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MAD6 a Copenhagen. Sotto il tendone rosso con René Redzepi per cambiare il futuro della ristorazione

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Mind the gap è il tema/invito che il simposio ideato nel 2011 dallo chef del Noma rivolge a relatori e platea della sesta edizione di MAD, nella due giorni di dibattiti e conversazioni che si concluderà oggi, 27 agosto. L’auspicio è quello di prefigurare un futuro migliore, dove la diversità è valore, e tutti possono far sentire la propria voce. I protagonisti della prima giornata e come seguire la seconda. 

 

MAD. La sesta edizione

Sotto il tendone rosso di Refshaleen, a Copenhagen, il Simposio di MAD - semplicemente “cibo” in danese - è nel pieno delle sue attività. L’appuntamento ideato qualche anno fa da René Redzepi (era il 2011, presto Mad si è costituita come associazione noprofit) per offrire un terreno di confronto agli chef e ai ristoratori impegnati ad agire positivamente sulla società quest’anno va in scena il 26 e 27 agosto – dopo due anni di stop - concentrandosi sulla necessità di fare spazio alle pari opportunità. Chiedendo cioè, ai relatori coinvolti, di presentare soluzioni concrete al superamento delle barriere di genere e alla valorizzazione delle differenze culturali, per un futuro della ristorazione improntato all’accettazione della diversità. Per questo nei mesi che hanno preceduto l’inizio dei lavori l’invito a partecipare è stato rivolto a tutti coloro in grado di portare sul palco la propria esperienza di addetti ai lavori – cuochi, camerieri, sommelier, produttori, influencer del settore – guidati dalla curiosità e dalla capacità di immaginare una società aperta al contributo di tutti, immigrati e persone in difficoltà compresi. E per la prima volta talk, relazioni e confronti tra i partecipanti al simposio rimbalzano in rete grazie alla diretta streaming disponibile sul sito della manifestazione.

 

Mind the gap. La sfida

Obiettivo dell’incontro? Mind the gap, come recita il tema di MAD 2018: immaginare come ridurre la distanza tra cosa è oggi il mondo della ristorazione e cosa potrebbe essere in futuro perseguendo la strada della creatività e della condivisione. In passato il simposio ha coinvolto grandi personalità del settore in arrivo da tutto il mondo, da Alex Atala a David Chang, a Massimo Bottura, Jose Andres e Wylie Dufresne, da Michel Bras a Roy Choi; e poi scienziati, filosofi, figure istituzionali in grado di apportare il proprio contributo al cambiamento attraverso l’innovazione tecnologica e le politiche alimentari, come Carlo Petrini, intervenuto nel corso di MAD5.

 

I protagonisti

Quest’anno, nel corso della prima giornata hanno già portato la propria esperienza sul campo personalità molto diverse tra loro, dalla mitica Jay Fai, star dello street food a Bangkok con la sua celebre omelette al granchio, alla chef Kamilla Seidler, che alla platea di Copenhagen ha presentato il progetto Gustu sviluppato in Bolivia negli ultimi anni, a Tatiana Levha, chef e coproprietaria (con sua sorella) del ristorante Le Servan a Parigi. Prima ancora, l’introduzione agli interventi di MAD6 è invece affidata a René Redzepi (“grazie per essere arrivati qui da 58 diversi Paesi del mondo” esordisce lo chef del Noma aprendo le danze) e Melina Shannon Di Pietro, per sottolineare come la sfida del presente sia quella di rispondere insieme alle sollecitazioni di un cambiamento culturale in atto a livello globale, col coraggio di rivendicare la propria opinione davanti alle agitazioni degli ultimi mesi. Si avvicendano sul palco anche il professore di filosofia Vincent Hendricks e Chad Frischmann, per approfondire l’impegno contro gli effetti nocivi del cambiamento climatico. E nel pomeriggio irrompono sotto il tendone rosso anche gli scandali sessuali che hanno agitato l’ultimo anno della cronaca americana, con la testimonianza di Trish Nelson e il dibattito sul ruolo della stampa di settore nel dar voce alla vicenda. Conclusione di giornata al femminile con Rosio Sanchez e Jytte Vikkelsoe. Chi salirà sul palco oggi?

 

Per seguire in diretta la seconda giornata http://video.madfeed.co/the-sixth-mad-symposium

 

a cura di Livia Montagnoli


In viaggio. Il Golfo dei Poeti, territorio di mare e di ostriche verdi

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Siamo andati in Liguria, nel Golfo dei Poeti, dove tutto si tinge di verde, comprese le ostriche.

 

Basterebbe un unico aggettivo a descrivere al meglio questo itinerario: verde. Il verde del promontorio, che, come in un acquarello, si riflette nelle acque sottostanti. E il verde della tavola, che spazia dalla tinta decisa del pesto più famoso d'Italia e quella tenue delle ostriche. Siamo nella verde Liguria, nella pittoresca Portovenere, la “sesta terra” che anticipa le altre cinque.

Portovenere

La vista a picco sul golfo dal Castello Doria non teme confronti con nessun drone di ultima generazione: basta salire fino in alto per avvistare le Cinque Terre, l'isola di Palmaria con i suoi percorsi di trekking, la grotta di Byron e tutto il Golfo dei Poeti, i mulini a vento diventati nel tempo torri di avvistamento, la Chiesa di San Pietro che sembra quasi un castello fortificato costruito sul mare, le rocce dove, secondo la leggenda Venere si fermò, affascinata dalla rigogliosa vegetazione e infine, i palazzi-fortezza che, con i loro colori pastello, sono diventati la cartolina perfetta di questo territorio. Proprio nella stradina in mezzo a questi palazzi pulsa il cuore della cittadina, con i suoi negozi, le sue boutique esclusive e i suoi locali.

Tra questi, merita una sosta La Piazzetta: un posto intimo e familiare che offre rifugio dalla colazione al dopocena. La proposta spazia dai soffici cornetti della mattina alle tipiche focacce liguri, passando per i testaroli al pesto. Si conclude con superalcolici di grande qualità. Di fronte, c'è il regno degli oleonauti, l'Olioteca Bansigo, che propone bottiglie e degustazioni di extravergine della zona, la Razzola.

Portovenere

Tutt'attorno, oltre il muro delle case fortezza, quasi a vigilare su tutto questo tesoro, ci sono i pescatori che amano definirsi la “coscienza del Golfo”, attenti che il progresso non distrugga quello che hanno creato in questa vigna del mare, popolata soprattutto da muscoli (altrimenti dette cozze) e dalle ostriche spezzine, che portano un marchio di fabbrica: il verde che gli viene dalle caratteristiche alghe della zona. Per conoscere la vita di mare da vicino, la Cooperativa dei Mitilicoltori Spezzini (90 soci) organizza in esclusiva per il Grand Hotel di Portovenere dei giri in barca, con gli stessi pescatori, che si concludono con delle degustazioni a base di ostriche e vino. Ad accompagnare i tour, c'è anche una guida molto particolare: il gabbiano Arturo, la vedetta del mare che ogni giorno fa compagnia ai pescatori, come i vecchi pappagalli poggiati sulle spalle dei pirati di un tempo.

Le ostriche verdi

Le ostriche sono un po' come i vini – spiega il pescatore Paolo Varrella le loro caratteristiche dipendono molto da ciò che possiamo definire marroir (il corrispettivo di terroir per i vini; ndr). Le nostre, ad esempio, presentano, in maniera naturale, questo caratteristico colore verde. Mentre, lasciatemi fare un po' di campanilismo spicciolo, i francesi per ottenerlo le mettono in delle vasche apposite a contatto con le alghe”. Se le ostriche qui sono una coltura del mare storica (risalente al 1887), gli allevamenti appartengono ad una storia più recente: “Abbiamo ricominciato nel 2006 – continua Varrella – e adesso abbiamo reintrodotto anche la tipologia piatta, tipica del nostro golfo. Il ciclo di vita dell'ostrica inizia a ottobre/novembre ed è di circa un anno. Ma bisogna stare molto attenti a quelli che definiamo i cinghiali del mare: le “aggressivissime” orate”. Sono loro, infatti, da queste parti gli abitanti più temuti dei fondali. Per lo meno lo sono agli occhi di chi alleva le ostriche. Così è nato uno “spaventaorate” molto particolare, ovvero la sagoma di uno squalo all'entrata degli allevamenti.

Piatto di Francesco Parravicini, executive chef del Ristorante PalmariaPiatto di Francesco Parravicini, executive chef del Ristorante Palmaria

La cucina di Francesco Parravicini

Dal mare alla padella, il passo è breve. Esprimere tutto questo “marroir” nel piatto è una sfida molto stimolante, come ci spiega Francesco Parravicini, executive chef del Ristorante Palmaria, all'interno del Grand Hotel. Una struttura che è anche una scommessa per il territorio e per il suo direttore Antonio Polesel: dopo essere stato sede di un convento francescano dal '600 e trasformato in albergo nel 1970, la struttura ha riaperto qualche anno fa e ha appena ottenute le 5 stelle (unico tra le Cinque Terre e il Golfo dei Poeti). Con l'ingaggio di Parravicini, il ristorante ha cercato di ritagliarsi un punto centrale nella vita del borgo marinaro, sdoganando l'idea che in un hotel di lusso in una meta così turistica debba mangiarci solo la clientela straniera ospite. “Il rapporto con i pescatori è costante – dice lo chef – giorno e notte, direi. Pensate che uno dei fornitori, Matteo, mi chiama anche alle 3 del mattino per dirmi cosa ha pescato. Così, poi, io sto lì nel mio letto a pensare e ripensare ai pesci e a come cucinarli il giorno dopo”. Il risultato è una cucina di territorio, che non scade, però, nel banale classicismo e che si ispira al leggendario Grand Tour. Per realizzarla Francesco, di origini lombarde, con alle spalle un curriculum che va dal Grand Hotel di Rimini al Four Season di Milano, passando dall'Harry's Bar di Londra, ha cercato di apprendere dalla cucina delle donne del luogo, carpendone ricette e segreti. Qualche esempio? Muscoli alla spezzina ma destrutturati; trofie al pesto; millefoglie del Levante (ovvero un club sandwich vegetariano fatto con la prescinseua). “La cosa che trovo molto stimolante è poi il fatto di trovarmi in una terra di confine: a un passo dalla Toscana e non lontano da Piemonte ed Emilia Romagna, dove, porto a mia volta i miei retaggi. Per cui anche nei piatti si può notare questo mélange di sapori”. Oltre al pesce, tanti i legumi utilizzati e gli elementi di terra: mesciùa di ceci, fagioli cannellini, farro con olio extravergine di oliva, garganello con ragù di Chianina, polipo con guanciale croccante, pasta ceci e calamai.

Parla ligure (quello di confine), anche il cocktail bar dell'Hotel, dove dirige i lavori l'autoctono Giovanni Pellegrino e dove, insieme ai classici da banco, si possono assaggiare quelli a base di liquori della regione, prodotti dalla liquoreria della vicina cantina Colli Lvnae.

La cantina Colli Lvnae e il suo laboratorio di liquori

Cantina che - a 30 km di distanza, poco lontana dalla costa del Golfo – merita senz'altro una visita, se si vuol capire cosa significhi oggi fare enoturismo con la E maiuscola. Con alle spalle una storia di solide radici nel territorio e l'intuito del suo carismatico fondatore, la cantina oggi non è solo azienda vitivinicola, ma una fucina di idee formato famiglia, con all'interno anche un laboratorio di marmellate e uno di liquori. Entrare in quest'ultimo è come varcare la porta del laboratorio di un alchimista, dove è tutto un effluvio di erba cedrina, arance, limoni, rose selvatiche, foglie di pesco, da cui, a secondo della stagione, nascono i più famosi liquori della zona o quelli dimenticati, come il rosolio, il persichetto, il limoncino. “Questo è il regno della signora Fiorella Stoppa – ci racconta Debora la proprietaria di una storica liquoreria di La Spezia. Quando anni fa per lei diventò difficile portare avanti da sola la produzione, le proponemmo di venire qui da noi per continuare l’attività insieme. Da allora non ci siamo più lasciati, ma guai a rivelare le sue magiche ricette”. Che qui si possono però provare e comprare. Insieme ad una selezione di vini ippocratici (i cosiddetti vini curativi), di cui si occupa la stessa Debora che lo scorso anno li ha voluti realizzare partendo dai vini “che rubo dalla cantina di papà”, sorride: sono il rosso speziato Ypocras, il fermentato di mele Idromele e il bianco con fiori di sambuco Sambiké.

Piatto della Locanda MirandaPiatto della Locanda Miranda

Lerici

Finiamo di percorrere idealmente il ferro di cavallo di questo pezzo di Liguria, spingendoci fino a Lerici, il terzo Comune – dopo Porto Venere e La Spezia – che si affaccia sul Golfo dei Poeti. Dopo una visita ai due castelli (quello di Lerici e quello di San Terenzo), quasi come un faro, ci accoglie la Locanda Miranda: 60 anni e non sentirli. La vista qui è impagabile, l'ambiente confortevole, la cucina golosa e rassicurante. Tutta a base di pesce. Ed è proprio questa parte della costa la meta di oltre 300 nuotatori che, ogni anno ad agosto si tuffano a Portovenere per sfidare le acque fino a San Terenzo in occasione della Coppa Byron: una gara internazionale per ricordare la storica impresa di Lord Byron che, secondo la leggenda, attraversò a nuoto tutto il golfo per raggiungere l’amico poeta P. B. Shelley. Una leggenda, certo. Ma qui tutto ha del leggendario. E, se si aguzza la vista, forse, la sua sagoma è ancora là, tra la grotta Arpaia e il promontorio di Montemarcello. “Ho fatto un sogno, che non era del tutto un sogno”.

 

a cura di Loredana Sottile

 

Articolo uscito sul Gambero Rosso di luglio. Un numero tutto rinnovato che potete trovare in versione digitale su App Store oPlay Store

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COSA TI SEI PERSO

Nel numero di luglio del Gambero Rosso trovate il racconto su Colli di Luni, il Vermentino di mare strappato a boschi e pietre a firma di Emiliano Gucci. Non solo, ci sono anche gli aneddoti di Claudio Mazzoni del ristorante La Posta di La Spezia, la testimonianza di Alessandro Vignali, un outsider in nome della natura, il racconto di Filippo Lubrano del collettivo di poeti performativi I Militanti, accompagnato dall'opera di Simone Pellegrino. Un servizio di 14 pagine che prevede pure le migliori etichette dalla guida Vini d'Italia 2018, gli 8 street food tra Spezzino e Lunigiana, e gli indirizzi dove mangiare e dormire.

 

GLI INDIRIZZI

La Piazzetta - Portovenere (SP) - via Capellini, 56 - 0187 791682

Olioteca Bansigo - Portovenere (SP) - via Capellini, 95 - 0187 791054 - oliotecabansigo.it

Cooperativa dei Mitilicoltori Spezzini - San Terenzo Di Lerici (SP) - Santa Teresa, 21 - 0187970210 - mitilicoltori.it

Ristorante Palmaria del Grand Hotel - Portovenere (SP) - via Giuseppe Garibaldi, 5 - 0187790570 - palmariarestaurant.com

Cantina Colli Lvnae – Castelnuovo Magra (SP) - via Palvotrisia, 2 – 0187693483 - cantinelunae.it

Locanda Miranda – Lerici (SP) - via Fiascherino, 92 - 0187 964012

The Final Table. Su Netflix la sfida tra cucine del mondo: per l'Italia c'è Carlo Cracco

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Ci sarà anche Carlo Cracco al tavolo dei 9 superchef che rappresentano le cucine nazionali in sfida nel nuovo cooking show in onda su Netflix il prossimo autunno. Prima mentore, poi direttamente coinvolto al Final Table, lo chef vigilerà sul rispetto della tradizione gastronomica italiana. Ecco come funziona il nuovo programma dedicato alle cucine del mondo. 

