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Pizza! Food Festival a Sortino. Tema, programma e protagonisti

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Appuntamento il 30 settembre per Pizza! Food Festival a Sortino, in provincia di Siracusa. Il programma e i protagonisti della manifestazione ideata da Daniele Miccione.

 

Alla terza edizione, il festival che promuove la cultura dei Monti Iblei lancia la sfida ai pizzaioli in arrivo da tutta la Penisola: cucinare in piazza (nella bella Piazza Cappuccini di Sortino) una pizza che caratterizzi il loro lavoro e una inventata sul posto, con i prodotti del territorio.

Pizza! Food Festival

L'esigenza di promuovere il territorio come sistema integrato e coerente di tradizioni, prodotti, storie e paesaggi, rimane; ma quest'anno la manifestazione ideata da Daniele Miccione (SiciliAmore) cambia tema. E dal “Fuoco!” dello scorso anno, passa alla “Pizza!”:“Quest’anno passiamo dai fuochi nel bosco ai forni in piazza, dalla pineta della Contessa al panorama della Valle dell’Anapo, dai produttori di Buccheri e dintorni ai pizzaioli di Sortino. Cambiamo argomento, scenario e organizzazione con la consapevolezza che non sarà la stessa cosa ma che ci unisce il filo con il territorio e che ci divertiremo lo stesso”.Sono le dichiarazioni d'intenti del festival che da tre anni promuove con originalità e buonumore la cultura dei Monti Iblei. E così, in quello che sembra l'anno della pizza (pensiamo alle classifiche o addirittura ai manifesti che la vedono protagonista), anche l'ideatore di Fuoco! Food Festival si lancia su uno dei prodotti più popolari che ci siano. Le motivazioni del cambio di tema, però, non sono dettate da mode.

Sortino

Pizza! Food Festival nasce quasi per caso”- confessa Daniele Miccione - “In due anni di Fuoco ci siamo resi conto che, senza l'aiuto della Regione, i costi sono diventati insostenibili. Per questo abbiamo pensato di farlo diventare un evento biennale: con molta probabilità Fuoco tornerà nel 2019, magari in veste più internazionale, anche perché l'idea ci piace molto e il progetto si è rivelato stimolante per tutti”.

L'obiettivo iniziale di far conoscere il pizzolo

 

E il progetto sulla pizza di quest'anno? “Nasce semplicemente grazie alla disponibilità del sindaco di Sortino, un piccolo paese celebre per il miele e per il pizzolo, ovvero una specialità locale simile alla pizza diventata famosa in tutta la Sicilia Orientale, tanto da dare origine a locali dedicati, le pizzolerie. Solo a Sortino ce ne sono 20!”. L'obiettivo iniziale, dunque, eraquello di comunicare questo prodotto tipico all'esterno, “dal momento che si tratta di una specialità che valorizza tutto un paniere di ingredienti locali, dalle verdure del territorio alle erbe di campo, dai salumi ai formaggi”, senza però limitarsi a questo. “Fin da subito abbiamo pensato di costruirci sopra un evento di più ampio respiro, raccontando le diverse anime della pizza e tutte le potenzialità inesplorate di impasti e forme (pensiamo al Trapizzino). L’abbiamo chiamato Pizza! Food Festival proprio perché vogliamo raccontare le potenzialità e gli sviluppi di uno dei piatti più intoccabili d’Italia. Per secoli siamo rimasti con le stesse pizze, poi, pochi anni fa, c’è stata un’accelerazione: le sperimentazioni gourmet di Padoan, gli impasti creativi di Bosco, l’utilizzo di prodotti del territorio di Pepe. Così ci siamo fatti delle domande: la pizza va preparata sempre allo stesso modo o è lecito cambiarla? Fino a che punto possiamo spingerci e innovare? Si può cambiare mantenendo lo spirito popolare?”. Tutte domande lecite, alle quali il Gambero Rosso cerca tuttora di dare delle risposte tramite la guida Pizzerie d'Italia, giunta ormai alla sua sesta edizione.

Il PizzoloIl Pizzolo

I pizzaioli presenti

Dunque, a Sortino, i protagonisti diventano i pizzaioli, sempre più attivi sul fronte innovazione e creatività, e sempre più consapevoli. “A loro abbiamo chiesto di portare una pizza che caratterizzi il loro lavoro e poi di sperimentare e inventare sul posto, con i prodotti del territorio, come abbiamo sempre fatto a Fuoco. La parola d'ordine è libertà di creare”. Così il 30 settembre Piazza Cappuccini si veste di tavoli all'aperto e di forni, e per l'occasione ospiterà 8 super pizzaioli provenienti da tutta la Penisola: Gabriele Bonci, Massimiliano Prete, Luca Pezzetta, Diego Vitagliano, Bernardo Garofalo, Ivan Gorlani, Marco Locatelli Friedrich Schmuck. Non solo loro però: “Per rendere il tutto più frizzante abbiamo messo assieme un gruppo di cuochi, gelatai, pasticcieri, produttori che improvviseranno con i pizzaioli perché solo dalle esperienze diverse arrivano le novità più interessanti”. Spazio anche alle riflessioni durante il convegno della mattina, nel quale si affronteranno svariati temi, da come dare più valore ai grani antichi all'importanza della biodiversità, dal lievito madre nel mondo della pizza al futuro di un prodotto tanto popolare quanto complesso.

 

Pizza! Food Festival – Sortino (SR) - Piazza Cappuccini – 30 settembre – il ticket d’ingresso di 10 € verrà in parte devoluto in beneficenza - fuocofoodfestival.it/pizza-food-festival

 

a cura di Annalisa Zordan


Tre Bicchieri. Parla Alessandra Noventa dell'azienda Antica Tesa Noventa

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Botticino in provincia di Brescia è un angolo di Italia racchiuso da un anfiteatro collinare, territorio ad alta vocazione vitivinicola che regala un vino quasi sconosciuto che porta il suo nome. Che quest'anno, per la prima volta, ha conquistato i Tre Bicchieri.

 

Un anfiteatro di colline a circa 400 metri sul livello del mare, terreni scoscesi, boschi terrazzati circostanti a garantire protezione dalle intemperie, brezze costanti. In questo ambiente nasce un vino ancora sconosciuto, anche se la Doc compie quest'anno i 50 anni dalla sua nascita. È il Botticino, un robusto vino rosso che nasce dal marmo di questi territori, dai suoli marnosi e dal microclima speciale. Tutti caratteri che l'azienda Antica Tesa Noventaha saputo valorizzare in 40 anni di lavoro sulla qualità: puntando, anche in tempi non sospetti, alla riduzione della resa e a un metodo di lavorazione artigianale, nel pieno rispetto delle caratteristiche del territorio e delle uve. Che, nel caso del Botticcino, sono 4, tutte nostrane: barbera, che regala spiccata eleganza e buona acidità, sangiovese che dà rotondità, schiava gentile che dona freschezza e profumi delicati, e marzemino che assicura colore al vino.Vendemmie tardive e lavorazioni delicate in cantina, con leggera pressatura e soffici follature, caratterizzano il lavoro della famiglia Noventa. A preservare e valorizzare al massimo il patrimonio viticolo di cui godono. Così ci racconta Alessandra Noventa.

 

La denominazione è molto vicina a Brescia: qual è il rapporto con una città che cresce e spinge sempre di più sulle zone limitrofe?

A Botticino si chiude la strada, non è un paese di passaggio, è molto verde, di una natura quasi selvaggia. E pure essendo vicino alla città non è trafficata, anche se negli ultimi 20 anni sono state costruite molte ville qui intorno. Questo non fa piacere, perché toglie territorio, che invece dobbiamo preservare. Prima della guerra c'erano più di 1000 ettari vitati ora sono solo un centinaio. Per capirlo basta guardare i boschi, che qui sono terrazzati, perché prima quelli erano vigneti. Diciamo sempre che dove abbiamo i vigneti noi non verrà mai costruito né ci saranno altre cave di marmo.

 

È una zona particolare la vostra. Puoi parlarcene?

Ci teniamo a parlare prima del territorio che dell'azienda: la qualità del vino è data dal suo potenziale, che si può condensare in alcuni fattori. Innanzitutto siamo in collina, intorno a 380-400 metri di altitudine, Botticino è un anfiteatro di colline a ferro di cavallo in cui c'è un microclima particolare, diverso da quello circostante perché le colline ci difendono da freddo e intemperie. I vigneti sono esposti a sud, sud est e c'è una brezza costante. Tutte cose che contribuiscono alla salute delle uve.

 

Il terreno, invece?

Le nostre colline sono di marmo bianco, il famoso Botticino classico, usato per l'Altare della Patria, la Casa Bianca e altre opere molto famose. Il marmo – che ha lo stesso nome del paese e del vino – si trova sulle colline, sotto mezzo metro di suolo ricco minerali assorbibili dalle radici: un fattore molto importante per il vino. È una marna di carbonato di calcio e argilla.

 

Arriviamo al Botticino. Di che vino parliamo?

È una Doc che festeggia quest'anno i 50 anni di vita. È un vino robusto, corposo: in un territorio così ottenere struttura e corpo è semplice. Ma bisogna cercare eleganza. Il Botticino unisce uve diverse provenienti da territori intorno alla Lombardia, che è nel centro dell'Italia del nord: barbera - un'uva difficile da coltivare se non c'è un territorio vocato che regala spiccata eleganza e buona acidità - sangiovese che dà rotondità, in misura minore schiava gentile che dona freschezza e profumi delicati, e marzemino che assicura colore al vino. Sono tutti vitigni italiani, nessun internazionale. Sarebbe impossibile senza territori così vocati. Abbiamo maturazioni tardive e rese basse, circa 6 grappoli per pianta, 50 quintali a ettaro.

 

Parliamo ora del Gobbio, il vino che ha conquistato i Tre Bicchieri

Produciamo 3 tipi di Botticino rosso, hanno le stesse percentuali di uve, ma provenienti da colline differenti, da cui prendono il nome, sono come dei cru. Le colline hanno terre diverse, ma sempre di origine marnosa, e anche l'età delle vigne cambia. Quella del Gobbio ha tra i 50 e i 70 anni.

 

Cosa cambia con l'età delle vigne?

Piante così vecchie hanno radici più lunghe che anche nelle annate più calde assicurano la giusta quantità d'acqua, e una perfetta maturazione delle uve senza stress idrici. Dal punto di vista opposto, le forti pendenze evitano il ristagno di acqua e le malattie che ne derivano.

 

Come lavorate in cantina?

Cerchiamo eleganza nel vino, in cantina facciamo una lavorazione soffice per rompere gli acini il meno possibile. Il Gobbio fa un passaggio in botti di media capacità con legni mai nuovi. Perché vogliamo che il tannino che si sente sia quello dell'uva e non della botte, per non rischiare di trovarsi con vini troppo simili ad altri che usano gli stessi legni. Invece nel Gobbio si sente il vinacciolo che, vendemmiando a ottobre, arriva ben maturo.

 

Quanto è difficile comunicare una Doc piccola come quella in cui vi trovate?

Inutile negarlo: è molto difficile. Siamo in un territorio piccolo di cui siamo praticamente gli unici rappresentanti; non possiamo fare rete. Bisogna trovare importatori interessati a realtà come la nostra, che cercano l'alta qualità prima del nome famoso. I premi aiutano in questo. Il Tre Bicchieri è il premio più grande mai preso.

 

All'estero invece?

Siamo negli Stati Uniti, in Giappone e Belgio. Dove puntiamo con importatori di qualità. Anche in questi mercati cerchiamo di sottolineare le nostre peculiarità: l'immagine aziendale è una barbatella con un grappolino di uva con le radici poggiate su un blocco di marmo. Puntiamo molto sul territorio raccontando che siamo l'unico vino che deriva dal marmo.

 

La vostra azienda ha ormai oltre 40 anni: avete modificato il vostro stile nel tempo?

Sicuramente sì. Mio papà ha sempre voluto fare un vino di qualità, ma 40 anni fa si bevevano vini diversi rispetto a ora. Ha continuato a studiare, fatto corsi per migliorare e aprirsi alle novità. Continuiamo a investire con nuovi acquisti, a volte sono vigneti, altre macchinari; per esempio quest'anno abbiamo preso una nova pressa, l'anno scorso una nuova pigiadiraspatrice che non rompe gli acini, tutte cose che ci consentono di lavorare con più cura e delicatezza. Stiamo anche mettendo impianti di nebbiolo: vorremo fare un nebbiolo 100%.

 

Poi è arrivata la nuova generazione...

Negli ultimi 10 anni siamo entrati io, mio marito e mia sorella. In vendemmia abbiamo diminuito il numero dei rimontaggi in botte e aumentato le follature soffici, uno stile “post moderno”: è quasi un passo indietro fatto per un motivo moderno. Questo percorso lo stiamo facendo con Carlo Ferrini, un agronomo ed enologo importante con cui lavoriamo da due anni. È un'alleanza che sta dando tanto, stiamo imparando molto; vogliamo continuare a cercare sempre più eleganza nei vini. Questa è la nostra sfida.

 

Siete in regime biologico. Da cosa nasce questa scelta?

Siamo in un territorio che ci permette di lavorare così, siamo circondati da boschi, abbiamo una flora e una fauna spontanea che ci aiutano in agricoltura, non abbiamo ristagno di acque ed è molto arieggiato, quindi non abbiamo grandi malattie. Insomma, il regime biologico già c'era, si trattava solo di metterlo su carta,

 

Come sta andando la vendemmia 2018?

Stiamo cominciando questi giorni, con i vini rosati. Per ora pare una stagione bellissima. Stanno anche abbassandosi le temperature, e l'escursione termica tra giorno e notte fa sperare bene. Si prospetta davvero una grandissima annata.

 

Az. Agr. Antica Tesa-Noventa -Botticino (Brescia) - via Merano 26 - +39 030 2691500 - http://www.noventabotticino.it/#go_page_0

 

a cura di Antonella De Santis e William Pregentelli

 

 

Guida Bar d'Italia 2019 del Gambero Rosso. Elenco dei migliori

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Più di 1300 indirizzi diversi riuniti in una guida sfaccettata, proprio come la tipologia di locale preso in esame. Giunta all'edizione numero 19, la guida Bar d'Italia suggerisce gli indirizzi migliori della Penisola, registrando novità e tendenze attuali di questo settore. Tutti i premiati.

 

È stata presentata oggi all’Hotel St.Regis Rome la 19esima edizione della Guida Bar D’Italia del Gambero Rosso, che raccoglie le migliori realtà della Penisola e che al contempo ogni anno scatta un’istantanea di tutto quel complesso mondo che si cela dietro la definizione di bar. Se si facesse un collage di tutte queste fotografie, ci si accorgerebbe di come questo universo sia mutato radicalmente nel corso di quasi due decadi, e sia tuttora in evoluzione. Se rimane sempre vivo il suo significato intrinseco di simbolo di uno stile di vita che rappresenta il costume di una nazione, di luogo di incontro, di spazio dove vivere un momento di relax a ogni ora del giorno, è pur vero che la tendenza negli ultimi anni ci ha regalato un’immagine di luogo a tutto tondo e polifunzionale, capace di cambiare veste con il trascorrere delle ore e disegnare una proposta ad hoc sempre più centrata e attenta al dettaglio, corredata da una cornice in cui non di rado trovano spazio design, luci giuste, in un perfetto connubio tra forma e sostanza.

Dai lieviti del mattino che si accompagnano a caffè, cappuccini e un'infinita serie di altre bevande si passa alla pausa pranzo, che scorre tra piatti leggeri e intriganti o panini gourmet fino alla merenda, da trascorrere in compagnia di selezioni di tè e infusi pregiati o di un gelato artigianale. L’aperitivo serale continua a mantenere il suo appeal, e sempre più spesso è affidato a mani competenti e a ingredienti di eccellenza per cocktail d’autore da abbinare a stuzzichini e finger che talvolta sono veri piatti in miniatura. Questa sua versatilità ha stuzzicato la fantasia e la sperimentazione: il bar si è dimostrato non solo un’entità che accoglie le istanze di un mondo che cambia, a partire dalla necessità di adeguarsi alla diffusione sempre maggiore di intolleranze alimentari, ma anche un luogo in cui fare innovazione e creare nuovi stili a tutto vantaggio della crescita complessiva del settore in termini di qualità.

