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Il fallimento di Melegatti ora è ufficiale. Crisi senza fine per la storica azienda di pandori

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È stato un anno difficile, animato da false speranze e colpi di scena. Ora la crisi di una delle più longeve e celebri aziende dolciarie made in Italy arriva al capolinea: il Tribunale di Verona sancisce il fallimento, con debiti che ammontano a 50 milioni di euro. Quale speranza per i lavoratori? 

L'inizio della crisi

Non sempre le belle storie si concludono con il lieto fine. Non quando di mezzo c'è la difficoltà di fare i conti con il mercato del lavoro e il mondo dell'impresa, neppure se ti chiami Melegatti e la tua storia affonda le radici ben oltre un secolo fa (e proprio ieri, per altri versi, ragionavamo sulle difficoltàdi un altro storico marchio dolciario, Peyrano). Dal 1894 - quando Domenico Melegatti brevettò forma e ricetta del Pandoro Originale- a oggi, evidentemente, lo scenario è molto cambiato. E ora una delle più importanti e longeve industrie dolciarie made in Italy arriva impotente al capolinea di una crisi che si è aggravata nell'ultimo anno. A nulla sono valsi i tentativi di salvarla: difficile ricucire la frattura tra le parti societarie – più simile a una faida familiare – impossibile sanare il debito cumulato, per esempio, a causa di investimenti considerati da molti, alla luce dei fatti, poco oculati. L'escalation l'abbiamo seguita passo passo, a partire dall'autunno scorso, quando i timori per le sorti dei lavoratori e l'annunciato stop della produzione paventavano il rischio di un Natale senza pandoro Melegatti. All'inizio del 2017 c'era stata l'inaugurazione di un nuovo stabilimento, a San Martino Buon Albergo, deputato alla produzione di croissant (per un investimento di 10 milioni di euro, a fronte di 70 milioni di fatturato annuo): scelta non ripagata dal bilancio, che all'inizio dell'autunno faceva registrare arretrati non pagati, bollette inevase, stop forzato della produzione, lavoratori stagionali (quasi trecento) lasciati a casa.

 

Dal miracolo di Natale all'illusione di riscatto

Poi gli hashtag e le campagne solidali, l'intervento della politica e il miracoli di Natale: 5mila pandori sfornati per le feste, il ritiro della cassa integrazione, il supporto di un fondo maltese. Ma i debiti, ingenti (10 milioni di euro di esposizione con le banche, e 12 milioni di debiti verso i fornitori ) hanno continuato a pesare sulla ripresa regolare della produzione, che di fatto, dall'inizio del 2018, si è fermata definitivamente, nonostante l'ultimo appiglio offerto da Hausbrandt Trieste 1892, che a febbraio ufficializzava la sua discesa in campoper salvare Melegatti. Un accordo da un milione di euro per finanziare la produzione di Pasqua, firmato in tribunale, in nome di un'alleanza veneta volta a preparare l'eventuale acquisizione dell'azienda da parte del gruppo del caffè di Nervesa della Battaglia. Sembrava quasi fatta, allora, in attesa che le parti ratificassero l'accordo e il giudice concedesse l'autorizzazione a procedere con la ristrutturazione del debito.

 

Il fallimento di Melegatti

Qualche ora fa, invece, la doccia fredda: il collegio del Tribunale di Verona ha dichiarato il fallimento della società e della controllata Nuova Marelli di San Martino Buon Albergo. L'accordo non si è mai concretizzato, il tribunale ha rifiutato di concedere una proroga, il debito si è ulteriormente aggravato, toccando quota 50 milioni di euro. E ora che succede? La priorità è salvaguardare gli interessi dei lavoratori, 350 famiglie che proprio un paio di giorni fa avevano lanciato un appello sul quotidiano veronese L'Arena. Anche Luca Zaia, presidente del Veneto, è intervenuto pronunciandosi sull'urgenza di riavviare la produzione salvando i lavoratori e il prestigio di un marchio storico. Dichiarazioni che al momento restano slogan, in attesa di un confronto più costruttivo con il commissario deputato a gestire il fallimento. Una parola sussurrata per mesi, e ora drammaticamente reale, che pesa come un macigno sul futuro dell'azienda veronese. La via d'uscita, l'extrema ratio, potrebbe arrivare da oltreoceano: è noto l'interessamento del fondo americano D.E. Shaw & C., che già qualche mese fa si diceva disposto a investire 20 milioni di euro per avviare un piano di risanamento. L'ennesima illusione?

 

a cura di Livia Montagnoli


La pasta italiana in Liguria. 20 formati tipici e la ricetta delle trenette

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Una delle più ricche e antiche tradizioni di pasta fresca di tutta la Penisola: la Liguria ha molto da offrire sul fronte dei primi piatti, fra paste all'uovo ripiene e formati acqua e farina conditi nei modi più disparati. La storia della pasta ligure e la ricetta delle celebri trenette.

 

Un entroterra disegnato da terrazzamenti di vigne e uliveti e una costa straordinaria punteggiata da borghi antichi che custodiscono le tradizioni storiche del luogo: la Liguria è una striscia di terra in grado di riservare molte piacevoli sorprese agli amanti del gusto, con i suoi sapori autentici, frutto di materie prime semplici ma squisite e di una serie di influssi culturali che nel tempo hanno dato vita a una cucina unica nel suo genere. Poche parole per descrivere la sfera della pasta fresca: stiamo parlando di una delle regioni che nei secoli hanno saputo creare la maggior parte dei formati oggi noti in tutta Italia, oltre a conservare quelli più antichi e meno conosciuti. Alla base di molti prodotti, la tradizione della “cucina bianca”, stile gastronomico nato fra i sentieri della transumanza in Liguria e nelle Valli Occitane del cuneese, chiamato così per il colore chiaro degli ingredienti, dalle uova alla farina, senza dimenticare i latticini e gli ortaggi come cipolle, rape e patate.

Barbagiuài

Diffusi soprattutto nelle zone di Apricale, Camporosso e Dolceacqua, i barbagiuài sono dei ravioli fritti a base di farina, olio e vino, ripieni di zucca, uova, parmigiano, pecorino e maggiorana, talvolta con la bieta al posto della zucca. Sono serviti tradizionalmente per la festa dell'Addolorata, e ne esiste anche una variante con il brussu, una tipica ricotta caprina leggermente piccante.

 

bastardui

Bastardùi

Acqua, farina ed erbe: i bastardùi, chiamati anche maltagliati o lasagne bastarde, sono degli gnocchetti conditi con salsa di porri e panna di malga diffusi soprattutto nelle Alpi marittime, che appartengono alla cosiddetta cucina bianca.

Battolli

Una sfoglia piuttosto spessa tagliata in tante strisce irregolari larghe circa 4 millimetri: sono i battolli, delle tagliatelle di farina di grano, di castagne, uova e acqua, cotte in abbondante acqua salata o nel latte e insaporite con del pesto genovese. Particolarmente in voga nella zona di Uscio, i battolli vengono spesso lessati insieme a patate e una rapa bianca del territorio chiamata naun.

Bavette

Bavettine, linguine, lingue di passero: le bavette sono fra i formati più popolari in tutta Italia, nati in Liguria come pasta per i brodi, ma preparate poi in tanti modi diversi a seconda della località. Il nome è riconducibile alla parola francese baverette, documentata già nel XIII secolo, un derivato di baba, ovvero bava. Dette anche baverine, le bavette sono citate anche nel Dizionario del Fanfani come “specie di pasta da minestra in fila lunghe e sottili”.

Brichetti

Ancora un formato adatto per minestre di verdure o pesce, i bricchetti, spaghetti corti perfetti per il minestrone, a base di acqua e semola. In dialetto genovese, bricchetto significa bastoncino, e sta a indicare proprio la forma della pasta. La ricetta veniva tradizionalmente preparata il giorno prima, in modo da ottenere un piatto denso e corposo, che per tempo ha rappresentato la colazione dei contadini prima di iniziare il lavoro nei campi.

Corzetti

Un pezzetto di impasto di acqua, uova e farina, steso con il mattarello e pressato alle due estremità con i polpastrelli a forma di otto: è il corzetto, formato condiviso anche con il Piemonte, che trova diverse espressioni a seconda della zona. Una pasta antica, presente già nel Duecento, tanto da essere citata nel “Liber de coquina bi diuersitate ciborum docentur,” e poi, molti secoli dopo, nel “Deux traités d'art culinaire mdiéval” del 1970. I corzetti tiae co-e die (tirati con le dita) sono la reinterpretazione italiana di una storica preparazione provenzale, diffusasi dapprima in Liguria, nella Val Polcevera, e poi in Piemonte. I pezzetti di pasta devono essere grandi quanto un pollice “et cum digito sunt concauati”, ovvero incavati con il dito. Per chi non volesse realizzare i corzetti a mano, esistono degli appositi stampini in legno, diffusi già nelle corti rinascimentali liguri, dove spesso veniva inciso lo stemma del casato oppure una croce, dalla quale – probabilmente - prendono il nome (un'altra teoria ritiene invece che la parola corzetto derivi dal croset, uno scudo d'argento utilizzato nel Seicento nella Repubblica di Genova). In qualsiasi caso, i corzetti hanno rappresentano per molto tempo la risorsa alimentare base dei marinai in viaggio, grazie alla loro capacità di conservazione e il basso costo delle mate rie prime, che li ha resi uno dei formati più popolari anche durante i frequenti periodi di carestia. Fra le salse più comuni, ancora una volta è il pesto a farla da padrone.

Gasse

“La cuciniera genovese ossia la vera maniera di cucinare alla genovese” di Giovanbattista e Giovanni Ratto (1893) è considerata la Bibbia della tradizione gastronomica del capoluogo ligure. Fra le tante specialità del passato, qui si legge anche delle gasse, delle striscioline di pasta all'uovo chiuse ad anello e lasciate essiccare, condite con ragù bianco. Un formato antico che prende il nome dal termine dialettale utilizzato dai marinai genovesi per indicare i piccoli nodi per fermare l'anello al termine di una cima.

Lasagne

La regine della pasta all'uovo, simbolo della cucina tricolore in tutto il mondo, ricordo dell'infanzia e dei pranzi della domenica di tutti gli italiani: la lasagna porta con sé una storia lunga e complessa, che presto torneremo a raccontarvi in occasione dell'indagine sui formati tipici dell'Emilia Romagna, regione dove questo prodotto (un tempo realizzato solo con acqua e farina) ha trovato negli anni la sua migliore espressione. In Liguria, un antro territorio dove si è maggiormente diffusa, viene preparata nella versione verde con pesto genovese. Dal latino lasanum, termine utilizzato per indicare un contenitore di cucina simile alla pentola contemporanea, la ricetta è descritta per la prima volta in volgare nei Memoriali bolognesi, documenti notarli che hanno conservato testimonianze significative dell'antico italiano scritto, datati 1282: “Giernosen le comadre treambedue a la festa, / de gliocc'e de lasagne se fén sette menestra; / e sidde l'un 'a l'altra: “Non foss'altra temepsta, / ch'eo non volesse tessere, mai ordir né filare”.

Mandilli de sea

Mandilli de sea, ovvero fazzoletti di seta. Delle sfoglie sottilissime, quasi trasparenti, cotte in abbondante acqua salata e condite con i diversi sughi locali a seconda della zona. Una pasta nata nel periodo rinascimentale, quando l'abilità di un cuoco veniva misurata in base alla sua bravura nella stesura e chiusura della sfoglia: più sottile e minuto era, più abile e capace veniva considerato lo chef. I tortellini, per esempio, dovevano essere grandi come ceci, e fra le paste più apprezzate vi erano i capelli d'angelo, formato tipico del Lazio ma molto diffuso anche in Liguria, nato all'interno dei monasteri medioevali, dove le monache erano solite prepararli per gli ammalati o le puerpere.

Natalin

Per il pranzo di Natale e la cena della Vigilia, la tradizione ligure più antica impone il consumo del brodo di trippa. Ad arricchire questa zuppa, i natalin, dei cannolini lisci schiacciati con le estremità tagliate di sbieco, simili a quelle delle più note penne. Chiamati a Genova semplicemente maccheroni, i natalin in to broddo vengono impreziositi con pezzi di salsiccia, a simboleggiare ricchezza e prosperità in periodo di festa. Nel Levante, vengono passati prima in una pastella di uovo sbattuto, formaggio e maggiorana, e poi tuffati nella minestra.

Pansotti

in preixun (letteralmente “bietole in prigione”) a Genova, i pansotti (o pansooti) devono il loro nome alla forma panciuta e rigonfia che li caratterizza. Si tratta di una pasta di acqua, farina e vino bianco ripiena di preboggion (tipica miscela di erbe spontanee), ricotta e parmigiano, presentata ufficialmente per la prima volta nel '61 a un festival gastronomico di Nervi. Le loro origini, in realtà, sono ben più antiche, e strettamente correlate alla tradizione della festa di San Giuseppe, da sempre in tempo di digiuno quaresimale, momento in cui i liguri celebravano la tavola con un raviolo di magro. Condimento tipico è quello con noci e pinoli, nato attorno all'Ottocento.

Raviore

Altra pasta, altro ripieno: spinaci selvatici, erba Luisa, menta e ortiche vanno a comporre la farcia di questi rettangoli chiusi a fagottino e chiamati raviore. Solitamente consumati con la stessa acqua di cottura, insieme a burro e pecorino, oppure nella versione più golosa che prevede l'unione di noci e panna, i raviore sono tipici di Cosio d'Arroscia e Montegrosso Pian Latte, e forniscono un ritratto della Liguria più povera del passato, quando le erbe selvatiche erano le uniche materie prime a disposizione nell'orto.

Scucùzzu

Frutto dello scambio fra Genova e i paesi nord-africani, gli scucùzzu ricordano – nel nome e nella forma – il cuscus. Secondo alcuni storici della gastronomia, sono stati gli abitanti di Peglio, che nel Cinquecento si trasferirono nell'isola tunisina di Tabarka per la pesca dei coralli e del tonno, a importare la ricetta in Liguria. In qualsiasi caso, stiamo parlando di un formato molto piccolo, delle dimensioni di un chicco di riso, a base di semola, uova, acqua e sale, asciugato a lungo (almeno 24 ore).

Streppa e caccialà

Nella Valle Arroscia a fare la parte del leone è la minestra streppa e caccialà (“strappa e caccia là”), un brodo di verdure in cui vengono tuffati dei pezzetti di pasta acqua e farina appiattiti con le dita e dalla forma irregolare. Spesso cotti direttamente in acqua insieme a verza, rape e patate (o altri ingredienti poveri tipici della cucina bianca).

Sugeli

Torna ancora una volta il brusso, la ricotta fermentata e inacidita già citata alla fine dell'Ottocento nell'Inchiesta Jacini, dove risultava tipica di Triora. Diffusa in Liguria e Piemonte, questa ricotta diventa protagonista nei sugeli, dei rotolini di acqua, farina, olio e sale schiacciati con un movimento rotatorio del dito, fino a ottenere la tipica forma a cappellino. Conosciuti anche con il nome dialettale di corpu de diu, i sugeli trovano la loro espressione migliore nell'abbinamento con questo latticino.

Tacui

Un ingrediente fondamentale nelle cucine più povere, in passato, erano le castagne, che abbondavano nelle zone di montagna dell'Appennino ligure-emiliano dalla metà dell'Ottocento fino al secondo dopoguerra. Per molto tempo, intere famiglie contadine hanno vissuto per sei mesi l'anno di castagne e dei loro derivati. Come la farina, impiegata per realizzare i formati di pasta (all'epoca) più economici. Fra questi, i tacui, dei quadrati ricavati a partire da una sfoglia preparata in origine con due terzi di farina di castagne e uno di grano - molto più costosa e troppo cara per i contadini in difficoltà - sale e acqua, tirata non troppo sottilmente, diffusa soprattutto nell'Alta Val Nervia. Come salsa, si usava una sorta di pesto a base di noci, basilico e maggiorana.

Tordelli

Due i ripieni fondamentali della tradizione italiana: di magro o di grasso. Gli stessi al centro dei tordelli (guai a chiamarli tortelli!), una pasta all'uovo ripiena di carne di vitello, cervella, salsicce, bieta e formaggio nei giorni “di grasso”, oppure con pane bagnato nel latte o nell'acqua e un po' di ricotta nei giorni “di magro”. Presenti anche in Toscana, i tordelli – un tempo riservati ai giorni di festa, oggi preparati tutto l'anno - vengono serviti con ragù bianchi e formaggio grattugiato.

 

Trenette

Uno dei formati più celebri della regione, perfetto co-protagonista di una delle ricette più note della tradizione: la pasta con patate, fagiolini e pesto. Trenette, per la precisione (talvolta sostituite dalle trofie), un formato di acqua e semola nato come “pasta avvantaggiata”, ovvero con una parte di farina integrale, che in passato aveva un prezzo inferiore rispetto a quella bianca, e una percentuale bassa (circa il 20%) di farina di castagne. Se patate, fagiolini e pesto sono il condimento più noto di questo piatto, un altro abbinamento da provare è quello più antico de La Spezia a base di ragù di fagioli.

Trofie

L'altra pasta celebre della Liguria sono le trofie (o rechelline, trofiette, troffie, troffiette), dei pezzetti di impasto acqua e farine sfregati fra le mani fino a ottenere la tipica forma a fusillo, un po' più chiuso e allungato. Anche le trofie in origine erano nate per soddisfare le esigenze delle famiglie meno abbienti, preparate con farina di grano arricchita con crusca o patate, o pane, oppure ancora farina di castagne e acqua. Oltre al condimento con fagiolini, pesto e patate, vengono spesso consumate anche solo con pesto, oppure pesto e fave a Recco, anche se il formato oggi viene impiegato per tanti tipi di sughi diversi. Due le teorie all'origine del nome: la derivazione greca trophè, che significa nutrimento, oppure il dialetto genovese strogissià, strofinare. Fra le preparazioni storiche delle trofie, quella a base di formaggella fusa di latte vaccino tipico della Valbrevenna.

Turle

Fra i sapori più popolari dei primi piatti liguri, il mix di panna e noci, salsa golosa spesso utilizzata per la pasta ripiena. Come le turle, dei dischetti di acqua e farina ripieni di patate e menta e chiusi a mezzaluna, presenti anche nella versione quadrata. Dei ravioli tipici della zona della Alpi Marittime e della Valle Arroscia, ancora una volta frutto della cucina bianca, alle volte serviti anche con burro e aglio oppure porro e nocciole.

La ricetta: trenette al pesto

videoricetta

a cura di Michela Becchi

La pasta italiana in Veneto. 6 formati tipici e la ricetta dei bigoli

La pasta italiana nel Lazio. 16 formati tipici e la ricetta dei quadrucci

La pasta italiana in Campania. 11 formati tipici e la ricetta degli scialatielli

La pasta italiana in Piemonte. 10 formati tipici e la ricetta dei tajarin

La pasta italiana in Molise. 12 formati tipici e la ricetta dei cavatelli

La pasta italiana in Puglia. 15 formati tipici e la ricetta delle orecchiette

La pasta italiana in Trentino Alto Adige. 9 formati tipici e la ricetta degli spätzle

La pasta italiana in Toscana. 14 formati tipici e la ricetta dei pici

La pasta italiana in Calabria. 10 formati tipici e la ricetta degli strangugliaprieviti

Cucina di casa. Il lato dolce di pasta e riso. Ricette di: Crostata, Frittelle, Budino di riso e Tagliatelle dolci

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Riso e pasta non sono solo protagonisti dei primi piatti. Qui tre ricette dolci a base di riso, più una che vede come protagoniste le tagliatelle.

