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La Cena Itinerante a Faenza in occasione di DAWE. Far vivere la città nel segno di arte e cibo d'autore

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È solo uno dei tanti appuntamenti del weekend faentino in scena dal 18 al 20 maggio, ma probabilmente il più suggestivo: 50 spazi della città aperti a chef, ristoratori, osterie, cantine, birrifici in arrivo da tutta la regione, per animare una serata di festa. Poi la passeggiata per scoprire il foraging urbano, e le colazioni collettive della domenica mattina. 

Nel 2017 l'anniversario della decima edizione (in 8 anni) ha riunito 15mila presenze da tutta Italia. Con l'auspicio che la Cena Itinerante di Faenza possa continuare ad animare la cittadina emiliana per i prossimi 10 anni (e più) a venire. Fondata com'è su un concetto di valorizzazione che vuole coinvolgere realtà artistiche e attività ricettive della città perché davvero si possa fare cultura dell'intrattenimento nel senso più nobile del temine, la rassegna coordinata da Distretto A Faenza Art District (con il patrocinio del Comune e della Regione Emilia Romagna) continua a riscuotere un bel successo di pubblico e critica. Così, ancora una volta, e per il terzo anno consecutivo, l'evento ripete la formula che ormai sembra destinata a replicarsi un anno dopo l'altro: tre giorni anziché uno, per presentare al pubblico un contenitore ricco di opportunità, sempre imperniato sull'appuntamento storico con la Cena Itinerante del venerdì sera.

La Cena Itinerante del venerdì

L'obiettivo è quello di portare i visitatori alla scoperta del centro della città, lasciando che si perdano - guidati dalla mappa della manifestazione – in cerca di luoghi d'arte e spazi inconsueti (pubblici e privati) per una sera ripensati in funzione del cibo, e degli ospiti che anche quest'anno hanno raccolto l'invito della città. Ai blocchi di partenza, venerdì 18 maggio dalle 18.30, saranno in tanti: 46 tra ristoranti e osterie e 38 fra cantine, barman e birrifici in arrivo da tutta la regione, che si distribuiranno nell'area della città chiusa al traffico per l'occasione (a disposizione per gli spostamenti più lunghi le navette elettriche). Ai gastro-passanti il compito di lasciarsi guidare, muniti di calice e mappa, lungo un percorso gastronomico per tappe estremamente vario, e personalizzabile da ciascuno, tra ricette della tradizione e nuove proposte, vino, birra, cocktail. Le opzioni, del resto, spaziano dalla pizza contemporanea di 'O Fiore mio e Pummà agli assaggi d'autore di Benso (by Pier Giorgio Parini), Gianluca Gorini con la sua Romagna in fiore in versione da passeggio (gnocchetti al ragù di Mora romagnola, con semi di zucca, finocchietto e olive),Omar Casali e i suoi passatelli con vongole in porchetta e stridoli, dal Marè di Cesenatico. E poi i ragazzi di Raw Magna, cresciuti in seno al progetto Postrivoro, e i cestini da pic nic di Scamporella, che per una sera si trasferisce in città con le sue tovaglie a scacchi rossi, con la collaborazione di Alberto Faccani (chef patron del Magnolia di Cesenatico), che firmerà la proposta gastronomica da gustare in loco – bruschetta di vitello tonnato e taco di calamari - e sabato 19 tornerà di nuovo in strada con il furgoncino Magnolia to go, per proporre un'idea molto personale di cibo di strada.

Solo un assaggio di quello che offrirà questa grande festa gastronomica estemporanea, tra cappellacci di tarassaco e ortiche, crescentine, passatelli fritti, piadine, panino col culatello porchettato, cappelletti da passeggio al ragù per chi vuole restare sulla tradizione; ramen italiano, pita con intingoli dal mondo, pop corn aromatizzati e gin tonic, tartufi di salmone con maionese al wasabi per chi è in cerca di spunti internazionali. E la proposta dei truck operativi anche sabato 19.

Alla scoperta della città. Dal foraging alla street art

Senza dimenticare l'opportunità di visitare per tutto il fine settimana studi d'arte solitamente chiusi al pubblico e musei, e 68 eventi tra mostre, laboratori, concerti, performance, djset, raccolti sotto il cappello della DAWE, come si chiama la manifestazione da quest'anno: Distretto A Weekend. Sabato 19 maggio la concomitanza con la Wild Feral Food Week – settimana dedicata alla celebrazione del cibo selvatico ideata dal Berkeley Open Source Food – darà luogo a un'insolita passeggiata di foraging urbano lungo il fiume Lamone, tenuta da Valeria Mosca, ideatrice di Wood*Ing; l'esplorazione si concluderà con un aperitivo a base di vegetali selvatici. E nella mattinata di domenica 20 ancora spazio per passeggiate e visite guidate in città, dopo una colazione collettiva alle prime luci del mattino (e fino alle 13), nella Corte di Casa Sangiorgi o alla bottega di ceramiche La Vecchia Faenza. Spazio ovviamente pure all'arte e alla creatività della street art, con l'opera del vincitore dell'Urban Art Contest 2018, Tellas, che sabato scoprirà la prima parte del suo progetto Terra e Mare, sull'asse Faenza- Palermo (la seconda opera sarà presentata nel capoluogo siciliano il 16 giugno prossimo). Il programma degli appuntamenti è davvero articolato: il consiglio è quello di munirsi di una buona dose di curiosità, orientandosi mappa alla mano.

 

Dawe – Faenza – dal 18 al 20 maggio 2018 – www.distrettoafaenza.wordpress.com

 

a cura di Livia Montagnoli

foto Gruppo Fotografia Liceo


Naturale report. Assaggi dal Salone del Vino Artigianale a Capestrano

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Approdata da un paio d'anni a Capestrano, la fiera del vino artigianale che un tempo era a Navelli conferma il suo ruolo nel panorama enoico del Centro Italia, quello dei produttori-vignaioli il cui lavoro è, più che mai, in armonia con il territorio.

 

Ci sono eventi che sentono la necessità di sfruttare la scia di una grande manifestazione come il Vinitaly per ritagliarsi un posto al sole nel calendario del mondo del vino e altri che, forti della loro identità, non temono di scegliere date e luoghi, che a prima vista possono sembrare alternativi ed elitari, se non addirittura temerari.

Capestrano

Appartiene senza dubbio a questa seconda categoria Naturale. Salone del Vino Artigianale, che dopo le prime cinque edizioni tenutesi negli splendidi spazi del Palazzo Santucci di Navelli, per il secondo anno ha scelto come sede le suggestive architetture del XXV secolo del Convento di San Giovanni a Capestrano. Siamo nel cuore dell’Abruzzo, nell’alta valle del Tirino, a una quarantina di chilometri da L’Aquila. Capestrano e il suo Convento si trovano sull’ampio altopiano di Navelli, ai confini del Parco Nazionale del Gran Sasso, che chiude a nord l’orizzonte con le cime dei suoi monti. Il paesaggio è di una bellezza austera, riservata e silenziosa, quasi timida e introversa. La verde vallata è punteggiata da piccoli borghi che conservano intatto il loro volto antico, fatto di case in pietra e ripide viuzze acciottolate, ricche di scorci architettonici di rara bellezza.

 

Naturale. Salone del Vino Artigianale

Un’atmosfera schiva e rarefatta, che si ritrova anche all’interno delle sale del Convento di San Giovanni a Capestrano, che dal 12 al 14 maggio ha aperto le sue porte al vino artigianale. Naturale è una manifestazione organizzata dall’associazione culturale aquilana DinamicheBio con il Patrocinio del Comune di Capestrano, che si è ormai affermata come il più importante appuntamento enoico della regione.

 

L'edizione 2018

L’ultima edizione ha visto la partecipazione di una cinquantina di produttori italiani, oltre alla presenza di una selezione di etichette provenienti da diversi paesi europei. Nelle tre giornate si sono contate quasi 2.000 presenze, oltre a 550 operatori appartenenti al settore della ristorazione e delle enoteche. Il Salone del Vino Artigianale di Capestrano non è solo un’occasione per degustare e scambiare quattro chiacchiere con i produttori, ma anche per partecipare a seminari e conferenze, che ogni anno offrono lo spunto per riflettere in modo più approfondito sul mondo del vino. La rassegna è nata con l’obiettivo di valorizzare il ruolo del produttore-vigneron, che interpreta il suo lavoro in armonia con la natura, la storia e le tradizioni di un territorio. La viticoltura diventa così uno strumento per creare un legame tra il passato e il presente, con l’intento di realizzare vini dai sapori autentici, schietti e genuini. Il Vino Artigianale nasce senza l’utilizzo di prodotti di sintesi, lontano da banali omologazioni del gusto, per raccontare le caratteristiche varietali dei vitigni e l’unicità delle zone di produzione. L’interesse crescente degli appassionati per questa scelta produttiva dimostra come si stia diffondendo sempre più una sensibilità ai temi di una viticoltura sostenibile e attenta al rispetto della natura in tutti i suoi aspetti.

 

I nostri 10 migliori assaggi

 

Menfi Inzolia Dietro le Case '17 - Cantine Barbera

Una vecchia vigna di oltre 40 anni affacciata sul mar Mediterraneo, terreni d’antica origine marina ricchi di calcare e sassi, regalano un’Inzolia dal raffinato e intenso profilo iodato, con note di erbe della macchia mediterranea, cenni di zagara, ricordi salmastri e finale rinfrescante.

 

Launegild '16 - De Fermo

Coltivato nella Tenuta De Fermo fin dagli anni ’20, con barbatelle provenienti dalla Borgogna, lo chardonnay si è adattato benissimo alle colline di Loreto Aprutino, che con un solo sguardo vedono il mare Adriatico e le cime del Gran Sasso. Un bianco di grande finezza espressiva, fresco e vibrante, con note fragranti di melone cartucciaru, pesca bianca ed erbe officinali.

 

Trebbiano d’Abruzzo Apollo '16 - Ausonia

Vicino allo splendido borgo di Atri e alla Riserva Naturale Oasi WWF dei Calanchi, Simone Binelli coltiva una vecchia vigna a pergola di trebbiano abruzzese. Il vino esprime note floreali, aromi di frutta gialla e frutta tropicale, ben bilanciati da una vivace freschezza, che si distende verso un finale lungo e persistente.

 

Alture Bianco '16 - Gaspare Buscemi

Nasce da una selezione delle migliori uve coltivate nelle vigne del Collio Goriziano e dei Colli Orientali un vino dal volto tipicamente territoriale. È un blend di pinot bianco, friulano, ribolla gialla e altre varietà storicamente coltivate in Friuli, dal carattere fresco e delicato, teso e verticale nella sua essenziale finezza aromatica, tutta giocata su note floreali e di frutta bianca.

 

Forlì Bianco '17 - Marta Valpiani

Un’Albana dal profilo snello, caratterizzato da profumi floreali, aromi d’agrumi e cenni balsamici, quasi mentolati, che sconfinano nella macchia mediterranea. Il sorso è armonioso e attraversato va una vena fresca e sapida.

 

Tauma Rosato '17 - Pettinella

Tauma è un rosato ottenuto da una delicata vinificazione in bianco di uve montepulciano con semplice contatto in pressa. Il bouquet è elegante e fresco, sulle note di melograno e lampone, impreziosito da ricordi di spezie e frutti di bosco. Limpido e sottile, si apre al sorso con frutto maturo e finale dalla vivace acidità.

 

Alea Viva '16 - Andrea Occhipinti

Siamo a Gradoli, patria dell’aleatico, per una scommessa da tempo vinta da Andrea Occhipinti. Il suo Aleatico nasce sui terreni d’antica origine vulcanica nella zona del lago di Bolsena ed esprime i caratteri tipici di quest’antico vitigno aromatico, con profumi di petalo di rosa e violetta, frutto delicato, tannini lievi e finale di piacevole freschezza.

 

Cesanese del Piglio Sup. Lepanto Ris. '15 - Alberto Giacobbe

Da una vecchia vigna piantata negli anni ’50, nasce un rosso di medio corpo con fragranti aromi di mirtillo e piccoli frutti di bosco. I tannini lievi e la freschezza balsamica regalano un sorso dinamico e scorrevole, di grande piacevolezza.

 

Aglianico del Vulture Camerlengo '14 - Camerlengo

Sulle pendici dell’antico vulcano del Vùlture, nel comune di Rapolla, Antonio Cascarano ha recuperato le vecchie vigne di famiglia e produce un Aglianico intenso e complesso, dal carattere tipicamente austero e pietroso, con aromi di piccoli frutti a bacca scura e morbide spezie.

 

Taurasi Padre '11 - La Cantina di Enza

Cinque ettari di vigne a Montemarano, in provincia di Avellino, coltivate a oltre 400 metri d’altitudine, in una zona dal clima fresco e con notevoli escursioni termiche. Un Taurasi generoso, espressivo e profondo, prodotto solo in un migliaio di bottiglie da non farsi scappare.

 

a cura di Alessio Turazza

 

 

Passione birra. I prossimi appuntamenti: Spring Beer Festival, Arrogant Sour Festival, Birra del Borgo Day

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Scenografiche infilate di spine, approfondimenti sugli stili birrari, publican e mastri birrai riuniti per raccontare l'evoluzione della cultura brassicola, in Italia e nel mondo. Si comincia a Roma, col villaggio alla Città dell'Altra Economia. All'inizio di giugno le birre acide a Reggio Emilia e Birra del Borgo in festa. 

 

Spring Beer Festival a Roma

Si apre a Roma, in queste ore, la prima delle manifestazioni brassicole che movimenteranno le prossime settimane, per la gioia di chi il comparto dell'handcraft italiano l'ha seguito sin dall'inizio, incentivandone la crescita esponenziale degli ultimi anni, ma pure dei nuovi adepti, folgorati sulla via della birra artigianale. Dal 17 al 20 maggio sarà la Città dell'Altra Economia, all'ex mattatoio di Testaccio, a ospitare la quinta edizione di Spring Beer Festival, manifestazione consolidata - organizzato dall’Associazione Culturale Grain, da Maulbeere Birreria e da Arrosticini Tornese in partnership con UDBUnione Degustatori di Birra - che attira ogni anno molti addetti ai lavori. In tap list le proposte di 26 birrifici italiani e 4 ospiti internazionali, oltre al solito calendario di eventi per approfondire, degustare sotto la guida degli esperti, avvicinarsi a stili e fermentazioni.

Cominciando dall'appuntamento della prima serata, giovedì 17 alle 21, che indaga tra le pieghe di una tendenza che sta prendendo piede anche tra i birrifici che lavorano sulla qualità: la birra in lattina (a questo proposito, uno dei primi fautori del genere, Teo Musso, sta per lanciare a Milano il format Pop&Toast, birra in lattina Baladin e toast d'autore). Particolare anche il punto di vista della lezione del venerdì, alle 18, con un focus sulle juicy beer; a seguire, approfondimento sulle birre da meditazione. L'idea, insomma, è quella di fornire spunti inediti per raccontare le molteplici sfumature della cultura brassicola (nazionale e non), proprio a testimoniare quanto la crescita del mercato artigianale sia rimasta collegata a una solida evoluzione qualitativa, fatta di ricerca e mestiere. Nel fine settimana, spazio per le Saison e le Italian Grape Ale, e domenica chiusura goliardica con il Birrathlon. Ma al villaggio della birra si potrà anche mangiare, tra arrosticini abruzzesi e polpette della nonna, pulled porked e fajitas di pollo, tortillas e cartocci di pesce fritto: cibo goloso, porzioni generose in collaborazione con Arrosticini Tornese, Giano, Tacos&Beer, Porto Cervara, Er Supplì d'Alari, Beerstyle. Musica d'ordinanza, atmosfera di festa, ingresso libero, consumazioni a gettone. Dal pomeriggio fino alle 2 di notte.

Arrogant Sour Festival a Reggio Emilia

Arriviamo al primo weekend di giugno per segnalare due appuntamenti altrettanto consolidati dedicati ai birrofili. L'Arrogant Sour Festival ha esordito per la prima volta nel 2013 al seicentesco Chiostro della Ghiara di Reggio Emilia, su idea di Alessandro Belli, sommelier e appassionato di birra, intenzionato a incentivare la creazione di un circuito tra cantine, realtà brassicole e gastronomiche di qualità. La sesta edizione del festival andrà in scena dal 1 al 3 giugno, allineando 70 spine su scenografico bancone di 40 metri, con focus sulle birre acide d'Europa e del mondo, come dichiara il nome della rassegna, proposte a rotazione sulle spine o spillate dalle botti di maturazione (l'elenco completo, tra conferme e new entry, sul sito della manifestazione). Quest'anno la collaborazione con L'Ortica Wine Garden di Bologna offrirà pure una selezione di vini naturali, con la giornata di domenica 3 dedicata ai vignaioli indipendenti (e non solo italiani). E poi ci saranno i publican, veri protagonisti della scena, che ogni anno prendono parte alla festa. Tra loro volti noti ai fedelissimi della prima ora, da Giorgio Chioffi di Mastro Titta ad Andy Mengal e Jean Hummler del Moeder Lambic di Bruxelles, da Giampaolo Sangiorgi di Lambrate a Valentino Roccia di Pork'n'roll. Ricco il calendario dei workshop (a pagamento), con Lorenzo Kuaska alla scoperta dei birrifici statunitensi o del mitico Cantillon di Bruxelles; e poi abbinamento birra e cioccolato, fermentazioni spontanee, produttori vinicoli e mastri birrai a confronto. Imperdibile per chi vuole scoprire il mondo delle birre acide, che può regalare grandi soddisfazioni.

