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Anteprima Oli d'Italia 2018. Sud&Isole: i migliori extravergini premiati

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Countdown per la presentazione della guida Oli d'talia 2018. Oggi vi parliamo di come si affrontano assaggi e si fanno le valutazioni per le guide e i premi. Ma soprattutto vi sveliamo gli oli premiati di Sud e Isole.


Manca sempre meno alla presentazione dell'ultima edizione della guida Oli d'Italia. In attesa di scoprire i nomi di aziende e produttori che si sono aggiudicati i premi speciali, ecco svelati gli oli migliori del Sud Italia. Più una riflessione sul ruolo dell'assaggiatore.

 

Gli assaggiatori di olio

Panel test sì o panel test no?” Una domanda semplice ma quanto mai necessaria, quella che Alberto Grimelli, esperto agronomo e fondatore del sito specializzato Teatro Naturale, si pone. E con lui, una schiera di assaggiatori, sommelier, produttori e appassionati di olio extravergine di oliva in tutta Italia. Perché aumenta, lo abbiamo già ripetuto in più occasioni, il numero di etichette valide nella Penisola nel nord, centro e sud, e cresce di pari passo l'interesse dei consumatori e degli addetti ai lavori, sempre più impegnati a trovare un modo efficace e diretto per comunicare e diffondere la cultura dell'olio di qualità. E se la curiosità per questo universo verde continua a espandersi a macchia d'olio (è proprio il caso di dirlo) è anche grazie agli assaggiatori. Tecnici esperti dell'extravergine, studiosi della materia in grado di riconoscerne pregi e difetti, caratteristiche e dettagli. Addetti all'analisi sensoriale, dall'olfatto fine e il palato allenato, che si destreggiano fra le tante varietà di olive presenti in Italia. Passando spesso, purtroppo, anche per qualche prodotto difettato.

 

Il panel

Sono i componenti del panel, la commissione d'assaggio impegnata nella selezione e nel giudizio dei vari oli durante concorsi, esami per eventuali certificazioni, e guide. Ma soprattutto si tratta di un gruppo di professionisti che ha prima di ogni cosa il dovere di valutare se un olio sia veramente extravergine, preciso ed esente da difetti. Sta a loro, poi, il compito di assegnare punteggi, promuovere o bocciare le etichette. La guida Oli d'Italia del Gambero Rosso non fa eccezione, e fin dalla prima edizione si avvale di un panel eterogeneo composto da tecnici specializzati di ogni livello: dai giornalisti gastronomici italiani e stranieri ai capo panel, dai nomi storici del settore agli assaggiatori più giovani. Per un gruppo sempre più coeso, variegato ma solido, che ha fatto proprio delle differenze dei vari componenti, dalle capacità, esperienze e qualificazioni più eterogenee, il proprio punto di forza. All'insegna dello scambio e del confronto costruttivo. Mettere d'accordo sei, sette, otto o più teste pensanti? Niente di più difficile. Ma il lavoro di squadra – si sa – è un'armonia di accordi che avviene dopo tanta pratica. E una volta raggiunta, è una sincronia difficile da abbandonare.

L'assaggio

Perché in fondo la degustazione è un po' come la danza o la musica: bisogna imparare a tenere il tempo per andare avanti. Scaldare, odorare, strippare: è il ritmo dell'assaggio, una procedura che apparentemente può sembrare meccanica, un gesto ripetuto nel tempo, ma che richiede in realtà concentrazione e precisione, attenzione e consapevolezza. In che modo funziona? Innanzitutto, partiamo dal principio: il bicchiere d'assaggio va sempre scaldato fra le mani, affinché arrivi a una temperatura di circa 27/28°C (più o meno 10 gradi sotto la nostra temperatura corporea), livello ideale per far sprigionare al massimo aromi e profumi del prodotto. Niente esame visivo, in questo caso: il colore dell'extravergine (non ce ne vogliano i sostenitori convinti dei verdi brillanti...) non ne determina la qualità. Spazio, dunque, a uno dei passaggi fondamentali: l'analisi olfattiva, momento cruciale per stabilire la presenza di un eventuale difetto, ma soprattutto – per la gioia di noi assaggiatori – per individuare profumi e sentori. Infine, l'assaggio. O meglio, lo strippaggio. Chi ha avuto modo di assistere all'analisi sensoriale di un extravergine, di certo non potrà dimenticarselo: si tratta di un metodo singolare, che consiste nel degustare il prodotto inspirando aria all'interno della bocca, ricreando una sorta di vaporizzatore tenendo i denti ben serrati. Passaggio imprescindibile per percepire bene le sensazioni di amaro e piccante, oltre a quello retro-olfattive.

 

Il capo panel

Scaldare, odorare, strippare. Tre momenti che ogni assaggiatore vive dapprima in maniera intima e riflessiva, e che poi – solo dopo averli analizzati singolarmente – condivide con il resto del gruppo, confrontandosi e bilanciando il giudizio. Sotto la supervisione attenta del capo panel, la guida della squadra che ha il compito di calibrare la commissione. Nel nostro caso, Giulio Scatolini, uno dei massimi esperti del settore, fra i primi a studiare e poi insegnare l'argomento, assaggiatore ufficiale già in tempi non sospetti, un professionista di rango che però non dimentica mai la componente più importante di tutte: il piacere. Perché, per dirla con parole sue, cos'è l'analisi sensoriale se non “la sintesi ideale tra il piacere della conoscenza e la conoscenza del piacere?”.

 

Il panel test

Dunque, dicevamo: panel test sì o panel test no? Se lo chiedono in molti, e fra questi anche Grimelli. “Chissà come avrebbe loro risposto Mario Solinas, ricercatore dell’Istituto per l’elaiotecnica di Pescara, che dedicò gran parte della sua vita proprio a sviluppare il metodo. L’ideatore della felice espressione 'succo di oliva' per designare l’extravergine, non poteva certo ignorare che ogni metodo analitico è soggetto a periodiche revisioni e così, ovviamente, deve essere anche per il panel test”. Cambiano le tecniche e anche le schede di assaggio, che hanno l'obiettivo di essere sempre più complete e inattaccabili, “grazie all’introduzione di standard e a una maggiore informatizzazione, è certamente necessario. È il compito a cui si dedicano i ricercatori del progetto Oleum-Horizon2020, i tecnici e gli esperti nelle commissioni e, ovviamente, il Consiglio oleicolo internazionale”. Un lavoro da seguire da vicino, “per capire se l’uomo e i suoi sensi meritano ancora una centralità nella filiera olivicolo-olearia”. Un discorso complesso in cui bisogna tenere a mente una distinzione fondamentale: “Il panel test non è 'l’assaggio dell’olio'. Il metodo per l’analisi organolettica, con le sue numerose regole, serve a classificare un olio: extravergine, vergine e lampante. Fatta la classificazione, si passa alla valorizzazione”. Operazione puramente tecnica, la prima, più emozionale e coinvolgente la seconda. “Nel primo caso l’autorevolezza sta nel metodo in sé, nel secondo viene riconosciuta da un consumatore in cerca di un consiglio. Nel mare magnum oleario c’è bisogno di sicurezze: quelle del panel test per la classificazione commerciale, ma anche quelle di un buon amico esperto, di una guida che ti porti in casa le eccellenze, i migliori oli artigianali nazionali”. Ed è proprio a questo che servono le guide, “a fornire un suggerimento e a dare un valore al prodotto, ad esprimere un punteggio. In poche parole: a valorizzare”.

 

a cura di Michela Becchi

Oli d'Italia 2018 - Gambero Rosso - 530 pp - 13,90 euro - disponibile in edicola e libreria - clicca qui per acquistare la guida online

 

I premiati del Sud e delle Isole

 

Tre Foglie

 

Basilicata

Olio Extravergine di Oliva- Filomena Carriero - Montescaglioso (MT) - www.agricolacarriero.it

Monocultivar Majatica - Francesco Gaetano Fanelli - Giardino Arcieri - San Mauro Forte (MT) - www.giardinoarcieri.it

Lamia Monocultivar Majatica – Frantoio Lacertosa - Ferrandina (MT) - www.frantoiolacertosa.it

Monocultivar Faresana - Lorenzo Micele - Senise (PZ) - www.aziendaagricolamicele.blogspot.it

Torre Cantore Monocultivar Coratina - Oleificio Trisaia - Rotondella (MT) – www.oliotrisaia.com

Sarolo Monocultivar Ogliarola del Vulture - Rapolla Fiorente - Rapolla (PZ) - www.rapollafiorente.it

Cenzino Monocultivar Ogliarola del Bradano Bio - Vincenzo Marvulli - Matera

 

Calabria

'A Catananna Monocultivar Nocellara Etnea Bio – Doria - Cassano Allo Ionio (CS) - www.agricoladoriasrl.it

Tappo Oro Bio - Frantoio Figoli - Corigliano Calabro (CS) - www.frantoiofigoli.it

L'Ottobratico Monocultivar Ottobratica - Olearia San Giorgio - San Giorgio Morgeto (RC) - www.olearia.eu

Dolciterre Monocultivar Ottobratica - Sorelle Garzo - Seminara (RC) - www.oliodolciterre.com

Monocultivar Nocellara del Belice Bio - Tenute Librandi Pasquale - Vaccarizzo Albanese (CS) - www.oliolibrandi.it

 

Campania

Vega - Fattoria Ambrosio - Salento (SA) - www.fattoriaambrosio.it

Raro - Madonna dell'Olivo - Serre (SA) - www.madonnaolivo.it

Impronta Monocultivar Rotondella Bio- Marco Rizzo- Felitto (SA) - www.oliorizzo.it

Incipit Monocultivar Nostrale di Felitto - Marco Rizzo - Felitto (SA) - www.oliorizzo.it

Vapensiero - Nicolangelo Marsicani - Morigerati (SA) - www.marsicani.com

Monocultivar Ravece - Oleificio Fam - Venticano (AV) - www.oliofam.it

Monzo Rupe Monocultivar Cammarotana – Pietrabianca - Casal Velino (SA) - www.monzo.it

Monocultivar Ortice Riserva - Tenuta Romano - Ponte (BN) - www.frantoioromano.it

Cuore d'Ortice Monocultivar Ortice Bio - Torre a Oriente - Torrecuso (BN) - www.torreaoriente.com

 

Molise

Colle D'Angiò Monocultivar Rumignana Bio - Giorgio Tamaro - Termoli (CB) - www.oliotamaro.it

Classico - Principe Pignatelli - Monteroduni (IS) - www.oliopignatelli.com

Monocultivar Ascolana Tenera Bio – Trespaldum - Mafalda (CB) - www.trespaldum.com

 

Puglia

Giove Monocultivar Coratina - Depalo – Oleà - Giovinazzo (BA) - www.oliodepalo.it

Monocultivar Peranzana - Donato Conserva - Olio Mimì - Modugno (BA) - www.oliomimi.com

Tenuta Arcamone Dop Terra di Bari Bitonto Bio - Frantoio De Carlo - Bitritto (BA) - www.oliodecarlo.com

Posta Locone Monocultivar Coratina Bio - Fratelli Ferrara - Canosa di Puglia (BT) - www.fratelli-ferrara.it

Le Monocultivar – Peranzana - Guglielmi dal 1954 - Andria (BT) - www.olioguglielmi.it

De Monocultivar Coratina Denocciolato - Le Tre Colonne - Giovinazzo (BA) - www.letrecolonne.com

Le Selezioni Armonia - Le Tre Colonne - Giovinazzo (BA) - www.letrecolonne.com

Le Selezioni Monocultivar Coratina - Le Tre Colonne - Giovinazzo (BA) - www.letrecolonne.com

Monocultivar Coratina – Leuci - Giovinazzo (BA) - www.agricolaleuci.it

Monocultivar Coratina Bio - Nicola Monterisi - Andria (BT) - www.oliomonterisi.com

Affiorato - Olio Intini - Alberobello (BA) - www.oliointini.it

Oro di Rufolo Monocultivar Ogliarola Barese – Ortoplant - Giovinazzo (BA) - www.orodirufolo.it

Don Gioacchino Dop Terra di Bari Castel del Monte Monocultivar Coratina - Sabino Leone - Canosa di Puglia (BT) - www.sabinoleone.it

Crudo SeiCinqueZero Monocultivar Coratina – Schiralli - Binetto (BA) - www.crudo.it

Grandi Oli Monocultivar Coratina – Scisci - Monopoli (BA) - www.agriscisci.it

Olio Extravergine di Oliva Bio - Tenuta Venterra - Grottaglie (TA) - www.tenutaventerra.it

Infiore Monocultivar Coratina - Tommaso Fiore - Terlizzi (BA) - www.olioinfiore.com

lucia di meo Monocultivar Coratina Bio - Valentina Lorizzo - Trani (BT) - www.oliodimeo.com

 

Sardegna

Riserva del Produttore Dop Sardegna - Accademia Olearia - Alghero (SS) - www.accademiaolearia.com

Treslisoz Monocultivar Semidana Bio - Agriturismo Il Giglio - Oristano - www.agriturismoilgiglio.com

S'Ard Monocultivar Semidana - Franco Ledda - Oristano - www.oliosard.com

Solianu Monocultivar Bosana - Giuseppe Gabbas - Nuoro - www.gabbas.it

Jumpadu Monocultivar Nera di Oliena Bio - Giuseppe Puligheddu - Oliena (NU)

Monocultivar Semidana - Oleificio Pianura del Maestrale - Siamanna (OR) - www.pianuradelmaestrale.it

Gariga-Birde Monocultivar Bosana - Su Molinu - Ottana (NU) - www.sumolinu.it

 

Sicilia

Nettare Ibleo Dop Monti Iblei Monocultivar Tonda Iblea Bio - Agrestis - Buccheri (SR) - www.agrestis.eu

Case di Latomie Igp Sicilia – Centonze - Castelvetrano (TP) - www.oliocentonze.com

Monocultivar Tonda Iblea - Cinque Colli - Chiaramonte Gulfi (RG) - www.cinquecolli.it

Monocultivar Nocellara Messinese Bio Igp Sicilia - Fattoria Sant'Anastasia - Tenuta Vasadonna - Motta Sant'Anastasia (CT) - www.tenutavasadonna.com

Primo Dop Monti Iblei Monocultivar Tonda Iblea - Frantoi Cutrera - Chiaramonte Gulfi (RG) - www.frantoicutrera.it

Villa Zottopera Monocultivar Tonda Iblea Bio - Giuseppe Rosso - Chiaramonte Gulfi (RG) - www.zottopera.it

Monocultivar Nocellara Etnea Bio – Grottafumata - Randazzo (CT) - www.oliogrottafumata.it

Zahara Monocultivar Tonda Iblea - Oleificio Guccione - Chiaramonte Gulfi (RG) - www.oleificioguccione.it

Natalia's Selection Monocultivar Nocellara del Belice – Ravidà - Menfi (AG) - www.ravidaoil.com

Letizia Dop Monti Iblei Monocultivar Tonda Iblea - Rollo - Ragusa - www.aziendarollo.it

Monocultivar Moresca Bio - Sebastiana Fisicaro – Galioto - Ferla (SR) - www.frantoiogalioto.it

Cherubino Centesimato Igp Sicilia Monocultivar Nocellara del Belice – Terraliva - Buccheri (SR) - www.terraliva.com

Fior di Olive Olio Extravergine d'Oliva Bio - Terre sul Dirillo - Chiaramonte Gulfi (RG) - www.terresuldirillo.it

Dop Valli Trapanesi Bio – Titone - Trapani - www.titone.it

Olio Extravergine di Oliva Bio – Titone – Trapani - www.titone.it

Polifemo Dop Monti Iblei Monocultivar Tonda Iblea – Viragì - Chiaramonte Gulfi (RG) - www.viragi.it

 

Due Foglie Rosse

 

Basilicata

Monocultivar Ogliarola del Vulture Bio - Cantine del Notaio - Ripacandida (PZ) - www.cantinedelnotaio.it

Fontana dei Santi - Luciano Pepe - Albano di Lucania (PZ)

 

Calabria

La Badessa Monocultivar Carolea Bio – Barranca - Siderno (RC) - www.aziendabarranca.it

Lei Monocultivar Cassanese Bio – Doria - Cassano Allo Ionio (CS) - www.agricoladoriasrl.it

Sud Bio – Doria - Cassano Allo Ionio (CS) - www.agricoladoriasrl.it

I Zuappi - Frantoio Roperti - Conflenti (CZ) - www.frantoioroperti.it

Monocultivar Coratina - I Tesori del Sole - Lamezia Terme (CZ) - www.tesoridelsole.it

L'Aspromontano - Olearia San Giorgio - San Giorgio Morgeto (RC) - www.olearia.eu

Micu 1906 - Olearia San Giorgio - San Giorgio Morgeto (RC) - www.olearia.eu

Olio Extravergine di Oliva - Oleificio Torchia - Tiriolo (CZ) - www.oleificiotorchia.com

Dradista Bio - Tenute Librandi Pasquale - Vaccarizzo Albanese (CS) - www.oliolibrandi.it

Monocultivar Carolea Bio - Tenute Librandi Pasquale - Vaccarizzo Albanese (CS) - www.oliolibrandi.it

 

Campania

Olio Extravergine di Oliva Bio – Badevisco - Sessa Aurunca (CE) - www.badevisco.it

Coevo Monocultivar Ravece - Case D'Alto - Grottaminarda (AV) - www.oliocoevo.it

Idra Monocultivar Itrana - Fattoria Ambrosio - Salento (SA) - www.fattoriaambrosio.it

Regio Dop Irpinia Colline dell'Ufita Monocultivar Ravece Bio - Fontana Madonna - Frigento (AV) - www.fontanamadonna.it

Itran's Monocultivar Itrana - Madonna dell'Olivo - Serre (SA) - www.madonnaolivo.it

Monocultivar Rotondella - Madonna dell'Olivo - Serre (SA) - www.madonnaolivo.it

Talismano Monocultivar Carpellese Bio - Marco Rizzo - Felitto (SA) - www.oliorizzo.it

Pascà Oro Etichetta Blu - Maria Manuela Russo - Campagna (SA) - www.russo1979.it

Algoritmo Dop Cilento - Nicolangelo Marsicani - Morigerati (SA) - www.marsicani.com

Fontanalupo – Petrazzuoli - Ruviano (CE) - www.petrazzuoli.it

Ramarà Dop Cilento - Piero Matarazzo - Perdifumo (SA) - www.pieromatarazzo.it

Monzo Magnete Dop Cilento Monocultivar Salella – Pietrabianca - Casal Velino (SA) - www.monzo.it

Rodyum Dop Cilento - Rosalba Trama - Pisciotta (SA) - www.rodyum.it

Olio Extravergine di Oliva Bio - San Salvatore - Giungano (SA) - www.sansalvatore1988.it

 

Molise

Dop Molise - Principe Pignatelli - Monteroduni (IS) - www.oliopignatelli.com

Monocultivar Gentile di Mafalda – Trespaldum - Mafalda (CB) - www.trespaldum.com

 

Puglia

Monocultivar Carolea Bio - Adriatica Vivai - Profumi di Castro - Fasano (BR) - www.profumidicastro.it

