Quantcast
Channel: Gambero Rosso
Viewing all 5335 articles
Browse latest View live

Sfera Agricola. La serra idroponica in Maremma che piace agli chef

$
0
0

Sfera Agricola gestisce nel cuore della Maremma la più grande serra idroponica e hi-tech d’Italia. Abbiamo fatto due chiacchiere con il founder Luigi Galimberti, che ci ha aperto un mondo.

 

Parliamo dell'idroponica che sfata ogni convinzione. Si tratta infatti di un settore dove la parola “standard” ha un'accezione puramente positiva, dove “stagionalità” non ha praticamente alcun senso (anzi, in maniera un po' forzata, è il motivo per il quale è nato il caporalato), dove “biologico” non è abbastanza. E dove, anche chi è allergico al nichel, può mangiare serenamente dei pomodori. Un settore, dunque, che scardina ogni ordine consolidato, e sul quale molte realtà italiane stanno investendo, come per esempio Ipom, che produce dei pomodori chiamati Pellerossa, Fri-El Greenhouse, un'azienda agricola in provincia di Bologna che produce pomodori Cuore di Bue, la startup romana The Circle che integrata l'idroponica all'allevamento di pesci. Oppure Sfera Agricola, che con i suoi 13 ettari ha costruito e gestisce da poco più di un anno, nel cuore della Maremma, la più grande serra idroponica e hi-tech d’Italia. Abbiamo intervistato il fondatore Luigi Galimberti.

I vantaggi dell'idroponica

Ne siamo sempre più convinti: l'idroponica è la chiave di volta per un futuro sostenibile. E le argomentazioni sono molteplici. Da una parte c'è tutto il discorso sulla sostenibilità ambientale, che abbiamo già ampiamente affrontato con l'aiuto di Giorgio Prosdocimi Gianquinto, professore di Orticoltura e Direttore del Centro Studi e Ricerche in Agricoltura Urbana e Biodiversità del Dipartimento di Scienze Agrarie dell’Università di Bologna (piccolo ripasso: rispetto alla coltivazione tradizionale c'è un risparmio di acqua fino all’80-90%, un uso efficiente dei concimi e un maggior controllo delle condizioni fitosanitarie). Dall'altra, questo tipo di coltivazione, fa fronte al grande problema dell'aumento della popolazione mondiale e, consequenzialmente, della contrazione di terra disponibile. Tutte argomentazioni che basterebbero già da sole a far propendere verso un futuro basato sull'idroponica, ma c'è di più.

serra idroponica

Una soluzione al problema del caporalato, a scapito della stagionalità

Dopo una piacevole chiacchierata con Luigi Galimberti, founder insieme al fondo di investimenti Oltre Venture di Sfera Agricola, abbiamo compreso quanto l'idroponica sia la soluzione a svariati problemi di natura differente. A cominciare dal tragico virus insito nel settore agricolo, ovvero il caporalato“Il 24 luglio abbiamo festeggiato un anno di attività e il primo milione di euro di fatturato – ci spiega Luigi – Un successo che conta anche 190 dipendenti assunti regolarmente in soli 360 giorni”.Come è possibile tutto questo? “Grazie alla nostra capacità di destagionalizzare i prodotti”. Lo sappiamo, può suonare bizzarro, ma ha la sua logica. “Nel momento in cui produci pomodori tutto l'anno, hai bisogno di lavoratori durante tutto l'anno, di conseguenza li devi contrattualizzare. Senza contare che parlare di “stagionalità” in un clima mediterraneo lascia un po' il tempo che trova perché, al di là del cambiamento climatico che sta cambiando anche le stagioni, ci sono prodotti che nel sentito comune sono estivi, come per esempio i pomodori, ma che in realtà in alcune regioni, vedi la Sicilia, si producono in inverno. Insomma: che cos'è la stagione? Qual è la stagione giusta? È una coperta troppo corta per i giorni nostri”.

Pomodori coltivati in idroponica

I pomodori e le insalate senza nichel

Ma scopriamo l'azienda di Luigi. Tre le coltivazioni di Sfera Agricola: lattuga, pomodoro e basilico. “Abbiamo due tipi di pomodoro, il piccadilly e il datterino, tutti con 13/14 brix di dolcezza”. Che cosa determina la dolcezza? “Sicuramente la scelta genomica, quindi la scelta della varietà, poi i nutrienti dati nella misura giusta grazie all'agricoltura di precisione”. Gli ingredienti di cui parla sono semplicemente azoto, fosforo e potassio che, insieme alla luce, sono la base della fotosintesi. “Siamo maniacali, compriamo i migliori nutrienti sul mercato e, non contenti, li analizziamo per accertare la totale assenza di mercurio, cromo e nichel”. Tutti i loro prodotti sono a residuo zero, e dunque idonei anche per chi è allergico al nichel. Sul fronte insalate “l'obiettivo è riuscire a produrre verdure a foglia saporite, stiamo prendendo molta ispirazione da paesi come Giappone, Cina, Korea, nei quali c'è una cultura diversa sugli ortaggi da foglia. Ce lo chiedono gli stessi chef”. Attualmente collaborano, oltre agli chef locali, con Valeria Piccini, Fulvietto Pierangelini e Cristina Bowerman. Tutti uniti nell'esigenza di avere un prodotto qualitativamente sempre al top.“Noi garantiamo pomodori costanti, sia per dimensioni che per sapore, durante tutto l'anno”. Un prodotto standard, dove “standard” ha un accezione puramente positiva.

La serra idroponica di Sfera Agricola

Il recupero di varietà destinate a scomparire

Nel frattempo, in collaborazione con l'Università di Pisa, stanno recuperando anche alcune varietà destinate a scomparire. “Proprio mentre sono al telefono con voi, ho sulla mia scrivania dei semi di un pomodoro toscano antico che andremo a coltivare in idroponica”.Ovvio, la parte della sperimentazione è marginale e rappresenta un puro investimento, senza che vi sia un effettivo guadagno, ma ciò consente di capire se vi possa essere, dietro certe varietà, una sostenibilità economica. “Abbiamo messo a coltivazione i pomodori pisanello e canestrino, entrambi con alto contenuto polifenolico, ma che rischiano comunque di scomparire, vuoi perché sono poco produttivi, e il consumatore non è disposto a pagare di più nonostante siano varietà particolari, vuoi per via delle caratteristiche del pomodoro stesso, che ne determinano l'insuccesso commerciale. Il pisanello, per esempio, è cremoso – era quello che si schiacciava sul pane sciocco fino a far scomparire la buccia - e con la buccia fina. Queste caratteristiche non lo rendono idoneo al trasporto e alla vendita negli scaffali dei supermercati, nei quali rischia di arrivare distrutto. Forse, con un packaging adatto, le cose cambierebbero”.Un altro tema a loro caro è, per l'appunto, il packaging.“L’obiettivo di Sfera è quello di creare un marchio e dei brand riconoscibili e portatori dei valori in cui il consumatore può identificarsi. Stiamo anche lavorando per una certificazione che vada oltre il biologico, e che attesti il residuo zero”.

Dove trovare i loro prodotti

Attualmente con il marchio “Sfera Agricola” potete trovare i loro prodotti nella grande distribuzione. Poi, nel fine settimana, organizzano la vendita diretta in azienda, “è un'iniziativa attivata principalmente per i nostri dipendenti, che poi sono i nostri primi consumatori”. E i prodotti quanto costano al consumatore finale? “La confezione da 250 grammi di datterini esce da 1,49 a 1,79 €, un prezzo allineato agli standard di mercato grazie ad un'economia di scala”.

 

Sfera Agricola – Gavorrano (GR) - loc. case gigliaie - 339 582 9895 - sferagricola.it

 

a cura di Annalisa Zordan

 


Grande degustazione Mezzacorona a Roma. I vini dell'azienda trentina al Chorus Cafè

$
0
0

Una serata per scoprire le peculiarità di due differenti territori, il Trentino e la Sicilia attraverso 17 etichette. Finger food, atmosfera di festa, banchi d'assaggio allestiti per l'occasione. È il programma di una serata romana dedicata agli appassionati di vino al Chorus Cafè. 

 

L'appuntamento è per il 16 ottobre, a Roma. I vini in degustazione, però sono espressione del Trentino e della Sicilia riuniti sotto l'egida di Mezzacorona: 17 etichette protagoniste ai banchi d'assaggio allestiti per una sera negli spazi del Chorus Cafè, presso l'Auditorium di via della Conciliazione. L'evento, organizzato dal Gambero Rosso, si propone infatti di far scoprire a stampa e appassionati le peculiarità di due diversi territori vinicoli, entrambi estremamente vocati, nel corso di una serata di festa che si protrarrà dalle 19 alle 23, in abbinamento a finger food e sfizi da accompagnare ai vini in degustazione. Tre i marchi del Gruppo coinvolti nell'iniziativa: Castel Firmian e Rotari dal Trentino, Feudo Arancio dalla Sicilia. Il costo del biglietto, acquistabile online sullo store del Gambero Rosso, è di 15 euro a persona. Di seguito l'elenco delle etichette in degustazione:

 

Rotari

  • Cuvée 28+ Brut

  • AlpeRegis Rose’ Brut millesimato 2013 Trentodoc

  • AlpeRegis Extra Brut millesimato 2012 Trentodoc

  • AlpeRegis Pas Dose’ millesimato 2011 Trentodoc

  • Flavio Riserva Brut millesimato 2009 Trentodoc

 

Mezzacorona Castel Firmian

  • Pinot Grigio Trentino Doc Riserva 2016

  • Muller Thurgau Trentino Doc Superiore 2017

  • Gewurztraminer Trentino Doc Superiore 2017

  • Nerofino Vigneti delle Dolomiti Igt 2015

  • Teroldego Rotaliano Doc Riserva 2013

  • Dabèn Moscato Rosa Trentino Doc 2016

 

Feudo Arancio

  • Grillo Sicilia Doc 2017

  • Tinchitè Sicilia Doc 2017

  • Dalila Sicilia Doc 2016

  • Cantodoro Sicilia Doc 2014

  • Hedonis Sicilia Doc Riserva 2015

  • Hekate Passito Terre Siciliane Igt 2014


> PARTECIPA ALL'EVENTO



In collaborazione con 

Guida al mangiar bene a Budapest. Piatti tipici, ristoranti, dolci e caffè da non perdere

$
0
0

La capitale ungherese continua a richiamare turisti da ogni dove, incuriositi dalle antiche architetture di Buda e dalla movida notturna della vivace Pest. Ma anche da una scena gastronomica ricca, tutta da scoprire. 

 

Buda e Pest. Città vecchia e nuova. Un dualismo che accompagna la sua evoluzione urbanistica, ne segna la fama e la identifica nel tempo come uno dei gioielli dell'Europa dell'Est. Osservare la città nel suo insieme aiuta a comprenderne l'atmosfera elegante e rilassata, lo spirito discreto ma ospitale dei suoi abitanti: non divisa, ma rafforzata dal confronto tra Buda e Pest, facce diverse della stessa anima, la capitale ungherese preserva un incredibile patrimonio artistico, dagli edifici del nucleo antico alle opere più moderne.

 

Chiesa di San Mattia, Budapest

A Buda, fra castelli e bastioni

In principio, in verità, erano tre i singoli anelli che poi si sono congiunti fino a formare l'attuale metropoli: Óbuda, oggi quartiere che conserva resti di insediamenti umani dell'età della pietra, Buda e Pest. E un viaggio in città non può che cominciare dalla prima capitale del regno d'Ungheria, almeno fino alla conquista ottomana del 1541: arroccata su una collina, Buda sorveglia dall'alto il Danubio, con lo storico Castello dei re ungheresi a dominare la scena sul lato a più sud.

 

Ponte delle Catene

Per raggiungerla, si attraversa il suggestivo Ponte delle Catene, costruito proprio per celebrare l'unione fra i due lati opposti del fiume nel 1873, prima di prendere la funicolare per arrivare al Castello. Il percorso, qui, si fa strada tra chiese – quella di Mattia, di straordinaria bellezza con le sue architetture gotiche e neogotiche – mura difensive che circondano la Città Vecchia ferma nel tempo, immersa in un'atmosfera medioevale, e il Bastione dei Pescatori, fortezza dal carattere fiabesco da cui si gode di una delle viste più belle sul fiume.

 

Parlamento di Budapest

Pest, fra arte e natura

L'antica anima di Buda spesso porta i turisti a trascurare il lato artistico di Pest, famosa per la sua vita notturna e la celebre via dello shopping, Vaci Utca. Eppure, la parte più moderna della città ha molto da offrire agli amanti dell'arte: c'è il quartiere ebraico, con i suoi dedali di stradine costellate da negozi e ristoranti di cibo kosher e l'imponente Sinagoga, la più grande d'Europa; il Palazzo del Parlamento, costruito sul modello di quello londinese, tanto affascinante di giorno quanto di notte, da ammirare illuminato attraversando il fiume sul battello. E poi il Palazzo Gresham, fra i migliori esempi di Art Nouveau, la Basilica di Santo Stefano, la più grande delle chiese di Budapest.

 

Isola Margherita, Budapest

Per gli amanti della natura, c'è anche un cuore verde che sorge nel bel mezzo del Danubio: è l'Isola Margherita, un'oasi naturale di 100 ettari servita da mezzi pubblici ma accessibile solo a pedoni e biciclette. Stazione termale degli antichi romani prima, spazio di chiese e conventi poi, nel Medioevo. Oggi, è “l'isola dove l'amore nasce e finisce”, come recita il proverbio ungherese, un luogo magico dove trascorre una giornata di relax, fra fontane che zampillano a ritmo di musica, roseti e un teatro all'aperto.

 

Szimpla Kert, ruin pub

La tradizione dei ruin pub

È la sera, però, che Pest si risveglia, con i suoi locali d'avanguardia, dal design ricercato e l'offerta ampia, ma anche i suoi giardini nascosti nelle incanalature delle strade più trafficate, dove gustare una birra fresca seduti ai tavolini all'aperto, fra piante e fiori. Da non perdere, poi, i ruin pub, edifici in rovina e abbandonati, triste eredità del regime sovietico che, da una decina di anni a questa parte, gli ungheresi hanno saputo trasformare, rendendoli uno dei punti di forza della città. Recuperati e convertiti dapprima in pub di basso profilo, in seguito in locali di tendenza, oggi sono entrati di diritto a far parte delle attrazioni principali di Budapest. Fra i pionieri di questa moda, il Szimpla Kert, nel quartiere ebraico, suddiviso in più spazi e distribuito su due livelli, con un giardino, vari angoli bar dedicati a distillati, cocktail, birre alla spina e vini alla mescita, sedie diverse fra loro e panche ricavate da vecchie vasche da bagno, con differenti tipi di musica a seconda dell'ambiente.

 

Mazel Tov

Per un'atmosfera più intima e rilassata, a pochi passi di distanza c'è il Mazel Tov, un'ex fabbrica dismessa riadattata in stile minimal, un grande giardino circondato da edere rampicanti, che offre una buona selezione di grappe e distillati locali (da quello alla pera al mela e cannella), birre in bottiglia e alla spina, vini e una cucina di stampo ebraico di tutto rispetto.

 

Mercato Centrale di Budapest

Il Mercato Centrale: prodotti tipici e street food locale

Per un pasto veloce e soprattutto un tour gastronomico fra i sapori del luogo, imperdibile una tappa al grande Mercato Centrale (Nagycsarnok), proprio alla fine della famosa Vàci Utca. Si tratta del più antico mercato coperto della città, costruito a fine Ottocento, distrutto durante le guerre e restaurato nel 1990. Oggi, il mercato vale una visita non solo per il suo stile architettonico neogotico, con il tetto in piastrelle Zsolnay, le celebri porcellane della città di Pécs, ma anche per la ricca offerta all'interno.

 

Peperoni al Mercato Centrale di Budapest

Al piano terra, banchi colmi delle tante specialità locali, dalla paprica al peperoncino, dal foie gras alle salsicce di mangalica, la razza suina da cui derivano la maggior parte dei salumi tradizionali, il vino Tokaji, i dolci profumati di burro e cannella, antica traccia dell'Impero Austro-Ungarico.

 

Langos, Mercato Centrale di Budapest

Al piano superiore, invece, un assaggio del cibo da strada locale, con gli stand intenti a friggere làngos, una sorta di pizza originariamente cotta nella brace (il termine làng significa, appunto, fuoco), oggi immersa in olio bollente e condita con gli ingredienti più disparati: salsicce di maiale, panna acida e formaggio, salumi, verdure, ma anche confetture e creme per la versione dolce.

 

Pasticceria ungherese

A colazione, con dolci artigianali e caffè specialty

E a proposito di dolci: Budapest è un vero paradiso per golosi, un tempio del gusto che nel tempo ha saputo adattarsi a ogni esigenza, proponendo un'offerta variegata e in grado di soddisfare qualsiasi bisogno, passando dall'alta pasticceria ai dolcetti da passeggio da assaporare a spasso per la città. Al mattino, ai dolci classici si affiancano caffè espressi, filtro e cappuccini di livello. Anche nella capitale ungherese ha preso piede ormai da tempo la tendenza dei caffè specialty, i chicchi di qualità superiore trattati con cura, tostati a puntino ed estratti con una meticolosità che ricorda i vecchi mestieri artigianali di un tempo. Ecco quali sono gli assaggi imperdibili per una colazione d'autore.