Birra del Borgo Day

Lo stesso weekend, però, va in scena anche il canonico appuntamento con il Birra del Borgo Day, festa del birrificio laziale di Borgorose che ogni anno raduna migliaia di visitatori. Tre giorni, 130 spine, più di 40 birrifici, cotte pubbliche, visite guidate al birrificio, cibo. Con Niko Romito e il suo progetto pane (con un menu dedicato, nelle varianti al ragù, con baccalà e al pomodoro), Gabriele Bonci, i formaggi di Gregorio Rotolo, Franco Franciosi di Mammarossa (Avezzano), le ostriche di Corrado Tenace, i cocktail del Jerry Thomas, Leonardo Vignoli (Da Cesare al Casaletto) nel ruolo del perfetto oste romano, qui chiamato a mettere pace tra vino e birra. Tutto quello che serve per allestire una festa di compleanno coi fiocchi, officiata da Leonardo Di Vincenzo. E si va avanti fino a tarda notte.

 

Spring Beer Festival - Roma - Città dell'Altra Economia - dal 17 al 20 maggio - www.springbeerfestivalroma.it

Arrogant Sour Festival - Reggio Emilia - Chiostro della Ghiara - dal 1 al 3 giugno - www.arrogantsourfestival.it

Birra del Borgo Day - Borgorose (RI) - dal 1 al 3 giugno - www.birradelborgo.it

 

a cura di Livia Montagnoli

 

Jacopa a Roma. L'Hotel San Francesco punta su chef Jacopo Ricci

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Non solo 5 stelle lusso: a Roma anche gli alberghi più a misura d'uomo si confrontano con la ristorazione di qualità. A mettere in moto un cambio radicale, il giovane albergatore illuminato Daniele Frontoni, che chiama per il suo Jacopa, uno degli Anthony-Genovese-boys: Jacopo Ricci

 

24 camere e una terrazza con una vista che regala una vista inconsueta di Roma: l'Aventino con i Cavalieri di Malta, Sant'Anselmo e le chiese che arricchiscono il colle dall'altra parte del Tevere, il contiguo convento di San Francesco, l'edificio ex Gil di Luigi Moretti con le sue architetture razionaliste, Trastevere che si arrampica verso il Gianicolo e tutta la foresta di tetti che si vedono dall'ultimo piano dell'Hotel San Francesco. Siamo a Trastevere, nel cuore di Roma, ma discosti dal nugolo di vicoli sempre più preda di locali di bassa qualità per turisti mordi e fuggi ignari e poco attenti. Tant'è che le aperture più interessanti si stanno concentrando nei confini di questo quartiere bellissimo e depredato. Lo abbiamo visto con Seu Pizza Illuminati di Pier Daniele Seu, con l'imminente raddoppio della gelateria Otaleg di Marco Radicioni a un passo dalla pasticceria Le Levain di Giuseppe Solfrizzi, con l'originale progetto Ortica di Gabriele De Santis e con l'ultimo arrivato, Zia di Antonio Ziantoni, con cui – vedremo – il futuro dell'Hotel ha più di un elemento in comune. La rinascita gastronomica di questo quartiere ne lambisce i contorni e intercetta un modo nuovo di fare ristorazione: qualità, sì, ricerca anche, ma con un'attitudine leggera, snella e informale che restituisce la corretta prospettiva a una cucina che punta su giovani protagonisti di buona formazione e belle esperienze.

L'Hotel San Francesco

Un albergo aperto alla città

Questo è l'habitat in cui si inserisce il nuovo progetto interno all'Hotel San Francesco. Che punta, nei prossimi mesi, ad aprirsi alla città. Non solo stanze e colazioni per gli ospiti dell'albergo, ma anche bar, cocktail bar e ristorante per chi cerca, nel cuore di Roma, un angolo di relax e piacevolezza. L'idea è di Daniele Frontoni, rampollo di una dinastia di fornai che ha fatto la storia dell'arte bianca a Roma, con l'intuizione – in tempi non sospetti – di unire vendita e somministrazione con quella pizza bianca farcita al momento e moltissimi prodotti tra cui scegliere. Daniele, però, ha dirazzato, prendendo in gestione all'inizio del nuovo millennio il piccolo albergo nel complesso del convento di San Francesco a Ripa. Molte cose sono cambiate da quel 2001, quando la struttura è stata recuperata dopo anni di abbandono. Oggi, nel pieno della sharing economy, il mondo dell'ospitalità è cambiato: case vacanze e affitti tra privati hanno mutato il volto cittadino, e come i turisti entrano nelle case private, è tempo che anche i cittadini comincino a usufruire degli alberghi, come avviene nel resto del mondo. Con un percorso di vasi comunicanti che non può che giovare a tutti. Da qui nasce il nuovo progetto che interessa l'hotel. Insomma: invece di lamentarsi della concorrenza sleale di Airbnb, si prova ad agire adeguandosi ad un mercato che cambia. L'albergo necessiterebbe di una rinfrescata dopo tanti anni di servizio? E allora invece che dalle camere si parte dalle aree comuni, trasformando hall e sale colazioni in un pezzetto di città aperto a tutti. Nella convinzione che un cambio di atteggiamento renda così più appetibile il soggiorno anche un albergo di categoria media come questo, rilanciandone, indirettamente, il ruolo e l'offerta ricettiva.

La hall come si presenta ora

 

Specialty coffee e cocktail bar: spazio alle jam session

I cambiamenti più evidenti si concentrano nella hall, con quel bel pavimento in bianco e nero che rimarrà a dare identità agli ambienti. Praticamente la tradizionale reception si trasformerà in bar contemporaneo, con un ampio bancone a L pronto ad accogliere, sin dal mattino, ospiti interni ed esterni per un espresso o uno specialty coffee. “Ho un rapporto di amicizia con Fabrizio Rinaldi, ci sarà una sua miscela come prodotto base per l'espresso, e una carta dei caffè da cui scegliere sia per l'espresso che per altre estrazioni” spiega Daniele, che anticipa “avremo v60 e un'altra estrazione, e naturalmente cold brew per l'estate. Dipende però da quel che ci chiederanno”. Anche per la macchina nulla di deciso: “Mi piacerebbe mettere il Modbar Marzocco” confessa Daniele, ma qui stiamo nell'ambito dei desiderata e comunque non se ne parlerà prima di settembre. Riguardo alle miscele si andrà a rotazione. Rotazione è la parola chiave: dei prodotti, delle collaborazioni, dei piatti. Per esempio al cocktail bar che ancora non ha un barman resident ma – lascia intendere Daniele – sarà un luogo in cui creare sinergie con altre realtà capitoline “siamo molto, molto aperti alle collaborazioni, ci piacerebbe ospitare delle realtà già affermate” a prospettare una specie di programmazione con jam session e guest star “10 giorni uno, 5 un altro, vorremmo cambiare spesso, è un'idea che ci appassiona”. E non parla solo di bere miscelato, ma anche di tè, caffè, vini, olio con degustazioni e appuntamenti speciali. “Vorremmo che questo spazio vivesse il più possibile”.

Un rendering dello spazio rinnovato

Il rinnovo degli spazi

Nel frattempo sono cominciati i primi lavori. “Stiamo procedendo per gradi, finiamo una cosa prima di pensare all'altra” spiega Daniele. Il primo passo è la cucina, che necessita un adeguamento alle norme per avere la licenza di somministrazione agli esterni, poi sarà il momento del riassetto della terrazza dove un pergolato assicurerà ombra e refrigerio da cui godere del tramonto nelle sere d'estate, poi si penserà alla hall e alla sala oggi destinata alle colazioni e che poi diventerà sala ristorante. A firmare il rinnovamento degli spazi, Ernesto di Santo. Difficile fare previsioni, ora, sui tempi, ma si pensa di aprire la terrazza tra qualche settimana, e il ristorante dopo l'estate. Il nome del progetto gastronomico che così innerverà tutto l'albergo però è già deciso, preso a prestito da quello della via: Jacopa.

 

Jacopo Ricci (a sx) e Daniele Frontoni (a dx)

La terrazza: la cucina fredda ma non cruda di Jacopo Ricci

Si comincia con la terrazza, “preferiamo partire solo con un solo spazio e con una proposta semplice” spiega Daniele “meglio fare una cosa alla volta e lavorare senza affanno nei primi tempi” anche per rodare una struttura nuova alla ristorazione. Piatti freddi, anche se non necessariamente crudi: tartare, carpacci, ostriche, verdure, cose lavorate, ma che arrivano a tavola a temperatura ambiente, del resto la cucina al piano terra impone delle scelte precise. “Non sarà una terrazza in cui andare per la cena, ma avremo una scelta di piccole porzioni per accompagnare la bevuta” spiega Jacopo Ricci che si occuperà della cucina. Non è un volto nuovo per il panorama capitolino, quello di Ricci, 35enne che ha contribuito al successo di Secondo Tradizione nella seconda stagione, quella con la consulenza di Anthony Genovese, e proprio nella scuderia del Pagliaccio si è formato. “Genovese mi ha segnato moltissimo” spiega “lui è uno che cucina davvero. Uno che arriva prima di tutti e va via per ultimo, che è un esempio per chi lavora con lui” e aggiunge “uno che ti incoraggia e ti spinge ad andare, quando pensa sia arrivato il momento”. Un mentore, lo definiva Antonio Ziantoni, un altro che da via dei Banchi Vecchi ha preso la sua strada, come pure Federico Delmonte (suo il neonato Acciuga), Pierluigi Gallo (oggi nel centralissimo Giulia) e il duo Alessandro Miocchi e Giuseppe Lo Iudice, artefici di Retrobottega, locale che ha saputo smuovere le acque della ristorazione romana, da poco rinnovato. Insomma: la squadra dei Genovese boys si infoltisce, mettendo a segno una felice colonizzazione della città.

 

Il rendering della hall con il bancone bar

La cucina

Si punta a un mini menu con 3 proposte per ogni portata, e una spesa media che dovrebbe assestarsi sui 40-50 euro. “Una carta non standardizzata” la definisce Jacopo, “una carta che gira e cambia spesso, anche nella stessa giornata, e dove tutto parte dalla voglia di fare un piatto e lavorare un prodotto, più che da un bel prodotto trovato”. Anche perché poi, lavorando bene con i fornitori, quel che si desidera arriva. “Tra i fornitori ci sarà sicuramente Agricoltura Nuova” replica Daniele, che alla storica azienda biodinamica alle porte di Roma vuol fare riferimento per quanto riguarda ortaggi, carni, formaggi. Con l'idea anche di un prodotto su misura per loro, una carne allevata appositamente, per esempio, ma senza che questo condizioni una proposta che Jacopo vuole il più libera possibile: carni rosse importanti, anatra o germano reale, ma anche interiora o sapori più delicati, e poi gyoza o paste ripiene. “Nulla dei classici romani, però” avvisa Jacopo “perché per qualcuno una carbonara o una cacio e pepe sono quasi una scelta obbligata, di fronte alla quale tutto il resto passa in secondo piano” spiega, e aggiunge “vorremmo che ci si divertisse con la cucina”. Giocando anche con abbinamenti inconsueti: soft o long drinks, per esempio, ma anche estratti e infusi da alternare ai vini, “sarà una carta non enciclopedica, di circa 50 o 60 referenze, originale ma senza troppi eccessi” spiega ancora Jacopo. E anche in questo caso, i recenti trascorsi al Pagliaccio, di sicuro si faranno sentire.

 

Il logo di Jacopa

 

Jacopa – Hotel San Francesco – Roma – via Jacopa de' Settesoli, 7 – 06 06 58300051- https://www.hotelsanfrancesco.net/- a partire da giugno\luglio 2018

 

a cura di Antonella De Santis

 

 

Profilazione nei ristoranti. Pro e i contro della digitalizzazione

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Provenienza, allergie, richieste speciali: più informazioni si hanno sul cliente del ristorante, più lo si può servire meglio. È davvero così? Nel numero di maggio del mensile del Gambero Rosso, in questi giorni in edicola, abbiamo svolto un'indagine. Qui un estratto.

 

Gestire il cliente quando ancora non c’è. Questa è la sfida di una buona parte dell’alta ristorazione. Per dare un servizio migliore, per prevenire gli inconvenienti, per far sentire tutti seguiti in maniera sartoriale (ma col rischio della spersonalizzazione del rapporto al contempo). Ci troviamo – almeno in Italia, dove questi processi sono tradizionalmente più lenti – nell’esatto momento di passaggio tra approccio artigianale e gestione di marketing dei rapporti tra ristorante e cliente. Che anche grazie a nuovi applicativi tecnologici sono in fase di ebollizione.

L’arrivo al ristorante avviene molto prima dell’arrivo al ristorante. È a partire dalla prenotazione che il team di sala ha tutto il tempo per elaborarne un (ipotetico) profilo, raccogliere dati e prepararsi a ricevere il cliente nella maniera più completa. Chi si occupa di questo? Quando lo fa? Come si fa? “La gestione delle prenotazioni è un passaggio delicatissimo, perché è in questo momento che si stabilisce il primo contatto con il cliente – spiega Dario Laurenzi, titolare di Laurenzi Consulting, società di consulenza nel settore food&beverage, e docente alla Gambero Rosso Academy – È una sorta di preview di come il ristorante tratta i suoi clienti e darà modo a quest'ultimo di farsi un'idea delle attenzioni e del livello e tipologia di servizio che riceverà, una volta messo piede nel locale. Va da sé che è quindi importante affidare la gestione delle prenotazioni a una persona precisa, che possa già informarsi per telefono su eventuali allergie o se la reservation è per una serata informale o per un compleanno; deve essere brava a gestire le invadenze del cliente dalle, anche frequenti, richieste bizzarre (come portare cibo o drink da casa). La figura addetta deve essere quindi capace di gestire il flusso delle prenotazioni ma anche il cliente stesso, senza risultare mai sgarbata e cercando di accontentare sempre il cliente”.

I vantaggi della prenotazione online

Oggi la prenotazione di un tavolo al ristorante avviene prevalentemente per telefono oppure online, tramite applicazioni e software che permettono al cliente di effettuare l’operazione facilmente, in qualsiasi momento e qualsiasi ora. I principali software di prenotazione sono The Fork e Prenota – web; alcuni programmi come Io Ristoratore, Passepartout Menu e Bacco nati come gestionali per la ristorazione (per l’attività di presa comande, statistiche di vendita o organizzazione del magazzino) oggi permettono anche la prenotazione e sono dunque accessibili dall’esterno direttamente dai clienti. A livello internazionale, c’è naturalmente Open Table. Dal punto di vista del ristoratore, i software permettono di avere una reperibilità continua e una lista di prenotazioni costantemente aggiornata. Ma in realtà il vero valore aggiunto è un altro: poter gestire in maniera strategica il database dei clienti. Molti programmi per la prenotazione online infatti sono gratuiti, quello che fanno pagare è proprio la possibilità di gestire i contatti con un approccio di marketing. Come? Creando ad esempio mailing list e fidelizzando il più possibile il cliente, annotando le sue richieste o necessità e tenendo traccia del numero delle visite, il numero dei commensali, le eventuali lamentele e infine anche i no-show (quando chi prenota non arriva).

I dati che servono per la prenotazione, possono così essere archiviati e consultati. I clienti quindi possono essere schedati. Questa attività serve? E come deve essere svolta perché sia effettivamente utile al ristoratore e al cliente?

Cameriere con il binocolo. Disegno di Marcello Crescenzi

Come funziona la profilazione del cliente

Le più accreditate teorie di marketing suggeriscono che profilare il proprio cliente (ossia raccogliere informazioni, elaborarle e conservarle per poterle rielaborare di nuovo) sia il modo migliore di offrire un servizio personalizzato, prevenire i suoi bisogni e quindi tenerlo fidelizzato. Inutile dire che un cliente fidelizzato ha più valore rispetto a un cliente nuovo. La profilazione dei clienti è una prassi diffusa nelle attività di e-commerce e in generale per le aziende che si occupano di vendita e servizi, specie online. Ma ha un suo senso anche nel business della ristorazione: più informazioni si hanno, più si può accogliere meglio. Provenienza geografica, allergie o intolleranze alimentari, richieste speciali possono essere archiviate e conservate nella “scheda cliente”. E poi naturalmente cercare di capirne l’identità in maniera un po’ più artigianale tramite i mezzi che la tecnologia mette a disposizione: googlare il suo nome, per esempio, in modo da riconoscerne la faccia all’arrivo o anche scoprire che mestiere fa.

La cosa diventa poi assai più cruciale se ci spostiamo nel mondo dell’alta cucina, dove interpretare e anzi spesso prevenire i desideri dei clienti è una religione. Ma ci sono degli aspetti molto delicati da tenere in considerazione. Ecco una storiella realmente accaduta. Attiene al customer journey, ovvero quel percorso che tutti noi facciamo quando acquistiamo un bene o un servizio. Anche per disvelare i limiti di questa crescente schedatura.

