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I fratelli Alajmo e Venezia. Il documentario sulla rinascita del Caffè Quadri che è una dichiarazione d'amore alla Laguna

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Ci sono il genio visionario di Philippe Starck, il rigore filologico di Marino Folin, l'abilità delle maestranze locali. E prima ancora la passione dei fratelli Alajmo, proprietari del Caffè Quadri dal 2010 e fautori di un restauro illuminato che da qualche mese ha regalato un volto nuovo allo storico spazio. Tutto questo nel documentario Quadri. 

 

Gli Alajmo al Caffè Quadri

A marzo scorso, il Caffè Quadri di Venezia riapriva battenti dopo il restauro voluto dai fratelli Alajmo, dal 2010 proprietari dello storico immobile di piazza San Marco. Fondato alla metà del diciottesimo secolo sul lato delle Procuratie Vecchie, il Caffè ha vissuto con Venezia cambiando pelle nel corso dei secoli, fin quando, quasi otto anni fa, la proprietà è passata di mano ai fratelli de Le Calandre, che del Quadri – oggi Gran Caffè, bistrot (il Quadrino) e ristorante fine dining al piano superiore – hanno fatto l'ennesima scommessa vinta di un sistema imprenditoriale solido e diversificato; quella galassia di cui con la famiglia Alajmo parlavamo proprio alla vigilia dell'inizio del cantiere. Dalla primavera scorsa Venezia e i numerosi turisti che ogni giorno gravitano sotto i portici di una delle piazze più celebri del mondo possono apprezzare il risultato di un restauro straordinario perché maturato in comunione d'intenti da un team di visionari – a partire proprio dai fratelli Alajmo – e artigiani che tramandano mestieri antichi in una città che è ancora scrigno di continue sorprese, tra calli, canali e capannoni nascosti alla vista dei più.

Quadri. Il documentario

Il documentario prodotto da Different Media Production e presentato ieri a Venezia (ora disponibile online sul canale Youtube degli Alajmo) condensa in 40 minuti di grande bellezza tutto questo: c'è l'entusiasmo genuino e coinvolgente di Philippe Starck, chiamato a ripensare gli spazi storici del Quadri senza stravolgerne l'anima, ma pure senza paura di osare per proiettarli nel presente della città; l'eleganza rigorosa dell'architetto Marino Folin - “fondamentale nel dialogo con la Soprintendenza e le maestranze chiamate a lavorare al restauro” spiegano Raffaele e Massimiliano ricostruendo la genesi di un progetto meditato a lungo e pianificato nel minimo dettaglio – e la verità di chi ha ereditato le arti manuali della Laguna. Tutto contribuisce a restituire l'idea di un piano grandioso per la capacità di ricreare la città in un microcosmo dove grandi menti e manualità convivono per esaltare l'anima di Venezia e di chi la abita.

Il restauro. La ricerca dell'equilibrio perfetto

Si comincia col ripristino delle superfici originali, sepolte sotto strati di vernici e lacche giustapposte negli anni: la protagonista di questa storia – andata in scena quasi esclusivamente di notte, con dedizione certosina, per non intralciare l'attività del caffè - è la restauratrice Anna De Spirt; ma di storie se ne intrecciano molte, quella della falegnameria Capovilla, il lavoro sugli specchi (“il nostro veicolo per guardare la realtà da un'altra prospettiva” spiega Starck) di Barbini, l'arte tessile di Bevilacqua, che con entusiasmo ha accolto l'opportunità di coniugare orditi e iconografie storiche con il guizzo del designer francese, in un tripudio di grottesche “del XXI secolo”, che movimentano le tappezzerie con i volti dei fratelli Alajmo, ammantati di una nobiltà d'altri tempi. E ancora l'artista Aristide Najean, disegnatore francese folgorato dall'arte del vetro, che oggi a Murano dirige una fucina unica nel suo genere: “è l'unica persona” racconta Starck “capace di cristallizzare l'inconscio, le ombre e le fantasie della mente”.

 

Imprenditoria illuminata. La poesia di Venezia nell'idea degli Alajmo

Delle sue opere, compreso il magnifico lampadario in “stile” Rezzonico che fa il paio con il pezzo antico già presente al Quadri, Starck ha riempito gli spazi, attento a mantenere l'equilibrio tra impulso creativo e restauro filologico: “La creatività dev'essere rispettosa, al servizio della bellezza dormiente di uno spazio magico. Nessun pastiche, al Quadri abbiamo lavorato per cristallizzare il mistero, la magia, la poesia di Venezia”. Gli fa eco Folin, nume tutelare dell'orgoglio culturale veneziano: “Venezia non è una città morta, è ancora piena di gente fantastica che ci lavora. Sono loro i protagonisti di questa storia, che va intesa come un vero manifesto del restauro in Laguna: follie creative e fantasie nuove possono dialogare con la storie e le maestranze locali”. Motore di tutto, l'intuizione dei fratelli Alajmo, capaci in questi anni di assecondare l'evoluzione del Quadri, e farne una vetrina internazionale che dà lustro alla città: “Oggi il Quadri è adulto” spiega guardando dritto in camera Raffaele “e il percorso degli ultimi 7 anni ci è servito per maturare la voglia di rinnovarlo nel rispetto della storia che ha vissuto. Il Quadrino ha chiuso il cerchio, e il Quadri è proiettato, al pari delle Calandre, a diventare una delle migliori tavole del mondo”. Sospeso sullo scenografico scalone, il leone con le ali, simbolo di Venezia (curioso scoprire com'è arrivato fin qui, la risposta nel documentario), ricorda che la storia della città non ha smesso di abitare questi spazi. A tavola, la cucina “di taglio lagunare” di Massimiliano e della sua squadra non fa che confermarlo.

 

Quadri: il documentario

 

a cura di Livia Montagnoli


Tre Bicchieri. Parla Maurizio Anfosso dell'azienda Ka*Manciné

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Immaginate una terreno terrazzato, con vigne ad alberello di oltre 100 anni. È lì che nasce il Beragna di Ka*Manciné, Rossese di Dolceacqua che ha conquistato i Tre Bicchieri.

 

Appena 3 ettari, nel comprensorio di Soldano sulle sponde del torrente Verbone, nel Ponente Ligure. In quell'area che vede, nel piccolo Rossese, una perla solo recentemente riscoperta. Sarà per una questione di maggiore visibilità, sarà perché incontra di più i gusti di un pubblico che inizia ad apprezzare, nei vini, la freschezza e l'eleganza rispetto alla potenza e la concentrazione. Fatto sta che il Rossese di Dolceacqua (Doc dal 1972) sta vivendo un momento felice. Anche grazie a vignaioli come Maurizio Anfosso. Patron, con la moglie, dell'azienda Ka Manciné. Appena 3 ettari, come dicevamo, tutti terrazzati e coltivati con viti ad alberello secondo la tradizione locale. Due cru: Beragna a circa 350 metri, e Galeae tra 300 e 390. E un grande talento nel saper interpretare al meglio territorio e annata.

 

Da dove deriva il nome dell'azienda?

Ka sta per casa, ma anche energia. Manciné è un soprannome di famiglia. Siamo in un paese piccolo, abbiamo praticamente tutti lo stesso cognome, così ci sono dei soprannomi per indicare le persone. Mio bisnonno Pietro era mancino e ci ha lasciato in eredità il nomignolo.

 

L'azienda a quando risale?

Ka Manciné nasce nel 1998. Avevamo l'idea di riprendere l'azienda della famiglia di mia moglie. I primi anni abbiamo prodotto solo uva, poi nel 2006 è arrivata la nostra prima etichetta: Beragna, la stessa premiata quest'anno. Da allora abbiamo sempre seguito al stessa filosofia, che è tutta nel territorio.

 

Oggi come è Ka*Manciné?

Siamo un'azienda piccola, 3 ettari di terrazzamenti con vigne ad alberello e scaraffe, i vecchi pali di legno, come è tradizione di questa zona, e una resa che è tra i 40 e i 60 quintali per ettaro. Anche se non abbiamo mai preso la certificazione bio, perché per un'azienda come la nostra è un po' complicato, siamo molto vicini a quell'approccio.

 

Per quanto riguarda la vinificazione, invece?

Anche per quello il principio è di intervenire il meno possibile. L'obiettivo principale è sempre cercare di mantenere l'annata. Siamo sulle 20mila bottiglie l'anno, massimo 22mila.

 

Beragna e Galeae sono i nomi dei vostri vini oltre che delle vostre vigne. Quali sono i caratteri dei terreni e di questi cru?

Beragna è una vigna di più di 100 anni acquistata nel '98, quindi non era della nostra famiglia. È uno scisto, un terreno calcareo marnoso, in una valle lunga 4-5 chilometri, dove il mare è a un chilometro in linea d'aria, e la sua influenza si sente. È un terreno esposto a nord est, diversamente dalle logiche delle vigne tradizionalmente esposte a sud est: questo orientamento ci salva quando fa molto caldo. Facciamo una vinificazione in acciaio con 7-8 giorni di fermentazione alcolica e si imbottiglia da marzo dell'anno successivo. Riusciamo a mantenere la freschezza. È un vino poco strutturato, punta più su eleganza e finezza.

 

Galeae è l'altro cru

È un vigneto esposto a sud est, quindi più caldo, su argille bianche e rosse. Qui da noi il terreno cambia anche nell'arco di 100 metri. È una vigna più giovane, piantata nel '98; ha rese più alte e ci dà un vino più strutturato.

 

Come mai hai scelto di utilizzare l'acciaio per le tue vinificazioni?

Perché il Rossese è un vino delicato, che ha una certa eleganza. Il legno si può usare, certo, ma bisogna avere a disposizione un'uva con una buccia più spessa, e stare molto attenti a capire quali sono i legni giusti per intervenire sul vino altrimenti si rischia di sconvolgerne la natura. Qui, in realtà, un tempo si usavano tonneau vecchie, che spesso però erano mal conservate. Quindi non era certo un elemento che migliorava il vino. Nelle prove che abbiamo fatto finora, il legno rischia di coprire la tipicità del Rossese. Ma non abbiamo abbandonato l'idea.

 

Angé però fa un passaggio in legno

Angé è la nostra riserva. Sono uve della vigna del Galeae. Fa un passaggio di 8 mesi in legno piccolo, ma non usiamo barrique nuove. Stiamo provando fino a che punto possiamo arrivare con le uve rossese, che estrazione e longevità riusciamo a ottenere. 10 anni sono possibili, è la fascia di tempo nel quale il vino si comporta meglio, ma può andare oltre.

 

State sperimentando ancora sui materiali?

In futuro vorremmo usare un materiale poroso ma che non abbia un rilascio per non rischiare di coprire il vino ma far sentire ancora di più gli aromi del vitigno. Che ha caratteristiche che un legno usato male o con tostature sbagliate rischiano di penalizzare, così che si rischia di fare peggio e non meglio.

 

Usi una percentuale di uva non diraspata. Come mai?

Assaggiando con altri colleghi anche annate molto vecchie, degli anni '60, quando cioè non si usava diraspare, abbiamo scoperto vini interessanti, più di quelli degli anni '90 prodotti senza raspi. Che sul breve periodo possono dare dei problemi al Rossese, soprattutto se tenuti su tutta l'uva, però sul lungo periodo danno qualcosa di buono. Perché quei tannini verdi dei raspi che inizialmente si integrano con difficoltà dopo qualche anno si nascondono, e fanno il loro dovere.

 

In che modo?

Il Rossese come il Pinot Nero tende alle riduzioni a dare qualche odore non piacevole, e poi a cambiare colore. Negli anni passati infatti era conosciuto più per questi suoi difetti che per i pregi. I raspi evitano tannini aggiunti, rimontaggi e altre pratiche che rischiavano di farne perdere i profumi tipici. Questo è un prodotto da trattare con i guanti. I raspi spaccano il cappello e impediscono alla massa di compattarsi favorendo l'ossigenazione e eliminando il rischio di riduzioni. Abbiamo visto che usare una percentuale di uve non diraspate - noi arriviamo al 20-30% ma ogni produttore di questa zona ha la sua formula – elimina il problema degli odori e dà più longevità al vino, oltre che aiuta a mantenere il colore.

 

Quanto è conosciuto il Rossese di Dolceacqua in Italia e nel mondo?

In Italia da qualche anno è abbastanza conosciuto. E questo anche grazie al lavoro di altre aziende della zona. Lo vediamo con le vendite che sono ben distribuite a livello nazionale. Per quanto riguarda il resto del mondo siamo in America, su entrambe le coste, in Australia, Irlanda e un po' nel nord Europa. C'è stato un incremento decisivo negli ultimi 4 anni, di pari passo a un aumento della visibilità di questo vino che fa pochissime bottiglie. Credo che il mercato abbia cambiato un po' gusti, orientandosi verso vini meno strutturati che qualche anno fa non sarebbero stati considerati.

 

Quanto contano per far conoscere un vino dalla produzione così ridotta, i premi come quello appena ricevuto?

Il Tre Bicchieri è un l'unico premio riconosciuto all'estero, riceverlo ha un grosso impatto. Questo per noi è il secondo anno e abbiamo potuto già vedere la differenza. E ce lo hanno detto anche i nostri esportatori.

 

 

Ka*Manciné - Soldano (IM) - Via Maciurina n°7 - 339-3965477 http://www.kamancine.it/

 

 

a cura di Antonella De Santis e William Pregentelli

 

 

 

 

Guida ai 5 giorni di eventi di Terra Madre Salone del Gusto 2018 a Torino

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Cinque giorni fitti di eventi, tra il Lingotto, Palazzo Reale e la Nuvola Lavazza. E poi tanti itinerari in città, cene d'autore, incontri con i produttori, laboratori di degustazione. Orientarsi a Torino durante il Salone è un impresa, quest'anno il programma è il più ricco di sempre. Qualche consiglio per l'uso. 

 

Di inequivocabile ci sono le date: dal 20 al 24 settembre Torino si trasforma in polo del cibo buono, pulito e giusto e accoglie la dodicesima edizione di Terra Madre Salone del Gusto. Un contenitore sconfinato di appuntamenti, conferenze, laboratori di degustazione, incontri formativi, cene e racconti di cibo che quest'anno saranno orientati dal tema Food for Change, che significa focalizzare l'attenzione sulla capacità di scegliere e insieme prefigurare un miglioramento delle condizioni di vita anche grazie alle dinamiche di produzione e consumo del cibo, che è motore di cambiamento. Dunque a Torino si riverseranno i delegati delle comunità del cibo di Terra Madre, promossa da Slow Food in 170 Paesi del mondo: insieme, guidati dai principi della Dichiarazione di Chengdu, animeranno i forum dell'Oval, al Lingotto Fiere, per discutere di cambiamenti climatici, agroecologia, Ogm, spreco alimentare, biodiversità, cibo e salute, processi produttivi e ritorno alla terra. Con loro, però, arriverà in città anche un gran numero di appassionati e curiosi, addetti ai lavori e stampa da tutto il mondo. E il Salone del Gusto sarà al contempo vetrina e luogo di incontro, col mercato allestito al Lingotto (fino alle 21.30), le Cucine di Strada, i food truck e i birrifici artigianali (che restano aperti nel cortile antistante fino a mezzanotte, come l'Enoteca allestita in piazza Castello, a Palazzo Reale), l'area B2B. In fiera – il biglietto giornaliero costa 10 euro, 5 in prevendita online, solo fino alla vigilia dell'inizio - la narrazione si articolerà in 5 aree tematiche: Slow Meat, Slow Fish, Cibo e salute, Semi, Api e insetti. Fuori, invece, tutta la città sarà attraversata da una rete di eventi che tocca i 350 appuntamenti. Anche i più temerari saranno messi a dura prova: seguire tutto è impossibile. Dunque, ecco qualche linea guida per vivere a pieno l'esperienza del Salone, e tornare a casa con qualche stimolo in più.

 

I luoghi, i temi

Le conferenze: In collaborazione con il Circolo dei Lettori, si divideranno tra il Lingotto e la Nuvola di Lavazza, che da quest'anno entra a far parte della geografia del Salone. Da non perdere l'incontro del 21 settembre (16-18) in Sala Gialla, con Alice Waters, Maria Canabal e Lella Costa per immaginare un rapporto diverso tra la donna, la terra e il cibo (Terra Liberata. Dialogo semiserio sulla caduta dell'Angelo del Focolare). Lo stesso giorno, alla Nuvola, va in scena Le ricette del cambiamento: come gli chef possono garantire la sostenibilità (18-20). Il 23 settembre, in Sala Gialla si parla di cambiamento climatico, con l'antropologo Amitav Ghosh e l'ambientalista Sunita Narain (11-13).

