Quantcast
Channel: Gambero Rosso
Viewing all 5335 articles
Browse latest View live

Al 43 è il nuovo ristorante di Maurizio Bardotti nella campagna di San Gimignano

$
0
0

Una meta gourmet all’interno di una struttura ricettiva di grande fascino, con vista sulle torri di San Gimignano. In cucina c’è Maurizi Bardotti, già chef del Colombaio di Casole d’Elsa, qui alle prese con una nuova sfida. Ambiente di charme, proprietà illuminata e cucina di grande personalità confezionano il pacchetto perfetto. 

Gli anni al Colombaio

Al Colombaio di Casole d’Elsa, nella campagna senese, Maurizio Bardotti era arrivato nel 2013. Per la prima volta alle prese con la gestione di un ristorante gourmet (sotto la proprietà di Mariva Benucci), l’ambizione è stata sin dall’inizio quella di risollevare le sorti di un’attività legata a doppio filo con la proposta di ospitalità della struttura ricettiva ospitata in un antico borgo ai piedi del paese. Ma il metodo e la buona volontà hanno presto portato risultati ben oltre le aspettative, tanto che negli ultimi anni, il Colombaio, si era imposto tra le tavole d’autore di riferimento della zona, muovendo un bel traffico di clienti in arrivo dal circondario. Così quella che un tempo era stata una cucina tradizionale toscana si riscopriva capace di essere moderna senza tradire il territorio, e anzi lasciandosi ispirare dai prodotti locali per corroborare l’idea di un’offerta creativa mai leziosa. Cinque anni sono trascorsi dall’inizio dell’avventura: cinque anni per consolidare quella consapevolezza nei propri mezzi che da un paio di mesi ha portato Maurizio a intraprendere una nuova sfida, ancora una volta sotto l’ala protettrice di una proprietà illuminata, per seguire il ristorante – completamente rinnovato – della Locanda dell’Artista, boutique country inn.

La Locanda dell’Artista

Di nuovo una struttura ricettiva di charme, di quelle che oggi non è raro incontrare nella campagna senese, che dal 2010 è stata plasmata con cura da Cristian Rovetta e Baker Bloodworth per offrire standard di qualità molto elevati, in spazi di recupero valorizzati dal design e circondati da giardini (e una piscina con vista) che guardano in direzione delle torri di San Gimignano. Il ristorante della struttura – in tutto 7 camere per gli ospiti, di cui una suite – è nato la primavera scorsa, muovendo i primi passi nella cucina di tradizione regionale: “Hanno scelto di partire cauti, per sondare il terreno. Ma subito mi hanno chiesto se fossi interessato a seguirli: da clienti del Colombaio apprezzavano molto la mia idea di cucina. Ci siamo piaciuti, così già l’estate scorsa ho deciso di curare per loro una consulenza: ho formato un piccolo staff, abbiamo scelto di accantonare l’idea di un gourmet forsennato per orientarci verso una proposta toscana moderna, che ben oltre le aspettative ha portato moltissimi clienti al ristorante”, racconta oggi Maurizio. Ecco perché, già nell’autunno 2017 si è cominciato a ragionare della possibilità di stringere un sodalizio ben più impegnativo e duraturo: “Alla fine ho scelto di fidarmi, loro mi hanno garantito carta bianca, hanno perfino rifatto completamente il ristorante per me. Sono stati mesi di preparazione molto stimolanti, la struttura è bellissima, la zona ideale perché raccoglie un bacino d’utenza ampio, in un contesto che manca di indirizzi di ristorazione come il nostro (mentre tra le mura di San Gimignano il numero di posti che servono cibo è cresciuto a dismisura, oggi si contano 150 esercizi solo nel nucleo antico!). Così è nato quello che è dalla fine di marzo Al 43”.

La cucina di Maurizio Al 43

Al 43 come il civico della campagna che ospita la Locanda, in località Canonica: “Il ristorante può accogliere un massimo di 20 clienti, tra qualche giorno si potrà mangiare sotto il pergolato esterno, ma il numero di coperti resterà inalterato. Abbiamo bisogno di seguire gli ospiti con attenzione”. Il giro di clienti è stato da subito numeroso, “molti li portavo con me dal Colombaio, altri li stiamo intercettando in zona. E ci sono anche gli ospiti della struttura, per cui prepariamo anche dolci e proposte salate per la colazione”. Il ristorante, invece, è aperto a pranzo e cena (escluso il lunedì) e si prefigge di lavorare almeno 7 mesi all’anno, “con l’obiettivo di spingerci a 10, com’è stato possibile al Colombaio in passato”.

E Maurizio parte molto carico: “Ho studiato qualcosa che facesse vedere una nuova energia. Gli ingredienti sono sempre quelli del territorio, selezionati personalmente da piccole realtà famigliari di fiducia, mentre le farine per il pane da lievito madre arrivano da un mulino di Montespertoli che coltiva i suoi grani. La proposta però, pur calata nella sua dimensione toscana, si apre a spunti dal mondo frutto dei miei viaggi. C’è qualche rimando al Messico, qualche suggestione dal Giappone. Ma sempre ben integrati”.

Il menu

Si ordina alla carta, due portate principali più un dolce a scelta al costo di 65 euro, o menu degustazione, con due percorsi da 65 e 90 euro (5 o 8 portate). Si spazia dai cappelletti con blu del Chianti, estratto di cipolla bianca, pompelmo e liquirizia ai tagliolini con coppa di maiale, dashi, lemon grass e zenzero; dal piccione con salsa mole, lampone e porro confit all’anatra petto rosa e coscio in “pastilla” con salsa barbecue, guacamole, patate ratte e scalogno. La cantina, invece, è in costruzione, ma già annovera circa 200 etichette selezionate tra realtà di nicchia toscane, altre 5-6 regioni d’Italia particolarmente vocate, l’estero. Gli ospiti, per ora, sembrano decisamente ripagare le aspettative: “Siamo pieni dal secondo giorno di apertura, lavoriamo molto e le idee sono numerose. Per esempio con l’estate vorremmo offrire un aperitivo a bordo piscina con drink list curata da noi. È presto per mettere troppa carne al fuoco, ma ciò che conta è la grande disponibilità mostrata dalla proprietà”.

Il ristorante del Colombaio, intanto, ha definitivamente chiuso i battenti, e Maurizio se ne rammarica: “Inizialmente si pensava potessi continuare il rapporto con loro come consulente. Poi è tutto saltato e immagino le difficoltà di andare avanti dopo tanti anni”.

 

Al 43 - Locanda dell'Artista - San Gimignano (SI) - Località Canonica, Lucignano 43  - www.locandadellartista.com

 

a cura di Livia Montagnoli


April Bloomfield lascia The Spotted Pig. È la fine dello storico gastropub di New York?

$
0
0

Aperto nel 2004, si è imposto sulla scena gastronomica di New York come modello per una ristorazione d'autore informale che ha rinnovato l'immagine del pub con cucina. Ma gli scandali sessuali che hanno travolto Ken Friedman, co-proprietario dell'insegna, portano all'abbandono della chef inglese. 

 

Si sgretola l'impero di Ken Friedman

Fine di un'era a New York. La prospettiva che il mitico Spotted Pig fosse in procinto di crollare si rincorreva ormai da qualche settimana, ma nessuno, finora, aveva avuto il coraggio di sancirne la fine prima del tempo. Eppure gli scandali sessuali che hanno travolto Ken Friedman - ristoratore di successo al pari di Mario Batali, che con lui ha diviso le pagine di cronaca più tristi e imbarazzanti degli ultimi mesi, e ugualmente oggi assiste impotente allo sgretolarsi dell'impero costruito nella ristorazione – tutto lasciavano intendere fuorché per il solido gruppo fondato con la fidata April Bloomfield ci fosse speranza di restare in piedi. Così è stato: prima la tegola caduta sulla macelleria gourmet White Gold Butchers, che a marzo registrava l'addio di Erika Nakamura e Jocelyn Guest, protagonisti dietro al banco; poi la chiusura di Salvation Taco, l'insegna nata nel 2012 all'interno del Pod 39 Hotel di Manhattan, causa rottura degli accordi con la proprietà della catena alberghiera. E le voci insistenti che volevano in seria difficoltà anche le altre insegne del gruppo, dai locali gestiti all'interno dell'Ace Hotel (sempre a New York) agli avamposti sulla costa ovest, Tosca Cafè a San Francisco e l'ultimo arrivato, Heart&Hound a Los Angeles. A sorpresa, invece, la notizia circolata nelle ultime ore riguarda la decisione più difficile da prendere, maturata dopo una fuga di qualche settimana in Cornovaglia, dove Bloomfield è co-proprietaria di una guest house con ristorante e bakery aperta nel 2016 con lo chef britannico Tom Adams (unico progetto della cuoco inglese a non coinvolgere Friedman): Spotted Pig chiude.

 

April Bloomfield lascia Spotted Pig

O meglio, non vedrà più la presenza alla guida della cucina di April Bloomfield, che tra i fornelli del gastropub del West Village ha fatto scuola, promuovendo una moderna cucina informale d'autore in tempi non sospetti (era il 2004, e Spotted Pig faceva parte di quella avanguardia della ristorazione che nello stesso anno si concretizzava con David Chang e il suo primo Momofuku Noodle Bar e l'apertura di Blue Hill at Stone Burns, by Dan Barber). Un successo tale da ottenere la stella - persa solo di recente – e il riconoscimento come miglior chef assegnato alla Bloomfield nel 2014 dalla James Beard Foundation, che ora rischia di incappare in una damnatio memoriae senza appello. L'abbandono di Bloomfield segue la conclusione di un processo che ha portato i due ex soci a dividersi le proprietà: alla chef resta la costola sulla West Coast (quindi Tosca e Heart&Hound), oltre al controllo dei due ristoranti all'interno dell'Ace Hotel, the Breslin – steakhouse fondata nel 2009 – e il John Dory Oyster Bar, che ora la chef si prefigge di rinnovare. Mentre è definitivo l'addio allo Spotted Pig, che aveva segnato il suo esordio a New York, per concentrarsi sul recupero di quella tranquillità che negli ultimi mesi è mancata al suo staff, in vista di una compagnia solida e gestita in solitaria, “di cui poter essere orgogliosi”. Molto incerto, invece, il futuro dello Spotted Pig: al momento Friedman si trincera dietro l'assoluto silenzio.

 

a cura di Livia Montagnoli

Le migliori gelaterie d'Italia. Miglior gelato gastronomico: Cremeria Scirocco di Bologna

$
0
0

Sempre più in voga fra i consumatori, il gelato gastronomico è ormai al centro dell'attenzione di artigiani attenti e preparati. Professionisti come Andrea Bandiera di Cremeria Scirocco, che nel suo laboratorio realizza gusti insoliti e perfettamente bilanciati.

 

Sono sempre di più i maestri del sottozero che si cimentano con il gelato gastronomico. Un prodotto che gioca con materie prime e sapori principalmente salati, per creare gusti sempre più arditi, originali, esclusivi. E che ha cominciato a dialogare con mondi diversi, cucina e mixology in primis, in cerca di abbinamenti studiati, ragionati e interessanti. È il caso di Andrea Bandiera, artigiano ideatore di Cremeria Scirocco di Bologna, insegna premiata con i Tre Coni dalla nostra guida Gelaterie d'Italia 2018 del Gambero Rosso, che nell'ultima edizione si è aggiudicato il riconoscimento per il miglior gelato gastronomico dell'anno.

Come nasce la gelateria?

L'idea è venuta in seguito a una crisi lavorativa: sono stato un informatico per 16 anni fin quando, nel 2004, non ho sentito l'esigenza di cambiare vita, cercando nuovi stimoli ed esperienze in grado di coinvolgermi.

E così hai aperto il laboratorio.

Sono sempre stato appassionato di cucina, in particolare di pasticceria. Ho pensato anche di aprire un ristorante, ma sarebbe stato troppo impegnativo. Seguendo la mia predilezione per i dolci, ho deciso di intraprendere la strada della gelateria, partendo – come la maggior parte dei gelatieri italiani – da basi pronte e semi-lavorati.

Qual è stato il punto di svolta?

Non avevo esperienze nel campo, per cui non sapevo bene come muovermi. Dopo qualche mese, però, mi sono reso conto che nel mio lavoro non c'era nulla di artigianale, e così mi sono messo a studiare la chimica degli alimenti, ricercare le materie prime migliori. Inserendo sempre più prodotti freschi in laboratorio.

Oggi, quindi, solo materie prime di qualità. Dove ti rifornisci?

Utilizzo latte crudo da stalla di un contadino che si trova a 10 chilometri dalla gelateria, la panna di una cooperativa locale, e per tutto il resto da piccoli produttori della zona.

Quando è arrivato il gelato gastronomico?

Circa 10 anni fa. Ho cominciato a prendere contatti con degli chef che mi hanno aiutato a crescere e sviluppare le mie conoscenze. Ma soprattutto, il confronto con i cuochi mi ha permesso di affinare le mie capacità di abbinamento.

Gusti salati in tempi non sospetti. Qual è stata la reazione della clientela?

C'è stata molta chiusura da parte dei consumatori: gli unici che venivano ad acquistarlo molto spesso lo facevano per fare degli scherzi agli amici, servendo loro gusti salati spacciandoli per dolci. È stato mortificante dopo tutti gli sforzi che ho fatto, ma col tempo la situazione è cambiata.

E oggi come si presenta il panorama locale?
Molto bene. I clienti sono soddisfatti e spesso mi richiedono dei gusti su misura per pranzi e cene, che realizzo per quantitativi minimi di 3 chilogrammi.

Anche gli chef saranno curiosi. O no?

Moltissimo. Organizzo periodicamente cene in abbinamento con il gelato in diversi locali della zona. Fra le ultime creazioni, un gelato al nero di seppia e mandarino da gustare su un risotto.

Quali sono i gusti salati che vanno per la maggiore?

A parte Parmigiano e fichi secchi, c'è il gorgonzola e noci che piace molto e poi, in questo periodo, quello al pesto di pinoli, mandorle, pistacchio, scorza di limone, basilico, extravergine e sale.

Fra quelli dolci, invece?

Il bacio siculo, nato per errore. Un giorno mi ero dimenticato di far partire la macchina e così si sono andati a sovrapporre due gusti diversi, creando una composizione di nocciola, pistacchio e cioccolato. Da quel momento, non l'ho più potuto togliere: i clienti lo adorano.

Fai anche gelato vegano?

Sì, tutta la linea dei sorbetti è priva di lattosio, ma ci sono anche delle creme vegan che cambiano a rotazione, come il pistacchio o la nocciola, realizzate con acqua oppure con latti vegetali, come quello d'avena.

Altre proposte?

I semifreddi, che piacciono molto. Dolci classici ma realizzati con materie prime d'eccellenza, come il tiramisù, con caffè della torrefazione Lelli Caffè e il pan di spagna di Gino Fabbri, oppure la crema inglese con alchermes di Santa Maria Novella.

Il gusto dell'estate?

Un sorbetto al limone, zenzero, miele e mandorla, con un miele diverso ogni settimana. Siamo partiti con quello di erica, passeremo all'arancio e così via. Per dimostrare che ogni prodotto può essere declinato in tante sfumature diverse.

Progetti per il futuro?

Sto tornando al mondo dell'informatica. Voglio creare delle applicazioni per tablet per aiutare i gelatieri nel loro lavoro: bilanciamento dei gusti, stoccaggio, libri di ricette e via dicendo. Tutto consultabile online.

Cremeria Scirocco – Bologna – via Barelli, 1 d – 0516010051 - www.cremeriascirocco.it/wordpress/

a cura di Michela Becchi

Gelaterie d’Italia del Gambero Rosso 2018 – pp. 240 – 8,90 euro – disponibile anche online

Guida Gelaterie d'Italia 2018 del Gambero Rosso. La classifica e i premiati 

Le migliori gelaterie d'Italia. Premio Gelatiere Emergente: Gelati d'Antan di Torino

Le migliori gelatiere d'Italia. Miglior Gelato al Cioccolato: Il Gelatiere Stefano Dassie di Treviso 

Ecco Nino, il robot bartender di Carlo Ratti che coniuga spettacolo e funzionalità

$
0
0

Due braccia meccaniche che si muovono all’unisono, per realizzare il cocktail perfetto; e un’app, per governarle suggerendo ricette già codificate o personalizzate secondo gusto del cliente. Carlo Ratti in collaborazione con Makr Shakr suggerisce un’idea per la miscelazione del futuro. Già in vendita, e all’opera a Torino per tutta l’estate. 

 

Tecnologia al servizio dell’intrattenimento

Spettacolo, intrattenimento, funzionalità. E una spinta tecnologica mirata alla completa automazione che punta dritta verso il futuro, aprendo nuove frontiere alla robotica applicata. Nino è il robot bartender perfezionato dallo studio Carlo Ratti Associati: il nome familiare tranquillizza chi di fronte all’ultima invenzione dell’architetto torinese alla guida del MIT Senseable City Lab del Massachusetts difficilmente riesce a capacitarsi di quello che vedono gli occhi. Ma in fondo, il braccio meccanico che presto potrebbe imporsi “sul” bancone del bar non farà altro che riprendere gesti, movenze e competenze (al talento e alla personalità del singolo, invece, difficile supplire) di un navigato bartender alle prese con la preparazione di un cocktail. Il prototipo è stato sviluppato per il gruppo Makr Shakr, realtà italiana già da tempo impegnata sul mercato delle macchine automatizzate per la miscelazione, nello specifico col format del Bionic Bar, che negli ultimi 3 anni ha servito milioni di cocktail su navi da crociera nel Mar dei Caraibi, hotel e centri commerciali. Ma il livello di innovazione proposto da Carlo Ratti - che, ricordiamo, non è nuovo a cimentarsi col mondo della tecnologia applicata all’industria alimentare e della ristorazione, dal supermercato digitale del Future Food District per Expo 2015 allo stabilimento di Mutti in fieri alle porte di Parma, passando per il fast food ipertecnologico di Fondazione Agnelli, a Torino - punta decisamente a raggiungere standard più elevati.