 

The Final Table. Cosa ci ricorda

Mentre gli appassionati del genere si preparano a scoprire i nuovi protagonisti della serie Chef's Table – la quinta stagione sarà disponibile a partire dal 28 settembre – Netflix annuncia altre interessanti novità dedicate al mondo del cibo e della ristorazione per il palinsesto autunnale. E il programma che più sta attirando la curiosità in queste ore, in attesa di scoprire la data ufficiale di messa in onda del format esordiente, coinvolge da vicino anche uno dei più celebri (e mediatici) ambasciatori della cucina italiana nel mondo. The Final Table, come si è affrettato a supporre qualcuno, sembra ricordare le dinamiche del più longevo e sbandierato talent show ambientato tra pentole e casacche da chef mai apparso in tv. Come Masterchef, infatti, si propone di seguire i momenti più concitati della sfida ai fornelli tra squadre di chef rintracciate in tutto il mondo, con la supervisione di mentori d'eccezione, chiamati a interpretare il duplice ruolo di motivatori e giudici dei contendenti. Il primo cooking show della storia di Netflix, dunque, pesca a piene mani da molti format già passati sugli schermi negli ultimi anni di fervore mediatico per l'universo gastronomico e i suoi protagonisti, attingendo per esempio all'esperienza di Top Chef – nel coinvolgere cuochi professionisti – e a quella di The Taste, serie prodotta in passato da ABC, che ha visto tra i suoi protagonisti anche Anthony Bourdain. Ma la sfida tra cucine del mondo è stata salutata pure come un novello Giochi senza frontiere in salsa gastronomica.

 

Il cooking show di Netflix. Come funziona

La nuova competizione culinaria è stata creata e prodotta da Robin Ashbrook Yasmin Schackleton (già dietro alla produzione di Masterchef e Masterchef Junior) e vedrà alla conduzione delle sfide Andrew Knowlton, editore di Bon Appetit e noto critico gastronomico. Lo show si articolerà in una prima fase di nove episodi, ognuno dedicato a una cucina nazionale, sulla quale tutte le squadre di chef (12 coppie di cuochi) saranno chiamate a confrontarsi per avere la meglio sugli altri, e conquistare il passaggio alla seconda fase. A giudicarli critici gastronomici, personalità del mondo dello spettacolo e i mentori-ambasciatori di ciascuna cultura gastronomica in gara (Messico, Spagna, Inghilterra, Stati Uniti, Spagna, Brasile, Francia, India e Italia), custodi delle tradizioni del proprio Paese. Mentre ancora non si conoscono i nomi dei contendenti, i superchef che svolgeranno un ruolo di controllo nella prima fase, per poi diventare protagonisti nell'episodio conclusivo del Final Table, sono già noti. E a rappresentare l'Italia sarà Carlo Cracco, già avvezzo al ruolo di giudice inflessibile, che dopo l'addio alla televisione per dedicarsi a tempo pieno al suo ristorante in Galleria sceglie di rientrare sul set (seppur con un impegno limitato nel tempo) in compagnia di celebri colleghi internazionali. Con lui, già confermati Grant Achatz, Enrique Olvera, Anne-Sophie Pic, Andoni Aduriz, Clare Smyth, Helena Rizzo, Vineet Bathia, Yoshihiro Narisawa. Per conoscere i dettagli del format sarà necessario aspettare la messa in onda della serie, ma sembra molto probabile che ognuno di loro sarà impegnato a promuovere tradizioni e prodotti del proprio Paese, e questo garantirà una vetrina importante a tutti i partecipanti, Italia compresa. Per i concorrenti, invece, l'obiettivo sarà centrare la puntata finale, quando solo chi avrà convinto i giudici nelle sfide precedenti potrà sedere al Final Table con i superchef, e sfidarli per ottenere la vittoria. Quale cucina uscirà vittoriosa dal confronto? Lo sapremo entro l'autunno.

 

a cura di Livia Montagnoli

La food hall di Munchies a New York. Il gruppo editoriale Vice diversifica il business all'interno dell'American Dream

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Aprirà nella primavera 2019 dopo 16 anni di controversie e rinvii il colossale mall delle Meadowlands, nel New Jersey. All'interno una pista da sci, parchi a tema, oltre 100 ristoranti e due food hall. Una sancisce l'esordio di Vice nel mondo della ristorazione. Ecco perché. 

 

Il boom delle food hall a New York. Aspettando Mercado Little Spain

“Negli States impazza la moda delle food hall”, dicevamo giusto un anno fa a proposito del boom di mercati gastronomici e spazi coperti dedicati allo street food in tutta America. Il dato emergeva, incontestabile, dall'indagine pubblicata sul Wall Street Journal in merito alla crescita esponenziale del numero di food hall nel 2016 (+ 37%), con previsione di raddoppio entro il 2019 – quasi una minaccia – a detta degli esperti del mercato immobiliare interpellati. Non a caso, specie a New York, gli ultimi mesi hanno visto inaugurare molti nuovi market tematici e food court metropolitane: tra le novità più recenti l'Urbanspace at 570 Lex, che ospita anche il Trapizzino di Stefano Callegari, mentre è atteso per la prossima primavera l'esordio di uno spazio gastronomico piuttosto insolito al Garment Center, dove protagonisti saranno nove astri nascenti della ristorazione newyorkese, con altrettante proposte innovative legate allo street food. E sempre in primavera 2019 aprirà al 10 di Hudson Yards – nell'ambito del grande progetto di riqualificazione residenziale e commerciale dell'area, che dovrebbe coinvolgere anche David Chang e Thomas Keller - l'attesissimo Mercado Little Spain di Ferran Adrià e Josè Andres: una ambiziosa food hall a tema spagnolo che porta per la prima volta i fratelli catalani sul suolo americano, in partnership con uno degli chef ispano-americani più acclamati del momento, specie per il suo costante impegno sociale.

 

La food hall di Munchies all'American Dream

Ma il mercato delle food hall è talmente appetibile da aver determinato la discesa in campo di un colosso editoriale come Vice, che nel suo inedito ruolo di imprenditore della ristorazione giocherà il brand Munchies per offrire ai fan del progetto editoriale online dedicato all'universo del cibo uno spazio “per mangiare proprio il tipo di cucina che la gente desidera”, spiega la prima nota di presentazione sul sito di Munchies. La food court firmata Vice prenderà forma entro la prossima primavera all'interno del nuovo centro commerciale American Dream, in fase di realizzazione (i lavori si sono protratti per 16 anni, il mall ospiterà anche diversi parchi tematici e una pista di sci indoor) alle Meadowlands nel New Jersey, proprio accanto al celebre MetLife Stadium; e affiancherà una food hall a tema kosher, oltre a un numero ingente di ristoranti e locali dislocati nel complesso, più di cento secondo le prime anticipazioni, tra tavole d'ambizione e insegne dedicate al take away. Giro d'affari previsto ingente, soprattutto grazie alla vicinanza con lo stadio di football, e 40 milioni di visitatori auspicati ogni anno.

 

Cosa si mangia

Vice, dal canto suo, sfrutterà lo spazio a disposizione per ospitare eventi e promuovere il brand Munchies attraverso la vendita di oggetti e gadget legati al marchio. Ma il core business dell'operazione riguarderà ovviamente il cibo, con 18 box dedicati a street food e proposte informali, una scuola di cucina per ospitare lezioni e dimostrazioni di noti chef e due ristoranti pop up, a rotazione, che potranno servire fino a 400 persone. Ancora sconosciuti i nomi coinvolti nel progetto, anche se Munchies selezionerà solo proposte affini alla linea editoriale del gruppo, che con la nuova operazione segue l'esempio di altri editori gastronomici nell'individuare ottime opportunità di guadagno nella diversificazione dell'attività, specie se legate alla somministrazione di cibo. Lo slogan già risuona chiaro e forte: “We want you to eat what we want to eat”, vogliamo garantirti la possibilità di mangiare ciò che noi vorremmo mangiare. Soddisfare cioè l'appetito del pubblico che numeroso spenderà energie tra un parco tematico e l'altro del complesso con cibo selezionato dalle voci che danno vita ogni giorno al progetto Munchies sul web, “perché se è bello leggere di cibo, è molto meglio provarlo di persona”. Sapremo tra qualche mese se la Munchies Food Hall rispetterà le aspettative.

 

a cura di Livia Montagnoli

Gli Orti di San Giorgio a Modica: le novità a un anno dall’apertura

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Simone Sabaini, patron del cioccolato Sabadì, ha investito nella riqualificazione di uno spazio del comune che rischiava di restare abbandonato. Storia di un luogo dall’atmosfera magica dove, da quest’anno, è arrivata anche la pizza.

 

 

Si può coniugare marketing e felicità? Profitto e profonda realizzazione personale? A giudicare dalla storia di Simone Sabaini, veronese che dal mondo della finanza si è trasferito a Modica per fare cioccolato (e molto altro) si direbbe proprio di sì. In effetti, secondo il “guru del management”, Philip Kotler, il marketing è proprio “l’arte e la scienza di individuare, creare e fornire valore per soddisfare le esigenze di un mercato di riferimento, realizzando un profitto”. Una scienza dunque, ma anche un’arte. Che implica creatività e conoscenza, e il cui obiettivo è creare valore. Una definizione che ben si adatta al percorso di Simone Sabaini e alla sua storia professionale così fortemente connessa con quella personale; all’obiettivo di creare valore per la sua azienda, Sabadì, ma anche per la comunità modicana che lo ha accolto e, naturalmente, per se stesso. “Sabadì continuerà ad andare bene nella misura in cui io avrò tempo per andare al mare”, spiega serafico Sabaini, e si comprende subito che la sua non è una provocazione, ma la consapevolezza di chi ha capito che il benessere dell’azienda è strettamente legato al proprio. In questa direzione vanno tutte le nuove sfide che l’imprenditore veronese intraprende di volta in volta. E qui, ci sembra, si trova anche la chiave del suo successo. È stato così anche per gli Orti di San Giorgio, uno degli ultimi progetti di Simone Sabaini che, in un contesto come quello italiano, poteva  essere giudicato al limite della follia: investire i propri soldi per recuperare uno spazio del comune. Renderlo un luogo bello, accogliente, aperto a tutti, dove si può venire anche solo per rilassarsi e godersi il panorama. Restituire un angolo di bellezza ai cittadini di Modica, ma anche ai turisti. In una parola, creare valore. A un anno dall’apertura, il progetto di Sabaini si rivela tutt’altro che folle e dimostra come, talvolta, il bene comune e “gli affari” possano coincidere.

Gli Orti di San Giorgio

Gli Orti di San Giorgio si trovano ai piedi della maestosa chiesa madre di Modica e fiancheggiano la bella scalinata che porta al duomo. Da qui si gode della città da una prospettiva privilegiata: alle spalle la chiesa barocca, di fronte la città vecchia, una “città verticale” che riempie lo sguardo di bellezza. Osservare Modica da qui, magari arrivare per un aperitivo e scoprire come si trasforma con il mutare della luce, è davvero un’esperienza appagante. Lo sa bene Simone Sabaini che ha scelto di vivere in questa città proprio per “potersi circondare di bellezza ogni giorno”. La filosofia che anima la riqualificazione degli Orti di San Giorgio segue questo pensiero: l’obiettivo è proprio quello di restituire a cittadini e turisti un luogo meraviglioso che rischiava di essere lasciato all’abbandono. Uno spazio da vivere interamente all’aperto (nei mesi invernali rimane chiuso), dove stare in compagnia, ascoltare musica – due volte a settimana vengono ospitati gruppi che suonano dal vivo – bere o mangiare qualcosa o, semplicemente, accomodarsi su una sdraio e leggere un libro. Gli Orti sono arredati in modo semplice, così da incidere il meno possibile sul paesaggio circostante. Sono stati recuperati gli archi in pietra, e proprio sotto uno di questi si colloca lampio bancone del bar. Il resto segue il diktat dell’estrema semplicità. Nel menù troviamo poche proposte, realizzate con materie prime accuratamente selezionate, e con particolare riguardo al territorio.

La pizza di Minji

Cosa inserire nel menù di un luogo del genere, pensato per una fruizione estremamente “easy”? Dopo un primo periodo in cui la cucina offriva prevalentemente piatti freddi, la scelta è caduta sulla pizza, prodotto pop per eccellenza in cui Sabaini ha visto il miglior compromesso fra le esigenze dei clienti e la filosofia che anima questo luogo. Non una pizza qualunque, naturalmente, ma una versione personale che si contraddistingue innanzitutto per l'uso esclusivo di grani antichi siciliani. E quando si fa notare a Sabaini la difficoltà che implica la lavorazione di queste farine, la sua risposta è semplice e spiazzante: “siamo in Sicilia, non avrebbe avuto senso una scelta diversa da questa”. L’impasto viene dunque realizzato con un blend di farine dei Molini del Ponte di Filippo Drago (Madonita, Maiorca e Tumminia) di grani antichi biologici siciliani macinate a pietra naturale. A queste viene aggiunta acqua, olio extra vergine di oliva e lievito madre. L’impasto viene fatto lievitare per 22 ore, steso a mano e poi cotto in forno elettrico. A occuparsi della pizza, e a gestire tutta la cucina, c’è una giovane ragazza coreana, Minji, che ha riversato tutta la sua passione per la lievitazione nello studio di un impasto che le permettesse di realizzare un prodotto originale. Le prove, ci confessa, sono state molteplici ma il risultato raggiunto la rende soddisfatta del lavoro fatto.

 

L'assaggio

Veniamo dunque all’assaggio: la pizza viene proposta in due varianti, una gourmet e l’altra al padellino. In entrambi i casi l’impasto è tutt’altro che una semplice base: il profumo e il sapore sono ben percepibili, anche con topping abbondanti, ed è senza dubbio questa la principale particolarità della pizza di Minji. La versione gourmet si presenta alta e soffice, pur mantenendo una certa croccantezza soprattutto in superficie. Viene servita in spicchi, ideale per la condivisione. I condimenti sono semplici e puntano soprattutto sulla qualità delle materie prime, come nel caso della Mortadella e burrata, con burrata pugliese, mortadella di Bologna Igp e granella di pistacchi;  o della Crudo e bufala (la più richiesta in assoluto), realizzata con mozzarella di bufala campana, prosciutto di Parma S. Ilario 36 mesi, basilico e olio extra vergine di oliva. Diversa la pizza al padellino, più bassa e croccante, rettangolare, servita in pezzi. Fra quelle proposte, interessante nella sua semplicità, la vegetariana, con crema allo zenzero e verdure di stagione: un concentrato di sapori e odori che ben rappresenta il territorio. Nel menù, accanto alle pizze, troviamo anche alcune semplici proposte dalla cucina e una scelta di dolci originali: da provare la panna densa al lime con crumble di cioccolato di Modica al fior di sale Sabadì e foglie di menta. Non poteva mancare poi una scelta di cioccolato Sabadì selezionato dalla cantina di affinamento. Molto curata la carta dei vini, nella quale viene dato ampio spazio ai vini naturali. Nella sezione beverage spiccano anche gli ottimi cocktail, preparati con maestria da Piero, ragazzo talentuoso cui è affidato il bar.

 

Gli Orti di San Giorgio - Modica (RG) - corso San Giorgio - 393 9106902

a cura di Valentina Ferraro

 

Massimo Bottura e i refettori di Food for Soul. Napoli a settembre, il Messico nel 2019

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Si è concretizzato negli ultimi giorni l'accordo con la Fondazione Palace della famiglia Chapur, in Messico, per la realizzazione di un refettorio a Merida, capitale dello Yucatan, entro il 2019. Intanto è tutto pronto al Chiostro di Santa Caterina a Formiello, a Napoli, dove la mensa di Bottura esordirà alla fine di settembre, con i tavoli d'artista di Mimmo Paladino. 

 

Massimo Bottura in Messico

All'inizio dell'anno è stato l'ospite d'onore del Merida Fest, protagonista delle giornate dedicate alla cultura gastronomica per raccontare la sua idea di impegno sociale (e culturale) in cucina. Ma quello di Massimo Bottura al Messico è un avvicinamento per tappe, che passa dal colpo di fulmine per la vivace capitale dello Yucatan in occasione di una vacanza in famiglia, alla più recente esperienza in cucina al Moon Palace Resorts di Cancun, dove il 18 e 19 agosto scorsi lo chef della Francescana ha guidato la brigata del pop up messo in scena a scopo benefico. Costo della cena 600 dollari a persona, obiettivo raccogliere fondi per la causa di Food for Soul. Non a caso il movimento attivato a partire dal primo ambizioso Refettorio meneghino in occasione di Expo 2015 presto metterà radici anche in Messico, e proprio a Merida, entro il 2019. La conferma arriva in queste ore come risultato di un sodalizio con la locale Fondazione Palace, e il progetto, in cantiere da tempo (sin da quando si è concretizzata la possibilità di attingere al fondo della Rockefeller Fundation per replicare l'idea del refettorio in molteplici città ed aree disagiate del Nord America) asseconda un percorso che procede senza soluzione di continuità, passando da Rio a Londra e Parigi, prossimo pure a raggiungere Napoli, in collaborazione con l'associazione Made in Cloister nel chiostro di Santa Caterina a Formiello.