 

Dobos

Dobos: la più famosa delle torte locali, inventata nel 1884 dal pasticcere József C. Dobos in occasione dell'esibizione nazionale generale di Budapest dell'anno successivo. Semplicemente, un (altamente calorico) inno ai sapori più intensi: sei strati di pan di Spagna alternati a una setosa crema di cioccolato e burro, il tutto ricoperto da uno strato di caramello, con nocciole tritate, castagne, noci o mandorle a decorare il bordo. Una delle più apprezzate è quella del Café Gerbeaud, la caffetteria in stile Gründerzeit, imponente con la sua facciata decorata e gli interni rococò, che domina la piazza di Vörösmarty Tér.

 

Kürtőskalács

Kürtőskalács: anche detto il “camino dolce”, protagonista di fiere, mercati, manifestazioni e delle tante piazze della città, per via della sua forma pratica e facile da mangiare camminando. Come si intuisce dal soprannome, la pasta lievitata e soffice viene arrotolata attorno a un cilindro di legno prima di essere cotta in forno o fritta, e poi ricoperta di cioccolato, cacao, zucchero e cannella o qualsivoglia goloso ingrediente per insaporire ancora di più la dolce spirale.

 

Zserbo

Zserbó: sembra che gli ungheresi amino molto le torte a strati. La Zserbó, nata dall'estro di Emil Gerbeaud dell'omonima pasticceria, è un dolce composto da diversi strati di frolla farciti con confettura di albicocche, noci e cioccolato.

 

Somloi galuska

Somlói Galuska: cioccolato e panna montata: può esistere abbinamento migliore? Per omaggiarlo, la torta di pan di Spagna al cioccolato spezzettata o suddivisa a strati e ricoperta di tanta panna fresca, ancora decorata con cioccolato fuso. A idearla, alla fine degli anni '50, il sedicenne caposala del ristorante Gundel, Gollerits Charles.

 

Placsinta

Palacsinta: una sorta di crêpe, ma senza burro, ripiena di confetture, cioccolato o altre creme dolci, arrotolata e guarnita con zucchero a velo, cacao o panna montana. Diffusa in tutta l'area mitteleuropea, è particolarmente apprezzata in Ungheria.

 

Flodni

Flódni: durante una passeggiata nel quartiere ebraico, non può mancare un assaggio del Flódni, tradizionale dolce della comunità ebraica ungherese, un tortino di noci, papavero e mela, ideale per uno spuntino sostanzioso.

 

Racozi ter

Rákóczi túrós: uno strato di pasta frolla sottile e un blocco compatto ditúrós, una sorta di ricotta ungherese, ricoperto da un ultimo strato di meringa: una torta nata a inizio Novecento e rimasta da allora uno dei grandi classici della pasticceria locale.

 

Esterhazy

Eszterházy: ancora strati, stavolta 5, di dacquoise alle mandorle e noci o nocciole, intervallati da una crema al burro aromatizzata al kirsch (acquavite ricavata dalle ciliegie) e alla vaniglia, e sormontati da una glassa di zucchero decorata con il classico motivo a ragnatela. Una torta dall'animo nobile, creata all'interno del Castello di Eisenstadt, alla corte degli Esterházy, fucina di piatti e specialità che nel tempo hanno fatto la storia della cucina nazionale.  

 

girelle alla cannella

Fahéjas csiga: una brioche che ha riscosso successo in ogni dove e che è stata replicata in vari modi: con o senza glassa, di forma tonda o squadrata, più o meno alta, ma sempre profumata e fragrante. È il kanelbulle, la celebre girella ripiena di zucchero e cannella presente nella maggior parte dei paesi Nordeuropei e in tutti gli Stati Uniti, arrivata ormai da tempo anche a Budapest, dov'è conosciuta come fahéjas csiga. Diversi i gusti disponibili: cioccolato, cannella e lamponi, miele e cannella e molti altri ancora.

Dove bere caffè specialty

 

Espresso Embassy

Espresso Embassy: in pieno stile Third Wave, tutto legno e acciaio, con un assortimento di dolci biologici e proposte vegane da far venire l'acquolina in bocca anche al meno goloso. Ma è il caffè a farla da padrone, con una selezione di monorigine specialty declinati in ogni sfumatura, dall'espresso al v60.

Arany János utca, 15 - www.espressoembassy.hu

 

Kelet

Kelet Café: anche Buda vanta un'insegna moderna dal design contemporaneo. È il Kelet Café, che ai tanti tè in assaggio (nero, verde, matcha, oolong) e al caffè tostato in casa servito in espresso, filtro o – metodo più apprezzato – alla turca, abbina una vasta scelta di pietanze di ispirazione mediorientale.

Bartók Béla út, 29 - www.facebook.com/keletkavezo/

 

Madal

Madal Cafe: il tempio delcold brew– caffè estratto a freddo – a Budapest, ma non solo: il Madal è il luogo ideale per una pausa lontana dai ritmi frenetici della quotidianità, da vivere in pieno relax con una tazza fumante di espresso o un buon cappuccino perfettamente decorato secondo i dettami della Latte Art. Attualmente, l'azienda conta ben tre sedi sparse in città.

Ferenciek tere, 3 Hollán Ernő u. 3 Budapest, Alkotmány u. 4 - madalcafe.hu/

 

Warmcup

WARMCUP: uno spazio che coniuga arte e cibo, da un lato caffetteria, dall'altro il cinema-teatro. L'espresso, preparato con i chicchi della torrefazione ungherese Casino Mocca, è a prova di buongustaio, dal profilo aromatico sfaccettato e il gusto persistente, ma una nota di merito va anche al reparto tè e tisane, dove le foglie vengono infuse con la French Press.

Erzsébet körút, 39  www.facebook.com/warmcupbudapest/

 

Mantra Specialty Coffee

Mantra Specialty Coffee Bar: meta d'elezione per tutti gli amanti dell'oro nero, che qui potranno trovare ottimi caffè espressi, cappuccini dalla crema setosa e omogenea decorati alla perfezione, e ottimi caffè filtro. Particolarità del locale, l'utilizzo della Gina, speciale strumento d'avanguardia per il filtro che si collega direttamente a un'applicazione del cellulare.

Veres Pálné utca, 17 - mantracoffee.hu

 

My little Melbourne

My Little Melbourne: fra i primi a introdurre il concetto di specialty a Budapest, un bar di ricerca nel cuore del quartiere ebraico, che nel tempo ha inserito anche un angolo brewing dedicato esclusivamente al caffè filtro, dal v60 al cold brew.

Madách Imre út, 3 - www.mylittlemelbourne.hu

 

Fekete

Fekete Café: granola, quiche, yogurt con frutta, pancakes e altre specialità anglosassoni sono le regine indiscusse del bancone del Fekete Café, uno spazio curato con dettagli in marmo e un suggestivo cortile con tavolini all'aperto. Qualsiasi sia l'estrazione scelta, il caffè non deluderà gli amanti del genere.

Múzeum krt., 5 - feketekv.hu/

 

Cube Coffee Bar

Cube Coffee Bar: uno degli ambienti più intimi e accoglienti, caratterizzato da uno stile unico e di carattere. Il piccolo locale di Hunyadi Ter è l'indirizzo perfetto per una colazione all'insegna del relax. Parola d'ordine qui è sostenibilità: posate e piatti compostabili, latte della fattoria Maszlik, appena fuori Budapest, e caffè (specialty) biologico e fairtrade, oltre a una selezione di dolci vegani e per celiaci. Ottime anche le proposte classiche, a cominciare dalla squisita girella lievitata con cannella e lamponi disidratati, per finire con la torta al cioccolato senza glutine.

Hunyadi tér, 8 - cubecoffeebar.com

 

Bluebird

Blue Bird Cafe: punto di forza del locale è la ricercata offerta di caffè tostato in casa: 11 diversi tipi di singole origini 100% arabica, interpretate in maniera impeccabile sia nella versione espresso che in filtro, cavallo di battaglia del bar.

Dob u., 16 - www.facebook.com/bluebirdcafehungary/

 

9Bar

9 Bar Café: un divano in pelle che percorre l'intero locale, tanti tavolini in legno, pareti di mattoni che contrastano armoniosamente con i dettagli minimal della caffetteria e un angolo bar dall'ampio bancone colmo di dolci golosi. Ma una sosta al 9 Bar Café, a pochi passi dalla Basilica di Santo Stefano, è d'obbligo anche e soprattutto per il gusto pieno ed elegante dei caffè espresso, estratti in maniera impeccabile, e l'aromaticità persistente e profonda delle bevande in filtro. Per la colazione, da non perdere un assaggio della cheesecake al caramello e la carrot cake.

Lázár utca, 5 - www.facebook.com/9barbudapest/

Dove mangiare a Budapest

Ristoranti tradizionali, bistrot, romantiche cene a bordo del battello sul Danubio, street food, tanta cucina vegana – nata in tempi recenti per via di una sempre più diffusa clientela internazionale, proprio in contrapposizione alla solida e robusta tradizione carnivora locale – ruin pub e mercati gastronomici. Sarà l'affluenza sempre più compatta di viaggiatori da ogni dove in arrivo in estate per il celebre Sziget Festival, sarà per l'atmosfera da favola che la città fluviale assume al tramonto, colorandosi di toni incantevoli che rinfrancano gli animi, o per quella mozzafiato che di notte abbaglia, affacciandosi in riva al fiume dalla parte di Pest, ammirando gli antichi edifici di Buda illuminati sulla collina e il solenne Ponte delle Catene a fare da cesura tra le due sponde, ma il clima a Budapest si fa sempre più cosmopolita. E così anche la sua ristorazione, poliedrica e per tutte le tasche, che convince con proposte semplici ma ben elaborate. Dall'iconico gulash, lo spezzatino di carne che ha fatto il giro del mondo, ai piatti dal respiro più internazionale, ecco una lista di insegne da appuntare in agenda per un pasto di livello nella capitale ungherese.

 

Street Food Karavan

Street Food Karaván: polo gastronomico di successo che ha puntato tutto sulla formula dello street food. Non lontano dalla Sinagoga, è lo spazio all'aperto ideale per assaggiare piccole porzioni di piatti tipici ungheresi a prezzi contenuti, scegliendo fra i tanti chioschi a disposizione. Presenti anche panini, proposte vegane e hamburger.

Kazinczy u., 18 - www.facebook.com/streetfoodkaravan/

 

Vegan Garden

Vegan garden: aperto da pochi mesi, questo paradiso per vegani non ha tardato a raccogliere l'entusiasmo del pubblico. Nel ghetto ebraico, un giardino curato dove mangiare all'aperto su tavoli di legno, circondati da piante e alberi in fiore, gustando specialità di ogni genere, dalla pizza ai dolci, in grado di conquistare il palato di tutti.

Dob utca, 40 - vegangarden.hu

 

Mak Bistrot

Mák Bistro: gli arredi senza fronzoli e il gusto funzionale del locale potrebbero tranne in inganno, ma la cucina del Mák bistrot è tutt'altro che rustica: piatti fortemente influenzati dalla tradizione spagnola e italiana, verdure fermentate, taglieri di specialità locali e tante proposte contemporanee e di gusto accessibili a tutti (il menu degustazione del pranzo costa attorno ai 10 euro).

Vigyázó Ferenc utca, 4 - www.mak.hu 

 

21

21 - Magyar Vendéglő: principalmente frequentata per via del suo patrimonio artistico, Buda ha negli anni ha sviluppato e diversificato meno la propria offerta gastronomica. Ma non mancano le dovute eccezioni, come 21 -Magyar Vendéglő, insegna classica dalla cucina semplice ed essenziale che riprende le grandi ricette della tradizione ungherese, dal gulash al pollo alla paprica.

Fortuna u., 21 - www.21restaurant.hu

 

Mazel Tov

Mazel Tov: senza dubbio il più ricercato dei ruin pub, dallo stile molto diverso rispetto agli altri locali, che sono invece rimasti ancorati a una natura più ibrida e spartana. La tavola trae ispirazione dalla cultura mediorientale, quindi via libera a falafel, cous cous, insalate e pita, il tipico pane ripieno di carne, disponibile anche nella variante vegetariana.

Akácfa utca, 47 - mazeltov.hu

 

Colombus

Colombus Restaurant & Pub: oltre ai prezzi accessibili, un altro vantaggio della ristorazione di Budapest è la mancanza di “trappole per turisti”. La maggior parte dei locali cittadini, infatti, sono a prova di straniero: è difficile incappare in un locale dai prezzi spropositati, giustificati solamente dalla posizione privilegiata. Qui, si mangia bene anche nelle zone più mondane. Ne è un esempio la lunga lista di ristoranti a bordo fiume che consentono di gustare una cena sul battello beandosi del panorama circostante. Attenzione, però: non stiamo parlando dei tour con cena inclusa, ma di veri wine bar e ristoranti costruiti sulle imbarcazioni. Il Colombus Pub, per esempio, che si distingue dagli altri per il carattere rustico e una cucina solida e piacevole: vero pub all'inglese all'ingresso, con lungo bancone in legno incastonato fra toni scuri, e cucina d'autore al livello superiore all'aperto, con vista impagabile del Palazzo di Buda, il Ponte delle Catene e, un po' più a destra, il Parlamento di Pest. Per i piatti, si va dalle formule più semplici e golose, come l'hamburger di razza grigia ungherese, alle zuppe della tradizione rivisitate, come quella con porri e gamberi. E poi maiale di mangalica di prima scelta, declinato in tante varianti diverse, bistecche di manzo con foie gras (anche questo presente nel menu in tante sfumature) e polpette di pane, per finire con dessert che pescano dalla tradizione austro-ungarica i sapori migliori.

Vigadó tér, 4 - www.columbuspub.hu

a cura di Michela Becchi

 
 
 
 

L'Isola del Tesolio: a Mazara del Vallo per riflettere sul futuro dell'extravergine di oliva siciliano?

$
0
0

Durante il convegno L’Isola del Tesolio, svoltosi a Mazara del Vallo, si è fatto il punto sullo stato dell’arte del comparto olivicolo dell’isola.

 

Olea prima omnium arborum est” (l'ulivo è la più importante fra le piante): così Columella nel suo De Rustica. Siamo nel I secolo d.C., l’olio di oliva ancora non veniva utilizzato nell’alimentazione, eppure era già un prodotto molto diffuso (per uso cosmetico, per la saponificazione, o come medicamento). Attualmente il consumo di olio di oliva, a livello mondiale, è pari a 2,95 miliardi di chili (dati relativi al 2017), la metà dei quali nei paesi Ue. I maggiori consumatori sono gli italiani con 557 milioni di chili, seguono gli spagnoli con 470 e gli Usa (315 milioni di chili). Numeri che, negli ultimi 25 anni, hanno subito un incremento del 49% e che sembrano destinati a crescere ancora. I benefici della dieta mediterranea, infatti, (riconosciuta dall’Unesco come bene orale e immateriale dell’Umanità nel 2010) si stanno diffondendo in tutto il mondo e così il consumo di olio d’oliva, fra i protagonisti di questo modello nutrizionale. Gli italiani continuano a essere i maggiori consumatori, eppure, con solo 370 milioni di chili prodotti, sono ben lontani dal riuscire a soddisfare il fabbisogno interno. Nel Belpaese, la produzione si ferma a 370 milioni di chili, mentre quelli importati sono 500 milioni. Primo produttore mondiale è la Spagna, che copre anche i 2/3 della nostra importazione. Eppure, l’Italia è il Paese che può vantare il maggior numero di cultivar: se ne contano più di 500, contro le 138 presenti in Spagna. Si può affermare dunque che il 40% delle varietà coltivate di olive da olio si trovi in Italia. Nonostante questa immensa ricchezza del territorio, il gap fra consumo e produzione di olio nel nostro Paese rimane significativo.

 

La Sicilia dell’olio e il Co.Fi.Ol

La Sicilia è il terzo produttore nazionale di olio, dopo Puglia e Calabria. Sono ben 150 le cultivar presenti nella regione, 619 i frantoi oelari, sei le Dop nelle province di Trapani, Palermo, Messina, Catania e Ragusa. Nel 2016 l’olio extravergine di oliva siciliano è stato riconosciuto a indicazione geografica protetta. extravergine che, è bene ricordarlo, si distingue dall’olio vergine di oliva non soltanto per il grado di acidità (che non deve superare 0,8gr per 100gr), ma anche per le caratteristiche organolettiche riscontrabili tramite un Panel test, ovvero un esame sensoriale. Proprio di extravergine si è discusso nel corso della XII edizione del convegno “L’Isola del Tesolio” svoltasi lo scorso 8 settembre a Mazara del Vallo, e promossa dal Co.Fi.Ol., il consorzio della filiera olivicola. Questo consorzio è stato fondato nel 2011 da Manfredi Barbera (imprenditore del settore a capo di un’azienda che produce olio extravergine siciliano da quattro generazioni), che lo ha presieduto per dieci anni. Fra i principali obiettivi, quello di sostenere la coesione e lo sviluppo della filiera olivicola siciliana. In questa direzione, il Co.Fi.Ol promuove l’associazionismo fra i vari attori del comparto, dai frantoiani ai coltivatori, fino alle piccole e medie aziende.

