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Prodotti del mese. Giugno: le zucchine e la ricetta di Peppe Guida

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Si va incontro all'estate con la frutta più succosa e la verdura fresca e leggera, ideale per arrivare in perfetta forma alla prova costume, o almeno per affrontare le temperature più alte. Qui un focus sulle zucchine e una ricetta di Peppe Guida.

 

Giugno è il mese che segna l'ingresso nell'estate, con il suo carico di prodotti come ciliegie (che hanno fatto il loro ingresso a maggio), nespole, pesche, albicocche o, sul versante verdura, le zucchine.

Le zucchine e le varietà

Della famiglia delle cucurbitaceae, le zucchine sono i frutti della pianta (che in cucina vengono utilizzati immaturi). Questi hanno numerose forme e colori a seconda delle varietà e delle cultivar prodotte dall'uomo: ci sono le zucchine lunghe e dal colore verde scuro, che sono anche le più diffuse nei mercati europei, ci sono quelle più chiare e costolute, che comunemente vengono chiamate “ romanesche”. Sempre della varietà “lunga” troviamo la Nera di Milano, caratterizzata dalla buccia molto scura, o quella di Faenza che invece ha la buccia verde pallido. Passando alle tonde, che ben si prestano ad essere fatte ripiene, sono tutte di colore verde chiaro eccetto alcuni ibridi. Sempre zucchine (e quindi della specie Cucurbita pepo), nonostante sembrino delle piccole zucche, sono le patisson; appiattite con una decina di lobi o in certi casi cornetti, hanno un sapore che ricorda un po' il carciofo. E ce ne sono di tutti i colori, dal giallo all'arancione, dal verde al bianco. Esistono poi delle zucchine che non presentano le forme e i colori delle più comuni, le zucchine eccentriche, come per esempio la varietà Crookneck, molto simile a quella friulana detta rugoso friulano.

Le proprietà

Con poche kilocalorie (il 93% è costituito da acqua) e potere saziante, le zucchine sono adatte per diversi tipi di dieta, considerando anche che il colesterolo è totalmente assente. Al di là delle proprietà dietetiche, questi ortaggi abbondano di potassio e sono fonte di vitamine, come la C e la vitamina A. Essendo molto delicate non si mantengono a lungo, quindi non esponetele alla luce o a fonti di colore; in ogni caso tendono a perdere in pochi giorni la freschezza e le proprietà nutritive originali: il consiglio è di consumarle, crude o cotte, subito. A seguire la ricetta proposta da Peppe Guida.

Sfumature di zucchine, cozze e alghe di Peppe Guida

Sfumature di zucchine, cozze e alghe di Peppe Guida

È una preparazione che utilizza gli scarti della raccolta delle zucchine nell'orto. Un piatto povero che, come tutta la cucina di Peppe Guida, unisce mare e orto dando una parte da protagonista al mondo vegetale.

Ingredienti per le alghe (per 4 persone)

100 g di alghe

1 cipollotto fresco

1 pizzico di zucchero di canna

1 cucchiaino di salsa di soia

½ cucchiaino di aceto

Olio extravergine d'oliva

Sudare in olio in padella il cipollotto tagliato a listarelle, aggiungere un pizzico di zucchero di canna, un filo di salsa di soia e una goccia di aceto. Quando il cipollotto è ammorbidito, aggiungere le alghe e stufare per 5 minuti aggiungendo un goccio di acqua se serve.

Per la zuppa di gambi

1 mazzo di gambi della pianta di zucchine

2 cipollotti freschi

1 spicchio d'aglio

Olio extravergine d'oliva

Sfibrare il gambo che rimane attaccato alla pianta della zucchina (come si fa per sfilare il sedano), tagliare a pezzetti e stufare in un po' di olio di oliva cipollotti e aglio, bagnare con un po' di acqua e portare a cottura. Raggiunta la densità voluta, frullare e passare al setaccio.

Per la coposizione del piatto

500 g di cozze

1 zucchina

1 limone

8 fiori di zucchina

Polvere di alici salate

Sale e pepe nero

Olio extravergine d'oliva

Fare aprire le cozze pulite in un tegame all'impepata, in bianco. In una fondina, sistemare mezzo cucchiaio di alghe, sopra la buccia di zucchina cruda tritata, condire con sale, pepe, olio e una spolverata di buccia di agrumi. Disporre le cozze sgusciate e coprire con la zuppa di gambi di zucchina. Guarnire con fiori di zucchina alla piastra e polvere di alici salate.

 

a cura di Annalisa Zordan

 

 


Piano 35 celebra Paul Bocuse con Marco Sacco. La cena sul grattacielo di Torino

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In vista della finale europea del Bocuse d'Or, a Torino si infittiscono gli appuntamenti a tema gastronomico che celebrano la cucina e il genio del maestro francese recentemente scomparso. L'8 giugno Marco Sacco cucina da Piano35. 

 

Torino entra nel vivo del Bocuse d’Or, in vista della settimana clou dell’evento. E si infittiscono gli appuntamenti del Bocuse d’Or off che celebrano il food, spesso in versione Francia, e il grande monsieur Paul, lo chef del secolo. Al ristorante più alto d’Italia, Piano 35 al Grattacielo Intesa SanPaolo, venerdì 8 giugno, uno degli appuntamenti più attesi del progetto ‘Piano35 celebra la Francia’: la cena dedicata a Paul Bocuse. A officiarla, Marco Sacco, dal 2007 chef 2 stelle Michelin e Due Forchette del Gambero Rosso del Piccolo Lagodi Mergozzo, uno dei nomi eccellenti che si fanno per la nuova conduzione del ristorante del grattacielo. E la proposta è davvero intrigante: Sacco infatti reinterpreterà quattro ricette classiche di Paul Bocuse.

 

Guido Barosio, responsabile comunicazione e ufficio stampa di Piano35 e organizzatore del progetto ‘Piano35 celebra la Francia’ ci spiega l’idea e gli obiettivi: “La nostra è la serata inaugurale della settimana cruciale del Bocuse. E l’occasione che proponiamo si presenta originale e probabilmente irripetibile. Non sarà una celebrazione di Bocuse, ma piuttosto un confronto, e forse anche una sfida, tra due tradizioni, due filosofie che hanno scritto la storia della ristorazione. C’è la Francia col suo orgoglio di preparazioni codificate da secoli, c’è Paul Bocuse, con i suoi 52 anni di tre stelle Michelin (record mondiale), che riteneva la sua cucina “il matrimonio perfetto tra panna, burro e vino” e non gradiva evoluzioni di alcun tipo: “non c’è ragione di cambiare quello che funziona”. E poi c’è l’Italia del talento inteso come rotta, bandiera, esaltazione del prodotto di nicchia e di prossimità. Una formula, anarchica e rinascimentale, che diventa arte attraverso la fantasia”.

Perché proprio Marco Sacco?

Paul Bocuse e Marco Sacco non potrebbero essere più diversi: il primo ha stabilito le regole del gioco, le ha rese universali imponendo ‘il pasto alla francese’ nel mondo (per oltre 50 anni i suoi menu non sono mai stati tradotti), il secondo guarda il suo lago e non cessa mai di stupire rendendo unici prodotti di prossimità sorprendenti. A me piace immaginare così il confronto dell’8 giugno: le apparentemente immodificabili ricette del maestro di tutti ringiovanite nel ‘piccolo mondo’ di un Piemonte che ha radici profonde ma continua a sperimentare. Sono personalmente convinto che si arriverà a una sintesi, a qualcosa di nuovo e forse di mai gustato. Forse anche Paul Bocuse sarebbe divertito dalla circostanza, perché fu lui a dire:“L’egemonia della cucina francese durerà fino a che i cuochi italiani non si renderanno conto del patrimonio enorme su cui sono seduti”.

 

Marco Sacco e l'omaggio a Bocuse

Sentiamo allora il protagonista, lo chef Marco Sacco. Che tra l’altro, poco più che ventenne, ha lavorato in importanti ristoranti francesi, al fianco di grandi cuochi come Roger Vergé e i fratelli Rimbault, oggi è uno ‘chef d’acqua dolce’ e attinge per la sua cucina al territorio lacustre.

Che onore, e che emozione. Bocuse è stato per tutti gli chef della mia generazione non solo un maestro, ma un punto di riferimento. Rivisitare quattro piatti di Paul Bocuse è senza dubbio una grande responsabilità, ma anche un orgoglio immenso. Ringrazio il Bocuse d’Or di avermi offerto questa fantastica occasione”.

Tu hai conosciuto Bocuse, che ricordo hai?

L’ho conosciuto una ventina di anni fa, sono andato da lui, per vedere da vicino la sua attività… Mi ha portato in giro per le cucine e alla fine sono rimasto una settimana, grande esperienza davvero, lui era giovane, sempre entusiasta. Ci sono tornato 6 o 7 anni fa, Bocuse era ancora attivo al ristorante, con il suo cappellone in testa. Mi ha messo le mani sulle spalle, ci hanno fatto una bella foto per ricordare il nostro incontro. Lo ricordo non solo per aver fatto la storia della cucina francese, ma per quel suo modo scherzoso di porsi, il suo saper sorridere. Sembrava non prendersi mai troppo sul serio. Aveva quella leggerezza che è una dote dei grandi maestri.

E allora che cosa preparerai per la cena dell’8?

Quattro piatti: le uova in camicia alla Beaujolaise, il Gratin di Maccheroni, il Pollo della Bresse (l’unico pollo “doc” di Francia ndr) in fricassea con spugnolee la Tarte Tatin, un classico.

E come reinterpreterai questi piatti?

Non voglio anticipare nulla, posso solo dire che la gente di lago che con tanti amici rappresento nel mondo si farà sentire e gustare anche nel ricordo di un mito.

 

Le prenotazioni per la cena, vini in abbinamento proposti dall’Azienda San Leonardo, al link: https://secure.prenota-web.it/piano35/?ristorante=piano35. Costo 120€

Piano 35 – Torino - Grattacielo Intesa SanPaolo, corso Inghilterra 3 – 011/4387800 - www.grattacielointesasapaolo.com

 

a cura di Rosalba Graglia

Foto di Adriano Mauri

 

Dove mangiano gli chef in vacanza. I ristoranti del cuore di Gianfranco Pascucci, Mauro Uliassi e Sandro Serva

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Una guida per mangiare e bere bene in vacanza, ma fatta dagli chef. Per inaugurare questa nuova rubrica, abbiamo chiesto a Gianfranco Pascucci, Mauro Uliassi e Sandro Serva di suggerirci qualche indirizzo sicuro al mare o in campagna.

 

 

La guida degli chef

Sono sempre di più le guide - cartacee, online, su app o piattaforme virtuali - per orientarsi nell'intricato e quanto mai affascinante mondo della ristorazione italiana. Alta cucina, trattorie, street food, bar, bistrot, enoteche con cucina, pub: qualsiasi sia la destinazione, le città italiane vantano una serie di indirizzi, molti dei quali (ma non tutti!) golosi e non banali, punti di riferimento da sempre o insegne nuove che hanno già cominciato a conquistare il palato dei buongustai. E lo sappiamo bene noi del Gambero Rosso, che ormai da 28 anni raccogliamo nella guida Ristoranti d'Italia (ma anche nei manuali cittadini come Roma e Milano) i migliori indirizzi della Penisola. Insegne selezionate con cura dai professionisti del settore che, armati di penna (e forchetta), continuano a girare lo Stivale in cerca delle tavole più gustose. I nostri locali del cuore ormai li sapete, ma dove vanno a mangiare gli chef? Where Chefs Eat è un best-seller che proprio nelle scelte degli chef ha trovato la chiave di lettura privilegiata per catturare l'attenzione del pubblico. Abbiamo deciso di ispirarci al progetto, ma andando a curiosare fra i diari di viaggio dei cuochi italiani: dove mangiano durante una (rara) giornata libera? Ecco cosa hanno risposto Gianfranco Pascucci (Pascucci al Porticciolo, Fiumicino), Mauro Uliassi (Uliassi, Senigallia) e SandroServa (La Trota, Rivodutri).

 

Gianfranco Pascucci: la cucina dei ricordi

la baia

Nella sua “periferia iodata”, come lui stesso l'ha definita, Gianfranco Pascucci trasforma tutto il buono che il mare ha da offrire. Quando ha del tempo libero a disposizione, però, lo chef ricerca i sapori dell'infanzia e della gioventù, pescando fra i ricordi. “Per mangiare al mare vado sempre a La Baia a Fregene”, tempio di Benny Gili che attrae appassionati in qualsiasi stagione, con piatti nuovi, grandi classici di mare, proposte intriganti e sapori in grado di accontentare il palato di tutti, fra Champagne e vini d'autore. Un luogo che lo chef ha vissuto in prima persona, “da ragazzo ho lavorato lì. Con Benny siamo cresciuti insieme: è un amico, prima ancora che un collega, che stimo tantissimo. La Baia è una garanzia”. Il posticino dove la maggior parte degli chef, addetti ai lavori, giornalisti e critici vanno a “svernare” in ciabatte e maglietta.

ristorante_angeli

Ancora nel Lazio, ma questa volta nel verde, in un'altra terra di ricordi: “Mia nonna è di Magliano Sabina, in provincia di Rieti. Tornare lì è sempre un piacere, soprattutto per un pranzo al Ristorante degli Angeli”, insegna della famiglia Marciani da sempre punto di riferimento per tutta la Sabina, una cucina del territorio gustosa e succulenta, con pasta fatta in casa e ricette a base di selvaggina. E spazio adiacente per la bottega, originariamente luogo di ristoro fronte strada. “Un ambiente familiare che per me è casa. E lo sarà sempre”, oltre che “l'oasi ideale dove rilassarsi”. Un ristorante di tradizione che non rinuncia a una ricerca minuziosa delle materie prime, e che è fra i pochi in tutta la Penisola ad aver fatto dell'olio extravergine di oliva il proprio punto di forza, con una selezione di etichette di prima scelta da tutta Italia.

 

Mauro Uliassi: il legame con il territorio

nana_piccolo_bistro

Affacciato sul mare, in una posizione strategica a un passo dalla spiaggia, il ristorante di Mauro Uliassi è un ambiente in cui nulla è lasciato al casa, dalla cucina - di gran carattere e altrettanta perizia – alla sala coordinata alla perfezione da un team solido e coeso. Con un menu suggestivo e sempre stimolante che coniuga terra e mare, tanto mare, interpretato in modo capace di stupire anche i palati più esigenti. È proprio nella sua amata costa che lo chef resta a rilassarsi quando vuole godersi un po' di tranquillità: “Giornata libera? Non ne vado da un po'”, scherza Uliassi, col tono scanzonato che da sempre lo contraddistingue . “Quando riesco a mangiare fuori, mi piace andare al Nana Piccolo Bistrò”, locale curato nel minimo dettaglio che offre una cucina contaminata dai ricordi francesi e spagnoli di Michele Gilebbi. Con materie prime e tradizioni marchigiane. “Ristorante che conosco bene, e che frequento ogni volta che posso”.

sepia by niko

Insieme a Sepia by Niko, il locale di Niko Pizzimenti, siciliano d'origine ma ormai marchigiano d'adozione, che continua a crescere affinando le proprie tecniche e la capacità di costruire con abilità equilibri tra i sapori, mentre il fratello Mattia seleziona le migliori etichette nazionali ed estere e coadiuva il lavoro in sala.

 

Sandro Serva: fra Marche e Sabina

il_giardino_segreto

Torniamo in Sabina, ma stavolta per cercare due professionisti d'eccellenza, due fratelli che hanno scelto di puntare tutto su una cucina elegante e di grande valore utilizzando materie prime del territorio, a partire dal pesce d'acqua dolce. Sono i Serva de La Trota, Sandro (lo chef) e Maurizio, responsabile di una sala che gira come un orologio. È Sandro a confidarci i loro indirizzi preferiti: “Qui in zona, apprezziamo molto Il Giardino Segreto, a Tarano”, agriturismo con tanto di allevamento e area ristorazione di ottima qualità, fra piatti tradizionali dal gusto intenso e proposte più sfiziose dallo stile contemporaneo, creati impiegando gli ingredienti di produzione propria, dalla carne alle verdure, in arrivo direttamente dall'ampio orto curato con amore. “Il luogo ideale per prendersi una pausa dai ritmi accelerati di questo lavoro”.