 

Il refettorio di Merida

La Fondazione Palace, fondata nel 2004, è un'istituzione di beneficenza nata dall'iniziativa del consiglio direttivo della catena alberghiera Palace Resorts (la stessa che ha ospitato Bottura a Cancun), che fa capo all'imprenditore Jabib Chapur, e quando il refettorio sarà completato metterà a disposizione anche i suoi cuochi – compatibilmente con i turni nei ristoranti che gestiscono sulla Riviera Maya - per servire pasti gratuiti a Merida, offrendo così conforto alle persone svantaggiate della città. Come di consueto la cucina utilizzerà ingredienti e prodotti di recupero, impegnata in prima linea anche nella lotta allo spreco alimentare, in collaborazione con associazioni che lavorano sul territorio per recuperare scarti ancora commestibili e derrate alimentari accantonate dalla grande distribuzione. Ancora in via di definizione lo spazio che ospiterà il refettorio di Merida – diversi sono i sopralluoghi condotti personalmente da Bottura in occasione dell'ultimo viaggio, una decina di giorni fa - certo invece l'approccio consolidato nelle precedenti esperienze, che punta a offrire agli avventori non solo un pasto caldo, ma anche uno spazio dove ritrovarsi con piacere.

 

A Napoli da fine settembre, con i tavoli di Paladino

Lo stesso succederà già alla fine di settembre a Napoli, a Porta Capuana, dove le operazioni per offrire il servizio settimanale negli spazi dell'ex lanificio borbonico di Santa Caterina a Formiello, sui tavoli sociali allestiti da Mimmo Paladino (4 tavoli da 3 metri, per accogliere 40 persone), sono in fase completamento. Chi ha visitato nelle ultime settimane il progetto espositivo curato dalla fondazione Made in Cloister e da Flavio Arensi all'interno del chiostro cinquecentesco, ha già avuto qualche anticipazione: all'ingresso uno dei tavoli forgiati da Paladino, destinato a diventare parte permanente della collezione della Fondazione, e a catturare l'attenzione il grande quadro dell'artista intitolato Pane e Oro, secondo una messa in scena che privilegia “gli elementi essenziali, la terra, l'acqua e il fuoco per ottenere l'argilla, la farina per il pane”, ha spiegato Paladino. L'esposizione terminerà il 15 settembre, poi, nel giro di pochi giorni, partirà il refettorio, con il sostegno di Carrefour (che donerà le eccedenze) e degli chef che vorranno prestare gratuitamente servizio. E sempre il prossimo anno, all'inizio della primavera, anche San Francisco dovrebbe poter contare sul suo refettorio.

 

www.foodforsoul.it

 

a cura di Livia Montagnoli

 

Inizia il Pantelleria Doc Festival. 10 giorni per scoprire l'isola tra vino, cibo e terme naturali

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Dal 31 agosto al 9 settembre va in scena a Pantelleria un festival per scoprire la vocazione agricola e naturalistica dell'isola, in concomitanza con la raccolta dell'uva zibibbo. Gli appuntamenti da non perdere. 

 

Valorizzare il territorio

Da venerdì 31 agosto a domenica 9 settembre, il Pantelleria Doc Festival offre un intenso programma di appuntamenti, rivolto al pubblico, con iniziative culturali, percorsi naturalistici e termali, pratiche sportive all’aria aperta, degustazioni di vino e di cibo, approfondimenti tematici legati all’identità dell’isola. Saranno 10 giorni per conoscere in tutte le sue sfaccettature l'isola agricola per eccellenza del Mediterraneo durante la fase culminante della vendemmia. Infatti siamo nel periodo della raccolta dell’uva zibibbo, il momento migliore per visitare l’isola ma anche il più importante per i viticoltori impegnati nel taglio dei grappoli, nello stendimento delle uve al sole e nella sgrappolatura dell’uva passa. Il Festival, alla sua prima edizione, è promosso dal Consorzio dei Vini Doc di Pantelleria e dal Consorzio turistico Pantelleria Island, con il patrocinio del Comune e del Parco nazionale isola di Pantelleria. “La manifestazione – dice Benedetto Renda, Presidente del Consorzio vini Doc – intende promuovere i vini insieme a tutto quello che di eccezionale l’isola offre. Il nostro è un territorio, scrigno di biodiversità, che si presta a essere vissuto nella sua profonda integrità, come modello produttivo storico e ad alto contenuto culturale". Tutti i giorni, dalle 9.30 alle 12, sono previsti percorsi guidati: per i più sportivi, il trekking e la bicicletta permetteranno di conoscere alcuni degli angoli più nascosti dell’isola così come le gite in kayak e in barca (10-12 o 10-17); per gli amanti dell’archeologia, sono invece previste escursioni nei siti che raccontano la storia dell’isola, dai Sesi preistorici, sino all’epoca dei Romani con gli straordinari reperti quali le teste imperiali di Giulio Cesare, Antonia Minore e Tito.

I bagni termali

Non meno interessante – sempre nella stessa fascia oraria - è l’ampio percorso dedicato al benessere attraverso i vari fenomeni termali che fanno dell’isola una Spa a cielo aperto. La prima tappa dell'escursione è Gadìr, piccolo borgo di pescatori. Qui è possibile rilassarsi con un bagno caldo termale. Le acque delle sorgenti hanno una temperatura che va dai 39°C fino ai 50°C, e il loro potere terapeutico è riconosciuto da secoli mentre nell’azzurro Lago di Venere, alimentato dalle acque piovane e da sorgenti di origine vulcanica, saranno da sperimentare i fanghi sulfurei. Poi, nella particolarissima grotta di Benikulà, si potrò invece fare il cosiddetto “bagno asciutto”, una vera e propria sauna naturale alimentata dal calore residuo del vulcano. L'isola esprime tuttora una cultura agricola straordinaria che, dovendo superare condizioni estremamente difficili (territori vulcanici aspri e scoscesi, assenza di sorgenti d’acqua dolce, costante spirare dei venti) ha saputo interpretare la natura dei luoghi, ricorrendo all’utilizzo dei terrazzamenti e dei muretti a secco, costruendo i dammusi e i maestosi giardini panteschi che insieme a raffinate pratiche colturali hanno permesso la coltivazione della vite, dell’ulivo, del cappero e degli alberi da frutto.

Viticoltura eroica e cucina dell'isola

I percorsi e gli eventi si concluderanno presso le cantine associate al Consorzio: Basile, De Bartoli, Donnafugata, Coste di Ghirlanda, Murana, Pellegrino e Vinisola. Sempre le cantine potranno essere visitate tutte la mattine dalle 9.30 alle 11.30, mentre nel pomeriggio, dalle 18 alle 19.30, approfondimenti sui temi della viticoltura eroica e vulcanica, sulle tecniche di vinificazione e degustazione dei vini ottenuti dalle uve zibibbo. Non può mancare la cucina, con gli appuntamenti dedicati ai sapori panteschi con la scuola di cucina (10-15) e le cene laboratorio (21-23) ideate per far scoprire la storia e le ricette di alcuni celebri piatti come il cous cous e l’insalata pantesca. Il medievale Castello di Pantelleria, simbolo dell'isola interamente costruito in blocchi pietra lavica, accoglierà i seminari dedicati alla cultura del territorio: seminari sui prodotti d’eccellenza come i vini o le pregiate lenticchie di Pantelleria, proiezioni e presentazioni di libri; il 3 settembre sarà la volta della lettura dei testi vincitori del “Concorso per brevi storie sull’isola e sul vino”, il 5 settembre il Castello ospiterà la “Notte bianca della Poesia” a cura del Comitato Preziosa Pantelleria; l’8 settembre si discuterà del “Parco che vogliamo” e delle opportunità di sviluppo del territorio che l’istituzione del Parco Nazionale può offrire. Il Castello sarà anche la sede del “Mercato Pantesco” che permetterà ai visitatori di scoprire i vini e tante altre specialità prodotte sull’isola: dalle conserve all’olio, dai prodotti dell’orto ai capperi e ai prelibati formaggi vaccini. Il Pantelleria Doc Festival 2018 inaugura una nuova stagione di sinergie tra aziende, territorio, strutture turistiche e alberghiere, con l'obiettivo di sviluppare un turismo in armonia con l’identità dell'isola.

 

Per il programma completo https://consorziodipantelleria.it/programma_estate_2018.pdf

Info e prenotazioni presso Pantelleria Island tel. 0923 911 266 – 912695

 

a cura di Andrea Gabbrielli

 

 

 

Beaupassage, viaggio nel passage più gourmet di Parigi

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Ha appena aperto, ma il Beaupassage di Parigi si pone già come meta ineludibile per tutti i gourmet di passaggio nella capitale francese: un elenco dei maggiori nomi dell'alta gastronomia di Francia in format easy e alla portata di tutti.

 

Si chiama Beaupassagea rievocare la dimensione tutta parigina dei passages, le gallerie che dall’800 scandiscono il centro della città, inventando spazi un po’ segreti, rilassanti, speciali. E questo inedito passage contemporaneo, sulla Rive Gauche, fra rue du Bac, rue Grenelle e il boulavard Raspail, speciale lo è davvero. Con il corollario di quattro installazioni d’arte - le Due querce di Fabrice Hyber, la Traversée, un corridoio di rami e radici di Eva Jospin, la Mangusta gigante di Stefan Rinck e l’Albero Neuronale di Marc Vellay - e di isole verdi realizzate dal paesaggista Desvigne è infatti interamente dedicato al food.

I nomi presenti

Food d’eccellenza: raggruppati qui, uno accanto all’altro, ci sono una panetteria firmata da Thierry Marx, chef 2 stelle Michelin, l’Allenothèque di Jannick Alléno, 3 stelle, il Daily Pic di Anne Sophie Pic, l’unica chef 3 stelle di Francia, e poi la macelleria-ristorante di Alexandre Polmar, la prima caffetteria di Pierre Hermé, lo street food di mare di Olivier Bellin, bistellato “allievo” di Joël Robuchon, il caffè giapponese di Junichi Yamaguchi, campione del mondo di latte art. Che cosa li ha riuniti qui? Un progetto innovativo del gruppo Emerige, che ha ideato interventi urbani creativi a Parigi, Barcellona, Madrid, e punta all’accessibilità. Ovvero proposte food eccellenti ma a prezzi ragionevoli, idea semplice e insieme rivoluzionaria. Che ha subito convinto: per dire, la sera dell’apertura, sabato 25 agosto, all’Allenothèque c’era il tutto esaurito, la caffetteria di Hermè ha lavorato senza sosta per l’intera giornata fin dalle colazioni del mattino e il ristorante di carne di Alexandre Polmard ha dovuto dire di no a pranzo ad almeno 200 persone. Allora vediamoli più da vicino questi templi della cucina in versione decontracté.

 

L’Allenothèque, cucina, vino & arte

Il gioco di parole del nome è programmatico: qui si viene a gustare la cucina di Alléno ma anche i vini della sua enoteca (700 referenze, la maggior parte francesi). Lui, Yannick Alléno, a capo di un piccolo impero del gusto che ha la sua punta di diamante nel Pavillon Ledoyen (da cui arriva il “nostro” Martino Ruggieri pronto alla sfida finale del Bocuse d’or), qui ha voluto creare un posto conviviale, aperto, trasversale. Che unisce il ristorante con cucina a vista, tavoli individuali e gran tavolo comune al pianterreno, l’enoteca - spettacolare, con spazio riservato per le degustazioni e tavolo dello chef - al piano inferiore e una galleria d’arte contemporanea (della moglie Laurence Bonnel) al primo piano.

La cantina

Cosa e quando si mangia all’Allénothèque? A pranzo dal martedì al venerdì c’è una formula a 29€ di entrée/piatto o piatto e dessert (ma si possono creare combinazioni personali attingendo dalla carta), il sabato e domenica si pranza e cena alla carta (calcolare 40/60€, c’è anche un menù a 65 €), ma poi ci sono gli snack del pomeriggio (dalle 15 alle 18, 15€), l’aperitivo della sera, dalle 17. Vini anche al bicchiere, a partire da 7€. E in cucina ci sono due chef di partita italiani, Sebastiano Rivoli, di Spoleto, con Alléno da sempre, e Giorgio Pignagnoli, milanese, che è stato in cucina da Sadler e al Lume.

Abbiamo chiesto ad Alléno se questo significhi un occhio di riguardo per la cucina italiana e lui si è dichiarato “molto legato all’Italia, per la ricchezza della sua cucina e dei suoi vigneti”. Forse qualche piatto italiano ci scapperà… E in quanto all’accessibilità del progetto del Beaupassage e alla clientela cui si rivolge l'Allénothèque ci ha risposto che “l’accessibilité è importante, io declino nel mondo (nell’ambito di 18 ristoranti) concept che spaziano dagli stellati (Alléno Paris al Pavillon Ledoyen o il 1947 al Cheval Blanc di Courchevel) ai bistrot parigini in Asia, come lo Shanghai”.

L’Allénothèque con la sua bella terrazza al sole è il posto ideale per un pranzo veloce in settimana, un aperitivo, una cena. Un posto che accoglie gente del quartiere ma un po’ tutti i parigini e i clienti che vogliono scoprire l’atmosfera di un ristorante/cave-à-vins. www.allenotheque.fr

 

Thierry Marx, la passione per il pane

Per Thierry Marx, chef executive del Mandarin Oriental, ma presente anche – insieme alla Maison Dubernet produttrice di foie gras e salumi- nel nuovo Printemps du goutcon un concept di proposte fra tapas e piatti, sfiziose ed easy, il pane è una passione fin da quando era ragazzo nel quartiere di Ménilmontant cantato da Trenet. Non a caso ha aperto la sua Ecole de Boulangerie nel 2014 – e creato diverse scuole di cucina gratuite per giovani - e una boulangerie-sandwicherie fast casual nel 2016, sempre a Parigi. 

Ora al Beaupassage ha uno spazio piacevolmente informale, dove troneggia un suo profilo alla maniera di Hitchcock (riprodotto anche sui sacchetti da asporto), tra grandi foto e frasi-massima, dove si acquista e/o si gusta sul posto pane bio, con lievito naturale (la classica baguette costa poco più di 1€). Poi insalate, panini (5/7 €), viennoiseries e dolci vari (deliziosi i classici choux). Dalle 7 del mattino alle 21 www.thierrymarx.com

 

Pierre Hermé, vent’anni dopo

Il titolo alla Dumas calza alla perfezione per Pierre Hermél’inventore della pasticceria moderna e il re dei macaron che, vent’anni dopo aver fondato nel 1998 la Maison Pierre Hermé Paris, apre al Beaupassage la sua prima caffetteria con terrazza.“Uno spazio fresco, luminoso, poetico, in armonia con le mie creazioni, in un’atmosfera parigina accogliente e moderna, che valorizza il savoir-faire artigianale”.Un luogo insomma conviviale, piacevole, che mescola dolce e salato. In fondo, come ci ha detto Hermè, “il miglior modo per gustare un dolce è con un tè o un caffè”.

Aperto 7 giorni su 7 dalle 10 alle 20, direttore italiano, Alessandro Cirino, al Cafè Hermé si comincia al mattino con il leggendario croissant Ispahan (confettura di rosa, lampone e lichi, più una pioggia di praline alla rosa e una glassa ineffabile), a pranzo quiche, omelettes, club sandwich, “le cose semplici che vien voglia di mangiare in un posto così” e poi brunch, cocktail (compreso il signatureIspahan allo champagne) per l’aperitivo, gelati. E naturalmente i macaron, i più famosi del mondo (e non solo: sono stati mandati anche nello spazio alla Stazione Spaziale Internazionale),presentati nel bancone-vetrina con un’infilata dei 18 sapori diversi, fra classici e nuova collezione, zoccolo duro, ça va sans dire,l’Ispahan. Più proposte di caffè e tè con 2 macaron a scelta (7 e 9,50€).