 

L’Isola del Tesolio

I numeri ci mostrano come le potenzialità del comparto olivicolo in Sicilia siano estremamente elevate, proprio per questo si è sentita l’esigenza di dedicare un’intera giornata a questo tema, per poter riflettere e confrontarsi sulle prospettive future e, soprattutto, sulle strategie da mettere in atto per fornire nuovi stimoli di crescita al settore. Nel corso del convegno, si è partiti dal tema centrale del dibattito, ovvero l’utilizzo dell’olio extravergine d’oliva a marchio Igp Sicilia all’interno della dieta mediterranea, fino a fare il punto sullo stato dell’arte dell’intero settore. “La grande eredità che ci ha lasciato il nostro territorio” ha dichiarato Alessandro Chiarelli, presidente Co.Fi.Ol “ha dato i suoi frutti, ma non è più sostenibile. Le nostre aziende oggi hanno l’esigenza di cambiare passo, che vuol dire innanzitutto andare verso un ammodernamento degli impianti”. Chiarelli ha anche sottolineato la “necessità di misure che prevedano un rapporto di partenariato fra agricoltori e frantoiani, perché è difficile riuscire a chiudere la filiera da soli”. Esigenza sottolineata anche da Francesco Tabano, Presidente Federolio, secondo il quale “si dovrebbe riuscire a collaborare in una sorta di staffetta organizzata che dal primo che prende il testimone (l’agricoltore), arrivi fino a chi taglia il traguardo, ovvero chi mette il prodotto in commercio sugli scaffali”. Per far fronte alla crescente richiesta mondiale di olio extravergine di oliva, inoltre, è “necessario aprirsi a un’agricoltura moderna, senza abbandonare la nostra storia, la nostra cultura, i nostri paesaggi”. Anche Paolo Inglese (Professore ordinario di scienze agrarie, alimentari e forestali presso Università degli Studi di Palermo) nel suo intervento ha voluto evidenziare come uno dei maggiori problemi della produzione olearia siciliana sia “la totale mancanza di ammodernamento degli impianti negli ultimi cinquant’anni”. Necessario, a suo parere “saper coniugare i volumi alla qualità, per non continuare a produrre economie residuali”. In questo senso, si può pensare, per esempio, all’utilizzo di “adeguamenti tecnologici differenziati a seconda delle cultivar”. Per riuscire ad essere competitivi sul mercato internazionale, continua Inglese, “è necessario produrre olio extravergine di ottima qualità, contenendo i prezzi: questa la sfida che la Sicilia deve raccogliere, pensando, per esempio, di formare nuove figure professionali come quella dell’oleologo che, al pari dell’enologo per i vini, si occupi di sperimentare e creare dei blend di olio”.

 

a cura di Valentina Ferraro

 

 

Laboratorio Pane a Castel di Sangro. Il dietro le quinte della fucina di Niko Romito

$
0
0

Da qualche mese lo spazioso laboratorio del pane alle porte di Castel di Sangro – oggi completato dal progetto Alt – si è messo in moto per standardizzare la produzione senza rinunciare ad anni di studio e sperimentazione sul prodotto. Niko Romito ci porta a scoprirlo. 

 

Nasce prima il pane, poi l'azienda”. Inizia così il racconto. E non potrebbe essere più naturale il percorso che ha portato Niko Romito a muoversi nello spazio che, da qualche mese a questa parte, gira operoso, non distante dall'ex convento di Casadonna, per supportare una produzione divenuta collante delle attività che lo chef abruzzese gestisce ormai in diverse città d'Italia (e del mondo). Laboratorio Pane è il dietro le quinte di Alt, e non solo. La fucina che resta nascosta agli occhi, e invece è cuore pulsante di un sistema che nella panificazione ha trovato il suo linguaggio universale. Dietro ci sono anni di studio sul prodotto, fino a trovare la ricetta perfetta per il pane ideale, quello che rivendica una dignità propria, e conquista un posto (d'onore) tra le portate del menu del Reale. E ora la chiusura di un cerchio che ne apre altri, potenzialmente infiniti: al Laboratorio, dove lo spazio non manca e la tecnologia aiuta a standardizzare la qualità, il forno elettrico a 4 bocche sforna 120 pagnotte ogni 50 minuti. Farine locali, alta idratazione (al 95%), 36 ore di lievitazione, e poi la cottura, prima di abbattere il prodotto a -20 gradi, così che si possano preservare tutte le sue qualità, fino a rigenerazione.

La distribuzione in tutta Italia

Perché è questo il futuro (già presente) del progetto Pane di Niko Romito: portare il prodotto a chi sa apprezzarlo, ovunque in Italia. È Niko a raccontarcelo in prima persona, a pochi giorni dal perfezionamento dell'ennesimo traguardo: con la produzione entrata a regime, e un centro di stoccaggio e smistamento già predisposto a Roma, dal 21 settembre si è messa in moto la logistica per la vendita al pubblico, per il momento sul circuito Ho.re.ca., con consegna disponibile entro 48 ore in tutta la Penisola. Per ricevere il pane di Castel di Sangro, però, ristoratori e addetti ai lavori interessati dovranno prima passare per il laboratorio centrale, per formarsi su come trattare il pane, rigenerarlo e tagliarlo perché possa regalare a chi lo mangia la fragranza originale.

 

a cura di Livia Montagnoli

video di Saverio De Luca, montaggio di Martina Molle

Pillole dal Salone del Gusto 2018. Si continua in dolcezza, tra gianduiotti e torrone

$
0
0

Comincia il weekend del Salone del Gusto, e Torino continua a svelare poco a poco tutte le sorprese in programma. Bella l’atmosfera fuori dal Salone, tante le nuove scoperte gastronomiche e gli ospiti importanti. Le nostre pillole. 

 

Marco Bianchi & Life

Ha radunato una piccola folla la presentazione di Marco Bianchi, il food-mentor e divulgatore scientifico della Fondazione Umberto Veronesi, del suo “ricettario” Dentro al guscio, un viaggio fra le virtù della frutta secca e disidratata, così preziosa per la salute. Scenario lo stand di Life, storica azienda italiana che dal 1940 si dedica alla produzione di frutta secca di qualità ed è partner della Fondazione Veronesi. Come ha spiegato Mario Sacchi, 4° generazione della famiglia che dirige l’azienda “con il supporto dei ricercatori della fondazione abbiamo selezionato dieci prodotti di frutta secca e disidratata e abbiamo creato la linea Lifestyle” presentata al Salone insieme alla nuova linea Valore al Territorio, selezione di frutta secca e disidratata dai territori più vocati, in collaborazione con la fondazione Slow Food per la Biodiversità.

“Dentro al guscio” di Marco Bianchi è scaricabile gratuitamente dal sito www.lifeitalia.com

Un torrone inedito

Basano Coraglia è una piccola azienda familiare che produce un eccellente torrone, in modo totalmente artigianale, fra le colline di San Damiano d’Asti. Il sogno, sdoganare il torrone dal periodo limitato delle feste di fine anno, e farlo diventare un piacere di festa tutto l’anno. Ultimo nato, presentato al Salone del Gusto, il torrone morbido al limone e allo zenzero, il primo che utilizza lo zenzero nell’impasto: il che rende il sapore piacevolmente insolito e “pulito”.

www.torronebasanocoragiia.it

 

Il gianduiotto punta all’IGP

Presentato in un evento off del Salone al Circolo dei Lettori il progetto del Gianduiotto Torino Igp: il cioccolato gianduia è nato in Piemonte, la nocciola Piemonte è Igp, il gianduiotto è storicamente torinese e l’idea è quella di tutelare il prodotto con un disciplinare rigoroso. Per ora è stato creato un comitato costituito da pasticceri e cioccolatieri (Bodrato di Novi, Barbero di Asti, Ugetti, Vacchieri, Peyrano, Peirano Fiagiolo e Guido Castagna e l’avvocato produttore di nocciole Antonio Borra). Ma come ha spiegato Castagna “le porte sono aperte a tutte le aziende, piccole e grandi, che vogliano aderire, purché rispettino le regole del disciplinare”.

 


Alessandro Spoto e il made in Italy nel Bronx

Alessandro Spoto, torinese di origini siciliane, panettiere per passione, 35 anni, è già Maestro del Gusto. Nella panetteria storica di Via Chiesa della Salute a Torino propone prodotti di alta qualità preparati con farine selezionate di ricerca (lui usa quelle del mugnaio contemporaneo Filippo Drago di Castelvetrano), e ora da pochi mesi ha aperto un bistrot dove propone pizza al taglio con farciture d’eccellenza, pasta, e via declinando. Il bistrot di via XX Settembre è stato ieri sera lo scenario di una festa un po’ speciale, insieme a Beatrice Ughi, gran donna del food che ha creato a New York Gustiamo, società con sede nel Bronx che seleziona i migliori produttori italiani e li propone in America. Ieri sono venuti in tanti – di pesto, nocciole, aceto, parmigiano.- e Spoto (che ha una passione per New York, ad aprile ci è andato per fare il pane in ristoranti importanti e ha tatuata sul braccio la mappa della Grande Mela) con quei prodotti ha preparato una serie di sfizi. Tra gli ospiti che li hanno apprezzati è arrivata pure Alice Waters, se vi par poco…

Bella atmosfera in piazza Castello e nella corte di Palazzo Reale

Street food di qualità con i trucks nella piazza (polpetteria Norma, gli yogurt di Famù, i gelati di Nivà, giusto per fare qualche nome) e l’enoteca nel cortile di Palazzo Reale, con aree degustazione piacevolmente rilassanti. Il Salone fuori dal salone, nel cuore della città, è un’idea giusta. Venirci la sera è un piacere, apertura fino a mezzanotte.

 

E oggi…

Un curioso appuntamento con il tè (assai presente a Terra Madre e fra i Maestri del Gusto) racconterà le ricette di corte di Vialardi. Dettagli nelle prossime pillole.

 

Terra Madre Salone del Gusto, Torino 20-24 settembre – www.slowfood.it/terramadresalonedelgusto

 

a cura di Rosalba Graglia

Tre Bicchieri. Parla Vito Donato Giuliani dell'azienda Giuliani

$
0
0

Territorio, tradizioni, ricerca. La cantina Giuliani continua il suo lavoro sul primitivo. E centra l'obiettivo dei Tre Bicchieri.

 

Era il 1940 quando l'azienda Giuliani iniziò la sua attività. Sulle colline carsiche tra Turi e Gioia del Colle, nella Murgia barese. Dove, sin dai primi anni, l'attività si concentra sulle uve primitivo. Che qui hanno trovato esposizione, terreno e clima ottimale per crescere al meglio. Insieme all'aleatico, altro autoctono della zona. Nei 50 ettari a regime biologico dell'azienda oggi guidata da Vito Donato Giuliani, la lavorazione è in gran parte manuale, la cura e la passione sono quelle di sempre, il legame con il territorio, la storia, le tradizioni più saldo che mai. Senza che questo sia un impedimento a guardare con attenzione alle soluzioni suggerite dalla sperimentazione e l'innovazione. Il risultato finale è da primato, come per il Gioia del Colle Primitivo Baronaggio Riserva '15: ricco di frutto, con note leggermente agrumate, teso e sapido, lungo, fresco e grintoso, con un finale di grande piacevolezza. Tre Bicchieri per la guida Vini d'Italia 2019.

 

Come nasce la vostra azienda?

La nostra è una storia familiare, siamo viticoltori da generazioni, ma prima vendevamo le uve senza trasformarle. Poi intorno agli anni '40, in un periodo di crisi dei prezzi delle uve, mio nonno decise di vinificare in proprio, sia bianchi che rossi. Così è cominciata la produzione, ma era ancora un'attività molto semplice, con poche attrezzature; è stato mio padre che ha dato una svolta decisiva alla cantina aggiungendo le prime presse meccaniche e altri macchinari. Noi concludiamo il ciclo fino all'imbottigliamento. Il nostro lavoro, però, è sempre lo stesso: con gran parte delle attività ancora svolte manualmente.

 

Siete in regime biologico. Da cosa nasce questa scelta?

Ci crediamo. Penso che solo così si possa avere un legame diretto con la natura, con i terreni e le vigne stesse. Per questo usiamo le macchine solo lo stretto necessario: potatura, raccolta e altri trattamenti sono fatti a mano. Cosa che implica costi maggiori, naturalmente. Ma per noi è giusto così.

 

Qual è la differenza tra un Primitivo di Gioia del Colle e uno di Manduria? 

Sono fratelli, dal punto di vista della pianta c'è una stessa origine: quello di Manduria nasce da quello di Gioia, ma il clone è lo stesso. Quel che cambia, invece, è il territorio e il clima. Quello di Manduria nasce sul livello del mare, su terreni profondi, il nostro tra i 300 e i 450 metri di altitudine, è esposto a vendi di scirocco e anche di tramontana, e a un'escursione termica anche di 10-12 gradi, la loro è inferiore.

 

Il vino invece?

Il nostro, quello di Gioia, ha caratteri di frutta fresca e matura. L'altro ha un frutto più caldo, quasi di marmellata.

 

Come sta andando la vendemmia 2018?

È partita maluccio, ma tutto sommato vediamo ottimi risultati. È caratterizzata da ottime gradazioni alcoliche, profumi e colore abbastanza buoni.

 

La Puglia è tra le regioni italiane che ha incrementato più la percentuale di export: quali sono le ragioni di questo successo?

Vero: negli ultimi 10 anni abbiamo assistito a uno sviluppo esponenziale della regione per quanto riguarda l'export. E il merito non è solo di noi produttori che caparbiamente abbiamo cercato di produrre qualità, ma anche della grande categoria degli enotecnici che si è evoluta moltissimo per aiutare le aziende produttrici di vino pugliese.

 

Invece come va la comunicazione?

Credo manchi ancora un po' in Puglia: ancora non siamo riusciti a individuare chi può essere il nostro testimonial all'estero. Anche perché molti dei personaggi famosi a loro volta sono produttori di vino. A parte questo, però, è importante che si facciano investimenti regionali e su base europea per dare la possibilità alle aziende di uscire fuori dai confini territoriali. Abbiamo molte doc da far conoscere.

 

È il vostro primo Tre Bicchieri, anche se lo scorso anno il Baronaggio Riserva '13 ci era andato vicino.

C'è molta soddisfazione. Il premio lo dedico a mio padre: è lui che ha sviluppato questa attività. Si è concentrato sulla coltivazione del primitivo, che però che discende da mio nonno. Bbiamo conquistato questo premio grazie alla maestria di enotecnici ed enologi ma anche di tutti gli operai e agli addetti al lavoro nei campi che eseguiamo tutto manualmente.

 

Che impatto pensi abbia questo premio?

Mi han sempre detto che porta più visibilità non solo al vino premiato ma a tutta l'azienda. Spero che sia così anche per me!

 

Vitivinicola Giuliani - Turi (BA) - via Gioia Canale, 18 - 080 891 5335- http://www.vitivinicolagiuliani.com/

 

a cura di Antonella De Santis e William Pregentelli

 

Apre a Parigi Cucina Mutualité. Matteo Lorenzini cucina italiano per Alain Ducasse

$
0
0

Mancano poche ore al debutto, ma l’apertura – l’ennesima in città del gruppo Ducasse – è passata quasi in sordina, fagocitata dal clamore per l’esordio del ristorante galleggiante sulla Senna inaugurato qualche giorno fa dallo chef francese. Invece, da domani, alla Maison de la Mutualité c’è un nuovo ristorante italiano. E la cucina è affidata a Matteo Lorenzini, che accresce la compagine tricolore nella capitale francese. 

 

L’addio a Firenze

La primavera scorsa, alla fine di aprile, la decisione: l’addio al Se.Sto On Arno di Firenze, dov’era arrivato 3 anni prima in qualità di executive chef, per “concentrarmi sulla mia crescita personale e orientarmi verso altri progetti professionali”. Così Matteo Lorenzini, enfant prodige della cucina italiana (molti ricordano con nostalgia la veloce epopea delle Tre Lune di Calenzano, esperienza poi interrottasi in modo inaspettato), scioglieva qualche mese fa la sua collaborazione con il Westin Excelsior, esperienza “straordinaria e assolutamente soddisfacente per la mia formazione”. All’ultimo piano del prestigioso albergo fiorentino, anche grazie all’ottima intesa con Valentino Bertolini – direttore illuminato che a giugno scorso si è congedato dal suo incarico – Matteo si è confrontato con un pubblico internazionale, conquistando al contempo la città, e raccogliendo ottime impressioni della critica. Non a caso, scriveva in occasione del suo commiato da Firenze, “la decisione è stata a lungo meditata e sinceramente sofferta”, ma dall’inizio di giugno ha avuto effetto concreto. Dunque cos’è successo durante l’estate? Lorenzini non è certo stato con le mani in mano.

L’arrivo a Parigi

Molte le offerte ricevute, tanta la voglia di confrontarsi con nuove sfide, l’input giusto è arrivato dalla Francia di Alain Ducasse, suo indimenticato maestro, che tra qualche ora apre a Parigi un nuovo ristorante dedicato alla cucina italiana (con Ducasse lo chef senese si è formato, e negli scorsi anni non sono mancate le lusinghe per rientrare in squadra, dove in passato ha militato per ben 6 anni, tre anni al Louis XV, in arrivo dalla provvidenziale gavetta con Gaetano Trovato, storia che troverete raccontata nel numero di Ottobre del nostro magazine mensile).