 

Protagonista indiscusso dei primi piatti, il riso si presta bene anche alle preparazioni dolci. Pensiamo per esempio al riso latte, dolce al cucchiaio (la prossima puntata sarà dedicata proprio ai dolci al cucchiaio!) semplicissimo da preparare, famoso in tutto il mondo: in Portogallo l'arroz dolce è uno dei dolci più tipici ed è aromatizzato alla cannella, in Macedonia è arricchito con i semi di papavero, mentre in Finlandia è una preparazione immancabile sulle tavole natalizie. Ma il riso è protagonista anche di crostate, frittelle e torte, come quella degli addobbi tipica della cucina bolognese. Qui vi sveliamo tre ricette, più una (sempre dolce) a base di tagliatelle, presa in prestito dal libro Vito con i suoi.

 

crostata di riso

Crostata di riso

Ingredienti per il ripieno

200 g di riso semifino

1 l di latte

100 g di zucchero

2 uova

50 g di burro

100 g di scorza di arancia candita a dadini

1 bicchierino di rum

Preparate una pasta frolla (vedi ricetta). Scottate il riso in acqua bollente per quattro o cinque minuti, scolatelo e versatelo subito in una casseruola dove avrete fatto scaldare il latte. Lasciatelo cuocere lentamente per circa mezz'ora fino a che il latte viene completamente assorbito e il riso avrà la consistenza di un risotto. Ritiratelo dal fuoco, amalgamatevi lo zucchero, il burro, il rum e, una volta intiepidito, anche le uova intere. Imburrate e infarinate una tortiera da crostate del diametro di 24 cm. Stendete la pasta frolla a uno spessore di circa mezzo centimetro e usatela per foderate la tortiera preparata. Ritagliate tutto intorno la pasta che avanza e riempite la torta con il composto di riso, livellandolo bene. Rimpastate brevemente i ritagli di pasta frolla, stendeteli e, con la rotella dentata, ricavatene delle striscioline larghe un centimetro che disporrete a griglia sul ripieno (facoltativo). Completate con una strisciolina tutto intorno e mettete la crostata nel forno già scaldato a 180° C, sistemando la griglia nella posizione più bassa. Lasciate cuocere per circa un'ora e servite il dolce tiepido o freddo.

 

Frittelle di riso

Frittelle di riso

Ingredienti

1 litro di latte

200 g di riso originario

4 uova

4 cucchiai colmi di farina

2 cucchiai di rum

1 cucchiaio di zucchero semolato

1 noce di burro

Scorza di 1/2 limone

Sale q.b.

Olio di arachide per friggere

Zucchero semolato per le frittelle

Mettete il latte in una casseruola a fondo pesante, unitevi la scorza di limone e un pizzico di sale e fatelo scaldare. Appena raggiunge l'ebollizione, versatevi il riso e lasciatelo cuocere per circa mezz'ora fino a che il latte sarà stato tutto assorbito, mescolando ogni tanto con un cucchiaio di legno. Togliete la casseruola dal fuoco, unitevi il burro e lo zucchero e mescolate. Sigillate la casseruola con pellicola trasparente e lasciate riposare il riso, al fresco, per tutta la notte. Circa un'ora prima preparare le frittelle, ammorbidite il composto lavorandolo per qualche minuto con il cucchiaio di legno quindi, sempre mescolando, unitevi il rum, la farina setacciata e i tuorli d'uovo, uno alla volta (conservate gli albumi). Lasciate riposare ancora un po' il composto e intanto mettete gli albumi in una ciotola profonda, unitevi un pizzichino di sale e montateli a neve fermissima con la frusta elettrica. Al momento di friggere, amalgamateli delicatamente al riso con un movimento dall'alto in basso e viceversa. Mettete l'olio nella padella in modo da riempirla circa a metà (le frittelle vi dovranno galleggiare) e mettetela sulla fiamma. Appena l'olio è ben caldo calatevi il composto a cucchiaiate (la misura giusta è un cucchiaino da tè colmo). Fate friggere le frittelle fino a quando saranno uniformemente dorate quindi tiratele su e appoggiatele su un doppio foglio di carta da cucina. Quando sono tutte pronte, spolveratele abbondantemente di zucchero e sistematele a cupola su un piatto da portata rotondo rivestito di carta pizzo.

 

Budino di riso

Budino di riso

Ingredienti

1 l di latte

160 g di riso semifino

100 g di zucchero

3 uova intere

100 g di uvetta sultanina

Scorza di limone o di arancia grattugiata

50 g di burro

Sale q.b.

12 stampini

30 g di burro molto morbido

Una decina di biscotti secchi

Sciacquate l’uvetta e fatela ammollare in acqua tiepida. Scaldate il latte con lo zucchero in una casseruola a fondo pesante interponendo una reticella rompifiamma e, appena si alza l’ebollizione, versate il riso. Mescolate, quindi incoperchiate e proseguite la cottura, a fuoco dolcissimo, per circa tre quarti d’ora fino a quando il riso avrà assorbito tutto il latte. Quando il riso è pronto ritiratelo dal fuoco e mescolatevi il burro e la scorza grattugiata. Mescolate e lasciate intiepidire. Unite le uova, uno alla volta e l’uvetta scolata e asciugata. Riducete i biscotti in briciole finissime. Imburrate abbondantemente gli stampini e rivestiteli con le briciole di biscotto quindi distribuitevi il composto di riso. Mettete i budini nel forno a 180° C e lasciate cuocere per circa quaranta minuti. Lasciateli riposare una decina di minuti prima di sformarli. Sono buoni tiepidi ma anche freddi.

 

Tagliatelle dolci

Tagliatelle dolci

Su questa ricetta le scuole di pensiero della famiglia Bicocchi sono diverse e si fanno battaglie acerrime tra la madre di Vito e il padre su come avvolgere e friggere le tagliatelle dolci. Qui vi sveliamo la ricetta di mamma Paola.

Ingredienti

200 g di farina

2 uova

1 goccio di brandy

1 limone

1 arancia,

Zucchero semolato

Zucchero a velo

Olio di semi di arachidi per friggere

Impastate, come per la pasta all'uovo, la farina a fontana con le uova al centro e il brandy. Lavorate per ottenere un impasto elastico e liscio e lasciate riposare una ventina di minuti. Tirate la sfoglia con il mattarello oppure con la macchinetta: lo spessore deve essere sottile, come quello delle normali tagliatelle. Una volta pronte le sfoglie, le spolverate con lo zucchero semolato, la scorza d'arancia e di limone grattugiata. Arrotolate la pasta a fazzoletto e tagliate delle tagliatelle di circa 2 centimetri. Friggetele in olio caldo senza scioglierle: man mano, gonfiandosi, si apriranno leggermente e formeranno delle girelle. Quando sono dorate, scolatele sulla carta assorbente e servitele cosparse di zucchero a velo.

 

Cucina di casa. Le basi: Pasta brisée, Pasta sfoglia, Pasta da pizza e Pasta frolla

Cucina di casa. Le salse: Besciamella, Salsa béarnaise, Pearà e Salsa verde

Cucina di casa. Le creme: Ganache al cioccolato, Crema pasticcera, Crema inglese, Panna montata

Cucina di casa. Le salse straniere: Guacamole, Hummus, Baba ganush e Tzatziki

Cucina di casa. Le paste fresche: Pasta all'uovo, Pici, Tagliatelle di farina di castagne e Pizzoccheri

Cucina di casa. Gli gnocchi: Gnocchi di patate, Gnocchi di semolino, Gnocchi di zucca e Gnocchetti di pane

Cucina di casa. Le paste ripiene: Tortellini, Cappelletti e Ravioli ricotta e spinaci

Cucina di casa. Metodi di cottura del riso: Risotto con la zucca, Riso al salto, Riso pilaf, Insalata di riso gamberetti e moscardini, Paella valenciana

Cucina di casa. Metodi di cottura della carne: bollito, brasato, stufato e cotture arrosto

Cucina di casa. Metodi di cottura del pesce: al forno (in cartoccio e in crosta), alla griglia, al vapore e fritto

Cucina di casa. Metodi di cottura della pasta: risottata e in pentola a pressione

Cucina di casa. I segreti per un fritto a regola d'arte

Cucina di casa. Il fritto e le ricette regionali

 

 

Zero sprechi e fermentazioni. Scarto, il cocktail bar unico che nasce a Bologna

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Un progetto di respiro internazionale, tra i primi esperimenti che in Italia mettono in comunicazione il bartending con la necessità di ridurre gli scarti. L'idea è del tedesco Carsten Steinacker, che sceglie Bologna per il debutto. 

 

La miscelazione antispreco

Tra tante tendenze che si rincorrono, nel mondo della ristorazione internazionale si fa strada (con colpevole ritardo?) la necessità di affrontare la questione degli scarti. Non più un mero discorso di abbattimento del food cost – che pure nella gestione di un'impresa dev'essere ben ponderato – ma un'urgenza etica destinata a fare sempre più proseliti tra gli addetti ai lavori. Fortunatamente. Di impegno a favore della sostenibilità ambientale e lotta allo spreco alimentare parliamo al cospetto di format come il White Lyan Bar fondato a Londra nel 2013 da Ryan Chetiyawardana, che sulla rivoluzione del cocktail in bottiglia ha fondato la sua ricerca antispreco. Un precursore del genere, che oggi ha trovato diversi ambasciatori oltreoceano, nuovi indirizzi a Londra e nel Nord Europa. In Italia, dove al momento sono soprattutto gli chef a trainare il carro della lotta allo spreco (Massimo Bottura, con i suoi refettori, in testa), una riflessione sul tema applicata al mondo del bartending non ha ancora messo radici. Ma presto debutterà a Bologna un progetto che promette di aprire una strada di grande interesse. Scarto recita l'insegna del cocktail bar prossimo a inaugurare in via della Braina, non distante da via Santo Stefano, negli spazi di un ex monastero, in passato adibiti a scuola, e ripensati per l'occasione da Carsten Steinacker, ideatore del progetto, bartender e architetto (“due mondi decisamente simili” dice lui “entrambi portati a favorire l'interazione sociale e migliorare la qualità del tempo di chi ne gode”) di origini tedesche.

 

Scarto a Bologna. Il manifesto del cocktail bar

Scarto sarà prima di tutto un cocktail bar: ottimi drink e servizio di livello. Ma a sostanziarne l'idea ci sono le linee programmatiche di un manifesto stilato per l'occasione, che sancisce la nascita dell'omonima associazione. L'obiettivo? Aumentare la consapevolezza sul tema dello spreco in riferimento al cibo e all'industria alimentare, creando esperienze sostenibili basate sulla produzione, la degustazione, la lavorazione e la conservazione del cibo. E attraverso la sperimentazione di soluzioni non convenzionali, col supporto di un laboratorio che prenderà forma proprio all'interno del locale, e ne sarà cuore pulsante. Nulla di esoterico, intendiamoci, perché l'anima da bar rimarrà tale, con l'intenzione di attrarre un pubblico quanto più possibile trasversale, ma con la voglia di condividere informazioni e conquiste maturate sul campo. Ma perché proprio a Bologna? Carsten ha girato a lungo, inanellato esperienze in locali internazionali, sviluppato un'idea molto precisa sulla strada da intraprendere: 3 anni fa, con un gruppo di amici, le prime fondamenta del progetto. Più di recente l'interesse per l'Italia, e Bologna, in particolare, per il fermento che si respira oggi in città, al centro di una regione che alla produzione di cibo di qualità ha legato la sua fama nel mondo. Poi il consolidarsi di relazioni privilegiate, con designer, start up, produttori, ristoratori locali disposti a favorire il cambiamento, persino con una realtà direttamente coinvolta nella lotta allo spreco come Last Minute Markets (nata sotto l'egida dell'Università di Bologna). E il locale giusto per cominciare.

 

Fermentazioni e conserve per ridurre lo spreco

L'avvio vedrà in prima linea anche una partner in crime come Victoria Small, barlady conosciuta sul campo, durante la formazione presso il Wood*Ing Lab fondato da Valeria Mosca alle porte di Milano (oggi impegnata anche in città, col Wood*ing Bar e la miscelazione basata sul foraging). Background comune che fa intuire quale sarà uno dei filoni perseguiti dal gruppo: “Da Scarto cercheremo di ridurre lo spreco prolungando la shelf life dei prodotti” spiega Carsten “Per esempio trasformando le materie prime attraverso fermentazioni, essiccazione, conserve”. Così gli ingredienti sulla drink list non saranno esattamente quelli riconducibili alla miscelazione tradizionale (il succo di limone, per esempio, sarà largamente sostituito con altre fonti di acidità). E il gioco sarà proprio quello di riuscire a sorprendere il cliente con proposte inaspettate. Scarto produrrà pure la sua ginger beer e due toniche, una a base di corteccia di china, l'altra amaricata col luppolo (in attesa di produrre una birra della casa, in collaborazione con un microbirrificio di Monaco); ma alla base della miscelazione ci saranno anche distillati selezionati in giro per il mondo, tra gin tedeschi, vermouth dei Paesi Baschi e mezcal artigianali in arrivo da Huasca.

 

La drink list

Per le creazioni proposte a rotazione stagionale sulla drink list, ingredienti inconsueti come il kimchi utilizzato per rivisitare il Bloody Mary e poi succhi di frutta e verdura estratti a freddo, kefir, kombucha: “Abbiamo già cominciato a lavorare le madri delle fermentazioni che avvieremo in laboratorio” spiega Victoria “L'idea è quella di vendere i nostri prodotti fermentati anche al dettaglio, come prodotti di gastronomia, una volta che saremo operativi a pieno regime. La carta dei cocktail invece proporrà drink semplici, una decina in tutto, alcuni già imbottigliati, come il Negroni, altri miscelati sul momento al tavolo, davanti al cliente, e serviti con chips di verdure essiccati e assaggi fermentati”.

Lo spazio, il servizio al tavolo, l'offerta gastronomica

Sì, perché l'altra particolarità di Scarto, decisamente originale sotto molti punti di vista, sarà quella di non avere un bancone da bar: “Lo spazio si articola in 3 stanze, ognuna ha il suo minibar per agevolare il servizio al tavolo dello staff. Il primo ambiente si caratterizza per il tavolo sociale, il secondo trasmette un'atmosfera da club house, nel terzo c'è la stufa per il pane, che produrremo noi”. Arredi e design sono stati progettati da Carsten, cercando di non alterare la bellezza naturale del luogo, che sul retro si apre su una corte nascosta, affacciata su un orto: “Speriamo di poterlo presto utilizzare per coltivare i nostri prodotti, per ora forniremo il compost ricavato dagli scarti che proprio non possiamo fare a meno di produrre”. E la proposta gastronomica? “Collaboreremo con Oltre (il locale dei ragazzi terribili Lorenzo Costa e Daniele Bendanti, ndr), che per noi preparerà assaggi da aperitivo che strizzano l'occhio al comfort food: una pappa al pomodoro, fagioli in saor, un brodo servito come shot”. Poi prodotti selezionati a Bologna e in giro per l'Italia: tastasal dal Veneto, porchetta, formaggi: “Quello che più ci piace”, pane e burro compreso. Da bere anche una piccola lista di vini naturali selezionati da Gustonudo: tre rossi, tre bianchi, 2 orange wine, 2 bollicine.

Il bar aprirà le porte alle 17 (attenzione a non smarrire la strada, nessuna insegna evidente all'entrata), per chiudere intorno a mezzanotte (ma fino alle 2 nel weekend). Prezzi decisamente accessibili se guardati da Milano o da Roma “anche se un po' alti per il mercato bolognese, ne siamo consapevoli. Staremo sugli 8-12 euro per le proposte in drink list, 6 per lo spritz della casa, ovviamente ripensato a modo nostro”. Cosa aggiungere ancora? L'intenzione è quella di trasformare Scarto in uno spazio di confronto aperto a corsi di formazione, laboratori, incontri con produttori e realtà impegnate nella lotta allo spreco. È quasi tutto pronto: si apre il 7 giugno.

 

Scarto – Bologna – via della Braina, 11 – dal 7 giugno – www.scarto.net

 

a cura di Livia Montagnoli

Premio della Stampa Orciolo d'Oro 2018. Gli extravergine preferiti dai giornalisti enogastronomici

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Anche quest’anno il più antico concorso oleario d’Italia ha messo alla prova i giornalisti del food per selezionare i migliori oli tra i vincitori dell’Orciolo d’Oro 2018. 

 

Il concorso

La passione che Marta Cartoceti, presidente storico di EnoHobby Club dei Colli Malatestiani, mette anno dopo anno nell’organizzazione di questo concorso la può capire solo chi si ritrova a partecipare alle intense sedute di assaggi e chi ha la fortuna di lavorare con lei. Un concentrato di ostinazione ed esperienza che ha fatto sì che l’Orciolo d’Oro resista da 27 anni e che si confermi come uno dei concorsi internazionali di riferimento per gli appassionati dell’oro verde e gli operatori del settore. “Un premio pensato e creato nove anni fa per coinvolgere il mondo dei media e della comunicazione, chiamando giornalisti del food a esprimere il proprio giudizio” confida Marta.

 

Il Premio della Stampa

È con questo spirito che il 26 maggio, nella splendida Sala Rossa del Comune di Pesaro sono stati eletti gli oli vincitori del Premio della Stampa 2018, al termine di una degustazione alla cieca che ha messo in fila una selezione degli extravergine finalisti delle varie categorie dell'Orciolo d'Oro.

La giuria, guidata da Giulio Scatolini (capo panel del concorso), era composta da Daniela Capogna (Olivatessen Magazines by Mercacei e tecnologo alimentare), Indra Galbo (vice curatore della guida Oli d’Italia del Gambero Rosso), Elvan Uysal (giornalista turca per Cucina Italiana e scrittrice di libri di enogastronomia), Luigi Diotallevi (Il Resto del Carlino) e Maurizio Ranucci (Gustando Magazine).

La premiazione delle aziende vincitrici è prevista per sabato 30 giugno nel corso di una cena di gala all'Hotel Excelsior a Pesaro al termine di una tavola rotonda che avrà come protagonista del dibattito proprio l’olio extravergine di oliva.