Abbiamo chiesto Pierre Hermé qual è secondo lui la tendenza della pasticceria francese “Essere attenta alle esigenze dei clienti” risponde “io propongo da sempre dolci senza glutine per oltre il 60% della mia produzione e creare dolci che siano gustosi, interessanti, che facciano vivere un’emozione. Oggi si cerca di ridurre lo zucchero, che in effetti conta relativamente: conta realizzare un dolce che piaccia”. Da dove nasce l’ispirazione per le nuove collezioni di macaron che propone regolarmente? “Da tutto: un viaggio, un’immagine, una lettura, una chiacchierata, o un ingrediente, magari salato e riproposto in versione dolce, come nel macaron Jardin des Poètes per cui ho utilizzato il miso bianco con un tocco di yuzu. Le mie priorità sono consistenza e ripieno”. E come sarà il macaron del futuro? “Se lo sapessi lo avrei già fatto... Ma quello che so è che ci sarà sempre un macaron nella mia pasticceria e nella pasticceria francese. Il macaron non è una tendenza, è un classico”.

 

Alexandre Polmard, 6° generazione di allevatori-macellai

Il grande pubblico lo conosce meno, ma per i più famosi chef è una referenza: non ancora trentenne, Alexandre Polmard ha rivoluzionato l’azienda di famiglia con il suo processo di maturazione della carne seguito da una ibernazione a -21°. Il che permette una lunghissima conservazione senza che si perda nessuna delle caratteristiche organolettiche. Tanto che da Polmard si trova anche carne millesimata (come per il vino, e certe annate possono essere costosissime) e il mitico pavè Polmard va a 42€ al chilo.

Carni che arrivano dagli allevamenti di famiglia nella Meuse, dove gli animali, razza Blonde d’Aquitaine, vivono allo stato brado e a zero stress. Dopo aver aperto un negozio-ristorante a Saint Germain de Près nel Passage de la Petite Boucherie e un altro a Nancy, al Beaupassage ha creato una spettacolare macelleria-salumeria, con patè, terrine e la mitica coda 2Polmard, presentate in vasi di maiolica di famiglia, la vetrina della carne refrigerata, e sopra un ristorante votato alla carne, anche nel look. Con l’aggiunta di una cave à cigares, con i suoi sigari dell’Honduras prodotti in edizione limitata.

Macelleria aperta dal martedì al sabato 10-20 e domenica fino alle 18, ristorante (55 posti) a pranzo e a cena il martedì-sabato. www.polmard-com

 

Da Madame Pic a Mersea al Carrefour bio

Aprirà fra qualche giorno, a settembre, il Daily Pic, il concept di ristorazione rapida di quella che è stata eletta la migliore chef del mondo. E Madame Pic, éPICurienneper natura, ci ha raccontato la filosofia del suo spazio al Beaupassage, ovvero “mangiar bene tutti i giorni, un modo per rendere accessibile una cucina gourmande e creativa nel quotidiano. In uno spazio dedicato al bello, al buono e al benessere che corrisponde esattamente ai valori di Daily Pic”. Anche per Anne Sophie Pic l’accessibilità è un valore molto importante. E si esprime in ricette classiche, con abbinamenti-faro della sua cucina – come barbabietola e caffè- e utilizzando prodotti che ama, come le carote. Ricette creative, vegetali, signature, create nella roccaforte Pic a Valence, nella Drome, prima regione bio di Francia, 65° di cottura e conservate in contenitori di vetro. Con qualche proposta già di culto, come i gamberetti marinati, mela Granny Smith e sedano rapa, oppure i ravioli al Roquefort e spinaci o ancora il merluzzo nero al curry Madras, cocco e riso Venere. Delizie fast casual, da asporto o da consumare qui, creandosi un proprio menù scegliendo fra le varie proposte, alla tariffa unica di 18.40€, 7 giorni su 7 dalle 11 alle 20. www.anne-sophie-pic.com

Stessa formula sul posto o da asporto da Mersea dove Olivier Bellin, 2 stelle all’Auberge de Glazicks di Douarnenez in Bretagna, propone il suo street food di mare, a cominciare dal fish&chips Dentelle, merluzzo giallo dalla panatura leggera e croccante agli stret&sea food al piatto, e poi tataki di tonno, ceviche di merluzzo, astice. Da gustare tutti i giorni dalle 11.30 alle 23, in terrazza e al primo piano, mentre al pianterreno vendita e banco di degustazione di cocktail con bar à gin www.merseaparis.com

Last but not least il Carrefour City nel nuovo stile dei supermercati urbani, tutto legno, mattoni e luci design, prodotti del territorio e bio in esclusiva, proposte per ricette e cocktail, la macchina per farsi una spremuta, tavolini per mangiare fuori (e microonde per scaldarsi i piatti) finendo con un caffè e magari la lettura di un libro della piccola biblioteca di book-crossing.

Insomma, food trasversale per tutti. Tutto dentro il più nuovo dei passage parigini.

 

Beaupassage. 53-57, rue de Grenelle (VIIe)- altri ingressi al n. 83-85 di rue du Bac e al n.14 di bd. Raspail. Tutti i giorni dalle 7 alle 23 (salvo orari diversi di ciascun locale)- www.beaupassage.fr

 

a cura di Rosalba Graglia

foto di Dario Bragaglia


Robot.He. Il ristorante di Shangai dove i camerieri sono robot: anche Alibaba investe sull'automazione della ristorazione

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Ha inaugurato all'interno del supermercato Hema di Shanghai da qualche settimana, e fa parlare di sé per l'alto livello di automazione nella gestione di ordini e servizio. Tramite smartphone il cliente prenota il tavolo, sceglie il prodotto, interagisce con il robot-cameriere che porta il piatto. Ma i cuochi sono in carne e ossa. 

 

I robot nella ristorazione

Si fa un gran parlare, in America, di automazione della ristorazione, e di quanto la progressiva sostituzione di macchine intelligenti all'operato umano possa rappresentare una soluzione utile per l'abbattimento di sprechi e costi di gestione, suscitando per contro preoccupazione per le ricadute occupazionali. Diversi sono stati gli esperimenti che hanno preso forma negli ultimi mesi, da Boston a San Francisco, proponendo al pubblico format gastronomici amministrati da robot, con cucine a vista ipertecnologiche e diavolerie hi tech programmate per operare in catena di montaggio, fino a completamento del piatto ordinato. Molto limitato l'intervento umano (invece indispensabile per la messa a punto delle ricette), specie quando il ristorante propone una formula self service. Ancora diversa è l'esperienza proposta da qualche settimana a questa parte ai clienti del supermercato Hema di Shanghai (il gruppo è stato acquistato da Jack Ma, fondatore di Alibaba, circa un anno fa): chi vuole fermarsi a mangiare, può farlo sperimentando il servizio automatizzato di Robot.He, futuristico ristorante inaugurato all'interno della struttura. Le istruzioni per l'uso? Quasi tutto passa attraverso gli input impartiti direttamente dal cliente attraverso il proprio smartphone, che interagisce con i robot programmati per eseguire ognuno un compito specifico, a supporto del personale umano, ottimizzando così l'esperienza di chi mangia.

 

I camerieri robot di Shangai

La novità più evidente, però, riguarda proprio il momento del servizio al tavolo, operato tramite robot-navetta che consegnano le vivande al commensale destinatario dell'ordine, muovendosi su nastri trasportatori seguendo algoritmi codificati, che triangolano le informazioni tra clienti (che interagiscono tramite l'app dedicata), cucina e robot. La preparazione dei piatti, infatti, resta demandata a cuochi in carne e ossa, a differenza dei precedenti casi americani; quel che cambia radicalmente, però, è l'esperienza al ristorante nel suo insieme, che diventa altamente interattiva, dalla prenotazione via app del tavolo alla gestione dell'ordine, alla scelta del pesce – il menu è tutto dedicato ai prodotti del mare, scelti tra i banchi del supermercato – e della cottura preferita, indicata sempre tramite smartphone a chi si occuperà di portarla a termine prima del servizio. Ma il rapporto diretto con il personale impiegato da Robot.He resta centrale: con lo staff, prima di accomodarsi al tavolo, il commensale può confrontarsi per scegliere il pesce, acquistarlo e ricevere un QRCode che lo aggiorna sui tempi di preparazione mentre attende al tavolo, dove eventualmente può procedere con l'ordine di pietanze di accompagnamento, come una ciotola di riso. Il robot navetta completerà il servizio, sollevando la “cloche” (o perlomeno qualcosa che le assomiglia molto, seppur in materiale trasparente) solo una volta arrivato a destinazione, ai tavoli posizionati lungo il percorso dei nastri trasportatori.

E il progetto lanciato a Shangai sembra destinato a moltiplicarsi rapidamente in altri punti vendita del Paese, dove il diretto competitor di Alibaba, JD.com ha recentemente annunciato l'obiettivo di aprire ben 1000 ristoranti completamente automatizzati in Cina, entro il 2020.

Settembre 2018 del Gambero Rosso, numero 320. Si fa presto a dire pane

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Ricco di storie, luoghi e sapori da scoprire, approfondimenti e curiosità il numero di settembre del Gambero Rosso, da oggi in edicola. Tra assaggi in vigna, ricette, viaggi alla scoperta di nuove mete, interviste ai protagonisti della ristorazione. E il focus sulla nuova era della panificazione italiana. 

 

La nuova era del pane, titola la copertina del numero di settembre del Gambero Rosso dove campeggia una delle foto che Francesco Vignali ha scattato nel laboratorio romano di Gabriele Bonci immortalando il momento in cui prendono vita impasti e forme plasmati da mani abili.

La nuova era del pane

Ma perché parlare di una nuova era del pane? E chi lo rende possibile? È un lungo approfondimento sugli ultimi esiti delle ricerche portate avanti in Italia (e nel mondo) sulla panificazione quello che si muove tra radici culturali ed evoluzione tecnologica della disciplina, valori artigianali e necessità di conciliarli con le esigenze di consumo del mercato contemporaneo. Livia Montagnoli e Annalisa Zordan hanno interpellato vecchi e nuovi protagonisti del settore, maestri riconosciuti e giovani (più che) promesse, insieme protagonisti di una new wave del pane votata alla qualità della materia prima, alla consapevolezza imprenditoriale, alla sperimentazione al servizio del gusto, all'urgenza di fare circuito per restituire dignità al mestiere. E sono molti i temi toccati con Davide Longoni, Gabriele Bonci, Piergiorgio Giorilli, Franco Palermo, Eugenio Pol e i professionisti della nuova generazione, da Aurora Zancanaro ai ragazzi di Brisa, da Adriano del Mastro a Nicolò Grazioli, Luca Scarcella e Stefano Priolo. A loro abbiamo chiesto anche come riconoscere il pane buono, mentre Laura Lazzaroni ci porta alla scoperta dei panifici di ricerca nel mondo. In aggiunta il glossarietto sulle parole della panificazione, le biografie dei protagonisti, mappe e infografiche di Alessandro Naldi.

 

In vigna. Dal Tavoliere alla Francia

Poi ecco i consueti racconti dalle vigne, con Emiliano Gucci alla scoperta del Nero di Troia e del suo regno pugliese, in piena Capitanata. La mappa delle cantine meritevoli dell'area e gli indirizzi per rintracciare le cinque tavole da non perdere in Puglia tra l'Adriatico e il Tavoliere. Sempre tra i filari, ma oltreconfine, si muove Alessio Turazza nel raccontare i vini di Chateauneuf-du-Pape: tra assaggi in cantina, tavole da non perdere, paesaggi e borghi da visitare per un tour che integra cultura ed enogastronomia.

 

La galassia Cerea

Ma continua anche la ricerca delle grandi famiglie della ristorazione italiana capaci di conciliare l'impegno in cucina con strategie imprenditoriali di successo: con Gabriele Zanatta (e le foto di Matteo Zanardi) ci fermiamo alla corte dei fratelli Cerea, per scoprire un'holding di famiglia di lunga data che oggi valorizza il made in Italy gastronomico dentro e fuori la Penisola. Dal ristorante di Brusaporto (il mitico Da Vittorio) ai catering dei grandi numeri il fatturato dell'impresa lombarda raggiunge i 15 milioni e mezzo di euro l'anno: cerchiamo di capire perché.

 

Kissaten. Cosa sono?

Per il capitolo curiosità in arrivo dall'altro capo del mondo, Tokyo Cervigni ci racconta cosa sono i kissaten, le caffetterie giapponesi nate all'inizio del Novecento e oggi alla ribalta sulla scena internazionale, col loro mix di buon caffè a lenta estrazione, comfort food, musica di sottofondo e atmosfera informale. Le foto sono di Marco Crisari. Tra le pagine anche gli indirizzi delle migliori kissaten di Tokyo e suggerimenti sui piatti da non perdere, tra tonkatsu e curry giapponese.

 

Viaggio a Malta

E viaggiamo all'estero, pur restando nelle acque del Mediterraneo, anche con Federico Geremei alla scoperta dei sapori di Malta (quest'anno Capitale della cultura europea). Per muoversi agili tra le tavole dell'isola anche 11 piatti della tradizione locale e gli indirizzi utili per assaggiarli.

 

Ricette, classifica, miniguida

Per la rubrica di cucina, le ricette di Federico Delmonte – talentuoso chef di Acciuga a Roma – il piatto della tradizione di Antichi Sapori (Andria) e del suo chef Pietro Zito, la ricetta illustrata da Valentina Scannapieco di Sentaku (Bologna), con il Toriniku Ramen. Mentre l'appuntamento con le classifiche di Mara Nocilla indaga tra i rigatoni dei più famosi pastifici artigianali italiani in 16 assaggi. Di rigore la rubrica sull'olio, a cura di Stefano Polacchi, con i 9 Laudemio dell'ultima annata. Chiusura affidata a Valentina Marino con la miniguida cittadina dedicata a Cagliari e ai suoi numerosi indirizzi golosi.

 

Potete leggere Il nostro mensile anche su tablet e smartphone in versione digitale (App Store o Play Store) a soli 2,49 euro o in abbonamento annuale. L'abbonamento al mensile cartaceo (39 Euro), include anche la versione digitale.
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Mostra del cinema di Venezia 2018: la rivincita del food

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Documentari, cortometraggi, opere interattive: alla Mostra del cinema di Venezia, anche il cibo ha il suo ruolo, in 4 opere molto diverse per tema, genere e mezzi impiegati.

 

La 75° edizione della Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia porta sulla Laguna anche il mondo dell'enogastronomia, stavolta rinunciando ai ristoranti come ambientazione privilegiata per toccare ambiti tangenziali a quello della cucina in senso stretto, segno evidente che i confini del cosiddetto mondo del food sono sempre più inglobati in quelli della vita quotidiana di molti di noi.

Non si spiegherebbe, altrimenti, come il protagonista del corto Sex, strakh i gamburgery (Sesso, paura e hamburger), di Eldar Shibanov (il 30 agosto alle 16.30 nella categoria Orizzonti) sia un food photographer trentenne, uno che nella vita ritrae i cibi. Impensabile solo fino a qualche anno fa, quando – se non impegnati in reportage fotografici tra cronaca e viaggi esotici - i fotografi immortalavano al massimo abiti e fotomodelle per raccontare l'aspetto più cool di una società in cambiamento, e di una fotografia strettamente legata alle dinamiche più attuali della quotidianità. Era la moda con il suo mondo patinato, dal 1966 di Blow Up di Michelangelo Antonioni in poi, a costituire un panorama di riferimento, è la ristorazione nel 2018. Tempi che cambiano e che raccontano, sottobanco, anche della dialettica sempre più pressante tra pietanze gourmet e junk food. Piatti d'autore e cibo commerciale. Con l'eterna rincorsa tra arte (vera o presunta) e logiche di mercato cui il protagonista Iskander deve sottostare per superare una crisi sentimentale e lavorativa. Sullo sfondo fast food, hamburger e un attacco terroristico (realmente avvenuto) che segna un prima e un dopo nella vita del giovane.

 

Virtual reality da mangiare

Di tutt'altro genere le due opere presenti nella categoria Venice VR, una selezione di lavori di realtà virtuale presentata all'isola del Lazzaretto Vecchio. È la seconda edizione di questa competizione nella competizione – unica di questo genere in un contesto simile – con un calendario che accoglie opere dalle diverse sezioni del programma che vanno dalle istallazioni interattive, alle opere 3D ad altre forme di visione lineari o più o meno partecipate. Molti i lavori presentati, due quelli che scelgono il cibo come filo conduttore (visibili dal 4 all'8 settembre), in entrambi è il suo potere evocativo a dettare il ritmo.

