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Eataly apre a Stoccolma. Il made in Italy di Farinetti sbarca anche in Svezia

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Prodotti di nicchia, una cucina di tradizione, una parte didattica dedicata a grandi e piccini: il format di Eataly si prepara ad aprire i battenti a Stoccolma, dove porterà tutto il meglio delle specialità made in Italy.

11 anni di Eataly. 11 anni segnati da una crescita esponenziale, un percorso costellato di successi, con tutte le difficoltà e gli ostacoli del caso, le critiche e i momenti di crisi, ma che complessivamente rappresenta – senza alcun dubbio – uno dei più affascinanti esempi dell'imprenditoria gastronomica italiana degli ultimi tempi. L'espansione, in Italia e all'estero, è sempre stata al primo posto della lista nei piani del colosso firmato Oscar Farinetti. Nel frattempo è arrivato alle porte di Bologna il faraonico Fico Eataly World, un centro commerciale dedicato al cibo, ma prima di tutto un luogo che ambisce a formare le coscienze dei consumatori. Un'iniziativa così ambiziosa non poteva che diventare fin da subito oggetto di dibattito diffuso, di quelli in grado di polarizzare l'opinione del pubblico tra estimatori e detrattori, ma che, ancora una volta, delinea un passo audace per innovare il mondo del cibo.

Il piano di espansione di Eataly

Inevitabile, quindi, chiedersi quali saranno le prossime mosse di Farinetti. Specialmente dopo le tante aperture all'estero, dalla più recente in California, Eataly Los Angeles, alla notizia del progetto dell'Eataly spagnolo,con il sostegno dei fratelli Adrià, previsto per la fine del 2018, senza dimenticare l'arrivo a Mosca nella primavera del 2017, con Juri Tetracome partner, un traguardo importante per il gruppo, soprattutto per le difficoltà incontrate negli ultimi tre anni a seguito dell’embargo. Tanti i punti Eataly all’estero che confermano il valore del brand su scala internazionale, ma che soprattutto testimoniano la capacità di adattarsi alle contingenze locali, probabilmente la dote più lungimirante del massiccio progetto d’espansione pianificato negli ultimi anni, e che in futuro approderà anche a Londra, in Canada, e a Parigi. Il prossimo 17 febbraio sarà invece la volta di Stoccolma, dove sta per aprire i battenti uno spazio di oltre 3mila metri quadri, sviluppato su due piani e che, ancora una volta, coniuga diverse anime, quella del mercato, della ristorazione e della didattica.

L'offerta

Terra con una identità sempre più delineata, il Profondo Nord (tra Danimarca, Svezia e Norvegia) è da tempo molto aperto all’importazione di cibo e vino da altri Paesi, in particolare da un mercato forte e ben definito come quello italiano. È proprio l'offerta tricolore, dai formaggi ai salumi, dal pesce alla carne, senza dimenticare la pasta fresca e il pane, a sbarcare in Svezia, più precisamente nella Biblioteksgatan, la strada dello shopping nel cuore di Stoccolma, nell'ex sede dello storico cinema Röda Kvarn. Non mancheranno, poi, salse, condimenti, olio extravergine di oliva e dolci, prodotti d'eccellenza elaborati con gusto e creatività dagli chef dei ristoranti, che proporranno ogni giorno piatti della tradizione regionale italiana. La Scuoladi Eataly, infine, offrirà l'opportunità di imparare a preparare i piatti tipici guidati da chef professionisti.

Le potenzialità di Stoccolma

Stoccolma è distribuita su 14 isole ed è collegata da 57 ponti”, commenta Farinetti, che aggiunge: “Noi di Eataly amiamo le isole, ma preferiamo i ponti, che collegano e uniscono. Siamo tutti isole, ma abbiamo bisogno di ponti!”.Una filosofia condivisa dal suo socio e compagno di tanti progetti, il Presidente Esecutivo di Eataly Andrea Guerra: “Una nuova apertura è per noi un altro passo molto importante. Quello che apriamo a Stoccolma è un negozio da amare, che appaga gli occhi e regala emozioni: su tutte quella di fare un salto in un Paese tanto diverso come l'Italia. In Svezia, storicamente tra i Paesi più attenti al benessere sociale della popolazione, entrano per la prima volta più di 1.500 prodotti italiani ambasciatori della nostra cultura enogastronomica e della nostra qualità di vita”.

Eataly – Stoccolma – Biblioteksgatan, 5 - www.eataly.se

a cura di Michela Becchi


In viaggio. Tunisi, indirizzi utili per mangiare e dormire

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Diverse buone ragioni, non solo gastronomiche, per andare in Tunisia. Un paese che oggi è pronto a ripartire turisticamente anche grazie agli investimenti delle grandi catene alberghiere.

Moltissimi italiani si sono spaventati dopo le rivoluzioni e gli attentati. E hanno smesso di frequentare un paese ingiustamente considerato insicuro e instabile. Oggi la Tunisia è pronta a ripartire turisticamente. Nel nuovo numero del mensile del Gambero Rosso ve ne diamo diverse buone ragioni, gastronomiche in primis ma non solo.

La medina di Tunisi vista dalla terrazza del negozio di artigianato Groupmentartisnal

La medina di Tunisi

La medina di Tunisi, con il suo intricato dedalo di viuzze e passages, è insolitamente quieta e silenziosa; molte saracinesche sono abbassate, il viavai che solitamente affolla i vicoli è ridotto al minimo, le voci dei venditori che cercano di attirare i visitatori si percepiscono appena.
Ma è solo perché il giorno della nostra visita coincide con il Mouled, la festa islamica che celebra la nascita del profeta Maometto nella data stabilita dal calendario lunare. Nell’angolo in cui s’incrociano tre banchi di pasticceria che espongono un’incredibile varietà di dolci fritti e zuccherini, la folla riappare intenta a scegliere cosa portare a casa per la festa.

 

Cafè du Souk nella Medina di Tunisi

E basta entrare in uno dei tanti caffè della parte più antica della città per capire dove siano i suoi abitanti: seduti a sorseggiare un tè ai pinoli nel rilassante Café El M’Rabet, tra stuoie e divanetti, o nell’affollatissimo e fumoso Café du Souk dove è in corso un concerto che passa dai canti mistici alle danze scatenate. Proprio lì accanto, il negozio di souvenir e tappeti Sidi Bouhid nasconde una delle terrazze più belle di Tunisi, da cui si gode la vista sul labirinto sottostante e sulla parte più nuova della città, con i palazzoni sede di compagnie internazionali o istituzioni – dalla contemporaneità poco affascinante, a dir la verità – sullo sfondo.

 

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Tornandoci in un altro giorno, la medina – dal 1979 Patrimonio dell'Umanità dell'UNESCO con la sua struttura caratteristica, le antiche dimore che oggi ospitano maison d'hôtes come il raffinato Dar Ben Gacem e monumenti come l’imponente moschea al-Zaytūna, fondata nell’VIII secolo – riprende il suo volto più consueto: brulicante e allegramente rumoroso grazie alla bonarietà di abitanti e commercianti che non esitano a dare indicazioni e sono meno assillanti che in altri luoghi simili. Certo, dopo anni difficili – prima la Rivoluzione dei Gelsomini che, tra il 2010 e il 2011, portò alla destituzione del dittatore Ben Ali e all’istituzione di un governo moderato, poi i sanguinosi attentati al Museo del Bardo e a Sousse – i turisti non sono più numerosi come un tempo e gli affari vanno a rilento. Ma i tunisini non hanno perso il loro sorriso, forse la risorsa principale – accanto alle località balneari e a un patrimonio archeologico tra i meglio conservati al mondo – di un Paese che sul turismo ha sempre puntato parecchio.La ripresa del turismo.

 

Museo del Bardo

 

Dopo il crollo degli arrivi dall’Europa continentale registrato negli anni scorsi, e la conseguente chiusura di molte strutture, la situazione sta tornando alla normalità mentre i prezzi sono ancora piuttosto convenienti pure per le strutture alto di gamma. Anche per questo, probabilmente, oltre che per la vicinanza e la comodità dei collegamenti (Tunisair propone 37 voli di linea settimanali più charter estivi su Djerba e Monastir), i turisti italiani – che, insieme a francesi e tedeschi, sono sempre stati tra i più numerosi – stanno tornando, con un incremento del 22% nel mese di settembre tra il 2016 e il 2017. Per il 2018 poi si spera nel ritorno delle navi da crociera MSC; e pure le grandi catene alberghiere ricominciano a investire nel paese, come testimoniano le imminenti aperture del nuovo 5 stelle della catena libico-africana Laico a Tunisi e perfino di un Four Seasons sulla costa di Gammarth, poco lontano dalle rovine di Cartagine – e dalle sue eleganti vie residenziali – e dal pittoresco borgo di Sidi Bou Said, a una ventina di minuti da Tunisi. È qui che bisogna venire se si vuole scoprire il volto più moderno dell’ospitalità tunisina che però, dal punto di vista gastronomico, resta piuttosto legata ai piatti tradizionali con una forte influenza francese; o al contrario cede al fascino delle mode esotiche. Così, in molti ristoranti si trovano foie gras e pasta – considerata comunque parte integrante della cucina tunisina – o proposte orientali. Senz’altro qui i margini di miglioramento sono considerevoli e un maggiore focus sulla ricerca gastronomica potrà in futuro senz’altro aiutare il rilancio turistico di queste terre.

 

Il balconcino del bar dell’hotel-ristorante La Villa Bleue a Sidi Bou Said

La gastronomia: le insegne di respiro internazionale

Partiamo quindi, prima di focalizzarci su insegne votate alla tradizione, con qualche indirizzo che punta, magari ancora con qualche ingenuità, a un respiro maggiormente internazionale. Ad esempio al The View – Bistrot Marin di Le Kram, rinomato borgo marinaro, ci si ritrova nell’afterwork per un bicchiere di vino o per mangiare del sushi ascoltando musica dal vivo.

