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Concours Mondial de Bruxelles: che cos’è e chi ha premiato la 25ma edizione del prestigioso concorso enologico internazionale

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A poco più di una settimana dalla conclusione, ecco tutte le medaglie conquistate al Concours Mondial de Bruxelles. La competizione internazionale itinerante ha compiuto 25 anni e si è svolta in Cina: la prima volta fuori dal contesto europeo.

 

 

Il concorso

9180 vini, 330 degustatori da tutto il mondo. I numeri dell’ultima edizione del Concorso di Bruxelles parlano chiaro. L’edizione cinese (svolta a Pechino, nel distretto di Haidian) è la più ricca di sempre per numero di campioni assaggiati. E la macchina organizzativa, di conseguenza, è notevole. L’incremento è dovuto senza dubbio al contributo del paese ospitante che, con 485 etichette, si attesta la quinta nazione per vini partecipanti, dopo Francia (2342), Spagna (1810), Italia (1382) e Portogallo (1062). Tre le tipologie di medaglie previste dalla competizione, quella d’argento, quella d’oro e la gran medaglia d’oro, per i vini migliori in assoluto.

Gli assaggi

Ma come si svolge il concorso? Come si assaggiano i vini? I degustatori arrivano da tutto il mondo, si dividono in commissioni da 6, guidate da un capo panel. Ogni giorno, per tre giorni consecutivi, ogni commissione assaggia circa 50 vini, divisi in batterie a seconda della tipologia. Tranne l’annata però, la degustazione avviene totalmente alla cieca e si attribuisce un punteggio in centesimi che, in caso, si convertirà in medaglie. Il punteggio è frutto di una sommatoria di singole valutazioni che riguardano l’aspetto visivo, olfattivo, gustativo, più un giudizio finale. Gli assaggiatori sono giornalisti, sommelier, ma anche buyer, direttori commerciali di aziende o enologi, in modo che sia rappresentato tutto il comparto enologico. I punteggi vengono poi analizzati minuziosamente, non solo al fine di attribuire le medaglie, ma anche per offrire ai singoli assaggiatori un quadro sulla propria performance: si evince così se il giurato ha usato bene la scala di valori, se ha una media vicina a quella dei colleghi del panel, se, infine, è dotato di precisione all’assaggio, visto che in qualche batteria gli organizzatori includono delle etichette identiche, proprio per testare la bravura degli assaggiatori. Un’organizzazione maniacale insomma che rende il concorso prestigioso, specie per dei mercati che guardano con interesse la conquista delle medaglie da parte dei vini partecipanti.

I risultati dell’ultima edizione

La crescita non c’è stata solo in Cina. Anche le altre nazioni fanno registrare un aumento dei campioni presentati. Soprattutto aumentano i vini biologici, tanto che dallo scorso anno un premio è strettamente dedicato a questa categoria. L’Italia presenta in questa edizione quasi 1400 vini e ottiene un risultato straordinario: ben 434 medaglie, quasi un terzo dei vini partecipanti. Di questi 297 sono medaglie d’argento, 123 d’oro, e 14 gran medaglie d’oro. La Sicilia, la Toscana, il Veneto e la Puglia sono le regioni che più credono nel concorso e circa il 60% dei vini italiani presentati proviene da queste regioni. Sul gradino più alto del podio la regione Puglia (104 medaglie totali), seguita da Sicilia e Veneto. Ma l’Italia strappa un altro gran risultato: di 14 premi speciali dati tra tutte le medaglie, ben tre vanno alla nostra nazione. Il Primitivo di Manduria Papale Linea Oro ’15 di Varvaglione conquista il premio Rivelazione Vino Italiano, il Sicilia Maria Costanza Ris. ’13 dell’azienda Milazzo il premio Rivelazione Internazionale Vino Bio, infine il Brunello di Montalcino Ris. ’12 de La Togata conquista la Rivelazione Internazionale Vino Rosso. Sottolineiamo, per concludere, l’ottima prestazione dei vini cinesi, nazione ospitante, a conferma che le etichette di questo particolare paese emergente catturano sempre più il gusto e la critica internazionale (131 medaglie conquistate). Tutti i risultati sono consultabili qui.

La prossima edizione

Sarà la città svizzera di Aigle ad ospitarela prossima edizione dell’itinerante Concours Mondial de Bruxelles. L’annuncio, come da tradizione, è stato fatto durante l’ultimo giorno di competizione dell’edizione 2018. “Dopo Pechino, il Concours Mondial de Bruxelles torna in Europa e si ferma in Svizzera, dove la vite è coltivata sin dall’epoca dell’Impero Romano.Il paese è il 5° al mondo per consumo pro capite”ha commentato BaudouinHavaux, Presidente del Concours Mondial de Bruxelles “in più i vini svizzeri sono nella top 10 dei vini premiati durante il concorso”. In effetti, benché la Svizzera non figuri tra i primi dieci produttori mondiali di vino, in termini di consumo supera paesi come il Cile, la Grecia e l’Austria. Gli organizzatori pensano che Aigle, situata nel cantone svizzero di Vaud, rappresenti la scelta ideale per diversi motivi. La città è infatti strategicamente posizionata al confine della valle del Rodano, circondata dalle maestose Alpi svizzere. Non lontano, troviamo il lago Léman e la regione viticola di Lavaux – classificata patrimonio mondiale dell’Unesco – uno tra i più bei paesaggi vitivinicoli svizzeri. Il cantone di Vaud conta otto denominazioni di origine controllata: produce un quarto di tutti i vini svizzeri, tra cui i tre vitigni più coltivati del paese: il pinot nero, lo chasselas (varietà tradizionale) e il gamay. Accanto al Vaud c’è il Vallese, la più grande regione viticola della Svizzera. Attualmente, vi sono oltre 1.800 produttori di vino in Svizzera e oltre 240 varietà.

 

a cura di Giuseppe Carrus

 

 

Cantine Aperte 2018. Gli appuntamenti della 26esima edizione

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Nasceva nel maggio del 1993 in Toscana l'evento clou del Movimento Turismo del Vino, oggi diffuso in tutto il territorio. Degustazioni, tour e iniziative da non perdere durante il weekend di Cantine Aperte.

 

L'evento

Torna questo fine settimana (26 e 27 maggio) l'appuntamento con Cantine Aperte, l'evento principale del Movimento Turismo del Vino (MTV), giunto alla sua 26esima edizione. La prima, nel 1993, coinvolgeva la sola Toscana, con 7 cantine del territorio, per poi essere replicata, negli anni successivi, in Trentino e in Piemonte. Da allora tante cose sono cambiate: oggi sono circa 800 le cantine che in tutta Italia aprono le loro porte a oltre un milione di enoturisti.

La guida online del vino marchigiano

Vino, natura, cultura. È ancora una volta questa la triade vincente dell'evento, che come sempre si propone di fare luce sulla ricca tradizione vitivinicola della Penisola, dal Piemonte all isole. A ogni regione, i suoi vitigni, la sua storia, le sue etichette, e le sue tendenze sempre più radicate. Nelle Marche, terra di Rosso Conero, Lacrima di Morro d'Alba, Pecorino, Passerina e Rosso Piceno, sarà l'abbinamento con i piatti locali la formula protagonista del fine settimana all'insegna del buon bere. Un pasto all'aria aperta per scoprire l'arte della vinificazione, occasione unica durante la quale verrà presentata una nuova applicazione per smartphone: Cantine Marche in Tour, una guida online di tutte le cantine associate, quest'anno più di 70.

Gustiamo il bello della Toscana

Non può mancare, poi, la Toscana, prima regione a far parte della manifestazione, che in questa edizione si presenta con lo slogan “Gustiamo il bello della Toscana”, con l'obiettivo di far scoprire al pubblico le tante risorse paesaggistiche e artistiche del territorio. In un legame sempre più stretto fra arte e cibo (o meglio, vino) che nell'Anno del cibo italiano è ormai la chiave di lettura privilegiata per tutti gli eventi di qualità. “Il successo del vino toscano non risiede solo nella qualità ormai riconosciuta da tutto il mondo, ma anche da tutto il contesto in cui viene prodotto”, ha spiegato il presidente del Movimento Turismo del Vino Toscana Violante Gardini.Che aggiunge: “Per questo motivo, abbiamo pensato di dare la possibilità agli appassionati di vino di scoprire per la prima volta tutta la bellezza che le cantine mantengono, proteggono e valorizzano”.

L'Abruzzo nei 50 anni della Doc Montepulciano d'Abruzzo

34 le cantine abruzzesi che hanno aderito all'iniziativa, un numero significativo per una regione che negli ultimi anni è cresciuta in maniera esponenziale dal punto di vista agroalimentare, vino compreso. E che è sempre più impegnata nella promozione del territorio e del suo legame con i prodotti tipici, soprattutto quest'anno, in occasione del 50esimo anniversario della denominazione Montepulciano d'Abruzzo. “L’enoturismo rappresenta uno strumento straordinario utile a raccontare il territorio, e quest’anno, in occasione dei 50 anni della Doc Montepulciano d’Abruzzo, la manifestazione è un punto di riferimento per il mondo vitivinicolo”, ha commentato l’assessore regionale all’Agricoltura Dino Pepe. Fra visite guidate, degustazioni e tour unici alla scoperta di un territorio di straordinaria bellezza, l'Abruzzo si presenta con una nuova ritrovata energia, ancora più rafforzata dal neonato progetto "Percorsi", una serie di itinerari culturali e gastronomici promossi dal Consorzio Tutela Vini d'Abruzzo, iniziativa di cui presto torneremo a raccontarvi.

La Sicilia dei giovani

Cantine Aperte è diventato nel tempo un momento di confronto e crescita fra colleghi, ma anche di conversazione diretta fra produttore e consumatore, per una filiera sempre più corta e trasparente. In Sicilia, terra di antiche tradizioni, sono i giovani a farla da padroni: produttori impegnati in una produzione sempre più di qualità, attenti alla comunicazione e al rapporto di fiducia con il cliente, professionisti ambiziosi dai progetti innovativi e moderni. Tante comitive che decidono di entrare in cooperativa, ma anche coppie unite nel lavoro e nella vita che scelgono di intraprendere un percorso comune, un'avventura all'aria aperta per riavvicinarsi al mondo dell'agricoltura. Saranno proprio loro i protagonisti della Sicilia del vino, che quest'anno si presenta in grande spolvero con un numero elevato di cantine giovani.

Cantine Aperte Emotion in Lombardia

Cantine Aperte è, infine, un momento di condivisione. Con questa filosofia, in Lombardia nasce Cantine Aperte Emotion, una serie di esperienze esclusive da prenotare in anticipo, per gustare il bello e il buono del vino di qualità immersi in un'atmosfera suggestiva: “Tramonti diVini”, “Cene sotto le stelle” e molte altre ancora le iniziative pensate per rendere la degustazione di vino ancora più affascinante e coinvolgente. Ogni territorio della regione, poi, propone seminari e focus diversi: al Castello di Luzzano, nel Pavese, si dibatterà attorno a vini e personaggi storici celebri e sull'utilizzo del vino come medicinale, mentre sui colli morenici mantovani le granite al Lambrusco verranno degustate a tempo di jazz, rock e soul con il progetto “Sorsi in Musica”.

Cantine Aperte 2018 – evento itinerante – 26-27 maggio 2018 - www.movimentoturismovino.it/it/eventi/2/cantine-aperte/

Libri. The Missoni Family Cookbook, in un libro la tradizione culinaria della famiglia Missoni

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La famiglia Missoni non solo ha rivoluzionato il concetto di maglieria, ma ha forgiato uno stile di vita basato sull'eleganza, la raffinatezza e al tempo stesso la spontaneità. Lo stile Missoni è riconosciuto (e riconoscibile) in tutto il mondo e ora è racchiuso anche in un libro di ricette: The Missoni Family Cookbook.

 

Lush e informali al tempo stesso, le cene della famiglia Missoni sono diventate uno degli inviti più ambiti della settimana della moda. Da buoni italiani, infatti, l'ospitalità e la buona tavola sono da sempre i capisaldi delle loro feste caleidoscopiche, caratterizzate da colori e gusti unici. Così Francesco Maccapani Missoni, figlio della designer Angela Missoni, ha raccolto tutti questi elementi e ne ha fatto un libro di ricette. È il The Missoni Family Cookbook.

L'autore

Figlio della designer Angela Missoni, e nipote dei fondatori della celebre casa di moda Ottavio e Rosita Missoni, Francesco dopo aver vissuto per un periodo a New York si è accorto di quanto i concetti di cibo stagionale e conviviale, lì, fossero totalmente distorti rispetto alla tradizione della sua famiglia. Così è nata l'idea di creare un libro con tutte le ricette di famiglia, da una parte per non correre il rischio di perderle, dall'altra per condividerle con il resto del mondo. Un progetto nato soprattutto dal suo amore spassionato per il cibo e per tutto quello che ne comporta la preparazione, dall'atto tattile al gusto di provocare piacere agli altri.

Ricetta delle sarde in saor nel libro The Missoni Family Cookbook

Il libro edito da Assouline

Lo stile Missoni si respira già dalla copertina e poi, sfogliando il libro, è un tripudio di colori, geometrie, motivi etnici, zig-zag o quegli inconfondibili jacquard fiammati tanto cari a Ottavio Missoni. Francesco in The Missoni Family Cookbook ha raccolto le fotografie di Juergen Teller e Gilles Bensimon, entrambi ospiti abituali della casa dei Missoni, e le ricette preferite dei genitori e dei nonni. Tutte più volte testate, facilmente replicabili a casa, organizzate per stagione (a partire dalla primavera) e inframmezzate da illustrazioni, appunti gastronomici e aneddoti. 

Ricetta dell'insalata di pollo con soncino nel libro The Missoni Family CookbookInsalata di pollo con soncino

Solo per farvi un'idea, tra le ricette compaiono le zucchine alla parmigiana, le sarde in saor, l'insalata di pollo con soncino, gli asparagi alla milanese con uovo, il bollito misto, ma anche ricette custodite fino a oggi gelosamente come la Torta segreta del compleanno di Angela. Insomma, quel che è iniziato come un diario di famiglia per assicurarsi che le tradizioni non andassero perse, oggi è diventato un libro di ben 240 pagine, per un trionfo di sapori, profumi e colori. Così come Missoni comanda.

 

The Missoni Family Cookbook (Inglese) - Francesco Maccapani Missoni - 240 pp - 50 $(38,94€)

 

 

a cura di Annalisa Zordan

Colazioni del mondo. Corea: kimchi e galbi

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Il nostro giro del mondo alla ricerca delle colazioni più gustose e singolari si conclude nell'Estremo Oriente, con le specialità coreane. Oggi vi raccontiamo la storia del kimchi, delle costolette e vi diamo la ricetta per il fermentato di verdure. 

 

La colazione in Corea

Riso, carne, verdure. E fermentati. Sono questi i capisaldi della cucina coreana, una tavola antica, considerata fra le più salutari al mondo, spesso oggetto di studi scientifici che hanno confermato l'effetto positivo di questo tipo di alimentazione riguardo – tra le altre cose - al rischio diabetico e cardiovascolare. Merito delle materie prime usate e di una delle tecniche base della tradizione, la fermentazione, metodo di conservazione che dà origine a un trama aromatica complessa e sfaccettata, inconsueta per il gusto occidentale, ma intensa e avvolgente. Anche al mattino, il pasto si compone di piatti speziati dai profumi vivi e penetranti, con riso – ingrediente sempre presente – galbi e il celebre kimchi, oltre alla recente invenzione del tost-u, un sandwich ripieno di uova e cavolo e cosparso di zucchero muscovado, venduto principalmente come street food nei chioschi del Paese. Ecco quindi le tradizioni della colazione coreana e la ricetta per fare il kimchi in casa.

 

kimchi

I banchan e la tradizione del kimchi

Usanza radicata nella cultura coreana è quella dei banchan, ovvero dei piccoli assaggi di pietanze tipiche, definiti contorni, e serviti insieme al riso. Porzioni contenute, simili alle più note tapas spagnole, da consumare durante il pasto per accompagnare le portate principali, diffuse in tutto il Paese ma in particolare nella provincia di Jeolla, dove vengono preparate quotidianamente. La colazione non fa eccezione, e fra i banchan immancabili, c'è l'onnipresente kimchi. Simbolo della cultura culinaria locale, il kimchi è un fermentato di cavolo cinese, ma ne esistono anche altre varietà preparate con ingredienti diversi, dal rafano ai cetrioli. Un alimento che in passato veniva preparato in casa, nelle giare di terracotta dove subiva il processo di fermentazione che gli conferiva quell'aroma e sapore inconfondibile, ma che oggi viene molto spesso realizzato a partire da preparati. Una pratica antica, quella della conservazione dei vegetali, in principio effettuata solo con il sale, col tempo anche con altri condimenti che, insieme all'acido lattico, danno il via alla fermentazione. Un'usanza nata, come spesso accade, dalla necessità di preservare il più a lungo i prodotti in una terra dal clima rigido e ostico, che limita la disponibilità di ingredienti freschi durante i mesi più freddi.