Nino. Il robot bartender

Presentando quindi un robot comandato tramite app in grado di maneggiare fino a 170 bottiglie poste sopra la sua “testa”, realizzando davanti al cliente una sterminato catalogo di drink miscelati sul momento. A chi lo governa la possibilità di selezionare ricette da un database che riunisce celebri creazioni di bartender internazionali, o dettare al robot nuove formule personalizzate, facendo affidamento sull’app per tenere memoria dei preferiti, commentare e condividere con gli altri le proprie invenzioni. Perché come specifica Carlo Ratti, che sulle potenzialità più ardite della tecnologia lavora da una vita, “è fondamentale mettere i robot, pur in grado di rivoluzionare il nostro approccio al lavoro nel futuro prossimo (ricordiamo il caso recente della cucina robotica inaugurata a Boston, ndr), nelle mani delle persone che vogliono trasformare le proprie idee in realtà con l’aiuto della tecnologia”. Nella pratica sono due le braccia meccaniche che lavorano all’unisono coordinando i movimenti come da scuola di bartending (una seleziona le bottiglie, l’altra, più tecnica, si preoccupa delle operazioni di stirring, pestaggio, e agita in aria lo shaker al bisogno), quasi danzassero per offrire uno spettacolo inedito a chi guarda (ha perfezionato i movimenti il coreografo italiano Marco Pelle, del New York Theatre Ballet); intanto, un display luminoso sul retro mostra l’ordine del cliente, il tempo di attesa. E il pagamento si può perfezionare senza contante, sempre via app. Polemiche sulla mancanza della componente umana? Comprensibili e prevedibili, ma c’è da dire che i cocktail sono in larga parte precisione: una volta impostate le dosi, si lavora al millilitro sotto tutti i punti di vista. Insomma replicabilità elevatissima e mixologist che dovranno forse un po’ guardarsi le spalle e puntare decisamente sul fattore umano: se pure il prodotto finale sarà identico, difficilmente col macchinari si potrà conversare, confidarsi, ricevere consigli…

 

L’estate di Nino a Torino

Pensata come struttura modulare facilmente adattabile a spazi preesistenti, la postazione mobile con robot bartender integrato potrebbe facilmente prestarsi all’organizzazione di eventi in esterno e festival estemporanei. Oppure trovare posto accanto al bancone tradizionale, per offrire un’alternativa ad alto tasso di spettacolarità in contesti più classici. L’esordio di Nino, non a caso, è stato programmato per l’estate 2018, in occasione di eventi pop up che prenderanno forma in giro per l’Europa, mentre per i prossimi mesi sarà sempre visibile all’opera presso il summer club dedicato all’innovazione che prenderà forma ai Murazzi dalla metà di giugno alla metà di settembre: Torino, dunque, dove Makr Shakr è nato e ha cominciato a muovere i primi passi prima di imporsi come leader sul mercato di settore. Ma per chi volesse metterlo alla prova, Nino è già in vendita: non resta che acquistarlo al prezzo di lancio: 99mila euro!

 

a cura di Livia Montagnoli

Top Italian Restaurants: non solo Cina. La cucina tricolore alla conquista del Sud Est asiatico

$
0
0

Il Top Italian Wines Roadshow fa rotta su Singapore e Bangkok. A trainare il mercato l'accoppiata turismo e ristorazione di qualità. Exploit del Sud Italia. Ecco come si aggiornano i gusti e la mappa dei migliori ristoranti italiani.

 

Singapore, la piazza asiatica più in per il vino italiano

Giro di boa in Asia per il Top Italian Roadshow, che mette a segno due tappe prima del finale sulla West Coast nordamericana: ieri il tour è sbarcato a Seattle. Il 22 maggio, però, è stata nuovamente la volta di Singapore, uno dei porti principali del vino di qualità: un mercato evoluto, raffinato, molto abituato a bere vini maturi, e di fascia alta, con una spesa media tra le più alte al mondo. La degustazione, andata in onda nel complesso Chijmes, all’interno di una chiesa sconsacrata, è stata l’occasione per sondare una piazza che nel 2017 ha fruttato 14,2 milioni di euro per il vino italiano. Un dato destinato a crescere, basta vedere il ritmo dei primi mesi del 2018, rispettivamente +37,7% in valore e +58,7% a volume.

C’è ancora tanto lavoro da fare per portare cantine italiane meno note e medio-piccole: vanno ancora i grandi nomi ma c’è tanto spazio. La ristorazione fine dining di Singapore è tra le più floride e in evoluzione al mondo; la qualità è decisamente elevata”, commenta Simone Macri, manager dell’ottimo ristorante Jaan, che, tra le altre cose, gode di una vista mozzafiato dal 70esimo piano dello Swiss Hotel. “Stiamo cambiando la nostra carta, punteremo molto sui vini del Sud Italia e su varietà meno note”, gli fa eco Matteo Trabaldo Togna, managing director di Alba 1836, locale premiato con le Due Bottiglie nella nostra Top Italian Restaurants, la guida che premia le migliore insegne tricolori fuori dall'Italia. Nei nostri seminari guidati, oltre alla sensibilità degli operatori del settore verso vini maturi e di struttura – dove Bordeaux la fa ancora da padrone e la Francia da sola ha una fetta equivalente al 70% del mercato – abbiamo notato una consapevolezza crescente sui territori italiani meno battuti, interesse per bianchi secchi, freschi e fragranti. E, nuovamente, tantissime domande e appunti sulle cantine del Sud Italia e il loro bagaglio di varietà autoctone: su tutti, nerello mascalese, aglianico e primitivo.

Garibaldi

I ristoranti premiati

Sul fronte ristoranti italiani, Singapore ha davvero molto da offrire. Durante l’evento, premiato con le Tre Bottiglie Garibaldi, il locale di Roberto Galetti propone un bar e un ristorante dai sapori tradizionali e solidissimi, accanto a una collezione di vini da sogno, tra le più ricche e profonde incontrate nei nostri giri nel mondo. Il frutto di oltre 30 anni di acquisti e ricerche: molte annate sono ormai introvabili. Sul fronte fine dining, Buona Terraaperto a fine 2012, strappa il massimo punteggio - le Tre Forchette - per un locale che abbina ricerca e cura del dettaglio estrema in tutte le sue fasi, e una proposta che osa e arriva al punto (foto d'apertura). Ma ovviamente non ci sono solo questi indirizzi nostrani, ma sono ormai diverse le insegne italiane meritevoli di una visita a conferma di una progressiva evoluzione del panorama locale.

Buona Terra

Buona Terra si aggiudica il Surgiva Taste & Design Award

Una cucina vera, una cucina d’autore. Funziona a meraviglia la coppia Denis Lucchi, chef lombardo, e Gabriele Rizzardi, sommelier che ama vini molto maturi e distillati di nicchia. Pochi e curatissimi coperti, una bellissima cantina a dare il benvenuto, ricerca straordinaria sulle materie prime e un menu in continua evoluzione che mette insieme estro e pulizia gustativa. Tra i piatti, ottimo il gioco di sapori del riccio, esaltato dalla crema di cavolfiore e rilanciato dal caviale, poi la carbonara sbagliata e un agnello perfetto per punto di cottura e corredo speziato. Il tutto accompagnato da una carta dei vini che valorizza al massimo il fattore tempo, con tanti produttori italiani difficilmente reperibili a Singapore, da Radikon a Pietracupa, con tappa da Valentini. In breve, una delle migliori cucine italiane fuori dai nostri confini.

Gianni Ristorante

Bangkok, bere e mangiare in città

Poco più di due ore di volo dividono Singapore e Bangkok. La tassazione thailandese sul vino è tra le più alte al mondo ma non frena di certo i consumi, trainati da un flusso turistico eccezionale, fondamentale sostegno per locali di ogni tipo. Dieci i ristoranti italiani selezionati in Guida, a conferma di un livello medio elevato e un contesto economico sicuramente favorevole. Durante l’evento, premiato Gianni Favro, autentico pioniere della cucina tricolore a Bangkok: “Ventisette anni fa, quando sono arrivato, non arrivavano prodotti, era difficile parlare di cucina italiana. Oggi la scena è ricchissima, è cambiata la consapevolezza: piatti che tornavano indietro come un coniglio o una trippa oggi sono tra i più richiesti”. Il suo Ristorante Gianni ha strappato i Tre Gamberi in guida, riconoscimento a un locale solidissimo e mai uguale nell’offerta. Due Gamberi per la Bottega di Luca, uno dei tre locali di Luca Appino, mentre nella sezione wine bar premiati Di Vino e il nuovo La Casa Nostra. La valutazione più alta nella sezione fine dining va all’Enoteca Italiana con Due Forchette. “Piacciono ancora vini morbidi e rotondi, ma i clienti sono molto curiosi e si lasciano sempre guidare. Noi vendiamo molto Piemonte, un mio pallino”, racconta il manager Nicola Bonazza.

Enoteca Italiana

Nel 2017 la Thailandia ha importato 10,5 milioni di euro di vino italiano, in crescita rispetto ai 9 del 2016. I primi mesi del 2018 segnano una frenata, ma l’ottimismo degli operatori è molto alto, decisamente diverso da quello registrato nelle nostre prime visite in città. “È un mercato complesso e da presenziare con costanza, ma che sta dando già grosse soddisfazioni a molte cantine italiane. Io opero molto anche in Myanmar dove la tassazione è minore e la propensione alla spesa molto alta”, commenta Joe Sriwarin, presidente della Thailand Sommelier Association e al contempo importatore e distributore in proprio.

Le ultime aperture? Seguono quello che è un trend squisitamente globale: vini di piccoli artigiani, ricerca dell’autoctono e attenzione al filone bio. È il caso di About Eatery, il primo wine bar con solo vini naturali in città, o di Wine Garage: “La scoperta di oggi è stato il Susumaniello. Vogliamo portare su questo mercato vini di nicchia, con una storia da raccontare”, chiosa il wine director Guenther Forster.

Missilia

Contadi Castaldi Award, le migliori pizzerie di Singapore e Bangkok

In Asia, la pizza, con tutti i crismi del genere, è un fenomeno molto recente, ma in rapidissima evoluzione A Singapore, Mirco Caretti ha consegnato a Mozza la targa come migliore pizzeria, il locale frutto della cooperazione di Nancy Silverton e Joe Bastianich. La sede principale guarda il Pacifico: è a Los Angeles. All’interno dello scenografico Marina Bya Sands, Mozza offre un’osteria e una pizzeria con uno stile tutto suo, con diverse variazioni che escono dal classico repertorio italiano e un impasto regolare e costante. Accanto, una selezione di vini difficilmente riscontrabile in qualsiasi pizzeria italiana, con etichette classiche e di nicchia, insieme a un servizio super professionale.

A Bangkok, il premio Contadi Castaldi ha, invece, valorizzato Pizza Massilia: Bangkok’s Best Pizzeria 2018. Il nuovo progetto di Luca Appino e Frederic Mayer ha sdoganato in città il concetto di pizza gourmet, con un impasto napoletano tradizionale e tanti accostamenti creativi, e riusciti, che poggiano su materie prime selezionate importate direttamente. Due le sedi: a Ruam Rudee e a Sukhumvit, la pulsante – e trafficatissima - arteria di Bangkok.

 

Garibaldi Italian Restaurant & Bar - Singapore - 01-02 36 Purvis Street –+65 68371468- http://www.garibaldi.com.sg/

Buona Terra – Singapore - 29 Scotts Road - +65 67330209 - http://www.buonaterra.com.sg/

Gianni – Thailandia – Bangkok - 34/1 Soi Tonson Ploenchit Road - +66 0 2252 1619 -http://www.giannibkk.com/

Enoteca Italiana – Thailandia – Bangkok - Sukhumvit soi 27 North klong toey wattana - +66 2258 4386- http://www.enotecabangkok.com/

Mozza - Singapore - 2 Bayfront Avenue, Suite B1-42-46 - +65 6688 8522 - https://www.marinabaysands.com/restaurants/celebrity-chefs/pizzeria-mozza.html/

Pizza Massilia - Tailandia - Bangkok - https://www.pizzamassilia.com/

15/1 Soi Ruam Rudee, Khwaeng Lumphini, Khet Pathum Wan, Krung Thep Maha Nakhon 10330 - +66 2 651 5091 / 1 /8 Sukhumvit 49 - Khlong Tan Nua - Wattana - + 66 2 015 0297

 

a cura di Lorenzo Ruggeri

Milano città degli orti urbani. Spazi di comunità, laboratori terapeutici, nuove forme di urbanistica sostenibile

$
0
0

Tra orti nascosti e progetti per il recupero di terreni dismessi in periferia, nuovi arredi urbani e orti terapeutici, Milano si lascia conquistare dal fascino di frutta e ortaggi. Sono moltissime, e in ascesa, le esperienze di agricoltura urbana in città, ognuna racconta una storia diversa. 

Milano è la città degli orti?

Oltre ai 74mila metri quadri destinati all'agricoltura urbana – e già il dato sorprende per pervasività, assegnando alla città lo scettro di città urban farmer friendly – Milano nasconde pure un tesoretto di circa 300 orti nascosti, coltivati nelle scuole cittadine. Frutto, per la maggior parte, di progetti educativi incoraggiati dal Comune per incentivare il rispetto dell'ambiente e una corretta alimentazione sin dai primi anni di vita. Una variabile che rende il dato ancor più interessante, parallelamente alla consapevolezza che i milanesi sono sempre più attratti dalla possibilità di potersi cimentare con la gestione di un orto – anche semplicemente per la possibilità di socializzare - e solo nell'ultimo anno la superficie a disposizione dei contadini amatoriali dentro il perimetro della città è cresciuta di oltre 5mila metri quadrati, trasformando Milano nella prima città della Lombardia per spazio dedicato alla coltivazione. A fotografare la situazione ci ha pensato l'indagine La città degli Orti, diretta da Mario Cucchi e finanziata da fondazione Cariplo, che riunisce il Politecnico, la scuola agraria del Parco di Monza, la Statale e altre associazioni impegnate sul versante dell'ambiente. La ricerca restituisce una panoramica che coinvolge non solo i terreni coltivati nella Città metropolitana, ma anche sette comuni della Brianza. I numeri? 850 ettari complessivi coltivati a ortaggi, in parte allestiti su spazi pubblici affittati a privati o associazioni, in parte di proprietà privata o da regolarizzare dopo essere sorti in maniera spontanea. E qualcuno parla di regimentare il fenomeno come servizio fondamentale per il cittadino, garantendo soprattutto ai giovani l'accesso agli orti urbani dietro pagamento di un canone minimo, con l'assegnazione tramite bando dei terreni.

Orti di comunità. Da Isola Pepe Verde a Cornaredo

Intanto in città si moltiplicano le realtà che a vario titolo beneficiano degli effetti positivi dell'orto urbano. A Porta Nuova, per esempio, ha appena spento cinque candeline uno spazio che ha fatto scuola, proprio accanto al Bosco Verticale. Isola Pepe Verde è riuscita nell'intento di trasformare un deposito dismesso di materiale edile in uno spazio da condividere tra chiacchiere, giardinaggio e pulizia degli orti, con aree comuni adibite a laboratorio, giochi per bambini, e persino una libreria comunitaria. Al suo esempio si sono ispirati molti in città: tra gli ultimi nati, l'orto di Cornaredo, promosso dall'associazione Humana People to People Italia, parte del progetto 3C Coltiviamo il clima e la comunità. L'idea, nata nel Sud del mondo, è quella di sensibilizzare sul consumo responsabile e la riduzione dell’impatto ambientale attraverso l’esperienza di auto-produzione e l’utilizzo di tecniche di coltivazione biologica. Quindi ogni partecipante, gratuitamente, può ottenere un lotto di terra da coltivare, a patto di impegnarsi a seguire il percorso di formazione sulle tecniche di agricoltura biologica offerto da Humana. E ognuno porta a casa i suoi prodotti.

 

L'orto terapeutico per i bambini

Ben diverso l'obiettivo dell'Orto di Elkette, appena inaugurato nel Reparto Pediatrico dell'Ospedale Fatebenefratelli di Milano. Un orto terapeutico nato grazie all'impegno di Missione Sogni Onlus, per favorire il recupero psico-fisico dei piccoli pazienti attraverso la condivisione di un momento all'aria aperta da condividere con gli altri bambini. Un percorso già sperimentato in altri cinque ospedali della città, con il coinvolgimento di circa 200 bambini ospedalizzati che rispondono con entusiasmo al progetto.