Insomma lo chef del nuovo ristorante italiano di Ducasse sarà Matteo Lorenzini. Cucina Mutualité prende il posto che fu del Terroir Parisien di Yannick Alleno, all’interno della Maison de la Mutualité di rue Saint Victor; e come annuncia l’insegna, l’intenzione è quella di omaggiare i classici della tradizione italiana, dando vita a un’interpretazione generosa e informale dei piatti più iconici della Penisola. Nel cuore di Parigi. Sugli allestimenti ha lavorato negli ultimi mesi il super architetto Jean-Michel Wilmotte, l’operazione si concretizza in partnership con GLEvents, proprio a pochi giorni dal debutto di un’altra impresa del gruppo Ducasse, il ristorante fluttuante nel bateau sulla Senna. Aperto 7 su 7, Cucina servirà gli ospiti a pranzo e cena, a partire dal 24 settembre (già aperte le prenotazioni online).

Il ristorante italiano di Alain Ducasse: Cucina

E per Lorenzini si tratterà di conquistare i parigini cimentandosi con i cavalli di battaglia della nostra tradizione, dal vitello tonnato agli spaghetti alla carbonara, dai bucatini cacio e pepe all’orecchio di elefante (servito anche per 2, da condividere), alla bistecca alla fiorentina. Agile il menu, con appetizer che omaggiano il mondo della pizza – focaccia di Recco, Margherita, Napoli, in versione pizzette – e selezione di salumi nazionali e Parmigiano 30 mesi per cominciare. Poi la carta, antipasti, primi piatti, secondi di carne e pesce, contorni e dolci: polpo e patate, caponatina, risotto con gallinacci, linguine alle vongole, ma pure capellini all’aragosta. E ancora spigola arrosto con carciofi e sugo alle olive, parmigiana di melanzane, polenta cremosa servita come contorno. Tra i dessert, immancabili tiramisù, panna cotta, zuppa inglese. E selezione di vini al bicchiere, con bollicine italiane (oltre allo champagne della selezione Alain Ducasse) ed etichette per la maggior parte toscane e piemontesi. Prezzi? Piuttosto accessibili, che spaziano dai 15 euro di media per un primo piatto ai 56 per la fiorentina da condividere. “La cucina non ha bisogno di troppe spiegazioni, dev’essere mangiata”, recita il motto della casa. L’auspicio è che in tanti possano apprezzarla. E la curiosità di ritrovare Matteo Lorenzini – uno dei più stimati giovani talenti italiani dell'ultima generazione - in una situazione completamente nuova è molta. Ne riparleremo.

Cucina Mutualité – Parigi – 20 rue Saint Victor – dal 24 settembre 2018 – www.cucina-mutualite.com

 

a cura di Livia Montagnoli

foto di Lido Vannucchi


Pillole dal Salone del Gusto. Prospettive e visioni sul cibo in ricordo di Bob Noto: cos’è la creatività?

$
0
0

Food for change, il cambiamento che parte dal cibo e come cambia/cambierà il cibo del futuro prossimo. Era il filo conduttore, ed è anche la chiosa finale del Salone del Gusto, alle ultime battute a Torino. Ancora molti eventi, appuntamenti, incontri, poi verranno le cifre, il bilancio finale. Intanto alcuni focus.

 

Sostenibilità ed ecologia

Le “sentinelle dei rifiuti & ecomori”, ragazze/i di colore insieme a ragazze/i white sono state le figure più emblematiche del Salone. Con il loro giubbottino rosso hanno sorvegliato le isole ecologiche, coordinando una rigorosa raccolta differenziata.

Altro punto nodale, il passaggio coperto dai saloni centrali all’Oval, che racconta attraverso grandi pannelli il progetto SEeD (Systemic Event Design) for Global Goals,progetto di ricerca applicata sviluppato dall’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche in collaborazione con Università e Politecnico di Torinoe altri partner per definire un nuovo concetto di qualità complessiva dell’evento, riducendone l’impronta ambientale e valorizzandone l’impatto economico e culturale generato sul territorio, facendone insieme un momento di divulgazione delle buone pratiche e di sensibilizzazione del pubblico, invitato a replicarle nel quotidiano contribuendo al cambiamento a partire dal cibo: foodforchange, appunto.

Le azioni che impattano direttamente sui Global Goals sono simbolicamente illustrate nella mostra per sensibilizzare la collettività a riflettere sul ruolo del cibo nelle città del futuro e agire sul territorio e la sostenibilità. Consiglio: non usare il passaggio solo come collegamento veloce, ma fermarsi a osservare la mostra, magari seduti sulle panchine, esempio di riutilizzo sostenibile di lattine-rifiuto.

 

Non è un Paese per tè?

Il nostro non è un Paese per tè? Falso. Il tè era di casa persino a corte, ai tempi del gran cuoco di casa Savoia Giovanni Vialardi. Ne ha parlato al salone Claudia Carità, Maestra del Gusto di The Tea, bottega storica di via Corte d’Appello a Torino, e grande esperta di tè. Claudia ha fatto ricerche d’archivio e scoperto le ricette di tè (nero e verde, il preferito di Vialardi, davvero antesignano delle tendenze contemporanee) servite a corte, che ha proposto in degustazione, abbinate a gelatine e ginevrine all’arancia di Romina, altra maestra del gusto di Vische. Il tè è ben rappresentato al Salone, in particolare all’Oval, con tè di Ceylon, dell’India, del Giappone. Il più gettonato il tè Matcha, con tanto di maestro giapponese a decantarne le proprietà salutistiche.

 

L’evoluzione del gusto. Prospettive e visioni sul cibo in ricordo di Bob Noto

È il titolo dell’incontro alla Nuvola Lavazza con un bel gruppo di chef d’eccellenza – Ferran Adrià, Matteo Baronetto, Carlo Cracco, Davide Scabin, Federico Zanasi, più Giuseppe Lavazza Marco Bolasco. Location la sala conferenze della Nuvola, dove è ospitata la bella mostra Ante Instagram dedicata a Bob Noto. E di fatto l’incontro è stato un ricordo affettuoso e devoto di Bob, e una celebrazione della sua non comune capacità di capire il cibo (“un palato mentale”). Tutti gli chef gli devono molto, a cominciare da Adrià che lo ha visto arrivare al Bulli nel ‘93 e ha iniziato con lui il suo percorso di evoluzione. E tutti hanno dichiarato che difficilmente potranno trovare un interlocutore altrettanto attento e stimolante.

E sono state svariate le considerazioni sul tema dell’evoluzione del gusto. Che si potrebbero riassumere in un concetto di fondo: oggi si mangia molto bene, c’è una nuova generazione di chef che ha grande tecnica, ma la creatività dov’è finita? La più dissacrante la posizione di Davide Scabin: quei giovani molto bravi hanno capito benissimo quel che serve per non sbagliare, piacciono a critica e pubblico, ma la cucina è omologata, non ci sono più spunti, energia, visione di innovazione. La nostra cucina italiana è andata prima dietro alla rivoluzione di Adrià, poi dietro all’onda del Nord, e dopo ancora al Sud-Est asiatico… “Ora non c’è più nessuno che sta facendo rivoluzioni e non sappiamo cosa fare, non ci sono pionieri” Scabin procede in solitaria, e si rammarica dell’“ignoranza truccata con pseudo conoscenza e pseudo critica”.

Gli dà manforte Ferran Adrià: “Non c’è più coraggio, voglia di rischiare. Al Bulli siano andati avanti per 14 anni senza guadagnare un soldo. Oggi bisogna trovare un equilibrio fra rischio e pragmatismo, ma senza rischio non c’è creatività”. Manca la conoscenza, manca una cultura, una filosofia del gusto. E cita, per esempio, l’abuso del “naturale”. Che cosa è naturale? Tutto quello che mangiamo oggi è artificiale, prodotto dall’uomo, a cominciare dal semplice pomodoro… Siamo tutti manipolati, conclude Adrià.

Baronetto, che si è trovato a cucinare in un tempio della tradizione come il Cambio di Torino, parla invece di come far convivere storia e innovazione: “La tradizione di oggi è quello che era innovativo una volta” dice. Per Cracco ci vuole “apertura mentale, predisposizione ad assorbire, ricevere, trasmettere e restituire in forma diversa” gli spunti esterni. Dunque ricerca, libertà e ampie vedute. Zanasi – come nello spirito di Condividere di cui è chef – punta alla socialità e al divertimento a tavola come chiave di una ristorazione innovativa.

Insomma la cucina deve essere creatività, piacere, arte (i cuochi sono artisti - dice Adrià - costretti a fare però tre menù all’anno, non una mostra ogni cinque anni). E invece oggi c’è poco rischio, poca creatività. La grande cucina è in crisi e pure i critici non se la passano troppo bene. Il futuro del gusto è un filo nebuloso, insomma.

 

Terra Madre Salone del Gusto, Torino 20-24 settembre – www.slowfood.it/terramadresalonedelgusto

 

a cura di Rosalba Graglia

Vesuvio. Vini e territorio report. Cronache dal vulcano per conoscere le migliori etichette

$
0
0

Tre giorni per conoscere la migliore produzione vitivinicolta vesuviana. Assaggi, visite in cantina e tante piacevoli scoperte.

 

I vulcani hanno sempre esercitano un fascino magnetico e misterioso. Sono montagne vive, mutevoli e cangianti, capaci di portare in superficie il cuore caldo del pianeta. Arcane fratture incandescenti, deflagrano in cielo polveri, pietre e lave di fuoco, che si scontrano violentemente con gli elementi primordiali della natura, in una sorta di perpetuo moto creativo. Sono esplosioni vitali di vibrante energia, eruzioni di nuova materia e al contempo minacciose fonti di terribili catastrofi. Fluide pietre, che come Eros e Thanatos, lottano senza pace nelle oscure profondità delle viscere. Un lontano frastuono di un sottosuolo apparentemente assopito, fino al momento in cui non sale tumultuoso e roboante squassando l’atmosfera. Terre instabili, dai forti contrasti, che creano paesaggi dalle suggestioni ancestrali, capaci di riportarci agli albori del nostro pianeta, come dentro un viaggio a ritroso nel tempo.

I vini del Vulcano

Da qualche anno i vini provenienti da territori d’origine vulcanica sono diventati di grande attualità. La crescente attenzione rivolta a una corrispondenza sempre più autentica tra vini e terroir, ha portato alla ribalta le aree produttive con caratteristiche particolari e uniche. Le regioni vulcaniche sono così diventate luoghi privilegiati e ambìti nella mappa del mondo del vino. In Italia sono molte le zone caratterizzate dalla presenza di suoli d’origine vulcanica, ma ne esiste una conosciuta in tutto il mondo per ciò che rappresenta nell’ambito della storia e della cultura dell’umanità. Stiamo parlando dell’area del Vesuvio, il vulcano per eccellenza. Celebre per la terribile eruzione del 79 d.C., che investì la zona di Ercolano e Pompei, oggi tra i siti archeologici più famosi e visitati al mondo. Tuttavia il Vesuvio non è solo simbolo e testimonianza del passato, è anche un luogo in cui la vite dimora da millenni e rappresenta ancora oggi una delle ricchezze del territorio.

Siamo stati a Vesuvio. Vini e territorio la 3 giorni dedicati alla scoperta dei migliori vini del Vesuvio e dell’area di produzione per fare il punto della situazione. Anche grazie all’attività del Consorzio, da alcuni anni la denominazione si è incamminata verso un nuovo percorso, con l’obiettivo di produrre vini di qualità sempre più alta, riaffermando l’indissolubile legame con la tradizione secolare, le caratteristiche vulcaniche dei suoli e i vitigni autoctoni.

 

Storia e tradizione

Dai primi insediamenti greci dell’XVIII secolo a.C. a Ischia e Cuma, la coltivazione della vite e la produzione di vino hanno accompagnato senza soluzione di continuità la storia dell’area del golfo di Napoli e del suo entroterra. All’epoca degli antichi Romani, la Campania produceva il celebre Falerno e alcuni tra i vini più pregiati del tempo. Anche quando la viticoltura si diffuse nei nuovi territori dell’Impero, in particolare in Spagna e nel sud della Francia, i vini dell’area vesuviana conservarono un particolare valore per la loro indiscussa qualità. Gli scavi archeologici presso la Villa Augustea di Somma Vesuviana, costruita attorno al II secolo d. C. e coperta dai materiali eruttati dal Vesuvio nel 472 d. C., stanno portando alla luce una tra le più importanti dimore di campagna dalla cintura vesuviana. Al suo interno custodisce il più grande sito di vinificazione dell’antichità a oggi conosciuto, che rappresenta una fondamentale testimonianza storica della centralità della cultura e del commercio del vino nell’area del Vesuvio.

 

Territorio e vitigni

La viticoltura dell’area vesuviana conserva ancora oggi nei suoi caratteri particolari i segni delle sue antiche origini. Le viti, che affondano le radici nelle soffici sabbie vulcaniche, non hanno mai conosciuto il flagello della fillossera e sono allevate a piede franco. Nelle vecchie vigne sopravvivono viti centenarie e le fallanze sono riempite con l’antico metodo della propaggine, interrando un tralcio per creare una nuova pianta.

Anche la composizione ampelografica è rimasta fedele alla tradizione secolare, impermeabile ai reimpianti post-fillossera dei vitigni internazionali. Sul Vesuvio sono presenti solo le varietà locali: caprettone, coda di volpe, falanghina, greco, catalanesca, piedirosso e aglianico.

Un’altra caratteristica peculiare del territorio vesuviano è la frammentazione in piccole aziende di carattere familiare, che esprimono complessivamente un potenziale di circa un milione e mezzo di bottiglie. Da qualche anno i produttori del Vesuvio sembrano aver compreso quale sia la vera vocazione del territorio e hanno cominciato a percorrere la strada della qualità, con basse rese in vigna e una maggior attenzione in cantina.

Un territorio che ha la fortuna di poter contare sulla notorietà internazionale del Vesuvio e di Pompei, deve sfruttare al massimo quest’opportunità e legare i propri vini ai concetti di tradizione, storia e cultura, con l’obiettivo di produrre solo eccellenze.

 

I migliori assaggi

Le giornate trascorse all’ombra del Vesuvio hanno offerto l’occasione per conoscere meglio il territorio e per assaggiare i vini. Tra i bianchi le sorprese più interessanti sono arrivate dalle poche etichette in purezza di catalanesca e caprettone, due vitigni che hanno dimostrato di possedere qualità importanti, che meritano di essere maggiormente valorizzate. Gli assaggi del Lacryma Christi Bianco si sono rivelati più altalenanti, con interpretazioni piuttosto disomogenee, che non facilitano una chiara identificazione della tipicità del vino.

Più coerente il panorama dei rossi, dove prevale uno stile che esalta soprattutto la freschezza e la fragranza varietale. I vini hanno un volto elegante con note floreali, freschi aromi fruttati e una piacevole sapidità finale. Una scelta in linea con il carattere del piedirosso, che predilige vinificazioni delicate e poco estrattive. Una migliore conoscenza del vitigno e i progressi in cantina, hanno quasi del tutto eliminato la sua tendenza riduttiva, che un tempo marcava molti rossi vesuviani. I rosati si sono rivelati molto interessanti. Le migliori etichette hanno un profilo fresco, agrumato e sapido, di grande finezza espressiva, senza nessuna concessione ad aromi caramellosi o a fastidiosi residui zuccherini.

 

I nostri migliori assaggi

 

Spumanti

Vesuvio Spumante Caprettone Metodo Classico “PIetrafumante” 2015, Casa Setaro

 

Bianchi

Catalanesca del Monte Somma IGP “Katà” 2017, Cantine Olivella

Catalanesca del Monte Somma IGP “Català” 2017, Montesommavesuvio

Vesuvio Caprettone DOC “Emblema” 2017, Cantine Olivella

Vesuvio Lacryma Christi Bianco DOC “Lacrima Bianco” 2017, Cantine Olivella

Vesuvio Lacryma Christi Bianco DOC “Apolline” 2017, Montesommavesuvio

Vesuvio Lacryma Christi Bianco DOC 2017, Terredora di Paolo

Vesuvio Lacryma Christi Bianco DOC “Janesta”2017, Tenuta Le Lune del Vesuvio

Vesuvio Lacryma Christi Bianco DOC 2017, Sorrentino Vini

 

Rosati

Vesuvio Lacryma Christi Rosato DOC 2017, Sorrentino Vini

Vesuvio Lacryma Christi Rosato DOC “Munazei” 2017, Casa Sertaro

Vesuvio Lacryma Christi Rosato DOC “Gelso Rosa” 2015, Villa Dora

Rossi

Vesuvio Lacryma Christi Rosso DOC “Lava Rubra” 2016, Tenuta de’ Medici

Pompeiano Piedirosso IGT 2017 “O’ Cuognolo”, Tenuta Le Lune del Vesuvio

Vesuvio Lacryma Christi Rosso DOC “Lacrima Nera” 2017, Cantine Olivella

Vesuvio Lacryma Christi Rosso DOC “Munazei” 2017, Casa Setaro

Vesuvio Lacryma Christi Rosso DOC “Don Fiore” 2017, Fioravante Romano

Vesuvio Lacryma Christi Rosso DOC 2017, Eredi Rizzo

Vesuvio Lacryma Christi Rosso DOC 2017, Sorrentino Vini

Vesuvio Lacryma Christi Rosso DOC 2017, Fuocomuorto

Vesuvio Lacryma Christi Rosso DOC “Gelso Nero” 2014, Villa Dora

Vesuvio Piedirosso DOC “Vipt” 2016, Cantine Olivella

 

a cura di Alessio Turazza

Nuove food hall aprono a Londra. È la riscossa dei mercati gastronomici britannici

$
0
0

Cucina asiatica, italiana, panini, hamburger, dolci e altre specialità di tutto il mondo riunite sotto lo stesso tetto. È il nuovo progetto londinese dei Market Halls, una serie di tre poli gastronomici nei punti nevralgici della città. 