Il Mercato Italiano e Internazionale al Lingotto: Tre padiglioni per gli espositori italiani, l'Oval dedicato ai mercati internazionali e ai Presidi Slow Food, appuntamento fisso per scoprire i prodotti entrati nell'arca del cibo buono, pulito e giusto (22 le novità dall'Italia). Nell'area dedicata all'Italia, spazio per tre corner tematici: la Piazza del Gelato coordinata da Alberto Marchetti, il Cacao Camp (padiglione 2, con seminari, degustazioni e laboratori per bambini per scoprire la filiera dalla fava alla tavoletta), la Fucina di pane e pizza, che riunirà 5 pasticceri, 6 panettieri e 16 pizzaioli, sviluppando un programma giornaliero di laboratori su pane, pizza e pasticceria e quattro appuntamenti sul tema “una pizza per due”, con due pizzaioli a confronto.

 

La Cucina di Terra Madre: All'Oval cucine dal mondo a prezzi contenuti per tutta la durata della manifestazione, con oltre 50 cuochi della rete Terra Madre (il menu completo sul sito della manifestazione).

 

L'Enoteca: Allestita nella corte interna di Palazzo Reale, accoglierà i visitatori dalle 12 alle 24. Sul percorso banchi di degustazione, il Punto Mixology e il Punto Vermouth della Piazzetta Reale, i 28 laboratori del gusto a tema enologico e brassicolo al Palazzo della Giunta Regionale

 

Da segnare in agenda

Cerimonia di apertura Arena di Terra Madre: il 20 settembre (12) all'Oval per la cerimonia di accoglienza tradizionale che pone l'accento sul valore della condivisione. Si parla di indigeni, migranti e SFYN, evidenziando come il cibo possa essere strumento per abbattere le barriere e superare le sfide che il mondo deve affrontare.

Ante Instagram: Bob Noto. Alla Nuvola Lavazza la mostra che omaggia il lavoro e l'opera del rivoluzionario fotografo. Il 22 settembre appuntamento (su prenotazione) con Ferran Adrià, Matteo Baronetto, Marco Bolasco, Carlo Cracco, Giuseppe Lavazza, Davide Scabin, Federico Zanasi per ragionare di gusto e della sua evoluzione.

Appuntamenti a tavola: Si parte con l'anteprima al Cambio, con Matteo Baronetto e Paolo Casagrande dal Lasarte di Barcellona, il 19 settembre. Poi sarà Eataly Lingotto ad accogliere un ciclo di cene d'autore con protagonisti in arrivo dall'Italia e dal mondo: Ana Ros il 20, Arcangelo e Peppino Tinari da Villa Maiella il 21, Artur Martinez e Marc Ribas sabato 22; il 23 curioso appuntamento con la cucina islandese del ristorante Slippurinn, chiusura lunedì 24 con Moreno Cedroni. Già sold out la cena nelle storiche cantine del Cambio del 20 settembre e la pizza gourmet di Massimiliano Prete da Gusto Madre, lo stesso giorno.

Il caffè al Museo Lavazza: Nove appuntamenti per approfondire la cultura del caffè, dai metodi di estrazione alternativi al caffè nei dessert, all'evoluzione delle macchine d'epoca. Ma anche un viaggio tra piantagioni del mondo e abitudini di consumo diverse.

Mettete dei fiori nei vostri terreni: Tra le novità dell'edizione 2018, la macroarea dedicata alle api e agli insetti, nel percorso di visita del Lingotto. Il 20 settembre, dalle 13 alle 15, Eataly, Slow Food e Arcoiris si trovano per parlare del progetto Bee the Future, che coinvolge 100 agricoltori in tutta Italia per introdurre miscugli biologici di piante mellifere in zone agricole intensive. Le api sono una risorsa per tutti, e salvarle dall'estinzione è una priorità.

Bread for Change: Sabato 22, alle 18, l'appuntamento è in Sala Pt1 del Lingotto con i Panificatori Agricoli Urbani. Una tavola rotonda sul mondo del pane che cambia e il pane che cambia il mondo (non è uno scioglilingua, perché è un incontro importante abbiamo cercato di spiegarvelo qui)

Terra Madre IN: Un pacchetto di eventi diffusi in città e dintorni, un Salone Off che punta al coinvolgimento di un pubblico trasversale, con festival di strada, itinerari enogastronomici e storici alla scoperta dei quartieri e delle botteghe di Torino (come il Migrantour di Porta Palazzo), merende per bambini, cene sui tetti e nei cortili nascosti. E 15 itinerari di Tour DiVini tra le campagne piemontesi.

 

Terra Madre Salone del Gusto 2018 – Torino – dal 20 al 24 settembre - salonedelgusto.com 

 

a cura di Livia Montagnoli

 

Anteprima Tre Bicchieri 2019. I migliori vini dell'Alto Adige

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Le etichette dell'Alto Adige premiate con i Tre Bicchieri dalla Guida Vini d'Italia 2019 del Gambero Rosso.

 

Un susseguirsi di vendemmie molto diverse tra loro ha messo a dura prova l’opera dei tanti viticoltori altoatesini e, nonostante sia quasi scomparsa dalle nostre batterie d’assaggio l’infausta 2014, le diversità fra le ultime vendemmie sono chiaramente percepibili nel bicchiere. Ai vini del ’15 che hanno goduto di maturazioni ottimali e grande ricchezza, fanno eco quelli del ’16 in cui il profilo e rimasto più raffinato e nervoso. La 2017 infine è stata un’annata controversa, iniziata con la terribile gelata che ha coinvolto tutta l’alta Italia, proseguita con un’estate calda e asciutta e conclusasi con qualche grandinata di troppo, soprattutto nella Valle Isarco, ma i risultati finali sono di grande qualità.

Il vitigno principe della regione, il pinot bianco, mantiene le promesse e si aggiudica numerosi premi, con vini che esplorano i diversi animi del territorio dalla freschezza aromatica e dalla tensione del Sirmian di Nals all’eleganza del Tyrol di Merano fino alla complessità dell’Eichhorn di Manincor, del Praesulis di Prackwieser e della Riserva Klaser di Niklaserhof, senza dimenticare i numerosi vini che raggiungono meritatamente le nostre finali. Grandi performance anche da parte dei Pinot Nero, che sempre più spesso valorizzano le zone di provenienza, dalla ricchezza e solidità di Mazzon alla finezza e alla tensione che caratterizza i vini di Appiano Monte. La zona di Bolzano è il consueto laboratorio che sforna vini in cui la pienezza degli aromi fruttati e la potenza sono determinati, come per i Lagrein della Cantina di Bolzano o di Christian Plattner, esattamente come Valle Isarco e Val Venosta riescono sempre ad affermarsi per la finezza dei loro migliori bianchi. La sequenza Brenntal, Auratus e Nussbaumer costituisce ormai una sorta di percorso iniziatico per gli amanti del Gewürztraminer, per chi invece predilige i vini dal profilo meno esplosivo, ecco tre bianchi di valore assoluto: Beyond the Clouds di Elena Walch, Nova Domus di Terlano e per finire una versione di Chardonnay Lafóa difficile da dimenticare.

Chiudiamo questa piccola presentazione parlando di un settore che oggi appare ancora poco espresso ma le premesse sono di grande valore, la spumantistica, capitanata dalla Riserva 1919 ’12 di Kettmeir. Tra i premiati infine uno splendido Feldmarschall ’16 di Tiefenbrunner e due vini a base schiava: il Santa Maddalena Classico Hueb ’16 di Untermoserhof e il delizioso Lago di Caldaro Quintessenz ’17 della Cantina di Caldaro.


I vini dell'Alto Adige premiati con Tre Bicchieri

 

A. A. Bianco Beyond the Clouds '16 – Elena Walch

A. A. Chardonnay Lafòa '16 – Cantina Colterenzio

A. A. Gewürztraminer Auratus '17 – Tenuta Ritterhof

A. A. Gewürztraminer Brenntal Ris. '16 – Cantina Kurtatsch

A. A. Gewürztraminer Nussbaumer '16 – Cantina Tramin

A. A. Lago di Caldaro Cl. Sup. Quintessenz '17 – Cantina di Caldaro

A. A. Lagrein Mirell Ris. '15 – Tenuta Waldgries

A. A. Lagrein Taber Ris. '16 – Cantina Bolzano

A. A. Müller Thurgau Feldmarschall von Fenner '16 – Tiefenbrunner

A. A. Pinot Bianco Klaser Ris. '15 – Niklaserhof-Josef Sölva

A. A. Pinot Bianco Praesulis '17 – Gumphof-Markus Prackwieser

A. A. Pinot Bianco Sirmian '17 – Nals Margreid

A. A. Pinot Bianco Tyrol '16 – Cantina Meran

A. A. Pinot Nero Abtei Muri Ris. '15 – Cantina Convento Muri Gries

A. A. Pinot Nero Ris. '15 – Stroblhof

A. A. Pinot Nero Sanct Valentin Ris. '15 – Cantina Produttori San Michele Appiano

A. A. Pinot Nero Trattmann Mazon Ris. '15 – Cantina Girlan

A. A. Santa Maddalena Cl. Hueb '16 – Untermoserhof-Georg Ramoser

A. A. Spumante Extra Brut 1919 Ris. '12 – Kettmeir

A. A. Terlano Nova Domus Ris. '15 – Cantina Terlano

A. A. Terlano Pinot Bianco Eichorn '16 - Manincor

A. A. Val Venosta Riesling Weingarten Windbichel '16 – Tenuta Unterortl-Castel Juval

A. A. Valle Isarco Riesling '16 – Köfererhof-Günter Kerschbaumer

A. A. Valle Isarco Sylvaner Alte Reben '16 – Pacherhof-Andreas Huber

A. A. Valle Isarco Sylvaner Lahner '16 – Taschlerhof-Peter Wachtler

 

 

Kissaten giapponesi. Cosa sono e dove sono i migliori luoghi per bere caffè a Tokyo

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Nate agli inizi del Novecento, le kissaten sono caffetterie diffuse in tutto il Giappone. Luoghi in cui bere caffè, ascoltare musica jazz e mangiare cibo Yōshoku all'insegna del relax, riprendendo ritmi di vita lenti e cadenzati dai tempi di estrazione. Un modello che, oggi più che mai, sta tornando alla ribalta. Tutto il servizio lo trovate nel numero di settembre del Gambero Rosso, qui un assaggio.

 

Il Giappone è il terzo più grande importatore di caffè

Ci sono alcune cose da sapere sul caffè (e non solo sul tè!) in Giappone. Prima di tutto, la Terra del Sol Levante è il terzo più grande importatore di caffè dopo Stati Uniti e Germania; in secondo luogo, la cultura caffeicola nipponica risale a oltre 130 anni fa, momento in cui ha cominciato a svilupparsi fino a diventare una delle più influenti al mondo. Il modo in cui i giapponesi si approcciano all'oro nero è piuttosto insolito, a tratti bizzarro, sicuramente unico. Nella cultura nipponica il caffè è un caleidoscopio, uno strumento attraverso cui interpretare la realtà, specialmente quella occidentale. Nello specifico, esistono due diversi approcci alla degustazione del prodotto. Il primo concepisce il caffè come una bevanda di uso comune, pratica e di facile consumo, da acquistare in ogni momento della giornata dai tanti distributori sparsi a ogni angolo delle strade (Ueshima Coffee Co. o Suntory sono famosi per il caffè in lattina). Il secondo, invece, riguarda lo status symbol. Catene come Dutour o Starbucks hanno fondato il loro successo proprio sull'immagine che hanno saputo creare nel tempo: un'oasi di pace dove potersi rilassare, gustando una buona tazza fumante e leggendo il giornale.

Una Kissaten giapponesi

La prima kissa (caffetteria)

Al di là delle tendenze del momento, quello del caffè in Giappone è un tema serio. Produttore di tè da sempre, il Paese scopre il caffè solo nel Seicento, a bordo dei velieri olandesi. Ma i chicchi restano una materia sconosciuta fino a due secoli dopo. Prima del Novecento, i locali più diffusi erano le chaya, sale da tè con perfetto servizio orientale, dove gli infusi di foglie vengono abbinati ai wagashi, pasticcini a base di pasta di riso, castagne o fagioli azuki. La prima kissa (caffetteria), Kahisakan, nasce a Ueno, Tokyo, nel 1888, ispirandosi al modello dei caffè francesi. Nei primi decenni del secolo scorso, il numero di kissaten comincia ad aumentare (nel 1930, quelle della capitale erano già oltre 3.000), ma questo è solo il primo vagito del fermento caffeicolo giapponese del Novecento. Un percorso graduale e lento, quello dell'oro nero, bruscamente interrotto durante la Seconda Guerra Mondiale e ripreso nel '49, con la fine dei limiti sulle importazioni e la voglia sempre più prepotente del Giappone di occidentalizzarsi. Nel 1960, arrivano le prime torrefazioni, che danno il via a un processo di sviluppo inarrestabile.

Caffè esposto in una kissaten giapponese

Le kissaten diventano spazi d’avanguardia

Ben presto, insieme alle hall delle stazioni e alle lobby degli hotel, le kissaten diventano spazi d’avanguardia: una vera innovazione per un paese che fino ad allora riconosceva per lo più nei templi il focolare della vita di quartiere. Il successo dei nuovi locali fu immediato: nel decennio degli anni '60 le kissaten diventano 150mila, andando a creare un archetipo del modernariato giapponese, fatto di mobili in legno rosso intarsiato, vecchi telefoni rosa a gettoni e piccoli macchinari da torrefazione con cui i proprietari lavoravano il caffè secondo i propri gusti. Pochi anni dopo, questo modello entra in crisi: con l'arrivo delle prime grandi catene di caffetterie attorno agli anni '80, il format originario dei bar giapponesi viene dimenticato in favore di formule più veloci e moderne.

Caffè filtro in una kissaten giapponese

Oggi il numero di kissaten in tutto il Giappone è dimezzato – se ne contano circa 70mila – a causa dell’introduzione di brand internazionali come Dutour e Starbucks. Un vero paradosso, considerando che le kissaten sono state le prime vere antenate di quelle che in Occidente, a partire dal 1999, avremmo chiamato caffetterie specialty, ovvero quelle appartenenti alla Third wave of coffee.

 

a cura di Tokyo Cervigni

foto di Marco Crisari

 

QUESTO È NULLA...

Anteprima del servizio sulle kissaten giapponesi nel mensile di settembre

Nel numero di settembre del Gambero Rosso, un'edizione rinnovata in questi giorni in edicola, trovate il racconto completo con un focus sul il cibo servito nelle caffetterie. Un servizio di 9 pagine che include anchei nuovi format legati al caffè, i 6 piatti da non perdere nelle kissaten, le migliori kissaten di Tokyo con una mappa per orientarsi meglio, una timeline utile per individuare le date chiave del percorso del caffè in Giappone.

 

Il numero lo potete trovare in edicola o in versione digitale, su App Store o Play Store

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Bio*Sagra For Kids 2018. A Roma chef e bambini uniti per la ricerca terapeutica infantile

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La manifestazione ospitata dall'Orto di Alberico alle porte di Roma torna il 30 settembre per sostenere la ricerca terapeutica infantile. Una giornata di beneficenza all'aria aperta con la complicità degli chef e i protagonisti della ristorazione romana. I nomi e il programma. 

 

La manifestazione

Edizione numero cinque per la festa dei bambini che aiutano i bambini, la manifestazione ideata dalla FFK ONLUS con il patrocinio del Consiglio Regionale del Lazio e del Municipio ROMA VIII. Stessa formula vincente, più adesioni, tante novità. Per un evento che, nella sua semplicità, ha trovato la chiave del successo. L'obiettivo della Bio*Sagra For Kids è sempre lo stesso: raccogliere fondi per finanziare l'attività annuale di una ricercatrice del Dipartimento di Scienze Neurologiche dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, per un progetto sul ruolo terapeutico della dieta chetogenica nella cura dell'epilessia infantile farmacoresistente. Nel 2017, la manifestazione ha portato oltre 50.220 euro alla ricerca, quasi il doppio rispetto alla prima edizione del 2014: un successo che testimonia la sensibilità sempre più forte dei cittadini romani e laziali. Una cifra significativa che ci auguriamo possa continuare ad aumentare grazie alla partecipazione sentita del pubblico, delle tante famiglie che decidono di trascorrere una giornata in campagna all'Orto di Alberico, con i prodotti genuini della terra, una cucina sana e lineare e tante attività ludiche e istruttive pensate per i più piccoli.

