo capitolo: le ricette. Dal pot au feu al pastrami, dal pulled pork all'ossobuco alla milanese, dal pollo arrosto all'oca ripiena ai fondi. Istruzioni, segreti, passaggi fondamentali per realizzare alla perfezione alcune delle ricette più importanti della cucina di carne.

 

Il grande libro della carne – Arthur Le Caisne – Giunti – 240 pp. - 25€

 

a cura di Antonella De Santis

Berebene 2019 del Gambero Rosso. A Roma i vini premiati per qualità/prezzo: grande degustazione

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Va in scena sabato 24 novembre allo Sheraton Hotel la giornata dedicata ai vini d'Italia buoni e convenienti, acquistabili a scaffale entro i 13 euro. La selezione è quella della guida Berebene, mai ricca di segnalazioni come quest'anno. A testimoniare che in Italia, sempre più spesso, è possibile però di qualità senza svenarsi.

 

Ancora una volta la fotografia di una complessa e ricchissima Penisola del vino. Ancora una volta un momento per riunire l'eccellenza vitivinicola nazionale a Roma, in occasione della presentazione della guida Berebene 2019 del Gambero Rosso. E stavolta con un occhio di riguardo al rapporto qualità/prezzo: perché in Italia, sempre più spesso, è possibile concedersi un'ottima bottiglia senza svuotare il portafoglio, e la ventinovesima edizione di Berebene, lo strumento che accompagna appasionati ed esperti all'acquisto intelligente,  non fa che confermare questa tendenza, con 895 etichette meritevoli di essere premiate per qualità e convenienza (l'anno scorso erano 773, e il numero è in crescita costante, come dimostra l'edizione 2019, la più ricca di sempre). Il prezzo di vendita (da listino) della bottiglia? Entro i 13 euro.

 

Le degustazioni a Roma, Torino, Napoli

L'appuntamento per scoprire i premiati è per sabato 24 novembre, allo Sheraton Hotel di Roma: alla presentazione della guida riservata alla stampa seguirà la degustazione aperta al pubblico. 20 euro il costo del biglietto (acquistabile online) per assicurarsi un pomeriggio di assaggi – dalle 18 alle 21 – che raccontano come si possa bere bene quotidianamente senza svenarsi. Il giorno seguente, domenica 25 novembre, le cantine coinvolte traslocheranno a Torino, per un nuovo appuntamento con la degustazione Berebene 2019, al Doubletree by Hilton di via Nizza. E il tour si concluderà a Napoli il 2 dicembre, per un'altra “replica” all'Hotel Continental, sul lungomare Caracciolo. A tutti gli appuntamenti sarà possibile confrontarsi direttamente con i produttori premiati. Per scoprire, come sempre più spesso accade davanti alla selezione Berebene, un insieme di piccole e piccolissime realtà che restituiscono il profilo di un’Italia enoica varia e interessante, che merita di essere valorizzata. Tanti vitigni autoctoni, molti sconosciuti ai più, ma anche etichette riconducibili alle denominazioni più blasonate, prodotte da grandi cantine cooperative che lavorano con qualità. E tra le novità di quest'anno, la guida annovera una serie di indirizzi utili che, alle enoteche per l'acquisto affiancano i wine bar, dove accompagnare grandi bottiglie a una buona offerta gastronomica.

Scopri i vini in degustazione a Roma 

 

SPONSOR DELL'EVENTO

 

Milano. A Porta Romana nasce il più grande mercato contadino coperto della Lombardia

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Si aggiunge al ricco circuito dei mercati rionali coperti il nuovo farmer’s market di via Friuli, nato negli spazi di un’ex officina meccanica di oltre 700 metri quadri, con cortile interno trasformato in ara attrezzata per fermarsi a mangiare. Una quarantina i produttori coinvolti, con tanti prodotti di nicchia in arrivo dalle campagne lombarde. 

 

A Porta Romana un grande mercato contadino

L’amministrazione milanese guidata da Giuseppe Sala non ha mai fatto mistero di avere a cuore la riqualificazione del sistema mercatale cittadino. E sul rilancio delle 19 strutture coperte in attività a Milano ha puntato a più riprese, coinvolgendo nuovi attori e storici operatori commerciali in bandi di gara e concessioni volti a ripopolare i mercati rionali e farne dei moderni centri di aggregazione sociale e promozione culturale della città. L’ultima novità battezzata dal sindaco Sala, però, è più facilmente riconducibile al successo dei farmer’s market urbani, apparentemente un ossimoro, che invece trovano motivo di esistere nel desiderio di ripristinare il legame tra campagna e città. Ed è il più grande mercato agricolo coperto di tutta la Lombardia il nuovo progetto firmato Coldiretti e Campagna Amicain zona Porta Romana, nei locali di un’ex officina: oltre 700 metri quadri a disposizione dei produttori coinvolti a rotazione per presentare i prodotti della campagna lombarda e offrire così un'opportunità in più, in centro città, per fare la spesa dal contadino. In attività da una decina di giorni a questa parte, il mercato di Porta Romana (via Friuli 10 è l’indirizzo di riferimento) è un unicum nel suo genere, con quattro giorni di apertura settimanale – dal mercoledì al sabato, dalle 8 alle 14 – e un gran numero di realtà agroalimentari schierate negli spazi ristrutturati della vecchia carrozzeria, con area attrezzata nel cortile interno per trattenersi a consumare i prodotti acquistati.

I prodotti delle campagne lombarde

Tra i produttori coinvolti, in gran parte rappresentanti delle specialità regionali, trenta sono le insegne sempre presenti, dieci i banchi a rotazione, con l’idea di offrire una varietà di scelta quanto più possibile capillare: frutta, verdura, formaggi, carne, miele, salumi, birra, prodotti da forno, ma anche cosmetici naturali, piante e fiori. E lo spazio ospiterà di frequente anche giornate a tema, degustazioni, lezioni ed eventi legati alla cultura contadina, oltre a laboratori per i bambini. L’iniziativa porta stabilmente a Milano produzioni di lunga tradizione, come zamponi, ciccioli e salumi dell’azienda l’Oca di Sant’Albino di Mortara, in Lomellina, o i formaggi – ma anche burro, yogurt, ricotta – dell’azienda agricola Bordonazza della famiglia Santagostino, che da oltre un secolo opera nel lodigiano seguendo tutte le fasi della transumanza delle vacche da latte, e la produzione in azienda con caglio vegetale, certificato kosher. Ma sono tante le storie che si intrecciano al mercato di Porta Romana: il riso della famiglia Castellotti, dagli anni Settanta nelle campagne pavesi, il caviale di storione dell’agroittica lombarda di Calvisano, le “uova di Rebecca”, risultato di un moderno approccio all’allevamento di galline ovaiole, a Orzinuovi (Brescia). E i prodotti del caseificio San Faustino, nel Parco dell’Adamello, che alleva mucche di razza Bruna Alpina Originale e capre di razza Bionda dell’Adamello dal 1999. Più insolita l’attività di Al Chiar di Luma, azienda nata nel 2017 a Brembio, nelle campagne di Lodi, specializzata nell’allevamento di lumache di specie Helix Aspersa Muller (le più buone da mangiare); dall’allevamento, l’azienda ricava anche una linea di cosmetici naturali alla bava di lumaca, disponibile al mercato.

Mercato di Porta Romana – Milano – via Friuli, 10 – www.mercatoportaromana.it

La storia del ristorante La Peca. Il nuovo Tre Forchette in provincia di Vicenza

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Con il suo ristorante La Peca ha conquistato le Tre Forchette nella guida Ristoranti d'Italia 2019. Abbiamo intervistato lo chef Nicola Portinari, che insieme al fratello Pierluigi e la cognata Cinzia Boggian porta avanti con passione questa insegna del Vicentino.

 

 

Che per saper giudicare una cucina occorra anche conoscere il dietro le quinte ed essere a propria volta capaci ai fornelli, è questione ancora aperta. Quel che è certo, al contrario, è che molti chef e ristoratori di successo - la maggior parte - sono in primis clienti esigenti, curiosi e dinamici. Un po' perché a tavola i “summit” fra professionisti hanno tutta un’altra efficacia, un po' perché dall'altra parte della barricata si colgono al volo, e meglio, attitudini, voglie, preferenze dei propri interlocutori - e giudici - quotidiani. E tornati a casa si gioca d'anticipo. La storia di Nicola e Pierluigi Portinari, fratelli e titolari di una delle più sofisticate e “garbate” insegne del Vicentino, comincia proprio così, con le gambe sotto al tavolo.