La sala da pranzo dell’hotel-ristorante La Villa Bleue a Sidi Bou Said

 

A Sidi Bou Said, invece, ha aperto nel dicembre 2013 La Villa Bleue, il primo hotel de charme della Tunisia. Diretto da monsieur Mehdi Bouassida, raffinato padrone di casa che ha anche un albergo a Parigi, è stato ricavato dal rinnovo di una casa privata d’inizio ‘900 affacciata per tre lati sul blu intenso del mare tunisino. La villa mantiene il fascino degli ambienti originali arricchiti da decori unici tra stucchi fatti a mano, colonne e altri pezzi provenienti da antiche case della medina di Tunisi e il tocco glamour e contemporaneo firmato dall’interior designer italiano Edoardo Palermo.

 

Cous cous con pesce e verdure servito all’hotel-ristorante La Villa Bleue a Sidi Bou Said

Frequentata da una clientela di lusso, ma tutto sommato accessibile (dai 200 ai 320 euro a notte a camera con prima colazione), La Villa Bleue ha anche un bel ristorante dove assaggiare piatti tradizionali tunisini – dai briks fritti alla perfezione al gustoso couscous di pesce ma pure le penne al polpo, lo stinco d’agnello speziato e gli ottimi dessert serviti con aplomb internazionale e accompagnati dai migliori vini locali. Come l’elegante bar nel bel salotto con camino, il ristorante è aperto agli ospiti esterni. “Per alcuni anni abbiamo affittato la villa a privati, suddivisa in appartamenti, ma ci piaceva l’idea che questo spazio così ricco di storia e bellezza potesse accogliere tutti”, racconta Bouassida. Certo, aprire un luogo del genere proprio a cavallo tra la rivoluzione e gli attentati non è stato facile. “È stata una scommessa e gli inizi sono stati faticosi. Ma ci abbiamo creduto molto e i risultati, dopo quattro anni, ci danno ragione. Abbiamo una clientela internazionale ma anche molte coppie tunisine che vengono qui per la luna di miele”.

 

Le Baroque

Altro indirizzo dall’approccio cosmopolita è Le Baroque, il ristorante dello chef Mounir Arem in una zona residenziale di Tunisi, non lontano dal parco del Belvedere. Presidente della delegazione tunisina dell’Académie Nationale de Cuisine Française, Arem è allievo del cuoco francese Jean Jacques Jouteux. Oggi la cucina de Le Baroque – che al piano superiore di un affollato locale con megaschermi nasconde una raffinata sala dedicata al ristorante gourmet, il Moon Club – è affidata al giovane sous chef Kais Brahmi, che mette in pratica la filosofia di Arem: materie prime locali tra cui pesce freschissimo, metodi di preparazione moderni ma con un immancabile tocco tunisino soprattutto nelle salse. Dalla strepitosa harissa fatta in casa servita come antipasto fino al abkabou, una sorta di stufato di pesce con pomodoro, olive, capperi, peperoncini piccanti e limone confit, su cui aggiungere un filo di delicato olio extravergine servito in tavola. Ottima anche la kammounia di polpo à la sfaxienne: il pesce è cotto a lungo in una salsa a base di pomodoro e spezie – cumino in primis – in cui fare la scarpetta.

 

Gamberoni in pasta fillo del ristorante El Ali, medina di Tunisi, chef Faieb Bouhacha

 

La cucina tradizionale

Per trovare invece una cucina che più tradizionale non si può – ma davvero ben fatta – bisogna tornare nel cuore della medina. Qui, nascosto in un palazzo che nei secoli ha ospitato prima la medersa (scuola coranica) della moschea al-Zaytūna, poi una oukala (casa popolare in cui venivano accolte le famiglie bisognose) e infine una casa privata, c’è il ristorante El-Ali dello chef Taieb Bouhadra, vincitore in Italia del CousCousFest 2017 insieme al collegaBilel Wechtat de Le Baroque. Nelle salette ricche di fascino, al suono del malouf (la musica arabo-andalusa), si assaggiano piatti come l’immancabile assortimento d’insalate tra cui laméchouia, a base di peperoni verdi grigliati e tonno, i tradizionali briks con uovo e carne macinata – da mangiare rigorosamente con le mani e a piccoli morsi, succhiando il tuorlo d’uovo ancora morbido per non farne cadere nemmeno una goccia – o lo stinco d’agnello con arance e semola alla cannella, creazione dello chef. Le scale maiolicate portano sulla terrazza, dove prendere il tè con i golosi dolci di stampo francese moderno.

Tajine merguez, ristorante Fondouk El Attarine nella Medina di Tunisi

Altro indirizzo da non perdere è il delizioso Founduk El Attarine, ristorante ed emporio di artigianato locale di classe ospitato nel cortile interno di un antico caravanserraglio; squisita la tajine merguez, stufato di salsicce di manzo speziate con verdure, olive e uovo sodo cotto nella tradizionale pentola di ceramica dal coperchio conico – la tajine, appunto – il cui nome però in Tunisia indica anche delle grosse frittate cotte al forno.

Prima o dopo, però, non bisogna dimenticare di perdersi – in tutta sicurezza – nei meandri della medina, infilandosi nelle tante botteghe come quella di Habib Arfaoui. Bibliofilo e collezionista dal francese impeccabile, al primo piano del palazzo in Rue Sidi ben Arous dove visse Kandinsky durante suo soggiorno tunisino nel 1905, ha raccolto un incredibile assortimento di quadri, libri antichi e oggetti di ogni provenienza. Anche questa è Tunisi, città dove la mescolanza di razze, culture e dominazioni – dalle tribù berbere ai Fenici, dai Romani ai Turchi e poi ai Francesi – ha lasciato un segno indelebile.

 

a cura di Luciana Squadrilli

foto di Giovanni Tagini

 

 

Indirizzi

Dormire e mangiare nella medina di Tunisi

Cafe El M’Rabet - Souk Trok - +21693420895

Café du Souk - Souk ellafa Ben Mnara, 54 (a fianco del Souk El berka ) - +21623286391

Dar Ben Gacem - Rue du Pacha, 38 - +21671563742 – darbengacem.com

El Ali - rue Jamaâ Ezzitouna, 45 bis - +21671321927 - + 21623811511

Founduk El Attarine - Souk Attarine - +21671322244 – fondoukelattarine.com

 

Dormire e mangiare fuori dalla medina di Tunisi

Le Baroque – Moon Club - rue Félicien Challaye 32 - Le Belvédère - +21671844220 -

le-baroque.tn

La Villa Bleue - rue Kennedy, 68 - Sidi Bou Saïd - +21671742000 – lavillableuesidibousaid.com

The View – Bistrot Marin - avenue de Tunis - Front de mer (Hotel Palm Beach) - Le Kram - +216 21660835

 

 

QUESTO È NULLA...

Nel numero di febbraio del Gambero Rosso, un'edizione tutta nuova in questi giorni in edicola, trovate anche un focus sul vino e sull'olio extravergine in Tunisia. Una guida completa al paese, che include anche gli insoliti abbinamenti tra ricette locali e vini italiani, le 5 destinazioni imperdibili se siete turisti gourmand, gli indirizzi per trovare le ceramiche più belle. E ancora il punto di vista del giornalista Vittorio Castellani aka Chef Kumalè e di Nabil Hadj Hassen, chef di origini tunisine, che oggi, nella cucina di Roscioli, firma quella che secondo molti è la carbonara più buona di Roma.

 

Il numero lo potete trovare in edicola o in versione digitale, su App Store o Play Store

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Germania: ristoranti e vini italiani alla conquista di Berlino e Monaco

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Grandi quantità e poco prezzo: un tempo erano queste le caratteristiche del mercato tedesco per il nostro vino. Oggi le cose stanno cambiando. Complici anche i ristoranti di cucina italiana, ormai veri ambasciatori della nostra cultura enogastronomica in Germania.

Storicamente il mercato tedesco è quello dove si beve tanto vino, ma si spende poco. Il prezzo medio all'importazione è di uno 1,7 euro a litro. Tuttavia, oggi le nuove generazioni sono molto più attente alla scelta e chiedono qualità. Per questo, bisogna cambiare strategia promozionale. Il report Gambero Rosso da Berlino e Monaco

 

Su cinque bottiglie che esportiamo, una finisce sullo scaffale tedesco. La Germania è il primo cliente europeo del vino italiano: un mercato allettante, ma complesso. Qui, la grande distribuzione gioca un ruolo dominante, il prezzo medio di vendita rimane tra i più bassi d’Europa, per nulla in linea con i salari e con il costo della vita (il potere d'acquisto medio è di circa 21 mila euro) e le carte dei vini non sono sicuramente tra le più ricercate del Vecchio Continente. Tuttavia, qualcosa sta cambiando e anche in modo veloce, al netto di fenomeni specifici, come il successo del Prosecco con il tappo a vite, per questioni puramente doganali, o le vendite di denominazioni che sfruttano molto bene la scia di ritorno del turismo, dal caso del Lugana alla Vernaccia di San Gimignano.

Il vino italiano in Germania in cifre

Guardando ai numeri, questo Paese, tra gennaio e ottobre 2017, ha importato 802 milioni di euro di vino italiano (+2,6% rispetto ai 782 dello stesso periodo del 2016) per un totale di 470,3 milioni di litri di vino, a un prezzo medio corrispondente di 1,7 euro per litro. Nei 12 mesi del 2016 aveva importato vino per un totale di 2,4 miliardi di euro. I consumi viaggiano su una media di 20,5 litri di vino pro-capite.

Il quadro offerto oggi dalla Germania è variegato e in netta evoluzione, di pari passo con una ristorazione italiana che, finalmente, inizia a liberarsi di luoghi comuni e stereotipi. Nonostante i consumatori di vino tedeschi siano meno attenti all'importanza del brand rispetto a quelli di altri mercati maturi, come Stati Uniti o Uk, stanno crescendo l'interessamento verso il prodotto vinicolo, così come la spesa media per una bottiglia nel lungo periodo, secondo una recente analisi di Wine Intelligence. Quasi due terzi dei consumatori abituali tedeschi, oggi, afferma che la scelta del vino è una decisione importante, mentre circa metà è favorevole a provare nuovi stili e nuove tipologie di prodotto. È evidente come ci sia ancora tanta strada da percorrere, ma la crescita dei nostri vini e dei prodotti Made in Italy non può che essere legata a un nuovo tipo di proposta. E di strategia promozionale.