 

Caffè. Un mondo che cambia

Macchiato caldo, freddo, doppio, corretto, con latte a parte, al vetro. Comunque sia, il protagonista è sempre lui, l’espresso. Al mattino, per un break dall’ufficio con i colleghi, un dopo pasto, gli italiani non rinunciano alla tazzina. Ce lo raccontano i numeri. I dati di giugno 2018 elaborati dall’ufficio della FIPE parlano di 5,4 milioni di connazionali che scelgono il bar per cominciare la giornata: nelle preferenze domina l’accoppiata cornetto e caffè, e quest’ultimo spopola con il 95% dei consensi. Ma se è vero che gli stessi dati affermano che dei 150 mila locali sul territorio nazionale una fetta importante è rappresentata dai morning e breakfast bar (il 30%), è anche vero che si sta facendo strada quella che per ora è una nicchia ma che non è più tempo di ignorare. Non più solo un gesto veloce dietro al bancone, il caffè sta acquisendo, grazie a un grande lavoro di formazione e una netta spinta verso la qualità, il ruolo di bevanda da meditazione da assaporare in modo “slow”, in maniera consapevole e informata. Cresce il numero dei bar di ricerca in cui ci si impegna in tutta la filiera, dalla selezione della materia prima di gran livello alla lavorazione di microlotti in grado di offrire un ventaglio aromatico ampio. Metodi di estrazione alternativi all’espresso e specialty coffee sono termini e concetti che stanno entrando nel vocabolario di un pubblico sempre più curioso, disposto ad apprendere dai baristi più capaci e scegliere poi in autonomia miscele e tipologia: tradizionale espresso, aeropress, v60, syphon, cold brew, moka e così via. Una tendenza che apre opportunità non solo ormai per artigiani o piccoli imprenditori, ma anche per i grandi nomi (ne sono un esempio i nuovi Pascucci Moka e Lavazza Flagship Store a Milano, Costadoro Social Coffee a Torino) che puntano a intercettare nuovi target e influenzarne le abitudini di consumo.

 

La Guida

Una raccolta di 1300 indirizzi che spaziano da Nord a Sud sul territorio nazionale valutati in Chicchi (a giudicare la qualità del caffè) e Tazzine (che esprimono un voto sull’offerta complessiva del locale) e che rappresentano un utile strumento per muoversi in un panorama variegato. Quest’anno sono 44 i locali che hanno raggiunto il massimo punteggio, un esercito di eccellenze composito e sfaccettato che riflette appieno lo stato dell’arte di un mondo quanto mai vivo. Ne fanno parte realtà di provincia come storiche insegne di grandi capoluoghi, giovani imprese nate da visioni lungimiranti, nomi importanti della pasticceria e della ristorazione tricolore, bar di grandi alberghi.

 

I nuovi 3 Chicchi e 3 Tazzine

Tre i nuovi ingressi nell’Olimpo dei 3 Chicchi e 3 Tazzine. Parliamo di Gilli di Firenze, icona cittadina dal 1733, che con un piede saldo nel suo glorioso passato tiene lo sguardo ben fisso sul presente con una proposta attuale e articolata che non tradisce la sua storia ma ne fa un punto di forza. Lo stesso discorso può valere per il Bar Zucca di Torino, riferimento per l’aperitivo (e non solo) torinese fin dagli anni Settanta, che ha seguito l’evoluzione dei tempi in un processo di innovazione in cui è rimasta sempre evidente la propria inconfondibile cifra stilistica. Una insegna nuova di zecca ma che si è subito imposta per l’alto livello è Spazio Pane e Caffè di Roma, ovvero l’idea di bar all’italiana del celebre chef Niko Romito in cui a guidare le danze, oltre all’imperdibile pane tanto caro al cuoco abruzzese e qui declinato in mille modi, è l’idea di una proposta sana, moderna e genuina oltre che sfiziosa e impeccabile.

 

Le colazioni dell’anno

Ci sono matrimoni consolidati, che a seconda delle regioni, fanno parte della cultura e del rituale della colazione al bar. I sopra citati binomi caffè e cornetto, ma anche schiacciata all’olio e cappuccino o granita e brioche, ad esempio. Questa guida è ricca di indirizzi validi per un risveglio a suon di lieviti impeccabili ed espressi fatti a mestiere, ma quest’anno abbiamo scelto di sostituire la lista delle migliori colazioni in favore di una rosa di cinque locali che offrono le proposte più curiose, originali e intriganti. Come il Caffè degli Specchi di Trieste, che propone diverse formule breakfast tra cui German, French, Hawaian, American, o Checchi a Brescia, in cui pancake, croque monsieur e chia pudding sono disponibili dalle 9 alle 19, o ancora Sirani a Bagnolo Mella, dove il buongiorno può avere il sapore di squisite dolcezze ma anche, volendo, di zuppa di ceci e gamberi al bacon.

 

I migliori cocktail bar d’Italia e L’aperitivo dell’anno

In una sezione cocktail bar che si infoltisce ogni edizione che passa, a testimonianza di quanto questo settore stia vivendo un momento felice, quest’anno sono dieci i locali che a nostro avviso si distinguono come i migliori d’Italia. La presentazione e la premiazione avverrà il giorno 3 ottobre durante un evento loro dedicato realizzato in collaborazione con Sanbittèr. Il brand, da oltre cinquant’anni portavoce dell’aperitivo italiano di qualità, è partner di Gambero Rosso anche nell’assegnazione di un premio speciale, L’aperitivo dell’anno, volto a valorizzare l’aperitivo nella sua valenza di rito tutto italiano, parte integrante e tra gli emblemi della nostra cultura. Si aggiudica il titolo per il 2019 La Ménagère di Firenze.

 

Premio illy Bar dell’Anno

Quest’anno sono 25 i bar 3 Chicchi e 3 tazzine che concorrono per il premio illy Bar dell’Anno, un contest promosso dallo storico partner della guida, tra i brand leader nel mondo del caffè e attore di indiscusso rilievo nella divulgazione della sua cultura in Italia e nel globo. Come ogni anno dal 2003 a oggi, i locali sono stati valutati una giuria di esperti del settore, quest’anno composta dai giornalisti Francesco De Filippo (direttore ANSA Trieste), Tommaso Galli (Corriere della Sera), Licia Granello (La Repubblica), Tania Mauri (Gazzetta dello sport), Roberto Pavanello (La Stampa) e Fernanda Roggero (gruppo 24 Ore) che ha decretato come vincitore La Pasqualina di Almenno San Bartolomeo (BG) per la qualità assoluta dei prodotti, per la ricerca senza sconti della salubrità e l’attività didattica e di diffusione della cultura alimentare. Menzione speciale a Staccoli Caffè di Cattolica per la proposta di qualità particolarmente alta sul territorio, dalla ricerca delle materie prime alla loro trasformazione, declinando la tradizione in modo contemporaneo.

 

a cura di Marina Savoia
 

 
Bar d’Italia del Gambero Rosso 2019 | euro 10,00 | La guida sarà acquistabile in edicola e libreria dalla prima settimana di ottobre. Già disponibile > on line

 

Ecco l’elenco completo dei bar premiati

 

TRE TAZZINE & TRE CHICCHI 2019
il massimo riconoscimento assegnato dalla guida Bar d'Italia del Gambero Rosso

 

Piemonte

Canterino - Biella
Converso - Bra [CN]
Relais Cuba Chocolat Restaurant-Cafè - Cuneo
Baratti & Milano - Torino
Caffè Mulassano – Torino
Bar Zucca - Torino


Liguria

Douce - Genova
Murena Suite - Genova


Lombardia

La Pasqualina - Almenno San Bartolomeo [BG]
Sirani - Bagnolo Mella [BS]
Bedussi - Brescia
Colzani - Cassago Brianza [LC]
Pasticceria Roberto - Erbusco [BS]
Pavè - Milano
Marelet - Treviglio [BG]
Morlacchi - Zanica [BG]

 

Veneto

Il Chiosco - Lonigo [VI]
Biasetto - Padova
Amo - Venezia
Bar Dandolo dell’Hotel Danieli - Venezia
Gabbiano del Belmond Hotel Cipriani - Venezia
Gran Caffè Quadri - Venezia
Garibaldi - Vicenza

 

Friuli Venezia Giulia

Caffetteria Torinese - Palmanova [UD]
Vatta - Trieste

 

Emilia Romagna

Gino Fabbri Pasticcere - Bologna
Staccoli Caffè - Cattolica [RN]
Bar Roma - Novellara [RE]
Dolce Salato - Pianoro [BO]
Lievita - Riccione [RN]
Nuova Pasticceria Lady - San Secondo Parmense [PR]


Toscana

Tuttobene - Campi Bisenzio [FI]
Atrium Bar & Lounge del Four Seasons Hotel Firenze – Firenze
Gilli - Firenze
Winter Garden Bar del St.Regis Florence - Firenze


Marche

Picchio - Loreto [AN]

 

Lazio

Spazio Pane e Caffè - Roma
Stravinskij Bar dell’Hotel De Russie - Roma


Abruzzo

Caprice - Pescara

 

Campania

Sal De Riso Costa d'Amalfi - Minori [SA]

 

Puglia

300mila Lounge - Lecce
 

Sicilia

Sciampagna - Marineo [PA]
Caffè Sicilia - Noto [SR]
Antico Caffè Spinnato - Palermo
 

 

PREMIO SANBITTÈR&GAMBERO ROSSO

aperitivo dell’anno

La Ménagère - Firenze

 

I MIGLIORI COCKTAIL BAR

Piemonte

Piano 35 - Torino

Lombardia
1930 - Milano
 

Veneto
Cloackroom Cocktail Lab - Treviso

Emilia Romagna
Bizarre - Bologna
 

Toscana
Mad Souls & Spirits - Firenze
Idyllium - Pienza (SI)

Lazio
Chorus Caffè - Roma


Campania
Twins Cocktail Wine Coffee - Napoli

Puglia
Cubi - Maglie (LE)
 

Sicilia
Bocum - Palermo


LE COLAZIONI DELL'ANNO

Lombardia
Sirani - Bagnolo Mella (BS)
Checchi - Brescia
Cracco Café - Milano
 
Friuli Venezia Giulia
Caffè degli Specchi - Trieste
 
Lazio
Spazio Pane e Caffè - Roma



LE STELLE

I locali che per almeno dieci anni consecutivi hanno conquistato Tre Tazzine & Tre Chicchi

Piemonte

Converso - Bra [CN]
Relais Cuba Chocolat Restaurant Cafè - Cuneo
Baratti & Milano - Torino
Caffè Mulassano - Torino
Caffè Platti - Torino


Liguria
Murena Suite - Genova

 

Lombardia

Sirani - Bagnolo Mella [BS]
Zilioli- Brescia
Colzani - Cassago Brianza [LC]

 

Veneto

Biasetto - Padova
Bar Dandolo dell’Hotel Danieli - Venezia


Toscana

Tuttobene - Campi Bisenzio [FI]
 

Lazio

Stravinskij Bar dell’Hotel De Russie - Roma

 

Abruzzo

Caprice - Pescara

 

Sicilia

Caffè Sicilia - Noto [SR]
Antico Caffè Spinnato - Palermo

Dario Nuti. L'Executive Pastry Chef del Rome Cavalieri racconta in un video il suo ruolo

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Abbiamo intervistato Dario Nuti, il nuovo responsabile di tutta la pasticceria del Rome Cavalieri, per capire cosa significa gestire più realtà contemporaneamente, dal ristorante L'Uliveto al bar, al room service. 

 

Anche gli chef possono innamorarsi della pasticceria. Dario Nuti, fiorentino classe 1979, ne è un esempio. Dopo diverse esperienze toscane, da Villa Le Maschere al Mugello (dove era sous chef) al Four Seasons di Firenze dove ha iniziato a percepire la sua passione per la pasticceria, è approdato nella Capitale nel 2011 all’Hassler, al fianco di Francesco Apreda.“Una parentesi di sette anni bellissima” chiusa a febbraio di quest'anno, quando Dario è diventato responsabile di tutta la pasticceria al Rome Cavalieri, A Waldorf Astoria Resort. Un ruolo arduo, ma anche una sferzata di energia nuova.“Quando mi hanno proposto di diventare Executive Pastry Chef ho accettato perché sentivo il bisogno di crescere. E qui la possibilità di crescita è infinita: sono dovuto partire dal retro, standardizzando i processi, trovando i prodotti, selezionando e formando il team. Non nego che siano stati mesi tosti, anche perché sono entrato un mese e mezzo prima di Pasqua, ma sono felice. Soddisfatto ancora no, ma felice, per il momento, sì”. Certo, “è una felicità momentanea, come quella che ti provoca un dolce”, ma è innegabile che il progetto di Dario stia prendendo forma, con risultati più che apprezzabili per chi ha già avuto la fortuna di assaggiare i suoi dolci.

Nella video-intervista il racconto di cosa significa essere responsabile di tutta la pasticceria del Rome Cavalieri. Voi provate a immaginare la fragranza del suo incredibile panettone alla carbonara, raccontato nel dettaglio. Poi, fidatevi, correte a provarlo.

 

 

 

Non chiamateli voucher. Ecco che cosa cambia con il Decreto Dignità

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A10 anni dalla loro prima introduzione e a un mese dall'entrata in vigore del Decreto Dignità, abbiamo provato a capire il destino dei ticket-lavoro. Delusi quanti si aspettavano il ritorno dei tagliandi acquistabili al tabacchino: “Il nuovo dl modifica il contratto di prestazione occasionale, ma i voucher sono un'altra cosa”. Ecco le novità.

 

 

Dieci anni di Voucher

Acclamati, criticati, rimpianti e poi acclamati nuovamente. Quella dei voucher è una storia di partenze e ritorni che al posto del lieto fine, si conclude con una legittima domanda: ma i buoni lavoro sono davvero tornati?

Facciamo un passo indietro. Era il 19 agosto del 2008 quando per la prima volta i cosiddetti ticket-lavoro facevano la loro comparsa, proprio in occasione della vendemmia, caratterizzati dall'ampia flessibilità e dalla possibilità di essere acquistati anche presso tabaccai, banche popolari e, successivamente anche uffici postali. Poi, il 17 marzo del 2017 la decisione di abrogarli - dopo che era stata paventata la possibilità di un referendum abrogativo - a causa del loro impiego fuori controllo e della sovrapposizione ad altre forme di contratto (non in agricoltura, però, dove diverse limitazioni ne avevano garantito un uso corretto, che non era mai andato oltre il 2% del totale). A seguire, nel giugno dello stesso anno, l'introduzione di uno strumento che voleva in qualche modo sostituirli: il contratto di prestazione occasionale, conosciuto come prestO. Un nome che sembra ammiccare alla tempestività e semplicità del loro utilizzo, ma basta svelare l'acronimo per capire che non è proprio così: “Prestazione Occasionale”. Quindi un vero e proprio contratto. Un blando rimpiazzo, secondo associazioni di categoria e datori di lavoro, dal momento che veniva meno l'elemento principale: la flessibilità. Il resto è storia recente, con l'annunciato ritorno dei voucher da parte del ministro del Lavoro Luigi Di Maio, e l'emendamento in materia previsto all'interno del Decreto Dignità (dl 87/2018). Ma, si badi bene, il nome voucher nel testo non compare da nessuna parte, mentre rimane quello che è stato sin da giugno 2017: Prestazione Occasionale.

Avevamo creduto davvero in un ritorno dei voucher” spiega a Tre Bicchieri il responsabile del Lavoro CiaDanilo De Lellisma allo stato attuale sono, né più né meno, che dei contratti a prestazione occasionale. Un flop, insomma. Per noi il discorso doveva essere ripreso dal 17 marzo 2017, invece, questa è tutt'altra cosa e chiamarli voucher è un errore. In pratica il Decreto Dignità, ha introdotto qualche modifica ai PrestO introdotti a giugno 2017, ma la sostanza non cambia”. Niente ticket acquistabili ai tabacchi né assunzioni lampo, quindi. Più fiduciosa Coldiretti che vede nelle modifiche apportate dal Decreto Dignità una notevole semplificazione rispetto a prima: “Non sono dei voucher veri e propri” dice a Tre Bicchieri il responsabile del lavoro Romano Magrinid'altronde la loro abolizione ha rappresentato un punto di non ritorno. Tuttavia siamo sulla strada giusta per avvicinarci a quel tipo di semplificazione”.