Umami, firmato da Landia Egal, Thomas Pons, è una installazione interattiva di 15 minuti, che unisce animazione e grafica e racconta la storia di un uomo che torna indietro nel suo passato attraverso i ricordi scaturiti dall'assaggio di alcuni piatti. Un po' come per la madaleine di Proust o la ratatouille dell'omonimo film di animazione, la memoria legata ai sapori e agli odori del cibo è quella che, prepotentemente, riesce a far rivivere situazioni, emozioni, affetti e stati d'animo talvolta dimenticati. Situazioni piacevoli e meno piacevoli, che si avvicendano trasformando anche i contorni del ristorante che fa da sfondo all'esperienza. A guidare il percorso, una serie di pietanze e bevande giapponesi, che conducono per mano il protagonista (e gli spettatori-partecipanti) attraverso i 5 gusti fondamentali, dolce, salato, acido, amaro e umami. E proprio l'umami, gusto ancora poco familiare da noi – anche se molto presente nella nostra cucina – è quello che accompagnerà la fine del pasto e dell'esperienza.

Brevissimo, appena 7 minuti, Fresh Out, coproduzione cinese-statunitense diretta da Sam Wey e Fangchao Tao. Un lavoro che punta a mescolare generi e atmosfere in una storia horror che ricorda quelle che appartengono alla letteratura per ragazzi, ma proposta con toni comici e un linguaggio estetico da cartoni animati. Prende lo spunto da quei racconti di mostri che si narrano ai bambini per spaventarli, tassello ricorrente in quasi tutte le società. Persino quelle vegetali. Protagonisti sono infatti delle carote, adulti e bambini, a sancire una sostanziale uguaglianza tra individui di natura diversa, in cui la tecnologia consente oggi di immedesimarsi, ed evidenziare – mediante l'uso della realtà virtuale - l'impatto delle dimensioni di ogni soggetto in relazione al mondo. Un invito a guardare con occhi diversi, foss'anche quelli di una pianta.

 

I Villani. Le parole della terra

Cambiamo di nuovo genere. E arriviamo a I Villani, presentato per le Giornate degli Autori come Evento notti veneziane il 7 settembre alle 21. È il docufilm di Daniele De Michele (con la collaborazione, per la sceneggiatura, di Andrea Segre), noto anche come Don Pasta. Performer, dj, artista multidisciplinare, scrittore e narratore di storie di cibo e di ricordi. Pasionario della cucina di tradizione, soprattutto quella delle mamme e ancor più delle nonne, De Michele è da sempre impegnato in lotte legate alla giustizia sociale e alimentare, a raccogliere e diffondere episodi di resistenza gastronomica, come quelli raccontati nella sua pellicola: le vicende di alcuni personaggi – sono loro i villani – seguiti nelle loro giornate di lavoro, che cominciano all'alba e finiscono al tramonto. Sono agricoltori, pescatori, allevatori, persone diverse per appartenenza geografica e anagrafica, legati da una cultura tutta domestica e locale del cibo che, dice De Michele “nel loro fare quotidiano rappresentano la sintesi delle infinite resistenze e reticenze a adottare un modello gastronomico e culturale uguale in tutto il mondo”. Tutto parte dai racconti delle persone incontrate nei suoi molti viaggi alla ricerca di quel mangiare semplice e saporito di una volta, dove il cibo ha i suoi tempi e riveste ancora un profondissimo ruolo di sociale, di scambio, unione e condivisione. Sono storie fatte di pasta stesa con il matterello, di parannanze, di dialetti stretti, generosi giri d'olio e passate fatte in casa, visi rugosi e cucine a bassissimo tasso di tecnologia, ma ricche di viva e di emozioni vissute. Storie di cultura contadina, politica, etica. Di vita quotidiana e relazioni familiari.

C'è Totò Fundarò, l'agricoltore siciliano - “uno che fa agricoltura con lo zappone” - e la sua conserva illegale, come illegale, spiega, è tutto quel cibo autarchico, prodotto in casa magari da piante coltivate in proprio, cibo che “non esiste se non come capriccio” spiega ancora, perché “se vuoi mangiare sano devi mangiare illegalmente”, prodotti privi di certificazione come i formaggi del pastore o la marmellata fatta con arance raccolte dall'albero coltivato senza alcun additivo. Cose vietate, da passarsi sotto banco, che è impossibile trovare nei negozi. Ci sono poi i fratelli tarantini Santino e Michele Galasso che ogni notte escono per andare a pesca. Ci sono l'allevatore irpino e sua figlia, Modesto e Brenda Silvestri, le capre e i loro formaggi; e l'allevatrice trentina Luigina Speri che coltiva la terra e raccoglie erbe selvatiche. 4 storie ruvide e delicate, a comporre un mosaico trasversale e paradigmatico del nostro paese, intercettando regioni ed età diverse, cercando, in quel passaggio generazionale, l'ancora di salvezza del nostro patrimonio gastronomico. E a fare da raccordo, le parole sagge, terragne e poetiche di Lino Maga, il vignaiolo amato da Pertini e da Luigi Veronelli.

 

Mostra internazionale d'arte cinematografica – Venezia – fino all'8 settembre - http://www.labiennale.org/it/cinema/2018

 

 

a cura di Antonella De Santis

La Mytiliade di Lerici. Nel Golfo dei Poeti per scoprire quanto sono buoni muscoli e ostriche verdi della Liguria

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Due settimane alla scoperta delle bellezze paesaggistiche e dei sapori del Golfo dei Poeti, nella provincia di La Spezia, dove una voce importante dell'economia locale è costituita dagli allevamenti di mitili e ostriche (dal caratteristico colore verde). Ospiti d'onore? Mauro Uliassi, Marco Sacco, Claudio Sadler e molti altri. 

 

Il Golfo dei Poeti e l'allevamento dei mitili

In viaggio nel Golfo dei Poeti, nella Liguria della “sesta terra” che anticipa le altre Cinque, siamo stati di recente per raccontare un territorio dove tutto si tinge di verde, ostriche comprese. E proprio sulla voglia di scoprire l'evoluzione di una coltura storica del mare spezzino (documentata sin dal 1887) come quella delle ostriche verdi - che da una decina d'anni a questa parte si è riaccesa con la nascita dei primi allevamenti locali - si muoveva il nostro itinerario al seguito della Cooperativa dei Miticoltori Spezzini. Da Lerici – che con Portovenere e La Spezia divide l'affaccio privilegiato sul Golfo – ripartiamo per tornare a parlare di frutti del mare, protagonisti di una maratona del gusto che ogni anno si ripete alla fine dell'estate, con la complicità di grandi chef e ospiti del mondo enogastronomico. Si chiama Mytiliade, e il nome non potrebbe essere più intuitivo: dal 1 al 16 settembre, nella cittadina ligure, tutti gli sforzi saranno protesi a valorizzare muscoli (le cozze come si chiamano nel dialetto del posto) e ostriche del Golfo.

 

La Mytiliade. L'epica dei frutti del mare

La manifestazione è un appuntamento fisso per gli appassionati del genere, e quest'anno festeggia la sua nona edizione, alternando ricette della tradizione, spunti creativi degli chef e suggestioni esotiche in arrivo da molto lontano. La kermesse – una delle poche in Italia dedicate esclusivamente ai mitili – del resto si prefigge di rappresentare non solo la cucina locale, ma pure di valorizzare un territorio di grande valore artistico e paesaggistico, che su testimonianze come il Castello di Lerici fa perno per raccontare la sua storia. Proprio negli spazi del Castello prenderà vita il festival, alternando momenti di cucina, spettacolo, musica, letture e intrattenimento per tutta la famiglia. Ci sarà spazio anche per il Mercatino delle eccellenze liguri, animato da una selezione di artigiani e produttori locali, che proporranno al pubblico i prodotti del mare e della terra, dal pesto ai gamberi rossi di Sanremo, alla focaccia ligure. Gli occhi però saranno puntati sui cuochi chiamati a omaggiare i frutti del mare in un ideale gemellaggio tra regioni d'Italia: Mauro Uliassi, ambasciatore dal mare di Senigallia, Marco Sacco, esperto d'acqua dolce (ora anche su Gambero Rosso Channel, con l'inedito programma in 6 puntate Gente di Lago, dal 14 agosto, ogni martedì alle 21.30, sul canale 412 di Sky), Claudio Sadler da Milano,Andrea Incerti Vezzani da Reggio Emilia, Sara Chiriotti da Acqui Terme. Con loro anche Vittorio Castellani, alias Chef Kumalè, gastronomade portatore sano di sapori del mondo, con due spettacoli di cucina dedicati al Sud Est asiatico: i mitili (al latte di cocco) nella cucina thailandese e le ostriche (cotte al vapore) nella cucina vietnamita. Ma tutto il paese si trasformerà in teatro di degustazioni guidate, laboratori sensoriali, show cooking, tra escursioni in battello per visitare vigneti a picco sul mare e impianti dei miticoltori e visite gratuite ai pescherecci che escono in mare, cocktail bar estemporanei e corsi di cucina amatoriale.

 

Mytiliade – Lerici – dal 1 al 16 settembre 2018 – Il programma completo su www.mytiliadelerici.it/

 

a cura di Livia Montagnoli

Dove mangiano gli chef in vacanza. I ristoranti del cuore di Moreno Cedroni e Salvatore Tassa

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Mangiare cullati dalle onde del mare o il fruscio dei boschi di montagna, ma anche in città: la guida gastronomica per le vacanze estive in Italia si arricchisce di tanti golosi indirizzi grazie ai consigli dei nostri migliori chef. I ristoranti preferiti di Moreno Cedroni e Salvatore Tassa. 

 

Mai come quest'anno, scegliere il ristorante perfetto per le vacanze estive diventa un'operazione alla portata di tutti. Con le indicazioni dei grandi chef italiani, anche il meno esperto potrà godersi un pasto d'autore, seguendo i consigli degli addetti ai lavori. A tracciare l'itinerario gastronomico per l'estate, questa volta sono Moreno Cedroni (La Madonnina del Pescatore, il Clandestino Susci Bar, Anikò) , anticipatore di tendenze, inventore di uno dei primi concept restaurant e di formule innovative che hanno segnato la strada di un'avanguardia ristorativa, e Salvatore Tassa (Le Colline Ciociare), interprete di una cucina rurale, tutta tecnica e prodotto, una cucina dalla matrice contadina e raffinatissima, calibrata in ogni dettaglio, capace di regalare emozioni intense.

Al Nord della costa marchigiana

Porto Recanati è il più settentrionale dei borghi sul litorale di Macerata, un comune che, fra acque cristalline, spiagge, agriturismi e villaggi, ha fatto del turismo estivo il suo punto di forza. E che non rinuncia a una ristorazione di qualità, con insegne di livello dove è possibile gustare il meglio delle eccellenze locali. Uno dei punti di riferimento è Il Tiglio in Vita, fra gli indirizzi del cuore di Cedroni, un locale che rappresenta a pieno la forza d'animo e lo spirito orgoglioso dei marchigiani: dopo che il terremoto ha distrutto Il Tiglio di Montemonaco, Enrico Mazzaroni e Gianluigi Silvestri si sono rimessi in gioco, ricreando il ristorante sulla costa, con tanto di vista panoramica. Le proposte, stavolta, sono quelle di mare, elaborate da Enrico con la stessa cura che poneva nei suoi piatti di carne, accompagnate da una carta dei vini sempre ottima che continua ad ampliarsi per andare incontro al nuovo menu.

 

seta

A Senigallia, per la cucina di tradizione

Torniamo a Senigallia, casa dello chef, per scoprire un locale intimo e dall'atmosfera informale e accogliente. È Seta, ristorante dalla cucina solida che riprende i grandi classici della gastronomia locale, dai piccioni ripieni alle tagliatelle al ragù, dagli gnocchi con sugo di papera al coniglio. E poi antipasti ricchi, succulenti, con formaggi e salumi del territorio, serviti in porzioni generose in abbinamento a una selezione contenuta ma ben studiata di vini marchigiani. A completare l'offerta, il servizio caldo e familiare in grado di far sentire ogni ospite speciale.

Sulla costa livornese

Non solo Marche, però: amante del mare, lo chef non rinuncia a una gita fuori porta, sul versante opposto, sulle spiagge livornesi. In particolare, è a Marina di Bibbona che Moreno va per gustare le specialità della costa toscana da La Pineta, il locale di Luciano Zazzeri, guru della provincia livornese (nonostante gli abitanti del luogo definiscano affettuosamente il ristorante “la baracca dello Zazzeri”). Un altro uomo di mare, un pescatore con un rispetto profondo per la materia prima, che ai fornelli si diletta fra crudi di livello e affumicature da maestro. Un pesce fresco declinato in tante varianti, dai primi saporiti e veraci ai secondi più ricercati, da gustare insieme alle bottiglie della cantina rifornita, con una selezione di champagne straordinaria.

 

ai due platani

A Parma, per gli amanti della pasta

Mare e montagna a parte, per l'estate c'è anche chi sceglie di andare (o restare) in città, dove un buon pasto è sempre assicurato. Salvatore Tassa, amante di una cucina di sostanza, ci indica tre trattorie, dove la materia prima fa la parte del leone e le proposte sono schiette e senza fronzoli. A cominciare da Ai Due Platani di Parma, il convincente locale di Giancarlo Tavani, cresciuto professionalmente all'Ambasciata di Quistello, un oste dalle idee chiare, che si ispira ai sapori della vera cucina emiliana. Tanta pasta, naturalmente, soprattutto quella ripiena, preparata espressa da Gianpietro Stancari, che si destreggia fra tortelli d'erbette con parmigiano e due ricotte, ravioli di coniglio di Carmagnola con il suo fondo, aneto e datterini e tante altre specialità fatte in casa, tirate sottilmente, come impone la tradizione. E poi salumi del territorio, carni e l'immancabile Parmigiano Reggiano, proposte ideali per cominciare il pasto insieme a un buon bicchiere di vino o Champagne scelto dall'ampia carta a disposizione.

Trattoria come una volta a Bologna

Restiamo in Emilia, precisamente a Bologna, capoluogo che negli ultimi anni ha destato l'attenzione degli appassionati gastronomi grazie alle tante nuove aperture e alle ghiotte novità non solo di tradizione. Qui, però, lo chef ama pranzare in un'osteria dal fascino retrò e l'atmosfera ferma nel tempo, un locale frequentato sempre dalla stessa clientela affezionata, dal servizio accogliente e i piatti robusti e golosi. Niente carta dei vini alla Trattoria Bertozzi, ma solo proposte del giorno alla mescita scritte sullo specchio nella sala interna, e poi grandi classici bolognesi, dalle tagliatelle al ragù ai tortellini. Un approdo sicuro per tutti i buongustai in cerca di un locale d'altri tempi, che nelle giornate più calde potranno rilassarsi nel bel dehors esterno.

In Lombardia, per ritrovare il senso della convivialità

Quella dello sharing table, il tavolo sociale da condividere con gli altri commensali, è oggi una scelta che fanno in molti, soprattutto i titolari dei locali più d'avanguardia, bistrot moderni e polivalenti. All'Osteria della Villetta dal 1900, le lunghe tavolate sono presenti da sempre, da tempi non sospetti, proprio per sottolineare il valore della convivialità durante i pasti. Si tratta, infatti, di un'osteria storica e moderna al contempo, situata in un punto strategico, a fianco alla stazione ferroviaria di Palazzolo sull'Oglio, Brescia, con un ambiente rustico che non stanca mai. Non fatevi ingannare, però, dall'aspetto familiare: la sala gira come un orologio e l'offerta, seppur profondamente legata alla cucina di casa, è curata nei minimi dettagli, dalla ricerca delle (squisite) materie prime all'impiattamento. La cantina è coadiuvata dal patron Mauri, amante del buon bere con un debole per il Franciacorta, che qui troviamo declinato in tutte le sue sfumature.