La Peca insalata russa

Insalata russa

Il ristorante che vorremmo: come nasce La Peca

"Siamo figli di macellai: mio padre ci ha “formati” sulla materia prima, e mia madre, ottima cuoca - oltre alla bottega gestivamo una gastronomia -, sul lavoro ai fuochi. Ma quando, ragioniere io e perito agrario Pierluigi, abbiamo cominciato a dare una mano all’attività di famiglia, la nostra passione era soprattutto girovagare per ristoranti, in zona e fuori".A parlare è Nicola, chef della Peca, mentre il fratello e la cognata Cinzia Boggian sono in sala e in cantina. Le ossa se le fanno così, da soli, saltando tra laboratorio e bancone, qualche stage, e realtà gourmet dove sbirciare come funziona questo mondo. "A noi piaceva mangiare ed essere serviti in un certo modo, ma toccava macinare un po’ di chilometri per fare una sosta di fine dining memorabile e costruttiva. Qui nei Colli Berici, negli anni Ottanta, c’erano perlopiù trattorie e agriturismi ruspanti con servizio alla buonae cibo casereccio. Per il resto, il deserto”. Ed ecco la - per la zona e il periodo - pazza idea di un posto che alzi l'asticella locale, in termini di ricerca gastronomica e di cura del cliente, di un luogo pensato non solo per bere e mangiare ma per offrire un’esperienza tout court. Esattamente quello che cercano Nicola e Pierluigi, assidui frequentatori di insegne come il Casin del Gamba di Altissimo, sempre nel Vicentino, e della tavola del maestro Marchesi, e che ora vogliono lasciare una traccia nella loro terra. Così, trentuno anni fa, una "peca", impronta, appunto, in dialetto vicentino, viene impressa sulla porta di un progetto coraggioso ma non avventato, frutto di uno studio serio, accurato, appassionato. "In realtà la peca in gergo indica pure l'impronta lasciata da chi in passato si avventurava nelle colline qui intorno, allora parecchio impervie: abbiamo interpellato persino uno storico di Lonigo per trovare il nome giusto per noi".

 

La peca tenero_di_vitello_affumicato_patate_arrosto_e_paprikaTenero di vitello affumicato patate arrosto e paprika

A piccoli passi verso il successo

Gli esordi però non sono affatto facili e lineari: i locali non sono abituati alla carne al sangue e al pesce appena scottato - “tra le mie esperienze formative una delle più significative è stata quella da Alain Ducasse” - né alla presentazione delle portate con cristalli e porcellane. Peraltro non funziona il team, Nicola deve prendere dimestichezza con le procedure tecniche, gli investimenti sono stati impegnativi e la prima "crisi" si verifica ad appena un mese dall'inaugurazione, nel gennaio dell'88. Ma i Portinari sono signori - veri - d'acciaio. "Nel giro di un anno abbiamo chiamato un altro consulente, stavolta adeguato, per affiancarmi nell'organizzazione ai fornelli, e poi sono subentrato stabilmente io. Da allora sono stati tre decenni di crescita e metamorfosi continue, di soddisfazioni e riconoscimenti da parte di un pubblico che nel tempo si è emancipato e ha aperto i propri orizzonti".

/la_peca_uovo_fritto_peperonata_affumicata_ranita_sedanoUovo fritto peperonata affumicata granita di sedano

Veneto, mondo e personalità

Come aperti sono sempre stati gli orizzonti di Nicola: il suo punto di riferimento per verdure e carni è un piccolo fornitore a pochi passi da qui, che gli assicura ortaggi e animali da cortile secondo periodo - “ora ho dei germani allevati liberi e un cinghialino, mano a mano arriveranno faraone e anatre, e avanti così di stagione in stagione” -, ma il meglio lo sa cogliere ovunque sia, senza chiusure e pregiudizi. Le alici dei suoi bigoli con le sarde - “uno dei piatti su cui ho dovuto lavorare di più” - , per esempio, sono quelle del Cantabrico. La versione originaria era abbastanza "aggressiva", aderente all’antica ricetta dei pescatori che li preparavano in barca: sarde sotto sale, cipolla brasata e bigoli (un formato di pasta tipico fatto col torchio) “buttati” in padella. Oggi lo chef li propone con le acciughe iberiche cotte sottovuoto fino a diventare una sorta di crema, e con cubetti di pane tostato e un setoso gelato alle cipolla di Tropea, per conferire eleganza ed equilibrio col gioco tra caldo e freddo e dolcezza e salinità a una pietanza di per sé spiccatamente sapida. Alla Peca, comunque, ci sono diverse formule di degustazione per accontentare più gusti - “ormai vince a man bassa il menu di mare, e per me che sono nato tra costate e fiorentine è una stretta al cuore…”, sorride Nicola - tra cui quello del pranzo, più difficile da gestire in termini di numeri ma utile per i dipendenti delle numerose aziende del circondario, e quello a 95 euro concepito per invogliare i ragazzi a investire in un’esperienza culinaria per così dire “didattica”. “In effetti l’età media degli ospiti si è abbassata, e se le vecchie generazioni continuano a cercare le rassicuranti tavole tradizionali, le nuove sono più proiettate e ricettive verso l'alta ristorazione".

La peca

Il design “di territorio” e il futuro

Nel 2000 c'è stato il primo vero restyling, con l’ampliamento della cucina e l’allestimento della sala panoramica, mentre gli ambienti sono diventati via via una sorta di galleria d’arte contemporanea, tra poltrone di Philippe Starck e lampade a sospensione di Mengotti e Prandina (eccellenza veneta del settore, come veneta è la maggior parte degli artisti che espongono qui), grazie soprattutto a Cinzia Boggian, moglie di Pierluigi e autrice delle decorazioni dei tavoli, nonché di un libro che si chiama proprio Decorazioni Gourmet . Ma i cambiamenti sono all'ordine del giorno, ogni anno si effettua una miglioria, si fa un acquisto mirato, si compie un passo avanti. "Non sono fanatico della tecnologia, uso il buon senso: avevo già un distillatore utile nella concentrazione dei brodi, un mese fa ne ho acquistato uno che lavora in sottovuoto, ancora più preciso (con i funghi viene un prodotto superestratto e dal profumo straordinario) ed efficace sulle fermentazioni, ma non sono arrivato al sonicatore, che va a ultrasuoni”. D’altronde il mantra della casa è “non fermarsi mai”. La zuppa di scampi “2018”, per esempio, è l’ultima e più aggiornata versione di una voce che non si riesce a togliere dalla carta, ossia fumetto di teste e carapaci montato a 80 gradi con la polpa cruda, senza grassi,“un costo non indifferente che però vale il risultato, un’esplosione di sapore assoluta”. E non ci si ferma neanche sulle due ruote: quando possono, i due fratelli, appassionati motociclisti, saltano in sella e fuggono per staccare la spina. “E le soste sono tutte mirate. Perennemente alla ricerca di ristori e “sorprese”. Ovviamente, gourmet”.

 

La Peca - Lonigo (VI) – via A. Giovannelli, 2 – 0444830214 - lapeca.it

 

a cura di Valentina Marino

foto Studio Gabrio Tomelleri

 

La pasta italiana in Sicilia. 11 formati tipici e la ricetta del cous cous alla trapanese

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Da sempre simbolo di buon cibo, la Sicilia presenta una ricca tradizione di primi piatti, dal timballo di anelletti al celebre cous cous. Gli 11 formati da non perdere e una ricetta da rifare a casa. 

 

Ha dato vita a una delle cucine più complesse e variopinte del mondo, quest'isola al centro del Mediterraneo che porta ancora i segni delle tante culture che vi si sono stabilite negli ultimi due millenni. Un crocevia di popoli e linguaggi, tradizioni e usanze, tracce indelebili che si riscontrano ancora oggi nella ricca tavola siciliana. Barocca, opulenta, stagionale, saporita, la gastronomia dell'isola non smette di sorprendere con i suoi piatti unici dal gusto inconfondibile, frutto del felice legame fra entroterra e mare, che ha consentito nel tempo il fiorire di una tradizione capace di esaltarsi con l'uso di ingredienti poveri. Dalla carne al pesce, dalle verdure ai formaggi, senza dimenticare la pasta: anche fra i primi piatti, la Sicilia annovera una serie di specialità diverse fra loro, tutte da scoprire. Ecco i formati più rappresentativi della regione.