 

La nuova procedura

Ma vediamo come funziona la procedura, in questo momento – a un mese dall'entrata in vigore del Decreto Dignità – e quali sono le novità principali che quest'ultimo ha introdotto.

Prima di tutto l'azienda deve iscriversi al sito dell'Inps e lo stesso deve fare il lavoratore. Poi si firma il contratto, mentre il datore di lavoro deve fare un versamento sulla piattaforma, tramite F24 o carta di credito, per creare il suo portafoglio telematico. Solo dopo che il versamento viene visualizzato dall'Inps – parliamo di un arco di tempo che va dai 3 ai 10 giorni – si può dare via alla prestazione, con un avviso di almeno 60 minuti prima dell'inizio che indichi luogo e codice fiscale dell'assunto. Le maggiori novità apportate dal Decreto Dignità ai precedenti PrestO, entrati in vigore nel giugno del 1017, riguardano: tempi di pagamento (non più il 15 del mese successivo, ma entro 15 giorni dalla fine della prestazione); tempi della comunicazione preventiva (non più ogni 3 giorni, ma con una validità ampliata a 10 giorni); autocertificazione del lavoratore – che svincola il datore di lavoro da eventuali responsabilità - di appartenere a una delle categorie ammesse (pensionati; studenti; disoccupati; percettori di prestazioni a sostegno del reddito); versamento al sito dell'Inps non solo tramite F24, ma anche tramite carta di credito; possibilità per il prestatore di riscuotere direttamente alle Poste; possibilità per le associazioni di categoria di svolgere le procedure per conto degli associati. Ma non tutte le modifiche, a oggi, sono già attive.

 

Limiti e compensi

Il compenso, invece, rimane quello previsto dal decreto precedente ed è diviso in fasce: per la prima 7,57 euro; per la seconda 6,94 euro; per la terza 6,52. A cui il datore di lavoro deve aggiungere i costi della gestione unica (33% del compenso netto), l'inail e il costo di gestione. Per cui, per assumere un lavoratore di terza fascia, il produttore arriva a spendere 8,99 euro. Considerando, però, che non si può assumere in una giornata per meno di quattro ore. E non possono farlo le aziende con più di 5 dipendenti assunti.

Ci sono, poi, dei limiti (già presenti anche per il contratto di prestazione occasionale del giugno 2017) legati ai compensi: ogni imprenditore non può erogare più di 5mila euro l'anno (6.666 in agricoltura) e non più di 2.500 euro per un solo prestatore. Allo stesso tempo il lavoratore non può percepire complessivamente da più datori di lavoro più di 5mila euro. Inoltre, chi è già stato assunto nel corso dell'anno come bracciante agricolo, non può essere assunto con la prestazione occasionale. Nel caso, in cui queste parametri non fossero soddisfatti, l'unica strada percorribile resterebbe il contratto determinato.

 

Pareri a confronto

Il risultato? “È un po' il cane che si morde la coda” conclude De Lellis (Cia) “l'imprenditore non riesce ad avere uno strumento facile e immediato per assumere; il lavoratore non vuole l'assunzione a tempo determinato, perché trattandosi di percettore di reddito, dovrebbe poi rinunciare all'indennità. Si rischia che uno strumento nato per combattere il lavoro nero, lo riporti paradossalmente in auge. D'altronde, anche prima del Decreto Dignità, la prestazione occasionale ha dimostrato di non funzionare, poi, tanto. I dati Inps ci dicono che a inizio 2018 - in circa 7 mesi - erano solo 1300 le aziende che lo avevano utilizzato. Non ci aspettiamo numero più alti con il Decreto Dignità”.

Per Coldiretti, invece, “La strada della semplificazione è stata imboccata, ma si potrà valutarla meglio quando si entrerà a regime. Stiamo, infatti, aspettando le circolari Ipns su delle importanti semplificazione,” spiega Magrini“ormai in dirittura di arrivo, che renderanno i PrestO uno strumento snello quasi quanto i vecchi buoni-lavoro. In particolare, la possibilità delle associazioni di categoria come la nostra di poter effettuare le operazioni sul sito dell'Inps per conto dell'associato e, in secondo luogo, la possibilità per il lavoratore di riscuotere il pagamento direttamente alle Poste, previa presentazione di un regolare documento protocollato dall'Inps. Procedura che eviterebbe il bonifico domiciliato e le relative spese in più per il datore di lavoro”.

Basterà questo a ricreare quei 50mila posti di lavoro occasionale in campagna auspicati dalla stessa Coldiretti? Per saperlo non resta che attendere i primi dati Inps che, per questa vendemmia, non saranno disponibili prima del mese di ottobre.

Personalmente non ho più utilizzato i voucher da quando sono stati aboliti nella loro forma di ticket pronti all'uso” dice Matilde Poggi, presidente Fivi. Il motivo è che ora, anche con le modifiche apportate dal Decreto Dignità, il sistema è comunque troppo macchinoso, con registrazione sul sito dell'Inps e comunicazioni preventive di assunzione. “Dei vecchi voucher è rimasto ben poco”. Per i piccoli produttori diventa troppo complicato: “significherebbe aggiungere altra burocrazia al nostro lavoro e proprio nel delicatissimo periodo della vendemmia: dovremmo infatti, dopo aver effettuato la registrazione, avviare l'assunzione con dieci giorni di anticipo, per poi eventualmente sospenderla in caso di pioggia o condizioni non favorevoli alla raccolta”. Il tutto solo per categorie limitate di lavoratori. “Insomma, il gioco non vale la candela”.

 

Chi può essere assunto con i PrestO?

Titolari di pensione di vecchiaia o di invalidità; giovani con meno di 25 anni di età, se regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso un istituto scolastico di qualsiasi ordine e grado oppure a un ciclo di studi presso l’università; disoccupati; percettori di prestazioni a sostegno del reddito, o del reddito d’inclusione (rei o sia).

 

Le novità all'interno del decreto dignità

Già attive:

dichiarazione di prestazione: ogni 10 giorni al posto di 3 giorni

informazioni da fornire in fase di registrazione: fa fede l'auto-dichiarazione del lavoratore sul suo stato di pensionato, studente under 25, disoccupato o percettore di reddito di inclusione o di altro sostegno al reddito

In attesa di circolare:

pagamento: il prestatore può scegliere il pagamento tramite voucher da presentare stampato alle Poste dopo 15 giorni dalla prestazione (con oneri, in questo caso, a carico del prestatore)

gestione registrazione e pagamento: possibilità per gli intermediari (associazioni di categoria) di accedere al portale per effettuare le operazioni per conto degli associati, non solo tramite F24, ma anche tramite carta di credito.
 

Cronologia: 10 anni di voucher

agosto 2008 i voucher entrano in funzione (sebbene già disciplinati dal decreto legislativo 276 del 2003) con il decreto legislativo 81 del 2008: la sperimentazione inizia nel mese di agosto, in occasione della vendemmia

marzo 2017 ildecreto legge 25/2017 abolisce i voucher. Non potranno, quindi essere più acquistati, ma quelli già richiesti entro il 17 marzo potranno essere spesi entro il 31 dicembre 2017

giugno 2017 entrano in vigore all'interno della cosiddetta manovrina (ai sensi dell’articolo 54-bis del dl n. 50 del 24 aprile 2017 convertito in legge n. 96 del 21 giugno 2017 in Gazzetta Ufficiale n. 144 del 23 giugno 2017) i prestO: prestazione di lavoro occasionale, che dovrebbe sostituire i voucher, ma senza più la possibilità di acquistare i buoni-lavoro pronti all'uso

agosto 2018 l’articolo 2 bis del dl 87/2018 (Decreto Dignità), introdotto in sede di conversione con la Legge 96/2018, modifica la normativa sui prestO - prestazioni occasionali - in agricoltura a decorrere dal 12 agosto2018

 

a cura di Loredana Sottile

 

Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 20 settembre

 

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Anteprima Tre Bicchieri 2019. I migliori vini della Sardegna

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Le anticipazioni dei premiati dalla Guida Vini d'Italia 2019 del Gambero Rosso. Oggi è il turno della Sardegna.


Una vera rivoluzione (positiva) in Sardegna. Cresce il numero delle aziende presenti, quello dei premiati, e crescono i grandi territori del vino isolano. E alla crescita seguono i successi. A testimoniarlo, prima di tutto, ci pensano i Tre Bicchieri (13 quest’anno, numero record!), ma anche i finalisti e i vini recensiti con due bicchieri.

Premi a parte, ci piace sottolineare l’evoluzione continua della regione, sotto il profilo qualitativo, sia da parte di piccole aziende agricole, portate avanti con caparbietà da giovani che scelgono il lavoro in vigna, sia da parte di importanti (e storiche) cantine che non smettono mai di innovare e di rinnovarsi. Senza dimenticare il ruolo delle cooperative che in Sardegna, ormai da tempo, offrono vini molto ben fatti e dal vantaggioso rapporto qualità prezzo.
 
C’è da dire che rispetto al grande lavoro svolto in cantina e in vigna, c’è ancora da fare sotto il piano della comunicazione aziendale, del marketing e della commercializzazione. Non aiutano di certo i consorzi delle Doc: i pochi esistenti sono (purtroppo) inoperosi e ciò merita una riflessione da parte di tutto il comparto.

Entrando in merito all’ultima annata, la 2017, riscontriamo un ottimo risultato dei bianchi: nonostante il clima caldo, i vini, per quanto più concentrati, riescono a mantenere tensione e sapidità, garantendo perfetto equilibrio. Bei risultati anche per la 2016 e la 2015, quest’ultima ideale per i rossi, a partire dal Cannonau. Le novità che salgono sul gradino più alto del podio sono ben sei: partiamo dal Cannonau di Sardegna ’16 di Antonella Corda, cantina al suo esordio assoluto nella pubblicazione. Per noi rappresenta un vero esempio per la tipologia: fresco, leggiadro, fine, elegante, dai sentori mediterranei, complesso e lunghissimo. Diversa, ma comunque buonissima, la Riserva R di Santa Maria La Palma. Tra i rossi spicca, inoltre, il Bovale di Su Entu, dai bellissimi vigneti della Marmilla. Il Vermentino si fa notare col Die di Delogu (Alghero) e Azzesu di Ledda, vino ottenuto da un particolarissimo impianto sito a oltre 700 etri su suolo vulcanico. Ultimo, ma solo perché ultimo nato in casa Sella & Mosca, il CAMPIONE B: una selezione da incorniciare per la varietà autoctona algherese.
 


I vini della Sardegna premiati con Tre Bicchieri


Alghero Torbato Catore ’17 - Tenute Sella & Mosca

Bovale ’16 - Su Entu

Cannonau di Sardegna ’16 - Antonella Corda

Cannonau di Sardegna Cl. Dule ’15 - Giuseppe Gabbas

Cannonau di Sardegna R Ris. ’15 - Santa Maria La Palma

Carignano del Sulcis 6Mura Ris. ’15 - Cantina Giba

Carignano del Sulcis Sup. Terre Brune ’14 - Cantina di Santadi

Semidano di Mogoro Sup. Puistèris ’16 - Cantina di Mogoro-Il Nuraghe

Vermentino di Gallura Sup. Sciala ’17 - Surrau

Vermentino di Gallura Vigna’Ngena ’17 - Capichera

Vermentino di Sardegna Azzesu Tenuta del Vulcano Pelao ’17 - Andrea Ledda

Vermentino di Sardegna Die ’17 - Tenute Delogu

Vermentino di Sardegna Stellato ’17 - Pala

Mangiare a Verona. Guida alle 8 migliori pizzerie

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Non c'è città d'Italia che non abbia i suoi punti di riferimento per una buona pizza, fra i prodotti più amati dagli italiani. Cominciamo il nostro viaggio alla ricerca delle insegne migliori da Verona, dove abbiamo scovato 8 indirizzi eccellenti. 

 

Guida Pizzerie d'Italia

Tonda o a taglio, romana o napoletana, a degustazione o alla pala, purché sia ben fatta. È sempre la pizza la protagonista della scena gastronomica italiana, un prodotto che – non ci stancheremo mai di dirlo – continua a incuriosire una fetta sempre più grande di pubblico. Non solo la nicchia di appassionati, ma una schiera di consumatori che diventano più esigenti e attenti, che pongono domande, quesiti, mettono i pizzaioli in discussione, parlando di farine, grani e lievitazioni. E i maestri dell'impasto italiano rispondono, sfoderando il loro talento: chi nella versione fritta, chi nell'alveolatura ineccepibile, chi nel condimento sublime e perfettamente armonico, chi nel cornicione rigonfio, chi nella sottigliezza del disco. E continuano a portare a casa grandi risultati, anno dopo anno: i 600 locali, i 62 Tre Spicchi (massimo riconoscimento per la pizza tonda) e le 10 Tre Rotelle (massimo riconoscimento per la pizza a taglio) dell'ultima edizione della guida Pizzerie d'Italia 2019 lo confermano.

I punteggi

Non solo: tracciano un panorama sempre più complesso e articolato, così strutturato da dover essere analizzato in maniera più dettagliata. Non più solo Spicchi e Rotelle, dunque, ma anche punteggi, basati sulla qualità dell'offerta, l'ambiente e il servizio. Il risultato è un'istantanea certosina del mondo dell'arte bianca, suddiviso nelle diverse categorie di settore, dalla pizza napoletana a quella a degustazione. Prima di percorrere la Penisola alla scoperta dei locali migliori, dunque, una precisazione: la novità del punteggio ci impone una selezione ancora più minuziosa delle insegne, che in questa nuova rubrica verranno segnalate solo a partire dagli 85 punti totali. Ecco, dunque, le pizzerie (tonde e a taglio) migliori della provincia di Verona.

Pizza tonda

 

Araldo

Araldo Arte del Gusto

Il consolidato duo formato da Vittorio e Sonia continua a mietere successi nel piccolo comune veneto. Merito delle materie prime d'eccellenza e della grande passione e competenza che accomuna i due pizzaioli, e dell'intenso lavoro di ricerca fatto sugli impasti. Alla base di tutto, farine biologiche, lievito madre e poi condimenti saporiti ed equilibrati, come per la stracciatella e pomodorini oppure la vegetariana con verdure croccanti e una spolverata di grana. Non deludono il servizio e la carta delle birre artigianali, accompagnata da una proposta di vini di tutto rispetto.

Araldo Arte del Gusto – Bosco Chiesanuova (VR) – c.da Carcereri, 22 – www.araldoartedelgusto.it

 

Settimo Cielo

Settimo Cielo

Coppia nel lavoro e nella vita, Petra Antolini e Lorenzo Giacopuzzi hanno trasformato il ristorante Settimo Cielo, rinnovandone completamente l'offerta dopo il percorso di studi di Petra all'Università della Pizza. Così, dal 2016 il locale ha assunto una nuova veste: farine italiane, pasta madre, lievitazione minima di 48 ore e 4 impasti differenti, compreso uno senza glutine cotto in forno elettrico. Fra i gusti imperdibili, le pizze “innovazione”, come la Regina Pomo D'Oro, con fiordilatte di Agerola, pomodoro giallo e rosso del piennolo e basilico, e poi le classiche rivisitate, a cominciare dalla bianca con filetti di tonno e cipolla di Tropea. Le creazioni della pizzaiola possono essere gustate anche nella versione a taglio nella vicina Casa Petra, dove è possibile acquistare inoltre pani e focacce.