 

Gli oli premiati

Cat. Evo Fruttato Leggero: Frantoio Pontecorvo (Campania)

Cat. Evo Fruttato Medio: Tommaso Masciantonio – Monocultivar Intosso (Abruzzo)

Cat. Evo Fruttato Intenso: Fattoria Ambrosio – Crux Monocultivar Coratina (Campania)

Cat. Bio Fruttato Leggero: Frantoio Di Gatto Biagio – Fild’oro (Sicilia)

Cat. Bio Fruttato Medio: Il Conventino Di Monteciccardo – Fra’ Bernardo Monocultivar Ascolana Tenera (Marche)

Cat. Bio Fruttato Intenso: Fattoria Ramerino – Guadagnolo Primus (Toscana)

Cat. Dop Fruttato Leggero: Spagnoletti Zeuli Di Andria – Dop Terra Di Bari (Puglia)

Cat. Dop Fruttato Medio: Az. Fontana Madonna – Regio Dop Colline Dell’Ufita (Campania)

Cat. Dop Fruttato Intenso: Villa Pontina – Dop Colline Pontine (Lazio)

Cat. Internazionali Fruttato Leggero: Empresa Pago De Los Baldios (Spagna)

Cat. Internazionali Fruttato Medio: Empresa Almazaras De La Subbetica (Spagna)

Cat. Internazionali Fruttato Intenso: Empresa Sovena (Portogallo)

 

Per l’elenco completo dei premiati all’Orciolo d’Oro 2018 si può consultare il sito www.enohobby.it

 

 

 

 

 

Percorsi: gli itinerari alla scoperta dell'Abruzzo del vino. Guardando la Majella

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Un circuito di cantine, musei, paesaggi e tradizioni da scoprire nel territorio abruzzese, grazie al progetto Percorsi - L'Abruzzo del vino e della cultura, promosso dal Consorzio Tutela Vini d'Abruzzo. Oggi parliamo di “Guardando la Majella”, un itinerario fra castelli e aziende ai piedi dell'Appennino.

 

Guardando la Majella

Una visita alla cantina Tollo, ammiraglia del vino abruzzese, una gita all'Enomuseo del comune, e una passeggiata fra uliveti e vigneti de Il Feuduccio di Orsogna. Un viaggio alla scoperta dei territori della Majella, in provincia di Chieti, un paesaggio verde da esplorare nella sua natura selvaggia e disarmante, una terra florida e generosa, custode di prodotti di terra dal sapore intenso e il carattere deciso, ma anche di frutti di mare di prima scelta in arrivo dalle coste di Francavilla al Mare e quella dei Trabocchi. Un tour tutto da gustare che comprende anche tappe culturali di livello in luoghi che hanno fatto la storia del territorio abruzzese, e che segna l'inizio di un progetto innovativo promosso dal Consorzio Tutela Vini d'Abruzzo.

 

majella

Percorsi

Si chiama Percorsi – L'Abruzzo del vino e della cultura e, come si intuisce dal nome, si tratta di una serie di itinerari pensati per i viaggiatori buongustai in cerca di indirizzi golosi. Una piattaforma online che mette a disposizione dei turisti informazioni su eremi, monumenti, chiese da visitare e poi, naturalmente, tante cantine e aziende dove poter degustare prodotti locali, e in alcuni casi anche pernottare o fermarsi a mangiare. 10 percorsi – a cui presto se ne aggiungeranno anche altri – nati proprio in occasione del 50esimo anniversario della Doc Montepulciano d'Abruzzo. “Oggi i turisti si affidano spesso a community, portali on line e app per pianificare le tappe del proprio viaggio”, ha spiegato il Presidente del Consorzio Tutela Vini d'Abruzzo Valentino Di Campli, che aggiunge: “Percorsi vuole diventare un punto di riferimento per i visitatori, gli operatori pubblici e privati in grado di diffondere la conoscenza dei luoghi e favorire la ricettività delle cantine”.

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I progetti per la Doc

La concomitanza con i festeggiamenti per i 50 anni della denominazione non è certo una casualità. Presente nella regione sin dalla metà del Settecento, il montepulciano è una delle uve simbolo della terra abruzzese, e un vino protetto da una Doc dal rigido disciplinare che continua a guadagnare punti in Italia e all'estero. Il 2017, infatti, si è chiuso con ottimi risultati nell'export: +13% rispetto al 2016, una cifra significativa che dimostra ancora una volta il forte potenziale delle aziende abruzzesi, sempre più orientate ai mercati internazionali. Ma non finisce qui: a partire dal 1 dicembre 2018 il Consorzio Tutela Vini d'Abruzzo adotterà il contrassegno dello Stato italiano per la Doc del Montepulciano e tutte le altre denominazioni tutelate.

La tradizione del vino a Tollo

Il primo viaggio intrapreso nei comuni incastonati nel panorama dell'imponente massiccio della Majella comincia a Tollo, piccolo borgo completamente distrutto durante la seconda guerra mondiale, e ricostruito nel tempo proprio a partire dall'agricoltura. Sono state le cooperative agricole del paese a porre le basi, negli anni '60 e '70, per la rinascita del comune attraverso la diffusione e il commercio di prodotti ortofrutticoli e vino. Qui, infatti, l'antica tradizione vitivinicola rappresenta molto di più di una semplice usanza locale: è la memoria storica della comunità, passato, presente e futuro di un paese che proprio nella tenacia dei suoi contadini ha trovato la forza per reagire e ricominciare. Non c'è da stupirsi, dunque, se il luogo d'attrazione principale del paese è l'Enomuseo, polo culturale aperto al pubblico inaugurato nel 2015, dove è possibile osservare gli strumenti più antichi donati dagli stessi cittadini: anfore e recipienti in terracotta, botti, damigiane, bottiglie di vecchie annate e stampe del passato.

 

cantina tollo

Cantina Tollo: Vigneto avanzato e vini vegan

Sulle cantine, non ci sono dubbi: è Cantina Tollo a trainare il panorama enologico locale, realtà nata nel 1960 e che oggi conta 3mila ettari di vigneti e 800 soci, per una produzione di 13 milioni di bottiglie l'anno. Trebbiano, pecorino, passerina e cococciola sono i vitigni autoctoni lavorati dall'azienda, ma il protagonista è solo uno: “Rosso, nella nostra terra, significa Montepulciano d'Abruzzo Dop. Un solo vitigno per una pluralità di vini accomunati dal colore rubino intenso e dal profumo di antichi giardini”. Fra le tante etichette dell'azienda, spicca la linea “Vigneto avanzato”, progetto innovativo che ha introdotto un cambiamento significativo: la retribuzione ai soci per ettari lavorati e non più per quintali prodotti, novità che ha trasformato radicalmente la filosofia produttiva di tutti, permettendo di ottenere una qualità costante nel tempo. Dal 2015, inoltre, ci sono anche i vini vegan, “un impegno che continueremo a portare avanti con determinazione puntando a un incremento annuo delle vendite pari al +5%”, ha spiegato Andrea Di Fabio, direttore commerciale e marketing di Cantina Tollo. A guidare il team, Riccardo Brighigna, umbro di nascita ma abruzzese di adozione ormai da tanti anni: punto di riferimento nella regione e più volte Enologo dell'anno per l'Associazione Italiana Sommelier Abruzzo, pioniere nella tecnica della fermentazione del bianco con le bucce, applicata a una delle ultime nate, C'Incanta, Trebbiano d'Abruzzo Doc.

 

museo

Il Museo dell'Abruzzo Bizantino e Altomedievale a Crecchio

Procedendo verso l'entroterra, si giunge a Orsogna, nel cuore del Parco Territoriale dell'Annunziata, zona collinosa che si estende dalle falde della Majella al mare Adriatico. Ma non prima di una visita al Castello ducale di Crecchio, borgo medioevale dal fascino intramontabile sorvegliato dalla torre dell'Ulivo, elemento centrale della costruzione le cui origini sono avvolte nel mistero. La prima testimonianza scritta del castello risale al 1633, ma secondo gli storici l'edificio sul colle che divide i fiumi Arielli e Rifago esisteva già da molti anni prima. La struttura comprende il Museo dell'Abruzzo Bizantino e Altomedievale, dove sono esposti oggetti rinvenuti nelle ricerche dell'Archeocleb d'Italia in collaborazione con la Sopraintendenza Archeologica d'Abruzzo in una villa romano-bizantina presso la località di Vassarella tra il 1988 ed il 1991 (tra cui un elmo ostrogoto in rame dorato e ferro rinvenuto nei pressi di Torricella Peligna, pezzo unico in Italia che da solo vale il viaggio).

 

Il Feuduccio

Il Feuduccio a Orsogna e Cascina del Colle a Villamagna

Si prosegue poi verso Guardiagrele, uno dei Borghi Più Belli d'Italia, in un percorso che porta nel comune di Orsogna, terra di origine di Gaetano Lamaletto e sua moglie Maria, abruzzesi doc che decisero di lasciare il paese per cercare fortuna in Venezuela, per poi tornare dopo 40 anni e dare vita a Il Feuduccio di S. Maria d'Orni, tenuta portata avanti oggi dal figlio Camillo e il nipote Gaetano, con la supervisione dell'amministratore Rocco Cipollone. Un'azienda di straordinaria bellezza e cura, con cantina nella roccia e articolata su cinque livelli, dove vengono lavorati tutti i vitigni autoctoni che danno vita a diverse linee di produzione.

Risalendo a nord, è poi d'obbligo una sosta a Villamagna, per visitare Cascina del Colle, una realtà giovane frutto dell'amore e l'unione di una famiglia profondamente contadina. 20 ettari di terreno gestiti da mamma e papà d'Onofrio e dal figlio più giovane, fresco di laurea in enologia, che insieme alla fidanzata - anche lei enologa appassionata - si occupa del lavoro in cantina.

 

Emo Lullo

Guardiagrele: le Sise delle monache e la pasticceria tradizionale

Se pur incentrato sul vino, il “Percorso” non può completarsi senza un assaggio dell'autentica cucina abruzzese. Fra le località più caratteristiche e sviluppate dal punto di vista gastronomico, Guardiagrele, chiamata anche “la porta della Majella”, borgo guardiano di tradizioni artigianali millenarie, dall'arte orafa (è qui che nasce la celebre presentosa, gioiello abruzzese con intarsi in filigrana, in passato dote delle spose, oggi indossato nei giorni di festa, citato anche da D'Annunzio ne “Il trionfo della morte”) a quella del ferro battuto. Prodotto simbolo del paese sono le Sise delle monache, dolce a base di pan di Spagna farcito con crema pasticcera e composto da tre protuberanze che ricordano, appunto, il seno femminile. Si dice che il nome derivi dall'usanza delle suore di inserire una protuberanza finta al centro del seno per rendere meno evidenti le forme, ma c'è anche chi sostiene che si tratti in realtà di un riferimento ai tre monti principali d'Abruzzo: Gran Sasso, Majella e Sirente-Velino. In qualsiasi caso, per assaggiarli occorre recarsi alla Pasticceria Emo Lullo, bottega dal fascino antico e lo stile retrò, un luogo fermo nel tempo nato nel 1889 per volontà di Filippo Benigno e oggi portato avanti da Emo Lullo insieme alla sorella Dina. Da provare anche i fruttini di pasta reale, simili a quelli siciliani ma meno dolci, e il torrone di Guardiagrele, una sorta di croccante fatto di mandorle tostate mescolate con zucchero, frutta candita e cannella.

Ristorazione d'autore nei borghi antichi: l'esempio di Villa Maiella

Quando si pensa a una terra impervia e a tratti ostica come l'Abruzzo, si fa fatica a volte a immaginare una ristorazione contemporanea evoluta e matura. Eppure Guardiagrele, così come tanti altri paesini della regione, è una cittadina che guarda al futuro. Certo, non mancano le insegne tradizionali, quelle affidabili che non riservano mai cattive sorprese (Santa Chiara, per esempio, ottimo indirizzo per gustare pecora alla cottora e spaghetti alla chitarra con ragù d'agnello da maestro), ma ci sono anche una serie di trattorie che nel tempo hanno saputo rinnovarsi fino a trasformarsi in ristorante d'autore. Modello esemplare di questo filone è Villa Maiella, il tempio della famiglia Tinari, in principio – nel '66 – fischetteria di quartiere, oggi ristorante di alto livello grazie ad Angela, Peppino e i giovani figli Arcangelo – chef che si è fatto le ossa con Michel e Sebatien Bras – e Pascal, capo sala d'eccezione (di recente intervistato per lo speciale sulla sala in Italia nel numero di maggio del Gambero Rosso) dapprima alla corte della famiglia Santini (Dal Pescatore) e poi all'Auberge de L'Ill. Percorsi diversi che col tempo si sono poi intersecati di nuovo, creando una sinergia strettissima basata sul rispetto reciproco e la forza inarrestabile di una vera famiglia abruzzese. Qui, è possibile degustare il meglio della gastronomia regionale, interpretato con estro e tecnica ineccepibile da Arcangelo, studioso instancabile costantemente alla ricerca dei prodotti più raffinati. Il tutto abbinato a una selezione di etichette che dimostra ancora una volta quanto la cultura del buon bere passi anche e soprattutto attraverso la ristorazione.

percorsi.vinidabruzzo.it/

a cura di Michela Becchi

GLI INDIRIZZI

Le cantine

Cantina Tollo – Tollo (CH) – via G. Garibaldi, 68 - 087196251 - www.cantinatollo.it/

Cascina del Colle – Villamagna (CH) – via Piana, 85 a - 0871301093 - www.lacascinadelcolle.it/

Il Feuduccio di S. Maria d'Orni – Orsogna (CH) – via Feuduccio, 1 a – 0871891646 - www.ilfeuduccio.it/

Cosa visitare

Enomuseo – Tollo (CH) – via Cesare Battisti - 3395420390 - www.facebook.com/EnoMuseo-TOLLO-910390705688594/

Museo dell'Abruzzo Bizantino e Altomedievale – Crecchio (CH) – Castello Ducale, piazza SS. Salvatore - 0871941662 - museo-crecchio.blogspot.it/

Dove mangiare

Pasticceria Emo Lullo – Guardiagrele (CH) – via Roma, 105 - 087182242 - www.pasticcerialullo.it/

Santa Chiara – Guardiagrele (CH) – via Roma, 10 – 3939127278 - www.facebook.com/santachiararistorante/

Villa Maiella – Guardiagrele (CH) – via Sette Dolori, 30 - 0871809319 - www.villamaiella.it/

Addio alla scadenza per frutta e verdura al supermercato. Dal Regno Unito l'idea per ridurre lo spreco

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Tesco è la catena di retail più potente del Regno Unito. Sua l'iniziativa per contrastare lo spreco alimentare, eliminando la dicitura best before dai prodotti preconfezionati del reparto ortofrutta: genera confusione, molto meglio affidarsi al buon senso. 

Il buon senso del consumatore

Come si combatte lo spreco? Col buon senso. Asserzione troppo generica per essere risolutiva, forse, ma indubbiamente centrata, nella sua semplicità. E proprio al buon senso del consumatore faranno appello, d'ora in avanti, i supermercati britannici che hanno scelto di eliminare la dicitura “da consumare preferibilmente entro...” per i prodotti in vendita al reparto ortofrutta. A farsi portavoce dell'istanza antispreco, la più celebre catena di supermercati del Regno Unito, Tesco, che ometterà la dicitura best before dall'etichetta di una settantina di prodotti freschi preconfezionati, tra mele, patate, cipolle, agrumi, pomodori. Un provvedimento che conferma l'impegno del gruppo per contrastare un fenomeno di portata globale che sul suolo inglese, secondo studi recenti, fa registrare uno spreco di frutta e verdura ancora perfettamente digeribile pari al valore di 700 sterline all'anno per ogni famiglia media.

 

Lotta allo spreco. Le iniziative di Tesco

Nell'ambito della sua campagna di sensibilizzazione sul tema, all'inizio di maggio, il gruppo di punta del retail britannico ha lanciato la linea di succhi Waste Not, ricavati a freddo da frutta e verdura di qualità rifiutata dal mercato per motivi estetici (in Italia lavorano con merito sugli stessi, gustosi, prodotti, i ragazzi di Buono e Sano). Incoraggianti i numeri dell'operazione: un risparmio di circa 3,5 tonnellate di frutta e verdura altrimenti destinate al macero entro tre mesi dalla commercializzazione del prodotto, venduto in bottiglie di plastica riciclata al 30%. Con il merito di contemplare nella formulazione delle ricette anche prodotti come il sedano e la barbabietola. Del primo, il mercato agricolo inglese rigetta il 50% della produzione; ancor più difficilmente, le barbabietole superano il controllo legato al calibro ideale per entrare nel circuito della grande distribuzione.

 

Addio al “best before”

Lo step successivo è appunto quello che si sta concretizzando negli ultimi giorni, con i consumatori chiamati a valutare, “secondo buon senso”, lo stato di conservazione dei prodotti deperibili. Questo soprattutto per stroncare sul nascere la confusione solitamente indotta in chi acquista dalla dicitura best before, assolutamente non discriminante sulla commestibilità del prodotto (a differenza dello use by, “da consumare entro”, perentorio nel definire entro quale termine consumare prodotti come carne, pesce, latticini, prima che diventino rischiosi per la salute; e infatti anche la legge tratta le diciture in modo diverso). E Tesco potrebbe rapidamente fare scuola: diverse catene di supermercati britannici si dicono favorevoli all'iniziativa, e pronti a favorirla a propria volta. Lidl, per esempio, ha già scelto di aderire, mentre gruppi come Waitrose si impegnano a ridurre il prezzo dei prodotti in questione quando la data best before è vicina. In Italia, invece, si dice piuttosto scettica sul provvedimento Coldiretti, che ritiene l'indicazione in etichetta necessaria per avvertire i clienti sullo stato di conservazione dell'alimento: il tempo, infatti, indebolisce le caratteristiche nutrizionali, gustative e organolettiche del prodotto fresco, e chi compra ha il diritto di esserne informato (bisogna dire però che l'associazione ha ancora il dente avvelenato per l'introduzione dell'etichettatura a semaforo sul mercato britannico, rea di penalizzare alcuni prodotti made in Italy a marchio Dop tra i più famosi). Ma allora, come la mettiamo con lo spreco alimentare?

 

a cura di Livia Montagnoli

Bianco come il latte? Niente di più sbagliato, quello buono è color giallo

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Questa è la storia di un latte prodotto vicino Lodi e di un gruppo di persone che l'hanno voluto portare anche a Roma. Al punto di aver passato mesi a coinvolgere altre persone per creare un super gruppo d'acquisto che coprisse i quantitativi necessari per fare il trasporto. È un latte speciale, lo riconoscete dal colore giallo.

 

Quanto latte di qualità c'è in circolazione?

Ci siamo resi conto di quanto poco latte 'serio' ci sia in circolazione nel centro Italia, intendo quello buono, da vacche allevate a pascolo, a fieno ed erba, intero, pastorizzato e non omogeneizzato, in bottiglia” racconta così Giorgio Pace, di Piccola Bottega Merenda di Roma, il suo interesse verso uno dei prodotti basilari della nostra alimentazione. “Allora abbiamo cominciato a cercare” entrando in contatto con gente come Claudia Masera della Cascina Roseleto, tra gli artefici del progetto Latte Nobile, da cui poi si è staccata. “Ma lei non riesce a mandare il latte a Roma”, così la ricerca è continuata, scovando produttori piccoli e piccolissimi, fino a trovare Simone Salvaderi della provincia di Lodi, che al nord Italia consegna anche a domicilio ma al centro non arriva (o meglio non arrivava). Così è nata l'idea di portarlo a Roma, perché “volevamo avere un latte così anche qui” cosa che accadrà oggi, dopo un primo test circa un mese fa. Partiamo da Giorgio Pace per andare, a ritroso, alla scoperta di questi prodotti. Ma quali sono gli altri produttori di latte di qualità in Italia? C'è il Latte Nobile, appunto, “che ha un ottimo disciplinare, in cui per la prima volta si è chiarito che il latte è il prodotto di quel che mangia la mucca”, dice Pace; Faraoni di Sutri che lavora latte crudo non pastorizzato, il bavarese Berchtesgadener Land – forse il primo e più famoso latte biodinamico in commercio - quello dei fratelli Bergese di Savigliano, vicino Cuneo, per ora solo UHT, e pochi altri. Pochi, “nessuno vicino Roma con i criteri che ci interessano” aggiunge Pace “ma speriamo che qualche azienda della nostra zona decida di investire su una produzione di latte ecosostenibile come quella dei Salvaderi”. Anche se i nomi sono pochi, infatti, c'è un lento ma costante aumento.