 

chalet galileo

Ma i due fratelli, che nella campagna laziale ci vivono e lavorano da una vita, si recano spesso e volentieri anche al mare, per una fuga dalla quotidianità al profumo di iodio. Le spiagge sono di nuovo quelle marchigiane, ma non le stesse di Uliassi: siamo a Civitanova Marche, in provincia di Macerata, nell'esclusivo Chalet Galileo, nome che potrebbe trarre in inganno i forestieri, ma che in realtà cela una cucina di mare di tutto rispetto. Una tavola basata sul pescato del giorno, con un menu che varia di continuo in base alla disponibilità degli ingredienti, trattati con maestria da Maria Rosa, che ai fornelli crea piatti eleganti e capaci di esaltare ogni singola materia prima. “Purtroppo non abbiamo molto tempo per andare in vacanza. Ma quando lo facciamo, non abbiamo dubbi sulla scelta: Galileo è sempre una certezza”.

 

a cura di Michela Becchi

 

GLI INDIRIZZI

Chalet Galileo – Civitanova Marche (MC) – viale Quattro Novembre, 20 - 0733817656 - www.ristorantegalileo.it/

Il Giardino Segreto – Tarano (RI) - Sr sabina 657 km - 3298762471 - www.facebook.com/IlgiardinosegretoTarano/

La Baia - Fregene - via Silvi Marina, 1 - 0666561647 - www.labaiadifregene.it/

Nana Piccolo Bistrò - Senigallia (AN) – via Giosuè Carducci, 19 - 07164999 - www.nanapiccolobistro.it/

Ristorante degli Angeli – Magliano Sabina (RI) – località Madonna degli Angeli - 074491377 - www.ristorantedegliangeli.it

Sepia by Niko – Senigallia (AN) – Piazza del Duca, 11 - 3384485682 – www.bynikocucina.it/

 

GLI CHEF

Pascucci al Porticciolo – Fiumicino (RM) – viale Traiano, 85 - 0665029204 - pascuccialporticciolo.com/

Uliassi – Senigallia (AN) - Banchina di Levante, 6 - 07165463 - www.uliassi.it/

La Trota – Rivodutri (RI) - via S. Susanna, 33 - 0746685078 - www.latrota.com/latrotafull/home.html

 

 

 

Napoli Pizza Village. Fino al 10 giugno la pizzeria più grande del mondo sul lungomare di Napoli

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Numeri delle grandi occasioni, la categoria dei pizzaioli ampiamente rappresentata da professionisti campani di vecchia data e giovani promesse, ma pure dai colleghi in arrivo da 40 Paesi del mondo. E soprattutto la pizza, con 50 forni a legna allestiti sul Golfo per onorare il grande villaggio della pizza napoletana. 

 

Il grande villaggio della pizza

50 pizzerie, 600 pizzaioli, 10 giorni di festa sul lungomare Caracciolo. E se non bastano i numeri da capogiro, ci sono i nomi che scendono in piazza per animare il grande villaggio gastronomico dedicato alla pizza, 30mila metri quadri con vista sul golfo di Napoli per onorare l'appuntamento con una delle più animate feste popolari d'Europa. Chiaramente trainata dal richiamo del cibo, e della tradizione dei pizzaiuoli partenopei, che l'Unesco ha di recente riconosciuto patrimonio immateriale dell'umanità, sancendo la dignità professionale, sociale e storico del mestiere del pizzaiolo. Fino al 10 giugno, il Napoli Pizza Village movimenterà le giornate della città, mettendo in scena, ancora una volta, per l'ottava edizione, la pizzeria più grande del mondo, con l'ambizione di richiamare 1 milione di visitatori. Allo scopo Napoli si mobilita per favorire l'affluenza al villaggio, con un piano che ripensa la viabilità e bus-navetta garantiti per chi sceglie (saggiamente) di rinunciare alla macchina. Dunque, si mangia, e molto, con ingresso libero e menu base proposto a 12 euro, per pizza, bibita, dolce e caffè: 50 i forni a legna allineati sul lungomare, ognuno può scegliere secondo il proprio gusto, tra la “nuova” scuola di Concettina ai Tre Santi, con il giovane pizzaiolo a Tre Spicchi Ciro Oliva, e la tradizione di Gino Sorbillo, la pizza “gourmet” di Giuseppe Vesi e una delle ultime proposte arrivate in città, con l'apertura della pizzeria di Vincenzo Capuano. Ma anche la pizza fritta di Teresa Di Iorio e di Fiorenzano, la variante di Palazzo Petrucci, la pizza senza glutine di Guappo Amoriello. Tutti sforneranno pizze no stop dalle 18 alle 24, mentre concerti e spettacoli sono in programma ogni sera alle 21.

 

La pizza del futuro

Ma al festival si può anche approfondire la propria conoscenza sul tema, tra le pieghe di un comparto in grande fermento, che cresce e coinvolge un numero sempre più variegato di realtà improntate alla qualità. Lo spazio adibito allo scopo è quello dell'Area d'Essai alla rotonda Diaz, dove ogni giorno, alle 19.30, si confronteranno i maestri pizzaioli in arrivo da più di 40 Paesi del mondo (molti i rappresentanti di Brasile, Portogallo, Asia, a testimoniare la diffusione capillare del mestiere), invitati pure a partecipare alla XVII edizione del Campionato Mondiale del Pizzaiolo, che vedrà affrontarsi 600 di loro tra le nove sezioni della competizione, tra pizze fritte, gare di velocità e pizza acrobatica. Dopo il convegno di apertura dedicato alla cosiddetta pizza pascalina che previene i tumori col mix di farina, olive, noci, pomodori - oggetto di studio della ricerca promossa dalla Fondazione Pascale - si continua con la pizza (fritta) di nuova generazione di Isabella De Cham, la pizza da esportazione di Gino Sorbillo e Roberto Caporuscio, l'internazionalizzazione del mestiere e della pizza napoletana secondo Alessandro Condurro (Da Michele), con uno sguardo anche a quello che fanno gli altri a l'analisi del caso Big Mamma a Parigi. E nei giorni successivi pizza di territorio, prodotti d'eccellenza, pizza donna (sul palco Renata Sitko e Marzia Buzzanca). Mani in pasta, invece, per chi prenderà parte alle Pizza Class con i maestri dell'impasto, dedicati al pubblico amatoriale (ma solo su prenotazione). Il 4 giugno, il convegno Pizza e mandolino cercherà di smontare gli stereotipi per proiettare la pizza verso il futuro che merita.

 

www.pizzavillage.it

 

a cura di Livia Montagnoli

El Bulli 1846 apre nel 2019. L’ultimo atto (?) dell’epopea di Adrià per tornare in Costa Brava

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Dal 2014 la data di apertura del polo gastronomico progettato da Ferran Adrià sulle ceneri di elBulli slitta in attesa di ottenere i permessi per costruire. Nel frattempo il progetto è cambiato, ma resta la voglia di condividere col pubblico uno spazio sperimentale, dove si potrà anche mangiare. Finalmente la data definitiva: estate 2019. 

 

Rinasce elBulli?

Ha fatto gridare al ritorno insperato di elBulli l’ultimo annuncio che Ferran Adrià ha voluto condividere col mondo qualche giorno fa. E certo è comprensibile la soddisfazione per l’opportunità di concretizzare un progetto che ormai si protrae da 5 anni, sin da quando, nel 2014, lo chef catalano maturò per la prima volta l’idea di riaprire al pubblico il mitico spazio di Cala Montjoi: dove fino all’estate 2011 si era consumata una delle esperienze più fantasmagoriche degli ultimi 20 anni della ristorazione moderna, sarebbe sorta una Fondazione, omonima, che ne raccogliesse l’eredità, invitando tutti a condividere i traguardi della ricerca gastronomica, godendo di uno spazio all’avanguardia immerso nel parco di Cabo de Creus. Proprio la particolare collocazione geografica, all’interno di un’area protetta tutelata da leggi severe, è stata la causa di un continuo slittamento del progetto: a Roses, la cittadella della Fondazione el Bulli avrebbe dovuto vedere la luce già nel 2014, dopo un’accurata ristrutturazione degli spazi già esistenti e la costruzione di un vero e proprio parco gastronomico, dotata di percorso museale, laboratorio di ricerca e ristorante.

 

In attesa dei permessi

Ma i permessi hanno tardato ad arrivare, l’opposizione degli ecologisti ha bloccato il cantiere per più di tre anni, e solo l’estate scorsa, a luglio 2017 (esattamente 6 anni dopo la chiusura definitiva di elBulli), Adrià otteneva il via libera della Commissione Urbanistica di Girona. A patto però di ridimensionare il progetto, e le ambizioni, impattando il meno possibile sul profilo della costa, e quindi limitandosi a ripensare gli spazi originali, senza modificare i volumi dell’edificio preesistente, con diverse sale allestite sotto terra. Tasso scenografico e interattivo assicurato. Dunque tutto sistemato? Non allora, considerando che l’annunciata apertura del elBulli 1846 – come si chiamerà il nuovo polo – all’inizio del 2018 non è mai avvenuta. Solo qualche giorno fa, infatti, con quasi un anno ulteriore di ritardo sugli ultimi aggiornamenti, è arrivato il permesso definitivo del Comune di Girona.

 

elBulli 1846. Appuntamento al 2019

E in occasione dell’inaugurazione della mostra sulla cucina di Picasso a Barcellona (che coinvolge da vicino lo chef), Adrià ha annunciato la data - definitiva? – di apertura di elBulli 1846, operativo a partire dal 2019 inoltrato, tra l’estate e l’autunno del prossimo anno. Ancora oltre 12 mesi d’attesa, dunque, ma stavolta la speranza tangibile che il food lab progettato dallo chef possa vedere davvero la luce ha sollecitato gli animi dei nostalgici di elBulli. Anche se, e Ferran lo precisa, non si tratterà di un ristorante, ma di un centro creativo concentrato sulla sperimentazione, seppur aperto al pubblico (200 visitatori al giorno il limite consentito), dove si potrà anche mangiare.

 

Aspettando Condividere

Quella che negli ultimi anni è stata l’evoluzione del pensiero di Adrià, in realtà, è ampiamente testimoniata dai progetti, molteplici, che lo chef e il suo team hanno continuato a portare avanti, dall’impegno con l’opera enciclopedica dedicata a scandagliare l’universo gastronomico (il lavoro in più volumi Bullipedia) alla crescita del gruppo di ristorazione che saldamente Ferran dirige con suo fratello Albert a Barcellona, con l’esperienza di Enigma a chiudere il cerchio di un pensiero che continua a restare ambizioso. Mentre proprio tra pochi giorni, il 9 giugno, debutterà a Torino Condividere, il ristorante nella Nuvola che Lavazza ha affidato alla consulenza di Adrià, sotto la direzione di Federico Zanasi: dello chef catalano, lo dice l’insegna, lo spazio torinese mostrerà la voglia di mettersi in gioco con una cucina votata all’incontro, con la voglia di divertirsi e far divertire. E certo c’è da aspettarsi belle sorprese anche per lo spazio che (ri)sorgerà sulla Costa Brava. I festeggiamenti sono rinviati di un anno. Intanto si parlerà, e molto, del grande Ferran nel numero di agosto del Gambero Rosso magazine. Se non siete più abituati alle edicole, abbonatevi perché è da non perdere.

 

a cura di Livia Montagnoli

Cucina di casa. I dolci al cucchiaio. Le ricette di: Aspic, Bavarese, Bônet, Mousse e Soufflé

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Morbidi, cremosi e delicati, i dolci al cucchiaio sono ottime conclusioni delle cene primaverili o estive. Qui cinque ricette da replicare a casa: aspic di fragoline, bavarese alle pesche, bônet, mousse di albicocche e soufflé di cioccolato.

 

Nella storia si ritrovano prime testimonianze di dolci morbidi nel 1400 in Francia dove i pasticceri preparavano budini alla crema e torte morbide al formaggio in occasione dei banchetti aristocratici. Ma queste preparazioni si sono diffuse anche in Italia e in Inghilterra, pensiamo per esempio al pudding. Vi proponiamo cinque ricette per far bella figura con gli ospiti a cena.

Aspic di fragoline

L'aspic è un piatto (che fa molto anni '80) basato sull'incorporazione di vari ingredienti in gelatina, può essere sia salato che dolce, e – con un po' di attenzione - consente risultati molto scenografici. Qui la versione con le fragoline.

Ingredienti

350 g di fragoline di bosco

100 g di zucchero

150 g di Porto

350 g d'acqua

6 g di gelatina in fogli

1 baccello di vaniglia

Scorze di limone

Preparazione: 10 minuti + 6 ore di raffreddamento. Fate ammollare la gelatina in acqua fredda. Raccogliete lo zucchero in una casseruolina con 300 g d'acqua, due belle scorze di limone e il baccello di vaniglia diviso in due longitudinalmente. Fate bollire per qualche minuto quindi ritirate lo sciroppo dal fuoco, unitevi la gelatina ben strizzata e mescolate fino a quando è completamente sciolta e ben distribuita. Lasciate intiepidire quindi filtrate lo sciroppo e unitevi il Porto. Riempite 4 piccoli stampi con le fragoline e versatevi la gelatina fredda ma ancora liquida. Fate rassodare in frigorifero (assolutamente non nel freezer) per almeno 6 ore. Al momento di servire tuffate gli stampini per un attimo in acqua bollente, asciugateli e rovesciateli sui piatti. Potete completare il dessert con una pallina di gelato di fragola.

 

Bavarese alle pesche

Bavarese alle pesche

Originariamente una bevanda tedesca a base di tè, latte e liquore, (il) bavarese - il nome del dessert deriva dal francese maschile bavarois - si è trasformato in dolce al cucchiaio nell'Ottocento grazie ai pasticceri francesi. Nonostante si dovrebbe declinarlo al maschile, da noi si usa chiamarlo “la bavarese” perché si sottintende la parola “crema”.

Ingredienti

500 g di latte

250 g di panna liquida fresca

200 g di zucchero

6 tuorli

5 pesche gialle

100 g di zucchero scuro di canna

1 l di sciroppo di zucchero (preparato con 750 g di acqua; 400 g di zucchero e 1 scorzetta di limone)

Succo di 1 limone

1 baccello di vaniglia

12,5 g di colla di pesce

Lavate le pesche e immergetele nello sciroppo in ebollizione proseguendo la cottura per 10 minuti da quando riprende il bollore. Sgocciolatele, immergetele subito in acqua e ghiaccio e pelatele. Mettete a bagno in acqua fredda i fogli di colla di pesce. Versate il latte in una casseruola di acciaio con la metà dello zucchero e il baccello di vaniglia diviso in due longitudinalmente. Appena inizia l’ebollizione ritirate la casseruola dal fuoco, copritela con un piatto e lasciate in infusione per 10 minuti. Battete i tuorli con il resto dello zucchero fino ad avere un composto biancastro. Unite il latte senza la vaniglia mescolando energicamente. Versate la crema in una casseruola di rame e cuocete a fuoco dolce e sempre mescolando per 6-7 minuti facendo attenzione che non arrivi a ebollizione. Versatela in un’ampia ciotola di vetro, aggiungete la colla di pesce ben strizzata e lasciate raffreddare sempre mescolando. Tagliate 2 pesche a piccoli dadi e unitele alla crema quando sarà ben fredda. Montate la panna e incorporatela delicatamente alla crema. Distribuite la bavarese in piccoli stampi e lasciatela in frigorifero per almeno 8 ore.
Per la salsa di pesche: passate al frullatore le tre pesche rimaste, tagliate a pezzi, con 200 g dello sciroppo di cottura e il succo di limone.
Montaggio del dolce: togliete dagli stampi le bavaresi, cospargetele di zucchero scuro (fatelo leggermente bruciare con la fiamma o sotto la salamandra). Servite accompagnando con la salsa di pesche ed eventualmente con qualche frutto rosso come guarnizione.