Settimo Cielo – Pescantina (VR) – via E. Bernardi, 1 – www.pizzeriasettimocielo.net

 

I Tigli

I Tigli

Tre Spicchi e ben 96 punti per la pizza a degustazione di Simone Padoan, punto di riferimento per l'arte bianca in Italia, un maestro dell'impasto che ha ridefinito il ruolo stesso della pizza con creatività, tecnica e tanta ricerca. Chi si accomoda alla sua tavola scopre soprattutto la storia di grandi materie prime che incontrano un disco di pasta tagliato a spicchi, realizzato con farine selezionate e lievitazioni naturali. Sette le tipologie di pasta, tutte condite con specialità gustose, come ceviche di gambero rosso o faraona sfilacciata, abbinata a parmigiano e spinaci. Non solo pizza, però: eccellenti anche i dessert, la carta dei vini e delle birre, senza dimenticare il servizio, impeccabile e in grado di valorizzare le tante creazioni di Padoan.

I Tigli – San Bonifacio (VR) – via Camporosolo, 11 – www.pizzeriaitigli.it

 

Saporé

Saporè

Il suo nome è Renato Bosco, ma nel settore tutti lo conoscono come il “pizza-ricercatore”. Perché di lieviti e impasti, il maestro veronese ne ha lavorati a dismisura. Con il puntiglio di un vero studioso e la costanza di un appassionato mosso da un amore incondizionato per il proprio lavoro. Negli ultimi anni, tanti passi importanti: il trasferimento nel cuore del paese, l'aggiunta di posti a sedere in un ambiente tutto nuovo nella sede che un tempo era dedicata solo all'asporto. Resta invariata, invece, la qualità eccelsa dell'offerta, sempre più variegata e adatta a ogni esigenza. Oltre all'ormai famosissimo “doppio crunch”, la versione croccante imbottita, è impossibile resistere a un assaggio della soffice e leggera “aria di pane”. Golosa novità, poi, la “bagel pizza”, cotta in acqua aromatizzata al curry, alla birra, al Campari o all'Amarone, e poi cotta di nuovo in forno. Sublimi anche gli antipasti e i dessert.

Saporè – San Martino Buon Albergo (VR) – p.zza del Popolo, 46 – www.boscoorenato.it

 

Guglielmo Vuolo

Assaporito Guglielmo Vuolo Verona

Guglielmo Vuolo non è solo uno dei migliori pizzaioli della Penisola: la sua pizza alla napoletana Lungomare Caracciolo, con fiordilatte, alici fritte, alghe croccanti e limone grattugiato, si è aggiudicata uno dei premi speciali come pizza dell'anno nell'ultima edizione della guida. Il motivo è presto detto: si tratta di un impasto leggero e digeribile, perfettamente insaporito con un mix di ingredienti di prima scelta, una napoletana in chiave moderna frutto di uno studio minuzioso sugli impasti salutari, e di oltre 50 anni di esperienza nel settore. Altri assaggi da non perdere, la Montanara Fusion con sugo di pomodoro, la Fritta di Mare con baccalà e scarola croccante e il calzone ripieno di genovese, fiordilatte, radicchio e formaggio.

Assaporito Guglielmo Vuolo Verona – Verona – v.le del Lavoro, 32 a – www.guglielmovuolo.com

 

Du De Cope

Du De Cope

Cambio di veste per il locale di Giancarlo Perbellini: nuovi arredi di design che creano un'atmosfera calda e familiare, e un menu sempre più ampio basato su una selezione attenta delle materie prime che vanno a impreziosire dischi di pasta a lunga lievitazione dal cornicione ben pronunciato. Ne è un esempio la prosciutto cotto Capitelli, oppure la Margherita con bufala, e ancora la verza, porcini e polvere di tastasal, con lardo, acciughe e pomodori confit. Non mancano le schiacciate, le insalate e gli antipasti, così come i dolci, in arrivo direttamente dalla Dolce Locanda, ancora una volta realtà firmata Perbellini. Ad accompagnare il tutto, un'ottima selezione di birre alla spina e in bottiglia.

Du De Cope – Verona – galleria Pellicciai, 10 – www.pizzeriadudecope.it

Pizza a taglio

 

saporé bakery

Saporè Pizza Bakery

È ancora Bosco a farla da padrone nel panorama dell'arte bianca veronese. Anche nella versione a taglio, disponibile nel locale con il bel laboratorio a vista, dove vengono realizzati anche pasta e pane. Un'insegna che, oltre ad aver cambiato nome, si presenta con più posti a sedere che offrono finalmente la possibilità di degustare le specialità della casa direttamente in loco. Qui, a fare la parte del leone è il “crunch”, un impasto ad alta idratazione e lievitazione mista, in grado di mantenere l'interno soffice, con il famoso “effetto nuvola”. I gusti cambiano in continuazione a seconda dell'estro del maestro, e vanno da quello vegano con crema di zucca, topinambur, porro e olive taggiasche, a quello al pomodoro con bufala, pomodorino, croccante di pasta madre viva speziato al timo, origano, paprika dolce e basilico. Presente anche qui la pizza tonda, oltre che quella alla pala. Per gli amanti del dolce, da provare i biscotti della casa o i grandi lievitati delle feste.

Saporè Pizza Bakery – San Martino Buon Albergo (VR) – via Ponte, 55 a – www.boscorenato.it

 

la Torre

La Torre

Torna prepotente il nome di Bosco, marchio di garanzia per ogni tipo di offerta. In questo caso, si tratta di un'insegna a pochi passi dal monumento medievale della piazzetta San Pietro Incarnario, gestita insieme a Luca Foggi del Caffè Coloniale, che si occupa del reparto caffetteria e cocktail bar, oltre che della scelta di birre e bibite d'autore. La pizza è sempre lei, la “crunch” e “doppio crunch”, arricchita con gli ingredienti più disparati (zucchine, gorgonzola e noci, oppure mortadella e caprino, tanto per citarne alcuni). Per un locale polifunzionale adatto a tutte le ore, dalla colazione, con dolci fatti in casa e lieviti d'eccezione, all'aperitivo serale.

La Torre – Verona – stradone Scipione Maffei, 1 – www.facebook.com/latorreverona/

a cura di Michela Becchi

Pizzerie d'Italia del Gambero Rosso 2019 | pp 395 | euro 8,90 | La guida è acquistabile in edicola, libreria e online

Guida Pizzerie d'Italia 2019 del Gambero Rosso: è arrivato il tempo dei voti 

 

Il debutto di Beyond Burger in Italia. Com'è e perché ha successo la fake meat, ora in vendita da WellDone

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La catena di hamburger gourmet di Andrea Magelli e Sara Roversi è nata a Bologna 5 anni fa, da sempre attenta alla sostenibilità delle materie prime. Ora ottiene l'esclusiva per servire il Beyond Burger, surrogato vegetale che imita in tutto e per tutto la carne. Ma è vero che può essere una risorsa per il futuro? 

 

I surrogati vegetali della carne. Un mercato in crescita

Sgombriamo subito il campo da ogni dubbio: la fake meat – carne surrogata, finta carne... Chiamatela come volete, purché sia ben chiaro che di proteine animali non se ne vedono neppure lontanamente all'orizzonte – è un prodotto 100% vegetale, ma non per questo si rivolge al mercato vegano. E questo perché dietro alle sperimentazioni di Beyond Meat, gruppo californiano sostenuto da investimenti importanti a favore dell'innovazione tecnologica applicata al settore alimentare, c'è prima di tutto la necessità di perorare la causa ambientalista, presentando ai consumatori onnivori prodotti appetibili, ma a ridotto impatto ambientale. Dunque come altri nomi dell'industria alimentare americana (tra i più celebri il gruppo che produce il chiacchierato Impossible Burger, che le proteine animali le isola in laboratorio per conferire succulenza alla finta carne), Beyond Meat è cresciuta sull'onda di un progressivo interesse per il mercato dei surrogati, e non solo grazie alla consapevolezza che mangiare meglio – riducendo per esempio il consumo di carne, specie quella dopata negli allevamenti intensivi – fa bene alla salute. L'urgenza più stringente, infatti, è legata proprio al futuro del pianeta: all'aumentare della popolazione mondiale dovrà necessariamente corrispondere un consumo crescente di proteine alternative, perché le risorse già decisamente impoverite dallo sfruttamento intensivo dei terreni e dall'emissione massiccia di gas serra non saranno più sufficienti per sostenere il consumo di carne. Ecco perché investire nei surrogati plant based è una delle principali sfide dell'innovazione alimentare. E riguarda tutti.

Beyond Burger. La ricetta

Poi ci sono i benefici per l'organismo: un prodotto come il Beyond Burger (solo una delle referenze in catalogo, dove figurano anche fake bacon e pollo surrogato), realizzato con proteine dei piselli gialli, olio di cocco e lievito, è privo di Ogm, ormoni e antibiotici, garantisce l'apporto proteico più simile a quello della carne e un'elevata percentuale di ferro (anche se l'assorbimento del ferro da proteine vegetali funziona in modo differente e andrebbe indagato meglio). Non contiene colesterolo, né glutine. Dunque risponde alle esigenze dei vegani, ma non vuole proporsi a un mercato di nicchia – e qui il marketing ha lavorato bene per posizionare il prodotto fuori dalla diatriba vegani vs carnivori – e l'asso nella manica è costituito proprio dalla capacità di ingannare facilmente occhi e palato del carnivoro più fervente. Il colore è quello giusto (grazie alla barbabietola utilizzata come colorante naturale), la succulenza pure, e il merito è dell'olio di cocco, che apporta la componente grassa – non parliamo di un prodotto dietetico, un burger da 113 grammi contiene 300 calorie, di cui 128 da grassi – e garantisce anche la decantata reazione di Maillard (quell'irresistibile crosticina che induce la salivazione) insieme agli zuccheri della barbabietola. Anche la consistenza c'è, in questo caso grazie alla struttura molecolare dei piselli, che contengono mioglobina. Il lievito conferisce gusto e sapidità. Con un buon bun e l'abbinamento giusto l'hamburger (di non carne) gourmet è servito.

 

La prima volta in Italia. Da WellDone

Negli Stati Uniti, dove il prodotto è già distribuito sulla gdo e servito da diverse catene di fast food, i consumatori stanno premiando gli sforzi. In Europa, invece, il mercato è pressoché vergine: a Londra, per esempio, il Beyond Burger è arrivato solo qualche mese fa, mentre in Italia, da oggi, sarà la catena bolognese WellDone a servire in esclusiva il prodotto, prima che, probabilmente all'inizio del 2019, il Beyond Burger entri in distribuzione presso i supermercati Esselunga. Chiariamo subito che si tratta di un prodotto gelo, e al momento gli stabilimenti produttivi sono solo oltreoceano: questo significa, tra le altre cose, che nel computo delle operazioni dannose per il pianeta bisogna considerare l'impatto della traversata. Specie sapendo che WellDone, realtà fondata da Andrea Magelli e Sara Roversi nel 2013 per scommettere sull'hamburger gourmet in tempi non sospetti, lavora solo con carne da allevamenti certificati, puntando da sempre sulla sostenibilità e la trasparenza della filiera, e quindi limitando per quanto possibile l'impatto ambientale. Proprio questa sensibilità – oltre, aggiungiamo noi, alla previsione del ritorno di immagine che l'operazione in esclusiva garantirà alla catena bolognese – ha spinto WellDone ad appassionarsi alla causa: “Quando siamo nati 5 anni fa” spiega Magelli “abbiamo precorso i tempi, puntando su un prodotto goloso e di qualità; il nostro pane è realizzato con farine bio, la provenienza della carne che utilizziamo è certificata, negli ultimi tempi abbiamo aderito al circuito del Future Food Institute, l'hub bolognese dedicato all'innovazione alimentare. Così abbiamo conosciuto Beyond Meat, apprezzato la bontà delle sperimentazioni dei ricercatori di Stanford e anche l'intuizione commerciale dell'azienda, che presenta la sua fake meat come un prodotto per tutti”.

 

Un prodotto per tutti. Ma perché?

Convincente anche l'assaggio: “La fermentazione delle proteine dei piselli restituisce un prodotto che ricorda la carne per succosità e texture. Difficile sentire la differenza con la carne senza saperlo, specie perché noi serviremo il Beyond Burger con le stesse ricette già in menu”. E allo stesso prezzo, almeno per il momento. Uno sforzo economico non indifferente, considerando il food cost ovviamente elevato del prodotto: “Ci costa il 40% in più della carne che selezioniamo con cura, ma abbiamo deciso di prenderci il rischio perché vogliamo lanciare un messaggio, stimolare la riflessione sulla sostenibilità e non frustrare l'evidente curiosità dei consumatori. Il Beyond Burger dev'essere un prodotto democratico in tutti i sensi, rivolgersi a tutti e a un prezzo accessibile. Così assecondiamo un mercato che si muove sempre di più verso un'alimentazione personalizzata: più del 40% dei consumatori oggi ha ridotto il consumo di carne, dobbiamo recepire questi stimoli”. Per giocare un po' con la curiosità, però, WellDone proporrà anche l'assaggio comparato tra carne e fake meat. Ma Magelli insiste, “non sarà quello il nostro core business, il tema delle proteine alternative merita di essere divulgato per quello che è; abbiamo l'opportunità di stimolare l'interesse della gente semplicemente servendo un buon hamburger. Ed è quello che faremo”.

 

www.welldoneburger.com

 

a cura di Livia Montagnoli


Pastry Best. Il simposio che ha stilato il Manifesto della pasticceria italiana contemporanea

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A Vighizzolo d'Este, nella sede di Lascuoladelmolino del Molino Quaglia, si è stilato il Manifesto della pasticceria italiana contemporanea. I dieci punti.

 

Una due giorni dove pasticceri e giornalisti del settore provenienti da tutta Italia hanno lavorato fianco a fianco per stilare il Manifesto della pasticceria italiana contemporanea con lo scopo di definire una pasticceria quotidiana, che sforni prodotti da consumare ogni giorno senza il rimorso d’averlo fatto. Ci si è riusciti? Giudicate voi, qui i 10 punti che vanno a definire il Manifesto.

La pasticceria contemporanea

La pasticceria è scienza, nulla nasce per caso, tutto va perfettamente bilanciato per essere certi del risultato finale. Come una formula matematica: basta un tassello fuori posto e la magia finisce. Eppure, a sentire la provocazione di Chiara Quaglia - Amministratore delegato di Molino Quaglia e ideatrice insieme al marito Piero Gabrieli di Lascuoladelmolino dove si organizzano corsi di pasticceria, pizzeria, panificazione e cucina - questa magia, se non si fa qualcosa di concreto, rischia di svanire. “Ultimamente le proposte delle pasticcerie sono tutte uguali, c'è un bel bancone con i macarons colorati, poi tartellette alla frutta e torte bellissime; ma l'identità e lo stupore che fine hanno fatto?”. Una risposta tangibile la dà ogni giorno Corrado Assenza nel suo Caffè Sicilia a Noto: “Si inizia la mattina alle sei, quando va bene, e si finisce a mezzanotte, se non alle due, eppure sono felice; sono felice di raccogliere ogni giorno quel che offre la terra affidandomi ai contadini e a chi quei contadini li conosce bene”. C'è Sebastiano che con il suo furgoncino riesce a radunare tutti i gelsi raccolti dai contadini della zona, oppure Paolo, che Corrado ha conosciuto grazie alla sua cisterna di acqua potabile trasportabile, e che ha anche una coltivazione di limoni e di mandorle. Poi ci sono tutti gli altri, “che non hanno mai il privilegio di poter vedere la soddisfazione del cliente”. La forza dello sguardo la chiamano. “È per questo che il nostro compito è quello di trattare bene i loro prodotti, glielo dobbiamo: siamo i portavoce dei loro frutti. È questa la giusta direzione; riprendiamoci il mestiere”. Un monito applicato nella Scuola di Pasticceria Dinamica, un progetto avviato nel 2012 insieme al molino, e messo nero su bianco nel Manifesto della pasticceria italiana contemporanea, che tra le altre cose si pone l'obiettivo di aprire un dibattito su quale strada debba prendere la pasticceria di ogni giorno per andare incontro alle esigenze dei consumatori più consapevoli.