Orti Fioriti a Citylife, agriparco alla Fabbrica del Vapore

Orizzonte ancora diverso per gli Orti Fioriti di CityLife, che resteranno aperti al pubblico tutta l'estate; in questo caso i 2000 metri quadri di orto all'italiana rivisitato sono stati allestiti proprio sotto ai nuovi grattacieli per guidare i visitatori alla scoperta della biodiversità ortofrutticola, accompagnati da agronomi che illustrano le specie e invitano al rispetto della stagionalità, tra ortaggi tradizionali – dai carciofi alle piante aromatiche – e proposte più curiose, come il cardo dei lanaioli e la liquirizia. Stesso intento divulgativo per l'agriparco urbano appena inaugurato alla Fabbrica del Vapore, che ha ripensato i tremila metri quadri del piazzale di via Procaccini all'insegna di orti, giardini e fioriere, grazie al progetto firmato Studio Grassi Design. Siepi d'alloro, alberi ad alto e basso fusto e trecento piante di ortaggi, tra melanzane, pomodori, peperoni, carote e cinque varietà di insalata, oltre a due serre urbane. In collaborazione con il Mercato della terra lo spazio si presterà a ospitare laboratori e iniziative sul tema alimentare durante l'estate; ma chi vorrà potrà anche approfittare del nuovo giardino per concedersi un pic nic a pochi minuti dal centro della città.

 

a cura di Livia Montagnoli

In viaggio. Abu Dhabi e Dubai, tra cucina e prodotti tipici

$
0
0

Appena metti piede ad Abu Dhabi capisci subito che ti trovi in una città in fieri. Nulla di quel che è stato, qui, sarà ancora. Solo la cucina si misura con una radicata tradizione emiratina e una insaziabile curiosità verso le altre culture gastronomiche.

 

Perle, datteri, latte di cammello e spezie. Per secoli le uniche attività commerciali, ad Au Dhabi, sono state proprio la raccolta delle perle e quella dei datteri. Le oltre 200 isole naturali del Golfo erano l'ambiente ideale per le ostriche e il commercio delle perle era – con la pesca – tra le poche fonti di sostentamento per le popolazioni costiere. Poi ci furono la Prima Guerra Mondiale, la Grande Depressione degli anni '20, l'arrivo delle perle coltivate dal Giappone: insomma dopo la Seconda Guerra Mondiale l'economia locale, basata su questo commercio, si sgretolò. Seguirono anni difficilissimi.

Un signore che raccoglie i datteri

I datteri, indispensabile risorsa alimentare

In questa economia i datteri – presenti in moltissime varietà – occupavano un posto capitale per gli abitanti dell'entroterra; ancora oggi questa indispensabile risorsa alimentare è l'epicentro di un vivace commercio locale e custodisce un enorme valore simbolico: sono celebrati a Liwa, nella regione di Al Dhafra e offerti spesso in segno di benvenuto insieme al profumato caffè arabo, patrimonio mondiale dell’umanità Unesco. La loro raccolta, come quella delle perle, segue rituali suggestivi. Così come suggestivo è l'animato mercato dei cammelli di Al Alain e il concorso di bellezza di cammelli di Al Dhafra. Di questi animali – preziose “navi del deserto” – si consumano la carne e il latte, fondamentale alleato per i beduini che potrebbe presto entrare nei mercati europei. Ha gusto simile al latte di mucca: se ne fanno formaggi, gelati, cioccolata, persino un sapone di bellezza o si consuma fresco, spesso aromatizzato al timo (Haleeb Bosh). Centrali sono poi le spezie, a testimoniare gli scambi commerciali che hanno interessato queste rotte: zafferano, cardamomo, curcuma e cannella sono praticamente in ogni pietanza locale, spesso insieme al loumi (limone nero essiccato al sole) dal sapore amaro e aspro, bilanciato dal ghee (il burro chiarificato). Ma la cucina oggi è molto di più.

Cammelli in Al Gharbia

La grande corsa degli Emirati

Corrono in fretta, gli Emirati Arabi Uniti. Ad Abu Dhabi tutto cambia rapidamente e poco si conserva, se non l'omaggio incondizionato allo sceicco Al Zayed. A lui si deve gran parte del benessere attuale di questo territorio fino a ieri poverissimo, dove la natura impervia – per quanto affascinante – dettava regole aspre: il seminomadismo era il modo di sopravvivere a temperature che raggiungono i 50°. Era in questo periodo che si attraversava il paese spingendosi verso il confine con l'Oman, in cerca del riparo che la montagna riusciva a concedere. Il caldo e la natura dei terreni desertici impedivano qualsiasi coltura, se non intorno alle oasi come quella di Al Ain, la città verde. È difficile, guardando il futuristico skyline della città, immaginare Abu Dhabi solo 50 anni fa, prima del petrolio. Erano i primi anni '60 e da allora tutto è cambiato. Nel 1971 nacquero gli Emirati Arabi Uniti, si costruirono strade e scuole, abitazioni e ospedali. Il benessere strappò la popolazione a condizioni durissime e una sorta di oligarchia benvoluta trasformò il paese con un'energica attività edilizia.

piatto emiratino

Turismo e offerta gastronomica

Dubai si è affermata come meta turistica ancor prima di Abu Dhabi, e così è stato anche per l'offerta gastronomica, tant'è che molti grandi chef hanno piantato lì la loro bandiera. E nonostante Abu Dhabi sia il crocevia del jet set internazionale, conserva maggiormente il legame con le sue tradizioni pur all'interno di una enorme varietà gastronomica. Poche (ancora) le star, eccezion fatta per Enrico Bartolini. Ma le cose qui cambiano rapidamente e non è difficile prevedere un imminente arrivo in massa di grandi firme. Anche perché nell'avveniristico orizzonte metropolitano, la cucina riveste il fondamentale ruolo di passaporto verso il mondo: negli alberghi s’incontrano cucine di mezzo pianeta. E una clientela indifferentemente del luogo (pochissimi qui i nativi: 500mila su 3 milioni di abitanti) e internazionale. Abu Dhabi è una Babele gastronomica: grandi brand (per esempio Zuma, Marco Pierre White steakhouse and grill o La Petite Maison) e tanta varietà, ma non si trascura la cucina tradizione, complice anche l'Emirati Cuisine & Hospitality Capacity Building, un programma di promozione della cucina locale negli hotel 4 e 5 stelle. Così si è creato un cosmopolitismo gastronomico che non scorda la propria identità, simile a quella araba ma ricca di suggestioni indiane: del resto la via delle spezie passava per il Golfo. Una cucina che varia secondo le regioni: dalla carne (di cammello, di pollo, montone o agnello) in cotture prolungate al pesce della costa (tipico è lo squalo). Con il pane arabo servito caldo con i mezzeh, la selezione di antipasti di origine mediorientale in cui l'hummus è il protagonista indiscusso. Poi ci sono moltissimo riso, alcune insalate, zuppe e diversi tipi di pane. Ne parla Khulood Atiq, starchef, Food Ambassador per l’Ente del Turismo di Abu Dhabi e autrice di Sarareed – la cucina degli Emirati dal mare al deserto, il primo libro che ha dato forma scritta a una cultura gastronomica prettamente orale.

Le cucine dei grandi alberghi

La maggior parte dei locali è nei grandi alberghi, sintesi di un lusso difficile da immaginare in Occidente. Basti pensare all'Emirates Palace dove colonnati altissimi e saloni immensi definiscono uno spazio di raffinata opulenza (che vale la pena visitare), famoso per il suo gelato al latte di cammello con scaglie d'oro e per il burger sempre di cammello. 1200 dipendenti, 14 ristoranti tra cui l'italiano Mezzaluna e l'emiratino Mezlai dove lo chef AliSalemEbdowa rielabora con eleganza la cucina locale. Tra i piatti più interessanti il lamb madfoun, agnello cotto in foglie di banano a ricreare la tradizionale cottura sotto terra, mentre al Jumeirah il ristorante Li Beirut propone cucina libanese contemporanea con lievi suggestioni europee. A tenere alta la bandiera italiana, Enrico Bartolini, responsabile del Roberto's ad Abu Dhabi e Dubai, dove ha cesellato una proposta articolata: l'immancabile triade - pizza, pasta, risotto in ricette classiche – affianca i piatti più iconici dello chef, “ma con FrancescoGuarracino, head chef di Abu Dhabi, ci divertiamo anche a sperimentare alcune novità durante le serate speciali”. Fino a tratteggiare una cucina che incarna i valori più riconoscibili dell'italianità senza perdere di vista un twist contemporaneo, intercettando anche i gusti locali, “per esempio per le carni cotte a lungo, i sapori tondi e speziati”. L'importazione non è semplice, ma per alcuni prodotti, come formaggi e olio di oliva, non si può soprassedere. “Si ha bisogno di referenti in loco– dicono dal Cipriani, che ha sedi nelle due maggiori città emiratine – Alcuni prodotti li inviamo dall'Italia, per gli altri come pesce o carne abbiamo fornitori di fiducia lì”. I piatti che vanno di più? Carpaccio, tagliolini, risotto. “Abbiamo stessa cucina, stesse attrezzature e personale italiano formato all'Harry's Bar”. C'è anche il giovane Lorenzo Paiato che al Larte del gruppo Alta Gamma – che conta spazi anche a Milano e Dubai – propone una cucina genuina e molto confortevole, tra calamari fritti e pasta alla Norma, a un passo dal distretto dei musei.

 

a cura di Antonella De Santis

 

Articolo uscito sul Gambero Rosso di aprile. Un numero tutto rinnovato che potete trovare in versione digitale su App Store Play Store

Abbonamento qui

 

COSA TI SEI PERSO

Nel numero di aprile del Gambero Rosso trovate anche un focus sul significato di accoglienza in Qatar a firma di Giovanni Angelucci, una mappa dell'alta ristorazione a Dubai, Abu Dhabi e Doha con una selezione di 25 indirizzi. E ancora: le 10 attrazioni turistiche da non perdere ad Abu Dhabi e i curiosi abbinamenti tra vini italiani e piatti emiratini.

 

Guida Milano 2019 del Gambero Rosso. Tutti i premi

$
0
0

L'etnico che vola in alto, i grandi indirizzi per cocktail e vini, le pizze d'autore e le aperture più attese. Il capoluogo meneghino è, anche quest'anno, al centro del panorama gastronomico tricolore. La guida Milano 2019 del Gambero Rosso lo conferma.

Mondo Milano

The place to be. La metropoli europea. Il luogo delle opportunità, e della concorrenza più feroce. È ufficiale: Milano è il traino della ripresa. In largo vantaggio nel confronto con la sua eterna - ed Eterna - “rivale”, corre più veloce del resto dello Stivale, e continua a raccogliere i frutti di quell’epocale Expo che nel 2015 ha segnato un prima e un dopo. Nella ristorazione, e non solo. Noi  ne abbiamo monitorato l'andamento e raccolto tutto il bello e il buono nella guida Milano 2019 del Gambero Rosso.

Una città che investe, rischia, non si fa mai trovare impreparata. Anzi, una regione intera: la Lombardia, secondo il rapporto annuale 2017 della Fipe - intitolato a Gualtiero Marchesi, "intelligenza e umanità della ristorazione italiana" - raggruppa oltre il 15% degli esercizi pubblici di tutta la Penisola. E diventa una terra promessa, dove ormai è quasi d’obbligo esserci, e per tutti: dagli chef navigati alle nuove leve, passando per i pizzaioli del Sud e le piccole realtà di street food locale. Sempre più complicato e insidioso, quindi, tracciare una mappa del meglio del mangiare e bere, dentro e fuori i Bastioni e negli ambiti dei fuoriporta più gettonati dai meneghini. Le porte del mercato sono spalancate, e forse non abbiamo mai visto - ammirato? - una Milano così prolifica e stimolante, così trainante ed esemplare per un resto d'Italia che invece sta faticosamente e solo ora cominciando a vedere l’uscita dalla crisi.
 

La guida

Il meglio, dunque, in numeri: oltre 1400 esercizi segnalati, tra ristoranti, bistrot, botteghe con cucina, botteghe "pure" (attualmente la categoria meno fiorente: se ottimizzare è la parola d'ordine, le insegne di nuova generazione tendono a puntare su un efficiente all inclusive che consenta spesa, spuntino, connessione Internet, partecipazione a eventi, mostre, degustazioni), alberghi. Tra questi, oltre un centinaio di aperture recenti, svariati restyling, cambi di mano o di sede, al netto di una altrettanto consistente fetta di chiusure: una fotografia volutamente ristretta ma densa e capillare, che coglie l’originalità purché fatta di sostanza, premia la costanza ed evidenzia il laborioso turnover in atto (come dimostrato anche ieri, con l'apertura in sordina di Bomba, di Niko Romito). E in cui svettano nove Tre Forchette (sì, Lombardia prima anche per la guida Ristoranti d'Italia), una squadra variegata che incarna il senso attuale del fine dining, e dove brilla il successo annunciato - nuovo ingresso nel Gotha - del trasloco in Galleria di Carlo Cracco, modello nel modello, emblema di uno stile imprenditoriale coraggioso ma che nulla lascia al caso, e che punta non più solo al gourmet.


Gourmet 2.0 e easy dining

Anzi, al gourmet 2.0: consapevole, esigente, informato, attivo sui social, con la critica in canna e il tablet in mano. Che ama l’esperienza “d’autore” una tantum, e la sua versione prêt-à-porter nel quotidiano. Quella che offrono gli esempi più centrati e intelligentemente italianizzati - pochi - di bistronomie “à la parisienne”. Soprattutto quando a metterci lo zampino sono autori con la A maiuscola, vedi Aimo e Nadia Moroni, che con l’Aimo e Nadia bistRo hanno generato un felice, milanesissimo, crossover fra design (siamo negli spazi adiacenti la galleria di Rossana Orlandi), moda (Etro) e gastronomia “seria” ma non seriosa, vedi Giancarlo Perbellini con l’omonima Locanda, un posto friendly e sofisticato insieme, ma non impegnativo nel conto finale. E vedi, infine, Pisacco, dove Andrea Berton, in tempi non sospetti, aveva già azzeccato la formula, spigliata e contemporanea col giusto tocco di glamour, e che quest’anno ha quadrato definitivamente il cerchio guadagnando la terza cocotte, massimo riconoscimento della categoria (primo e unico in città).

 

Le cucine del mondo

Sì, non ci siamo dimenticati che a Milano si parlano tutte le lingue del mondo. L’Expo ha funzionato da detonatore, ma l’esplosione è ancora in corso. Fermi restando i “soliti” e solidi giapponesi, cinesi, indiani, coreani, messicani (qui operano i tre migliori etnici d’Italia secondo la guida), compaiono realtà più caratteristiche (nepalesi, filippini, taiwanesi, tanto per dirne tre), approdano note catene internazionali (Toridoll vi dice qualcosa?), ma soprattutto l’offerta si specializza: non più solo sushi, ramen e ceviche (tendenze assodate ma non archiviate), bensì trattorie Izakawa, raviolerie artigianali (Sarpi e Sarpi 25 e ancora Le Nove Scodelle, neonato terzogenito della cordata di Agie, con una proposta “casalinga” tradizionale del Sichuan, e una cantina sotterranea con otri per la fermentazione portate direttamente dalla Cina, tra le novità dell’anno), ristoranti gastronomici in piena regola (uno su tutti, Cittamani, altra novità dell’anno), street food tipici. Ma l’aspetto più affascinante, quello che  fa la differenza, è la profonda fusion socioculturale, più che meramente culinaria, sottostante tutto questo: dal sopracitato Agie, che la prima insegna l’ha aperta accanto e in collaborazione con una storica macelleria meneghina fino al midollo (quella di Walter Sirtori), a un pezzo da novanta come Iyo, che ai fuochi ha uno chef italiano.

 

Vino, cocktail & pizza d'autore

Se quindi sul cibo esotico non c’è che l’imbarazzo della scelta (nella Milano 2019 c’è un indice dedicato), il fronte del bere non sta certo a guardare. Enoteche con cucina, wine bar e champagnerie da intenditori, mescite non convenzionali (perché pure qui palati ed esigenze si sono evoluti). E non da ultima una mixology colta e all’avanguardia che punta all’esperienza cucita sartorialmente, a qualità e ricercatezza delle materie prime, all’abbinamento inedito. Con la pizza, per esempio, come i due Dry (sempre della famiglia Berton) insegnano da tempo. Già, la pizza: non si arresta la marcia verso il Nord delle napoletane doc, che continuano a piacere, e tanto. E non è un caso che Gino Sorbillo, superstar dei lieviti, da via dei Tribunali, dove si trova il suo quartier generale campano, sia qui arrivato a quota quattro indirizzi, tutti diversi tra loro (l’ultimo, Pizza Gourmand, è dedicato alle tradizioni regionali).

 

Milano la dolce

E rimanendo sull’arte bianca, altrettanto significativi sono i gol segnati negli ultimi mesi dal settore della pasticceria. La ribalta dei nomi storici, per esempio Cova (che ha da poco festeggiato con un libro e un’apertura a Dubai i 200 anni di gloriosa carriera), la diffusione delle pâtisserie, l’approdo in grande stile di sua maestà Iginio Massari, pure lui, oggi, con bandierina “siglata” (I’M…) in campo. E piantata proprio a un passo dal Duomo, sotto lo sguardo della Madonnina. Dove tutto comincia e tutto finisce.