 

Bônet

Bônet

Il nome di questo tipico budino piemontese significa berretto e si riferisce alla forma dello stampo usato comunemente che richiama appunto un copricapo in uso nel '700.

Ingredienti

1 l di latte

8 uova freschissime

80 g di cacao amaro

100 g di amaretti

180 g di zucchero

2 cucchiai di rum

2 cucchiai colmi di zucchero

Mettete lo zucchero per il caramello in un pentolino, unitevi un cucchiaio di acqua e fate cuocere lentamente finché non diventerà bruno. Versatelo caldissimo sul fondo e sulle pareti di uno stampo da budino che muoverete rapidamente in modo da rivestirlo con uno strato sottile di zucchero caramellato. Rompete le uova intere in una ciotola, unitevi lo zucchero e sbattetele con la frusta elettrica fino a quando avrete un composto gonfio e biancastro. Unitevi gli amaretti sbriciolati finemente, il cacao passato da un setaccino, il rum e il latte. Amalgamate con cura quindi versate il composto nello stampo caramellato, mettete lo stampo in un bagnomaria caldo e cuocete il dolce nel forno già caldo a 180° per circa tre quarti d'ora. Lasciatelo raffreddare completamente prima di sformarlo.

 

Mousse di albicocche

Mousse di albicocche

Ingredienti

400 g di albicocche molto mature e profumate (peso al netto da gli scarti)

400 g di panna fresca

160 g di zucchero

8 g di gelatina in fogli

1 bicchierino di distillato di albicocca

Mettete la gelatina a bagno in acqua fredda. Spezzettate le albicocche e frullatele insieme al distillato fino ad avere un composto completamente fluido. Montate la panna a neve non molto ferma (per montarla facilmente è necessario che sia molto fredda).Scolate la gelatina, strizzatela e mettetela in un pentolino, unitevi un paio di cucchiaiate del frullato di albicocca e mettetela sul fuoco debolissimo o, meglio ancora, in un bagnomaria caldo. Fatela sciogliere mescolando continuamente quindi riavviate il mixer e, mentre gira, versate la gelatina in modo che si amalgami perfettamente al resto.Travasate il frullato in una ciotola e unitevi la panna montata amalgamandola delicatamente con un movimento circolare dall’alto in basso. La mousse è pronta: versatela in uno stampo foderato con la pellicola trasparente e fatela rassodare in frigo, ben coperta, per alcune ore.
Al momento di servire la mousse, rovesciatela sul piatto da portata e togliete delicatamente la pellicola. Decorate il piatto a piacere con ciuffi panna e spicchietti di albicocca.

Soufflé al cioccolato

Soufflé al cioccolato

È uno dei dolci più golosi e amati dagli appassionati di cioccolato. Contrariamente a quanto possa sembrare, gli albumi per il soufflé non devono essere montati a neve ferma ma devono aver una consistenza morbida e cremosa. In questo modo, durante la cottura, gli albumi hanno modo di crescere ulteriormente e il soufflé aumenta molto in volume. Un’altra leggenda da sfatare sul soufflé è quella che lo vedrebbe afflosciarsi se si apre anche di poco il forno. Purché sia per un tempo brevissimo, si può tranquillamente aprire lo sportello senza tuttavia rimuovere lo stampo. Un ultimo consiglio utile: prima di infornare il soufflé, passate la lama di un coltello tutto intorno allo stampo, fra la parete e il soufflé per permettergli di gonfiarsi in maniera più regolare.

Ingredienti

150 g di cioccolato fondente al 70%

100 g di zucchero

50 g di farina

1/4 l di latte

4 uova

Sale

1 grossa noce di burro morbido

1 cucchiaio di zucchero per lo stampo

Zucchero a velo

Spezzettate il cioccolato, raccoglietelo in una casseruolina e fatelo fondere a bagnomaria o nel microonde. Fate bollire metà del latte con lo zucchero. Setacciate la farina dentro una terrina e, mescolando con una frusta, unitevi a filo il latte freddo formando una pastella liscia e senza grumi. Continuando a mescolare, unite anche il latte caldo zuccherato amalgamando bene. Versate il composto nella casseruola del latte e mettetelo sul fuoco con la fiamma al minimo. Fate cuocere per una decina di minuti mescolando continuamente con un cucchiaio di legno quindi, fuori dal fuoco, incorporatevi il cioccolato fuso, amalgamandolo con cura. Lasciate intiepidire. Rompete le uova separando i tuorli dagli albumi. Uno per volta, unite i tuorli al composto di cioccolato non unendo il successivo fino a quando il precedente non è amalgamato. Unite un pizzichino di sale agli albumi e montateli a neve con la frusta elettrica. Poco alla volta, uniteli al composto di cioccolato mescolando delicatamente con un movimento dal basso in alto. Imburrate generosamente una pirofila da soufflè (rotonda a pareti alte di 16 cm di diametro) e rivestitela di zucchero. Versateci il composto facendolo cadere al centro dello stampo in modo che si formi una piccola cupola e mettetelo nel forno precedentemente scaldato a 160°. Dopo un quarto d’ora, portate il termostato a 180° C e proseguite la cottura per un altro quarto d’ora senza mai aprire il forno.Quando il soufflé è pronto, toglietelo dal forno, spolveratelo con lo zucchero a velo fatto scendere da un setaccino e servite immediatamente.

 

Cucina di casa. Le basi: Pasta brisée, Pasta sfoglia, Pasta da pizza e Pasta frolla

Cucina di casa. Le salse: Besciamella, Salsa béarnaise, Pearà e Salsa verde

Cucina di casa. Le creme: Ganache al cioccolato, Crema pasticcera, Crema inglese, Panna montata

Cucina di casa. Le salse straniere: Guacamole, Hummus, Baba ganush e Tzatziki

Cucina di casa. Le paste fresche: Pasta all'uovo, Pici, Tagliatelle di farina di castagne e Pizzoccheri

Cucina di casa. Gli gnocchi: Gnocchi di patate, Gnocchi di semolino, Gnocchi di zucca e Gnocchetti di pane

Cucina di casa. Le paste ripiene: Tortellini, Cappelletti e Ravioli ricotta e spinaci

Cucina di casa. Metodi di cottura del riso: Risotto con la zucca, Riso al salto, Riso pilaf, Insalata di riso gamberetti e moscardini, Paella valenciana

Cucina di casa. Metodi di cottura della carne: bollito, brasato, stufato e cotture arrosto

Cucina di casa. Metodi di cottura del pesce: al forno (in cartoccio e in crosta), alla griglia, al vapore e fritto

Cucina di casa. Metodi di cottura della pasta: risottata e in pentola a pressione

Cucina di casa. I segreti per un fritto a regola d'arte

Cucina di casa. Il fritto e le ricette regionali

Cucina di casa. Il lato dolce di pasta e riso. Ricette di: Crostata, Frittelle, Budino di riso e Tagliatelle dolci

 

 

Mappa gastronomica dei monasteri italiani. Chi produce cosa e dove

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Monasteri e agricoltura (ma anche erboristeria, distilleria e pasticceria) vanno d'accordo da secoli, a partire dalla laboriosità benedettina di mille anni fa. Oggi le specialità dei conventi e le attività legate all'enogastronomia e al foraging alimentano un turismo speciale che si somma a quello religioso vero e proprio.

 

“È quello che passa il convento”. Quanto di quest'espressione resta attuale nell’Anno Domini 2018? Come aggiornarla? Azzardiamo un excursus – il latinorum è in agguato, il lettore avvertito – con un'antifona. I conventi non sono l'unica realtà a “passare” una proposta gastronomica – ops, offerta – a foodie in pellegrinaggio su asfalto o camminanti a trazione muscolare. Per questi ultimi la conchiglia è san Giacomo che accompagna il viaggio, non una cappasanta da assaporare con bollicine. La costellazione di strutture ecclesiastiche è varia – eremi, certose e badie, monasteri, romitori e abbazie – e non eventuale. S'espande o si contrae? Entrambe le cose. Ma, soprattutto, si diversifica. Incrocia orbite di ordini religiosi diversi (planando anche su atei, laici e oblati), s'addensa intorno a realtà consolidate da secoli, vede balenare qualche novità, pulsa in satelliti minuscoli o nei massicci ammassi di chiostri, contrafforti, celle et similia. Iniziamo con le tre C di Camaldoli, Casamari e Chiaravalle – le realtà più celebri e celebrate (e ancora celebranti) – per proporne poi altre, distinte e distanti.

Monastero di CamaldoliMonastero di Camaldoli

Camaldoli

Con un migliaio d’anni di storia, altrettanti metri sull’Appennino Casentinese (tra la Toscana di Arezzo e la Romagna forlivese) e una Regola, quella benedettina dell’ora et labora, le due strutture di Camaldoli presidiano l’identità della congregazione in Italia. L’eremo serba la memoria più intima del fondatore san Romualdo – è ritratto in un dipinto di un secolo fa sulla parete tra l’aula capitolare e la chiesa – e dello spirito contemplativo. Il monastero ne rilancia l’aura, sublimandola nella preparazione di rimedi naturali (oli, balsami, tisane) e prodotti del liquorificio: amari, digestivi e il Laurus 48 a base di erbe, agrumi e camomilla. Per andare da quei sacri boschi a Fonte Avellana, altra comunità camaldolese, servono un paio d’ore – via Sansepolcro e Gubbio – fino alle pendici del monte che Dante nel Paradiso definisce “gibbo che si chiama Catria”. Aggiungendo: “di sotto al quale è consecrato un ermo”. Oggi punta su ospitalità raffinata, vita unplugged. E su un liquore.

Chiaravalle

L’abbazia di Chiaravalle – oui, quel Bernard de Fontaine abate di Clairvaux – osserva la disciplina cistercense. La zona è l’agro mediolanensis dalle parti di Rogoredo e l’impianto gotico lombardo, ma interventi successivi hanno introdotto stili e spazi diversi nei secoli. Due su tutti, il tiburio e il refettorio del chiostro quattrocentesco. Il Grana sarebbe nato qui – così vuole la vulgata ormai consolidata tra vero, plausibile e stagionato – otto secoli prima dello scisma Padano-Reggiano. La bottega propone prodotti preparati e confezionati dai monaci – marmellate, dolci, salse e sughi – e fa da rivendita di altri articoli selezionati, soprattutto superalcolici.

Una sorella non gemella dell’abbazia meneghina si trova nel piacentino, aggiunge della Colomba alla denominazione e replica a soggetto, distillando la sapienza millenaria nel produrre digestivi: erbe su erbe, parecchi gradi e l’eufemismo del termine “tonico”.

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Casamari e dintorni

Scendiamo sotto al Po, lambiamo il Tevere (ci torniamo) e spingiamoci nel frusinate. È da Casamari che Chiaravalle della Colomba dipende, come la Certosa di Trisulti (una ventina di chilometri da qui). Sancisce il primato con l’offerta più ampia di spirits: Elixir di san Bernardo, Ferrochina e Rosolio, fra i tanti. E Gocce Imperiali, il distillato da diluire immaginando una relazione inversa tra quantità e potere di far sparire disturbi e malanni. Anche Casamari ha il proprio alter ego minore – absit iniuria verbis, ci mancherebbe – su quell’altro ramo del lago di Como: l’abbazia di Piona punteggia la punta di Ogliasca e i suoi monaci si cimentano pure loro con la tintura prodigiosa. Idem per Monte Oliveto Maggiore, in terra di Siena. L’azienda agricola del monastero integra però l’offerta col Flora – infusione di due dozzine di erbe, sei mesi di invecchiamento – e vanta uno dei refettori più belli di tutti, un grande guscio d’impostazione trecentesca con volta e pareti affrescate. Non basta ancora, la cantina storica merita una menzione con i suoi due ambienti sotterranei, quello per le botti e quello con le vasche di lavorazione.

Il monastero di Bose

Non tutte le strutture hanno però secoli di storia, non ci si deve confrontare soltanto coi classici dall'oleografia d'antan – un po' cartolina, un po' sussidiario (o bignami) – e d'appendice. Qualcosa di nuovo è stato creato dal medioevo ad oggi. Quando Enzo Bianchi fonda il monastero di Bose nella serra morenica d'Ivrea è un ventenne del Monferrato. Gli anni sono quelli tra il Concilio Vaticano II e il Sessantotto, la zona è la stessa di Damanhur – altra comunità inedita sorta da quelle parti (niente in comune, è stato un controverso esperimento new age) – e della Olivetti. Le cascine abbandonate gli paiono perfette per l'idea che ha in mente: uno spazio moderno ed ecumenico, sostanza fattiva e pochi fronzoli. Oggi conta un'ottantina di monaci e diverse fraternità: Assisi, Civitella San Paolo, Cellole-San Gimignano e Ostuni. La vocazione contadina resta centrale e l'offerta gastronomica punta su tre atout: miele, pane (il rustico di Bose) e confetture: il “concerto di sanguinelli” è esaltato dal Brachetto, per i fichi di quella “del mendicante” s’è optato invece per il rum.

Il primo slancio di nuova comunità inter-religiosa e post-confessionale è però un altro. Si trova dalle parti del Clitunno, a mezz’ora da Assisi. Il toponimo è Campello, l'etichetta sbiadita recita eremo e riavvolge il nastro novecentesco di un altro mezzo secolo. L’ha fondato una francescana negli anni Venti e oggi sono rimaste in pochissime a custodire, tenaci, quell’afflato. Ci si va per farsi un’idea di come potessero essere i luoghi di quest’itinerario – parzialissimo, arbitrario, mutevole – per concentrarsi sul senso raccolto dell’ospitalità: silenzio, natura e tempi sospesi. Si sfiora la retorica – anzi, ci si cade dentro – ma per la quintessenza non ci sono scorciatoie, va trovata. E la gastronomia resta, per una volta (solo una) sullo sfondo. Torna comunque subito in primo piano, rustica, genuina e sopraffina, in Irpinia – al santuario di Montevergine e nella Sabina, al monastero di Santa Caterina d’Alessandria di Città Ducale.

La birra trappista

A Roma, dunque. Per la cioccolata di Frattocchie e la birra trappista dell’abbazia Tre Fontane, il luogo del martirio di San Paolo. La tripel chiara non pastorizzata, aromatizzata all’eucalipto, è l’unico presidio italiano (e il più meridionale di tutti) col bollino esagonale concesso dal comitato centrale di Vleteren, borgo fiammingo. La galassia religiosa a livello nazionale ha rincorso con tentativi tiepidi “la moda della moda” della birra artigianale del terzo millennio. Con valide eccezioni, certo, senza creare però una massa critica di quantità. Questione di economie di scala, presumibilmente. La qualità è comunque alta e vale la pena segnalare la produzione di Cascinazza. È una comunità monastica benedettina che per tre decenni ha vivacchiato come azienda agricola vicino a Chiaravalle, dieci anni fa ha messo in piedi “il primo microbirrificio italiano gestito interamente da monaci che ha prodotto la prima birra artigianale monastica”. E oggi propone quattro etichette (blond, amber, bruin, kriek), un amaro e un idromele dai contenuti alcolici moderati (2% e 11%, rispettivamente). Intermezzo per una riflessione: il mantra pare essere sempre lo stesso, polarizza la narrazione su due binari: pochi ingredienti di base, parecchie piante officinali, preparazione non elaborata per i piatti di ogni giorno. E specialità iperlocali sui due versanti "classici": pasticceria secca e spirits.

Qualche altra segnalazione allora, per compendiare – confermandoli e superandoli – i cliché. All’abbazia benedettina della Novalesa in Val di Susa ci si ferma, chiariamolo subito, perché “Il Nome della Rosa” menziona la sua biblioteca. La sua storia si srotola su una dozzina di secoli, con diverse osservanze ad alternarsi nel tempo. Alla bottega monastica si trovano articoli vari provenienti da altri monasteri e ordini, per “mutuo soccorso” (così ci confidano): dai biscotti delle monache di Gubbio al cioccolato e marmellate trappiste, dalla birra Cascinazza alla pappa reale dell’erboristeria benedettina Il Convento di Finale Ligure. Capita spesso: molti monasteri sono nodi di una rete, propongono il meglio della propria produzione e una selezione di altre realtà affini e “consociate”.