I progetti

Ancora una volta, saranno tre i progetti benefici paralleli che la Onlus sosterrà per l'edizione 2018, a cominciare da “Tutti in Fattoria” della Fondazione Hopen, rivolto a giovani disabili o affetti da malattie rare per accompagnarli e formarli nell'apprendimento di professioni legate a mestieri specifici, avvicinandoli al mondo del lavoro. E poi “Green Bar” della Cooperativa Sociale CEAS, punto di aggregazione e formazione per minori vittime di abusi e maltrattamenti o con disabilità, una nuova realtà pronta a inaugurare nel parco della comunità educativa “l'Albero delle Mele” di Mentana. Infine, “Bottega dei Talenti” della ONLUS Opera Nazionale per le Città dei Ragazzi, impegnata ad assicurare risorse alla formazione professionale a vantaggio delle fasce deboli di giovani under 20.

Il programma

Come sempre, il biglietto di ingresso – acquistabile esclusivamente online novità di quest'anno – ha un costo di 15 euro e dà diritto a una Card con 5 “acini”, validi per l'acquisto delle specialità in assaggio agli stand, oltre che a una bottiglietta d'acqua. Ancora sul sito, è possibile comprare il biglietto di partecipazione ai vari laboratori, attività a numero chiuso su prenotazione, e anche le varie Ricariche Card, per assicurarsi più “acini” da spendere le consumazioni. Tanti gli appuntamenti in programma in questa quinta edizione: sport, un apiario didattico, un corso per scoprire reperti archeologici sotto la sabbia, la lezione di pasta fresca, la costruzione di strumenti musicali con materiali di recupero, percorsi sensoriali su cibo, vino e olio, teatro dei burattini, face painting e molto altro ancora. Per imparare divertendosi, e aiutare i meno fortunati.

Gli chef

Spazio anche agli adulti, che oltre ad accompagnare i più piccoli nei vari laboratori, potranno degustare pietanze d'eccellenza, rilassarsi in mezzo alla natura, condividere un pasto con gli amici all'aria aperta e godersi tanta buona musica dal vivo. A portare in tavola le proprie creazioni, oltre 70 protagonisti della ristorazione del Lazio. Anthony Genovese de Il Pagliaccio, Cristina Bowerman di Glass Hostaria, Francesco Apreda dell'Imago all'Hassler, Lele Usai de Il Tino, Carla Trimani di Trimani Wine Bar, Maria Paolillo di Enoteca Ferrara, Claudio Gargioli di Armando al Pantheon, tanto per citarne alcuni. E poi le gelaterie artigianali – Frigo, Il Palazzo del Freddo Fassi, Steccolecco – i dolci di Severance e La portineria, i prodotti d'eccellenza di Re Norcino, Oyster Oasis e molto altro ancora, a dimostrazione del grande spirito di solidarietà dell'enogastronomia capitolina. E quest'anno c'è anche una coda a base di eccellenti cocktail, per chi arriva più tardi.

Bio*Sagra For Kids – Roma – via di Fioranello, 34 – 30 settembre 2018 - www.biosagraforkids.it/

a cura di Michela Becchi

L'elenco dei protagonisti

1. Aminta – Marco Bottega

2. Antico Arco – Fundim Gjepali

3. Armando al Pantheon – Claudio e Fabrizio Gargioli

4. Cafè Merenda – Chiara Caruso

5. Caffè Propaganda – Emanuele Broccatelli aperitivo dalle 17:30

6. Calvisius – Roberto Placidi aperitivo dalle 17:30

7. Chinappi Roma – Claudio Gugliotti

8. Convivio Troiani – Angelo Troiani

9. Coromandel – Ornella de Felice

10. Cucina Eliseo – Lorenzo Buonomini

11. Cus Cus – Simona Iacono

12. Ditirambo – Alessandra Bottoni dolci dalle 14:30

13. Enoteca Achilli al Parlamento – Massimo Viglietti

14. Enoteca Celani – Antonio Celani aperitivo dalle 17:30

15. Enoteca Ferrara – Maria Paolillo

16. Enoteca Trimani – Paolo Trimani aperitivo dalle 17:30

17. Epiro – Matteo Baldi e Marco Mattana

18. Essenza – Simone Nardoni

19. Flower Burger – Fabrizio Verga

20. Fonzie the Burger’s House – David e Daniel Gay

21. Freddo - gelato artigianale dalle 14:30

22. Frigo - gelato artigianale dalle 14:30

23. Frutta Nuda, Pane & marmellata artigianale dalle 14:30 Area Kids

24. Glass Hostaria e Ape Romeo – Cristina Bowerman

25. GelosoGelato, gelato artigianale su stecco dalle 14:30 Area Kids

26. Grano – Danilo Frisone

27. Il Pagliaccio – Anthony Genovese

28. Il Sorì – Pasquale Paky Livieri

29. Il Tino e 41412 Cucina di mare – Lele Usai

30. Imago all’Hassler – Francesco Apreda

31. Keynco – Giada Panella e Valeria Sebastiani aperitivo dalle 17:30

32. La Baia di Fregene – Benny Gili

33. La Barrique – Antonello Magliari e Fabrizio Pagliardi

34. La Ciambella bar à vin con cucina – Francesca Ciucci

35. La Galleria di Sopra – Claudio Carfagna

36. La Gatta Mangiona – Giancarlo Casa

37. La Portineria – Gianluca Forino

38. La Punta Expendio de Agave con Cocina – Sarah e Christian Bugiada, aperitivo dalle 17:30

39. La Rosetta – Massimo Riccioli

40. La Salsamenteria - aperitivo dalle 17:30

41. Le Bon Ton Catering – Giovanni e Daniele Terracina e Dario Bascetta Greco

42. L’Orto di Alberico – Cesare Ansuini

43. L’Oste della Bon’ora – Maria Luisa Zaia

44. Livello1 – Mirko di Mattia

45. Madeleine – Francesca Minnella dolci dalle 14:30

46. Mavi – Kris Rag e Giorgio Romanini aperitivo dalle 17:30

47. Mazzo – Francesca Barreca e Marco Baccanelli

48. Meglio Fresco – Maria Laura Sales

49. Menabò – Paolo e Daniele Camponeschi

50. Metamorfosi – Roy Caceres

51. Mirabelle, Spledide Royal – Stefano Marzetti

52. Osteria dell’Orologio – Marco Claroni

53. Osteria di Monteverde – Roberto Campitelli

54. Osteria Fernanda – Davide del Duca

55. Oyster Oasis – Corrado Tenace, aperitivo dalle 17:30

56. Palazzo del freddo Fassi – gelato artigianale dalle 14:30

57. Panificio Bonci – Gabriele Bonci

58. Pasticceria De Bellis – Andrea de Bellis

59. Pastificio Mauro Secondi – Mauro Secondi

60. Per me – Giulio Terrinoni

61. Pizzeria Sancho- Franco “Sancho” e Andrea Di Lello

62. Pomodori Verdi Fritti – Francesco Ghislandi

63. Prelibato – Stefano Preli

64. Re Norcino – Stefano Antognozzi aperitivo dalle 17:30

65. Red Fish – Antonio Gentile

66. Retrobottega – Alessandro Miocchi e Giuseppe Lo Iudice

67. Santi Sebastiano e Valentino – Valerio Coltellacci

68. Selezione Boccoli – Luca Boccoli aperitivo dalle 17:30

69. Seu Pizza Illuminati – Pier Daniele Seu

70. Severance – Paola Tomasiello e Angelo de Vita

71. Simposio – Davide Mandarino

72. Spirito DiVino – Eliana Vigneti Catalani

73. Steccolecco, gelato artigianale su stecco dalle 14:30

74. Supplizio – Arcangelo Dandini

75. Taverna Volpetti – Walter Di Ruocco

76. Tischi Toschi – Alessio Casablanca

77. Trapizzino – Stefano Callegari

78. Trattoria Santopalato – Sarah Cicolini

79. Trimani Wine Bar – Carla Trimani

80. White Ricevimenti – Lino Menichetti

81. Zia Restaurant – Antonio Ziantoni

 

Cook. Il nuovo food magazine mensile del Corriere della Sera: ecco com'è

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Restituire dignità al giornalismo enogastronomico è la missione del progetto editoriale curato da Angela Frenda, che ogni mese proporrà ai lettori del Corriere un supplemento cartaceo gratuito dedicato alla cultura del cibo. Il primo numero è in edicola il 19 settembre, ma continua sulla piattaforma online. 

Il giornalismo enogastronomico rinasce dalla carta?

Questo supplemento è il frutto di un percorso fatto insieme”. Esordisce così, in edicola come supplemento mensile gratuito del Corriere della Sera, Cook, magazine dedicato al cibo in tutte le sue spigolature. La parole di benvenuto sono affidate ad Angela Frenda, responsabile editoriale del progetto: con lei il gruppo di giornalisti che dirige nella redazione Cucina del Corriere, e una serie di stimate penne italiane e internazionali che si avvicenderanno tra le pagine del giornale (per l'esordio c'è Julia Moskin, food reporter del New York Times, e le sue ricette “cucinate con lentezza”). L'obiettivo dichiarato (nella bella intervista rilasciata dalla Frenda a Identità Golose) è quello di riabilitare il giornalismo enogastronomico dal ruolo subalterno cui ha finito per essere relegato, proponendo un prodotto che pur restando generalista offra spunti di riflessione, curiosità, approfondimenti di interesse per un pubblico quanto più variegato possibile, “in chiave autorevole, ma semplice” sottolinea la Frenda. Dunque l'auspicio, nel giorno del debutto, è quello di proseguire su un percorso di confronto con i lettori iniziato sul sito, proseguito con gli appuntamenti sempre più frequentati di Cibo a Regola d'Arte, confluito l'anno scorso nei tre numeri monografici di Food Issue, “sperimentazioni sul futuro”, li definisce Angela Frenda orgogliosa di battezzare il nuovo arrivato.

Il cibo è cultura

Cos'è dunque Cook? Testi e immagini (foto e illustrazioni d'autore, “l'immaginario del cibo è sempre più disegnato”, sottolinea la Frenda, e il progetto grafico del mensile del Gambero Rosso non fa che confermarlo ormai da un anno) per costruire un racconto comprensibile e spiegare che il cibo è cultura. Prima copertina affidata all'illustrazione di Beppe Giacobbe (ogni mese si avvicenderà un grande illustratore alle prese con la sua idea di cibo), ampio lo spazio riservato alle ricette, focus sui protagonisti della ristorazione – si comincia con Norbert Niederkofler e Antonio Klugmann, ma anche Andrea Berton, raccontato da sua moglie Sandra – excursus nel panorama gastronomico internazionale, rubriche d'utilità, dall'agenda ai consigli per la lettura, agli oggetti di culto per una cucina di design. E indirizzi: il mercato del mese, le nuove aperture, i consigli per un weekend gourmet.

Una dimostrazione in più, dopo la nascita del supplemento settimanale R Food di Repubblica, che la carta stampata è interessata a investire sul food. E che il racconto enogastronomico può trovare spazio in molteplici forme nelle vetrine di edicole e librerie rivendicando la propria identità (purché abbia voglia di spingersi oltre la superficie, ma il discorso vale per tutti i settori dell'informazione).

La carta non è morta, dunque, o almeno prova a prendersi la sua rivincita. Cook, però, non potrà (e non vuole) prescindere dalla piattaforma online, nell'apposita sezione disponibile da oggi sul sito della Cucina del Corriere: uno strumento essenziale per stimolare quel confronto con i lettori e la community social che darà linfa al progetto editoriale (questa l'idea del CookingClub).

200 anni di cucina e tradizione. La Trattoria Cacciatori di Cartosio

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Compie 200 anni la Trattoria Cacciatori di Cartosio. Un'oasi di gusto nel Monferrato, gestita sempre dalla stessa famiglia. 

 

Nel 1818 a Treviri nasceva Karl Marx a Thornton Emily Brontë e a Cartosio apriva l’Hosteria del Popolo destinata a cambiare poi nome e diventare la Trattoria Cacciatori che quest’anno festeggia i 200 anni di attività. A gestirla da allora, senza soluzione di continuità e nello stesso luogo, è la famiglia Milano originaria di Novara e arrivata nel basso Piemonte già nel 1652.

Siamo pochi chilometri a sud di Acqui Terme, sulla strada che porta a Sassello (patria dei famosi amaretti) e poi scende verso la costa ligure di Ponente. Prima che le autostrade spostassero l’asse dei traffici, questa era un’importante via di comunicazione e di commerci fra la pianura e il mare e le belle colline attorno a Cartosio raccontano di un Piemonte che sfuma dolcemente verso accenti che via via si fanno sempre più liguri.

Trattoria Cacciatori_Federica_e_Massimo_con_il_documento_darchivio_che_attesta_la_nascita_del_locale

La quinta generazione della trattoria Cacciatori

Un po’ come la cucina dei Cacciatori (2 Forchette nella guida Ristoranti d'Italia del Gambero Rosso) oggi in mano a Federica Bassini che ha incontrato Massimo Milano nel 2006 ed è diventata sua moglie. Federica che ama definirsi cuoca e non chef ha imparato a stare in cucina e ha appreso le ricette dalla suocera Carla che ha guidato il locale assieme al marito Giancarlo per decenni per poi passare il testimone alla nuova generazione. E ancora prima, come in ogni trattoria che si rispetti, ai fornelli c’era la nonna Maria. A rovistare fra le carte si potrebbe andare indietro nel tempo, ad altri nomi, perché è solo l’anno scorso che nell’archivio storico parrocchiale è stato scoperto il documento attestante l’anno di nascita dell’antica osteria dei Milano.

Trattoria Cacciatori_Federica_mentre_prepara_il_pollo_alla_cacciatora

La cucina della stufa

Al centro della cucina c’è la vecchia stufa a legna che ha più di sessant’anni e continua ad essere il cuore di tutte le preparazioni. “È uno strumento che bisogna imparare a conoscere, con cui dialogare, ma vogliamo che continui ad accompagnarci ancora per tanto tempo” spiega Federica preparando il pollo alla cacciatora che è uno dei piatti simbolo del locale. La nettezza dei sapori dei piatti che escono dalla cucina ha qualcosa di disarmante, senza nessuna concessione a mode nell’impiattamento che è sempre minimal. Così per il peperone di Carmagnola ripieno, la zucchina anch'essa ripiena, la frittata di erba di S.Pietro che Massimo porziona a vista passando fra i tavoli. Si può dire la stessa cosa per i primi, come i ravioli burro e salvia o i tagliolini all’uovo.

trattoria Cacciatori_Ravioli_burro_e_salvia

Federica ritorna a parlare della stufa come elemento fondamentale della sua cucina. “è un sapere, significa stare tutto il tempo necessario accanto a lei, alimentarla e non abbandonarla, gestire il calore sentendolo sulla mia pelle. Lo scorso anno mi sono accorta che non era più soltanto uno strumento, ma qualcuno con cui dialogare”.

trattoria Cacciatori_Peperone_di_Carmagnola_ripieno

Entrata in cucina in punta dei piedi a fianco della suocera nel 2009, nel 2013 Federica si è trovata sola a condurre le danze e ha cominciato a proporre le sue idee: “ho cercato di alleggerire i sapori, usando più verdure nei ripieni, togliendo sale, sapendo che siamo comunque una propaggine del Monferrato con le sue tradizioni che ci fanno da cornice, ma portando qualche idea dai nostri viaggi.” Nascono così un piatto tipicamente estivo come il tortino di melanzane di ispirazione greca, con cipolla, timo, uvetta e la panna cotta alla menta dell’orto che porta una nota di freschezza. E anche in un classico come le zucchine ripiene si sente la mano diversa con l’uso di un Parmigiano molto stagionato.