 

kimchi

L'usanza della conservazione sotto sale

Una storia che comincia durante il periodo dei Tre Regni – I secolo a.C., VII secolo d.C. - già testimoniata nel testo storico cinese “Registrazione dei Tre Regni”, nella sezione “Popoli orientali”: “Il popolo di Goguryeo possedeva una tecnologia superiore per fare liquori, la salsa di soia e altre salse, e per preparare frutti di mare in salamoia. Goguryeo depredò prodotti marini locali e sale da Okjeo”. Si parla insomma di una popolazione antica già consapevole della necessità del sale per conservare il cibo. In un altro testo, stavolta coreano, “Resoconti storici dei Tre Regni” del 1145 si legge che già nel 683 “la popolazione del regno di Silla Unificato amava consumare frutti di mare in salamoia nelle cerimonie di matrimonio”. Fra i primi reperti storici che confermano la diffusione di questa pratica di conservazione, invece, la giara di pietra del 720 ritrovata nel tempio Beopjusa, molto probabilmente utilizzata proprio per contenere il fermentato.

 

kimchi

La nascita del kimchi

Le prime informazioni sul kimchi si trovano nel testo poetico cinese “Shi Kyung”, dove la preparazione è descritta con il nome di “Ji”. Un'altra documentazione scritta è quella nelle registrazioni storiche del periodo Goryeo, dal 918 al 1392, dove si legge un elenco dei vari tipi di kimchi che potevano essere offerti durante i rituali antichi, come quello di filipendula, quello di germogli di bambù, il kimchi di rapa e quello di erba cipollina. Anche il letterato Yi Gyu-bo di Goreyo, nella sua antologia “Raccolta di opere del cancelliere Yi della Corea”, scrive un poema dedicato alla rapa in salamoia. È solo durante la dinastia Joseon, però, che i coreani iniziano a sviluppare tecniche di lavorazione sempre più affinate che hanno portato poi nel tempo alle tante varianti del kimchi. In questo periodo, infatti, comincia a diffondersi l'utilizzo della salsa di soia, elemento fondamentale che sostituì ben presto gran parte del sale, insieme ai peperoncini, altro ingrediente oggi imprescindibile. Il celebre tongbaechu kimchi – quello con cavolo cinese – è stato inventato per la prima volta dopo 1800, ed è diventato fin da subito una delle preparazioni più popolari.

 

galbi

Le tante sfumature di galbi

C'è poi il galbi, piatto a base di costolette grigliate di manzo o maiale, portate crude, e cotte su griglia direttamente sul tavolo, solitamente dagli stessi commensali. La carne può essere marinata in liquido dolce o salato, quasi sempre a base di salsa di soia, aglio e zucchero (molto spesso anche zenzero), oppure cotta in purezza, senza essere insaporita. Nonostante il manzo sia la carne più scelta, è possibile anche trovare galbi a base di spalla di maiale, tagliata a fettine sottile di circa 2,5 centimetri di larghezza. Tante le tipologie nate nel tempo: c'è il LA galbi, un taglio alternativo con le ossa che spuntano lungo il bordo più lungo, metodo sviluppato dagli immigrati coreani a Los Angeles per usare al meglio le costolette più sottili in voga in America, una variante che consente alla marinatura di penetrare più velocemente nella carne, molto apprezzata nella Corea del Sud. E poi il saeng-galbi, quello non marinato, il dwaeji-saeng-galbi a base di maiale nero dell'isola di Jeju, il dak-galbi, interpretazione della provincia del Gangwon che prevede pollo marinato, cavolo, patate dolci, foglie di perilla (erba aromatica tipica delle cucine asiatiche), e gochujang, salsa piccante a base di pasta di peperoncino fermentata. Nonostante si tratti di un piatto sostanzioso più comune a pranzo o a cena, si gusta anche al mattino nel galbi burrito, una piadina ripiena di galbi, kimchi e verdure a scelta.

 

La ricetta: il kimchi

 

 

La Repubblica dei Contadini di Fico. Da Eataly World il 2 giugno si festeggia con i prodotti della terra da tutta Italia

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Circa 250 aziende agricole in rappresentanza della biodiversità agroalimentare d'Italia per animare il più grande mercato contadino mai organizzato. Succede da Fico Eataly World, dal 1 al 3 giugno, per riflettere sul valore dell'acquisto diretto. E sull'incredibile ricchezza gastronomica nazionale. 

La Repubblica dei Contadini

2 giugno, Festa della Repubblica...dei Contadini. L'idea arriva dal polo di Fico Eataly World, che dall'autunno scorso cerca di proporre una moderna rappresentazione della filiera agroalimentare italiana riassunta dalla formula Fabbrica Italiana Contadina (indubbia la capacità attrattiva dell'operazione, ma le nostre perplessità sulle finalità didattiche del progetto le abbiamo già espresse. Mentre per tirare le somme in termini di fatturato e risposta del pubblico è bene aspettare almeno il primo compleanno del parco). Dunque in concomitanza con la festività nazionale, dal 1 al 3 giugno, Fico accoglierà quasi 250 aziende agricole in arrivo da tutta Italia per dare vita al più grande mercato contadino mai realizzato, in collaborazione con Cia-Agricoltori Italiani, che promuove tutto l'anno il circuito La Spesa in Campagna, con un risparmio che sul fresco può arrivare fino al 20% rispetto ai prodotti indirizzati alla gdo. In vendita e degustazione tutti i prodotti del paniere agroalimentare italiano, migliaia di specialità tipiche regionali (in Italia se ne contano circa 4mila, molte difficilmente reperibili al di fuori del contesto locale) e presidi Slow Food (che nelle piazze italiane gestisce oltre 30 Mercati della Terra, dove i contadini possono vendere esclusivamente i propri prodotti, mentre oltre 1000 sono i mercati di Campagna Amica organizzati da Coldiretti) che raccontano la biodiversità alimentare del Paese, tra formaggi a latte crudo e birre agricole, carne da allevamenti certificati e salumi, pescato dei mari nazionali, vino, olio, miele, ortaggi, pasta, riso, conserve e tutto quanto si può desiderare nell'immaginario di un mercato che valorizza i prodotti della terra e il lavoro dei piccoli e medi produttori.

 

Il mercato contadino piace agli italiani

In particolare la giornata del 2 giugno sarà occasione per riflettere sul valore della biodiversità e sulla necessità di tutelare le filiere alimentari, in compagnia di Paolo De Castro, vicepresidente della Commissione Agricoltura al Parlamento Europeo, Dino Scanavino, presidente nazionale di Cia-Agricoltori Italiani, Simona Caselli, assessore all’Agricoltura della Regione Emilia Romagna, Tiziana Primori, amministratore delegato di FICO Eataly World e Massimo Montanari, storico dell’alimentazione. Ma la festa prenderà forma tra i banchi allestiti dalle aziende in arrivo da 71 province italiane, con 42 coltivatori che portano in dote i primi pomodori, ciliegie e piccoli frutti di stagione, 27 vignaioli e i loro vitigni autoctoni, 31 casari con i formaggi dei propri allevamenti, 20 tipologie di prodotti tipici da 20 regioni, 11 birrifici agricoli. L'obiettivo non è solo quello di unire l'Italia nel segno dell'eccellenza agroalimentare, perché la manifestazione scaturisce anche dal desiderio di rendere omaggio a un modello di acquisto e consumo che negli ultimi tempi sta conoscendo una riscossa determinata dalla crescita della consapevolezza alimentare: l'ultima indagine di Cia, infatti, dimostra una crescita percentuale del 10% tra le famiglie che scelgono di fare abitualmente la spesa presso i mercati contadini organizzati dagli agricoltori in città. Mentre un italiano su 4, ogni anno, è incuriosito dall'acquisto diretto presso i produttori presenti sul territorio, alla ricerca di specialità locali non reperibili sul circuito della grande distribuzione (considerando il lungo periodo, negli ultimi 5 anni il numero dei consumatori che hanno fatto visita e acquistato presso i mercati contadini è significativamente cresciuto del 55%). Il fatturato nazionale relativo alla vendita diretta dal produttore al consumatore, non a caso, ha di recente raggiunto il traguardo di un miliardo di euro in un anno. Diverse le motivazioni che hanno contribuito a determinare un vero e proprio trend: l'attenzione per il benessere e per la salute, l'urgenza di incentivare la sostenibilità ambientale e la volontà di difendere e valorizzare l’economia e l’occupazione del territorio.Dunque lo scopo della Repubblica dei Contadini è pure quello di incentivare un tipo di responsabilità sociale che si nutre del sostegno ai mercati contadini, luogo di consumo, ma anche di socializzazione ed educazione gastronomica. Nulla di nuovo, bisogna dirlo, per un Paese come l'Italia da sempre legato alle sue manifestazioni di piazza. Ma perché non farsi ingolosire dal colpo d'occhio di un mercato che riunisce tutti i colori della tavola italiana?

 

a cura di Livia Montagnoli

Food Art Week 2018 a Parigi. Artisti e chef per riflettere sulla produzione e il consumo di zucchero

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Arriva per la seconda volta a Parigi la kermesse ideata da Tania Guedes, che sfrutta la forza comunicativa dell'arte per riflettere sul cibo e le nostre abitudini di consumo. Dal 1 al 10 giugno, in molti locali e gallerie d'arte della città si parlerà di zucchero, di quanto influisca sulla nostra salute e sull'umore, di come si sia evoluta la filiera produttiva, delle tentazioni alimentari. Decine di artisti coinvolti. 

L'idea di Tania Guedes

Nel 2017 il progetto Food Art Week debuttava per la prima volta in Italia, all'interno del contenitore della Bologna Design Week. Ma Tania Guedes, direttrice dell'Entretempo Kitchen Gallery di Berlino e ideatrice del festival che proprio nella capitale tedesca ha trovato modo di mettere radici ed evolversi (oggi richiama un pubblico di 10mila persone) ha messo a punto il format a partire dal 2015, con l'idea di suggerire modi alternativi di pensare e riflettere sul cibo, attraverso la forza comunicativa dell'arte. Una rassegna concentrata sulla sostenibilità alimentare e il cambiamento delle abitudini di consumo, sui fenomeni che influenzano il nostro approccio al cibo e sulle urgenze del presente, dal cambiamento climatico alla lotta allo spreco: arte contemporanea, cibo, comunità per l'evoluzione e il cambiamento sociale, è il motto della kermesse. Tutto attraverso una settimana di appuntamenti che invitano alla condivisione di cibo e stimoli: performance artistiche, mostre, letture, laboratori, degustazioni e cene allestite come happening creativi. Da Berlino – città particolarmente sensibile al tema del cambiamento e culla di molti progetti concentrati sulla sostenibilità alimentare - il festival ha preso le mosse per intraprendere un tour che lo porta a replicarsi nel mondo, alla ricerca di nuovi orizzonti da colonizzare. L'anno scorso è toccato a Bologna, il 2018 vedrà avvicendarsi Città del Messico (il prossimo autunno) e San Paolo del Brasile, entro la fine dell'anno. Prima però, tra pochi giorni, la manifestazione approda a Parigi, che già nel 2016 aveva accolto la macchina della Food Art Week: da allora, sull'asse Berlino-Parigi si è stabilito un dialogo privilegiato che non si è mai interrotto, e produrrà risultati inediti in occasione dell'edizione alle porte.

 

Sugar a Parigi

Sugar è il tema che sarà sviluppato dal 1 al 10 giugno, ironia della sorte (ma nulla è casuale) in contemporanea con la Settimana della Prevenzione contro il diabete promossa in tutta la Francia. E sullo zucchero si concentrerà la riflessione, affrontando un problema di grande attualità come la dipendenza da zucchero nella consuetudine alimentare, valutando gli effetti sulla nostra salute e l'approccio dell'industria alimentare globale, ma pure l'evoluzione storica e sociale della filiera produttiva, l'impatto sociale del consumo di zucchero e il nostro legame emozionale con la dolcezza, alla ricerca di un (difficile) equilibrio individuale che rifiuti l'eccesso senza spingere a rinunce punitive (a Bologna con lo stesso approccio si era scandagliato il mondo della carne). Anche per questo il festival coinvolgerà molti locali della città (dal quartier generale al Ground Control all'Abbatoir Vegetal, al Cafè Ineko e Le Bouclard) chiamati a riflettere sul tema con laboratori e menu che offrano alternative salutari all'eccesso di zucchero. Ma saranno soprattutto gli artisti a suggerire nuovi punti di vista e provocazioni sul tema: con la mostra Overdose, per esempio, il collettivo Akatre si interroga sugli effetti dell'abuso di zucchero attraverso un ciclo di progetti grafici; Dorothee Selz, invece, presenterà le sculture commestibili del progetto Eat Art, ideato già a partire dagli anni Settanta; mentre Mathias Bensimon rivelerà al pubblico il suo affresco realizzato con lo zucchero. Un programma denso di incontri e conferenze (con la partecipazione della Federazione francese di diabetologia) presso gallerie d'arte e spazi culturali di Parigi, in collaborazione con decine di artisti francesi e internazionali. Tutto il programma sul sito della manifestazione.

 

http://entretempo-kitchen-gallery.com/food-art-week-paris-2018/

 

a cura di Livia Montagnoli

Nasce a Pompu la Casa del Pane. Un museo multimediale (con camere) per raccontare secoli di storia

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È una narrazione antica quella della panificazione sarda, che nel piccolo borgo della Marmilla ha trovato terreno fertile per attraversare secoli di storia. Ora un museo ricostruisce la filiera produttiva attraverso il supporto di moderne tecnologie multimediali. La Casa del Pane è aperta a tutti, e può dare anche ospitalità. 

Il pane nella storia dell’isola

Quando si parla di tradizioni gastronomiche radicate nella storia di un territorio e al racconto di una comunità che ha tenuto in vita pratiche ancestrali, il pane sardo è indubbiamente uno dei casi più significativi cui fare appello. Ed è una narrazione al plurale – moltissimi sono i pani sardi - quella che deriva dal tentativo di ricostruire le fila di una filiera agricola e culturale estremamente diversificata, che le comunità dell’isola hanno mantenuto intatta, circondandola di quell’aura quasi sacrale che ben si addice a una tradizione maturata di pari passo con l’evoluzione di festività religiose e rituali sociali. Di questo fondamentale substrato antropologico e della sapienza artigianale dei panificatori dell’isola si nutre il museo inaugurato nelle ultime ore a Pompu, circa 300 abitanti in provincia di Oristano. Una Casa del Pane che rappresenta un unicum nella storia dei musei etnografici della Sardegna dedicati alla tradizioni alimentari e gastronomiche dell’isola, per via del suo approccio multimediale al tema e di un allestimento accattivante che saprà tramutarsi in opportunità turistica, senza snaturare le finalità didattiche del percorso, e rivendicando uno stretto legame con la vita di comunità.

 

Il museo di Pompu

L’edificio è stato progettato dall’architetto Olindo Merone e dispone al primo piano pure di 4 camere con bagno e una zona per la colazione per l’ospitalità, a definire un percorso familiare attraverso una tradizione produttiva che da sempre scandisce il tempo e i rapporti sull’isola. Per ricostruirne la storia, la Casa del Pane si è avvalsa del contributo di un comitato scientifico di tutto rispetto, formato da Giuseppina Scorrano, Agostino Piano, Ilenia Cilloco e dall'antropologa Alessandra Guigoni. Con l’idea di scrivere un racconto “vivo” e fare del museo un luogo di ospitalità, ancor prima che uno spazio divulgativo.

 

Il percorso multimediale

Del resto il pane, considerato alimento aggregatore di esperienze e relazioni, ben si presta allo scopo, e il contributo di video e installazioni funzionali al racconto renderà più evidente lo sforzo di ricostruire tutta la filiera evidenziando il fattore umano, dalla semina alla macinatura, passando per la storia delle tecniche di panificazione e gli espedienti di conservazione. Un museo del saper fare, dunque, che si avvale di una collezione di oggetti messi insieme a partire dal 2003, quando, come ha spiegato il sindaco di Pompu Marco Atzei, è nata l’idea di raccontare un prodotto tipico del paese attraverso uno spazio che promuovesse anche corsi e incontri sul tema, così da stimolare anche l’imprenditoria locale. Ai visitatori l’opzione di avvalersi pure di un tablet (contenuto in una bisaccia da contadino) per muoversi autonomamente tra le sale, alla scoperta dei singoli oggetti. E pure di soggiornare al museo – in una delle quattro stanze arredate con mobili d’epoca - che una volta di più si caratterizza per essere una casa viva a tutti gli effetti.

 

La tradizione rurale della Marmilla

Tutto questo in una regione storicamente legata alla produzione del pane com’è la Marmilla (oggi gastronomicamente legata alla fama di S'Apposentu e al talento di Roberto Petza, che dopo il ristorante di Siddi ha fatto nascere anche Sa Scolla, la pizzeria di Baradili), dove i campi di grano sono noti sin dall’epoca dei Romani (diversi sono gli antichi mulini visitabili sul territorio, in esposizione al museo anche i grani antichi legati alla storia rurale dell’area, come il trigu arrubiu e il trigu murru). Nel cortile della casa, articolata secondo lo schema di una tradizionale casa sarda, anche un forno, che permetterà di sfornare i pani locali, offerti ai visitatori in occasione della giornata inaugurale.

 

Casa del Pane - Pompu (OR) - via Regina Elena

 

a cura di Livia Montagnoli

Ci Sei?! a Riccione. Due giorni per ripensare l'idea di festival gastronomico di strada

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Prima edizione per la due giorni enogastronomica ideata da Fausto Fratti in collaborazione con il Comune di Riccione. L'obiettivo? Allontanare lo spauracchio della sagra paesana di bassa lega, portando in piazza cuochi e artigiani cucinieri. Ospiti delle botteghe della città. 