 

Quale latte e quali differenze?

In cosa sono differenti questi latti da quelli che si trovano abitualmente in commercio? “Innanzitutto bisogna andare all'origine: alla salute e al benessere delle vacche, alla loro alimentazione e al modo in cui vengono allevate” risponde ancora Giorgio Pace: pascolo estensivo per almeno 150 giorni l'anno su ampie aree destinate a questo, senza forzare la produttività, alimentazionea fieno ed erba, senza insilati o sfarinati. “Quelle di Salvaderi vivono al pascolo fino a 14 anni” aggiunge Pace sottolineando come le aspettative medie di vita solitamente si aggirino intorno ai 4 anni.

Alcune differenze tra un latte (e un latticino) prodotto nell'ambito di un allevamento estensivo e uno intensivo sono evidenti. Una è l'aroma, che nel caso di un allevamento sano e naturale è più ricco e rispondente delle variazioni stagionali, con il pascolo alternato a fieno e l'erba che un mese dopo l'altro cambia nei prati. E insieme all'aroma anche i nutrienti, in modo simile a quello delle carni grass-fed: più antiossidanti, grassi insaturi, vitamine e sostanze anticancerogene. Un patrimonio che include alti livelli di vitamina A ed E; di acido linoleico coniugato- CLA, anticancerogeno, antiossidante, antinfiammatorio (Lehnen et al, 2015); di acido butirrico capace di contrastare l'insorgenza dei tumori del colon (Borycka-Kiciak et al, 2017); con più Omega3 (con un ruolo nella protezione del sistema cardiocircolatorio) e meno Omega 6. Proprio il rapporto tra Omega 6 e Omega 3 è un valore fondamentale per la salute: “Una ricerca del CSANR (Center for Sustaining Agriculture and Natural Resources) della Washington State University” spiegano dall'azienda Salvaderi “ha analizzato proprio questo valore riscontrando che, nel latte da allevamento estensivo, si aggira intorno a quello ideale di 2,3, mettendo anche a confronto la presenza di Omega 3 in diversi tipi di latte e nel pesce”con riscontri positivi per il latte da allevamenti estensivi e sani.

 

Il latte giallo

Nel caso di Salvaderi, c'è una differenza evidente al primo sguardo: il colore dorato, “che dipende in parte dall'alimentazione, in parte dalla razza”: la Guernsey, un bovino di piccole dimensioni che ha una bassa produzione di latte (24 litri al giorno rispetto ai 40 di altre razze, come la Holstein, e i 60 litri di altre, soprattutto negli allevamenti intensivi), ma di alto valore nutrizionale, tanto che lo chiamano l’Oro delle Guernsey. Per via della beta caseina A2 A2 (che sembra non scateni l’intolleranza alla caseina) contenuta in grandi quantità come pure il beta carotene che questa mucca non assimila e rilascia tutto nel latte (cui conferisce il caratteristico colore), alti i valori anche di sali minerali (calcio fosforo, sodio e potassio), vitamine. Il rapporto tra acidi grassi Omega 6 e Omega 3 è particolarmente equilibrato “basti pensare che nei latti di buona qualità questo valore è di 3-4, in quelli più commerciali di 6, in questo circa 1.5” spiega ancora Giorgio Pace. La leggera pastorizzazione (15 secondi a 72,3°C poi refrigerato a 4° C) lascia il più integre possibili le caratteristiche organolettiche.

L'Azienda Agricola Salvaderi

L'Azienda Agricola Salvaderi – nata nel 1924 e specializzata nell’allevamento di vacche da latte - dal 2010 è passata da un tipo di allevamento intensivo a uno estensivo, ha impiegato due anni per andare a regime quando ha deciso di passare dalle 200 Frisone alle 30 Guernsey attuali (che Simone Salvaderi ha selezionato personalmente in Inghilterra). E di farlo secondo i dettami di un tipo di allevamento naturale, al pascolo “mangiando erba di ottima qualità (leguminose, graminacee) fieno nelle stagioni avverse e fiori dei campi coltivati secondo scrupolosi e severi controlli che ne garantiscono la certificazione bio, senzapesticidi e fertilizzanti di origine chimica ” dicono con orgoglio i Salvaderi che aggiungono che le vacche sono libere di scegliere le erbe da brucare secondo il loro fabbisogno e sono curate con rimedi naturali di origine vegetale, sin quando possibile. La produzione di latte si inserisce in un contesto il più possibile etico ed ecocompatibile, di rispetto dell'animale,“le nostre vacche godono tutte di un periodo di riposo dalla lattazione di oltre un mese e mezzo”. Significa che verso dicembre non si produce latte. Quel latte che sa di panna e di crema che ha così colpito Giorgio Pace che si è mobilitato in prima persona per portarlo a Roma.

 

Un super gruppo d'acquisto

I costi per il trasporto del fresco refrigerato sono altissimi, ed è necessario fare spedizioni di almeno 240 litri di latte ”. Un quantitativo che un posto come Piccola Bottega Merenda - che si muove nell'ordine di 12-15 litri di latte a carico - non è certo in grado di smaltire. “Ma io questo latte lo volevo portare a Roma”. Allora che fare? “Con Gae Saccoccio ed Eugenio Troillo ci siamo visti per pensare a tutte le persone che potevano essere interessate a questo prodotto”. Un gruppo carbonaro, lo chiama Giorgio, che quattro mesi fa ha cominciato a sondare il terreno, telefono alla mano. Così, uno dopo l'altro, sono stati coinvolti gelatieri (come Marco Radicioni di Otaleg e Dario Rossi di Greed), pasticceri (Giorgia Grillo di Nero Vaniglia, che lo usa comunque per il suo gelato, e Marco Rinella di Cristalli di Zucchero), selezionatori come Francesco Loreti della Formaggeria di piazza Epiro, e poi anche Dario Fociani di FaroGabriele De Santis di Ortica per i loro cappuccini e via così, per far testare il prodotto con una prima campionatura e mobilitare altre persone capaci a loro volta di far conoscere e capire ai consumatori un prodotto simile. L'idea è di creare un super gruppo di acquisto che riesca ad assicurare facilmente i quantitativi necessari per il trasporto e portare così a Roma questo latte, per la vendita, il consumo diretto, e per l'impiego nei laboratori artigiani. E poi fare rete e cultura alimentare. Nel gruppo è entrata anche Benedetta Spila che si occupa di distribuzione alle pasticcerie, “ma per quel che rappresenta questo straordinario latte ci impegneremo a consegnare anche nelle botteghe di quartiere”. A testimoniare quale sia stato l'interesse degli addetti ai lavori. La risposta? “Gigantesca” racconta Pace “abbiamo avuto anche richieste da altre gelaterie fuori dal Lazio e una piccola parte della nostra clientela sta finalmente dimostrando curiosità per questo prodotto”. Tanto che i 15 litri dell'ultimo scarico sono finiti in un paio d'ore. Insomma: la molla è scattata e l'interesse si è iniziato a espandere da quel primo gruppo di ardimentosi. Complice una comunicazione massiccia anche sui social network. Il gruppo di testa è formato: Radicioni, Rossi, Pace, Grillo. Ma ora che il latte è arrivato a Roma non resta che vedere quale saranno gli sviluppi successivi “nella speranza che il nostro esempio offra stimoli ai colleghi degli altri quartieri” e che questa non rimanga un'esperienza isolata.

 

Chi lo usa

Ha già fatto un test di prova Marco Radicioni-gelatiere romano che si prepara a raddoppiare la sua gelateria Otaleg a Trastevere - per il gelato al fiordilatte “è pazzesco” dice “un colore intenso e una texture setosa, che trovi sia nel latte che nel gelato”. Inaspettato, sintetizza “avevo delle aspettative e invece ne ho trovate altre che mi sono piaciute lo stesso” soprattutto nel sapore “mi aspettavo qualcosa di più erbaceo, invece è piuttosto gentile”. È un prodotto che necessita di essere spiegato “ci devono essere clienti che hanno la pazienza di ascoltare e l'audacia di assaggiare” ammette “ma una volta provato lo vogliono di nuovo”. Ma ci sono differenze con gli altri latti nella lavorazione? “Quando lavori con un latte del genere bisogna rimodulare continuamente la ricetta, perché è un prodotto che ha parametri sempre diversi, quindi devi stare in laboratorio con il cervello acceso”. L'idea era di usare solo questo per il locale di Trastevere. Si vedrà. Del resto Radicioni non è nuovo all'uso di latti importanti per il suo gelato, per esempio quello crudo di Faraoni, che subisce un'unica pastorizzazione, quella effettuata in gelateria, e ha valori più integri e un sapore più sincero rispetto a un latte normale, ma ovviamente implica diverse problematiche di gestione e stoccaggio.

C'è poi (R)esistenza Casearia di Giuseppe Zen, a Milano, uno degli avamposti dell'estremismo alimentare, qui passano i migliori formaggi d'Italia, latticini d'autore – ovviamente a latte crudo - realizzati dai più visionari artigiani, eretici od ortodossi che siano. Da un paio di anni usa solo il latte Salvaderi. Qui come negli altri locali di Zen, Macelleria popolare, Mangiari di Strada, Panetteria Italiana. Posti con dispensa a vista, li chiama lui, dove insieme alla cucina si vedono bene anche i prodotti impiegati. E Salvaderi è in bellavista. Cosa ha di differente? “È straordinariamente semplice: è latte. È il paradigma del latte” risponde convinto “siamo abituati a chiamare cibo quel che cibo non è, perché a legge lo consente e a volte lo impone. Come nel caso dei formaggi con latte pastorizzato”. L'idea di un approccio il più possibile rispettoso della natura e dei suoi tempi trova uniti i Salvaderi e Zen che racconta anche dei cambiamenti di questo prodotto nel corso del tempo e delle stagioni, al variare dell'alimentazione dell'animale. Ma cosa fanno di speciale? “Fanno tanto ma non fanno niente, lasciano che la natura faccia il suo corso, le vacche – una trentina appena - pascolano sui campi coltivati, loro le accudiscono come fossero animali domestici, le chiamano per nome. E queste fanno un latte di una qualità incredibile. È un latte che crea dipendenza”. E i clienti confermano: “abbiamo cominciato con poco e in un paio di anni siamo arrivati a 60 litri a settimana, solo di venduto”. La massa grassa si separa naturalmente, “le creme sono in sospensione, se uno vuole un latte scremato, basta togliere le panne stratificate sotto l'apertura” continua Zen che spiega di averlo testato anche ben oltre la data di consumo consigliato imposta dalla legge “è buono, è sano: ha una durata pazzesca” continua.“Vogliamo convincerli a produrre almeno burro e yogurt (a oggi è in programma ndr). Noi abbiamo provato a farci una crescenza: ne è uscito un formaggio futurista, giallo fluo, Sembrava yogurt al primo attacco, poi un'esplosione di burro, panna, acidità e una freschezza superba, a 30-40 giorni”. Una prova casalinga che rivela il sogno di fare un piccolo laboratorio di resistenza casearia.

 

Azienda Agricola Salvaderi - Maleo (LO)- Cascina Campolandrone - http://www.salvaderi.it/

Piccola Bottega Merenda – Roma - Viale Anicio Gallo, 59 - 06 7151 0455 - https://www.facebook.com/piccola40mq/

Otaleg – Roma - via dei Colli Portuensi, 594 – 3386515450 - www.otaleg.com

Greed Avidi di Gelato - Frascati (RM) - via Cernaia, 28 -| tel. 347 6236679 -www.facebook.com/greedavididigelato/

Macelleria Popolare, Panificio Italiano e R(esistenza) Casearia - Mercato della Darsena - Milano - piazza XXIV Maggio - www.mangiaridistrada.com

 

a cura di Antonella De Santis

 

 

 

Virgilio Martinez trasloca il Central. E intanto debutta a Hong Kong, con Ichu Perù

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Dalla fine di luglio, la metropoli asiatica potrà vantare un'altra meta gastronomica da non perdere: la prima volta di Virgilio Martinez fuori dal Perù si chiama Ichu, dal nome di una pianta selvatica peruviana. Proporrà ingredienti locali e tecniche tradizionali, un bar per mangiare informale, uno chef's table. Ma anche a Lima grandi novità in vista: il 9 giugno l'ultimo servizio al Central. Si riapre a Barranco, alla fine del mese. 

 

Il trasloco del Central

Procede spedito il 2018 di Virgilio Martinez. Non che lo chef peruviano più famoso nel mondo – il testimone l'ha ricevuto simbolicamente, ormai da qualche anno, da Gaston Acurio – abbia bisogno di fornire conferme. Lanciatissimo nel suo progetto di riscoperta della biodiversità alimentare peruviana, riconosciuto tra gli chef più talentuosi dell'alta cucina contemporanea, Martinez ha saputo costruire un passo dopo l'altro un'impresa vincente, sostenuto da un gruppo di lavoro solido. A cominciare da sua moglie Pia (Leon), anche lei chef, che presto lo aiuterà a traghettare il Central di Lima verso una nuova fase della sua onorata carriera: 10 anni sono trascorsi dall'esordio del ristorante nel quartiere di Miraflores. Tra qualche giorno, però, l'insegna chiude i battenti, in vista del trasloco annunciato nel quartiere limitrofo di Barranco. Ultimo servizio in programma per il 9 giugno, poi il tempo necessario per ricominciare nel nuovo spazio, probabilmente qualche settimana, con l'obiettivo di “migliorare senza cambiare, pronti per affrontare nuove sfide”. In concomitanza anche Pia si metterà in gioco con un progetto personale, Kjolle, cui si lavora già da qualche tempo: una proposta di ristorazione informale che troverà spazio sotto lo stesso tetto del Central 2.0, come del resto il centro di ricerca finora dislocato a Cusco. Data di inaugurazione probabile, il 25 giugno.

Dalle Ande a Hong Kong

Mentre è stato avviato con successo Mil, il ristorante sperimentale a 3500 metri d'altezza, tra le vette andine a una settantina di chilometri da Cusco, in attività dalla fine di febbraio scorso per concretizzare le ricerche di Mater Iniciativa e portare in tavola la cucina ancestrale delle Ande, con vista sulle rovine Inca. L'estate di Virgilio, però, si preannuncia particolarmente calda: impegnato con il rodaggio del nuovo Central, lo chef si dividerà tra il Perù e l'altra parte del mondo, prossimo al debutto nel continente asiatico con l'insegna Ichu Perù, che aprirà a Hong Kong alla fine di luglio. L'annuncio inaspettato arriva dalle pagine di Forbes, che fornisce dettagli sull'imminente avventura, maturata in partnership con il gruppo emiratino Bulldozer: Ichu Perù proporrà pietanze simbolo della cultura gastronomica peruviana, in ambiente informale e caratterizzato, anche nell'allestimento degli spazi, dall'adesione al pensiero dello chef.

Ichu Perù

Quindi set differenti (al lavoro l'archistar Joyce Wang) per raccontare le diverse altitudini del Perù – assecondando quanto avviene nel piatto – per circa 80 coperti complessivi, e una terrazza all'aperto che potrà ospitare un'altra ottantina di persone. Al lavoro in cucina – a vista – ci saranno tre ragazzi del team del Central, per assicurare la continuità col quartier generale di Lima, scommettendo sull'utilizzo di ingredienti poco conosciuti e sul recupero di antiche tecniche di cottura. Con l'idea, quindi, di ricreare un angolo di autentico di Perù nella metropoli asiatica, tra le città più competitive nel mondo per qualità e varietà dell'offerta gastronomica: “Come Lima, Hong Kong è ossessionata dal cibo. Sono due città in fermento, sarà eccitante” anticipa Martinez. Si potrà cenare anche al bar, o al tavolo dello chef per un'esperienza personalizzata.

 

a cura di Livia Montagnoli

Costadoro Social Coffee. A Torino il nuovo spazio dedicato al caffè all'interno del Diamante

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Ancora bar di ricerca nella Penisola, stavolta a Torino, all'interno di Palazzo Bricherasio. È Costadoro Social Coffee, spazio di degustazione nato nel Coffee Lab Diamante della torrefazione. Alle macchine, Giulio Panciatici, ex barista di Orso Laboratorio Caffè.

 

Il barista

Giulio Panciatici lo abbiamo conosciuto in più occasioni: durante l'apertura di Orso Laboratorio Caffè, bar di ricerca di Torino con metodi di estrazione alternativi, e poi ancora con l'inaugurazione del corner a Bologna, curato da Silvia Cavallini, barista del MAMbo Ex Forno. Appassionato di oro nero, barista per scelta, studioso instancabile, Giulio nel tempo ha continuato la sua ricerca approfondita sulle ultime tecnologie in campo, diventando punto di riferimento di Orso e della Torino del caffè, affiancando professionisti del settore durante le principali fiere e manifestazioni, partecipando a eventi e congressi e seguendo corsi di aggiornamento per migliorarsi sempre di più. Un'avventura lunga e intensa, quella negli spazi del bar torinese, che ora volge al termine.

 

Giulio Panciatici

Il bar

Ma il percorso di Giulio nel mondo dell'oro nero non finisce qui, e anzi si approfondisce grazie a una nuova insegna tutta da scoprire, ancora nel capoluogo piemontese. È il Costadoro Social Coffee, il nuovo spazio di degustazione di caffè nel Costadoro Coffee Lab Diamante, flagship store della storica torrefazione nata nel 1890 a Torino, all'interno di Palazzo Bricherasio. Un nuovo locale che ha aperto i battenti ieri, 30 maggio, e che si propone come punto di ritrovo per tutti gli amanti della tazzina, seguendo i dettami della Third Wave, movimento e filosofia ormai in voga fra baristi e torrefattori di tutto il mondo che prevede un nuovo approccio al caffè. Un progetto sui generis che rappresenta solo la prima tappa di una lunga serie di aperture in franchising in Italia e all'estero, curato da Antonio Cesarano.

 

Costadoro Social Coffee

L'obiettivo

Qualche tempo fa ci siamo chiesti come potessimo sfruttare lo spazio al meglio per promuovere la nostra competenza in ciò che facciamo da 128 anni, e al contempo diffondere la cultura del caffè”, ha dichiarato l'AD e Presidente della Costadoro Spa Giulio Trombetta. E continua: “Al Diamante si continuerà a gustare un buon caffè tradizionale e si potranno mangiare e bere prodotti di qualità”, ma con uno spazio in più, “qualcosa di speciale, il Costadoro Social Coffee, quello che noi descriviamo come la nostra Squadra Corse, che lavorerà con l'obiettivo di far percepire il caffè come qualcosa che non è più solo il simbolo di uno stile di vita italico”. Ma un prodotto da rispettare e trattare con la massima cura, al pari di altre materie prime.