 

Berlino. Le nuove generazioni e la svolta qualitativa nei consumi

Le due tappe del Gambero Rosso in Germania confermano l'esistenza di un nuovo fermento, lasciando intravedere ulteriori margini in prospettiva. Il 20 gennaio è stata la volta di Berlino: nel centralissimo Hotel de Rome, oltre 50 cantine hanno dato vita a una degustazione decisamente partecipata, con tanti importatori e ristoratori accorsi per celebrare l’edizione tedesca della Guida vini d’Italia e la premiazione dei pù virtuosi ristoranti italiani in città secondo la nostra Top Italian Restaurants.

Agli importatori tedeschi, presenti all'evento, abbiamo provato a chiedere come mai sia così difficile, in un mercato come la Germania, far attecchire modelli di consumo differenti, che guardino più alla qualità e meno al prezzo? La risposta, che somiglia più a un trattato di sociologia, affonda le radici nella storia di questo Paese. “Sembrerà strano, ma dobbiamo ricercarne le cause nel secondo conflitto mondiale e nel difficile periodo post-bellico, quando l'atteggiamento più diffuso era spendere il meno possibile per nutrirsi. Vino e cibo sono, quindi, rimasti legati più al concetto di sopravvivenza che a quello di gusto. Un retaggio del passato che, in un Paese come il nostro, deve almeno superare le due generazioni, per essere accantonato”. E oggi che le terze generazioni si affacciano al mondo dei consumi, le cose stanno cambiando.

Lavanderia Vecchia

I migliori ristoranti italiani di Berlino

Pochi dubbi sul migliore ristorante italiano in città: per noi si trova nel cuore di Mitte. Il riconoscimento è andato a Bocca di Bacco, il locale storico della famiglia Mannozzi, premiato con Due Forchette, il punteggio più alto nel settore fine dining in città. Nella sezione trattorie, spicca Lavanderia Vecchia, il locale di Neukölln si aggiudica il Surgiva Taste & Design Award, consegnato da Tim Kirchof, grazie a un format unico che unisce il carattere di una vecchia lavanderia riqualificata con gusto, l’atmosfera hipster del quartiere, una cucina casareccia, a menu unico, tarato su sapori autentici. Berlino, in pochissimo tempo, è diventata la capitale della pizza, straordinario il fermento sul terreno delle pizzerie napoletane. Il punteggio più alto, Due Spicchi, lo strappano Standard– Serious Pizza, l’eccezionale impasto messo a punto dal pizzaiuolo Alessandro Leonardi, a Prenzlauer Berg, e Malafemmena, il locale della famiglia Cirillo è un salto nell’arte bianca napoletana. Accanto a margherita e montanarine, anche un’autentica cucina campana. Mentre tra i wine ber, spiccano Enoiteca Il Calice e Muret La Barba, sempre a Mitte.

 

Mangiare e bere italiano a Monaco

Il mercato tedesco è molto delicato, è un mercato vecchia scuola dove c’è ancora tanto da lavorare. Sta andando molto bene il Vermentino toscano, mentre per le bollicine è molto importante la dinamica del prezzo. Le vendite di Bellavista sono alte e stabili, Contadi Castaldi deve crescere, stiamo lavorando molto sulle pizzerie e anche per questo abbiamo sposato il progetto Top Italian Restaurants”, ci dice Vitaliano Tarrito, export manager del Gruppo Terra Moretti, durante il Tre Bicchieri di Monaco, l’evento che porta nel mondo i migliori vini italiani, andato in scena il 25 gennaio all’Isarforum.

 

Un piatto di Acquarello

Mangiare italiano a Monaco

Sono quasi 500 i ristoranti di cucina italiana a Monaco. Secondo i giudizi della Top Italian Restaurants, la qualità media della ristorazione italiana in città è la più alta in Germania. L’unico indirizzo tedesco con le tre forchette tricolori si trova proprio qui. In apertura di degustazione, Mario Gamba, il maestro dei cuochi italiani in Germania, è stato premiato con le Tre Forchette, il massimo punteggio. Il suo ristorante Acquarello, attivo dal 1994 nell’elegante quartiere di Bogenhausen, rappresenta uno dei migliori esempi di cucina alta e colta, con un twist francese, capace di rielaborare con visione, e felicissima mano, i grandi classici della cucina italiana. Per una cucina mai uguale a se stessa. “Sempre più i nostri clienti non scelgono la bottiglia ma si fidano dei nostri abbinamenti. Abbiamo deciso di proporre i vini da bottiglie magnum in modo da regalare qualcosa che non possono trovare usualmente”, ci racconta Mario. Due Forchette ad Acetaia (foto i copertina), il ristorante gestito da Michele Perego offre una cucina solidissima, con una bellissima carta dei vini e un giardino estivo delizioso. “Ho dovuto levare dalla carta i Lugana, altrimenti non avrei avuto bisogno del sommelier: chiedono sempre quello. Voglio puntare e far conoscere i nostri autoctoni. Ho un pallino per i bianchi, anche maturi. Ora si vendono molto bene”, commenta il manager Perego.

Nella categoria trattorie, Dal Cavaliere strappa il punteggio più alto con Due Gamberi: il locale della famiglia D’Orta garantisce ricette e cotture squisitamente campane, oltre a una delle più fragranti e costanti pizze in città. Infine, il Surgiva Taste & Design Award, consegnato da Hans Dieter Burgis, è andato al ristorante Hippocampus. Lo chef Cosimo Ruggiero- per tutti Mimmo - propone una cucina di grande leggerezza e pulizia dei sapori, uniti a un contesto raffinato, fatto di marmi toscani, caldi pannelli di legno di noce alle pareti, attenzione e cura del dettaglio tanto in sala quanto in cucina. “I clienti bevono molto le etichette, i grandi nomi, è difficile proporre altro anche a una clientela fidelizzata”, commenta Mimmo che è arrivato, per caso, a Monaco trent’anni fa.

 

A marzo torna Tre Bicchieri Speciale ProWein

L'evento tedesco è stato solo un assaggio. Il Gambero Rosso ritornerà, infatti, in Germania a marzo, ad aprire le danze di una delle più importanti fiere europee del vino: ProWein (18-20 marzo). L'appuntamento è a Düsseldorf per il 17 marzo, con la grande degustazione Tre Bicchieri Speciale ProWein.

 

Bocca di Bacco – Germania - Friedrichstraße 167-168- tel. +49 30 20672828 - https://www.boccadibacco.de/

Lavanderia Vecchia – Germania - Flughafenstraße 46, - tel. +49 30 62722152- https://lavanderiavecchia.wordpress.com/

Standard – Serious Pizza – Germania – Berlio - Templiner Str. 7–tel. +49 30 48625614- http://www.standard-berlin.de/

Malafemmena – Germania – Berlino - Hauptstraße 85 – tel. +49 30 84183182- http://malafemmena.restaurant/

Enoiteca Il Calice – Germania – Berlino - Walter-Benjamin-Platz 4 – tel. +49 30 3242308 - http://www.enoiteca-il-calice.de/

Muret La Barba – Germania – Berlino - Rosenthaler Str. 61 – tel. +49 30 28097212- https://muretlabarba.de/it/

Acquarello – Germania – Monaco - Mühlbaurstraße 36– tel. +49 89 4704848 - http://www.acquarello.de/

Acetaia - Germania – Monaco - Nymphenburger Str. 215– tel. +49 89 13929077- https://www.restaurant-acetaia.de/

Dal Cavaliere – Germania - Monaco - Weißenburger Str. 3 – tel. +49 89 488388- http://www.dalcavaliere.de/

Hippocampus – Germania – Monaco - Mühlbaurstraße 5- tel. +49 89 475855- http://hippocampus-restaurant.de/

 

a cura di Lorenzo Ruggeri

 

Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri dell' 8 febbraio

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Story Course. Storie da mangiare a New York per raccontare il valore dell'immigrazione

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In una scuola di Chelsea, un attore di Broadway mette in scena insolite rappresentazioni teatrali, che uniscono narrazione e cucina. L'obiettivo è quello di raccontare storie di immigrazione attraverso i piatti di chef che ce l'hanno fatta. E far capire ai commensali che l'estraneo non è un nemico. Ma protagonista è soprattutto la buona cucina d'integrazione. 

Il teatro del cibo

Che il cibo sia condivisione e spettacolo, a patto di enfatizzarne la componente esperienziale, è un concetto caldeggiato (a volte abusato) da molti grandi chef. Si pensi alla proposta esclusiva e pirotecnica di Paul Pairet a Shangai, un solo tavolo per portare in scena la rappresentazione multisensoriale di Ultraviolet; o al progetto ideato qualche anno fa dai fratelli Roca, a Barcellona, sul modello dell'opera d'arte totale di Wagner. E, per altri versi, alle messe in scena di Grant Achatz per Next, a Chicago, con un format nato per raccontare a tavola la storia di tempi andati o chef emblematici, sottolineando la componente narrativa del cibo in un'atmosfera di straniamento dal contesto reale. Ma a New York, da qualche tempo, c'è chi davvero ha pensato di trasformare l'esperienza di una tavola conviviale in un momento di riflessione e intrattenimento che col teatro ha molto a che spartire. E anzi, proprio nella dimensione teatrale traghetta piatti d'autore e rituali da ristorante di livello. Con la regia, è il caso di dirlo, di chi del teatro ha fatto un mestiere, l'attore di Broadway Adam Kantor, e la complicità di Brian Bordainick, che in città organizza eventi gastronomici sotto l'etichetta Dinner Lab. Story Course, dunque, è un progetto che concilia la necessità di comunicare un messaggio sociale con il desiderio di far riscoprire il valore della vicinanza, in un momento storico che sempre di più ci porta a vedere l'estraneo come un nemico.