I limiti della profilazione

Dunque: una coppia di amici, Rosa e Mario, vanno spesso a cena insieme in ristoranti blasonati e costosi. Qualche tempo fa sono andati in un ristorante dove lei non era mai stata, lui sì. Ha pensato lui a prenotare un tavolo per due. Poco dopo essersi accomodati e prima di ordinare, arriva un cameriere con gli amuse-bouche. Senza dire nulla, serve Mario con tre bocconcini colorati e invitanti, e serve invece a Rosa una versione diversa degli stessi poiché, specifica il cameriere: “a lei abbiamo preparato qualcosa di diverso per la sua intolleranza ai latticini”. Sarebbe stato un gesto premuroso, se Rosa fosse davvero intollerante ai latticini. Ma Rosa non è intollerante ai latticini e sul tavolo cala un silenzio imbarazzante. Mentre il cameriere sparisce in cucina per tornare pochi minuti dopo con altri amuse-bouche, Mario capisce cosa è successo: al ristorante si erano ricordati che lui qualche tempo prima (tre anni prima, per la precisione) era già stato lì in compagnia di un’altra donna, Anna, che è in effetti intollerante ai latticini. Insomma, Mario era stato schedato.

Profilare o non profilare quindi? E se profilare in che modo farlo al meglio per non generare delle gaffes? Come si comportano nei ristoranti di alta cucina? Abbiamo cercato di rispondere nel nuovo numero del mensile del Gambero Rosso.

 

a cura di Martina Liverani

disegni di Marcello Crescenzi

 

QUESTO È NULLA...

Nel numero di maggio del Gambero Rosso, un'edizione rinnovata in questi giorni in edicola, trovate tutta l'indagine, dove abbiamo coinvolto Raffaele Alajmo, Sandra Ciciriello(maître e sommelier di Alice Ristorante a Milano),lo chef Yoji Tokuyoshi, Antonia Klugmann e Romano De Feo de L'Argine a Vencò. Un servizio di 8 pagine che include anche un focus, a firma di Antonella De Santis, sull'annosa questione del “no show” con un viaggio tra i ristoranti, italiani e non, che riescono a farsi pagare la cena in anticipo. Non solo, abbiamo selezionato 10 servizi di prenotazione online tra Europa e Usa.

 

Il numero lo potete trovare in edicola o in versione digitale, su App Store o Play Store

Abbonamento qui

 

 

Food, Beer & Music alla Città del gusto Roma. Una serata per scoprire la birra artigianale con il Gambero Rosso

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Il 24 maggio l'appuntamento è alla Città del gusto di Roma, che per una sera si trasforma in paradiso per gli amanti della birra, riunendo diverse realtà artigianali del settore brassicolo nazionale, in collaborazione con UDB. Ecco i dettagli sulla serata, e come partecipare. 

Le serate speciali del Gambero Rosso

Con la bella stagione alle porte, la Città del gusto Roma torna a farsi contenitore di intrattenimento gastronomico (e non solo) di qualità. Dopo il successo della scorsa edizione, anche l'estate 2018 sarà scandita da un ciclo di appuntamenti tematici all'insegna del buon cibo, vino, birra e musica, che insieme contribuiranno a rendere ogni serata un evento unico nel suo genere, con l'obiettivo di coinvolgere un pubblico trasversale. Lo spazio sarà quello del cortile della Città del gusto, a pochi metri dal verde di Villa Pamphili, allestito per l'occasione come un salotto urbano che riunirà produttori e prodotti artigianali, esperti del settore gastronomico, artisti e musicisti. Inaugura il ciclo, il prossimo 24 maggio, la serata Food, Beer & Music, appuntamento dedicato all'ascesa del comparto brassicolo artigianale, che nel nostro Paese è rappresentato da un numero crescente di piccole realtà che valorizzano il mestiere del mastro birraio.

 

Birra artigianale, buon cibo, musica

Dalle 18,30, quindi, saranno diversi i birrifici chiamati a presentare le proprie etichette in degustazione (in partnership con UDB), in abbinamento con specialità gastronomiche di mare (dalla porchetta di tonno allo speck di pesce spada), valorizzate dagli chef della Gambero Rosso Academy. Intanto, nelle cucine della Città del gusto andrà in scena il corso di degustazione guidata (dalle 19 alle 21) per imparare a riconoscere i diversi stili birrari, e perché no, carpire qualche suggerimento per l'abbinamento perfetto in tavola. Chi vorrà, infatti, potrà partecipare al corso Cucinare con la birra (19-22): una lezione pratica alla scoperta di nuove ricette che la birra la utilizzano come ingrediente che può fare la differenza in cucina. I partecipanti ai corsi potranno partecipare gratuitamente alla festa della birra in cortile, mentre chi acquista il biglietto per la serata avrà diritto a un assaggio di birra e food. In sottofondo il djset che animerà la serata alla Città del gusto. Solo l'inizio di una bella estate da trascorrere in compagnia, all'aria aperta, con le serate del Gambero Rosso. Il biglietto d'ingresso è acquistabile online sullo store del Gambero Rosso, non perdete gli aggiornamenti sulle prossime tappe.

 

Food, Beer & Music – Roma – Città del gusto, via Ottavio Gasparri, 13 – il 24 maggio, dalle 18.30 – ingresso 10 euro
Per saperne di più sulla degustazione e i corsi previsti per l'occasione clicca qui

Degustibus Sardinia Food Festival e Girotonno. Due eventi per scoprire la cucina sarda

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Sardegna in festa nel mese di maggio: domenica 20 va in scena Degustibus, una giornata dedicata alla gastronomia sarda che chiama a raccolta chef, produttori, vignaioli e giornalisti, mentre dal 24 al 27 torna Girotonno, il festival che celebra il tonno di Carloforte. 

Degustibus Sardinia Food Festival

Il lungomare di Quartu Sant'Elena si prepara a trasformarsi per un'intera giornata in un polo gastronomico sardo d'eccellenza: il prossimo 20 maggio, dalle 10 alle 24, Degustibus Sardinia Food Festival si propone di far dialogare i grandi rappresentanti della cucina sarda attraverso una serie di convegni, laboratori, degustazioni guidate e seminari. Una grande mostra mercato all'aria aperta, fra street food che reinterpretano il gusto della tradizione e chef di livello che porteranno in degustazione i loro piatti. Un villaggio gastronomico fronte mare dove confrontarsi su passato, presente e futuro della ristorazione della Sardegna, assaggiare prodotti unici e scoprire nuove realtà. Come le specialità de Il Giglio, agriturismo di Oristano che proporrà piatti di carne di produzione propria con verdure e frutta dell'orto, farine biologiche e legumi coltivati in casa, e poi il Liquorificio Pacini di Cagliari, presente dal '44 e da sempre punto di riferimento per i liquori sardi. Ancora Mammai conserve di Serrenti, Manu's pasta di Senorbi, Michelangelo Salis di Ploaghe con i suoi salumi, il pane carasau di Panificio Ferreli e poi pani, pizze alla pala e lieviti di stampo francese del nuovo PBread Natural Bakery di Stefano Pibi a Cagliari. In abbinamento, i vini del territorio, promossi in collaborazione con Fis Fondazione Italiana Sommelier. Spazio anche alla formazione con la partecipazione dell'Italia Chef Cooking School di Cagliari, il progetto di Gianluca Aresu e Giuseppe Falanga che offre lezioni singole e corsi di cucina per cuochi amatoriali e professionisti.

 

I laboratori

Un programma fitto di appuntamenti golosi, dal cioccolato ai vini: si comincia con l'abbinamento fra vini e latticini, con le etichette di Audarya e i prodotti di Argiolas Formaggi, per proseguire con quello fra cioccolato e distillati, guidato dal maestro gelataio e cioccolatiere Ruben Pili, che abbinerà i pregiati cacao ai liquori delle Distillerie Pacini. E poi l'accostamento fra le birre di Francesco Caboni e i mieli di Giuseppe Caboni, i finger food dolci e salati dello chef Giuseppe Falanga e il pasticcere Gianluca Aresu e il laboratorio di caseificazione insieme ad Argiolas. Presente anche un focus sul pane insieme all'azienda Porta, punto di riferimento nel territorio dal 1918, e quello sulla pizza insieme a Gabriele Valdes. Non mancheranno, inoltre, convegni sulla gastronomia sarda, dal turismo enogastronomico, presentato dal giornalista Giovanni Fancello de La Nuova Sardegna, all'evoluzione della pizza con Alessandra Gulgoni, docente dello IED di Cagliari, senza dimenticare l'importanza della sana alimentazione, insieme a Alessandra Addari, presentatrice di Videolina.

 

I protagonisti

Tanti, infine, gli chef e artigiani presenti alla manifestazione: Clelia Bandini, chef-patron del ristorante Lucitta di Tortolì e docente presso l’Accademia casa Puddu di Roberto Petza, a Baradili, Massimo Bosco della pizzeria Bosco a Tempio Pausania. Salvatore Camedda di Somu a San Vero Milis, Maurizio Frau, pasticcere e cioccolatiere cagliaritano, Marino Cogoni, responsabile di sala del Saint Remy, Leonildo Contis, maestro pasticcere di Sanluri, Pierluigi Fais, chef del ristorante Josto di Cagliari e titolare della celebre pizzeria Framento. Ancora Luigi Pomata dell'omonimo ristorante cagliaritano, Max Villani de L’Essenza Bistrot di Olbia, Vitalia Scano di Villamar e molti, molti altri ancora. Per una giornata all'insegna dell'autentico gusto dell'isola.

 

Girotonno a Carloforte

Intanto, fervono i preparativi anche a Carloforte, cittadina dalle tradizioni antiche situata sull’isola di San Pietro, nel sud della Sardegna, che dal 24 al 27 maggio ospiterà per il 16esimo anno consecutivo Girotonno, una festa del tonno, delle tonnare e soprattutto di un territorio custode di una cultura del tutto peculiare. Fra degustazioni, cooking show, itinerari alla scoperta dell'isola e musica dal vivo, uno dei frutti più prelibati del mare sarà celebrato in tutte le sue forme da chef di fama internazionale, per una quattro giorni di arte, gastronomia e spettacolo. Torna la competizione fra cuochi di tutto il mondo che premia il professionista più bravo nella cottura del tonno rosso, ma anche il Girotonno Tuna Village sulla Banchina Mamma Mahon, punto d'incontro tra i sapori della Sardegna e quelli della tavola giapponese. E poi il live show di artisti italiani che intratterranno il pubblico con la loro musica, e il Live Cooking, con la partecipazione degli chef d'alta cucina che si cimenteranno con la preparazione del pesce.

 

Degustibus Sardinia Food Festival – Quartu Sant'Elena (CA) – lungomare Poetto – 20 maggio 2018 - www.degustibuspoetto.it/

Girotonno 2018 – Carloforte – dal 24 al 27 maggio 2018 - www.girotonno.it/

 

a cura di Michela Becchi

I 40 anni del Lon Fon in 4 piatti. Il compleanno dello storico ristorante cinese di Milano

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Nel 1978 il ristorante cinese della famiglia Tsui apriva in zona Porta Venezia, pioniere della cucina cantonese in città. 40 anni dopo molti clienti di vecchia data frequentano ancora la tavola di Rita (Kam Kwan Fon) per ritrovare le sue ricette. 4, tra quelle storiche, ve le raccontiamo qui. 

Gli inizi di Lon Fon

All'inizio degli anni Sessanta Sing Cheng King arrivava in una Milano molto diversa da come la conosciamo oggi: atterrato da Shangai, nel giro di qualche anno sarebbe stato raggiunto da tutta la famiglia, che oggi, alla terza generazione, può dirsi pienamente (cino)meneghina. Fu lui - cuoco alla Pagoda di via Sarpi e poi al Mandarin 1, nel tempo in cui gli esempi di ristorazione cinese in città si contavano ancora sulle dita di una mano - a trasmettere la passione per la cucina a sua figlia Kam Kwan Fon (per tutti semplicemente Rita), che il 9 aprile del 1978, insieme a suo marito, inaugurava il ristorante Lon Fon in via del Lazzaretto, zona Porta Venezia. Da allora molto è cambiato, Milano assurge a capitale gastronomica internazionale e, specie negli ultimi anni, il palcoscenico della cucina cinese (ed etnica) in città si è affollato di attori protagonisti di tutto rispetto (basti pensare al caso imprenditoriale di Agie Zhou, punta di un iceberg dalle basi molto solide). Da Lon Fon, però, tutto è rimasto com'era: “Da 40 anni continuiamo a proporre la classica cucina cantonese da trattoria. C'è stato un momento in cui molti ristoranti cinesi hanno sentito l'esigenza di trasformarsi in tavole fusion, strizzando l'occhio alla cucina giapponese, soprattutto. Noi abbiamo continuato per la nostra strada, e per questo chi ci segue da sempre continua a tornare”. A parlare è Pui Ling (Angela), terza generazione della famiglia con le sorelle Mei Bou e Mei Fung: da 10 anni ha preso in mano la gestione del ristorante, ma in cucina c'è sempre mamma Rita, che guida una brigata di cuochi con l'esperienza di una vita.

 

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L'autentica cucina cantonese. Da 40 anni

Ogni mattina arriva alle 9, lavora ancora come un tempo, supervisiona, prepara a mano, davanti ai clienti, i ravioli che sono diventati famosi. Ci teniamo particolarmente: abbiamo scelto di continuare a proporne “solo” 7-8 varianti, perché qui tutto è preparato da noi, dalla pasta agli involtini”. Tra i piatti più graditi dai clienti, su una carta che spazia tra le specialità cantonesi che Lon Fon è stato tra i primi a importare a Milano, il crostino di gamberi, il galletto croccante, “e il nostro rombo, che oggi molti hanno ripreso, o gli spaghetti con il granchio”. Un anno fa molte delle ricette della casa sono state raccolte in un libro, “un'idea spontanea di un gruppo di clienti, che hanno voluto rendere omaggio alla cucina della mamma”. Pubblicazione quanto mai attuale per celebrare il 40esimo anniversario dall'apertura di Lon Fon, che qualche giorno fa ha riunito tanti personaggi della Milano vip (sono molti quelli che frequentano abitualmente il ristorante: Maurizio Cattelan e Pierpaolo Ferrari in passato gli hanno dato spazio anche su Toiletpaper) e i clienti di sempre: “Un'emozione ritrovarli tutti. Molti si ricordano ancora di me piccolina, tra i tavoli: avevo appena 2 anni quando i miei genitori aprirono il ristorante. Certo, oggi si è avvicinata anche una clientela diversa, molti giovani. E tanti che entrano col pregiudizio sulla cucina cinese, perché magari l'hanno conosciuta nel modo sbagliato”. Da Lon Fon c'è ampio margine per ricredersi. Le ricette che ci ha regalato la famiglia Tsui non fanno che confermarlo.

 

Insalata di tofu

Ingredienti:

2 quadrotti di tofu

1 carota

1 gambo di sedano

sale

 

Procedimento:

  1. Tagliate il tofu, il sedano e le carote a listarelle sottili.

  2. Scottate le verdure in acqua bollente per 5 minuti. Aggiungete il tofu per ultimo.

  3. Scolate bene e raffreddate le verdure sotto l'acqua corrente così che restino croccanti e non perdano il colore.

  4. Condite il tutto con sale e olio di sesamo.

  5. Servite a temperatura ambiente.

 

Ravioli di carne con pasta fredda

Ingredienti per la pasta:

farina di grano tenero

acqua

 

Ingredienti per il ripieno:

carne di maiale tritata

carne di manzo tritata

1 cipollotto

zenzero fresco

 

Procedimento:

  1. Impastate sulla spianatoia la farina e l'acqua fino a ottenere un composto elastico e morbido.

  2. Lasciate riposare la pasta per 30 minuti avvolta nella pellicola. Non va lasciata più di trenta minuti o l'impasto diviene molle, appiccicoso e difficile da stendere.

  3. Dividete l'impasto in palline da 50g e tiratele fino ad ottenere dei grissini da 1 cm di diametro.

  4. Ricavate da ogni grissino degli gnocchetti da 6g.

  5. Appiattite gli gnocchetti con il palmo della mano e, con l'aiuto di un manico di scopa, ricavate dei dischetti da 10 cm di diametro. Ogni dischetto deve avere i bordi più sottili del centro.

  6. Mettete al centro del disco un cucchiaio di ripieno a crudo.

  7. Piegate a metà il dischetto e chiudete i bordi come a formare un fiocco.

  8. Bolliteli in un brodo vegetale o di pollo e serviteli ben caldi.

 

Granchio con spaghetti

Ingredienti:

1 granchio fresco

Fecola di patate

Zenzero fresco

Mezzo cipollotto

Spaghetti di soia

2 mestoli di brodo vegetale o di pollo

Mezzo mestolo di vino cinese o di sherry

1 cucchiaino di sale

Mezzo mestolo di salsa di soia

 

Procedimento:

  1. Pulite il granchio aprendolo ed eliminando le interiora.

  2. Staccate le chele e le zampe e rompetele con un batticarne, così da agevolare l'estrazione della polpa.

  3. Tagliate il cipollotto e lo zenzero in piccoli pezzi.

  4. Cospargete il granchio con la fecola di patate per evitare che la polpa si stacchi durante la cottura.

  5. Friggete per pochi minuti in olio bollente.

  6. Scaldate due mestoli di brodo nel wok.

  7. Aggiungete il vino cinese, il sale e la salsa di soia.

  8. Portate a ebollizione, quindi aggiungete il granchio. Coprite la pentola con un coperchio e cuocete a fuoco lento per una decina di minuti.