Oltre le sagre c'è di più

Riccione la conoscono tutti per le sue spiagge, il divertimento notturno, le piadine con lo squacquerone. Ma la cittadina romagnola conserva anche un nucleo storico, spesso dimenticato dalle cronache mondane (sorte purtroppo condivisa con la Rimini malatestiana, negli ultimi anni avviata invece verso una meritevole valorizzazione del centro storico, e il 23 e 24 giugno nuovamente coinvolta dal circo di Al Meni, di cui riparleremo). E dunque è un turismo diversificato quello che la città può ambire ad attirare, sganciandosi dal quel pensiero a senso unico che in molte località turistiche d'Italia porta a reiterare la formula – abusata e ormai sfibrata – della sagra paesana, poco interessante per contenuti, spesso campata sul nulla e buona più che altro per fare cassa (la nostra opinione in merito l'abbiamo espressa qualche tempo fa). Tra qualche giorno, con la benedizione dell'amministrazione comunale che ha sposato la causa di un progetto innovativo e la collaborazione dell'associazione commercianti di Corso Fratelli Cervi, andrà in scena la due giorni di Ci Sei?!, manifestazione enogastronomica dal sottotitolo eloquente (Riccione a Ferro e Cuoco) ideata da Fausto Fratti con l'appoggio del Comitato Riccione Paese.

 

Ci Sei?!

L'ex patron del Povero Diavolo di Torriana, dunque, si cimenta ancora una volta con un'attività che gli è familiare, tirando fuori dal cilindro un'altra convincente rappresentazione di filiere enogastronomiche che dialogano col territorio d'origine e con chi le ospiterà in occasione del festival, che di fatto replica (e anticipa, perché anche quest'anno si farà) il format della Collina dei Piaceri, ma in trasferta. Ad accogliere i protagonisti di questa festa di piazza giocata sulla qualità e la varietà dell'offerta saranno proprio gli spazi commerciali del Corso, botteghe che lasceranno le serrande alzate fino a tarda notte per ospitare cuochi di talento chiamati a cucinare con i prodotti a disposizione, quelli forniti dalla Forneria Contadina Pasta Madre e dalla Macelleria Gambuti, dalla Polleria Argentina e dal laboratorio di pasta fresca Il Mattarello. Quattro cuochi ogni sera, dalle 19 fino al termine della festa, che si avvicenderanno nelle “cucine” estemporanee, esaltando il valore conviviale del buon cibo.

I cuochi sognatori a Riccione

I volti sono quelli degli chef che da qualche mese si sono ritrovati sotto l'egida dei Cuochi Sognatori, brigata riunita proprio da Fausto con l'intento di valorizzare i luoghi magici del territorio romagnolo, qui alla prima uscita ufficiale (ma presto seguirà un calendario di appuntamenti, di cui anticipiamo la prima data, sabato 28 luglio: cena con concerto tra le rovine del Castello di Scorticata). L'appuntamento a Riccione è per il 6 e 7 giugno, con Riccardo Agostini, Silver Succi, Giuseppe Gasperoni (ora alla guida del Povero Diavolo) e Matteo Tonin protagonisti della prima serata; Remo Camurani, Omar Casali, Mariano Guardianelli e Massimiliano Mussoni in scena il secondo giorno. All'esterno, tra le piazzette e le vie limitrofe, la cucina di strada degli artigiani cucinieri, con personalità già in passato coinvolte nelle iniziative di Fratti.

Artigiani cucinieri da tutta Italia

Uno zoccolo duro di belle realtà italiane, da Caffè Sicilia di Noto con il maestro Corrado Assenza all'Osteria Aciugheta di Venezia, con il baccalà mantecato di Gianni Bonaccorsi; e poi il caffè della Torrefazione Lelli, il Mare in un panino di Stefano Bartolini, i formaggi di pecora del caseificio Cau e Spada, i dolci della pasticceria Mimosa di Tolentino, salumi di mora romagnola e Pata Negra, ostriche, il panettone estivo di Vitalì.

E i vini delle cantine regionali in degustazione. “Si tratta di una semina che speriamo darà soddisfazione in termini di presenze, un movimento diverso in una parte della città che vuole farsi conoscere. C'è voglia di fare e partecipare da parte di tutti, e questo ci incoraggia a promuovere manifestazioni del genere”, ribadisce Fausto. Non a caso, qualche giorno dopo, è già tutto pronto per onorare una nuova edizione di Spessore al Povero Diavolo: contenuti e pubblico diversi per un contenitore che celebra il giovane talento in cucina, quest'anno in scena dal 19 al 23 giugno. Tante cose a Torriana sono cambiate, ma l'energia è rimasta la stessa.

 

Ci Sei?! - Riccione – Corso Fratelli Cervi – il 6 e 7 giugno, dalle 19 a tarda notte

 

a cura di Livia Montagnoli


Le migliori gelaterie d'Italia. Premio gelatiere emergente: Gelati d'Antan di Torino

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Continua il fermento nel mondo dell'arte fredda, grazie ai maestri gelatieri che hanno fatto scuola e alle nuove leve che stanno contribuendo sempre più a migliorare il panorama del gelato italiano. A cominciare da Nicolò Arietti, gelatiere emergente secondo la guida Gelaterie d'Italia 2018. Tutta la storia.

 

È l'emblema del peccato di gola cui cedere senza sensi di colpa, quella coccola dolce che conquista grandi e piccini in ogni momento della giornata: che accompagni la colazione dentro una morbida brioche col tuppo come tradizione siciliana comanda, che porti refrigerio dall'afa e dalla calura estiva o che sia di conforto in ogni stagione, come sostituto del pranzo o brillante soluzione per dessert a una cena tra amici, il gelato è una di quelle specialità golose e irrinunciabili, riconosciuta tra le glorie del made in Italy. Un prodotto che, in linea con i tempi e le esigenze salutistiche sempre più pressanti (mode a parte), si libera dai luoghi comuni scegliendo la filiera trasparente, diversificando il prodotto e alleggerendolo in termini di grassi e zuccheri, senza rinunciare alla sua naturale essenza di dolce.

La crescita del settore

Un universo che cambia e si evolve in continuazione creando tendenze e innovazione (come le sperimentazioni sul gelato gastronomico o quello all'azoto) e venendo incontro a un pubblico sempre più consapevole. Lo dimostra, per il secondo anno consecutivo, la guida Gelaterie d'Italia 2018 del Gambero Rosso, realizzata con il supporto di Orion (marchio dell'azienda Clabo Spa, leader mondiale nel settore della vetrinistica da esposizione per la ristorazione), da aprile disponibile anche in libreria. Un volume che nell'ultima edizione si arricchisce di 40 indirizzi in più e 4 nuovi Tre Coni (massimo riconoscimento).

Con l'avvicinarsi della stagione estiva, inauguriamo una nuova rubrica dedicata a tutti i premi speciali assegnati dal manuale, per scoprire gli indirizzi più validi della Penisola e creare delle mappe golose delle diverse città. Cominciando con il miglior gelatiere emergente, Nicolò Arietti di Gelati d'Antan, Torino, un'insegna che vanta Due Coni e che – ne siamo certi – ha tutte le carte in regola per inserirsi un giorno nell'olimpo delle gelaterie migliori d'Italia.

Cono gelato di Gelati D'Antan a Torino

Partiamo dalle origini: quando hai iniziato questo lavoro?

Sono già 10 anni che faccio il gelatiere. Per i primi 3 anni sono stato dipendente, dopo ho sentito l'esigenza di mettermi in proprio e creare qualcosa di mio. Ho seguito dei corsi e mi sono specializzato sempre di più nella materia.

Facciamo un passo indietro. Come nasce la passione per il gelato?

Sono un amante della buona tavola, della cucina, di tutto il mondo della gastronomia. In particolare, mi piacciono i dolci, declinati in vari modi, caldi o freddi. Nel gelato ho trovato la forma migliore per esprimere la mia creatività.

Qual è stato il punto di svolta della tua carriera?

Il Gelato Festival a Torino, al quale ho partecipato per 6 anni di seguito. È un evento significativo nel settore, che raduna tutti gli artigiani più appassionati, ma anche consumatori e addetti ai lavori. Una manifestazione di grande appeal, fondamentale per comunicare al meglio questo mondo, e poi è un'occasione di confronto tra colleghi.

Dall'ultima edizione ne sei uscito vincitore.

Sì, con il mio Gelato del Vignaiolo, un sorbetto al lampone con Malvasia dolce DOC. Sono stato molto felice, perché la notizia ha fatto in breve tempo il giro della città.

Sperimenti molto con gli abbinamenti. Quali sono quelli che vanno per la maggiore?

I giochi di sapori sono il mio marchio di fabbrica. Il caffè con salsa al cioccolato e cardamomo piace molto, ma sono apprezzati anche mandorla salata e albicocca e il fondente con pere e chiodi di garofano.

Una clientela sempre più curiosa e preparata. O no?

Sì, il mondo del gelato sta crescendo, sia da parte degli artigiani che dei consumatori. Il livello di cultura e conoscenza della materia si sta alzando a dismisura e i clienti sono sempre più attenti ed esigenti. Noto con piacere un'inversione di tendenza circa il rapporto quantità/qualità: in molti sono disposti ad avere porzioni di gelato meno grandi ma più ricche di gusto. E a pagarle quel poco in più che occorre per avere un prodotto di qualità.

Torino, poi, è una città di grandi maestri gelatieri. Com'è la situazione attuale?

Ottima. Viaggiando in tutta Italia mi rendo conto che il livello medio delle insegne torinesi è molto alto. Oltre ai nomi storici, ci sono tanti indirizzi giovani validissimi.

Qualche giovane gelatiere italiano su cui punti molto?

Mi viene in mente un ragazzo di Ivrea a cui ho fatto un corso, Vittorio Erniani. Lui è davvero un gelatiere emergente: è nel settore solamente da un anno e mezzo ma è già molto preparato, e il suo gelato è buonissimo.

Torniamo a te. Perché Gelati d'Antan?

D'Antan perché sono gelati preparati come una volta, con sapori autentici, pieni, veri. Con metodi di preparazione interamente artigianali.

Dove ti rifornisci per le materie prime?

Finché posso, nel territorio. Cerco di utilizzare quanti più ingredienti piemontesi possibili, poi ovviamente spazio anche in altre regioni, per la mandorla, il pistacchio, il cacao e simili.

Fai anche gelato gastronomico?

Sì, mi piace molto. Collaboro spesso anche con i ristoranti, per creare abbinamenti fra cibi e piatti. Gelato al parmigiano, al peperone grigliato, alla cipolla rossa di tropea, tutti accostati a piatti salati come la tagliata di carne o il risotto.

Cosa cambia rispetto ai tradizionali?

Per realizzarli, utilizzo il trealosio, un disaccaride, ovvero uno zucchero formato da due molecole di glucosio con un basso potere dolcificante ma con lo stesso potere anticongelante.

Progetti futuri?

Da tempo sto pensando di creare una nuova gelateria con reparto gastronomico annesso. Proprio per sperimentare con gli abbinamenti fra piatti e gelato. Per ora, però, è solo un'idea.

Consigli sul perfetto abbinamento fra gusti di gelato?

Mai! A meno che non si tratti di sapori agli antipodi, come il limone e la nocciola, tutto è possibile. Ogni gusto va assaporato in purezza, non mescolato agli altri.

Salutiamoci con una delle domande più classiche: cono sì o cono no?

No. Appartengo alla scuola della coppetta; credo sia l'unico modo possibile per degustare il gelato a pieno.

 

Gelati d'Antan – Torino – via Nicola Fabrizi, 37 c - 3314675801 - facebook.com/Gelati-dAntan

 

a cura di Michela Becchi

 

Gelaterie d’Italia del Gambero Rosso 2018 – pp. 240 – 8,90 euro – disponibile anche on line

Guida Gelaterie d'Italia 2018 del Gambero Rosso. La classifica e i premiati www.gamberorosso.it/it/food/1046665-guida-gelaterie-d-italia-2018-del-gambero-rosso-la-classifica-e-i-premiati

Giugno 2018 del Gambero Rosso, numero 317. 16 acque toniche per l’estate e altre storie

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Ci si muove tra suggerimenti per l’estate alle porte (non solo la classifica delle toniche, ma pure i consigli di viaggio, tra Italia, Germania, miniguida di Genova) e riflessioni sul mondo della ristorazione italiana, le occasioni mancate del passato, i protagonisti del presente, le prospettive future. E poi racconti di vino, ricette, attualità. Il nuovo numero di Gambero Rosso in edicola. 

16 acque toniche per l’estate

È il numero che introduce all’estate e non poteva dichiarare l’inizio del periodo più caldo dell’anno in modo migliore, il mensile di giugno del Gambero Rosso, da oggi in edicola. 16 sono le acque toniche artigianali valutate dal panel di esperti guidato da Mara Nocilla, che per la storia di copertina stila la classifica delle più interessanti prodotte in Italia e all’estero. Prima però un po’ di storia: quanti conoscono le origini dell’acqua “sanificata” col chinino e aromatizzata con sostanze che ne equilibrassero il gusto, smorzando l’amaro? Bisogna tornare ai tempi delle colonie inglesi del Settecento, in Africa e India, quando si fa risalire anche l’origine del Gin&Tonic. Poi l’analisi delle tipologie, la differenza tra Indian e Botanical, e i criteri che hanno portato a stilare la classifica, con il contributo delle barlady Cinzia Ferro e Carlotta Linzalata, del bartender Emanuele Broccatelli e di Paolo Trimani, titolare dell’Enoteca Trimani di Roma. Ma pure i consigli per realizzare tre cocktail creativi con la tonica e i suggerimenti per sfruttare le caratteristiche dissetanti delle due tipologie. La foto di copertina, sospesa tra l’estetica pop e l’immaginario di un’estate senza tempo, è di Alberto Blasetti.

Il gioco delle occasioni mancate

Ma il numero di giugno è anche l’occasione per fare il punto sulle cosiddette occasioni mancate della cucina italiana: un gioco dei se per riflettere sullo stato dell’arte della ristorazione nazionale guardando al passato, ai suoi protagonisti e alle situazioni di svolta non concretizzate fino in fondo, seguendo il ragionamento di Alessandra Meldolesi (con le illustrazioni di Marcello Crescenzi), che si muove tra l’esperienza folgorante del Canto alla Certosa di Maggiano con Paolo Lopriore alla mancata fiducia nelle potenzialità della cucina molecolare, di cui altri nel mondo hanno rivendicato il primato; ai limiti di una legislazione che, per esempio, ha determinato il paradosso della selvaggina da penna. Nella riflessione abbiamo coinvolto un bel numero di addetti ai lavori, intellettuali e personalità del mondo gastronomico. A ciascuno la stessa domanda: quali sono le 3 occasioni mancate della cucina italiana? Hanno risposto Paolo Marchi e Marino Niola, Fabio Parasecoli e Andrea Petrini; e poi Alfonso Isinelli, Allan Bay, Edoardo Raspelli, Nicola Perullo, Igles Corelli, Davide Enia. Tra svuotamento dell’abusatissimo concetto del km 0 e difficoltà di impostare un discorso formativo coerente, eccesso di autoreferenzialità e mancato appoggio delle istituzioni.

La famiglia Alciati

Tutta altra storia quella della famiglia Alciati, da Costigliole d’Asti alla costruzione di un network di insegne e attività che oggi fattura 5 milioni di euro all’anno: continuiamo così l’epopea dei grandi protagonisti dell’imprenditoria della ristorazione italiana, affidata alla penna di Federico De Cesare Viola, qui con le foto di Davide Dutto e il supporto delle infografiche di Alessandro Naldi, che ricostruiscono una linea del tempo che comincia all’inizio degli anni Sessanta e galoppa veloce verso i Duemila, e un orizzonte geografico che abbraccia Langhe e Monferrato. Ma la dinastia che parte dalla coppia d’oro di mamma Lidia e papà Guido e oggi trova nuova linfa nell’operato dei tre fratelli Alciati è pure quella dell’alleanza con Oscar Farinetti, a partire dal 2006, con l’intuizione delle potenzialità di un colosso ancora di là da concretizzarsi: oggi Piero Alciati è il responsabile di tutta la ristorazione della catena Italia di Eataly. Tra le pagine anche la benedizione di Angelo Gaja.

Storie di vino. Il Lambrusco e la verticale di Custoza Superiore

Si prosegue poi con aperture di ampio respiro sul mondo del vino. Così la storia passata e recente del Lambrusco, e di una viticoltura che ha saputo rinnovarsi in sinergia con il territorio che l’ha generata: il racconto lo ricostruisce Emiliano Gucci, muovendosi tra le vigne emiliane e le cantine storiche che hanno dato lustro al vino rosso frizzante rifermentato in bottiglia secondo Metodo Ancestrale. Con approfondimenti sulle 4 denominazioni del modenese, i numeri e i territori del Lambrusco; le prospettive analizzate da Marco Sabellico, il parere di Giuseppe Palmieri, maitre e sommelier dell’Osteria Francescana, e le parole di Francesco Guccini. Ma anche un utile glossarietto e le degustazioni da Tre Bicchieri. Ancora vino, ma verso le rive del Garda, con il racconto del Custoza Superiore di Ca’ del Magro, con Nicola Frasson a guidarci tra gli assaggi di una verticale che mostra un’ottima tenuta alla sfida del tempo. E pure i numeri dell’azienda e i piatti degli chef del lago (Stefano Baiocco e Leandro Luppi) in abbinamento.