Opera Delicato Bio – Agrolio - Andria (BT) - www.agrolio.com

Monocultivar Coratina Denocciolato - Antico Frantoio Muraglia - Andria (BT) - www.frantoiomuraglia.it

Monocultivar Coratina – D'Erchie - Montemesola (TA) - www.olioderchie.com

Danae Monocultivar Ogliarola Barese - Depalo – Oleà - Giovinazzo (BA) - www.oliodepalo.it

Perseo - Depalo – Oleà - Giovinazzo (BA) - www.oliodepalo.it

Schinosa - Di Martino - Trani (BT) - www.schinosa.it

Monocultivar Coratina - Donato Conserva - Olio Mimì - Modugno (BA) - www.oliomimi.com

Monocultivar Ogliarola - Donato Conserva - Olio Mimì - Modugno (BA) - www.oliomimi.com

Il Rosone Monocultivar Coratina – Elaiopolio - Ruvo di Puglia (BA) - www.il-rosone.it

Olio Extravergine di Oliva No.2 Monocultivar Coratina - Francesco Frisino - Palagiano (TA) - www.frisino.com

Gran Pregio Cuvée Bio - Maria Caputo - Molfetta (BA) - www.oliogranpregio.com

Monocultivar Cima di Melfi Bio - Maselli - Alberobello (BA) - www.oliodellemurge.it

Monocultivar Coratina – Maselli - Alberobello (BA) - www.oliodellemurge.it

Monocultivar Cima di Melfi - Oleificio Pietro Salamida - Alberobello (BA) - www.oleificiosalamida.it

Monocultivar Coratina - Olio Intini - Alberobello (BA) - www.oliointini.it

Oro di Rufolo Don Gaudio – Ortoplant - Giovinazzo (BA) - www.orodirufolo.it

Oro di Rufolo Monocultivar Coratina – Ortoplant - Giovinazzo (BA) - www.orodirufolo.it

La Patràun Monocultivar Peranzana - Sabino Leone - Canosa di Puglia (BT) - www.sabinoleone.it

Crudo Monocultivar Ogliarola – Schiralli - Binetto (BA) - www.crudo.it

Grandi Oli L'Olio di mia Figlia – Scisci - Monopoli (BA) - www.agriscisci.it

Grandi Oli Monocultivar Peranzana - Scisci - Monopoli (BA) - www.agriscisci.it

Unico Monocultivar Peranzana - Visconti Storie di Terra - Torremaggiore (FG) - www.oliovisconti.it

 

Sardegna

Gran Riserva Fruttato Verde - Accademia Olearia - Alghero (SS) - www.accademiaolearia.com

Il Bosana Monocultivar Bosana - Accademia Olearia - Alghero (SS) - www.accademiaolearia.com

Ottidoro Monocultivar Semidana Bio - Chieddà - Siniscola (NU) - www.chiedda.com

Hermanu Monocultivar Ogliastra - Coop. Piccoli produttori e coltivatori d’ Ogliastra – Hermanu - Lanusei (OG) - www.hermanu.it

San Giuliano Fruttato Cuor d'Olivo - Domenico Manca - Alghero (SS) - www.sangiuliano.it

S'Ard - Franco Ledda - Oristano - www.oliosard.com

Ghermanu Bio - Giuliana Puligheddu - Oliena (NU) - www.agricolapuligheddu.it

Monocultivar Semidana - Oleificio Giovanni Matteo Corrias - Riola Sardo (OR) - www.oliocorrias.it

 

Sicilia

Bell'Omio Bio – Agrestis - Buccheri (SR) - www.agrestis.eu

Igp Sicilia – Agrestis - Buccheri (SR) - www.agrestis.eu

Monocultivar Cerasuola Bio – Barbàra - Trapani - www.agricolabarbara.it

Monocultivar Nocellara Bio – Barbàra - Trapani - www.agricolabarbara.it

Case di Latomie Chiaro di Luna Monocultivar Nocellara del Belìce Bio – Centonze - Castelvetrano (TP) - www.oliocentonze.com

Case di Latomie Monocultivar Nocellara del Belìce Dop Valle del Belìce – Centonze - Castelvetrano (TP) - www.oliocentonze.com

Le Nocellare Bio Igp Sicilia - Fattoria Sant'Anastasia - Tenuta Vasadonna - Motta Sant'Anastasia (CT) - www.tenutavasadonna.com

Grand Cru Monocultivar Nocellara del Belice Igp Sicilia - Frantoi Cutrera - Chiaramonte Gulfi (RG) - www.frantoicutrera.it

Primo Bio - Frantoi Cutrera -Chiaramonte Gulfi (RG) - www.frantoicutrera.it

Don Antonio Igp Sicilia – Morgante - Grotte (AG) - www.morgantevini.it

Favola Monocultivar Tonda Iblea – Oliva - Solarino (SR) - www.agricolaoliva.it

Dop Val di Mazara – Planeta - Menfi (AG) - www.planeta.it

Dop Monti Iblei - Sebastiana Fisicaro – Galioto - Ferla (SR) - www.frantoiogalioto.it

Igp Sicilia Monocultivar Carolea Bio - Tenuta Bastonaca - Vittoria (RG) - www.tenutabastonaca.it

Cherubino Igp Sicilia Monocultivar Nocellara Etnea Bio - Terraliva - Buccheri (SR) - www.terraliva.com

Cherubino Igp Sicilia Monocultivar Tonda Iblea Bio – Terraliva - Buccheri (SR) - www.terraliva.com

Rosso Monocultivar Tonda Iblea - Villa Zottopera - Chiaramonte Gulfi (RG) - www.zottopera.it

 

Oli d'Italia 2018 - Gambero Rosso - 530 pp - 13,90 euro - disponibile in edicola e libreria - clicca qui per acquistare la guida online

 

 

a cura di Michela Becchi


Il “nuovo” Convivio Troiani. Restyling e nuovo menu per il ristorante nel cuore di Roma

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Nel 2020 saranno 30 candeline, un pezzo di storia della ristorazione romana vissuto con personalità nel rispetto della città e della sua storia gastronomica. Ora la casa dei fratelli Troiani si rinnova, grazie al progetto di Leonardo Stabile, rispettoso delle preesistenze cinquecentesche. E anche il menu offre nuovi spunti, con il percorso dedicato ai superfood, e alla cucina del benessere. 


Verso i 30 anni. Il cuore di casa Troiani

Ristorante in Roma dal 1990, recita il motto di casa Troiani. Ma quello che si presenta oggi, e da qualche giorno, agli ospiti del Convivio di vicolo dei Soldati, nel cuore della Roma più magniloquente - non distante da Palazzo Altemps, piazza Navona, la chiesa di Sant'Agostino e Palazzo Madama – è un locale rinnovato negli spazi, e nell'anima, coerentemente col percorso di una grande famiglia della ristorazione romana. Dall'inizio degli anni Novanta i fratelli Troiani hanno saputo costruire una tavola conviviale che dialoga con la città e la sua storia, senza rinunciare al guizzo d'autore, affidato all'estro di Angelo, motore della cucina come Giuseppe e Massimo lo sono in sala (nel frattempo sono arrivate anche le soddisfazioni per Acquolina, fucina di talenti e valida cucina di mare, e la scuola di cucina Coquis). Quasi 30 anni dedicati a consolidare un servizio di alto livello e una grande cantina, una cucina solida e sincera affidata alla qualità della materia prima, al servizio di un gusto che mette d'accordo critica e avventori, la clientela affezionata e i turisti che al Convivio cercano uno specchio gastronomico della Capitale. E le premure di un ristorante che non tradisce gli intenti dichiarati dall'insegna.

Il nuovo Convivio. Gli spazi

Nel 2020 arriverà il traguardo del trentennale, nel frattempo si cambia pelle, con un restyling che proprio con la storia più antica del luogo gioca per creare nuove suggestioni spaziali. Il progetto, curato da Leonardo Stabile, ha trasformato una complicazione in opportunità: ospitato all'interno di un palazzo rinascimentale – con le volte cinquecentesche a giocare da protagoniste - il ristorante non ha mai potuto usufruire di una sala unica.

E allora perché non regalare a ognuno dei quattro ambienti una personalità peculiare? Così la frammentazione degli spazi diventa dinamismo strutturale e tematico, con mise en place diverse studiate per accompagnare ogni passaggio e illuminazione rimodulata per valorizzare i volumi storici.

C'è la Galleria, dove sono state ritrovate antiche collezioni di opere; il Chiostro, nel vecchio cortile dell'edificio, destinato in passato alle attività artigiane, dalla ferratura dei cavalli alla concia delle pelli; la Rimessa, utilizzata un tempo come deposito di carri e calessi; e la Loggia, l’antico ingresso al palazzo, ambiente che negli anni fu utilizzato come legnaia e come magazzino per sacchi e altre materie prime. All'ospite la possibilità di prenotare la sala che preferisce. Frutto del ripensamento degli spazi anche il tavolo sociale per 14 commensali, con menu dedicato orientato alla condivisione tra gli ospiti.

La cucina di Angelo Troiani e Daniele Lippi

Al rinnovamento immediatamente evidente ha fatto riscontro l'evoluzione della cucina, col nuovo menu studiato da Angelo Troiani col giovane chef di cucina Daniele Lippi, sempre più a proprio agio nel ruolo. E sembra un gioco di parole (ma la sostanza c'è eccome!) la scelta di presentare due linee complementari che prendono le mosse l'una dall'altra: la cucina degli ingredienti e gli ingredienti della cucina, come sono indicati in carta i percorsi gastronomici alternativi offerti dal nuovo Convivio.

La cucina degli ingredienti è quella della tradizione territoriale romana e italiana, un omaggio alla terra, ai prodotti e ai produttori, che attinge anche alla storia del Convivio, proseguendo sul cammino tracciato da Troiani sin qui. L'emblema è indubbiamente L'altra Amatriciana presentata dallo chef sul primo menu, in apparente rottura con la ricetta tradizionale, poi ben accolta tra i piatti della ristorazione romana del presente, e oggi simbolo della cucina firmata Troiani.

I superfood

Gli ingredienti della cucina, invece, sono i protagonisti di una ricerca che indaga nell'esigenza di mangiar sano e punta a proporre un'idea di tavola del benessere, meditata e audace al tempo stesso. Per questo il menu spazia oltre la territorialità, disseminato di quei prodotti oggi ribattezzati superfood per il loro alto apporto energetico e vitaminico: una scommessa sposata da Angelo e Daniele in linea con le sperimentazioni di molti chef che oggi investono sull'healthy food, “perché la cucina sana è la cucina del futuro”, ribadisce Troiani. Cosa aspettarsi in tavola? Un risotto zucca, curcuma e fegatelli con bacche di goji, l'ajo e ojo con gamberi rossi, limone e menta “contaminata” con l'acerola (un frutto rosso ricchissimo di vitamina C), il San Pietro, finocchio e carciofi con spirulina.

A suggellare l'esperienza, una certezza che attraversa solida le evoluzioni del Convivio: la cantina di Massimo Troiani, 40mila bottiglie frutto di una selezione attenta e costante, tra le eccellenze italiane e francesi (ben 46 le etichette disponibili alla mescita, con referenze di alto profilo).

 

Il Convivio – Roma – vicolo dei Soldati, 31 – www.ilconviviotroiani.it

 

a cura di Livia Montagnoli

Basilicata e Campania Stories report. I nostri migliori assaggi

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Tutto il bello e il buono della vitivinicultura della Campania e – per la prima volta – anche della Basilicata. A Napoli, quasi una settimana per scoprire il meglio dell'enologia di queste due regioni, con oltre 100 produttori e circa 270 vini in assaggio.


I migliori vini di Campania e Basilicata sono stati protagonisti della rassegna Basilicata e Campania Stories, che si è tenuta a Napoli, dal 4 al 9 aprile, nei suggestivi spazi di Palazzo Caracciolo e della Reggia di Caserta. La novità dell’edizione 2018 è stata la giornata d’apertura dedicata ai vini della Basilicata. Il tradizionale appuntamento napoletano organizzato da Miriade & Partners è stato anche quest’anno l’occasione per presentare alla stampa nazionale e internazionale le nuove annate delle principali denominazioni di Campania e Basilicata e per visitare le zone di produzione di alcune tra le migliori eccellenze del nostro Sud. Numerosa la partecipazione delle aziende, con 18 produttori della Basilicata e 86 della Campania, per un totale di circa 270 vini in degustazione.

 

Basilicata Stories

La giornata d’apertura del 4 aprile è stata dedicata ai vini della Basilicata. Un tasting di 45 etichette tra bianchi, rosati e rossi, che hanno offerto un panorama esaustivo dei vini lucani e in particolare dell’areale del Vùlture, senza dubbio il più interessante della regione. L’antico vulcano, che con i suoi 1300 metri d’altitudine domina l’area nord della Basilicata, al confine con Campania e Puglia, costituisce un punto di riferimento anche per la produzione enologica. Il clima fresco e continentale, i terreni d’origine vulcanica, ricchi di sabbie, lapilli, rocce e suoli di disfacimento magmatico, offrono un habitat perfetto per l’aglianico, presente da secoli in Basilicata con cloni tipici del territorio. Le vigne si trovano ad altitudini comprese tra i 300 e i 600 metri e producono rossi profondi, strutturati, con un profilo piuttosto austero e sapido. Il tasting di Basilicata Stories, ha messo in luce un buon livello complessivo dell’Aglianico del Vùlture, che nelle migliori versioni sa esaltare la tipicità territoriale, portando in primo piano le peculiarità “vulcaniche” dei vini.

 

I migliori assaggi

Aglianico del Vulture Titolo 2016, Elena Fucci

Aglianico del Vulture Teodosio 2015, Basilisco

Aglianico del Vulture Grifalco 2015, Grifalco

Aglianico del Vulture Logos 2015, Ripanero

Aglianico del Vulture Pian del Moro 2013, Musto Carmelitano

Aglianico del Vulture Damaschito 2013, Grifalco

Aglianico del Vulture La Firma 2013, Cantine del Notaio

Aglianico del Vulture Nero degli Orsini 2011, Lagana

Aglianico del Vulture Stupor Mundi Riserva 2011, Carbone

 

Campania Stories: i bianchi

I vitigni a bacca bianca trovano nelle diverse aree della Campania una grande varietà di condizioni pedoclimatiche. La zona di Caserta, il Sannio, l’area di Napoli, con il Vesuvio i Campi Flegrei e la Penisola Sorrentina, l’Irpinia, la Costiera Amalfitana e il Cilento, formano un mosaico di terroir, diversi tra di loro e tutti molto vocati per la viticoltura. Nella regione Campania l’area vitata copre complessivamente una superficie di 25mila ettari, con una produzione di vini bianchi pari al 46% del totale. I suoli, spesso d’origine vulcanica, e i microclimi particolari costituiscono un habitat perfetto per la vite, che dimora in queste terre fin dai tempi della prima colonizzazione greca. La presenza di vitigni storici di grande valore, come fiano, greco e falanghina, oltre ai meno diffusi caprettone, coda di volpe, pallagrello bianco, biancolella, asprinio, catalanesca, fenile, forastera ginestra, pepella e ripoli rappresenta una grande risorsa di biodiversità da salvaguardare e valorizzare. La degustazione ha confermato la tradizionale vocazione della Campania a produrre bianchi di alto profilo. Fiano e greco, in particolare, esprimono vini di grande carattere e personalità, con un potenziale d’evoluzione e invecchiamento estremamente interessante, tanto da far preferire quasi sempre i vini affinati due o tre anni in bottiglia rispetto all’annata corrente.

 

I migliori assaggi

Spumante Metodo Classico Caprettone 2014, Casa Setaro

Catalanesca del Monte Somma Catalunae 2017, Tenuta Augustea

Pallagrello Bianco Caiati 2016, Alois

Vesuvio Lacryma Christi Bianco Vigna Lapillo 2016, Sorrentino

Costa d’Amalfi Ravello Bianco Selva delle Monache 2017, Ettore Sammarco

Costa d’Amalfi Furore Bianco Fiorduva 2016, Marisa Cuomo

Campania Falanghina Preta 2017, Capolino Perlingieri

Campi Flegrei Falanghina Cruna del Lago 2015, La Sibilla

Bianco Polveri della Scarrupata 2016, Nanni Copé

Fiano di Avellino 2017, Petilia

Fiano di Avellino 2017, Tenuta del Meriggio

Fiano di Avellino 2017, Vigne Guadagno

Fiano di Avellino Numero Primo 2016, Ventitréfilari

Irpinia Fiano Vigna Rotole 2015, Di Prisco

Fiano di Avellino Colle dei Cerri 2007, Di Meo

Greco di Tufo Vigna Cicogna 2017, Benito Ferrara

Greco di Tufo 2017, Petilia

Greco di Tufo Cutizzi 2017, Feudi di San Gregorio

Greco di Tufo Torrefavale 2016, Cantine dell’Angelo

Greco di Tufo 2016, Pietracupa

Sannio Greco Vento 2013, Capolino Perlingieri

 

Campania Stories: i rossi

Se fiano, greco e falanghina si dividono il palcoscenico dei bianchi, tra i rossi il protagonista assoluto è l’aglianico. Coltivato in molte zone della regione, regala espressioni diverse a secondo dei territori e delle scelte dei produttori. Le differenze tra vini sono abbastanza significative: si passa da versioni che sanno interpretare questo vitigno potente e spigoloso nel segno dell’eleganza, della profondità e della complessità, a versioni che restano imprigionate nella sua giovanile e scontrosa irruenza o che, con un uso del legno un po' troppo invadente, non fanno che sommare tannini dalle sensazioni secche e polverose alle sue naturali durezze. Sicuramente si può lavorare per elevare il livello complessivo dei vini e trovare una linea interpretativa che doni all’aglianico un volto qualitativamente più omogeneo. Tuttavia non sono mancati anche interessanti spunti provenienti dalle altre varietà autoctone a bacca rossa. È il caso del piedirosso, che nei Campi Flegrei e sui terreni leggeri di sabbie e lapilli della zona del Vesuvio, si esprime con particolare finezza o del palagrello nero, antica varietà già apprezzata al tempo dei Borboni, tanto da far parte della famosa Vigna del Ventaglio, realizzata per volere di Ferdinando IV a San Leucio, nei pressi della Reggia di Caserta.

 

I migliori assaggi

Campi Flegrei Piedirosso 2016, Agnanum

Vesuvio Lacryma Christi Rosso Don Vincenzo 2014, Casa Setaro

Costa d’Amalfi Furore Rosso 2014, Marisa Cuomo

Casavecchia Il gallo di fretta canta all’alba lontana 2016, Aia delle Monache

Rosso Sabbie di Sopra il Bosco 2016, Nanni Copé

Pallagrello Nero Cunto Murella 2014, Alois

Campania Rosso Terra di Lavoro 2012, Galardi

Irpinia Campi Taurasini Cretarossa 2012, I Favati

Taurasi Coste 2012, Contrade di Taurasi

Taurasi 2011, Borgodangelo

Taurasi Riserva 2008, Perillo

Taurasi Principium 2007, Vigna Maurisi

Paestum Aglianico Naima 2010, Viticoltori De Conciliis

 

a cura di Alessio Turazza

 

Fuorisalone 2018. Gli appuntamenti a tema enogastronomico della Milano Design Week. Seconda tappa

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Ancora suggerimenti a tema enogastronomico dal denso cartellone di eventi della Settimana del design, che dal 17 al 22 aprile animerà Milano. Con grandi chef al parco del Castello Sforzesco, food truck nel giardino segreto di Lambrate, creazioni di pastry design. E gli occhi di Carlo e Rosa (Cracco&Fanti) che diventano opera d'arte. 