  9. Aggiungete infine gli spaghetti di soia, lo zenzero e il cipollotto e cuocete per altri 10 minuti.

 

Rombo destrutturato

Ingredienti:

1 rombo da 800g

1 carota

2 zucchine

mezzo cipollotto

alghe cinesi disidratate

brodo di gallina

fecola di patate

zenzero fresco

sale

 

Procedimento:

  1. Incidete con il coltello il bordo del pesce, partendo dalla testa e seguendo la figura lungo le pinne.

  2. Staccate la carne dallo scheletro e ripulitela dalla pelle.

  3. Friggete per dieci minuti lo scheletro del pesce, testa compresa.

  4. Strizzate le alghe e tagliate le verdure grossolanamente.

  5. Tagliate i filetti del pesce in quadratoni togliendo eventuali lische.

  6. Infarinateli con la fecola di patate e salateli.

  7. Saltate pesce e verdure, alga esclusa, per tre minuti.

  8. Toglieteli dalla padella e sciacquate il wok.

  9. Aggiungete un mestolo di brodo, salate e cuocete per due minuti tutti gli ingredienti.

  10. Appoggiate la lisca fritta sul piatto da portata.

  11. Adagiate il pesce e le verdure sulla lisca e servite caldo.

 

a cura di Livia Montagnoli


Montalcino che cambia vol. II. I piani di Alejandro Bulgheroni Family Vineyards

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Continua il ciclo di interviste ai grandi gruppi stranieri che hanno investito nel territorio montalcinese. Dopo quella al nuovo ceo di Biondi Santi, ecco i progetti di ABFV: creazione di cru, sostenibilità e ospitalità. Il futuro? Magari in Lombardia, ma per ora si lavora su Chianti Classico, Brunello e Bolgheri

 

Con il passaggio di proprietà di alcuni dei marchi più prestigiosi, la filiera produttiva montalcinese sta subendo delle importanti trasformazioni. In questa nuova fase della storia di Montalcino, non sono più le famiglie o i singoli a intervenire bensì sono gruppi finanziari, soprattutto esteri, con ambiziosi progetti di sviluppo e con logiche di bilancio stringenti. Ciò, secondo alcuni, rappresenterebbe un rischio perché porterebbe alla diluizione del legame tra aziende e territorio così tipico dell'esperienza montalcinese e a cui si attribuisce gran parte dei successi del Brunello di questi anni. Con le attuali quotazioni della terra e dei vigneti, notano altri, difficilmente un giovane montalcinese potrebbe permettersi di dare vita a una nuova azienda o più semplicemente ipotizzare un ampliamento della propria. C'è da notare però che nessuna delle cantine passate di mano (Biondi Santi, Poggio Antico, Cerbaiona, Poggio di Sotto, Podere Brizio, ecc.) aveva la possibilità di assicurare un turn over interno oppure la capacità finanziaria per rilanciare l'attività.

 

Alejandro Bulgheroni Family Vineyards

Per capire meglio la portata dei cambiamenti in atto, abbiamo parlato con gli esponenti di alcune nuove proprietà con cui abbiamo discusso di programmi e di progetti. E così, dopo l'intervista al nuovo ceo Biondi Santi, Olivier Adnot, ora è la volta della ABFV (Alejandro Bulgheroni Family Vineyards) che nel corso del tempo ha costruito un importante insediamento a Montalcino. Dopo l'acquisizione di Poggio Landi (2012), storico podere della Fattoria de Barbi, è seguita Podere Brizio (2013), già dell'imprenditore bresciano Roberto Bellini (presente a Montalcino sin dagli anni Settanta con l'azienda Chiesa di S. Restituta), e infine le Tenute Vitanza (2016), nate per opera di Rosalba Vitanza e Guido Andreatta da un primo nucleo creato nel 1994. Si tratta di quasi 70 ettari di Brunello oltre a Rosso di Montalcino, Chianti e Igt. Il gruppo, inoltre, ha proprietà in Chianti Classico (Dievole) e Bolgheri (Tenuta Le Colonne e Tenuta Meraviglia). Complessivamente gli investimenti sono stimati in circa 120 milioni di euro. ABFV, inoltre, è presente con aziende vinicole in Argentina (Mendoza), Uruguay (Garzón), California (Napa Valley), Bordeaux (Cadillac Côtes de Bordeaux) e a Barossa in Australia.(www.bulgheroniwine.com).

 

Chi è Alejandro Pedro Bulgheroni

Classe 1944, Bulgheroni, come buona parte degli argentini, vanta origini italiane. La famiglia di suo padre era comasca e proprio da lui ha ereditato l'attività di famiglia, trasformandola insieme al fratello Carlos, in uno dei colossi mondiali dell'energia (petrolio e gas) dal valore di oltre 5 miliardi di dollari. Secondo la rivista Forbes, nel 2018 la stima netta del suo patrimonio personale è di 3 miliardi di dollari (primo posto in Argentina, 791esimo tra gli uomini più ricchi del mondo). Dalla fine degli anni Novanta Bulgheroni e sua moglie Bettina hanno sviluppato progetti avanzati di agricoltura, allevamento zootecnico, viticoltura, produzione di olio d'oliva, frutteti, apicoltura, silvicoltura e progetti di energia alternativa sino alla creazione del gruppo ABFV, ramificato in tutto il mondo. Il motto di Bulgheroni, secondo Forbes, sarebbe "Ricevi molti consigli perché è molto facile commettere errori". Molto saggio.

 

La squadra

Lo staff montalcinese, a cui in tempi più recenti si è aggiunto il general manager Stefano Capurso, è composto dall’enologo Giovanni Alberio dall’agronomo Lorenzo Bernini, con il supporto di Alberto Antonini, enologo e consulente esterno di fama internazionale, profondo conoscitore del terroir ilcinese. “Creare vini provenienti da vigne dislocate nelle aree più prestigiose di Montalcino” ci ha detto quest'ultimo “è una sfida affascinante. Da quelle storiche poste nella parte nord dell’areale di produzione a quelle di più recente acquisizione abbiamo un solo obiettivo: proporre vini che mantengano inalterate le caratteristiche di un terroir unico al mondo”. Il team opera insieme dal 2012.

 

Dei programmi montalcinesi ne abbiamo parlato direttamente con Alejandro Bulgheroni e il general manager Stefano Capurso, ex Ricasoli, incontrati a Podere Brizio a Montalcino e in occasione del Vinitaly a Verona.

 

Signor Bulgheroni, lei ha aziende vinicole in tutto il mondo ma l'interesse per il nostro Paese, e in modo particolare per la Toscana, negli ultimi anni è andato crescendo. Ci vuole raccontare perché?

La qualità dei vini è stato il motivo principale per cui ho scelto di venire in Italia. Alberto Antonini, che collabora come mio consulente da 10 anni e che mi ha accompagnato nei miei primi passi nel vino, mi ha sempre detto che per fare grandi vini, bisognava avere grandi terroirs. Per questo motivo ho scelto Chianti Classico, Montalcino e Bolgheri. Oltretutto le tipologie di vino che si producono in queste aree mi piacciono molto.

 

Qual è l'aspetto di Montalcino che alla fine lo fa preferire ad altri terroir? Il gusto del vino, la sua storia, la cultura che esprime, il paesaggio?

Credo che la Toscana sia un'esperienza, e il vino riassuma tutta questa esperienza. Tutti quelli che decidono di bere o di acquistare Brunello mentre lo consumano pensano ai paesaggi che hanno visto, ai luoghi che hanno visitato, ai sapori che hanno assaggiato. Per me tutto ciò è molto importante e nel mondo rappresenta una sorta di plusvalore anche culturale.

 

Lei ha fatto molte acquisizioni in Toscana e a Montalcino. Prevede di farne ancora?

In primo luogo, dobbiamo sistemare quello che già esiste, e poi non lo so, vedremo. La mia famiglia è originaria della Lombardia (il padre era comasco; ndr) e l'idea di andare anche lì mi piacerebbe, ma per ora ci dobbiamo concentrare su Dievole e Montalcino, dove stiamo rinnovando molti vigneti, facendo la cantina e l'agriturismo. Inoltre, abbiamo molto da fare anche a Bolgheri. Sono tutti aggiustamenti che richiedono tempo.

 

Prevede che il trend favorevole ai vini di alta gamma si sviluppi ancora nei prossimi anni?

Io credo che sarà sempre un mercato competitivo e noi dobbiamo essere sempre migliori, anche perché dobbiamo riuscire a vendere tutto quello che c'è dietro il vino. Naturalmente il Brunello deve essere di alta qualità, altrimenti non funziona. Ci dobbiamo far conoscere per le doti di eccellenza, sia del nostro vino sia per la nostra ospitalità.

 

 

Con il general manager Stefano Capurso siamo entrati nel dettaglio del progetto montalcinese.

 

Ci racconti le strategie per Montalcino...

Poggio Landi, dopo l'acquisizione della cantina di Tenute Vitanza già operativa, diventerà il marchio strategico per tutta la parte viticola a nord di Montalcino. Tra i nostri obiettivi la valorizzazione delle proprietà acquisite, attenzione all’impatto ambientale, rispetto della tradizione. Il gruppo ABFV d'altra parte ha come valori sostenibilità, tutela del territorio e la valorizzazione di tutti gli uomini che ci lavorano.

 

Quali sono gli elementi che caratterizzano specificatamente ABFV rispetto alle altre aziende presenti nel territorio?

Innanzi tutto, le cantine Bulgheroni sono senza barriques e senza tonneau, come del resto succede nelle altre tenute. L’obiettivo è di produrre un Brunello il più classico ed elegante possibile, orientato verso la massima espressione delle sue peculiarità. Noi applichiamo tecniche di agricoltura biologica, per mantenere i vigneti in equilibrio, assicurando un’ossigenazione costante del terreno per produrre uve di alta qualità. In questo modo, le radici delle viti traggono beneficio da un suolo vitale e possono svilupparsi e spingersi facilmente in profondità nel terreno, favorendo così la massima espressione del terroir. Inoltre, per la riuscita dei vini di territorio - secondo la filosofia del gruppo ABFV - la fermentazione alcolica è spontanea (cioè senza l'impiego di lieviti selezionati; ndr), mentre la fermentazione malolattica, è svolta in botti di rovere francese non tostato da 40-50 hl, all’interno delle quali avviene anche l’invecchiamento.

 

A Montalcino i vostri poderi hanno esposizioni e altitudini diverse, da 180 a 320 metri s.l.m. Come pensate di sfruttare queste opportunità?

L'idea è quella di fare dei cru nelle singole proprietà. Stiamo studiando i terreni e le diverse possibilità che ci offrono.

 

Ci può dire qualcosa di come si muove il gruppo?

Bulgheroni non è un grande intenditore di vino, ma gli piace e per il resto si affida allo staff aziendale. Naturalmente i conti devono tornare e c'è un impegno gestionale importante vista l'ampiezza e la distribuzione geografica delle aziende, ma c'è indipendenza dal punto di vista operativo. Il progetto ha richiesto investimenti importanti e ci stanno mettendo non solo capitali ma anche la faccia. Poggio Landi con il suo consistente patrimonio di vigneti è un player di primo piano del pianeta Brunello di Montalcino. Ciò ci consentirà di avviare strategie mirate sia per quanto riguarda la fase squisitamente produttiva, sia per quella concernente l’approccio commerciale con il mercato interno e con quelli internazionali.

 

 

Leggi Montalcino che cambia vol. I. Parla Olivier Adnot nuovo ceo di Biondi Santi

 

a cura di Andrea Gabbrielli

 

Questo articolo è uscito sul nostro settimanaleTre Bicchieri del 26 aprile

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Food, Beer & Music alla Città del gusto Roma. Una serata per scoprire la birra di qualità con il Gambero Rosso

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Il 24 maggio l'appuntamento è alla Città del gusto di Roma, che per una sera si trasforma in paradiso per gli amanti della birra, riunendo diverse realtà artigianali del settore brassicolo nazionale, in collaborazione con UDB. Ecco i dettagli sulla serata, e come partecipare. 

Le serate speciali del Gambero Rosso

Con la bella stagione alle porte, la Città del gusto Roma torna a farsi contenitore di intrattenimento gastronomico (e non solo) di qualità. Dopo il successo della scorsa edizione, anche l'estate 2018 sarà scandita da un ciclo di appuntamenti tematici all'insegna del buon cibo, vino, birra e musica, che insieme contribuiranno a rendere ogni serata un evento unico nel suo genere, con l'obiettivo di coinvolgere un pubblico trasversale. Lo spazio sarà quello del cortile della Città del gusto, a pochi metri dal verde di Villa Pamphili, allestito per l'occasione come un salotto urbano che riunirà produttori e prodotti artigianali, esperti del settore gastronomico, artisti e musicisti. Inaugura il ciclo, il prossimo 24 maggio, la serata Food, Beer & Music, appuntamento dedicato all'ascesa del comparto brassicolo di qualità, che nel nostro Paese è rappresentato da un numero crescente di piccole realtà che valorizzano il mestiere del mastro birraio.

 

Birra, buon cibo, musica

Dalle 18,30, quindi, saranno diversi i birrifici chiamati a presentare le proprie etichette in degustazione (in partnership con UDB), in abbinamento con specialità gastronomiche di mare (dalla porchetta di tonno allo speck di pesce spada), valorizzate dagli chef della Gambero Rosso Academy. Intanto, nelle cucine della Città del gusto andrà in scena il corso di degustazione guidata (dalle 19 alle 21) per imparare a riconoscere i diversi stili birrari, e perché no, carpire qualche suggerimento per l'abbinamento perfetto in tavola. Chi vorrà, infatti, potrà partecipare al corso Cucinare con la birra (19-22): una lezione pratica alla scoperta di nuove ricette che la birra la utilizzano come ingrediente che può fare la differenza in cucina. I partecipanti ai corsi potranno partecipare gratuitamente alla festa della birra in cortile, mentre chi acquista il biglietto per la serata avrà diritto a un assaggio di birra e food. In sottofondo il djset che animerà la serata alla Città del gusto. Solo l'inizio di una bella estate da trascorrere in compagnia, all'aria aperta, con le serate del Gambero Rosso. Il biglietto d'ingresso è acquistabile online sullo store del Gambero Rosso, non perdete gli aggiornamenti sulle prossime tappe.

 

Food, Beer & Music – Roma – Città del gusto, via Ottavio Gasparri, 13 – il 24 maggio, dalle 18.30 – ingresso 10 euro
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Inclusione sociale e solidarietà a tavola. Da Sapori in Cattafame alla Cena della Legalità, aspettando il festival dell'Economia Carceraria

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Il 20 maggio torna Sapori in Cattafame: terza edizione per una giornata di buon cibo in compagnia di chef, pizzaioli, pasticceri e produttori del territorio lombardo. In favore dei ragazzi di Cascina Cattafame. Il 23 appuntamento a Roma, con la Cena di Legalità. 

Sapori in Cattafame

In Cascina Cattafame hanno sede le 4 cooperative di tipo A di Fraternità: Impronta, Comunità, Giovani e Creativa. Suona così, alla voce chi siamo, la mission della struttura rurale gestita dalla cooperativa sociale Fraternità Impronta (da 40 anni operativa nel sociale) alle porte di Brescia, località Ospitaletto. Una sintesi che riassume un mondo di attività di sostegno e condivisione fondate sui valori della produzione artigianale, della tradizione contadina, del buon cibo. Cresciuta nel tempo, la Cascina ospita oggi due comunità di recupero per adolescenti, una fattoria didattica, un ristorante e una pizzeria. E da tre anni a questa parte apre le porte al pubblico in occasione di una grande festa di primavera per raccontarsi e raccogliere il sostegno di chi vuole contribuire alla causa, in cambio di una giornata animata da ospiti d'eccezione, creazioni d'autore, prodotti locali e ricette della tradizione. Sapori in Cattafame tornerà a far parlare di sé il 20 maggio, quando la kermesse culinaria nata dalla collaborazione tra la Cascina dei Sapori e la cooperativa Impronta celebrerà la sua terza edizione. L'incasso sarà devoluto in beneficenza, a sostegno delle molte attività portate avanti in Cattafame: collaborano alla riuscita del festival (dalle 18 alle 23) il Pastificio Felicetti, il birrificio Curtense, Caffé August e Cantine Muratori, oltre agli chef in arrivo da tutto il circondario, che proporranno piatti gourmet capaci di raccontare il territorio (con prezzi al piatto che oscillano tra i 6 e gli 8 euro, mentre l'ingresso è libero).

 

Piatti d'autore in cascina

Tra loro Leandro Luppi, Alberto Gipponi, Andrea Leali, Saulo della Valle, Cesare Rizzini Michele Vallotti, ma saranno una ventina, tra cuochi, pizzaioli, pasticceri e produttori, i protagonisti coinvolti. La partecipazione è sentita, come confermano le parole di Carlo Caravaggi, responsabile del ristorante della struttura: “In tre anni la manifestazione è cresciuta, con tanti professionisti che si sono aggiunti con la voglia di incontrarsi e confrontarsi, “regalando” anche stimoli e ispirazione ai ragazzi che lavorano in Cattafame. L’evento ha infatti l’obiettivo di accrescere l’autostima dei giovani della comunità e far comprendere come il duro lavoro possa pagare”, peraltro quotidianamente impegnati al ristorante (nato tre anni fa, oggi sotto la guida dello chef Gianmario Portesani, che per la giornata dei Sapori presenterà un piatto che abbina trippe mantecate al grana padano con vino rosso e peperoni. Titolo: Dalì è passato in cascina) e in fattoria. Tra le proposte in assaggio, gli SpAgretti di Alberto Gipponi, la Carbonara di lago di Leandro Luppi, il risotto al cappero e liquirizia di Andrea Leali, il panettone estivo all'albicocca del Dolce Angolo. Cambio di set, appena qualche giorno più in là, per segnalare un'altra iniziativa che sulla condivisione a tavola fa leva per parlare di impegno sociale.