Story Course. Storie di immigrazione in cucina

E infatti, all'idea iniziale di rappresentare banchetti surreali ispirati al libro di ricette di Salvador Dalì si è presto sostituito il canovaccio di Story Course, 6 portate e altrettanti atti teatrali per raccontare la storia gastronomica degli immigrati in America, che più di ogni altra destinazione nel mondo ha tratto beneficio dal suo melting pot culturale, anche in cucina. La prima produzione, How do you Hug a Tiger?, sarà replicata per tutto il mese di febbraio, e ruota sull'esperienza della chef coreana Jae Jung (un passato a Le Bernardin), immigrata negli Stati Uniti nove anni fa. In tavola si alternano così piatti della tradizione coreana che si caricano di ricordi d'infanzia e suggestioni catturate nel Paese d'adozione, a cominciare dal primo approccio col cibo, sul tetto di casa, quando la mamma preparava la sua salsa speciale piccante, servita ai commensali con 7 assaggi emblematici della cucina coreana. Ma c'è anche il pollo fritto, che avvicina un caposaldo della cucina americana del Sud (Jung si è formata a New Orleans) alla ricetta tradizionale coreana (ogni riferimento a David Chang non è puramente casuale). In un crescendo di influenze della moderna cucina americana, a testimoniare il progressivo processo di integrazione della chef.

Il valore della scoperta

L'atmosfera è quella di un happening corale, che coinvolge in prima persona i commensali, chiamati a propria volta a leggere dal copione parte della storia della protagonista. E così, con l'ausilio degli attori in sala, si conversa e ci si conosce l'un l'altro, mentre il cibo svela nuovi tasselli di una cultura sconosciuta. Ma in tavola arriva anche la capacità di adattarsi ai costumi dell'altro, e di superare le difficoltà: “A New York siamo costantemente a contatto con culture gastronomiche diverse dalla nostra, 'consumiamo' storie di cibo quotidianamente, senza avere reale cognizione del contesto emotivo e sociale in cui sono maturate”, spiega Kantor all'inizio dello “spettacolo”. Alla storia di Jung, seguirà, nel mese di marzo, quella di uno chef iraniano emigrato in America con i suoi genitori in circostanze drammatiche, dopo la caduta dello Scià di Persia. E così si proseguirà nei mesi a seguire, se l'iniziativa – venduta a 175 dollari per commensale - avrà successo. Molte date sono già sold out.

 

www.storycoursenyc.com

 

a cura di Livia Montagnoli

 

Anteprima Fiere Vino Gambero Rosso. Dal 26 febbraio al 14 marzo nelle enoteche d'Italia con le migliori cantine della Penisola

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L'iniziativa itinerante del Gambero Rosso torna con la quinta edizione dedicata agli appassionati del bere di qualità, con un'anticipazione sulle tendenze in scena alle prossime fiere internazionali. Il calendario degli appuntamenti in enoteca, dei seminari e dei Grandi Wine Tasting, dal 26 febbraio al 14 marzo. 

 Anteprima Fiere Vino. La rassegna itinerante

Un nuovo anno all'insegna di Anteprima Fiere Vino, iniziativa promossa dal Gambero Rosso per valorizzare il prezioso patrimonio enologico italiano e avvicinare il grande pubblico al bere di qualità. Per la quinta edizione della rassegna, che coinvolgerà molte enoteche d'Italia e vedrà in azione gli esperti della redazioni vino del Gambero Rosso, il programma degli appuntamenti segue uno schema ormai consolidato, con quella piccola variazione sul tema. Protagonista indiscusso è il vino, le etichette selezionate sul territorio italiano e le migliori cantine presenti sulla guida Vini d'Italia 2018.
La manifestazione itinerante offrirà anche l'occasione per avvicinarsi in anteprima alle tendenze vinicole protagoniste delle prossime grandi fiere internazionali, ProWein a Dusseldorf e Vinitaly a Verona. Nel 2018 il tour tra le enoteche della Penisola prenderà il via il 26 febbraio e si protrarrà fino al 14 marzo, articolandosi nelle principali città d'Italia e presso spazi selezionati di Lecce, Milano, Napoli, Palermo, Torino (che ospiteranno seminari di approfondimento sul tema e Grandi Wine Tasting), coinvolgendo le migliori cantine e alcune tra le più rinomate enoteche d'Italia. Ad accompagnare amatori, curiosi ed appassionati, come sempre, gli esperti della redazione vino, che guideranno le degustazioni delle etichette più promettenti delle nuove annate.

 

Le degustazioni

Oltre 170 le etichette coinvolte nell'operazione, proposte a rotazione negli appuntamenti sul territorio, con le degustazioni gratuite in enoteca (da Verona a Firenze, da Cagliari a Lucca, Trento, Milano, Lecce) o in occasione dei Seminari e dei Grandi Wine Tasting, novità quest'ultima dell'edizione 2018 di Anteprima Fiere Vino. L'appuntamento con i Grandi Wine Tasting (su prenotazione e a pagamento, tutte le informazioni nella sezione speciale) è a Lecce, Milano, Napoli, Roma e Torino, mentre i seminari si svolgeranno a Lecce, Milano e Palermo. Chi parteciperà agli appuntamenti di Lecce e Milano, dunque, acquistando l'accesso al seminario potrà partecipare anche al Grande Wine Tasting di riferimento. Mentre a Palermo sarà la Città del gusto locale ad ospitare il seminario alla scoperta di alcune delle nuove etichette protagoniste di ProWein e Vinitaly 2018. Il seminario meneghino (il 12 marzo, dalle 16, allo Spazio Marcopolo 4), in particolar modo, vedrà la collaborazione del Consorzio di tutela Vini del Sannio, e sarà dedicato alle produzioni più promettenti del territorio campano, al motto di "Nel Sannio coltiviamo emozioni".

Scopri tutti gli appuntamenti previsti di Anteprima Fiere Vino 2018

 

 

Vegani in via d’estinzione in Italia, ma aumentano i vegetariani. Le ultime considerazioni sulla causa veg

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Il Rapporto Italia 2018 Eurispes accerta un’inversione di tendenza: scende il numero dei vegani in Italia, meno di un italiano su 100 continua ad abbracciare la dieta cruelty free. Ma aumentano i vegetariani: sono oltre il 6% della popolazione. I temi caldi sono molti: come regolarsi nelle mense scolastiche? E cosa nascondono le etichette dei prodotti veg? 

I vegani in Italia

Cinque anni di crescita lenta, ma costante, che agli onnivori ortodossi ha fatto temere il peggio. Perché la causa vegana ha dalla sua ben più che una semplice preferenza alimentare, ed è invece emblema di una scelta di vita cruelty free che si traduce in una filosofia gastronomica intransigente verso ogni prodotto animale o derivato. Una dieta rigida, che oggi può contare anche su un buon numero di surrogati (ha fatto discutere, negli ultimi mesi, l’hamburger di carne sintetica perfezionato in laboratorio) e molteplici suggerimenti e consigli per l’uso per non rischiare la ghettizzazione a tavola (o, peggio ancora, l’emarginazione sociale). Eppure, lo dice l’ultima indagine Eurispes (il Rapporto Italia 2018), nel 2017 il numero dei vegani in Italia è calato sensibilmente, interrompendo l’ascesa degli ultimi anni: solo lo 0,9%, oggi, rappresenta la categoria che consuma solo alimenti di origine vegetale, circa un terzo della quota registrata nel 2016. In tutto, dunque, i vegani convinti sarebbero qualche centinaio di migliaia di persone in tutta la Penisola, mentre i più moderati – quelli che fino all’anno scorso avevano rinunciato non solo alla carne, ma pure a latte e formaggi, miele e uova – potrebbero aver abbracciato un regime alimentare meno restrittivo, passando alla causa vegetariana, che non a caso viene segnalata in leggero aumento, di poco superiore al 6% sul totale della popolazione nazionale.

La scelta veg

Volendo scendere nel dettaglio, la grande famiglia dei vegetariani continua a ospitare pure chi opera scelte ancor più radicali e insolite, come i crudisti, i fruttariani e i cosiddetti raccoglitori, che mangiano solo ciò che cade dagli alberi, ma in piccolissime percentuali. Per il numero complessivo di vegetariani, nella fattispecie, c’è chi parla, dati alla mano, di un boom senza precedenti, dal 4,6 al 6,2% nell’ultimo anno. Diverse le motivazioni alla base della scelta: per la maggior parte dei vegetariani si tratterebbe di una decisione volta a migliorare il proprio stato di salute, mentre il 20% di loro cambia alimentazione per rispetto nei confronti degli animali. Solo il 3,8% trova una giustificazione nella salvaguardia dell’ambiente, ritenendo che eliminare i prodotti di origine animale possa avere un impatto positivo sulla tutela del territorio e del pianeta.

La dieta vegana. Al supermercato e a scuola

Il Rapporto indica comunque una decisa diminuzione del consumo di prodotti di origine animale, specie per le carni rosse e suine (-5,8%) e per i prodotti caseari (-3,2%). Mentre cresce il consumo di frutta, verdura e legumi da parte degli italiani. Dunque, veg sì o no? Il tema resta caldo, come dimostrano le recenti polemiche sui pasti vegani nelle mense scolastiche: le linee guida 2010 del Ministero della Salute ammettono la possibilità di richiedere una dieta priva di prodotti di origine animale per i propri figli (senza necessità di presentare certificato medico), ma ogni scuola fa storia a sé, e continuano a moltiplicarsi processi e sentenze che prendono le difese di una o dell’altra parte. L’ultima pronuncia sul caso è quella del Tar di Bolzano, che ammette pasti vegani all’asilo e alle elementari, ma li vieta al nido, con la benedizione della Società italiana di pediatria. A Roma, invece, l’amministrazione M5S prevede la possibilità di richiedere menu vegani e vegetariani, mentre le mense di Torino, una volta al mese, servono solo piatti vegetali.