PragliaPraglia

Allitteriamo adesso e passiamo sull’altro estremo dell’arco alpino: Novacella a Varna (Bolzano). Vini e amari, come alla vicina abbazia di Muri Gries. Chiudiamo il tour dello stivale da queste parti, con l’ultimo tris nel nordest: a Rosazzo (Manzano, Udine) per i vini e la cantina d’invecchiamento che pare sia la più antica della regione, a Praglia sui colli Euganei (tisane e libri antichi) e a San Lazzaro degli Armeni, nella laguna di Venezia.

Due segnalazioni metropolitane extra

Andate in pace ora (e in giro), la rassegna missa est. Anzi no, c’è spazio per una postilla con due segnalazioni metropolitane extra, in tema (più o meno): il ristorante Eau Vive di Roma e la trattoria A Lanterna di Genova. Il primo è a due passi dal Pantheon e fa da filiale capitolina di una sorta di network di ristorazione gestito da suore francesi. Il più antico ancora in attività, pare, è quello di Ouagadougou, Burkina Faso, mentre lo spazio romano ha aperto quasi mezzo secolo fa. Nel menu spiccano specialità francesi e non, piuttosto vintage – lumache alla provenzale, paté di foie gras, zuppa di cipolle, maiale con crema al Cognac, scalogno e frutta secca – e proposte internazionali dagli altri Paesi in cui è presente l’insegna, uno per ogni giorno, in un calendario che da liturgico si fa gastronomico. Il secondo riprende nel nome il totem ligure per eccellenza, ma la superbia della Superba non s’avverte. Al contrario: è lo spazio conviviale (letteralmente) fondato nella comunità di San Benedetto al Porto da don Gallo. Il “prete partigiano”, tutto cuore e niente tonaca, è scomparso cinque anni fa, il suo desco genovese e genuino resiste da quasi quarant’anni.

 

a cura di Federico Geremei e Lucana Squadrilli

foto di Andrea Petrosino

 

Articolo uscito sul Gambero Rosso di aprile. Un numero tutto rinnovato che potete trovare in versione digitale su App Store o Play Store

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Pipero Roma. Se ne va Luciano Monosilio, arriva Ciro Scamardella

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Un cambio del testimone che non mancherà di fare rumore quello tra Monosilio e Scamardella, rispettivamente ex chef (da oggi) e futuro chef (da agosto) di Alessandro Pipero nel locale che porta il suo nome a Roma.

 

Cambio di guardia al vertice della ristorazione romana. In una specie di chefmercato che punta alla Coppa dei campioni c'è un movimento che farà rumore, e che rappresenterà un cambiamento non da poco del panorama capitolino. Nel giro del chi viene e chi va stavolta sono coinvolti due nomi che, nel corso del tempo, hanno già incrociato il loro destino. Da una parte Alessandro Pipero, carismatico patron del ristorante omonimo, dall'altra Roy Caceres, chef del ristorante Metamorfosi, che con Pipero ha lavorato per un brevissimo periodo qualche anno fa, prima che approdasse a Roma negli spazi dell'Hotel Rex, lasciati da poco più di un anno, da quando, cioè, si è successivamente spostato nell'attuale sede a corso Vittorio Emanuele. Caceres è stato infatti il secondo cuoco a lavorare con Alessandro, dopo Danilo Ciavattini (tornato a Viterbo, nel ristorante che porta il suo nome, dopo l'esperienza all'Enoteca La Torre a Viterbo e a Roma, a Villa Laetizia). Non sono loro, stavolta, a muoversi sullo scacchiere capitolino, ma i loro più fidati collaboratori.

Chi viene e chi va

Squadra che vince non si cambia”. Così abbiamo iniziato la scheda del ristorante Pipero Roma nella guida Roma 2019 (che presenteremo il prossimo 21 giugno), eppure la squadra cambierà eccome. Luciano Monosilio se ne va dopo 7 anni al fianco di Alessandro Pipero, dopo averlo sostenuto durante lo sbarco nella Capitale ma anche nella recente sfida al numero 250 di corso Vittorio Emanuele II. Al suo posto arriva Ciro Scamardella.

Ciro Scamardella

28 anni appena, Ciro Scamardella - lo avrete visto su Gambero Rosso Channel, protagonista seguitissimo con tanto di famiglia al seguito nel programma Ciro a Mammà– ha alle spalle tante esperienze da raccontare. Prima la scuola alberghiera, le ore di laboratorio e lo stage presso la Città del gusto di Napoli dove ha cominciato a fare il tutor delle aule, poi l'approdo ai Feudi di San Gregorio, dove resta per più di un anno, e ancora lo stage con Cannavacciuolo, l'esperienza a Capri con Gennaro Esposito, il sogno che si realizza nella cucina di Martin Berasategui, 9 mesi al fianco di Anthony Genovese e poi un sodalizio ben più lungo con Roy Caceres in quella gran tavola che è Metamorfosi. Sodalizio che terminerà a fine luglio, quando Ciro prenderà le redini – questa volta come primo chef per la prima volta nella sua vita – della cucina di Pipero. “Prima o poi un divorzio dai posti che ti hanno dato tanto deve fisiologicamente avvenire: abbandonare il nido è normale”.Se poi la nuova sfida lo vede in prima linea, ancora meglio: “Nonostante Roy non ti faccia mai sentire nell'ombra, nonostante mi abbia sempre fatto partecipare a manifestazioni o concorsi, nonostante tutto, è innegabile il fatto che da Pipero avrò modo di esprimermi ancor più liberamente. E chi fa questo lavoro con ambizione cerca appunto questo”. Una bella responsabilità per il giovane chef, che si trova a dover gestire la cucina di un ristorante nuovo, con dei riconoscimenti da mantenere. Quale sarà il suo cavallo di battaglia? “Sicuramente non sarà la carbonara! Cercherò di omaggiare la mia terra, il sud, magari con una genovese di pesce nel raviolo, un piatto che riprende le tecniche viste in Spagna e da Roy”.Ma il menu verrà ufficializzato a inizio agosto, quando Ciro farà il suo ingresso al numero 250 di corso Vittorio Emanuele II.

Luciano MonosilioFoto di Andrea Moretti

Luciano Monosilio

Dopo quasi otto anni di storica collaborazione, traslochi e successi che ne sarà di Luciano Monosilio? Lo chef ci tranquillizza: “Io e Alessandro siamo partiti con gli stessi obiettivi ma, come spesso accade, man mano ci si allontana. Negli ultimi anni non c'era più una visione comune, gli stimoli hanno iniziato ad affievolirsi e io sentivo l'esigenza di mettermi in gioco davvero, così oggi sarà il mio ultimo servizio da Pipero”. Una presa di coscienza, condivisa con il super maître, che però non cancella il passato: “Quello da Pipero è stato un cammino stimolante che mi ha lasciato moltissimo e sono grato ad Alessandro per la fiducia che ha riposto in me in questi anni”. Sei pronto per un percorso in solitaria? “Aprirò a settembre un pastificio pop up a Campo de' Fiori, ma ci sarà tutto il tempo di raccontare il progetto come si deve”.

Tranquillo, dall'altra parte, Alessandro Pipero. Il patron dei patron, l'uomo di sala degli uomini di sala. “Cosa volete che vi dica” fa sornione “le cose dopo un po' cambiano e io e Luciano ci siamo separati. Gli auguro il meglio perché se lo merita, ma nel frattempo ho deciso di assumere un nuovo chef, uno che considero da sempre tra i più bravi e i più tecnici a Roma. Ciro Scamardella l'ho sempre messo nella mia personale top 5”. Del resto Pipero non è nuovo a cambiamenti sia personali (quando decise di separarsi dal suo pigmalione Antonello Colonna) sia degli chef che ha coinvolto nei suoi progetti: Ciro sarà il quarto. “Sì ma bisogna anche ridimensionare questa cosa. Se cambia il maitre tutti se ne infischiano, se cambia il sommelier tutti zitti, se cambia il cuoco escono gli articoli sui giornali”. Pipero non sarà mica nervoso perché con Monosilio potrebbero prendere la porta anche alcuni tra i bravi componenti della brigata? “Assolutamente no. 16 stipendi, restano tutti con Pipero” spiega sfoggiando la terza personale singolare “la brigata di sala e di cucina non si è mossa così continuiamo con la nostra identità, con una azienda che va avanti, che ha nuove ambizioni”.

Ora i riflettori sono tutti puntati sulle ambizioni del giovane Ciro Scamardella. In bocca al lupo!

 

Pipero – Roma - Corso Vittorio Emanuele, 246 - 06 6813 9022 - www.piperoroma.it

Metamorfosi – Roma – via G Antonelli, 30/32 - 06 8076839 - metamorfosiroma.it/

 

a cura di Annalisa Zordan e Antonella De Santis

 


Addio Angiolina, fondatrice dell'omonimo ristorante a Marina di Pisciotta. Una vita dedicata alla cucina

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Se ne è andata all'età di 96 anni Angiolina, ideatrice dell'omonimo locale a Marina di Pisciotta, oggi ristorante di pesce d'autore, in origine punto di ristoro per gli operai della rete ferroviaria. Il nostro ricordo della cuoca.

 

Orto e mare, sapori, colori e profumi del Cilento. Tutto concentrato in un pranzo o in una cena dai ritmi lenti e cadenzati, in una dimora domestica con tavoli all'aperto sotto al pergolato che nel tempo si è fatta promotrice della bellezza e bontà della terra e dell'acqua circostanti. Quella di Angiolina a Marina di Pisciotta è una tavola essenziale ma mai banale, da tempo insignita con i Tre Gamberi (massimo riconoscimento) dalla nostra guida Ristoranti d'Italia. Ai fornelli, Rinaldo Merola, oste d'eccellenza in grado di intrattenere gli ospiti con aneddoti e storie divertenti, serviti insieme a ogni portata.

Angiolina. Gli inizi

A creare il locale negli anni '50, però, mamma Angiolina, cuoca gioviale forte del tipico spirito campano che negli anni ha saputo trasformare la trattoria in uno dei principali punti di riferimento per la cucina regionale di qualità. Una donna di carattere, aperta e cortese, sempre pronta ad accogliere abitanti e forestieri con un sorriso e una battuta, che lo scorso martedì 29 maggio se ne è andata all'età di 96 anni. Dopo aver dedicato tutta la vita alla cucina. Un impegno cominciato nel 1958, durante i lavori per il raddoppio della rete ferroviaria: erano infatti gli operai i primi umili clienti di questo ristoro a gestione familiare semplice ma sempre buono, di quelli che non riservano mai cattive sorprese. Una cucina che proprio nell'essenzialità della sua offerta ha trovato nel tempo la chiave di volta privilegiata per conquistare il palato di tutti. Un locale delizioso nata in tempi non sospetti, quando Marina di Pisciotta era poco meno che un villaggio di pescatori, e Angiolina offriva ai lavoratori stanchi un piatto caldo da gustare con calma, principalmente a base di carne.

L'evoluzione

Col tempo, però, il mare ha cominciato ad avere la meglio, e quella costa nascosta dai fiori delle piante del profumato giardino si è inserita sempre più al centro della cucina di Angiolina, diventata in poco tempo una delle migliori cuoche della zona, non più solo per gli operai ma per chiunque avesse voglia di fuggire alla quotidianità rifugiandosi in un vero tempio del gusto. Sono trascorsi esattamente 60 anni da quando la ristoratrice ha iniziato a muovere i primi passi in cucina senza tante pretese, e nel frattempo il piccolo borgo è diventato un'aggraziata cittadina di villeggiatura incorniciata dal verde dell'entroterra cilentano. Ma l'insegna è rimasta orgogliosamente baluardo e portavoce della tradizione e delle risorse locali. La vecchia osteria è diventata essenzialmente un ristorante di pesce, una sorta di oasi per tutti gli amanti dei sapori iodati.

Il locale oggi

96 anni, di cui 60 trascorsi in cucina. Fino alla fine, pur avendo passato il testimone al figlio, Angiolina è rimasta fedele alla sua insegna, continuando a dispensare consigli, sciorinando ogni portata del menu. Mantenendo viva la tradizione, la memoria storica del paese e della gastronomia locale. In un luogo fermo nel tempo, che negli anni si è evoluto e rifinito, senza mai perdere quell'atmosfera retrò degli inizi. Una vita vissuta a pieno, inebriata dal profumo di mare mescolato a quello dei piatti che lei stessa prima e suo figlio dopo, hanno preparato per anni fianco a fianco nella loro cucina. Angiolina, con la sua allegria e tenacia, ci ha lasciati, ma il suo ricordo rimarrà sempre intatto nel cuore di ogni cliente che ha avuto la fortuna di sedersi alla sua tavola. Una memoria che continuerà a vivere grazie ai racconti di Rinaldo, portavoce unico di una tradizione ancestrale, narratore di una storia che continuerà a permeare l'atmosfera del locale.

Angiolina – Marina di Pisciotta (SA) – via Passariello, 2 - 0974973188 - www.ristoranteangiolina.it/

a cura di Michela Becchi

 

Operazione Trasparenza, la campagna di comunicazione di Gelatieri per il Gelato

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Continua Operazione Trasparenza, la missione dei grandi gelatieri italiani iniziata lo scorso 15 maggio e attiva fino al prossimo 15 giugno. Per far conoscere al pubblico il vero gelato artigianale e aiutare i consumatori a diventare più consapevoli delle proprie scelte.

 

Il progetto

Si chiama Operazione Trasparenza l'iniziativa voluta dall'associazione Gelatieri per il Gelato, una campagna cominciata lo scorso 15 maggio e in programma fino al prossimo 15 giugno, che prevede una serie di iniziative, appuntamenti ed eventi pensati per far avvicinare il pubblico al mondo del gelato artigianale. E soprattutto, far capire ai consumatori quanta fatica e dedizione si cela dietro un cono d'autore, mostrando ogni singola fase di lavorazione, fornendo così i parametri adeguati per riconoscere un prodotto di qualità. Trasmettendo un sapere unico, tradizionale, che affonda le sue radici in tempi antichi, e che ha fatto la storia del gelato italiano nel mondo.

L'associazione

A promuovere il progetto, l'associazione impegnata fin dal 2011 a diffondere la cultura dell'arte fredda made in Italy. Un gruppo di professionisti aperto che si propone di radunare quanti più artigiani possibili per confrontarsi e crescere, ma soprattutto far sviluppare al massimo il settore, ormai sempre più in fermento. Chiunque lavori o gestisca una gelateria può fare domanda per essere ammesso come socio ordinario, a patto che rispetti i requisiti richiesti, come la sponsorizzazione da parte di un socio già iscritto che possa garantire per il nuovo aspirante. Ad accomunare i membri dell'associazione, l'amore per questo mestiere, ma soprattutto l'impegno a scegliere prodotti freschi, possibilmente del territorio, incentivando le economie locali, l'abbandono dell'uso di coloranti artificiali e prodotti semilavorati, oltre che delle varie basi in polvere prebilanciate e standardizzate. Senza dimenticare il rispetto per l'ambiente, messo in pratica attraverso la riduzione massima di sprechi e consumi energetici.

“L’artigiano è colui che riesce a esternare se stesso ponendosi come anello di congiunzione tra un passato lontano e tradizionale, e la dimensione futura dell’innovazione, ma anche tra la teoria e la pratica del lavoro”, ha spiegato il Presidente dell’Associazione Roberto Lobrano. E continua: “Come gelatieri facciamo parte di questa grande categoria di mestiere, riproponendo giorno dopo giorno un sapere autentico che ci rende fieri di essere portatori di cultura, di tradizione e allo stesso tempo di arte e passione”.