In avvicinamento alla Milano Design Week 2018 (per gli amici MDW18) che animerà la città dal 17 al 22 aprile, in concomitanza con il Salone del Mobile 2018, proseguiamo con i suggerimenti per orientarsi tra gli appuntamenti a tema enogastronomico del ricchissimo cartellone che scandisce il Fuorisalone. Come detto in precedenza (qui la prima tappa della nostra agenda), non stupisce la grande abbondanza di eventi che scommettono sul binomio cibo e design per disegnare la mappa dell'intrattenimento cittadino tra cortili segreti, gallerie e locali della città: ogni anno di più, l'attrattività trasversale della buona tavola e l'atmosfera conviviale dei banchetti di piazza diventano una carta sicura da spendere per assicurarsi visibilità. Riprendiamo quindi il nostro tour di consigli per l'uso.

 

Extraordinary Taste per Inhabits: Tra gli appuntamenti del Sant'Ambrogio Design District, Inhabits è la città dell'abitare che prende forma tra via Beltrami e piazza Castello, con vista sul Castello Sforzesco. Una cittadella temporanea che si compone di moduli funzionali per immaginare la casa del futuro e gli spazi di condivisione dell'ambiente urbano ideale. E anche la ristorazione gioca la sua parte, tra installazioni creative firmate da noti architetti e designer internazionali, spazi dedicati all'approfondimento e all'intrattenimento serale. Il cibo chiude il cerchio, invitando a condividere gli spazi a ogni ora del giorno e della notte grazie alla flotta di food truck al servizio della manifestazione (Ape Cesare, Ammu, Avocaderia, Sisters Polenta e altri), e nell'area tematica Extra-Ordinary Taste, con i piatti d'autore di Philippe Leveille, Misha Sukyas e Felix Lo Basso. L'ingresso è gratuito, l'area ristorazione è operativa dalle 10 a mezzanotte.

 

ChocoBeUs, Matteo Ragni

Pastry Design Dgusto alla Martesana: Una mostra di pastry design frutto della collaborazione tra i progettisti Francesco Buzzo e Serena Lambertoni con la Pasticceria Martesana. Il tema è quello della pasticceria d'autore che incontra il design, con le creazioni suggerite da 20 designer, cui è stato chiesto il disegno di un dolce, trasformato in altrettante ricette dai pasticceri della Martesana, guidati da Alessandro Comaschi. Il risultato si potrà apprezzare in mostra presso le tre sedi dell'insegna dal 17 al 22 aprile, e già durante l'inaugurazione del 12. Molto diversi tra loro gli esiti della ricerca creativa, che trae spunto da ricordi d'infanzia, viaggi, tradizioni del territorio, forme geometriche, consistenze e colori. C'è chi ha reinventato la pralina come un prezioso, chi ha incamerato le suggestioni di stoffe esotiche, chi ha ripensato il biscotto da caffè e chi ha attinto al mondo delle fiabe.

 

Ventura Garden Lambrate: Appuntamento consolidato quello con il giardino di via Ventura, 750 metri quadri a disposizione di food truck e artisti internazionali che animano le serate musicali e i djset durante il Fuorisalone. Quest'anno, il sodalizio con Just Eat garantisce un ulteriore servizio a chi vuole evitare le code, e mangiare in relax negli spazi comuni del parco: Just StrEat Week è la prima settimana in strada del servizio di delivery, che consegnerà a domicilio le proposte di 10 food truck del Ventura Garden, ordinabili comodamente via app. Chi usufruirà del servizio potrà sfruttare la priority lane e ritirare il proprio street food senza code. Tra le proposte, i falafel di Cooking Garage e i Pop Dog, le arepas di El Caminante e il pane cunzato di Ape Bedda. Dalle 11 a tarda sera.

 

 

Crumbs, Tanio Liotta

Bites of Design di Panini Durini: Sei locali in città per sei installazioni d'artista protagoniste del Fuorisalone dalla vetrina di Panini Durini. In partnership con Galleria Deodato Arte, la celebre insegna meneghina ha ideato un tour artistico tra le sedi di Via Mercato, Corso Magenta, Via Mengoni, via della Moscova, via Orefici e Via Durini, con opere di Marco Lodola, Arnaud Nazare-Aga, Mr SaveTheWall, Francesco Vullo, Tanio Liotta e Tomoko, alcune realizzate per l'occasione per offrire uno sguardo del quotidiano in chiave pop, in linea con la filosofia del brand.

 

Galleria Cracco By Sky Arte: Annunciata in sede di inaugurazione, l'iniziativa rende omaggio al magniloquente spazio di Cracco in Galleria, e inaugura già venerdì 13 aprile (in concomitanza con l'apertura di Miart) per offrire ai milanesi e ai visitatori del Salotto di Milano un nuovo spunto di meraviglia. Il progetto si articolerà nel corso dell'anno con interventi site specific di artisti italiani contemporanei, chiamati a realizzare opere inedite per le lunette che sovrastano le vetrine del ristorante. Il testimone passerà di mano tre volte nel corso dell'anno, apre il ciclo Patrick Tuttofuoco con Heterochromic (Rosa e Carlo), un'opera che riflette sul concetto di identità proprio a partire da Carlo Cracco e sua moglie Rosa Fanti. Sulle lunette si affacceranno così due occhi - uno di Carlo, l'altro di Rosa – fusi in uno stesso individuo con iridi di colore diverso.

 

a cura di Livia Montagnoli

In apertura, Please sit down and talk about sweets di Hiroshi Ono per DGusto

Cucina di casa. Le salse straniere: Guacamole, Hummus, Baba ganush e Tzatziki

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Se avete deciso di cominciare a cucinare a casa, questa è la rubrica che fa per voi. Qui quattro ricette per degli antipasti veloci e dal respiro esotico: guacamole, hummus, baba ganush e tzatziki.

 

Una rubrica che parte dalle basi e spiega passo passo le ricette, destinata a chi è appassionato di cucina ma non è un cuoco esperto, e quindi ha bisogno di essere guidato in ogni fase della preparazione. Qui le ricette di quattro antipasti facili ma al tempo stesso originali e dal respiro esotico: guacamole, hummus, baba ganush e tzatziki.

Guacamole

Il guacamole è una salsa di origine messicana da servire tradizionalmente con chips di mais, ma che ultimamente è protagonista di altre mille preparazioni: d'altra parte l'avocado va di moda. Per gli amanti dei gusti più morbidi e meno acidi, si può anche non aggiungere il lime, ma per evitare l'annerimento ricordatevi di affondare nella salsa il grosso nòcciolo dell'avocado quindi sigillate la ciotola e mettetela in frigorifero. Funziona.

Ingredienti

2 avocados ben maturi

1 lime succoso (in alternativa 1 limone)

2 cipollotti freschi

1 pomodoro ben maturo e sodo

Coriandolo tritato

Sale q.b.

Opzionale: tabasco

Mondate i cipollotti dalla parte verde e tritateli finissimi. Dividete il pomodoro in due, privatelo dei semi e tagliatelo a dadini minuscoli. Sbucciate gli avocados e metteteli in una scodella, unitevi il succo di lime, uno schizzo di tabasco e il sale e schiacciateli con la forchetta fino a ridurli in crema. Unitevi il pomodoro, il coriandolo e i cipollotti, mescolate quindi sigillate la ciotola con pellicola trasparente e tenete la salsa in frigorifero fino al momento di servirla.

 

Hummus

Hummus

Probabilmente nato in Libano, oggi l'hummus è un classico anche delle cucine israeliana e palestinese. Si tratta di una preparazione a base di ceci e pasta di sesamo (la tahina) che viene solitamente consumata insieme a focacce di pane azzimo, al pane Injera oppure spalmato all'interno della pita. Ma può essere utilizzato pure come salsa per le verdure crude, in alternativa al classico pinzimonio.

Ingredienti

400 g di ceci lessati

3 cucchiai di tahina (pasta di sesamo)

3 cucchiai d'olio di sesamo o di arachide

2 spicchi d'aglio

Succo di 1 o 2 limoni

Sale q.b.

Paprika dolce per decorare il piatto

Opzionale: tabasco

Lasciate da parte alcuni ceci per la decorazione quindi mettete gli altri nel bicchiere del mixer e unitevi l'olio, la tahina, il succo di un limone, poco sale, uno schizzo di tabasco (se gradito), gli spicchi d'aglio schiacciati e privati del germoglio interno e qualche cucchiaio dell'acqua di cottura dei ceci. Azionate il mixer e frullate fino a ottenere un composto liscio, cremoso e piuttosto fluido. A questo punto assaggiate e regolate il condimento secondo il vostro gusto aggiungendo altro limone o sale o tabasco tenendo conto che l'hummus deve avere un sapore deciso e pungente. Sistematelo in una piccola ciotola e guarnite la superficie con la paprika fatta cadere da un setaccino e con i ceci lasciati da parte. Servitelo con crostini di pane tostato.

 

Baba ganush

Baba ganush (purè di melanzane)

Questa preparazione, tipica del Medioriente, si serve solitamente come antipasto insieme a crostini di pane tostato. Tradizionalmente viene fatto con la tahina, ma se non ce l'avete, non temete: qui la variante con lo yogurt. Per accelerare i tempi di preparazione, potete cuocere le melanzane anche nel microonde: saranno sufficienti otto minuti alla massima potenza.

Ingredienti
3 melanzane del tipo allungato, del peso complessivo di circa 500 g

200 g di yogurt intero naturale

3 cucchiai d'olio extravergine d'oliva saporito

1 spicchio d'aglio

Succo di 1 limone

Prezzemolo

Opzionale: Peperoncino in polvere e 1 cucchiaio di paprika dolce

Lavate le melanzane, asciugatele e mettetele nel forno precedentemente scaldato a 220° C fino a quando saranno diventate molto tenere e la buccia sarà completamente bruciacchiata. Toglietele dal forno, lasciatele intiepidire quindi togliete accuratamente la buccia, strofinandola con un panno ruvido o con carta da cucina e raccogliete la polpa in una terrina. Schiacciatele con una forchetta e aggiungete, poco per volta, l'olio sbattendo continuamente. Unitevi l'aglio passato dallo schiaccia aglio, il succo di limone, la paprika, il sale e infine lo yogurt. Mescolate energicamente quindi accomodate il purè in una piccola ciotola e spolverate la superficie con il prezzemolo tritato. Se amate il gusto piccante potete amalgamare al composto anche del peperoncino in polvere.

 

Tzatziki

Tzatziki

È un antipasto greco e albanese che spesso viene servito con crostini al sesamo ammorbiditi con acqua e olio extravergine d'oliva, ma si presta bene anche come salsa da mangiare con la pita o con i souvlaki. L'importante è utilizzare lo yogurt greco, che essendo privo della parte acquosa (il siero) risulta più denso e cremoso rispetto a quello normale.

Ingredienti

3 cetrioli di media grandezza ben sodi

2 vasetti di yogurt greco

3 cucchiai d'olio extravergine d'oliva

1 spicchio d'aglio piccolo

Aneto o menta fresca

Sale q.b.

Sbucciate i cetrioli, divideteli in quattro per il lungo e affettateli. Salateli e disponeteli in un colapasta lasciandoli spurgare per circa un'ora, mescolandoli ogni tanto. Sciacquateli sotto il getto dell'acqua e allargateli su un canovaccio per asciugarli. In una ciotola mescolate lo yogurt con l'olio, l'aglio passato dallo schiaccia aglio e le foglie di aneto o menta sminuzzate. Unitevi i cetrioli (se volete potete precedentemente frullarli) e tenete la preparazione in frigorifero per un po' prima di servirla.

 

Cucina di casa. Le basi: Pasta brisée, Pasta sfoglia, Pasta da pizza e Pasta frolla

Cucina di casa. Le salse: Besciamella, Salsa béarnaise, Pearà e Salsa verde

Cucina di casa. Le creme: Ganache al cioccolato, Crema pasticcera, Crema inglese, Panna montata

Apre a Zurigo il primo Ristorante Ornellaia, un angolo di Toscana in Svizzera

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Si avvale della partnership con Bindella la prima apertura di un ristorante a marchio Ornellaia (ma la famiglia Frescobaldi, proprietaria della tenuta, non è certo nuova al mondo della ristorazione). Il locale di Zurigo, realizzato da Tilla Theus, proporrà cucina italiana e toscana, in abbinamento ai vini della celebre cantina di Bolgheri. 

Un ristorante firmato Ornellaia

È il primo ristorante del gruppo, eppure dista centinaia di chilometri dal quartier generale di casa Ornellaia, azienda vinicola (dal 1981, la prima vendemmia nel 1985) delle campagne di Bolgheri, celebre per i suoi apprezzatissimi vini Supertuscan. Anzi, per il suo debutto nella ristorazione, la celebre cantina toscana che da sempre presta un occhio di riguardo all'internazionalizzazione del marchio ha scelto di spingersi oltreconfine, al di là delle Alpi, puntando su Zurigo e sull'esclusività di Sankt Annagasse, tra le vie più lussuose del mondo non distante dalla stazione ferroviaria della città svizzera. Chiaro l'obiettivo: disporre di una vetrina internazionale di prestigio che insieme sia indirizzo di riferimento per degustare i vini del gruppo e motivo di vanto della cucina italiana all'estero. Il progetto di brand extension è approdato a Zurigo in collaborazione con l'importatore Bindella, che dagli anni Ottanta è ambasciatore in Svizzera dell'eccellenza enogastronomica italiana. E, ribadiscono in casa Ornellaia, proprio la fiducia nel partner storico ha spinto a intraprendere un'operazione evidentemente destinata a produrre repliche nel mondo a partire da Zurigo.

Lo spazio. Il progetto di Tilla Theus

Al lavoro per concretizzare l'idea, l'architetto Tilla Theus, che in Svizzera ha ridisegnato un angolo di Toscana attraverso l'uso di materiali caratteristici come il travertino (in arrivo dalle cave toscane) che ricopre le pareti della sala, impreziosita dalle opere di due artisti svizzeri, il pittore Cunio Amet e lo scultore Hans Josephson, in un ideale gemellaggio creativo tra Italia e Svizzera. Non a caso l'architetto si è lasciato suggestionare dalle atmosfere dell'Ornellaia, visitata personalmente per trarre ispirazione dalla storia del luogo, e dai paesaggi di Bolgheri: il soffitto in legno richiama quello dell'edilizia rurale toscana, l'illuminazione evoca le notti stellate in campagna attraverso un centinaio di punti luce dislocati in sala, e una replica in rovere bronzato che scende dal soffitto omaggia il grande albero di quercia simbolo della cantina Ornellaia a Bellaria.

Poi c'è la cucina, affidata allo chef Giuseppe D'Errico, studi di formazione all'Alma e un passato nelle cucine della famiglia Troisgros a Roanne, per cinque anni al fianco di Michel. A Zurigo porterà i valori del bello, del buono, del semplice, condensati in una proposta che racconta l'Italia, le sue materie prime, il territorio toscano.

 

La cucina di Giuseppe D'Errico

E si propone di esaltare i vini Ornellaia: la carta include anche vecchie annate e etichette rare in arrivo dall'Archivio Storico della cantina, oltre a formati speciali oggi rintracciabili solo nelle aste internazionali. In lista anche una selezione di vini di Vallocaia, cantina di proprietà della famiglia Bindella, fondata nel 1985. Chi è il cliente tipo del Ristorante Ornellaia? Per esempio la clientela internazionale desiderosa di scoprire un condensato di cucina made in Italy che privilegia il filo conduttore della tradizione toscana, alleggerita secondo le esigenze del gusto contemporaneo. E per chi vuole muoversi su e giù per la Penisola c'è il tour gastronomico In Giro per l'Italia. Ricordiamo che la famiglia Frescobaldi (proprietaria della Tenuta dal 2005, la fondazione invece spetta a Lodovico Antinori, nel mezzo l'interregno del colosso californiano Mondavi) non è nuova a imprese nella ristorazione: l'ultima e più chiacchierata apertura – in realtà un trasloco nel cuore di Firenze – è il ristorante Frescobaldi aperto alla fine del 2017 in piazza della Signoria, in partnership con la Good Food Society, che nel 2014 ha favorito l'apertura di un'insegna Frescobaldi a Londra. E con i partner giusti, un passo dopo l'altro, la famiglia Frescobaldi approfondisce il suo legame con il cibo.

 

Ristorante Ornellaia – Zurigo – Sankt Annagasse, 2 – www.ornellaia.com

 

a cura di Livia Montagnoli

Senses di Andrea Camastra a Varsavia. Lo chef italiano che ripensa la cucina polacca

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Andrea Camastra è lo chef italiano che a Varsavia ha cominciato a reinterpretare la cucina locale usando le più moderne tecniche culinarie. Un lavoro acutissimo che gli permette di rileggere in chiave supermoderna la storia gastronomica polacca.

 

"La cucina polacca è generosa e onesta", afferma senza esitazione Andrea Camastra, chef del famoso ristorante di Varsavia Senses, che proprio la scorsa settimana ha visto confermata la sua stella Michelin. “E per assaggiare il vero cibo polacco devi lasciare le città e viaggiare in campagna, assaggiare i piatti cucinati a casa”. Un annuncio audace, che rivela idee chiare su cosa sia la cucina polacca e quale sia il suo ruolo di straniero nel portare su di essa l'attenzione che merita, ma che raramente ottiene.

Andrea Camastra, SensesFoto: Alberto Blasetti

Questo è il motivo per cui Camastra ha deciso di rendere la Polonia la sua casa (oltre a motivi personali, ovviamente), richiedendo persino la cittadinanza polacca. Quando parla di cucina, lo chef menziona żureke barszcz- una bianca, l'altra rossa - tra le sue zuppe preferite, e allude di tanto in tanto a karczmy, famosi ristoranti lungo la strada che offrono versioni aggiornate di mitici (e per lo più inventati), cibi contadini vecchio stile.

 

La modernità come metodo

Il legame con la cucina polacca è importante per comprendere il lavoro di Camastra così come lo sono il suo interesse e la sua passione verso le applicazioni della scienza in cucina. Come già illustrato in un precedente articolo apparso su Gambero Rosso, Camastra abbraccia la ricerca di Hervé This sulla gastronomia molecolare e la cucina "nota dopo nota", focalizzata sull'estrarre il sapore puro dagli ingredienti e usarlo in modi creativi e provocatori. Camastra condivide le tecniche ma soprattutto l'attitudine e la curiosità con chef quali Ferran Adriá e Pierre Gagnaire, un altro cuoco che ha collaborato con This. Tuttavia lo chef è attento a lasciarsi alle spalle la cucina modernista fine a se stessa. La modernità è il suo metodo, ma non il suo scopo.