 

Trattoria Cacciatori_Massimo_serve_la_frittata_di_erba_S_Pietro

La cantina

Massimo Milano, oltre che uomo di sala è anche uomo di cantina e racconta di tre incontri speciali che hanno accompagnato la storia del locale in questi ultimi anni: quello con la maison di Champagne Billecart Salmon che festeggia anche lei i 200 anni, quello con Walter Massa – il maestro del Timorasso e amico di famiglia – e con Gaja. “Angelo Gaja ci conosce da più di quarant’anni e a lui sono debitore di due ceffoni che mi sono serviti per crescere” scherza Massimo. Le due famiglie si conoscono dal 1979 e da allora non hanno mai smesso di frequentarsi. “La cantina non è nata dal nulla: negli anni ’60 compravamo vino della zona e imbottigliavamo, le sole bottiglie etichettate erano quelle di alcuni grandi nomi di Barolo e Barbaresco o di alcune eccellenze della Borgogna” spiega Massimo. “Poi, alla fine degli anni ’70 ho cominciato ad andare in Langa e a conoscere alcune importanti aziende che ci mandavano i loro migliori clienti: la nostra clientela internazionale è cresciuta in questo modo”. E proprio in questi giorni, ormai è un rituale che si ripete ogni due anni, i Cacciatori ospiteranno la delegazione hawaiana a Terra Madre. “È un momento bellissimo con i contadini del Pacifico che ci portano i loro prodotti e due anni fa ci hanno fatto conoscere una caffè straordinario”. Oggi nella carta dei vini si possono trovare oltre 380 referenze fra Monferrato, Roero, Langhe, Italia ed estero, con la chicca di 22 verticali di grandi rossi del Piemonte.

Trattoria cacciatori

L'ambiente

L’ambiente dei Cacciatori non è più quello della trattoria di un tempo. Il tovagliato Rivolta Carmignani, le posate Broggi, i bicchieri Zafferano, i calici Riedel, i piatti Richard Ginori sono valorizzati dalla ristrutturazione degli interni curata dall’architetto milanese Piero Castellini Baldissera. E, alle pareti – scelte di classe – opere di Ruggero Savinio (figlio di Alberto, nipote di Giorgio De Chirico), Alfredo Chighine, Piero Ruggeri, Anton Zoran Music, Pierluigi Lavagnino, e altri nomi dell’informale: tutti clienti e amici di Carla e Giancarlo che negli anni ’60 e ’70 sono stati l’anima del locale. “Ad Acqui c’era una importante galleria d’arte che i miei genitori frequentavano” racconta Massimo “se c’era un’opera che piaceva, erano liberi di prenderla ed esporla nel ristorante. I galleristi di Acqui erano a loro volta nostri clienti e portavano a mangiare tanti artisti. A fine anno si faceva la differenza fra il costo dell’opera e i conti del ristorante e si saldava. Bellissimo, storie di altri tempi”. E l’artista che ha lasciato il ricordo più significativo? “Enrico Morlotti che è stato un grande amico e ci ha regalato con generosità molte opere. Ricordo una cena fra Morlotti e lo scrittore Francesco Biamonti: due artisti che si parlano senza parole, solo con lo sguardo”. La sensazione, ancora oggi, è quella di essere accolti da Federica e Massimo nella loro casa con la stessa semplicità che si ritrova nei loro piatti, anche quelli che chiudono il percorso a tavola, come i gelati alla frutta di stagione o la sempre apprezzata crostata di pasta frolla, con marmellata di albicocche mele pinoli e uvetta.

 

Trattoria Cacciatori – Cartosio (AL) – via Moreno, 30 – 0144 40123 - www.cacciatoricartosio.com

 

a cura di Dario Bragaglia

 

 


Grande degustazione Mezzacorona a Roma. I vini del Trentino al Chorus Cafè

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Una serata per scoprire le peculiarità della viticoltura trentina attraverso 17 etichette del territorio. Finger food, atmosfera di festa, banchi d'assaggio allestiti per l'occasione. È il programma di una serata romana dedicata agli appassionati di vino al Chorus Cafè. 

 

L'appuntamento è per il 16 ottobre, a Roma. I vini in degustazione, però, sono espressione del Trentino riunito sotto l'egida di Mezzacorona: 17 etichette protagoniste ai banchi d'assaggio allestiti per una sera negli spazi del Chorus Cafè, presso l'Auditorium di via della Conciliazione. L'evento, organizzato dal Gambero Rosso, si propone infatti di far scoprire a stampa ed appassionati le peculiarità di un territorio vinicolo estremamente vocato, nel corso di una serata di festa che si protrarrà dalle 19 alle 23, in abbinamento a finger food e sfizi da accompagnare ai vini in degustazione. Tre le aziende coinvolte nell'iniziativa: Castel Firmian, Rotari e Feudo Arancio. Il costo del biglietto, acquistabile online sullo store del Gambero Rosso, è di 20 euro a persona. Di seguito l'elenco delle etichette in degustazione:

 

Rotari

  • Cuvée 28+ Brut

  • AlpeRegis Rose’ Brut millesimato 2013 Trentodoc

  • AlpeRegis Extra Brut millesimato 2012 Trentodoc

  • AlpeRegis Pas Dose’ millesimato 2011 Trentodoc

  • Flavio Riserva Brut millesimato 2009 Trentodoc

 

Mezzacorona Castel Firmian

  • Pinot Grigio Trentino Doc Riserva 2016

  • Muller Thurgau Trentino Doc Superiore 2017

  • Gewurztraminer Trentino Doc Superiore 2017

  • Nerofino Vigneti delle Dolomiti Igt 2015

  • Teroldego Rotaliano Doc Riserva 2013

  • Dabèn Moscato Rosa Trentino Doc 2016

 

Feudo Arancio

  • Grillo Sicilia Doc 2017

  • Tinchitè Sicilia Doc 2017

  • Dalila Sicilia Doc 2016

  • Cantodoro Sicilia Doc 2014

  • Hedonis Sicilia Doc Riserva 2015

  • Hekate Passito Terre Siciliane Igt 2014


In collaborazione con 

 

Ad Andrea Gabbrielli del settimanale Tre Bicchieri il Premio Casato Prime Donne

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Un premio per la capacità di raccontare storia, cultura e tradizioni della terra del Brunello con grande sensibilità e professionalità. È Andrea Gabbrielli il prescelto della giuria tutta al femminile del Premio Casato Prime Donne. La premiazione a Montalcino. 

 

E sono due. Dopo l'Etna Wine Award ricevuto lo scorso luglio, Andrea Gabbrielli - giornalista del settimanale economico Tre Bicchieri del Gambero Rosso – riceve il premio Casato Prime Donne per la sezione Io e Montalcino. La cerimonia, andata in scena domenica 16 settembre al Teatro degli Astrusi di Montalcino, rinnova ogni anno l'occasione per premiare il talento femminile (quest'anno, a vincerlo è Sara Gama, capitano della nazionale di calcio femminile, perché rappresenta “la risposta femminile ai cori xenofobi degli stadi di calcio maschile e agli episodi di violenza e razzismo che hanno avuto per oggetto atleti italiani di colore”, come ha spiegato Donatella Cinelli Colombini sul palco). Ma il Premio Casato Prime Donne, nato nel 1999 come evoluzione del Premio Barbi Colombini, pone l'accento soprattutto sui migliori contributi giornalistici e fotografici riguardanti il territorio e il vino Brunello, selezionati da una giuria tutta al femminile -  Francesca Colombini (presidente), Stefania Rossini, Rosy Bindi, Anselma Dell’Olio, Anna Scafuri, Daniela Viglione e Anna Pesenti– tra le principali testate nazionali e internazionali. Tre le sezioni di riferimento, che quest'anno hanno visto salire sul palco, oltre al nostro Andrea Gabbrielli (in collegamento dalla Cina), Gioacchino Bonsignore Cristina Conforti. Di seguito riportiamo la motivazione che ha portato al conferimento del Premio per la categoria Io e Montalcino (proprio su Montalcino, è in preparazione un approfondito articolo sul mensile di novembre, a firma Gabbrielli), rinnovando la soddisfazione e i complimenti di tutto il Gambero Rosso ad Andrea Gabbrielli:

 

“Andrea Gabbrielli, firma conosciuta al grande pubblico, è riuscito con grande sensibilità a coniugare storia,cultura e tradizioni della nostra terra, con la grande produzione agricola di qualità.

Iniziando dalla vendemmia, attraverso i suoi servizi, Gabbrielli considera il vino non solo un prodotto, ma un testimonial importante del “Made in Italy”.Quando scrive di vino, allarga la sua visione a tutti gli aspetti che il vino da sempre comprende: da quello propriamente economico per l’importanza delle aziende produttrici con tutto il personale necessario al loro funzionamento, a quello paesaggistico dato dalla natura così varia e multiforme nella terre dove nasce e si sviluppa la pianta d’uva, a quello artistico dove tutte le espressioni della cultura e dell’arte hanno spaziato nel raccontarlo e trasformarlo in immagine, a quello turistico, motore trainante di migliaia di appassionati. Ed infine, a quello psicologico per i momenti speciali che riesce a creare in diverse e disparate situazioni in cui si può trovare l’essere umano.

Esce un vino nuovo, un’azienda storica cambia la sua vita con una cessione estera, un personaggio famoso decanta una qualità di prodotto fino a quel momento pressoché sconosciuto, Gabbrielli, con l’esperienza profonda e maturata, attraverso il garbo e l’eleganza innata della sua penna, sa trovare le parole e le espressioni adeguate, corrette, gentili, mai fuori dalla verità”.

 

 

La pasta italiana in Emilia-Romagna. 23 formati tipici e la ricetta dei tortellini

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La cucina dell'Emilia-Romagna è da sempre sinonimo di pasta fresca. Non solo tortellini e lasagne, però: la tavola locale nasconde molti altri formati tradizionali, tutti da scoprire. 

 

Bologna la Dotta, la Rossa, e anche la Grassa. Il capoluogo emiliano è un vero paradiso per i golosi, un tempio gastronomico fatto di salumi ma anche e soprattutto di tanta pasta all'uovo, ripiena e non. C'è poi la provincia di Parma, sostenuta dai prodotti di una food valley che rappresenta uno dei vanti del settore agroalimentare made in Italy. Piacenza, con i suoi piatti corroboranti che caratterizzano una tavola sontuosa, amante delle carni di maiale, e la Romagna, che all'antica tradizione della piadina accosta primi piatti saporiti e dal gusto intenso. Vanta il primato tra le regioni italiane per numero di specialità riconosciute con le denominazioni Dop e Igp (44 in tutto), ma è nellastesura della pasta, una pratica portata avanti da sempre dalle sfogline, che l'Emilia-Romagna esprime al meglio la sua identità solida e coesa. Abbiamo cercato di radunare i principali formati tradizionali, oltre alla ricetta per un piatto di tortellini d'autore.

Anolini

Chiamati anche caplètt, anvèin, marubei, gli anolini sono una pasta ripiena di stracotto solitamente servita in occasione delle feste, in particolare Natale e Capodanno. Diffusi nella Val d'Arda e in provincia di Piacenza, affondano le proprie radici in tempi antichi: già presenti alla corte di Parma della metà del XVIII secolo, fra le prime testimonianze, “Li quattro banchetti destinati per le quattro stagioni dell'anno”, manoscritto della Biblioteca Palatina di Parma in cui si parla di una sfoglia sottilissima di farina e uova. Ma anche Bartolomeo Scappi fa riferimento alla pasta, fornendo la ricetta “per far tortelletti con pancia di porco e altre materie dal vulgo chiamate annolini”. Solitamente cotti nel “brodo in terza”, con tre carni diverse, nel piacentino vengono serviti anche nella versione pasticciata, disposti in una teglia e intervallati con ragù di carne, rigaglie di pollo e funghi.

Balanzoni

Come si intuisce dal nome ispirato alla celebre maschera, i balanzoni venivano originariamente consumati nel periodo di Carnevale, momento di festa e di grandi tavole imbandite. Conosciuti anche come tortelli matti, vengono preparati con una sfoglia verde agli spinaci e farciti con tutti gli avanzi rimasti in cucina.

 

cappellacci di zucca

Cappellacci di zucca

Simbolo della cucina di Ferrara, i cappellacci di zucca hanno una storia antica legata al territorio, tanto da aver guadagnato la dicitura Igp. Il primo documento a farne parola risale al 1584, quando Giovan Battista Rossetti, cuoco della corte di Alfonso II d’Este, pubblica la ricetta nella sua opera “Dello Scalco”. Lui li chiama “tortelli di zucca con il butirro” ma gli ingredienti sono gli stessi della versione attuale, se non fosse per l’aggiunta di alcune spezie, come per esempio lo zenzero o la cannella (essendo pur sempre destinati alle élite). Il nome “cappellaccio”, caplazin dialetto ferrarese, secondo alcuni storici fa riferimento alla forma simile a quella del cappello di paglia dei contadini ferraresi, chiamato per l'appunto caplaz. Secondo altri, invece, possono essere considerati la risposta ferrarese ai cappelletti, altra pasta ripiena tipica delle province di Modena e Bologna.

 

cappelletti

Cappelletti

Simile al tortellino, il cappelletto si differenzia per il ripieno di magro, con formaggio tenero – ricotta o cacio raviggiolo – scorza di limone e noce moscata. Un tempo veniva preparato dopo la quaresima ed era destinato alle tavole delle grandi occasioni. Secondo la tradizione, durante la preparazione dei cappelletti, le massaie erano solite preparare anche un cappelletto speciale, più grande degli altri, chiamato e' caplitaz e farcito solamente con pepe: una burla per il più goloso dei commensali che non sapeva rinunciare alle porzioni più generose. Altro periodo dell'anno dedicato ai cappelletti era la “seganda”, ovvero il momento della falciatura, rastrellamento e confezione dei covoni.

Fattisù

Un ripieno di verza, formaggio e insaccati per una sfoglia all'uovo tirata sottilmente e chiusa a forma di caramella: i fattisù sono dei ravioli tipici dei giorni di festa, diffusi in particolare nel Piacentino etipici del periodo invernale, momento ideale per la raccolta della verza.

Fettuccine di azzime

In occasione della Pasqua ebraica, la Pesach, sono le azzime le protagoniste della tavola: con questo ingrediente, ridotto in farina sottile e impastato con le uova, si preparano le fettuccine di azzime, solitamente servite in brodo di pollo, soprattutto nella zona di Ferrara. Con lo stesso impasto, vengono preparati anche dei maltagliati, ancora una volta da consumare in brodo.

 

garganelli

Garganelli

In dialetto romagnolo, il termine garganel indica l'esofago del pollo: è proprio da qui che deriva il nome garganello, formato di pasta rigato che ricorda un po' per la forma il garganel. Per ottenere la pasta, si utilizza il pettine del tessitore, un apposito attrezzo necessario per la rigatura, costituito da una serie di fili paralleli tenuti insieme da un telaio di canne. Oggi, vengono preparati con ragù di carne e sughi corposi, mentre un tempo erano serviti in brodo di cappone, profumati con un po' di noce moscata.

Gramigna

Diffusa anche nelle Marche e in Friuli Venezia Giulia, la gramigna è una pasta di farina di grano duro, farina 00 e uova, talvolta con aggiunta di spinaci o zafferano, nella versione paglia e fieno. L'origine del nome è da rintracciarsi nei semini delle graminacee infestanti: l'impasto, infatti, viene passato su una grattugia a fori molto larghi, in modo da ottenere piccoli pezzetti di impasto, da condire con salsiccia e parmigiano oppure sughi di pomodoro.

 

lasagna

Lasagne

La più celebre delle paste emiliane, un piatto che ha fatto il giro del mondo, diventando uno dei simboli della cucina tricolore: la lasagna è una delle paste più antiche, già presente ai tempi dei romani, che la cuocevano nel lasanum, una sorta di pentola. Fra le prime testimonianze scritte, i Memoriali bolognesi, che in un documento del 1282 riportano: “Giernosen le comadre trambedue a la festa, / de gliocch' de lasagne se fén sette menestra; / e disse l'un 'a l'altra: “Non foss'altra tempesta, / ch'eo non vollesse tessere, mai ordir né filare”. Tanti altri, poi, i testi – soprattutto di epoca medioevale – che descrivono la lasagna, la cui forma originaria era più simile a uno gnocco tirato a mano sottilmente. La tradizione recente prevede l'utilizzo di farina di grano, mentre anticamente venivano spesso impiegati anche altre sfarinati, come farro, segale, farina di castagne e simili, soprattutto in tempi di povertà. Le lasagne al forno così come oggi le conosciamo iniziano a comparire a partire dall'Ottocento, specialmente nel Sud Italia, dove venivano preparate per gli ospiti speciali. A interpretare da sempre questa antica tradizione, in Emilia sono le sfogline, donne dedite, in casa o nei ristoranti, alla preparazione di una sfoglia sottilissima e ricca di uova impiegata per tagliatelle, tortellini e lasagne. Il condimento classico è il ragù alla bolognese, ma sono tante le versioni che nel tempo si sono diffuse da Nord a Sud della Penisola.