Manifesto della pasticceria

Il Manifesto della pasticceria contemporanea

1. La pasticceria contemporanea italiana parte da materie prime naturali, usa processi di lavorazione basati sulla cultura materiale alimentare del popolo italiano ed esalta le caratteristiche delle materie prime, donando momenti di dolcezza lungo l'arco della giornata. Esalta il gusto, l'alto valore nutrizionale e dietetico dei prodotti, dalla prima colazione al dopocena. Questi sono i principali obiettivi del pasticcere contemporaneo.

2. L'educazione e la formazione delle nuove generazioni di pasticceri passa, anche e sopratutto, attraverso la conoscenza delle materie prime.

3. La pasticceria di ogni giorno deve nascere preferibilmente da impiego di cereali diversi trasformati in farine con maggior contenuto delle parti esterne del chicco per contribuire al fabbisogno quotidiano di fibre e sali minerali secondo Dieta Mediterranea.

4. La pasticceria italiana contemporanea deve valorizzare il lavoro dei contadini, degli allevatori e dei produttori. Per una filiera trasparente dal campo al banco, dalla terra alla vetrina.

5. La presenza in pasticceria di un processo continuo di produzione del lievito madre vivo certifica l'impegno dell'artigiano a realizzare dolci lievitati di consumo quotidiano freschi e di alto valore nutrizionale.

6. Il pasticcere contemporaneo deve limitare il più possibile, o abolire del tutto, l'utilizzo di semilavorati non prodotti da lui.

7. Il pasticcere contemporaneo può sperimentare nuove strade senza temere la tradizione e deve avere il coraggio di portare avanti la sua unicità comunicandola al cliente (in prima persona o formando l'addetto alla vendita) con chiarezza e onestà intellettuale.

8. Il pasticcere contemporanea deve saper valorizzare l'identità del prodotto, l'artigianalità e le materie prime attraverso una comunicazione efficace.

9. La pasticceria contemporanea deve avere un'impronta sostenibile: essere sana, leggera e bilanciata. Deve custodire, rivisitare e valorizzare con gusto contemporaneo le ricette dei dolci tradizionali, senza standardizzarsi.

10. La pasticceria italiana contemporanea deve promuovere una rivoluzione culturale legata al prezzo, ribellandosi alla dittatura del risparmio esasperato e sterile di nuove proposte, per arrivare a pagare il giusto l'intera filiera produttiva. La qualità non strozza artigiani e produttori, ma li incentiva a investire in novità di cui beneficeranno pasticceri e clienti.

 

a cura di Annalisa Zordan

 

Cocktail in a Bottle: la nuova serie web di Gambero Rosso per scoprire i drink in bottiglia

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È una tendenza, non recentissima, che sta prendendo sempre più piede. Sono i cocktail in bottiglia, pre miscelati e pronti all'uso, che Valeria Sebastiani e Giada Panella, le due giovanissime socie di Keynco, hanno sottoposto al giudizio di Luca Boccoli, esperto uomo del vino e bartender in una vita precedente. 

 

I drink in bottiglia di Keynco

Era un bel giorno di primavera quando due giovanissime ragazze si sono presentate in redazione con una scatola dall'aspetto misterioso al seguito. All'interno, le loro creature: sette differenti cocktail imbottigliati. Dal Martinez al MiTo, passando per Negroni, Old Fashioned, Gin Martini, Manhattan e Velvet (quest'ultimo è un loro prodotto esclusivo). Oltre al packaging accattivante e ben ragionato e alla qualità del prodotto, a colpirci è stata la loro storia, quella di Valeria Sebastiani e Giada Panella, che dal nulla – sebbene forti di un'esperienza acquisita in anni di lavoro nella mixology – hanno iniziato a miscelare ettolitri di liquidi per creare drink da imbottigliarsi che potessero mantenere nel tempo tutte le qualità, i profumi e le fragranze di quelli appena fatti.

Così non ci siamo accontentati di mettere per iscritto la loro storia, e siamo andati a cercare una conferma sulla qualità del risultato. Abbiamo interpellato allo scopo Luca Boccoli, un esperto super partes, professionista del mondo enoico competente e curioso chiamato all'assaggio, utilizzando però lo stesso metodo che si applica per le degustazioni di vino. Analisi visiva prima, olfattiva poi, gustativa per finire.

Cocktail in a Bottle, la serie

È nata così Cocktail in a Bottle, la serie web che indaga una nuova tendenza nello sfaccettato mondo della mixology. Un nuovo modo di bere miscelato direttamente dal frigorifero di casa, al grido di Chill, open, enjoy (tradotto: fredda, apri e goditela). Un Gin Martini pronto all'uso prima della riunione di condominio, un Velvet che si adatta perfettamente a d accompagnare un pasto, un MiTo rinfrancante per lasciarsi alle spalle una dura giornata di lavoro: tutti i cocktail imbottigliati a mano da Keyncotrovano motivo di esistere come proposta alternativa al bere miscelato tradizionale, a portata di mano in qualunque situazione nel frigo di casa. Per ora ecco un assaggio con l'intervista alle due protagoniste e la prima puntata. Seguiranno poi, a cadenza settimanale (ogni venerdì), le puntate dedicate ai drink nella nostra web tv e su YouTube. Buona visione.

 

 

Keynco | Valeria Sebastiani – alchimista | Giada Panella – sales&marketing | Luca Boccoli – degustatore

 

regia di Saverio De Luca

montaggio di Martina Molle

Il Giro d'Italia con il Lambrusco a Roma. 6 chef per raccontare il vino emiliano

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Quella del lambrusco è una storia contadina che si dipana tra le vigne emiliane, tra Modena e Reggio Emilia. Un racconto di territorio e tradizione che incrocia sul suo cammino una cucina generosa e sarà protagonista a Roma di una serata d'autore in compagnia di 6 grandi chef. 

 

Un giro d’Italia con il lambrusco, un grande abbraccio tra la cucina italiana e un vino che negli anni ha poco raccontato di sé. Il lambrusco è “l’umile champagne” dell’Emilia-Romagna. Così negli anni ’50 Mario Soldati lo descriveva nel suo indimenticabile “Vino al vino”. Da allora tante cose sono cambiate, ma il lambrusco, sempre per citare Soldati, resta quel vino che, nella grande maggioranza dei casi, si crede di conoscerlo, e invece lo si ignora. La forza di questa storia però è proprio in quell’avere attraversato il tempo proteggendo dalla ribalta la sua anima contadina. Lo ha fatto con la complicità di una comunità che a tratti ne ha addirittura nascosto la natura, relegando il lambrusco più autentico nelle abitudini delle famiglie di campagna. Per questo oggi la storia di questo vino è ancora autentica e credibile e diventa con rara naturalezza racconto e scoperta.

 

La storia

La via Emilia spacca a metà quel mondo di vigne che è l’Emilia più classica del lambrusco, tra Modena e Reggio Emilia. Da una parte, verso l’Adriatico, i paesaggi piatti di nebbie, fossi e immensi argini, dall’altra l’Appennino che sale piano disegnando calanchi e immensi campi di terre colorate, dal nero al rosso passando per l’azzurro e, addirittura, il nero. A fare da filo conduttore i campanili che si vedono da lontano e segnano il paesaggio con le loro sagome scure. Un mosaico di situazioni diverse con decine di diversi lambrusco, un patrimonio di diversità che è stato spesso banalizzato da un racconto troppo semplice appiattito genericamente sull’idea di rossi frizzanti. I lambrusco infatti sono decine, tutti figli di quella domesticazione della vite che è avvenuta nei suoli fradici della pianura padana ancora non bonificata. Oggi, ce lo confermano le analisi del DNA, sappiamo che questa famiglia di vitigni è figlia della sua terra e che qui non è arrivato nessun gene orientale a contaminare la vite. È una scoperta recente, che testimonia l’originalità di questo patrimonio. Queste uve, vendemmiate tardi, spesso alla fine di ottobre, fermentavano a fatica a causa del freddo e la fermentazione a un certo punto quasi si fermava per riprendere con il caldo della primavera avanzata. A quel punto però il vino, spumeggiante, si consumava ugualmente e questo ha indirizzato un gusto che era anche perfetto per la cucina generosa di queste terre. Stiamo parlando di una cultura contadina, di un racconto tutto territorio e tradizione. Poi successe qualcosa, qualcosa che cambiò la storia del lambrusco.

 

La rivoluzione di Cleto Chiarli

Tutto ha inizio in una osteria a metà dell’Ottocento. Siamo a Modena, e l’oste si chiamava Cleto Chiarli. Nel 1850 l’Italia era a un passo dall’inizio della sua storia unitaria. C’era ancora da fare la guerra di Crimea e la seconda guerra di indipendenza italiana, ma c’era già nell’aria il profumo del declino austriaco e della vittoria del Risorgimento italiano. Modena in quegli anni era la capitale del Ducato di Modena e Reggio, ripristinato dal Congresso di Vienna all’inizio dell’Ottocento. Lo fu fino al 1859, quando la storia di Cleto Chiarli e della sua rivoluzionaria produzione di lambrusco era già cominciata.

La famiglia Chiarli era originaria di San Cesario sul Panaro dove Cleto Chiarli faceva il capomastro e da dove partì con la moglie Lucia Vandini per aprire a Modena un’osteria, in via della Cerca, nel quartiere della Pomposa. Non c’è una data precisa per questo trasferimento, che avvenne quando Cleto, classe 1932, aveva poco più di vent’anni. L’Osteria, chiamata dell’Artigliere, ebbe un grande successo e presto il vino servito divenne famoso in tutta la città. La moglie si occupava della cucina e Cleto si occupava della sala e di produrre quel lambrusco che ben presto divenne il suo interesse principale. Se ne andava in campagna a scegliere le migliori uve e produceva con grande maestria i suoi vini e le sue prime bottiglie. Aveva un dono innato, una speciale sensibilità che affinava le pratiche di cantina a lui insegnate dal padre. Una tradizione di campagna come era comune allora che lui portò rapidamente ad un livello superiore. Ebbe successo. In fretta, sempre crescendo. In poco più di due anni diventò fornitore delle altre osterie modenesi. Attrezzò un piccolo opificio in via della Scimmia (oggi Nazario Sauro) dove i Chiarli avevano anche una casa. Cleto divenne così un produttore di vino. Siamo nel 1860 come testimoniato da una pergamena datata 1911 che ricorda i 50 anni di attività celebrati nel 1910. Quell’anno, il 1860, non vede solamente la nascita di un’azienda che porterà nel mondo il lambrusco, ma è la data che saluta la nuova identità di un vino fino ad allora semplicemente contadino, capace da lì in poi di rivendicare un ruolo da protagonista nel mondo. L’intuizione di produrre bottiglie fu una svolta epocale che mise Chiarli nella condizione di spedire ed esportare. L’anima contadina restò a fare la guardia all’identità del lambrusco, ma Cleto Chiarli ha il merito di avere inventato il lambrusco come lo conosciamo oggi, capace di portare nel mondo lo spirito di Modena, la convivialità e la cucina di un territorio straordinario.

 

Il Giro d'Italia con il Lambrusco. La cena

Abbiamo organizzato in suo onore un “giro d’Italia” in una cena, un viaggio in 5 piatti per riportare questo vino nel cuore della ristorazione italiana, coinvolgendo alcuni tra i migliori cuochi italiani: Marianna Vitale, Mauro Uliassi, Marcello e Mattia Spadone, Nino Rossi e Cristiano Tomei. Con loro – e i piatti ideati da ognuno per l'occasione - ci ritroveremo a Roma il prossimo 12 novembre, per celebrare Il Giro d'Italia con il Lambrusco. Una serata all'insegna del buon cibo, a cominciare dalla valorizzazione del territorio emiliano, protagonista con il suo paniere di eccellenze dell'aperitivo di benvenuto: Lambrusco metodo classico, salumi emiliani, Parmigiano Reggiano. Poi spazio alla creatività degli chef: per scoprire il menu seguiteci nelle prossime settimane.

 

Il Giro d'Italia con il Lambrusco - Roma - Sheraton Rome Hotel - il 12 novembre 2018 - partecipa all'evento 

 

a cura di Giorgio Melandri

Nasce Radio Food Live. La web radio dedicata a cibo, vino e ristorazione

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On air da pochi giorni, Radio Food Live è un progetto editoriale a sostegno del mondo enogastronomico ideato da tre amici appassionati della buona tavola. E sostenuti da un team di istrionici professionisti pronti a fare luce sui temi più caldi del settore. 

 

L'idea

29 settembre 2017. Luca Sessa e Andrea Febo si incontrano per scambiare qualche battuta, confrontarsi, raccontarsi degli ultimi assaggi fatti, le cene più recenti, i ristoranti appena scoperti. Una serata come tante, un incontro fra due amici uniti da una passione comune, quella per la cucina. Giornalista il primo, speaker radiofonico e food writer il secondo. Compagni di tante avventure gastronomiche, viaggi, eventi: alle spalle, anni di esperienza nel settore della comunicazione del food and wine, e una serie innumerevole di piatti condivisi. E poi, un'idea comune, un progetto che, a un anno di distanza, ha preso finalmente vita: una emittente radiofonica pensata per tutti gli amanti del genere, ma anche per gli ascoltatori più curiosi. “Ho accolto con entusiasmo la proposta di Andrea, così tanto da pensare di riuscire a realizzare il tutto in pochi mesi”. Ambiziosi, “o forse sprovveduti”, scherzano i due, che pure se con tempi un po' più dilazionati, alla fine ce l'hanno fatta. “Oggi presentiamo un palinsesto denso, fatto di tanti speaker, addetti ai lavori che hanno deciso di aprire con noi questo nuovo capitolo”.

Il team

Lavoravo per Radio Godot, ma iniziavo a sentire l'esigenza di creare un mio spazio personale dove poter discutere solo di cibo. Ho parlato con il mio editore, Enzo Cagnetti, che mi ha aiutato ad avere una mia trasmissione. E sono subito corso da Luca, e poi dagli altri amici e colleghi che volevo avere al mio fianco”, spiega Andrea. Persone come Luca Latini, terza mente creativa dietro il progetto, psicologo che ha sviluppato un programma modulare per incontri a tema gastronomico nelle scuole. “Tutto parte da ARCo – Alimentazione, Relazioni e Comunicazione – un'associazione senza scopo di lucro che si occupa di organizzare attività di sostengo nell'educazione alimentare per istituti pubblici e privati, in particolare per le fasce più deboli”. Una realtà che ha dato vita a una radio e un magazine dedicati: Radio Food Live – Do What You Love, “la prima web radio con un palinsesto esclusivamente focalizzato sul cibo”. A breve, il primo incontro a Brescia per i laboratori sensoriali con i bambini, per insegnare loro a riconoscere “il gusto più autentico del cibo, quello sano”.

I protagonisti

Intanto, la prima puntata è andata in onda lunedì 24 settembre, mentre l'intera iniziativa sarà presentata ufficialmente sabato 29 in occasione di Culinaria – Biennale di cibo e arte, una kermesse di chef e artisti in scena a Roma all'auditorium di Palazzo Wegil a Trastevere. Sarà l'occasione giusta per presentare il ricco palinsesto, un programma fitto di appuntamenti che vanno dal vino alla ristorazione, passando per la storia delle aziende e la birra artigianale. Messo a punto nel dettaglio grazie al lavoro minuzioso di una squadra d'eccezione: Giusy Ferraina per la comunicazione aziendale, il trio composto da Luciana SquadrilliTania Mauri e Alessandra Farinelli per il mondo della pizza, Maria Pasquale per il racconto in lingua inglese del panorama gastronomico capitolino, Salvatore Cosenza e AndreaTurco per le birre. E ancora Chiara Giannotti con le sue interviste a tema vitivinicolo, Federico Cari e l'arte dolciaria, Alex Ravelli Sorini e Susanna Cutini che dispenseranno le loro “pillole di saggezza gastronomica”, Emanuele Conti con la sua passione cinematografica, per indagare il legame fra cibo e cinema, la Federazione Italiana Manager della Ristorazione, che si inoltrerà nel campo del management ristorativo. E poi la community di SayGood che racconterà l'Italia attraverso ricette e canzoni, i Food Ensamble, che cercheranno di coniugare tavola e musica elettronica, e Salvatore Monetta che scandaglierà l'universo della mixology, spiegando al pubblico come nascono i suoi cocktail.