 

In viaggio. Tra la Toscana e Berlino

Il capitolo viaggi ci porta come di consueto alla scoperta di mete vicine e lontane. Destinazione Arcipelago Toscano per un’estate che profuma di macchia mediterranea e si muove tra scenari naturali rimasti ancora incontaminati. Alla scoperta dei vitigni autoctoni delle isole e delle specialità gastronomiche di Elba, Giglio e isole minori al largo della costa toscana, attraverso il racconto di Leonardo Romanelli, con le foto di Alessandro Beneforti. E tutti gli indirizzi per godersi l’Arcipelago. In Germania, invece, ci accompagna Lorenzo Ruggieri, tra la nouvelle vague della giovane viticoltura del Palatinato – la culla del Riesling – e la vivace scena gastronomica di Berlino, che di recente ha scoperto nuovi giovani campioni di una ristorazione audace quanto basta per regalare alla città un bel salto di qualità. Gli assaggi, gli indirizzi, le bio degli chef e il racconto dei produttori vinicoli per una storia inedita e in evoluzione.

Ricette, classifica, miniguida

Poi come sempre spazio alle ricette – con le proposte di Davide Caranchini e la proposta etnica illustrata da Valentina Scannapieco, stavolta alle prese con il ceviche asiatico del peruviano Jaime Pesaque – le classifiche (oltre alle toniche, le 4 novità sottovetro di Mara Nocilla e Rosalba Graglia e i 15 oli extravergine degli istituti agrari d’Italia, a cura di Indra Galbo), la miniguida cittadina di Valentina Marino, alla scoperta di Genova e delle specialità nascoste tra i caruggi. Attualità, food design e consigli per la lettura completano un numero tutto da scoprire.

 

Potete leggere Il nostro mensile anche su tablet e smartphone in versione digitale (App Store o Play Storea soli 2,49 euro o in abbonamento annuale. L'abbonamento al mensile cartaceo (39 Euro), include anche la versione digitale.
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a cura di Livia Montagnoli

 

Limburgo, la regione nel sud d’Olanda tutta da scoprire

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Provincia turistica prediletta dal turismo tedesco, il Limburgo è la regione più a sud dei Paesi Bassi. Caratterizzata da un paesaggio collinare, famosa per la produzione dell’asparago bianco e del vino, è anche una meta gourmand da raccomandare ai palati più sofisticati.

 

In questo spicchio di terra d’Olanda che guarda a sud e che da un lato confina col Belgio e dall’altro con la Germania, l’agricoltura e le tradizioni sono ancora il motore della regione, il ritmo di vita è un po' più lento e la cucina locale offre grandi soddisfazioni, tanto da essere meta di veri e propri tour culinari.Il Limburgo vanta, infatti, numerosi e ottimi ristoranti ma anche caffè accoglienti.

 

Museum de Locht, sede il Nationaal Asperge-en ChampignonmuseumMuseum de Locht, in stile langgevelboerderij, sede del Nationaal Asperge-en Champignonmuseum, museo nazionale degli asparagi e dei funghi.

Conoscere Limburgo

Se non fosse per la tipica pioggerella da Nord-Europa, non sembrerebbe neanche di stare nei Paesi Bassi. Tranquillità, natura, cultura e una temperatura quasi sempre più alta della media, sono le caratteristiche principali del Limburgo, la destinazione perfetta per chi ama la bella vita, scelta ogni anni da oltre un milione di tedeschi che vengono qui per le vacanze. La provincia è, infatti, caratterizzata da un paesaggio collinare e verde, dove è possibile incontrare numerosi siti d’interesse storico come il Castello di Arcen, nelle cui vicinanze si trova una antica distilleria ricavata in un mulino e che produce il liquore all’asparago. Se il Festival delle Rose che si tiene ogni due anni a Lottum, il pittoresco villaggio centro della produzione delle rose d’Olanda, è l’evento estivo da non perdere (quest’anno dal 10 al 13 agosto), è il carnevale uno degli eventi principali dell’anno.

 

Witte_asperges_-_high_rgb_2115_Peter_Mullenberg.jpgFoto: Peter Mullenberg

L’asparago, l’oro bianco del Limburgo

“Oro bianco” ma anche “re degli ortaggi”: sono questi gli appellativi con i quali è chiamato l’asparago bianco del Limburgo, un ortaggio prezioso ricco di minerali e vitamine che, dunque, oltre a essere buono fa anche bene alla salute. È un prodotto che vuole terreni basici, sabbiosi, e senza sassi, una volta seminato dà la sua prima raccolta dopo un anno anche se è solo dopo 3 anni che si arriva alla piena maturazione della produzione che dura in modo intensivo per circa 10 anni, dopo i quali il terreno viene fatto riposare e coltivato con altre sementi.

Asperge-57__Petra_LenssenFoto: Petra Lenssen

Tra le caratteristiche che rendono l’asparago di qualità vanno valutate il diametro del fusto, che deve essere di circa 20mm per gli asparagi di altissima qualità, il colore che non deve presentare venature o aloni rosa, e la chiusura perfetta della testa. In verità lo spessore non ha relazione con la delicatezza del sapore dell’asparago: è un fattore puramente estetico, una bassa qualità estetica non rende gli asparagi adatti alle tavole dei grandi chef.

La popolarità dell’asparago bianco è così grande da queste parti che, intorno a questa produzione, sono nati dei veri e propri viaggi gourmetche si sviluppano tra la visita a fattorie, campi coltivati, e si concludono spesso in ristoranti che servono specialità tradizionali. Tra i vari tour vale la pena segnalare un interessante itinerario da percorrere in bicicletta che inizia ad Arcen e tocca i villaggi di Grubbenvorst e Lottum. Il percorso è lungo circa 47 chilometri e porta anche al Museum de Locht, una fattoria costruita nel tradizionale stile 'langgevelboerderij' (letteralmente “fattoria dalla facciata lunga”), presso cui ha sede il Nationaal Asperge-en Champignonmuseum, il museo nazionale degli asparagi e dei funghi.

La stagione migliore per andare alla scoperta dell’asparago bianco del Limburgo? È senza dubbio la primavera: tra aprile e fine giugno, infatti, si sviluppa la raccolta che si conclude il 24 giugno, nel giorno di Sant Jan, protettore locale.

 

Il maialino Livar

Tra le attrazioni gourmand della zona del Limburgo c’è il maialino Livar, una razza selezionata circa 30 anni fa, incrocio tra le migliori razze europee. L’allevamento più importante è oggi quello nell'abbazia di Lilbosch a Echt, un posto incantato, sede di una comunità di monaci trappisti cistercensi che nel 1883 presero possesso di questa fattoria isolata tra Roermond e Sittard che nel 1912 fu proclamata abbazia. Al suo fianco si estendeva una palude poi bonificata e trasformata in una grande azienda agricola che rappresenta ancor oggi la principale fonte di reddito dell’abbazia e nella quale viene allevato il maialino Livar. I monaci di Echt hanno tenuto l’azienda fino a 2015 ma oggi è gestita da privati che si dedicano alle attività agricole prestando particolare attenzione al paesaggio e all’ambiente, nonché alla flora e alla fauna molto varie presenti in questi luoghi. I monaci non mangiano carne ma aiutano l’azienda agricola anche nell’allevamento del maialino, che cresce all'aperto alimentato con i cereali coltivati nei campi dell’abbazia.

I maialini vengono macellati a 10-12 mesi quando raggiungono il peso di 140-150kg. La loro carne è piuttosto grassa e marmorizzata, altamente infiltrata di venature di grasso, come quella dei famosi maiali iberici spagnoli; presenta tutte le caratteristiche positive delle razze tradizionali olandesi estinte, come il maiale dalle lunghe orecchie, maiale Friesian o il maiale Colorful. Inoltre, è più solida e più scura di quella dei loro omologhi allevati in allevamenti intensivi dato che il Livar vive all’aperto e questo gli permette di sviluppare una muscolatura molto tonica e saporita. La produzione è adatta principalmente a salsicce e insaccati da barbecue, tipici della zona, ma si sta tentando di approfondire la produzione norcina con prosciutto, coppa e affini.

 

Graanbranderij De Ijsvogel

Vino del Limburgo e Liquore all’asparago

Se gli asparagi sono considerati l’oro bianco della provincia, questa zona si distingue anche per la coltivazione e la produzione di Pinot Grigio, e per la produzione di un liquore speciale, il Liquore all’asparago, una sorta di grappa, prodotta solamente con il locale asparago bianco. Il posto ideale dove andare a degustarlo è certamente Arcen, una località a un paio di kilometri dal confine con la Germania. È in questo luogo agreste e bucolico che sorgeil mulino Graanbranderij De Ijsvogel che oggi ospita una famosa distilleria che produce circa 5000 bottiglie all’anno di questo liquore. Aperta a visite guidate e degustazioni, la distilleria è famosa per la produzione di più di 60 tipologie di spiriti e liquori. In questo mulino viene prodotta anche la versione olandese del Whisky al quale è dedicato anche un festival la prima domenica di ottobre, proprio presso il mulino.

 

Limburg Syrup

Tra le bevande locali più famose c’è poi il Limburg Syrup o Limburgse stroopuno sciroppo di frutta dalla storia molto antica. Nato come prodotto da conservazione della frutta raccolta nei frutteti locali, nell’antichità era fonte altamente calorica per la stagione fredda e poteva essere conservato per molti anni. Una famiglia aveva mediamente 100 kg di stroop in magazzino e ogni villaggio aveva il suo produttore locale. Rispetto a una volta, oggi è molto meno comune, forse a causa della scomparsa dei frutteti a seguito dell'industrializzazione e dell'urbanizzazione della regione. O forse per la difficoltà della preparazione: la sua preparazione richiede, infatti, un produttore esperto e un mix equilibrato di mele e pere. Tradizionalmente la percentuale è 60% di pere e 40% di mele provenienti da varietà di mele tradizionali, tuttavia il vero stroop cambia a seconda del produttore, e non ha dunque mai lo stesso sapore.

 

Gourmet Tour: i ristoranti da non perdere (se si amano gli asparagi!)

In una regione come il Limbugo, dove natura, cultura e tradizioni vanno a braccetto, vale la pensa organizzarsi per andare a degustare le specialità locali. Tra ristoranti, brasserie e caffè non c’è che l’imbarazzo della scelta. Di sicuro vale la pena andare al Restaurant One a Roermond, ricavato da un'antica fabbrica di elettricità, mantenendone le caratteristiche tipiche dell’architettura industriale, vede al comando lo chef blasonato Edwin Soumang, conosciuto per essere uno degli epigoni della nuova cucina olandese. Qui gli ingredienti locali come l’asparago bianco viene rivisitato in zuppe e portate creative.

Restaurant_One2_-_John_Peters.jpgRestaurant One. Foto: John Peters

Altra meta da provare è Valuas dello chef Eric Swaghoven. Il ristorante è conosciuto per la sua cucina raffinata e classica, con un tocco di richiamo alla tradizione francese. Questo è il posto più adatto per gustare il tipico piatto degli asparagi bianchi con prosciutto e uova. Il luogo è, inoltre, molto suggestivo: il ristorante si affaccia sul fiume e gode di una bellissima terrazza.

 

Limbugo_Valuas_210416-06a_-_Egon_Notermans.jpegValuas. Foto: Egon Notermans

Vanta invece il titolo di "Miglior ristorante di asparagi del 2013" il ristorante Brienen aan de Maas dello chef René Brienen. Per chi desiderasse un'esperienza ancora più agreste, sulle sponde del fiume Maas, può visitare l’Hostellerie de Hamert, il cui ristorante è circondato dallo splendido paesaggio della tenuta 'de Hamert. Qui è possibile pernottare e gustare ottimi piatti a base di asparagi direttamente sulla terrazza, godendo della meravigliosa vista dell'acqua e del paesaggio del Limburgo. Al centro della regione, ma con un tocco un po’ più informale, vale la pena segnalare In de Witte Dame, un'elegante brasserie con dodici diversi piatti a base di asparago nella quale è possibile degustare raffinate cene in un contesto meraviglioso. Ed è possibile anche pernottare.

 

Graanbranderij De Ijsvogel - Arcen - Schans 20 

Restaurant One a Roermond - Roermond - ECI 17 - +31 475 600 262 - restaurantone.nl

Valuas - Venlo - Sint Urbanusweg 11 - +31 77 354 1141 -valuas-hr.nl

Brienen aan de Maas - AK Well - Grotestraat, 11 - +31 478 501 967- restaurantbrienenaandemaas.nl

Hostellerie de Hamert - Wellerlooi - Hamert, 2 - +31 77 473 1260 -hamert.nl

In de Witte Dame - Grubbenvorst - Pastoor Vullinghsplein, 14 - +31 77 355 7200brasserieindewittedame.nl

 

a cura diStefania Viti

foto di copertina: Petra Lenssen

 

New York: piccola guida per mangiare bene a Williamsburg

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Fra locali nuovi e vecchi, una fotografia del quartiere più cool di New York dell'ultimo decennio, scattata attraverso la lente della buona tavola.

I volti della gentrification

Quartiere di Brooklyn in rapidissima ascesa (anche troppo), Williamsburg è patria di artisti, musicisti e scrittori che, oggi più che mai, come muse ispiratrici, preferiscono (evidentemente) lusso e comodità al tormento del non arrivare a fine mese. Con una passeggiata su Bedford Avenue e traverse si coglie lo spirito della gentrification nella sua forma più essenziale: l'intera zona è una fiera sfilata di piccole boutique vintage, gallerie d’arte di nicchia, mercatini di antiquariato, nuovi alberghi di tendenza e bar notturni che, convivendo elegantemente con ristoranti alla moda e colossi della globalizzazione made in USA, danno vita a una vitalità difficile da lasciarsi alle spalle senza nostalgia.

La spinta verso il centro

Effettivamente, Williamsburg è stata teatro di un fenomeno evolutivo, tipico newyorkese, che prevede il fiorire di un quartiere grazie a generosi investimenti di imprenditori i quali, fiutando i trend (soprattutto, ma non solo, in ambito enogastronomico), soffiano nuova vita su realtà ricche di atmosfera, ma povere di quattrini. Ecco dunque riassunta la scalata di un’area che si presenta come un’accogliente tana per giovani che vogliono godere di vibranti attività sociali, rimanendo a a una fermata di metropolitana da Manhattan.

Indubbiamente, i collegamenti con quest'ultima sono stati galeotti nel promuovere lo sviluppo dell'area - fra le linee L, M e J della metropolitana, ferry boat che attraversano il fiume e citibike per oltrepassare il Williamsburg Bridge - e vivere in questa parte di Brooklyn è ormai come vivere in pieno centro, concedendosi il lusso di sentirsi sempre spensierati e molto, molto eclettici. Williamsburg è infatti un interessantissimo ibrido di culture e attitudini che, fondendosi insieme, hanno dato vita a uno spirito che sintetizza pop, hipster e luxury, culla dei nuovi trend newyorkesi. Il modo migliore per capire di cosa parliamo? Approfondire la conoscenza del quartiere attraverso il cibo.

Cucine del mondo

Partiamo dalla cucina italiana, tanto cara da questa sponda dell’oceano grazie all’alto numero di expat. Prima tappa obbligatoria è Lilia dove, prenotando con largo anticipo, ci si immerge in un ambiente informale, ma raffinato, con una cucina di altissimo livello; una sorta di loft con grandi vetrate e pareti bianche su tipici mattoncini esposti (New York stile Annie Hall), con un menu diviso in sezioni Pasta, Pesce e Giardino di Primavera, ovvero una celebrazione della materia prima green.

Pasta di Lilia a Williamsburg

Aurora, invece, è il posto ideale per sorseggiare del buon vino, di fronte a un pollo ruspante, all’uscita dal Williamsburg Cinema: polo su Brooklyn - dato l’enorme successo è stato recentemente aperto un secondo locale in Soho - di un ristorante sui toni del legno, ideale per una cena rilassata a lume di candela. Dal menu, imperdibile l’antipasto: tagliere di prosciutto di Parma stagionato 24 mesi accompagnato da burrata fresca e un paio di bruschette con pomodorini al forno. Inoltre, pasta fatta in casa. Pezzo forte? il caratteristico giardino al coperto.

Aurora a Williamsburg

Camminando sulla Broadway

Spostandoci su Broadway, incontriamo una serie di insegne interessanti. E partiamo sempre da un italiano: Barano, che da ormai tre anni si distingue per primi piatti, atmosfera lounge e, soprattutto, mozzarella fatta in casa per assecondare i meravigliosi capricci del menu stagionale dello chef Di Meglio. Consigliato il pasta tasting con tre assaggi di primi diversi.

Pasta fresca da Barano a Williamsburg

C’è poi Motorino, “la pizza napoletana più buona di New York", secondo Pierpaolo, che vive oltremare da ormai più di quindici anni. Uno di tre locali, pizza napoletana, forno a legna, atmosfera giovane, ingredienti made in Italy e un menu in cui la contaminazione americana ha toccato solo i nomi delle pizze.

pizza da Motorino a Williamsburg

E poi ancora il famigerato Peter Luger - la più nota steakhouse della città - il cui nome, dopo un secolo, è ancora una garanzia. Lo stile primi del novecento si respira fin dall’entrata e prosegue all’interno con lampadari e sedie in pelle; poi c'è la macelleria interna dove è possibile acquistare la carne da cucinare a casa.

Alternative carnivore

Un’alternativa più economica, la DeStefano’s steakhouse, nell’ala Est del quartiere. A differenza di Peter Luger, propone menu appositamente studiati per brunch, pranzo e dopocena; anche qui la carne la fa da regina, nonostante l’enorme varietà di pietanze sul menu, che accontenta qualsiasi tipo di clientela.