SensesFoto: Alberto Blasetti

Fare storia in laboratorio

L'innegabile virtuosismo culinario di Camastra è spesso, sorprendentemente, impegnato in una sorta di commento culturale e di discorso storico, egli evidenzia e comunica quelle che individua come le caratteristiche essenziali della cucina polacca, senza dimenticare le sue origini italiane sia nei piatti sia negli ingredienti. L'uso della tecnologia e l'abilità di Camastra servono a scavare in profondità nelle tradizioni e nelle pratiche della sua patria adottiva, a liberarsi di ciò che è superfluo o noioso e a estrarre ciò che conta veramente. Le sue interpretazioni del rosół(il brodo che per molti polacchi è sinonimo del pranzo di domenica in famiglia) e il gulasz (lo stufato di manzo noto in tutta l'Europa centrale) riescono a trasmettere sapori che giocano con i ricordi e le emozioni. Racconta con orgoglio come una volta è riuscito a preparare i bigos perfetti (un piatto a base di cavolo, crauti e carne a volte indicato come "lo stufato del cacciatore"), cuocendoli per più giorni, come è consuetudine, solo per poi centrifugarlo ed estrarne l'essenza da usare in altre preparazioni. Alla faccia della pesantezza della cucina polacca.

 

I vantaggi di un approccio privo di preconcetti

Camastra attraversa coraggiosamente tutti i registri della cucina polacca, da quella contemporanea a quella del passato storico del paese, da quella più nobile alla contadina. Lo fa con facilità e spensieratezza. Forse perché viene da un altro posto ed è meno coinvolto nella lotta locale per la propria identità. O forse perché la sua predisposizione decisamente avanguardista non si preoccupa delle trappole sottese nelle aspirazioni piccolo-borghesi alla rispettabilità e non pensa al capitale culturale in termini di cosa meriti attenzione e cosa no.

Nel laboratorio alimentare di Camastra, si usano i volumi del professor Jarosław Dumanowski sulla cucina polacca del XVII e XVIII secolo parimenti a strumenti high-tech. La curiosità per il passato della Polonia è chiara nelle sue ricette – ad esempio nella troć wędowna (trota di mare) con mandorle, peperoni verdi e zafferano, che lo chef considera un omaggio al ruolo che la Polonia ha svolto come cerniera culturale cruciale tra Oriente e Occidente, e come punto di transito per spezie e altre ricercatezze esotiche. Questo interesse lo pone tra quegli chef (che sono in numero sempre crescente) entusiasti nei confronti della storia locale. Camastra si unisce a molti buongustai polacchi nel realizzare una lettura selettiva della storia polacca tinta di nostalgia imperiale – la "Polonia dal Baltico al Mar Nero" - con il desiderio di elevare la cucina polacca “al pari di quella francese”.

Oscypek

Giocando con le cose semplici

Camastra sembra utilizzare il suo status di outsider per bilanciare la seriosità di tali sforziper coinvolgere il commensale, in maniera giocosa, attraverso elementi popolari da una parte e contemporanei dall'altra. Il suo è un ristorante stellato Michelin che apre il pasto con il chłab ze smalcem(pane e lardo) proprio come cerca il consumatore medio nelle rare volte che cena fuori (senza però l'aspetto molecolare). E anche altri pilastri della tipica tavola popolare trovano posto nel suo menu. C'è la mizeria, un piatto molto comune fatto di cetrioli, panna acida e aneto. E c'è l'oscypek, un formaggio tradizionale dei monti Tatra che si trova, spesso in forme bastarde e fuori dai territori di origine, nelle fiere di strada, cucinato alla griglia e servito con marmellata di mirtilli rossi. Lo chef li trasforma entrambi in sfere, una è una capsula che esplode con un sapore familiare che trasporta nostalgicamente alle nonne, l'altra è come una massa di comfort food invernale.

 

Il tagliere di formaggi

L'uso che Camastra fa dell'aroma essenziale del formaggio di produzione industriale (non un vero prodotto caseario) è audace, in particolare nel suo "tagliere di formaggi", in cui mostra pienamente il suo affaire con la scienza in cucina. Offerto come antipasto prima di pietanze più complesse,che Camastra chiama "realmente cibo" (chiaramente riconoscibile come pesce o manzo) in contrapposizione con quelgioco iniziale di sapori, il piatto di formaggi è una citazione di classici da supermercato. Questi includono l'erborinato Lazur con pere e noci, come nell'abbinamento non troppo elaborato con cui si cerca spesso di renderlo più sofisticato, e il formaggio arancione Bursztyn.

Ma la mossa più coraggiosa di Camastra arriva probabilmente con i dessert, tra i quali include il Monte, che apparentemente si riferisce alla forma conica del piatto, ma in realtà evoca un intruglio zuccherino con lo stesso nome prodotto dal colosso tedesco Zott. Destinato ai bambini, è ampiamente presente nei frigoriferi polacchi, ma non sono molti i buongustai che si rispettano che lo conoscono, né tanto meno che oserebbero consumarlo.

 

Successo e polemica

Tali giochini potrebbero essere la ragione per cui la sua cucina è decisamente controversa tra i gastronomi e gli addetti ai lavori di Varsavia. Quando abbiamo detto che avremmo cenato a Senses, molti appassionati e professionisti del food locali hanno espresso dubbi o addirittura sdegno. Anche i blogger sembrano divertirsi a criticare le scelte e lo stile dello chef. Camastra ne è pienamente consapevole e risponde dicendo che a volte gli chef locali non hanno le capacità per cucinare cose semplici, e cercano di coprire tali lacune con la complessità (tuttavia, egli impiega due scienziati a tempo pieno per sostenerlo nella sua ricerca).

In un momento in cui nascono polemiche sull'essenza dell'identità culinaria polacca, e sulla tensione tra tradizione e innovazione, Camastra fa scelte culinarie che, sebbene apparentemente iconoclaste, rivelano profondo rispetto e profondo amore per il cibo polacco. Eppure, nonostante la ricerca delle particelle elementari della vera "polacchità", i suoi piatti hanno una natura progressiva e cosmopolita. La settimana prossima, dice, si concentrerà sull'ottenere la cittadinanza polacca. Ma presenterà in anteprima il pierogi polacco definitivo, che in qualche modo conterrà tutti gli altri pierogi.

 

a cura di Fabio Parasecoli e Mateusz Halawa

Mateusz Halawa è etnografo al Max Planck Partner Group per la Sociologia della Vita Economica presso l'Istituto di Filosofia e Sociologia dell'Accademia Polacca delle Scienze.

 

Neurogastronomia. Cosa è come funziona

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Da oggi, e per diverse puntate, cerchiamo di capire meglio cosa è e come funziona la neurogastronomia. Per farlo abbiamo chiesto a Laura Pirotta, psicologa ed esperta della materia.


La neurogastronomia è una disciplina ancora poco conosciuta in Italia mentre in molti altri Paesi già da tempo si assiste a una sua veloce espansione, cosa che ci aspettiamo anche in Italia nel giro di qualche anno. In questo articolo ne parliamo insieme con Laura Pirotta, psicologa esperta di neurogastronomia, neuroscienze, e Learning & Development Director di Neurobusiness. Oltre che tra i docenti del Gambero Rosso nel Master di Giornalismo e comunicazione d'impresa dell'enogastronomia

 

Dottoressa Pirotta, che cos’è la neurogastronomia?

La neurogastronomia è una branca delle neuroscienze che studia come si comporta e cosa prova il nostro cervello durante un’esperienza enogastronomica. È una disciplina nata con lo scopo di aiutare tutti coloro che si occupano di ristorazione e food&beverage, ad alti livelli, a creare l’atmosfera migliore perché l’esperienza enogastronomica sia efficace e appagante. E per saperlo non si chiede più alle persone se piace o meno quel piatto, quel packaging o l’atmosfera di quel ristorante ma si chiede direttamente al loro cervello avendo così un parametro molto più veloce e oggettivo.

 

E come si fa a chiedere al cervello delle persone?

La neurogastronomia utilizza strumentazioni neuroscientifiche per studiare il cervello quali, per esempio, l’elettroencefalogramma, un caschetto con diversi elettrodi che viene posto sulla testa del soggetto e rileva l’attività elettrica del cervello, l’eye-tracking, una mascherina posta sugli occhi che rileva l’attività oculare dell’individuo e la skin conductance, uno strumento che rileva la microsudorazione corporea di fronte a uno stimolo.

 

Per stimolo intende la degustazione di un piatto?

Non solo. La ricerca di neurogastronomia può essere fatta su uno specifico piatto o su uno specifico vino oppure su un packaging o una qualsiasi attività comunicativa come i video di prodotti, le brochure e i siti internet. Ma il campo di ricerca della neurogastronomia non si ferma qui perché, come dico sempre in aula, anche l’ambiente del ristorante fa la differenza nell’esperienza enogastronomica. Infatti, mi capita sempre più spesso di fare ricerche proprio per valutare il ristorante nel suo complesso. L’atmosfera, i sapori, le luci, la musica, la cordialità del personale, la velocità: tutto contribuisce a un’esperienza enogastronomica appagante e può modificare anche drasticamente la valutazione del ristorante o dell’hotel.

 

Quando tiene un corso formazione di neurogastronomia, come quello svolto per i ragazzi del Master in in Giornalismo e comunicazione d'impresa dell'enogastronomia, che cosa insegna?

Diciamo che gli studi della neurogastronomia possono essere suddivisi in tre macro aree: gli studi antropologici legati a come si è sviluppato il nostro cervello in relazione a ciò che mangiavamo e a come i nostri cinque sensi si sono evoluti e vivono l’esperienza enogastronomica; gli studi neuroscientifici legati a tutte quelle ricerche che hanno studiato il cervello durante un’esperienza enogastronomica; le implicazioni pratiche sulla base dei primi due punti per migliorare concretamente l’esperienza enogastronomica e, in generale, qualunque prodotto, artigianale o industriale, del food&beverage.

 

Da cosa è nata la sua passione verso la neurogastronomia?

In realtà, la mia grande passione è il cervello in generale. Pensi che ho anche in casa un modellino di plastica di cervello (Mister Brain) che uso sempre nelle mie lezioni, ormai fa parte della famiglia anche lui, tanto che ieri mia figlia di 3 anni mi ha detto: “Mamma, la mia Barbie è senza cervello, glielo metti tu?”.

In più le neuroscienze e l’applicazione concreta delle stesse, sono la mia specializzazione come psicologa e, avendo lavorato per quasi dieci anni nel marketing di grandi multinazionali e nel settore delle ricerche di mercato della più grande multinazionale alimentare del mondo, mi è venuto naturale unire insieme neuroscienze, psicologia e marketing e farne una nuova professione che porto con orgoglio in aula come docente universitaria, formatrice aziendale e imprenditrice.

 

Come si incontrano psicologia, neuroscienze e marketing?

La psicologia sta entrando sempre più a far parte di diversi ambiti. Da tempo non è più unicamente riservata alla cura del singolo individuo in ambito clinico. Oggi chi si occupa di psicologia lavora nelle aziende, nello sport, nella ricerca, nel marketing e ora anche nella gastronomia. Si è capita l’importanza di comprendere i processi psicologici che sono alla base di ogni nostro comportamento, e questo - negli ultimi anni - ha convogliato molte ricerche neuroscientifiche in vari campi. Il neuromarketing unisce psicologia, neuroscienze e marketing cercando di comprendere le funzioni cerebrali di fronte a comportamenti d’acquisto o qualunque altro stimolo commerciale.

 

Ma quindi, secondo lei, è possibile una forma di manipolazione da parte del marketing?

Assolutamente no! Ci tengo a precisare che non si tratta di “controllo”. Se il marketing ci controllasse realmente saremmo dei robot senza alcun libero arbitrio, senza il piacere di scegliere in base ai nostri gusti e alle nostre esigenze. Spesso viene alimentata la falsa credenza che il cervello sia passivo nei confronti degli stimoli che percepisce ed elabora, come se fosse una sorta di recipiente che si può colmare con ciò che si vuole. Non è assolutamente così. Noi agiamo nel mondo e costruiamo le nostre esperienze attraverso la nostra soggettiva interpretazione degli stimoli che ci vengono proposti. Il marketing può aiutare a contestualizzare meglio le nostre preferenze tenendo, però, in considerazione che siamo esseri umani pensanti e liberi di fare tutte le nostre valutazioni. Il neuromarketing propone delle opzioni nuove che si basano su riscontri scientifici, una strada in più da percorrere. Ed è proprio compito di un nuovo concetto di marketing fare in modo che quella strada appaia la migliore da percorrere. Siamo, però, noi in ultimo a scegliere liberamente, sempre.

 

E il cibo come entra in tutto ciò?

Dal neuromarketing alla neurogastronomia il salto è stato quasi obbligato. Quando ti trovi continuamente a contatto con le neuroscienze cerchi di applicarle a quanti più ambiti possibili, e viene quasi automatico cercare di comprendere quali effetti possa avere una componente fondamentale della nostra vita come il cibo. Alla fine siamo ciò che mangiamo, quindi come potrebbe non interessarci approfondire la questione?

 

Come è cambiato il suo approccio con la gastronomia?

Quando ho iniziato ad addentrarmi in questa materia ho subito capito quante sensazioni perdiamo dandole per scontate. Perfino io che tra psicologia e neuromarketing ho una predisposizione all’attenzione dei dettagli, non notavo quanto fossero potenti questi stimoli. Ora è come avere un terzo occhio che capta tutto ciò che il cibo riesce a darci ed è proprio quello che cerco di trasferire a chi frequenta il corso di neurogastronomia.

 

Le piace cucinare?

Paradossalmente non amo cucinare ma mi piace molto mangiare. Infatti, per la neurogastronomia poco importa saper cucinare, l’importante è conoscere molto bene il cervello e come questo vive l’esperienza enogastronomica.

 

Come diffonde questa materia?

Prediligo il metodo divulgativo perché sono dell’avviso che sia importante trasmettere le mie conoscenze sul cervello non solo agli addetti ai lavori ma a chiunque abbia l’interesse per scoprire come è fatto e come funziona il proprio cervello. Per questo, ogni volta che tengo una lezione in azienda o nelle Università cerco sempre di rendere il materiale fruibile a tutti i presenti. Meglio traduciamo queste tematiche in strumenti di facile comprensione (senza assolutamente tralasciare la competenza teorica e scientifica di partenza), più le persone si avvicineranno e meglio ne comprenderanno l’utilità, agevolando una rapida diffusione. Anche perché, oggi, di neurogastronomia si parla veramente ancora molto poco qui in Italia.

 

In quali settori crede possa essere maggiormente applicata la neurogastronomia?

Gli assunti della neurogastronomia si possono applicare a diversi ambiti, sia nel settore industriale del food&beverage sia nella ristorazione di alto e altissimo livello.

La neurogastronomia può essere utilizzata per fare ricerca sugli effetti di alcuni alimenti nel nostro cervello, oppure a capire come e perché un particolare piatto o un vino accendono determinate aree cerebrali. Può essere utile per il marketing del settore food&beverage o dell’enogastronomia per migliorare la comunicazione dei propri prodotti. Può essere utilizzata per valutare in modo scientifico e oggettivo la shopping experience di punti vendita o la completa esperienza enogastronomica all’interno di un ristorante. È proprio la sua naturale adattabilità a diversi campi che rende ancor più affascinante questa materia.


A New York riapre il Pastis. La rinascita del ristorante icona che in città ha sdoganato il bistrot alla francese

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Nel 1999 il Meatpacking District era popolato di night e club di dubbio gusto; Keith McNally ne intuì le potenzialità, e lì inaugurò il Pastis, cambiando il volto dell’isolato. In 15 anni di attività il bistrot in stile francese diventò un’icona pop, attirando newyorkesi, turisti e celebrità. Poi la chiusura obbligata. Ora il revival, grazie a Stephen Starr. 

Il ristorante icona

C'è stato un tempo, non molto lontano, in cui gli hamburger e le french fries di Pastis, all'angolo tra la 9th Avenue e Little West 12th, attiravano file interminabili di newyorkesi (celebrità comprese, da Anna Wintour a David Bowie, da Martha Stewart a Sarah Jessica Parker) e turisti, attratti dal fascino di un bistrot in stile francese tra i grattacieli e le facciate in mattoncini rossi del Meatpacking District. Dal 1999 al 2014 l'insegna si è trasformata in un ritrovo iconico della città che vive a tutte le ore, e quando si è trattato di abbassare la saracinesca per cause imprescindibili – la demolizione del palazzo che lo ospitava – molti hanno faticato a dire addio al Pastis, nonostante le rassicurazioni di Keith McNally, fondatore del ristorante, che all'epoca aveva promesso una pronta riapertura. Così non è stato, se oggi, dopo quattro anni, il Pastis ha fatto perdere le sue tracce, sebbene il ricordo di quella tavola, gli arredi anni Trenta, il grande bancone circolare, le boiserie e le piastrelle bianche alle pareti, i camerieri coi grembiuli bianchi sempre affaccendati, le tende rosse ad annunciarla da lontano, sia rimasto vivido negli occhi di chi lo frequentava abitualmente. Ma ora la notizia è che il Pastis potrebbe rinascere presto in un nuovo spazio nel West Village, grazie al sodalizio tra McNally e Stephen Starr, celebre imprenditore della ristorazione che conta tra le altre insegne del suo gruppo (Starr Restaurants) una delle moderne tavole francesi più acclamate di New York, Le Coucou.

Il nuovo Pastis

Proprio Starr si sarebbe mosso a sollecitare la ripresa di un progetto che evidentemente è considerato ancora vincente, proponendo un locale non molto distante dal precedente, al 52 di Gansevoort Street: il nuovo Pastis dovrebbe aprire entro un anno, contando su una metratura analoga all’originale, con l’idea di ricreare l’atmosfera di un tempo, che negli ultimi anni McNally ha cercato di trasferire al Cherche Midi di NoLita, aperto proprio nel 2014 al posto della pizzeria Pulino's (sempre di sua proprietà), e prossimo alla chiusura definitiva (prevista per giugno 2018). Chi conosce l’evoluzione del modello di ristorazione francese informale in città, sa bene che in più di un’occasione Starr ha guardato al Pastis (e non solo, visto che McNally gestisce a New York altre insegne iconiche come il Balthazar - dal 1997 - e in passato il New York Times l’ha definito “il ristoratore che ha inventato Downtown”; certamente ha sdoganato l’idea di brasserie) come esempio da imitare, e l’inedita partnership sarebbe giustificata da una comune visione. Anche se stavolta spetterebbe a Starr gestire il progetto, nel rispetto della visione e dello spirito di McNally, “un mentore della cultura pop a New York”, ribadisce l’imprenditore di Philadelphia. La licenza per servire alcolici è già stata richiesta, lo chef, per ora avvolto nel mistero, è già stato assoldato. E questa, dopo diversi falsi allarmi – tempo fa si era parlato di una riapertura al Gansevoort Market – dovrebbe essere la volta buona per la rinascita del Pastis. Chissà se il bistrot saprà nuovamente diventare meta iconica, o se ormai il suo tempo è passato.