 

a cura di Valentina Marino
 

Guida Milano 2019 Gambero Rosso | Prezzo: 10€ | pagg. 272 | disponibile in edicola e libreria | acquista la guida online

 

I PREMIATI


TRE FORCHETTE


92
Carlo Cracco - Milano
Seta del Mandarin Oriental Milano - Milano
Da Vittorio - Brusaporto (BG)
Dal Pescatore - Canneto sull'Oglio (MN)

91
Enrico Bartolini Mudec Restaurant - Milano
Berton - Milano
D'O - Cornaredo (MI)
Ilario Vinciguerra Restaurant - Gallarate (VA)

90
Miramonti l'Altro - Concesio (BS) 


TRE GAMBERI
Osteria del Treno - Milano
Trippa - Milano
La Madia - Brione (BS)
La Locanda delle Grazie - Curtatone (MN)
Caffè La Crepa - Isola Dovarese (CR)
Osteria della Villetta dal 1900 - Palazzolo sull'Oglio (BS) 


TRE MAPPAMONDI
Casaramen - Milano
Iyo - Milano
Wicky's Wicuisine Seafood - Milano

 

TRE BOTTIGLIE
Al Donizetti - Bergamo

 

TRE COCOTTE
Pisacco - Milano

 

I Premi Speciali

Le novità dell'anno
Aimo e Nadia bistRo (Bistrot) - Milano
Cittamani (Indiano)  - Milano
Cracco (Ristorante) - Milano
Le Nove Scodelle (Cinese) - Milano
TIpografia Alimentare (Bistrot) - Milano
Le Polveri (Panetteria) - Milano
Iginio Massari (Pasticceria) - Milano


Servizio di sala
D'O - Cornaredo (MI)


Servizio di sala in albergo
Vun Andrea Aprea dell'Hotel Park Hyatt Milan - Milano


Proposta al bicchiere al ristorante
Enrico Bartolini Mudec Restaurant - Milano
 

Proposta al bicchiere al wine bar
Champagne Socialist - Milano


Miglior qualità/prezzo
Osteria Grand Hotel – Milano
Locanda Perbellini - Milano
Due Spade - Cernusco sul Naviglio (MI)
Antica Trattoria del Gallo – Gaggiano (MI)
La Piazzetta – Montevecchia (LC)
Mu Fish - Nova Milanese (MB)
Civico 17 - Ponteranica (BG)

 

SPONSOR


IN COLLABORAZIONE CON


È morto per suicidio Anthony Bourdain. Addio a un grande comunicatore del cibo

$
0
0

Trovato senza vita nella camera di albergo dove alloggiava in Francia, impegnato con le riprese di Parts Unknown. Le prime comunicazioni ufficiali parlano di suicidio. 

Addio a Anthony Bourdain

61 anni e una vita trascorsa a raccontare ciò che più gli piaceva, guardare il mondo con la curiosità di un cuoco appassionato di cibo, dei suoi rituali sociali, di quanto stando intorno a un tavolo e condividendo segreti di cucina, in fondo, si avessero in mano le chiavi di una conoscenza profonda degli altri. Grande comunicatore prima di ogni altra qualifica – eppure il suo curriculum presenta una miscela esplosiva di ruoli, impegni, progetti illuminati da precursore del racconto gastronomico – Anthony Bourdain è stato trovato senza vita (ironia della sorte, proprio dal suo amico fraterno, chef di Le Bernardin e partner sul lavoro da una vita, Eric Ripert) qualche ora fa, nella camera di albergo in cui soggiornava in Francia, a Strasburgo, impegnato sul set di una delle sue serie televisive più celebri, Part Unknown (l'undicesima stagione ha esordito sulla Cnn giusto un mese fa,uno degli episodi, girato a Hong Kong, vede alla regia la sua compagna Asia Argento, a cui era legato sentimentalmente da tempo).

 

Cuoco, scrittore, esploratore del cibo

La notizia, ufficializzata dalla Cnn, rimbalza in rete e deflagra con la potenza che si porta dietro la difficoltà di comprendere una simile circostanza: di suicidio, parla senza appello il primo bollettino, riferendosi alla possibilità che il celebrity chef di New York, prossimo a compiere gli anni il 25 giugno, si sia impiccato per togliersi la vita. “Ci mancherà molto, e il suo talento non smetterà di ispirarci” recita la comunicazione ufficiale del network “La sua passione per le grandi avventure, i nuovi amici, il buon cibo e le storie più incredibili del mondo hanno fatto di lui un grande narratore”. Dalla cucina (negli anni Novanta executive chef della brasserie Les Halles, a Lower Manhattan) al mondo dei media, Bourdain è stato autore di libri diventati best seller –  come Kitchen Confidential. Avventure gastronomiche a New York, pubblicato per la prima volta nel 2000 e rapidamente diventato un cult dello storytelling gastronomico (in tempi non sospetti), col suo mix di spunti autobiografici, cinismo, lucidità e grande capacità di fotografare ciò che realmente accade nelle grandi cucine - e programmi televisivi di successo, tradotti in tutto il mondo (proprio su Gambero Rosso, all'epoca di RaiSat, una delle prime messe in onda in italiano di Anthony Bourdain. Viaggio di un cuoco, poi diventato un libro altrettanto premiato da pubblico e critica). Tra le serie più celebri No Reservation - ancora sul dietro le quinte dei ristoranti, fino alle bettole più improbabili incontrate nelle sue trasferte da globetrotter - vincitrice di due Emmy Awards e numerosissime nomination.  Con Parts Unkown, invece, il concretizzarsi del desiderio di raccontare la vita degli altri, indagando nella storia e tra le abitudini sociali di comunità agli antipodi, attraverso il “pretesto” del cibo. Tra gli ultimi lavori, l'autunno scorso, la co-produzione del docufilm Wasted!, contributo contro lo spreco alimentare. Mentre a lungo, da grande estimatore e conoscitore del cibo di strada, aveva lavorato negli ultimi anni alla realizzazione di un grande food market ispirato ai mercati del Sud-Est asiatico al molo Pier 57 di New York: progetto definitivamente sfumato alla fine del 2017 (chissà che ora non se ne possa riparlare). Irriverente, curioso, sensibile e impegnato in numerose cause sociali, ha contribuito alla divulgazione di un'idea di cultura gastronomica che non conosce confini, esaltando il valore della diversità, in cucina e fuori.

 

a cura di Livia Montagnoli

 

 

 

Tre Forchette. Cracco in Galleria, ritorno al vertice di Milano

$
0
0

Sono bastati tre mesi a Carlo Cracco per tornare al vertice della ristorazione meneghina. All'ombra della Madonnina, infatti, c'è un nuovo Tre Forchette. Ed è proprio lui.

 

È, forse, il più famoso tra i Marchesi boys, quello più mediatico, ammirato, pop. Che spesso e volentieri significa anche criticato. Per ogni cosa: i molti libri, la famosa copertina di GQ, i recenti risultati della guida Michelin, la pizza, la pubblicità delle patatine, il matrimonio mondano, l'aglio nell'amatriciana, il lavoro sulla pasta e sui risotti. Sì, qualche passaggio non proprio ortodosso forse c'è stato, ma poco che avesse a che fare con la sua cucina, che da una ventina d'anni è tra le più importanti d'Italia. Da quell'indirizzo langhetto, quando ancora era misconosciuto, ma sempre dopo l'esperienza all'Albereta, per la cui apertura l'aveva richiamato il Maestro, dopo Pinchiorri e gli importanti riconoscimenti all'Enoteca. Un curriculum di rango (e stiamo solo agli anni '90) che ancora, però, non lo consacrava al grande pubblico. Per quello sono stati necessari la tv e l'ingresso nello star system. Carlo Cracco è uno dei grandi nomi della cucina nostrana. E, se pure negli anni passati qualche (fisiologica) flessione l'abbiamo riscontrata, ora è tornato più in forma che mai, con il nuovo faraonico progetto in Galleria che lo porta di nuovo nell'Olimpo della ristorazione italiana. Per noi, Carlo Cracco è il nuovo Tre Forchette della Guida Milano 2019 del Gambero Rosso.

Con Gualtiero Marchesi

 

Gli inizi: il Piemonte e l'arrivo di Ferran

Per fare questo racconto parto da Le Clivie, la mia prima apertura da solo, in Piemonte, quando in Piemonte non era mica facile”. In precedenza era stato già da Marchesi e Pinchiorri, “passare da un Tre Stelle a una locanda ti dà la misura della realtà in cui vivi” spiega “e ti fa capire che a volte bisogna resettare tutto e partire da zero”. È stato un periodo di transizione. “Ricordo che un giorno, era il '97 o '98, viene a mangiare da noi uno chef, ce lo presenta Bob Noto, tutti lo indicano come il futuro, quello che farà sentire la sua influenza nel mondo”. Era Ferran Adrià: già si parlava di lui, ma pochi lo conoscevano davvero.“Ma noi, anche se eravamo una locanda, guardavamo oltre i nostri confini e quelli della nostra cucina”.

 

RIsotto con con acciughe, limone e cacao

 

Milano anni Duemila

Poi c'è stato il salto a Milano, nei primi anni 2000. A quei tempi lì c'erano solo Aimo e Nadia, Sadler, e pochi altri “Mi dicevano tutti che Milano non era il posto giusto, perché mangiare bene non interessava a nessuno”. A Cracco però interessava quella sfida: fare cucina contemporanea all'interno di una realtà storica e forte come Peck, legare creatività al prodotto. Nasce Cracco Peck. Sono anni liberi, nei quali Adrià conferma le previsioni: è il cuoco più famoso al mondo e il suo lavoro rivoluziona le cucine in ogni luogo. “Per noi è sempre stato un riferimento, e anche se quella non era la nostra cucina rimaneva una fonte di ispirazione”. Sono anni di crescita complessiva: l'esordio di Identità Golose, e la rivoluzione di una generazione di nuovi chef “un cambiamento epocale” dice, snocciolando i nomi: “Fulvio era un nostro capo generale, poi c'erano Davide Scabin, Massimo, Moreno, Uliassi, Ciccio Sultano che è uno che ha sempre seguito la sua linea” continua “senza dimenticare la vecchia guardia: il Pescatore, l'Enoteca e gli altri grandi”. Insomma. da una parte grande rispetto dall'altra grande fermento. È l'epoca del lavoro sul tuorlo (che marinato con zucchero e purea di fagioli diventa trasparente e malleabile al punto da poterlo lavorare come una pasta fresca, senza farina), del musetto di maiale (con pomodoro verde e scampi), dei primi abbinamenti ricci di mare e caffè, di un risotto storico come quello con acciughe, limone e cacao. Tutta la parte legata al mondo delle uova che ancora oggi è molto attuale. Qualcosa c'è ancora oggi anche se molto trasformata. “La creatività non è solo inventare ma anche rinnovare e riscoprire”. Quel primo periodo è stato fondamentale, con il grande fermento della creatività diffusa.

 

Crema all'olio 

Fuori da Peck 

Nel 2007 Cracco compra il ristorante, perché di lì a poco avrebbero venduto Peck “volevo rimanere libero” racconta “ma soprattutto confrontarmi da solo con Milano”. Inizia in quegli anni la crisi che esploderà con le conseguenze che tutti sappiamo e che “ha cambiato la geografia dei clienti”. Anche se Cracco poteva già contare su un pubblico molto vario, la quota milanese era comunque fondamentale. “Ci siamo dovuti reinventare,lavorando sodo e cercando di costruire qualcosa di nuovo”. Sono di questi anni la crema all'olio bruciato, con cui Matteo Baronetto vinse il concorso internazionale di cucina con olio extra vergine d’oliva di Jaèn in Spagna, dei primi rognoni con i ricci o le ostriche, “il quaderno di mare è del 2006, mi pare, ma è scoppiato dopo, nel 2007 e 2008”.

 

La sala di via V. Hugo. Foto Malgarini

 

La crisi porta un'iniziale flessione, ma poco dopo cambia tutto: i grandi ristoranti diventano aspirazionali. Cambia la clientela: l'alta ristorazione diventa un desiderio di molti, complice la tv che comincia a occuparsene. Carlo Cracco era già stato contattato nel 2007, ma senza successo, “forse era troppo presto”, chissà. Tornano nel 2010. Nel frattempo la cucina ha acquistato un ruolo da protagonista nella società, tutti ne parlano (non sempre a proposito e non sempre con le giuste competenze), “il grande merito è stato far conoscere meglio un lavoro durissimo e faticosissimo, spesso percepito solo come bello, creativo e facilmente accessibile” riflette “oggi le difficoltà che cela sono un po' più conosciute”. Partono anche le chiacchiere e le critiche, il commento furente su ogni mossa “quello fa parte del gioco, insieme agli onori”.

 

RIgatone con burro affumicato, Parmigiano Reggiano vacche rosse di montagna e pepe di Timut

Il dopo Baronetto 

Nel 2013 Baronetto va via per approdare allo storico Del Cambio di Torino. “Dopo Baronetto è cambiato tutto” anche perché con lui sono sono andate via diverse persone della cucina che ancora sono al Cambio con lui. “Quando finisce un'epoca bisogna cambiare. E lo abbiamo fatto”. Luca Sacchi - che era in pasticceria-diventa il nuovo sous chef. Come pastry chef già lavorava a stretto contatto con Cracco e Baronetto, “era quello più forte sulla parte creativa e operativa, per cui il passaggio era inevitabile”.Inizia una nuova epoca. I piatti che segnano il cambiamento sono la triglia farcita, “un piatto stupendo” dice, ancora oggi in carta anche se anche se modificato, poi ci sono il lavoro sulle spezie, il burro alla cannella, l'astice, il rigatone al burro affumicato, Parmigiano Reggiano vacche rosse di montagna e pepe di Timut, l'insalata di mare “quella nuova, in cui abbiamo aggiunto la gelatina, per dare una parte acquosa legata al mondo del mare e dei sapori” per allargare il gusto. “È stato un tocco geniale”.

 

Cracco e la tv 

Il successo sul piccolo schermo è travolgente. “Il Cracco televisivo è quello di un copione da seguire” dice per spiegare un'esperienza che è andata meglio di ogni previsione “nessuno immaginava che sarebbe diventato una cosa così grande, ma non l'ho fatta per diventare più ricco o avere più ristoranti: la tv mi ha permesso di realizzare il mio sogno nel cassetto”. Cracco rivendica il suo ruolo in cucina: “Checché ne dicano anche quando registravo ero sempre presente al ristorante”. Girando a Milano l'organizzazione era più semplice, “nei 4 mesi di riprese ero sempre raggiungibile e la sera ero sempre in cucina, anche perché il ristorante è il mio, è il mio primo bene, la mia prima risorsa, mai abbandonata o tralasciata”. Ore di lavoro? “non le conto più, ma la soddisfazione sì, la mia, quella dei ragazzi in sala e in cucina, e anche dei clienti”. Quest'anno andrà l'ultima serie di Hell's Kitchen registrata due anni fa. Chiude con la tv?“Ho finito”. Adesso?“Voglio concentrarmi sul mio lavoro, che è quello della Galleria. Voglio dedicarmi solo a quello”.

Carlo e Camilla in Segheria

 

Non solo Galleria

Pima della Galleria ci sono stati altri progetti messi in campo: Carlo e Camilla in segheria, “per me come una seconda casa” confessa “esattamente l'opposto del ristorante in Galleria”. Una cucina che non esita a definire fantastica con un incredibile rapporto qualità prezzo, che propone diverse declinazioni dell'uovo - “ma sempre diverse da quelle del ristorante” - e dei risi molto belli. Una linea di cucina più semplice negli abbinamenti ma con la stessa cura e preparazione dei gastronomico. Uguale filosofia ma meno complessità. “Credo che, al di là di tutto, sia una di quelle intuizioni che ti vengono e danno sempre più soddisfazioni, perché non è un secondo locale, un posto a sè con una sua storia e un suo percorso: non è il Cracchinoma un locale con una sua vita, unico e diverso dagli altri”. Come lo è Garage Italia, che è legato all'automotive e ai racconti di Lapo Elkann, trasformati in piatti: dal risotto alla Enzo alla pasta dell'Avvocato al Giardino di Mariella, con continui richiami alle automobili anche nei dettagli della tavola. “Per noi è una bella sfida: un recupero di un vecchio stabile che ha un valore simbolico in una zona in cui non c'è nulla”.

 

La Galleria

Se parliamo di oggi dovrei raccontare tutto quel che c'è stato dietro: lo studio, il tempo, la forza necessaria per intraprendere un progetto così grande. Difficile già sulla carta, ancora di più a realizzarlo davvero”. Non è una frase fatta: Cracco in Galleria è monumentale e il documentario Cracco Confidential l'ha mostrato sul piccolo schermo. “solo questa voglia infinita di realizzare il nostro sogno ci ha permesso di arrivare alla fine” ammette. Ristorante, caffè, bistrot, pasticceria, cantina,un lavoro cominciato 3 anni fa e finito 3 mesi fa. Che continua ancora adesso: “ci sono tante cose a cui pensare, e sembra sempre di non aver messo abbastanza del tuo tempo a disposizione di quel che sarà: ci pensi, ci ripensi, è un lavoro lungo. Quando sei lì te ne rendi conto”. Errori? “Sì, ci sono, minimi per fortuna. Ma magari proprio nelle cose che davi più scontate e su cui ti sentivi tranquillo. A volte non riesci a finire quel che ti eri riproposto”. Un lavoro pazzesco, non sempre percepito dalle persone, ma necessariamente condiviso con i suoi collaboratori più stretti.