 

anelletti

Anelletti

Fino agli anni '30, esistevano diverse forme di anellini, lisci o rigati, più o meno spessi, a base di acqua e semola. Fra le tante tipologie ancora presenti, ricordiamo le caddhurite, chiamate così per la forma che ricorda la caddhura, una ciambellina di pasta di pane solitamente consumata a Pasqua, farcita con uova sode. In genere, si utilizzano gli anelletti per i timballi, pasticci con carne di maiale, piselli e formaggi locali, consumati soprattutto durante il periodo estivo. Nel siracusano, infatti, lo sformato di pasta viene chiamato anche pasta ro bagnu, ovvero pasta per i bagni, per l'abitudine dei siciliani di portarlo in spiaggia.

Busiata

Un impasto di semola e acqua dal quale si ricavano dei bastoncini, che vengono poi appoggiati su un apposito ferretto e arrotolati sulla spianatoia, in modo da ottenere uno spaghettone forato: la busiata è una pasta di origine antica, presente fin dall'anno Mille. Il nome deriva dal termine arabo bus, che indica il giunco sottile che cresce selvatico sui prati. Fra le testimonianze scritte, quella del Maestro Martino, che nel suo “Libro de arte coquinaria” parla dei “maccaroni siciliani”, trascrivendone la ricetta: “Piglia de la farina bellissima et impastala con biancho d'ovo et con acqua rosa, overo acqua commuina... et fa questa pasta ben dura, da poi fanne pastoncelli longhi un palmo et sottili quanto una pagliuca”. Viene servita con diversi sughi a seconda delle tradizioni locali.

 

cous cousù

Cùscusu

Ovvero cous cous (o cuscus), specialità condivisa anche con Sardegna e Toscana, ma che in Sicilia ha trovato la sua migliore espressione. La tradizione vuole che la semola a grana grossa venga mescolata a mano in una terrina di terracotta detta mafaradda, e spruzzata poi con acqua salata, prima di essere lavorata fino a ottenere dei piccoli grumi (operazione chiamata incocciata). Una volta messo ad asciugare, il cuscus viene cotto a lungo a vapore in un apposito recipiende dal fondo forato in terracotta, la pignata. Un rituale lungo e complesso, oggi facilitato dalle cuscussiere moderne in metallo, che si perde nella notte dei tempi. In principio si trattava di una minestra di semola cotta nel latte o nel brodo, piatto di lusso riservato alle famiglie più abbiente e le occasioni speciali, tanto da essere servito alla mensa di Amedeo VIII, Duca di Savoia, agli inizi del Quattrocento. Se ne legge anche nel ricettario di Maestro Martino, che descrive la “cemolella ciciliana”, una polentina morbida realizzata con le grane di semola ancora bagnate. Una preparazione di origine nord-africana, più precisamente maghrebina, che si è poi espansa in tutta l'area mediterranea. A differenziare i diversi cous cous italiani è il condimento: pesce nel Trapanese, la parte di Sicilia dove si è maggiormente diffuso, carne di pecora o verdure in Sardegna, verdure e polpettine di carne nella provincia di Livorno. In Sicilia, c'è poi l'antica variante dolce, fiore all'occhiello delle monache benedettine del Monastero di Santo Spirito di Agrigento.

Rigatoni

Nonostante oggi siano uno dei formati più utilizzati nella cucina laziale, specialmente quella romana, i rigatoni sono in realtà originari del Sud Italia, in particolare della Sicilia. Si caratterizzano per la rigatura delle trafile, peculiarità nata con l'industrializzazione della pasta, e pensata per consentire di raccogliere meglio il condimento. Nell'isola, sono protagonisti di preparazioni come il taganu di Aragona, nella zona di Agrigento, pasticcio tipico del sabato santo che deve il suo nome al tegame di coccio dai bordi svasati dove veniva cotto in passato.

 

strozzapreti

Affogaparrini

Cecamariti nel Lazio, maccheroni alla molinara in Abruzzo, strangulaprievete a Napoli e strangugliaprieviti in Calabria: qualsiasi sia il nome dialettale, stiamo parlando degli strozzapreti (o strangolapreti), in Sicilia chiamarti affogaparrini. “A vederli nel piatto, sembrano quei sassi muscosi che spuntano ai bordi d'uno stagno; verdastri, vellutati, irregolari e sul menu portano un nome che, nel cattolico Trentino, suona come una bestemmia: strangolapreti”. Così li definiì Cesare Marchi nel suo “Quando siamo a tavola”. Si tratta di una sorta di tagliatelle di acqua e semola arrotolate su ferretto e strofinate sulla spianatoia fino a ottenere un lungo bucatino. Il nome allude alla proverbiale golosità dei preti, ma a consumare questa pasta un tempo erano tutte le famiglie di contadini più umili. In origine preparati prevalentemente nel Meridione, gli strozzapreti si sono poi diffusi in tutto il territorio nazionale, con impasti diversi che si distinguono per tipologie di farine, aggiunta di patate, pane o altri ingredienti.

 

tacconi

Taccuna de mulinu

Che siano di forma quadrata o romboidale, i tacconi - taccunade mulinu in siciliano -vengono preparati con farina di mais, farina di grano, acqua e alle volte anche gli avanzi della polenta. Il nome deriva dal termine dialettale tacca(toppa), che a sua volta ha origine dal germanico tak, ovvero scheggia di legno, parola che fa riferimento alla forma imprecisa del formato. Diffusi anche in Abruzzo, nelle Marche (un'altra ipotesi circa il nome propone infatti l'associazione con gli antichi scarponi utilizzati dai contadini dell'ascolano, caratterizzati da grossi tacchi), in Umbria, Molise, Campania e nel Lazio, in Sicilia prevedono un condimento a base di aglio, olio, peperoncino, ricotta salata e melanzane. Come scrive il poeta Gaetano Passarello: “Quando i taccuna cu sarsa e ricotta / e cu milinciana su davanti a mia / non sacciu si mangiu la picciotta / o un pezzo di la nona sinfunia.

Tria

Uno dei formati più antichi, già descritto dall'arabo Al-Idrisi nel 1154: “In Sicilia vi è un paese chiamato Trabia, luogo incantevole dotato di acque perenni e di mulini, in questo paese si fabbrica un cibo di farina a forma di fili in quantità tali da rifornire oltre i paesi della Calabria, quelli dei territori musulmani e cristiani”. Nonostante l'associazione con l'isola, la tria è anche l'antica denominazione pugliese della pasta, come spiega Mastro Barnaba nel “De naturis et proprietatibus alimentorum” del 1338 (uno dei piatti salentini più popolari è, appunto, la minestra di ciceri e tria). Citata molto nei trattati arabo-andalusi (prima con il termine arabo fidaws, e poi con il castigliano fideos), la tria viene preparata a partire da una sfoglia sottile, dalla quale si ricavano paste di vari formati e misure a seconda dell'aria di produzione, solitamente molto simili a delle tagliatelle larghe e spesse.

 

ziti

Ziti

In diverse regioni, gli ziti sono la pasta tipica dei giorni di festa, preparata in particolar modo in occasione dell'Epifania. In Sicilia, un tempo i maccarune di zita erano il piatto simbolo dei matrimoni, conditi con stufato di maiale e portati in dono a tutti i vicini di casa, come segno di buon augurio. Ancora oggi, infatti, in dialetto regionale la parola zita indica la sposa o la fidanzata. Insaporiti con diversi ingredienti a seconda delle tradizioni locali, questi cordoncini forati a base di semola e acqua sono conosciuti come “i maccheroni della sposa”, anche se oggi vengono consumati durante tutto l'anno.

Maccaruni

Un tempo preparati sulla sbria, una spianatoia in legno sostenuta da due trespoli, i maccaruni cambiano forma e dimensione a seconda delle trafile utilizzate nel torchio, strumento indispensabile per realizzare questa pasta di acqua e semola. Possono essere gustati in purezza oppure, più comunemente, nella versione timballo: è proprio il pasticcio di maccaruni, infatti, uno dei piatti più in voga per le feste di Natale, oltre che simbolo della festa di San Giuseppe a Palermo. Citati anche ne “Il Gattopardo”, questa specie di bucatini dal diametro più grande e la forma irregolare si sono diffusi ben presto anche in Calabria, dove hanno trovato terreno fertile soprattutto in occasione dei pranzi di nozze.

Ravioli amari

Una pasta ripiena a base di farina di grano duro, uova, sale, farcita con ricotta ed erbe aromatiche: i ravioli amari sono così chiamati per distinguerli dai più famosi cugini dolci tipici della pasticceria locale. Si tratta di ravioli profumati con erbe diverse a seconda della zona - menta nel Messinese, maggiorana nel Ragusano – e conditi generalmente con ragù di maiale.