 

a cura di Livia Montagnoli

Frichti. La cucina a domicilio di Parigi che collabora con gli chef. Giovanni Passerini compreso

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In meno di tre anni, la startup ideata da una giovane coppia francese ha conquistato il mercato della consegna di cibo a domicilio di Parigi. Come? Assoldando una squadra di chef, che ogni giorno elabora e prepara piatti pronti nella cucina di Frichti. Poi ci sono le collaborazioni d'autore, come quella con la Gang des chefs: in gioco anche Eric Frechon e Giovanni Passerini. 

 

Cucine... A domicilio. I precedenti in America

È un fenomeno che prende piede rapidamente in molte capitali internazionali quello della cucina pret a porter firmata da cuochi che cucinano unicamente per la consegna a domicilio. Parallelamente al boom del food delivery – che anche in Italia ha visto affermarsi realtà specializzate decisamente orientate a migliorare la qualità dell'offerta e del servizio – sono nati così veri e propri ristoranti ombra, cucine attrezzate di tutto punto per facilitare la brigata al lavoro sull'ideazione e la preparazione di piatti pronti da servire, rapidamente, in ogni angolo della città. Ci ha provato David Chang a New York, con Maple, 22 milioni di dollari per lo sviluppo di una startup destinata a innovare la consegna di cibo a domicilio nell'area di Manhattan, disponendo di una cucina dedicata per l'elaborazione di menu stagionali di qualità:  spese di gestione elevate, food cost insostenibile, concorrenza spietata hanno costretto la start up ad arrendersi al mercato l'anno scorso, confluendo in Deliveroo. E all'inizio del 2018 è fallito anche il progetto Ando, analogamente orientato al delivery di piatti preparati in una cucina dedicata, ispirati ai must di Momofuku. Un declino che accomuna molte delle realtà simili nate negli ultimi anni negli Stati Uniti. Mentre in Europa il trend sembra ancora cavalcare la cresta dell'onda.

 

Il trend europeo

A Londra un format analogo è nato dall'intuizione di un team tutto italiano alla fine del 2015: Godo Sostanza Italiana è il food delivery ideato da una coppia di giovani imprenditori milanesi, Amin Bouafsoun e Simone Sajeva, in collaborazione con lo chef Tommaso Arrigoni, che nella cucina del quartier generale londinese elabora ricette in barattolo (sottovuoto e facilmente riscaldabili). A Parigi, invece, la soluzione si chiama Frichti, la start up per la consegna di piatti pronti realizzati con prodotti freschi e stagionali da una squadra di chef, in un grande spazio attrezzato in città. L'idea è venuta a Quentin Vacher e Julia Bijaoui nel 2015, e l'anno scorso ha ricevuto un finanziamento di 30 milioni di euro stanziato dai fondi di investimento Verlinvest e Felix Capital, che all'impresa ha garantito nuova linfa e l'opportunità di implementare ulteriormente la sua efficienza tecnologica.

Frichti a Parigi

Oggi Frichti serve circa 10mila piatti pronti nell'area parigina, e in 30 minuti dall'ordine via app garantisce la consegna a pranzo e cena nell'Ile de France, grazie all'algoritmo che suggerisce percorsi ottimizzati a chi effettua il servizio. Un pasto completo costa tra i 10 e i 14 euro, sebbene le materie prime siano selezionate e la brigata al lavoro qualificata: per contenere i costi, la piattaforma è stata progettata per avere il controllo totale della filiera di produzione, dalla ricerca della materia prima alla trasformazione, alla consegna del cibo. Così l'azienda è riuscita a raggiungere i 250 dipendenti in poco meno di 3 anni, e oggi punta da un lato a diversificare l'offerta (fornendo, per esempio, kit a domicilio con ricetta e prodotti selezionati per un pasto guidato fai da te, in Italia ci hanno pensato, per primi, i ragazzi di Fanceat, oggi sono diverse le realtà simili), dall'altro ad ampliare il proprio mercato, a Lione e Bordeaux, prima di provare con l'estero. Intanto, l'obiettivo, ambizioso, è quello di diventare una seconda cucina per i parigini, un'alternativa pratica, buona e sana alla spesa dell'ultimo secondo. In quest'ottica si inquadrano pure le collaborazioni con nomi noti del panorama gastronomico francese.

 

Una squadra di chef. E collaborazioni celebri

Se la filosofia della casa è quella di lavorare ogni giorno “con chef che si prendono cura dell'unico tavola che conta davvero, la tua, tutti i giorni”, ideando ricette che accontentano tutti (vegetariani, intolleranti al glutine, bambini, per ognuno il suo menu con ingredienti ben indicati, ma sul sito si possono acquistare anche prodotti da filiera corta, dalle uova bio ai formaggi, al pane), non sono rare le occasioni di sperimentare piatti d'autore periodicamente proposti dal sito. A Natale scorso, per esempio, Christophe Michalakh a rielaborato per Frichti i suoi celebri Koonie, dolcetti ricoperti di cioccolato con ripieno morbido in vari gusti. Mentre dal 22 maggio, e per due mesi a seguire, sarà una “Gang des chefs” delle grandi occasioni a movimentare la carta di Frichti, che ha riunito Taku Sekine (Dersou), Eric Frechon (The Bristol), Juan Arbelaez (Yaya) e Giovanni Passerini(Passerini) per ripensare le ricette della loro infanzia: curry di pollo alla giapponese, insalata di pasta con verdure grigliate, ricotta e paprika, salsiccia di Tolosa con purè, tataki di tonno con quinoa e leche de tigre. Ed altre idee tutte in divenire. Chissà che Passerini non riesca a portare un po' di genuina italianità in un menu che, al momento, annovera solo qualche stereotipo del folclore made in Italy, come le linguine alla Puttanesca o il kit pronto per la Margherita, con impasto già steso e precotto (ma, assicurano sul sito, lievitato 72 ore), salsa di pomodoro e mozzarella di bufala Dop. E il pesto “maison”... Con semi di girasole al posto dei pinoli e succo di limone!

 

www.frichti.co

 

a cura di Livia Montagnoli

La Forza di Rinascere. Presentata a Roma la piattaforma per la ripresa dei territori terremotati, attraverso l'eccellenza enogastronomica

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Un convegno alla Sapienza ha riunito tutte le forze coinvolte nel progetto di rinascita dei territori terremotati, artigiani a produttori enogastronomici in primis. Un'uscita pubblica che testimonia la voglia di farcela, a partire dal Laboratorio della Rinascita, piattaforma di ricerca, promozione e vendita. 

Il futuro del Centro Italia. La Forza di Rinascere: il convegno

Gli Stati Generali del terremoto riuniti a Roma, in convegno, nell'Aula Magna dell'Università La Sapienza. È successo nella mattinata dell'11 aprile, ironia della sorte neanche due giorni dopo la potente scossa che ha fatto ripiombare nella paura quella parte d'Italia già profondamente piegata dai danni (non solo materiali) del sisma del 2016. A testimoniare con una violenza inconfutabile che il problema esiste – qualora non bastassero le macerie e i container che hanno ridisegnato il paesaggio di confine tra Umbria, Lazio, Abruzzo e Marche – ed è necessario trovare il modo migliore per conviverci. E la Forza di Rinascere, dal titolo del convegno andato in scena all'ateneo romano, è insieme mantra e auspicio per il recupero della quotidianità spezzata, che passa attraverso la tenacia delle comunità che abitano quei territori tanto fragili, ma ricchi di storia e di risorse da promuovere. Ecco perché un incontro tra politici, istituzioni (i Sindaci di 33 Comuni del cratere e gli Assessori delegati, ma anche Mibact e Mipaaf), operatori del settore (Camere di Commercio e Sindacati di categoria), le università di Pollenzo e Teramo, l'Ente parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, il Cnr e i cittadini sul tema della valorizzazione dei prodotti tipici dei territori coinvolti è una bella opportunità per sostenere la ripresa economica e culturale delle quattro regioni colpite nel vivo.

Il Laboratorio della Rinascita che scommette sul cibo

Nello specifico si celebra il debutto del nuovo Laboratorio della Rinascita, una piattaforma promossa dall'associazione Alfa Fenice con il supporto della Sapienza per garantire una vetrina ai produttori di eccellenze alimentari dell'area. Sul portale online laforzadirinascere, la sezione e-commerce offrirà la possibilità di acquistare i prodotti tipici locali, ma il laboratorio è anche centro di ricerca che si avvale della collaborazione dell'Istat, con studi di settore e di mercato per favorire la crescita delle imprese produttrici e l'incremento dei flussi turistici, creando nuove opportunità di lavoro qualificato. A questo scopo si prevede anche l'implementazione dei marchi De.Co. comunali e sovracomunali per precisare ulteriormente un catalogo di prodotti tipici che siano specchio e motore dell'enogastronomia locale (già nutrito il novero di eccellenze, dalla ventricina teramana al tartufo della Laga, dall'anice verde di Castignano alla pizza con le noci di Macerata; e poi caciotta fermana e ciauscolo, fagiolo di Amatrice e prosciutto crudo da suini neri dei Monti Sabini, per citarne qualcuna). La seconda fase del progetto, non a caso, verterà sull'apertura di spazi ufficiali destinati alla presentazione, alla degustazione e alla vendita delle specialità, a Roma e in altre città italiane. La piattaforma è già online, la vendita si attiverà solo tra qualche mese, quando saranno completate le operazioni di catalogazione e la progettazione di un polo logistico per immagazzinare e spedire i prodotti ordinati. Un passo dopo l'altro, con il contributo di tutti, a cominciare dall'Expo della rinascita: il prossimo autunno, quando tutti i produttori presenteranno al grande pubblico le proprie eccellenze.

 

www.laforzadirinascere.it

 

a cura di Livia Montagnoli

 

Roberto Rinaldini apre a Milano. La pasticceria boutique che serve anche il pranzo, in omaggio alla Romagna

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In posizione centralissima, la boutique del pasticcere romagnolo sarà aperta dalle prime ore del mattino fino al servizio dell’aperitivo, con servizio al tavolo e proposta di piatti cucinati per il pranzo. Prima uscita pubblica per il format che nei prossimi 5 anni spiccherà il volo. Prossima tappa: Roma. 

 

Gli obiettivi della Rinaldini Pastry Spa

L’aveva annunciato in conferenza stampa a Milano poco prima di Natale scorso, e oggi Roberto Rinaldini torna in città da padrone di casa tra marmi, ottoni, vetri fumé e le inconfondibili finiture fucsia che sono il marchio di fabbrica della sua estetica da pasticcere “stilista”. Che il 2018 sarebbe stato un anno pieno di soddisfazioni (e anche molto impegnativo) era scritto nell’accordo stretto con Micaela Dionigi, imprenditrice riminese della Sgr e azionista della nascente Rinaldini Pastry Spa, con l’obiettivo di mettere a supporto dello sviluppo aziendale i mezzi e la struttura finanziaria-amministrativa necessaria alla crescita. E che crescita: 30 nuovi punti vendita in Italia e nel mondo, nell’arco del prossimo quinquennio, seguendo un piano d’espansione ragionato e profilato sulla realizzazione di un concept di pasticceria moderno e modulabile secondo contesto. Quattro format diversi per metratura e tipologia d’offerta, ma sempre in linea con la filosofia della casa, la creatività e la visione imprenditoriale di uno degli chef più talentuosi d’Italia (Tre Torte sulla guida Pasticceri&Pasticcerie per il suo quartier generale di Rimini), sulla cresta dell’onda ormai da diversi anni, sin da giovanissimo. Idee chiare, dicevamo, per quello che sarà il percorso del marchio Rinaldini d’ora in avanti, mentre alla periferia di Rimini si completano i lavori (entro la fine di giugno) per il grande laboratorio di produzione di 5mila metri quadri che supporterà l’espansione e la moltiplicazione delle boutique della maison, ma sarà pure, a sua volta, negozio destinato alla vendita e al consumo sul posto, con caffetteria, ristorazione e centro di formazione del personale: “Ora in squadra siamo già 48, ma la crescita dell’organico nei prossimi mesi sarà significativa, per supportare le nuove aperture. A Rimini ripenseremo anche gli spazi del locale storico”.

Roberto Rinaldini a Milano

Intanto, però, oggi si inaugura a Milano, in via Santa Margherita, a pochissimi passi da Duomo, Scala e Galleria: “Non uno spazio enorme, ma funzionale al nostro format, in posizione centralissima”. Dunque Rinaldini si presenta all’appuntamento con una vetrina tanto importante con molta voglia di fare bene, e un’offerta ampia, dolce e salata, che scandisce la giornata.

A supporto dell’attività il laboratorio spazioso che è stato ricavato al piano inferiore, mentre più contenuto sarà lo spazio destinato alla vendita, con il lungo banco in bella mostra all’entrata, 12 metri di vetrine per raccontare l’offerta di pasticceria – monoporzioni, mignon, Gnambelline, Macaral – le proposte salate da asporto – “come i cassoni romagnoli, disponibili per la vendita espressa in formato ridotto, da passeggio” – e il gelato, con 16 gusti mantecati giornalmente in laboratorio. Proprio sul gelato verterà parte della proposta dolce servita al tavolo, nel bel soppalco che può accogliere circa 25 persone, e sarà aperto per tutta la giornata, dalla colazione all’aperitivo, passando per il pranzo.

Alla proposta di gelateria, con gusti che spaziano dalla mandorla con mandarino di Ciaculli al fiordilatte con crema di nocciola Matilda, allo zabaione con sbrisolona e dulce de leche con arachidi salate, sarà riservata l’attenzione che merita, “con coppe in due formati, da 6 e 8 euro, per rievocare i fasti delle gelaterie anni Settanta sull’Adriatico. Il gelato è un alimento completo, lo serviremo tutto il giorno, e chi vuole potrà ordinarlo anche per pranzo, in alternativa alle nostre insalate di frutta, su cui ho costruito un vero e proprio menu, di cui vado molto fiero, dal minestrone ghiacciato all’ananas con mela verde e mango, e così dicendo, secondo stagionalità”.

Dalla colazione al pranzo

Ma la giornata comincerà con il servizio della colazione, al banco o servita al tavolo, con formula all’italiana (croissant, brioche, cappuccino…), spremute di agrumi, estratti di frutta e verdura, insalate di frutta, uova espresse, yogurt con granola, miele, pane con confettura e burro. Dalle 12, invece, aprirà la cucina, “una formula bistrot ispirata alla tradizione romagnola, con prodotti di qualità del nostro territorio”. I primi piatti, quindi, giocheranno un ruolo importante: “Avremo 8 proposte, molte a base di pasta fresca, dalle tagliatelle agli strozzapreti, tutta prodotta a Rimini, a eccezione dei passatelli, che faremo a Milano”. Ma anche risotto con squacquerone e verdure e un paio di alternative vegetariane, come la crema di spinaci. E poi le piadine della casa, in due versioni, tradizionale con strutto o all’olio d’oliva con farina macinata a pietra da grano romagnolo, con squacquerone e formaggio di fossa, salumi di Mora romagnola (Zavoli, serviti anche all’ora dell’aperitivo). O le insalate, anche con tofu e seitan. “L’obiettivo è quello di lavorare sulla grandissima qualità con una formula agile, che risponde alle esigenze della zona, e accontenta una clientela in cerca di un prodotto freschissimo, che non ha molto tempo per fermarsi a pranzo”.

Per questo i piatti saranno disponibili anche da asporto, in packaging studiato per l’occasione, purché ordinati in anticipo. In alternativa anche soluzioni da passeggio, come il tris di crocchette vegane, di ceci, melanzane e quinoa: “Siamo stati mesi a studiare la proposta salata, ma ora tutti i piatti sono curati nel dettaglio, e ci soddisfano davvero”. Per la grande soddisfazione dei turisti, dei milanesi e dei tantissimi uffici della zona. Da bere una breve carta di vini del territorio, bollicine, birre Amarcord, bibite Galvanina, tè e tisane, ma anche una drink list con classici della miscelazione e qualche vezzo d’autore, come il Rinaspritz: sambuco, granatina a Prosecco servito in vaso, con frutti rossi.

Aspettando Roma

Al lavoro ci saranno 18 persone, l’apertura si protrarrà dalle 8 fino alle 20.30, con possibilità di prolungare fino alle 23 in occasione di serate speciali alla Scala, e già durante il Fuorisalone (dal 17 al 22 aprile). L’organico però crescerà ancora nei prossimi mesi, a cominciare dal debutto romano, all’interno della Stazione Termini, in occasione dell’inaugurazione del nuovissimo soppalco servizi che Grandi Stazioni aprirà al pubblico alla fine di giugno, sopra i binari. Qui Rinaldini potrà disporre di un grande spazio di 160 metri quadri (con laboratorio di pasticceria e cucina a vista), più concentrato sulla proposta da asporto, per mantenere alta la qualità pur rispondendo ai grandi numeri dello scalo ferroviario. Un altro banco di prova importante per il nuovo format, in vista di traguardi futuri, in Italia (a Roma il secondo step è già programmato per ottobre 2018, in pieno centro storico) e all’estero.

 

Rinaldini – Milano – via Santa Margherita, 14 – dal 13 aprile 2018 - www.rinaldinipastry.com

 

a cura di Livia Montagnoli

videointervista di Massimiliano Tonelli

Fud-Bottega Sicula apre a Milano. Storia dell'insegna che ha rivoluzionato la gastronomia catanese

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Un indirizzo che raduna le migliori eccellenze gastronomiche siciliane, una panineria d'alto livello con proposte gastronomiche sfiziose e irresistibili. Andrea Graziano, lungimirante imprenditore catanese, negli anni ha saputo valorizzare al meglio tutto il buono della Sicilia. E ora, dopo l'avventura palermitana, si prepara ad aprire a Milano. Storia ed evoluzione del progetto.

 

Imprenditoria siciliana

Istrionico, intraprendente, lungimirante. La mentalità abile di un vero imprenditore, il realismo di chi con i conti ha a che fare da una vita, ma anche il senso di ospitalità tipico dei siciliani, l'amore per la buona tavola di chi è cresciuto fra profumi e sapori indimenticabili, e la fantasia di un vero sognatore. Difficile descrivere Andrea Graziano in poche righe: siciliano doc, appassionato di arte, del bello e buono, nel 2001 si lancia nel progetto di Sale Art Café (da pochi giorni ceduto in gestione), locale moderno dall'atmosfera unica, sospesa tra i profumi della tavola mediterranea, la pizzeria e la galleria d'arte contemporanea. Un'insegna che si impone fin da subito come punto di riferimento per i buongustai della città, ottenendo un successo incredibile, che però non basta a placare la voglia di innovazione di Andrea. Così, nel febbraio 2012 inaugura Fud – Bottega Sicula, una panineria, ma anche ristorante, pizzeria, wine bar. Un concept insolito per la piazza catanese, aperto in tempi non sospetti in quella che poi, grazie al suo impegno e la sua costanza, a distanza di tempo sarebbe diventata una delle vie gourmet della città, via Santa Filomena. Un indirizzo dove i concetti di qualità, ricerca per i prodotti locali, architettura, praticità e contemporaneità convivono in armonia.