 

Cracco in Galleria. La cantina

Il team

C'è Luca Sacchi con Cracco da 11 anni, “la mia spalla più vicina in cucina, mi ha aiutato su molti aspetti e molte decisioni”, Alessandro Ruggle, da 5 o 6 anni nel team, l'altro braccio operativo insieme a Rosa Fanti: “sono i due pilastri fuori dalla cucina, determinanti per tante scelte e risultati”. Poi c'è Alessandro Troccoli, responsabile di tutta la parte di sala: dal caffè al ristorante. Alex Bartoli invece è il sommelier “con lui abbiamo condiviso questa cantina stupenda, bellissima, ricca di etichette rare che fanno la differenza”. Persone fondamentali: “sarebbe stato difficile, anzi impossibile senza di loro”.

L'obiettivo? “Lavorare serenamente, fare cose che possano avere n valore aggiunto e costruire qualcosa che rimanga”. E già la nascita di un posto come è Cracco in Galleria è una cosa importante, “ci siamo riusciti proprio grazie a questa motivazione”.

 

La cucina, oggi

I piatti sono frutto di un lavoro che si sta facendo man mano, “è esattamente il contrario di un locale, che prima studi e decidi il progetto e poi lo realizzi: la cucina la fai solo standoci dentro”. Soprattutto se si tratta di una nuova cucina, in ci si trasferisce dopo 18 anni trascorsi in un altro spazio: “è tutto diverso, devi vedere le sensazioni che ti dà un luogo completamente diverso” spiega “e quello un po' alla volta fa crescere e sviluppare nuove idee e nuovi piatti”. Ci vuole tempo, insomma, anche se qualche cosa può già identificare questo nuovo corso. “un controfiletto di daino avvolto con una pasta sfoglia molto leggera, cotto intero e poi tagliato, servito con erbe e una salsa al ginepro molto fresca e i ravioli di piccione con brodo di funghi e anice”.

 

Cracco il caffè

Cracco in Galleria. Il caffè

Non si sono ancora esaurite le polemiche

Quando perse la seconda Stella, ci disse che forse era giusto così, la vede sempre nello stesso modo? “Come quando uno gioca a calcio o a tennis: ci sono delle regole e vanno osservate, non ti puoi mettere a contestare l'arbitro o le regole, è giusto così. Poi” aggiunge“Serve tutto, se si guarda al futuro in maniera positiva, stiamo cercando di costruire qualcosa, abbiamo un orizzonte molto nitido” . Quindi avanti tutta: “ovvio che se ci saranno anche i riconoscimenti è meglio”, ma l'importante è credere nel proprio lavoro, portarlo avanti sia nel bene che nel male, “quando non va bene è facile lamentarsi, invece bisogna lavorare e basta”. Ora ricomincia da qui: dalle Tre Forchette: “èun'emozione, che si aggiunge a un percorso che stiamo cercando di fare. Sono felice che sia successo”. Anche se per certi versi si sente ancora nella fase di rodaggio, “è la prima volta che abbiamo un caffè, ma la cucina è veramente buona, secondo me, anche se impostata in modo diverso, la qualità della materia prima e la cura sono sempre le nostre”, insomma un esordio tra soddisfazioni e inevitabili polemiche. Come quella della pizza. “L'hanno mangiata sabato le mie figlie che mi hanno detto, quasi stupite, che è buonissima. Ho risposto: perché non doveva esserlo?

 

Cracco – Milano – Galleria Vittorio Emanuele II – 02 876774 - www.ristorantecracco.it

 

a cura di Antonella De Santis

FoodiesTrip, la piattaforma che combatte le false recensioni di ristoranti

$
0
0

Aumentano sempre di più gli strumenti – fra guide, app e siti web – per selezionare i locali migliori. Fra finte recensioni e giudizi incerti, però, scegliere non è sempre facile. A garantire trasparenza al consumatore ci pensa FoodiesTrip, nuova piattaforma (con rigido regolamento) per recensire ristoranti di tutto il mondo.

 

Tripadvisor e le false recensioni

Tripadvisor sì, Tripadvisor no. Il mondo del web si divide sull'utilità del portale di recensioni più famoso nel mondo, croce e delizia delle attività commerciali (principalmente alberghi e ristoranti) che se da un lato guadagnano in visibilità, dall'altra si espongono a qualsivoglia giudizio. Compresi quelli di origine incerta, o, ancor più grave, le false recensioni che impazzano sulla piattaforma. Una piaga che danneggia molti esercenti e che a più riprese si è cercato di arginare con campagne di sensibilizzazione, denunce, esperimenti che potessero smascherare l'uso fraudolento del mezzo (fra cui lo stratagemma architettato da Italia a Tavola nell'estate 2015, iscrivendo sul sito un ristorante inesistente – tal La Scaletta di Moniga sul Garda – e pubblicando diversi commenti che avevano fatta balzare l'attività in vetta alla classifica).

Il progetto per contrastarle

Per far fronte all'annosa questione, due giovani marchigiani di San Benedetto del Tronto hanno deciso di ideare una nuova piattaforma dedicata alle recensioni di ristoranti. Il progetto di Fabrizio Doremi e Alessandro Poliandri è semplice: si tratta di un'app gratuita per iOS e Android dove gli utenti possono pubblicare recensioni di locali certificate. Si chiama FoodiesTrip e si propone come alternativa sicura e trasparente alla più nota Tripadvisor, grazie al regolamento ferreo imposto dalla piattaforma.

Come funziona

Ogni persona (foodie) che decide di iscriversi deve sengnare la propria presenza all'interno di un ristorante verificabile con un semplice click. Una sorta di check in “precisissimo, che incrocia i dati del gps, della connessione wifi e in più calcola la durata della permanenza”, hanno dichiarato gli ideatori al Corriere della Sera. Se non si oltrepassa un certo numero di minuti all'interno del locale, il check in viene invalidato. L'obiettivo? “Rimettere la valutazione dei locali nelle mani delle persone. Oggi assistiamo alla perdita di valore di alcune piattaforme, dei social, proprio per colpa delle notizie false. Certo, non pretendiamo di batterle al 100 per cento, ma almeno vogliamo provarci”. Attraverso il check in, ma non solo. Una volta recati al ristorante, i foodie devono rispondere ad alcune domande “molto specifiche”, per garantire la loro reale presenza all'indirizzo recensito.

La piattaforma social

Un'idea nata nel 2012, sviluppata negli anni attraverso diverse ricerche in Italia ma soprattutto all'estero, affinata poi nel 2016 e incubata come startup. Uno strumento utile per il consumatore, ma anche una sorta di piattaforma social, dove ogni utente può condividere le proprie esperienze con gli amici (da aggiungere, proprio come per Facebook, solo tramite ricerca per nome). È possibile, inoltre, seguire altri foodie, senza esserci necessariamente “amici”, e richiedere l'inserimento di un nuovo locale non ancora segnalato nell'app. Attualmente, sono circa 1,2 milioni fra ristoranti, caffetterie e cocktail bar gli indirizzi recensiti in tutto il mondo, di cui 320mila in Italia. L’app è scaricabile su Google Store e Apple Store, per ora in una versione beta ma presto in quella definitiva.

www.foodiestrip.com/it/

a cura di Michela Becchi

Osteria! Social Food al Parco dell'Appia Antica. 17 trattorie per la festa della cucina popolare

$
0
0

Il 9 e 10 giugno, a Roma, torna la festa delle osterie organizzata da Slow Food. Due giorni per scoprire la cucina di territorio delle migliori insegne tradizionali della Capitale e del Lazio, tra assaggi, laboratori e approfondimenti sul tema della sostenibilità. 

 

Un'osteria popolare nel verde dell'Appia Antica. Non si potrebbe immaginare contesto migliore per evocare l'atmosfera delle osterie che un tempo accoglievano viaggiatori e pellegrini in marcia verso la città, tra i basoli di una delle più celebri vie consolari romane, ancora in parte visibili sul percorso che oggi è protetto dai vincoli paesaggistici e storici del Parco dell'Appia Antica. Eppure è al contempo inconsueto il set della manifestazione organizzata da Slow Food con la collaborazione di trattorie e piccole cantine, giunta alla sua terza edizione. Sì, perché Osteria! Social Food prende vita , il 9 e 10 giugno, negli spazi suggestivi dell'ex Cartiera Latina, realtà produttiva storica in attività fino al 1986, e in parte musealizzata a partire dal 1998, quando l'ente del Parco Regionale dell'Appia ne ha fatto la propria sede. Lambita dal fiume Almone, la cartiera è stata a lungo uno dei più importanti stabilimenti per la produzione di carta del Centro Sud: antichissime le sue origini, solo all'inizio del Novecento la struttura fu destinata alla trasformazione di stracci di lino e cotone. E oggi, dopo la ristrutturazione degli spazi (con i grandi macchinari che sopravvivono in uno degli ambienti), si presta all'organizzazione di eventi di piazza particolarmente piacevoli, che beneficiano anche del giardino circostante.

 

Il programma

Così, dalle 10 a mezzanotte, quello che si preannuncia è un weekend all'insegna del gusto, con la cucina delle osterie tradizionali, le botteghe artigiane, i vini del territorio, le birre artigianali, il mercato contadino e i laboratori di degustazione. In compagnia di osti, produttori, vignaioli, mastri birrai, con tante iniziative dedicate anche ai bambini. Si parlerà dunque di erbe spontanee con il raccoglitore Iseno Tamburiani, a passeggio per Hortus Urbis, e di cucina romanesca nella storia, con Sandra Ianni; ma anche di Agro Romano e consumo del suolo, di gestione dei rifiuti e abuso di plastica, animali golosi, etichette narranti e orto d'asporto (queste ultime, attività riservate ai più piccoli). Ma soprattutto si mangerà bene, e di gusto, con le proposte delle osterie di Roma e del Lazio che hanno aderito all'iniziativa: l'ingresso è libero, le consumazioni si ordinano direttamente agli stand delle singole osterie, in cambio di buoni ritirati alla cassa dopo pagamento di un contributo popolare al Tavolo Slow Food.

 

Il menu

Tutti i piatti interpreteranno lo spirito di Menu for change, l'iniziativa di Slow Food che combatte i cambiamenti climatici a partire dal cibo: materie prime del territorio, stagionalità, piccole produzioni, minimo scarto. In abbinamento i vini di 7 piccole cantine laziali, che presenteranno i prodotti autoctoni della regione, dalla passerina all'aleatico, passando per nero buono e bellone. La birra, invece, è quella di Altaquota, birrificio che ha continuato a produrre anche dopo il sisma che ha colpito Cittareale. Cosa si mangerà alla Festa delle Osterie? Di seguito l'elenco dei partecipanti e i piatti presentati da ciascuno di loro:

 

Osteria del velodromo vecchio

Vignarola

tortino alici indivia

 Da Cesare

Trippa alla romana

crostata di visciole

Pinzimonio

Totanetti al tegame con piselli ,mentuccia e pecorino

spezzatino di tonnetto con verdure estive e cous cous

Grappolo d’Oro

Salsicce di maiale con verdure selvatiche

pomodori di riso

Borgo Pio

Crostino con mozzarella bufala e alici marinate

polpo alla Borgo Pio

Roberto e Loretta

Lombrichelli all'amatriciana

crema zabaione con fragole

Ciao Checca

Lenticchie di Rascino del Presidio con burrata

 

Agriturismo La Polledrara

Insalata di farro monococco e verdure estive

salsiccia di bufalotto alla paprika affumicata con pane al pomodoro e fagioli a suricchio

L’Oste della bon’ora

Carcotto (Punta di vitella porchettata)

lasagna cacio e pepe

Spirito Divino

Panino nel bicchiere (Insalata di orzo, Marzolina del Presidio e frutti di bosco

maiale alla Mazio, antica ricetta della Roma dei Cesari

Pro Loco D.O.L.

Insalata fagioli del Purgatorio (Arca del Gusto)

 

Dar Parrucca

Ricotta di pecora maremmana con giardiniera Barikamà

lingua in salsa verde romana

Osteria Palmira

Panzanella abbrustolita

bollito alla Picchiapo'

Le tre porte

Trota marinata gravelux con muffin di lenticchie del territorio e maionese al lime

gricia vegetale con verza, radicchio rosso, olio, pecorino e pepe

In vino veritas

Timballino alla Bonifacio

carpaccio di bufalina

Briciola di Adriana

Cicoria ripassata con uvetta pinoli e polpette di maiale bollito

crostata rovesciata di prugne

Osteria di Monteverde

Insalata di nervetti, frutta e verdura

gnocchetti di pane con cozze, fagiolo bianco e cotiche

 

Osteria Social Food – Roma – Ex Cartiera Latina – il 9 e 10 giugno – www.slowfoodroma.it

 

a cura di Livia Montagnoli

Libri. Miscelare, manuale di miscelazione classica, moderna e contemporanea

$
0
0

Un libro sulla miscelazione comprensibile anche per chi è alle prime armi, che affronta diverse tematiche: dal ruolo del ghiaccio, alle strumentazioni necessarie, ai diversi ingredienti. In più un ampio ricettario con grandi classici e rivisitazioni.

 

Un altro libro sui cocktail? Sì, ma dobbiamo fare un passo indietro. In un momento di grande fermento e riscoperta della miscelazione da parte degli operatori, ma anche degli amatori, io e Giovanni (Ceccarelli, ndr)abbiamo voluto ribadire l'importanza della semplicità che non fa rima con banalità, offrendo strumenti concreti, attuali e lavorando su un ricettario libero da vincoli e completo a 360 gradi”. La dichiarazione di intenti di Federico Mastellari, autore del libro insieme a Giovanni Ceccarelli, è il fil rouge che unisce le 320 pagine di Miscelare.

Il libro

Il libro si divide in due parti. Nella prima, sono trattati gli argomenti necessari per capire un cocktail: il sapore (analizzando i cinque gusti), l'odore e i parametri che possono influenzare la percezione di entrambi. Poi c'è un'ampia analisi sul ghiaccio, che per gli autori è, tra tutti gli ingredienti, probabilmente il più importante perché permette di raffreddare i drink, di diluirli al punto giusto e di mantenerli freddi mentre vengono bevuti. Nell'analisi vengono spiegate anche le diverse tipologie e le tecniche di miscelazione a seconda del ruolo del ghiaccio.

Nella seconda parte si entra nel vivo degli altri ingredienti, dai prodotti alcolici allo zucchero, dalla frutta alle spezie. I due autori non trascurano nemmeno gli strumenti del mestiere, anche quelli più particolari come l'evaporatore rotante o il sonicatore; a che servono? Il primo a distillare, il secondo per produrre infusi. Infine, il libro include un ricco ricettario, con grandi classici e rivisitazioni, utile e comprensibile anche per chi è alle prime armi: ci sono, infatti, anche le spiegazioni passo passo delle preparazioni cosiddette home made, come l'honey mix, il pimento dram o i vari sciroppi. In poche parole, si tratta di un libro che non dà per scontato nulla e che, anzi, dà consigli anche su come trovare e trattare le materie prime.

Gli autori

Federico Mastellari è proprietario della scuola per barman Drink Factory dal 2003, quando a Bologna non esisteva ancora nessuna azienda che organizzava corsi di quel tipo. Una sfida vinta alla grande, tant'è che pochi anni più tardi ha pubblicato il suo primo libro (“I cocktail mondiali”) ed è diventato il protagonista del programma Aperitivi all'italiana su Gambero Rosso Channel. Oggi la sua scuola di formazione è una realtà ormai consolidata, ed è proprio grazie alla Drink Factory che Federico ha conosciuto nel 2010 Giovanni Ceccarelli,che con gli anni è diventato formatore e ideatore di un blog, dove affronta la miscelazione in ottica scientifica, parlando di materie prime, tecniche e strumenti.

Cocktail Milano Torino

La ricetta del Milano-Torino

Ingredienti

50 ml di Carpano Classico Vermouth

50 ml di Bitter Campari

Tecnica: Stir. Raffreddate il mixin' glass, versate gli ingredienti, aggiungete il ghiaccio e miscelate con movimenti circolari così da favorire il contatto ghiaccio-liquido. Filtrate nel bicchiere precedentemente raffreddato. Twist: limone.

 

Miscelare. Manuale di miscelazione classica, moderna e contemporanea - Federico Mastellari e Giovanni Ceccarelli - 320 pp - 29,90 €

 

a cura di Annalisa Zordan

Apre Condividere a Torino. Il ristorante di Federico Zanasi e Ferran Adrià nella Nuvola

$
0
0

Finalmente è arrivato il gran giorno: Condividere, il ristorante della Nuvola Lavazza ha aperto al pubblico. Da stasera è possibile sedersi negli spazi onirici inventati dal premio Oscar Dante Ferretti e gustare la cucina pensata da Ferran Adrià e creata da Federico Zanasi e dalla sua brigata di 20 giovani. 

 

Il pranzo inaugurale riservato alla stampa è stato una gran bella esperienza, che ha dato concretezza a quello che fino a oggi era un progetto messo a punto in due anni di ricerche e sperimentazioni di Adrià e Federico Zanasi, in sintonia con quella che entrambi definiscono “la famiglia”, ovvero la dinastia Lavazza. Che ha voluto fosse qui, a Torino, il suo quartier generale, che ha ormai ufficialmente aggiunto al suo logo il nome della città e la data del 1895, apertura della drogheria di via San Tommaso da cui tutto è cominciato, e ha deciso di aprire proprio qui, alla Nuvola, un ristorante immaginato insieme al suo guru gastronomico fin dai tempi del mitico E-spesso: Ferran Adrià.