Bistecca da Peter Luger a Williamsburg

Dalle bistecche alle costolette di agnello, il passo è breve: Fette Sau, in un anfratto di Metropolitan Avenue, delizia i palati di chi non vuole evolversi in fatto di stile, ma preferisce un servizio old fashioned; a mo’ di pic nic nel bosco al centro della città, lunghi tavoli sociali in legno massiccio, su cui gli ospiti si accomodano e consumano i pasti su vassoi di alluminio e carta da forno (spoiler alert: manca il bosco). Specialità? Le costolette di maiale e le file chilometriche per accedere in un locale di meno di 70mq.

Locali dal sapore internazionale

Ma a Williamsburg è presente anche un’ampia offerta di locali dal sapore internazionale: Aska e Llama Inn propongono rispettivamente nordic cuisine e cucina peruviana dal calibro blasonato. Nel primo domina uno splendido bancone quadrato al centro di una sala che si regge esclusivamente su vetrate; cucina a vista e colori sgargianti tipici del Sud America si uniscono discretamente all’eleganza di candele e un caratteristico giardino pensile, l'assenza di tovaglie, poi, consente di apprezzare i bei tavoli in ciliegio.

Llama Inn facucina scandinava, in tutto il suo fascino essenziale, con giardino minimal e raffinato. Punto di forza, i ricercatissimi cocktail ad accompagnamento delle pietanze studiate dallo chef svedese Fredrik Berselius, che incanta con menu stagionali lavorando ingredienti dell’orto personale sul retro del locale. Solo 10 posti a sedere, è molto esclusivo.

Llama Inn Llama a Williamsburg

Cafè La Esquina è invece un tappa obbligatoria per gli amanti della cucina messicana: un piccolo giardinetto con tavoli da ping pong e ristorante food truck, con menu a base di tacos e nutrita carta di cocktail messicani e tequila. Accento sull’ottimo Mezcal; “perfetto” nei mesi più caldi, come solo l’estate di New York sa offrire.

Tacos del Cafè La Esquina a Williamsburg

Altre mete

La passione per il food truck style è presente anche in Diner, che si concentra sulla cucina americana fra luci soffuse e poltroncine strette in un locale che sembra un caravan. Ha aperto nel capodanno 1999 in un pullman degli anni ’20 sotto il ponte di Williamsburg; lo chef è Adam Baumgart e il menu si concentra su specialità a base di insalate verdi e granchio. Per i collezionisti, è disponibile addirittura un branded merchandising. Nota: non accetta prenotazioni.

Diner a Williamsburg

Al confine Nord di Williamsburg (bonariamente denominata Willy dai newyorkesi), in congiunzione con l’hipsterissimo quartiere di Greenpoint, è doveroso citare il Norman: ampi spazi in stile loft industriale con tanto di graffiti e menu per ogni ora del giorno, dalla colazione al dopocena, passando per l’happy hour. Disegnato dall’architetto Christina Meyer Bengtsson, che ha fuso in un’anima l’urbano e il minimalista, propone vini naturali, piatti condivisibili, ingredienti freschi con menu di stagione. Come prevedibile, i fornitori sono locali.

Norman a Williamsburg

Tra brunch e caffè

Il vero spirito statunitense si sperimenta più che mai nel rito del brunch domenicale: il quartiere, così come Manhattan, è costellato di locali ad hoc, spesso corredati da giardinetti interni, tipico tocco di Brooklyn. Fra i migliori: Egg Shop e Meadowsweet. Da Egg Shop, come suggerisce il nome, le uova la fanno da padrone; l'ambiente è tipo casa delle bambole con toni del cipria su pareti anni ’50 e i cocktail meritano, così come le tisane e le centrifughe con frutta di stagione.

Eggs Shop a Williamsburg

Meadowsweet invece si distingue per soffitti in legno, pavimenti in maiolica, poltrone in pelle marrone e un bancone di grande eleganza con ampia selezione di distillati; dal menu interessanti le proposte a base di anatra.

In generale, quando a New York si pensa al brunch, ci riferisce a cocktail, gastronomia a base di uova e caffè versato a iosa: la qualità di quest’ultimo non è il focus dell’esperienza. Per godersi un caffè all’americana (e non) fatto come si deve, bisogna recarsi in un coffee shop, dove ci si prende il proprio tempo su comode poltrone, di fronte a un libro o (solitamente) al proprio laptop. Williamsburg è effettivamente amata per questo rito, data la sua anima intellettuale e rilassata, e, in questo, distante dalla frenesia del centro città. Ideali in zona sono Bakeri, locale di 40 mq famoso per le sue speciali torte fatte in casa, i biscotti decorati e l’expertise dei suoi addetti ai lavori in termini di latte art; Oslo Coffee Roasters, un autentico pioniere, che solletica i passanti con una lavagnetta all’esterno del locale su cui sono indicati i vari benefici derivanti dal consumo di caffé. Posto ideale per chi è di fretta e ha bisogno di una miscela di qualità per dare una sferzata alla propria giornata (oltre che per chi è in cerca di un’alternativa premium al solito Starbucks). Per chi è colto dallo sweet tooth, invece, viene in soccorso Du’s Donuts and Coffee: dallo chef Wylie Dufresne, è un angolo dove assaporare alcune fra le migliori tipiche ciambelle americane; fra gusti classici e creativi spiccano “biscotto allo zenzero” ed “espresso e cardamomo”.

Du’s Donuts and Coffee

Museo del Food & Drink, food festival e la migliore vista di New York

Forse non molti sanno che Willy ospita un interessantissimo Museo del Food & Drink, il cosiddetto MOFAD, che, celebrando il cibo e la sua storia, si propone come risorsa educativa globale con l’obiettivo di ispirare le nuove generazioni, incuriosirle e connettere le persone attorno a un unico (intuibile) tema. Fra le mostre passate “Mamma ha detto: finisci sempre il riso nel tuo piatto” con la partecipazione dello chef Shirley Chung dello Steamers Co., e “Gamberetti al miele di nocciole” dello chef Jonathan Wu del Fung Tu.

MOFAD a Williamsburg

Come non nominare poi gli eventi? Il quartiere si distingue per il suo riverfront: è questo il palcoscenico ideale per dar vita, ogni weekend (nei mesi primaverili ed estivi), allo Smorgasburg (www.smorgasburg.com), un food festival che ospita un gran numero di venditori locali, dove consumare prodotti a chilometro zero al suono delle onde del fiume e dei musicisti di bossa nova (che, come sempre, fa molto Brooklyn).

Smorgasburg

If Manhattan is where we work, Brooklyn is where we play... and Williamsburg is its epicenter”, dice convinto Ben, girando gli hamburger sulla griglia del barbecue, sul rooftop di 440 Kent Ave. C’è da ammetterlo: dalle nuove torri che stanno invadendo le coste dell’East River si gode indubbiamente della miglior vista di New York.

 

a cura di Nicoletta De Rose

 

DOVE MANGIARE

Lilia - 567 Union Ave - Brooklyn - +1 718-576-3095 - lilianewyork.com

Aurora: 70 Grand St - Brooklyn, NY - +1 718-388-5100 – aurorabk.com

Barano - 26 Broadway - Brooklyn, NY - +1 347-987-4500 - baranobk.com

Motorino Pizzeria - 139 Broadway - Brooklyn, NY - +1 718-599-8899 - motorinopizza.com

Peter Luger Steak house - 178 Broadway - Brooklyn, NY - +1 718-387-7400 - peterluger.com

De Stefano's Steak house - 89 Conselyea St - Brooklyn, NY - +1 718-384-2836 - deesteakhouse.com

Fette Sau - 354 Metropolitan Ave - Brooklyn, NY - +1 718-963-3404 - fettesaubbq.com

Llama Inn - 50 Withers St - Brooklyn, NY - +1 718-387-3434 - llamainnnyc.com

Aska - 47 S 5th St - Brooklyn, NY - +1 929-337-6792 - askanyc.com

Norman - 29 Norman Ave, Brooklyn, NY - +1 347-966-2092 - restaurantnorman.com

Cafè La Esquina - 225 Wythe Ave - Brooklyn, NY - +1 718-393-5500 - esquinanyc.com

Diner - 85 Broadway - Brooklyn, NY - +1 718-486-3077 - dinernyc.com

Egg Shop - 138 N 8th St - Brooklyn, NY - +1 646-787-7502 - eggshopnyc.com

Meadowsweet - 149 Broadway - Brooklyn, NY - +1 718-384-0673 - meadowsweetnyc.com

Reunion - 544 Union Ave - Brooklyn, NY - +1 718-599-3670 - reunionyc.com

Bakeri - 50 Wythe Ave - Brooklyn, NY - +1 718-388-8037 - bakeribrooklyn.com

Oslo Coffee Roasters - 328 Bedford Ave - Brooklyn, NY - +1 718-782-0332 - oslocoffee.com

Museum of Food and Drink - 62 Bayard Street, Brooklyn, NY - +1 (718) 387-2845 - mofad.org

Du’s Donuts and Coffee - 107 N. 12th Street, Brooklyn, NY - +1 (718) 215-8770

 

 

 

Steven Raichlen Grills Italy. Ultima puntata: bistecca alla fiorentina

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È partito da Venezia, passato per Portofino, Parma, Pisa, Cuneo, e approdato infine a Firenze, tempio della carne alla brace. Il mago del barbecue Steven Raichlen conclude il suo programma su Gambero Rosso Channel con una bistecca alla fiorentina d'autore.

 

Firenze

Un viaggio lungo all'insegna del gusto, quello di Steven Raichlen, americano esperto di griglia e barbecue che ha percorso lo Stivale da Nord a Sud per scoprire il gusto della tradizione italiana. Naturalmente, quella sul fuoco, dal pollo allo spiedo tipico della rosticceria al pesce alla griglia. Per l'ultima puntata di Steven Raichlen Grills Italy, il cuoco si reca a Firenze, capoluogo toscano e capitale italiana della carne di manzo. Ma prima di cucinare, un giro al Mercato Centrale, per assaggiare le specialità tipiche del territorio, dalla schiacciata alla porchetta, senza dimenticare la carne allo spiedo. Qui, Steven va alla scoperta della carne di qualità, curiosando tra i banchi di macelleria e cercando i tagli di scottona e chianina migliori. Ad accompagnarlo in quest'ultima tappa del tour, Luciano Ghinassi di Buca Lapi, che gli svela tutti i trucchi per preparare una bistecca da maestro.

La ricetta dello chef

Una cottura classica sulla griglia, “ponendo sempre la carne dalla parte del grasso” e lasciando colare il grasso dentro un recipiente, “così che non crei fiamme troppo alte cadendo sul fuoco”. Una regola fondamentale: niente sale, “altrimenti la carne perde i succhi e diventa secca”. Dopo aver cotto da entrambi i lati, si gira la carne in verticale e, una volta pronta, si può aggiungere il sale grosso, “adesso in abbondanza”. Steven assaggia la chianina, “tenera, squisita”, e poi anche la romagnola, “dal sapore più intenso e selvatico, e leggermente meno tenera”.

Le versioni di Raichlen

Come sempre, lo chef italiano passa il testimone all'americano: “You know the drill, it's my time to grill” (“conoscete la procedura, tocca a me grigliare”). Per la bistecca alla fiorentina, uno dei suoi piatti preferiti, Raichlen stupisce tutti con un metodo di cottura insolito: il caveman, una tecnica che aveva già mostrato durante la terza puntata per la preparazione delle melanzane affumicate, ovvero unacottura all'interno della ciminiera di accensione, senza grata. “Per questa ricetta utilizzo una bistecca alta tre dita, che condisco con sale grosso e pepe nero”, cotta su carboni naturali. Ad accompagnare la carne, “pronta in pochi minuti”, una salsa ai peperoni gialli, verdi e rossi.

Ma non finisce qui: altra bistecca, altri abbinamenti, altri metodi di cottura.Per la prossima variazione di bistecca alla fiorentina, ho scelto una salsa al gorgonzola”, una crema a base di panna e formaggio, speziata con un po' di pepe nero macinato fresco. La scottona, invece, viene marinata per 10 minuti con olio extravergine di oliva, sale grosso, pepe, peperoncino, rosmarino, scorza e succo di limone. Per conferire il gusto affumicato alla carne, del legno di pesco ammollato nell'acqua,per rallentare la combustione”, e inserito in una tasca di alluminio forata in superficie. Per la cottura, Steven utilizza un grill preriscaldato al massimo, come sempre firmato Weber. La scottona viene servita su salsa al gorgonzola, con rametto di rosmarino fiammeggiante”, ovvero bruciato con fiamma ossidrica.

a cura di Michela Becchi
 

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Si ringrazia
 

Torino: Magorabin e Magorabin Alimentari. Chef Marcello Trentini raddoppia a Torino

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Magorabin cambia e raddoppia: il ristorante torinese di Marcello e Simona Trentini da fine giugno si sposta di pochi metri mentre nei locali del vecchio Mago aprirà Magorabin Alimentari.

 

Il nuovo locale sarà diverso perché io sono diverso” spiega così Marcello Trentini i nuovi sviluppi di Magorabin, il ristorante torinese in cui, con Simona, porta avanti da una quindicina di anni il suo progetto.

 

I locali

Magorabin si sposta di qualche metro, nei locali adiacenti al vecchio Mago. Il civico rimane (quasi) lo stesso: 61a e 61b, “insomma talmente poco che non comunichiamo neanche lo spostamento”perché chi arriverà troverà, sì, una situazione tutta nuova, ma sempre sotto l'egida del Mago che dice proprio in questi giorni, mentre i lavori sono in corso, “appena possibile alziamo la serranda e basta”: il sabato si chiude con il vecchio, il lunedì si apre con il nuovo e si continuerà a lavorare senza che per i clienti ci sia alcun disagio: le due cucine sono una di fronte all'altra, le separano appena due metri di cortile. Sì, avete letto bene: due cucine. Perché il Mago si sposta (di pochi metri) e raddoppia: offerta, orari di apertura, proposta gastronomica e ambienti.

Marcello e Simona Trentini. Foto Max Pisati

 

Magorabin Alimentari

Partiamo dal vecchio Mago, il locale a corso San Maurizio 61b. Lì, a fine luglio, nascerà una bottega bistrot: Magorabin Alimentari. “Uno spazio informale” spiega Trentini “aperto dalle 7,30 come caffetteria con caffè espresso e filtro, succhi, estratti naturali”, il fulcro di tutto è il bancone, “il 75% dell'offerta è costituita da prodotti da banco”. Parliamo di cose come carciofini sottolio, cipolline, acciughe. E poi grandi formaggi, grandi salumi e pochissimi piatti semplici. “Una proposta gastronomica che potrebbe essere un mix tra quella di un Roscioli e di uno Spazio” con prodotti tipici e ricette semplici e golose, “tanti piatti assemblati” li chiama lui. “Lavoreremo aziende artigiane di tutta Italia, per quanto concerne i salumi ci sarà una forte dominanza di prodotti padani”.

Non solo: nel bistrot ci sarà il laboratorio di panificazione che servirà i due locali, “ma il pane sarà anche in vendita e nel menu”, aggiunge, e in questo fa riferimento esplicitamente al nuovo Spazio di Niko Romito, a Roma. “Molti piatti saranno impostati sul pane” con fette condite con tante golosità: ragù alla genovese, ricotta di montagna e pepe, mozzarelle di Barlotti e acciuga di Sciacca sottolio, cime di rapa ripassate “attraverseremo l'Italia in modo trasversale, con cose ignorantemente casalinghe” spiega“quelle che io amo della cucina italiana, in generale”. Durante il giorno e fino a dopo cena (si chiude alle 23) il bancone cambia pelle per servire cocktail e vino alla mescita “Simona ha deciso che farà un lavoro su una carta molto ridotta, circa 20-24 referenze, ma tutte da magnum. Consumabili al bicchiere o alla brocca: calice, quartino o mezzo litro e ovviamente bottiglia”. Tutto all'insegna della godibilità e della massima libertà di scelta.

Il luogo delle collaborazioni

Gioca in casa per il caffè, “abbiamo una collaborazione con Vergnano, che ha studiato per noi delle miscele che avremo sia in vendita che servite con diversi metodi di estrazione: espresso, caffè filtro, cold brewing”,poi schiera cose come pane burro di marmellata, torte (che giocano la parte del leone), toast “siamo davanti all'università quindi mi immagino persone che gustano un avocado toast mentre lavorano al computer”. Come accade nelle caffetterie in giro per il mondo, dove wi-fi e grandi caffè sono complici indissolubili della riuscita di bar dall'appeal cosmopolita, che Trentini declina in versione foodie, dedicando la massima attenzione al prodotto. A partire dal comparto dolci, dove si trova la prima delle collaborazioni d'autoremesse in campo per questo progetto, quella con Gianluca Fusto che avrà qui uno showroom di dolcistudiati a 4 mani e 2 teste con Trentini, “torte di Fusto Mago style” scherza Marcello per spiegare questa joint venture: il pasticcere codificherà le ricette, la produzione sarà realizzata nel laboratorio di corso San Maurizio dal team di Trentini insieme a un aiuto pasticcere di Fusco.