 

Andrea Graziano

Fud – Bottega Sicula

Premiato dal Gambero Rosso come miglior locale street food nel 2014, e da Inarch, Artribune e Gambero nel concorso Bar e Ristoranti d'Autore, per i suoi interni curati nei minimi dettagli, Fud è un'insegna speciale, dal design ricercato, un polo gastronomico sui generis che non smette di sorprendere. Entrando, si viene accolti dalla schiera di prodotti a marchio proprio che ricoprono le pareti, file e file di barattoli, bottiglie e confezioni varie che avvolgono il cliente, catturandone subito l'attenzione e facendo immediatamente luce sulle vere protagoniste del locale: le materie prime. Quelle siciliane, buone e che fanno bene, prodotte da agricoltura biologica, biodinamica, trattate con massima cura e rispetto, e poi il banco dei salumi e formaggi, da allevatori e casari che lavorano in maniera etica, eco-sostenibile, e che per Fud producono specialità sartoriali, cucite su misura per Andrea, che sceglie personalmente ogni singolo ingrediente. “La selezione di oggi è il frutto di anni di lavoro, esperienza, assaggi. Vado personalmente a visitare le aziende, per controlli di qualità periodici, anche se questi artigiani non ne hanno molto bisogno”.

 

Fud

Fud People

Sono i Fud People, i professionisti radunati da Graziano, che fin da subito hanno creduto nel progetto, sposandolo a pieno e scegliendo di produrre per il locale cibi confezionati a nome Fud. Come il casaro della Provola delle Madonie, che per l'insegna ha cambiato forma, qui più allungata appositamente per la cucina, o ancora Frantoi Cutrera, azienda olivicola di Chiaramonte Gulfi, che rifornisce il locale di tutti i suoi monocultivar. E poi allevatori, affinatori, vignaioli, agricoltori. Una squadra di produttori specializzati tutti impegnati nella valorizzazione del proprio territorio, la Sicilia, e accomunati dal progetto Fud. Il marchio impresso sulle confezioni è quello della bottega, ma ogni prodotto viene spiegato e raccontato nei minimi dettagli ai clienti, che vengono così alla scoperta di nuove realtà. “In molti, dopo aver assaggiato i prodotti, si recano nelle aziende richiedendo la birra, il vino, l'olio, il formaggio provato da Fud. Significa che il messaggio è passato e che produttore è stato valorizzato al meglio”. Nel tempo, infatti, fra i vari professionisti si è creata una rete di scambi e confronti fondamentale per la crescita di ognuno, ma soprattutto per lo sviluppo dell'intero comparto agroalimentare locale.

Fud Off e Off festival

All'insegna delle sinergie e le collaborazioni fra colleghi è anche Fud Off, il locale al lato opposto della strada nato circa un anno e mezzo fa, un wine e cocktail bar dall'atmosfera e cucina diversa da quella di Fud, ma con la stessa filosofia di base, mirata a promuovere il lavoro dei produttori, in questo caso però non solo siciliani. Qui, fra luci soffuse, insegna a led, tavoli bassi e toni glam, si possono gustare etichette di diverse regioni e una serie di cocktail d'autore miscelati alla perfezione, frutto dell'estro dei barman dietro il bancone. Qualche snack, dai fritti (crocchette di latte palermitane, Provola delle Madonie fritta) ai grissini, dalle mandorle salate alle bruschette. O almeno questa era l'idea iniziale: “Nel giro di qualche mese abbiamo inserito anche una cucina semplice e gustosa”. Ai fornelli, Valentina Chiaramonte, conosciuta da molti come “Chez Munita”, nomignolo dei tempi in cui gestiva un home restaurant, prima di entrare nella squadra di Andrea: “Quando l'ho conosciuta ho pensato fosse perfetta per quello che avevo in mente, fa una tavola fresca, dinamica, sperimentale”. Una giovane chef di talento che grazie a Fud Off ha potuto lavorare al fianco di grandi professionisti come Giuseppe Iannotti del Krèsios, Diego Rossi di Trippa a Milano e altri ancora. Attraverso eventi e manifestazioni, ma soprattutto grazie all'Off Festival, iniziativa nata proprio per mettere in comunicazione fra loro i cuochi di diverse regioni: “Non si tratta solo di creare un menu degustazione insieme, ma di trovare il giusto punto di congiunzione fra i diversi mondi”.

La rinascita della gastronomia catanese

A Catania, il felice legame tra l’entroterra e le acque del Mar Ionio ha consentito il fiorire di una tradizione gastronomica ricca di influenze culturali, pur nella semplicità di una cucina che sa esaltarsi con l’uso di ingredienti poveri. Nonostante la profonda cultura culinaria locale, la città negli anni ha faticato per costruirsi un'identità dal punto di vista della ristorazione. Ma ci è riuscita, e continua a dimostrarlo con nuove aperture e locali interessanti dai format diversi, nati anche grazie a questa ondata di entusiasmo generata da Andrea, ristoratore dalla personalità brillante che sembra aver contagiato tutti: “Hanno aperto tante insegne simili nel tempo, paninerie gourmet, hamburgerie e locali di street food, cucine pratiche e veloci ma che non rinunciano alla qualità”.

A tutto street food

Come Scirocco, friggitoria ideata da un team di giovani nel celebre mercato del pesce, la pischiria, con l'intento di far conoscere al pubblico le specialità locali, fra cartocci di frutti di mare, arancini al tonno, sarde a beccafico, polpo con le patate e altri piatti take-away creati a seconda del pescato del giorno. E tanti altri indirizzi golosi, vivaci e moderni, in grado di rappresentare le tante materie prime locali in maniera contemporanea. A contribuire a questo fenomeno è stato in gran parte proprio Andrea, nome già noto nel settore, che ha saputo dimostrare come una cucina semplice, immediata, ma realizzata con la massima attenzione sia in grado di raccontare bene un territorio, al pari di tante tavole gourmet. “Prendiamo Off, per esempio: il menu è molto essenziale, e comprende piatti tradizionali come il polpo con le patate. Il cliente si aspetta ricette genuine, legate alla nostra isola, e noi gliele diamo. La differenza, però, è che il polpo è freschissimo, e viene cotto a bassa temperatura a lungo, per ottenere la consistenza perfetta, che sappia mantenerne anche il gusto. L'extravergine è uno dei migliori di tutta la regione, le erbe aromatiche sono quelle di stagione e via dicendo”.

L'apertura a Palermo

Un percorso eccezionale, quello di Fud, che da qualche anno delizia anche il palato dei palermitani, “mi sembrava giusto aprire anche lì. È stato come chiudere il cerchio in Sicilia”. Si chiude un progetto, ma non l'intero piano. Dopo l'apertura di Fud in piazza Olivella (stessi arredi curati da André Thomas Balla, stessa cucina, solo con qualche specialità locale in più, come l'hamburger con le panelle, doveroso omaggio alla città che ci ospita), il capoluogo siciliano potrà presto contare su un nuovo punto, un truck sulla spiaggia aperto per tutta l'estate, “ma per ora non svelo altro”. Piazza diversa, stessa evoluzione: anche la scena gastronomica palermitana ha giovato dell'arrivo di Fud, che ha portato una ventata d'aria nuova in una via fino a quel momento poco battuta, nonostante la vicinanza con il Teatro Massimo. Oggi, molti spettatori prima e dopo lo spettacolo si fermano da noi a mangiare o bere qualcosa”.

… E quella a Milano

Un progetto fatto di tanta, tantissima Sicilia, nella tavola così come nello spirito e nello spirito di accoglienza riservato a ogni cliente. Un'anima mediterranea che ora si prepara a sbarcare a Milano, in un nuovo locale – ancora una volta costruito e arredato allo stesso modo – in zona Navigli, “uno dei miei posti preferiti, dove sembrava impossibile trovare un posto”. Ma Andrea non si è arreso ed è riuscito a trovare spazio in via Casale, dove “sperabilmente a fine giugno” nascerà la prima bottega siciliana della zona. Naturalmente, con cucina, quella di Fud, tra hamburger golosi e taglieri di salumi e formaggi di prima scelta. Nel menu meneghino, i clienti affezionati ritroveranno i nomi noti, ancora una volta scritti nel tipico linguaggio “fudish”, una sorta di inglese italianizzato ormai marchio di fabbrica del locale, operazione di comunicazione intelligente effettuata in tempi non sospetti, e senza tante pretese: “Si tratta di un linguaggio inventato nato quasi per gioco, un'intuizione che ho deciso di mettere in campo e che ha funzionato”.  Che nel tempo è diventata simbolo di Fud, grazie anche al lavoro di Elisia Menduni, oggi responsabile del controllo qualità dei prodotti e comunicazione del locale. Ci saranno, quindi, gli am burger, l'eg burger, shek burger, accompagnati da tanto buon uain, tutto siciliano (oltre a un panino con la cotoletta alla milanese, "non potevamo non farlo").

Il futuro di Fud

Milano oggi è una delle piazze migliori per le sperimentazioni gastronomiche, e poi è una città meravigliosa. Spero di ricreare la stessa atmosfera conviviale e giocosa degli indirizzi di Catania e Palermo”. Senza velleità di franchising (“Me lo hanno proposto più volte, ma voglio che Fud rimanga un luogo autentico e unico”), il brand continua per la sua strada, creando una rete sempre più ampia e coesa di Fud People, e offrendo opportunità di lavoro a tanti giovani, anche quelli in difficoltà, “lavoriamo molto con i rifugiati”. E intensificando, passo dopo passo, quell'intramontabile fascino che solo la cucina siciliana sa avere.

Fud - Bottega Sicula – Catania – via Santa Filomena, 35 - 0957153518 - www.fud.it/

Fud – Bottega Sicula – Palermo – Piazza Olivella, 4 - 0916112184 - www.fud.it/

Fud Off – Catania - via Santa Filomena, 28 - 3471360586 - www.fudoff.it/

a cura di Michela Becchi

La prima degustazione verticale di olio invecchiato mai organizzata

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“Olio nuovo, vino vecchio”, recita l’adagio popolare. Ma è davvero (ancora) così? Abbiamo voluto sfidare la tradizione insieme a degustatori e produttori. Per capire la longevità dell’extravergine e le problematiche dell’ossidazione. Obiettivo: più consapevolezza e più cura nell’affrontare la produzione. Ma anche per sensibilizzare i consumatori: non tutto ciò che è vecchio è da buttare! Qui un estratto dell'articolo che potete trovare nel numero di aprile del mensile del Gambero Rosso.

 

In attesa dell’uscita (il 16 aprile, al Sol di Verona) della nuova edizione di Oli d’Italia 2018 del Gambero Rosso, abbiamo organizzato una degustazione di olio invecchiato per capire la longevità dell’extravergine e le problematiche dell’ossidazione. Qui qualche anticipazione, l'articolo completo lo potete sfogliare nel numero di aprile del mensile del Gambero Rosso.

Di annate ne ho assaggiate tante, anche vecchie… Ma mai così in sequenza: è emozionante, non ho idea di cosa potrei aspettarmi”. Tommaso Masciantonio è il titolare di una delle più interessanti aziende olivicole del mondo (Il Trappeto di Caprafico a Casoli, Abruzzo), è giovane ma di campagne olearie ne ha un bel po’ sulle spalle: eppure sembrava un remigino, uno scolaretto al primo giorno in classe, seduto davanti alle sue sei bottiglie. Simone Di Gaetano ha invece davanti a sé tre annate del suo 1979, blend toscano che porta il nome dell’anno in cui la sua famiglia diede vita a Fonte di Foiano a Castagneto Carducci, blend di Frantoio e Moraiolo. L’etichetta di Tommaso, invece, è una blend dove prevale la Gentile di Chieti (oliva che disegna questi paesaggi) con piccolo saldo di Intosso. “A me intriga molto, oltre all’incognita delle annate, soprattutto il confronto tra due prodotti che vengono da due realtà completamente diverse. Alta collina quella di Tommaso, vicino al mare la mia… E con andamenti climatici anche differenti”.

Sei calici pieni di olio extravergine visti dall'alto

Sta di fatto, però, che per entrambi il primo strippaggio dei due 2016 (quel rumoroso verso con cui si polverizza l’olio nel palato) fa gelare il sangue: il primo, l’abruzzese, mostra i primi caratteristici e fatali segni del processo di ossidazione pur mantenendo ancora diverse caratteristiche positive nei sentori erbacei e floreali. Il secondo, il 1979, si dimostra invece completamente dissociato nelle sue caratteristiche: piccante basso e amaro esplosivo che copre tutto il resto e appiattisce, non ci sono più quei segnali balsamici che invece caratterizzano questo blend sostanzialmente invariato negli anni nella sua composizione. La sorpresa vera però deve ancora arrivare: così quando si va indietro negli anni e si apre un 2015 della Dop, poi un 2014 e un 2012 e ancora un 2011 (siamo già a sette anni!), i temperamenti degli oli sembrano quasi migliorare; le note tecniche di degustazione le potete leggere nel numero di aprile del mensile del Gambero Rosso.

 

a cura di Stefano Polacchi

foto di Giacomo Foti

 

Oli d'Italia 2018 - Gambero Rosso - 530 pp - 13,90 euro - disponibile in edicola e libreria - clicca qui per acquistare la guida online

 

QUESTO È NULLA...

Nel numero di aprile del Gambero Rosso, un'edizione rinnovata in questi giorni in edicola, trovate la degustazione completa, comprese le note tecniche di degustazione a cura di Indra Galbo. Non solo, ci si interroga se abbia senso trattare l'olio come il vino e se non sia utile, per i consumatori e gli stessi produttori, cominciare a catalogare meglio le annate tramite una sorta di archivio. Nel servizio di 8 pagine trovate anche il glossarietto per orientarsi meglio nel mondo dell'olio, il punto di vista scientifico, le tecniche per salvaguardare il prodotto e le riflessioni degli esperti di settore: Giulio Scatolini (capopanel Unaprol), Alberto Grimelli (Direttore di teatronaturale.it), Palma Esposito (capopanel Università di Cassino, FR), Elvan Uysal (giornalista enogastronomica), Gabriella Ciofetta (degustatrice Umao).

 

Il numero lo potete trovare in edicola o in versione digitale, su App Store o Play Store

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Vinitaly: business e vocazione internazionale. Come cambia la Fiera di Verona

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Vinitaly è l'evento dei grandi e grandissimi numeri, ma non solo. C'è una corrente sotterranea che sta cambiando il volto della più grande fiera del vino italiana.

 

C'è un aspetto del Vinitaly che si vede poco, che è meno appariscente, meno sottoposto alla lente di ingrandimento sia dei mezzi di comunicazione sia degli utenti. Ed è quello legato alla lenta e progressiva trasformazione di questo grande evento veronese in una fiera del business a forte vocazione internazionale, sul modello del tanto decantato Prowein di Düsseldorf.

 

Vinitaly in cifre: meglio meno ma più efficaci

Nei numeri, questo trend è in corso da qualche tempo. In particolare dal 2015, anno in cui i visitatori furono 150 mila e in cui venne annunciata la decisione di operare una scrematura del pubblico, dando vita al progetto parallelo di Vinitaly and the city. E così, nei padiglioni della fiera di Verona, nel 2017 i visitatori sono scesi a 128 mila, ma al contempo gli organizzatori hanno visto aumentare la percentuale di quelli esteri fino al 38%, con 48 mila presenze e 30 mila buyer da 142 nazioni. Obiettivo raggiunto, per il presidente di Veronafiere spa, Maurizio Danese: "Siamo stati una delle poche fiere ad annunciare l'intenzione di diminuire i visitatori di una rassegna. Mi riferisco a quelli generici, per aumentare al contempo le presenze internazionali e dei professionisti".

 

Vinitaly directory

Tuttavia, il lavoro non è finito. C'è un altro aspetto importante su cui stanno lavorando gli organizzatori del Vinitaly, giunto quest'anno alla 52esima edizione. E riguarda lo sviluppo dei programmi per la profilazione e la selezione dei visitatori professionali e dei media: "Uno dei piani strategici" riferisce il dg di Veronafiere, Giovanni Mantovani "attuati con la digital innovation del nostro piano industriale. E, in particolare la Vinitaly directory". Ovvero, un portale in inglese, cinese e italiano, che sostituisce il catalogo online e mette in evidenza le principali informazioni richieste dai buyer per semplificare le proprie ricerche, in modo da favorire al massimo l'incontro con le aziende. Circa 4.500 gli espositori registrati e più di 13 mila vini inseriti. "I vantaggi sono notevoli anche per le imprese, che possono promuovere eventi e iniziative legate ai vini italiani all'estero".

 

Parola chiave: estero

L'estero è, infatti, un altra parola chiave nelle nuove strategie di Vinitaly. Sia all'interno della fiera, dove l'International Wine Hall quest'anno è cresciuto del 50%, sia al di fuori. Come dimostrano le ultime alleanze e acquisizioni in ottica internazionale. Prima tra tutte quella con Cibus di Parma, che ha portato alla nascita della nuova società chiamata Verona Parma Exibitions (Vpe), che promuoverà nel mondo il binomio wine&food attraverso i due brand di riferimento, Vinitaly e Cibus. Un’iniziativa rafforzata dall'acquisizione, proprio da parte di questa newco, del 50% del gruppo Bellavita Expo con sede a Londra. L'obiettivo? “Potenzieremo la nostra presenza internazionale e il made in Italy nel mondo” spiega Mantovani “attraverso altri importanti eventi in sette piazze strategiche: Londra, Chicago, Toronto, Città del Messico, Amsterdam, Varsavia e Bangkok. Ma soprattutto, riserveremo una particolare attenzione al canale distributivo su cui è più focalizzato Bellavita e che noi riteniamo indispensabile: l'Horeca”.

Tutti tasselli che di fatto arricchiscono il mosaico Vinitaly per farne un punto di riferimento in Italia e anche all'estero.

 

a cura di Gianluca Atzeni e Loredana Sottile

 


Air Wines. L'AirBnb del vino che mette online le cantine virtuali dei produttori italiani

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L'idea è venuta a due amici toscani, Matteo Casuccio e Patrizio Dini, che ora gestiscono il portale per la compravendita del vino senza intermediari che strizza l'occhio al più celebre sito che offre soluzioni d'alloggio presso privati in tutto il mondo. Ecco come funziona questa startup made in Italy. 

Air Wines. L'idea

Airwns non è il nome di una nuova compagnia aerea low cost, ma la crasi di Air wines, piattaforma commerciale per la compravendita di vino, che mette in diretta comunicazione produttori e consumatore. Il logo del portale, un'ala stilizzata dal colore brillante, è chiaro: facilitare il dialogo tra chi offre e chi acquista e ottimizzare le operazioni di consegna sono gli obiettivi su cui il progetto è stato ideato e realizzato, poco più di un anno fa. Mentre la grafica e l'impostazione del sito web strizzano l'occhio al modello di riferimento di Airwns, niente meno che AirBnb. L'intuizione è venuta ai toscani Matteo Casuccio (che, ironia della sorte, è astemio!) e Patrizio Dini, con l'idea di offrire agli appassionati di vino uno strumento per raggiungere il produttore finale bypassando la filiera tradizionale (importatore, distributore, enoteca), ottenendo così il miglior prezzo, anche per acquisti di etichette straniere. E concretizzando così, con il supporto della tecnologia digitale, un sistema che i suoi fondatori preferiscono definire “cantina virtuale”, più che enoteca. Chiaramente il modello si regge sull'iscrizione (gratuita) dei produttori vinicoli al portale, esattamente come sul più celebre sito che offre soluzioni di alloggio presso privati in tutto il mondo.