Laboratori Aperti

Fino al 15 giugno dunque, le gelaterie aderenti di tutta Italia si trasformano in veri punti d'incontro per gli appassionati in cui disquisire piacevolmente sull’argomento, gustando un buon gelato. Un'occasione unica per scoprire l'universo dell'arte fredda, ma soprattutto sperimentare una serie di indirizzi golosi perfetti per l'estate. Fra le tante iniziative, da non perdere “Laboratori Aperti”, giornate in cui gli artigiani aprono le porte delle loro botteghe al pubblico, per una dimostrazione pratica della lavorazione del gelato, dalla materia prima alla coppetta. Ogni gelateria, poi, è provvista del libro degli ingredienti, dove vengono riportati tutti gli ingredienti utilizzati per ogni gusto, uno strumento fondamentale per la buona comunicazione. Con questa missione, con l’obiettivo di invitare i clienti a controllare la lista degli ingredienti e scegliere in modo sempre più consapevole, i gelatieri italiani continuano a farsi portavoce di un settore che non smette di evolversi e soprendere.

Operazione Trasparenza – evento itinerante – fino al 15 giugno 2018 - www.facebook.com/MovimentoGxG/

a cura di Michela Becchi

Uazz'America, la cucina degli States secondo Eleonora Baldwin

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L'abbiamo conosciuta per la sua passione per i formaggi, ma Eleonora Baldwin è una grande esperta anche di altri cibi. Nella nuova trasmissione in onda su Gambero Rosso Channel va alla ricerca della tradizione gastronomica delle sue radici a stelle e strisce.

Mi conoscete per l’irrefrenabile passione per i formaggi, ma forse non tutti sanno che sono nata negli Stati Uniti d’America, più precisamente nello stato del Vermont. La mia passione per il cibo è stata coltivata e si è sviluppata in Italia, dove sono cresciuta tra manicaretti nostrani e prodotti sublimi, ristoranti e piatti di famiglia... ma non dimentico di avere solide radici gastronomiche anche negli States. E ogni tanto la nostalgia di quei sapori, di quei piatti si fa sentire.

In Italia una serie di luoghi comuni fa dimenticare che la cucina Made in USA, varia e composita come gli abitanti del Grande Paese, possa essere anche buona, appetitosa e sana, al punto da raggiungere vette insospettabili.

E allora, creando curiosi accostamenti, rivolgendomi ad amici e colleghi “expat” in Italia, mi sono messa sulle tracce di quei piatti che fanno parte della mia storia a stelle e strisce. Studiando approfonditamente (con numerosi assaggi) la cultura alimentare d’oltreoceano, do prova che non serve imbarcarsi su un volo e attraversare l’Atlantico per poter assaggiare i piatti rappresentativi della mia infanzia, ma si possono anzi riproporre e gustare anche qui, con ottimi risultati grazie a ingredienti italiani e ricette Made in USA da leccarsi i baffi. Così è nato un nuovo programma.

Uazz’America

Partendo in ogni puntata da uno spunto “locale,” da un link Italia-USA, da un’occasione particolare, attraverso le mie ricerche ripropongo fedelmente piatti originali provenienti dal nord al sud degli Stati Uniti. Muovendomi nella mia città, mi sono messa sulle tracce d’ingredienti e ricette, dando consigli o efficaci alternative; scoprendo curiosità sulle tradizioni delle pietanze, rivelando segreti e sfatando miti americani, trovando infine personaggi capaci di preparare al meglio questi piatti tra chef, esperti o semplici appassionati statunitensi e non. Per me gustare i sapori tipici americani è un’emozione grande da condividere con i miei lettori e telespettatori. Il mio obiettivo è creare una sorta di gemellaggio, uno scambio tra cucina italiana e americana, per riscattare la tanto bistrattata tradizione culinaria degli States. Non è tutto junk food! Le puntate, da 25 minuti ciascuna, racconteranno di volta in volta un tema, sviluppando 2 piatti.

Breakfast & Brunch

La prima puntata, andata in onda lunedì 4 giugno in PrimaTV alle ore 22:00 su Gambero Rosso Channel SKY 412 (e in replica sabato alle 12:30; e domenica alle 19:30) affronta un tema importantissimo, il mio pasto preferito della giornata: la prima colazione. Oltre che esplorare il vasto mondo della colazione made in USA, questa puntata sfata anche l’ormai consolidato mito che il brunch debba essere per forza un buffet, e servito a mezzogiorno!

Partiamo dalla semantica. Breakfast: la parola stessa è la locuzione per “rompi il digiuno”, offre un’impressionante varietà di pietanze tipiche. Brunch è invece la crasi di breakfast e lunch e allo stesso modo è una commistione di cibi normalmente consumati in questi due pasti. Il brunch si consuma dalle ore 10 del mattino fino al primo pomeriggio, generosamente accompagnato da mugs di fumanti caffè filtro, caraffe di Mimosa (cocktail a base di Champagne e spremuta d’arancio) e bicchieroni di Bloody Mary.

Che si tratti di brunch della domenica o della più quotidiana prima colazione mattutina, sulla tavola d’oltreoceano si possono trovare un’infinità di piatti: french toast (pain perdu); sottili fettine di bacon croccanti, waffles, bagels con salmone, formaggio spalmabile, cipolle e capperi; oatmeal (fiocchi d’avena cotti nel latte con cannella); hash browns (rösti); omelette di vario genere; uova alla benedict (uovo poché con salsa hollandaise, servito su English muffin con prosciutto cotto), salsiccette aromatizzate; cinnamon rolls; blueberry muffins; banana bread e via discorrendo.

Il tema colazione non poteva pertanto che aprire la serie Uazz’America con pietanze simbolo della golosa tradizione mattutina statunitense: pancakes e uova. Le frittelle soffici annegate nello sciroppo d’acero sono il simbolo della colazione americana, ve lo dice una Vermonter doc, sono nata nella patria dello sciroppo d’acero! Le uova, allo stesso modo, nelle tante declinazioni Made in USA trovano la loro massima espressione sulla tavola mattutina.

Per imparare la ricetta delle pancakes fatte in casa, senza quindi ricorrere a mix industriali comunemente trovati in commercio, mi sono recata dagli amici Jesse e Carolina, che da molti anni servono nel loro delizioso locale Homebaked nel quartiere Monteverde, oltre a cheesecake, bagels e altre specialità fatte in casa, le migliori pancakes di Roma.

Per una panoramica delle varietà di pietanze a base di uova della colazione/brunch statunitense, mi sono fatta invece spiegare i trucchi per ottenere ottime scrambled eggs (uova strapazzate) in compagnia di Viviana, la fondatrice di Bakery House, nota realtà romana nel panorama della pasticceria anglo-sassone.

Non vi è venuta un po’ di fame?

 

HomebakedRomaVia Fratelli Bonnet 21Tel. 3381371344www.homebaked.it
Bakery HouseRomaVia Riano 11Tel. 0688805526www.bakeryhouse.it

a cura di Eleonora Baldwin

 

Questi e altri racconti li trovate in Uazz’America, un programma che va in onda tutti i lunedì alle ore 22:00 su Gambero Rosso Channel SKY 412; e in replica sabato alle 12:30; e domenica alle 19:30

Bocuse d’Or Off a Torino in 5 appuntamenti. La febbre del food prima della gara

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Aspettando la finale europea del Bocuse d'Or, di scena l'11 e 12 giugno, qualche consigli per orientarsi nel ricco calendario di incontri del Bocuse d'Or off, con chef, maestri pasticceri, gelatieri, bartender. 

 

Ultimo week prima della gara. La finale europea del Bocuse d’Or, quest’anno particolarmente attenta alla sostenibilità, come è noto si disputerà a Torino l’11 e 12 giugno, e le squadre stanno convergendo in Piemonte. Oltre al team di Martino Ruggieri che si allena ad Alba, per mettere a punto la preparazione, è arrivata ad Agliano, l'enclave norvegese nel cuore delle vigne della Barbera, la squadra della Norvegia con lo chef Christian Andre Pettersen (uno dei favoriti della vigilia: la Norvegia al Bocuse d'Or ha vinto più premi insieme alla Francia). Sfidanti a parte, sta salendo la febbre del food, con un moltiplicarsi di iniziative in tema Bocuse off soprattutto nel prossimo fine settimana. Ecco una panoramica di 5 eventi da non perdere.

 

10 chef tutti insieme, un record

Lo scenario è di grande effetto, l’Ex Borsa Valori affacciata sul Piazzale Valdo Fusi, dove è allestita la mostra Regine e Re di Cuochi. E il contenuto è innovativo: Degustando, 10 chef fra arte e futuro è un percorso gastronomico in cui 10 chef - 7 stellati - propongono ciascuno un piatto creativo. I 7 stellati sono Andrea Larossa del Ristorante Larossa, Claudio Vicina di Casa Vicina, i Costardi Bros del Ristorante Christian e Manuel / Edit, Fabrizio Tesse della Locanda di Orta, Federico Gallo della Locanda Pilone, Francesco Oberto di Da Francesco, Marcello Trentini di Magorabin.  A loro si aggiungono Ivan Milani del milanese Al Pont de Ferr, Marco Miglioli del Ristorante Carignano del Grand Hotel Sitea, Stefano Sforza di Les Petites Madeleines del Turin Palace, più  Maestri del Gusto- pasticceri, gelatieri – vini, ostriche, il crudo di Cuneo. Insomma un itinerario del gusto totale, il 9 giugno alle ore 20 (50€ tutto compreso, prenotazione ad accrediti@tobevents.it).

 

Vermouth, vini & birre: autentico gusto torinese

Una storia tutta torinese, quella del vermouth, insieme ai grandi vini piemontesi e ai birrifici regi. Anche qui una location d’eccellenza, lo storico Palazzo Birago di via Carlo Alberto 16, sede della Camera di Commercio. Primo appuntamento l’8 giugno, dalle 18.30 alle 22, con Torino Doc, alcuni tra i migliori barman torinesi si cimenteranno nella miscelazione di cocktail storici e innovativi utilizzando vini e vermouth del territorio.

Sempre l’8 giugno, stesso orario, presentazione del progetto “Birrifici Regi”, che coinvolge quattro birrerie eccellenti torinesi, il Birrificio San Paolo, il Birrificio Torino, il Birrificio La Piazza e Birra Madama, uniti per mantenere viva l’antica tradizione torinese di produzione birraria. È a Torino infatti che è nato il primo birrificio italiano, lo sapevate?

Il 9 giugno, dalle 16 alle 22, è di scena il Vermouth Maestro del Gusto Riserva Carlo Alberto, mentre per la cantina Torino Doc ‘l Garbin proporrà l’insolito abbinamento tra i vini Valsusa Doc, il miele e lo Zafferano Valsusa.

Turin Coffee: anche l’espresso è nato qui

Altro evento Bocuse off made in Turin: il 1° Festival Internazionale del Caffè, con tre big del settore, tutti e tre torinesi: Lavazza, Costadoro, Vergnano (e altre piccole torrefazioni locali) per una 3 giorni, dal 9 all’11 giugno, dedicata al caffè in piazza Carlo Alberto. Perché forse non tutti sanno che l’espresso è nato proprio a Torino, dove nel 1884 Angelo Moriondo, titolare del prestigioso Grand Hotel Ligure dell’epoca, inventò la prima macchina per l’espresso. Sabato e domenica incontri con gli esperti dei tre grandi produttori e i  pastry chef Filippo Novelli e Nicola Dobnik, gli chef stellati Matteo Baronetto, Andrea Larossa, Marcello Trentini, i maestri gelatieri Marco Serra e Alberto Marchetti (ma, a propositodi gelati, il 14 giugno alle 18, al Circolo dei lettori anche la presentazione della Guida Gelaterie del Gambero Rosso 2018, con i Tre Coni della città, Marco Serra Ottimo!),  Diletta Tonatto, direttore creativo di Tonatto Profumi, esperta di analisi sensoriale, i food writer Clara e Gigi Padovani. A corollario, la mostra fotografica È autentico caffè, allestita in piazza. Evento gratuito, programma completo su www.turincoffee.it

 

Pasticceri in vetrina

La tradizione pasticcera piemontese è un’eccellenza indiscussa. Non a caso nei menu delle case reali e dei più grandi ristoranti d’Europa veniva indicato “chef francese, pasticcere piemontese”! In occasione del Bocuse off una ventina di grandi pasticceri di Torino e del Piemonte, da Fabrizio Galla a Gianni Dell’Agnese, da Lorenzo Zuccarello a Franco Ugetti per fare solo qualche nome, si mettono letteralmente in vetrina, in prestigiose boutiques del centro, per una maratona di showcooking l’8 e 9 giugno. E il 10 giugno, Giornata della Pasticceria, al Museo Nazionale del Risorgimento (ingresso da via Accademia delle Scienze) tutto sui tradizionali biscotti piemontesi (anche da acquistare) e alle ore 11 Forme, colori e gusti della dolcezza, dialogo fra il sommo pasticcere Iginio Massari e l’artista pop Ugo Nespolo. Non sono da meno i gelatieri, che propongono per l’occasione l’antica ricetta originale del gusto Gianduja.

Un cocktail Bocuse

Dal Diamante Costadoro al Caffè San Carlo, da Stratta a Baratti e Zucca: in una quindicina di caffè torinesi, storici e contemporanei, dall’ 8 al 16 giugno si può gustare il Cocktail Bocuse, a base del nuovo Asti secco o dolce e poi vermouth o ratafià, creato espressamente per il Bocuse d’Or.

Mentre Gustò, Ristorante-Emporium di piazza della Repubblica 4, il 10 giugno alle 18 organizza Abbinamenti Spericolati, ovvero i liquori piemontesi Elixir Bernard abbinati al tè, e a una degustazione di Castelmagno, uno dei tre ingredienti selezionati per il Bocuse d’Or. Matias Griffa, bartender dello storico Caffè Elena, propone un cocktail creato espressamente per Abbinamenti Spericolati con gli infusi Bernard e il tè.(€ 15
 Info 3299415437)

Anche l'Enoteca Diffusa propone un’edizione speciale Bocuse con i vini doc della provincia di Torino in versione mixology, nelle tre zone cool di piazza Vittorio Veneto, il Quadrilatero e San Salvario

www.bocusedoreuropeoff2018.it   

 

a cura di Rosalba Graglia

 

Top Italian Restaurant: non solo Cina. La cucina tricolore alla conquista del Sud Est asiatico

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Il Top Italian Wines Roadshow fa rotta su Singapore e Bangkok. A trainare il mercato l'accoppiata turismo e ristorazione di qualità. Exploit del Sud Italia. Ecco come si aggiornano i gusti e la mappa dei migliori ristoranti italiani.

 

Singapore, la piazza asiatica più in per il vino italiano

Giro di boa in Asia per il Top Italian Roadshow, che mette a segno due tappe prima del finale sulla West Coast nordamericana: ieri il tour è sbarcato a Seattle. Il 22 maggio, però, è stata nuovamente la volta di Singapore, uno dei porti principali del vino di qualità: un mercato evoluto, raffinato, molto abituato a bere vini maturi, e di fascia alta, con una spesa media tra le più alte al mondo. La degustazione, andata in onda nel complesso Chijmes, all’interno di una chiesa sconsacrata, è stata l’occasione per sondare una piazza che nel 2017 ha fruttato 14,2 milioni di euro per il vino italiano. Un dato destinato a crescere, basta vedere il ritmo dei primi mesi del 2018, rispettivamente +37,7% in valore e +58,7% a volume.