GLI INDIRIZZI

Ai Due Platani – Parma – fraz. Coloreto s.da Budellungo, 104 a – 0521645626 - www.facebook.com/aidueplatani/

Il Tiglio in Vita – Porto Recanati (MC) – l.mare Scarfiotti, 47 – 0719798839 - www.facebook.com/IlTiglioInVita/

La Pineta – Bibbona (LI) – loc. Marina di Bibbona via dei Cavalleggeri Nord, 27 a – 0586600016 – www.lapinetadizazzeri.it

Osteria della Villetta dal 1900 – Palazzolo sull'Oglio (BS) – via G. Marconi, 104 – 0307401899 – www.osteriadellavilletta.it

Seta – Senigallia (AN) – Strada intercomunale in fraz. di San Silvestro, 174 -
071665039- www.facebook.com/Ristorante-Seta-358988044357/

Trattoria Bertozzi – Bologna – via Andrea Costa, 84/2 d - 0516141425- www.facebook.com/Trattoria-Bertozzi-154194264612997/

GLI CHEF

Le Colline Ciociare – Acuto (FR) – via Prenestina, 27 – 077556049 – www.salvatoretassa.it

La Madonnina del Pescatore – Senigallia (AN) – lungomare Italia, 11 - 071698267- www.morenocedroni.it/la-madonnina-del-pescatore/il-locale/

Il Clandestino Susci Bar – baia di Portonovo (AN) - 071 801422- http://www.morenocedroni.it/clandestino/il-locale/

Anikò – Senigallia (AN) - piazza Saffi, 10- 071 7931228- http://www.morenocedroni.it/aniko/il-locale/

Francesco Guccini racconta il Lambrusco

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In occasione di uno speciale sul Lambrusco, uscito nel numero di giugno del Gambero Rosso, abbiamo chiesto al cantautore Francesco Guccini di raccontarci i suoi ricordi legati al Lambrusco. Leggete e godete.

 

Beh, qui non siamo nelle osterie di fuori porta… Il Lambrusco si beve a Modena, non a Bologna. È quella la capitale del Lambrusco, anzi “dei” Lambruschi: da giovane preferivo il Salamino, più frizzante, più aspro e secco; ora invece mi oriento sul Castelvetro, più corposo. In tavola, quando qualcuno di Modena ti invita a cena, mette sempre del Lambrusco, quel vino che sta dentro al pistoun, così si chiama la bottiglia in dialetto. Da ragazzi, andavamo spesso a farci un pistoun, dagli amici che avevano una casa in campagna vicino alla città: ricordo l’odore del mosto; era un vino che non aveva l’etichetta, quasi tutti quelli che avevano un po’ di terra se lo facevano in casa. Arrivavamo, si affettava un salame e si faceva merenda immersi in nuvole di moscerini mentre si beveva il Lambrusco vecchio: il nuovo si stava ancora facendo.

Mio nonno e i parenti da parte di madre, a Carpi, avevano il loro Lambrusco. Mentre mio padre, che era di Pavana, beveva un vino che era il Sangiovese della piana di Pistoia, un simil Chianti. Il Lambrusco, i toscani, proprio non lo concepivano, tanto che esso era al centro di polemiche e divertenti sfottò. I toscani lo vedono male il Lambrusco. E i piemontesi pure. Più volte ho discusso nel passato con Carlin Petrini: lui ci prendeva in giro, diceva che il Lambrusco non era un vino, ma una bibita gasata. Ma non è così. È un vino conosciuto, anche nel mondo. Ricordo in particolare due episodi riguardanti il Lambrusco e legati ad alcune mie esperienze di viaggio negli Stati Uniti: anni fa insegnavo Italiano agli studenti del College di Carlisle, in Pennsylvania. Vicino al college c’era un bar notturno: entro con un amico e vedo due ragazzi chiedere al barista “a glass of Lambrusco wine, please!”. Lui non fa una piega, tira fuori un bottiglione da due litri pieno a metà, prende un bicchiere di plastica pieno di ghiaccio, ci versa il vino e ci spruzza dentro del seltz. “Ma questo non è Lambrusco”, ribatto subito io. Lui, imperterrito, mi guarda e fa: “Beh, a noi piace così”.

Negli anni ’70 il Lambrusco approdò in America, tanto che era abbastanza conosciuto lì. Certo, a modo loro! Ricordo che da giovane, mentre ero in vacanza a New York, il padre di un mio amico portò me e suo figlio a mangiare in un ristorante italiano di livello. Arrivano i salumi e il papà del mio amico mi chiede consiglio su quale vino bere. Io mi lancio: “Un Lambrusco, direi”. Il cameriere messicano sorride e va a cercare. Torna con una bottiglia che non so da quanti anni fosse lì, piena di polvere. La prendo in mano e leggo in etichetta: “addizionata con anidride carbonica”. Guardo il messicano e commento: “Ma questo non è Lambrusco!”. Il cameriere sembra quasi offendersi e insiste, giura che il vino è quello giusto. Ma quando gli ribatto – in dialetto e a muso duro – che non può mica venirlo a dire a me, che son modenese, allora decidiamo di prendere un altro vino, più tradizionale.

Insomma, anche se Giacobazzi, all’inizio degli anni ’80, cominciò a vendere Lambrusco (che in realtà era un vino rosso o bianco, senza indicazione del vitigno) in lattina – 8 e ½ lo chiamava, giocando tra grado alcolico e la fama del film di Fellini – e anche se in quegli anni sembrava essere quello il futuro, in realtà non andò proprio così. E il Lambrusco non è quello. È l’essenza stessa di Modena, fa pendant con lo zampone. E ha tutto il diritto di essere considerato un vero vino.

 

a cura di Francesco Guccini

 

Articolo uscito sul Gambero Rosso di giugno. Un numero tutto rinnovato che potete trovare in versione digitale su App Store Play Store

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COSA TI SEI PERSO

Nel numero di giugno del Gambero Rosso trovate il racconto completo sul Lambrusco metodo ancestrale con le interviste ai rappresentanti più virtuosi. Un servizio di 9 pagine che comprende anche il punto di vista di Marco Sabellico e Francesco Beghi, e del maître e sommelier dell'Osteria Francescana Giuseppe Palmieri. Non solo, c'è poi un utile glossarietto per orientarsi al meglio, la spiegazione delle 4 denominazioni del modenese, gli indirizzi utili dove poter bere un eccellente Lambrusco metodo ancestrale e le note di degustazione. Il tutto reso ancor più comprensibile dalle infografiche di Alessandro Naldi.

Uazz’America, la cucina a stelle e strisce: side dishes, i contorni degli States

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Negli States si chiamiamo side dishes, e accanto al secondo – oltreoceano detto main course – si possono trovare verdure d’ogni genere, mais, funghi, tuberi al cartoccio ma anche sorprese come una tazza di minestra, riso o la rielaborazione della pasta. Tutte le opzioni che affiancano il secondo negli States sono figli di una particolare tradizione.

 

Fra i side dishes più popolari ci sono quelli che impiegano un ingrediente nato in America ma elaborato in tutto il mondo: le patate. Oltreoceano, sono centinaia le ricette con le patate, incluse quelle che adoperano le patate dolci, le yams arancioni, o quelle viola, tutte originarie dell’America centrale e meridionale. Originarie del Cile e Perù, le patate arrivarono in Europa verso il 1500, portate dai primi esploratori di ritorno dalle spedizioni nel Nuovo Mondo. Le coltivazioni su vasta scala iniziarono solo nel ‘700, grazie a un'iniziativa del re di Francia Luigi XVI. Nelle Americhe, invece, la patata è sempre stata una parte molto importante dell'alimentazione base, tanto che le popolazioni native Inca ne conoscevano addirittura 60 varietà differenti. Quest'abbondanza permetteva di coltivarle nei luoghi e climi più disparati, dalle zone aride alla costa, passando per valli lussureggianti fino a rilievi di oltre 4000 metri. Oggi è in corso una riscoperta delle varietà tipiche e una rivalutazione della biodiversità anche a partire dal lavoro di grandi chef come Gaston Acurio e Virgilio Martinez, impegnati proprio nella tutela e valorizzazione del patrimonio locale.

Potato salad

Fra le ricette di side dishes con le patate, la più golosa è la potato salad, ovvero l’insalata di patate, che molto probabilmente ha avuto origine da ricette portate negli Stati Uniti da coloni tedeschi ed europei durante il XVIII secolo. Si tratta di un piatto semplice, fatto con patate lesse e una varietà di altri ingredienti, che ricorda la nostra insalata russa. L'insalata di patate è generalmente considerato un contorno in quanto solitamente accompagna il piatto principale di carne. Si tratta di un classico da picnic, e un must da barbecue in giardino, da servire tassativamente fredda. Tra gli ingredienti si trovano spesso la maionese - ma anche sostituti quali yogurt o panna acida – erbe e spezie, e verdure come cipolla e sedano. Io amo metterci anche una julienne di carote e qualche cetriolino sminuzzato. C’è chi in America ne fa un piatto più sostanzioso includendovi anche le uova sode.

La potato salad è incredibilmente semplice da preparare. Si fanno bollire le patate con la buccia, preventivamente ben lavate. A seconda di come vi piace, una volta raffreddate, tagliate o affettate le patate. Io amo la mia potato salad a pezzettoni grandi, taglio quindi le patate in cubi da 2cm circa. Se le patate non sono del tutto raffreddate, prima di condirle, passatele un’ora nel frigo. Nel frattempo lavate e tagliate a piccole rondelle i gambi di sedano, tagliate a julienne le carote e tritate cipolla rossa e cetriolini. Il condimento è altrettanto semplice, 2-3 cucchiai di maionese (meglio se fatta in casa!), un pizzico di sale e pepe nero, mescolando bene in modo che la maionese sia ben distribuita. La potato salad va tenuta in frigo fino al momento di servirla, appena spolverata di paprika affumicata ed erba cipollina finemente tritata.

French fries

La diffusione delle patate nella dieta americana di tutti i giorni si deve però anche ai cugini d’oltralpe. Infatti non si può parlare di patate negli States senza parlare di Frenchfries. I francesi sostengono che le patate fritte a bastoncino siano state inventate a Parigi nel 1789 durante la rivoluzione francese in seguito ad una campagna voluta da Antoine Parmentier per la promozione delle patate in Francia. Altri invece, nonostante il nome, sostengono che le Frenchfries non siano affatto francesi ma che siano originarie del Belgio, dove si dice che le patate si friggevano già alla fine del 1600. Secondo la tradizione locale belga, gli abitanti più poveri dei villaggi della Valle Meuse spesso mangiavano piccoli pesci fritti catturati nel fiume. Durante i mesi invernali il fiume si congelava rendendo impossibile la pesca e costringendo gli abitanti dei villaggi a trovare altre fonti di cibo. Una di queste era il tubero, che cresceva abbondante in quelle terre a seguito della diffusione in Europa nel secolo precedente. Le patate erano affettate e fritte nello stesso modo in cui si preparava il pesce. E proprio così, pare siano nate le prime patate fritte. I soldati americani di stanza in Belgio assaggiarono per la prima volta questa specialità durante la prima guerra mondiale. La lingua ufficiale dell'esercito belga era il francese, e i soldati soprannominarono quindi i bastoncini di patate fritti French fries. Il nome rimase quello e a oggi c'è chi sostiene che in USA stiamo ancora dando credito al paese sbagliato per questa ricetta.

 

Ma i contorni degli States vanno ben oltre le patate, sia ben chiaro.: ci sono insalate d’ogni genere che non passano mai di moda, oppure – fra i trend più popolari degli ultimi tempi – i cavoletti di bruxelles, il cavolfiore (usato anche per burger vegani e purée senza patate) e l’avocado, attuali protagonisti indiscussi delle tavole d’oltreoceano. Poi ci sono verdure al forno, vellutate varie e soluzioni vegetariane d’ogni genere. Ma se vogliamo puntare la lente d’ingrandimento sui contorni tradizionali d’America, i side dishes più amati – oltre alle patate - restano coleslaw e baked beans.

Cole slaw

Gli immigranti olandesi che si stabilirono a New York (a quell'epoca chiamata New Amsterdam), coltivavano cavoli attorno al fiume Hudson, e lo stato di New York è ancora oggi il primo produttore di cavoli in America. Gli olandesi introdussero nella loro nuova terra anche la "koosla". Parola formata dai termini "kool" parola olandese per cavolo, e insalata, "sla". Nel tempo, il koosla è stato americanizzato in cole slaw. La ricetta apparve per la prima volta 1785, appena 30 anni dopo la nascita della maionese.

La coleslaw viene generalmente consumata come contorno di pietanze quali pollo fritto e costine alla brace, hot dog, pulled pork o bistecche. Può anche essere il ripieno di sandwich, hamburger e altri piatti tipici. La cole slaw viene anche usata nella variante del Reuben sandwich, che con l'insalata di cavolo al posto dei crauti diventa Rachel sandwich. In questa pantagruelica rassegna di golosità, vorrei spezzare una lancia a favore della coles law, che con il suo indice glicemico estremamente basso (il cavolo ha come indice 10) e ricchezza di fibre è un alimento consigliabile per chi, come me, deve correggere le proprie abitudini alimentari.

Boston baked beans

I baked beans sono fagioli che vengono prima stufati in pentola, e poi cotti al forno. La salsa agrodolce che gli conferisce il loro tipico gusto è ottenuta dalla cottura lenta di melassa o sciroppo d’acero e pomodoro, e insaporita con carne di maiale salata o bacon. L'origine di questo piatto è da cercare indietro nel tempo: già i nativi americani consumavano abitualmente pane fatto con farina di mais e fagioli al forno. I pellegrini della colonia di Plymouth conobbero queste ricette intorno al 1620 (a testimonianza di questo basta vedere il menu della celebrazione del Thanksgiving) e probabilmente aggiunsero l'orzo alla farina di mais per inventare il pane nero del New England. Il commercio degli schiavi nel XVIII secolo contribuì a rendere Boston un centro d'esportazione di rum, prodotto dalla distillazione della melassa fermentata. A quel tempo, la melassa veniva aggiunta alle ricette di fagioli al forno locali, dando vita così ai Boston baked beans. Nel New England coloniale, i fagioli cotti venivano tradizionalmente bolliti il sabato in pentole di coccio, e lasciati in caldo nei forni per la notte. La domenica i fagioli erano ancora caldi. La popolarità dei fagioli al forno ha contribuito inoltre a dare alla città di Boston il soprannome di "Beantown”, ovvero città dei fagioli. Pane integrale, baked beans e wurstel alla griglia continuano ad essere a tutt’oggi un popolare menu del sabato sera in tutto lo Stato del Massachussetts.

Pochi, se non noi irriducibili amanti delle pietanze preparate in casa, cuociono i laboriosi baked beans, preferendo la semplice apertura di una scatoletta. Ma il sapore – e la soddisfazione - dei baked beans fatti in casa è, inutile dire, mille volte meglio. Si mettono a bagno i fagioli (preferibilmente piccoli, tipo tondini) per tutta la notte in acqua fredda. Si cuociono poi nella stessa acqua per circa 1-2 ore. Si scolano tenendo da parte l'acqua di cottura. Si scalda il forno a 160° e si dispongono i fagioli in una casseruola facendo degli strati con il bacon e cipolla finemente tritati. In un'altra casseruola, si unisce melassa a sale, pepe, una punta di ketchup, salsa Worcestershire e abbondante zucchero di canna, si porta a ebollizione la miscela e si versa poi sui fagioli. Qui entra in gioco l'acqua di cottura dei fagioli: bisogna aggiungerne abbastanza per coprire appena i fagioli. Con un foglio di alluminio si chiude il recipiente e si cuoce il tutto in forno per 3-4 ore, fino a quando i fagioli saranno teneri. Si rimuove il coperchio a metà cottura e si aggiunge altro liquido se necessario per evitare che i fagioli si secchino troppo.

Che fame!

 

a cura di Eleonora Baldwin

 

Questi e altri racconti li trovate in Uazz’America, un programma che va in onda tutti i lunedì alle ore 22:00 su Gambero Rosso Channel SKY 412; in replica sabato alle 12:30; e domenica alle 19:30

 

Leggi anche le altre puntate di Uazz’America

 

 

Cucina tipica degli Emirati Arabi Uniti. 8 piatti (abbinati a 8 vini italiani)

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Vi proponiamo degli insoliti abbinamenti: 8 piatti emiratini con altrettanti vini italiani. Provare per credere.

 

Gli Emirati Arabi Uniti non sono solo datteri. Certo, questi frutti rappresentano un'indispensabile risorsa alimentare e sono l'epicentro di un vivace commercio locale, ma viaggiando ad Abu Dhabi e Dubai abbiamo provato e apprezzato molti altri prodotti tipici, come per esempio il latte di cammello, e piatti caratteristici. Qui ve li proponiamo abbinati a dei vini italiani.

Thareed (o Fareed)

Si tratta di uno dei piatti più consumati in casa e uno dei più principali durante il mese del Ramadam. È un piatto unico a base di carne stufata (pollo o altre carni), verdure e rgaag (il tipico pane sottile come una crepes cotto su una piastra rotonda) con un brodo di carne.