Il “coming out” gastronomico e la diretta degli eventi

E, infine, loro. Luca e Andrea, il carismatico duo dietro l'intero progetto. Che è radiofonico, ma anche giornalistico: oltre ai podcast, infatti, prenderà forma anche una testata online, Radio Food – Il Cibo Visto, Scritto e Parlato, con una serie di contenuti originali, “più racconti, che articoli”. Ma torniamo alla radio: a Luca, le recensioni e i temi di attualità del settore, “per capire in che direzione stiamo andando, in cosa si può ancora migliorare, quali sono i punti deboli e di forza delle recensioni”. Andrea, invece, intratterrà il pubblico con il suo Coming Out, “ovvero dichiarazioni inedite dei professionisti del settore. Vorrei portare i protagonisti del cibo a dire quello che di solito viene eclissato in questo sistema basato sull'equilibrio e la diplomazia”. L'obiettivo? “Restituire la verità al mondo del cibo. Naturalmente, con la giusta dose di arroganza intellettuale”. Continuano a raccontarsi così i due amici, fra una battuta di scherno e un aneddoto divertente, spiegazioni dettagliate e quel pizzico di autoironia che da sempre li caratterizza. Infine, una delle trasmissioni su cui puntano di più, Tutto il Cibo Minuto per Minuto, un'idea presa in prestito dal mondo calcistico e riadattata con gusto: “Andrà in onda solo quando saremo agli eventi, a cominciare da Milano Golosa, di cui saremo partner, e poi molti altri ancora”.

www.radio-food-live.com/

a cura di Michela Becchi

Ottobre 2018 del Gambero Rosso. Alla scoperta del cioccolato in Italia e nel mondo

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Su e giù per l'Italia per scoprire nuove storie di cibo e di vino, e poi in viaggio fino a Philadelphia, dall'altra parte dell'oceano. L'omaggio a un grande maestro della cucina italiana come Gaetano Trovato, il focus sulle pizzerie che cambiano, le ricette, la classifica delle porchette. E molto altro ancora, a cominciare dall'inchiesta sul cacao, dalla pianta alla tavoletta. 

 

Tutto sul cioccolato

Un nuovo mese in edicola con il Gambero Rosso, col numero che saluta l'arrivo dell'autunno e ricomincia da dove c'eravamo lasciati. Così all'indagine sulla nuova era del pane (settembre 2018) segue il viaggio appassionante nel mondo del cioccolato, per capire com'è cambiato il settore di produzione e trasformazione del cacao negli ultimi anni, chi sono i protagonisti della rivoluzione bean to bar (dal seme alla tavoletta), quanto la genetica abbia influenzato la nuova classificazione delle varietà. Mara Nocilla ha interpellato artigiani e imprenditori illuminati, ricostruendo la geografia dell'oro nero italiano; ma ha pure rintracciato nel mondo le produzioni solidali e le realtà di qualità che aiutano a crescere il territorio e le comunità che lo abitano, immettendo sul mercato un prodotto etico, sostenibile e buono.

Così da disegnare una nuova mappa del cacao (e di mappe a supporto ne trovate molte, tra cioccolatieri di ricerca nel mondo e in Italia e cartografia delle varietà, sempre a firma di Alessandro Naldi) e riflettere sul futuro del settore. A supporto il glossarietto dei termini tecnici, i dati produttivi, la bibliografia minima per aggiornarsi. Le foto sono di Lido Vannucchi.

Viaggio in Toscana. Dal Pinot nero del Mugello alla cucina di Gaetano Trovato (e gli Arnolfo Boys)

Ragionando ancora per orizzonti geografici, l'Italia del cibo e del vino ci offre numerosi spunti da approfondire: c'è la Toscana del Pinot nero, tra le vigne del Mugello con Emiliano Gucci per scoprire quella viticoltura regionale che va oltre il Chianti e costruisce una storia nuova con l'uva simbolo di Borgogna. Si delinea così un itinerario sconosciuto ai più, tra cantine, fattorie e trattorie consigliate dai vignaioli locali. Ancora in Toscana, con Sara Favilla (e le foto di Lido Vannucchi) si bussa alla porta di Gaetano Trovato, nella casa in cui è approdato quasi 35 anni fa dalla sua Sicilia, tra le colline della Val d'Elsa, che nel 2020 terranno a battesimo la nuova sede del suo ristorante, Arnolfo, attualmente in pieno cantiere. A uno dei più grandi maestri della cucina italiana riconosciamo il merito di aver cresciuto una compagine di allievi brillanti, oggi ben indirizzati sul percorso della cucina d'autore grazie al periodo trascorso nella fucina di Trovato. Tanti sono gli Arnolfo Boys di cui possiamo ricostruire il percorso nel mondo dell'alta ristorazione italiana e internazionale: Filippo Saporito , Eugenio Jacques Boer, Matteo Lorenzini, Simone Cipriani e tanti altri (ve li raccontiamo tutti).

Il Centro Italia che si rialza

L'Italia però è anche quella che sa rialzarsi nonostante tutto, tenace e volitiva come quei produttori che stanno facendo ripartire il territorio del Centro Italia piegato dal terremoto di due anni fa. Tra loro ha viaggiato Massimiliano Rella, il risultato è una mappa delle aziende che resistono nell'Italia del sisma.

La Pennsylvania del cibo

Dall'altra parte dell'Atlantico, invece, voliamo con Emilia Antonia De Vivo in Pennsylvania, tra Philadelphia e Pittsburgh con la sorpresa di scoprire nuove mete gastronomiche che corrono a grande velocità verso il futuro, tra sperimentazioni ardite e comunità di quartiere in cucina. Come sempre un corredo di informazioni utili: i mercati da non perdere, gli indirizzi per mangiare bene in città, le 8 specialità da assaggiare a Philadelphia.

Rivoluzione in pizzeria

In Italia torniamo con Livia Montagnoli (e le illustrazioni di Andrea Chronopoulos, al debutto in squadra) per scattare la fotografia del mondo della pizzeria contemporanea, di come sia maturato negli ultimi anni, di quanto i pizzaioli guardino sempre di più al mondo della ristorazione per offrire un'esperienza di qualità che sia la somma di più fattori: non solo il prodotto e la ricerca su impasti e lievitazioni, ma anche ambiente curato, attitudine al racconto e servizio professionale. Un focus stimolato dall'uscita della guida Pizzerie d'Italia 2019, che per la prima volta attribuisce punteggi in centesimi alle migliori pizzerie del Paese, tenendo conto proprio di tutti questi elementi, dalla carta dei vini all'accoglienza in sala. Un'opportunità per scoprire anche chi ottiene premi speciali, Spicchi e Rotelle.

 

Ricette, classifiche, miniguida

Le ricette del mese sono quelle di un trio di giovani che non hanno paura di osare, Benedetto Rullo, Lorenzo Stefanini e Stefano Terigi del Giglio di Lucca, con le foto di Francesco Tommasi; per la cucina tradizionale, invece, ci rifugiamo a Olevano Romano, in casa di Giovanni Milana, che prepara per noi le fettuccine con porcini e animelle di Sora Maria e Arcangelo. La ricetta (etnica) illustrata da Valentina Scannapieco è quella di Mu Fish, a Milano. Con la classifica di ottobre a cura di Mara Nocilla, invece, mettiamo nel piatto una specialità italianissima come la porchetta: 10 assaggi dai Castelli Romani messi a confronto. Mentre la miniguida cittadina di Valentina Marino ci riporta a Nord, per scoprire Brescia golosa e gli indirizzi da non perdere.

 

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Reportage dal ristorante Central di Virgilio Martinez a Barranco

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Dieci anni di attività e una nuova sede: ecco cosa aspettarsi dal ristorante di Virgilio Martinez ora che ha traslocato nel quartiere Barranco.

 

Nessun confine netto tra l’interno e l’esterno del locale, un’architettura fluida, che ingloba elementi naturali e aperture verso il giardino e verso il cielo. Il nuovo Central di Virgilio Martinez sembra aprirsi totalmente all’influenza del quartiere Barranco di Lima, che lo ospita dalla fine di giugno. Una sala che predilige il materiale grezzo, nella pietra dei tavoli, nel legno vivo degli alberi che delimitano uno spazio ai confini tra il dentro e il fuori, armonioso con la natura. Tutti i tavoli, stesso numero di coperti della vecchia sede, godono della meravigliosa vista sulla cucina, dove più di 20 “cocineros” sono parte di un rodatissimo ed elegante ingranaggio che riesce a chiudere una lunga esperienza di 16 portate, come quella di Alturas Mater, in poco più di due ore. Questo cambio di sede, che arriva a 10 anni esatti dall’apertura del Central, rappresenta una nuova tappa nel cammino dello chef. Rispetto agli spazi del vecchio locale, nel quartiere Miraflores, qui trovano respiro le tante sfaccettature del “pensiero Martinez”.

Alla sala esclusivamente dedicata all’esperienza ristorativa, che rappresenta senza dubbio il cuore della proposta, si affiancano spazi che raccontano il percorso e l’evoluzione del Central. Affacciata sul ristorante, in un piccolo laboratorio completamente a vetri, trova la sua dimora Mater Iniciativa, il progetto di ricerca biologica e culturale che sostiene con il suo lavoro l’attività del ristorante. A Mater Iniciativa è anche affidata la cura di piccoli ecosistemi all’interno del locale, dove piante, frutti e radici vengono coltivati per offrire al pubblico un’idea della biodiversità peruviana.

MAYO

Un grande spazio, speculare al ristorante, viene dedicato a MAYO, bar che prende linfa dalle ricerche di Mater Iniciativa e le mette a frutto nell’autoproduzione. Qui si lavora su fermentazioni e infusioni di erbe andine, che donano ai cocktail grande carattere e profondità e li rendono personali e identitari. Grande importanza viene data anche alla presentazione del cocktail, che si accompagna con un piccolo piatto “esperienziale”, dove gli ingredienti utilizzati all’interno della miscela vengono presentati nella loro forma originale. In MAYO si può prendere un aperitivo, bere un caffè, ma anche pranzare con una carta leggera e dinamica.

L'anima green

Tra i nuovi spazi c’è anche un giardino, dove vengono coltivate erbe aromatiche utili alla cucina e al cocktail bar. A guidare l’intero progetto c’è la volontà di perseguire un’idea di sostenibilità, che si esprime soprattutto nell’impegno per lo smaltimento interno dei rifiuti organici, che diventano fertilizzante per il giardino, e nell’attenzione all’acqua. All’interno del locale, e completamente a vista, trova posto un piccolo laboratorio di depurazione, dove per osmosi inversa viene filtrata l’acqua della città di Lima, molto carica di sali, che viene poi servita nel ristorante in bottiglie di vetro riutilizzabili, per assicurare un impatto minimo.

Chef, perché la scelta del luogo è caduta sul quartiere Barranco?

Barranco è un quartiere emblematico di Lima, con una forte personalità artistica e in questo momento è al centro di un cambiamento culturale. È un posto molto vivo, dove si respira autenticità, vivacità ed è per questo che qui credo di poter trovare ispirazione. Un quartiere dalla cultura artigianale e indipendente, proprio come la mia cucina. In questi spazi inoltre Mater Iniciativa trova la sua dimensione, per essere più vicina alla gente. Questo ambiente non vuole essere esclusivo, ma aperto alle persone del quartiere, grazie ad un giardino da vivere e a MAYO, dove la proposta ristorativa è abbordabile e informale.

 

Il trasferimento ha portato a dei cambiamenti nel menu?

In questo momento nel menu troviamo molta più cucina andina. Questo è dovuto all’esperienza di MIL, il ristorante che abbiamo aperto a Moray all’inizio del 2018. Il progetto ci ha portati a essere più vicini al prodotto e ai produttori, a creare relazioni solide. Per questo oggi gli ingredienti andini sono più presenti che in passato.

Questo trasferimento coincide con i 10 anni dall’apertura del ristorante. Com’è cambiata la sua cucina in questi anni e come cambierà?

Credo che oggi la mia cucina sia più che mai peruviana. Questo cambio di sede non è un nuovo inizio, ma un passo in più sul percorso del Central. Quello che ho costruito in questi 10 anni è un’estetica personale, che rende riconoscibili i miei piatti. In questo momento il mio interesse va soprattutto alle piante medicinali, al loro straordinario potere curativo. Le stiamo studiando e abbiamo già iniziato a integrarle nel menu.

 

Cosa si augura per il Perù?

Non c’è mai stato un momento migliore per mostrare ed esprimere la cultura peruviana. La gente viene in Perù per mangiare e questo movimento non è mai stato così forte. Spero che questo porti il Perù ad essere valorizzato come una delle grandi culture nel mondo e che abbia effetti benefici a livello politico e sociale, per tutti.

Central – Perù – Lima – Barranco - Av. Pedro de Osma 301 - +51 1 2428515- http://centralrestaurante.com.pe/

 

a cura di Silvia Monteferri

foto di Silvia Monteferri, Csar del Rio

 

Idroponica. 5 critiche frequenti (smontate una a una)

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Abbiamo pubblicato nel recente passato molti articoli dedicati alla coltivazione idroponica e abbiamo raccolto le critiche che, soprattutto sui social, si coagulavano su queste serre hi thec che non usano terra. Ora smontiamo le critiche più frequenti dimostrando che sono sostanzialmente errate superstizioni.

 

“I pomodori coltivati in idroponica non sanno di nulla”. È questa una delle maggiori critiche mosse a questo metodo di coltivazione. Ma tutte queste critiche sono basate su dati reali? Abbiamo smontato, aiutandoci con la voce degli esperti, le principali perplessità sull'idroponica (qui vi abbiamo spiegato che cos'è).

I prodotti coltivati in idroponica non sanno di nulla

Non è l'agricoltura idroponica che genera prodotti di bassa qualità o che non sanno di nulla, tutto dipende da come si fa questa coltura e dal tipo di prodotto che si decide a monte di ottenere. Lo spiega chiaramente Giorgio Prosdocimi Gianquinto, professore di Orticoltura del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari dell’Università di Bologna: “È vero che i pomodori olandesi non sanno di nulla però sono tutti belli e tutti uguali: è quello che richiede il mercato. Ecco perché gli olandesi, che sono molto attenti alla produzione di ortaggi industriale, non si curano troppo del sapore. La loro è principalmente una selezione estetica. Tra l'altro il pomodoro ai nord europei piace acidulo. Non è certo l'idroponica il problema”. E dunque, se si vuole coltivare in idroponica dei pomodori saporiti, lo si può fare modulando la soluzione nutritiva (acqua + nutrienti disciolti in essa) in cui verrà immerso l'apparato radicale.Ora, per spiegarlo meglio, passiamo alla seconda critica perché le due tematiche sono legate tra loro.

I prodotti coltivati in idroponica hanno meno vitamine

Anche in questo caso, siamo costretti a sfatare questa convinzione. Sempre rimanendo in tema pomodori, “la dolcezza è determinata dalle concentrazioni degli zuccheri predominanti (fruttosio, glucosio e saccarosio) e dal loro rapporto. L'asprezza o l'acidità sono determinate dalle concentrazioni degli acidi organici predominanti (citrico, malico e tartarico) e dal loro rapporto; alcuni aminoacidi possono anche contribuire all’acidità. Minerali come calcio, fosforo e potassio si possono combinare con gli acidi organici e influenzare la percezione dell’acidità. Le sostanze fenoliche contribuiscono anch’esse all’acidità, oltre che alla sensazione di astringenza... Ecco il sapore delle verdure o dei frutti deriva da tutti questi composti e dal rapporto che c’è tra di loro”. E questo rapporto proviene, in sostanza, dalla genetica della pianta, dalle condizioni climatiche in cui si trova (temperatura, luce, umidità) e da tutta una serie di altri fattori, come l'irrigazione o la concimazione, che se vengono modulati bene possono dare origine a un prodotto di qualità elevata, dal sapore ottimo e con gli stessi valori nutrizionali di uno coltivato tradizionalmente. C'è di più: con questa coltivazione si possono modulare, per esempio, anche gli stress della pianta: “Se aumento la salinità della soluzione nutritiva, faccio andare in stress la pianta e questo fa sì che produca una serie di sostanze antiossidanti, come vitamine o certi pigmenti, che restituiscono un prodotto di qualità. Pensate ai pomodorini di Pachino, coltivati nella punta più meridionale della Sicilia, una zona assolata e caratterizzata da terreni fortemente salini. Questi pomodori sono il frutto di piante in forte stress salino e luminoso, ecco perché sono così piccoli”.