Suddhi

Formato tipico della provincia di Siracusa, in particolare di Canicattini, i suddhi sono una sorta di tagliatelle di farina di orzo, sale e acqua, probabilmente nate in tempo di carestia, quando si ricorreva a sfarinati diversi e meno costosi del grano. Il sugo di maiale è uno dei condimenti più popolari, ma come sempre le salse variano a seconda della zona.

La ricetta: cous cous alla trapanese

 

a cura di Michela Becchi

Milan Coffee Festival. La prima edizione italiana della grande fiera del caffè

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Ormai è assodato: l'oro nero sta catturando l'attenzione di addetti al settore e appassionati, ponendosi sempre più spesso al centro di fiere e manifestazioni del settore. E ora arriva anche il Coffee Festival, format britannico di successo in scena a Milano a fine mese. 

 

Milano capitale del caffè

Mai come in questo momento, tracciare le linee del panorama caffeicolo milanese è diventata un'impresa ardua. Le realtà valide, le novità positive di cui questa città si è fatta portavoce negli ultimi tempi sono in costante aumento. Lo abbiamo visto di recente con l'inaugurazione del Flagship di Faema, azienda produttrice di macchine espresso che ha deciso di creare uno spazio tutto dedicato agli addetti ai lavori, un tempio del caffè che ha segnato – se ancora ce ne fosse bisogno – il ruolo centrale che il mestiere del barista ricopre all'interno della scena gastronomica italiana. E ancora, Pascucci Moka, il bar dove a farla da padrona è la caffettiera casalinga per antonomasia, simbolo di un rituale tutto tricolore che continua – nonostante le recenti cattive notizie circa un possibile rischio fallimento del brand Bialetti – a rappresentare gli italiani nel mondo. Ma prima di lui, c'erano già Milano Roastery, Cafezal, Cofficina Ticinese 58, Orsonero, il primo Pascucci Caffè, che insieme all'angolo bar di Taglio era stato uno dei pionieri dei bar di ricerca meneghini, senza dimenticare poi il Flagship store di Lavazza e quello di illy in Piazza Gae Aulenti, ennesima riprova dell'interesse che i anche i grandi gruppi stanno riservando a miscele e singole origini specialty di qualità superiore. Impossibile non menzionare, poi, Starbucks Reserve, il colosso stellestrisce che ha scosso gli animi dei consumatori più tradizionalisti.

 

Coffee Festival

Il caffè in Italia: dalla tradizione all'innovazione

Dunque, non c'è da stupirsi se la località scelta per il nuovo evento dedicato all'oro nero sia proprio Milano, città che non fatichiamo a definire l'attuale capitale del caffè italiano. “Milano è sempre stata una città modello”, ha dichiarato Ludovic Rossignol-Isanovic, co-fondatore del Milan Coffee Festival insieme a Jeffrey Young. “È la patria dell'espresso, dei primi bar e del celebre aperitivo”. Una tradizione profondamente radicata nelle abitudini degli italiani, che però sta iniziando gradualmente a cambiare e guardare oltre: “Le recenti aperture milanesi di specialty coffee shop e la diffusione di torrefazioni artigianali in tutta la Penisola testimoniano quanto questa rivoluzione si stia facendo strada nella patria stessa dell'espresso, dove tutto ha avuto inizio”. E dove tutto è rimasto, troppo a lungo, fermo nel tempo, causa i tanti preconcetti che nehli anni sono andati a stratificarsi nella mentalità di baristi e torrefattori, idee obsolete a cui si è rimasti aggrappati con tenacia. Ma si respira un'aria nuova, adesso, grazie a questa nuova generazione di torrefattori che “rappresentano il cuore pulsante di The Milan Coffee Festival, che punta a colmare la distanza tra queste due realtà”.

Coffee festival. Il format

Che il caffè stia diventando l'erede del vino? È questa la provocazione lanciata dalla manifestazione, in scena dal 30 novembre al 2 dicembre presso lo Spazio Pelota di via Palermo, nel cuore di Brera. Un format già collaudato a Londra, Amsterdam, New York e Los Angeles, ideato da Allegra Events e che per la prima volta si prepara ad approdare in Italia, con la stessa formula vincente di sempre: degustazioni, laboratori, dimostrazioni pratiche da parte dei baristi, forum e seminari per scoprire le tante sfumature del caffè di qualità. Oltre 60 espositori, tra fornitori di caffè e cibo, macchinari e attrezzature, e una serie di esperienze e attività pensate per coinvolgere il pubblico.

 

caffè

Il programma

Ci sarà il Lab powered by Lavazza, con un programma interattivo di dimostrazioni e dibattiti live su vari temi, dalla diffusione della figura femminile nel settore alle curiosità sulle origini della pianta. E poi La Marzocco's True Artisan Cafè, un pop-up dove si altereranno le migliori caffetterie e torrefazioni indipendenti italiane che proporranno ai visitatori le loro specialità, la Latte Art Live dedicata all'arte della decorazione sui cappuccini, il Cmx Brew Bar con le estrazioni in filtro e l'angolo Brita per parlare del ruolo dell'acqua nella preparazione del caffè. Al Vegan Coffee Bar di Alpro, invece, via libera alle bevande vegetali, protagoniste di macchinati, cappuccini, affogati e cocktail. Non mancheranno, poi, le competizioni: Cmx – Italia darà vita al Coffee Masters, tre giorni di gara a eliminazione diretta, durante i quali 16 fra i migliori baristi della Penisola si sfideranno in 7 diverse discipline di fronte a una giuria di esperti di fama internazionale. Il vincitore si guadagnerà la qualificazione alla finale mondiale di Coffee Masters – Londra 2019. E ancora assaggi, prove tecniche, confronti, per una tre giorni (il 30 novembre sarà dedicato solo agli operatori) alla scoperta della bevanda calda più amata di sempre, un evento che fa anche del bene: il 10% degli incassi, infatti, sarà devoluto alla Onlus Project Waterfall a sostegno delle attività volte a garantire l'approvvigionamento di acqua pulita ai Paesi produttori di caffè.

Milan Coffee Festival – Milano – dal 30 novembre al 2 dicembre 2018 - www.milancoffeefestival.com

a cura di Michela Becchi

 

Montalcino. Destino d'eccellenza in nome del Brunello

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Montalcino è ai primi posti tra le mete turistiche che i wine lovers di tutto il mondo vogliono visitare. Nel mensile di novembre del Gambero Rosso gli abbiamo dedicato uno speciale, qui trovate un assaggio.

 

La Val d'Orcia ha miracolosamente conservato il suo aspetto fatto di storia, paesaggi incontaminati iconici del modello italiano e poi ancora arte, cultura, enogastronomia, agroalimentare di eccellenza assoluta... e soprattutto il Brunello. E l’economia locale è in piena fase di espansione. Facciamo il punto. 

Montalcino

Percorrendo le strade della Toscana del sud, quel susseguirsi di morbide colline dove i boschi di querce e di lecci si alternano ai campi di cereali, alla vite e all'olivo, sembra farci entrare in un'altra dimensione. Tutto è curato, nulla è lasciato al caso. Le case rurali, le torri di avvistamento, i centri abitati di origine medievale sembrano particolari di una tela dipinta da un maestro del Rinascimento. Montalcino, cuore pulsante di queste terre a 40 km a sud di Siena, è un borgo rimasto pressoché intatto dal XVI secolo, protetto da un'imponente cinta difensiva e dominato dalla Fortezza, il castello mediceo che caratterizza lo skyline della città. Da qui la vista spazia dal Monte Amiata alla Val d'Orcia, da Siena (si intravedono le merlature della Torre del Mangia) e dalle Crete Senesi sino a Montepulciano. Nelle giornate terse si vede Alberese, sulla costa, mentre i raggi del sole fanno scintillare le onde del Tirreno. Il territorio di produzione del Brunello e del Rosso di Montalcino è delimitato dalle valli dei tre fiumi Orcia, Asso e Ombrone, una sorta di quadrilatero che si estende per oltre 243 chilometri quadrati e si innalza da 120 su fino a 650 metri di altitudine. Il Brunello nasce in questo contesto, espressione dello stretto connubio tra arte e paesaggio, clima mediterraneo e sangiovese; all’insegna del saper fare della comunità locale. In questo senso non è semplicemente un grande vino, italiano e toscano, conosciuto e apprezzato in tutto il mondo, ma è un elemento fondante dell'identità montalcinese e un componente imprescindibile della cultura materiale della Val d'Orcia. “Il Brunello – osserva Giacomo Pondini, direttore del Consorzio – è un brand conosciuto in tutto il mondo: non si può rimanere immuni dal suo fascino. Ma Montalcino è anche un tessuto sociale, una comunità che lo condivide come valore”.