La Cena della Legalità da Altrove

Il 23 maggio, a Roma, fa tappa il tour di Filippo Cogliandro, chef calabrese impegnato nella lotta contro il pizzo. Il fondatore dell'accademia A Gourmet di Reggio Calabria cucinerà insieme a Claudia Massara per una serata a 4 mani ospitata da Altrove, altro bel progetto di inclusione sociale e multiculturale fondato sulla formazione e sulla ristorazione di qualità. La Cena della legalità – 40 euro il costo della partecipazione, per un menu degustazione da 6 portate – prenderà forma in concomitanza con la giornata della legalità, della memoria e dell'impegno in ricordo delle vittime delle mafie (26 anni dopo la strage di Capaci). Il progetto, però, va avanti dal 2013, in tour per le città d'Italia e d'Europa con l'obiettivo di sensibilizzare sul tema, e sostenere realtà virtuose come Libera Terra e Funky Tomato, che forniranno i prodotti per il menu. Alla serata da Altrove saranno presenti anche il giornalista Danilo Chirico, presidente dell'Associazione Antimafia daSud, e Giulia Minoli, autrice del documentario Dieci storie proprio così. Seguirà la cena, con menu ideato per l'occasione, dalla zuppetta di lenticchie (Libera Terra) al sentore di citronella con cozze e pecorino al risotto Acquerello cotto in acqua di pomodoro fresco, mantecato con pecorino romano e bottarga di muggine La Tavolara, al bignè dello Stretto, con crema di bergamotto.

 

Il primo festival dell'Economia Carceraria

Ma a proposito di filiere produttive fondate sull'inclusione sociale, si appresta a debuttare a Roma, alla Città dell'Altra Economia, la prima edizione del Festival dell'Economia Carceraria: due giornate, il 2 e 3 giugno, per discutere sul tema del contrasto alla recidiva (le percentuali calano quando i detenuti possono godere di misure alternative) e di belle realtà produttive nate in seno alle carceri italiane (intra ed extra murarie) per fornire una possibilità di reintegro sociale e opportunità di lavoro qualificato ai detenuti. Molte, come più volte abbiamo raccontato, sono legate proprio allo sviluppo di prodotti gastronomici e attività di ristorazione; e tante saranno le voci presenti a Roma per raccontarlo in prima persona. Al seguito biscotti, conserve, pizza, birra, formaggi, e tutto quanto di buono viene prodotto in carcere. Ne riparleremo.

 

a cura di Livia Montagnoli

Voci dal Master. Verona tra monumenti iconici e indirizzi imperdibili

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A piedi nella città scaligera, tra monumenti, vini, indirizzi gourmet e la grande tavola dello chef Giancarlo Perbellini

 

 

È una di quelle città familiari anche per chi non le ha mai visitate, Verona, perché ne abbiamo studiato la storia e visto a più riprese le fotografie, abbiamo ascoltato i racconti di chi quei posti li ha già visitati e immaginato le vicende che vi sono ambientate: nulla a che fare con il trovarsi fisicamente in quel luogo che tutti conoscono come città dell’amore. Noi l'affrontiamo in una calda giornata di primavera, una delle poche che questa stagione incerta ci ha regalato, e ne visitiamo i luoghi più iconici nelle poche ore a disposizione, senza però perdere l'occasione di qualche sosta golosa.

L'Arena e l'Amarone

La prima tappa del giro, inevitabilmente, è l'icona per antonomasia della città, l'Arena. Ne si percorre il perimetro rimanendo a bocca aperta per la sua maestosità e per lo stato di perfezione che ha mantenuto. D'obbligo un lungo giro intorno a piazza Bra, di fronte alla statua di Vittorio Emanuele II si approfitta della spiegazione di un’insegnante alla sua scolaresca: “La Bra cominciò a definirsi come piazza solo nel primo decennio del Seicento”.

A pochi passi, all’angolo tra via dei Mutilati e corso Porta Nuova, si trova l’enoteca Signorvino, winebar molto fornito (Due Bottiglie nella guida Ristoranti d'Italia del gambero Rosso) e giusto approdo per degustare i vini locali, su tutti l’Amarone, re della Valpolicella. Il locale si sviluppa su un unico livello, l’ambiente è accogliente, caldo, con il legno a dominare la sala. Qui il vino è l’assoluto protagonista: bottiglie ovunque, disposte in scaffali o semplicemente lasciate negli stessi cartoni, bottiglie che fungono da arredo, altre che verranno utilizzate per le degustazioni, altre ancora in vendita nei classici cofanetti in legno. Nell’aria profumo di salumi appena affettati. Ci si siede su alti sgabelli attorno a una botte a mo’ di tavolino, si gustano vini anche al calice, ben raccontati da un servizio cortese e preparato. E la nostra prima sosta veronese, nella quale troviamo ristoro dalla camminata e ci prepariamo al resto della passeggiata.

Giulietta e Romeo e un piatto di bigoli

Dopo la pausa enoica, si continua la passeggiata per raggiungere via Mazzini: una delle più antiche e prestigiose strade pedonali d’Europa, che unisce Piazza Bra a Piazza delle Erbe. Con gli occhi scintillanti alla vista di tutti i negozi di griffe italiane e non che la popolano, si arriva su via Cappello. Al civico 23 c'è la casa di Giulietta: un grosso cancello in ferro battuto, pareti totalmente ricoperte da bigliettini d’amore, un luminoso cortile in fondo al quale si trova la statua in bronzo di Giulietta; dietro di lei una cascata di edera, in alto a destra il balcone da cui si affacciava. Impossibile non sentirsi, seppur per un attimo, protagonisti della più famosa tragedia di Shakespeare. Quasi dimenticata, invece, in un vicolo appartato in via Arche Scaligere, si trova la dimora dei Montecchi, casa di Romeo. L’edificio è oggi di proprietà privata e ospita l’Osteria alDuca, che però non concede il permesso di visitare il cortile interno. A pochi metri c'è la bottega Stella, ricca di specialità gastronomiche: patè, mostarde, sottoli e poi salumi e formaggi da mangiare in purezza o in un panino, per chi vuole, però, non manca un menu con tutti i piatti tipici gustosi e saporiti.

Il ponte di Castelvecchio e l'arrivo alla dimora di Perbellini

Per il pasto il programma ci porta a Casa Perbellini, in piazza San Zeno. Per raggiungere il locale si costeggia l’Adige. Il cielo è di un azzurro limpido, il fiume di un verde acqua intenso, luccicante sotto il sole, in lontananza un ponte di pietra bianca e di cotto: uno spettacolo di fronte al quale è difficile non restare incantati. Si attraversa quell’audace opera, il Ponte di Castelvecchio, contemplando il panorama. Piazza San Zeno è raccolta e lontana dal centro: in mezzo la Basilica, da un lato la torre abbaziale, dall’altro il campanile; gli alberi la circoscrivono, case basse ne esaltano la sovranità.

Nascosta tra quelle casette c’è Casa Perbellini: nessuno direbbe mai che quella porticina di legno è l’ingresso del blasonato ristorante di Giancarlo Perbellini. Si suona il campanello, ad accogliere c'è proprio lui, che accompagna al tavolo, da perfetto padrone di casa. I tavoli tondi sono rivolti verso la cucina a vista, moderna e tecnologica, contraddistinta da un bancone rosso vivo, che, insieme al blu elettrico delle giacche dei camerieri, contrasta piacevolmente con il lieve colore delle pareti e della divise della brigata, in camicia bianca, gilet marrone e coppola beige. L'insegna, come il resto, non è casuale: il tavolo viene apparecchiato al momento, all'arrivo degli ospiti, il menu è un'enorme busta da lettera, il pranzo inizia con il Benvenuto di Casa Perbellini, sequenza dall'estetica e dal gusto fuori dal comune. Tra le due proposte di degustazione la scelta ricade su Assaggi, il percorso di 9 portate con abbinamento vino. Il fil rouge dei piatti è semplicità, colori tenui e prelibatezza. Carne e pesce si alternano, sublime il wafer al sesamo, “una di quelle ricette che a un cuoco riescono una o due volte nella vita” afferma lo chef: croccante il wafer, morbido il branzino, piacevole la sensazione di liquirizia in cui viene intinto il cucchiaio con cui assaporare la pietanza. Si torna all’infanzia con mioline e lumachine: ispirata al piatto dei bimbi, la minestrina in brodo: una portata raffinata, basata due semplici ingredienti. E si continua con il tenerissimo maialino da latte, le canocchie dalla fresca gelatina all’alloro e aceto, fino ad arrivare ai Divertimenti di Casa Perbellini: piccoli dessert da gustare in un sol boccone.

 

Volete davvero continuare a guardare le foto sul web e ascoltare i racconti di chi Verona l’ha già visitata? Noi vi consigliamo di andarci, anche in poche ore potrete visitare gli angoli più famosi e provare la cucina migliore.

 

Signorvino – Verona - Corso Porta Nuova, 2 - 045 8009031 - www.signorvino.com/it/negozi/verona

Taverna di via Stella - Verona - via Stella, 5/c - tel. 045 800 8008

Casa Perbellini - Verona - Piazza San Zeno, 16 - 045 878 0860 - www.casaperbellini.com

 

 

a cura di Simona Celona

Prova del Master in Giornalismo e comunicazione d'impresa dell'enogastronomia del Gambero Rosso

 

 

 

 

Libri. Mi sono mangiato il mondo. Il primo volume fotografico di Chef Rubio

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Primo libro di fotografie per Gabriele Rubini, meglio conosciuto come Chef Rubio. Un racconto per immagini e pensieri dei suoi viaggi alla scoperta di persone, culture e cucine del mondo.

 

 

Un viaggio fotografico tra storie, cibo e persone”, questo il sottotitolo programmatico del volume, edito da Rizzoli, che raccoglie le immagini scattate da Gabriele Rubini.

 

L'autore

Se il nome non vi dice molto è perché per tutti lui è Chef Rubio. Un volto di quelli che rimangono impressi, che in tanti hanno imparato a conoscere nelle trasmissioni tv e sui suoi frequentatissimi canali social; idolatrato da chi trova, nel suo fare ruvido e senza peli sulla lingua, l'alternativa più verace al mondo patinato della cucina. Quello che tende a tacere degli aspetti meno lindi del cibo, che passano – solo per fare qualche esempio – per un pesce da eviscerare o un agnello da disossare, che accolgono umori oltre che sapori di materie prime e pietanze tutt'altro che lustre. La parte che in molti preferiscono ignorare e che invece che ha il suo fascino, quello “unto e bisunto” (tanto per citare uno dei programmi di maggior successo di Rubio). Parliamo di una cucina – quella amata da Rubio - lontanissima da quella blasonata, dove la quantità è un elemento imprescindibile e la tradizione un valore quasi assoluto. Di questo Rubio si è fatto paladino. Ma qui, però, non si cimenta con l'ennesimo fritto da mangiare con una sorsata di birra (non artigianale, per carità), ma cambia rotta e si dedica alla fotografia.

che rubio mi sono mangiato il mondo

La fotografia

Come mai un libro fotografico? “La verità è che mi piace raccontare storie” spiega nell'introduzione del libro “e poco importa che lo faccia attraverso un programma televisivo, un romanzo, una fotografia , un corto o un documentario”. Ma l'obiettivo non è solo quello di raccontare, ma anche di documentare e, se possibile, contribuire a migliorare la situazione ritratta - “spero che sia un esercizio di umanità per chi guarderà” - e ancora incuriosire, sollecitare chi guarda le foto ad andare, partire e scattare lui stesso “che per me equivale ad amare” aggiunge. Quelli raccolti in questo libro non sono gli scatti compulsivi di un viaggiatore, ma il frutto di studio e approfondimento: “negli ultimi 5 anni” racconta “mi sono messo sotto con la fotografia, studiandone la storia, gli interpreti (amo alla follia Luigi Ghirri e odio quel cialtrone di McCurry), gli apparecchi”. Via allora a scatti e scatti “sempre in analogico”, ore nella camera oscura e in laboratorio. E ancora scatti, con diverse fotocamere e tipi di rullino.

 

Il libro

Negli ultimi anni Chef Rubio di cose ne ha fatte, non solo programmi tv, ma anche progetti solidali, di integrazione sociale, di valorizzazione dell'artigianalità, di studio di prodotti per la Gdo. E viaggi, tanti viaggi. Che hanno portato in dono tanti scatti. Al punto che qualcuno, a un certo punto, gli ha chiesto che queste foto diventassero qualcos'altro. Questo libro. Dove si ritrovano le persone, i luoghi, le culture incontrate in questo girovagare, i cibi di strada assaggiati (tanti, talvolta lontanissimi dalle nostre abitudini) da sempre uno dei pallini gastronomici di Rubio. Prima che una raccolta di foto si tratta dunque di un racconto personale e senza filtri (“com'è nella mia natura” suggerisce) fatto per immagini ma anche per parole, poche frasi scritte a corollario di un percorso visuale, come contrappunto o semplice suggestione. Non sono però titoli, ammonisce, “come usano quelli forti che pensano che i loro scatti siano enigmi indecifrabili e che chi li guarda sia uno stupido che non ci arriva da solo”; spiega “troverete impressioni, pensieri e suggestioni che gli scatti mi hanno suscitato”. Insomma: un distillato del Rubio-pensiero che accompagna le immagini.

 

L'incontro del cibo

Foto che parlano, moltissimo, di cibo, di quel che si può sapere di un popolo attraverso la sua cultura alimentare, intercettando, proprio nel cibo, uno degli elementi chiave di conoscenza dell'altro e del mondo“spero che queste foto facciano viaggiare con la fantasia” permettendo a chiunque di seguire le tracce dei suoi passi, dalle favelas ai grattacieli, tra mercati - cui è dedicato il primo capitolo: “è il primo posto che visito in ogni città” - frutta succosa, gechi alla griglia, anatre arrosto, alghe messe ad essiccare e galli a combattere. Capitolo dopo capitolo, si incontrano titoli come Ospite, Dispensa - “Dispensare è dare a qualcuno qualcosa, che siano beni di prima necessità, esperienze o fotografie poco importa. Come in cucina così nel resto delle cose bisogna dare e darsi. Sempre” - Carne e pesce, Cottura, Servizio, Pane e coperto, Take Away e tanto altro. Un repertorio di suggestioni per guardare il mondo - “la sofferenza quanto l'amore”– dritto negli occhi, lasciandosi emozionare.

 

Mi sono mangiato il mondo – Chef Rubio - Rizzoli – 288 pp. - 18 €

 

a cura di Antonella De Santis 

foto di copertina: CaRbonelli&Seganti 

 

Gruppo Galli lancia TBSP. Il progetto tutto romano che mette a sistema l'American BBQ

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Ridurre a zero l'errore umano e standardizzare la qualità del prodotto nelle lente cotture del backyard statunitense. Ma con prodotti certificati da filiera 100% made in Italy. L'idea di Gruppo Galli, in assaggio a Ponte Milvio e Mercato Testaccio di Roma. 

Il barbecue americano con prodotti made in Italy

Sono spesso le cose che all'apparenza sembrano più semplici a essere, in realtà, più complicate. Un caso eclatante è quello del barbecue (tema che Gambero Rosso ha affrontato di recente sul mensile, e che ogni settimana è raccontato su Gambero Rosso Channel da Steven Raichlen). I burger e le lente cotture che impegnano i fine settimana degli americani sono il frutto di accurate preparazioni che contemplano temperature e tempi di cottura esatti, da calibrare secondo le carni scelte e la risposta dei liquidi una volta esposti al calore delle braci. Ma hamburger troppo cotti, pulled pork di difficile masticabilità e costolette che sembrano cuoio sono frutto di errori che si possono evitare: con esperienze maturate in anni di fallimenti o mettendo a sistema l'intero processo produttivo.

Così ragiona The Bbq & Smoke Project (TBSP), il progetto che sistematizza i cicli produttivi messo in piedi da Gruppo Galli per lanciare sulla piazza capitolina un'offerta il più conforme possibile a quella d'oltreoceano, con una qualità di prodotto da filiera 100% made in Italy, e articolato in diversi punti che vanno dalla formazione alla vendita in un percorso volto alla diffusione su scala nazionale.

 

 

L'Academy e i punti vendita

Nasce così la TBSP Academy, uno spazio di 400 metri quadrati attrezzato all'interno della stabilimento produttivo di Roma con una cucina professionale, sala degustazione e aree destinate agli incontri professionali tra operatori del settore. Claudio Nani, il pit master addetto alle braci, supervisiona ricette e lavorazioni in qualità di docente e formatore.

Poi i punti vendita TBSP, per ora presso il Mercato Testaccio e Ponte Milvio con offerta “eat in”, take away e delivery. In arrivo il food truck per un'offerta itinerante e un vero e proprio ristorante-griglieria-hamburgeria, in via di allestimento, in zona San Giovanni.

Siamo come una macelleria... Solo un po’ più grande”, racconta Fabio Galli, terza generazione della famiglia, oggi alla guida del Gruppo e founder di TBSP. “La mia famiglia viene dalla campagna umbra, abbiamo sempre avuto un forte legame con la natura e una grande attenzione al benessere degli animali. Questo ci ha permesso di ottenere una grande conoscenza delle carni e delle loro differenti caratteristiche, competenza che abbiamo speso nella creazione dei blend e usato per ottimizzare la capacità di cottura. Oggi siamo quindi in grado di offrire un prodotto pronto al consumo, di cui seguiamo l'evoluzione sin dall'allevamento”.