Vengono utilizzati “concimi chimici”

Ammesso e non concesso che nell'agricoltura tradizionale non vengano usati “concimi chimici”, nell'idroponica i nutrienti disciolti nell'acqua (a formare la soluzione nutritiva e dati nella misura giusta grazie all'agricoltura di precisione) sono principalmente azoto, fosforo e potassio che, insieme alla luce, sono la base della fotosintesi. Sono elementi chimici? Sì, come del resto lo è l'aria che respiriamo. Ci sono, poi, elementi nutritivi secondari utilizzati dalla pianta in momenti diversi durante il suo ciclo di crescita, e che vanno a definire il sapore del prodotto finale. Alcuni di questi nutrienti secondari comprendono calcio, magnesio, zolfo, ferro, molibdeno e boro.

Con l'idroponica si umiliano gli agricoltori che con la terra hanno vissuto e sfamato i figli

Un tipo di agricoltura non esclude l'altra. Anzi si possono alimentare vicendevolmente e integrare alla grande. Ma è innegabile che l'idroponica sia più sostenibile dell'agricoltura tradizionale di oggi che, ricordiamolo, non è fatta solamente di piccoli contadini che coltivano per autosostentamento (la maggior parte dei prodotti che si trovano sul mercato sono frutto di agricoltura intensiva). E dunque, ben vengano le conoscenze, la passione e il sudore dei contadini, ma ben venga anche l'idroponica (o altre tecnologie) che rappresenta una soluzione contro lo spreco di acqua e l'aumento della popolazione mondiale:“Con la coltivazione tradizionale, oggi, riusciamo a malapena a sfamare la popolazione mondiale. Al momento attuale ognuno di noi ha a disposizione in media circa 2 mila metri quadri di suolo agricolo (negli anni '70 era più del doppio). Figuriamoci nel 2050, quando la popolazione raggiungerà i 9,7 miliardi”. Senza contare che la disponibilità di terreno agricolo man mano sta diminuendo perché questo viene convertito in suolo edificabile.“Nel futuro ci sarà una contrazione di terra disponibile. Bisogna dunque trovare nuovi metodi di coltivazione”.

L'idroponica toglierà posti di lavoro

Al massimo l'idroponica trasformerà il lavoro: i lavoratori avranno un altro tipo di specializzazione. Un esempio concreto è quello di Sfera Agricola, che con i suoi 13 ettari rappresenta la più grande serra idroponica e hi-tech d’Italia, e solo nel primo anno ha assunto 190 dipendenti non stagionali. O ancora Ipom, che produce dei pomodori chiamati Pellerossa, e Fri-El Greenhouse, un'azienda agricola in provincia di Bologna che produce pomodori Cuore di Bue. Detto questo, l'idroponica non rappresenta affatto il traguardo, ci sono ancora parecchie criticità e margini di crescita; uno tra tutti lo smaltimento dei substrati e dei materiali di plastica utilizzati. È per questo che aziende e startup continuano a investire tempo e denaro per trovare soluzioni sempre più sostenibili. Come per esempio i ragazzi di The Circle a Roma che, oltre a utilizzare substrati naturali e materiali di plastica riciclati, integrano l'idroponica con l'allevamento dei pesci: si chiama acquaponica. Oppure tutte le realtà che stanno puntando sull'aeroponica, coltivazione che non necessita di alcun substrato e consente ulteriore risparmio idrico grazie all'impiego di acqua ad alta pressione, dunque nebulizzata. Ma siamo sicuri che il progresso ci riserverà altre sorprese.

 

a cura di Annalisa Zordan

 

 


Una Cantina Urbana per Milano. L'idea di Michele Rimpici: produzione e vendita di vino sui Navigli

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Nell'open space di via Ascanio Sforza tini in acciaio, botti di legno e persino anfore in terracotta caratterizzano lo spazio in modo inequivocabile: è qui che il 10 ottobre inaugura la cantina urbana di Michele Rimpici. Dove il vino si produce, si beve, si vende. 

 

La cantina in città. L'idea

Prima di lanciarsi nel suo nuovo progetto, Michele Rimpici è partito da una certezza: “Ho sempre amato viaggiare, girovagare per campagne, cantine, enoteche, il mio passato in Signorvino mi ha permesso di approfondire anche i rapporti professionali con il network del vino italiano, conoscere da vicino le realtà artigianali che fanno grande la nostra viticoltura”. Sì, perché l'ideatore di quella che si appresta a presentarsi ai milanesi come la prima cantina urbana d'Italia, sulla cultura, il marketing e la comunicazione del vino ha costruito la sua carriera, già volto di Cavit e Signorvino. Ora però è pronto per aprire un nuovo capitolo di questa storia, quello in cui “il mio sogno nel cassetto di fare il produttore di vino si realizza, anche se in modo assai peculiare”. Consapevole della curiosità che susciterà la sua Cantina Urbana sul Naviglio Pavese, Michele ha però negli occhi un modello di business già nato (e diffuso) oltreoceano e in Europa: “Un paio di anni fa, a Brooklyn, ho scoperto una realtà simile, gestita da ragazzi giovani e appassionati. Ma di progetti analoghi se ne trovano a Parigi, Londra, Nord Europa... Insomma nulla impedisce di produrre vino in città, e se pensiamo alla storia italiana il passato è ricco di piccoli agricoltori che conferivano uva alle cantine sociali: l'uva ha sempre viaggiato, oggi la logistica moderna ci garantisce di preservarla intatta nei camion frigo, di cui ci avvarremo anche a Milano. Fermo restando che per impostare un discorso serio sono necessarie competenze specifiche e un bel network diffuso, non siamo degli improvvisati”.

Produzione, vendita e degustazione

Quel che sarà la Cantina Urbana – Wine Collective di via Ascanio Sforza lo scopriremo solo il 10 ottobre, quando lo spazio aprirà ufficialmente le porte al pubblico. Di certo l'obiettivo di valorizzare il processo di vinificazione ha portato a organizzare lo spazio come un luogo dove l'interazione e la “performance” giocheranno la parte del leone, “uno spazio dove succedono cose, sempre aperto (visite guidate anche per gruppi, ma solo su prenotazione), ma improntato anche alla vendita, soprattutto di vino sfuso, proprio per comunicare la dimensione artigianale del progetto”. Quindi da un lato si spingerà sulla comunicazione e la didattica del vino - “del resto finalmente si è cominciato a valorizzare l'enoturismo, perché non proporlo anche in città?” - dall'altro la Cantina proporrà diversi pacchetti commerciali: “Abbiamo pensato a tre tipologie di degustazione, facilmente prenotabili online. Una wine experience che associa visita guidata e degustazione di 3 vini, la formula Fatti il tuo blend con i suggerimenti del nostro cantiniere e dell'enologo e la Wine maker experience, un'esperienza d'assaggio che permette di degustare lo stesso prodotto vinificato in acciaio, legno, anfora (anfore da 500 litri l'una, realizzate da un artigiano dell'Impruneta, per piccolissime produzioni disponibili dal 2019, ndr), per confrontarne l'evoluzione”. A dimostrazione del fatto che la cantina milanese lavorerà per davvero, sotto la guida di un cantiniere e due consulenti enologi presenti al bisogno (con loro anche lo staff per accoglienza e vendita): gran parte dell'open space a disposizione sarà dedicato alla produzione, “con possibilità di stoccare fino a 150 ettolitri, anche se abbiamo intenzione di crescere per step: a regime dovremmo essere in grado di disporre di 30mila bottiglie all'anno”.

 

Il vino in vendita

E l'uva, come sarà selezionata? “Lavoreremo principalmente con uve dell'Oltrepò, anche per omaggiare la storia del Naviglio Pavese, antica rotta per l'ingresso in città del vino del territorio. E poi un buon bacino di uve dall'area di Bolgheri, uve di Langa, dalla Puglia e dal Veneto. Con la prerogativa di selezionare solo prodotti di viticoltura che non fa uso di concimi sistemici, e valorizza una visione artigianale del lavoro in vigna. Anche in cantina ridurremo al minimo il quantitativo di solfiti”. Quindi la vendita si orienterà su tre fasce di prodotto: il vino sfuso proposto in packaging studiato ad hoc, a prezzi molto convenienti; le selezioni di vini imbottigliati da uve di specifici vigneti, identificati da nuovi brand; i vini in anfora con uve dell'Oltrepò, sotto l'etichetta Naviglio Rosso (Croatina e Barbera) o Bianco, a partire dal 2019. E lo spazio ospiterà spesso produttori e vigneron intenzionati a farsi conoscere dal pubblico, invitato a prendere parte a degustazioni ed eventi speciali con cadenza settimanale. Il primo appuntamento, già venerdì 12 ottobre, presenterà il format Wine Tasting Friends: degustazione di vini, sfizi d'accompagnamento, imbottigliamento dal vivo, dj set con vinili. Un modo nuovo di raccontare e vivere il vino (ricordiamo però che proprio in questi giorni, a Lorenteggio, esordisce anche la cantina urbana di Giuseppe Zen, costola di Mangiari di Strada). Piacerà ai milanesi?

 

Cantina Urbana /Wine Collective – Milano – via Ascanio Sforza, 87 – dal 10 ottobre 

 

a cura di Livia Montagnoli

 

Tre Bicchieri. Parla Piero Delogu dell'azienda Tenute Delogu

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Vigne, cantina, agriturismo, resort. L'attività di Piero Delogu si differenzia, ma il cuore di tutto è sempre il vino, prodotto nelle campagne vicino ad Alghero.

 

Azienda vitivinicola, agriturismo, wine resort: le Tenute Delogu sono un sistema che ruota attorno al mondo del vino ma non si limita alla produzione in vigna e in cantina. Perché l'accoglienza è un tutt'uno con l'anima enologica. Del resto Piero Delogu è un imprenditore che la sa lunga: un passato nel settore della zootecnica, entusiasmo da vendere e la lungimiranza di chi sa come valorizzare risorse, territorio, talento dei luoghi e delle persone. E la precisione con cui porta avanti il suo progetto lo dimostra. A 10 anni di vita, le Tenute Delogu continuano a macinare riconoscimenti e premi, e quest'anno arrivano i Tre Bicchieri per il Vermentino di Sardegna Die 2017. Un vino che nasce tra le vigne di Palmavera, primo nucleo dell'azienda, e quelle a pochi chilometri di distanza, dove oggi si trova al cantina e tutta la struttura, nelle campagne di Alghero. Un'area a forte vocazione agricola e vitivinicola, per via di un microclima costante, particolarmente favorevole alla vite. Tant'è che le prime testimonianze del vino, qui, si fanno risalire a 3000 anni fa. A questa eredità Delogu si è ispirato quando ha deciso di rilanciare la viticoltura nella zona nuragica di Palmavera, dando seguito ai racconti di chi favoleggiava di uve magnifiche e grandi vini. E così è stato. Cominciando a lavorare al fianco di enologi e cantinieri e mantenendosi sempre fedele a due punti chiave: resa e tempo. Circa 50 quintali a ettaro, e la giusta attesa: “oggi vendiamo i rossi 2014” dice con orgoglio, e aggiunge che anche nei bianchi occorre rispettare certi ritmi, per far sì che si possa creare quella prolifica sinergia tra terra, uomo, tempo e vite. Come emblematicamente raccontato dai nomi dei suoi vini.

 

Non nasce viticoltore, ma imprenditore. Può raccontarci come ha approcciato al vino?
Sono solo 10 anni che mi dedico al vino, ma è una passione profonda e una tradizione di famiglia. Tutto è fatto con sentimento anche perché, in questo settore, il business lo fanno le grandi industrie, al nostro livello ce ne è ben poco. Queste sono cose che si fanno per amore per la terra, perché si vogliono seguire certi valori e fare un certo tipo di lavoro. Conosco ogni cosa di questa terra, controllo tutto: l'uva, la vinificazione; anche se ci sono enologi e cantinieri non importa, perché credo si debba essere presenti.

 

Come sei arrivato al vino?

La mia esperienza è sempre legata alla terra: avevamo progettato circa 30 anni fa un impianto di mungitura, che si chiamava Agritalia, oggi lo usano più di 1000 aziende agricole. Poi abbiamo diversificato le attività, non per una strategia industriale, ma per passione: sentivo di dover fare qualcosa di diverso.

 

Non era nei suoi progetti il vino però

Avevo acquistato un terreno con delle vigne a Palmavera, quasi sul mare. A un passo da uno dei più grandi villaggi nuragici, con resti sotterranei vecchi di 3mila anni; lo avevo preso per edificarlo, poi ci sono stati dei blocchi e non ho potuto costruire. Gli anziani mi hanno detto che l'uva e il vino di quella zona erano i migliori di tutta l'area. Da lì è partito tutto: ho cominciato a fare il viticoltore proprio su questi terreni. Poi ho acquistato altri ettari a 10 chilometri di distanza, dove oggi ci sono i vigneti, l'agriturismo e le stanze.

 

È tra Santa Maria La Palma e Sella & Mosca, due colossi del vino. Come è il rapporto tra piccole e grandi aziende?

Per noi è bellissimo stare in questo territorio: facciamo parte del Consorzio di Alghero e siamo insieme a cantine così grandi, che fanno milioni di bottiglie mentre noi siamo intorno alle 100mila. Per noi è una cosa fondamentale, volendo possiamo anche chiamare i vini con la denominazione Alghero: è un rapporto perfetto, da quel punto di vista.

 

Come vede la Sardegna nel mondo nei prossimi anni?

Pare che il vermentino sia uno dei 6 vitigni italiani che girerà di più nel mondo. Un'uva tipica della Sardegna ma presente anche di altre regioni, che si continua a impiantare. A testimonianza di quanto interesse sia suscitando. Credo che ora sia importante lavorare bene sulla comunicazione non solo per far scoprire il vino, ma soprattutto per far conoscere le differenze che ci sono tra un Vermentino e l'altro.

 

Come è l'annata 2018?

La vendemmia 2018 è tragica, nel nord Sardegna ha piovuto tanto, molti hanno usato prodotti sistemici per combattere malattie, noi ne abbiamo impiegati meno e abbiamo avuto delle perdite, ii alcuni casi importanti, come per l'uva da tavola: in 3 ettari abbiamo perdite intorno all'80%.

 

È la prima volta che il territorio di Alghero viene premiato con un Vermentino di Sardegna. Cosa ha di particolare?

Senza togliere niente al vermentino di Gallura, che è il primo in Sardegna, anche la piana di Alghero è importante per questi vini. Per la brezza che arriva dal mare, il microclima e le escursioni termiche. Penso che il Vermentino della piana della Nurra abbia un grande valore con mineralità e profumi importanti.

 

Quale è il segreto di questo Vermentino?

Per il Die parte delle uve arriva dalla zona di Palmavera, il resto dalle altre vigne che nascono su terreni argillosi, lavoriamo tenendo la resa dai 40 ai 60 quintali per ettaro. Quest'anno, poi, abbiamo usato la formula del batonnage affinché i profumi rimangano tutti nel vino: dopo una decina di giorni dalla fermentazione lo mettiamo in movimento quotidianamente. Otteniamo così un'acidità perfetta.

 

Ego, Geo, Die e Ide: sono i nomi dei suoi vini. Da dove arrivano?

Mi piaceva che con sole tre lettere si potessero avere due nomi che hanno un significato: i nomi sono importanti. Ego e Geo sono i rossi, indicano l'uomo, l'io e la terra. Die e Ide sono i bianchi, il primo è quello premiato con i Tre Bicchieri, Die indica il giorno, mentre Ide è il nome con cui chiamiamo la vite qui. Quindi abbiamo l'uomo, la terra, il tempo e la vite.