Dicevamo che questa è solo una delle sinergie messe in campo, ci sono poi quelle con Giancarlo Mancino per i vermouth e la lista dei drink “una carta limitatissima di grandi classici, con 5 cocktail Martini e altrettanti Negroni, anche invecchiati in botte”, e con Irina Steccanella per la cucina, “penso a una proposta vicina a quella di un Mastrosasso, ma in versione italiana, mi piace molto il suo approccio sulla trattoria contemporanea” sintetizza così lo stile verace, puntualissimo nelle preparazioni e nelle cotture, sincero e di pieno godimento dell'Agriturismo Mastrosassodi Savigno. “Sfideremo Irina, vogliamo tirarla fuori dalla sua bolognesità, ogni tanto verrà anche qui a Torinoper cene a 4 mani e degustazioni”. L'idea è un menu piccolino, 4-5 primi e secondi, “cibo della memoria”: polpette, agnolotti (ma non il plin) ripieni di galletto alla brace, trofie al pesto, tortellini alla panna ripieni con prosciutto cotto alla brace, tagliatelle burro e parmigiano. Insomma: una grande cucina di casa italiana. E poi le frattaglie, “ ci piace molto l'idea del quinto quarto” via dunque a fegato al Green Egg, animelle saltate. “Poche cose firmate a 4 mani da me e Irina, che su questo tipo di ristorazione ha una visione molto bella” poi saranno il team e la personalità di Marcello a fare il resto. “Ma mi piace fare network con amici” chiosa.

Il nuovo Magorabin

Il nuovo Mago è fighissimo” si accende Marcello Trentini parlando del design del ristorante che tra qualche settimana (l'apertura è prevista per fine giugno) sarà visibile a tutti“gli architetti hanno capito cosa avevo in testa e con Lara Spano abbiamo lavorato a braccetto”. Lo definisce un ambiente caldo anche se minimalista, con toni scuri, penombra, giochi di luce, “con dei pezzi veramente fighi”: la carta da parati materica in un angolo, il parquet a lista di pesce come un tempo a creare contrasti tra estrema modernità e antico “siamo pur sempre in un contesto tardo barocco”. Più tavoli, 11 contro gli 8 di prima, ma senza rinunciare all'agio di sedute ben distanziate. Musica in analogico, “riportiamo in auge il vinile” annuncia “abbiamo preso un giradischi Skeleton, quello di Alex di Arancia Meccanica, per intenderci”. All'ingresso un salottino con un divano Chester, ad arredare uno spazio caratterizzato dal pavimento in ferro e un soffitto che richiama le pianelle in ferro arrugginito, “come nella metro di Brooklyn”.

Insomma: una scenografia teatrale per una cucina che continua la strada intrapresa tre lustri fa: “una cucina di testa, cuore e pancia, una cucina pensata ma con la golosità come denominatore comune”. E ora come sarà? “Il nuovo Mago è come il vecchio” risponde deciso “la nostra cucina è in evoluzione da sempre, spero che il salto lo continueremo a fare giorno dopo giorno come facciamo da 15 anni”. Ma una differenza si può individuare: “ci sarà più spazio per le novità, per piatti che negli ultimi anni sono stati nella logica del laboratorio e nei menu più estremi. Andiamo avanti con la nostra idea di cucina creativa contemporanea, ma senzastravolgere troppo le cose, soprattutto all'inizio”. Punta a premere sul pedale della libertà creativa forte anche di un doppio binario che consente una sosta a tutta tradizione e sapori familiari nel bistrot come pure al ristorante dove il business lunch (che affianca la carta della sera) include un antipasto con 7 assaggi di classici antipasti piemontesi “di ispirazione crippiana”.

E poi c'è il social table “come credo che non ci sia ancora in Italia”. Perché non si tratta solo di un tavolo in cui sedersi fianco a fianco con sconosciuti ma di un luogo in cui la regia è completamente affidata a Trentini.Un tavolo alto da 8 davanti alla cucina, con una mise en place diversa da quella degli altri tavoli. Ma soprattutto con un percorso obbligato: “se vuoi quel tavolo lì” spiega Trentini “non puoi scegliere, c'è un unico menu – Fuoco - totalmente free style”. Occorre avere libertà di pensiero“ed essere disposti a mangiare tutto” dice.“Ma se vuoi quel menu ci si diverte alla grande”. I piatti sono portati dai cuochi, e la cena comincia (più o meno) insieme per tutto il tavolo, “un po' come al Noma o al Brooklyn Fare” aggiunge. Del resto della sua vocazione internazional-torinese Marcello Trentini non ha mai fatto mistero.

 

Magorabin – Torino - Corso San Maurizio 61b - 011 812 6808- http://www.magorabin.com

 

a cura di Antonella De Santis

foto in apertura: Studio Gabrio Tomelleri

Restaurant Awards Lazio 2018 a Roma e The Fork Restaurant Awards a Milano. Tutti i premiati

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Vanno in scena quasi in contemporanea, a Roma e Milano, le cerimonie di premiazione dei migliori ristoranti del Lazio e d'Italia, segnalati da addetti ai lavori, chef e pubblico web. Focus regionale per il Premio MangiaeBevi, opportunità per censire le ultime tendenze con l'aiuto degli chef la prima edizione del premio di The Fork e Identità Golose. 

Pioggia di premi per la ristorazione laziale

Seconda edizione con cambio di nome in corsa per il Premio MangiaeBevi (ideato da Fabio Carnevali), ribattezzato Restaurant Awards Lazio 2018 a esplicitare l'obiettivo della kermesse: premiare i migliori ristoranti e professionisti del settore in attività sul territorio regionale, aspettando il corrispettivo su scala nazionale del festival, che il prossimo 26 novembre, alla Fiera di Roma, celebrerà i migliori 100 ristoranti d'Italia. Una notte (pomeriggio) degli Oscar della ristorazione in salsa romana, andata in scena nella sala gremita di Spazio Novecento, che ha chiamato a raccolta i migliori 100 ristoranti della regione, suddivisi in 6 categorie: gourmet per Roma e provincia (50 indirizzi), gourmet individuati tra le altre province laziali (10 destinazioni che valgono il viaggio), osterie (di nuovo, una top 10), bistrot, etnici e nuove aperture, sempre a gruppi di 10. Con sezione speciale riservata alle pizzerie – Pizza Award Lazio 2018 - per incoronare i 25 migliori ambasciatori della pizza a Roma e nel Lazio, e un'appendice che focalizza l'attenzione sulla professionalità e la personalità dei protagonisti del settore: 25 nomination dedicate ai migliori professionisti in ascesa tra chef, pastry chef, pizzaioli, sommelier, maitre/restaurant manager. Una cinquina per ciascuna categoria che qualche ora fa ha trovato il nome del rispettivo vincitore, annunciato sul palco con tanto di consegna del diploma: Miglior chef è Alba Esteve Ruiz (Marzapane), Miglior pastry chef Andrea Riva Moscara (Barrique by Oliver Glowig) Miglior Restaurant Manager Achille Sardiello (Pipero), Miglior sommelier Luca Belleggia (il Pagliaccio), Miglior pizza chef Pier Daniele Seu (Seu Pizza Illuminati). A stilare le graduatorie una giuria composta da 74 esponenti del giornalismo enogastronomico, in rappresentanza di tutte le testate: critici, curatori delle principali guide e delle pagine wine & food dei quotidiani, direttori o redattori delle più note riviste italiane del settore.

I premi speciali

Tutti i premiati - davvero una nutrita rappresentanza del panorama gastronomico della Capitale e dintorni – li riportiamo nelle classifiche divise per categoria in coda al testo. Ma ricordiamo pure i premi speciali consegnati durante la cerimonia presentata da Chiara Giannotti e Luca Sessa: la Miglior Pizza Tonda 2018 è di Giancarlo Casa (l'Agro Romano della Gatta Mangiona, prima in classifica pure nella top 25 del Pizza Award, in buona compagnia del miglior innovatore della pizza Stefano Callegari e della miglior nuova apertura in tema pizzerie di 180 grammi di Jacopo Mercuro e Mirko Rizzo), la Miglior Comunicazione digitale di Metamorfosi, la Migliore nuova apertura La Barrique by Oliver Glowig, Miglior format alta cucina-benessere La Terrazza dell'Hotel Eden, Miglior format innovativo Hotel Butterfly, Miglior format alta cucina- cocktail a Daniele Gentili (Marco Martini Restaurant e Cocktail Bar), Miglior cantina Achilli al Parlamento, Miglior servizio di sala La Pergola, Miglior ristorante di pesce Pascucci al Porticciolo, Miglior ristorante di carne Da Lina (a Stimigliano, provincia di Rieti).

 

The Fork Restaurant Awards. Parola agli chef

Intanto, a Milano, la cerimonia dei The Fork Restaurant Awards, premio al debutto organizzato con la complicità di Identità Golose, celebrava nella stessa serata le 70 insegne segnalate dai grandi nomi della cucina italiana. Non una competizione vera e propria quindi, e più che altro una panoramica sugli indirizzi più interessanti della ristorazione nazionale contemporanea a detta di chi sul campo ci lavora ogni giorno. 70 gli chef coinvolti dall'organizzazione concertata The Fork/Identità Golose (l'elenco è consultabile sul sito di Identità Golose), per indicare le proprie preferenze. Altrettante le realtà premiate (aperte nel periodo che va da gennaio 2017 a marzo 2018) nel corso della cerimonia di scena a Palazzo Pirelli. Tra queste (di cui riportiamo l'elenco in fondo) una “giuria” popolare ha potuto scegliere quali incoronare preferite del web, con il voto online raccolto attraverso il sito dedicato ideato da The Fork. E su di loro si sono concentrati i riflettori della serata meneghina, con il primo posto assegnato all'Antica Osteria il Ronchettino, guidata da Federico Sisti alla periferia di Milano. Seconda la pizza di Berberè (per la sede milanese), terzo Momio a Firenze. A Roma segnalazioni per Osteria di Birra del Borgo, 180 grammi, Bistrot 4.5, Sushisen.

 

Le Classifiche dei Restaurant Awards Lazio 2018

 

I migliori ristoranti di Roma

1

Imago

2

La Pergola

3

Il Pagliaccio

4

Metamorfosi

5

Pascucci Al Porticciolo

6

Pipero

7

Il Convivio Troiani

8

Per Me

9

Tordomatto

10

Glass Hostaria

10

Il Tino

12

Enoteca Achilli Al Parlamento

13

Acquolina Ristorante

13

Il Sanlorenzo

13

Marzapane

16

Retrobottega

17

La Terrazza

18

Giuda Ballerino!

19

All’oro

20

Aroma Restaurant

21

Enoteca La Torre

22

Antonello Colonna Resort

23

Osteria Dell’orologio

24

Marco Martini Restaurant

24

Osteria Fernanda

26

Bistrot 64

27

Magnolia

28

Livello 1

28

Romolo Al Porto

30

Mirabelle

31

Chinappi

32

Open Colonna

33

Le Jardin De Russie

34

Aminta

35

Red Fish

35

Achilli Al Dom

37

La Rosetta

38

The Cesar

39

Stazione Di Posta

40

Pigneto 1870

41

Assaje

41

Il Tempio Di Iside

43

Al Ceppo

44

Antico Arco

45

Antica Pesa

46

Rosario Albos Club

47

Casa Bleve

48

Ai Piani

49

Quinzi & Gabrieli

50

Assunta Madre

 

I migliori ristoranti delle province laziali

1

Colline Ciociare

2

La Trota

3

La Parolina

4

Acqua Pazza

5

Danilo Ciavattini

6

Il Granchio

7

Il Vistamare

8

Satricvm

9

Essenza

10

Claudio Petrolo

 

Le migliori osterie

1

Sora Maria e Arcangelo

2

L’Arcangelo

3

Armando Al Pantheon

4

Santo Palato

5

Da Cesare

6

Felice A Testaccio

7

Osteria Di Monteverde

8

Alfredo Alla Scrofa

9

Osteria Del Borgo

10

Da Moschino

 

I migliori bistrot

1

Roscioli

2

Mazzo

3

Romeo Chef E Baker

4

Pianostrada

5

Coromandel

6

Caffe’ Propaganda

7

Madre

8

Madeleine

9

Collegio

10

Vivibistrot

 

I migliori ristoranti etnici

1

Sushisen

2

Hamasei

3

Le Asiatique

4

Waraku

5

Pacifico A Palazzo Dama

6

Shinto

7

Hasekura

8

Dao

9

Doozo

10

Mahalo

 

Le migliori nuove aperture

1

Barrique By Oliver Glowig

2

Spazio Niko Romito

3

Osteria Di Birra Del Borgo

4

Mercerie Igles Corelli

5

Trattoria Pennestri

6

Pantaleo

7

Perpetual

7

Stile Libero

9

Les Marionettes

10

Manforte

 

Le 25 migliori pizzerie

1

La Gatta Mangiona

2

Sforno

3

Seu Pizza Illuminati

4

Sbanco

5

Berbere’

5

La Pizza – Pier Daniele Seu

7

In Fucina

8

180 Gr.

9

Osteria Di Birra Del Borgo

10

Giulietta

11

Madre

12

Spiazzo

13

Pro Loco Pinciano

14

Angelo Pezzella Pizzeria…

14

Exquisitaly

14

Gazometro 38

17

Moma

18

Emma

19

Casale Rufini

20

Da Michele

21

Al Grottino

22

La Pariolina

23

I Quintili

24

Farine’ La Pizza

25

Ristoro La Dispensa

 

 

I 70 ristoranti nominati dagli chef per The Fork Restaurant Awards 2018

LOMBARDIA
Alla Corte dei Bicchi - Cavriana (MN)
Antica Osteria Il Ronchettino - Milano (MI)
Berberè Milano, via Vigevano - Milano (MI)
Caffè Commercio - Vigevano (PV)
Casa Ramen Super - Milano (MI)
Cittamani - Milano (MI)
Corte del Mago - Brescia (BR)
Gastronomia Yamamoto - Milano (MI)
Impronte - Bergamo (BG)
Lorenzo Vecchia Ristorante - Pozzuolo Martesana (MI)
Nasturzio - Albino (BG)
Ristorante Dina - Gussago (BS)
Saur - Orzinuovi (BR)
Sikelaia - Milano (MI)
Tokyo Grill - Milano (MI)
Villa Naj - Stradella (PV)
Zibo - Campo Base - Milano (MI)

VENETO
Al Callianino - Montecchia di Crosara (VR)
Osteria del Guà - Bagnolo (VI)
Ristorante 12 Apostoli - Verona (VE)
Ristorante Local - Venezia (VE)
Ristorante Milleluci - Rubbio (VI)
San Brite - Cortina d’Ampezzo (BL)
Zanze XVI - Venezia (VE)

PIEMONTE
Casa Amélie - Torino (TO)
Chiodi Latini New Food - Torino (TO)
Luogo Divino - Torino (TO)
Osteria Veglio - La Morra (CN)
Snodo presso OGR - Torino (TO)

TRENTINO ALTO ADIGE
A La Cort - Predazzo (TN)
In Viaggio-Claudio Melis Ristorante - Bolzano (BZ)
Waink’s - Brunico (BZ)

LIGURIA
Impronta d’Acqua - Cavi di Lavagna (GE)
Ristorante Mimosa del Miramare The Palace Hotel - Sanremo (IM)

VALLE D’AOSTA
Ristorante Petit Royal del Grand Hotel Royal e Golf - Courmayeur (AO)
Un Mare di Neve - Cervinia (AO)

EMILIA ROMAGNA
daGorini - San Pietro in Bagno (FC)
La Maison du Gourmet - Parma (PR)
Les Caves - Sala Baganza (PR)
Massimilano Poggi - Trebbo (BO)

TOSCANA
Filippo Mud - Pietrasanta (LU)
Momio - Firenze (FI)
Ristorante Santa Elisabetta dell’Hotel Brunelleschi - Firenze (FI)

LAZIO
180g Pizzeria Romana - Roma (RM)
Danilo Ciavattini Ristorante - Viterbo (VT)
l Bistrot 4.5 - Roma (RM)
Il Margutta - Roma (RM)
L’osteria di Birra del Borgo - Roma (RM)
Perpetual - Roma (RM)
Santopalato - Roma (RM)
Sushisen - Roma (RM)

MARCHE
Il Tiglio in Vita - Porto Recanati (MC)
Officina del Sole - Montegiorgio (FM)

ABRUZZO
Dorsia - Pescara (PE)
Insight Eatery - Chieti (CH)
Materia Prima - Castel Di Sangro (AQ)

UMBRIA
Paolo Trippini all’Hotel La Badia - Orvieto (TR)

CAMPANIA
Braceria Bifulco - Ottaviano (NA)
Caracol - Bacoli (NA)
Casa Rispoli - Cava dei Tirreni (SA)
Josè Restaurant - Torre del Greco (NA)
Ristorante Sensi - Amalfi (SA)

BASILICATA
Dimora Ulmo - Matera (MT)

PUGLIA
Duo Ristorante - Lecce (LE)
Primo Restaurant - Lecce (LE)
Stammibene - Bari (BA)

SICILIA
Hostaria del Vicolo - Sciacca (AG)
Pot Cucina & Bottega - Palermo (PA)
Scjabica - Santa Croce Camerina (RG)
VotaVota - Marina di Ragusa (RG)

 

www.theforkrestaurantsawards.it

 

Foto di Angelo Barattelli


La Felicità a Parigi è la nuova food hall del gruppo Big Mamma. Numeri da capogiro per raccontare la cucina popolare italiana

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È il settimo locale del gruppo in 3 anni, e certo un’apertura senza precedenti a Parigi: 4500 metri quadri di food hall, aperta h 24, con 3 bar, 5 cucine, un panificio, il forno a legna per la pizza. E una grande terrazza con barbecue. Ancora una volta il duo Seydoux-Ludger scommette sull’Italia. 