Un progetto articolato che nasce nel 1951 con l'apertura a Roma di una piccola macelleria. Il gruppo si è successivamente espanso, da principio aumentando le botteghe, poi aprendo uno stabilimento di lavorazione e ora lanciando TBSP. Il paradigma fondante consiste nella replicabilità delle cosiddette cotture “low&slow” con lunghe lavorazioni a basse temperature, standardizzando però la qualità del prodotto finito al momento del servizio. Roma è stata scelta quindi come banco di prova con due punti vendita in aree decisamente affollate e un food truck attrezzato per testare e ottimizzare i cicli produttivi insieme alla formazione del personale per poi aprire a un'operazione di più ampio respiro che punta alla diffusione su scala nazionale.

 

a cura di Saverio De Luca

A Venezia nasce l'Alta Scuola Italiana di Gastronomia, intitolata a Luigi Veronelli

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Avrà sede sull'isola di San Giorgio, ed è frutto della collaborazione tra il Seminario Veronelli, che tiene vivo il ricordo di uno dei più grandi comunicatori enogastronomici di tutti i tempi, e la Fondazione Giorgio Cini, con il sostegno di Banche Generali. L'obiettivo? Restituire dignità alla comunicazione enogastronomica. Ecco come. 

L'eredità di Luigi Veronelli in Laguna

È intitolata a Luigi Veronelli, ne tiene vivo il ricordo e riflette l'impegno di una vita intera, l'Alta Scuola Italiana di Gastronomia che aprirà battenti all'inizio di luglio in Laguna, sull'isola di San Giorgio Maggiore, a Venezia. Un'operazione ambiziosa che coinvolge da vicino il Seminario Permanente Luigi Veronelli, l'associazione che lui stesso fondò nel 1986 per tenere alta la bandiera dell'impegno critico sul terreno dell'enogastronomia, di cui è stato valoroso e instancabile divulgatore, fino al momento dell'ultimo saluto, nel 2004. Partner dell'iniziativa, la Fondazione Giorgio Cini, che sull'isola ha sede, e in qualità di polo culturale di riconosciuto prestigio a livello internazionale si farà promotrice del nuovo istituto (“una scelta coerente con la missione della nostra Istituzione” ha sottolineato il presidente Pasquale Gagliardi a proposito di considerare la gastronomia come parte integrante del patrimonio culturale italiano), con il sostegno di Banche Generali. Cosa sarà, dunque, l'Alta Scuola Italiana di Gastronomia? Indubbiamente un luogo ispirato dal pensiero di chi le dà il nome, quelle idee che Veronelli spese per restituire dignità al lavoro della terra e alla tavola intesa come rispettosa celebrazione del prodotto contadino. A coordinare i lavori il direttore del Seminario, Andrea Bonini, e un organo scientifico ribattezzato significativamente Laboratorio di Cultura Materiale, dove membri del Comitato Scientifico (presieduto da Alberto Capatti, già rettore di Pollenzo, con Andrea AlpiPierluigi Basso FossaliGianluigi BrozzoniIlaria BussoniRenata CodelloAldo ColonettiPasquale GagliardiDario GueriniAlfonso IaccarinoGian Arturo RotaRoberta Sassatelli) e docenti si confronteranno per mettere a sistema temi e linguaggi alla base del percorso formativo.

 

Valorizzare la cultura enogastronomica

Dopo l'inaugurazione – dal 2 all'8 luglio con i seminari, gli incontri e le degustazioni della Settimana della Cultura Gastronomica – la Scuola proporrà percorsi rivolti agli operatori del settore e a chi vuole intraprendere un cammino di riflessione su temi inerenti l'intero ciclo produttivo agroalimentare e l'estetica del gusto: quindi titolari di aziende agroalimentari e addetti al marketing, personale di ristoranti, enoteche e wine bar, strutture alberghiere e ricettive, giornalisti e guide turistiche, ma anche futuri operatori come gli studenti universitari che seguono corsi di laurea attinenti all’agroalimentare. Ma il primo corso di Alta Formazione partirà solo nel 2019 (nel 2020, invece, dovrebbe partire il corso dedicato alla cucina), sarà riservato a 25 iscritti selezionati in aula per 150 ore complessive, e si concentrerà sul mondo del vino, riprendendo un tema caro a Luigi Veronelli: Camminare le vigne. Luoghi, persone e cultura del vino italiano. Questo, come i corsi che seguiranno, modulati sull'idea che “gli atti alimentari debbano essere vissuti e proposti come momenti di conoscenza, e occasioni per nutrire corpo e mente”, come ha spiegato in conferenza stampa alla Triennale di Milano Angela Maculan, presidente del Seminario Veronelli. Sul percorso tracciato da Veronelli a partire dal secondo Dopoguerra, precorrendo i tempi della comunicazione di settore. L'obiettivo oggi è quello di non essere scontati, specie in un sistema comunicativo che procede per stereotipi e conoscenze superficiali: quindi a pieno regime si ragionerà di arte e paesaggio, filosofia, gusto ed estetica.

 

a cura di Livia Montagnoli


LSDM 2018 report. Seconda giornata: Ana Roš, Eduard Xatruch, Helmut e Philip Rachinger, i Berezutsiy, Roberto Petza

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A Paestum, nell'ambito della manifestazione LSDM, la cucina della memoria e del recupero è elemento di continuità anche in tradizioni gastronomiche differenti, che si incontrano nella contaminazione di prodotti e tecniche. 

Nella seconda e ultima giornata del congresso LSDM, si continua a riflettere sugli sviluppi possibili della cucina prendendo come elemento chiave la gastronomia del Mediterraneo -come già visto nella prima giornata - e non solo il prodotto attorno cui si è sviluppata la manifestazione negli anni.

Nel confrontarsi con i prodotti italiani, i cuochi stranieri possono scegliere due vie: da una parte abbracciare il prodotto con l'intero sistema di sapori e tradizioni di riferimento oppure, al contrario, prenderlo e importarlo dentro il proprio ambiente gastronomico. In questa doppia strada si inseriscono cuochi di ogni angolo del mondo, con modalità, sensibilità e attitudini diverse.

La "caprese" di Ana Ros

L'attitudine straniera dentro la cucina italiana

Fa parte del primo gruppo Ana Roš, che dalla vicina Caporetto guida ormai con navigata esperienza il suo Hiša Franko, una corazzata nel bel mezzo della campagna slovena con una gettata di fuoco impressionante: decine di cuochi (50% uomini e 50% donne, dice orgogliosamente) per una cinquantina di coperti, un'organizzazione precisissima che punta a gestire stress e assicurare turni di lavoro umani, un posto che negli ultimi anni ha contribuito fortemente al rinascimento della cucina slovena e a sdoganare l'area di Lubiana come meta gastronomica. La Roš è ambasciatrice del suo territorio ma, ammette, “il concetto alla base della cucina mediterranea è bellissimo” e abbraccia la triade mediterranea per eccellenza: mozzarella, pomodoro e basilico. Lo fa senza stravolgimenti, fedele a quel suo ammonimento “non credo nella cucina falsa” con l'insalata di pomodoro con diverse varietà, un cannolo di cialda di pomodoro (realizzata con polpa e albumina) ripiena di una crema di mozzarella, siero e ricotta; cipolle sottaceto (in osservanza alla tradizione slovena di sottaceti ma ripescando l'abbinata tipica pomodoro e cipolle) con gelatina di aceto di cipolle, basilico cristallizzato, fritto, foglie di pomodoro.

La "caprese" da bere e da mangiare di Eduard Xatruch

Stessi ingredienti, stessi sapori, altre riflessioni quelle di Eduard Xatruch (Disfrutar, Barcellona). Interprete della grande scuola spagnola (dove sono nate 12 anni fa le sferificazioni di cui presenta una evoluzione) che non rinuncia a piccoli giochi di prestigio. Che in questo caso si muovono intorno all'idea della caprese, allo stupore di fronte alle potenzialità di un prodotto come la mozzarella e alla scoperta delle caratteristiche del latte di bufala: “Tutto quel che si fa con il latte vaccino, si può fare con il latte di bufala” e, a testimoniarlo, infila una sequenza serratissima di preparazioni: panna cotta e caramello di cipolla; besciamella ad accompagnare come da tradizione un cavolfiore che subisce un procedimento come quello delle uova dei 100 anni (grazie a un macchinario coreano dalle molte funzioni) che lo rende nero e quasi cremoso all'interno, poi ancora una zuppa caprese (latte di bufala bollente, acqua di pomodoro ghiacciata e basilico sferificato), un tramezzino di meringa di pomodoro (preparato con albumina e xantana) con gelato di mozzarella, infine la sfera di meringa di mozzarella (albumina, liquido di governo e xantana) con mozzarella sbriciolata arricchita con panna per avere una texture più cremosa, basilico sferificato e polvere di pomodoro: un canapé di mozzarella da accompagnare a un drink con acqua di pomodoro profumata al basilico e liquido di governo, insomma una caprese da bere e da mangiare.

 

Il prodotto italiano nella cucina straniera

C’è chi lavora al contrario, accogliendo positivamente la trasferta a Paestum per includere nella propria cucina ingredienti che difficilmente avrebbe pensato di utilizzare, complice la latitudine ben poco mediterranea (l’eccezione alla regola esiste, e lo dimostra Ana Roš, incline ai sapori mediterranei, seppur tra le montagne slovene, ma molto vicina al mare di Trieste). Con Helmut e Philip Rachinger, padre e figlio che lavorano all’unisono senza neppure aver bisogno di parole per capirsi al volo, finiamo al di là delle Alpi in direzione Neufelden, Austria, nelle campagne a nord-ovest di Linz. Qui Philip ha rinnovato la proposta del Mulhtalhof, dove si lavora su una ricerca che parte dai prodotti dell’orto e del territorio, con il gusto di fare del proprio meglio per i clienti che si siedono in tavola, ancor prima che per raggiungere traguardi ambiziosi. Sul palco cucinano molto (sarà una caratteristica comune a molti, nella seconda giornata, specie nella mirabolante lezione di Eduard Xatruch, dal Disfrutar, che dove non arriva sul palco si avvale del supporto dei video). E rendono omaggio alla mozzarella e alla ricotta di bufala con tre variazioni sul tema che, per dirla tutta, di Mediterraneo hanno ben poco. Ma probabilmente è giusto così, perché dalla curiosità di sperimentare ricette di casa con un ingrediente nuovo nascono abbinamenti comunque molto godibili. Si gioca con la burrata avvolta in foglie di rafano e adagiata in acqua di pomodoro e di erba cipollina per il primo piatto, chiuso da una spolverata di fiori viola di erba cipollina; e poi con il liquido di governo della mozzarella, miscelato con fiori di sambuco a completare un piatto a base di cavolfiore allo zafferano e mozzarella. Ma l’incontro Austria-Campania si concretizza nella rivisitazione di uno dei signature dish del Mulhtalhof, il black pudding ottenuto da lardo, teste e sangue di maiale, completato con crema all’aglio e all’aglio nero confit, ciliege all’origano e una spuma che unisce il formaggio stagionato del Voralberg usato abitualmente al ristorante e la mozzarella di bufala. Un piatto ricco di sapore, certo poco Mediterraneo, però espressione della grande dimestichezza con la cucina della famiglia Rachinger.

L'insalata di aringa con barbabietola e ricotta di bufala di Andrei Schmakov

Nel pomeriggio toccherà ad Andrei Schmakov dal ristorante Savva del Metropolitan Hotel di Mosca provare a sua volta a interpretare il Mediterraneo a centinaia di chilometri di distanza dall’Italia. Il risultato, anche nel suo caso, è legato all’opportunità di comprendere la ricotta di bufala in un piatto per molti versi estremamente legato alla cultura gastronomica russa: insalata di aringhe con rafano, bottarga d’aringa, sfoglia di barbabietola marinata con aceto di mele e miele, cetrioli, uovo sodo e un batuffolo di ricotta a sostituire la più tradizionale sour cream.

Rimaniamo a Mosca, al Twins Garden dei gemelli Ivan e Sergey Berezutskiy. Anche loro decidono di lavorare sulla germinazione che scaturisce dall'introduzione di un elemento italiano all'interno di un piatto dal forte carattere russo: una sorta di midollo di storione, lavorato sino a renderlo simile a una cotenna elastica, su crema di mozzarella, caviale dello storione, petali di dente di leone, limone arancione a ricordare (se mai ce ne fosse bisogno) l'incredibile varietà dei territori russi e dei loro prodotti, in molta parte rivalutati dall'embargo. Lavorano recuperando anche scarti del pesce, con un'idea di cucina del recupero che rimbalzerà di lezione in lezione.

Nel caso di Tim Butler (Eat Me Restaurant, Silom – Bangkok) la questione dell'identità di prodotti e ricette si fa più complicata: nato a Portland, si trasferisce in Thailandia più di 10 anni fa, non prima – però – di aver maturato esperienze in posti come Daniel di New York. Bangkok prima, Pukhet poi. Negli anni le materie prime orientali sono entrate nella sua cucina come elementi fondanti, così peperoncino giapponese e tonno essiccato vanno ad arricchire un brodo di carapaci di gamberi rossi che – quando giunge a una consistenza quasi gelatinosa – accompagna la coda del gambero crudo e la testa fritta, abbinati alla mozzarella e all'acidità data da un agrume giapponese: “la mia è una cucina di pochi sapori decisi”spiega: “pochi ingredienti, indipendentemente da dove arrivino”. E lo dimostra con questo piatto cosmopolita che parla linguaggi diversi e non stonerebbe con del tofu sostituire il latticino. Gli interessa impiegare ogni parte del crostaceo (che, aggiunge, deve essere di qualità e provenire da una pesca etica) e valorizzarne le diverse caratteristiche. Un impegno che intende mantenere anche con il suo prossimo locale a Malta, per il quale da circa un anno sta cercando i fornitori giusti.

La polvere di mozzarella (energia creativa) di Rosanna Marziale

Cosa significa benessere?

La riflessione di Rosanna Marziale pone al centro il concetto di benessere che passa per il cibo, come da tema dell’edizione 2018. Ma la sua interpretazione è una risposta originale a chi pensa che mangiare bene e stare bene significa semplicemente scongiurare i chili di troppo. Dunque il benessere diventa equilibrio psicofisico, in una narrazione che parte dalla difficoltà di non cadere nel vizio degli eccessi o nell’immobilismo che ci paralizza di fronte agli ostacoli e arriva all’importanza di nutrirsi di energia positiva. Quasi un grido il suo, che da anni presenzia al congresso e sulla mozzarella, dal quartier generale delle Colonne di Caserta, ha sempre lavorato moltissimo, tanto da guadagnarsi il soprannome bonario di Lady Mozzarella, che Albert Sapere le riconosce sul palco. Quest’anno però, la chef campana non arriva per cucinare, e invece presenta l’ultima lavorazione perfezionata a partire dalla mozzarella: una polvere di mozzarella (e xantana) che preserva l’aroma e la piacevolezza del latticino, ma può rivelarsi estremamente versatile in cucina. Sul palco diventa il mezzo per raccontare della sua collaborazione con la comunità di San Patrignano, e quindi della necessità di credere nell’energia positiva della creatività per non cadere nel tunnel delle dipendenze. La somiglianza della polvere di mozzarella con la “polvere bianca” aiuta a concretizzare un gioco provocatorio che in fondo utilizza gli ingredienti della cucina mediterranea, seppur in modo decisamente inconsueto. La conclusione è affidata al gesto, con gli ospiti in sala chiamati ad aspirare, attraverso uno zito, la polvere di mozzarella, aiutandosi con una cartina di pomodoro in sfoglia. Provocazione a parte, il messaggio coglie nel segno: il benessere fisico passa attraverso la mente, e la cucina dev’essere in grado di stimolare entrambi. Trasmettendo l’energia di chi produce e chi consuma il cibo.

È un altro tipo di benessere, quello di cui parla Pino Cuttaia (La Madia, Licata): un filo sottile che lega emozioni, sapori, attenzione per l'ambiente, ma soprattutto memoria, da sempre una delle parole chiave della sua cucina, o meglio, “uno dei miei ingredienti principali”. È proprio la memoria domestica del gesto e della cura, che porta in eredità anche un approccio più etico alla cucina, oculato nella gestione degli ingredienti e attento all'uso degli scarti. Anche per lui valorizzare ogni parte delle materie prime è un dogma: la pelle del polpo, per esempio, frullata, emulsionata, poi messa in padella, diventa una cialda croccante che ricorda la crosticina della creme brulée nella versione di polpo e patate che richiama, nel nome, proprio al dolce classico. Le patate in spuma, il polpo in fondo a tutto, come un tesoro nascosto da ritrovare rompendo, con un gesto deciso e fatto spesso a fine cena, quella crosta croccante. E il gesto è ancora quello che torna nell'imperfezione domestica di quel seme di limone lasciato – con finta noncuranza – al centro della fettina di tonno alalunga battuta (di nuovo un gesto) com si fa con le fettine, per ricordare quel piatto dell'infanzia

Lumache, cotiche, mozzarella di Roberto Petza

Roberto Petza (che apre la mattinata della seconda giornata) porta con sé la sua Sardegna, quella lontana dalle spiagge affollate, che ha tante tradizioni rurali da raccontare e un paniere di ingredienti di cui lo chef di S’Apposentu si fa narratore sul palco. E ci si fa trasportare con piacere in una realtà che fa vanto della sua dimensione familiare, dove la mattina, quando piove molto, il bottino delle lumache raccolte nei campi invoglia a giocare con ricette radicate nella tradizione per portarle sulla tavola di un ristorante contemporaneo; e quando serve un filetto di pecora è molto probabile ritrovarsi l’animale intero sul bancone della cucina: 30 chili portati a spalla dal pastore, che aspettano solo di essere valorizzati riducendo al minimo gli scarti. E se la Sardegna è il regno del formaggio di pecora, a LSDM Petza invece si cimenta con la mozzarella di bufala, incamerandone le qualità in un sistema di profumi mediterranei che sono propri della sua cucina. Quindi si comincia con un piatto che unisce lumache arrostite con erbe aromatiche e salsa di cotiche di maiale con finocchietto e olio di lentischio, completate con un bocconcino di mozzarella impanata in polvere di peperoncino e coriandolo e fritta. A completare le foglie croccanti di un tipico agrume sardo, la pompìa.