Lunghètt

Saghetti più spessi e irregolari a base di acqua e farina, presenti in tutta la Romagna: i lunghètt sono una pasta contadina tipicamente invernale, nata in tempi di carestia in cui era difficile reperire le uova. Oggi vengono conditi con sugo di pomodoro, ma in passato erano solitamente serviti in bianco, con olio e formaggio locale. Una leggenda popolare narra che fossero molto graditi soprattutto dai più piccoli, al punto che, le famiglie più benestanti, li insaporivano con olio e e zucchero prima di servirli ai bambini.

Malfattini

Per molto tempo, in alcune zone della Romagna, la canapa è stata fra le colture più diffuse. In occasione della gramolatura, le famiglie contadine si cimentavano con la preparazione dei malfattini, piccoli gnocchetti all'uovo conditi con un ragù di piselli oppure in brodo, in una minestra con i fagioli.

 

passatelli

Passatelli

Non proprio una pasta, ma sicuramente uno dei primi piatti più apprezzati della regione: i passatelli sono un classico intramontabile della cucina emiliana, perfetti per le giornate più fredde. Si preparano con parmigiano, pangrattato, uova, midollo di bue, spezie (noce moscata e pepe in primis), un impasto sodo che viene fatto passare in un apposito attrezzo forato, da cui si ottengono dei cilindretti lunghi, da cuocere in brodo.

 

pisarei

Pisarei

Altro piatto tipico della tradizione contadina, i pisarèi, solitamente consumati in una minestra con i fagioli (pisarei e fasò). Si tratta di un impasto di farina, pangrattato e acqua, da cui si ricava uno spaghetto, che viene poi tagliato in pezzetti piccoli scavati con il dito. Fra le usanze del passato più caratteristiche, quella delle suocere piacentine, che per giudicare se la nuora fosse o meno adatta al proprio figlio, erano solite controllarle il pollice destro: se presentava delle callosità, significava che era una buona donna di casa.

Ricciolini

Preparati nella comunità ebraica ferrarese per il Kippur, i ricciolini sono una specie di cavatelli a base di farina e uova, solitamente cotti in brodo. Per realizzarli, occorre preparare delle piccole strisce di pasta, da arricciare poi lungo il bordo.

Spoja lorda

Quadrotti di pasta all'uovo ripieni dai bordi frastagliati, da gustare in brodo oppure conditi con diversi sughi: la spoja lorda è una specialità romagnola ripiena di ricotta (o stracchino o raviggiolo), uova, parmigiano e sale.

Strettine

Farina, ortiche e uova sono gli ingredienti che danno origine all'impasto per le strettine, delle tagliatelle strette non troppo sottili, insaporite con ragù di carni bianche e parmigiano. È un piatto tipico della primavera, momento ideale per la raccolta delle ortiche, che vengono lessate in poca acqua, strizzate, tritate e aggiunte all'impasto.

 

stringotti

Stringotti

Delle striscioline di farina di farro, farina di grano, uova e acqua, caratterizzate da una rugosità pronunciata: gli stringotti, diffusi anche in Umbria, dove sono conosciuti con il nome di stringozzi o ciriole, devono il loro nome alle stringhe, per via della forma allungata che ricorda i lacci delle scarpe di una volta. In Emilia-Romagna venivano un tempo preparati per la vigilia di Natale, conditi con olio, noci e pepe.

 

tagliatelle

Tagliatelle

Pasta iconica della tradizione emiliana, le tagliatelle sono ormai da tempo diffuse in tutta la Penisola, abbinate a sughi diversi a seconda della zona. La leggenda narra che sia stato Zafirano (o Zaffirino), cuoco alla corte di Giovnni II Bentivoglio, ad inventarle in occasione della visita di Lucrezia Borgia a Bologna. Secondo il racconto popolare, infatti, il cuoco si sarebbe ispirato proprio ai capelli biondi della donna per creare le celebri tagliatelle. Originariamente riservate ai giorni di festa, venivano consumate anche dalle famiglie meno abbienti: nelle campagne, durante l'autunno, i contadini facevano scorta di uova per il periodo invernale, conservandole nelle lòle, delle giare di terracotta, con una soluzione di acqua e calce. Il condimento preferito dai contadini era il sugo di salsicce accompagnato con i piselli, mentre i più benestanti utilizzavano un ragù di carni miste. La prima versione moderna delle tagliatelle è descritta da Giacinto Carena nel “Vocabolario domestico” del 1859: “Con farina intrisa in pochissima acqua non fredda, messevi talora delle uova, si fa la pasta sur un tagliere o sul coperchio rovesciato della madia: il pastone dimenato, brancicato e infarinato, si spiana e si assottiglia col Mattarello o Spianatoio, riducendolo in ampia sfoglia; e questa ravvolta su di sé e incartocciata, tagliasi con coltello trasversalmente in fila o listerelle”. Da sempre, vengono preparate anche nella versione dolce, fritte e addolcite con zucchero.

 

tortelli

Tortelli

Turtlò o turtj cu la cua nel Piacentino: in qualsiasi caso, si tratta di una pasta ripiena che prevede diverse farce a seconda della zona. Il nome deriva dal latino turta e indica una preparazione farcita: inizialmente, infatti, la turta era una sorta di torta rustica composta da due strati di pasta e ripiena di verdure. Preparazione di origini remote, i tortelli sono presenti già nei primi ricettari in volgare, seppur con formati diversi. Fra le tante chiusure possibili della pasta, si distingue quella piacentina cu la cua, ovvero con due code, la classica chiusura a caramella.

Tortelli romagnoli

In Romagna, i tortelli si farciscono con erbe di campagna e ricotta, aromatizzati con un po' di noce moscata, anche se ne esiste un'altra versione che prevede l'uso delle patate al posto delle erbe. Fra le erbe, sono gli stringoli (in dialetto, stridoli) a farla da padroni, molto diffusi nelle pinete del Ravennate, spesso cucinati anche come contorno. Altro tortello tipico romagnolo è quello di erbette, con bietola e ricotta.

Tortelli sulla lastra

Nella zona di confine fra la Romagna e la Toscana, nell'Alto Appennino forlivese, sono i tortelli sulla piastra i protagonisti della tavola. Si tratta di tortelli a base di farina e acqua di cottura della zucca, ripieni di zucca, patate, formaggio – cacio raviggiolo o pecorino – lardo e aromi, un tempo preparati in autunno in occasione della maturazione della zucca. Caratteristica principale è la preparazione sulla lastra, sistema di cottura molto popolare nel territorio per preparare la piadina.

 

tortellini

Tortellini

Un antico racconto popolare narra che, nel corso del Duecento, una marchesa giunse a Castelfranco Emilia e si fermò in una locanda chiamata Corona. L'oste, affascinato dalla giovane donna, dopo averla accompagnata in camera, rimase a spiarla dal buco della serratura, restando colpito dal suo ombelico. Tornato in cucina, decise di ispirarsi alla marchesa per dare una nuova forma alla pasta. È questa una delle leggende più amate circa la nascita del tortellino, anche se nel tempo storie e aneddoti diversi sono andati a sovrapporsi fino a creare un vero mito attorno a questa pasta. A ogni modo, si tratta di una delle paste ripiene più diffuse in tutta la regione, la cui paternità è da tempo contesa fra Bologna e Modena. Come spesso accade, non esiste una ricetta unica per la farcia, che cambia di famiglia in famiglia. Per il condimento, spazio alla fantasia: dal ragù di carne al classico sugo di pomodoro, dal brodo alla panna (quella buona!).

Zavardoui

Sono incerte le origini di questo nome insolito, ma secondo una delle ipotesi più accreditate deriverebbe dal termine dialettale zavardouna, che si riferisce a una donna trasandata. I zavardouni, infatti, sono dei quadrotti di pasta di farina di grano, farina di mais, sale e acqua, un po' grossolani e dalla forma irregolare. Per gustarli al meglio, i romagnoli li accompagnano con una salsa di pomodoro e formaggio di pecora.

La ricetta: i tortellini

Ingredienti

Per la pasta

350 g. di farina

4 uova

Per il ripieno

250 g. di lombo di maiale

150 g. di prosciutto di Parma affettato

200 g. di mortadella affettata

80 g. di parmigiano grattugiato

olio extravergine di oliva q.b.

1 uovo

Sale q.b.

Pepe q.b.

Noce moscata q.b.

Tagliate il lombo di maiale a fette. Scaldate un filo d'olio in una padella e rosolate la carne a fuoco vivace pochi minuti per parte. Quando ha preso un colore deciso, insaporitela con sale (poco) e pepe, ritiratela dal fuoco e lasciate raffreddare quindi tagliatela a pezzi e raccoglietela nel bicchiere del mixer con il prosciutto e la mortadella. Frullate fino ad ottenere un composto non troppo sottile perché i tortellini sono molto più buoni se, masticando, si riesce a sentire la carne. Travasate il tutto in una terrina e unitevi l'uovo intero, una grattatina di noce moscata e il parmigiano. Mescolate, impastando con le mani, fino ad ottenere un amalgama consistente. È consigliabile, ma non necessario, far riposare l'impasto per una notte. Preparate la pasta con uova e farina lavorandola a lungo, quindi tirate la sfoglia sottilissima (se utilizzate la macchinetta, effettuate l'ultimo passaggio nell'ultimo spessore) e ricavatene dei quadrati di circa 3 cm di lato. Disponete al centro una piccola nocciola di composto, ripiegate a triangolo e premete un poco tutto intorno per sigillare quindi avvolgete il triangolo (punta in alto) attorno alla sommità dell'indice e fate combaciare le estremità stringendole. Lasciate riposare i tortellini anche per un giorno e fateli cuocere per non più di due-tre minuti. Per apprezzarli in pieno, i tortellini si mangiano in brodo, meglio se di manzo e cappone.

a cura di Michela Becchi

 

Guida Pizzerie d'Italia 2019 del Gambero Rosso: è arrivato il tempo dei voti

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Per la prima volta i locali non vengono giudicati solo con spicchi e rotelle, ma a ognuno è assegnato un punteggio numerico che prende in considerazione la pizza, l'ambiente e il servizio. A riprova di come il mondo dell'arte bianca stia crescendo sempre di più. Ecco i premiati, “vecchi” e nuovi, gli emergenti e le tendenze.

 

Oltre 600 locali, 62 i Tre Spicchi premiati e 10 le Tre Rotelle: ecco i numeri che emergono dalla nostra guida Pizzerie d'Italia 2019, presentata oggi a Palazzo Caracciolo a Napoli. A smuovere le acque, però, sono stati in realtà altri numeri, con cui questa sesta edizione si cimenta per la prima volta: le pizzerie non vengono più valutate solo impiegando gli spicchi e le rotelle, ma questi si affianca infatti un punteggio frutto della somma di tre voci. A partire da quella che riveste il peso maggiore, la pizza (80/100): una sola parola che raccoglie un giudizio costruito analizzando ogni fase della lavorazione, quindi dall'impasto fino a cottura e topping. E poi l'ambiente e il servizio, quest'ultimo comprensivo pure della proposta beverage: 10/100 a testa, ovviamente calibrando il voto in rapporto alla categoria di appartenenza dell'insegna (pizza napoletana, all'italiana, a degustazione oppure a taglio).

Una grande sfida – non solo per i pizzaioli ma anche per noi – e soprattutto un cambiamento che nel 2013, quando prendeva forma la prima edizione della guida, non avremmo mai immaginato. “La pizza è uno dei simboli dell’italianità nel mondo. La sesta edizione della guida Pizzerie d’Italia è ancora più attenta a questo grande patrimonio nazionale, capace di cogliere quei piccoli dettagli che fanno la differenza, principalmente l’utilizzo di materie prime di qualità"  spiega Paolo Cuccia, Presidente del Gambero Rosso, che aggiunge: "inserendo i voti, Gambero Rosso ha deciso di dare ancora più rilevanza all’arte dell’impasto, alla valorizzazione dei prodotti del territorio e alla miriade di eccellenze che da sempre contraddistinguono l’Italia e la sua biodiversità”. A dimostrazione del fatto che il mondo dell'arte bianca non si ferma (tra le più recenti riprove c'è stato il tentativo di redigere un manifesto della pizza romana), e il tempo in cui la pizzeria era l'emblema di un pasto fuori casa poco impegnativo – in termini di esperienza e portafoglio - è finito e, al contrario, oggi il modo migliore per darne una fotografia esaustiva è avvicinare i criteri di giudizio a quelli che da anni impieghiamo per i ristoranti.

In che direzione va la pizza? I due premiati come Pizzaioli Emergenti

Ma comunque nessuna esagerazione o leziosità, perché il filo che unisce (e per lo stesso motivo divide) le pizzerie italiane sembra essere quello della “complessità nella semplicità”. La ricerca si concentra sugli ingredienti base della pizza e rivela come, ad esempio, non esista un'unica Margherita: le possibilità di sperimentazione sono infinite e, diversificando le farine, diventa opportuno fare lo stesso per l'olio, il pomodoro e via dicendo. Così lo studio e la conoscenza della materia prima assumono un peso sempre più importante tanto quanto la capacità di raccontarli (lo ribadiamo, il servizio è una voce da non sottovalutare) e il bello è come questo fermento vada di pari passo con la ri-scoperta dei vari territori. Biodiversità, stagionalità e filiera controllata sono i mantra che emergono e che ci hanno portati ad assegnare il premio di Pizzaiolo Emergente a Luca Mastracci di Pupillo Pura Pizza a Priverno e a Valentino Tafuri di 3 Voglie a Battipaglia.

 

Conferme tra le Tre Rotelle, i nuovi Tre Spicchi

Tornando a spicchi e rotelle, le Tre Rotelle – il massimo premio per la pizza a taglio - sono tutte conferme (con Gabriele Bonci e Renato Bosco in testa) mentre tra i Tre Spicchi ci sono dodici new entry che mettono in mostra altre chiare tendenze dell'universo pizza. A cominciare dal fatto che ormai per mangiarne una in vero stile napoletano, con l'impasto steso sottile e il cornicione alto e rigonfio, non è affatto necessario raggiungerne la terra d'origine. Sei dei nuovi premiati sono infatti indirizzi dediti al disco verace e di questi solo uno è in Campania, ossia Casa Vitiello a Caserta. Gli altri sono Battil'Oro Fuochi + Spiriti + Lievitia Seravezza, con cui Gennaro Battiloro ha compiuto il passo di un'insegna a suo nome dopo svariate esperienze, Officine del Cibo a Sarzana (e un Tre Spicchi arriva in Liguria), Al Fresco a Firenze (con la firma di Romualdo Rizzuti, che di Tre Spicchi fa il bis con il suo locale Le Follie di Romualdo), Guglielmo Vuolo Verona– sbarcato in Veneto dalla pizzeria Eccellenze Campane a Napoli – e poi Il Vecchio e il Mare (di nuovo a Firenze).

 

Per la categoria della pizza all'italiana, invece, la novità è Seu Pizza Illuminati a Roma (nel frattempo le tonde di Pier Daniele Seu restano al Mercato Centrale capitolino), per quella della pizza a degustazione sono Sesto Gusto (con cui Massimiliano Prete conquista Torino), Da Ezio ad Alano di Piave dove Denis Lovatel ha raccolto l'eredità di papà Ezio e costruito il suo varco personale, La Pergola a Radicondoli, attiva dagli anni '70 e dove la creatività unita al “chilometro vero” ha permesso a Tommaso Vatti di segnare la svolta, La Ventola a Rosignano Marittimo (pure qui, una storica conduzione familiare che ha saputo rinnovarsi) e L'Osteria di Birra del Borgo a Roma, con Luca Pezzetta e una bella sperimentazione che procede di concerto con l'anima brassicola.

 

Da Nord a Sud (e nel mondo)

Insomma, i pizzaioli sono intraprendenti e sfoderano uno spiccato piglio imprenditoriale: basti pensare che la pizza di Sorbillo è a Napoli come a Milano (e presto a Roma), Antonio Starita ha raggiunto Torino e il Pizzarium di Bonci continua a far parlare di sé anche a Lucca. Così le distanze si accorciano e non solo dentro i confini nazionali, dato che in guida c'è una sezione dedicata alle Migliori pizze italiane nel mondo, gli allievi si staccano dai maestri e trovano il coraggio di mettersi in proprio, mentre i grandi spingono l'asticella sempre più in alto. Eccoli qui, per la prima volta con il voto che abbiamo assegnato.