Vigne nel Montalcino

Il Brunello

“La strada tortuosa che da Siena conduce all’Orcia – scrive il poeta senese Mario Luzi – è una strada fuori del tempo, una strada aperta e punta con le sue giravolte al cuore dell’enigma”. Il più famoso rosso italiano, i suoi profumi e i suoi sapori, l'idea stessa del Brunello, sono nati tra le mura e le campagne di Montalcino, poco più di un secolo e mezzo fa. Le numerose ricerche storiche svolte nel corso degli anni giungono tutte alla stessa conclusione: il Brunello ha molti padri e non ha una data di nascita certa. Nel corso dell'Ottocento Clemente Santi, Tito Costanti, Camillo Galassi, Giuseppe Anghirelli, Riccardo Paccagnini, Raffaello Padelletti, Ferruccio Biondi Santi, contribuirono in vari modi alla sua messa a punto, a partire dall'uva sangiovese impiegata in purezza. Ci vorrà un'altra generazione, quella dei Biondi Santi con Tancredi e dei Colombini con Giovanni, per far uscire il vino dallo stretto ambito toscano. Il Brunello, motore di sviluppo e di benessere del territorio, ha svolto un ruolo importante nella rinascita di Montalcino e delle sue campagne, dopo gli eventi distruttivi della fillossera prima e della II Guerra Mondiale poi. Nel 1960 il mondo intorno ai filari era fatto ancora di strade sterrate, poderi diroccati, carri trainati dai buoi e ulivi martoriati dalla mitologica devastante gelata del ‘56. Con l’apertura dell’Autostrada del Sole (1958-1964), i traffici stradali sulla vicina via Cassia crollano, isolando di fatto Montalcino. L’abolizione della mezzadria (1964), provoca un ulteriore stallo e cessano quasi del tutto di esistere anche le poche attività artigianali rimaste. In questa situazione drammatica, Ilio Raffaelli, sindaco dal 1960 al 1980, e con lui alcuni imprenditori illuminati, ebbero l'intuizione che l'unica strada percorribile era puntare sull'incremento del turismo e soprattutto sulla valorizzazione dei prodotti agroalimentari di qualità, vino in primis. E così è stato. Quando nel 1966 fu promulgata la legge sulla denominazione del Brunello (diventata Docg dal 1980) erano attive appena 37 aziende e gli ettari vitati erano 115 (64 specializzati a Brunello e 51 promiscui). Per capire la situazione, basti pensare che dal 1800 fino al 1930, gli ettari di vigna non sono mai stati meno di 2.000, con punte fino a 4.000. Oggi la realtà è tornata a toccare (superandoli) i numeri di un passato glorioso: i soci iscritti al Consorzio di tutela sono quasi 260 (di cui 208 imbottigliatori), i vigneti di Brunello si estendono per 2.100 ettari e la produzione è passata da 13.000 a 10 milioni di bottiglie.

Montalcino

Un risiko di nuovi investimenti

A Montalcino l'acquisizione da parte di fondi esteri di aziende locali ha riguardato cantine grandi e piccole, tra cui alcune protagoniste della storia moderna del Brunello, dando l'avvio a delle importanti trasformazioni della filiera produttiva. Se inizialmente il legame tra le aziende e il territorio di produzione era assai saldo e per certi versi obbligato, in questa nuova fase la possibilità che si affievolisca è reale. Infatti a parte lo staff presente in loco, il potere decisionale è spesso all'estero dove questo legame non è sentito nello stesso modo. Comunque la tendenza alla vendita delle aziende montalcinesi, nei mesi e negli anni a venire, è destinata a continuare. Il Brunello sta sempre più attirando investitori da tutto il mondo – si stima che per un ettaro il prezzo medio di aggiudicazione sia attorno ai 500 mila euro – e d'altra parte molte aziende nate negli anni Settanta/Ottanta sembrano aver esaurito il loro ciclo vitale e ora i proprietari, impossibilitati a continuare l'attività per vari motivi (finanziari, impossibilità di turn over familiare, offerte allettanti, ecc.) stanno passando la mano. Montalcino, da questo punto di vista, è in pieno cambiamento – anche nel modo di sentire e vivere il territorio – che avrà il suo peso nella gestione del futuro della denominazione. La storia recente è cronaca di questi giorni, con i cambi di proprietà delle aziende nate negli anni Ottanta e Novanta, l’ingresso di gruppi internazionali, la presenza nei mercati e sulle tavole più importanti del mondo, gli ottimi risultati del Brunello di Montalcino in ogni classifica internazionale dei Top 100, di cui spesso è al primo posto. Conferma Patrizio Cencioni, presidente del Consorzio del Brunello: “Anche negli anni a venire, vino e turismo saranno i motori indispensabili per il nostro futuro. Il nostro obiettivo strategico è mantenere e consolidare l'immagine del Brunello come prodotto di alta gamma saldamente legato al territorio”.

Non solo Brunello, il territorio ilcinese è ricco di prodotti di eccellenza, dai salumi ai formaggi pecorini, dall'olio extravergine di oliva (sono un migliaio gli ettari di oliveto) allo zafferano, dal miele (di cui Montalcino è il primo produttore in Italia) al farro (il 70% della produzione nazionale nasce qui) ai cereali e altro ancora. Per saperne di più sfogliate il numero di novembre del mensile del Gambero Rosso.

 

a cura di Andrea Gabbrielli

foto di Sara Matthews

 

QUESTO È NULLA...

Nel numero di novembre del Gambero Rosso, un'edizione rinnovata in questi giorni in edicola, trovate il racconto completo con le altre ricchezze rurali del territorio. Un servizio di 12 pagine che prende in esame anche il quadro gastronomico con un focus sui ristoranti di tradizione e le nuove tendenze, con una comoda mappa, e un approfondimento su come stanno andando le cose dal punto di vista degli investitori, stranieri e italiani. Non solo, trovate anche i Tre Bicchieri 2019 dalla guida Vini d'Italia del Gambero Rosso e una timeline che mostra sinteticamente la storia di Montalcino.  

Il numero lo potete trovare in edicola o in versione digitale, su App Store Play Store

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Beni di Batasiolo on tour. 4 cene per scoprire grandi vini e piatti d’autore

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Torino, Roma, Napoli e Milano. L’Italia unita nel segno dell’abbinamento tra cucina d’autore e grandi vini delle Langhe. È il tour promosso da Gambero Rosso con Beni di Batasiolo, che toccherà 4 tappe tra la fine del 2018 e la primavera 2019. 

 

Grandi vini e piatti d’autore: ecco il binomio al centro del tour di cene-degustazione realizzato da Gambero Rosso insieme a Beni di Batasiolo, una tra le più importanti realtà vinicole piemontesi. Quattro serate nelle principali città italiane, Torino, Milano, Roma, Napoli, per assaporare diverse espressioni vinicole delle Langhe in abbinamento ai piatti di alcuni dei ristoranti espressione dei diversi territori italiani. Su terreni ora sabbiosi, ora calcareo-argillosi, si estendono i 130 ettari della Beni di Batasiolo, di proprietà della famiglia Dogliani. I tratti distintivi dello stile aziendale da sempre si concretizzano nell'utilizzo di vitigni tradizionali, vinificati separatamente; nasce così una gamma che dà vita a diverse interpretazioni di Barolo, slanciati e eleganti, a Barbera, Arneis, Dolcetto, Moscato, vini identitari, che concretizzano l'alta vocazione della regione e raccontano la storia di un'azienda che si evolve e muta con un occhio attento a territorio e tradizione. Sono loro le guest star delle diverse cene-degustazione che si articoleranno in menu di quattro portate studiate proprio in funzione dei vini. Il tutto raccontato serata dopo serata da un esperto della guida Vini d’Italia Gambero Rosso.

Il tour. Le cene

Si parte il 6 dicembre da Torino dove la famiglia Vannelli aprirà il calendario nel proprio ristorante, Al Gatto Nero. L'anno nuovo - giovedì 31 gennaio - ci porterà a Roma, presso il Giulia Restaurant. Il terzo incontro - mercoledì 7 marzo 2019 - si terrà da Veritas, a Napoli, dove i vini verranno esaltati dalla cucina dello chef irpino Gianluca D'Agostino, mentre la chisura sarà affidata alle giovani mani di Michele De Liguoro del Rovello 18 di Milano, il 25 marzo.