Vegani in Europa. Le ultime da Francia e Regno Unito

E invece, cosa succede nel resto d’Europa? Solo qualche giorno fa, un report della BBC ha registrato l’aumento significativo, sul lungo periodo, del numero dei vegani nel Regno Unito: negli ultimi 10 anni, il numero di chi segue una dieta cruelty free è passato da 150mila a 542mila persone. E dal 2014, la Vegan Society promuove nel Paese il cosiddetto Veganuary: un mese, quello di gennaio, dedicato alla divulgazione della filosofia vegan, con l’obiettivo di sensibilizzare alla causa un gruppo sempre più nutrito di inglesi. Anche la Francia dibatte sulla questione: una recente inchiesta della rivista francese 60 Millions de consommateurs ha analizzato le etichette di molti prodotti vegani in vendita nella grande distribuzione, sfatando il falso mito della salubrità degli alimenti in questione, e anzi appurando il largo utilizzo di additivi e aromi per riprodurre il gusto del prodotto di origine animale. Senza contare la media dei prezzi, generalmente alta più del doppio rispetto all’alimento “tradizionale”. Ma intanto, proprio dalla Francia arriva notizia del lancio sul mercato del primo Camembert vegano ottenuto senza l’impiego di latte vaccino. L’invenzione si deve a una piccola azienda della regione della Mosella, Les Petite Veganne, non nuova a questo genere di esperimenti, guidata da una vegana che non sa resistere al fascino dei formaggi della tradizione francese. Il trucco per superare l’ostacolo? Gli anacardi, lavorati con tradizionali metodi di fermentazione e stagionatura.

 

a cura di Livia Montagnoli

Inverno. I 10 pesci di stagione

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Anche il pesce ha la sua stagionalità. Quindi quando scegliete quale acquistare preoccupatevi, sì, della freschezza, ma anche della provenienza e della stagionalità.

Nell'ultimo mensile del Gambero Rosso abbiamo sfatato un mito: la cucina a base di pesce fresco non è appannaggio solo dell'estate. Anche d'inverno i banchi delle pescherie offrono prodotti ottimi, come la spigola, l'orata o il pesce spada. Un quadro generale ce lo dà Gennaro D'Ignazio della Vecchia Marina di Roseto degli Abruzzi, una delle migliori trattorie d'Italia per la guida Ristoranti d'Italia del Gambero Rosso: “Dicembre è stagione di pannocchie, sogliole, mazzancolle, razze, zanchette, busbane. Queste specie di pesci hanno un fattore comune, vivono tutti sotto costa: nel nostro Adriatico, a ridosso della costa fino a circa 15 miglia, il fondale è costituito per lo più da sabbia, loro habitat preferito. I pescatori lo sanno, quindi tra settembre e dicembre pescano quasi sempre sotto costa. Quando arriva l’inverno, con il raffreddamento importante delle acque, alcune di queste specie rallentano il loro ciclo vitale, tendono a essere più ferme, a nascondersi nella sabbia. Ecco che comincia la stagione di altri pesci. I pescatori non lavorano più in maniera redditizia sotto costa e sono costretti a spostarsi e andare in profondità. Così nelle reti troviamo le pescatrici, i merluzzi, i suri, i lanzardi, gli scampi, i molossi. Insieme a questi fattori, che determinano la presenza sui banchi delle varie specie, non va assolutamente sottovalutato il periodo riproduttivo. Nelle mezze stagioni, quando si può pescare sia sotto costa che fuori, le specie che hanno appena finito la riproduzione sono meno valide qualitativamente di quelle che la stanno per fare”. Perché gli scampi sono deliziosi verso primavera?“Tra maggio e settembre trasformano un terzo del proprio peso in uova, mentre in ottobre, finita la riproduzione, sono provati dallo sforzo. Piano piano durante l’inverno si ristorano, per poter, poi, far fronte fisicamente alla prossima stagione vitale. Ed ecco che gli scampi pescati a febbraio e marzo sono migliori di quelli catturati a settembre”.

 

I 10 pesci d’inverno

brazino

Branzino (o spigola)
Dentatura fitta e corpo affusolato, se pescato può raggiungere grandi dimensioni. Ha carni magre, leggere e digeribili. Sul mercato fa la parte del leone.

 

cefalo

Cefalo (o muggine)

Va rivalutato, lo diciamo a gran voce: il pesce che dà la meravigliosa bottarga, se catturato in acque pulite ha carni eccellenti e sapore delicato. Un vero tesoro da scoprire.

nasello

 

Nasello

Occhi piccoli e denti affilati, passa la vita sui fondi sabbiosi. Molto apprezzato dal punto di vista nutrizionale, ha carne bianca, pochi grassi e molte proteine.

orata

Orata

Come il branzino, ricercatissima sul mercato, è protagonista di molta parte dell'itticoltura. Gli esemplari selvaggi hanno grandi pezzature, carni magre, caratteristiche organolettiche d'eccezione.

pescespada

Pesce spada
Il re del mare, un guerriero che ha stimolato nei secoli tecniche di pesca e ingegno marinaro. Carni rosa e saporite, è profondamente radicato nella nostra cucina.

polpo

Polpo

Otto tentacoli, tre cuori e un gran cervello, è un mollusco affascinante per sapore e capacità. Protagonista di tante tradizioni gastronomiche, è delizioso anche solo bollito.

rombo

Rombo

Linee affascinanti, semplice da pulire, digeribile e delicato nel sapore, è una specie ricercata, ricca di nutrienti e povera di grassi.

pesce san pietro

San Pietro

Pregiato e solitario, la leggenda narra che sia stato San Pietro in persona a catturarlo con le mani, imprimendogli il tocco delle dita, visibile ancora adesso nella macchia scura sul fondo bianco della pelle.

scorfano

Scorfano

Mostruoso, ama i fondali rocciosi. Colore rosso vivo e pinne velenose, sotto la scorza dura nasconde carni sode e gustose, una vera prelibatezza.

triglia

Triglia

Di scoglio o di fango? Due specie ben distinte, rossa e pregiata, la prima, rosea ed economica la seconda. Habitat differenti, sapori differenti: si deteriorano facilmente, vanno consumate molto fresche.

 

 

a cura di Pina Sozio

disegni di Marcello Crescenzi, foto in apertura Lido Vannucchi

 

 

QUESTO È NULLA...

Nel numero di febbraio del Gambero Rosso, un'edizione tutta nuova in questi giorni in edicola, trovate il racconto della ristorazione di mare che accomuna l'intera Penisola e i suoi chilometri di coste. Un servizio di 10 pagine dedicato al mare d'inverno, che include anche gli approfondimenti dello chef Mauro Uliassi e dei professionisti del banco Beppe Gallina e Gino Amoruso, la top ten dei ristoranti di pesce aperti fuori stagione e un utile glossarietto dei pesci sconosciuti.

 

Il numero lo potete trovare in edicola o in versione digitale, suApp Store o Play Store

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Cucina di casa a Roma. Ricetta di: Supplì, Spaghetti alla carbonara, Coda alla vaccinara

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Una cucina che racconta storie lontane di uomini, saperi e tradizioni. È la cucina romana, di cui vi sveliamo tre ricette: Supplì, Spaghetti alla carbonara e Coda alla vaccinara.

Parlare di cucina regionale è una forzatura, questo è assodato (e abbiamo spiegato perché), ma per comodità continueremo a delimitare alcune ricette entro i confini delle varie regioni d'Italia e lì dove necessario entro i confini cittadini. È dunque la volta di Roma, terra di pastori, di contadini, di tradizioni antiche, di sapori decisi e di ricette di recupero. Pensiamo alla cucina di casa che si compone di ricette succulente come i bucatini all'amatriciana, i carciofi alla romana, le preparazioni con il quinto quarto, l'abbacchio alla scottadito, il pollo con i peperoni e freschissime padellate di verdure come la vignarola. Difficile scegliere solo tre piatti, ma l'abbiamo fatto. Qui le ricette dei supplì, degli spaghetti alla carbonara e della coda alla vaccinara.

Supplì

Una palla di riso dalla forma allungata condita con ragù di frattaglie (è cosi che vuole la ricetta originale), pomodoro e ripieno di mozzarella, da mangiare assolutamente caldo e filante. È il simbolo della romanità in cucina, eppure il nome ha origini francesi: pare derivi dal termine “surprise” (sorpresa) con il quale i soldati francesi durante l'occupazione napoleonica di fine Settecento lo appellavano per via della mozzarella all'interno, che tra l'altro è anche il motivo per cui viene comunemente chiamato supplì al telefono. Perché? Provate solo a immaginare un supplì spezzato in due e la mozzarella filante tra le due parti.

Ingredienti per circa 20 supplì

400 g di riso comune o semifino

3 ventrigli e 3 fegatini di pollo

300 g di passata di pomodoro

1,2 l circa di brodo

1 cipolla

3 cucchiai d'olio extravergine d'oliva

1/2 bicchiere di vino bianco secco

1 grossa noce di burro

60 g di grana o parmigiano grattugiato

1 fiordilatte di circa 200 g

2 uova

200 g di pangrattato

Sale e pepe

Olio di oliva o di arachide per friggere

Preparazione: 60 minuti + 1 ora per il riposo. Ripulite i ventrigli dal grasso, lavateli e tagliateli a dadini. Scaldate l'olio e fatevi appassire dolcemente la cipolla tritata. Unite i ventrigli e proseguite la rosolatura fino a quando la cipolla sarà imbiondita. Bagnate con il vino e, quando è sfumato, unite la passata di pomodoro, sale e pepe. Abbassate la fiamma, incoperchiate e lasciate cuocere per una mezz'ora controllando che il sugo non asciughi troppo. A questo punto versate nella casseruola i fegatini tagliati a dadini e lasciate cuocere ancora pochi minuti prima di unire anche il riso. Lasciatelo insaporire nel sugo fino a quando sarà quasi asciutto quindi cominciate ad aggiungere il brodo bollente, un mestolo alla volta, e portate a cottura il risotto, a fuoco vivace, lasciandolo un po' al dente. Regolate il sale quindi, fuori dal fuoco, amalgamatevi il burro e il formaggio e mescolatebene. Versatelo sul tavolo di marmo (o su due piatti da portata), allargatelo e lasciatelo raffreddare. Tagliate a dadini la mozzarella (se è molto fresca e quindi molto umida asciugatela con la carta da cucina) e, una volta che il riso è completamente freddo, prendetene in mano una cucchiaiata colma, infilatevi al centro qualche dadino di mozzarella e richiudete premendo bene. Formate i supplì dando loro la tipica forma a uovo quindi passateli nelle uova sbattute e rivestiteli con il pangrattato. Lasciateli riposare per un paio d'ore prima di friggerli in abbondantissimo olio caldo (175° C), quindi scolateli e passateli su un doppio foglio di carta da cucina. Serviteli ben caldi.