 

Pizzerie d'Italia del Gambero Rosso 2019 | pp 395 | euro 8,90 | La guida è acquistabile in edicola, libreria e online

 

Pizzerie d'Italia 2019 del Gambero Rosso: i premi

 

I TRE SPICCHI

PIZZA NAPOLETANA

96
Pepe in Grani – Caiazzo (CE)


95
La Filiale a L'Albereta – Erbusco (BS)


94
La Notizia – Napoli


93
La Notizia – Napoli


92
Le Follie di Romualdo – Firenze

Battil'Oro Fuochi + Lieviti + Spiriti – Seravezza (LU)

50 Kalò – Napoli

Sorbillo – Napoli

Pizzeria Salvo – San Giorgio a Cremano (NA)


91
Officine del Cibo – Sarzana (SP)

Montegrigna by Tric Trac – Legnano (MI)

Enosteria Lipen – Triuggio (MB)

'O Scugnizzo – Arezzo

Al Fresco – Firenze

I Masanielli – Caserta

Oliva – da Concettina ai Tre Santi – Napoli

 

90
Perbacco – La Morra (CN)

Guglielmo Vuolo Verona – Verona

Giotto – Firenze

Il Vecchio e il Mare – Firenze

Kambusa – Massarosa (LU)

Mamma Rosa – Ortezzano (FM)

Casa Vitiello – Caserta

Da Attilio alla Pignasecca – Napoli

Starita – Napoli

Villa Giovanna – Ottaviano (NA)

Era Ora – Palma Campania (NA)

Fandango – Filiano (PZ)

 

I TRE SPICCHI
PIZZA ALL'ITALIANA

91
Libery Pizza & Artigianal Beer – Torino
Proloco Dol – Roma
Framento – Cagliari

 

90
Piccola Piedigrotta – Reggio Emilia

La Gatta Mangiona – Roma

Pro Loco Pinciano – Roma

Seu Pizza Illuminati – Roma

Sforno – Roma

Tonda – Roma

Giangi's Pizza – Arielli (CH)

La Sorgente – Guardiagrele (CH)

La Braciera – Palermo


I TRE SPICCHI
PIZZA A DEGUSTAZIONE

96
I Tigli – San Bonifacio (VR)


94
Saporè – San Martino Buon Albergo (VR)


93
L'Osteria di Birra del Borgo – Roma


92
Gusto Divino – Saluzzo (CN)

SestoGusto – Torino

Apogeo Giovannini – Pietrasanta (LU)


91
Patrick Ricci. Terra, Grani, Esplorazioni – San Mauro Torinese (TO)

Sirani – Bagnolo Mella (BS)

Dry Milano – Solferino – Milano

Ottocento – Bassano del Grappa (VI)

Mediterraneo – Brugnera (PN)

La Divina Pizza – Firenze

Lo Spela – Greve in Chianti (FI)

In Fucina – Roma

Piano B – Siracusa

 

90
Da Ezio – Alano di Piave (BL)

Gigi Pipa – Este (PD)

Berberè – Castel Maggiore (BO)

La Pergola – Radicondoli (SI)

La Ventola – Rosignano Marittimo (LI)

Agriturismo Il Casaletto – Viterbo

Percorsi di Gusto – L'Aquila

 

 

LE TRE ROTELLE

95
Pizzarium - Roma


94
Saporè Pizza Bakery – San Martino Buon Albergo (VR)


92
Pizzarium – Lucca

Panificio Bonci – Roma

'O Sfizio d' 'a Notizia – Napoli

Pizzamore – Acri (CS)


91
Masardona – Napoli

Pizzeria Bosco – Tempio Pausania


90
Menchetti – Arezzo

Pizzeria Sancho – Fiumicino (RM)

 

I PREMI SPECIALI

La migliore carta delle bevande

ZenZero Osteria della Pizza – Pisa

Oliva – da Concettina ai Tre Santi – Napoli


I Maestri dell'impasto

Gennaro Battiloro - Battil'Oro Fuochi + Lieviti + Spiriti – Seravezza (LU)

Francesco e Salvatore Salvo – Pizzeria Salvo – San Giorgio a Cremano (NA)

 

I Pizzaioli emergenti

Luca Mastracci – Pupillo Pura Pizza – Priverno (LT)

Valentino Tafuri – 3 Voglie – Battipaglia (SA)

 

LE PIZZE DELL'ANNO

Pizza a degustazione

Gigi Pipa – Este (PD)

Dalla TerraFiordilatte pugliese, ricotta di capra, indivia brasata, broccoli verdi, puntarelle, crema di carote allo zenzero, polvere di rape rosse

 

Pizza all'italiana

Giangi's Pizza – Arielli (CH)

Hops, ho fatto un cocktail di gamberi! Burrata pugliese, gamberetti marinati al gin, succo d'arancia e Cointreau, asparagi selvatici, pomodorino giallo, fiori di fiordaliso ed extravergine agrumato

 

Pizza napoletana

Guglielmo Vuolo Verona – Verona

Lungomare Caracciolo. Fiordilatte, alici fritte, alghe croccanti e limone grattugiato

 

Pizza a taglio

Alimento – Brescia

Pizzocchera. Caciotta, patate e verze, burro di montagna, Silter della Val Camonica

 

Pizza dolce

Seu Pizza Illuminati – Roma

Tra fior di fragola e croccante .Zucchero di canna, fragole in osmosi, coulis di fragola, mantecato di ricotta e lime, croccante home made di frutta secca

 


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Michelin Shanghai 2019. Niko Romito conquista la stella al Bulgari Hotel, a pochi mesi dall'apertura

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Terza edizione nella storia della Rossa a Shanghai, e sempre più dominata dagli chef stranieri in città. Dopo Umberto Bombana, che conferma le due stelle, festeggia per l'Italia anche Niko Romito: la prima stella al Bulgari Hotel arriva a poco più di due mesi dall'inaugurazione. 

 

Ancora Tre Stelle per Paul Pairet

Difficile tenergli testa, ma le cerimonie di presentazione della guida Michelin si susseguono senza sosta a ogni angolo del mondo. Non altrettanto spesso capita di celebrare con soddisfazione un bel risultato – quasi inaspettato perché raggiunto in tempi brevissimi – ottenuto da uno chef italiano all'estero. E per di più in una città ricca di insegne degne di nota come Shangai. Nella metropoli cinese si è da poco conclusa la sfilata di stelle annunciata sul palco da Bruno De Feraudy, presidente della Michelin Cina: solo sul gradino più alto del podio, con tre solidissimi macaron, resta Paul Pairet, deus ex machina dello spettacolare (ed esclusivo) format Ultraviolet. Ma nel complesso le insegne stellate sulle pagine della guida Shangai 2019 aumentano: sono 34, rispetto ai 30 della scorsa edizione, i ristoranti ammessi nell'Olimpo della Rossa, molti improntati alla cucina internazionale ed europea. Saldo il piazzamento di Umberto Bombana – che con 8 ½ Shanghai conferma le due stelle – è tra i nuovi ingressi nella compagine delle prime stelle che si sofferma la nostra attenzione: sono 25 le insegne premiate con un macaron, cinque le new entry.

 

Prima stella per Niko Romito a Shanghai

E per la cucina italiana all'estero c'è Niko Romito, con il ristorante aperto all'interno del Bulgari Hotel poco più di due mesi fa. Un grande riconoscimento per il format perfezionato sotto l'egida della maison dallo chef del Reale, che proprio nelle scorse settimane ha debuttato anche a Milano (dopo Pechino, Dubai e Shanghai), ribadendo l'importanza di restituire dignità alla cucina italiana nelle sue coordinate essenziali, grazie a una sperimentazione costante su materia prima e tecniche di cucina, replicabilità, servizio, coerenza in tutti i ristoranti Niko-Bulgari aperti nel mondo e che apriranno.

E certo un passaggio che incoraggia a proseguire su questa strada, evidentemente lo “Spaghetto e Pomodoro” e gli altri piatti calibrati per questo progetto di ristorazione (nel video Romito racconta l’idea, subito dopo l’apertura di Milano) hanno la capacità e la forza di convincere pure palati lontani ed esotici. A Shanghai il ristorante sorge al 47esimo piano del grattacielo che sovrasta la vecchia Camera di Commercio, con vista sullo skyline della città. Accanto a Romito, conquista la prima stella in città anche Pierre Gagnaire, che con il riconoscimento per Le Comptoir accresce la compagine degli chef stranieri premiati in città dalla Rossa.

 

Tre Stelle

Ultraviolet 


Due Stelle

8 ½ Otto e Mezzo Bombana 
Canton 8 (Runan Street) 
Imperial Treasure 
L’Atelier de Joel Robuchon 
T’ang Court 
Xin Rong Ji (Nanyang Road) (New) 
Yi Long Court 
Yong Foo Elite 

Una Stella

Amazing Chinese Cuisine (New) 
Bo Shanghai 
Da Dong (Xuhui) 
Da Dong (Jingnan) 
Fu He Hui 
Niko Romito al Bulgari Hotel (New) 
Jade Mansion 
Jean Georges 
Ji Pin Court (New) 
Lao Zheng Xing (Huangpu) 
Le Comptoir de Pierre Gagnaire (New) 
Le Patio & La Famille (Huangpu)
Lei Garden (Xuhui) 
Lei Garden (Pudong) 
Madam Goose (Minhang) 
Moose (New) 
Phenix 
Seventh Son (Jingan) 
Shang High Cuisine 
Sir Elly’s 
Tai’an Table 
Wujie (Huangpu) 
Xin Rong Ji (Huangou) 
Yong Fu 
Yong Yi Ting

 

a cura di Livia Montagnoli

video di Massimiliano Tonelli

Tre Bicchieri. Parla Dieter Sölva dell'azienda Niklserhof

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Un Pinot Bianco speciale, la riserva 2015 di Niklserhof: nato sulla montagna del Lago di Caldaro, è meno grasso e minerale. Ben lontano dal vino neutro che siamo abituati a conoscere.

 

Primo Tre Bicchieri per l'azienda Niklserhof, premiata per il suo Pinot Bianco Riserva 2015, che sorprende con suggestioni sulfuree e agrumate al naso che si liberano in un sorso pieno, succoso e di grande personalità. È il vitigno d'elezione su cui negli anni si è concentrata l'attenzione della cantina, che ha sempre puntato su questa uva neutra che nella zona di Caldaro dà profumi e mineralità inaspettati. Merito della montagna e del lavoro della famiglia Sölva, da anni impegnata per promuovere la vitivinicoltura di questo territorio. Quella codificata dalla Charta del Kalterersee, il protocollo di qualità che detta regole stringenti e test alla cieca per valorizzare e migliorare il vino di questa zona. Come, ce lo siamo fatti spiegare da Dieter Sölva.

 

Parliamo della Charta del Kalterersee: di che si tratta?

Charta è un'iniziativa nata nel 2010 per valorizzare la vitivinicoltura di Caldaro. Le cantine aderenti (in origine erano 18, oggi il numero è cresciuto) hanno elaborato un protocollo di qualità che individua una serie di criteri da seguire, per esempio l'età delle vigne che deve essere superiore ai 30 anni, la resa per ettaro, la selezione delle zone di viticultura. Teniamo molto alla denominazione Lago di Caldaro per questo abbiamo sviluppato questo progetto, che si può leggere, nella sua interezza, sul sito http://www.wein.kaltern.com/it/. Oltre a rispondere a questi criteri, però, i vini devono superare un certo punteggio nelle prove di assaggio.

 

In cosa consiste?

Per avere il sigillo della Charta, i vini devono essere approvati da una commissione di assaggio composta da due rappresentanti della cantina sociale, uno di una cantina privata, un vignaiolo indipendente (che poi sono io), tre enologi e altri assaggiatori. È una prova alla cieca molto rigorosa, più rigida di quelle per avere la denominazione.

 

Avere questo protocollo vi ha aiutato?

Innanzitutto ha contribuito alla promozione dei nostri vini, a farli conoscere verso l'esterno. Poi ha portato le aziende a fare un ulteriore sforzo per migliorare. Mio padre, che ha lavorato direttamente a questo progetto, ha deciso di affiancare una selezione alla Schiava. E così è stato anche per molte altre cantine, che hanno quindi lavorato sulla pulizia di questo vino.

 

Grazie a un grande Pinot Bianco arrivano i primi Tre Bicchieri della storia dell'azienda: cosa significa per voi questo riconoscimento?

Per noi è un orgoglio molto grande, che premia il nostro sforzo, e tutto il lavoro che abbiamo fatto. Sono molto fiero. Mio padre ha creduto in questo vino, che il prossimo anno giunge alla 25 edizione del riserva - uno dei più vecchi in Alto Adige - per noi è la varietà più importante dell'azienda.

 

Cosa comporta un premio del genere?

Mi immagino, e spero, una crescita di immagine. Il nostro export oggi è intorno al 30-35%, non può aumentare il numero di bottiglie, quel che può cambiare è il tipo: ora all'estero portiamo soprattutto il base, mentre magari in futuro potremmo vendere anche le riserva.

 

Su che tipo di territorio si trovano i vostri vigneti?

Abbiamo vigneti su terreni calcarei, a 500-600 metri di altitudine. Sono quelli acquistati da mio padre che già dalla fine degli anni '60 era socio della cantina sociale; vendeva frutteti e acquistava vecchie vigne di uve bianche, soprattutto pinot bianco, su cui abbiamo sempre puntato. Io sono enologo dal 1992 e dal 1994 abbiamo costruito una nuova cantina e cominciato a vinificare in proprio.

 

Cosa ha di speciale il vostro Pinot Bianco?

La nostra montagna credo sia ideale per produrre Pinot Bianco, che da noi è meno grasso, più elegante e minerale. Inoltre a questa altitudine c'è una buona escursione termica, il freddo notturno dà al vitigno più aromaticità. Per molti il pinot bianco è un vitigno neutro, da noi non è così.

 

Quanto è complesso fare vitivinicoltura in Alto Adige?

Fare il viticoltore è faticoso, non complicato. Quel che è complicato è fare il vino e quindi fare uve per il vino, pensando al risultato finale in bottiglia. Se non c'è una passione vera non si può fare: in alcuni periodi stai fino alle 2 di notte in cantina e alle 7 del mattino sei già in vigna. Produrre uva non è un miracolo, ma ci sono molte cose più impegnative da fare che portano piccolissimi vantaggi, che sommati possono dare un grande risultato.

 

Tenuta Niklas, Famiglia Sölva – Caldaro - via delle Fontane 31 A- +39 0471 963434 - http://www.niklaserhof.it/it/

 

a cura di Antonella De Santis e William Pregentelli

 

Tre Bicchieri. Parla Dieter Sölva dell'azienda Niklaserhof

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Un Pinot Bianco speciale, la riserva 2015 di Niklaserhof: nato sulla montagna del Lago di Caldaro, è meno grasso e minerale. Ben lontano dal vino neutro che siamo abituati a conoscere.

 

Primo Tre Bicchieri per l'azienda Niklaserhof, premiata per il suo Pinot Bianco Riserva 2015, che sorprende con suggestioni sulfuree e agrumate al naso che si liberano in un sorso pieno, succoso e di grande personalità. È il vitigno d'elezione su cui negli anni si è concentrata l'attenzione della cantina, che ha sempre puntato su questa uva neutra che nella zona di Caldaro dà profumi e mineralità inaspettati. Merito della montagna e del lavoro della famiglia Sölva, da anni impegnata per promuovere la vitivinicoltura di questo territorio. Quella codificata dalla Charta del Kalterersee, il protocollo di qualità che detta regole stringenti e test alla cieca per valorizzare e migliorare il vino di questa zona. Come, ce lo siamo fatti spiegare da Dieter Sölva.

 

Parliamo della Charta del Kalterersee: di che si tratta?

Charta è un'iniziativa nata nel 2010 per valorizzare la vitivinicoltura di Caldaro. Le cantine aderenti (in origine erano 18, oggi il numero è cresciuto) hanno elaborato un protocollo di qualità che individua una serie di criteri da seguire, per esempio l'età delle vigne che deve essere superiore ai 30 anni, la resa per ettaro, la selezione delle zone di viticultura. Teniamo molto alla denominazione Lago di Caldaro per questo abbiamo sviluppato questo progetto, che si può leggere, nella sua interezza, sul sito http://www.wein.kaltern.com/it/. Oltre a rispondere a questi criteri, però, i vini devono superare un certo punteggio nelle prove di assaggio.