 

La nascita del portale

Letteralmente innamorato di Airbnb e affascinato dalla sua facilità di gestione” racconta oggi Matteo “mi sono messo d’impegno per trasferire quel modello di business al mondo del vino, creando una piattaforma che consentisse in tutta semplicità ai produttori di vendere direttamente al cliente finale, risolvendo al tempo stesso tutta una serie di problemi legati alla redditività e all’internazionalizzazione del settore. Non avendo mai aperto una bottiglia ed essendo in un certo senso scevro da condizionamenti esterni, ho potuto approcciare il mondo del vino da un punto di vista completamente diverso e insolito”. Il resto l'ha fatto la conoscenza del settore di Patrizio, per contro già appassionato al mercato del vino, e propenso a investire sulle potenzialità commerciali della seconda industria italiana per fatturato. Un giro di ricognizione al Vinitaly è stato illuminante, e i due hanno deciso di mettersi al lavoro.

 

Vantaggi e limiti

Oggi Air Wines propone un catalogo (anche in inglese) di etichette diviso per tipologie (regioni, annata, appartenenza a un consorzio, abbinamenti, etc.) e fasce di prezzo, che orientano la navigazione, mentre alle realtà vinicole offre una serie di vantaggi pratici non indifferenti (oltre che visibilità senza intermediari, da cui dipendono l'aumento della marginalità e un migliore posizionamento del proprio prodotto sul mercato): internazionalizzazione, assistenza logistica, pagamenti sicuri. Poi c'è il vantaggio di stabilire un contatto diretto con un gran numero di potenziali acquirenti, ben più trasversale del cliente che normalmente visiterebbe l'azienda per acquistare in cantina: un sistema di relazioni gratificante dal punto di vista umano, ed economico. Per il consumatore, invece, oltre al vantaggio di acquistare al miglior prezzo, la garanzia di ricevere un prodotto che parte dalla cantina, senza passare da un magazzino all'altro. Ma come funziona la piattaforma? Al momento della registrazione, il produttore carica le informazioni relative ai propri prodotti, creando un'enoteca online personalizzata. Può decidere quindi in autonomia quale politica dei prezzi adottare, il numero minimo di bottiglie per l'ordine, l'eventuale spedizione gratuita e quali Paesi escludere dal proprio raggio di vendita. Al cliente, invece, basta registrarsi e navigare sul sito, curiosando tra le proposte, con o senza l'aiuto dei filtri di ricerca. L'acquisto avviene in “cantina”, Air Wines avvia la procedura di spedizione: attiva il mailing automatico, garantisce il ritiro presso i magazzini del venditore entro 48 ore, consegna porta a porta ovunque nel mondo, in pochi giorni (l'ordine è chiaramente tracciabile). Il pagamento è immediato, e avviene tramite carta o circuito Paypal. Il guadagno del portale? Il 10% delle transazioni a carico del produttore. Il limite? La piena democrazia del modello: la registrazione è consentita a tutti, al consumatore il compito di discernere tra le proposte, poste tutte sullo stesso piano. Attualmente sono già un centinaio le cantine presenti su Air Wines, tutte italiane. Ma le community digitali, si sa, crescono in fretta.

 

www.airwns.com

 

a cura di Livia Montagnoli

Dentro la Nuvola di Lavazza a Torino. Con il ristorante di Ferran Adrià

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Inaugurato oggi il complesso di Lavazza progettato da Cino Zucchi per diventare il quartier generale dell’azienda torinese. Uno spazio immaginifico e polifunzionale, che custodisce anche il ristorante di Ferran Adrià e Federico Zanasi, pronto ad aprire all’inizio di giugno.

 

Radici Future: è racchiusa in quest’ossimoro la filosofia di Nuvola Lavazza, il grandioso complesso inaugurato oggi a Torino. Una storia di famiglia che attinge alla memoria per guardare avanti, e certo Lavazza di strada ne ha fatta molta, da quel 1895 -  quando Luigi Lavazza aprì la sua drogheria-torrefazione in via San Tommaso 10, nel cuore della vecchia Torino -  ai 2 miliardi di fatturato del 2017. Oggi a raccontare una storia lunga 120 anni c’era tutta la famiglia, arrivata ormai alla quarta generazione con i vicepresidenti Marco e Giuseppe Lavazza, mentre già la quinta sta facendosi le ossa. Ed è un caso assai raro che un’azienda di queste dimensioni abbia continuato ad essere gestita sempre dalla stessa famiglia e ad avere il suo quartier generale a Torino, ribadendo l’importanza di quei valori di continuità che sono un po’ il punto di forza di Lavazza. Si spiega così la volontà di creare proprio a Torino, 8 anni di lavori e 120 milioni di euro di investimento, un centro pulsante, una piattaforma aperta al mondo che mette in contatto la città dove tutto è cominciato con i 90 Paesi in cui oggi Lavazza è presente.

foto di Andrea Guermani

Un intervento di rigenerazione urbana aperto alla città

Dove siamo, innanzitutto: quartiere Aurora, poco più di 1 km da via San Tommaso 10. Un’ex area industriale dismessa, recuperata dall’architetto Cino Zucchi e restituita alla città. Già perché la Nuvola Lavazza non è soltanto un edificio avveniristico sede degli uffici, ma è una piazza aperta alla città, un museo (dell’azienda e del caffè, con le icone Carmencita e Caballero), uno spazio eventi che può accogliere oltre 1000 persone, una basilica paleocristiana apparsa per caso durante i lavori e ora visibile anche dall’esterno, una sede dello IAAD, Istituto di Arte Applicata e Design, un giardino, un bistrot accessibile a tutti, un ristorante dal nome emblematico di Condividere. Insomma, un intervento urbanistico totale di rigenerazione - questo è il secolo della rigenerazione e della città ecologica, ha sottolineato Zucchi- che ridisegna un intero quartiere. Nel segno della condivisione (la parola più citata oggi, in fondo tutto nasce al caffè e che cos’è una tazzina di caffè se non la celebrazione del piacere di stare insieme?) e della sostenibilità (ha già ottenuto la certificazione LEED Platinum, il livello più alto). L’apertura alla città è il dato più significativo, una chiave di lettura che accomuna un po’ tutti i più recenti interventi di rigenerazione urbana a Torino, dalle OGR, le Officine Grandi Ripazioni, a EDIT al Grattacielo Intesa Sanpaolo di Renzo Piano. Interventi dove la ristorazione come momento di piacere e di condivisione è un elemento di forza.

foto di Michele Nastasi

Condividere: una nuova filosofia

Alla Nuvola la parola d’ordine è condivisione: di progetti, di idee, di cultura, e anche di cibo. Gli spazi food della Nuvola Lavazza non sono un’aggiunta modaiola: sono parte integrante del progetto. Già operativo il Bistrot, uno spazio innovativo di ristorazione collettiva, che è insieme mensa per i dipendenti e bistrot per gli esterni, ispirato alla filosofia Slow Food, che punta al cibo di qualità come motore di socialità, con menu divisi in tre “isole-ristoranti”: ¡Tierra! per la cucina green e salutistica, San Tommaso 10 per lo street food italiano, Murisengo per i piatti della tradizione nazionale e piemontese. Solo a pranzo, prezzi easy (scontrino medio 7€).

Ma la grande novità, attesissima, è l’apertura, l’8 giugno prossimo, di Condividere, il ristorante allestito dal premio Oscar Dante Ferretti che ne ha fatto una perfetta scenografia, vagamente barocca e onirica, quasi da set cinematografico, giocata sul tema del tempo. Il progetto è di Ferran Adrià (è lui ad aver voluto Ferretti e prossimamente gli piacerebbe lavorare a un ristorante insieme a un regista), legato alla famiglia Lavazza da una lunga amicizia (vi ricordate l’e-spesso?). La sua, tiene a precisare, non è stata una consulenza (“nelle consulenze manca l’anima”), piuttosto la creazione insieme di un nuovo format, un progetto che potrebbe diventare un modello per il futuro, per consentire a giovani chef di realizzare il proprio progetto di ristorazione.

Spieghiamo: il giovane (relativamente, è nato nel 1975) chef in questione è il modenese Federico Zanasi, un bel curriculum (anche con Moreno Cedroni), scelto proprio da Lavazza e da Adrià per guidare un ristorante che da solo non avrebbe avuto la forza economica per avviare (sono 700mq). Il modello virtuoso potrebbe essere proprio questo: una grande azienda che si assume l’onere di aprire un ristorante e offre un’opportunità unica a uno chef valido. Che sia l’inizio di un new deal che incoraggia i nuovi talenti del food? Questa la convinzione di Ferran Adrià. Che ha spiegato con dovizia di dettagli e partecipazione appassionata il progetto condiviso.

foto di Andrea Guermani

La rivisitazione della cucina italiana secondo Ferran Adrià (e Federico Zanasi)

Condividere sarà una trattoria contemporanea. Zanasi ha girato l’Italia alla ricerca delle trattorie e di quelle tradizioni che costituiscono l’identità italiana

Da dove siete partiti?

Da un esempio perfetto di condivisione: il pranzo della domenica in famiglia. E da un lungo studio sulle tradizioni, dall’antica Roma fino ad oggi

 

La cucina italiana è una cucina di condivisione?

Zanasi nei suoi giri non ha trovato in realtà molti esempi di condivisione. Una cucina basata sulla pasta e sul riso non offre molti spazi di condivisione. Più facile con gli antipasti, con uno spirito simile alle tapas spagnole

 

L’obiettivo di una cucina di condivisione qual è?

Una dimensione di socialità, di divertimento, di piacere. In un ristorante gastronomico si è concentrati sul cibo. Da Condividere c’è il cibo, ma c’è anche il piacere di stare insieme. Non ci sarà un menù degustazione, ma piatti da gustare insieme, ricette recuperate in chiave condivisa, poco elaborate. Una cucina non complicata, per tutti

 

Un esempio?

Stiamo lavorando molto con la pasta ripiena, con quei tipici agnolotti piemontesi che sono i plin, sono adatti alla condivisione e si possono preparare in vari modi, si possono gustare con le mani, con le pinze, possiamo farli al vapore.. Non ci ha mai pensato nessuno, siamo curiosi di vedere come reagirà la gente. Abbiamo bisogno del feed-back del pubblico, torinesi e turisti. Per questo abbiamo in progetto un’apertura lunga, un mese di rodaggio, per valutare, fare aggiustamenti

 

Un ristorante che punta alle stelle?

No, un ristorante dove si sta bene, piacevole…Se poi arriverà una stella, benissimo. E io sarò sempre a disposizione per correzioni, per resettare il tiro. Vorremmo soprattutto un ristorante con un’identità e una filosofia proprie. Abbiamo bisogno di ristoranti così, a Torino ce ne dovrebbero essere almeno una decina

 

E il caffè come entra in tutto questo progetto?

Alla fine ci sarà un momento dolce, ludico, e un gran finale con il caffè. Un po’ come nel progetto Heart che io e mio fratello Albert abbiamo realizzato con il Cirque du Soleil a Ibiza, un laboratorio di esperienze

 

A 20 anni dalla copertina del Gambero che ha fatto conoscere in Italia la sua “rivoluzione” in cucina, c’è ancora spazio per l’innovazione, e come?

Oggi aprono ogni giorno nel mondo molti ristoranti di ‘cucina creativa contemporanea’ ma pochi sono davvero d’avanguardia. E poi cosa vuol dire ‘cucina creativa’? Negli ultimi dieci anni non ci sono state vere novità, innovazioni radicali come quella che posso aver avviato io con i sifoni. Si inventano in un solo giorno più piatti di quelli inventati in anni, ma la vera rivoluzione è pensare la cucina, riflettere

 

Domanda finale per entrambi: ristorante preferito?

Adrià risponde senza esitare, quello di suo fratello Albert. E Zanasi non ha dubbi: Condividere. Bel modo per cominciare una nuova avventura, appuntamento l’8 giugno. Adrià ripete che “non è il mio ristorante, non verrò certo a controllare, ma ci verrò a mangiare”.Buona idea.

 

a cura di Rosalba Graglia

foto di apertura Andrea Guermani

 

 

Anteprima Oli d'Italia 2018 Prima Parte. Premi speciali: le migliori aziende d'Italia

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Assegnati i punteggi, si passa ai premi speciali, i riconoscimenti per quelle aziende che si sono distinte per una caratteristica in particolare. 13 in tutto gli “speciali” della guida Oli d'Italia 2018, con alcuni ex aequeo. Ecco quali sono i primi 6.

 

I premi speciali

Meno tre giorni alla presentazione della guida Oli d'Italia 2018, il volume che dà voce agli olivicoltori italiani, raccontandone storia e prodotti. E soprattutto, valutando pregi e qualità di ogni etichetta, riconoscendone aromi e caratteristiche. Fra i tanti (743!) oli recensiti, ci sono poi quelli che si differenziano per intensità, eleganza, equilibrio. Così come fra le tante (476) aziende segnalate, se ne distinguono alcune per particolari qualità, come il miglior frantoio, il rapporto qualità/prezzo, la capacità di trainare il panorama olivicolo di un territorio in crescita. Sono 13 in tutto i premi speciali della guida, quelli riservati alle aziende più interessanti, innovative, i punti di riferimento per la qualità in Italia, che non riservano mai cattive sorprese. Storie diverse, molte legate a una tradizione familiare, altre frutto dell'impegno e dell'estro di giovani intraprendenti che hanno saputo rivoluzionare attività storiche; tutte con lo stesso obiettivo: restituire valore all'oro verde, quello buono. Più o meno intenso, monocultivar o blend, purché sia ben fatto. Sono tante le sfumature dell'extravergine, le declinazioni di un prodotto in continua evoluzione, e la guida la raccoglie tutte, facendo luce sulle eccellenze di ogni categoria, dal miglior Igp al migliore olio biologico. Qui, vi raccontiamo la prima tranche dei premi speciali assegnati nell'ultima edizione, in uscita il prossimo 16 aprile al Sol di Verona.

Miglior fruttato leggero: Monocultivar Prempesa – Belfiore

A Castelnuovo Magra, in provincia della Spezia, fra i terrazzamenti tipici del territorio ligure ce ne è uno nel Parco di Montemarcello-Magra che spicca per estensione e bellezza delle piante. Con i suoi 7,5 ettari di terreno, l'azienda Belfiore si destreggia fra 2450 piante di leccino, prempesa, lantesca, razzola. È proprio quest'ultima la protagonista dell'olio premiato come miglior fruttato leggero, un monocultivar dalle note di pinolo, mandorla e noce, che si legano in armonia a tocchi floreali e sentori più delicati che ricordano la camomilla. Un olio complesso, elegante, con un finale persistente di mandorla dolce che ne caratterizza il gusto.

 

Belfiore

Belfiore - Castelnuovo Magra (SP) – via Montefrancio, 88 – 3355637888 – www.agricolabelfiore.it

Miglior fruttato medio (premio ex aequo): Monocultivar Ascolana - Conventino di Monteciccardo

Da anni sinonimo di qualità in campo olivicolo, Il Conventino di Monteciccardo è un'azienda agricola giovane e dinamica del pesarese, impegnata nella produzione di olio e vino. La famiglia Maracantoni si impegna, anno dopo anno, a raccontare la vocazione agricola di questo territorio immerso nella natura più incontaminata attraverso oli straordinari. Come il Frà Bernardo, monovarietale di ascolana che con la sua trama aromatica complessa e sfaccettata rappresenta uno dei miglior fruttati medi d'Italia, giocando sulle note di pomodoro verde e carciofo. Un olio vivace, con sensazioni di amaro e piccante esuberanti ma mai invadenti, in perfetto equilibrio fra di loro.

 

conventino

Il Conventino di Monteciccardo – Monteciccardo (PU) – via G. Turcato, 4 – loc. Conventino – 0721910574 – www.conventinomonteciccardo.bio

Miglior fruttato medio (premio ex aequeo): Extremum Colabella Monocultivar Taggiasca – Paolo Cassini

Un percorso di qualità senza compromessi, quello dell'azienda di Paolo Cassini, olivicoltore appassionato specializzato nella cultivar più rappresentativa della sua regione: la taggiasca. Una varietà che qui supera i confini tradizionali dei sentori leggeri e delicati che le vengono solitamente attribuiti, assumendo sfumature e toni più accesi. Nell'azienda, infatti, si trovano fruttati intensi e medi, come l'Extremum Gran Cru Colabella Monocultivar Taggiasca, una delle migliori interpretazioni della cultivar, complessa nelle sue nuance di mandorla amara, aghi di pino, muschio, e nelle sensazioni di ortica e rucola che accompagnano il finale amaro.

 

cassini

Paolo Cassini – Isolabona (IM) – via Roma, 62 – 0184208159 www.oliocassini.it

Miglior fruttato intenso: Olivastro Monocultivar Itrana – Quattrociocchi

Gli amanti di questa cultivar lo sanno bene: l'itrana, tipica varietà laziale dai sentori di pomodoro verde ed erbe aromatiche, è l'espressione del territorio delle Colline Pontine. Ci sono, però, produttori che hanno saputo valorizzare questa oliva anche in altre zone: è il caso di Americo Quattrociocchi, punto di riferimento per l'olivicoltura laziale, con la sua azienda sulle colline dei Monti Ernici, in provincia di Frosinone. Fiore all'occhiello di questa annata è l'Olivastro Monocultivar Itrana Bio, un olio dal profilo aromatico intenso e avvolgente, il carattere deciso definito da profumi netti di foglia di pomodoro, salvia, origano, ortica. E un palato solido, profondo, tutto giocato sui toni del pomodoro, che si conclude con un amaro e un piccante lunghi e persistenti.

 

olivastro

Americo Quattrociocchi – Alatri (FR) – via Mole Santa Maria, 11 – 0775435392 – www.olioquattrociocchi.it

Miglior monocultivar (premio ex aequo): Incipit Monocultivar Nostrale di Felitto – Marco Rizzo

Un produttore giovane con le idee ben chiare in fatto di qualità: Marco Rizzo continua il suo percorso di crescita professionale a Felitto, in provincia di Salerno, dove cura con attenzione le sue 3mila piante di ulivo di varietà locali, distribuite su circa 20 ettari di terreno. A fare la parte del leone è l'Incipit, Monocultivar Nostrale di Felitto, un fruttato medio caratterizzato da note vegetali - rucola in primis - accompagnate da un sentore di mela verde fresco e sferzante. Sensazioni piacevoli che tornano anche in bocca, insieme a un amaro deciso e un piccante persistente.