Mozzarella, fragole, zenzero e acciughe di Roberto Petza

Poi l’esperimento procede in direzione più ardita, con Mozzarella, fragole, zenzero e acciughe: le chiama le fragole in compressa, per via anche di quel trattamento che ne permette la conservazione. Insieme al gelato di zenzero la mozzarella crea un perfetto equilibrio per quelle acciughe che, si sarebbe detto, avrebbero sbaragliato gli altri ingredienti. E invece...

 

Oltre la mozzarella…

Nel gioco che vede salire sul palco tutti gli ingredienti cardine della dieta mediterranea, l’olio extravergine conquista l’attenzione di Michele Deleo. Lo chef reduce dall’esperienza al Rossellini’s di Palazzo Avino, a Ravello, riflette sulla propria esperienza e cerca di riprodurre nel piatto le sensazioni di un panel di degustazione dell’olio, includendo pure il latte di mozzarella di bufala. Il risultato? Ravioli all’uovo ripieni di olio, con caviale di mela verde succo di mozzarella e cialdine di pane croccante. Niente sale (nota ricorrente tra gli chef del congresso), e piatto servito a temperatura ambiente, per esaltare il profilo aromatico dell’olio (da cultivar caiatina del casertano).

Calle, ceci, cicala e finocchio di Peppe Guida

La grande chiusura è affidata a tre grandi protagonisti a confronto con uno dei prodotti - e dei piatti – simbolo della cucina mediterranea: la pasta secca. Sono Alba Esteve Ruiz (Marzapane, Roma) e Faby Scarica (Villa Chiara – orto&cucina, Vico Equense) e Peppe Guida (Antica Osteria Nonna Rosa, Vico Equense). Le prime due, vincitrici a pari merito del contest Primo piatto dei Campi, il secondo giurato dello stesso contest e uno dei più grandi interpreti della pasta italiana. Tre primi diversi per formati, stile, ingredienti, con un ritorno di un abbinamento classico della cucina mediterranea: pasta e legumi.I tre piatti? Eliche, agnello (marinato con yogurt di bufala), lupini per Alba Esteve Ruiz; tofette di Gragnano con ceci grigliati al fumo di rosmarino, tamarindo (altra leguminosa) e ricci di mare per Faby Scarica; Calle, ceci, cicala, chinotto per Peppe Guida. Piatti molto tecnici: fermentazioni, marinature, affumicature, fondi, bisque per tre diverse ricette che raccontano di una visione sempre più aperta che dal Mediterraneo e i suoi sapori si apre al resto del mondo, attraverso strade vecchie e nuove.

 

a cura di Antonella De Santis e Livia Montagnoli

In apertura il Black Pudding di Helmut e Philip Rachinger

Mapic Food & Beverage, il salone del retail a Milano. E l'arrivo di Officine S. a Torino

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Chiusa la prima edizione per il Mapic Food & Beverage, fiera di respiro internazionale dedicata al retail nel settore alimentare a Milano. Intanto, a Torino, continuano i lavori per Officine S., spazio di aggregazione pensato per valorizzare le eccellenze gastronomiche.

 

L'evento

Un festival esclusivo dedicato al mondo del retail nel settore alimentare, che si propone di fare luce sui brand più dinamici e innovativi del mercato internazionale, fornendo una panoramica ampia e dettagliata a tutti i visitatori più curiosi, che hanno avuto la possibilità di entrare in contatto diretto con i retailers dell'universo enogastronomico. Si chiama Mapic Food & Beverage, ed è il primo evento milanese focalizzato su questo tema, ospitato all'interno del Mi.Co nei giorni passati, 23 e 24 maggio 2018. Una prima edizione conclusasi con successo, grazie al programma fitto di appuntamenti interessanti con i maggiori esperti del settore.

I protagonisti e il programma

Didier Souillat del Time Out Market, Jonathan Doughty dell'ECE, Tiziana Primori di Eataly World, Jonathan Doughty di Amrest, Jonathan Doughty di Capital and Counties PLC, Andrea Rasca del Mercato Metropolitano: questi e molti altri i protagonisti da tutto il mondo chiamati a raccolta per presentare le loro esperienze. “Il mondo del foodservice sta cambiando molto in fretta: non rimanete indietro!”, questo l'appello di Doughty, che ha spiegato al pubblico i modi più efficaci per rendere il food&beverage elemento protagonista nello sviluppo di centri commerciali, store e strutture centrali per la comunità. “Il centro commerciale si propone ora come punto di ritrovo polifunzionale dove l'enogastronomia detiene il ruolo principale”.

Spazio, naturalmente, anche al food tech: “Le soluzioni digitali per migliorare l'esperienza dei consumatori sono sempre più scelte dalla maggior parte del pubblico, soprattutto dai Millennials”, ha dichiarato François  Blouin, fondatore e CEO di Food Service Vision. Ed è proprio su questa fetta di clientela attenta e attiva che occorre puntare. E poi la masterclass sui sovvenzionamenti per i progetti di retail, il focus sui take-away, i fast food gourmet e tutte le nuove formule di ristorazione, oltre al seminario sull'importanza delle food hall, dalle catene agli artigiani locali, dai ristoranti alle boutique, per cercare la combinazione migliore in grado di restituire soluzioni pratiche ed efficaci per implementare il turismo gastronomico.

Officine S. a Torino

E a proposito di food hall: in concomitanza con la fiera, gli operatori del settore hanno avuto la possibilità di conoscere in anteprima un nuovo progetto di rigenerazione urbana unico nel suo genere. Officine S. a Torino, nella zona Nord della città, sulla Spina 3, si propone come spazio polifunzionale pensato per promuovere le eccellenze gastronomiche, ma soprattutto come punto di aggregazione per i cittadini. Una food hall a tutti gli effetti che aprirà i battenti nella primavera 2019, nel cuore delle ex Officine Savigliano, un edificio che rappresenta la memoria storica della Torino industriale, che un tempo ospitava la produzione e manutenzione di materiale ferroviario e di strutture in carpenteria metallica. Dopo il primo intervento di riqualificazione nel 2009, la struttura - recentemente acquisita dalla società-veicolo immobiliare Savigliano srl di Agrate Brianza - comprende oggi una galleria commerciale al piano terra e un centro direzionale per diverse aziende, oltre a dei loft disposti su due piani. E fra un anno anche uno spazio dedicato al cibo, una sorta di agorà del mondo alimentare con un'offerta gastronomica ampia, fra ristoranti, chioschi di street food e botteghe alimentari.

L'obiettivo

Un'insegna valida per la pausa pranzo, la colazione o l'aperitivo, o anche solo per rilassarsi in compagnia negli spazi messi a disposizione dalla food hall, a breve facilmente raggiungibile anche grazie alla prossima apertura della nuova stazione sotterranea Dora, con una linea metropolitana in grado di attraversare da Nord a Sud la città in meno di 20 minuti. Ma non finisce qui: il progetto darà inoltre lavoro a regime a circa 370 addetti, per un impatto economico significativo sul sistema locale. Proprio nella stessa zona che lo scorso novembre ha dato vita a Edit, faraonico progetto che ha preso forma a Barriera di Milano grazie all’investimento di Marco Brignone (dentro al ricco polo gastronomico anche l'avamposto torinese dei Costardi Bros). A coordinare i lavori di Officine S., la Laurenzi Consulting di Roma, società di consulenza con anni di esperienza nel settore alle spalle, mentre l'intero progetto è affidato al Gruppo Policentro, attivo da oltre 40 anni in Italia e all'estero sul mercato della promozione e dello sviluppo di Centri Commerciali. Staremo a vedere.

www.mapic-foodandbeverage.com/it/live-it.html

Officine S. - Torino – Officine Savigliano – dalla primavera 2019

Cucina di casa. Il fritto e le ricette regionali

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Chi non ama la frittura? La più pop tra le cotture è tecnica antichissima, imbattibile per golosità, a patto che sia eseguita a dovere. Qui le ricette dei principali fritti della tradizione.

 

Dopo le dritte per una frittura a regola d'arte, entriamo nel merito con le ricette dei principali fritti della tradizione suddivisi per regione. Come sempre vige la regola dei “localismi”, ovvero: parlare di cucina regionale è riduttivo perché l'Italia è costituita da localismi - che sono tali proprio perché confrontati e contrapposti ad altri localismi – ma per comodità si ricorre a sovrastrutture artificiose e artificiali. Quindi, premesso questo, vi sveliamo le ricette dei fritti più diffusi in Piemonte, Alto Adige, Emilia, Toscana, Marche, Abruzzo, Campania e Sicilia.

Piemonte

Batsoà

Il nome batsoà deriva dal francese bas de soie (calze di seta) e allude alla particolare setosità della polpa dei piedini... di maiale ovviamente!

Ingredienti

2 piedini di maiale

1 carota

1 cipolla

1 costa di sedano

1 foglia di alloro

Prezzemolo

1 bicchiere e 1/2 di aceto

2 uova

Pangrattato

Sale e pepe q.b.

Olio di arachide per friggere

Passare i piedini sulla fiamma del gas per bruciare la peluria quindi, tenendoli sotto il getto dell’acqua, passarli energicamente con uno spazzolino duro o con la lama di un coltello. Metterli in una pentola e coprirli con 3 litri di acqua fredda e con tutto l’aceto. Unire una manciatina di sale, la foglia di alloro e la carota, il sedano, la cipolla e il prezzemolo, mondati e lavati.

Far prendere l’ebollizione quindi abbassare la fiamma, coprire e proseguire la cottura per circa tre ore fino a quando la carne sarà tenerissima e tenderà a staccarsi dalle ossa. Far intiepidire i piedini quindi disossarli con le mani e tagliare la polpa a grossi dadi. Battere le uova con sale e pepe, passarvi i dadi e rivestirli con il pangrattato. Friggerli per quattro-cinque minuti in abbondante olio caldo girandoli a metà cottura quindi scolarli, passarli su un doppio foglio di carta da cucina e servirli caldissimi, spolverati di sale.

 

Semolino fritto

Semolino dolce

Ingredienti

200 g di semolino

1 l di latte

100 g di zucchero

2 uova

Scorza di limone

1 pizzico di sale.

Olio di arachide per friggere

Pangrattato, farina, 1 uovo per l’impanatura

Scaldare il latte con lo zucchero e la scorza di limone grattugiata in una casseruola a fondo pesante. Unire il semolino facendolo scendere a pioggia mescolando continuamente con un cucchiaio di legno perché non si formino grumi. Abbassare la fiamma al minimo e far cuocere per una decina di minuti mescolando spesso. Ritirare la casseruola dal fuoco e lasciare intiepidire il composto. Amalgamarvi le uova, uno alla volta, e mescolare bene quindi bagnare di acqua fredda il tavolo di marmo o una placca da forno e rovesciare il composto stendendolo con una spatola bagnata a uno spessore di 2 cm. Far raffreddare e, quando il semolino è duro e compatto, tagliarlo a dadi. Battere l’uovo e passare i dadi di semolino prima nella farina poi nell’uovo battuto e infine nel pangrattato rivestendoli bene. Friggerli per pochi minuti in abbondante olio ben caldo quindi scolarli e passarli su un doppio foglio di carta da cucina.

Alto Adige

Marillenkrapfen (krapfen con confettura di albicocche)

Marillenkrapfen - Frittelle di albicocche (da preparare la sera prima)

Ingredienti

800 g di farina

350 g di farina di segale

1 uovo

80 g di panna liquida fresca

40 g di grappa

1 cucchiaino di lievito in polvere

Latte q.b.

Sale q.b.

Olio di arachide per friggere

Confettura di albicocche per la farcitura

Setacciare e miscelare le due farine con il lievito, fare la fontana e metterci la grappa, la panna e l’uovo intero. Amalgamare grossolanamente gli ingredienti prima di unire il latte necessario per ottenere una pasta consistente. Impastare per qualche minuto quindi raccogliere l’impasto a palla, avvolgerlo nella pellicola e farlo riposare per tutta la notte. Dividere la pasta a pezzi e passarli alla macchinetta ricavandone delle strisce lunghe e sottili (ultimo passaggio con lo spessore al minimo). Distribuire dei cucchiaini di marmellata lungo tutta la striscia a distanza di 7-8 cm, ripiegare il lembo di pasta. Premere intorno al ripieno e ritagliare dei ravioli rettangolari. Friggerli per un paio di minuti in abbondante olio bollente, scolarli, passarli su un doppio foglio di carta da cucina e servirli tiepidi o freddi.

Spinattirtlen - Tortelli di spinaci altoatesini

Spinattirtlen - Tortelli di spinaci

Ingredienti per la pasta

300 g di farina di segale

200 g di farina di grano

1 uovo

1/2 bicchiere circa di acqua e latte tiepidi (metà e metà)

Zucchero

Sale q.b.

Per il ripieno

400 g di spinaci lessati

200 g di ricotta

1 patata lessa

Erba cipollina

Sale e pepe q.b.

Olio di arachide per friggere

Setacciare le due farine sulla spianatoia, fare la fontana e mettervi l’uovo, un cucchiaino da caffè di sale, altrettanto zucchero e la miscela di acqua e latte. Amalgamare gli ingredienti e impastare per una decina di minuti fino a quando la pasta sarà liscia ed elastica. Avvolgerla nella pellicola e farla risposare per una mezz’ora. Nel frattempo, preparare il ripieno. Dopo averli ben strizzati, tritare gli spinaci e raccoglierli in una terrina con la ricotta, la patata schiacciata, un cucchiaio di erba cipollina tagliuzzata, sale e pepe. Amalgamare con cura.

Stendere la pasta molto sottile sulla spianatoia infarinata e ritagliare dei dischi del diametro di circa 10 cm (rimpastare i ritagli). Spalmare il ripieno sulla metà dei dischi e coprire con l’altra metà, premere bene e ritagliare tutto intorno con la rotella dentata. Friggere i tortelli, pochi minuti per parte, in abbondante olio caldo. Scolarli appena dorati e passarli su un doppio foglio di carta da cucina. Servirli caldi.

 

Frittelle di mele

Frittelle di mele

Ingredienti

1 kg di mele Golden

400 g di farina

Latte q.b.

2 uova

100 g di zucchero

1/2 bustina di lievito

Sale q.b.

2-3 cucchiai di rum

Succo di limone

Olio di arachide per friggere

Zucchero semolato e cannella per spolverare le frittelle

Setacciare la farina con il lievito in una ciotola e, mescolando con una frusta, unire il latte necessario per ottenere un composto liscio e fluido. Continuando a mescolare, unire i tuorli (conservare gli albumi), lo zucchero, il rum e mezzo cucchiaino di sale. Quando la pastella è pronta, farla riposare per una mezz’ora. Sbucciare le mele intere, privarle del torsolo, tagliarle a fette orizzontali dello spessore di mezzo cm e spruzzarle con qualche goccia di succo di limone. Battere a neve gli albumi e unirli delicatamente alla pastella con un movimento circolare dall’alto verso il basso. Scaldare abbondante olio, e dopo averle asciugate, passare le fette di mela nella pastella e friggerne tre o quattro per volta. Girarle una volta e, quando sono ben dorate, scolarle e passarle su un doppio foglio di carta da cucina. Spolverarle di zucchero e cannella e servirle calde o tiepide.

 

Emilia

Torta fritta parmense con salumi

Torta fritta

La torta fritta è versione parmense di quelle paste fritte che si trovano un po’ in tutta l’Emilia Romagna (gnocco fritto, crescentine, chisulin). A Parma si accompagna tradizionalmente alla spalla cotta di San Secondo, un salume che si prepara con la parte superiore della coscia anteriore del maiale, salata e conciata con pepe, cannella, noce moscata e aglio. Dopo la marinatura viene insaccata nella vescica di maiale e fatta stagionare per un mese e mezzo quindi dopo essere stata lavata viene cotta per molte ore.

Ingredienti

500 g di farina

50 g di burro (o strutto)

250 g di latte

12 g di lievito di birra fresco

Sale q.b.

Strutto per friggere (o olio di arachide)

Sciogliere il lievito nel latte a temperatura ambiente. Setacciare la farina, fare la fontana e mettere al centro il latte con il lievito, il burro fuso freddo e un cucchiaino di sale. Impastare il tutto e lavorare energicamente la pasta fino ad averla liscia ed elastica. Quando è pronta, raccoglierla a palla e metterla in una ciotola. Coprire con un canovaccio umido e far riposare la pasta per una decina di minuti. Stenderla, con il matterello o con la macchinetta, a uno spessore di 3 mm e tagliare a rombi. Friggere in abbondante strutto caldo fino a colore oro chiaro, scolare e passare i rombi di pasta in un doppio foglio di carta da cucina. Servire calda.