 

Il progetto

I viaggiatori amanti di Londra ricorderanno sicuramente Victoria per la grande stazione metropolitana, con treni in arrivo e partenza per gli aeroporti, mentre i turisti in cerca della movida notturna, la assoceranno immediatamente a Pacha, la discoteca ibizenca approdata anni addietro nella capitale britannica che ha da poco chiuso i battenti. Ma l'elegante quartiere a pochi passi dalla cattedrale di Westminster, circondato da antichi teatri e parchi curati, ben presto varrà una visita anche per la sua offerta gastronomica. Si prepara a inaugurare, nello spazio che prima ospitava proprio il nightclub Pacha, una nuova food hall, parte del grande progetto messo a punto dall'investitore Andy Lewis Pratt. Si chiama Market Halls e, come si intuisce dal nome, si tratta di una serie di mercati gastronomici (tre, per la precisione) pensati per rispondere alle esigenze sempre più alte della clientela londinese. “Vogliamo creare dei centri di ristorazione permanenti in grado di soddisfare il pubblico delle varie comunità”, ha spiegato Pratt, che per questa iniziativa ha scelto di recuperare spazi abbandonati “riportandoli alla vita e rendendoli utili per i cittadini”. Ristoranti, bar, chioschi: ogni spazio avrà la sua identità, pensata su misura per il quartiere.

Il mercato di Victoria

A inaugurare il progetto, la food hall di Fulham, nell'ex stazione di Fulham Broadway, un mercato che propone birre, distillati e bevande inglesi, oltre a un banco gastronomia, un reparto caffetteria e un'area ristoro.Seconda tappa, Victoria, aspettando il prossimo punto a Oxford Circus. Proprio di fronte alla trafficata stazione, nascerà a fine settembre un'area ancor più grande, distribuita su tre livelli con 400 coperti e un'offerta ampia e variegata. Undici cucine diverse, tre bar e una caffetteria, per un polo gastronomico d'eccezione aperto da mattino a sera, il luogo ideale per sostare a ogni ora. Con tanto di terrazza panoramica, prevista per il prossimo anno. A coadiuvare le food hall, Simon Anderson, chef ideatore del celebre regno del barbecue Pitt Cue, con la supervisione di Pratt.

L'offerta

La formula è semplice: aspetto da mercato di street food, ma offerta da vero ristorante, con posate in acciaio, bicchieri di vetro e pietanze prelibate cucinate espresse, da consumare ai tanti tavoli sociali a disposizione. Terzo obiettivo, previsto per il prossimo inverno, Oxford Circus, con quello che promette di essere il più grande dei mercati del progetto, con venticinque ristoranti, quattro bar, stand di prodotti tipici, spazio eventi e una cucina per i laboratori. “Il punto di forza di questi mercati sarà la possibilità di offrire qualcosa per tutti. Parola d'ordine: qualità”. Così, sotto lo stesso tetto, si potranno assaggiare pizza, curry, hamburger vegani, panini, dolci, torte rustiche, “tutte le specialità che si trovano sparse per la città. Solo, in un'unica area”. Per puntare ancora una volta i riflettori sull'inarrestabile fermento gastronomico londinese, e la capacità imprenditoriale dei cittadini di creare spazi comuni all'insegna della condivisione, restituendo dignità ai locali ormai dismessi, e dando così linfa nuova all'intero quartiere.

www.markethalls.co.uk/

a cura di Michela Becchi

Stazione Mole alle porte di Roma. Ai Castelli megaprogetto con griglia, pizzeria… E vigna

$
0
0

Ampie metrature, tanti ettari di terreno per cucinare a km 0, uno spazio che vuole accogliere un pubblico trasversale. Succede a Marino, alle porte di Roma, dove apre Stazione Mole, che ha persino un vigneto. 

 

Informale e per tutta la giornata

Ai grandi spazi, Dany Di Giuseppe e Gino Cuminale hanno abituato chi frequenta i loro locali. L’altro elemento di congiunzione tra le diverse attività di quello che oggi è uno dei più solidi gruppi di ristorazione della Capitale è l’attitudine informale di insegne accomunate dalla capacità di vivere per tutta la giornata, riunendo sotto lo stesso tetto proposte gastronomiche e modalità di consumo che accontentano un pubblico eterogeneo. Così è stato per Porto Fluviale prima – modello indiscusso per l’evoluzione del locale polifunzionale in città – e per Ciclostazione Frattini, Rosti e Sant’Alberto poi, passando per la ristrutturazione (formale e stilistica) di un’insegna storica com’è Ercoli 1928.

La nuova scommessa esce dalla città per concretizzarsi ai Castelli, dove il 28 settembre apre le porte Stazione Mole, griglia, pizza e cucina (aperta fino all’1 di notte) che punta a catturare una clientela trasversale, dai più giovani alle famiglie con bambini, destinatari privilegiati dell’orario prolungato i primi, delle aperture per pranzo nel weekend le seconde, quando l’ampio spazio all’aperto e l’area picnic diventeranno un valore aggiunto della gita fuoriporta.

Griglia, pizza e cucina

Dunque anche stavolta lo spazio non manca: metratura importante all’interno – con 700 metri quadri a disposizione del ristorante – e 1500 metri quadri all’esterno, per un totale di 170 coperti. Ma anche 60 ettari di terreno coltivato, di cui più di 40 destinati alla vigna. E poi c’è la consueta voglia di declinare l’offerta dall’aperitivo al dopocena – oltre ai pranzi del weekend – in un contesto favorito dal legame con l’azienda vinicola che ospita la struttura, non distante dalla stazione ferroviaria di Santa Maria delle Mole, a Marino. Anche la ripartizione degli ambienti non tradisce l’imprinting della casa, nell’open space scandito da allestimenti complementari, la gastronomia con il banco in vetro e legno per esporre i prodotti, la pizzeria con due forni, la sala con cucina a vista. E tavoli – anche sociali – disposti tutt’intorno alle diverse isole tematiche, a suggerire un passaggio fluido tra i comparti. Quel che caratterizza l’identità del luogo è l’uso di materiali naturali che evidenziano la dimensione rurale del locale, con legno, ferro, mattoni, tegole e grandi vetrate affacciate sull’esterno. Ma cosa si mangia da Stazione Mole? Anche la cucina asseconda il rapporto con il territorio circostante, valorizzando i prodotti in arrivo dall’orto della tenuta, salumi di Ariccia, formaggi laziali; e ricette della tradizione, con primi piatti classici della romanità e più in generale una carta stilata nel segno della celebrazione della cucina rurale, dalle pappardelle al ragù di cinghiale ai ravioli di stracotto. Con la griglia, invece, ci si diverte a spaziare tra l’Italia e il mondo, valorizzando tutti i tagli dell’animale, dalla picanha al pannicolo, alla costata. E poi bombette, braciole, polpette, servite infilzate sulla spada. Tra le rarità, la tomahawk, una bistecca ricavata dalla parte anteriore della lombata di manzo, con l’osso della costola. Dal forno della pizzeria, arrivano romana – bassa e scrocchiarella -  e napoletana con cornicione, da farine macinate a pietra, lievito madre e lunga lievitazione. L’altra anima di Stazione Mole è il vigneto, inserito nella Doc Marino e nella Doc Roma, che costituisce una parte fondamentale del progetto (qui si potrà anche mangiare in occasioni speciali) e fornirà vino a centimetri 0, spillato dalle botti di legno a vista nel locale. Per il resto, la carta dei vini resta ostentatamente sul territorio laziale.

 

Stazione Mole  - Marino (RM) – via Goffredo Mameli, 6 – www.stazionemole.com

 

a cura di Livia Montagnoli

 

Identità Milano. Inaugura oggi l'hub di gastronomia internazionale di Identità Golose. Le foto

$
0
0

Sarà una finestra sul mondo a Milano, nelle intenzioni dei suoi ideatori Paolo Marchi e Claudio Ceroni, che nello spazio polifunzionale di via Romagnosi hanno riassunto quasi 15 anni di storia di Identità Golose. Dal 20 settembre via alle attività: pranzi e cene d'autore, incontri formativi, degustazioni. Le prime foto. 

 

Identità Milano. Cos'è

L'entrata di via Romagnosi 3, di giallo vestita, invita a scoprire come i lavori degli ultimi mesi abbiano contribuito a ripensare gli spazi che un tempo ospitavano la Fondazione Feltrinelli (oggi approdata in viale Pasubio). Totale dell'investimento: circa 2 milioni di euro. Identità (Golose) Milano, recita l'insegna chiamata a riassumere l'ampio ventaglio di attività che d'ora in avanti prenderà forma sotto il tetto del “primo hub internazionale di gastronomia” della città. Due giorni di inaugurazione serviranno a prendere confidenza con temi e protagonisti dell'inedito polo gastronomico firmato Identità Golose - Paolo Marchi e Claudio Ceroni ne sono i numi tutelari – destinato a proiettare una volta di più Milano nell'Olimpo delle capitali internazionali dell'alta cucina. Di progetto ambizioso – il più ambizioso nella storia di Identità – parlano i suoi ideatori: un centro polifunzionale per eventi gastronomici e culturali, con ristorante quotidianamente aperto al pubblico, a pranzo e cena, spazio didattico e area formativa, per amatori e professionisti. Un format nuovo che raccoglie l'eredità di Expo 2015, quando proprio a Identità Golose fu affidata l'organizzazione di uno spazio ristorativo fondato sul principio della rotazione tra chef in arrivo da tutto il mondo per partecipare alla celebrazione della cucina d'autore.

Il ristorante. Una finestra sul mondo

Sarà dunque in primo luogo una vetrina per loro, i cuochi che si avvicenderanno ai fornelli secondo un programma che sarà svelato progressivamente; e un'opportunità di lavoro per molti professionisti del settore. Ma anche, nelle intenzioni di chi l'ha voluto, un nuovo spazio a disposizione della città, per stare bene insieme, imparare, divertirsi, scoprire cucine insospettabili, prendere confidenza con l'alta ristorazione in una dimensione mediata e più rassicurante, anche per chi abitualmente non frequenta tavole blasonate.

Il ristorante aprirà al pubblico a partire da giovedì 20 settembre, con l'intenzione di ribadire sin dall'inizio il principio cardine del progetto: il dialogo. Il dialogo tra Milano, l'Italia e il mondo; il dialogo tra cuochi in arrivo da esperienze completamente diverse; il dialogo tra chi cucina, chi produce e chi racconta, privilegiando quel fattore umano che è stato tema dell'ultima edizione del congresso meneghino.

Alla prima settimana di programmazione “speciale”, con cene a più mani ed eventi corali, seguirà, dalla prossima, un calendario di routine (si fa per dire, perché i protagonisti cambiano di continuo, comincia Moreno Cedroni), con le cene degli chef ospiti dal mercoledì al sabato sera (tutte al costo di 75 euro per 4 portate, prenotabili online sul nuovo sito dedicato) e il pranzo (35 euro per il business lunch) servito dalla brigata del resident chef Alessandro Rinaldi – con la supervisione di Andrea Ribaldone, executive della casa – che seguirà anche il servizio del lunedì e del martedì sera. Ecco le prime foto degli spazi.

 

Identità Milano – Milano – via Romagnosi, 3 - www.identitagolosemilano.it/prenotazioni/

 

a cura di Livia Montagnoli

 

Caviar Kaspia a Roma al Palazzo Rhinoceros. Terrazze mozzafiato, caviale e respiro internazionale

$
0
0

A metà ottobre Palazzo Rhinoceros apre le porte alla città. 8 anni di lavori, un progetto d'architettura d'autore, 3500 metri di ex case popolari nel cuore della Roma classica da ripensare. Sarà museo, residenza culturale, e ospiterà anche caffè e ristorante (separata la gestione): l'esordio in Italia di Caviar Kaspia, storica maison del caviale parigina.

 

Nasce Palazzo Rhinoceros

Ci sono voluti 8 anni di lavori, un cantiere che ha ripensato profondamente gli spazi del palazzo storico che affaccia sulla bella piazza di San Giorgio al Velabro, dove l’arco quadrifronte di Giano segna il confine dell’antico Foro Boario. Poco più in là l’area dei Fori, il Palatino e il Circo Massimo, nel cuore della Roma classica, tra gli scavi archeologici più celebri del mondo. Così tra qualche settimana il complesso di ex case popolari riaprirà le porte come Palazzo Rhinoceros, esplicitando il concetto di città dell’arte.

3500 metri quadri da vivere e abitare, destinati a diventare polo d’attrazione culturale della Capitale (la quale, amministrativamente, risponde voltando le spalle: tutta l’area circostante rimane immersa nel degrado più inaccettabile), ospitando una collezione permanente ed esposizioni temporanee (il primo anno la programmazione declinerà proprio il tema del rinoceronte, simbolo di forma e anticonformismo, nelle arti visive e performative); ma pure - con gestione completamente separata -  un’esclusiva struttura di ospitalità da 25 unità abitative destinate ad artisti, mecenati, collezionisti (appartamenti curati nel minimo dettaglio) e un’offerta di ristorazione altrettanto peculiare, ai piani più alti del palazzo, con vista incredibile sulla città e tripudio di terrazze.

Il museo e gli appartamenti

In questi anni si è lavorato sull’intera struttura (in realtà tre grandi palazzi accorpati), ripristinando l’aspetto originale del palazzo laddove le preesistenze potessero raccontarne la storia, e muovendo dal principio di un restauro filologico degli spazi verso la concezione di un’architettura nuova, che stupisse il visitatore senza cedere al decorativismo che mal avrebbe sposato lo spirito dell'operazione, con soluzioni inaspettate e raffinate, specie nella progettazione degli appartamenti, letteralmente incastonati tra i piani superiori del palazzo.

Dunque dal 14 ottobre Rhinoceros aprirà le porte alla città, invitandola a entrare e farsi scoprire: sviluppata in altezza attorno a due corti interne (il bianco e il nero; la notte e il giorno), il percorso espositivo lascerà spazio man mano che si sale alle residenze, anch’esse pronte a inaugurare alla metà del mese sotto la gestione del gruppo internazionale di ospitalità Room Mate di Kike Sarasola; già presente in molte città del mondo, a Roma il brand fa il suo debutto sotto il marchio The Rooms of Rome, con 24 appartamenti uno diverso dall’altro. Ma nel progetto c’è stato spazio sin dall’inizio per un’area dedicata alla ristorazione, aperta a romani e turisti al quinto e sesto piano del complesso. Spazio ricettivo e spazio ristorativo sono parte integrante del progetto del palazzo, e funzionali al suo racconto complessivo.

Caviar Kaspia a Roma. Ristorante all day long con terrazze

Anche in questo caso la scelta è ricaduta su un format già presente all’estero, e anzi particolarmente antico per fondazione, Caviar Kaspia, nato a Parigi nel 1927. Dal primo locale di place de la Madeleine, oggi il marchio ha conosciuto un’espansione mirata a collezionare sedi distintive, da Montecarlo a Londra e New York, passando per il secondo ristorante inaugurato a Parigi la primavera scorsa, all’interno delle Galeries Lafayette. E ha legato il suo nome al lusso di un’offerta gastronomica incentrata su caviali pregiati e affini, sicuramente non per tutte le tasche (a Parigi una degustazione di caviale tra le più costose arriva a superare gli 800 euro). A Roma, dove il brand esordisce con l’idea di proporre un’offerta inedita nella Capitale, la declinazione dei prodotti di cui Caviar Kaspia ha sempre fatto vanto sarà mediata da un’interpretazione più affine ai gusti e alle abitudini – anche di spesa – della città. Sull’addomesticamento della formula al mercato romano ha lavorato Dario Laurenzi, consapevole di poter scommettere su un asso nella manica di non poco conto: due saranno le terrazze a disposizione degli ospiti per tutta la bella stagione – da marzo a ottobre, e con un po’ di fortuna anche nelle giornate più miti d’inverno – più come se non bastasse un’altana qualche metro più su, allestita con divani e uno spazio più rilassato per l’aperitivo. Tutte affacciate a 360 gradi sulla Roma classica vista qui da un punto di osservazione inedito e ammaliante, costituiranno il cuore del ristorante, che vivrà 7 giorni su 7, dalle 8 alle 24, e disporrà anche di uno spazio all’interno da circa 50 coperti (fuori i numeri triplicano, arrivando fino a 150). L'idea è quella di proporre una formula variabile che rappresenti una novità, ma senza spaventare. Obiettivo: accessibilità nonostante il blasone della maison. Pur raccontando prodotti di alta fascia come salmone selvaggio e pesci affumicati, granchio e aragoste, tartufi (in un secondo momento anche ostriche, nel bar a huitres che dovrebbe prendere forma sulla terrazza più alta). E ovviamente caviale, per tutti i gusti.