Pinot Nero 2014 – Podere della Civettaja. Per il Thareed abbiamo pensato a un rosso di grande eleganza, profumato e fresco, dalla bella acidità che riesca a pulire bene il palato. Nell’Appennino toscano è ormai conclamata la qualità dei Pinot Nero. È proprio questo il vino che fa per noi.

 

Rubyan Mujafaf - gamberetti essiccati tipici degli Emirati Arabi

Rubyan Mujafaf

Gamberetti essiccati al sole dopo la cottura in acqua molto salata, è un apetizer molto consumato in ogni stagione.

Murgo Brut - Scamacca del Murgo. Il Rubyan Mujafaf è un piatto di entrata, ma soprattutto una preparazione da consumare in qualsiasi occasione, dall’antipasto allo spuntino. In questi casi la bollicina fa proprio al caso nostro. Non siamo andati nelle zone più classiche del Nord, però. Al Sud, sull’Etna si produce un grande Metodo Classico da uve nerello mascalese. Ecco servito l’abbinamento ideale.

 

Moadam rubyan, piatto tipico delle zone costiere degli Emirati Arabi, a base di riso e gamberi

Moadam rubyan

Un profumatissimo piatto tipico delle zone costiere, a base di riso e gamberi. Ha coriandolo fresco e secco, loumi, curcuma, cannella, cumino.

Vermentino di Sardegna Canayli VT 2016 – Cantina di Gallura. Per un piatto delle zone costiere ci vuole un vino della costa. Abbiamo pensato a un bianco ricco, voluttuoso, caldo, ma di grande sapidità. Siamo andati in Sardegna e abbiamo scelto un grande Vermentino, secco ma frutto di una vendemmia tardiva.

 

Marguga, Stufato di carne profumato di spezie e loumi. Piatto tipico degli Emirati Arabi

Marguga

Stufato di carne profumato di spezie e loumi, arricchito da Marguga, pane che ricorda le nostre piadine, mescolato alla carne al sugo.

Campi Flegrei Piedirosso 2015 – Agnanum. Per il Marguga abbiamo pensato a un rosso del Sud Italia. Non troppo strutturato però, ma fresco e profumato, giocato più su bevibilità e scorrevolezza che non sulla struttura. Siamo andati in Campania, nei Campi Flegrei e abbiamo scelto un grandissimo Piedirosso. Ideale col nostro piatto, lo accompagna sino alla fine senza mai coprirlo.

 

Semak magli, piatto emiratino a base di pesce

Semak magli

Il semak magli è una ricetta di pesce condito con spezie, infarinato e fritto che si può accompagnare con il riso e arricchire con il ghee, ma si impiega anche in altre preparazioni per cui si eliminano pelle e spine.

Franciacorta Soul Satèn 2009 – Contadi Castaldi. Altro piatto, altro Metodo Classico. Perché se c’è il fritto la bollicina ci sta sempre bene. Per il Semak Magli la scelta cade su un territorio oramai diventato una garanzia di qualità in tutto il mondo. La tipologia è il Satèn, setoso e vellutato Franciacorta tutto da bere.

 

Harees, zuppa a base di carne e grano. Piatto tipico degli Emirati Arabi

Harees

È uno dei più popolari piatti degli Emirati e del Golfo, una zuppa a base di carne e grano tipica delle feste consumata anche durante il Ramadam. Il grano si unisce alla carne già lessa solo dopo una notte di ammollo. A cottura completata si pesta il grano e si completa con il ghee.

Reggiano Lambrusco Concerto 2016 - Ermete Medici e figli. La moltitudine dei vitigni, dei vini e delle tipologie diverse prodotte in Italia non ci fa scoraggiare neanche di fronte all’abbinamento perfetto col la zuppa Harees. Il Lambrusco Reggiano è il vino che fa per noi. Non copre i sapori, si affina aromaticamente e lascia la bocca pulita, fresca e pronta per un cucchiaio in più.

 

Lgeimat, Dolcetti dalla forma piatta, a base di farina, lievito, uova, cardamomo e zafferano, fritto e poi arricchiti di miele, sciroppo o melassa

Lgeimat

Dolcetti dalla forma piatta, a base di farina, lievito, uova, cardamomo e zafferano, fritto e poi arricchiti di miele, sciroppo o melassa. Sono i dolci favorito durante il Ramadam o altre festività.

Malvasia Passito Vigna del Volta 2010 - La Stoppa. La Malvasia prodotta da La Stoppa è dolce, calda, morbida, dalla grande aromaticità, mai stucchevole ma sempre elegante e fine grazie alla bella freschezza e alla sapidità finale. I profumi poi, di miele e spezie dolci, ci convincono ancor di più che è il vino perfetto col Lgeimat.

 

Balaleeet, dolce emiratino a base di spaghettini

Balaleeet

Dolce a base di spaghettini con ghee (burro chiarificato) zucchero cardamomo e zafferano, sovrastato da una specie di frittatina spesso arricchita con cipolle.

Moscato d’Asti 2016 – Paolo Saracco. Il Balaleeet è un piatto particolarissimo. Non è facile in questi casi abbinare il giusto vino, ma noi (pensiamo) di esserci riusciti con un grande Moscato. Arriva dal Piemonte e non può che essere un Moscato d’Asti. Quello di Paolo Saracco è veramente una delizia, ma soprattutto si sposa benissimo col nostro dolce.

 

a cura di Giuseppe Carrus

 

Articolo uscito sul Gambero Rosso di aprile. Un numero tutto rinnovato che potete trovare in versione digitale su App Store o Play Store

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COSA TI SEI PERSO

Nel numero di aprile del Gambero Rosso trovate l'itinerario completo, dove Antonella De Santis ci porta alla scoperta di Abu Dhabi, Dubai e Doha, con le attrazioni turistiche da non perdere e una mappa dell'alta ristorazione chiara e completa. A completare il servizio di 8 pagine, un focus sul vino tra divieti e curiosità, a firma di Lorenzo Ruggeri, e lo speciale di Giovanni Angelucci sul caffè arabo in Qatar.

 

 

Dove mangiare a Berlino. I consigli di Per Meurling, ideatore di Berlin Food Stories

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Abbiamo chiesto a Per Meurling, ideatore di Berlin Food Stories (uno dei siti più attendibili in fatto di enogastronomia a Berlino), di darci qualche dritta su dove mangiare in città.

 

Nessun’altra città europea è cresciuta sul piano gastronomico come Berlino. È vero, si partiva da un livello basso: solo 10 anni fa qui c’era pochissimo, ma l’esplosione, specialmente degli ultimi 3-4 anni, è stata fenomenale. Dal 2008, mezzo milione di persone sono arrivate a Berlino, soprattutto dall’Italia e dalla Spagna: hanno fatto crescere la domanda che si riflette in tantissime aperture di qualità. Sia chiaro, su scala nazionale Berlino è decisamente davanti a città come Colonia o Monaco.

Piatto di Einsunternull

Piatto di Einsunternull

I trend

Trend? Il primo in atto è la ricerca di ingredienti locali: penso a ristoranti come Nobelhart & Schmutzig e Einsunternull. Non è per niente facile fare alta cucina solo con prodotti locali, ma loro stanno facendo un lavoro straordinario con i fornitori perché reinventano le regole di produzione a partire dalla qualità, lavorano a stretto contatto con i contadini, li seguono in tutto.

L’altro trend è quello della contaminazione, con tantissimi fusion: dal filone asiatico alla cucina new British. St. Bart è un grande esempio del meltin pot berlinese: chef australiano, team di cucina tedesco, tanti expat. Cucinano grandi piatti in un contesto molto casual. Adoro quel posto.

La colazione di  EngelbergLa colazione di  Engelberg

24 ore a Berlino

La mia giornata tipo? Partiamo dalla cultura della colazione che è una cosa molto seria a Berlino. Engelberg, a Pranzlauer Berg, è un indirizzo classico perfetto, poche cose e tutte buone. Per pranzo, scelgo Lebensmittel in Mitte, cucina solida, autentica e molto attenta alle stagioni, tipica del Sud della Germania. Altrimenti il Michelberger Hotel, a Friedrichsain, offre un incredibile menu per pranzo. Per cena? Il top per me è Ernst, lo chef canadese Dylan Watson-Brawn (24 anni) regala un viaggio di 30 mini assaggi, con prodotti tedeschi. Solo 12 coperti: intensità e straordinaria purezza di sapori.

Piatti di Madam Ngo

Piatti di Madam Ngo

Indirizzi etnici

Terreno asiatico? Il mio vietnamita è Madam Ngo, le zuppe pho sono eccezionali, mentreKin Dee è un Thai innovativo e d’autore. In cucina Dalad Khambu, una ragazza thailandese nata a New York. Vi divertirete.

 

www.berlinfoodstories.com

a cura Per Meurling

 

Articolo uscito sul Gambero Rosso di giugno. Un numero tutto rinnovato che potete trovare in versione digitale su App Store Play Store

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COSA TI SEI PERSO

Nel numero di giugno del Gambero Rosso trovate due itinerari ai due estremi della Germania: a Berlino e ai confini con l’Alsazia, nel Palatinato, dove abbiamo raccontato le nuove leve della ristorazione e dell’enologia tedesca, tra contaminazioni e nuove sensibilità. È un servizio di 10 pagine che comprende anche il racconto di Veronika Crecelius, food journalist per la rivista Weinwirtschaft, i ristoranti e le cantine da non perdere nel Palatino e a Berlino, le mappe per orientarsi al meglio, i giovani chef che stanno cambiando l'enogostranomia tedesca e 11 vini selezionati per il loro rapporto qualità/prezzo.

 

GLI INDIRIZZI

Nobelhart & Schmutzig - Friedrichstraße 218 - nobelhartundschmutzig.com

Einsunternull - Hannoversche Str. 1 - +49 30 27577810 - restaurant-einsunternull.de

St. Bart - Graefestraße 71 - +49 30 40751175 - stbartpub.com

Engelberg - Oderberger Str. 21 - +49 30 44030637 - engelberg-berlin.de

Lebensmittel in Mitte - Rochstraße 2 - +49 30 27596130

Michelberger Hotel - Warschauer Str. 39-40 - +49 30 29778590 - michelbergerhotel.com

Ernst - Gerichtstraße 54 - ernstberlin.de

Madam Ngo - Kantstraße 30 - +49 30 60274585 - madame-ngo.de

Kin Dee - Lützowstraße 81 - +49 30 2155294 - kindeeberlin.com

Vicoli & Sapori. Palazzolo Acreide da scoprire fra gusto e cultura

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Sette chef uniti per promuovere il proprio territorio. Una due giorni dedicata ai sapori e alla tradizione gastronomica palazzolese. Un bell’esempio di come unire risorse ed energie per un obiettivo comune: valorizzare la propria terra. 

 

Tornando da una visita a Palazzolo Acreide ci si sente un po’ disorientati, perché ci si trova ad accogliere una quantità inaspettata di immagini, voci, storie. Le chiese barocche, i vicoli, i palazzi ottocenteschi, i balconi ricolmi di vasi e fiori. Le pietre antiche del teatro greco, le colline, le campagne circostanti con gli animali che brucano indolenti. Gli alberi carichi di frutti che invitano all’assaggio, le stradine sterrate e quelle lastricate. Il paese che sembra possedere due volti: di giorno stanco e assolato, con le piazze che sembrano immense, semideserte. Al calar del sole si trasforma: le piazze si animano e sembrano rimpicciolirsi, con i tavolini dei bar, la musica che riempie le strade, il chiacchiericcio della gente che passeggia per il corso, il fare operoso e fiero delle persone dietro ai banconi, nelle cucine, nei negozi. Succede spesso, tornando dalla Sicilia, di portarsi addosso quella sensazione di pienezza, come di chi è rimasto, per un istante, “abbagliato”. Sarà per la luce che sembra deformare colori e forme, spiazzando chi arriva dalle grandi città. A Palazzolo Acreide forse risulta tutto più inatteso perché si tratta di un paese che, pur nella sua bellezza, è ancora fuori dai grandi circuiti turistici. Eppure, una volta visitato, non si può immaginare un itinerario della Sicilia sud orientale che non passi per Palazzolo.

Palazzolo Acreide

Akrai, così si chiamava il paese fondato dai siracusani nel 664 a.C sull’Acremonte, la collina che divide le valli del Tellaro e dell’Anapo. Luogo affascinante che ancora conserva le testimonianze delle numerose dominazioni che si sono succedute nel corso dei secoli: romana, bizantina, araba, normanna. In provincia di Siracusa, Palazzolo Acreide fa parte del comprensorio dei monti Iblei e nel 2002 è stata insignita del titolo di Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco e inclusa fra le “Città Barocche del Val di Noto" (insieme a Caltagirone, Catania, Modica, Militello Val di Catania, Noto, Ragusa Ibla, Scicli). Si tratta di città ricostruite mirabilmente in seguito al terremoto del 1693. Palazzolo stupisce per la ricchezza dei suoi paesaggi, con le molteplici possibilità che questo territorio offre al visitatore per scoprire le sue bellezze. Dalla zona archeologica, fra le più antiche in Italia, con il bellissimo teatro greco e le rovine della polis, ai percorsi naturalistici, con la Riserva naturale Valle dell’Anapo-Pantalica e la Riserva Naturale Orientata di Cava Grande. E ancora la possibilità di osservare un mulino ad acqua funzionante e di visitare il Museo della macina che vi è annesso.


La tradizione gastronomica

La ricchezza di questo territorio si ritrova anche nella sua tradizione gastronomica: Palazzolo infatti è un paese incredibilmente “denso” anche da questo punto di vista, con oltre 30 ristoranti per circa 9000 abitanti. La cucina è legata soprattutto alla terra: valorizza le materie prime locali, quelle provenienti dalle campagne come gli ortaggi e la frutta, ma anche i formaggi e la carne degli allevamenti delle campagne circostanti.  Fra i prodotti tipici spicca la salsiccia palazzolese, presidio Slow Food che omaggia l’antica tradizione norcina di questa terra. La ricetta originaria prevede che questa salsiccia venga preparata con nove tagli diversi di suino nero: lardo, coppa, gola e guancia, la lonza o il lombo, la pancetta, la coscia, lo zampino e una parte di grasso. Alla carne, che la tradizione vuole tagliata rigorosamente al coltello, si aggiunge poi il sale, il finocchietto selvatico, il peperoncino e il vino rosso del Val di Noto che ha la funzione principale di sciogliere il sale, ma conferisce anche un profumo particolare. La salsiccia palazzolese si mangia fresca o essiccata e con il suo gusto deciso e intenso ben rappresenta questa terra. Fra gli altri prodotti che caratterizzano la gastronomia di Palazzolo Acreide vi è poi il tartufo, che si trova in abbondanza in questo territorio grazie anche alla natura calcarea del terreno e al clima umido che ne favoriscono la crescita. Diverse sono le specie che si possono trovare in questi territori, a seconda delle stagioni, tutte apprezzabili. La scoperta dei tartufi a Palazzolo Acreide è piuttosto recente (risale agli anni Novanta) e ha avuto il merito di stimolare la curiosità dei ristoratori locali che hanno iniziato a utilizzarlo nei loro piatti, nel tentativo di avvicinare anche i visitatori talvolta poco avvezzi a sentir parlare di tartufo nel sud Italia. Un esempio di utilizzo originale del tartufo palazzolese ce lo fornisce lo chef Andrea Alì che nel suo ristorante “Da Andrea – Sapori montanti” fra i dessert propone un soffice di ricotta, olio Evo e tartufo, mettendo insieme tre ingredienti semplici di ottima qualità che rappresentano un vero e proprio omaggio al territorio. 