C’è ancora tanto lavoro da fare per portare cantine italiane meno note e medio-piccole: vanno ancora i grandi nomi ma c’è tanto spazio. La ristorazione fine dining di Singapore è tra le più floride e in evoluzione al mondo; la qualità è decisamente elevata”, commenta Simone Macri, manager dell’ottimo ristorante Jaan, che, tra le altre cose, gode di una vista mozzafiato dal 70esimo piano dello Swiss Hotel. “Stiamo cambiando la nostra carta, punteremo molto sui vini del Sud Italia e su varietà meno note”, gli fa eco Matteo Trabaldo Togna, managing director di Alba 1836, locale premiato con le Due Bottiglie nella nostra Top Italian Restaurants, la guida che premia le migliore insegne tricolori fuori dall'Italia. Nei nostri seminari guidati, oltre alla sensibilità degli operatori del settore verso vini maturi e di struttura – dove Bordeaux la fa ancora da padrone e la Francia da sola ha una fetta equivalente al 70% del mercato – abbiamo notato una consapevolezza crescente sui territori italiani meno battuti, interesse per bianchi secchi, freschi e fragranti. E, nuovamente, tantissime domande e appunti sulle cantine del Sud Italia e il loro bagaglio di varietà autoctone: su tutti, nerello mascalese, aglianico e primitivo.

Garibaldi

I ristoranti premiati

Sul fronte ristoranti italiani, Singapore ha davvero molto da offrire. Durante l’evento, premiato con le Tre Bottiglie Garibaldi, il locale di Roberto Galetti propone un bar e un ristorante dai sapori tradizionali e solidissimi, accanto a una collezione di vini da sogno, tra le più ricche e profonde incontrate nei nostri giri nel mondo. Il frutto di oltre 30 anni di acquisti e ricerche: molte annate sono ormai introvabili. Sul fronte fine dining, Buona Terraaperto a fine 2012, strappa il massimo punteggio - le Tre Forchette - per un locale che abbina ricerca e cura del dettaglio estrema in tutte le sue fasi, e una proposta che osa e arriva al punto (foto d'apertura). Ma ovviamente non ci sono solo questi indirizzi nostrani, ma sono ormai diverse le insegne italiane meritevoli di una visita a conferma di una progressiva evoluzione del panorama locale.

Buona Terra

Buona Terra si aggiudica il Surgiva Taste & Design Award

Una cucina vera, una cucina d’autore. Funziona a meraviglia la coppia Denis Lucchi, chef lombardo, e Gabriele Rizzardi, sommelier che ama vini molto maturi e distillati di nicchia. Pochi e curatissimi coperti, una bellissima cantina a dare il benvenuto, ricerca straordinaria sulle materie prime e un menu in continua evoluzione che mette insieme estro e pulizia gustativa. Tra i piatti, ottimo il gioco di sapori del riccio, esaltato dalla crema di cavolfiore e rilanciato dal caviale, poi la carbonara sbagliata e un agnello perfetto per punto di cottura e corredo speziato. Il tutto accompagnato da una carta dei vini che valorizza al massimo il fattore tempo, con tanti produttori italiani difficilmente reperibili a Singapore, da Radikon a Pietracupa, con tappa da Valentini. In breve, una delle migliori cucine italiane fuori dai nostri confini.

Gianni Ristorante

Bangkok, bere e mangiare in città

Poco più di due ore di volo dividono Singapore e Bangkok. La tassazione thailandese sul vino è tra le più alte al mondo ma non frena di certo i consumi, trainati da un flusso turistico eccezionale, fondamentale sostegno per locali di ogni tipo. Dieci i ristoranti italiani selezionati in Guida, a conferma di un livello medio elevato e un contesto economico sicuramente favorevole. Durante l’evento, premiato Gianni Favro, autentico pioniere della cucina tricolore a Bangkok: “Ventisette anni fa, quando sono arrivato, non arrivavano prodotti, era difficile parlare di cucina italiana. Oggi la scena è ricchissima, è cambiata la consapevolezza: piatti che tornavano indietro come un coniglio o una trippa oggi sono tra i più richiesti”. Il suo Ristorante Gianni ha strappato i Tre Gamberi in guida, riconoscimento a un locale solidissimo e mai uguale nell’offerta. Due Gamberi per la Bottega di Luca, uno dei tre locali di Luca Appino, mentre nella sezione wine bar premiati Di Vino e il nuovo La Casa Nostra. La valutazione più alta nella sezione fine dining va all’Enoteca Italiana con Due Forchette. “Piacciono ancora vini morbidi e rotondi, ma i clienti sono molto curiosi e si lasciano sempre guidare. Noi vendiamo molto Piemonte, un mio pallino”, racconta il manager Nicola Bonazza.

Enoteca Italiana

Nel 2017 la Thailandia ha importato 10,5 milioni di euro di vino italiano, in crescita rispetto ai 9 del 2016. I primi mesi del 2018 segnano una frenata, ma l’ottimismo degli operatori è molto alto, decisamente diverso da quello registrato nelle nostre prime visite in città. “È un mercato complesso e da presenziare con costanza, ma che sta dando già grosse soddisfazioni a molte cantine italiane. Io opero molto anche in Myanmar dove la tassazione è minore e la propensione alla spesa molto alta”, commenta Joe Sriwarin, presidente della Thailand Sommelier Association e al contempo importatore e distributore in proprio.

Le ultime aperture? Seguono quello che è un trend squisitamente globale: vini di piccoli artigiani, ricerca dell’autoctono e attenzione al filone bio. È il caso di About Eatery, il primo wine bar con solo vini naturali in città, o di Wine Garage: “La scoperta di oggi è stato il Susumaniello. Vogliamo portare su questo mercato vini di nicchia, con una storia da raccontare”, chiosa il wine director Guenther Forster.

Missilia

Contadi Castaldi Award, le migliori pizzerie di Singapore e Bangkok

In Asia, la pizza, con tutti i crismi del genere, è un fenomeno molto recente, ma in rapidissima evoluzione A Singapore, Mirco Caretti ha consegnato a Mozza la targa come migliore pizzeria, il locale frutto della cooperazione di Nancy Silverton e Joe Bastianich. La sede principale guarda il Pacifico: è a Los Angeles. All’interno dello scenografico Marina Bya Sands, Mozza offre un’osteria e una pizzeria con dischi soffici e fragranti, con diverse variazioni che escono dal classico repertorio italiano e un impasto regolare e costante. Accanto, una selezione di vini difficilmente riscontrabile in qualsiasi pizzeria italiana, con etichette classiche e di nicchia, insieme a un servizio super professionale.

A Bangkok, il premio Contadi Castaldi ha, invece, valorizzato Pizza Massilia: Bangkok’s Best Pizzeria 2018. Il nuovo progetto di Luca Appino e Frederic Mayer ha sdoganato in città il concetto di pizza gourmet, con un impasto napoletano tradizionale e tanti accostamenti creativi, e riusciti, che poggiano su materie prime selezionate importate direttamente. Due le sedi: a Ruam Rudee e a Sukhumvit, la pulsante – e trafficatissima - arteria di Bangkok.

 

Garibaldi Italian Restaurant & Bar - Singapore - 01-02 36 Purvis Street –+65 68371468- http://www.garibaldi.com.sg/

Buona Terra – Singapore - 29 Scotts Road - +65 67330209 - http://www.buonaterra.com.sg/

Gianni – Thailandia – Bangkok - 34/1 Soi Tonson Ploenchit Road - +66 0 2252 1619 -http://www.giannibkk.com/

Enoteca Italiana – Thailandia – Bangkok - Sukhumvit soi 27 North klong toey wattana - +66 2258 4386- http://www.enotecabangkok.com/

Mozza - Singapore - 2 Bayfront Avenue, Suite B1-42-46 - +65 6688 8522 - https://www.marinabaysands.com/restaurants/celebrity-chefs/pizzeria-mozza.html/

Pizza Massilia - Tailandia - Bangkok - https://www.pizzamassilia.com/

15/1 Soi Ruam Rudee, Khwaeng Lumphini, Khet Pathum Wan, Krung Thep Maha Nakhon 10330 - +66 2 651 5091 / 1 /8 Sukhumvit 49 - Khlong Tan Nua - Wattana - + 66 2 015 0297

 

a cura di Lorenzo Ruggeri

Cova. Il libro che racconta 200 anni di storia del celebre caffè meneghino. Da Puccini a Dubai

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Un libro raccontato dalla famiglia Faccioli, per celebrare il compleanno importante di una storica attività meneghina, nata nel 1817 accanto al Teatro alla Scala. Poi, nel 1950, il trasloco in via Montenapoleone, e dal 2013 il passaggio di proprietà al gruppo LVMH. Ecco perché il Caffè Cova è entrato nel mito di Milano. 

 

200 anni a Milano

Verdi, Toscanini, Puccini, Mascagni, Eleonora Duse per rilassarsi dopo una prima a Teatro; ma pure Garibaldi e Mazzini negli anni in cui si faceva l'Italia. E poi avanti di quasi un secolo, oltre la metà del Novecento, per ritrovare seduti ai tavoli del caffè Ernst Hemingway (che molte volte ha incrociato il suo destino con quello di storici bar), Luchino Visconti, Maria Callas.

All'angolo tra via Montenapoleone e via Sant'Andrea, (ma prima ancora proprio accanto al Teatro alla Scala), il Caffè Cova ha visto sfilare più di un'epoca, nobilitato dalla frequentazione di illustri avventori e corroborato dall'affetto dei milanesi, che al salotto meneghino fondato da Antonio Cova, simbolo del saper fare impresa lombardo, non hanno mai fatto mancare la propria ammirazione: nel 2017 l'insegna ha compiuto 200 anni, dai primi passi come Offelleria Cova ai fasti ottocenteschi, tra incontri leggendari e concerti estemporanei, argenterie preziose e lampadari di cristallo.

Poi vennero tempi bui, i bombardamenti del '43, la distruzione del caffè: solo nel 1950, il Cova riapriva a Palazzo Marliani, nella sede odierna, dove il marchio continua a brillare anche a seguito del recente rinnovamento dei locali, svelato alla città l'autunno scorso.

Gli ultimi anni. Cova nel mondo e LVMH

Nel frattempo il brand è passato di proprietà, sotto il cappello del gruppo LVMH (dal 2013, ma la famiglia Faccioli, entrata in scena con papà Mario nel 1989, è rimasta in società), per assecondare il desiderio di internazionalizzarsi raggiungendo nuovi traguardi: l'ultima apertura, in ordine di tempo, a Dubai, un locale di 400 metri quadri inaugurato all'inizio della primavera 2018, ma oggi Cova è anche a Montecarlo e ha messo radici in Estremo Oriente, con diversi punti vendita tra Pechino, Shangai, Hong Kong (prima apertura all'estero nel 1993), Taipei. Ora un libro ne celebra la storia. Edito per i preziosi tipi di Assouline, il testo a cura di Paola e Daniela Faccioli è corredato dalle foto di Giovanni Gastel e rievocando i ricordi del Caffè intreccia un racconto che parla di rituali, artigianalità e vivere all'italiana. Sullo sfondo l'evolversi di una città e delle sue vocazioni.

Foto di Giovanni Gastel

Cova. Il libro

Ma la narrazione indugia soprattutto tra creazioni di pasticceria – la torta croccante di frutta, il Montebianco, la Coppa Cova -  e aroma di caffè, chiamando in causa quelle vetrine diventate col tempo palcoscenico ideale per mostrare la ricchezza di una proposta che ha sempre cercato di intercettare l'evoluzione del gusto. Si veda l'attenzione riservata al light lunch, il pranzo dei milanesi in pausa dal lavoro: com'è cambiato dagli anni Sessanta a oggi?

Foto di Giovanni Gastel

O il momento dell'aperitivo, nel rispetto di una tradizione che rispetta i vezzi di qualche decennio fa – le mandorle e le nocciole salate, la selezione di canapè – senza perdere la bussola del tempo, con creazioni finger ad accompagnare cocktail di impostazione moderna. Anche questa è la storia di un brand italiano di successo. Cova, il libro, la racconta, per parole e immagini.

 

a cura di Livia Montagnoli

foto di apertura di Giovanni Gastel

Viaggio nelle torrefazioni italiane di ricerca. Trentunesima tappa: Campana Caffè di Torre Annunziata

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Anche nel Sud Italia il panorama del caffè sta iniziando a cambiare. Ne è un esempio Campana Caffè, torrefazione di Torre Annunziata che di recente ha aperto anche una caffetteria d'autore a Pompei. Proponendo chicchi di prima scelta e metodi di estrazione alternativi.

 

Comodo, carico e caldo. Sono “le tre c”, la triade vincente della tradizione caffeicola napoletana. Le regole e i rituali che accompagnano la liturgia dell'espresso in Campania sono moltissime, a cominciare dalla temperatura (bollente) per finire con l'estrazione (solitamente ristretto). Molto spesso, però, le usanze del passato – per quanto affascinanti e folcloristiche – rappresentano un ostacolo più che una risorsa per l'evoluzione di un settore e dei suoi professionisti. Ma anche questa regione sta cominciando a cambiare passo, e lo dimostrano aperture come quella di Ventimetriquadri Specialty Coffee a Napoli, e di Campana Caffè a Pompei, perfetto esempio di una realtà storica che si rinnova, pur mantenendo saldo il legame con le proprie radici. Insieme a Paola Campana abbiamo ripercorso la storia della torrefazione.

 

Campana Caffè

Come inizia l'attività?

La torrefazione esiste dal 1940 e nasce dalla passione di mio nonno Sabino. È stato lui ad aprire la pasticceria, abbinando ai dolci dei caffè freschi tostati in casa, una realtà artigianale d'altri tempi che negli anni ha conservato l'atmosfera degli inizi.

E poi cos'è cambiato?

Dal 2013 io e mio fratello abbiamo iniziato a sentire l'esigenza di rinnovare l'attività, sempre nel rispetto della tradizione e del lavoro fatto da nostro nonno, ma ricercando quella marcia in più in grado di farci evolvere e migliorare. Volevamo puntare sulla qualità, sui caffè pregiati, sulle lavorazioni artigianali più raffinate, e così abbiamo iniziato a studiare.

Come vi siete avvicinati al prodotto?

Abbiamo letto libri, frequentato corsi – molti dei quali con il gruppo dell'Umami Area – seguito convegni, eventi, manifestazioni sull'argomento. Abbiamo scoperto l'universo degli specialty, dei chicchi migliori, un mondo che ci ha conquistati e che non abbiamo più abbandonato.

Come l'hanno presa in famiglia?

Molto bene. Mio papà è molto aperto al cambiamento. È un amante del gusto, del buono, del bello: sa riconoscere un caffè di qualità. E poi gli specialty sono caffè particolari, sì, diversi rispetto a quelli a cui siamo abituati, ma buoni. Una volta assaggiati, difficilmente si torna indietro.

E il pubblico, invece? Come ha reagito?

La clientela campana è un po' difficile, ma devo dire che si sta dimostrando sempre più aperta e curiosa. Certo, i nostri caffè vanno spiegati, raccontati, descritti nel dettaglio. Ma con un po' di pazienza, sono sicura che prima o poi anche gli specialty diventeranno all'ordine del giorno, non solo a Torre Annunziata. Basta saperli comunicare bene.

Come gestisci la comunicazione dell'azienda?

Quello della comunicazione è un punto che voglio rafforzare ancora molto. Molti italiani non conoscono nemmeno la differenza tra Robusta e Arabica: la strada da fare è ancora lunga.

Nel frattempo hai aperto anche il bar a Pompei. Come procede?

Abbiamo inaugurato la caffetteria lo scorso novembre, inserendo metodo espresso ma anche filtro. Naturalmente, le estrazioni alternative ancora devono prendere piede, ma intanto i consumatori hanno iniziato a bere espressi buoni e ben fatti. E poi abbiamo una macchina tostatrice da 2 chilogrammi e mezzo, dove facciamo torrefazione a vista all'interno del locale.

Che caffè hai al momento?

Como monorigine un Colombia Geisha, un Burundi yagikawa, un Panama Boquette, un Etiopia e poi la miscela della casa.

Chi si occupa della tostatura?

Mio fratello, mentre io gestisco la parte di marketing, comunicazione e vendita.

Quanti siete in tutto nella squadra?

Noi due, papà, diversi collaboratori in torrefazione e poi dei baristi in caffetteria che hanno già alle spalle esperienze significative in bar di ricerca.

Cosa ne pensi dell'arrivo di Starbucks in Italia?