La Carbonara di Roscioli a RomaLa Carbonara di Roscioli a Roma

Spaghetti alla carbonara

L'origine della pasta alla carbonara non è certa, viaggia tra storia e leggenda. Secondo alcuni il piatto sarebbe stato inventato dai carbonai (i boscaioli che andavano sugli Appennini a fare carbone con la legna) ispirandosi alla cacio e ova, secondo altri l'origine è molto più recente e legata alla fine della seconda guerra mondiale, quando i soldati americani giunti in Italia hanno messo assieme gli ingredienti reperibili a loro più familiari, cioè uova, bacon e spaghetti. Se questa tesi fosse vera, il piatto simbolo della cucina romana è stato inventato dagli americani!

Ingredienti

400 g di spaghetti

100 g di guanciale tagliato a fette spesse

3 uova molto fresche

60 g circa di pecorino romano grattugiato (oppure metà pecorino e metà parmigiano)

1 cucchiaio d'olio extravergine d'oliva

Sale e pepe

Tagliate il guanciale a mattoncini e fatelo rosolare dolcemente in una padella ampia con un filo d'olio. Rompete le uova in un piatto fondo, unite il formaggio e un pizzico di sale.
Fate lessare gli spaghetti in abbondante acqua salata. Scolateli al dente e versateli nella padella del guanciale. Mescolate bene quindi, fuori dal fuoco, unite le uova sbattute, un'abbondante macinata di pepe, e rimestate rapidamente in modo che le uova diventino cremose cuocendo soltanto con il calore della pasta. Servite immediatamente in piatti caldi.

La Coda alla vaccinara di GiorgioneLa Coda alla vaccinara di Giorgione

Coda alla vaccinara

La coda alla vaccinara fa parte di quella che a Roma si chiama la cucina del “quinto quarto” cioè la cucina delle frattaglie, uno dei cardini della cucina tradizionale romana. Deve il suo nome al fatto che i vaccinari (gli addetti al mattatoio che vivevano per la maggior parte nel quartiere Testaccio, dove oggi c'è il famoso mercato) venivano in parte retribuiti con la coda dell'animale macellato e altre frattaglie che provvedevano a farsi cucinare dagli osti della zona. Piatto povero e popolare, che nella ricetta originale prevede l'utilizzo del cacao. La presenza di questo ingrediente non deve stupire, dato che nella Roma papalina le spezie erano molto diffuse e il cacao era appunto considerata una spezia.

Ingredienti

1,5 kg circa di coda di manzo

1 guancia di manzo (a Roma si chiama gaffo)

1 kg di pomodori pelati

50 g di strutto

3 cucchiai d'olio extravergine d'oliva

1 bicchiere di vino bianco secco

1 sedano di media grandezza

1 cucchiaio di pinoli

1 cucchiaio di uvetta

1/2 cucchiaio di cacao amaro

1 grossa cipolla

1 carota

1 costa di sedano

1 spicchio d'aglio

Prezzemolo

Dividete la coda in pezzi, incidendola esattamente alla giuntura delle vertebre, scottatela per circa tre quarti d'ora in abbondante acqua salata in ebollizione e sgocciolatela.
Preparate un trito con cipolla, sedano, carota, aglio e prezzemolo. Scaldate l'olio e lo strutto in un largo tegame di terracotta e fatevi appassire dolcemente il trito di verdure. Quando comincia a prendere colore, unitevi la coda e la guancia tagliata a tocchi e proseguite dolcemente la rosolatura girando spesso i pezzi di carne, fino a quando avranno preso colore.
A questo punto, bagnate con il vino e lasciatelo evaporare lentamente. Insaporite con sale e pepe e unite i pomodori sminuzzati. Incoperchiate e proseguite la cottura, a fuoco dolce, per circa tre ore.
Durante questo tempo, girate ogni tanto i pezzi di carne e, se necessario, unite qualche cucchiaio di acqua calda. Nel frattempo, mondate il sedano scartando le coste più dure e togliendo dalle altre i filamenti. Tagliatelo a pezzi, scottatelo brevemente in acqua salata in ebollizione e unitelo alla coda quando questa sarà quasi cotta e il sugo ben addensato (dopo circa due ore e mezzo). Fate ammollare l'uvetta in acqua tiepida, sgocciolatela e unitela alla coda in fine cottura. Unite anche i pinoli e sciogliete il cacao nel sugo. Ancora un quarto d'ora e la coda è pronta: lasciatela riposare per cinque minuti e servitela nello stesso recipiente di cottura.
Le tre ore del tempo di cottura sono indicative. Possono variare, in più o in meno a seconda dell'età dell'animale e quindi della durezza della carne. Tenete presente che alla fine la carne dovrà essere stracotta staccandosi quasi dall'osso.

 

foto di apertura: il Supplì classico di Trapizzino a Roma. Ph Alberto Blasetti

 

Cucina di casa in Veneto. Ricette: Sarde in saor, Risi e bisi e Baccalà alla vicentina

Cucina di casa in Piemonte. Ricette: Vitello tonnato, Agnolotti del plin e Brasato al Barolo

Cucina di casa in Sicilia. Ricette: Panelle, Pasta alla norma e Calamari alla messinese

 

 


A Torino la terza edizione del Festival del Giornalismo alimentare. Deontologia e approccio all’informazione

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ll Festival Internazionale del Giornalismo Alimentare è una manifestazione annuale che promuove il dibattito sulla qualità dell’informazione e della comunicazione intorno al cibo e all’alimentazione. E il programma della terza edizione, nello spazio di Torino Congressi, è ricco di spunti: dalla sicurezza alimentare al falso made in Italy, dal food writing alle mafie nella ristorazione. Con un nutrito parterre di professionisti e addetti ai lavori. 

Il festival

Festival del Giornalismo Alimentare, terza edizione. Ancora una volta Torino, al centro congressi Torino Incontra, dal 22 al 24 febbraio. Sono queste le coordinate della manifestazione diretta da Massimiliano Borgia per riflettere (e far riflettere) su quanto il giornalismo alimentare, lungi dall’essere un puro esercizio di stile o un divertissement per pochi, abbia il compito di informare su temi importanti per la collettività. E riflettere quindi sulla necessità di migliorare la qualità dell’informazione, perché la comunicazione sia quanto più possibile efficace, oggettiva, imparziale. Utile. In platea, come sul palco, molti giornalisti e blogger di settore, uffici stampa e alimentaristi, influencer e istituzioni, con la media partnership di Rai Radio 1 e una regione ospite, la Valle d’Aosta. Una tre giorni ricca di appuntamenti, tra dibattiti e tavole rotonde, laboratori e visite sul campo, per approfondire tutto quello che può essere il cibo: “Scienza, salute, sicurezza, politica, economia, agricoltura e industria, ma anche moda, divertimento, lusso, turismo e spettacolo”. Per gli addetti ai lavori, quindi, la partecipazione al festival sarà motivo di crescita, formazione, riflessione; ma anche il pubblico è chiamato a intervenire numeroso, per toccare con mano dove sta andando la comunicazione del cibo, e perché è una questione che riguarda tutti, in un Paese che sulla coscienza alimentare dovrebbe (vorrebbe) poggiare la sua identità e l’immagine che di sé offre al mondo.

 

Comunicare il cibo. Il programma

La prima giornata di lavori, il 22 febbraio, sarà aperta da Sergio Chiamparino Chiara Appendino, per proseguire con un cartellone fitto di relatori e temi d’attualità: l’anno del cibo e le politiche alimentari per il futuro, la sicurezza alimentare e il valore reale del made in Italy, l’emergenza idrica e l’italian sounding. Ma pure le mafie nella ristorazione e i trattati sul cibo, gli sprechi alimentari, le etichette, l’agricoltura e i cambiamenti climatici. Dedicati alla deontologia di categoria e alla formazione professionale, interventi sul giornalismo freelance e il digital marketing, sul fenomeno del brand journalism e sugli strumenti del food writing, ma anche sul giornalismo investigativo ed economico applicati al food e sul ruolo degli influencer. Altrettanto nutrito e variegato il parterre. Tra gli altri Luca Iaccarino, Valerio Massimo Visintin, Massimo Bernardi, Luciano Pignataro, Paolo Marchi, Roberto La Pira, Gigi Padovani, Sabrina Giannini, Alessandra Guigoni (protagonista con un grande servizio sui rapporti tra cibo e religione sul nostro prossimo mensile di marzo),Lorenzo Frigerio, Enrico Bellavia, Carlo Spinelli, Paolo Massobrio, Marco Trabucco. Per il Gambero Rosso Pina Sozio Rosalba Graglia. La partecipazione al festival è gratuita, ma previo accredito online, fino a esaurimento posti.

 

Festival del giornalismo alimentare - Torino – Torino congressi – al 22 al 24 febbraio – www.festivalgiornalismoalimentare.it

 

a cura di Livia Montagnoli

 

Puglia d'inverno. Idee per un week end di gusto

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La Puglia è una regione ricchissima di storia e tradizioni, dove l'incredibile bellezza naturalistica custodisce tesori che si rivelano passo dopo passo. Ma è anche una riserva di beni agroalimentari da scoprire e di cuochi che sanno trasformandoli dando vita a una cucina tipica che ha saputo rinnovarsi senza tradire la propria identità.