 

Vicoli & Sapori

Proprio con lo scopo di valorizzare il territorio e rilanciarlo con iniziative ed eventi ad hoc, lo scorso anno nasce l’associazione “Vicoli e Sapori”, costituita da sette Chef di Palazzolo Acreide: Paolo Di Domenico (Lo scrigno dei Sapori), Giorgio Migliore (La corte di Eolo), Massimo Iacono (La taverna di Bacco), Andrea Alì (Da Andrea – Sapori montani), Marco Giuliano (Settecento), Calogero Maltese (agriturismo Giannavì) e Gianni Savasta (Trattoria del Gallo). Sette cuochi illuminati che hanno compreso la necessità di associarsi, senza antagonismi né inutili protagonismi. Il loro impegno, naturalmente, si attua nel settore enogastronomico che, tuttavia, agisce poi da volano per veicolare le bellezze di Palazzolo Acreide nella sua interezza, fra tradizione, storia e cultura. Fra gli eventi promossi dall’associazione, spicca Vicoli & Sapori – Vivere gli Iblei, che il 29 e 30 luglio scorsi ha animato l’antico quartiere dell’orologio di Palazzolo Acreide. Due serate per scoprire sapori e tradizioni di questi luoghi in un’atmosfera gioiosa e rilassata: attraversare i vicoli e le piazze del paese, illuminate dalla luce delle lanterne, fermarsi ad ascoltare un po’ di musica eseguita dal vivo da piccoli gruppi, assaggiare i prodotti o i vini locali e, naturalmente, i piatti proposti dai sette chef. Questo è il clima in cui si svolge una manifestazione che, alla sua terza edizione, quest’anno ha raddoppiato le presenze rispetto al 2017 (2800 fra sabato e domenica). La chiave del suo successo si trova proprio nella passione vera e spontanea dei ristoratori che l’hanno ideata e nel fatto che siano loro a promuoverla e animarla in prima persona.  A dimostrare che non esiste modo di migliore di conoscere un luogo con le sue tradizioni e il suo bagaglio gastronomico se non quello di viverlo attraverso l’esperienza e il racconto delle persone che lo vivono.

 

a cura di Valentina Ferraro

Si mangia meglio a Milano o a Roma? Parola agli esperti

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Nel numero di agosto del mensile del Gambero Rosso abbiamo chiesto agli esperti di settore di mettere a confronto Milano e Roma. Ecco cosa è emerso.

 

Milano & Roma. Capitali a confronto. A nord il dopo-Expo ha dato vita a un vorticoso restyling di luoghi noti, ri-aperture e a tanto design come valore aggiunto. A sud, la Capitale investe molto su nuovi format, dalla moderna trattoria (alias wine bistrot) ai tempi del bere miscelato e del vino alla mescita, per non parlare di streetfood. Nel numero di agosto del mensile del Gambero Rosso abbiamo chiesto agli addetti di mettere a confronto Milano e Roma. Ecco cosa è emerso.

Milano-Roma… 6 a 2

Enzo Vizzari“Sullo slancio di uno spettacolare rinnovamento della città, spinto anche da Expo 2015, l’austera seconda città d’Italia si è trasformata, in dieci anni, in una città di straordinaria modernità…”, ha scritto qualche mese fa il corrispondente da Roma de Le Monde. Vero. Com’è vero che la ristorazione s’è rinnovata, è cresciuta, continua ad aggiornarsi nella varietà dell’offerta: dalla trattoria più semplice e di tradizione ai ristoranti top, dalle pizzerie alle cucine etniche, c’è sempre più scelta e più qualità. Si può dire la stessa cosa di Roma? Francamente, no. Senza far spoiler sui giudizi della nostra Guida che sta chiudendosi in queste settimane e anche soltanto riferendoci all’edizione scorsa, il numero di “cappelli” assegnati ai ristoranti di Milano sopravanza quelli di Roma. E sono anche più “pesanti”, nel senso che a Milano sono (e saranno) più numerosi i tre e quattro “cappelli”. Per intenderci, se da una parte parliamo della fascia in cui si collocano Pergola e Pagliaccio, dall’altra troviamo (in ordine alfabetico…) Bartolini, Berton, Contraste, Cracco, Lume, Seta… Se poi dal vertice della piramide scendiamo alla fascia medio-alta e media è vero che Roma recupera qualche posizione, ma resta il fatto che Milano si conferma più dinamica in fatto di apertura di nuove tavole di qualità un po’ in tutte le categorie.

a cura di Enzo Vizzari, direttore guide de L’Espresso

 

Il primato della vitalità ambrosiana

Albert Sapere

La ristorazione, non solo quella d’autore è lo specchio della società. Lo stato di salute della ristorazione nelle due più grandi città italiane, Roma e Milano, rispecchia in pieno quello che è l’andamento dell'Italia. Milano in questo momento è l’unica “città europea” del Bel Paese. Aperta, curiosa, avida di tutto quello che è nuovo e che fa tendenza, perché di fatto ne è la capitale economica. Roma è più legata alle proprie tradizioni, a formule e schemi consolidati che deve molto spesso proporre all’enorme massa di turisti che ogni giorno affolla la capitale politica. C’è un “ritorno” alle trattorie moderne in entrambe le città e la ricerca di nuovi format aperti per tante ore e con una proposta molto varia. Nella fascia dell’altissima ristorazione, entrambe si reggono per lo più sui ristoranti dei grandi alberghi. Basti pensare al Vun nel Park Hyatt o al Seta nel Mandarin, per Roma cito su tutti La Pergola del Waldorf Astoria e l’Imago dell’Hassler: a dimostrazione, probabilmente, di quanto conti un pubblico straniero e con un potere di spesa importante.

a cura di Albert Sapere, direttore editoriale de Le Strade della Mozzarella

 

Roma in terrazza, Milano più etnica

Luigi Cramona

Abito a Roma, frequento molto Milano, ma tutto sommato sono forse più esperto della ristorazione in giro per l’Italia che di quella delle due più importanti città. Differenze e somiglianze? Siamo in estate e forse in questa stagione le differenze si notano di più: Roma è la capitale indiscussa della ristorazione in terrazza. Funziona tutto quello che è in alto, meglio se con vista e ormai ce ne sono a decine a cominciare dalla Pergola di Beck. La ristorazione all’aperto su marciapiede è vista come di serie B, quella al top deve elevarsi di livello anche fisico. A Milano non mancano i ristoranti sul roof, ma di certo sono di meno in numero e qualità. Un’altra differenza importante è la qualità dell’etnico. Ristoranti come Wicky’s, Gong, Iyo ecc… non ci sono a Roma dove l’etnico ha un profilo qualitativo più basso, anche se con qualche nobile eccezione. Comunque sono città vive e in continua apertura di novità spesso di tendenza e interessanti. Anche dopo l’exploit milanese legato a Expo 2015, Roma nel complesso non è poi tanto indietro grazie anche alla ristorazione negli alberghi che trova nella Capitale il suo punto di forza rispetto al resto d’Italia.

a cura di Luigi Cremona, guida Touring Club e presidente WItaly

 

Milano? Bella e attraente, ma dovrebbe imparare di più da Roma

Paolo marchi

Facile dire, soprattutto ora dopo il successo di Expo 2015, che non c’è confronto tra Milano e Roma, viva e brillante la prima, caotica e invivibile la seconda. Ho amici romani che trascorrono, davvero una novità incredibile, i fine settimana tra Navigli, Duomo e Isola perché oggi Milano è bella e, per di più, attrae un turismo ben diverso da quello delle città d’arte. Però Milano potrebbe studiare la tradizione gastronomica romana, la capacità di proporre i suoi capolavori per ritrovare i propri. Quando un milanese si muove attorno al Tevere, è conformato dal sapere che può essere stregato da Amatriciana e Carbonara, Grigia o Cacio e pepe. Possiamo dire altrettanto di Milano con il risotto? Sushi piuttosto. E la pizza? A Roma c’è da tempo e in forme originali. Vogliamo snobbare pizza&mortazza? Noi gastro-fighetti meneghini abbiamo scoperto la pizza solo adesso perché costa. Quando valeva spiccioli era appannaggio di studenti, nonne e nipoti. Roma non è da buttare.

a cura di Paolo Marchi, giornalista, ideatore di Identità Golose

 

Una crescita parallela con diverse punte

Roberta Schira. Foto di Monica Silva Foto di Monica Silva

Roma-Milano: più che una gara, è una crescita parallela. A Milano c’è più sperimentazione. Il milanese è curioso e non suda freddo se il conto supera i 100 euro, il romano abbiente preferisce farsi tre volte una cacio e pepe. Roma difende le trattorie. A Milano sale la febbre Oriental style, il sushi è soppiantato dal dim sum: i locali che propongono questo approccio giappo-cinese raggiungono livelli imprevedibili. Milano vince sulla cocktability (ma il romano Jerry Thomas se li mangia tutti), Roma sovrasta sul numero di terrazze allestite a convivio. Aumenta il divario tra ristorazione turistica e indirizzi giusti per pochi. Ma anche se glielo dici, ai turisti, qual è locale giusto, loro lo capiranno? Riconoscere la buona cucina, dal porchettaro allo stellato, rimane una questione culturale. La scoperta più interessante a Roma? Retrobottega: anticipa la ristorazione del futuro. Tavoli collettivi e chef che si alternano e producono piatti di livello. Roma vince nella pizza al taglio. C’è persino la guida digitale della pizza al taglio: teglieromane.it. Il Bonci style ha seminato bene! A Milano sono decine le aperture di livello, soprattutto pizza tonda di scuola napoletana e nella variante che definirei scuola dei Berberè. Finiti i tempi di farine scadenti, mozzarelle annacquate e prosciutto cotto che non darei a un gatto randagio. Milano e Roma pari nel poco rispetto per il turista. I Navigli e Brera si stanno “trasteverizzando” a scapito dello straniero. Il pasto migliore? Quello pizzicando qua e là al Mercato Centrale di Termini mentre aspetto il Frecciarossa per Milano.

a cura di Roberta Schira, scrittrice, giornalista, gourmet

 

Molte le affinità, da godersele entrambe

Eleonora Cozzella

Dopo tre (bellissimi) anni a Roma adesso vivo a Milano da maggio scorso. In realtà vedo diverse affinità con Roma: voglia di nuovo, giovani intraprendenti e capaci di mettersi in gioco, pubblico sempre più gastronomicamente coinvolto e con la mente aperta. Il trasferimento poi mi ha portato a un personalissimo parallelismo. A partire da un nuovo ristorante il cui chef in un certo senso ha fatto il mio stesso recente viaggio: l'Alchimia di Alberto Tasinato a Milano ha in cucina Davide Puleio, già secondo di Monosilio quando erano da Pipero. Nel suo "riso Roma Milano", un risotto allo zafferano con una fettina di coda alla vaccinara a sostituire il classico midollo, ritrovo un po' l'idea del mio trasferimento, di casa e nel piatto. Ho la fortuna, peraltro, che l'Alchimia si trovi a due passi dal mio indirizzo milanese e questo mi ricorda un ristorante romano che amo e frequentavo assiduamente: L'osteria Fernanda, dove l'alchimia non è il nome ma sta nel mix di cucina, creatività, atmosfera. Volendo continuare per affinità elettive, ho adorato Cu_cina, dove la giovanissima Stella Shi propone a Roma con naturalezza, grazia e intelligenza, la sua italianità di cinese di seconda generazione. Assolutamente da provare. Come da non perdere è a Milano la cucina di contaminazione nippo mediterranea di Yogi Tokuyoshi, esaltata da mente feconda e padronanza tecnica. E se gli amanti capitolini della carne e del quinto quarto trovano il loro piccolo tempio nella saletta di Mazzo o in quella di Santo Palato, i milanesi hanno per faro Trippa. Chi ha voglia diironia e golosità tenga a mente Eggs (che come è facile capire ha le uova per protagoniste) nella Capitale e Manna a Milano dove divertirsi col geniaccio burbero di Matteo Fronduti.

a cura di Eleonora Cozzella, giornalista, Repubblica Sapori

disegno di Maurizio Ceccato

 

 

QUESTO È NULLA...

Anteprima mensile di agosto

Nel numero di agosto del Gambero Rosso, un'edizione rinnovata in questi giorni in edicola, trovate anche i pareri di Alfredo Tesio, che regala un punto di vista internazionale, e di Carlo Ottaviano, direttore di Leggere: tutti. Il confronto tra Roma e Milano fa parte di un servizio più ampio, che comprende anche la selezione dei locali aperti nelle due città ad agosto,dalla prima colazione al dopocena.

 

Il numero lo potete trovare in edicola o in versione digitale, su App Store o Play Store

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Le migliori gelaterie di Genova e dintorni: 4 insegne da provare

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Le temperature continuano ad alzarsi in tutta Italia, e aumenta di pari passo la voglia di un buon gelato rinfrescante. Fra i tanti indirizzi della Penisola, nella provincia di Genova ce ne sono 4 da non perdere. 

 

Un piatto di trenette al pesto, un morso alla celebre focaccia di Recco, un assaggio dello stoccafisso alla genovese, il cappon magro, una fetta di farinata di ceci (fainâ per gli autoctoni) per merenda, in alternativa alla più nota focaccia genovese, e una manciata di canestrelli per concludere il pasto. Il viaggio fra i sapori del capoluogo ligure è un percorso di profumi, gusti e consistenze diverse, che a tavola coniuga armoniosamente mare e terra. Oltre ai prodotti tipici, durante una passeggiata fra i caruggi, è d'obbligo – soprattutto nella stagione più calda – anche un assaggio di un buon gelato artigianale. Dove trovare il migliore? Ecco gli indirizzi segnalati in città e nelle zone limitrofe dalla guida Gelaterie d'Italia 2018 del Gambero Rosso.

Cremeria Spinola – Chiavari

Un primo punto vendita sul lungomare e un secondo nel centro storico di Chiavari: Matteo Spinola, dopo una lunga gavetta, è diventato uno dei punti di riferimento per l'arte fredda ligure, grazie alla tecnica raffinata e la selezione attenta delle materie prime. Ottima la crema all'uovo, il cioccolato, il caffè, ma anche i gusti alla frutta - mirtillo in primis - e poi il melone, l'anguria e il più insolito lampone e Campari, che gioca sull'equilibrio fra dolce e amaro. Gusti a parte, nota di merito va ai coni e le cialde, realizzati a regola d'arte, che contribuiscono a rendere l'esperienza da Cremeria Spinola ancora più indimenticabile.

Cremeria Spinola – Chiavari (GE) – c.so Valparaiso, 118 – 3427582497 - www.facebook.com/Cremeria-Spinola-223207594370285/

Profumo – Genova

Una passione per le cose buone iniziata negli anni '60 nella storia pasticceria Villa, tanto studio e una ricerca minuziosa portata avanti con costanza: sono questi i punti di forza della famiglia Profumo, che oggi sperimenta con sapienza restituendo un prodotto sempre migliore, e in continua crescita. Il locale, piccolo e arredato con cura, ospita i gusti più vari, dalla crema al limone all'arachide salata, ma anche chinotto di Savona, zabaione, crema tradizionale e una stracciatella ricca e golosa. Da provare i gusti al cioccolato, come quello con la pera oppure con il mirtillo.

Profumo – Genova – v.lo Superiore del Ferro, 14 – 0102514159 - www.facebook.com/profumogenova/

Cremeria Sestri – Genova

Tre punti vendita per la Cremeria Sestri, uno a Sestri Ponente, un altro in aeroporto e un terzo nella zona centrale, a pochi passi da via XX settembre, nel cuore del fermento gastronomico genovese. L'indirizzo nella frazione Sestri Ponente, comunque, rimane un ottimo riferimento per tutti gli amanti del gelato: qui è possibile provare un prodotto di alta qualità, dove sapori e consistenze si uniscono in maniera armonica e originale. Come la stracciatella con fiordilatte e amarena oppure le castagne con mascarpone e noci, la ricotta di capra con mandorle e miele o ancora quella con fave di cacao. Non mancano, poi, granite e sorbetti, che completano l'offerta ampia del locale.

Cremeria Sestri – Genova – Fraz. Sestri Ponente – via G. Donizetti, 34 r 3423301781 - www.facebook.com/gelateria.sestrese/

100% Naturale – Sestri Levante

Sul lungomare ligure, un indirizzo che non deluderà gli amanti dei sapori netti e decisi: 100% Naturale, come recita l'insegna, è una gelateria che pone al primo posto la ricerca della materia prima, selezionando prodotti autentici degli agricoltori e gli allevatori migliori. Primi tratutti il latte prodotto da una razza autoctona di bovini, la Cabannina, alimentata con almeno il 70% di foraggi locali. Tanti i gusti fra cui scegliere: fra gli imperdibili, ricordiamo ananas e menta, perfetto per la stagione estiva, il caffè, la fragola. E poi i semifreddi, primo fra tutti lo zabaione, e i ghiaccioli alla frutta.

100% Naturale – Sestri Levante (GE) – via XXV aprile, 126 – 01851770799 - www.facebook.com/lucagelatobio/

a cura di Michela Becchi

Gelaterie d’Italia del Gambero Rosso 2018 – pp. 240 – 8,90 euro – disponibile anche on line

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