I VINI PROTAGONISTI DELLE SERATE

Batasiolo Brut Millésimé M. Cl. '12

Chardonnay, per l'eleganza, e pinot nero, a dare struttura, si uniscono in una cuvée che riposa per ben 72 mesi sui lieviti prima della sboccatura. Il risultato è un Metodo Classico elegante nelle classiche note di crosta di pane unite a refoli floreali e erbe aromatiche. In bocca è ampio e il sorso è trasportato da una bolla fine e da una fresca sferzata finale.

Roero Arneis '17

L'arneis è un autoctono piemontese tipico del Roero, la zona collinare sulla sponda destra del Tanaro. La versione di Batasiolo, affinata esclusivamente in acciaio, mantiene tutte le caratteristiche principali del vitigno: fiori e erba falciata si amalgamano a intensi sentori di frutta a polpa bianca, anticipando un palato fresco e sapido, caratterizzato da un finale lievemente ammandorlato, vera e propria firma del vitigno.

Langhe Chardonnay Vign. Morino '16

Nel vasto parco vingeti di Batasiolo figura anche qualche vitigno internazionale. È il caso di questo Chardonnay, proveniente dal Vigneto Morino, a La Morra. Fermentazione svolta in barrique, così come la maturazione che dura circa otto mesi con periodici bâtonnage: un vino dall'ampio bouquet aromatico in cui frutti gialli e tropicali incrociano note dolci di vaniglia e miele giallo, un ventaglio che si ritrova al palato su un sorso equilibrato e armonico.

Barbera d'Alba Sovrana '16

È una Barbera scalpitante questa versione 2016: la fermentazione avviene in acciaio, mentre in fase di maturazione si dividono due masse; il 30/40% (in base all'andamento dell'annata) sosta in barrique, il resto in botti grandi in rovere di Slavonia per un anno. Un tripudio di frutti rossi, uniti a cenni speziati, apre la strada a una bocca fresca e scorrevole, sostenuta da un equilibrato apporto tannico.

Barolo Cerequio '08

Cerequio è uno dei cru più prestigiosi della denominazione, un anfiteatro di vigneti tra Barolo e La Morra. Da qui provengono le uve per questo Barolo che mostra i caratteri eleganti del cru nelle sue sferzate balsamiche e speziate. Il palato è affidato a un sorso equilibrato e armonico tra componente fruttata, concentrazione e impalcatura tannica.

Barolo Ris. '10

La 2010 è stata un'ottima annata per il Barolo. Lo si percepisce chiaramente da questa Riserva, che sosta per un minimo di 30 mesi in botti in rovere di Slavonia per poi continuare il suo lungo affinamento in bottiglia. Naso sfaccettato con sfumature di tabbacco, fogliame, spezie, senza tralasciare sfumature di fiori secchi, tostature e frutti neri. L'attacco è morbido ma non appesantisce una solida impalcatura tannica, dal finale ancora piacevolmente fresco e vitale.

Piemonte Moscato Passito Muscatel Tardì

Per accompagnare dessert a base di crema o marmellate – ma da non sottavultare su grandi formaggi erborinati – il Tardì è l'ideale. Da uve moscato bianco, lasciate appassire per un periodo che può variare dai 40 ai 60 giorni, si ottiene un vino intenso e avvolgente già al naso, nei suoi aromi di miele, fichi secchi, albicocche disidratate, un profilo che poi ritorna in bocca, persistente e morbido.

Barolo Chinato

Il Barolo Chinato è un tipico prodotto di Langa, diffuso a partire dalla fine dell'Ottocento: si tratta di Barolo, ovviamente, arricchito con un infuso alcolico di china e una ricetta segreta di spezie. Il risultato è un vino da meditazione dove cannella, chiodi di garofano, pepe, anice stellato si accavallano a frutta in confettura e cioccolato scuro. Da sorseggiare lentamente per apprezzarne la calibrata dolcezza che contrasta con il retrogusto amarognolo e caratteriale.

 

Nella sezione www.gamberorosso.it/it/beni-di-batasiolo/ tutti gli aggiornamenti sulle cene in programma

 

 

Il ristorante degli chef su Rai2. Chi sono i giudici del nuovo programma di cucina

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Andrea Berton, Philippe Léveillé, Isabella Potì. Ecco chi sono i giudici del nuovo programma di cucina sui canali Rai mette alla prova 10 aspiranti cuochi in un vero bistrot. 

 

Il programma

Andrea Berton, Philippe Léveillé, Isabella Potì. Tutti e tre hanno fatto della cucina di ricerca la loro missione di vita, ma ognuno ha scelto di interpretare il mondo del cibo in maniera diversa, dipingendone una sfumatura ben precisa a seconda del proprio estro. Friulano il primo, bretone il secondo, un connubio tra Polonia e Salento la terza. Eppure, a partire dal 20 novembre 2018 questi tre professionisti avranno qualcos'altro in comune, oltre all'amore per la buona tavola. Stiamo parlando, infatti, dei giudici del nuovo programma in onda su Rai2, Il ristorante degli chef, format ideato da Nonpanic a metà tra talent e reality show che vede sfidarsi dieci aspiranti cuochi, in gara per un posto all'interno della prestigiosa scuola di cucina Alma.

Come funziona

Un altro Masterchef? Non proprio, perché la location è ben diversa. Ci sono ancora una volta i banconi dietro i quali destreggiarsi per sfoggiare la propria creatività, ma c'è anche un bistrot con tanto di clienti, per mettersi alla prova con un vero servizio. Il programma – versione italiana di “Kitchen Owners – Duenos de la Cocina”, prodotto dall'argentina Telefe – è quindi una sorta di punto di congiunzione tra Masterchef e Hell's Kitchen, che oltre alla tecnica valuta anche la capacità di costruire un menu, gestire la brigata e fare la spesa. Nel bistrot, i giudici assegneranno di volta in volta il tema del menu, che dovrà essere proposto a consumatori comuni e volti noti del mondo dello spettacolo. Ma chi sono i giudici de Il ristorante degli chef? Ecco i loro profili.

I giudici

Chi è Andrea Berton?

Friulano, classe 1970, inizia la sua avventura culinaria a Milano nella brigata di Gualtiero Marchesi. La sua formazione prosegue nei migliori ristoranti del mondo: prima da Mossiman’s a Londra, poi all’Enoteca Pinchiorri a Firenze, e infine al Louis XV di Montecarlo sotto la guida di Alain Ducasse. Fino a che, nel '97, guadagna la sua prima stella alla Taverna di Colloredo di Monte Albano. Qui ci rimane fino al 2001, quando torna da Marchesi come executive chef del gruppo. È solo l'inizio, a cui seguono, in ordine, cronologico la collaborazione con il Ristorante di Piazza della Scala, la seconda Stella, le Tre Forchette, i Tre Cappelli. Ci sono poi l'apertura, con un gruppo di soci, di Pisacco Ristorante e Bar e Dry Cocktail&Pizza. E l'inaugurazione del Ristorante Berton, dove finalmente lo chef può presentare la sua cucina, contraddistinta da piatti fatti di pochi ingredienti, perfettamente calibrati fra loro, e dall'ineccepibile esecuzione.

Tre Forchette, 91 punti guida Ristoranti d'Italia 2019.

Chi è Philippe Léveillé?

Bretone di Nantes, classe 1963, esperienze in Francia, Brasile, Montecarlo, Stati Uniti, Martinica, da 30 anni o giù di lì in Italia. E nelle cucine del Miramonti l'Altro. Tutto comincia sul finire degli anni '70, quando la famiglia Piscinidecide di affiancare al Miramonti, aperto negli anni '50 a Caino nel bresciano, un secondo ristorante più piccolo, a Concesio. La chiamano, semplicemente, Miramonti l'Altro. Nel '92 al Miramonti di Caino arriva Philippe Léveillé, che inizia a reimpostare la cucina del locale, introducendo i primi piatti di mare e dando nuova linfa al menu. Due anni dopo, poi, passa al ristorante di Concesio, dove fonde la sua arte culinaria di stampo francese alla tecnica e la bravura di Mary Piscini. Un professionista di rango che nel tempo ha poi raggiunto la notorietà anche grazie alla televisione, ma soprattutto con la sua cucina golosa e intensa, ricercata e profonda.