Mare, sole, pizzica e feste in piazza... sì va bene. Ma la Puglia è molto più di questo: non è solo il Salento con l'alternanza di rocce e spiagge o lo sperone d'Italia, il Gargano, con le scogliere a picco sul mare. La Puglia accoglie una sequenza di borghi tutti da scoprire, panorami archeoindustriali che incontrano paesaggi mozzafiato e una natura ancora incontaminata. Oltre ovviamente una tradizione gastronomica tutta da godere. Ne abbiamo già parlato, a proposito delle bellissime tradizioni che animano i giorni di Carnevale, ma non basta, perché questa terra è una sintesi di panorami, prodotti, storie e tradizioni che vale la pena conoscere.

Stavolta siamo andati a visitare la Murgia e le zone limitrofe, quel territorio che si srotola intorno all'oasi delle Saline di Marina di Savoia e alla vicina zona termale (prezioso ricovero per un week end a tutto relax), che raccontano del dominio di Federco II, “stupor mundi”, cui si deve il monumento più famoso ed enigmatico della zona, Castel del Monte, ma che ha lasciato ricordi e testimonianze un po' in tutta l'area.

 

Cosa visitare

Castel del Monte

Osservatorio astronomico, maniero di caccia (ma senza stalle o altri locali di servizio), fortezza (ma senza fossati), punto di avvistamento e di controllo del territorio, luogo di studio e relax: le ipotesi della funzione di Castel del Monte sono molte. La pianta ottagonale, la posizione, le decorazioni delle chiavi di volta e delle cornici animate da creature mitologiche, il senso antiorario delle scale a chiocciola, presunti richiami astrologici, le geometrie su cui è stato progettato fanno di questo austero edificio in pietra del 1240 - patrimonio dell'Umanità dell'Unesco dal 1996 - uno dei più misteriosi e affascinanti d'Italia. Adagiato sulla collina verde nell'Alta Murgia, è una presenza imponente che non si può ignorare, con le sue 8 torri agli 8 angoli della struttura che suggerisce l'immagine di un'enorme corona che svetta verso il cielo. Un capolavoro dell'architettura medievale di forte suggestione, che mantiene vivo ancora oggi il suo universo simbolico, l'enigma della sua edificazione e la sua destinazione, su cui si deve ragionare tenendo ben presente anche le relazioni con il complesso di castelli vicini, edificati con l'obiettivo di controllare il territorio, quelli di Barletta, Canosa, Trani, ma anche di Andria, Ruvo, Corato, Terlizzi, Bari e Gravina. Abbandonato e incustodito sin dalXVIII secolo, subì saccheggi e devastazioni fino a fine '800, quando cominciò l'opera di recupero. Oggi Castel del Monte è visitabile, e facilmente raggiungibile da Andria da cui dista 18 chilometri.

Cava Cafiero

Cafiero era una famiglia nobiliare che agli inizi del secolo scorso dedicò otto ettari della sua tenuta nella valle dell'Ofanto, a San Ferdinando di Puglia, all'estrazione di una pietra scura locale. Negli anni '30 costruirono un'enorme frantoio di legno e ferro per la pietra, una struttura evocativa che ancora domina la vallata come una presenza arcaica. Oggi, smessa la lavorazione della pietra, la grande palafitta è inutilizzata e un progetto di recupero interessa l'area, abbandonata negli anni '70 e trasformata in discarica. Il comune di San Ferdinando di Puglia sta ora lavorando per farne un'oasi naturalistica, riqualificando l'area a partire dal suo valore botanico. Il laghetto e l'incredibile biodiversità di questo territorio ne fanno una meta di grandissimo interesse, soprattutto se si ha l'opportunità di fare una visita insieme a qualcuno in grado di illustrare le moltissime erbe spontanee che vi crescono. Tra questi, l'erbosofo Felice Tanzanella, capace di rivelare patrimoni immensi nascosti sotto gli occhi di tutti. Tante piante, alcune familiari, altri dai nomi che la fantasia popolare gli attribuito: quinoa selvatica locale, pepe rosa, rucola spontanea dal sapore di wasabi, tassobarbasso, piede di papera, nepitella, caccialepre, cicoria selvatica dal fiore celeste, orchidee spontanee, capperi, fichi selvatici. Il progetto prevede, nell'arco dell'anno in corso, di mettere a sistema un percorso didattico che faccia scoprire, non solo ai residenti, il valore di quest'area.

Le Saline di Margherita di Savoia

La zona umida di Margherita di Savoia è un luogo magico. Qui ci sono le Saline più estese d'Europa: 20 chilometri lungo la costa per una superficie totale di circa 4mila ettari, gran parte coperti dalle acque, suddivise in vasche comunicanti evaporanti, dove aumenta la concentrazione dei sali, fino ad arrivare alle vasche di conserva e servitrici dove continua l'evaporazione fino a ottenere l'acqua madre, rossa e satura di cloruro di sodio, con l'ultimo passaggio nelle vasche salanti (530 ettari) che favorisce la cristallizzazione e il deposito di sale. Il panorama è straniante, con l'enorme distesa di acqua e superfici di cristalli di sale a perdita d'occhio che confondono la vista e sembrano prolungare l'area umida. Qui la raccolta del sale si fa risalire all'età preistorica, ed è possibile ammirare alcuni reperti archeologici e di età più recente nel Museo Storico Archeologico Industriale della Salinaospitati un vecchio magazzino per la conservazione del sale.

 

La Riserva Naturale

In questa zona umida, in quella che era la dimora di caccia di Federico II di Svevia, abita una ricca popolazione di uccelli: un raro esempio di conservazione del patrimonio faunistico dovuto anche alla creazione della salina, che è anche un'area protetta, la più importante zona umida dell'Italia centromeridionale. Come in una laguna sulla rotta delle migrazioni qui sostano, nidificano o svernano gli uccelli acquatici, complici il cima soleggiato e ventoso, la presenza di diversi ambienti (dai suggestivi isolotti di salcornie al giardino con vegetazione palustre, alle distese di fango). Tra le oltre 200 specie – in alcuni periodi fino a 40mila esemplari – anatre, gabbiani rosei, aironi, fenicotteri rosa che negli ultimi anni l'hanno colonizzato trasformandolo in uno dei principali siti di nidificazione di questa parte del Mediterraneo; ma la comunità avicola include cormorani, cavalieri d'Italia, avocetta dal becco all'insù. La stessa varietà si riscontra nella vegetazione: porcellana di mare, codolina delle spiagge, giglio marino, dente di leone, salicornie di vari tipi, cocomero asinino e moltissime altre specie sono la cornice di un panorama che trova l'elemento più suggestivo proprio nel paesaggio disegnato dalle saline, con le montagne candide di sale che a un primo sguardo paiono di neve, i resti delle strutture ottocentesche (perfetti esempi di archeologia industriale) un tempo usate per il trasporto interno, e la superficie riflettente dei cristalli, che regala paesaggi mozzafiato con il cielo che si specchia sulle superfici. Uno spettacolo che vale, da solo, il passaggio. La scoperta della zona può procedere per gradi, grazie all'opera divulgativa di Legambiente, che qui ha organizzato un museo, un centro visite, senza scordare, però, ma questa è anche una zona termale incastonata in uno dei tratti di costa più belli della regione.

 

Cosa mangiare

 

Carciofi

Terra ricchissima anche dal punto di vista agroalimentare, questa parte di Puglia è nota per il carciofo di San Ferdinando di Puglia: sapido, dolce e dal profumo intensocui si dedica, in autunno, una fiera nazionale giunta ormai alla 57esima edizione. Una tipicità che contribuisce da sempre a creare un indotto commerciale forte, con la coltivazione, la raccolta (effettuata a mano da settembre ad aprile), la lavorazione e la vendita di prodotti conservati, soprattutto sottolio. Si tratta, principalmente, di produzioni limitate, aziende a dimensione familiare o poco più, che tutelano la qualità e il controllo di questo prodotto e, con esso, dell'ambiente e della cultura locale.

 

Confetto, cioccolato, mandorle

Le mandorle di Toritto sono il punto di partenza per l'industria dolciaria che si ricorda per i confetti, tra questi ci sono i famosi Tenerelli, che la famiglia Mucci produce dal 1930, anche se per rintracciare le origini di questa azienda occorre risalire fino alla fine dell'800; non a caso, il laboratorio storico ad Andria è stato trasformato in un museo del Confetto, mentre la produzione oggi si è spostata a Trani. A Barletta, invece, Antonio Daloiso, figlio d'arte, dopo esperienze nel mondo dell'arte pasticcera tra grandi nomi e concorsi internazionali, è un punto di riferimento nella zona, per gli amanti del dolce. A Cerignola, infine, Tommaso Perrucci - patron della cioccolateria Bramo - merita una visita per le mandorle (ancora loro!) proposte tartufate ma soprattutto per la lavorazione del cioccolato: tortini, arance candite, torte, cioccolate calde, cioccolatini in cui sperimenta con spezie e aromi e poi, per tornare bambini, pane e gelato al cioccolato.

Burrata

Burrata e manteche

Manteca o burrata? In entrambi i casi si tratta di formaggi tipici che custodiscono al loro interno una sorpresa: le manteche sono formaggi a pasta filata leggermente stagionati che racchiudono, come in uno scrigno, del burro; mentre la burrata è un un foglio di pasta filata di mozzarella usato come contenitore per fior di latte sfilacciato a mano e panna. La inventò Lorenzo Banchino nel 1956, per reimpiegare le eccedenze di pasta filata invendute per la difficoltà dei trasporti sotto la neve. Ma la Puglia, tutta, è terra di grandi casari e grandi prodotti: caciocavallo podolico e cacioricotta, scamorza all'acqua e pampanella e via via, tra tipicità e nuove specialità casearie, come quelle di Vito Dicecca, che nella zona di Altamura (ma dopo un vagabondaggio in giro per il mondo) si prova in erborinati di grandissima qualità nati dalla sua fantasia e dal suo istinto infallibile per questo genere di formaggi, li trovate a Trani e in diversi altri centri tra la Puglia e Roma. Da accompagnare con uno dei pani o delle focacce tipiche, di questa zona, il calzone con lo spunzale, tipico di Corato, una focaccia ripiena saporita e gustosa.