 

marco rizzo

Marco Rizzo – Felitto (SA) – via Roma, 39 fraz. San Giorgio – 3335772480 – www.oliorizzo.it

Miglior monocultivar (premio ex aequo): Monocultivar Leccino Bio – Pruneti

Maestri dell'olio, grandi interpreti del Chianti Classico, Gionni e Paolo Pruneti offrono ogni anno oli dal carattere straordinario e sempre riconoscibile, precisi e raffinati. Nei 93 ettari di terreno sono presenti ben 18.700 piante di leccino, moraiolo e frantoio, che danno vita a etichette diverse per intensità e trama aromatica. Spicca in particolar modo il monovarietale di leccino, delicato ma eclettico, ricco di sfumature intriganti, dalle nuance balsamiche alle note più agrumate, valorizzate ancora di più da un fondo di tostatura. Toni avvolgenti che si confermano al palato, dove si aggiungono accenni più terrosi e un finale di fiori bianchi.

 

pruneti

Pruneti – Greve in Chianti (FI) – via dell'Oliveto, 24 – loca. San Polo in Chianti – 0558555091 – www.pruneti.it

Miglior biologico (premio ex aequo): Monocultivar Casaliva Bio – Olio Cru

Nata nel 2011 dall'unione delle aziende agricole Ca' Bianca e Olio Toniolli, OlioCRU è una realtà olivicola di alto livello attualmente in mano a Mario Morandini. Un progetto ambizioso che in breve tempo ha dato i suoi frutti: 10 ettari di uliveti e 3mila piante di casaliva - protagonista principale – e leccino. Una società agricola che dà vita a oli affascinanti, come il Monocultivar Casaliva Bio, un fruttato intenso che si apre al naso con note balsamiche e sentori marcati di conifere, cui si aggiungono sensazioni di mandorla verde e ortica. Un extravergine eccellente, in cui la componente balsamica domina anche al palato.

 

oliocru

OlioCru – Arco (TN) – via A. Moro, 1 – 0464715344 – www.oliocru.it

Miglior biologico (premio ex aequo): Olio Extravergine di Oliva Bio – Giovanni Batta

Un'azienda umbra da sempre impegnata nella produzione di oli di qualità, ma che negli ultimi anni ha saputo compiere quel passo in più necessario per arrivare all'eccellenza. Gli ulivi si trovano a circa 300 metri d'altezza, in una zona secca e asciutta che consente di condurre una coltivazione a pieno regime biologico. Nel rispetto della natura e del territorio, nascono le eccellenze firmate Batta, come l'Olio Extravergine di Oliva, un fruttato medio/intenso vivace, dai profumi freschi e agrumati che ricordano la buccia di cedro e limone. Non mancano le note balsamiche e quelle vegetali (cardo, ortica) che tornano anche al gusto, insieme a sensazioni di amaro e piccante perfettamente bilanciate.

 

BATTA

Giovanni Batta – Perugia – via San Girolamo, 127 – 0755724782 – www.frantoiobatta.it

Miglior blend (premio ex aequeo): Affiorato – Olio Intini

Nel campo dell'extravergine Pietro Intini non ha bisogno di molte presentazioni: la sua profonda conoscenza delle cultivar pugliesi gli ha permesso nel tempo di diventare un punto di riferimento per l'olivicoltura nella zona di Bari e non solo. Ogliarola, olivastra, coratina, cima di Mola, leccino: sono le varietà presenti nell'azienda, tutte espresse nelle varie etichette della casa. Tanti i prodotti di ottima fattura, ma fra tutti è l'Affiorato, un blend di coratina e provenzale, a dominare per il profilo olfattivo ampio ed eclettico, che alterna toni freschi di rucola ed erba falciata a note più mediterranee di erbe aromatiche. Complesso anche al gusto, con sfumature di mandorla, carciofo e bietola, chiude l'assaggio con un bell'equilibrio fra amaro e piccante.

 

intini

Olio Intini – Alberobello (BA) – c.da Popoleto – 0804325983 – www.oliointini.it

Miglior blend (premio ex aequo): Dop Valli Trapanesi Bio – Titone

È il 1936 quando, a Trapani, Nicola Titone decide di dedicarsi all'olivicoltura. Il suo amore per la natura, unito a un rispetto profondo per la sua terra, ha fatto sì che nel tempo l'attività diventasse sempre più specializzata in una produzione di alto livello, con oli buoni e che fanno bene, alla salute così come all'ambiente. Dall'85, infatti, le tenute sono tutte a regime biologico, scelta condivisa e portata avanti da Antonella Titone, che oggi gestisce con cura l'azienda di ben 19 ettari e 6mila piante di ulivo. Un' annata splendida per la famiglia Titone, quella del 2017, che si esprime al meglio nella Dop Valli Trapanesi Bio, un olio dal fruttato medio/intenso ammaliante e unico nel suo genere, elegante e fine nelle sue note di erba fresca, carciofo, peperone e ortica, frutto dell'unione di due varietà, nocellara del Belice e cerasuola. Un accordo aromatico che torna anche al palato, con sensazioni di amaro e piccante in perfetto equilibrio.

 

titone

Titone – Trapani – via Piro, 68 – fraz. Locogrande – 0923842102 – www.titone.it

a cura di Michela Becchi

Anteprima Oli d'Italia 2018. Nord: i migliori extravergine premiat

Anteprima Oli d'Italia 2018. Centro: i migliori extravergine premiati

Anteprima Oli d'Itlaia 2018. Sud&Isole: i migliori extravergine premiati

Molini a Porte Aperte il 14 aprile. Prima edizione per la festa dei mugnai d'Italia, che si raccontano in pubblico

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C'è Italmopa dietro l'organizzazione dell'iniziativa che apre una finestra sul comparto nazionale della molitura e sul mestiere dei mugnai che macinano frumento tenero. L'obiettivo? Un'operazione trasparenza per chiarire dubbi e contrastare le fake news sulle farine. Ecco i mulini che aprono e porte sabato 14 aprile. 

 

Come lavora un molino?

Si parla spesso di cantine aperte, al centro di un appuntamento ormai consolidato del calendario enogastronomico italiano, che da anni valorizza il territorio promuovendo la cultura vitivinicola, e i suoi protagonisti. Ma i mulini, e ancor di più l'attività di molitura che i mugnai tramandano da tempo immemore, quanti li conoscono davvero? Italmopa è l'Associazione Industriali Mugnai d'Italia, e il 14 aprile organizza la prima edizione di Molini a Porte Aperte, che ha raccolto l'adesione di una ventina di mulini a frumento tenero della Penisola, intenzionati a raccontarsi, per una volta, in prima persona. L'obiettivo è quello di fare chiarezza su quel comparto molitorio che negli ultimi anni è statto oggetto di interesse crescente, senza per questo uscirne necessariamente vincente. Di farine, molitura a pietra, grani antichi e grani da importazione (il comparto dell'arte bianca nazionale non potrebbe mai rinunciarvi, l'Italia produce solo il 50% del grano che lavora) si fa oggi un gran parlare, spesso a sproposito, alimentando da un lato un allarmismo ingiustificato figlio anche di un diffuso campanilismo, dall'altro comunicazioni contraddittorie che generano nel consumatore dubbi duri a morire. Proprio alla trasparenza, invece, è votata l'iniziativa di Italmopa, che è anche una bella opportunità per scoprire luoghi di produzione solitamente chiusi al pubblico, e trascorrere così un sabato di primavera insolito.

 

Operazione trasparenza, in visita ai molini

Dunque l'invito è quello a recarsi nel mulino più vicino, per vedere come e cosa macinano i nostri mugnai, e perché nel caso dell'attività di trasformazione del frumento tenero si può parlare di made in Italy agroalimentare di qualità, in impianti tecnologicamente all'avanguardia che garantiscono la sicurezza del prodotto e insieme tramandano le competenze di un processo basato solo su operazioni di natura meccanica. Oggi il comparto produce  oltre 4 milioni di tonnellate di farine destinate alla panificazione (2,5 milioni di tonnellate), alla biscotteria (675.000 tonnellate), alla produzione di pizza e pasta (360.000 tonnellate) e a usi domestici (230.000 tonnellate), trasformando 5,4 milioni di tonnellate di frumento tenero in un anno. Partecipano, tra gli altri, i molini Agugiaro e Figna in Veneto ed Emilia Romagna, il mulino Caputo di Napoli, il Molino Casillo per la Puglia, a Corato. Per la Lombardia Belotti (Coccaglio) e Molino Colombo (Paderno Adda), in provincia di Udine Molino Moras.

Le iniziative

A Gragnano Trebbiense (Piacenza) il Molino Dallagiovanna: “Da sempre estimatori della trasparenza abbiamo accolto entusiasti questa inziativa: avrete la possibilità di entrare nel cuore della farina e scoprire tutti i segreti del nostro ciclo produttivo: il lavaggio del grano, il suo riposo, la macinazione lenta e a freddo, lo stoccaggio e infine anche il nostro Laboratorio d'Arte Bianca, con i nostri Tecnici e una piccola degustazione”. Due le visite in programma nel celebre mulino piacentino, alle 10 e alle 15, solo su prenotazione. Degustazione in programma anche ai Molini Industriali di Modena, dove però i posti disponibili sono già esauriti, ma si potranno visitare ugualmente, a ingresso libero, il cortile e il magazzino di stoccaggio, oltre ad assaggiare i prodotti preparati con le farine del mulino. Esperienza che vale il viaggio anche al mulino Bongiovanni di Cambiano (TO), con visita guidata sulla Via del grano della durata di 45 minuti e degustazione dei prodotti del forno, oltre a un'area didattica dedicata alla filiera del grano e a uno spazio per i più piccoli, dalle 11 alle 19. Sold out, invece, il Molino Rieper di Vandoies (BZ), in rappresentanza delle antiche tradizioni altoatesine.

 

I molini partecipanti

 

a cura di Livia Montagnoli

Cucina di casa. Le paste fresche: Pasta all'uovo, Pici, Tagliatelle di farina di castagne e Pizzoccheri

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Della serie “cucina for dummies”, continuiamo con le ricette imprescindibili se si vuole cominciare a cucinare a casa. È la volta delle paste fresche: pasta all'uovo, pici, tagliatelle di farina di castagne e pizzoccheri.

 

Volete stupire gli ospiti con la pasta fatta in casa? Qui le ricette di quattro tipi di pasta fresca, spiegate passo passo: pasta all'uovo, pici, tagliatelle di farina di castagne e pizzoccheri. Per quanto riguarda il condimento date libero sfogo alla fantasia, se invece non sapete proprio che pesci pigliare, seguite i nostri consigli.

Pasta all'uovo

Una volta imparato a fare la pasta all'uovo, la sfoglia ottenuta la potete tagliare nel formato desiderato. Per le tagliatelle, va piegata o arrotolata e poi con un coltello dalla lama larga va tagliata cercando di mantenere sempre la stessa larghezza. Anche in questo caso scegliete voi il formato, dai pochi millimetri dei tagliolini al centimetro delle pappardelle. Stessa filosofia per i maltagliati, che sono nati proprio per recuperare quella parte di sfoglia che rimaneva dopo aver preparato le tagliatelle e che quindi veniva tagliata in modo irregolare tanto da ricavarne pezzetti di pasta del tutto disomogenei. Per quanto riguarda le lasagne, basta tagliare in la sfoglia per ottenere dei fogli grossolanamente rettangolari.

Preparazione delle tagliatelle

Due consigli pratici: se desiderate una pasta più tenace, con più corpo e quindi con una maggiore tenuta alla cottura, sostituite un terzo della farina 00 con altrettanta farina di grano duro (semola), tenendo presente che, in questo caso, la pasta avrà bisogno di una lavorazione più energica. Per una pasta dal gusto più accentuato, utilizzate due uova intere e quattro tuorli oppure, come in alcune zone delle Langhe, soltanto tuorli.

Ingredienti

400 g di farina 00

4 uova intere

Sale q.b.

Preparazione: 30 minuti + 2 ore e 30 per il riposo. Setacciate la farina sulla spianatoia, fate una fontana larga e mettetevi le uova e un pizzico di sale. Dopo aver amalgamato le uova fra di loro con la forchetta, cominciate a incorporare la farina, con la punta delle dita, prendendone poca alla volta, cominciando da quella all'interno. Quando è inglobata tutta cominciate a lavorare il composto energicamente per circa un quarto d'ora, fino ad avere una pasta soda ed elastica con delle piccole bollicine sulla superficie. Raccoglietela a palla, avvolgetela nella pellicola trasparente e lasciatela riposare per una mezz'ora. La pasta andrebbe stesa con il mattarello ricavandone un grande foglio, sottile e uniforme con la superficie leggermente rugosa ma è un'arte che pochi possiedono quindi, se non avete sufficiente disinvoltura con lo strumento, ricorrete tranquillamente alla classica macchinetta a manovella che vi darà comunque un risultato apprezzabile. Dividete la pasta in tre o quattro pezzi, appiattiteli un poco e passateli fra i rulli cominciando dallo spessore più largo e poi, via via, attraverso tutti gli altri per arrivare fino al penultimo. Effettuate due o tre passaggi per ogni spessore piegando ogni volta la striscia in due e infarinate sempre leggermente la superficie esterna. Una volte pronte, lasciate asciugare le strisce di pasta ben distese, per una decina di minuti prima di tagliarle, a mano o con le apposite trafile, nel formato desiderato. Allargate la pasta su un canovaccio leggermente infarinato e infine copritela con un altro canovaccio e lasciatela asciugare per un paio d'ore prima di cuocerla. Nel caso delle tagliatelle: srotolatele, stendetele e poi create dei nidi arrotolandole a cerchio dall'alto.

 

Pici

Pici

Preparazione tipica di alcune zone del senese e della Val di Chiana, i pici (o pinci), si possono condire con un sugo di pomodoro, un ragù di carne, un intingolo di funghi porcini o, secondo la vecchia tradizione contadina toscana, con la briciolata. Per prepararla grattugiate del pane secco non condito (150 grammi circa) e setacciatelo. Fate imbiondire tre spicchi d'aglio in tre cucchiai d'olio extravergine (la pasta non deve risultare troppo "oliosa") quindi scartate l'aglio e fate rosolare dolcemente il pane nell'olio. Salate, versate la briciolata calda sui pici appena scolati e mescolate subito.

Ingredienti

400 g di farina 0

Acqua

Sale q.b

Preparazione: 40 minuti + 1 ora per il riposo. Setacciate la farina sulla spianatoia, fate una fontana e versatevi una tazza d'acqua tiepida e salata. Lavorando con la forchetta, amalgamate poco per volta la farina cominciando da quella all'interno della fontana quindi, dopo aver raschiato la spianatoia con una spatola, impastate energicamente fino a quando la pasta sarà diventata liscia ed elastica con delle bollicine sulla superficie. Avvolgetela nella pellicola trasparente e fatela riposare per un'ora a temperatura ambiente. Trascorso questo tempo stendetela con il matterello ricavando una sfoglia spessa circa 1/2 cm. Tagliatela a strisce larghe altrettanto e rotolate sulla spianatoia, avanti e indietro, con le dita tese e unite in modo che le strisce si arrotondino, si assottiglino e si allunghino fino a diventare degli spaghettoni (3 mm circa). Lessate i pici appena pronti in abbondante acqua salata in ebollizione scolandoli dopo pochi minuti.

 

Tagliatelle di farina di castagne

Tagliatelle di farina di castagne

Queste tagliatelle, tipiche della Lunigiana, vengono tradizionalmente condite con ricotta di pecora (mescolata a qualche cucchiaio di acqua di cottura), pecorino grattugiato e pepe. Oppure, in alternativa, servitele con il pesto al basilico.

Ingredienti

200 g di farina di castagne

100 g di farina bianca

1 uovo

Acqua

Sale q.b.

Preparazione: 1 ora + 30 minuti per il riposo. Setacciate insieme le due farine sulla spianatoia. Fate la fontana e versateci l'uovo sbattuto, poca acqua tiepida e il sale. Con una forchetta lavorate prima l'uovo e l'acqua quindi incorporate poco alla volta le farine. Continuate a lavorare la pasta con le mani fino a quando non diventerà liscia ed elastica. Raccoglietela a palla, avvolgetela nella pellicola trasparente e fatela riposare per circa mezz'ora. Stendete quindi la pasta in una sfoglia non troppo sottile e fatela asciugare un poco. Arrotolatela o ripiegatela su se stessa e tagliatela con un coltello ben affilato oppure tagliatela con l'apposita macchinetta a manovella. Cuocete le tagliatelle al dente in abbondante acqua salata. Se le cuocete subito dopo averle fatte saranno sufficienti due minuti di cottura dalla ripresa dell'ebollizione.

 

Pizzoccheri

Pizzoccheri

Tipici della Valtellina, i pizzoccheri sono praticamente delle tagliatelle preparate con farina di grano saraceno, da qui la loro colorazione grigiastra, e condite in un unico modo: niente sugo, ma patate, verza, formaggio Bitto, burro e aglio. In questo caso vi facilitiamo le cose svelandovi anche la ricetta del condimento.

Ingredienti per la pasta

150 g di farina di grano saraceno

50 g di farina bianca

Acqua

Sale q.b.

Per il condimento

2 patate del peso complessivo di circa 300 g

300 g di foglie di cavolo verza

80 g di burro

200 g di formaggio Bitto non stagionato tagliato a fettine sottili

Qualche foglia di salvia

1 spicchio d'aglio

Sale e pepe q.b.

Preparazione: 20 minuti + 30 minuti per il riposo. Mescolate le due farine insieme a un pizzico di sale, fate la fontana e versate al centro, poca per volta, l'acqua tiepida necessaria per ottenere un impasto consistente. Impastate fino a ottenere una pasta soda e liscia quindi, dopo averla fatta riposare per una mezz'ora chiusa nella pellicola, stendetela non troppo sottile (circa 3 millimetri), fatela un po' asciugare e ritagliate delle fettuccine di 1 centimetro di larghezza.
Pelate le patate e tagliatela a tocchetti; lavate e tagliate a strisce la verza.

Mettete sul fuoco una pentola con abbondante acqua e, quando si alza il bollore, versate la verza e le patate. Lasciate cuocere per una decina di minuti prima di aggiungere anche i pizzoccheri che dovranno cuocere soltanto cinque o sei minuti.
Nel frattempo, fate soffriggere a fuoco dolcissimo il burro con le foglie di salvia e con lo spicchio d'aglio, spellato e leggermente schiacciato. Quando i pizzoccheri sono cotti, scolateli insieme alle verdure e disponeteli a strati in una terrina, insaporendo ogni strato con il burro aromatizzato e con le fettine di formaggio.Lasciate riposare qualche minuto prima di servire.

 

Cucina di casa. Le basi: Pasta brisée, Pasta sfoglia, Pasta da pizza e Pasta frolla

Cucina di casa. Le salse: Besciamella, Salsa béarnaise, Pearà e Salsa verde

Cucina di casa. Le creme: Ganache al cioccolato, Crema pasticcera, Crema inglese, Panna montata

Cucina di casa. Le salse straniere: Guacamole, Hummus, Baba ganush e Tzatziki

 

 

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