L'offerta: ristorante, caffetteria, tapas e cocktail bar

La sera, dalle 19, tutto questo contribuirà a realizzare un menu che per la prima volta nella storia di Caviar Kaspia introduce pietanze più cucinate, come primi piatti di pasta – lo spaghetto al caviale omaggio a Gualtiero Marchesi, da subito in carta, o i ravioli ripieni di granchio – e pietanze legate alla cucina mediterranea, in aggiunta al consueto trionfo di tartare, salmone fresco e affumicato, patate con caviale. A prezzi di posizionamento adeguati alla piazza romana. Un modo, a detta di chi ha ripensato la formula, per esaltare il concept all'insegna dell'italianità. In abbinamento carta di vini e champagne, da circa 70 etichette. Durante tutta la giornata, invece, sarà disponibile l'offerta della caffetteria internazionale, con proposte per la colazione dolce (c'è la firma di Marco Rinella) e salata e poi un menu agile che spazia dal club sandwich con salmone selvaggio alla Caesar Salad con astice. Per l'aperitivo si cambia ancora: drink list e tapas in abbinamento, fino a tarda sera per chi volesse cenare al cocktail bar. Esperienza vivamente consigliata vista la spettacolarità dell'allestimento, con due banconi in marmo e acciaio (uno per ogni terrazza), da 10 e 5 metri. Anche in questo caso saranno i prodotti della casa a dettare la linea, ma l'alternativa cocktail e selezione di tapas sarà decisamente più informale rispetto alla proposta del ristorante (dove si stima una spesa che parte dai 50-60 euro per salire fino a picchi più che vertiginosi, in base a quanto amate il caviale). Italiano lo staff, tutto inviato nei mesi scorsi a formarsi sul campo, a Parigi. A dirigere la squadra sarà Alessia Meli, in cucina, invece, si muoverà Giovanni Gianmarino.

Roma acquista uno spazio culturale – unico! - di respiro internazionale, frutto di un'operazione mirata di mecenatismo artistico. Caviar Kaspiar si propone di assecondarne le ambizioni: vedremo se convincerà la città.

 

Caviar Kaspia a Palazzo Rhinoceros - Roma - Cancellata Arco di Giano, via di San Giovanni Decollato - dal 14 ottobre 2018

 

a cura di Livia Montagnoli

Come cambia Birra del Borgo. La crescita del birrificio, l’Osteria e due nuovi locali a Roma: l’intervista a Leonardo Di Vincenzo

$
0
0

Alla metà di ottobre BdB piazzerà due nuove pedine sulla mappa gastronomica della Capitale, con il debutto dell’insegna Bancone a piazza Bologna e via del Pigneto. Leonardo Di Vincenzo ci racconta come saranno, ripercorrendo due anni di lavoro intensi, tra nuovi traguardi raggiunti e pregiudizi da combattere. 

 

Gli ultimi due anni di BdB

All’indomani dell’acquisizione di Birra del Borgo da parte di Ab Inbev – era l’aprile 2016 quando la notizia deflagrava gettando il mondo della birra artigianale italiano in stato confusionale – Leonardo Di Vincenzo si mostrava sicuro di sé. La consapevolezza di una scelta maturata con cognizione di causa e la solidità di una storia ultradecennale nel settore gli permettevano di guardare a quello che sarebbe stato di lì in avanti con serenità. Ma ben conscio che non sarebbe stato facile, ancor prima che per la necessità di adeguare la propria creatura al cambio di passo, per la forte valenza simbolica di un’operazione chiaramente vista con sospetto, perché capace di scardinare le certezze del comparto dall’interno. Il più grande colosso industriale della birra compra il simbolo del movimento artigianale italiano: fine dei giochi? Dunque c’è voluta tanta forza di volontà per restare saldi sulle proprie gambe, gli occhi puntati sugli obiettivi aziendali e la mente aperta a raccogliere e incassare le sferzate dei tanti che fino al giorno prima erano stati sostenitori e alleati, improvvisamente ritrovatisi dall’altra parte della barricata. Più di due anni dopo, molti dei timori di allora si sono avverati – colleghi e addetti ai lavori non sono certo stati teneri – ma il bilancio complessivo parla di una crescita aziendale che non ha tradito la filosofia e gli standard del birrificio di Borgorose: “Sono stati anni intensi, abbiamo dovuto combattere le critiche negative di chi ci pensava pronti a deludere le aspettative, e insieme traghettare l’azienda verso una necessaria operazione di integrazione con le dinamiche di un grande gruppo”.

La crescita e i pregiudizi

Il risultato? Più che soddisfacente a detta di Leonardo, che al timone di Birra del Borgo sembra divertirsi ancora come agli inizi, solo con quella maturità in più di chi sente la responsabilità di fare impresa, dare lavoro a circa 80 persone, aver risollevato le sorti di un territorio - l’area reatina di Borgorose – altrimenti sconosciuto ai più. “Mi sento di dire che non abbiamo avuto delusioni, il livello qualitativo è rimasto alto, i nostri prodotti non sono cambiati, anzi la birra che produciamo è mediamente più buona, grazie a nuovi investimenti e mezzi a disposizione. Non abbiamo perso pezzi, semmai aggiunto valore. Questo è quello che mi aspettavo all’inizio, come anche la garanzia di mantenere un buon livello di autonomia, pur consapevole di dover far tornare i numeri”. Diverso il discorso sui pregiudizi, davvero duri a morire: “Un ritorno negativo sul fronte commerciale con tanti clienti storici c’è stato, inutile negarlo, anche se al contempo siamo molto cresciuti sul mercato italiano, e puntiamo per il futuro a posizionarci sempre meglio in Inghilterra e Stati Uniti”. Più che l’aspetto economico, infatti, pesano le considerazioni umane: “Resta il dispiacere di essere tacciato come un traditore da tanti con cui siamo cresciuti professionalmente insieme. Credo che la miopia di certe posizioni non faccia bene al settore della birra italiana: un incremento di visibilità per i prodotti di qualità può portare benefici per tutti, la clientela che conosce i nostri prodotti spesso è curiosa di provarne altri, magari orientandosi su quel comparto artigianale che prima non conosceva. Capisco che molti produttori temono il monopolio, ma i nostri numeri dimostrano che il rischio non c’è: non abbiamo intenzione di monopolizzare nulla, nel 2015 producevamo 12mila ettolitri di birra, oggi siamo arrivati a 18mila. Parliamo comunque di piccole quantità”. Per il resto, soprattutto, c’è la tranquillità di sperimentare su nuove ricette, e questo è sempre stato il pallino di Vincenzo: “Il prossimo anno entrerà in catalogo anche la linea di produzione del vecchio birrificio, lunghe maturazioni in bottiglia, fermentazioni spontanee, prodotti di nicchia di cui avremo poca disponibilità, per veri amatori. Anche questo è un modo per divertirci”.

L’Osteria di Birra del Borgo

Sul valore del divertimento Leonardo insiste più volte nel corso della chiacchierata, anche quando dismessi i panni del mastro birraio si entusiasma raccontando il progetto Osteria, “non solo un’operazione commerciale, ma quella finestra necessaria per raccontare Birra del Borgo e la sua evoluzione nel tempo, per dare modo a tutti di capire come va avanti il nostro lavoro oggi”. Inaugurata a Roma all’inizio della primavera 2017, in piena era Ab Inbev, un anno e mezzo dopo l’Osteria di Birra del Borgo di via Silla è una scommessa vinta: ci sono le birre – tutta la linea di Bdb – la pizza, la cucina, la sperimentazione sui cocktail. E un’atmosfera informale che punta ad accogliere tutti, raccogliendo consensi del pubblico e plauso della critica (per il Gambero Rosso la pizza di Luca Pezzetta vanta Tre Spicchi e 93 punti pieni sulla guida Pizzerie d’Italia 2019). “Per l’importanza che ha avuto sin dall’inizio, l’Osteria di Prati resterà un unicum nella nostra storia, il quartier generale delle sperimentazioni su birra e cucina, un laboratorio aperto che oggi dà lavoro a 35 persone (in totale BdB tiene a busta paga 78 dipendenti), rappresentando una voce importante dell’azienda e richiedendo tante energie”. Questo non significa che non si possa - e non si voglia – crescere. Anzi, proprio i buoni risultati raccolti spingono a guardare avanti: “Ora abbiamo bisogno di capire quanto il format possa replicarsi senza perdere in credibilità e standard qualitativi”. Prima di pensare a raddoppiare in altre città d’Italia – obiettivo comunque nel mirino tra 2019 e 2020 – la tappa intermedia è costituita dai nuovi “banconi” pronti a inaugurare a Roma, alla metà di ottobre.

Novità a Roma. Arriva il Bancone

La formula Bancone l’abbiamo vista esordire già nell’estate 2016 in quel di Spedino, come spazio di vendita e degustazione del birrificio. A Roma il Bancone di BdB sarà qualcosa di ancora nuovo, un ibrido che tiene conto dell’esperienza Osteria, e al suo laboratorio di produzione si appoggia, declinandola in maniera più agile. L’operazione procederà in parallelo su due fronti: a piazza Bologna (nei locali già del ramen bar Akira) e su via del Pigneto. Entrambi i locali disporranno di spazi contenuti - specie quello stretto e lungo del Pigneto, praticamente tutto dedicato al bancone – ma di ampio respiro all’esterno. Entrambi non serviranno piatti cucinati, con una distinzione sostanziale: il Bancone del Pigneto lavorerà per aperitivo e dopocena, senza servizio al tavolo (del resto, all’interno, tavoli non ce ne sono), con proposta di piccoli snack da accompagnare alle birre, cocktail, angolo shop e servizio take away; il Bancone di piazza Bologna, invece, servirà anche la cena, con taglieri, panini e pizza, punto di forza che resta centrale per l’attività, “affidato alla supervisione del nostro pizzaiolo Luca Pezzetta, che resta l’unico responsabile di impasti e lievitazioni dopo la fine, recente, della collaborazione con Gabriele Bonci”, sottolinea Leonardo. Entrambi i locali apriranno dalle 18 alle 2 (7 su 7), entrambi avranno molti coperti all’esterno e spilleranno esclusivamente birre della casa. Al Pigneto i lavori potrebbero terminare già per la prima settimana di ottobre, quel che è più sicuro è che entro la metà del mese ambedue i locali saranno pronti per raccontare alla città l’ennesimo step di un progetto che sembra girare ancora con lo spirito dell’inizio: “Il divertimento è la chiave di tutto”.

 

L’Osteria di BdB – Roma – via Silla, 26 a – www.osteria.birradelborgo.it

Il Bancone di BdB – Roma – via del Pigneto, 22c – dalla metà di ottobre

Il Bancone di BdB – Roma – piazza Bologna, 8-9 – dalla metà di ottobre

 

a cura di Livia Montagnoli


Anteprima Tre Bicchieri 2019. I migliori vini di Lombardia

$
0
0

Le anticipazioni dei premiati dalla Guida Vini d'Italia 2019 del Gambero Rosso. Oggi è il turno della Lombardia.

 

Quest’anno le nostre degustazioni ci regalano un’immagine straordinariamente vitale di questa regione. Che non è certo la prima che viene in mente quando si pensa al vigneto Italia... Eppure anno dopo anno la sua viticoltura e i suoi vini si dimostrano in crescita, qualitativa innanzitutto, ma anche sul mercato. Iniziamo da due capisaldi della spumantistica classica italiana: la Franciacorta è leader di questa classifica, con oltre 17 milioni di bottiglie prodotte nel 2017. I produttori, più di cento, si muovono su livelli di vera eccellenza. Nove dei nostri Tre Bicchieri (su 24, un record) vanno infatti a questa denominazione. L’Oltrepò, se non decolla definitivamente come zona spumantistica, ha però molte frecce nel suo arco. Premiamo infatti 7 vini che coprono varie tipologie: 4 sono cuvée basate sulla gloria locale, il pinot nero, che altri due produttori, conte Vistarino e il debuttante (nel club dei premiati) marchese Adorno si aggiudicano invece con Pinot Nero vinificati tradizionalmente, a conferma della straordinaria vocazione di questo territorio per il difficile vitigno. Chiude la carrellata Ca’ di Frara (altro debutto) con un Riesling Riserva che sottolinea la straordinaria unicità di questo distretto vocato alle uve più “complicate” del mondo.
I cinque valtellinesi, Ar.Pe.Pe,, Rainoldi, Dirupi, Mamete Prevostini e Nino Negri propongono altrettanti supervini da queste vigne a ridosso delle Alpi. E ancora: la Ca’ Maiol si aggiudica l’ennesimo Tre Bicchieri con un seducente Lugana Riserva (altro terroir di valore assoluto), ma ci interessa presentarvi due novità assolute: una è il Botticino Gobbio ’16 della famiglia Noventa, piccolo grande vino artigianale da un territorio fino ad oggi poco battuto. L’ultima e più preziosa è il doppio debutto, di un’azienda, la Costaripa di Mattia Vezzola, e di una denominazione di grande prospettiva. In Valtènesi premiamo infatti un Chiaretto, il Molmenti, da uve groppello, che esce ora con l’annata 2015. Una straordinaria prova del valore di questa Doc gardesana e del talento enologico di Mattia Vezzola, fino a oggi automaticamente collegato al mondo del Franciacorta.


Bertone Pinot Nero '15 – Conte Vistarino
Botticino Gobbio '16 – Antica Tesa-Noventa
Brut M. Cl. '13 – Monsupello
Franciacorta Brut '13 – Lo Sparviere
Franciacorta Brut Teatro alla Scala '13 – Bellavista
Franciacorta Dosage Zéro Vintage Collection Noir '09 – Ca' del Bosco
Franciacorta Nature 61 '11 – Guido Berlucchi & C.
Franciacorta Nature Origines Ris. '12 – Lantieri de Paratico
Franciacorta Pas Dosé Ris. '08 – Mosnel
Franciacorta Pas Dosé Riserva 33 '11 – Ferghettina
Franciacorta Satèn – Ricci Curbastro
Franciacorta Zero '14 – Contadi Castaldi
Lugana Sup. Sel. Fabio Contato '16 – Cà Maiol
OP Pinot Nero Brut M. Cl. 1870 '14 – Giorgi
OP Pinot Nero Dosage Zéro M. Cl. Vergomberra '13 – Bruno Verdi
OP Pinot Nero Nature M. Cl. Oltrenero '13 – Oltrenero
OP Pinot Nero Rile Nero '15 – Marchese Adorno
OP Riesling Oliva Ris. '16 – Ca' di Frara
Valtellina Sfursat 5 Stelle '15 – Nino Negri
Valtellina Sfursat Fruttaio Ca' Rizzieri '15 – Aldo Rainoldi
Valtellina Sup. Dirupi '16 – Dirupi
Valtellina Sup. Sassella San Lorenzo '16 – Mamete Prevostini
Valtellina Sup. Sassella V. Regina Ris. 09 – Ar. Pe. Pe.
Valtènesi Chiaretto Molmenti '15 - Costaripa

Cambio della guardia a Villa Naj nell'Oltrepò Pavese. Arriva Alessandro Proietti Refrigeri, con un passato al Noma

$
0
0

Dal 24 settembre approda a Villa Naj nell'Oltrepò Pavese, Alessandro Proietti Refrigeri, chef con alle spalle esperienze al Noma, alla Pergola e da Berberè, dove ha gestito per due anni le cucine degli otto locali dei fratelli Aloe. 

 

Tanta gavetta con i grandi alle spalle, l'esperienza al Noma e poi l'approdo nella big family di Berberè, dove ha rappresentato per due anni il riferimento dei capi di cucina di tutti i locali (diventati ormai otto), sia in termini formativi che pratici. Ora, la voglia di tornare in cucina, nel senso stretto del termine.

La gavetta di Alessandro Proietti Refrigeri

Origini romane e la cucina come vocazione elettiva, fin dagli esordi, quando decide di frequentare l’istituto alberghiero Pellegrino Artusi di Roma. Dopodiché una gavetta come molte altre:“Sono stato al Pastificio San Lorenzo e all’Hotel Splendide Royal a Roma, poi mi hanno chiamato a Salina, al Capofaro Resort per fare il sous chef, e successivamente sono ritornato a Roma al Mirabelle”. La svolta arriva nel 2014 con l'arrivo del giovane chef al Noma, peraltro senza sapere una parola di inglese.“Volevo fare un'esperienza importante, così con l'aiuto di un amico che all'epoca stava facendo uno stage al Noma, sono riuscito a intercettare Renè, che dopo due settimane di prova mi ha preso nel suo team dicendomi 'anche se non parli inglese, sai lavorare'”. A Copenaghen Alessandro impara il mestiere e il funzionamento di una cucina di livello, dall'impostazione della brigata ai ritmi a volte disumani, “si lavorava dalle sei all'una di notte, ma poco importava, eravamo nella cucina del primo chef del mondo. È stato un allenamento alla vita da cuoco, un'esperienza che mi ha aperto la mente”. Una volta imparato l'inglese (si scherza), decide però di tornare nella Capitale, non verso una destinazione qualunque, ma alla Pergola del Rome Cavalieri, dove resta per un anno e mezzo. “Inizialmente ero agli antipasti, poi sono passato al pesce e alle salse, così ho avuto l'opportunità di cogliere molti aspetti cruciali di ogni piatto, penso alle diverse consistenze o all'equilibrio dei sapori: ho imparato a rendere un piatto completo e compiuto”.