Com’è Condividere

Degli spazi, abbiamo detto. Una sala colorata, allegra, vagamente barocca e ridondante negli arredi, oro e colori forti e una parete tutta orologi che segnano le ore dei luoghi del mondo da cui arriva il caffè. Cucina a vista, il bancone per pranzare guardando i cuochi al lavoro, i tavolini shabby-chic, legno, metallo, niente tovagliato (ma bei tovaglioli di lino firmati Frette), e niente posate, tranne una pinza piantata come un totem al dio cibo in un basamento-cubo.

Un’essenzialità che è un manifesto programmatico: qui il cibo si condivide, viene servito a centro tavola per tutti i commensali, che lo prendono e se lo mangiano il più possibile con le mani, aiutandosi con la pinza, e qualche volta con posate provvidenzialmente aggiunte alla bisogna. Il rapporto con il cibo è insomma immediato, fisico, conviviale.

Il cibo, appunto

C’è un menu presentato in un’impaginazione pop fra Andy Warhol e Roy Lichtenstein. E la gran parte dei piatti (50 in tutto, prezzi che variano molto, percorso degustazione a 70 euro) sono tapas, anzi all’italiana cicchetti, apribocca, insomma sfizi comodi da condividere e da mangiare anche senza posate.

Fitti di rimandi e omaggi: a Ferran Adrià certo, a cominciare dall’oliva sferica “El Bulli”, l’alice tartufata, poi il gelato al parmigiano “Bob Noto” che il vulcanico sommelier Mirko Feroce, ex di Piano 35, ricercatore infaticabile di vini e alcolici di nicchia- rigorosamente italiani e presentati nella carta dei vini per bouquet prima che per zone - propone con l’idromele, il tomino elettrico delle vecchie osterie piemontesi (che tomino non è…) e il roll di peperone e ventresca di tonno, nonché il tramezzino Mulassano (il caffè torinese dove nel 1923 è nato il tramezzino) che invece del pane è fatto di meringa, i goffri di farinata, la microtigella modenese (Zanasi è di Modena) e l’airbaguette con coppa iberica Joselito (per par condicio con Adrià). Un ammiccamento continuo alla Spagna e al Piemonte, insomma, con il filo conduttore sicuro dei prodotti quasi esclusivamente del territorio.

Che continua con gli immancabili agnolotti del plin (ma il ripieno è di ragù alla modenese, spiega lo chef che non voleva correre rischi di confronti local) serviti al tovagliolo ma anche da tuffare in un brodo di zucchine, alla maniera orientale: infatti si chiamano Dum Plin Marco Polo. L’ostrica bretone va “in Trentino” ovvero è servita con una neve di eucalipto e menta (ma ci sono altre varianti). Il risotto-  riso Carnaroli – è cotto all’iberica, riso secco, con anatra e anguilla e la pluma iberica  è accompagnata dal garum, versione un po’ addomesticata del condimento principe dell’antica Roma (Adrià nella sua enciclopedica fame di ricerca è rimasto affascinato dalle tradizioni romane e da una cucina italiana dalla storia così lunga e importante).

Per finire, il dessert. E qui tutto cambia, anche la location: si passa dietro alla parete degli orologi e ci si ritrova nel salotto del caffè, poltroncine post moderne colorate e relax. Qui dolci (spumone al rafano, frutta con gin o vodka…) si gustano con il caffè Lavazza, in una coffee experience assai piacevole.

Lo chef

Federico Zanasi, visibilmente emozionato e teso prima dell’inizio del pranzo, si è rilassato solo alla fine, quando ha capito che il meccanismo aveva funzionato alla perfezione. Gli abbiamo chiesto come vorrebbe che uscissero i clienti dal suo ristorante dopo un’esperienza così particolare e ha risposto senza esitazioni: “Con il sorriso. Per aver gustato una buona cucina, in uno spazio divertente e conviviale. Dove non c’è niente di precostituito e ognuno può decidere cosa gli piacerebbe mangiare. L’idea di condivisione era lontana dalla mia filosofia, l’ho imparata da Adrià. Lui ha dato il via a questa nuova strada della cucina italiana da condividere”.

 

Il deus ex machina

Lui, Ferran Adrià, si è materializzato verso le 14, a pranzo iniziato. Maglietta nera con un surreale pollo gigante sulla schiena, ha salutato velocemente ed è sparito in cucina, a incoraggiare la brigata (cui era stata tenuta nascosta l’ora del suo arrivo, onde evitare ansie da prestazione). E alla fine ha raccontato la “versione di Ferran” di Condividere. “Come El Bulli era nato per dare felicità ai clienti, anche Condividere ha un obiettivo di felicità: una felicità in questo caso informale, che possa piacere a tutti… Vicina in qualche modo al Tickets di Barcellona. Condividere è un posto dove la gente deve divertirsi con il cibo. E lo chef provare il piacere di creare, come Picasso o Mirò”.

Condividere in una parola è molto più di un nome: è una filosofia, un modo più leggero, allegro di prendere la vita, insieme. E di questi tempi, non è poco.

 

Condividere - Nuvola Lavazza – Torino -  via Bologna 20/A - 011/0897651- www.condividere.com  

Mart-ven, 19.30-22, sabato 12.30/14-19.30-22, domenica 12-30-14, chiuso il lunedì

 

a cura di Rosalba Graglia

foto di Dario Bragaglia (foto di apertura Andrea Guermani)

Dove mangiano gli chef in vacanza. I ristoranti del cuore di Igles Corelli, Emanuele Scarello e Francesco Apreda

$
0
0

Un pranzo vista mare o una cena romantica a un passo dalla spiaggia? Durante l'estate le tavole nelle località balneari sono meta di tanti appassionati che arrivano anche dalle città vicine. Ecco quali sono le preferite dei grandi chef italiani. 

 

 

Mangiare in spiaggia d'estate è una tentazione irresistibile. Ma un buon piatto di pesce può essere gustato anche altrove, purché la materia prima sia fresca, di alto livello e ben lavorata. Lo confermano alcuni fra i migliori chef italiani, protagonisti di questa nuova, insolita guida alle migliore insegne da provare in vacanza stilata proprio dagli addetti ai lavori. Tre chef, tre cucine diverse, tre zone d'Italia differenti: Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio. Per un totale di sei indirizzi imperdibili dove andare a rifugiarsi per una giornata libera al sapore di mare.

 

la capanna di Eraclio

Ristoranti d'autore fra mare e Po

A cominciare da La Capanna di Eraclio, ristorante della Bassa Ferrarese, a Codigoro, nel Delta del Po, insegna storica della famiglia Soncini, che con passione e competenza ha trasformato negli anni un'osteria per mezzadri in una meta gastronomica imprescindibile. Che ha come protagonista il pescato del giorno, quello della laguna e dell'alto Adriatico, lavorato con rigore e attenzione. A consigliarcelo, Igles Corelli, da 6 mesi alle prese con la sua ultima creatura, Mercerie, format unico che propone piccoli assaggi di alta cucina a prezzi accessibili nel cuore di Roma. “Secondo me, La Capanna di Eraclio è il miglior ristorante di pesce in tutta Italia. Il luogo ideale per un pranzo di alto livello, da sempre una garanzia”.

 

Le piramidi

Insieme a Le Piramidi al Lido di Spina, Comacchio, “perfetto per chi ama mangiare in spiaggia”, una cucina più semplice ma non per questo meno golosa: “Mi piace andare lì a rilassarmi, gustando piatti di pesce fresco di buona fattura”.

L'Isola Anfora e i piatti della laguna

Spingendoci più a Nord, invece, nel Friuli, per una giornata fuori porta fra le destinazioni da non perdere c'è l'Isola Anfora, villaggio di pescatori un tempo utilizzato dai romani come scalo e magazzino merci prima di arrivare ad Aquileia, e poi ancora teatro di guerra tra Austria e Italia. Un'isola all'estremità occidentale della laguna di Grado, collegata all'isola di Portobuso da una breve diga.

 

ai ciodi

Qui, per assaggiare una grande cucina di pesce c'è Ai Ciodi, trattoria della famiglia Tognon da più di 30 anni, dove è possibile gustare il meglio della tradizione gradese. “Il mio punto di riferimento per un giorno di relax totale: c'è anche la possibilità di rimanere a dormire”, commenta Emanuele Scarello, quinta generazione alla guida del locale nato come emporio, trasformatosi nel tempo in un punto d'aggregazione e divenuto poi uno dei migliori ristoranti della Penisola, Agli Amici dal 1887 di Udine. Uno chef talentuoso che sceglie di immergersi nella natura più incontaminata per fuggire alla routine. Rinfrancandosi il pesce pescato da Mauro e dai figli Piero e Cristiano, che lo lavorano con maestria in cucina: “Qui si mangia il vero pesce di qualità, cotto sempre alla perfezione”.

 

al cjsal

Le nuove leve della ristorazione italiana

Altra zona, altro indirizzo, “uno dei miei preferiti”. Quando ha voglia di concedersi un pasto di alto livello – al di fuori del suo ristorante – Emanuele si reca a San Michele al Tagliamento, in provincia di Verona: “Credo che Al Cjasal sia uno dei ristoranti da tenere maggiormente d'occhio. C'è un potenziale enorme in quella cucina, sono certo che i ragazzi, già molto bravi, continueranno a perfezionarsi sempre di più”. Un ristorante a gestione familiare nato alla fine degli anni '90 come semplice osteria di paese e diventato ormai da qualche tempo un vero tempio del gusto e dell'ospitalità. Al Cjasal può fare affidamento su un duo d'eccezione, Stefano e Mattia Manias, chef giovani ma con significative esperienze alle spalle (nei loro curricula si leggono nomi del calibro di Enrico Bartolini e Massimiliano Alajmo), e sulla pasticcera Elena Falliero. “Le loro mani, insieme, riescono a sfiorare le corde più intime della mia anima. La loro cucina è pura poesia”.

 

da romolo

Anzio: cucina schietta e sapori autentici sulla costa laziale

Per i buongustai capitolini, c'è invece la costa laziale, a cominciare da Anzio, tratto di litorale caratterizzato da sempre da una cucina schietta, legata alla piccola pesca locale. Come quella di Walter Regolanti, alla guida del ristorante di famiglia Da Romolo al Porto, locale con un pubblico trasversale che riesce comunque a garantire qualità senza compromessi a tutti i clienti, nonostante i grandi numeri. Un luogo dove la materia prima, proveniente dall'asta giornaliera, la fa da padrona, fra crudi eccellenti, grandi classici e felici abbinamenti estrosi. È proprio questa essenzialità mai banale a catturare anno dopo anno il palato di Francesco Apreda, da 11 anni al timone dell'Imàgo dell'Hotel Hassler, con i suoi piatti originali e centrati, frutto dell'unione fra le sue radici italiane (campane, per la precisione) e i suoi viaggi in giro per il mondo, che gli hanno permesso nel tempo di creare uno stile sui generis. “Frequento Romolo da molti anni e non mi ha mai deluso”.

 

Chinappi

Formia: i locali per grandi e piccini

Lo chef, però, è molto legato anche a Formia, località nella provincia di Latina forte di una tradizione gastronomica antica, e terra d'origine della moglie: “Torniamo spesso a Formia, sempre con molto piacere. Per mangiare, non abbiamo dubbi: Chinappi è imbattibile”. 61 anni di storia e due generazioni, per un'attività portata avanti nel tempo con serietà e passione, una tavola di mare per amanti del genere che in carta inserisce anche opzioni golose per chi predilige la carne. Un'insegna presente anche nella Capitale, dove è condotta da Stefano ed Elena, e che continua a stupire con i suoi piatti impeccabili abbinati a una carta dei vini di rango. Soprattutto, la perfetta oasi di pace per famiglie, con spazio all'aperto a misura di bambini, che da Chinappi potranno fare affidamento su un menu dedicato. “I miei figli si divertono molto ogni volta. E poi è il mio ristorante preferito per le cozze, declinate in tutti i modi possibili, uno più gustoso dell'altro. Per non parlare dei calamaretti alla votapiatto, una sorta di frittata di calamari: da provare!”.

a cura di Michela Becchi

GLI INDIRIZZI

Ai Ciodi – Isola Anfora (VE) - 3357522209 - www.portobusoaiciodi.it/

Al Cjasal - San Michele Al Tagliamento (VE) – via Nazionale, 30 - 0431510595 - alcjasal.it/

Chinappi – Formia (LT) – via Anfiteatro, 8 - 0771790002 - chinappi-formia.business.site/

Da Romolo al Porto – Anzio (RM) - Via Porto Innocenziano, 19 - 069844079 - www.facebook.com/Da-Romolo-Al-Porto-112347642158377/?ref=br_rs

La Capanna di Eraclio – Codigoro (FE) - località per le Venezie - 0533712154 - www.facebook.com/Ristorante-La-Capanna-Di-Eraclio-254933744638565/

Le Piramidi – Lido di Spina (FE) - via Vene di Bellocchio, 67 - 0533330419 - www.facebook.com/bagnolepiramidi/

GLI CHEF

Agli Amici dal 1887 – Udine – via Liguria, 252 - 0432565411 - www.agliamici.it/

Imàgo all'Hotel Hassler – Roma – piazza Trinità dei Monti, 6 - 0669934726 - www.hotelhasslerroma.com/en/restaurants-bars/imago/?utm_source=mybusiness&utm_medium=organic

Mercerie – Roma – via San Nicola de’ Cesarini, 4/5 – 3479714949  www.mercerie.eu

 

Bar Marathon a Milano. Una settimana alla scoperta dei migliori cocktail bar della città

$
0
0

Quinta edizione per il format ideato da Zero, che per la prima volta coinvolgerà oltre 50 locali della città in un circuito della miscelazione d’eccellenza, per una settimana dedicata a scoprire i cocktail d’autore dei bartender partecipanti. Grande festa conclusiva il 23 e 24 giugno da Base Milano. 

 

È il momento della miscelazione d’autore

Che il momento fosse propizio, ormai da qualche anno a questa parte, per una nuova fiammata della miscelazione italiana (la storia dell’ultimo secolo parla chiaro, non sono poche le invenzioni che portano la firma tricolore di quei bartender che hanno fatto il mito dell’aperitivo all’italiana) era evidente da segnali ricorrenti e ben distribuiti lungo l’arco della Penisola. Il proliferare di realtà per intenditori del genere da un lato: la ricerca per recepire nuove tendenze e stimoli in arrivo dal mondo della ristorazione (vedi l’imminente esordio di Scarto a Bologna), la riscoperta di distillati e prodotti locali che oggi abbondano sulle drink list dei cocktail bar nelle grandi città, il progressivo orientamento verso la sartorialità del drink. La promozione di una cultura del bere consapevole e di qualità dall’altro, con l’organizzazione di eventi ed appuntamenti che coinvolgono le personalità di spicco del settore. E richiamano un pubblico sempre più trasversale.

 

Bar Marathon a Milano

A Firenze si è chiusa di recente la terza edizione della Florence Cocktail Week, anche Torino ha sperimentato la sua all’inizio della primavera; dal 18 al 24 giugno, invece, toccherà a Milano, tra le città che maggiormente hanno trainato la crescita della moderna mixology, e oggi offre un bel compendio di validi indirizzi per cocktail addicted. Il format, ideato da Zero, ha già avuto modo di crescere negli anni passati, ma solo tra qualche giorno si presenterà all’appello strutturato come un’intera settimana dedicata alla miscelazione d’autore. Così, tra il 18 e il 22, la quinta edizione di Bar Marathon coinvolgerà oltre 50 tra i migliori locali della città chiedendo ai bartender di presentare durante gli orari di apertura un cocktail ideato per l’occasione, che affiancherà le proposte solitamente in carta. Poi, il 23 e 24 giugno, la festa farà tappa da Base Milano (zona Tortona) per la due giorni conclusiva che riunirà tutti i partecipanti dietro a un solo bancone: dalle 19 alle 3 i bartender si avvicenderanno in slot da un’ora ciascuna, servendo il proprio signature drink agli ospiti della manifestazione. Immancabile corredo musicale, djset, masterclass per imparare a miscelare un buon drink, stand delle aziende produttrici di distillati e prodotti per la miscelazione.

 

I locali coinvolti

All’evento prenderanno parte praticamente tutte le realtà di riferimento del bartending meneghino, anche se mancano all’appello i bar d’hotel (riportiamo l’elenco in ordine alfabetico): Al Cortile, Al Mercato, Atmosphere Pub, Backdoor43, Banco, Bar Basso, Barba, Blenderino, BOB Milano, Bond, Camparino in Galleria, Colibrì, Dabass, Deus Cafe Milano, Drinc., Dry & Dry Milano, Ego, ElitaBar, Filz, Garage Italia, Ghe Sem, Harp Pub Guinness, Idèal, Iter, Joy, Kanpai, Lab Milano Cocktail Bar, Lacerba, Le Biciclette, MaG Cafe, MAM Milano Amore Mio, Millemisture, Millino, Morgante Cocktail & Soul, Octavius Bar, Opera 33, Pinch, Pravda Vodka Bar, Rebelot, Rita & Cocktails, Sakeya, Santeria Social Club, Spices and Soul, Taglio, Terrazza Triennale, The Botanical Club Isola & Tortona, The Portal, Tibi Bistrot, Turné Night Bar, Twain, Twist on Classic, Un Posto a Base, Vertigo Bar, Wood*ing Bar. E seguendo i suggerimenti degli organizzatori la diffusione capillare delle insegne in città permetterà anche di seguire percorsi tematici per dare un senso al proprio tour dei cocktail bar: lungo i Navigli tra un drink dai ragazzi del Pinch e un grande classico da Rita o la tappa obbligata al Mag Cafe; nel cuore pulsante di Isola per scoprire la miscelazione wild del Wood*ing bar e le proposte del nuovo arrivato Bob; tra Porta Genova e Tortona, muovendosi tra Taglio, Un Posto a Base, The Botanical Club. Due tour al giorno con partenza alle 18.30 (per informazioni alessia@edizionizero.com).