Ben venga. Sono certa che contribuirà a far crescere il panorama italiano. Soprattutto, a far capire ai consumatori che esistono diversi modi di bere caffè, tutti ugualmente piacevoli. Porterà una ventata di aria fresca.

Progetti per il futuro?

Da un po' di tempo in cantiere c'è l'idea di aprire un franchising di caffetterie. Qui in zona, ma anche altrove. Staremo a vedere.

Campana Caffè – Torre Annunziata (NA) – corso Vittorio Emanuele III, 194 - 0818611590 - www.campanacaffe.it/

Campana Caffè – Pompei – via Sacra, 44 – 08119664530 - /www.facebook.com/campanabottega/

a cura di Michela Becchi

Per leggere Viaggio nelle torrefazioni italiane di ricerca. Prima tappa Lelli di Bologna clicca qui

Per leggere Viaggio nelle torrefazioni italiane di ricerca. Seconda tappa: Le piantagioni del caffè di Livorno clicca qui

Per leggere Viaggio nelle torrefazioni italiane di ricerca. Terza tappa: Lady Cafè di San Secondo Parmense clicca qui

Per leggere Viaggio nelle torrefazioni italiane di ricerca. Quarta tappa: Caffè Piansa di Bagno a Ripoli clicca qui

Per leggere Viaggio nelle torrefazioni italiane di ricerca. Quinta tappa: Caffè Penazzi di Ferrara clicca qui

Per leggere Viaggio nelle torrefazioni italiane di ricerca. Sesta tappa: Ditta Artigianale di Firenze clicca qui

Per leggere Viaggio nelle torrefazioni italiane di ricerca. Settima tappa: Bontadi di Rovereto clicca qui

Per leggere Viaggio nelle torrefazioni italiane di ricerca. Ottava tappa: Antico Caffè Spinnato di Palermo clicca qui

Per leggere Viaggio nelle torrefazioni italiane di ricerca. Nona tappa: Cannaregio di Venezia clicca qui

Per leggere Viaggio nelle torrefazioni italiane di ricerca. Decima tappa: Mogi Caffè di Bergamo clicca qui

Per leggere Viaggio nelle torrefazioni italiane di ricerca. Undicesima tappa: Caffè Musetti di Pontenure clicca qui

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Per leggere Viaggio nelle torrefazioni italiane di ricerca. Tredicesima tappa: Orlandi Passion di Centobuchi clicca qui

Per leggere Viaggio nelle torrefazioni italiane di ricerca. Quattordicesima tappa: Micro Torrefazione di Gallarate clicca qui

Per leggere Viaggio nelle torrefazioni italiane di ricerca. Quindicesima tappa: Pierre Café di Gravina in Puglia clicca qui

Per leggere Viaggio nelle torrefazioni italiane di ricerca. Sedicesima tappa: Gardelli Specialty Coffees di Forlì cliccaqui

Per leggere Viaggio nelle torrefazioni italiane di ricerca. Diciassettesima tappa: HQ Specialty Coffee di Genova cliccaqui

Per leggere Viaggio nelle torrefazioni italiane di ricerca. Diciottesima tappa: His Majesty the Coffee di Monza clicca qui

Per leggere Viaggio nelle torrefazioni italiane di ricerca. Diciannovesima tappa: Edo Quarta Specialty Coffee di Lecce clicca qui

Per leggere Viaggio nelle torrefazioni italiane di ricerca. Ventesima tappa: Manifattura Caffè di Verona clicca qui

Per leggere Viaggio nelle torrefazioni italiane di ricerca. Ventunesima tappa: Little Bean di Rivanazzano Terme clicca qui

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Il caffè: glossario essenziale per conoscere il caffè


Enjoy Collio 2018 report. L'anteprima dell'annata 2017 in attesa di un nuovo disciplinare

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Ancora incerti i tempi di approvazione del nuovo disciplinare annunciato un anno fa dal Consorzio di Tutela dei vini del Collio, che rappresenterebbe un passaggio fondamentale per spingere verso una maggiore qualità e identità territoriale. Noi abbiamo assaggiato le anteprime presentate a Enjoy Collio 2018.

 

Il Collio nel silenzioso limbo della DOCG

Erano molte le attese per Enjoy Collio 2018. In occasione della scorsa edizione, il Consorzio di Tutela dei vini del Collio aveva puntato molto sull’iter d’approvazione del nuovo disciplinare, che sancirà il passaggio della denominazione da DOC a DOCG. Un passo importante verso il riconoscimento del valore di una storica eccellenza del nostro patrimonio enologico. Il progetto avrebbe dovuto portare all’introduzione di due nuovi vini di punta, destinati a diventare veri simboli della nuova denominazione. Un Collio Gran Selezione DOCG, realizzato con vitigni del territorio (friulano dal 40% al 70% - ribolla gialla max 30% e malvasia max 30%), da mettere in vendita dopo almeno 24 mesi d’invecchiamento e un Pinot Grigio Superiore DOCG, realizzato con basse rese e lunghi tempi d’affinamento, destinato a elevarsi rispetto all’offerta di Pinot Grigio, spesso di modesta qualità, che sta inondando i mercati italiani ed esteri. Purtroppo, la spinta verso il rinnovamento sembra essersi arenata e il percorso verso la DOCG procede con silenziosa lentezza, ammantato da una straniante atmosfera da “falso movimento”.

Contrariamente a quanto ci si aspettava, più che a una decisa e fattiva accelerazione, quest’anno si è respirata un’aria di riflessione e ripensamento sui contorni della nuova DOCG, che sembra tradire una certa mancanza di chiarezza e unione d’intenti sui reali contenuti dei disciplinari. Durante le giornate di Enjoy Collio, il progetto è rimasto sempre ai margini dei discorsi, dimenticato in una zona d’ombra in cui nessuno sembrava volersi avventurare. Le giornate di degustazioni, seminari e visite in Cantina sono così trascorse in compagnia di uno scomodo convitato di pietra, che ha assistito in silenzio a tutta la manifestazione. Una rimozione inattesa, che sembra lasciare il Collio in un’indecifrabile situazione di stallo, senza una progettualità precisa e un chiaro obiettivo da perseguire.

 

Il Collio tra passato e futuro

L’attuale panorama del Collio è caratterizzato da una grande frammentazione ampelografica, un vero mosaico di vitigni, che se da un lato costituisce una ricchezza, dall’altro rischia di rappresentare un limite nel percorso di creazione di un’identità territoriale forte e facilmente riconoscibile. La composizione del vigneto si divide tra: pinot grigio (25,80%), friulano (15,35%), chardonnay (9%), ribolla gialla (7,5%), pinot bianco (3,9%), malvasia (2,60%), gewürztraminer (0,60%), picolit (0,57%), müller-Thurgau (0,12%), riesling renano (0,11%), riesling italico (0,02%); e per i rossi: merlot (7,16%), cabernet franc (4,36%), cabernet sauvignon (1,75%), pinot nero (1,74%) e altri vitigni minori. Se l’ambizione del Collio è di entrare a far parte dell’élite dei grandi terroir del vino, forse sarebbe opportuno puntare su un’identità territoriale più riconoscibile, che semplifichi un po’ il quadro attuale e indirizzi le migliori forze produttive verso un preciso obiettivo. I grandi vini dovrebbero anche essere espressione di uno stile facilmente riconducibile al territorio d’origine.

 

La regione, i suoli, il clima, i vigneti

Il Collio è una piccola regione, sono circa 1.400 gli ettari vitati, che ha la fortuna di poter contare su una certa uniformità dei suoli, formati dal famoso flysch o “ponca” e su un clima ideale per la viticoltura. Protetti a nord dalle Alpi Giulie, i dolci rilievi collinari possono beneficiare dei venti freschi che scendono dalle montagne e contemporaneamente sono dolcemente accarezzati dalle miti brezze del vicino mar Adriatico. Le vigne si trovano in un’area dal clima quasi mediterraneo, caratterizzato da notevoli escursioni termiche, che garantiscono una maturazione delle uve lenta e progressiva, con profili aromatici ricchi e intensi. Queste caratteristiche pedoclimatiche creano un ambiente piuttosto omogeneo e molto adatto a una viticoltura di qualità, soprattutto per le uve a bacca bianca. Se durante la presentazione delle nuove annate di Enjoy Collio non è stato presentato nessun vino rosso, è evidente quale sia la naturale vocazione del territorio, confermata anche dalla scelta di comunicare il Collio attraverso l’uso del colore giallo nel logo della denominazione. Le degustazioni hanno confermato che i risultati più interessanti sono espressi da: friulano, sauvignon blanc, ribolla gialla, malvasia e in parte da chardonnay, pinot bianco e pinot grigio.

 

Le ipotesi di un cambiamento alla ricerca di una maggiore identità

Nella prospettiva di una progressiva semplificazione ampelografica, si potrebbe già cominciare ad accantonare definitivamente alcune varietà marginali, come gewürztraminer, müller-Thurgau e riesling italico. Pur tenendo viva la tradizione dei vini monovarietali, si dovrebbe puntare sulla valorizzazione del Collio Bianco, il vino che sicuramente meglio esprime il territorio nella sua tipicità storica. Come accade per tutti i grandi vini, sono soprattutto le caratteristiche peculiari e irriproducibili del luogo di produzione, che ne costituiscono la vera essenza. La composizione dei suoli, il clima e la secolare tradizione nel campo della viticoltura, sono alla base del successo del Collio e su queste bisognerebbe lavorare per creare valore, identità e uno stile più riconoscibile. La strada intrapresa dal Consorzio di Tutela dei vini del Collio verso la creazione del Collio Gran Selezione DOCG è sicuramente giusta. Individuare e limitare l’utilizzo di poche varietà, definendone anche le percentuali, è un’operazione che va nella direzione di una tipicità territoriale e di una maggior uniformità dei vini. La speranza è che questo momento di temporanea stasi sia presto superato e si proceda in modo rapido alla definizione del nuovo disciplinare. L’obiettivo comune dovrebbe essere, infatti, lavorare per dare prestigio al territorio attraverso un grande vino, che ne rappresenti le migliori qualità e sia il vero ambasciatore del Collio nel mondo.

 

I nostri migliori assaggi di Enjoy Collio 2018

 

Autoctoni friulani

Collio Ribolla Gialla DOC 2017 - Fiegl

Collio Ribolla Gialla di Oslavia Riserva DOC 2013 - Primosic

Collio Ribolla Gialla di Oslavia Riserva DOC 2012 - Primosic

Collio Friulano DOC Ronco delle Cime 2017 - Venica

Collio Friulano DOC 2017 - Isidoro Polencic

Collio Friulano DOC 2016 - Alessio Komjanc

Collio Friulano DOC 2016 - Carlo di Pradis

Collio Friulano DOC 2016 - Roncùs

Collio Friulano DOC Manditocai 2016 - Livon

Collio Malvasia DOC 2017 - Caccese

Collio Malvasia DOC Soluna 2016 - Livon

 

Collio Bianco

Collio Bianco DOC 2016 - Terre del Faet

Collio Bianco DOC Pe-Ar 2016 - Skok

Collio Bianco DOC Bratinis 2015 - Gradis’ciutta

Collio Bianco DOC Col Disore 2015 - Russiz Superiore

Collio Bianco DOC 2015 - Venica & Venica

Collio Bianco DOC Klim 2013 - Primosic

Collio Bianco DOC Planta 2013 - Tercic

 

Internazionali

Collio Pinot Bianco DOC Tàlis 2017 - Venica & Venica

Collio Pinot Bianco DOC 2017 - Russiz Superiore

Collio Sauvignon DOC 2017 - Borgo Conventi

Collio Sauvignon DOC 2017 - Alessio Komjanc

Collio Sauvignon DOC 2017 - Castello di Spessa

Collio Sauvignon DOC 2017 - Zorzon

Collio Sauvignon DOC Gmajne 2016 - Primosic

 

a cura di Alessio Turazza

 

Cerealia 2018: a Roma la festa dal gusto antico che celebra i cereali e la biodiversità

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Rivivere il rituale delle celebrazioni del grano e delle feste propiziatorie per il raccolto, attraverso una serie di eventi e iniziative pensate per promuovere la cultura cerealicola italiana. Dal 7 al 13 giugno 2018 a Roma torna Cerealia, festival del grano con un programma fitto di appuntamenti.

 

La festa nell'Antica Roma

Valorizzazione dei territori, delle colture autoctone locali, della biodiversità, ma anche della specificità culturale, che si rinnova e si arricchisce nel dialogo con l’altro. Molteplici sono gli obiettivi che un anno dopo l’altro si prefigge Cerealia, il Festival dei cereali, Cerere e il Mediterraneo, giunto quest'anno alla sua ottava edizione. Dal 7 al 13 giugno, seminari, forum, convegni, laboratori e interventi da parte dei professionisti del settore faranno luce sui concetti di sostenibilità e biodiversità, andando alla ricerca della profonda e antica storia gastronomica del nostro Paese. Per una festa dal fascino intramontabile, che riprende i Cerialia, celebrazioni che i romani dedicavano a Cerere a metà aprile, con riti propiziatori per i lavori nei campi, Ludi circenses e Ludi scaenici. Nel mese di maggio, poi, si celebrava il rito del “finto raccolto”, nel periodo più critico in cui la fioritura delle spighe era esposta al rischio di una possibile ultima gelata, mentre le Vestali più anziane provvedevano a preparare la mola salsa, impasto offerto a Vesta, dea del focolare domestico.

… E oggi

Tradizioni che – in forma contemporanea – da 8 anni tornano alla ribalta ogni primavera nella Capitale, grazie alla manifestazione moderna e innovativa che conserva lo spirito e il profondo significato di una volta. Quest'anno, l'edizione è dedicata alla Repubblica di Malta e ha come tema “L'acqua e la terra. Sostenibilità ambientale e sicurezza sociale”. Un festival che coinvolge tutta la città (e zone limitrofe), e si inserisce a pieno titolo nella serie di eventi per l'Anno del Cibo Italiano, campagna di promozione nata a inizio 2018 per fare luce sulla cultura gastronomica italiana.

Il programma

Si comincia giovedì 7, con la cerimonia del passaggio di testimone dall'Unione Europea (protagonista dello scorso anno) alla Repubblica di Malta, con un dibattito sulle ricerche preistoriche della Missione Archeologica Italiana a Malta, per proseguire poi con “C'era una volta la Dolce Vita”, percorso itinerante da Largo Fellini a Piazza Barberini lungo i luoghi legati all'atmosfera dello storico periodo dell'Italia repubblicana, insieme all'Archeoclub d'Italia. E ancora il forum “Che ne sai tu di un campo di grano? Dono della pasta madre e laboratorio cereali e panificazione”, ospitato al Mercato Contadino di Capannelle in collaborazione con l'Orto Botanico Università di Tor Vergata e l'azienda agricola Umberto Di Pietro, realtà produttrice di cereali, legumi e farine di qualità. Un'occasione unica per rivivere il rito del dono della pasta madre, di buon auspicio per il raccolto, e per imparare a fare il pane in casa. E poi visite guidate alla scoperta delle opere di Caravaggio, l'omaggio a Gioacchino Rossini, musicista e gran gourmand, presentazioni di libri, Il Pane di Vicovaro di Luigi Rinaldi, concorsi fotografici, “Tutti a tavola!”, proiezione di filmati, street food e tanti assaggi. Per un programma fitto da appuntamenti che trasformerà l'intera città.

Cerealia – Roma – evento diffuso – dal 7 al 13 giugno 2018 - www.cerealialudi.org/

a cura di Michela Becchi

Italia in Rosa 2018 report. Come vanno i vini rosati in Italia?

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L'undicesima edizione di Italia in Rosa ha tratteggiato un panorama in lenta ma costante crescita per qualità e interesse nei confronti dei vini rosati.