 

Costadoro Social Coffee

L'offerta

Un bar, dunque, ma prima di tutto un polo di aggregazione per tutti gli appassionati di caffè, che qui potranno trovare uno spazio aperto dove confrontarsi con gli addetti ai lavori, provare chicchi diversi e farsi guidare dagli esperti nella degustazione di caffè specialty. Ritrovando il piacere di gustare una tazzina in pieno relax, godendosi a pieno il momento, dedicandosi ai piaceri di un buon espresso o caffè filtro. “Qui non bisogna avere fretta”, spiega Giulio, a capo della squadra di baristi formati dal responsabile qualità e formazione di Costadoro Fabio Verona, “perché il caffè che viene preparato è completamente personalizzabile”. Si può scegliere la miscela, ma anche la modalità di estrazione, “abbinamenti con latte di vario tipo, ma anche con gelati, spezie e aromi vari”, per avvicinare sempre di più il mondo del caffè a quello gastronomico. Al Social Coffee, poi, si può anche acquistare caffè in grani oppure macinato al momento, dai blend ai monorigine, anche se l'opzione migliore resta quella di assaporare con calma una buona bevanda in loco, immersi in un'atmosfera raffinata dal design contemporaneo ed essenziale, tutto giocato sul ferro e il legno.

Costadoro Social Coffee – Torino – corso Fiume, 1 - www.costadoro.it/it/bar

a cura di Michela Becchi

Slurp. I poster d'autore a tema food

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Nasce uno store online di poster dedicati al mondo del food che coinvolge un network di artisti e graphic designer. Si chiama Slurp ed è tutto italiano.

 

Nome onomatopeico, tema che tira, modalità di vendita sartoriale. È il progetto di design di Salvatore Solko, dj appassionato di arte e food, che ha ideato una piattaforma online dove poter acquistare stampe, poster e (in futuro) oggetti dal sapore unico. La novità? Aver creato un network di giovani creativi pronti a sfornare divertenti disegni e disposti a personalizzare i progetti coordinandosi con il cliente a seconda delle varie esigenze o richieste.

Salvatore Solko

Slurp

Che si tratti di arredare la propria casa o il proprio locale”, ci spiega Salvatore, “attraverso la nostra piattaforma troverete la soluzione più adatta: la scelta è ampia e i diversi illustratori e graphic designer che collaborano con Slurp hanno ognuno una propria identità ben marcata”. Ci sono Andrea Masotti con i suoi progetti dallo stile grafico deciso, minimal quanto basta, Silvia Casanova Fuga con i suoi disegni precisi e simmetrici, Laura Savina che per Slurp ha ideato la “Pera Blu” o Michele Mancaniello che presenta i suoi pattern dedicati ai primi romani, a comunicare il fatto che anche un piatto di pasta può diventare, nell’era dell’immagine digitalizzata, una matrice costituita da pochi e colorati elementi che si ripetono sul foglio in maniera seriale: semplicità e sintesi, dunque, in grafica come in cucina.

Rigatoni alla carbonara di Michele Mancaniello

Sono undici gli artisti coinvolti finora, ognuno con un background ben definito. Antonio Pronostico, per esempio, quando aveva solo 19 anni ha fondato insieme a due amici il Collettivomensa, una rivista autoprodotta di letteratura, illustrazione e fumetto, ma ha anche collaborato con alcune riviste e fanzine italiane, come Frigidaire, Il Nuovo Male, Il Male di Vauro e Vincino. Giuseppe D'Emilio, invece, è un architetto “rinsavito” che per dare un calcio al passato ora si fa chiamare KICK. “Slurp favorisce infatti l’incontro tra artigiani, designer e artisti, supportando realtà indipendenti e creative. L'obiettivo è quello di presentare ogni mese il poster di un nuovo artista”. A oggi completano la squadra: Cecilia Campironi, Cinzia Franceschini, Marialaura Fedi, Marta Crucinio Matteo Franco.

Come funziona

I poster d'autore costano 19 € e sono a tiratura limitata, ma ci sono anche quelli della Slurp Collection a 11 euro creati in collaborazione con l'agenzia Slevin. Sul sito ora si può scegliere tra 33 progetti, e una volta selezionato il proprio preferito si procede come una normale piattaforma e-commerce. Se invece si vuole personalizzarli, basta inviare una mail: “Slurp consente di customizzare i poster con misure e formati ad hoc, e permette anche di creare opere su richiesta. In cantiere c'è poi l’idea di ravvivare non solo le pareti ma anche utensili d’uso quotidiano come piatti, tovagliette, tazze”. Quando sartorialità non è solo uno slogan.

 

www.slurpdesign.it

 

a cura di Annalisa Zordan

La nuova cucina occitana: cronaca di una serata con Diego Rossi, Juri Chiotti, Maurizio Macario e Fabio Ingallinera, Enrico Marmo

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Ci sono tutti i sapori più autentici di queste terre che dalle valli vicino a Cuneo arrivano fino al mare: pesce d'acqua dolce e di mare, carni, verdure ed erbe, formaggi di capra e un'antologia di ricette di grande identità.

 

C’era una volta la cucina occitana. Cucina rigorosamente del territorio, sapori robusti, piatti della tradizione, ravioles - i piccoli gnocchi - in testa. Oggi la cucina occitana c’è ancora, ma ha cambiato spirito. Intanto, ha ritrovato un po’ dell’anima occitana, di quella grande terra-koiné di lingua e di stili di vita che comincia nelle valli attorno a Cuneo e poi scivola fino al mare. E poi ha trovato nuovi interpreti, giovani chef attorno ai trent’anni che dopo essere andati a farsi le ossa in giro - e magari aver pure ottenuto gli ambiti riconoscimenti – hanno deciso di tornare a casa e di riscrivere con coraggio, con audacia a tratti, il menù delle tavole “delle Alpi del Mediterraneo”.

 

La cucina occitana

È una cucina autentica, di sopravvivenza, strettamente collegata al territorio e allo scorrere delle stagioni, ancora non del tutto investita dall'aria di rinnovamento che, ove più ove meno, sta facendo emergere nuovi interpreti che rileggono, alla luce di tecniche e competenze contemporanee, le diverse tradizioni locali. Proprio per questo Christian e Andrea Macario del Ristorante Nazionale di Vernante (Due Forchette per la guida Ristoranti d'Italia del Gambero Rosso), insieme a Giovanni Mingolla, (responsabile di sala e cantina con alle spalle un'esperienza in un'altra delle grandi tavole di montagna, il St. Hubertus dell'Hotel Rosa Alpina in Val Badia), hanno voluto organizzare una cena speciale chiamando un nugolo di chef che potessero portare il proprio contributo e uno sguardo aperto a 360 gradi sulla cucina. E far conoscere - e incontrare - chi sta riflettendo e rinnovando dall'interno la tradizione.

È una cucina molto legata alla tradizione piemontese” spiega Christian Macarioche segue le tracce della via del sale, e che risente della forte influenza della Liguria, sia quella dei prodotti ittici e della costa, sia quella dell'entroterra”. Una cucina di montagna che guarda al mare, si potrebbe sintetizzare; dove erbe, miele, cannella, grano saraceno, e poi carni ovine (ma non solo), pesce di mare come di acqua dolce, formaggi convivono insieme in un'armonia quieta tra primi piatti e minestre robusti: basti pensale a la ola, minestrone con piedini di maiale, o alle crosetes con cipolle, latte e formaggio o con sugo di porri agnello e patate, o ancora alla polenta. Ma i tempi sono maturi per portare una rilettura, con tecniche e procedure attuali e una sensibilità più contemporanea a questa cucina.

Peperone al forno. Chef Fabio Ingallinera

La nuova cucina di montagna

Tra i giovani c'è Juri Chiotti al Reis di Frassino, forse lo chef che più di altri ha preso in carico la diffusione, la tutela e la rilettura della cucina occitana.Sta facendo un discorso fantasticodice Christian parlando non solo della sua cucina, che interpreta la montagna, ma del lavoro sulla materia prima, in gran parte prodotta da lui stesso e dalla sua famiglia. Uno che si dichiara contadino e allevatore prima che cuoco, che mette in vendita anche alcuni prodotti e che sin da quell'appendice al nome – Cibo libero di montagna – fa la sua dichiarazione d'intenti. Lui è uno di quelli che stanno ripensando la cucina di questa parte della Alpi, forte anche di belle esperienze che lo hanno formato. Poi naturalmente c'è il Nazionale, in cui opera, ormai da fine '800, la famiglia Macario. Oggi è un punto di riferimento, grazie a una proposta elegante ma strettamente fedele ai sapori locali: trota, insalata di trippa, cervo, barbabietola. I Macario possono godere di uno punto di osservazioneprivilegiato, quello di un ristorante all'interno di una struttura ricettiva con una clientela interazionale. A Vernante, oggi, ci sono ospiti molto trasversali: dai locali, ai turisti che arrivano dalla vicina Francia e anche più lontano, “c'è moltissima curiosità, i clienti sono sempre più preparati, soprattutto chi è abituato a girare nei grandi ristoranti di mezzo mondo”. Capaci, quindi di riconoscere prodotti e identità gastronomica.La cucina di Vernante deve essere questa qui, unica e identitariadicono  "Il nostro compito è quello di conferire identità gastronomica ad un territorio il quale ci mette a disposizione una profonda tradizione ed infinite materie prime, ogni giorno interpretiamo ciò che da decine di anni conosciamo al fine di poterci porre in una vetrina internazionale con un offerta unica. Ma" aggiungono "oggi è indispensabile affacciarsi anche in un panorama interazionale, aumentare il livello tecnico senza perdere il rapporto stretto con i produttori”.  I tempi sono maturi, dicevamo prima.

 

5 chef delle Alpi del Mare al Nazionale di Vernante

Una bella storia raccontata qualche sera fa al Ristorante Nazionale di Vernante, capofila di questa nuova onda occitana. Atmosfera rustico-autentica, un’accoglienza altrove dimenticata e un nome –Nazionale - che rimanda ad altri tempi (c’è sempre un Nazionale nei paesi delle montagne piemontesi, e non solo), l’hotel-relais e ristorante Nazionale, sulla statale che porta al col di Tenda e di lì in Francia (e si spera che la ferrovia, la mitica Cuneo-Nizza lungo la Val Roya torni prima possibile a funzionare) è gestito da più di cent’anni dalla famiglia Macario. E qui Christian e Andrea Macario hanno raccolto 5 chef amici che rappresentano il nuovo spirito della cucina delle Alpi del Mare. “Quando abbiamo deciso di fare questa cena, abbiamo riflettuto tanto fare” racconta “alla fine abbiamo deciso che era meglio che ognuno facesseciò che fa nel suo ristorante, che poi è frutto delle esperienze e dei trascorsi anche in questa zona”. 

Pesce lama. Chef Enrico Marmo

Per cominciare, gli chef residenti, certo. Maurizio Macario, 7a generazione di chef della famiglia, e Fabio Ingallinera, curioso esempio di chef siciliano convertito alla cucina occitana. Poi Juri Chiotti, che ha lasciato il ristorante più che premiato Antiche Contrade di Cuneo - dove per primo ha scritto sul menu 'cucina occitana'” - in cui era approdato nel 2011 per tornare in montagna, a Frassino, in Val Varaita, dove ha restaurato una baita in una borgata e ha aperto Reis, Cibo libero di montagna, molto più di un ristorante, un ritorno alle origini (reis, radici), un progetto di vita, dove alleva e coltiva l’80% di quel che cucina. Enrico Marmo, classe 1987, è nato a Canelli, ha lavorato con Cracco a Milano e con Davide Palluda a Canale, e ora è al ristorante Balzi Rossi di Ventimiglia (Due Forchette per la guida Ristoranti d'Italia del Gambero Rosso), dove la Val Roya finisce nel mare, praticamente il volto marino di queste montagne. E infine Diego Rossi di Trippa, il guru del quinto quarto, veneto di nascita (ma passato anche lui per Cuneo e l’alta ristorazione), che ha rivoluzionato con il suo locale la ristorazione a Milano (uno dei 3 Gamberi della guida del Gambero Rosso di cui si parla di più).

Battuta di vitella. Chef Diego Rossi

Un nuovo progetto di food

Che cosa li accomuna? L’aver gravitato tutti per Cuneo e dintorni e la voglia di tornare una ristorazione autentica, da trattoria. Un’attenzione maniacale al prodotto, un rispetto assoluto del territorio. Ma niente recuperi un po’ nostalgici: i nuovi chef delle Alpi del Mediterraneo osano, e tanto. Nell’evento di presentazione al Nazionale di Vernante si sono cimentati con una tartare di goletta di vitella con salsa all'aringa affumicata (Diego Rossi che ha anche provveduto all'aperitivo con la sua ormai iconica trippa fritta), un pesce lama cotto sulla brace di ulivo, su un letto di grissini di mais, olio al limone e cipolla agrodolce (Enrico Marmo che da Ventimiglia, dove cominciava la via del sale, ha portato la sua cucina di mare), il peperone arrosto – ridotto a gelatina - con crema di tonno e acciuga del Cantabrico (Fabio Ingallinera, resident che dopo questa serata ha inserito il piatto in carta), gli spaghetti Mancini con ricci di mare e rosmarino (ancora Enrico Marmo), il risotto all’aglio ursino con grive di mostardela e riduzione di Barbera (Juri Chiotti), la trota fario delle Alpi Marittime, con pelle croccante, fondo acido con le carcasse della trota e carpione, e radici amare (Fabio Ingallinera), la coda di vitella con spugnole, fave e birra shangrillà del Birrificio Troll di Vernante (Maurizio Macario), per finire con il gelato al fior di latte delle capre di Juri Chiotti al fieno di montagna, più fragole, sambuco e pignulet e la mousse al cassis con mosto cotto di carrube, nocciole e caffè di Diego Rossi.

 

Abbiamo voluto elencare i piatti perché già il solo accostamento dei prodotti dà l’idea del progetto di creatività e del profondo legame con il territorio di questo manipolo di giovani chef. Con vini (per la cronaca di Scarpa di Nizza Monferrato) altrettanto local: Monferrato Rosso, Barbera, Barbaresco e Moscato d’Asti.

Christian Macario auspica si riesca davvero a fare squadra, fra chef e produttori, per creare un nuovo progetto di cucina contemporanea delle Alpi del Mediterraneo.

Aggiungiamo che c’è stato pure un fuori programma, la cui filosofia audace - perfetto trait d’union fra i territori di montagna e di mare - si commenta da sola: cervello di capretto, salsa al nero di seppia, lingua di capra, e pane barbarià, il pane tipico delle Valli Cuneesi, farina di grano e di segale e acqua. Forse il piatto che ha colpito di più”.

La cucina occitana insomma è più viva che mai. Aspettiamoci sorprese.

 

Ristorante Nazionale di Vernante – Vernante (CN) - via Cavour, 60 – 0171 920181 - www.ilnazionale.com

Reis - Cibo Libero di Montagna - Frassino (CN) - borgata Meira Brancia – 347 2138035

Ristorante Balzi Rossi – Ventimiglia - via Balzi Rossi, 2 – 0184 38132 - www.ristorantebalzirossi.it

Trattoria Trippa – Milano - via Giorgio Vasari 1 - 327 6687908; www.trippamilano.it

 

a cura di Rosalba Graglia

 

 

Cucina di casa. Il latte nel mondo. Le ricette di: Palak paneer, Zuppa di latte russa, Arrosto di maiale al latte, Dulce de leche

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È il protagonista della prima colazione, da bere assoluto o da “sporcare” con il caffè, ed è l’ingrediente base per molte preparazioni. Festeggiamo il World Milk Day con 4 ricette dal mondo da rifare a casa: palak paneer, zuppa di latte russa, arrosto di maiale al latte, dulce de leche.

 

L'1 giugno è il World Milk Day, una ricorrenza istituita dalla Fao (l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura) nel 2001 per sottolineare l'importante contributo del settore lattiero-caseario alla sostenibilità, allo sviluppo economico e all'alimentazione a livello globale.

Il latte

C'è latte e latte. C'è quello crudo con profumi e aromi più veri e genuini, dove si sentono la stalla, l’animale, il fieno, il pascolo, i fiori. C'è il latte sterile, quello a lunga conservazione UHT (Ultra High Temperature), sottoposto per pochi secondi a una temperatura tra i 140 e i 145° per una conservabilità che va dai 3 ai 5 mesi, ma che ne inficia il bouquet di aromi e le proprietà nutritive. E c'è il pastorizzato – merita una menzione il particolare latte giallo delle vacche di razza Guernsey – che può essere fresco o di Alta Qualità a seconda del contenuto di siero proteine, che in quest'ultimo devono superare il 15%. L'importante è esserne a conoscenza e scegliere in maniera consapevole, anche grazie all'etichetta che grazie al decreto 15/2017 del ministero delle Politiche Agricole in attuazione del regolamento UE 1169/2011 riporta l'indicazione d'origine della materia prima. Una volta acquistato, il latte diventa anche un ingrediente indispensabile per molte preparazioni, dolci e salate. Qui quattro ricette dal mondo che lo vedono protagonista.

Palak paneer

Palak paneer

Prima di accingervi, considerate che vi servirà il paneer, formaggio tipico indiano che si può preparare a casa con latte e limone: basta scaldare il latte fino a bollore per poi versare una miscela di acqua e limone, quando il latte è completamente cagliato, il composto va filtrato, strizzato dall'acqua in eccesso e compresso posizionandolo sotto un peso per alcune ore. Et voilà il gioco è fatto.

Ingredienti

500 g di spinaci

200 g di paneer a cubetti

2 cucchiai di olio

Semi di cumino

2 foglie di alloro

Zenzero grattugiato

4 spicchi d’aglio tritati finemente

Peperoncino verde

2 cipolle tritate finemente

2 pomodori tagliati a cubetti

1 tazza di yogurt

Spezie (1 cucchiaino per ciascuna spezia): curcuma, polvere di coriandolo, polvere di cumino, polvere di peperoncino rosso, noce moscata

Latte

Sale e zucchero q.b.

Scaldate una padella con dell'olio, aggiungete i semi di cumino, l'alloro, lo zenzero, l'aglio tritato e il peperoncino verde. Mescolate bene e aggiungete le cipolle, una volta dorate unite i pomodori e cuocete fino a quando risultano una salsa. Spegnete la fiamma e lasciate raffreddare leggermente la padella, quindi aggiungete lo yogurt. Ora tocca alle spezie: curcuma, polvere di coriandolo, polvere di cumino, polvere di peperoncino rosso, noce moscata. Rimettete la padella sul fuoco e mescolate fino a ottenere una pasta, a questo punto aggiungete gli spinaci e fateli appassire. Spegnete la fiamma e aggiustate di sale e latte, per poi mescolare bene. Aggiungete il paneer e servitelo caldo.

 

Zuppa di latte russa

Zuppa di latte russa

In Russia (o comunque in molti paesi dell'Est Europa) la zuppa di latte rappresenta la base per zuppe più sostanziose, quindi con verdure, pasta, riso o uova. Qui la variante con patate, rape e cipolle.

Ingredienti

2 patate
2 rape
2 cipolle
2 tazze di latte
Acqua
Farina di mais
Sale e pepe q.b.