Tre Forchette, 90 punti guida Ristoranti d'Italia 2019.

Chi è Isabella Potì?

Può da pochi giorni sfoggiare il suo primo macaron, il ristorante Bros di Lecce, tempio del gusto nel cuore del Salento quest'anno riconosciuto con la prima Stella Michelin. Grazie a una proposta minimalista, essenziale ed elegante, basata su pochi sapori, quelli giusti, e l'intenso legame con il territorio circostante. Ma anche – ne siamo certi – per la validissima offerta di dolci, perfette conclusioni di un pasto degno di nota. A realizzarli, la giovanissima Isabella (classe '95), nata e cresciuta a Roma da madre polacca e padre leccese. Nonostante l'età, il suo è un curriculum di tutto rispetto: Claude Bosi a Londra, Martin Berasategui e Paco Torreblanca in Spagna e poi appunto da Bros con Floriano Pellegrino, compagno di lavoro e di vita. Una serie di esperienze significative che hanno lasciato in lei la voglia continua di sperimentare, il senso dell'estetica, il gusto dell'equilibrio e un amalgama di culture e influenze diverse da cui trarre ispirazione. La sua avventura al Bros comincia a fine 2015 ed è subito un gran successo, tanto da farla inserire, nel 2017, nella lista Forbes 30 Under 30.

Due Forchette, 81 punti guida Ristoranti d'Italia 2019. 

Il miglior olio della Liguria. La produzione regionale e le aziende

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Come procede la campagna olearia? Ne abbiamo parlato con uno dei migliori olivicoltori della Liguria, Francandrea Belfiore, che ci ha raccontato la storia dell'azienda e il panorama olivicolo regionale. 

 

L'olio in Liguria

Tracciare una linea temporale univoca e precisa per la Liguria dell'olio non è semplice. Un'annata difficile, una campagna migliore che registra un discreto recupero in termini quantitativi, e poi di nuovo una stagione complessa, forse una delle più critiche degli ultimi anni. I produttori liguri più preparati però non demordono, rialzano la testa e vanno avanti. Perché quando l'olio è la tua prima e unica scelta di vita, non esistono catastrofi climatiche, piogge o Burian in grado di frenarti. Occorre farsi trovare preparati, pronti, al meglio delle proprie potenzialità. Perché contrastare la forza della natura è impossibile, provarci è una necessità, ottenere il massimo con le capacità e gli strumenti che si hanno disposizione, un dovere. Riavvolgiamo il nastro e cerchiamo di fare chiarezza: la campagna del 2016/2017 in Liguria è stata caratterizzata da pioggia e poca ventilazione, e poi una forte siccità estiva e ripetuti attacchi della mosca. La stagione successiva, invece, si è rivelata proficua: i produttori hanno tirato un sospiro di sollievo grazie alla carenza di precipitazioni, che ha sì impattato sulla dimensione delle olive e di conseguenza sulla resa, ma anche salvaguardato le piante dagli attacchi parassitari.

La campagna in corso

Autunno 2018. In questo saliscendi di perdite, aumenti, numeri dapprima allarmanti poi confortanti, la campagna attuale si inserisce come un'ennesima nota dolente. I motivi sono molti, dalle cattive condizioni climatiche alle mancate strategie sul lungo periodo che puntino sulla valorizzazione del panorama varietale. Errori che hanno portato a uno scenario piuttosto deludente in tutta Italia, da Nord a Sud, come sempre con le dovute eccezioni. Ma torniamo alla Liguria: nonostante le difficoltà, gli olivicoltori specializzati sono riusciti a portare a casa buoni risultati. Personaggi come Francandrea Belfiore di Castelnuovo Magra, in provincia della Spezia, che nella scorsa edizione della guida Oli d'Italia si è aggiudicato il premio per il Miglior Fruttato Leggero con il suo monocultivar di premepsa. Oppure Paolo Cassini di Isolabona, Imola, che si è distinto invece grazie all'Extremum Gran Cru Colabella, un monocultivar di taggiasca che si è guadagnato il titolo di Miglior Fruttato Medio.

Gli oli di Belfiore

A raccontarsi e offrirci un'istantanea sulla situazione ligure è Francandrea, in fase di completamento della campagna. “Abbiamo fatto tante prove, inizialmente gli oli risultavano molto leggeri e con poco fruttato, pochi profumi...dopo le recenti piogge, invece, la situazione è migliorata e siamo tornati ai nostri livelli standard”. Nessun pericolo, quindi, “la tromba d'aria delle ultime settimane ci ha messo a dura prova ma per fortuna siamo riusciti a tenere la situazione sotto controllo”. Ora, i monocultivar di razzola e leccino sono già pronti, “la razzola è sensibile al freddo, abbiamo temuto molto, ma ha dato risultati splendidi, inaspettati”. Il leccino, invece, è ben più resistente, “è una pianta robusta sulla quale possiamo fare sempre affidamento”. Manca la prempesa, “la più tardiva, abbiamo iniziato da poco a lavorarla in frantoio e siamo in fase di conclusione. Non ci resta che attendere”.

Le rese

Iniziata lo scorso 12 ottobre, la raccolta finirà la prossima settimana, “le rese sono più basse. Inizialmente le drupe rendevano circa il 22% delle loro possibilità, poi il 13%, ora ci siamo stabilizzati sul 16/17% che, considerando l'annata, è una buona media”. E il resto della Liguria? “Non saprei dirlo con certezza, il problema principale nella nostra regione è che sono poche le aziende che hanno fatto dell'olio la loro missione di vita. Per molti, si tratta di una seconda scelta, non è il prodotto protagonista e per questo riceve meno attenzioni, a discapito della qualità”.

Gli inizi

Francandrea, invece, ha fin da subito scommesso sull'extravergine. Tutto ha inizio nel 1938 con i suoi nonni, olivicoltori appassionati che hanno trasmesso a figli e nipoti l'amore per l'agricoltura. “Dopo che sono andati in pensione, l'attività è stata un po' abbandonata”, fino al 2007, anno dell'ingresso di Francandrea in azienda: “Ho cominciato con oli base, più semplici, dei blend buoni ma non ai livelli delle etichette attuali”. Poi, l'incontro con Barbar aAlfei, capo panel Assam Marche e una delle maggiori esperte del settore: “È stata lei a convincermi a puntare sulle singole varietà per valorizzare le cultivar liguri e porre l'accento sull'ampia biodiversità del nostro Paese”. Un tema che, mai come in questo momento, deve tornare a essere al centro dell'olivicoltura italiana.

L'olio nella ristorazione

Certo, oli di questo tipo non sono sempre facili da comunicare: l'interesse per l'oro verde di qualità è in aumento, ma la schiera di appassionati disposti a spendere qualche soldo in più per una buona bottiglia è ancora poco nutrita. “Il panorama è un po' migliorato rispetto al passato, ma siamo comunque indietro. Mi stupiscono soprattutto gli chef e i titolari dei locali: concepiscono l'olio buono come un costo in più, un vezzo, un elemento superfluo, invece che come un investimento nella qualità dell'offerta”. C'è ancora poca cultura al riguardo, “qui in zona rifornisco un solo ristorante, nel resto d'Italia ho qualche altro cliente, ma mi piacerebbe che ce ne fossero di più”. Cresce, invece, l'attenzione da parte dei mercati esteri, “quest'anno abbiamo aumentato la produzione – ora abbiamo circa 2700 piante – e finalmente possiamo iniziare a commercializzare anche nei paesi stranieri”.

Comunicare l'extravergine

Gli oli di Belfiore si trovano anche nei negozi specializzati, le oleoteche e sono acquistabili online sul sito internet dell'azienda, “siamo soddisfatti dei guadagni, devo ammettere che la guida del Gambero Rosso - e in generale la stampa - ci ha dato un grande mano nella promozione dei nostri prodotti”. Serve una comunicazione efficace, dunque, una lettura del settore chiara e fruibile da tutti: “In primavera apriremo un agriturismo, per ora solo con camere, senza cucina”, proprio nello stesso appezzamento di terra degli ulivi. “Mi auguro di riuscire a valorizzare l'olio anche attraverso la nuova attività, sperando di catturare l'attenzione dei turisti, stranieri ma soprattutto italiani”.