 

I due anni da Berberè

È a questo punto della storia che arriva l'incontro con i fratelli Aloe (Alessandro ha conosciuto Matteo Aloe durante l'esperienza al Noma) che gli propongono di gestire l'intera produzione di Berberè. Qui, per due anni, si è occupato di creare il menù e di “ingegnerizzarlo” per renderlo il più replicabile possibile. È stato il riferimento dei capi di cucina di tutti i locali, che con gli anni sono diventati otto, sia in termini formativi che pratici, si è preso carico del food cost e della gestione del personale, “sono arrivato a gestire 8 cucine e una quarantina di persone”. Ma Alessandro aveva messo in conto fin dall'inizio che la cucina gli sarebbe mancata: “Quando mi è arrivata la proposta di seguire Villa Naj non ho potuto dir di no. La voglia di rimettermi ai fornelli era tanta e so per certo che Matteo e Salvatore (Aloe, ndr) hanno compreso”. Così alla “veneranda” età di 30 anni tondi tondi Alessandro torna a cucinare. E lo fa nel cuore dell'Oltrepò Pavese a Villa Naj (finora regno di Federico Sgorbini).

Il ritorno ai fornelli a Villa Naj

Nella villa nobiliare del 1850 Alessandro porterà quanto imparato in questi anni e otto ragazzi, che formeranno la brigata, con i quali ha già lavorato e grazie ai quali sta ultimando il menù, che si potrà assaggiare ufficialmente dal 10 ottobre. “Punteremo sulla pulizia dei piatti, che non avranno più di tre o quattro ingredienti per volta, e sui prodotti del territorio, frutto di una ricerca durata settimane. Useremo il riso della Riserva San Massimo, le farine dei Molini di Voghera, i formaggi dell'azienda agricola Il Boscasso o la carne locale, come il maiale nero di Garlasco. Nonostante i prodotti tipici, ci slegheremo totalmente dalla tradizione”. E così ci saranno il crudo di manzo con mandorle, shiso ed estratto di rabarbaro, le linguine con scampi, pere e noci, il risotto con zucca, porcini e tè nero o l'agnello con crescione, scorza nera e ribes. Il pane, neanche a dirlo, sarà fatto in casa. Una cucina pulita, dai sapori decisi, dunque, anche per i tre menù degustazione, indicativamente da 5, 6 e 8 portate (prezzi dai 55 ai 90 €).

 

Villa Naj - Stradella (PV) – via Martiri Partigiani, 5 – 038542126 - primo servizio: 10 ottobre - najstradella.com

 

a cura di Annalisa Zordan

 

Cucina tipica turca. 11 preparazioni (abbinate a 11 vini italiani)

$
0
0

Abbiamo provato ad abbinare i piatti turchi a dei vini italiani. Ecco come ce la siamo cavata.

 

Hünkar Beğendi (delizia del sultano)

È una sorta di spezzatino di montone (o agnello) saltato in padella con tanta cipolla (kebap), abbastanza pepato, e servito su un letto di crema di melanzane arrostite sul fuoco e leggermente affumicate, lavorate poi con burro e farina e un pizzico di Kaşar (caciocavallo) grattugiato.

Piatto ricco, strutturato e speziato. Tanti profumi, freschezza e profondità. Vi consigliamo l’Aglianico del Vulture Titolo ’15 di Elena Fucci: a noi ha letteralmente convinto.

 

foto di www.cornucopia.net

Topik (palletta)

È un meze, appartiene alla tradizione Armena d’İstanbul: pallina di ceci, patate e humus ripiena di cipolla, pinoli e uva sultanina, cannella, pimento, pepe nero.

Senza dubbio un bianco, con un buon corpo ma soprattutto un’ottima aromaticità per contrastare la speziatura. Siamo andati nel Lazio e abbiamo trovato un grande Frascati Superiore. È l’Eremo Tuscolano 2016 dell’azienda Valle Vermiglia.

 

Dolma

Dolma (fagottini)

I dolma possono essere fatti con diverse verdure ripiene: foglie di vite, verza, melanzane fresche e secche, peperoni freschi e secchi, zucchine etc. A Istanbul sono fatti con un ripieno di riso senza carne (con cipolla, pinoli e uvetta), e olio d’oliva oppure con le lenticchie. Il più famoso è quello avvolto in foglie di vite.

Solo verdure e riso per questo piatto vegetariano molto saporito. Abbinare un bianco è d’obbligo, ma deve essere di buona struttura per supportare melanzane e peperoni. Provate con l’Offida Pecorino Artemisia ’16 della Tenuta Spinelli.

 

Lakerda

Lakerda

Il lakerda è il meze più istanbuliota che ci sia. Si fa con la palamita (tonnetto) del Bosforo: si dispone a fette sovrapposte, separate da strato di sale; dopo una breve fermentazione di 24 ore, il sale si pulisce e le fette si possono preservare nell’olio di oliva per più tempo.

Per il tonnetto del Bosforo siamo andati nel profondo sud Italiano e poi in cima al vulcano: avevamo bisogno di un vino mediterraneo, ma anche fresco e minerale. L’Etna Bianco Alta Mora 2016 di Cusumano è stata la scelta ideale.

 

Kadınbudu köfte (polpette “coscia di donna”)

Kadınbudu köfte (polpette “coscia di donna”)

Polpette soffici fatte unendo carne precotta e cruda condita con riso, sale, pepe, prezzemolo e si serve dorata e fritta. È il finger food più amato nelle case di Istanbul.

Dove c’è frittura, c’è bollicina. Il Brut Rosé di Monsupello ci sembra il vino perfetto queste polpette: pulisce la bocca, regge la struttura del piatto ed è profondo al punto giusto.

 

Kokoreç (spiedino di interiora)

Kokoreç (spiedino di interiora)

Cugino istanbuliota della trattalia sarda (spiedino di interiora avvolte nella pajata), il kokoreç si fa con intestini e animelle di agnello: precotto e poi grigliato, si condisce con spezie.

Tanto sapore, ma anche speziatura e succulenza. Il Valle d'Aosta Cornalin ’16 di Rosset Terroir è fresco, ha il tannino elegante, buona freschezza acida e una sapidità finale da manuale. Un vino da interiora, insomma!

 

Perde Pilavı (timballo pilav)

Perde Pilavı (timballo pilav)

È un pasticcio di pilav: il riso (con cipolla, uvetta, pinoli, carne di pollo, pepe nero, pimento) si avvolge nella pasta all’uovo e si cuoce al forno.

Senza dubbio un vino bianco. Ma deve essere fresco d’acidità, molto aromatico (fondamentale il contrasto con le spezie) e con un pizzico di dolcezza fruttata. L’Altoatesino Gewürztraminer Nussbaumer 2015 della Cantina Tramin è la bottiglia giusta.

 

Şiş kebap (spiedini)

Şiş kebap (spiedini)

Spiedini di carne: a differenza di quelli abruzzesi, sono molto speziati (pepe, cumino, peperoncino e timo secco).

Un’altra bollicina per gli spiedini. Ma rossa. Il Lambrusco Concerto ’16 di Ermete Medici & Figli pulisce la bocca dalla grassezza, col suo aroma regge bene la speziatura e la sua sapidità riesce a contrastare la succulenza del piatto.

 

Ayvalı Tas Kebabı (kebap con mele cotogne)

Ayvalı Tas Kebabı (kebap con mele cotogne)

Il piatto viene da Antep: spezzatino di agnello, cipolla, carota, mele cotogne, spezie. Si serve con pilav di riso o di bulghur.

Abbinare l’agnello con un bianco. Assolutamente si, specie se parliamo di un grande bianco, frutto di macerazione sulle bucce da una varietà aromatica: la Malvasia ’13 di Damijan Podversic darà senza dubbio il meglio.

 

Çiğ Köfte (polpette crude)

Çiğ Köfte (polpette crude)

Tradizione nel Sud-Est della Turchia, la loro origine è controversa. Le polpette più famose sono quelle di Urfa con il peperoncino İsot. Tutto resta crudo: agnello, bulghur, cipolla, concentrato di peperoni e pomodoro, pepe, sale, isot, cumino, limone.

Particolare piatto dove tutto resta crudo. Siamo andati sul sicuro e ci abbiamo abbinato una bollicina. La ricerca è andata in direzione di freschezza, sapidità e una naturale vena aromatica a completare. Il Valdobbiadene Brut Nature ’16 di Silvano Follador è stata scelta quasi obbligata.

 

Tavuk Göğsü (petto di pollo)

Tavuk Göğsü (petto di pollo)

Dessert molto particolare: budino di latte, fecola di riso, zucchero e petto di pollo sfilettato. Il sapore del pollo non si sente ma dà una texture intrigante. Si può mettere cannella o pistacchi sbriciolati.

Dolcezza chiama dolcezza, ma senza eccedere. Non dimentichiamo mai che il Piemonte produce un grandissimo (e storico) vino. Il Moscato d'Asti ’16 di Paolo Saracco non solo è buonissimo, ma è anche abbinamento ideale col dolce… al pollo.

 

a cura di Giuseppe Carrus

 

Articolo uscito sul Gambero Rosso di maggio. Un numero tutto rinnovato che potete trovare in versione digitale su App Store o Play Store

Abbonamento qui

 

COSA TI SEI PERSO

Nel numero di maggio del Gambero Rosso trovate l'itinerario completo alla scoperta di Istanbul, tra tendenze e novità in città. Un servizio di 15 pagine che include le infografiche di Alessandro Naldi per comprendere meglio gli avvenimenti storici della città, l'intervista a Carlo Bernardini, chef e promotore della gastronomia italiana a Istanbul, e un focus sul concetto di fine dining in città, uno a firma della giornalista Margo Schachter e l'altro dell'avvocato internazionalista Besim Hatinoğlu. Non solo, abbiamo selezionato i 4 migliori birrifici in Anatolia e le 4 tappe per scoprire il quartiere di Pamuk.

 

Le migliori Osterie d'Italia 2019 di Slow Food. La lista di tutte le Chiocciole

$
0
0

Presentata a Torino la 29esima edizione del “sussidiario del mangiarbene all'italiana”, che si dota di un decalogo dell'osteria contemporanea, assegna 6 nuovi premi speciali e vede crescere il numero di insegne premiate: sono 279 le Chiocciole in tutta la Penisola. 

 

Il decalogo dell'Osteria Contemporanea

Nell'ultimo giorno del Salone del Gusto, prende forma al Lingotto il racconto di 29 anni di pubblicazioni che hanno fatto la storia della guida Osterie d'Italia di Slow Food. Si presenta a Torino l'edizione 2019 del vademecum al mangiar bene sulle tavole della tradizione italiana, con la sfilata delle insegne meritevoli che conquistano (o confermano) la Chiocciola, distintivo d'eccellenza sullo Stivale gastronomico. A introdurre premiati e novità, sul palco, ci sono i curatori Eugenio Signoroni Marco Bolasco, pronti a sottolineare il periodo particolarmente felice del comparto, tracciando la via di una progressiva rinascita dell'osteria, che ha saputo trovare in se stessa e nella sua storia i valori per consolidarsi nel presente: la territorialità tradotta in una rete di prossimità che rende unica la proposta di ciascuna tavola, la professionalità al servizio di un'ospitalità che non trascura il calore umano, l'orgoglio nel rivendicare le proprie radici e saperle raccontare, senza per questo indire crociate contro la modernità, e anzi accomodandosi proprio nel mezzo a quella modernità di cui anche una tavola tradizionale può farsi ambasciatrice, a patto di credere nella propria identità (il decalogo dell'Osteria contemporanea, declamato a Torino e presente in guida, elenca punto per punto questi valori, e ci piace evidenziare un passaggio: l'osteria contemporanea “non insegue le mode, ma spesso le anticipa”; più discutibile, o almeno non discriminante a nostro giudizio, l'idea per cui l'osteria contemporanea “non ha menu degustazione”).

 

La guida 2019

Che tutto questo non sia solo uno sterile esercizio di metacritica la guida di Slow Food sembra volerlo dimostrare con i fatti: sono 133 le new entry su 1617 insegne recensite (in media il menu completo non supera i 35 euro, con rare eccezioni, ma sempre entro i 40 euro, giustificate da materie prime di particolare pregio); di queste, 279 popolano la compagine delle Chiocciole. Tanti i simboli per orientarsi tra tavole con orto di proprietà, locali che propongono menu vegetariano e carte dei vini particolarmente meritevoli perché attente al territorio, indirizzi con possibilità di alloggio. Oltre al nuovo simbolo dedicato all'extravergine e alle cucine che lo valorizzano.

 

I premi speciali

E poi la novità dei premi speciali, sei categorie che individuano i parametri di riferimento della buona osteria, e i relativi “campioni”. Così la miglior carta dei vini ci porta a Roma, per scoprire la cantina di Leonardo Vignoli da Cesare al Casaletto; il miglior oste è Giacomo Pavesi dell'Ostreria dei fratelli Pavesi a Podenzano (Piacenza), il miglior giovane in realtà sono due, e gestiscono la Badessa di Casal Grande Reggio Emilia. Premi anche per la novità dell'annoCacciatori a Cartosio, che ironia della sorte ha da poco festeggiato i suoi “primi” 200 anni di attività – alla miglior dispensa – quella di Reis a Frassino (Cuneo) – per la miglior tradizione, nell'Abruzzo di Zenobi a Colonnella (Teramo).

 

 

Tutte le Chiocciole 2019:

Piemonte
Osteria del Vicoletto Alba (Cn)
Osteria dell’Arco Alba (Cn)
Locanda dell’Olmo Bosco Marengo (Al)
Battaglino Bra (Cn)
Boccondivino Bra (Cn)
Violetta Calamandrana (At)
Il Moro Capriata D'Orba (Al)
Cacciatori Cartosio (Al)
Madonna Della Neve Cessole (At)
La Torre Cherasco (Cn)
Locanda Dell’Arco Cissone (Cn)
Ristorante del Mercato da Maurizio Cravanzana (Cn)
La Speranza Farigliano (Cn)
Reis Frassino (Cn)
Lou Pitavin Marmora (Cn)
Repubblica Di Perno Monforte d'Alba (Cn)
Cantina dei Cacciatori Monteu Roero (Cn)
Osteria Alpino Paesana (Cn)
Corona di Ferro Saluzzo (Cn)
Osteria della Pace Sambuco (Cn)
Del Belbo da Bardon San Marzano Oliveto (At)
La Coccinella Serravalle Langhe (Cn)
Impero Sizzano (No)
Antiche Sere Torino
Consorzio Torino
Locanda Del Falco Valdieri (Cn)
 
Liguria
Cian De Bià Badalucco (Im)
Magiargè Vini e Cucina Bordighera (Im)
Mse Tutta Calizzano (Sv)
Armanda Castelnuovo Magra (Sp)
A Viassa Dolceacqua (Im)
Da O' Colla Genova
La Molinella Isolabona (Im)
La Brinca Ne (Ge)
Da Fiorella Ortonovo (Sp)
U Giancu Rapallo (Ge)
Gli Amici Varese Ligure (Sp)
 
Lombardia
Al Ponte Acquanegra Sul Chiese (Mn)
Le Frise Artogne (Bs)
Altavilla Bianzone (So)
La Madia Brione (Bs)
Locanda Degli Artisti Cappella De' Picenardi (Cr)
Hostaria Viola Castiglione Delle Stiviere (Mn)
Il Gabbiano Corte De' Cortesi Con Cignone (Cr)
Locanda Delle Grazie Curtatone (Mn)
Caffè La Crepa Isola Dovarese (Cr)
Al Resù Lozio (Bs)
Mirta Milano
Ratanà Milano
Trippa Milano
Prato Gaio Montecalvo Versiggia (Pv)
Osteria Del Crotto Morbegno (So)
Guallina Mortara (Pv)
Burligo Palazzago (Bg)
Osteria della Villetta Palazzolo Sull'Oglio (Bs)
Trattoria dell’Alba Piadena (Cr)
Lago Scuro Stagno Lombardo (Cr)
Lamarta Treviso Bresciano (Bs)
 
Trentino Alto Adige
Locanda Delle Tre Chiavi Isera (Tn)
Boivin Levico Terme (Tn)
Osteria Storica Morelli Pergine Valsugana (Tn)
Cant Del Gal Primiero San Martino di Castrozza (Tn)
Nerina Romeno (Tn)
Kurbishof Anterivo-Altrei (Bz)
Alter Fausthof Fie' Allo Sciliar-Voels Am Schlern (Bz)
Pitzock Funes (Bz)
Signaterhof Renon-Ritten (Bz)
Lamm Mitterwirt San Martino In Passiria (Bz)
Waldruhe Sesto-Sexten (Bz)
Durnwald Valle Di Casies-Gsies (Bz)
 