 

Toscana

Coniglio fritto toscanofoto di www.leonardoromanelli.it

Coniglio fritto

Ingredienti

1 giovane coniglio del peso di circa 1 kg

2 uova

Farina

Sale q.b.

Olio extravergine d’oliva per friggere

Se necessario, svuotate il coniglio, scartare la testa e dividerlo in due nel senso della lunghezza quindi da ogni metà ricavare otto piccoli pezzi: tre dalla coscia, tre dal dorso e due dalla spalla. Togliere accuratamente eventuali schegge di ossa. Battere le uova in una ciotola, infarinare abbondantemente i pezzi di coniglio, immergerli nell’uovo battuto e mescolare bene. Se possibile, far riposare per una mezz’ora in modo che la farina si imbeva bene. Scaldare abbondante olio nella padella e quando è ben caldo calare la metà dei pezzi di coniglio. Dopo un paio di minuti, abbassare leggermente la fiamma (non al minimo), in modo che possano cuocere bene anche internamente e friggerli per 5-6 minuti per parte fino a quando avranno preso un bel colore oro scuro. Scolarli, passarli su un doppio foglio di carta da cucina. Servire caldo o tiepido, spolverato di sale.

 

Marche

Se non c'è il fritto, non è un vero pranzo marchigiano. Nella zona del Piceno, la frittura è una vera e propria istituzione. A cominciare, naturalmente, dalle famose olive ascolane - per preparare quelle “vere”, ci vogliono le grandi olive Tenere Ascolane (una delle poche varietà da mensa Dop in Italia), dolci e polpose - spesso accompagnate dai deliziosi cremini.

fritto marchigiano con olive ascolane e cremini

Cremini fritti

Ingredienti

6 tuorli d’uovo

1 l di latte

150 g di maizena

300 g di zucchero

Scorza di 1/2 limone non trattato (solo la parte gialla)

2 uova

1 manciata di farina

200 g di pangrattato

Olio di arachide per friggere

Portare a ebollizione il latte con due belle scorze di limone. Raccogliere i tuorli in una ciotola con lo zucchero e mescolare con la frusta fino a ottenere un composto chiaro. Continuando a mescolare, unire la maizena e infine il latte caldo. Mescolare bene quindi travasare il composto in una casseruola a fondo pesante, metterla sul fuoco e far cuocere la crema per circa 10 minuti sempre mescolando. Quando la crema comincerà a staccarsi dalle pareti della casseruola, ritirarla dal fuoco, scartare le scorze di limone e rovesciarla su una spianatoia di legno o su un piano di marmo. Non occorre livellarla: la crema caldissima e fluida si distenderà da sola fino allo spessore giusto. Lasciarla raffreddare per almeno tre o quattro ore fino a quando sarà diventata solida e compatta. Con un coltello lungo e ben affilato, tagliarla prima a strisce larghe circa due dita e dopo a quadretti o a losanghe. Una volta tagliati tutti i “cremini”, passarli prima nella farina poi nell’uovo sbattuto e infine nel pangrattato. Friggerli per pochi minuti nell’olio caldissimo quindi scolarli, passarli in un doppio foglio di carta da cucina e servirli caldi.

 

Abruzzo

Formaggio frittoFoto di www.eccellenzedabruzzo.it

Formaggio fritto

Ingredienti

400 g di caciotta semistagionata

2 uova

Farina

Olio di arachide per friggere

Ricavare dalla caciotta delle fettine di circa mezzo cm di spessore. Battere le uova. Infarinare le fettine di formaggio, passarle nell’uovo battuto e quindi adagiarle in abbondante olio caldissimo. La frittura dovrà durare non più di un minuto per non dare modo al formaggio di sciogliersi. Sgocciolare, passare su un doppio foglio di carta da cucina e servire il formaggio immediatamente.

 

Campania

Anche la Campania è patria del fritto, basta pensare alla pizza fritta o al cuoppo di fritti, tipico cibo da strada napoletano che si divide in quellodi mare a base di pesce (meglio se di piccola taglia) o al cuoppo di terra, dove non devono mai mancare le zeppoline di pasta cresciuta e le crocchè di patate.

crocchette di patate

Crocchè di patate

Ingredienti

1 kg di patate non novelle

1 manciata di parmigiano e 1 di pecorino grattugiati

2 uova

1 noce di burro

1 cucchiaio di prezzemolo tritato

1 piccolo fiordilatte

Sale e pepe q.b.

Olio di arachide per friggere

Pangrattato

Lessare le patate in acqua inizialmente fredda. Quando sono pronte, scolarle, pelarle e passarle allo schiacciapatate lasciandole cadere in una ciotola. Unire il burro, mescolare e lasciar intiepidire. Appena si saranno intiepidite amalgamare, uno alla volta, le uova quindi i formaggi, il prezzemolo, sale e pepe. Amalgamare bene impastando con le mani. Tagliare il fiordilatte a filetti. Con il composto di patate, modellare le crocchè a forma di salsicciotto delle dimensioni e farcirle con un filetto di fiordilatte. Battere l’uovo in una scodella, indorare le crocchette e rivestirle di pangrattato. Lasciarle asciugare per una decina di minuti quindi friggerle, cinque o sei alla volta, in abbondante olio caldo, in modo che possano galleggiare. Scolarle, passarle su un doppio foglio di carta da cucina e servirle tiepide.

 

Sicilia

Delle panelle vi abbiamo già parlato, ora tocca alle arancine (così vengono chiamate nella Sicilia occidentale) o arancini (nella parte orientale) che dir si voglia: l'Accademia della Crusca ammette entrambe le versioni.

arancini

Arancine/i

Ingredienti

1 kg di riso Carnaroli

250 g circa di polpa di maiale in un unico pezzo

250 g di polpa di manzo in un unico pezzo

200 g di caciocavallo stagionato

200 g di pisellini

200 g di salame a grana grossa

100 g di concentrato di pomodoro (strattu)

½ l di passata di pomodoro

1 cipolla

Olio extravergine d’oliva

Sale e pepe q.b.

Olio di arachide per friggere

2 uova

Pangrattato

Scaldare mezzo bicchiere d’olio in una casseruola e soffriggere dolcemente la cipolla tritata. Unire le due carni e farle ben rosolare da ogni parte. Quando hanno preso colore versare il concentrato nel fondo della casseruola e farlo soffriggere. Dopo qualche minuto, insaporire la carne con sale e pepe e unire la passata di pomodoro. Coprire e proseguire la cottura a fuoco dolce per circa tre ore unendo ogni tanto un mestolo di acqua calda. Quando la carne è pronta, sgocciolarla dal sugo e sfilacciarla quindi rimetterla nella casseruola. Cuocere il riso versando in una casseruola un volume di riso, due volumi di acqua, il sale e un mestolo di sugo; si dovrà ottenere un risotto denso. Lasciarlo raffreddare per tutta la notte.

Lessare i pisellini in acqua salata, Tagliare a dadini il caciocavallo e il salame e versare il tutto nella casseruola con il sugo di carne. Raccogliere un po’ di riso nell’incavo della mano sinistra, fare un incavo e riempirlo con due o tre cucchiaiate di sugo. Coprire con un altro poco di riso e modellare un’arancina rotonda. Battere le uova. Passare le arancine prima nell’uovo e poi nel pangrattato rivestendole bene. Farle riposare per qualche ora in fresco prima di friggerle in abbondatissimo olio ben caldo.

 

Cucina di casa. Le basi: Pasta brisée, Pasta sfoglia, Pasta da pizza e Pasta frolla

Cucina di casa. Le salse: Besciamella, Salsa béarnaise, Pearà e Salsa verde

Cucina di casa. Le creme: Ganache al cioccolato, Crema pasticcera, Crema inglese, Panna montata

Cucina di casa. Le salse straniere: Guacamole, Hummus, Baba ganush e Tzatziki

Cucina di casa. Le paste fresche: Pasta all'uovo, Pici, Tagliatelle di farina di castagne e Pizzoccheri

Cucina di casa. Gli gnocchi: Gnocchi di patate, Gnocchi di semolino, Gnocchi di zucca e Gnocchetti di pane

Cucina di casa. Le paste ripiene: Tortellini, Cappelletti e Ravioli ricotta e spinaci

Cucina di casa. Metodi di cottura del riso: Risotto con la zucca, Riso al salto, Riso pilaf, Insalata di riso gamberetti e moscardini, Paella valenciana

Cucina di casa. Metodi di cottura della carne: bollito, brasato, stufato e cotture arrosto

Cucina di casa. Metodi di cottura del pesce: al forno (in cartoccio e in crosta), alla griglia, al vapore e fritto

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La Cocina, l'incubatore di imprese di San Francisco che aiuta le donne a diventare ristoratrici

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A San Francisco, La Cocina rappresenta un'opportunità unica per tutte le donne amanti del cibo. Si tratta di un incubatore che si propone di aiutare donne immigrate vogliose di iniziare una loro attività nel mondo della ristorazione. Storia ed evoluzione del progetto.

 

Il progetto

Fornire spazi commerciali a prezzi accessibili, assistenza tecnica e accesso alle opportunità di mercato a tutte le aspiranti imprenditrici con difficoltà economiche. È questa la missione, semplice e chiara, de La Cocina, progetto nato nel 2005 a San Francisco fra le strade multietniche del Mission District, dove il cibo è da sempre l'elemento di principale condivisione fra le tante comunità presenti. Un'iniziativa nata per formalizzare un'attività già esistente, quella degli home restaurant del quartiere, oggi divenuti forme di business a tutti gli effetti grazie al lavoro di organizzazioni come Arriba Juntos, The Women's Initiative e The Women's Foundation of California, che insieme a un benefattore anonimo hanno dato vita a un incubatore pensato per sostenere le imprenditrice del mondo alimentare, soprattutto quelle provenienti dalle comunità di immigrati. L'obiettivo? Dare loro la sicurezza finanziaria necessaria per proseguire il proprio percorso nel settore del cibo. La Cocina, dunque, si occupa di sostenere i costi di start-up per l'apertura di ristoranti, quelli per ottenere spazio sugli scaffali dei negozi specializzati e dei rivenditori. Una piattaforma che si propone di aiutare le donne ad affinare le proprie capacità e inserirsi con successo nell'industria alimentare, con tutte le carte in regola, seguendo le norme vigenti e i controlli del settore.

Come funziona

Attualmente, sono 33 le imprese emergenti all'interno del progetto, realtà che hanno contribuito a generare nuovi posti di lavoro per le comunità del distretto, e che si occupano oggi di vendere prodotti a livello nazionale e internazionale. “C'erano tante donne che vendevano cibo illegalmente, in strada o nelle loro case, e c'era un grande bisogno di creare per loro un percorso di crescita”, ha dichiarato Jessica Mataka, socia per lo sviluppo e la comunicazione de La Cocina a Eater, sito americano specializzato. A guidare l'incubatore oggi è Calbe Zigas, fin dall'inizio coinvolto nel progetto. “In questo modo, le donne non hanno solo l'opportunità di avere un lavoro retribuito, ma anche di creare un'attività propria, qualcosa di personale che le rappresenti”. Sovvenzionate da La Cocina per cinque anni, periodo di tempo sufficiente per avviare al meglio un'impresa e acquisire tecniche e conoscenze necessarie per continuare da sole. Naturalmente, i posti sono limitati: sei volte l'anno, l'incubatore organizza delle giornate di orientamento per le aspiranti imprenditrici, alla fine delle quali solamente tre donne vengono inserite nel programma. “Valutiamo le aziende in base al loro spirito imprenditoriale e alla fattibilità del prodotto”, spiega Mataka, “dobbiamo capire se si tratta o meno di un progetto che potrà avere successo in un mercato molto competitivo come quello attuale”.

Le protagoniste

Storie di donne, di madri, di cuoche con un sogno e una passione in comune: quella per la buona tavola. Donne come Alicia Villanueva, ideatrice di Alicias Tamales Los Mayas, servizio di catering di tamales, involtini ripieni di carne e verdure tipici della cucina messicana, fatti a mano con ingredienti in arrivo direttamente dal Messico, serviti a oltre 80 compagnie e presenti anche durante festival ed eventi gastronomici. Dopo aver finito il suo percorso con La Cocina nel 2010, Alicia ha deciso di mettersi in proprio insieme a 14 impiegati in uno spazio ad Hayward. E poi Reem Assil, con le sue Oakland bakery e Reem's California, basata sullo street food arabo, e un nuovo progetto in arrivo circa un ristorante in collaborazione con lo chef Daniel Patterson. E tante altre imprenditrici che hanno poi creato una rete di contatti, contribuendo alla crescita del progetto: Alicia, per esempio, ha incoraggiato le sue impiegate ad applicare per il programma dell'incubatore, e una di queste, Guadalupe Guerrero, è stata accettata e aprirà presto un locale a suo nome, El Pípila, nel quartiere di SoMa a San Francisco. Una realtà che non smette di sorprendere, creando progetti sempre nuovi e originali. Nei piani futuri, l'apertura di una food hall gestita interamente da donne nella zona di Tenderloin, ghetto della città e rifugio di immigrati e senzatetto.

www.lacocinasf.org

a cura di Michela Becchi

L'Alveare che dice sì. Il progetto di spesa online a filiera corta basato sulla sharing economy

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La sharing economy è sempre più al centro di progetti e startup nel mondo del cibo. Ad abbracciare questa crescente tendenza, L'Alveare che dice sì, piattaforma di spesa online che raduna i piccoli produttori delle varie città italiane.

 

Il progetto

In principio fu La Ruche qui dit Oui!, progetto nato in Francia nel 2011 per facilitare la spesa, un servizio di shopping online pensato per tutti i cittadini che non hanno tempo per recarsi in bottega ma che non vogliono rinunciare ai prodotti di qualità. Una rete di produttori, casari, allevatori dei diversi territori, pensata per garantire cibo fresco e a filiera corta a tutti gli iscritti. Un'idea innovativa approdata poi in Inghilterra con The Food Assembly, e poi ancora in Spagna, Germania e Belgio, e a fine 2015 anche in Italia. A importare questa iniziativa nella Penisola, Eugenio Sapora, attuale CEO del gruppo. “A fine 2015 è nata la nostra startup, incubata ancora oggi nel programma di supporto Treatabit”, racconta Simona Cannataro, responsabile comunicazione de L'Alveare che dice sì. Si tratta di “una sorta di gruppo d'acquisto 2.0, una comunità di persone che non hanno la possibilità di fare la spesa e che scelgono di mettersi insieme per comperare alimenti freschi dagli artigiani della zona”.

La filiera corta e la squadra dell'Alveare

35 km è la distanza media che i produttori percorrono per consegnare le loro specialità ad un Alveare, una scelta compiuta per azzerare la filiera al massimo e garantire una qualità costante ai consumatori. Il team dell'alveare si impegna ad assistere e supportare il gestore di ogni gruppo,un privato che si impegna a selezionare le materie prime del territorio, e che percepisce una percentuale sulle vendite”. Chiunque può diventare gestore e creare un Alveare, facendo domanda tramite il sito e seguendo i consigli della squadra. C'è poi un luogo per le distribuzioni, “che può essere un bar o un ristorante, ma anche un'associazione di quartiere, un cinema, una polisportiva, un qualsiasi punto di ritrovo della vita cittadina”. E poi c'è il sistemista informatico, “che si impegna a coordinare consegne e ordini”.

Come funziona

Sviluppare la filiera corta per ritrovare il sapore dei propri territori e ristabilire un legame tra consumatori e produttori: questi gli obiettivi del progetto, che continua ad ampliarsi sempre di più (oggi sono 170 gli Alveari in tutta Italia). Il processo di creazione di un Alveare è molto semplice: con il sostegno della squadra, la persona che sceglie di diventare gestore in una determinata zona può cercare tramite il sito i produttori locali, e poi i consumatori interessati con cui acquistare gli alimenti. Non appena il quartiere conta un numero sufficiente di fornitori e membri, l’avventura comincia. “Ogni settimana, i clienti hanno 5 giorni per scegliere cosa acquistare. Per esempio, nella mia zona le vendite sono aperte dal venerdì al martedì, con consegna ogni giovedì dalle 18 alle 19”.

Lo sviluppo e il futuro del progetto

Una realtà che ha preso gradualmente piede in tutto lo Stivale, soprattutto al Nord, “siamo molto presenti in Piemonte e Lombardia, dove ci sono circa una 50ina di alveari per regione. Solo a Torino ne abbiamo 18, a Milano circa 16”. E al Sud? “Nel Meridione il progetto fa ancora un po' fatica ad attecchire, un po' perché ci sono più zone rurali, e quindi maggiori possibilità di acquisti diretti presso le aziende locali, un po' perché l'idea di spesa online non è ancora ben radicata”. Risposte molto positive, invece, continuano ad arrivare di anno in anno dall'Italia Settentrionale, dove vengono realizzate anche delle consegne speciali: “Nei mesi più freddi, prima delle vacanze di Natale, oltrepassiamo il concetto di filiera corta e facciamo consegne di prodotti di largo consumo come arance, olio extravergine di oliva e mozzarella di bufala direttamente dal Sud”. Un progetto destinato a crescere, “a breve apriremo un punto a Palermo, e abbiamo intenzione di creare più Alveari nell'Italia meridionale”, e che presto comincerà a contare sulle proprie forze: “Questo per noi è un anno importante, perché dobbiamo iniziare a reggerci sulle nostre gambe, uscendo dalla dinamica delle startup. Vogliamo continuare a svilupparci, proponendoci come alternativa alla grande distribuzione”.

alvearechedicesi.it/it

a cura di Michela Becchi

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