Big Mamma. Una storia di successo

Già alla fine dell’anno scorso, ripercorrendone l’infilata di incontestabili successi tutti concentrati in due anni e poco più, definivamo Big Mamma il caso imprenditoriale della ristorazione parigina più intrigante del momento. Non tanto (o non solo) per la qualità della proposta gastronomica – un’idea di cucina italiana filtrata dalla passione per il BelPaese dei due giovani soci francesi Tigrane Seydoux e Victor Ludger, ma concretizzata da un team 100% italiano – e invece per la capacità di concepire un format dietro l’altro scandagliando la cucina popolare tricolore, portandola alla ribalta sulla scena gastronomica di Parigi. Un fenomeno non così prevedibile, nel cuore di una capitale internazionale che certo non fa difetto di valide alternative per mangiare, determinato da ingenti investimenti, ma soprattutto grazie a una strategia di comunicazione vincente, al servizio di una cultura gastronomica da mitizzare, rendendola cool per un pubblico giovane e trasversale (cosa che da tempo è avvenuta oltreoceano, a costo di significativi stravolgimenti sul tema).

I precedenti

Quindi la scelta oculata dei locali, 6 dislocati nei quartieri centrali di Parigi, tutti con una propria anima, molti di grandi dimensioni, pensati per macinare coperti senza perdere di vista la piacevolezza dell’insieme; e la selezione dei fornitori, una rete di produttori con cui costruire un rapporto diretto, per contenere notevolmente i costi, ma tenendo alto il livello dell’offerta. O ancora il diktat della casa: assumere solo personale italiano, tra pizzaioli, cuochi, camerieri… Una corazzata da quasi 250 dipendenti. Così il gruppo è cresciuto rapidamente, e senza sbagliare un colpo: dalla pizza di Ober Mamma alla cucina da trattoria di Pink Mamma, passando per l’ultima grande pizzeria (con cocktail bar) inaugurata l’autunno scorso in Place de la Bourse, Popolare. I numeri? Nel 2017 un fatturato che ha raggiunto i 5 milioni di euro, cumulando una media di 4mila visitatori al giorno.

La Felicità a Parigi

E allora, perché fermarsi? L’ultima impresa dei trentenni rampanti si chiama La Felicità, certo un nome non scelto a caso. E già fa rubricare il caso come apertura del ristorante più grande d’Europa: 4500 metri quadri nel XIII arrondissement, anche stavolta completamente dedicati alla cultura gastronomica italiana, all’interno della luminosa struttura che recupera l'ex stazione merci a ridosso della Gare de Austerlitz, la Station F (oggi il più grande incubatore di start up nel mondo, di proprietà di Xavier Niel, azionario del gruppo Big Mamma), con terrazza all’aperto da 1000 metri quadri e barbecue da 8 metri.

Foto di Patrick Tourneboeuf

Per dir la verità non propriamente un ristorante, ma un polo gastronomico che strizza l’occhio alla moda del food market, su una piazza ancora incontaminata come Parigi, dove Eataly – nel mondo il caso più celebre di food hall dedicata all’Italia – non ha ancora messo radici (ma lo farà).

Quindi tanti angoli che si differenziano per allestimento (a separarli le vecchie carrozze dei treni di SNCF, dove si potrà anche mangiare, che ricordano la vocazione della struttura) e proposta gastronomica, niente servizio al tavolo ma molti coperti a disposizione per i clienti (1000 in tutto), che possono scegliere tra un piatto di pasta fresca e un plateau di frutti di mare e crudi, una focaccia o un risotto, un panino con la porchetta, un mix di burrata e salumi, una bistecca alla griglia, una pizza in uscita dal forno a legna. O un cocktail ordinato al banco della scenografica isola bar, con bottigliera sospesa sotto la copertura in vetro della Freyssinet Hall.

Una food hall tutta dedicata all’Italia

Quindi una summa di tutte le variazioni sul tema della cucina italiana maturate nel tempo dal gruppo Big Mamma – tra tovaglie a quadretti, luminarie, street art, piatti in ceramica decorata - che ora avrà a disposizione uno spazio ideale per organizzare eventi, festival gastronomici, concerti e djset. Chiari i riferimenti ai mercati gastronomici made in Italy, almeno nella loro veste più moderna, con il Panificio, la Trattoria, lo spazio Grandegriglia, il burger bar, l’area aperitivo (nel complesso 3 bar e 5 cucine); e uno spazio per la vendita a scaffale di prodotti italiani selezionati da Big Mamma. La Felicità ha inaugurato solo qualche giorno fa, e già promette di replicare i grandi numeri dei precedenti: aperto 7 su 7, le cucine saranno operative fino alle 2 di notte, mentre la caffetteria continuerà a servire clienti h 24. Poi non stupiamoci se qualcuno, a Parigi, l’ha già ribattezzata la Disneyland della cucina italiana. Ma la sfida sarà sostenibile (la squadra al lavoro conta 400 dipendenti)? Il duo Seydoux-Ludger ha abituato i francesi a non deludere le aspettative.

 

La Felicità – Parigi – place Grace Murray Hopper

 

a cura di Livia Montagnoli

L'appello di Peyrano: senza un finanziatore lo storico laboratorio torinese del cioccolato chiude

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Non sono stati anni facili, gli ultimi trascorsi in casa Peyrano, storico marchio della tradizione cioccolatiera piemontese. Ora l'ultimo capitolo della saga, il più grave: sigilli posti a bloccare la produzione nel laboratorio di Corso Moncalieri. Un mese per saldare il debito, si cercano finanziatori. 

Gli anni difficili di Peyrano

È una delle attività dolciarie più prestigiose e antiche di Torino quella di Peyrano, ma certo non si può dire che gli ultimi anni, tra le mura della storica bottega laboratorio di Corso Moncalieri, siano trascorsi a godere del meritato successo per onorata carriera. Un anno e mezzo fa, era l'inizio del 2017, la proprietà dello storico marchio del cioccolato fondato nel 1915 da Antonio Peyrano decideva di concentrare gli sforzi sull'attività del quartier generale, chiudendo l'altrettanto celebre negozio Peyrano-Pfatisch di Corso Vittorio Emanuele. Una scelta necessaria per limitare i costi (troppo alto l'affitto di fronte agli incassi in calo), ma pure per riprendere in mano le redini di una realtà troppo preziosa per essere lasciata in balia delle cronache giudiziarie. Un rischio già palesato dal fallimento per bancarotta provocato nel 2010 dalla famiglia Maione, cui nel 2006 la famiglia Peyrano aveva ceduto l'attività, prima di riprenderla in mano, all'indomani dei guai finanziari, proprio per garantire la continuità di un marchio d'eccellenza della tradizione cioccolatiera piemontese, ancora in grado di produrre 60 tipi diversi di cioccolatini.

 

La crisi di un marchio storico

Da qualche settimana, però, Giorgio e Bruna Peyrano sono di nuovo a fare i conti con una situazione difficile, precipitata negli ultimi giorni, ma evidentemente risultato di una crisi ben più arretrata nel tempo: da tre anni almeno i dipendenti dell'azienda sono in agitazione per retribuzioni non saldate e dinamiche di grande precarietà. E le ultime cronache gettano benzina sul fuoco, sancendo una protesta sindacale conclamata (ad ascoltare questa campana, stipendi e contributi non vengono saldati da circa 7 mesi) e serie difficoltà a pagare l'affitto dei locali, di proprietà del Cottolengo. Ecco perché qualche giorno fa sono scattati i sigilli, posti a bloccare la parte dell'attività destinata alla produzione, mentre la parte dedicata al confezionamento resta libera di operare: un provvedimento giudiziario che indebolisce smentite e rassicurazioni che la famiglia Peyrano si era affrettata a contrapporre alle ultime proteste, concretizzando la necessità ormai improrogabile di affrontare la crisi di gestione. Ferma restando la qualità del prodotto – mai messa in dubbio da nessuna delle parti – ora gli sforzi dovranno concentrarsi sull'urgenza di salvare un'impresa storica di Torino.

 

Resistere per salvare il cioccolato di Torino

Le parole rilasciate da Bruna Peyrano a La Stampa suonano forti, senza però riuscire a nascondere la preoccupazione per il momento delicato: “Se qualcuno vuole condividere i nostri segreti e il nostro amore per il cioccolato è ben accetto. Purtroppo abbiamo poco tempo. Se non troviamo un finanziatore serio saremo costretti a chiudere per sempre la nostra attività. Ma la speranza, si sa, è l’ultima a morire. E noi non abbiamo nessuna intenzione di arrenderci”. Un mese è l'ultimatum concesso a Peyrano dai legali del Cottolengo, che chiedono di saldare gli arretrati non pagati per l'affitto dei locali che ospitano il laboratorio sul retro del negozio, che resta aperto finché ci saranno scorte. Poi, se la produzione non potesse riprendere – il debito da saldare ammonterebbe a 200mila euro – l'attività sarebbe costretta a chiudere battenti. Resta certo l'impegno di chi anni fa ha deciso di ributtarsi a capofitto nella gestione di un'attività storica certamente obbligata a scontrarsi con dinamiche non favorevoli al perdurare di produzioni artigianali, con i costi che queste comportano di fronte all'aumentare della concorrenza di realtà più corazzate. E infatti, in passato, Bruna e Giorgio hanno sempre rifiutato le offerte di grandi aziende interessate a rilevare il marchio (si veda Lindt con Caffarel). Ora l'appello si rivolge a finanziatori realmente interessati a preservare la storia del marchio, “qualcuno con cui condividere la nostra sapienza”, ribadisce Bruna Peyrano. Speriamo che si faccia avanti in fretta.

 

a cura di Livia Montangnoli

Il miglior olio della Campania. La produzione regionale e le aziende

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Una storia olivicola antica, oggi reinventata, reinterpretata e rinnovata dai produttori più attenti e impegnati in una produzione sempre più di qualità. Il racconto di Marco Rizzo, delle varietà del territorio e della tradizione regionale.

 

L'olivicoltura campana

Poco più di un anno fa, insieme a Nicolangelo Marsicani di Morigerati, andavamo alla scoperta di un territorio che “detiene più della metà della superficie olivetata regionale, ma trae comunque poco reddito da questo settore per diversi fattori di tipo culturale”. Così raccontava il produttore, facendo luce su falsi miti e luoghi comuni (“Per esempio, in molti non credono si possa vivere di olio, e lo considerano un ingrediente marginale e non imprescindibile”). Oggi, a spiegare l'olivicoltura campana, quella del Cilento, è Marco Rizzo, giovane produttore che quest'anno ha inaugurato il nuovo frantoio aziendale con risultati notevoli. In una terra che continua a crescere dal punto di vista qualitativo, nonostante gli attacchi di mosca e le avversità climatiche (il gelo prima, la grandine e la siccità poi). Soprattutto, un territorio in cui continua ad aumentare l'interesse da parte dei ragazzi per l'agricoltura, che scelgono di riprendere vecchie attività di famiglia e migliorarle.

L'azienda

Persone come Marco, che nel cuore del Parco Nazionale del Cilento gestisce circa 3mila piante di ulivo su 20 ettari di terreno, in parte a conduzione biologica e in parte in conversione. Un'azienda che nasce dalla passione per la natura, che nel tempo si trasforma in studio, ricerca e dedizione, “ho affinato tecniche e sensibilità, dapprima con le olive e poi con l'olio”. Dando inizio a un audace lavoro di recupero di varietà autoctone, con conserve tradizionali, olive da tavola, patè, e diverse etichette di extravergine di livello.

Le cultivar

Rotondella e carpellese in primis, varietà tipiche della zona, insieme alla nostrale di Felitto,diffusa nella Valle del Calore, di origini antiche ma per tempo dimenticata”. È proprio quest'ultima ad aggiudicarsi il premio per il miglior olio monocultivar nella guida Oli d'Italia 2018, con le sue note verdi di cardo, carciofo e sfumature balsamiche eleganti. La nostrale è un'oliva nobile, con il suo amaro selvatico e il suo fruttato schietto”. Le altre due varietà, invece, restituiscono oli dai profili aromatici diversi ma complementari:La rotondella, purché raccolta e lavorata in modo ottimale, dà origine a un extravergine dai profumi delicati di pomodoro verde ed erba falciata, mentre la carpellese gioca più sui toni della mandorla verde, con un amaro e un piccante presenti ma mai invadenti”.

La cura in campo e in frantoio

Caratteristiche tipiche, a patto che vengano lavorate e dovere. A cominciare dalla cura delle piante, “le buone pratiche agronomiche sono fondamentali per avere dei frutti sani”. Prima regola: “restituire alla pianta tutto ciò che le è stato sottratto”, per garantire un equilibrio naturale costante. “Le recenti tendenze in tema di potatura suggeriscono di sfoltire tutti gli anni piuttosto che intervenire con potature drastiche. In linea di massima, una volta riformata la pianta, cerchiamo di mantenere stabile il rapporto chioma-apparato radicale”. Si passa poi alla raccolta, e di conseguenza alla frangitura. Per questa fase delicata e cruciale, Marco utilizza un impianto a due fasi della Toscana Enologica Mori, “facile da mantenere, utilizzare e pulire”, con gramole verticali, “per contrastare - o quanto meno contenere - gli effetti ossidativi”. Ogni cultivar – ormai lo sappiamo – richiede tempi, temperature e cure diverse in base alla grandezza e durezza della drupa, il grado di inolizione (formazione dell'olio all'interno dell'oliva), di maturazione, il tempo di raccolta e via dicendo. E Marco lo sa bene, tanto che riserva a ogni varietà una lavorazione speciale: “Tutte le cultivar hanno bisogno di essere interpretate e capite per poter poi esprimere al meglio le loro caratteristiche organolettiche”. Difficile stabilire dei parametri di lavorazione fissi,“in qualsiasi caso, la più complessa è il leccino, che invaia in maniera fulminea, tendendo a creare delle emulsioni stabili che ostacolano la separazione dell'olio”.

L'annata futura

Col tempo e l'esperienza, aumentano le conoscenze e soprattutto si affina l'istinto del produttore. Anche l'olivicoltore più preparato, però, deve fare i conti con la natura. “La siccità prolungata dell'anno scorso ha destabilizzato le piante, gli oli sono meno profumati e mediamente più amari, perché la struttura della drupa ha risentito della disidratazione”. Ma l'ulivo è una pianta forte e vigorosa, “che si riprende in fretta”. Per la prossima campagna, la zona di Felitto al momento sembra promettere bene: “Ci vorrebbero giornate asciutte e ventilate in grado di diffondere il polline adeguatamente”.

L'olio in Campania: una tradizione da rinnovare

Giovane ma con le idee ben chiare, Marco dice la sua anche sulla produzione regionale: “Anche se può sembrare un paradosso, la nostra tradizione antica si è trasformata nel tempo in un ostacolo”. Una memoria storica profonda che ha determinato un ristagno nello sviluppo di tecniche e tecnologie in campo agronomico. “Abbiamo bisogno di cambiamenti, di un'olivicoltura certificata, trasparente, senza ombre”. E di innovazione, “tanta, a tutti i livelli. Servono specialisti, tecnici e consulenti, servono professionisti e conoscitori della materia”. Per poter conservare e rispettare la tradizione, ma elevandola a uno standard qualitativo più alto: “Non possiamo permetterci di rimanere fermi”.

Il Cilento dell'olio

Un appello sentito e condivisibile quello di Marco, che ci tiene a sottolineare anche che “alcuni degli olivicoltori migliori d'Italia sono campani”. Salernitani, per la precisione. Una provincia che sta facendo scuola nel resto del territorio, grazie agli addetti ai lavori più preparati e alle due certificazioni locali, la Dop Colline Salernitane e la Dop Cilento.Inoltre l'area maggiormente olivetata di tutta la regione, sta crescendo anche attraverso la buona comunicazione del prodotto: “L'Associazione Oleum, per esempio, sta facendo uno sforzo notevole per diffondere la cultura dell'olio buono in Campania e in tutta la Penisola. Un lavoro lodevole portato avanti da quasi 30 anni”.

Qualità/reddito: un rapporto inadeguato

Mai come nel caso di Marco, sorge spontanea la domanda circa il ritorno dei giovani alla terra: “Negli ultimi anni si sente spesso parlare dell'interesse dei ragazzi per il settore terziario, ma la verità è che l'agricoltura rappresenta per molti una tendenza da cavalcare il prima possibile”. La terra, però, non è solo una moda del momento, piuttosto una scelta di vita: “Se vogliamo che i giovani tornino davvero a fare i contadini, dobbiamo risolvere al più presto la questione del rapporto qualità/reddito. Un produttore deve essere libero di scegliere la strada della qualità senza doversi necessariamente accontentare di cifre basse”. L'obiettivo? “Sciogliere in fretta questo nodo, rendendo così il mondo dell'agricoltura più accattivante”.