 

 

Tenute Delogu - Alghero (SS) - SS 291 Sassari-Fertilia km 22 - +39 345 2862861- https://www.tenutedelogu.com/

 

a cura di Antonella De Santis e Giuseppe Carrus

 

Bar d'Italia 2019. È La Pasqualina il miglior bar dell'anno

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Più di 1300 indirizzi segnalati nell'ultima edizione della guida Bar d'Italia del Gambero Rosso. Il migliore, però, è uno solo: La Pasqualina. Storia e progetti del vincitore del premio illy Bar dell'Anno. 

 

Il premio

Poco più di 6mila anime abitano il caratteristico comune bergamasco di Almenno San Bartolomeo, un luogo poco frequentato ma che negli ultimi anni ha fatto parlare di sé fra la schiera di gastronomi appassionati, per via della sua insegna di riferimento, una delle migliori in Italia: LaPasqualina. Anzi, la migliore. Che per la seconda volta – la prima fu nel 2015 – è stata insignita dalla giuria di esperti della guida Bar d'Italia con il premio illy Bar dell'Anno. Un traguardo sempre più difficile da raggiungere, considerata la crescita inarrestabile che il mondo dei bar – più sfaccettato che mai – ha vissuto negli ultimi tempi. Eppure, La Pasqualina, con i suoi Tre Chicchi (premio dedicato alla qualità dell'offerta caffeicola) e le sue Tre Tazzine (premio per la proposta gastronomica) rimane ben saldo nell'Olimpo dei più validi locali della Penisola.

 

la pasqualina

L'artigiano

E non è difficile immaginarne il motivo: Riccardo Schiavi è un artigiano consapevole, appassionato, che nei suoi dolci, i gelati e il caffè, esprime la propria idea di prodotto sano, piacevole e naturale. Un professionista attento all'ambito della formazione, che periodicamente apre il laboratorio alle scuole e a tutti gli aspiranti gelatieri. La sua creatura, ereditata dalla famiglia, è uno di quei luoghi da frequentare a qualsiasi ora, dalla colazione alla merenda, un vero locale polivalente in grado di soddisfare ogni bisogno. Nel gelato, Riccardo concentra tutto il suo amore per il gusto, selezionando attentamente le materie prime da ogni regione e lavorando gli ingredienti alla maniera tradizionale; nella pasticceria chiede aiuto a consulenti esterni per essere sempre aggiornato, ma poi si affida al suo estro e alla sua naturale attitudine al buono per creare specialità sfiziose e salubri, da assaporare senza sensi di colpa.

 

la pasqualina

La storia

Ma facciamo qualche passo indietro: La Pasqualina nasce per volontà dei nonni, “sono loro ad avermi insegnato il senso del dovere”. Forti del tipico spirito bergamasco, deciso e volenteroso, nonni e genitori abituano fin da subito il piccolo Riccardo a destreggiarsi in bottega, “prima di andare a scuola, caricavo sempre le bottiglie d'acqua”. Certo, ai tempi il locale era completamente diverso dallo spazio di design che è ora, “c'erano tavoli da biliardo e una sala per giocare a carte, l'evoluzione c'è stata con la terza generazione, quella dei miei zii, che negli anni '80 hanno inserito il reparto gelateria”. Ricorrendo, però, a prodotti fatti da altri. Bisogna attendere l'ingresso di Riccardo negli anni '90 perché La Pasqualina inizi a proporre un'offerta di qualità basata su specialità fatte in casa.

Il concetto di bar

Perché il bar non è altro che questo: casa nostra. Quando arriva un cliente, io voglio potergli offrire i miei biscotti, le mie torte, le mie brioche”. Ed è proprio sulla filosofia di familiarità e convivialità che il locale ha fondato la propria identità nel tempo: “Il servizio è fondamentale. Se l'espresso è buono ma il barista lo serve in maniera pessima, tutta la qualità del prodotto svanisce”. Ogni consumatore, dunque, viene accolto con premura e attenzioni, prima di essere invitato ad assaggiare le tante creazioni della casa.

 

La Pasqualina

L'offerta, fra gusto e salute

Specialità come i lieviti artigianali, ben alveolati e 100% integrali, e poi le torte classiche e moderne, i dolci da credenza, i biscotti profumati, “tutto preparato in maniera naturale, senza additivi, conservanti e simili”. Una scelta ben precisa, “difficile da portare avanti, ma in cui credo molto”. Perché oggi non è più sufficiente proporre un prodotto buono, “deve essere anche sano, digeribile, equilibrato. Abbiamo una responsabilità: dare da mangiare alle persone. E non possiamo prenderla sottogamba”. Infine, il protagonista: l'oro nero. Quello tostato in casa, in un piccolo laboratorio di torrefazione dove prende vita la miscela 90% arabica e 10% robusta: “Sono stato con il team di illy in Brasile tre anni fa, in seguito al premio vinto per la guida. È stata un'esperienza significativa, che mi ha insegnato molto”.

La gestione di un bar

Dalle sei e trenta del mattino all'una. Questo l'impegnativo orario di apertura del bar, a cui si aggiungono le altre due sedi, quella bergamasca e quella di Porto Cervo, aperta da maggio a settembre, “dove lavoriamo senza sosta, proponendo solo gelato per il momento, ma il prossimo anno inseriremo anche l'aperitivo”. Come coordinare un'attività simile? “Ho un team valido, preparato e coeso, presente in ogni punto vendita. Non sono io a gestire i locali, ma i miei ragazzi. Io mi limito a dirigere dalle retrovie”. Come un maestro d'orchestra che tiene i fili di un complesso sistema armonico. Un consiglio per gli aspiranti baristi? “Non basta avere buone idee e qualche ricetta pronta: occorre avere doti organizzative e saper trattare con i clienti”.

Progetti futuri

Tanti anni di attività costellati di successi, ma l'inarrestabile Riccardo non si ferma mai. Anzi, è pronto a stupire ancora con ghiotte novità: “Abbiamo da poco acquistato un terreno vicino San Bartolomeo, dove coltiveremo la nostra frutta e verdura. E poi vogliamo creare due camere sopra la sede storica del paese, un bed and breakfast di alto livello”. Si va avanti, quindi, ma sempre con uno sguardo al passato, “mi piace l'idea di tornare alle origini, ai prodotti in proprio, quelli genuini”. Anche nei dolci: “La torta che va per la maggiore? Quella di mele, fatta con olio extravergine di oliva al posto del burro. Un dolce dai sapori semplici ma autentici: è questo quello che cerca il cliente di oggi”.

La Pasqualina – Almenno San Bartolomeo (BG) - via Papa Giovanni XXIII, 39 - 035 540040- www.lapasqualina.it/

La Pasqualina – Bergamo – via Borfuro, 1 - 035 232708 - www.lapasqualina.it/

La Pasqualina – Porto Cervo (SS) - via del Porto Vecchio - 0789 92291 - www.lapasqualina.it/


a cura di Michela Becchi


Bar d’Italia del Gambero Rosso 2019 | euro 10,00 | La guida sarà acquistabile in edicola e libreria dalla prima settimana di ottobre. Già disponibile on line

Guida Bar d'Italia 2019 del Gambero Rosso. Elenco dei migliori 

 

Anteprima Tre Bicchieri 2019. I migliori vini del Lazio

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Le anticipazioni dei premiati dalla Guida Vini d'Italia 2019 del Gambero Rosso ci portano nel Lazio.

 

Quest’anno abbiamo vissuto una serie di prime volte: l’entrata nella sezione principale della Guida di un’azienda di Affile, con entrambi i suoi Cesanese a raggiungere le nostre finali; la presenza di due aziende del territorio reatino, con l’approdo, accanto alla “storica” Tenuta Santa Lucia, della cantina Le Macchie; la conquista dei Tre Bicchieri da parte della Antiche Cantine Migliaccio con il Fieno di Ponza Bianco ’17, un classico blend di biancolella e forastera, splendido nell’essere espressione della sua “isolanità”, fatta di toni mediterranei e iodati, di freschezza e piacevolezza; infine il primo Tre Bicchieri per un vino a Denominazione Roma, con il Roma Rosso Edizione Limitata ’15 di Poggio Le Volpi.

Per quanto riguarda l’andamento generale della regione, vale la pena fare un ragionamento secondo le zone di produzione. Nel Viterbese sono sempre in primo piano due uomini e due aziende che hanno fatto della qualità assoluta la loro peculiare cifra stilistica: Sergio Mottura, che anche quest’anno ha ottenuto i Tre Bicchieri con il suo Grechetto Poggio della Costa, ma che viaggia quasi sugli stessi livelli anche con l’altro Grechetto, il Latour a Civitella, ed Emanuele Pangrazi della San Giovenale con i suoi due Habemus, per i quali vale esattamente lo stesso discorso. Da segnalare l’assenza della cantina della famiglia Trappolini, che quest’anno non ha presentato i vini per problemi di organizzazione aziendale, e l’entrata nella sezione principale di Villa Caviciana, azienda agricola a tutto tondo, dalla viticoltura all’allevamento.

Nel territorio romano abbiamo osservato l’emergere di diversi vini di buon livello della denominazione Roma, anche se i risultati di vertice per questa provincia sono sempre appannaggio dei soliti nomi: Tenuta di Fiorano, quest’anno con il Fiorano Bianco ’16, Poggio le Volpi, di cui abbiamo già detto, e Valle Vermiglia, che con l’Eremo Tuscolano ’17 resta l’unico Frascati premiato.

Per quanto riguarda le terre del Cesanese, la crescita riguarda più Olevano Romano o Affile che Piglio. Chiudiamo con la provincia di Latina dove, detto del successo dei vini di Ponza, ribadiamo la qualità della produzione dei grandi nomi del territorio, da Casale del Giglio a Carpineti a Cincinnato.

 

Fieno di Ponza Bianco ’17 - Antiche Cantine Migliaccio

Fiorano Bianco ’16 - Tenuta di Fiorano

Frascati Sup. Eremo Tuscolano ’17 - Valle Vermiglia

Habemus ’16 - San Giovenale

Montiano ’16 - Famiglia Cotarella

Poggio della Costa ’17 - Sergio Mottura

Roma Rosso Ed. Limitata ’15 - Poggio Le Volpi

 

Madriga a Cagliari. La pizza in teglia che racconta prodotti e storie di Sardegna

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Carlo Defraia è cagliaritano, ma per scoprire a fondo la sua passione per il pane – e la pizza – ha dovuto spostarsi a Milano: con Davide Longoni l'illuminazione, poi con Bonci, a Roma, la scoperta della pizza in teglia. Di tutto ha fatto tesoro, con l'idea di raccontare l'identità della sua terra... Sulla pizza. Il risultato è Madriga. 

 

Dalla cucina al pane

Dalla cucina alla panificazione il passo è breve? Non sempre, non necessariamente. Ma che un cuoco possa contemplare tra le sfide creative che gli si prospettano in cucina la sperimentazione sul pane è naturale quant’è vero che panificare è un atto di generosità verso il prossimo. Nella brigata di Roberto Petza, per esempio, Carlo Defraia – classe 1988 e un passato da cuoco arruolato alla causa del lievito madre – ha cominciato a panificare secondo l’uso della casa (Puddu, nel piccolo borgo di Siddi, Medio Campidano), affinando la capacità di padroneggiare impasti a pasta acida e alte idratazioni. Così ha scoperto la sua passione per il pane, e da Cagliari, dov’è nato, ha deciso di traslocare momentaneamente sul “continente”, verso la Milano di Davide Longoni, che ha tenuto a battesimo la sua maturazione da panificatore.

Un’intuizione, quella di Carlo, che si è rivelata stimolo a fare di più, direzione Roma, per imparare dal maestro della pizza in teglia, Gabriele Bonci, un’altra sfumatura ancora del creare con farine e lievito: “Considerato il mio percorso, mi sembrava che la pizza potesse ben assolvere al compito di unire la mia passione per la panificazione con i miei trascorsi in cucina. E così sarà a partire da oggi nel laboratorio di Madriga, un progetto sviluppato negli ultimi 5 anni, che finalmente si realizza”.

La bottega della pizza a Castello

C’è voluta la pazienza di aspettare – i propri tempi e quelli della burocrazia, che all’apertura di un’attività di produzione e somministrazione di cibo nel cuore della città vecchia di Cagliari, in un palazzo del Cinquecento arroccato sulla salita che porta a Castello, ha posto numerosi paletti e infinite deroghe – ma ora il laboratorio è pronto, proprio come Carlo l’aveva immaginato. Una fucina di idee devota alla valorizzazione dei prodotti e dell’artigianato sardo, dove la pizza diventa occasione per raccontare l’isola e l’attaccamento di Carlo alla terra. Madriga è il lievito madre, in sardo; e solo da lievito madre, con farine di tipo 1, 2 (mulino Mariani e Sobrino) e una piccola percentuale di farro monococco Carlo produrrà il suo impasto, maturato per 48 ore prima di finire in teglia, nel forno elettrico, come tradizione della pizza a taglio romana comanda. Diverso però sarà l’approccio, e pure il risultato, perché la pizza di Madriga avrà molto in comune col pane (“è anche il mio modo per omaggiare la tradizione del pane sarda, sull'isola ne contiamo più di 50 tipologie!”), a cominciare da una certa leggerezza della struttura e dalla fragranza del morso, in un connubio funzionale a esaltare insieme i profumi delle farine e gli ingredienti che finiscono sulla pizza, principalmente a crudo, “e mai in combinazioni troppo complesse, perché il gusto di ognuno abbia la possibilità di risaltare e svilupparsi all’assaggio: 2-3 prodotti per volta al massimo, cotture veloci, salumi rigorosamente a crudo”.

L'isola sulla pizza

L’attività, dunque, si preannuncia come l’ennesimo investimento in città sulla gastronomia di qualità, concepita e ragionata sull’identità del territorio sardo, col merito in più di provarci in un quartiere difficile per fare impresa, per quanto incredibilmente affascinante: “Ho sempre sognato di aprire a Castello, in via Università siamo comunque in una zona di passaggio tra la porta dell’Elefante e il bastione di Saint Remy, e questo mi fa ben sperare di riuscire a intercettare i turisti numerosi che durante il giorno passano di qua. Sono consapevole che affronteremo orari morti, per questo cominceremo a sfornare presto, verso le 11, per poi fare pausa dopo pranzo, e riaprire la sera”. Nell'ultimo anno Carlo ha percorso la sua Sardegna in lungo e in largo, scovato le persone e le storie di cui Madriga si farà cassa di risonanza: “Avremo la mozzarella di pecora e il casizolu di una combattente della pastorizia, Maria Atzeni, che produce formaggi ovini a S. Andrea Frius, la fresa del Montiferru, il prosciutto di Seulo, dall'Ogliastra, gli ortaggi di Sa Laurera, sono letteralmente innamorato di loro. Sarà un lavoro stagionale, specie sulla terra, ma non escludo di lavorare col mare, forse con il polpo, sicuramente con la bottarga. Qualche marinatura e affumicatura che mi viene dai trascorsi in cucina. Mentre sull'isola ancora non sono riuscito a trovare acciughe che mi convincano a pieno”. Una certa dose di perfezionismo, insomma, non guasta. Il rigore composto di un professionista che sa il fatto suo, ma ancora si emoziona raccontando quel che sarà, a partire da domani, Madriga.

La proposta

Circa 15 le pizze a rotazione nel banco da 3 metri, laboratorio e cucina a vista in 55 metri complessivi a disposizione; e una saletta con 8 tavoli d'artigianato sardo, in legno massello, per consumare sul posto. “Mentre non avendo dispensa tutti i prodotti, farine comprese, saranno a vista, sulle mensole che abbiamo sistemato in negozio”. Tra le prime proposte, oltre alla margherita con mozzarella di pecora, la pizza con scarola, pinoli e casizolu, quella con crema di fave, cicorie e cipollotti, o con fresa, mustela, porcini e sapa. Per i primi giorni si apre solo la sera, poi anche a pranzo, in attesa di girare anche qualche mercato Coldiretti, “per condividere con i produttori che ci riforniscono questa nuova storia”.

 

Madriga – Cagliari – via Università, 31 – dal 29 settembre - www.facebook.com/pizzeriamadriga/

 

a cura di Livia Montagnoli

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