 

Bar Marathon – Milano – dal 18 al 24 giugno (il 23 e 24 ingresso gratuito da Base con prenotazione obbligatoria su Eventbrite) – per informazioni www.facebook.com/events/249472402459014/

 

a cura di Livia Montagnoli

foto di Giovanni Burroni

Il miglior olio della Puglia. La produzione regionale e le aziende

$
0
0

Tre produttori, stessa provincia. In Puglia è la zona di Bari a distinguersi per la qualità dell'extravergine, grazie al lavoro di aziende specializzate che di anno in anno continuano a presentare oli di alto livello. La loro storia.

 

L'olivicoltura pugliese

Impossibile immaginare il paesaggio pugliese, dall'entroterra alla costa, dal barese al Salento, senza i suoi attori protagonisti: gli ulivi. Un territorio da sempre legato a doppio filo all'olivicoltura, con numeri che – insieme a quelli dell'Andalusia – rappresentano il 33% dell'intera produzione mondiale. Una regione in cui l'annata 2017 è stata molto variabile a seconda della zona, per via della siccità estiva e delle alte temperature prolungate. Gli olivicoltori attrezzati con impianti di irrigazione, però, hanno saputo far fronte all'ondata di calore, dimostrando ancora una volta la forza produttiva della Puglia, che continua a fare affidamento sul carattere deciso ed esuberante delle sue cultivar autoctone: l'amara e piccante coratina, la più delicata ogliarola barese, con sentori di erbe aromatiche e mandorle, l'ogliarola leccese con le sue nuance fiorite, la peranzana e la sua nota di pomodoro e la singolare cellina di Nardò, tutta giocata su profumi di valeriana ed erbe amare, se raccolta in tempo, oppure caratterizzata da sensazioni di frutti di bosco se raccolta più tardi. Tanto per citarne alcune.

Una terra generosa, florida e sfaccettata, nei suoi paesaggi così come nelle sue colture. Per comprenderla meglio, abbiamo deciso di farcela raccontare dai produttori che quest'anno si sono aggiudicati i premi speciali nella guida Oli d'Italia 2018.

 

Intini

Olio Intini: l'arte del blend

Conoscitore esperto delle varietà pugliesi, Pietro Intini sa bene che ogni oliva necessita di particolari attenzioni. Cresciuto fra gli ulivi nell'azienda presa in gestione dal nonno negli anni '50, l'olivicoltore ha contribuito molto alla crescita dell'attività e della produzione locale. Installando due diverse linee di lavorazione nel 2003 e poi, nel 2011, apportando altre modifiche all'impianto con le ultime tecnologie. A vincere il premio speciale oggi è l'Affiorato, sapiente blend di coratina e peranzana. Durante l'anno, Pietro mescola i due oli monocultivar in proporzioni diverse: “Si tratta di un blend che varia da gennaio a ottobre. Per quanto filtrati e ben stoccati, i due prodotti si evolvono col tempo, per cui bisogna assaggiare di continuo e creare nuove armonie. Per esempio, col passare del tempo aumento la percentuale di coratina, che conferisce più stabilità all'olio”.

 

Pietro Intini

Il valore dei monocultivar

Nonostante il blend sia il fiore all'occhiello dell'azienda, un ruolo fondamentale per la diffusione della cultura dell'extravergine di qualità lo giocano i monovarietali: “Per far capire al pubblico il valore della biodiversità italiana, è necessario produrre dei monocultivar di pregio. Solo in questo modo si può pensare di formare consumatori consapevoli, in grado di comprendere e apprezzare a pieno un giorno anche i blend”.

Il frantoio

Tutte le cultivar passano in frantoio, dove coesistono quattro sistemi di frangitura, con tre linee di lavorazione a due fasi firmate Mori e diversi metodi di gramolazione. “Abbiamo inserito quest'anno la terza linea, quella per i “cru”, le selezioni più pregiate. Ancora non l'abbiamo utilizzata; staremo a vedere nella prossima campagna”. Le lavorazioni, in qualsiasi caso, non superano mai i 24°C, “per la coratina ci teniamo sui 20/21° al massimo, mentre la peranzana può sopportare anche 23/24° C”. Questo perché la peranzana è un frutto medio-piccolo, coriaceo, più resistente e dalla polpa croccante, mentre la coratina “è più tenera, acquosa, per cui soffre di più gli incrementi di temperatura”.

La cultivar misteriosa

Nell'ultima intervista con Pietro, eravamo venuti a conoscenza di una cultivar ancora sconosciuta: 400 piante di un'oliva tutta da scoprire. A un anno di distanza, sono ancora poche le informazioni al riguardo, ma procedono le ricerche. “L'abbiamo fatta analizzare dall'Istituto Agrario di Locorotondo ma per ora non si riesce a venirne a capo. Le piante sono già state messe a dimora, stanno bene e sembrano vigorose: non appena inizieranno a produrre, faremo fare il test del dna delle olive”. Bisognerà quindi attendere ancora tre anni per capire l'origine di questa drupa sconosciuta. Nel frattempo, continua l'evoluzione di un'azienda instancabile, che non smette di sorprenderci. “Fino a oggi abbiamo utilizzato una parte della raccolta, quella leggermente più matura, per creare etichette più semplici, meno impegnative, e ottimizzare il rapporto qualità/prezzo. Un principio che vogliamo continuare a portare avanti, ma aumentando lo standard qualitativo grazie al potenziamento del frantoio”.

 

Depalo

Depalo-Oleà: necessitate virtute

Creare oli di livello a prezzi competitivi: è proprio su questo che ha puntato Depalo-Oleà, azienda di Giovinazzo che si è aggiudicata il premio come miglior rapporto qualità/prezzo grazie a Giove Monocultivar Coratina. Insieme, papà Luigi e Savino Depalo curano le loro 10mila piante di ulivi, in parte lascito del nonno di Savino, in parte frutto del lavoro iniziato da Luigi quando aveva solo 17 anni. “Mio papà ha intrapreso la strada dell'agricoltura per mandare avanti la sua famiglia dopo la morte di mio nonno. Per 30 anni si sono prodotte solo olive da mensa: da quando sono subentrato io 4 anni fa è nato il marchio aziendale e abbiamo iniziato a dedicarci all'extravergine”. Nel 2015 nasce il punto vendita nel centro storico di Giovinazzo, con laboratorio di imbottigliamento annesso, e si amplia la gamma di prodotti, con patè, taralli e sottoli. Una storia che nasce dalla necessità di superare un momento critico ma che, come spesso accade, trova il suo lieto fine con una delle migliori produzioni della Puglia di oggi.

 

Depalo

Lavorazione e progetti per il futuro

Coratina e ogliarola barese, “spesso trascurata dai produttori locali perché dà una resa inferiore”, sono le cultivar dell'azienda, piante secolari che danno vita a frutti e oli diversi: Giove, Perseo, blend delle due, e Danae Monocultivar Ogliarola Barese. Nessun frantoio aziendale, ma un punto di fiducia in zona: Salvatore Stallone, titolare de Le Tre Colonne, da anni una delle aziende migliori della regione. “Abbiamo ormai dei ritmi stabili per la frangitura. Portiamo prima le partite raccolte fra le 7 e le 10 di mattina, poi il secondo carico alle 13, in modo da garantire la massima qualità a tutte le olive, che vengono molite entro due ore dalla raccolta”. Un'azienda in crescita, basata sul lavoro di poche persone, “siamo io, papà, alle volte mia madre e un paio di operai: anche per questo riusciamo a contenere i prezzi”. Che si aggirano attorno agli 8 euro per una bottiglia da 500 ml acquistata nel punto vendita aziendale. In cantiere, l'idea di creare un frantoio proprio, “ma soprattutto costruire una casa di campagna per ospitare i clienti e organizzare percorsi incentrati sulla degustazione di olio”.

Le Tre Colonne: il frantoio di riferimento in Puglia

Nel frattempo, l'azienda continuerà ad affidarsi al talento straordinario di Salvatore, punto di riferimento nel territorio per la molitura d'eccellenza. Agronomo esperto che di anno in anno continua a regalare piacevoli sorprese a tutti gli amanti dell'oro verde con etichette di prima scelta, le sue, ma anche quelle di chi si rivolge a lui. Tre bottiglie, tre Tre Foglie (massimo riconoscimento per la guida), tre oli capaci di emozionare con la loro personalità ed eleganza. A cominciare dal De Monocultivar Coratina Denocciolato, un fruttato intenso con profumi freschi di erba falciata, note vegetali e un amaro e un piccante equilibrati e armonici. Ma ci sono anche Le Selezioni Monocultivar Coratina, tutto carciofo e mandorla, e Le Selezione Armonia, blend di favolosa, picholine e coratina, balsamico e intrigante. Non c'è da stupirsi, dunque, che sia proprio lui a ricevere il premio come miglior frantoio dell'anno.

 

Le tre colonne

Lo sviluppo dell'azienda

Entrato in azienda nell'86, Salvatore ha creato il marchio nel 2009 in seguito all'ingresso del figlio, “una delle “tre colonne” portanti, che siamo io, mio padre e mio figlio Michele”. Comincia così un percorso di studio e ricerca che porta l'olivicoltore a specializzarsi sempre di più. Nel 2013 arriva il primo frantoio della Toscana Enologica Mori: “da allora, ogni anno abbiamo apportato qualche cambiamento ai macchinari per restare sempre al passo con i tempi”. Ora, per esempio, c'è un nuovo sistema refrigeratore “per far fronte alle alte temperature delle ultime campagne”, e tre linee di lavorazione.

Far fronte alle annate difficili

Oltre alle conoscenze dei macchinari, però, un bravo frantoiano deve avere anche delle buone capacità di interpretazione delle cultivar: “La qualità dell'olio si fa anche in frantoio, ma prima di tutto in campo. Tutto l'anno”. Attraverso le potature “piuttosto regolari, al massimo ad anni alterni ma non oltre, perché una distanza prolungata potrebbe stressare la pianta” e i sistemi di irrigazione “necessari considerando i cambiamenti climatici degli ultimi tempi. Non possiamo permetterci di creare un anno degli oli eccellenti e quello seguente dei prodotti più deboli. Indipendentemente dagli ostacoli, noi produttori dobbiamo arrivare preparati. Garantendo una qualità stabile ai consumatori”.

 

Coratina

Conoscere le piante

Solo in questo modo si può pensare di raggiungere livelli alti e soprattutto costanti nel tempo. “Un frantoiano deve saper trattare le diverse olive. La coratina, per esempio, è stata per tempo bistrattata qui in zona, utilizzata solo per i blend. Molti pensavano che fossi pazzo all'inizio, quando ho cominciato a lavorarla singolarmente. Se si comprendono le necessità delle varie cultivar, non esistono lavorazioni impossibili”. Ecco il segreto di un bravo produttore: “Bisogna parlare con le piante, ascoltarle. C'è bisogno di un dialogo aperto e continuo con la natura. La prima regola per intraprendere questo mestiere? Innamorarsi degli ulivi. Che sono all'origine di tutto”.

I migliori oli della Puglia

Tre Foglie

Giove Monocultivar Coratina - Depalo – Oleà - Giovinazzo (BA) - www.oliodepalo.it

Monocultivar Peranzana - Donato Conserva - Olio Mimì - Modugno (BA) - www.oliomimi.com

Tenuta Arcamone Dop Terra di Bari Bitonto Bio - Frantoio De Carlo - Bitritto (BA) - www.oliodecarlo.com

Posta Locone Monocultivar Coratina Bio - Fratelli Ferrara - Canosa di Puglia (BT) - www.fratelli-ferrara.it

Le Monocultivar – Peranzana - Guglielmi dal 1954 - Andria (BT) - www.olioguglielmi.it

De Monocultivar Coratina Denocciolato - Le Tre Colonne - Giovinazzo (BA) - www.letrecolonne.com

Le Selezioni Armonia - Le Tre Colonne - Giovinazzo (BA) - www.letrecolonne.com

Le Selezioni Monocultivar Coratina - Le Tre Colonne - Giovinazzo (BA) - www.letrecolonne.com

Monocultivar Coratina – Leuci - Giovinazzo (BA) - www.agricolaleuci.it

Monocultivar Coratina Bio - Nicola Monterisi - Andria (BT) - www.oliomonterisi.com

Affiorato - Olio Intini - Alberobello (BA) - www.oliointini.it

Oro di Rufolo Monocultivar Ogliarola Barese – Ortoplant - Giovinazzo (BA) - www.orodirufolo.it

Don Gioacchino Dop Terra di Bari Castel del Monte Monocultivar Coratina - Sabino Leone - Canosa di Puglia (BT) - www.sabinoleone.it

Crudo SeiCinqueZero Monocultivar Coratina – Schiralli - Binetto (BA) - www.crudo.it

Grandi Oli Monocultivar Coratina – Scisci - Monopoli (BA) - www.agriscisci.it

Olio Extravergine di Oliva Bio - Tenuta Venterra - Grottaglie (TA) - www.tenutaventerra.it

Infiore Monocultivar Coratina - Tommaso Fiore - Terlizzi (BA) - www.olioinfiore.com

lucia di meo Monocultivar Coratina Bio - Valentina Lorizzo - Trani (BT) - www.oliodimeo.com

Due Foglie Rosse

Monocultivar Carolea Bio - Adriatica Vivai - Profumi di Castro - Fasano (BR) - www.profumidicastro.it

Opera Delicato Bio – Agrolio - Andria (BT) - www.agrolio.com

Monocultivar Coratina Denocciolato - Antico Frantoio Muraglia - Andria (BT) - www.frantoiomuraglia.it

Monocultivar Coratina – D'Erchie - Montemesola (TA) - www.olioderchie.com

Danae Monocultivar Ogliarola Barese - Depalo – Oleà - Giovinazzo (BA) - www.oliodepalo.it

Perseo - Depalo – Oleà - Giovinazzo (BA) - www.oliodepalo.it

Schinosa - Di Martino - Trani (BT) - www.schinosa.it

Monocultivar Coratina - Donato Conserva - Olio Mimì - Modugno (BA) - www.oliomimi.com

Monocultivar Ogliarola - Donato Conserva - Olio Mimì - Modugno (BA) - www.oliomimi.com

Il Rosone Monocultivar Coratina – Elaiopolio - Ruvo di Puglia (BA) - www.il-rosone.it

Olio Extravergine di Oliva No.2 Monocultivar Coratina - Francesco Frisino - Palagiano (TA) - www.frisino.com

Gran Pregio Cuvée Bio - Maria Caputo - Molfetta (BA) - www.oliogranpregio.com

Monocultivar Cima di Melfi Bio - Maselli - Alberobello (BA) - www.oliodellemurge.it

Monocultivar Coratina – Maselli - Alberobello (BA) - www.oliodellemurge.it

Monocultivar Cima di Melfi - Oleificio Pietro Salamida - Alberobello (BA) - www.oleificiosalamida.it

Monocultivar Coratina - Olio Intini - Alberobello (BA) - www.oliointini.it

Oro di Rufolo Don Gaudio – Ortoplant - Giovinazzo (BA) - www.orodirufolo.it

Oro di Rufolo Monocultivar Coratina – Ortoplant - Giovinazzo (BA) - www.orodirufolo.it

La Patràun Monocultivar Peranzana - Sabino Leone - Canosa di Puglia (BT) - www.sabinoleone.it

Crudo Monocultivar Ogliarola – Schiralli - Binetto (BA) - www.crudo.it

Grandi Oli L'Olio di mia Figlia – Scisci - Monopoli (BA) - www.agriscisci.it

Grandi Oli Monocultivar Peranzana - Scisci - Monopoli (BA) - www.agriscisci.it

Unico Monocultivar Peranzana - Visconti Storie di Terra - Torremaggiore (FG) - www.oliovisconti.it

a cura di Michela Becchi

Oli d'Italia 2018 – Euro 13,90 – disponibile in libreria e online

Oli d'Italia 2018, la guida dedicata all'olio extravergine di oliva. Ecco i premiati

Il miglior olio della Sicilia. La produzione regionale e le aziende

Il miglior olio dell'Umbria. La produzione regionale e le aziende

Il miglior olio dell'Abruzzo. La produzione regionale e le aziende

Il miglior olio della Campania. La produzione regionale e le aziende 

Olio extravergine di oliva. Glossario essenziale per conoscere l'oro verde 

Le cucine del mondo al Suq di Genova con Chef Kumalè. Il valore del dialogo

$
0
0

14 cucine dal mondo, spettacoli di cucina che invitano all’incontro tra piatti e persone, raccontando il valore dello scambio. Anche il cibo gioca il suo ruolo all’interno del Suq allestito al Porto Antico di Genova, per la 20esima edizione della rassegna di teatro sociale che inneggia alla diversità. Dal 15 al 24 giugno. 