Tagliate le verdure in maniera grossolana, copritele con l'acqua e lasciatele andare finché risultino morbide. Salate, versate il latte e portate a ebollizione. Togliete le verdure dalla zuppa di latte e continuate con la cottura, addensando con la farina di mais. Servite la zuppa reintegrando le verdure.

 

Arrosto di maiale al latte

Arrosto di maiale al latte

Ingredienti

1 kg di lombata di maiale disossata

1 l di latte

30 g di burro

1 cucchiaio d'olio extravergine d'oliva

Poca farina

Sale e pepe q.b.

 

Legate la carne in più punti per mantenerla in forno e infarinatela. Scaldate olio e burro in una casseruola e fatevi rosolare la carne girandola continuamente. Quando avrà preso un bel colore uniforme, insaporitela con sale e pepe e copritela con il latte. Coprite, abbassate la fiamma e lasciate cuocere dolcemente per un'ora e mezzo, girando spesso il pezzo di carne. Alla fine, quando il latte si sarà trasformato in una salsa densa, ritirate l'arrosto dal fuoco e lasciatelo intiepidire per una mezz'ora prima di affettarlo. Scaldate la salsa e versatela sulla carne affettata. 

Dulce de leche

Dulce de leche

Ingredienti

1 l di latte intero

1 stecca di vaniglia

1 pizzico di bicarbonato

300 g di zucchero

Mettete in una pentola il latte, i semi di vaniglia, lo zucchero e un pizzico di bicarbonato, mescolate con una frusta e cuocete per 2 ore. Spegnete il fuoco, versatelo in un contenitore per bloccare la cottura, freddatelo e gustatelo!

 

Gian Marco Centinaio (della Lega) è il nuovo ministro del Mipaaf. Chi è e cosa farà per l'agricoltura

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A 88 giorni dal voto, la squadra di governo del professor Conte giurerà il 1 giugno alle 16. Al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali sale il senatore leghista Gian Marco Centinaio, attivista di vecchia data, con un passato nell'impresa del turismo. A lui il compito di condurre le battaglie indicate nel contratto Lega-M5S. 

 

Chi è Gian Marco Centinaio

È Gian Marco Centinaio il nuovo ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali designato nella squadra di governo che, faticosamente, ha preso forma intorno alla figura del professor Giuseppe Conte. Una scelta perfettamente in linea con la trazione giallo-verde della nascente legislatura, che sull'esponente leghista farà affidamento per portare avanti le linee programmatiche del contratto di governo redatto da Lega e M5S in materia di tutela dell'agricoltura, sostegno della piccola pesca e made in Italy. Nei giorni scorsi, Centinaio – nato a Pavia nel 1971, laureato in Scienze Politiche con indirizzo economico-territoriale all'Università degli Studi di Pavia – era già accreditato nella lista dei ministri, pur dato al ministero del Turismo, che, si vociferava, potesse essere accorpato con quello dell'Agricoltura (e invece il Mibact è rimasto com’è, affidato ad Alberto Bonisoli), visto il pregresso come direttore commerciale di tour operator, a lungo legato al gruppo Club Med. Già Vicesindaco di Pavia, attuale capogruppo della Lega al Senato (il suo attivismo nel partito è una storia di lunga data, più volte si è definito “leghista fin dal primo vagito”) e grande amico di Matteo Salvini, era molto probabile che potesse spuntare un ruolo di peso anche una volta sfumata l'ipotesi Mibact, nonostante proprio lui, nei giorni scorsi, avesse messo un'ipoteca sul ruolo, dichiarando “mi piacerebbe occuparmi di quello che conosco”.

 

Il precedente leghista con Luca Zaia

Invece dopo il giuramento – oggi, 1 giugno, alle 16, 88 giorni dopo il voto - sarà a capo del Mipaaf, secondo esponente della Lega a ricoprire l'incarico dopo il precedente di Luca Zaia, ministro delle politiche agricole dal maggio 2008 all'aprile 2010 durante il governo Berlusconi. All'ex ministro di Conegliano, oggi presidente della regione Veneto, si lega la battaglia per la difesa identitaria del made in Italy agroalimentare, con provvedimenti mirati a contrastare le frodi alimentari, l'impegno a redigere un codice agricolo nazionale per semplificare il quadro legislativo dell'agricoltura italiana e stimolare l'impresa, il decreto per lo stop alla coltivazione di mais OGM sul suolo nazionale. E anche molte polemiche. All'inizio del 2018, in campagna elettorale, proprio a questo proposito si era pronunciato Gian Marco Centinaio: “C’è chi teme un ritorno della Lega al ministero delle Politiche agricole? La Lega è sempre stata quella dalla parte degli agricoltori. E il fatto lampante è che ancora oggi gli agricoltori rimpiangono Luca Zaia”. Ma nello specifico, il suo curriculum finora parla poco di agricoltura. Il 28 e 29 giugno, il neoministro sarà impegnato a Bruxelles, in sede europarlamentare per la discussione sul bilancio di previsione che comporterebbe tagli importanti agli aiuti all'agricoltura italiana. Sarà la prima occasione ufficiale per difendere le idee impugnate dalla Lega di Matteo Salvini in merito alle regole UE sull'agricoltura, in funzione di una maggiore libertà e competitività delle imprese italiane (il leit motif leghista, del resto, è ampiamente condiviso da Centinaio, e più volte rivendicato nelle scorse settimane: “Vogliamo un'Italia più forte in Europa”).

 

Il lavoro del Mipaaf secondo Contratto

Ma vediamo quali sono le principali questioni su cui Centinaio dovrà lavorare, secondo il Contratto Lega-M5S. Complessivamente sono quattro le pagine che vanno sotto la lettera A di Agricoltura, in cui emergono alcuni dei temi cari alle due forze politiche già dalla campagna elettorale.

 

Politica Agricola Comune

Storicamente il Governo italiano è stato remissivo e rinunciatario in Europa, rispetto alle esigenze del settore agricolo, preferendo spesso lasciare il campo ad interessi europei opposti rispetto alle esigenze nazionali”. Quale proposta, quindi? “Il nostro impegno per il futuro” continua il testo “è quello di difendere la sovranità alimentare dell'Italia e tutelare le eccellenze del Made in Italy. A tal fine è fondamentale incidere nel contesto normativo dell'Unione Europea e condizionare le scelte all'interno della prossima riforma della Pac, nonché individuare strumenti per garantire tempi certi nell’attribuzione ed erogazione, da parte delle Regioni, dei fondi della Pac”. Un tema su cui non c'è tempo da perdere, considerato che proprio in questi giorni l'Europa sta disegnando gli scenari futuri per il settore primario, alla luce del nuovo bilancio comunitario 2021-2027, fortemente condizionato dagli effetti economici della Brexit (circa 15 miliardi di euro in meno nel bilancio Ue post 2020) e dalle necessità di fronteggiare i temi dell'immigrazione e dei cambiamenti climatici in un'Unione a 27 Paesi. I fondi stanziati per le politiche agricole potrebbero, quindi, subire tagli fino al 15%, passando da 420 miliardi totali ai 365 miliardi. Non ne resterebbere immune neppure il vino che con la Pac attuale ha beneficiato dell'Ocm per un totale di 337 milioni annui (2,3 miliardi in 7 anni).

 

Accordi commerciali

C'è, poi, un intero paragrafo relativo agli scambi commerciali con gli altri Paesi, dove viene ribadita la posizione meno aperta e permissiva rispetto alla politica adottata fino ad ora: “Il settore agricolo avrà altresì bisogno di un nuovo approccio europeo agli accordi di libero scambio con i Paesi terzi. Sarà quindi prioritario fare in modo che questi trattati siano necessariamente qualificati come misti dall’Unione Europea e pertanto, ratificati dagli Stati Membri ed esaminati dai Parlamenti nazionali in base alle rispettive procedure di ratifica”. Considerando che, visti gli ultimi risvolti, bisognerà fronteggiare, in prima battuta, la decisione di Trump di far scattare i dazi su acciaio e alluminio anche per l'Europa.

Si parla, poi, in modo specifico della Russia e della necessità di riconsiderare questo Paese “non come una minaccia ma quale partner economico e commerciale potenzialmente sempre più rilevante. A tal proposito” continua il testo “è opportuno il ritiro delle sanzioni imposte alla Russia”. Insomma, la famigerata “riabilitazione” di Putin di cui tanto si è discusso in queste settimane. Senza dimenticare, però, che proprio l'agricoltura ha pagato il prezzo più alto delle braccio di ferro tra Ue e Russia: come ricorda Coldiretti le sanzioni e il conseguente embargo verso i nostri prodotti agroalimentari è già costato all'Italia circa 3 miliardi l'anno.

 

Lavoro e Iva

Sul fronte lavoro, invece, si prospetta la possibilità di reintrodurre i voucher (aboliti un anno fa), per certi settori – agricoltura compresa – o trovare uno strumento simile che faciliti le assunzioni “La cancellazione totale dei voucher ha creato non pochi disagi ai tanti settori per i quali questo mezzo di pagamento rappresentava, invece, uno strumento indispensabile. Occorre pertanto porre in essere una riforma complessiva della normativa vigente volta ad introdurre un apposito strumento, chiaro e semplice, che non si presti ad abusi, attivabile per via telematica attraverso un'apposita piattaforma digitale, per la gestione dei rapporti di lavoro accessorio”.

Buone notizie per quanto riguarda l'Iva (anche se bisognerà vedere se ci saranno le coperture finanziarie), perché la posizione dei due partiti è categorica nel dichiarare: “l’intenzione di sterilizzare le clausole di salvaguardia Ue che comportano l’aumento delle aliquote Iva e delle accise”. Ma il tempo corre e se ne è perso già abbastanza.

 

Agea

Altro tema affrontato nel documento è quello relativo alla riforma dell'Agenzia nazionale per le erogazioni in agricoltura (Agea) e del Sistema informativo unificato di servizi del comparto agricolo (Sian). Non si specificano le modalità della riorganizzazione, ma va considerato che, proprio mentre si scriveva questo contratto, la riforma Agea è stata sottoscritta dal premier uscente e ministro dell'Agricoltura ad interim Paolo Gentiloni, con l'approvazione di un decreto che prevede l'introduzione di una piattaforma informatica che permetta una più forte integrazione tra le articolazioni regionali e la struttura centrale e la separazione netta tra le funzioni di organismo di coordinamento e di organismo pagatore attribuite ad Agea.

 

Ricerca, pesca e green economy

Nel documento M5S-Lega, si parla, poi di ricerca (con la creazione di un'Agenzia Nazionale della Ricerca), di territori montani e in pendenza (con una maggiore attività di tutela), di pesca (revisione dei “fermi pesca”) e di green economy (promozione dell'economia circolare), ma non è mai presente un riferimento esplicito alle parole vino o viticoltura, nonostante il settore valga complessivamente 19,6 miliardi di euro e le sue esportazioni abbiano raggiunto nel 2017 quota 6 miliardi di euro. Ma siamo sicuri che ci sarà tempo per recuperare… Certo, speriamo non soltanto alla passerella del prossimo Vinitaly.

 

a cura di Livia Montagnoli e Loredana Sottile

Ancora pizza a New York. Alla Pala da Eataly: è il momento della teglia romana. E non solo

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L'ultimo anno della pizza, a New York, è stato una galoppata costante. Tanti gli italiani che hanno scommesso oltreoceano, altrettante le insegne americane che interpretano il genere. E i prezzi salgono alle stelle. Le ultime novità. 

 

New York e la pizza

A guardarla da questa parte dell'oceano, negli ultimi tempi sembra proprio che a New York non passi giorno senza parlare di pizza. E se finora, complice l'annunciata apertura di un museo dedicato al piatto principe della tradizione partenopea all'ombra dei grattacieli di Manhattan, il dibattito si è concentrato sul valore simbolico di un prodotto che ha trasceso la sua appartenenza territoriale e identitaria per trasformarsi in icona globale, le ultime riflessioni della stampa americana si appuntano su dati ben più tangibili, restituendo una fotografia precisa del mercato della pizza, oggi, a New York.

Gli italiani della pizza

Uno scenario decisamente movimentato e sempre più attraente per i pizzaioli di casa nostra (che, però qualche sterile polemica non riescono proprio a trattenerla, si veda la mobilitazione di alcuni maestri campani contro il museo della pizza): l'ultimo anno ha visto consolidarsi la posizione di Gino Sorbillo Stefano Callegari, all'attivo due insegne ciascuno, considerando il recentissimo raddoppio di Trapizzino all'interno del food market di Lexington. Nel frattempo anche la pizza di Angelo e Simonetta, storica realtà della pizza in teglia romana, è arrivata in città, al motto di PQR, la pizza quadrata romana di Angelo Iezzi. E tra qualche giorno, il 4 giugno, debutterà in Gansevort street il brand Simò Pizza, che cela nell'insegna il nome di Simone Falco, della dinastia di Rossopomodoro. Con prossime aperture programmate a Chelsea e Brooklyn tra l'autunno e l'inverno 2018: 6 le pizze tonde in carta, da forno a legna Izzo. Per non parlare della variante pinsa, ugualmente in grande ascesa a New York o del successo di Mani in Pasta di Giuseppe Manco (da molti anni a New York) all'East Village.

 

Pizza “all'americana”

Poi ci sono gli interpreti americani del genere: le rotte più recenti si muovono tra Martina all'East Village – pizzeria satellite di Marta by Danny Meyer, aperta l'estate scorsa a confermare la passione del magnate della ristorazione newyorkese per la cucina italiana – e Una Pizza Napoletana, insegna storica legata all'estro di Anthony Mangieri, che 9 anni fa chiudeva i battenti del famoso locale all'East Village, e solo qualche giorno fa è tornato davanti al forno nella nuova pizzeria di Lower East Side, riaperta con lo stesso nome, ma in partnership con Jeremiah Stone, co-proprietario di Contra e fan di vecchia data della pizza di Mangieri. Che ora sarà preceduta da una linea di appetizer italian style ideata proprio da Stone, in un grande spazio minimal e moderno con il corner bar affacciato su Orchard street (non distante da Trapizzino). Sicuramente una delle (ri)aperture più ambiziose dell'anno in tema pizza.

 

Prezzi alle stelle

Proprio l'esperimento Mangieri/Stone ci introduce alla riflessione di cui sopra, sollevata dal New York Post: quanto costa, oggi, mangiare una pizza a New York? La Margherita di Mangieri, proposta in carta a 25 dollari, è indubbiamente trainata dalla firma d'autore, “e dagli ingredienti di qualità utilizzati” sottolinea il pizzaiolo. Però è un generale, significativo, rincaro dei prezzi quello che sta riguardando la maggior parte delle pizzerie in città, semmai ci fosse bisogno di confermare il buon momento del comparto. Tanto che anche Eataly, dall'inizio dotata di una sua pizzeria, ha deciso di mettersi in scia: Alla Pala Pizza&Enoteca è il nuovo corner di Flatiron dedicato alla pizza in teglia (con tanto di glossarietto per ordinare al banco come un vero romano), con ingresso indipendente su strada e wine bar.

La pizza in teglia di Eataly

Nove le proposte giornaliere, con prezzi che variano dai 5 dollari per una porzione di Margherita ai 9.20 euro per assaggiare la prosciutto crudo, stracciatella, pomodorini e rucola. Dietro all'impasto c'è il nome di Mulino Marino (quello del giovane Fulvio, terza generazione della famiglia piemontese), gli ingredienti per le farciture arrivano dal mercato di Eataly. Sempre in rotazione, oltre alla Margherita, anche funghi, soppressata e pizza tricolore. Con particolare attenzione all'aperitivo, quando – dalle 17 – è disponibile la formula pizza gastronomica, una pala multigusto in abbinamento con un bicchiere di vino. Dalla carta circa 70 etichette italiane.

Pizza e bocce a Union Square

Per chi ancora non ne avesse abbastanza di pizza, poi, l'estate all'Union Square Pavilion offrirà un'opportunità in più per gustarla in un contesto molto particolare: un pizza e bocce bar con la consulenza di Anthony Falco, pizzaiolo di Roberta's, con campo da bocce a disposizione degli ospiti e bar per spritz, cocktail e vini italiani. Bocce Union Square debutta il 5 giugno all'interno del bel padiglione degli anni Venti e resterà aperto fino a novembre.

 

Simò Pizza – New York – 90-92 Gansevoort Street – dal 5 giugno - www.simopizza.com

Una Pizza Napoletana – New York, Lower East Side – 175 Orchard street – www.unapizza.com

Alla Pala – New York – Eataly Flatiron

Bocce -New York – 20 Union Square West – dal 5 giugno

 

a cura di Livia Montagnoli


I festival gastronomici di giugno. 11 appuntamenti da non perdere

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Dal vino al caffè, passando per l'alta cucina: l'estate comincia con una serie di eventi gastronomici di livello che coinvolgono tutta la Penisola. I festival da segnare in agenda.

 

Cerealia - Roma

Valorizzazione dei territori, delle colture autoctone locali, della biodiversità, ma anche della specificità culturale, che si rinnova e si arricchisce nel dialogo con l’altro. Molteplici sono gli obiettivi che un anno dopo l’altro si prefigge Cerealia, il Festival dei cereali, Cerere e il Mediterraneo, giunto quest'anno alla sua ottava edizione. Dal 7 al 13 giugno, seminari, forum, convegni, laboratori e interventi da parte dei professionisti del settore faranno luce sui concetti di sostenibilità, biodiversità, andando alla ricerca della profonda e antica storia gastronomica del nostro Paese. E poi presentazioni di libri, Il Pane di Vicovaro di Luigi Rinaldi, concorsi fotografici, “Tutti a tavola!”, proiezione di filmati, street food e tanti assaggi. Per un programma fitto da appuntamenti, tutto da scoprire.

Cerealia – Roma – dal 7 al 13 giugno 2018 - www.cerealialudi.org/

Easy Fish – Lignano Sabbiadoro

Un appuntamento dedicato al pesce dell’Alto Adriatico e alle specialità agroalimentari del Friuli Venezia Giulia. È Easy Fish, festival giunto ormai alla quarta edizione che si tiene a Terrazza a mare, struttura simbolo di Lignano Sabbiadoro, dal 15 al 17 giugno. Un evento ormai diventato un riferimento fisso per gli abitanti di queste zone, da sempre legati a un’intensa tradizione della pesca, ma anche per curiosi e appassionati di cucina d'autore. Un weekend lungo di degustazioni, laboratori, cooking show ed eventi gratuiti, con molti protagonisti dell'alta ristorazione della Penisola. Stefano Buttazzoni dell’Osteria Grappolo d’Oro di Arba, Alessandro Businaro del Ristorante da Boschet di Gorgo di Latisana, Matteo Metullio de la Siriola dell'Hotel Cjasa Salares di San Cassiano: questi e molti altri i protagonisti della manifestazione, che si impegneranno a valorizzare nei loro piatti il meglio dei prodotti locali.