Veneto
Alla Rosa Adria (Ro)
Zamboni Arcugnano (Vi)
Locanda Baggio Asolo (Tv)
Alle Codole Canale D'Agordo (Bl)
Pironetomosca Castelfranco Veneto (Tv)
Al Portico Cona (Ve)
Dai Mazzeri Follina (Tv)
Enoteca Della Valpolicella Fumane (Vr)
Al Ponte Lusia (Ro)
Madonnetta Marostica (Vi)
Il Sogno Mirano (Ve)
Da Paeto Pianiga (Ve)
Arcadia Porto Tolle (Ro)
Locanda Solagna Quero Vas (Bl)
Al Forno Refrontolo (Tv)
Zolin Sandrigo (Vi)
Antica Trattoria Al Bosco Saonara (Pd)
San Siro Seren Del Grappa (Bl)
Dalla Libera Sernaglia Della Battaglia (Tv)
Da Doro Solagna (Vi)
La Tavolozza Torreglia (Pd)
Isetta Val Liona (Vi)
Al Bersagliere Verona

Friuli Venezia Giulia
Ai Cacciatori Cavasso Nuovo (Pn)
Borgo Poscolle Cavazzo Carnico (Ud)
Al Castello Fagagna (Ud)
Borgo Colmello Farra D'Isonzo (Go)
Rosenbar Gorizia
Ai Ciodi Grado (Go)
Ivana & Secondo Pinzano Al Tagliamento (Pn)
Devetak Savogna D'Isonzo-Sovodnje Ob Soci (Go)
Da Afro Spilimbergo (Pn)
Sale E Pepe Stregna-Srednje (Ud)
Da Alvise Sutrio (Ud)
Stella D’oro Verzegnis (Ud)
 
Emilia Romagna
Osteria Bottega Bologna
Trattoria Di Via Serra Bologna
La Lanterna Di Diogene Bomporto (Mo)
Campanini Busseto (Pr)
Locanda Mariella Calestano (Pr)
Laghi Campogalliano (Mo)
Badessa Casalgrande (Re)
La Baita Faenza (Ra)
Entra Finale Emilia (Mo)
La Campanara Galeata (Fc)
Antica Locanda Del Falco Gazzola (Pc)
Osteria Del Vicolo Nuovo da Rosa e Ambra Imola (Bo)
Antica Trattoria Cattivelli Monticelli D'Ongina (Pc)
Osteria Di Rubbiara Nonantola (Mo)
Ai Due Platani Parma
Antichi Sapori Parma
Santo Stefano Piacenza
Ostreria Pavesi Podenzano (Pc)
Osteria Dei Frati Roncofreddo (Fc)
Amerigo Dal 1934 Valsamoggia (Bo)
Trattoria Del Borgo Valsamoggia (Bo)
 
Toscana
Aiuole Arcidosso (Gr)
La Lina Bagnone (Ms)
Il Tirabusciò Bibbiena (Ar)
Da Ghigo Campiglia Marittima (Li)
I Diavoletti Capannori (Lu)
Pasta e Vino Cascina (Pi)
Antica Fattoria Del Grottaione Castel Del Piano (Gr)
La Taverna Del Pian Delle Mura Castiglione d'Orcia (Si)
Il Grillo è Buoncantore Chiusi (Si)
Solita Zuppa Chiusi (Si)
Sbarbacipolla Biosteria Colle di Val d'Elsa (Si)
Osteria Del Teatro Cortona (Ar)
Da Burde Firenze
Il Cibreo Trattoria Firenze
Mangiando Mangiando Greve In Chianti (Fi)
Buatino Lucca
Il Mecenate Lucca
La Tana Dei Brilli Massa Marittima (Gr)
Da Roberto Taverna in Montisi Montalcino (Si)
L’Oste Dispensa Orbetello (Gr)
La Tana Degli Orsi Pratovecchio Stia (Ar)
Caciosteria dei Due Ponti Sambuca Pistoiese (Pt)
Antico Ristoro Le Colombaie San Miniato (Pi)
Da Gagliano Sarteano (Si)
La Botte Piena Torrita Di Siena (Si)
Piccola Trattoria Guastini Torrita Di Siena (Si)
Il Conte Matto Trequanda (Si)
 
Umbria
L’Acquario Castiglione Del Lago (Pg)
La Miniera Di Galparino Città di Castello (Pg)
I Birbi Perugia
Stella Perugia
La Locanda Di Colle Ombroso Porano (Tr)
Baciafemmine Scheggino (Pg)
 
Marche
Agra Mater Colmurano (Mc)
Da Maria Fano (Pu)
Gallo Rosso Filottrano (An)
Osteria Dell’Arco Magliano Di Tenna (Fm)
Ponterosa Morrovalle (Mc)
Ophis Offida (Ap)
Vino E Cibo Senigallia (An)
Coquus Fornacis Serra De' Conti (An)
 
Lazio
Nu’ Trattoria Italiana dal 1960 Acuto (Fr)
Lo Stuzzichino Campodimele (Lt)
Trattoria del Cimino Caprarola (Vt)
Osteria del Tempo Perso Casalvieri (Fr)
L’Oste della Bon’ora Grottaferrata (Rm)
Taverna Mari Grottaferrata (Rm)
A Casa di Assunta Isola di Ponza (Lt)
Sora Maria e Arcangelo Olevano Romano (Rm)
La Polledrara Paliano (Fr)
Osteria del Vicolo Fatato Piglio (Fr)
Da Armando Al Pantheon Roma
Da Cesare Roma
Grappolo d’oro Roma
Pro Loco D.O.L. Roma
Il Casaletto Viterbo
 
Abruzzo
Pervoglia Castellalto (Te)
Zenobi Colonnella (Te)
La Bilancia Loreto Aprutino (Pe)
Borgo Spoltino Mosciano Sant'Angelo (Te)
Sapori Di Campagna Ofena (Aq)
Taverna De Li Caldora Pacentro (Aq)
Taverna 58 Pescara
Font’artana Picciano (Pe)
Vecchia Marina Roseto Degli Abruzzi (Te)
La Corte Spoltore (Pe)
Cibo Matto Vasto (Ch)
 
Molise
Locanda Mammì Agnone (Is)
La Grotta Da Concetta Campobasso
Moriello 2.0 Termoli (Cb)
 
Puglia
L’Aratro Alberobello (Ba)
Le Macare Alezio (Le)
Antichi Sapori Andria
Perbacco Bari
Casale Ferrovia Carovigno (Br)
Cibus Ceglie Messapica (Br)
‘U Vulesce Cerignola (Fg)
La Cuccagna Crispiano (Ta)
Canneto Beach 2 Margherita Di Savoia (Bt)
Masseria Barbera Minervino Murge (Bt)
Medioevo Monte Sant'Angelo (Fg)
L’antica Locanda Noci (Ba)
Peppe Zullo Orsara Di Puglia (Fg)
La Piazza Poggiardo (Le)
Botteghe Antiche Putignano (Ba)
La Costa San Nicandro Garganico (Fg)
La Fossa Del Grano San Severo (Fg)
La Locanda Di Nonna Mena San Vito Dei Normanni (Br)
Ristorante Lilith Vernole (Le)
 
Campania
La Pignata Ariano Irpino (Av)
Valleverde Zi’ Pasqualina Atripalda (Av)
Nunzia Benevento
Tre Sorelle Casal Velino (Sa)
Gli Scacchi Caserta
La Pergola Gesualdo (Av)
Fenesta Verde Giugliano in Campania (Na)
La Marchesella Giugliano in Campania (Na)
Il Focolare Isola d'Ischia (Na)
Lo Stuzzichino Massa Lubrense (Na)
Di Pietro Melito Irpino (Av)
Mastrofrancesco Morcone (Bn)
Umberto Napoli
Famiglia Principe 1968 Nocera Superiore (Sa)
Osteria del Gallo e della Volpe Ospedaletto d'Alpinolo (Av)
Angiolina Pisciotta (Sa)
Perbacco Pisciotta (Sa)
Abraxas Pozzuoli (Na)
La Ripa Rocca San Felice (Av)
 ‘E Curti Sant 'Anastasia (Na)
 ‘O Romano Sarno (Sa)
La Piazzetta Valle dell'Angelo (Sa)
Il Cellaio di San Gennaro Vico Equense (Na)
 
Basilicata
Pezzolla Accettura (Mt)
Gagliardi Avigliano (Pz)
Al Becco della Civetta Castelmezzano (Pz)
Da Peppe Rotonda (Pz)
La Mangiatoia Rotondella (Mt)
Luna Rossa Terranova di Pollino (Pz)
 
Calabria
Pecora Nera Albi (Cz)
Il Tipico Calabrese Cardeto (Rc)
L’aquila d’oro Cirò (Kr)
La Taverna dei Briganti Cotronei (Kr)
La Collinetta Martone (Rc)
Calabrialcubo Nocera Terinese (Cz)
Le Fate dei Fiori Santo Stefano in Aspromonte (Rc)
Il Vecchio Castagno Serrastretta (Cz)
 
Sicilia
Gente di Mare Aci Castello (Ct)
Terracotta Agrigento
U Locale Buccheri (Sr)
Giardino di Venere Castelbuono (Pa)
Nangalarruni Castelbuono (Pa)
Terranova da Bernardo Isole Pelagie (Ag)
4 Archi Milo (Ct)
La Rusticana Modica (Rg)
Andrea Palazzolo Acreide (Sr)
Trattoria del Gallo Palazzolo Acreide (Sr)
Ai Cascinari Palermo
U Sulicce’nti Rosolini (Sr)
Da Luciana San Piero Patti (Me)
Al Ritrovo San Vito Lo Capo (Tp)
Acquarius Santo Stefano Quisquina (Ag)
Fratelli Borrello Sinagra (Me)
Cantina Siciliana Trapani
Caupona Taverna di Sicilia Trapani
 
Sardegna
Su Carduleu Abbasanta (Or)
La Locanda dei Buoni e Cattivi Cagliari
Su Tzilleri e Su Doge Cagliari
Santa Rughe Gavoi (Nu)
Su Recreu Ittiri (Ss)
Il Portico Nuoro
Il Rifugio Nuoro
Antica Dimora del Gruccione Santu Lussurgiu (Or)
Sas Benas Santu Lussurgiu (Or)

 

a cura di Livia Montagnoli

Paquier e Rinella. Due maestri pasticceri a Roma per un nuovo progetto: basta egocentrismi, insieme c'è più gusto

$
0
0

Aprirà all'inizio del 2019 il bar pasticceria “corale” che vede insieme, per la prima volta, Marco Rinella e Michel Paquier. Il primo arriva dalla fine del rapporto con Cristalli di Zucchero, il secondo si dividerà tra Genova - dove guida Douce - e Roma. Si gioca sull'incontro tra Italia e Francia, al centro il gusto che rifugge gli esercizi di stile. 

 

Marco Rinella. L'addio a Cristalli di Zucchero

In via di Val Tellina, quartiere Monteverde Nuovo a Roma, l'insegna non è cambiata. Ma quello che Marco Rinella ha portato via con sé è l'anima di Cristalli di Zucchero, d'ora in avanti destinato a proseguire per la sua strada, dopo undici anni intensi di sperimentazione sulle prospettive della moderna pasticceria italiana applicata al mondo del bar. Tanto è durato il percorso dell'insegna diventata un punto di riferimento della caffetteria romana (Tre Chicchi e Tre Tazzine per la guida Bar d'Italia del Gambero Rosso) per qualità dell'offerta e dell'ospitalità, trainata dal talento di Marco – figlio d'arte - che pure non ha mai accentrato su di sé i riflettori, e anzi ha formato in laboratorio molte delle giovani leve che negli ultimi dieci anni sono andate a rinfoltire la scuola della pasticceria romana.

Qualche settimana fa il sodalizio con i soci di Cristalli si è interrotto: a loro è rimasto il marchio (e il locale di Monteverde), mentre Marco, pronto a camminare da solo, ha tenuto per sé il centro di produzione a La Storta, quel Cristalli Lab che ha preso forma in un casale di campagna alla prima periferia della città e da tempo costituisce il cuore pulsante delle sue sperimentazioni. Un centro produttivo efficiente, dove l'attività non si è mai interrotta: diverse sono le produzioni per terzi che il laboratorio portava e continuerà a portare avanti sotto le direttive del maestro Rinella.

Michel Paquier. Un francese a Genova (e adesso Roma)

Da qualche settimana, però, un nuovo pasticcere è arrivato a dividere la scena con Marco: amico di lunga data e collega stimato, Michel Paquier – francese di stanza a Genova da più di 20 anni – sarà il compagno della nuova avventura romana che si concretizzerà nel giro di qualche mese con l'apertura di un bar pasticceria destinato a sommare più anime. In primis la tradizione italiana e quella francese: i campanilismi evidentemente non sono mai piaciuti ai due pasticceri, l'uno (Marco) da sempre affascinato da tecniche e preparazioni francesi, l'altro (Michel) così innamorato dell'Italia – di Genova – da decidere di legare al capoluogo ligure la sua vita e la sua attività, da 8 anni patron pasticcere di Douce Patisserie Cafè (Tre Chicchi e Tre Tazzine per il Gambero Rosso, e nel frattempo i locali in città sono diventati tre). Ma cominciano dall'inizio, per delineare quel che sarà: “Con Michel ci conosciamo da molti anni, c'è grande stima professionale” racconta Marco. “Quando ho capito di voler ripartire dal lavoro su me stesso per tornare a fare quello che mi riesce meglio, l'artigiano, mi è sembrato la persona perfetta con cui collaborare: non è una cosa comune vedere due maestri pasticceri che scelgono di lavorare in sinergia, senza protagonismi di sorta. Ma condividiamo la stessa filosofia, e Michel, con i suoi soci, avevano voglia di uscire da Genova, provare a investire anche altrove”. Gli fa eco Michel: “I progetti nascono dalle persone, possiamo confrontarci su tecniche e idee di pasticceria diverse, ma è importante condividere la stessa idea di stare al mondo. Così mettiamo insieme percorsi differenti in nome di una sinergia nuova, consapevoli di dover procedere con umiltà, restare con i piedi per terra. Ma anche molto felici di iniziare”.

 

Paquier e Rinella. Una nuova avventura a Roma

Del resto l'obiettivo è comune e discende da riflessioni maturate in tanti anni di lavoro sul campo: “Mi spaventa l'uniformità della pasticceria moderna” spiega Michel “siamo tutti tanto preoccupati di curare l'estetica nel dettaglio e farci belli agli occhi degli altri da arrivare a trascurare quel che vuole la gente. Vivere tanto in negozio mi ha aperto gli occhi: le persone chiedono semplicità, e noi vorremmo proporre una pasticceria alla portata di tutti, nel gusto e nell'estetica, ovviamente col sostegno di tecnica, materia prima di qualità, e attenzione alle esigenze di consumo contemporanee”. Quel che Marco riassume in tre aggettivi, “una pasticceria sana, leggera, consapevole”. E divertita, aggiungiamo noi, considerando quanto l'incontro creativo tra un italiano e un francese potrà restituire in termini di varietà dell'offerta: “L'intenzione è quella di spogliarci di orpelli inutili, rifiutare gli esercizi di stile, dare centralità al gusto delle materie prime ed esplorare tutte le possibilità, dai prodotti da forno alla pasticceria salata, che spesso è sottovalutata” spiega Marco.

 

Caffetteria, pasticceria, forno. Tutte le anime di un progetto inedito

Paquier e Rinella potrebbe chiamarsi il locale che nascerà, una caffetteria che vive per tutta la giornata, da colazione all'aperitivo, un po' boulangerie, un po' boutique di pasticceria, e chiaramente bar; soprattutto un posto confortevole e goloso. Molto dipenderà anche dalle dimensioni del locale, “siamo già in cerca del posto giusto, ci piacerebbe qualcosa di non troppo centrale, pensiamo a Prati, o all'Eur”, ma la giusta opportunità potrebbe stravolgere le premesse, “agli inizi di Douce mi sarebbe piaciuto aprire in un vicolo di Genova, un locale un po' defilato...Mi sono ritrovato in piazza Matteotti, praticamente sempre in vetrina! L'elasticità e la capacità di adattare la propria idea di impresa sono fondamentali per gestire un'attività”. Quindi si procederà per tappe, nella migliore delle ipotesi pronti ad aprire all'inizio del 2019. Intanto, però, il lavoro in laboratorio ha già dato i primi frutti: in occasione della presentazione della guida Bar d'Italia 2019, tra poche ore, Paquier e Rinella si presenteranno insieme, “con un gioco sul profiterol che ci sembrava perfetto per identificare questo sodalizio italo-francese”. Ma è solo l'inizio. Si comincia già a lavorare sui grandi lievitati, per la prima volta, il prossimo Natale, Douce venderà anche il suo panettone: “Anche Douce beneficerà della collaborazione, il laboratorio romano ci dà più spazio per mettere in produzione prodotti che finora non siamo riusciti a trattare”. Quel che più conta, però, è l'entusiasmo con cui comincia questo nuovo percorso insieme: “La routine rischia di renderci prigionieri di ciò che facciamo, darci nuovi stimoli è un regalo che facciamo prima di tutto a noi stessi”. I risultati, siamo sicuri, saranno un regalo per tutti.

 

a cura di Livia Montagnoli

Viewing all 5335 articles
Browse latest View live