I migliori oli della Campania

Tre Foglie

Vega - Fattoria Ambrosio - Salento (SA) - www.fattoriaambrosio.it

Raro - Madonna dell'Olivo - Serre (SA) - www.madonnaolivo.it

Impronta Monocultivar Rotondella Bio- Marco Rizzo- Felitto (SA) - www.oliorizzo.it

Incipit Monocultivar Nostrale di Felitto - Marco Rizzo - Felitto (SA) - www.oliorizzo.it

Vapensiero - Nicolangelo Marsicani - Morigerati (SA) - www.marsicani.com

Monocultivar Ravece - Oleificio Fam - Venticano (AV) - www.oliofam.it

Monzo Rupe Monocultivar Cammarotana – Pietrabianca - Casal Velino (SA) - www.monzo.it

Monocultivar Ortice Riserva - Tenuta Romano - Ponte (BN) - www.frantoioromano.it

Cuore d'Ortice Monocultivar Ortice Bio - Torre a Oriente - Torrecuso (BN) - www.torreaoriente.com

Due Foglie Rosse

Olio Extravergine di Oliva Bio – Badevisco - Sessa Aurunca (CE) - www.badevisco.it

Coevo Monocultivar Ravece - Case D'Alto - Grottaminarda (AV) - www.oliocoevo.it

Idra Monocultivar Itrana - Fattoria Ambrosio - Salento (SA) - www.fattoriaambrosio.it

Regio Dop Irpinia Colline dell'Ufita Monocultivar Ravece Bio - Fontana Madonna - Frigento (AV) - www.fontanamadonna.it

Itran's Monocultivar Itrana - Madonna dell'Olivo - Serre (SA) - www.madonnaolivo.it

Monocultivar Rotondella - Madonna dell'Olivo - Serre (SA) - www.madonnaolivo.it

Talismano Monocultivar Carpellese Bio - Marco Rizzo - Felitto (SA) - www.oliorizzo.it

Pascà Oro Etichetta Blu - Maria Manuela Russo - Campagna (SA) - www.russo1979.it

Algoritmo Dop Cilento - Nicolangelo Marsicani - Morigerati (SA) - www.marsicani.com

Fontanalupo – Petrazzuoli - Ruviano (CE) - www.petrazzuoli.it

Ramarà Dop Cilento - Piero Matarazzo - Perdifumo (SA) - www.pieromatarazzo.it

Monzo Magnete Dop Cilento Monocultivar Salella – Pietrabianca - Casal Velino (SA) - www.monzo.it

Rodyum Dop Cilento - Rosalba Trama - Pisciotta (SA) - www.rodyum.it

Olio Extravergine di Oliva Bio - San Salvatore - Giungano (SA) - www.sansalvatore1988.it

a cura di Michela Becchi

Oli d'Italia 2018 – Euro 13,90 – disponibile in libreria e online

Oli d'Italia 2018, la guida dedicata all'olio extravergine di oliva. Ecco i premiati

Il miglior olio della Sicilia. La produzione regionale e le aziende

Il miglior olio dell'Umbria. La produzione regionale e le aziende

Il miglior olio dell'Abruzzo. La produzione regionale e le aziende

Tre Gamberi. Locanda delle Grazie, la grande trattoria di Curtatone

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Vicino Curtatone, c'è una trattoria che per molti è una tappa imperdibile ogni volta ci si trova vicino Mantova e la zona del Mincio. Lo è per il cibo, sontuoso e commovente nella sua rusticità, e lo è perché Daniela Bellintani e Fernando Aldighieri sono due persone splendide, oltre che splendidi osti.Si chiama Locanda delle Grazie, ed è una delle migliori trattorie d'Italia.

 

Qui si viene per godere di una cucina mantovana realizzata con grande rispetto per la materia prima e la tradizione. Una cucina semplice, di casa, “immagina di avere una zia che abita in campagna, questa è la cucina che potresti mangiare quando la vai a trovare” dice Daniela Bellintani che con Fernando Aldighieri da circa 30 anni mette a segno una delle più belle tavole di tutta la Penisola, tanto nella prima sede, nel centro di Mantova, quanto in quella attuale, ad appena 7 chilometri dalla precedente, dove si sono spostati all'inizio del nuovo millennio. A loro va il merito di conservare e valorizzare una tradizione culinaria e culturale come quella mantovana. E in quel borgo che già nel nome contiene in sé un attributo della sua bellezza, loro portano avanti, dal 2001, la loro cucina povera e opulenta insieme. Dove, in una piazzetta da cartolina, va in scena ogni giorno la favola di una ristorazione autentica e sincera. Generosa nei prodotti come nelle porzioni, nelle ricette di una tradizione, quella mantovana, dove salumi hanno un ruolo primario, abbinati alla polenta abbrustolita, o alla verza, nel caso del cotechino, proposto – e richiestissimo – anche in pieno agosto.

paolo_della_corteFoto: Paolo della Corte

Ma qui le regine della scena sono le paste fresche: ci sono i tortelli di zucca, ovviamente, ma anche le tagliatelle con anatra spolpata o i tortelloni con ricotta e spinaci, i bigoli con le sardelle, e poi bollito, trippe, lumache e via così, con piatti lussuosi nella loro rusticità che rimanda a una tradizione locale importante. Come si faceva un tempo, quasi tutto si fa in casa: giardiniera, mostarda, il nocino con le noci di San Giovanni, la pasta fresca, pane e grissini, sbrisolona, e molte di queste cose si possono acquistare come gustoso ricordo della sosta. Ma c'è un'altra cosa per cui la Locanda delle Grazie (che oggi ha anche 6 stanze) è una tappa imperdibile: un calore e una bellezza che vi accompagneranno nel tempo, e un'umanità che vi farà innamorare, come loro – Daniela e Fernando - lo sono del loro lavoro (e l'uno dell'altra). Per tutti questi motivi per noi la Locanda delle Grazie è un posto magico, la sintesi della grande trattoria italiana, quella che racconta il territorio e segue con attenzione l'intera filiera dei prodotti, e che merita i Tre Gamberi nella guida Ristoranti d'Italia del Gambero Rosso.

Quando ha aperto Locanda delle Grazie?

Dal 2001 siamo a Curtatone, in località Grazie, uno dei borghi più belli d'Italia. Ma la locanda ha aperto nel 1990 nel centro di Mantova, quasi davanti alla porta di Sant'Andrea. Io ci sto da allora, mentre Fernando è arrivato nel '97.

 

Cosa è cambiato in questi anni?

Il coinvolgimento, che sempre più grande, uno pensa: ora ho dato il massimo. Invece il giorno dopo fa ancora di più. E il giorno successivo pure. Ora abbiamo anche le stanze, prima una, poi tre, ora sono sei. Poi c'è l'orto, la scuola di pane per i bambini, i grissini, la sbrisolona e la mostarda che vendiamo confezionati per chi ce li chiede. L'entusiasmo è il motore propulsore, così ogni giorno riesci a trovare ancora energia da donare al lavoro.

 

In cucina invece qualcosa è cambiato?

Oggi è molto più leggera, con meno sale, meno zucchero. Ma senza però toglierli del tutto: uno la dieta la fa a casa sua, non in una trattoria.

 

E invece tra i clienti cosa è cambiato?

Si mangia di meno, un piatto magari con un antipasto da condividere e un dolcino, ma il pasto completo, dall'antipasto al dolce, non si fa più. Il menu degustazione lo abbiamo, ma che barba, meglio cambiare. Spesso ai clienti chiedo che vogliono mangiare la settimana prossima, io propongo sempre e cerco di accontentarli.

 

Quale è il segreto del successo così duraturo?

Forse l'atteggiamento: il mondo è cambiato e cambia sempre, chi non se ne accorge si ferma al palo, non si può solo dire che è un momento difficile o la stagione che non va. Si deve intuire quel che accadrà e che vorrà alla gente e proporglielo come fosse qualcosa fatto proprio per loro.

 

Solo questo?

C hanno aiutato molto le guide, hanno portato nuova clientela, quella di passaggio. Così abbiamo allargato il bacino di utenza ai turisti e a chi si trova in zona per piacere o per lavoro, persone che vogliono un consiglio su dove mangiare: la clientela oggi ha bisogno di sicurezze, non puoi disattenderle, anche se gli scivoloni sono sempre in agguato.

 

Cosa è rimasto della vecchia locanda?

Noi siamo sempre stati abbastanza contemporanei. Cerco di andare davanti: non seguire quel che vuole la gente ma vedere se gli altri seguono me. Ovvio che se posso accontentare un cliente lo faccio, se è una cosa che piace anche a me, ma lo faccio perché voglio bene a lui e al mio lavoro. Amo il mio lavoro.

 

Chi sono i vostri clienti?

Ho dei clienti che da noi hanno festeggiato la comunione, e li ho avuti sempre qui, dalla laurea al matrimonio alla comunione dei loro figli. E poi ci sono i nuovi sono arrivati, guardo con felicità quando arrivano le coppiette dei morosini, poi tornano con i loro genitori, mi sento parte dei loro avvenimenti.

 

Ma ci sono solo famiglie?

C'è anche chi viene per pranzi di lavoro e quando sento che qualcuno porta i suoi clienti per fargli assaggiare la vera cucina mantovana, quella di famiglia, mi gongolo, e forse faccio peccato. Ci sentiamo parte di un momento di marketing, e non possiamo deludere nessuno, è importante. Ma ce la caviamo, un po' perché si parlano le lingue, un po' perché abbiamo girato il mondo e conoscendo come si mangia in altri paesi, riusciamo accontentare un po' tutti i clienti. Quando eravamo a Mantova, poi, venivano tante persone note, registi, politici, scrittori. Non ci si credeva.

 

Qui ci sono anche molti stranieri, che clienti sono?

Sono i più entusiasti, forse perché meno abituati alla cucina di casa. Molti tedeschi, perché siamo a mezz'ora dal lago di Garda, e negli ultimi anni anche inglesi, francesi, e gli americani che vengono in bici lungo il Po, siamo quasi sul Mincio e il panorama è qualcosa di irripetibile, da film di Pupi Avati. Arrivano preparati, non per caso, ma per me ogni cliente è importante, anche quello che ho incuriosito io, che sono capacissima di tirare dentro le persone. Anzi forse ancora di più perché mi sento responsabile.

 

Quanto conta la location nel successo di un locale come il vostro?

È importante, ma anche le persone che lo fanno sono molto importanti. Da sola non basta: è una bella scatola, ma se no ci metti dentro qualcosa, quando la apri è una delusione.

 

Ma che cucina è quella di Locanda delle Grazie?

Di famiglia. La cucina di una zia che sta in campagna. Non abbiamo presentazioni, fiori o altro e i nostri piatti sono uno diverso dall'altro. Ci sono una bella tagliatella con anitra, i maccheroni con stracotto, o il brodo di cappone che si fa tutti i giorni, perché quando verso sera tira su un po' di venticello, un agnolo in brodo ci sta proprio bene.

 

In cosa si discosta il vostro locale dalle insegne tradizionali?

Ci sono altre trattorie qui, e anche se non sono segnalate dalle guide a indicarle, sono tutte buone. Ma ognuno fa il suo lavoro, io propongo solo quello in cui credo, ho l'orto, voglio le farine biologiche, le uova di campagna e un cappone cresciuto bene e libero. E a volte questo fa la differenza. Ho la mia filosofia: fai mangiare quel che vuoi mangiare te. Ecco: io vorrei mangiare così, servito così, e pagare questo conto qui. Devo preservare il mio cliente sotto il punto di vista della salute, del benessere e del portafoglio.

 

Anche per quanto riguarda il vino?

Da quest'anno non compro più vini prodotti con uve coltivate con diserbanti, tendo ad avere etichette di giovani agricoltori che fanno fatica a emergere perché fuori dai circuiti dei grandi distributori. Voglio poter dire al mio cliente che può bere senza timori un vino, che il giorno dopo non starà male e fargli scoprire qualcosa di buono. Mi piacciono molto le novità, pesco chicche qua e là per l'Italia e soprattutto del nostro territorio, il lombardo veneto, in cui ci sono molte belle cantine; è cambiato il clima e l'enologia mantovana se ne è molto avvantaggiata.

 

Come riuscite a promuovere i produttori della zona?

Abbiamo un bel cestino di pane e grissini, Fernando fa un pane con la farina numero uno e un bel bicchiere di vino ci sta proprio bene, così col pane offriamo un bicchiere di vino di qualche cantina vicina, ma quando ci va apriamo anche altre cose e le diamo al bicchiere, perché il vino va divulgato. A me piace, mi diverto, voglio fare una bella figura, ma anche far funzionare la mia azienda, e così funziona. Sono sognatrice ma con i piedi per terra.

 

Difficoltà trovare personale?

Siamo una 15ina di persone. Non è facile trovare le persone giuste ma quelle che non lo sono si eliminano da sole. Abbiamo la fama di essere un posto in cui si impara a lavorare, non tanto per me ma per Fernando che è bravissimo, umano e pacato.

 

Parliamo di produttori e di materia prima. Chi sono i vostri fornitori?

Abbiamo il nostro orto e già ci sono insalate e cetrioli, poi abbiamo fagiolini, erba Luisa, erba di San Giovanni e altre erbe aromatiche con cui facciamo i ravioli. Abbiamo anche alcuni fornitori: non ci interessa che siano certificati biologici, ma che non usino pesticidi, o altre cose. È più difficile e a volte antipatico, ma è importante, perché tutela noi e il cliente.

 

Ma c'è un piatto che vorreste togliere ma i clienti chiedono sempre?

No no, i nostri piatti non li lasciamo, tengo tutto. Il nostro menu non è di stagione, il cotechino lo facciamo anche ad agosto.

 

Quale è il piatto su cui avete osato di più?

Un giorno dovevamo fare un piatto energetico ma leggero. Abbiamo fatto un cestino croccante di grana grattugiato con dentro gelato di formaggio, con prosciutto crudo di Mantova di un produttore che sta a 3 chilometri. Due foglie di mostarda che facciamo per i tortelli di zucca. Pensavamo non lo avrebbe voluto nessuno e invece è ancora in carta, lo chiedono in molti, come un antipasto o un secondo leggero.

 

Siete premiati con i Tre Gamberi, la massima valutazione per le trattorie. Non hai mai pensato di spingervi più verso un altro tipo di ristorazione?

No, no! Amo molto toccare il cliente, spesso gli metto una mano sulla spalla o gli do una carezza quando esce. Ermanno Olmi a Mantova voleva stare sempre vicino alla porta per vedermi salutare tutti. Ammiriamo chi fa un altro tipo di ristorazione, ma non siamo capaci, tutti abbiamo una chiamata nella vita, la nostra è questa.

 

Locanda delle Grazie – Curtatone (MN)via Pio X, 20376 348038

 

a cura di Antonella De Santis

 

UberEats a Napoli in partnership con McDonald's. Servirà a domicilio anche i fiocchi di neve di Poppella

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E poi i panini di 50Panino firmati Ciro Salvo, la pizza, il gelato di Casa Infante. Sono 50 i ristoranti che aderiscono al lancio del servizio nel capoluogo campano, che anticipa il debutto di UberEats nelle principali città italiane entro la fine del 2018. Fondamentale l'accordo con McDonald's. 

 

Le origini di UberEats

Di UberEats, l'app per la consegna a domicilio di cibo appoggiata alla piattaforma californiana che ha rivoluzionato il servizio con conducente nel mondo, abbiamo seguito tutte le manovre di espansione. Dalla nascita del servizio di food delivery che ha trasformato gli autisti del circuito operativi nelle principali metropoli americane in pony express (tra la fine del 2015 e l'inizio del 2016 la piena operatività di un'idea perfezionata a Los Angeles a partire dal 2014) ai primi approcci europei, cominciando da Parigi. E poi il debutto in Italia, a Milano, nell'autunno 2016, con un circuito di 100 ristoranti convenzionati per cominciare, consegne gratuite e nessun limite di spesa minimo per effettuare l'ordine, in promozione lancio, per sondare il terreno e determinare i margini di successo in un mercato che proprio allora cominciava a farsi piuttosto affollato. Il meccanismo, sempre lo stesso, con Uber a fare da intermediario tra il ristorante che offre il servizio e i corrieri, mettendo a disposizione la propria piattaforma online in cambio di una percentuale trattenuta al ristoratore. Dopo i primi test tra Milano e Monza, in queste ore UberEats scende di nuovo in campo con più vigore, ripartendo da Napoli, dove il servizio sarà operativo a partire da mercoledì 30 maggio, coinvolgendo 50 ristoranti partenopei, prima di raggiungere, entro la fine del 2018, le principali città d'Italia. E in partnership con McDonald's, per conquistare un mercato sempre più appetibile, ma concorrenziale.

 

UberEats a Napoli

Un accordo che già nel resto del mondo ha reso possibile usufruire del servizio McDelivery offerto dal fast food americano tramite UberEats, ma che porta a Napoli porta con sé ben altre opportunità per beneficiare della consegna a domicilio tramite il circuito Uber. Dunque, sicuramente il core business sarà assicurato dalla collaborazione con i 5 punti vendita di McDonald's in città che propongono il McDelivery (galleria Umberto, Municipio, Piazza Garibaldi, Stadio Fuorigrotta, Vomero): servizio disponibile a pranzo e cena, in un raggio di 2,5 km dai locali, senza spese di consegna e in esclusiva per Uber. Ma la piattaforma di UberEats Napoli permetterà di ordinare via app (per Ios e Android) anche presso insegne locali piuttosto celebri, tra ristoranti tradizionali, etnici, pasticcerie, insegne di street food. Come per esempio la pasticceria Poppella, famosa per i golosi fiocchi di neve, o 50Panino, la casa del panino firmata Ciro Salvo; entrambi partner eccellenti decisi a sposare la causa, insieme ad altre realtà come Capatoast, il gelato di Casa Infante, Giri di Pasta ai Tribunali, la pizza dei Pizzaioli Veraci.

 

www.ubereats.com

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