 

In cosa consiste?

Per avere il sigillo della Charta, i vini devono essere approvati da una commissione di assaggio composta da due rappresentanti della cantina sociale, uno di una cantina privata, un vignaiolo indipendente (che poi sono io), tre enologi e altri assaggiatori. È una prova alla cieca molto rigorosa, più rigida di quelle per avere la denominazione.

 

Avere questo protocollo vi ha aiutato?

Innanzitutto ha contribuito alla promozione dei nostri vini, a farli conoscere verso l'esterno. Poi ha portato le aziende a fare un ulteriore sforzo per migliorare. Mio padre, che ha lavorato direttamente a questo progetto, ha deciso di affiancare una selezione alla Schiava. E così è stato anche per molte altre cantine, che hanno quindi lavorato sulla pulizia di questo vino.

 

Grazie a un grande Pinot Bianco arrivano i primi Tre Bicchieri della storia dell'azienda: cosa significa per voi questo riconoscimento?

Per noi è un orgoglio molto grande, che premia il nostro sforzo, e tutto il lavoro che abbiamo fatto. Sono molto fiero. Mio padre ha creduto in questo vino, che il prossimo anno giunge alla 25 edizione del riserva - uno dei più vecchi in Alto Adige - per noi è la varietà più importante dell'azienda.

 

Cosa comporta un premio del genere?

Mi immagino, e spero, una crescita di immagine. Il nostro export oggi è intorno al 30-35%, non può aumentare il numero di bottiglie, quel che può cambiare è il tipo: ora all'estero portiamo soprattutto il base, mentre magari in futuro potremmo vendere anche le riserva.

 

Su che tipo di territorio si trovano i vostri vigneti?

Abbiamo vigneti su terreni calcarei, a 500-600 metri di altitudine. Sono quelli acquistati da mio padre che già dalla fine degli anni '60 era socio della cantina sociale; vendeva frutteti e acquistava vecchie vigne di uve bianche, soprattutto pinot bianco, su cui abbiamo sempre puntato. Io sono enologo dal 1992 e dal 1994 abbiamo costruito una nuova cantina e cominciato a vinificare in proprio.

 

Cosa ha di speciale il vostro Pinot Bianco?

La nostra montagna credo sia ideale per produrre Pinot Bianco, che da noi è meno grasso, più elegante e minerale. Inoltre a questa altitudine c'è una buona escursione termica, il freddo notturno dà al vitigno più aromaticità. Per molti il pinot bianco è un vitigno neutro, da noi non è così.

 

Quanto è complesso fare vitivinicoltura in Alto Adige?

Fare il viticoltore è faticoso, non complicato. Quel che è complicato è fare il vino e quindi fare uve per il vino, pensando al risultato finale in bottiglia. Se non c'è una passione vera non si può fare: in alcuni periodi stai fino alle 2 di notte in cantina e alle 7 del mattino sei già in vigna. Produrre uva non è un miracolo, ma ci sono molte cose più impegnative da fare che portano piccolissimi vantaggi, che sommati possono dare un grande risultato.

 

Tenuta Niklas, Famiglia Sölva – Caldaro - via delle Fontane 31 A- +39 0471 963434 - http://www.niklaserhof.it/it/

 

a cura di Antonella De Santis e William Pregentelli

 


Nuovi ristoranti a Roma a settembre 2018. Nuove aperture tra tradizione, giovani chef e un Amaro Bar

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Ricomincia a pieno ritmo la girandola di aperture che ripensa la geografia gastronomica della città. Con i cocktail di Patrick Pistolesi e la cucina italiana di Luciano Monosilio, la pizza romana di Stefano Callegari e la trattoria popolare di Adriano Baldassarre. E poi giovani chef che si mettono in proprio, tiramisù d'autore, bistrot con vista e un Amaro Bar in centro città. 

 

Le prime novità di settembre

È cominciato con la rincorsa il mese che segna il rientro in città e più di ogni altro imposta i buoni propositi per la nuova stagione della ristorazione capitolina. Sono molti i progetti concretizzati pronti e via, cresciuti dietro le quinte e caldeggiati da rumors e aspettative incalzanti o meglio ancora deflagrati all'improvviso, a dimostrazione che Roma sa ancora essere una città attraente per chi vuole investire nel settore. Nella prima categoria segnaliamo l'apertura di Drink Kong, il maxiprogetto che porta dietro a un bancone che promette scintille Patrick Pistolesi, nel grande spazio inaugurato qualche giorno fa al rione Monti, di cui prima dell'estate visitavamo il cantiere. Ugualmente atteso, il debutto in tandem di Stefano Callegari e Flavio De Maio, amici di lunga data e ora anche soci nella nuova gestione del Charro Cafè al Monte dei Cocci (Testaccio), destinato a diventare pizzeria romana e ritrovo per tutte le ore della giornata (fino a tarda notte), in omaggio al passato del frequentato locale tex-mex, che si rifletterà in qualche omaggio della casa alla cucina messicana. Con qualche settimana di ritardo sulle previsioni, entro l'inizio di ottobre il Charro aprirà nella nuova veste. Chi invece ha debuttato secondo piani è Andrea Viola: il giovane chef del San Giorgio di Maccarese, dopo un passaggio poco fortunato da Eit, ha ripreso a camminare con le sue gambe, ritrovando la sua cucina, i prodotti del territorio, lo spirito che aveva portato tanti estimatori della giovane cucina moderna sul litorale laziale. In piena estate ci raccontava il progetto, all'inizio di settembre il San Giorgio a Roma ha aperto battenti in viale del Vignola, al quartiere Flaminio. Tra le sorprese di fine estate, anche Luciano Monosilio ci ha messo lo zampino: l'ex chef di Pipero ci ha messo qualche mese per riorganizzarsi, e proprio oggi il suo Luciano Cucina Italiana apre ufficialmente al pubblico,dopo qualche settimana di rodaggio. La formula è quella annunciata dall'insegna, con focus sulla produzione di pasta (all'interno scoprirete un micropastificio in miniatura, attrezzato di tutto punto, che in futuro garantirà anche la produzione di pasta secca per la vendita al dettaglio) e la pizza di Elio Santosuosso (ex Gatta Mangiona ed Exquisitaly), che ha aderito al progetto con entusiasmo. Lo spazio? Un bel locale con dehors in piazza del Teatro di Pompeo, proprio dietro a Campo de' Fiori. La cucina italiana da trattoria - “quella vera e popolare” sottolinea Adriano Baldassarre – sarà protagonista anche da Avvolgibile, progetto pop che lo chef del Tordomatto si appresta a inaugurare entro la metà di ottobre, a Circonvallazione Appia, negli spazi di un ex autoricambi che manterrà l'atmosfera degli anni Settanta.

 

Il Marchese. Osteria, mercato, liquori. Con Amaro Bar

Di nuovo nel centro della città, in un grande spazio con dehors su via di Ripetta, alla fine di settembre farà il suo debutto Il Marchese, formula all day long che strizza l'occhio alla richiesta di una ristorazione capace di accompagnare ogni momento della giornata, con una proposta che varia secondo spazi e abitudini di consumo. Dunque “Osteria, mercato e liquori”, per riassumere con le coordinate fornite dai suoi ideatori, Davide Solari e Lorenzo Renzi; e apertura 7 su 7, dalle 11.30 all'1 di notte. Ma cosa sarà Il Marchese? Ristorante, innanzitutto, di cucina romana, con proposta veloce per il pranzo o cena più rilassata, con la cucina di Daniele Roppo (scuola Arcangelo Dandini) e un menu che spazia dalla carbonara della casa al pollo con i peperoni. Elevato il tasso di spettacolarizzazione del cibo (con tanto di sfoglina che tira la pasta in vetrina), con allestimenti scenografici che giocano sul dualismo tra l'Osteria popolare di Gasperino il carbonaro e la nobiltà quasi caricaturale del Marchese (l'ispirazione arriva dal film Il Marchese del Grillo). Nel primo set troverà spazio il mercato per la spesa al dettaglio durante la giornata, o una pausa golosa al tavolo sociale, per una focaccia farcita, un fritto della casa o una scarpetta con sughi della tradizione. La vera novità, però, si scopre all'Amaro Bar: 500 etichette per una drink list unica nel suo genere dedicata agli amari (italiani e internazionali, con una selezione di vintage dal 1950 al 1970), proposti in miscelazione o lisci, per aperitivo o dopopasto. A presiedere le operazioni sarà Matteo Zamberlan, esperienze da bartender in America e Asia, ora pronto a rientrare in Italia.

Il tiramisù croccante di Loretta Fanella

Sempre in pieno centro storico, poco prima dell'estate ha aperto in sordina Sù-Tiramisù, formula tutta dedicata al più celebre dolce al cucchiaio italiano, che da qualche tempo a questa parte ispira format di grande tendenza e facile appeal. Il guizzo in più del punto vendita di via di Tor Millina, però, è stato quello di aver coinvolto Loretta Fanella, stimata pastry-chef che rientra in città con una reinterpretazione del tiramisù destinata a diventare core business dell'insegna. La novità sorprende chi affonda il cucchiaio nel bicchiere monoporzione, incontrando una cialda croccante di cioccolato ripiena di caffè, pistacchio, fragola, nocciola o frutto della passione. A ognuno il suo gusto preferito, gli ingredienti sono sempre selezionati con cura. E l'idea della Fanella è già stata brevettata. Dall'altra parte del Tevere, invece, il giardino di Borgo Ripa ha appena chiuso la stagione estiva.

Mangiare in villa

Nella stessa struttura, si protrarrà invece anche durante l’inverno l'attività del ristorante inaugurato alla fine di luglio al quarto piano della Residenza Doria Pamphili, con bella e insolita vista sul fiume e sul Giardino degli Aranci. Una nuova terrazza da scoprire. La cucina dell'Ego Bistrot è affidata ad Andrea Quaranta, a lungo in squadra con Andrea Fusco al Giuda Ballerino (prima del trasloco al Bernini Bristol), che lavora in una piccola cucina a vista sulla sala da 20 coperti (ma altrettanti almeno sono quelli all’esterno). Il menu spazia tra i prodotti del territorio interpretati con mano creativa; due i percorsi degustazione, dalla tradizione romana e secondo estro dello chef. Aperitivo e cocktail bar affidati a Daniele Cecchi.

Le novità sulla mappa della gastronomia capitolina, però, non finiscono qui. Presto scopriremo cosa bolle in pentola.

 

Drink Kong – Roma – piazza San Martino ai Monti, 8 (angolo via Giovanni Lanza) - www.facebook.com/drinkkong/

San Giorgio a Roma – Roma – viale del Vignola, 20 – www.ilsangiorgioaroma.it

Luciano Cucina Italiana – Roma – piazza del Teatro di Pompeo, 18 – www.lucianocucinaitaliana.com

Il Marchese – Roma – via di Ripetta, 162 – 06 90218872

Sù – Tiramisù – Roma – via di Tor Millina, 34/a – www.sutiramisu.it

Ego Bistrot – Roma – Residenza Doria Pamphili - Vicolo del Canale, 14 - www.egobistrot.it

I festival dedicati al Giappone. Japan Festival a Milano e Via Japan a Roma

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Si fa presto a dire cucina giapponese, eppure molto spesso questa è imbrigliata in uno stereotipo fatto di roll ed edamame. A Milano e Roma due festival per conoscere meglio la tradizione gastronomica nipponica.

 

Japan Festival a Milano

Cibo, cultura e sake. Sono i protagonisti della prima edizione del Japan Festival a Milano, kermesse, che prenderà il via il 5 ottobre alla Fabbrica del Vapore, volta ad avvicinare il pubblico a questa cultura eclettica e variegata. Tante le attività, dalle lezioni di arti marziali (sia per adulti che per bambini) ai corsi di avvicinamento a lingue e calligrafia giapponese, dalle sessioni dedicate al rituale della vestizione del kimono, alle tecniche degli origami e laboratori di disegno e manga. Senza dimenticare i corsi di cucina, con protagonista principale una delle specialità nipponiche per antonomasia, il sushi, e le degustazioni di sake. Una quattro giorni aperta a tutti, voluta e organizzata dall’associazione culturale no-profit La Via del Sake e da Kathay, negozio specializzato in prodotti alimentari etnici. Ma cosa si mangerà? Saranno gli stessi ristoranti giapponesi - Zazà Ramen, Gastronomia Yamamoto, I love Poke, Macha, Maido, Mystic Burger, Sushita – ad occuparsi dell'offerta gastronomica. Non solo food, spazio anche ai drink a base di sake, con uno stand curato dai barman di Bech Milano, Mag cafè, Rita&Cocktails e Rufus Cocktail Bar. E ai corsi, dedicati principalmente agli addetti, sugli abbinamenti, le tipologie e le tecniche produttive del sake, del shōchū e del whiskey giapponese.

Locandina di Via Japan, l'evento sul giappone a Roma

Via Japan a Roma

A presentare un’immagine del Giappone quanto più lontana possibile dal classico stereotipo, ci pensa Via Japan a Roma, conciliando l'immaginario collettivo con l’anima street della tradizione nipponica. Una tre giorni, alle Officine Farneto, dedicata a onigiri, yakitori, takoyaki, tempura, ramen e tante altre specialità tipiche del Sol Levante; tutte in formato street food. Una formula vincente che consente agli avventori di assaggiare piccole porzioni a prezzi contenuti, scoprendo sapori e profumi delle ricette della tradizione reinterpretate in chiave contemporanea, in formati nuovi e pratici. Per l'occasione, oltre agli indirizzi romani, ci saranno 10 izakaya giapponesi e altrettanti chef in arrivo da ogni parte del Giappone, che oltre a presentare i loro cavalli di battaglia, saranno protagonisti di masterclass e laboratori. Laboratori che coinvolgeranno, ovviamente, anche il sake.

okonomiyakiOkonomiyaki

I locali presenti e i piatti

Ramen Bar (Roma) - Ramen

Gyoza Via Japan (Roma) - Gyoza

Onigiri Via Japan (Roma) - Onigiri

Takoyaki Via Japan (Roma) - Takoyaki

Gipsy Market (Roma) - Chirashi-zuzhi

Leo’s Gyoza Project (Roma) - Gyoza

Ishii (Hokkaido) - Okonomiyaki, Yakisoba e Watagashi

Fujiya + Torijiro (Tokyo) - Karage e Yakitori

Chakiki (Kobe) - Dorayaki e Te'

Yamane (Hiroshima) - Ramen

Yamamoto (Yamaguchi) - Senzanki (pollo fritto)

Gonma (Toyama - Nanto) - Tonjiru (senbei)

Kizasu (Okinawa) - Hirayachi

Café de Flots Team (Mitoyo) - Kitsune Udon & Niku Udon

Sushi Horiguchi Store (Nigata) - Sushi

Gunma (Gunma) - Kushikatsu

 

Japan Festival – Milano - Fabbrica del Vapore, via Procaccini, 4 – dal 5 al 8 ottobre - japanfestival.net

Via Japan – Roma - Officine Farneto, via Monti della Farnesina, 77 – dal 12 al 14 ottobre – viajapan.it

 

a cura di Annalisa Zordan

Anteprima Tre Bicchieri 2019. I migliori vini di Puglia

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Le anticipazioni dei premiati dalla Guida Vini d'Italia 2019 del Gambero Rosso. Oggi è il turno della Puglia.

 

Continua la crescita della Puglia, e in questa edizione della Guida è una crescita sia dal punto di vista generale – con 4 aziende in più nella sezione principale – sia dal punto di vista dei Tre Bicchieri, che passano da 13 a 15, il più alto numero di riconoscimenti di sempre. Un risultato che accompagna non solo l’evoluzione qualitativa complessiva del comparto, ma anche il progressivo affermarsi della regione sui mercati, soprattutto a livello internazionale.