I migliori oli della Liguria

Tre Foglie

Monocultivar Prempesa – Belfiore - Castelnuovo Magra (SP) - www.agricolabelfiore.it

Pria Grossa - Domenico Ruffino - Finale Ligure (SV)

Extremum Gran Cru Colabella Monocultivar Taggiasca - Paolo Cassini - Isolabona (IM) - www.oliocassini.it

Due Foglie Rosse

Monocultivar Leccino – Belfiore - Castelnuovo Magra (SP) - www.agricolabelfiore.it

Monocultivar Razzola – Belfiore - Castelnuovo Magra (SP) - www.agricolabelfiore.it

Monocultivar Taggiasca - Frantoio Secondo - Montalto Ligure (IM) - www.frantoiosecondo.it

Tumai Dop Riviera Ligure Riviera dei Fiori Monocultivar Taggiasca - Olio Anfosso - Chiusavecchia (IM) - www.olioanfosso.it

Extremum Gran Cru Crosa Monocultivar Taggiasca - Paolo Cassini - Isolabona (IM) - www.oliocassini.it

Mortedo – Zangani - Santo Stefano di Magra (SP) - www.zangani.it

a cura di Michela Becchi

Pasta al pomodoro. Storia di un piatto nazionale

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Il pomodoro è di origine americana ed è stato tra i primi prodotti a essere portato in Europa, ma non per questo la sua introduzione nella cucina è stata immediata. Tantomeno l’incontro con la pasta.

 

Giovanni Buitoni, l’imprenditore italiano che tutti conosciamo, nel 1940ebbe un’idea visionaria e senza precedenti: quando inaugurò un proprio ristorante a Times Square, ideò un nastro di cuoio che trasportava porzioni di spaghetti al sugo direttamente al tavolo. Pagando 25 centesimi, il cliente poteva accedere al ristorante attraverso un cancello girevole e mangiare spaghetti al sugo a volontà. Il nastro trasportatoree la formula “all you can eat” applicata al cibo italiano per eccellenza, a New York nel 1940, danno la misura della diffusione della pasta al pomodoro a livello internazionale. Ma qual è la storia del connubio più famoso della gastronomia italiana, ovvero pasta e pomodoro?

Le prime descrizioni del pomodoro in Europa

La prima descrizione europea del pomodoro pare si debba al medico senese Pietro Andrea Mattioli che ne traccia un ritratto a metà del Cinquecento. Il frutto proveniente dal Nuovo Mondo viene trattato con estremo sospetto, tanto da essere inserito all’interno del capitolo dedicato alla mandragora che, in effetti, appartiene alla famiglia delle solanacee come il pomodoro e condivide con questo la proprietà di generare frutti di colore giallo-arancione, ma è una pianta altamente tossica e nel passato gli si attribuivano poteri magici e curativi. Nonostante questa presentazione, Mattioli afferma che il pomodoro si possa mangiare come i funghi e le melanzane, ovvero “volgarmente fritte nell’olio, con sale et pepe

Il pomodoro entra nei ricettari

Per più di un secolo le opinioni sul pomodoro non si discostano di molto da questi giudizi e vengono veicolate unicamente dai medici del tempo, fino a che il marchigiano Antonio Latini, cuoco di corte del Viceré spagnolo a Napoli, pubblica una “Salsa di Pomadoro, alla Spagnuola” nel suo ricettario datato 1692. La ricetta è semplice e interessante per l’influenza che avrà sulle preparazioni dei secoli successivi: i pomodori abbrustoliti sulle braci vengono pelati e tritati insieme a cipolla, peperoncino e timo, infine conditi con sale, olio e aceto. La salsa viene utilizzata per accompagnare in tavola i piatti di carne. Il riferimento alla Spagna del titolo della ricetta è dovuto al fatto che questo paese rappresentava la porta d’ingresso per i prodotti provenienti dalle Americhe e l’uso del pomodoro a tavola era già piuttosto diffuso rispetto all’Italia.

Il ruolo di Napoli

Non stupisce poi che la via di penetrazione nel nostro paese sia passata proprio da Napoli che all’epoca era una potente e fiorente città, ricca di commerci e scambi culturali, seconda città del Mediterraneo per dimensioni solo dopo Istanbul. Tra l'altro, in virtù della dominazione spagnola che durava dai primi del Cinquecento, la capitale partenopea rappresentava una via privilegiata per il contatto tra i due paesi e quindi con le colonie d’oltreoceano, anche dal punto di vista dei costumi alimentari. L’associazione tra Napoli e il pomodoro che perdura tutt’oggi non è quindi casuale, ma frutto di una storia plurisecolare.

Salsa al pomodoro

La salsa al pomodoro

Per oltre un secolo la salsa di pomodoro viene utilizzata nelle più svariate preparazioni, come quelle presentate da Francesco Leonardi alla fine del Settecento che descrive, tra le altre, le ricette delle “Tartarughe terrestri al culì di pomidoro”, e della “Zuppa di pere in salsa di pomidoro” azzardando un accostamento degno di una cucina sperimentale odierna. Ma nonostante la piena affermazione del frutto americano sulle tavole italiane, fino a questo momento non interessa ancora i piatti di pasta, dove ci sembrerebbe naturale trovarlo.

Il primo incontro tra il pomodoro e la pasta

La prima combinazione tra il pomodoro e la pasta la troviamo pochi anni più tardi nella Cucina Economicadi Vincenzo Agnoletti del 1803. L’autore descrive una zuppa, ovvero una minestra in brodo in cui la pasta di piccolo formato, viene prima “imbianchita”, ovvero sbollentata in acqua, poi cotta in brodo che può essere insaporito anche con sugo di pomodoro. La pasta prende il posto del più canonico riso, molto utilizzato all’epoca in questo genere di preparazioni. Lo stesso piatto viene successivamente descritto pochi anni più tardi in una ricetta della rivista francese “Almanach des gourmands”che può essere considerata la capostipite delle guide gastronomiche odierne.

La pastasciutta al pomodoro

A introdurre il pomodoro in un piatto di pastasciutta è invece sempre Francesco Leonardi nella seconda edizione dell’Apicio Moderno, ristampato nel 1807-08. La ricetta dei Maccaroni alla Napolitanariporta la variante del sugo di pomodoro all’interno della preparazione. Questo arricchimento dell’intingolo avrà un grande successo e, nel giro di qualche decennio, diverrà la norma per la realizzazione di quello che oggi è il ragù alla napoletana. La ricetta, apparentemente più semplice degli spaghetti al sugo viene registrata solo trenta anni più tardi ancora per merito di un altro autore napoletano, confermando la secolare tradizione di apripista nei confronti di questo ortaggio: Ippolito Cavalcanti nel 1837pubblica la Cucina teorica-pratica,un ricettario molto particolare in cui la seconda parte, dedicata alle ricette popolari, è scritta interamente in dialetto napoletano. Questa molto probabilmente è la prima pubblicazione degli spaghetti al pomodoro come pastasciutta “all’italiana”.

La ricetta degli spaghetti al pomodoro in napoletano (con traduzione)

Vermicielli co le pommadore. Quann'è lo tiempo, pigliarraje tre rotola de pommadore, le farraje cocere, e le passaraje; po piglia no terzo de nzogna, o doje mesurelle d'uoglio, lo faraje zoffriere co na capo d'aglio, e lo miette dint'a chella sauza. Doppo scauda doje rotola di vermicielli, e vierdi vierdi li levarraje, e nce li buote pe dinto: falle chini di pepe, miettence lo sale, e poi vide che magne”. Che in italiano sta a significare: Spaghetti al pomodoro. Quando è la stagione, prenderai 2,7 chili di pomodori, li farai cuocere e li passarai; poi prenderai 1 etto di strutto, oppure 2 decilitri di olio, lo farai soffriggere con una testa d’aglio e lo metterai dentro alla salsa. Lessa 1,8 chili di spaghetti, scolali quando sono al dente e buttali nella salsa; riempili di pepe, aggiungi il sale e vedrai cosa mangi.

Salta immediatamente all’occhio la modernità di questa preparazione in cui la semplice passata di pomodoro, viene insaporita unicamente da olio o strutto (a seconda del periodo dell’anno, se di grasso o di magro), aglio e pepe. A distanza di qualche decennio questo piatto godrà già di un’enorme fortuna anche fuori dai confini campani, conquistando il consenso dell’intera Penisola. E l’apertura definitiva verso l’estero sarà accelerata grazie alle innovazioni apportate dall’industria conserviera, che hanno reso la salsa di pomodoro disponibile tutto l’anno in un formato semplice da trasportare. Da questo momento in poi la pasta al pomodoro diventa un vero e proprio simbolo della cucina italiana.

 

a cura di Luca Cesari

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