Easy Fish – Lignano Sabbiadoro (UD) – dal 15 al 17 giugno 2018 - easyfish.info/wp/levento/

EatPRATO - Prato

Edizione numero tre per EatPRATO, il festival dedicato al bello e buono della cittadina toscana, fra assaggi, laboratori, cooking show e visite ai musei. Per una tre giorni, dall'8 al 10 giugno 2018, di degustazioni e percorsi guidati in pieno centro storico. Un weekend tutto da gustare al Giardino Buonamici, dove il mondo dell'arte e quello del cibo verranno celebrati insieme attraverso dimostrazioni di cucina, laboratori pensati per i più piccoli, itinerari del gusto, presentazioni di libri e tanti assaggi. Mentre i musei più importanti della città – Palazzo Pretorio, Museo del Tessuto e Centro Pecci- aprono le porte al pubblico per un percorso gastro-artistico unico nel suo genere, al costo simbolico di 1 euro. Un festival speciale che racchiude il bello e buono di Prato, chiave di lettura vincente che ha permesso alla manifestazione di essere inserita a pieno titolo nell'elenco degli eventi selezionati per l'Anno del Cibo Italiano, campagna di promozione nata a inizio 2018 per fare luce sulla cultura gastronomica italiana, da sempre legata a doppio filo al mondo dell'arte.

EatPRATO – Prato – dall'8 al 10 giugno 2018 - www.eatprato.it/it/

Fermento Latina – Latina

Spazio anche alla birra artigianale, con la manifestazione Fermento Latina, tutta dedicata al mondo del birra. Dal 15 al 17 giugno, la Piazza del Quadrato di Latina ospita la quinta edizione del festival, con etichette in arrivo da tutta Italia e cibo da strada di qualità. In un'atmosfera conviviale e familiare, con la Musica in Fermento a fare da sottofondo agli assaggi, fra gruppi indie e rock che intratterranno gli ospiti durante le serate della fiera. Fra gli ospiti speciali, Don Pasta, cuoco poeta, ecologista e stralunato, che sul palco usa vinili e pentole contemporaneamente, mixer e minipimer. Dj, economista, appassionato di gastronomia, per il New York Times, «uno (e per certi versi unico) dei più inventivi attivisti del cibo».

Fermento – Latina – dal 15 al 17 giugno - www.facebook.com/events/216308052255746/

Festa a Vico – Vico Equense

Più di 300 chef, una ventina di pizzaioli e maestri pasticceri, produttori e artigiani del made in Italy, tantissimi appassionati e turisti. È Festa a Vico - la Repubblica del Cibo, l’evento ideato da Gennaro Esposito e giunto ormai alla 16esima edizione, in programma dal 3 al 5 giugno prossimi. Si comincia con la Repubblica del Cibo: cuochi provenienti da tutta Italia realizzano i loro piatti all'interno e all'esterno delle botteghe del paese animando strade, giardini e palazzi del centro cittadino, per proseguire poi con i piatti degli chef di alta cucina cuciti su misura per la manifestazione. Spazio anche allo street food, nell'area della Marina, insieme all'arte dolciaria realizzata dai pasticceri del Dessert Storm. Come ogni anno, il ricavato dell'evento verrà devoluto a dei progetti benefici onlus, Per sostenere un progetto e per partecipare a Festa a Vico 2018 basta acquistare in loco il tagliando per la "Repubblica del Cibo" oppure fare un bonifico bancario ad un'associazione onlus a scelta se si vuole prenotare il posto per i "Professori all'Università", la "Cena delle Stelle" e/o il "Cammino di Seiano", i diversi seminari in programma per l'evento.

Festa a Vico – Vico Equense – dal 3 al 5 giugno 2018 - www.festavico.com/festavico2018/

Italian Aeropress Championship

Continuano anche gli eventi che vedono protagonista il caffè di qualità. Estratto in espresso oppure con metodo filtro, una tecnica e una modalità di consumo che sta iniziando a raccogliere l'entusiasmo del pubblico anche in Italia. È proprio alle estrazioni alternative che è dedicata la gara indetta da La Marzocco, azienda leader di macchine per espresso, l'Italian Aeropress Championship, contest che vede i baristi professionisti sfidarsi a colpi di pressione, con metodo aeropress (estrazione che funziona per pressione e immersione, con cui si ottiene un caffè più torbido e corposo rispetto a quello ricavato da altri procedimenti come il più noto v60). A ospitare l'evento – aperto al pubblico – il Deus Cafè di Milano, zona Isola, che nel pomeriggio del 1 giugno si trasformerà in un punto di ritrovo per tutti gli amanti della tazzina.

Italian Aeropress Championship – Milano – 1 giugno 2018 - www.facebook.com/events/229552600958155/

S. Pellegrino Sapori Ticino – evento itinerante
Continuano le cene di S. Pellegrino Sapori Ticino, iniziate lo scorso aprile e in scena fino al 17 giugno, con gli ospiti della manifestazione che valorizza il territorio del Canton Ticino, nelle realtà più prestigiose dell'hotellerie svizzera. Grandi Chef, altissima gastronomia, vini di eccellenza e luoghi magici dall’accoglienza unica: tutto questo è S.Pellegrino Sapori Ticino, che oggi costituisce una delle manifestazioni d’eccellenza per l'intero territorio. “Quest’anno abbiamo voluto portare in Canton Ticino un assaggio di quelle che sono le tradizioni culinarie di Paesi lontani, naturalmente in chiave di alta gastronomia” ha spiegato Dany Stauffacher, patron del Festival, “in tempi come i nostri, nei quali la cucina etnica è una realtà sempre più all’ordine del giorno, abbiamo scelto di aprirci al mondo invitando grandi chef internazionali che, quest’anno più che mai, rappresenteranno stili, usanze e sapori sempre diversi tra loro. Un’edizione ricca di spunti e cultura come non mai, voluta non a caso proprio per il 2018, anno che vede Lugano diventare Città svizzera del Gusto”.

S. Pellegrino Sapori Ticino – evento itinerante – dal 9 aprile al 17 giugno 2018 - www.ticino.ch/it/events/details/Sapori-Ticino-2018/110276.html

Spessore – Torriana

14 chef insieme per una maratona gastronomica sui generis: è Spessore, festival in scena nel giardino del Povero Diavolo di Torriana grazie al supporto di Giuseppe Gasperoni e la sua brigata. Una kermesse di cuochi d'eccezione, che dal 19 al 22 giugno intratterranno gli ospiti con piatti d'autore creati appositamente per l'evento. Alberto Faccani (Magnolia), Gianluca Gorini (Dagorini), Gianpaolo Raschi (Guido), Riccardo Agostino (Piastrino), e ancora Silvio Salmoiraghi del ristorante Acquerello, Michele Castelli di Dimora Ulmo, Francesco Brutto di Undicesima Vineria: sono solo alcuni dei nomi dei professionisti che hanno scelto di aderire alla manifestazione, che darà spazio anche a vini e birre artigianali di ricerca e prodotti gastronomici di alta qualità.

Spessore – Torriana (RN) – dal 19 al 22 giugno 2018

Turin Coffee – Torino

Ancora caffè di qualità, stavolta a Torino. Sarà Piazza Carlo Alberto, alle spalle di Palazzo Carignano e a pochi metri da piazza Castello, a ospitare il Salone Internazionale del Caffè. Un festival nato dall’unione di intenti di tre eccellenze cittadine, Lavazza, Caffè Vergnano e Costadoro, e dal loro desiderio di veder crescere la cultura del caffè in Italia. Ma ci saranno anche le piccole torrefazioni locali e non, insieme all'associazione SCA (Specialty Coffee Association), per una fiera dell'oro nero che si rivolge a tutti. La kermesse è inserita nel calendario del Bocuse d'Or Europe Off 2018, e prevede dei percorsi sensoriali alla scoperta degli aromi del caffè, visite a una mostra fotografica e l'ingresso gratuito al Museo Lavazza. Mentre gli adulti degustano espressi e caffè filtro, i bambini possono dedicarsi alla costruzione di un robot a partire da materiali riciclati. Inoltre, ogni visitatore può scegliere di sostenere attivamente le due Onlus coinvolte nel progetto, CasaOz e 1Caffè.

Turin Coffee – Torino – 9-10 giugno 2018 - www.facebook.com/turincoffe/?ref=br_rs

Vinoforum - Roma

Dal 15 al 24 giugno torna Vinoforum, 15esima edizione del festival wine&food di Roma, con un programma ricco di degustazioni, cene d'autore, abbinamenti cibo/vino, occasioni di intrattenimento e business. Come sempre da 15 anni a questa parte, alla soglia dell'estate la manifestazione chiama a raccolta le migliori cantine nazionali, ristoranti selezionati e grandi chef e maestri pizzaioli per una dieci giorni di cene, degustazioni, assaggi e showcooking. Uno spazio del gusto alla Farnesina per scoprire abbinamenti insoliti e vini di prima scelta, ma anche street food di qualità e olio extravergine di oliva di livello. Novità di quest'anno, infatti, l'oleoteca curata da Simona Cognoli, assaggiatrice esperta e ideatrice del progetto Oleonauta, realtà dedicata alla vendita, comunicazione, promozione e consulenza nel mondo dell'oro verde. Circa 25 aziende selezionate per sottolineare il ruolo sempre più determinante dell'extravergine di qualità nel settore gastronomico, con seminari e laboratori pensati per avvicinare il pubblico al campo olivicolo. Come il focus sulla produzione salentina, quello sul legame con il territorio, la biodiversità delle cultivar italiane, lo studio dei monovarietali e molto altro ancora.

Vinoforum – Roma – dal 15 al 24 giugno 2018 - www.vinoforum.it/spazio-del-gusto/2018/

Vinointorno – Olevano Romano

La rassegna enogastronomica a pochi chilometri da Roma celebra la sua quarta edizione con oltre cento aziende vinicole e la tradizione gastronomica locale in festa. È Vinointorno, in scena il 16 e 17 giugno, un viaggio tra vini e prodotti tipici che valorizzano le terre del Cesanese, che si confrontano con produttori in arrivo da tutta Italia. Nel comune di Olevano Romano, che gli amanti della buona tavola conosceranno per la presenza di un’insegna da non perdere come quella di Sora Maria e Arcangelo, che per due giorni si trasformerà in una grande festa all'aria aperta, fra vini del territorio (e non solo) ed eccellenze gastronomiche locali, perfetto abbinamento per un percorso degustativo unico nel suo genere, da intraprendere nel cuore della campagna romana.

Vinointorno – Olevano Romano (RM) – 16-17 giugno 2018 - www.facebook.com/Vinointorno-582408758573915/?ref=br_rs

a cura di Michela Becchi

Bilancio Europeo. Quali tagli per l'Agricoltura?

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Nei giorni in cui l'Europa è stata al centro dei dibattiti politici italiani, sale la preoccupazione per la Pac post 2020. Ecco le novità della bozza che potrebbe portare a tagli fino al 15% delle risorse. I timori delle associazioni e il commento dell'europarlamentare Paolo De Castro

 

Mentre l'Italia, dopo 88 giorni, sembra aver risolto il rebus Governo, insieme a una delle peggiori crisi poltitiche di sempre, misurata a suon di spread, l'Europa – quella stessa che sembra essere diventata l'ago della bilancia della crisi politica italiana– va avanti e si appresta a disegnare gli scenari futuri per il settore primario, alla luce del nuovo bilancio comunitario post 2020, fortemente condizionato dagli effetti economici della Brexit (circa 15 miliardi di euro in meno nel bilancio Ue dal 2021) e dalle necessità di fronteggiare i temi dell'immigrazione e dei cambiamenti climatici in un'Unione a 27 Paesi. Ironia della sorte, a presentarne la bozza è proprio il commissario tedesco Günther Oettinger. Quello stesso Oettinger che in questi giorni è diventato tristemente familiare agli italiani per le sue affermazioni “a gamba tesa” (colpa della traduzione?) sul voto nel nostro Paese.

Gli scenari non sono dei migliori, ma c'è ancora tempo di recuperare. È molto improbabile, infatti, che entro questa legislatura si arrivi all'approvazione definitiva della bozza: le elezioni per il prossimo Parlamento europeo sono fissate per maggio del 2019 e, con la nuova legislatura, non è escluso che la discussione riparta praticamente dall'inizio.

 

Quali tagli per l'agricoltura?

"Purtroppo devo confermare che ci saranno dei tagli ai fondi destinati all'agricoltura", dice da Strasburgo il primo vicepresidente della Commissione agricoltura e sviluppo rurale del Parlamento Ue, Paolo De Castro. Mercoledì 30 giugno, l'Europarlamento in seduta plenaria ha votato la risoluzione non legislativa (firmata dall'italiano Herbert Dorfmann) sulla proposta di bilancio della Commissione Ue (circa 1700 emendamenti) chiedendo che il post 2020 agricolo mantenga un budget "almeno uguale". Ma sembra ormai chiaro che, nel complesso, i 420 miliardi totali stanziati dall'Ue per le politiche agricole potrebbero scendere a 365 miliardi. E i tagli all'agricoltura, contrariamente ad alcune anticipazioni circolate nei giorni scorsi, potrebbero arrivare al 15%. Come spiega a Tre Bicchieri De Castro, infatti, "il calcolo fatto dalla Commissione, che parla del 5%, è calcolato solo sull'ultimo anno – il 2020 – ma bisogna tener conto della riduzione che si è già avuta a partire dal 2014, senza contare il peso dell'inflazione. Complessivamente, quindi, l'inidicazione del 15% potrebbe essere quella corretta, ma noi ci batteremo affinché la riduzione sia della minore entità possibile". E ci sono già delle proposte nero su bianco che potrebbero, se non evitare i tagli, almeno ridimensionarli. "Per esempio" continua De Castro "la tassazione sulle transazioni finanziare europee che obbligherebbero i giganti del web a destinare una percentuale, seppur minima, all'Unione europea".

 

E se la Pac non fosse più "comune"?

Messo da parte il capitolo economico, c'è un altro passaggio della proposta che preoccupa l'europarlamentare ed è la cosiddetta “federalizzazione” delle risorse, ovvero la possibilità che non sia più l'Unione europea, ma ogni Stato membro, a decidere il proprio piano Pac, demandando all'Ue la sola funzione di controllo. La bozza, presentata a Strasburgo, infatti, prevede il passaggio dall'approccio definito "one size fits all" (che si adatta a tutti) a un approccio "tailor-made" (su misura) per ogni Stato. Un sistema "rischioso", secondo De Castro, per le possibili distorsioni della concorrenza.

"Il Parlamento europeo è favorevole alla flessibilità e alla semplificazione ma la relazione votata a grande maggioranza" spiega l'europarlamentare "chiede che il futuro della nostra agricoltura rimanga comune, garantendo crescita, produttività, sostenibilità e competitività a tutti i nostri agricoltori, senza rischi di distorsioni di concorrenza tra Stati o addirittura tra Regioni differenti". Per questo motivo, De Castro fa un appello al Commissario Ue per le Politiche, Philip Hogan: "Caro Commissario, la sola responsabilità dei controlli all'Unione europea non basta per definire la Pac una politica davvero comune. Serve invece un messaggio forte di ancora maggiore integrazione”.

Integrazione e politica comune, quindi. Due concetti che, oggi più che, mai appaiono al centro del dibattito italiano. Tant'è che, mentre in Italia si acuisce il dibattitto tra europeisti e non (con la complicità delle dichiarazioni dei vari commissari europei), De Castro lancia il suo messaggio: "Oggi più che mai abbiamo bisogno di più Europa, altro che uscirne. Non c'è nessun Paese che da solo possa affrontare le grandi sfide che abbiamo di fronte: dalla Pac, ai cambiamenti climatici. Il caso Brexit dovrebbe farci riflettere un po' di più".

 

Ocm Vino. Quali prospettive?

In questo scenario particolarmente delicato, la domanda è che cosa potrà accadere al settore vitivinicolo? Ogni anno, il comparto nazionale gestisce 337 milioni di euro di fondi europei attraverso il Piano nazionale di sostegno (Pns). Un taglio del budget da parte della Commissione ricadrebbe a cascata sulle risorse disponibili per l'Italia. In questi anni, le misure comunitarie hanno rappresentato un motore importante per lo sviluppo del prodotto sul mercato. Il valore della produzione di vino dell'Europa a 28, secondo un'analisi Mipaaf-Ismea, è cresciuto di quasi il 9% tra 2012 e 2017 (a 49,3 miliardi di euro) a fronte di una flessione media delle produzioni del 2%. L'Italia, che ha mantenuto stabile la media delle produzioni, ha visto crescere il valore del 14,4% (a 13 miliardi di euro). Non solo: secondo gli ultimi dati della Dg Agri di Bruxelles, le esportazioni agroalimentari comunitarie nei 12 mesi tra febbraio 2018 e marzo 2017 sono cresciute del 4,1% (a 138 miliardi di euro), con il comparto vino, vermouth e aceti a segnare una delle migliori performance in tutta la voce agri-food, con incrementi superiori al 10%, da 10,8 mld di euro a 12 mld di euro; con un'ottima progressione anche su base mensile: +44% in valore tra gennaio e febbraio.

E proprio perché il vino si è dimostrato virtuoso – è l'osservazione che fanno molti esponenti delle organizzazioni italiane di categoria – non è opportuno sia sottoposto a tagli, in particolare se questi andranno a incidere, come è probabile, su misure determinanti come la promozione o la ristrutturazione dei vigneti in ambito Ocm. Tuttavia, altri aspetti, più legati alle conseguenze ad ampio raggio di questa riforma, stanno mettendo in fibrillazione la filiera italiana.

 

Il parere delle associazioni

Alleanza delle cooperative, attraverso la sua coordinatrice vino, Ruenza Santandrea, accende i riflettori sulla cosiddetta rinazionalizzazione della Pac: "Rinazionalizzare può esporci al rischio di vedere reintrodotte regole nazionali, dopo la fatica fatta nella costruzione di un mercato unico, e al rischio che scelte nazionali, anche in termini di allocazione delle risorse, possano tradursi in una distorsione della concorrenza tra gli operatori europei". Santandrea allontana, però, l'ipotesi che le misure più efficaci dell'Ocm possano andare a corto di soldi: "Riteniamo che trattandosi di risorse pubbliche” osserva "la priorità vada data alle misure che hanno dimostrato di funzionare maggiormente in termini di efficacia di spesa, reddito prodotto, occupazione mantenuta e creata e, quindi, ristrutturazione e riconversione vigneti, investimenti e promozione". Inoltre, l'attenzione che la Commissione Ue "sembra riporre" in questa riforma Pac sui temi dell'ambiente "se ben tradotta in termini di strumenti di policy, potrebbe diventare un'opportunità per il nostro settore".

 

Dal canto suo, la Federvini, attraverso il suo direttore generale Ottavio Cagiano de Azevedo, mette in guardia sui principi di liberalizzazione che potrebbero nascondersi in questa nuova impostazione di Bruxelles: "Il nostro comparto, rispetto agli altri, è l'unico ad avere ancora dei sistemi di controllo della produzione. È vero che l'1% di incremento delle superfici tramite il sistema autorizzativo non è in discussione, si potrebbe introdurre maggiore flessibilità, ma non dimentichiamoci che la Commissione ha orientamenti differenti". Per quanto riguarda i possibili tagli al bilancio del vino, se questi ci saranno "apparterrà ai singoli Stati membri trovare il modo di gestirli salvaguardando certe misure dell'Ocm".