Più nello specifico vale la pena fare un paio di considerazioni: i vini a denominazione di origine, a lungo poco considerati, stanno conquistando sempre di più i consumatori, e questo nonostante i dubbi e le critiche – a volte più che giustificate – che manifestano in primis gli stessi produttori. Alla guida di questa rinascita delle Denominazioni troviamo senza dubbio quella del Gioia del Colle Primitivo, ormai stabilmente al vertice della produzione regionale, seguita dal Primitivo di Manduria e dal Salice Salentino (mentre fa un po’ più fatica Castel del Monte). Va anche detto, e non ce ne vogliano i produttori di vini da negroamaro, che ci sembra sempre più evidente come il primitivo sia diventato il vero motore della regione, tanto dal punto di vista qualitativo – quest’anno la maggioranza dei Tre Bicchieri, 8 su 15, sono stati assegnati a dei Primitivo, e in percentuale lo stesso è accaduto per quanto riguarda i vini che hanno raggiunto le nostre finali – quanto dal punto di vista economico, dell’immagine e del successo, in Italia e all’estero.

Per quanto riguarda i Tre Bicchieri vanno invece segnalate due grandi novità: per la prima volta è stato premiato un vino rosato pugliese, e non poteva essere che il più antico e prestigioso rosato italiano, cioè il Five Roses della Leone de Castris, nella versione 74° Anniversario ’17, e sempre per la prima volta è stato premiato un vino bianco, in particolare realizzato con un’uva autoctona, la verdeca, con l’Askos Verdeca ’17 della Masseria Li Veli. Per concludere, non ci stancheremo mai di criticare l’uso, ormai generalizzato in regione, delle bottiglie pesanti: un contenitore che va a discapito dell’ambiente e che gioca più sull’apparenza che sulla sostanza. I grandi vini – compresi quelli pugliesi – non ne hanno bisogno.


I vini della Puglia premiati con Tre Bicchieri

 

Askos Verdeca '17 – Masseria Li Veli

Castel del Monte Rosso V. Pedale Ris. '15 – Torrevento

Five Roses 74° Anniversario '17 – Leone de Castris

Gioia del Colle Primitivo 16 Vign. San Benedetto '15 – Polvanera

Gioia del Colle Primitivo Baronaggio Ris. '15 – Vito Donato Giuliani

Gioia del Colle Primitivo Marpione Ris. '15 – Tenuta Viglione

Gioia del Colle Primitivo Muro Sant'Angelo Contrada Barbatto '15 – Tenute Chiaromonte

Gioia del Colle Primitivo Senatore '15 – Coppi

Oltremé '17 – Tenute Rubino

Orfeo Negroamaro '16 – Cantine Paolo Leo

Otto '16 – Carvinea

Primitivo di Manduria Raccontami '16 – Vespa-Vignaioli per Passione

Primitivo di Manduria Sessantanni '15 – Cantine San Marzano

Primitivo di Manduria Zinfandel Sinfarosa Terra Nera '16 – Felline

Salice Salentino Rosso Selvarossa Ris. '15 – Cantine Due Palme

 

 

Caviar Kaspia a Roma al Palazzo Rhinoceros di Alda Fendi. Terrazze mozzafiato, caviale e respiro internazionale

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A metà ottobre il nuovo quartier generale della Fondazione Alda Fendi apre le porte alla città. 8 anni di lavori, un progetto totalmente affidato all’archistar Jean Nouvel, 3500 metri di ex case popolari nel cuore della Roma classica da ripensare. Sarà museo, residenza culturale, caffè e ristorante (con profusione di terrazze): l'esordio in Italia di Caviar Kaspia, storica maison del caviale parigina.

 

Nasce Palazzo Rhinoceros

Ci sono voluti 8 anni di lavori, un cantiere che ha ripensato profondamente gli spazi del palazzo storico che affaccia sulla bella piazza di San Giorgio al Velabro, dove l’arco quadrifronte di Giano segna il confine dell’antico Foro Boario. Poco più in là l’area dei Fori, il Palatino e il Circo Massimo, nel cuore della Roma classica, tra gli scavi archeologici più celebri del mondo. Jean Nouvel (archistar di fama internazionale, tra i suoi lavori l’Istitute du Monde Arabe a Parigi, il museo Reina Sofia a Madrid, il Louvre di Abu Dhabi), invece, si è trovato a lavorare su un insieme di ex case popolari, oggi di proprietà di Alda Fendi, che a Palazzo Rhinoceros, come si chiamerà il complesso pronto a inaugurare alla metà di ottobre, ha intenzione di esplicitare la propria idea di città dell’arte all’insegna del mecenatismo.

Perché “se io faccio i regali, e questo è un regalo che faccio a Roma, intendo farli bene…”, conferma Alda Fendi.

3500 metri quadri da vivere e abitare, destinati a diventare polo d’attrazione culturale della Capitale (la quale, amministrativamente, risponde voltando le spalle: tutta l’area circostante rimane immersa nel degrado più inaccettabile), ospitando la collezione e le esposizioni temporanee della Fondazione Alda Fendi – Esperimenti (il primo anno la programmazione declinerà proprio il tema del rinoceronte, simbolo di forma e anticonformismo, nelle arti visive e performative), ma pure un’esclusiva struttura di ospitalità da 25 unità abitative destinate ad artisti, mecenati, collezionisti (appartamenti curati nel minimo dettaglio, un progetto di Nouvel di cui si parlerà moltissimo) e un’offerta di ristorazione altrettanto peculiare, ai piani più alti del palazzo, con vista incredibile sulla città e tripudio di terrazze.

Il museo e gli appartamenti

In questi anni Nouvel ha lavorato sull’intera struttura (in realtà tre grandi palazzi accorpati), ripristinando l’aspetto originale del palazzo laddove le preesistenze potessero raccontarne la storia, e muovendo dal principio di un restauro filologico degli spazi verso la concezione di un’architettura nuova, che stupisse il visitatore senza cedere al decorativismo che mal avrebbe sposato lo spirito dell'operazione, con soluzioni inaspettate e raffinate, specie nella progettazione degli appartamenti, letteralmente incastonati tra i piani superiori del palazzo.

Dunque dal 14 ottobre Rhinoceros aprirà le porte alla città, invitandola a entrare, e scoprire la nuova spettacolare sede della Fondazione: sviluppata in altezza attorno a due corti interne (il bianco e il nero; la notte e il giorno nell’interpretazione di Nouvel), il percorso espositivo lascerà spazio man mano che si sale alle residenze, anch’esse pronte a inaugurare alla metà del mese sotto la gestione del gruppo internazionale di ospitalità Room Mate di Kike Sarasola; già presente in molte città del mondo, a Roma il brand fa il suo debutto sotto il marchio The Rooms of Rome, con 24 appartamenti uno diverso dall’altro. Ma nell’idea di condivisione di Alda Fendi c’è stato spazio sin dall’inizio per un’area dedicata alla ristorazione, aperta a romani e turisti al quinto e sesto piano del complesso. Spazio ricettivo e spazio ristorativo non sono gestiti direttamente dalla Fondazione, ma sono parte integrante del progetto del palazzo, e sono funzionali al suo racconto complessivo.

Caviar Kaspia a Roma. Ristorante all day long con terrazze

Anche in questo caso la scelta è ricaduta su un format già presente all’estero, e anzi particolarmente antico per fondazione, Caviar Kaspia, nato a Parigi nel 1927. Dal primo locale di place de la Madeleine, oggi il marchio ha conosciuto un’espansione mirata a collezionare sedi distintive, da Montecarlo a Londra e New York, passando per il secondo ristorante inaugurato a Parigi la primavera scorsa, all’interno delle Galeries Lafayette. E ha legato il suo nome al lusso di un’offerta gastronomica incentrata su caviali pregiati e affini, sicuramente non per tutte le tasche (a Parigi una degustazione di caviale tra le più costose arriva a superare gli 800 euro). A Roma, dove il brand esordisce con l’idea di proporre un’offerta inedita nella Capitale, la declinazione dei prodotti di cui Caviar Kaspia ha sempre fatto vanto sarà mediata da un’interpretazione più affine ai gusti e alle abitudini – anche di spesa – della città. Sull’addomesticamento della formula al mercato romano ha lavorato Dario Laurenzi, consapevole di poter scommettere su un asso nella manica di non poco conto: due saranno le terrazze a disposizione degli ospiti per tutta la bella stagione – da marzo a ottobre, e con un po’ di fortuna anche nelle giornate più miti d’inverno – più come se non bastasse un’altana qualche metro più su, allestita con divani e uno spazio più rilassato per l’aperitivo. Tutte affacciate a 360 gradi sulla Roma classica vista qui da un punto di osservazione inedito e ammaliante, costituiranno il cuore del ristorante, che vivrà 7 giorni su 7, dalle 8 alle 24, e disporrà anche di uno spazio all’interno da circa 50 coperti (fuori i numeri triplicano, arrivando fino a 150). L'idea è quella di proporre una formula variabile che rappresenti una novità, ma senza spaventare. Obiettivo: accessibilità nonostante il blasone della maison. Pur raccontando prodotti di alta fascia come salmone selvaggio e pesci affumicati, granchio e aragoste, tartufi (in un secondo momento anche ostriche, nel bar a huitres che dovrebbe prendere forma sulla terrazza più alta). E ovviamente caviale, per tutti i gusti.

L'offerta: ristorante, caffetteria, tapas e cocktail bar

La sera, dalle 19, tutto questo contribuirà a realizzare un menu che per la prima volta nella storia di Caviar Kaspia introduce pietanze più cucinate, come primi piatti di pasta – lo spaghetto al caviale omaggio a Gualtiero Marchesi, da subito in carta, o i ravioli ripieni di granchio – e pietanze legate alla cucina mediterranea, in aggiunta al consueto trionfo di tartare, salmone fresco e affumicato, patate con caviale. A prezzi di posizionamento adeguati alla piazza romana. Un modo, a detta di chi ha ripensato la formula, per esaltare il concept all'insegna dell'italianità. In abbinamento carta di vini e champagne, da circa 70 etichette. Durante tutta la giornata, invece, sarà disponibile l'offerta della caffetteria internazionale, con proposte per la colazione dolce (c'è la firma di Marco Rinella) e salata e poi un menu agile che spazia dal club sandwich con salmone selvaggio alla Caesar Salad con astice. Per l'aperitivo si cambia ancora: drink list e tapas in abbinamento, fino a tarda sera per chi volesse cenare al cocktail bar. Esperienza vivamente consigliata vista la spettacolarità dell'allestimento, con due banconi in marmo e acciaio (uno per ogni terrazza), da 10 e 5 metri. Anche in questo caso saranno i prodotti della casa a dettare la linea, ma l'alternativa cocktail e selezione di tapas sarà decisamente più informale rispetto alla proposta del ristorante (dove si stima una spesa che parte dai 50-60 euro per salire fino a picchi più che vertiginosi, in base a quanto amate il caviale). Italiano lo staff, tutto inviato nei mesi scorsi a formarsi sul campo, a Parigi. A dirigere la squadra sarà Alessia Meli, in cucina, invece, si muoverà Giovanni Gianmarino.

Roma acquista uno spazio culturale – unico! - di respiro internazionale, frutto di un'operazione mirata di mecenatismo artistico (Alda Fendi finanzierà anche la nuova illuminazione dell'arco di Giano, disegnata da Vittorio Storaro). Caviar Kaspiar si propone di assecondarne le ambizioni: vedremo se convincerà la città.

 

Caviar Kaspia a Palazzo Rhinoceros - Roma - Cancellata Arco di Giano, via di San Giovanni Decollato - dal 14 ottobre 2018

 

a cura di Livia Montagnoli

Il primo giorno di Salone Gusto 2018. Tutta la città in festa

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Primi spunti dal Salone del Gusto che ha preso il via ieri a Torino e animerà la città fino al 24 settembre. Curiosità, aneddoti e assaggi dalla prima giornata, e qualche suggerimento per chi è a spasso per la città. 

 

Il Salone del Gusto è tornato al Lingotto Fiere, ma non ha perso lo spirito nomade che aveva caratterizzato l’ultima coraggiosa edizione open del 2016. Così, mentre sono concentrati nello spazio del Lingotto Terra Madre all’Oval tutti gli espositori italiani e non (nei padiglioni 2 e 3), più un'ampia sezione di street food nello spazio esterno (aperta fino a mezzanotte, su misura per il biglietto serale, fra visita e cene sotto le stelle, in un settembre eccezionalmente mite per Torino), sono svariati gli eventi sparsi per la città, e non solo nelle sedi ufficiali (Palazzo Reale e gli spazi della Regione in Piazza Castello e la Nuvola Lavazza, collegati da una provvidenziale navetta con il Lingotto). Si va dai ristoranti e caffè alle scuole, a spazi di quartiere: insomma, tutta Torino vive al ritmo del salone. Cosa si è visto il primo giorno e cosa c’è di curioso oggi?

 

Il superparty di Eataly

Travolgente e gastrocaotico lo Slow Party da Eataly della serata d’apertura. Che ha messo insieme sei ristoranti pluriforchettati (Cambio, Guido, Enoteca di Canale, Casa Vicina, Cascinale Nuovo e Ciau del Tornavento), più produttori svariati, slow live, masterclass… Si è bevuto, mangiato, festeggiato. Buon segnale di inizio per la kermesse del Salone.

 

Cioccolato, che passione

Domori coordina il Cacao Camp, spazio dedicato al cioccolato – vocazione torinese, e non solo, of course – che al Salone regna sovrano. Un'occasione per lanciare il Domori Pairing on Tour, viaggio emozionale alla scoperta del cioccolato e dei possibili abbinamenti con il mondo della mixology, altro culto locale. Il primo tour nei migliori cocktail bar di Torino comincia appena concluso il salone, il 26 settembre, da Edit con Salvatore Romano e si conclude l’8 novembre a Piano 35 al Grattacielo SanPaolo con Mirko Turconi, passando per Barz8, Mob, Affini, il Bar Cavour del Cambio.

Torino capitale del gusto

Lanciato al Salone il nuovo brand di comunicazione della città, che punta proprio al gusto. Claim della prossima campagna sui media MmmTorino, con tanto di fanciulla che assaggia un gianduiotto. E già sono polemiche tra favorevoli e contrari. In attesa di saperne di più sul progetto e i contenuti... Staremo a vedere.

Piazza del Gelato

Altro spazio che giganteggia quello dedicato al gelato, con Alberto Marchetti e i suoi gelati (molti a base di prodotti presidio Slow Food) e l’area conferenze, slowcooking e laboratori (grande attenzione quest’anno ai bambini, i gourmet del futuro vanno tirati su da piccoli). Dopo di che, gelati sparsi, per esempio fra i Maestri del Gusto, manipolo di produttori d’eccellenza (saliti alla bella cifra totale di 190). Da Ottimo un audace gastrogelato al bagnetto verde, servito su sfoglia di Fongo, da provare.

 

Joselito & cocktail

Dal Bar Cavour del Cambio il prosciutto iberico più famoso (e costoso) del mondo declinato “nature” e in alcuni piatti d’eccellenza (secreto jolelito marinato e solomillo joselito), abbinato a cocktail su misura del barman Marco Ciminnisi (perfetto il My Blueberry Girl al gin).

Città e regioni slow

Ampio spazio alla Città Slow nel padiglione 3, mentre all’Oval di Terra Madre il focus è sulla Carinzia, prima Slow Food Travel Destination del mondo. È la regione più meridionale d'Austria e, con un focus particolare per le Valli Gailtal e Lesachtal, ha ricevuto il riconoscimento Slow Food Travel Destination, per la prima volta assegnato da Slow Food a un territorio che più di ogni altro si identifica in uno stile di vita naturale, autentico, equilibrato e gourmand. Un eden di montagna che getta le basi per una visione turistica nuova a livello globale, basata su prodotti e servizi turistici sostenibili, produttori locali, esperienze autentiche. Il futuro del turismo del food abita qui? Intanto un assaggio da Terra Madre.

E oggi…

Una chicca made in Turin diventata famosa nel mondo: il Pinguino, il gelato su stecco nato in città e che l’anno prossimo compirà 80 anni, essendo stato brevettato nel 1939. Al Salone, Pepinolancia in collaborazione con Piemù il nuovo Pinguino al Fior di Latte (senza glutine), con il latte di fassona piemontese, razza autoctona protetta dal Presidio Slow Food che ha riunito un gruppo di allevatori nell'Associazione "La Granda" (potete assaggiarlo allo stand "La Granda", PAD. 2, 2D 009). Ma la festa oggi continua nella storica gelateria Pepino di Piazza Carignano, dalle 17 alle 22.

 

Terra Madre Salone del Gusto – Torino - 20-24 settembre - www.slowfood.it/terramadresalonedelgusto

 

a cura di Rosalba Graglia

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