Teatro sociale per fare umanità

Nasce come rassegna teatrale improntata al dialogo, dove lo spazio della rappresentazione diventa palcoscenico ideale per mescolare lingue, culture, tradizioni e sapori. E 20 anni dopo la sua edizione di esordio, il Suq di Genova è ancora un punto di riferimento per chi crede che la complessità del mondo e la diversità culturale siano valori da coltivare. Nel tempo la manifestazione è cresciuta, senza perdere di vista l’obiettivo di seminare cultura per fare umanità e promuovendo l’idea di un teatro multisensoriale che intreccia musica, danza, incontri, laboratori e pure le cucine del mondo che si incontrano nel mercato del cibo estemporaneo allestito al Porto Antico di Genova. Quest’anno il festival va in scena dal 15 al 24 giugno (e poi il 30, con una data speciale, al Museo Balzi Rossi di Ventimiglia), presentando 8 spettacoli sui temi Donne, isole, frontiere, scelti per festeggiare il 20esimo compleanno della manifestazione. Il cartellone coinvolge così tante donne straordinarie – da Teresa De Sio al Coro delle Mondine, alla musicista Djana Sissoko – ma si compone pure di molte performance diverse (un centinaio in tutto gli eventi in programma, l’ultimo, a Ventimiglia, simbolicamente a poche centinaia di metri da una frontiera molto discussa) sui palcoscenici allestiti in città, per dimostrare che la parola suq, spesso usata in modo dispregiativo per indicare confusione, esprime invece il valore aggiunto di una rassegna che sulla possibilità di confondersi con gli altri ha fondato la sua missione.

 

Le Cucine del Suq

Come sempre, contribuiscono a movimentare la festa le Cucine del Suq, quest’anno orientate a celebrare il dialogo del cibo italiano con le culture gastronomiche del resto del mondo, per onorare l’Anno del cibo italiano da una prospettiva inedita: 14 le cucine etniche riunite in piazza sotto la supervisione di Vittorio Castellani, alias Chef Kumalè, da anni curatore dello spazio gastronomico del festival, e protagonista sul palco degli showcooking che si avvicenderanno tutti i pomeriggi per raccontare come la cucina possa essere territorio di confronto e incontro senza barriere. Dunque il pubblico del Suq sarà chiamato a scoprire, e assaggiare, pietanze eritree, senegalesi, indiane, marocchine, sudamericane, persiane, tunisine, giordano-palestinesi, arabe, spagnole, ghanesi, messicane: “Il cibo aiuta a digerire gli altri”, spiega con una battuta che porta con sé molta verità Chef Kumalè. Gli fa eco un’altra storica presenza del festival, Nabil, cuoco arabo che ha preso parte alla manifestazione sin dalla prima edizione: “In tutto il mondo gli ingredienti sono uguali, ciò che cambia è il modo di cuocerli e mescolare per creare i propri piatti. In arabo per dire che siamo amici si dice ‘abbiamo mangiato insieme pane e sale’, che vuol dire il massimo dell’amicizia”.

 

Il tè, il cibo di strada, la cucina mediterranea

Quest’anno lo spazio dedicato alla cucina ospiterà pure un angolo di approfondimento sulla cultura del tè, per scoprire com’è servito e cosa rappresenta nelle diverse nazioni rappresentate, in abbinamento a dolci e piatti speziati che raccontano le cucine del bacino mediterraneo. Sul palco, invece, si parte il 16 giugno alle 18 con Panzerotti vs Samosa: quando le cucine di strada fanno fagotto; seguono narrazioni sulla cucina armena, un cammino di scoperta tra le spezie del suq dedicato ai bambini, lo spettacolo del cibo mediterraneo con i cuochi di Genova Gourmet. E ancora l’aperitivo solidale e l’incontro su Ananas&banane, due icone della frutta tropicale che raccontano una lunga storia, dall’epoca coloniale al mercato globale. Intanto, per tutta la durata della manifestazione, al Bazar dei popoli sarà possibile assaggiare piatti tipici ghanesi, kebab e tè alla menta, gastronomia eritrea, birre dal mondo, specialità tunisine, cucina vegana e crudista, con la collaborazione di diversi ristoranti etnici della città che si ritrovano al Porto Antico per la festa. Tutti i giorni, dalle 16 alle 24, a ingresso libero (a pagamento solo gli spettacoli teatrali).

 

Suq – Genova – Porto Antico – dal 15 al 24 giugno – www.suqgenova.it

Il lusso sostenibile di Simone Zanoni a Le George. Uno chef italiano a Parigi per ripensare la cucina di un grande hotel

$
0
0

Dal 2016 Simone Zanoni, da Salò, è alla guida del ristorante mediterraneo del Four Seasons di Parigi. Da un anno lavora a un progetto che fa leva sulla sostenibilità ambientale e la lotta allo spreco per ripensare la cucina di un hotel blasonato. Tra orti cittadini, compostaggio e sensibilizzazione degli ospiti. 

Nella cucina di un grande hotel

Le cucine degli alberghi di lusso, in tutto il mondo, si portano dietro una cattiva etichetta: 'quanto cibo sprecheranno per garantire gli standard della struttura?' si chiedono in tanti. Una riflessione che in parte è giustificata: arriviamo a generare anche 100 chili di scarto alimentare ogni giorno, per 100-150 coperti! Da noi il pane in tavola deve essere sempre fresco, la frutta perfetta, le imperfezioni sono bandite”. Va dritto al punto, Simone Zanoni, raccontando quello che negli ultimi mesi è stato il suo pensiero costante. Lui, stimato chef italiano alla guida di una delle più prestigiose insegne di Parigi, dal 2016 ha incrociato il suo destino con quello de Le George, il ristorante improntato alla cucina mediterranea (e italiana) del Four Seasons Hotel George V, che alla voce offerta gastronomica può vantare pure la cucina del tristellato Le Cinq, condotto da Christian Le Squer.

Su Simone Zanoni - nato a Salò, con un passato blasonato in molti ristoranti londinesi, e poi alla guida dell'insegna di Gordon Ramsay al Trianon Palace di Versailles – invece, dal 2017 brilla una stella Michelin, arrivata a premiare una cucina che privilegia la materia prima e coinvolge gli ospiti con i profumi di una proposta moderna aperta alle influenze del Mediterraneo e dell'Italia. Da qualche tempo, però, l'impegno più pressante - con il fondamentale appoggio della struttura alle spalle – è stato quello di concretizzare una strategia che rivoluzioni il lavoro in cucina sulla base della sostenibilità, con particolare attenzione a ridurre gli sprechi: “Siamo liberi di scegliere come agire, ma come cuochi abbiamo anche una missione concreta, che ci impedisce di chiudere gli occhi davanti a un'abitudine così consolidata come lo spreco di cibo”.

Il Domaine di Madame Elisabeth

La strada intrapresa da Simone (mentre in parallelo Le Squer ha abbracciato un progetto legato alla tutela degli oceani e della fauna ittica) è legata a doppio filo con l'opportunità di disporre di 8 ettari di terreno a Versailles: anticamente di proprietà della principessa Elisabetta – sorella minore di Luigi XVI, di cui il nome Domaine di Madame Elisabeth conserva la memoria – oggi l'appezzamento agricolo appartiene al Dipartimento di Yvelines, aperto al pubblico dal 2016 e coltivato in collaborazione con l'equipe messa a disposizione dal Comune. Lo scopo ultimo è quello di dare origine a un circuito virtuoso per la produzione di ortaggi e verdure locali, stimolando al contempo l'occupazione e il reinserimento sociale (sono 20 le persone al lavoro nelle cosiddette Brigades Vertes, progetto comunale per il reintegro sociale, mentre parte del terreno è a disposizione per i senzatetto tutelati dall'associazione Colibri) e destinando gli scarti di lavorazione e gli avanzi del ristorante al compostaggio per fertilizzare i terreni dell'orto. “Il Four Seasons di Parigi ha conquistato la fama diventando il primo “Palace” della città a sommare 5 stelle Michelin (al computo bisogna aggiungere il macaron conquistato dall'Orangerie, terza insegna dell'hotel, ndr); è importante che prosegua sulla strada dell'eccellenza orientando le scelte della ristorazione verso un futuro improntato alla responsabilità ambientale”. Per questo, oggi, con orgoglio, anche Simone si fa ambasciatore dello slogan “palace engagé” (palazzo impegnato), che già da qualche mese orienta il suo approccio alla cucina: “Non volevo assolutamente derogare alla qualità della nostra proposta, ma sentivo la necessità di cambiare qualcosa. Nella prima fase di sperimentazione con l'orto di Versailles abbiamo avuto risposte molto incoraggianti: lavoriamo 100% organico, e nonostante il clima non sia dei migliori stimiamo di riuscire a produrre circa 2mila chili di verdure all'anno, tra carote, pomodori, zucchine, patate. Il 30-40% di questa produzione sarà destinato al ristorante, dove ci impegniamo a proporre solo verdure stagionali”.

Limoni e basilico a Parigi

A Versailles, Simone potrà disporre anche di una serra fredda di 200 metri quadri dove ha fatto piantare i limoni del lago di Garda, i sapori dell'infanzia che tornano prepotenti: “Servono anche per la nostra produzione di miele al limone, possiamo disporre di circa 16 arnie dislocate nel parco”. Mentre nella serra riscaldata si coltivano erbe aromatiche, menta (co-protagonista, insieme ai limoni, di un piatto signature del Le George, i Tortelli menta e limone) e basilico, che da qualche settimana arriva anche sui tavoli del ristorante: “Regaliamo agli ospiti un vasetto di terracotta con terriccio ricavato dal nostro compost e qualche seme di basilico da far crescere in casa. È un'idea carina per sensibilizzare i clienti, condividere il nostro impegno”.

 

Il riuso degli scarti. Il compostaggio

Il processo di compostaggio (“fondamentale per chiudere il cerchio, e abbracciare finalmente una politica efficiente sugli scarti alimentari”), infatti, riveste un ruolo fondamentale nel progetto: “Collaboriamo con l'associazione Les Alchimistes, fondata da Fabien Kenzo Kato e Alexandre Guilluy per trasformare i rifiuti in risorsa. Il loro merito è quello di aver perfezionato una formula chimica per accelerare il processo di compostaggio ed evitare l'incenerimento degli scarti attraverso un sistema elettromeccanico, che non impoverisce il compost in termini di azoto, fosforo e potassio”. In parole semplici, gli scarti trattati secondo il metodo Les Alchimistes richiedono solo un paio di mesi (anziché 6-7) per restituire un compost naturale, di alta qualità, molto nutriente e 100% made in Parigi. Che Le George ora contribuisce a produrre, per poi beneficiarne direttamente nell'orto. E in cucina.

 

Tutti nell'orto

Del resto, ricorda oggi Simone, il suo primo rapporto con il cibo è legato proprio alla fattoria di famiglia e al consumo dei prodotti di stagione: “Mangiavamo le nostre uova, i salumi prodotti in casa con i maiali di proprietà, le verdure dell'orto. Sono cresciuto con l'idea che la semplicità sia un valore da proteggere. E sono convinto che si possa parlare di buone pratiche anche da un palcoscenico così blasonato... Anzi, ne abbiamo il dovere!”. Agli orti di Versailles tutto procede secondo procedure ben più tecnologiche, sotto la guida dell'agronomo Mickael Duval: si selezionano i semi più resistenti e le varietà strategiche per la cucina del ristorante - “la sperimentazione è iniziata nella primavera 2017, oggi abbiamo diverse varietà di pomodoro, melanzane, fagiolini, zucche, barbabietole, pesche, fragole... E tutte gustosissime” - si riutilizzano perfino i fondi del caffè del ristorante per produrre una varietà di menta firmata Le George al sentore di caffè. E anche lo staff del ristorante partecipa alle attività: “Siamo nei campi almeno 2 o 3 volte alla settimana: mi è capitato di avere giovani cuochi in squadra che non avevano mai visto una zucchina nell'orto. Dobbiamo formarci noi, prima di pensare a educare i clienti”. Non a caso, il prossimo step sarà quello di mettere a disposizione dei clienti una macchina elettrica per visitare gli orti insieme allo chef: “Un servizio esclusivo come ci si aspetta dal gruppo Four Seasons, ma legato alle tematiche che ci stanno a cuore”.

 

Lusso sostenibile. É possibile?

E continua, con un entusiasmo genuino, Simone: “Non invento nulla, molti prima di me hanno intrapreso questa strada. Basti pensare ai grandi esempi di Alain Passard o Alain Ducasse, ma anche a Thomas Keller, che 15 anni fa già produceva da solo il 98% delle verdure per il suo ristorante. Sono passati più di 10 anni da quando mi spiegava la sua idea, oggi a 41 anni anch'io voglio dare il buon esempio”. E l'idea passa anche in menu: “Propongo un carpaccio di tonno consono alla nostra offerta? Con gli scarti ci faccio un arancino di tonno, ugualmente gustoso. Se ho del cervo, con le ossa faccio la salsa, con il grasso produco il lardo. Devo utilizzare il 95% del prodotto, è anche un discorso di sostenibilità economica: i piccoli ristoranti sono già obbligati a farlo, il ristorante di un grande albergo, invece, non è pensato per fare profitto, ma solo per fornire un servizio di livello al cliente e tenere alta l'immagine dell'hotel all'esterno. Non siamo pagati per portare guadagno, ma per regalare un bel momento al cliente. Però chi l'ha detto che non possiamo cominciare a ragionare in modo diverso? Io ci credo, possiamo dare l'esempio”.

 

Le George - Four Seasons Hotel - Parigi - avenue George V, 31 - www.legeorge.com 

 

a cura di Livia Montagnoli

 

La Meglio Gioventù della ristorazione a Milano per la festa benefica di Italia Squisita

$
0
0

Una trentina tra chef, pizzaioli, pasticceri, bartender, e tutti accomunati dall'entusiasmo e dalla giovane età: sono loro “la meglio gioventù” protagonista alla cena evento di Italia Squisita, per aiuta re la Fondazione Bertini e la sua idea di smart working. 

Una cena solidale che è anche festa

Non è nuova a organizzare eventi gastronomici a sfondo benefico, Italia Squisita. E anzi, l'appuntamento con la festa di primavera messa in scena grazie alla collaborazione di chef, pasticceri, pizzaioli e professionisti della ristorazione che ogni anno rispondono con entusiasmo alla chiamata è diventata un must del calendario gastronomico meneghino (da un paio d'anni, l'appuntamento raddoppia anche nella Capitale). A beneficiare della serata, e dei proventi versati dai partecipanti – 35 euro la base d'offerta per prendere parte alla festa - la Fondazione Gaetano Bertini Malgarini Onlus, che presterà per una sera i suoi spazi all'organizzazione dell'evento, ma ogni giorno è impegnata nel sostegno di persone con disagi psichici, per aiutarne l'inserimento nel mondo del lavoro attraverso un progetto fondato sulle opportunità del lavoro a distanza (Job Stations), che garantisce un ambiente protetto e familiare a chi difficilmente sarebbe in grado di gettarsi nella mischia da solo. Quest'anno il tema verte più che altro sulle caratteristiche di chi cucinerà per gli ospiti della festa (l'11 giugno, dalle 19.30): giovani di talento che hanno già saputo imporsi sulla scena gastronomica nazionale, La meglio gioventù della ristorazione italiana.

 

La meglio gioventù. Protagonisti e menu

Quindi spazio a cuochi, pizzaioli, pasticceri, mixologist, maitre accomunati dall'anagrafe e dalla voglia di raccontare il proprio punto di vista: una trentina in tutto per mettere insieme una cena itinerante tra stazioni del gusto, con il pubblico chiamato a scegliere in autonomia il proprio percorso di assaggi, tra un tavolo e l'altro. Tra gli chef Francesco Brutto di Undicesimo Vineria – che risponde all'appello con Seppie di Porto Santo Spirito, daikon, camomilla a aglio nero – Luca Catalfamo (Casa Ramen) tra i protagonisti che giocano in casa, con i dumpling di maiale al doppio wasabi; e poi Federico D'Amato per portare un pizzico di cultura emiliana, con trippa di crosta di Parmigiano, uovo croccante e insalata di pasta, e Andrea Leali (Casa Leali) con animelle alla milanese. O ancora Davide Puleio fresco chef de L'Alchimia di Davide Tasinato, con finti straccetti di manzo, peperoni e crema di rucola,Iwai Takeshi dalla cascina di Ada e Augusto, con carne battuta, panzanella, pistacchio e stracciatella, Andrea Larossa, Edoardo Fumagalli, Roberto Conti e molti altri. Con loro i pizzaioli Ciro Oliva, dalla Napoli di Concettina ai Tre Santi, e Luca Pezzetta, maestro della pizza in teglia all'Osteria di Birra del Borgo di Roma; ma anche la pasticceria d'autore, con un poker d'assi al femminile – Giulia Cerboneschi, Giorgia di Bono, Chiara Pavan, Elisa Sommariva – e il pastry chef Beppe Allegretta di Unico Milano. Al banco dei drink Valeria Mosca e la miscelazione wild di Wood*ing Bar e Franco Tucci Ponti.

Un mix di nomi già noti al pubblico e volti emergenti per raccontare l'energia di un settore che guarda al futuro con grandi aspettative (proprio mentre a Torino l'Italia punta tutto su un suo giovane chef, Martino Ruggieri, per avere la meglio nella finale europea del Bocuse d'Or). E non rinuncia a fare del bene, sostenendo la buona causa dello smart working sociale (informazioni dettagliate sul sito di Job Stations).

 

La meglio gioventù – Milano – Fondazione Bertini – l'11 giugno dalle 19.30 – 35 euro – per partecipare (posti limitati) info qui

Viewing all 5335 articles
Browse latest View live