 

Secondo la Confagricoltura bisognerà tenere alta l'attenzione sul fatto che "con il nuovo regolamento il vino non sia trascinato nell'ambito di una normativa di tipo orizzontale invece che verticale, come l'attuale" avverte il presidente della Federazione vitivinicola di Confagri, Federico Castellucci. "Mi preoccupa inoltre" aggiunge "il fatto che nel testo stilato dalla Commissione colgo una certa tendenza a togliere alle Doc il collegamento al fattore umano, mentre proprio questo è uno dei pilastri su cui si basa il nostro vino. Ovvero, quel saper fare specifico, il genius loci, di una determinata area produttiva. In altre parole: una Doc non può assolutamente essere considerata un mero prodotto del food".

 

Superlavoro anche per Unione Italiana Vini che, con il Ceev, sarà impegnata a livello europeo in quella che si preannuncia una "lunga battaglia", come l'ha definita il segretario generale Paolo Castelletti: "Dato che i margini di trattativa sul budget sembrano ridotti, dobbiamo fin da ora attrezzarci per spendere ancora meglio questi fondi, trovando modalità più efficaci" sottolinea "soprattutto nell'ottica di un progetto nazionale che ancora oggi soffre, da un lato, i rischi di frammentazione e, dall'altro, le difficoltà di coordinamento tra Mipaaf e Regioni".

 

a cura di Loredana Sottile e Gianluca Atzeni

 

Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 31 maggio. Abbonati anche tu se sei interessato ai temi legali, istituzionali, economici attorno al vino. È gratis, basta cliccare qui.

 

Il Festival dell'Economia Carceraria a Roma. Quanto sono buoni i prodotti del carcere

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Due giorni per scoprire quanto l'economia carceraria italiana sia ricca di belle esperienze e prodotti gastronomici di qualità. Il 2 e 3 giugno, alla Città dell'Altra Economia di Roma, appuntamento con la prima edizione del festival ideato da Semi di Libertà. 

Prodotti dal carcere

Il Caffè Galeotto confezionato nella torrefazione del carcere di Rebibbia, a Roma, da dove arrivano anche i formaggi di Cibo Agricolo Libero, progetto ideato da Vincenzo Mancino per sollecitare le detenute della Casa Circondariale Femminile dell’istituto penitenziario. O il pane targato Fine Pane Mai, con forno e punto vendita lungo le mura del carcere, in via Bartolo Longo. Ma anche prodotti (e idee) che hanno attraversato l'Italia, come i cavoli e lo zafferano coltivati nel Galeorto della Casa Circondariale di Spini di Gardolo (Trento) o la pasta secca dell'Ucciardone di Palermo, prodotta dal pastificio GiglioLab inaugurato appena un mese fa all'interno del carcere borbonico, con possibilità di produrre 400 chili di pasta all'ora. Da farina da grani perciasacchi coltivati in un campo sperimentale nelle campagne palermitane. Queste e altre storie sono quelle che si riuniscono a Roma, il 2 e 3 giugno, in occasione del primo festival dell'Economia Carceraria, organizzata dalla Onlus Semi di Libertà alla Città dell'Altra Economia, con il sostegno del Gay Village.

 

Il primo festival dell'economia carceraria. A Roma

Un esordio importante per fotografare una realtà sempre più variegata di attività produttive e formative che trovano spazio nell'ambito della comunità carcerarie italiane, con progetti intra ed extra murari. E un festival che vuole promuovere la conoscenza del sistema di carcerazione, favorendo il dialogo su tematiche chiave per l'evoluzione del sistema carcerario italiano, come il contrasto della recidiva (che peraltro costituisce un costo insostenibile per lo Stato, in termini di sicurezza ed economici). Dimostrando così “la forza riabilitativa del lavoro e dei percorsi di formazione e istruzione come strumenti di valore legati alla dignità della persona”. Quindi saranno diverse le opportunità di confronto durante il weekend, con un calendario che alterna momenti di approfondimento – il convegno di sabato 2 giugno, alle 14 o la conferenza della 16, La Giustizia è un diritto – e intrattenimento, come la cotta pubblica di RecuperAle (domenica 3, alle 14), a cura del birrificio carcerario romano Vale la Pena, tra le realtà più impegnate sul campo a dimostrare il valore dell'economia carceraria. O la mostra di manufatti in ceramica creati nel carcere di Paliano (Lazio), e la proiezione di documentari e corti a cura di Paolo Di Virgilio. Ma il fulcro del festival sarà il mercato di Economia Carceraria, aperto dal mattino fino al termine delle due giornate, con il desiderio di dimostrare quanto i prodotti carcerari, scevri da logiche speculative di profitto, puntino alla qualità del risultato, soprattutto perché veicolano la voglia di riscatto dei detenuti. E dunque acquistarli diventa un gesto di responsabilità sociale, ma pure di grande soddisfazione individuale.

 

Cosa si mangia?

Molti degli espositori coinvolti proporranno prodotti gastronomici, testimoniando quanto le attività legate alla produzione di cibo siano funzionali ad attivare dinamiche di riscatto professionale e sociale. Tra le proposte in vendita (e assaggio nel corso delle degustazioni guidate del pomeriggio), anche il caffè della Coop Lazzarelle del carcere femminile di Pozzuoli, i taralli salati della cooperativa Campo dei Miracoli di Trani, olio, vino e miele a marchio Fresco di Galera dei detenuti di Sant'Angelo dei Lombardi, dall'Irpinia di Falanghina, Coda di Volpe, Fiano e Greco di Tufo. E poi i biscottini Cotti in Fragranza dai ragazzi dell'istituto minorile Malaspina di Palermo e i dolcetti scaramantici a forma di corno scacciaguai dell'Associazione Scugnizzi al lavoro con i ragazzi dell'istituto minorile Nisida di Napoli per produrre il tipico “ciortino”.

 

Festival dell'Economia Carceraria - Roma – Città dell'Altra Economia – il 2 e 3 giugno - https://www.facebook.com/events/220834388507830/

 

a cura di Livia Montagnoli

Le migliori gelaterie d'Italia. Miglior Gelato al Cioccolato: Il Gelatiere Stefano Dassie di Treviso

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Fondente, al latte, bianco, alla frutta, aromatizzato, speziato: comunque sia, è sempre il cioccolato a farla da padrone fra i gusti delle gelaterie. Il migliore secondo la nostra guida è quello di Stefano Dassie, figlio d'arte che da anni gestisce le insegne di famiglia a Treviso.

 

Non ci sono dubbi: il mondo del gelato è in pieno fermento, e lo dimostrano le tante insegne di qualità sparse per la Penisola che scelgono di portare avanti giorno dopo giorno una ricerca attenta e minuziosa circa gli ingredienti, gli abbinamenti e le tecniche di lavorazione. Sono gli indirizzi premiati dalla guida Gelaterie d'Italia 2018 del Gambero Rosso con Uno, Due o Tre Coni. Ma ci sono anche i premi speciali, i templi del gusto dove è possibile assaporare prodotti di alta qualità che si distinguono per quel tocco d'autore in più che fa la differenza. Fra accostamenti insoliti e gelati gastronomici, spazio anche al più classico dei gusti, quello al cioccolato: ad aggiudicarsi il riconoscimento per la migliore interpretazione del cibo degli dei, Il Gelatiere Stefano Dassie, marchio di Treviso che conta in tutto quattro sedi. Ecco perché il suo è il miglior gusto al cioccolato dell'anno.

Come ti sei avvicinato al mondo del gelato?

I miei genitori sono nel settore dal sempre, hanno cominciato quando avevano solo 15 anni. Col tempo hanno gestito diverse insegne, fra bar e gelaterie, e io sono cresciuto qui dentro. Una volta uscito da scuola, mi fermavo in gelateria, così come nel weekend, e per non farmi annoiare mio papà mi lasciava giocare con i sacchi di zucchero e gli strumenti del mestiere.

E poi cos'è successo?

Oltre a divertirmi, stando in gelateria ogni giorno ho avuto modo di osservare attentamente i miei genitori all'opera. Ho imparato il senso del sacrificio, del dovere, le responsabilità e il duro lavoro. Con gli anni, ho deciso di aiutarli in bottega, un po' per non sovraccaricarli di fatiche, un po' perché mi piaceva davvero l'arte del gelato.

Quando hai cominciato a fare sul serio?

Attorno ai 18 anni, dopo essere stato bocciato agli esami di maturità. Il quarto anno di superiori ero andato a studiare in America per uno scambio culturale, e forse questa mia scelta non è stata ben vista dagli insegnanti. A ogni modo, mi sono ritrovato a dover prendere una decisione: nel frattempo la mia passione per questo mestiere era aumentata, avevo capito che dietro i sacrifici possono celarsi grandi soddisfazioni, e ho scelto di aiutare la mia famiglia.

Come sono stati i primi tempi?

Durissimi. Ricordo ancora le parole di mio papà, una volta entrato ufficialmente in gelateria: “Hai un anno di tempo per dimostrarmi che questa è davvero la strada che fa per te. Altrimenti torni a scuola”. E così ho fatto. Niente ferie, niente permessi, tutti i giorni in gelateria. La mia serietà col tempo ha pagato.

Come si è sviluppata l'insegna negli anni?

Ci siamo ampliati. In tutto, sono 4 le insegne di famiglia: papà gestisce la parte burocratica e amministrativa, mamma è in laboratorio, e io sono un po' il tuttofare della casa, mi occupo della selezione degli ingredienti, della formazione del personale e delle preparazioni. Per noi è fondamentale la formazione del personale: tutti i ragazzi degli altri locali hanno lavorato minimo 2/3 anni con noi prima di prendere la loro strada.

Quante persone ci sono in tutto nel team?

20, distribuite fra i 4 indirizzi.

Veniamo al gelato. Come selezioni le materie prime?

Cerco di rimanere legato al territorio, ma - se serve - spazio anche in altre regioni. Per il cioccolato, mi rifornisco da diverse aziende, mentre per la frutta mi affido soprattutto a Zolla 14, azienda agricola biologica a pochi chilometri dalla gelateria. Fra le tante specialità, nota di merito per le pesche, disponibili in molte varietà, così come le mele e il succo di mela: straordinario!

Il protagonista, però, è il cioccolato. Cosa rappresenta per te questo ingrediente?

È tutta la mia vita. Dal 2007 insieme a mia mamma ho dato il via a un evento dedicato al gelato al cioccolato, offrendo circa 20 gusti diversi per due giorni. Una festa che ha raccolto fin da subito l'entusiasmo del pubblico, e che abbiamo replicato poi negli anni. Nel 2016 non si è fatta, ma solo perché stavo lavorando a un progetto curioso: 100 modi per svenire con il gelato al cioccolato.

Divertente. Di che si tratta?

100 gusti diversi di gelato al cioccolato, suddivisi in 11 categorie. Per esempio, c'era il gelato gastronomico in abbinamento ai piatti, come il fondente 64% con ricotta affumicata da gustare con un filetto alla Wellington, oppure il cioccolato con ortaggi, con frutta, quello speziato, con gli infusi o il “cioccolato del mondo”, che riprende i gusti dei grandi classici della pasticceria internazionale come la Sachertorte.

Che cioccolati proponi al momento?

Cioccolato fondente, fondente zuccherato con fruttosio, un classico cioccolato 55%, più adatto per i bambini, e uno a base latte composto da tre tipi di cacao, un Costa d'Avorio, un Ecuador e un Venezuela. Quest'ultimo in particolare è il nostro prodotto di punta, vincitore anche del Campionato Italiano di Gelato 2010.

Il gusto dell'estate?

Stiamo sperimentando con l'acqua di pomodoro, ricca di potassio, 0% di sodio e con un buon apporto di vitamina C. Sarà la base dei nostri gelati alla frutta.

Gusti alla frutta particolari?

Mi piacciono molto i prodotti nostrani, ma utilizzo spesso anche frutta tropicale: maracuja, mango, ananas, papaya, abbinati fra di loro oppure alle specialità italiane, per un punto di incontro fra le due culture. Per esempio, mi piace molto l'unione di lampone, papaya e zenzero, oppure pompelmo rosa, guaiava e ananas.

Fai anche gelati gastronomici?

Sì, spesso per delle cene in collaborazione con alcuni ristoranti. Ho creato il gusto al baccalà mantecato, quello all'acqua di ostriche e poi quello con salmone affumicato oppure la trota marinata. Mi diverto molto anche con i formaggi, dal brie al gorgonzola. Le spezie, poi, sono all'ordine del giorno.

E ai clienti piacciono?

Moltissimo. Il pubblico è sempre più attento e preparato, e questo consente a noi gelatieri di poter sperimentare di più. Anche con i gusti classici è tutto più semplice: fino a una quindicina di anni fa nessuno capiva l'importanza della provenienza degli ingredienti, la tracciabilità e simili. Oggi, è il nostro punto di forza.

Com'è il panorama trevigiano?

Molto buono, ci sono circa 14 gelaterie nel centro storico. C'è anche qualche franchising, ma per fortuna il pubblico è più interessato ai prodotti artigianali.

Progetti per il futuro?

Continuare a concentrarci sulla formazione del personale. E poi magari aprire qualche altra sede a Treviso oppure in altre grandi città italiane. Mi piacerebbe anche creare una scuola di gelateria, ma diventerebbe troppo impegnativo gestire tutto il lavoro.

Sogno nel cassetto?

Portare il vero gelato italiani negli Stati Uniti.

Il Gelatiere Stefano Dassie – Treviso – via Sant'Agostino, 42 – 042256534 - www.facebook.com/dassiestefano/

a cura di Michela Becchi

Gelaterie d’Italia del Gambero Rosso 2018 – pp. 240 – 8,90 euro – disponibile anche on line

Guida Gelaterie d'Italia 2018 del Gambero Rosso. La classifica e i premiati 

Le migliori gelaterie d'Italia. Premio Gelatiere Emergente: Gelati d'Antan di Torino 

Cibo a Regola d'Arte a Treviso e La Repubblica delle Idee a Bologna. Parlare di cibo per saperne di più

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Due appuntamenti nell'arco di una settimana, per stimolare il dibattito culturale, organizzati dai più importanti quotidiani nazionali. A Treviso tutto ruota intorno al cibo democratico, con il Corriere della Sera; a Bologna, invece, sono molti i temi in ballo. Ma si parla anche di identità gastronomica e alta cucina. 

 

Cibo a Regola d'Arte a Treviso

Cibo democratico, ancora una volta. Per raccontare che la cucina è di tutti, il cibo è un diritto, la condivisione parte del gioco. Uno spettacolo in tre atti messo in scena dal Corriere della Sera con la direzione artistica di Angela Frenda, da un paio d'anni a questa parte alla guida della squadra di Cibo a Regola d'Arte, evento gastronomico di approfondimento e intrattenimento nato a Milano, arrivato a Napoli, e ora pronto a esordire a Treviso. Il 2 e 3 giugno sarà Palazzo Giacomelli ad accogliere la seconda tappa annuale del tour, che in autunno tornerà a Napoli, per l'ultimo appuntamento del 2018. Due giorni per riprendere da dove si era rimasti alla fine di marzo, all'Unicredit Pavilion di Milano, “per ragionare insieme a grandi chef, pasticceri, maestri pizzaioli, esperti di nutrizione, intellettuali e scrittori su come vincere la grande sfida dei nostri giorni: arrivare a un cibo di qualità che remuneri chi lo produce e sia abbordabile per chi lo compra”, spiega Angela Frenda. Dunque proprio in concomitanza con la festa della Repubblica, Andrea Segrè salirà sul palco per parlare di diritti e doveri del cibo democratico; intanto, Luigi Biasetto, ambasciatore della pasticceria regionale veneta, si ritroverà insieme al direttore marketing della pasticceria Giotto del carcere di Padova per svelare i segreti del tiramisù perfetto, in omaggio alla città ospite.

 

I protagonisti

E sempre durante la prima giornata di lavori si avvicenderanno ai fornelli Andrea Berton, Cesare Battisti, Heinz Beck (con il professor Valter Longo del programma Longevità e Cancro dell'IFOM, per parlare di cucina al servizio della salute), Giancarlo Perbellini, Alessandro Borghese. Ma anche Stefano Polato, chef degli astronauti, e Michele Placido, protagonista sul palco con il figlio Michelangelo, per raccontare di ritorno alla terra e identità gastronomica pugliese. Domenica 3 giugno si ricomincia con nuovi attori: tra gli chef, Alfio Ghezzi, Alessio Longhini, Andrea Tortora, Paolo Casagrande (dal Lasarte di Barcellona), i fratelli Damini, Gianfranco Vissani. Alle 15.30 la lezione sulla pizza che riunisce Nord e Sud Italia, con Renato Bosco e Ciro Salvo insieme sul palco, tra crunch e pizza fritta; e ancora le rotte del baccalà tra mercanti e viaggiatori gourmet, il foraging in tavola, coffee e wine experience. Ingresso gratuito fino a esaurimento posti.

 

La Repubblica delle Idee a Bologna

Qualche giorno più tardi, sarà l'altra grande testata nazionale, La Repubblica, a condurre le danze di un evento di piazza che invita a riflettere: La Repubblica delle Idee 2018 prenderà forma a Bologna (dove la rassegna esordiva, nel 2012) dal 7 al 10 giugno. Un festival multidisciplinare che quest'anno verterà sul tema Che fine ha fatto il futuro?, con incontri dedicati a politica e letteratura, economia e nuove tecnologie, musica e arte: circa un centinaio di eventi diffusi nel centro della città, tra piazza Maggiore e Palazzo Re Enzo, piazza Santo Stefano e il Teatro Comunale. Ma pure da Fico Eataly World e Villa Guastavillani. Ampio il parterre di ospiti illustri moderati dalle firme storiche del quotidiano, tanti gli scrittori, gli artisti, i musicisti e le personalità del mondo istituzionale. E il festival sarà occasione pure per riflettere di cibo, tra dibattiti e degustazioni che coinvolgono chef e protagonisti del settore.

 

I protagonisti

Venerdì 8 giugno l'incontro di Palazzo Re Enzo sulla filiera alimentare e il difficile equilibrio tra sostenibilità e tutela della tradizione: a confrontarsi saranno Marino Niola, Carlo Petrini, Marco Pedroni (Coop Italia), Gianmario Tondato da Ruos (Autogrill). E Petrini sarà di nuovo protagonista nella serata di Piazza Verdi, con un dialogo a due sulla geopolitica del cibo in compagnia di Barbara Massaad, scrittrice, fotografa e cuoca libanese. Nella stessa giornata, Niko Romito e Pietro Parisi discuteranno con Giuseppe Cerasa di cucina con le stelle. Sabato 9, invece, di nuovo a Palazzo Re Enzo, con Chicco Cerea e Guido Gobino, condotti da Licia Granello, sul tema dell'identità gastronomica e dell'eccellenza alimentare. Nel piatto anche temi come l'agricoltura del futuro, il workshop sulla birra artigianale, il dibattito sul lavoro nel settore del cibo. A ognuno cogliere gli spunti che preferisce. L'importante è seminare bene.

 

Cibo a Regola d'Arte – Treviso – il 2 e 3 giugno - http://cucina.corriere.it/ciboaregoladarte/treviso/

La Repubblica delle Idee – Bologna – dal 7 al 10 giugno - il programma

 

a cura di Livia Montagnoli

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