 

Si è chiusa con un grande successo di pubblico l’undicesima edizione di Italia in Rosa, la più importante rassegna italiana dedicata al mondo dei vini rosé. Sono stati oltre 8000 gli appassionati che dall’1 al 3 giugno hanno affollato, calice alla mano, i banchi d’assaggio del parco del Castello di Moniga del Garda. Quest’anno la presenza delle Cantine ha superato quota 150 con più di 200 vini in degustazione, provenienti da quasi tutte le regioni italiane: Lombardia, Piemonte, Veneto, Trentino Alto-Adige, Emilia Romagna, Toscana, Abruzzo, Molise, Campania, Calabria, Puglia e Sardegna. Uno dei dati più incoraggianti dell’ultima edizione è il crescente interesse del pubblico giovane per i rosé. Anche in Italia i millennials sembrano vedere nel rosato un vino piacevole, informale, facile da bere per chi si sta avvicinando a questo mondo per la prima volta. Speriamo sia un segnale positivo, che possa indicare un cambiamento nelle abitudini del nostro Paese in cui aumentano le manifestazioni dedicate, come I Drink Pink in programma in diverse città di Italia fino alla metà di luglio

Rosati: produzione e consumo in Italia

Nonostante l’Italia, dopo Francia e Spagna, sia il terzo produttore europeo di vini rosati, il consumo nazionale fatica a superare il 5%, rispetto a una media mondiale del 10% e con la Francia che viaggia ormai oltre il 30%. Italia in Rosa ha confermato il buon livello dei nostri vini e la presenza di molte denominazioni, che possono vantare un’antica tradizione nella produzione di rosati. La pratica del salasso, il prelievo del mosto durante la produzione di vini rossi per realizzare rosé, è stata quasi ovunque abbandonata in favore di una vinificazione con un breve contatto sulle bucce. In molti territori i vini rosé nascono già in campagna, con la scelta delle vigne che possono fornire le uve più adatte e con vendemmie leggermente anticipate per preservare la necessaria freschezza. In Valtènesi il Chiaretto è addirittura il primo vino e il più importante in assoluto della denominazione. Grazie alla crescente attenzione dei produttori, la qualità dei rosati italiani è cresciuta molto negli ultimi anni e oggi possono competere con quelli delle più famose regioni del mondo senza alcun timore reverenziale. Una conferma in questo senso arriva anche dal direttore del Consorzio Valtènesi Carlo Alberto Panont: “L’edizione 2018 di Italia in Rosa” dice Panont“ha messo in luce un forte incremento nella coscienza produttiva dei rosé: prende piede un aspetto identitario che, sostenuto da un profilo qualitativo sempre più elevato, sembra ormai essere alla base di una vera e propria scuola di pensiero”.

 

I rosé italiani fanno squadra

La novità più importante della tre giorni di Moniga del Garda è senza dubbio il patto a cinque sottoscritto dal Consorzio Valtènesi con altri quattro importanti Consorzi storicamente vocati alla produzione di vini rosati: Chiaretto di Bardolino, Cerasuolo d’Abruzzo, Castel Del Monte e Salice Salentino. Dopo le degustazioni e le iniziative comuni messe in campo all’ultima edizione del Vinitaly, la collaborazione tra le principali denominazioni italiane produttrici di rosé prende forma in modo più strutturato e istituzionale. Le basi dell’accordo si fondano sulla comune tradizione storica legata alla produzione di vini rosati, con l’utilizzo di vitigni autoctoni del territorio.

Un accordo che nasce per fare sistema e affrontare la sfida dei mercati internazionali con maggiore forza. I cinque Consorzi possono contare su una produzione complessiva superiore ai 16 milioni di bottiglie e soprattutto rappresentano cinque espressioni di rosé diverse, che offrono al consumatore una vasta gamma di scelta. L’area gardesana può proporre il Valtènesi Chiaretto, elegante, morbido e fruttato o il Chiaretto di Bardolino più fresco, sapido e agrumato. Il centro Italia un rosé importante, ricco e strutturato come il Cerasuolo d’Abruzzo e la Puglia la finezza dei vini di Castel del Monte, a base di bombino nero, o la fragranza intensa e avvolgente dei rosé della zona del Salice Salentino, prodotti con negroamaro. Cinque sfumature di rosa diverse tra di loro, che non rischiano di entrare in competizione, ma anzi si presentano come perfettamente complementari. Vini dai colori e dai profili molto caratteristici, che esprimono la sfaccettata ricchezza della nostra produzione nel campo dei rosati. Le parole del presidente del Consorzio Valtènesi Alessandro Luzzago confermano l’importanza dell’accordo e la necessità di fare sistema: “Abbiamo stretto un’alleanza che avrà forti conseguenze nell’affermazione della cultura del rosé Italiano. Un patto di alto valore simbolico e fondativo: essere uniti insieme sotto il segno della storicità e dell’utilizzo di uve autoctone è senza dubbio la strada vincente”.

 

I nostri migliori assaggi a Italia in Rosa:

Valtènesi Riviera del Garda Cl. Chiaretto' 17 - Le Chiusure

Valtènesi Riviera del Garda Cl. RosaGreen '17 - Pasini San Giovanni

Valtènesi Riviera del Garda Cl. San Donino '17 - Selva Capuzza

Bardolino Chiaretto '17 - Cavalchina

Bardolino Chiaretto Rodon '17 - Le Fraghe

Bardolino Chiaretto '17 - Vigneti Villabella

Castel del Monte Rosato Pungirosa '17 - Rivera

Est Rosa '17 - Pietraventosa

Tramonto '17 - Donna Viola

Cerasuolo d’Abruzzo '17 - Il Feuduccio

Cerasuolo d’Abruzzo Baldovino '17 - Tenuta i Fauri

Cerasuolo d’Abruzzo '17 - Talamonti

Maremma Toscana Rosato San Michele n°3 '17 - Poggio L’Aparita

Fertuna Rosé '17 - Tenuta Fertuna

Albarese Rosé '17 - Vini di Maremma

 

a cura di Alessio Turazza

Gino Sorbillo Lievito Madre a Roma in piazza Augusto Imperatore. Come sarà la sua pizzeria

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Come annunciato qualche mese fa, il pizzaiolo napoletano si appresta a inaugurare la sua prima insegna romana, proprio nel centro della città. Ecco come sarà. 

Gino Sorbillo a Roma

Che presto sarebbe arrivato anche a Roma, Gino Sorbillo l'aveva anticipato all'inizio dell'anno. “Entro 6 mesi” preannunciava a febbraio, in una zona ancora top secret, anche se le prime voci propendevano per l'area di Porta Pia. Qualche mese dopo, e con l'obiettivo di concretizzare l'apertura entro l'estate, il pizzaiolo napoletano che ha dimostrato di saper conquistare Milano, e l'anno scorso ha intrapreso un percorso altrettanto chiacchierato a New York, torna a far parlare di sé. E rivela i dettagli di quella che sarà la sua prima pizzeria nella Capitale, proprio nel centro della città, e non molto distante da Salvatore Di Matteo, altro atteso ambasciatore della pizza napoletana che ha appena inaugurato la sua grande pizzeria (Le Gourmet) nei locali che già furono di Splendor Parthenopes, in vista di piazza Cavour. Sull'altra sponda del Tevere, Gino Sorbillo Lievito Madre a Roma aprirà in piazza Augusto Imperatore, dove un tempo c'era Rhome, in uno spazio soppalcato da 90 coperti, più 50 posti all'esterno, confermando le premesse che avevano annunciato il suo esordio romano: pizza napoletana da farine biologiche Molino Caputo, ma con l'impasto caratteristico che identifica la mano del pizzaiolo, per un disco che arriva sul piatto sottile e senza cornicione esagerato.

 

4 proposte per raccontare l'essenza della pizza

Solo 4 proposte – margherita, marinara, diavola, “e una marinara speciale con alici del Cantabrico, origano di montagna, aglio di qualità e un grande pomodoro” - niente fritti, né antipasti, “almeno all'inizio”. Del resto l'idea è quella di raccontare il percorso fatto sin qui, puntando dritto all'essenza della pizza: “Penso che il futuro della pizza sia dimostrare che si può fare bene togliendo. Vedo sempre più spesso abbinamenti complessi, 7-8 ingredienti insieme su una pizza, non credo ci sia necessità. L'importante è lavorare con ottimi prodotti, noi proporremo pomodoro bio Fiammante, il Fior di latte di Napoli di Latteria Sorrrentina...”. Cottura in forno a legna, a vista, e pure un forno Moretti dedicato agli impasti senza glutine, “per proporre le nostre 4 pizze anche in versione gluten free”.

 

Apertura a fine luglio e delivery

L'accordo è stato appena firmato, ma i tempi d'attesa non dovrebbero essere lunghi: “Si tratta di un locale già esistente, se lavoriamo bene dovremmo riuscire ad aprire già alla fine di luglio. Poi comincerò a guardare per un altro spazio in centro città, un corner in cui replicare la formula di Zia Esterina, che piace moltissimo. Sono convinto che la pizza fritta debba disporre di uno spazio dedicato, e anche a Roma vorrei mettere radici come ho fatto a Milano negli ultimi anni”. Per il resto, le idee al vaglio sono molteplici: “Sarà disponibile un servizio delivery, operato con bici elettriche studiate per noi da Mario Schiano, perfette per trasportare la pizza. O in alternativa tricipizza con bauletto cilindrico”. Nel frattempo Sorbillo non smette di guardare oltreoceano, dove si appresta a replicare a Miami, “ma dopo l'apertura romana”. E la sua insegna arriverà presto anche a Barcellona, prima tappa europea oltreconfine per il pizzaiolo diventato un simbolo del made in Italy nel mondo.

 

Gino Sorbillo Lievito Madre a Roma - Roma - piazza Augusto Imperatore, 46 - da fine luglio 2018

 

a cura di Livia Montagnoli

foto di Anna Monaco

Apre Bomba di Niko Romito a Milano. Gruppo Autogrill punta su innovazione e qualità

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Ancora una novità per il panorama milanese: apre Bomba, lo street food dolce e salato firmato Niko Romito.

 

Passi per Piazza 25 Aprile a Milano, sotto la mole translucente di Eataly, di fronte alla presenza della storica Porta Garibaldi che ha dato il nome a un nuovo vibrante quartiere, di fronte alla facciata austera dell'Anteo, forse il cinema urbano più innovativo oggi in Italia, a fianco dei profili minimal del forno di Princi, di sguincio alla colonna vertebrale in cemento vivo della Fondazione Feltrinelli firmata da Herzog&DeMeuron.

 

Passi di qui, dicevamo, e scorgi l'ennesimo format gastronomico, nei locali che prima ospitavano un'agenzia immobiliare. Ci sei abituato, per carità, in questa piazza due o tre anni fa aprì addirittura un misterioso bistrot che in realtà era un tentativo di McDonald's di saggiare una ristorazione più classica, più food e meno fast. Insomma, qui al tournover di "concept" il pubblico c'è abituato. E dunque l'occhio si abituerà subito anche alla new entry delle ultimissime ore.

 

Niko Romito + Autogrill

Poi però si tratta di approfondire e capire cosa c'è dietro quella scritta: Bomba. Dietro, innanzitutto, c'è Niko Romito, uno dei migliori cuochi delle terre emerse sia dal punto di vista gastronomico che da quello imprenditoriale. Dietro, poi, c'è Autogrill, azienda italiana tra le prime al mondo (secondo alcune classifiche la prima) nel mondo della ristorazione di massa. Il mix di questi due apporti ha generato in passato e genererà in futuro nuove proposte, innovazioni, esperimenti retail al confine tra qualità e grandiosa scalabilità.

 

images/articoli/Food/Bomba-di-Niko-Romito-4-Ph_-Francesco-Fioramonti.jpgFoto: Francesco Fioramonti

Bomba: dai ricordi di famiglia al primo esperimento a Napoli

L'ultimo esperimento si chiama, appunto, Bomba e apre oggi in sordina a Milano. Il progetto in realtà non è nuovissimo e parte da lontano, dalla storia di Niko, dalla pasticceria di famiglia, dalla produzione di dolci in Abruzzo. La celebre pasticceria Reale di Rivisondoli poi tramutata in trattoria. Negli anni il Reale è diventato il miglior ristorante d'Italia, ma le radici non si dimenticano. E dunque Niko nel 2014 apre "Bomba" a Napoli. Un corner all'interno di un supermercato di qualità. Un corner che faceva bombe. Ma non bombe alla crema, no. O meglio non solo: bombe ripiene di mozzarella di bufala, bombe ripiene di scarola, bombe di indimenticabile bontà. Ma tutte le cose belle finiscono e anche bomba dopo qualche anno interruppe il suo esperimento. Ma non per sparire: nel frattempo il progetto era stato notato dal gruppo Autogrill che ne acquisisce marchio e potenzialità. Bomba a Napoli viene chiuso e ci si mette a lavorare sul progetto quello vero, sul progetto di debutto mondiale e scalabilità globale di un format unico nel suo genere.

 

Il progetto e il prodotto

Oggi Bomba debutta a Milano con il suo primo negozio. Indubbiamente primo di una serie, su scala necessariamente internazionale. La replicabilità del progetto è stata perciò accentuata: c'è un laboratorio centralizzato, nel Nord Italia, che prepara le bombe e le abbatte per poi spedirle ai vari punti vendita (per ora solo quello di Piazza 25 Aprile) dove vengono rigenerate per essere servite. Il tempo è servito però non solo a mettere a punto la logistica però, Romito ha lavorato anche approfonditamente sul prodotto, sull'impasto, sulla filiera. Le bombe di Bomba sono, tanto per dirne una, prive di grassi animali nell'impasto. Solo olio d'oliva e burro di cacao, e poi fritte immerse nell'olio di semi. Un impasto unico, sempre uguale sia per le farciture dolci che per quelle salate.

 

Le farciture

La farciture? Per chi (e il pellegrinaggio non era da poco, suggellato da un premio che il Gambero Rosso conferì al progetto nella Guida Street Food del 2016) ha assaggiato la versione partenopea del progetto i cambiamenti non saranno moltissimi (peraltro uguali sono anche logo e colori): bomba al ragù, bomba alla scarola pinoli e uvetta (dà la dipendenza, avvisati!), bomba al pollo, bomba al maiale fondente. Una novità-novità però ci sarà: le bombe al gelato, in omaggio ai trenta gradi celsius sotto i quali versa la città di Milano ormai da giorni e prevedibilmente per i prossimi mesi. Il gelato poi - pistacchio, crema, cioccolato e nocciola - sarà quello di Emilio a Maratea che sulla nostra Guida Gelaterie vanta qualcosa come Tre Coni, il massimo del punteggio: anche qui molto pochi i compromessi sulla qualità!

 

Lo spazio

Il nuovo posto, come dicevamo in una delle zone più felicemente trasformate di Milano negli ultimi anni, sarà anche fruibile come caffè. Ci saranno presto i tavolini all'aperto a corroborare i comunque già generosi 60mq interni a quanto dicono i ragazzi (una decina quelli destinati all'opening da Autogrill, sotto l'attenta supervisione di Niko in persona in questi primi giorni) e gli orari saranno dilatati, dal mattino fino a mezzanotte.

Insomma, come fanno i veri innovatori qui si usa la tradizione (e il vissuto) per assorbirla, digerirla, metterla in discussione. C'era una volta la bomba alla crema, mediocre come impasto, fritta in maniera approssimativa e ricoperta di zucchero di dubbia qualità, oggi c'è la bomba spezzatino e spinaci con impasto studiato, filiera controllatissima, ingredienti e farciture di prim'ordine eppure più popolare e più replicabile della prima.

I prezzi per togliersi la voglia? 5 euro e mezzo per le salate, 7 euro per quelle più gastronomiche e imbottite di delicatezze di gran vaglia, 2 euro e mezzo per le dolci con zucchero, crema e liquore Strega, gianduja o confettura di albicocche. E poi ci sono i combo (bomba + birra, bomba + caffè, bomba + bollicine) per risparmiare un po'. "Il mio sogno è fare diventare Bomba la protagonista di un nuovo cibo da strada italiano", firmato Niko Romito.

 

Bomba – Milano - Piazza 25 Aprile, 12

 

a cura di Massimiliano Tonelli

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