 

olivi

L'olio

Terra di ulivi e di piante ritorte, arrotolate su se stesse e sugli anni fino a disegnare il tipico orizzonte che, insieme ai muretti a secco, caratterizza la regione. Terra di coratina, perenzana, dell'oliva da mensa bella di Cerignolae altre cultivar. Si tratti di aziende cooperative, come quella della Coldiretti di San Ferdinando,o di privati, il livello raggiunto dai produttori pugliesi è ormai molto alto ed è accreditato anche fuori dalla regione, come lo è nella nostra guida Oli d'Italia, dove hanno spesso raggiunto il vertice della classifica, come per il blend Fontana Rossa (Tre Foglie, massimo riconoscimento) dei fratelli Ferrara, una realtà che vale la pena visitare anche per la bellezza dei luoghi in cui si trova. A Canosa c'è Sabino Leone, che nella guida 2017, l'ultima uscita, ha collezionato un Tre Foglie e due Due Foglie Rosse; Due Foglie Rosse anche per ilmonocultivar di coratina diAgrolio. Spostandosi a Bisceglie vale la pena una sosta al Frantoio Galantino che lavora diverse cultivar; il suo Gran Cru Affiorato (Tre Foglie) è un extravergine eccellente. Tra i nomi più in evidenza Muraglia, noto anche per le bellissime bottiglie da esposizione di ceramica dipinte a mano che lo rendono facilmente riconoscibile. Bisogna spingersi un po' più a sud per trovare uno degli oli che hanno conquistato il vertice come quello di Intini, ad Alberobello, miglio fruttato intenso per la nostra guida oli d'Italia 2017.

 

Antica Cucina

Dove mangiare

Il territorio ha saputo, nel tempo, svincolarsi dall'immaginario tutto tradizione e sapori tipici per conquistare un suo posto nel panorama ristorativo nazionale: basta fare i nomi di Felice Sgarra (Umami ad Andria) o di AngeloSabatelli: un cuoco di razza, creativo, elegantissimo, sempre più a suo agio nel ruolo di portabandiera della nuova cucina pugliese, creativa, contaminata, rinnovata dall'interno, ma anche – incredibilmente – rassicurante e centrata (che merita ampiamente Due Forchette per la guida del Gambero Rosso) che ha da pochi mesi trovato un nuovo domicilio nella parte vecchia di Putignano. Diversi tra di loro, per età e stile di cucina, rappresentano due facce di una stessa identità gastronomica che si sta via via imponendo.

Antica Cucina 1983. Risotto con le cime di rapa

Il punto di partenza è la materia prima, la stessa che Lello Lacerenza, istrionico patron, porta in tavola insieme a Giuseppe Vivo, socio e chef di Antica Cucina 1983 di Barletta: ci sono i sapori di tradizione, i grandi prodotti locali, trattati con estremo rispetto, appena accarezzati – per esempio le straordinarie seppioline, gli ottimi frutti di mare, le verdure come la rapa, che diventa un risotto con burrata e colatura di alici, intenso e pulitissimo, o le carni come l'agnello locale.

 

Pietro ZitoAntichi Sapori. L'ingresso

Come pure insegna, da sempre, Pietro Zito nel suo Antichi Sapori (Tre Gamberi nella guida Ristoranti d'Italia) nei pressi di Andria: basta osservare le piante aromatiche o i pomodori in mostra all'ingresso e varcare la porta in legno per capire che qui si mette in tavola l'essenza più vera della Puglia: tradizioni locali e prodotti dimenticati, che vivono un nuovo corso. Merito di questa terra generosa e del suo orto biodinamico dove alleva antiche cultivar poi trasferite nei piatti che godono di sapori profondi, limpidi e integri. Una cucina contadina, la sua, che sa mettere in luce il valore più prezioso che questo concetto porta con sé, passando per la magnifica brace, le orecchiette di grano arso e tutto il corredo di sapori e pietanze che puntano giù nel profondo di una tradizione mai così attuale.

UmamiUmami. Minestra di scampi e tubettini

La virata a tutta contemporaneità di Sgarra con il suo Umami è il segno dei tempi: la nuova generazione che torna e rielabora esperienze e suggestioni, ma senza tradire il punto nodale in cui tutto nasce. C'è l'olio, per esempio, in quel bicchierino che unisce anche pasta di olive e patate, ci sono i ceci neri della Murgia nella minestra con scampi e tubettini, ringiovanita dallo sprint dello zenzero, così come non manca il filetto d'asino panato al fumo, per non scordare mai chi si è e da dove si arriva. Ma il territorio è costellato di realtà più o meno storiche come la Locanda Di Nunno o Canneto Beach 2, tra le dune di sabbia e sale di Margherita di Savoia, dove la famiglia Riontino – oggi la terza generazione in pista, a curare la sala e la bella cantina – lavora con grazia la materia prima locale (frutti di mare in primis con i crudi a rinnovare la tradizione pugliese) e affianca un lavoro sulle farine e gli impasti per la pizza. A Cerignola, invece, un buon riferimento è U Vulesce vino e cucina, una trattoria che stupisce con la cantina da oltre 500 referenze accompagnata (o che accompagna?) la cucina sincera, autentica e tutta sapore, lo stesso che si ritrova nella bottega di proprietà, dove i taralli home made – friabili, croccanti, golosissimi – sono un pit stop obbligato.

 

 

Informazioni generali

Aeroporto di Bari - Viale Enzo Ferrari - tel. 080 580 0200 - http://www.aeroportidipuglia.it/homepagebari

Saline di Margherita di Savoia - Circolo di Legambiente - tel. 0883 657519 / 328 9640136 - www.ceamargherta.it

Cava Cafiero - Contrada San Samuele - San Ferdinando Di Puglia (Bat) – tel. 0883.626218

Castel del Monte – Andria (BT) - Ingresso: 7,00 €; Rid. 3,50 € - dal 1 ottobre al 31 marzo lun-dom 9.00-18.30, dal 1 aprile-30 settembre lun-dom 10.15-19.45. tel. 0883.569997- http://www.beniculturali.it/mibac/opencms/MiBAC/sito-MiBAC/Luogo/MibacUnif/Luoghi-della-Cultura/visualizza_asset.html?id=155192&pagename=157031

 

Dormire

Montegusto - Andria (BT) - SS 170 km 1,850 - tel. +39 0883 56 98 62 - http://www.montegusto.it/

La Contr'ora b&b-Andria (BT) - piazza Sant’Isidoro, 10 Montegrosso – tel. +39 0883 569529 - 392 9925241 - http://www.pietrozito.it/la-controra/

Torre di Nebbia –Corato (BA) - SP 234 C.da Torre di Nebbia - tel. +39 348 5266348 - +39 329 25 82 419 - https://www.masseriatorredinebbia.it/it/

 

Comprare

Pasticceria Daloiso – Barletta BT) - via Indipendenza, 16c – tel. 0883 529685 - www.daloiso.it

Cioccolateria Bramo – Cerignola (FG) - via don Minzoni 120 – tel.  0885 746169

Olio Intini | Alberobello (BA) | c.da Popoleto | tel. 08 04325983 | www.oliointini.it

 
Mangiare
Antica Cucina 1983 – Barletta (BT) – piazza Marina, 4/5 – tel. 0883 521718 - www.anticacucina1983.it

Antichi Sapori – Andria (BT) – piazza San Isidoro, 10 – tel. 0883 569529 - www.pietrozito.it

Umami – Andria (BT) – via Trani, 103 – tel. 0883 261201 - www.umamiristorante.it

Angelo Sabatelli - Putignano (BA) – via Santa Chiara, 1 – tel. 080 4052733 - www.angelosabatelliristorante.com

Ristorante Canneto Beach 2 - Margherita di Savoia (BT) - Via Amoroso,11 – tel. 0883651091- www.ristorantecannetobeach2.com

Locanda di Nunno – Canosa di Puglia (BT) – via Balilla, 2 – tel. 0883 615096 – https://locandadinunno.it/

U Vulesce vino e cucina - Cerignola (FG) - via Cesare Battisti, 3 - tel. 0885 425798  - https://www.facebook.com/uvulesce/

 
 

 

 

Jamie Oliver sommerso dai debiti. La catena di ristoranti italiani nel Regno Unito a rischio

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Dopo la chiusura dei 6 locali inglesi, la citazione per utilizzo improprio del marchio gluten free, la bancarotta a Istanbul, Jamie Oliver si ritrova di nuovo a fare i conti con una quota di debiti quanto mai alta e scoraggiante. Lo chef incolpa la Brexit, ma l'analisi da fare è molto più ampia.

Jamie Oliver: “Colpa della Brexit”

Effetto Brexit, un anno e mezzo dopo. Un cambiamento sociale temuto da molti che, fra le varie preoccupazioni generali, ha scatenato anche il panico di importatori di prodotti alimentari. Made in Italy compresi. Instabilità, cambiamento negli assetti economici europei, nuove norme, tasse e possibili ostacoli per chi decide di fare impresa: questo era lo scenario che nel giugno 2016 si presentava nel Regno Unito. Molti fra ristoratori e imprenditori hanno infatti incolpato la Brexit delle problematiche economiche che stanno vivendo. Fra questi, Jamie Oliver, inglese doc ma particolarmente legato all'Italia e alla sua cucina, di cui si è fatto ambasciatore sul piccolo schermo come nelle scuole del Regno, e nei suoi numerosi ristoranti in lunghi anni di successi mediatici e imprenditoriali che ora paiono appannati. “Acquistare i prodotti dall’Italia è sempre più oneroso, e noi che non vogliamo diminuire la qualità dei nostri locali non riusciamo più a sostenere lo sforzo”, riferiva l'estate scorsa l’ad del Jamie Oliver Restaurant Group al Telegraph.

La chiusura dei ristoranti

Certo, continuare a far quadrare i conti si fa ancora più impegnativo quando sei a capo di un impero della ristorazione, con ben 42 ristoranti solo in Gran Bretagna, e altre 28 insegne nel resto del mondo. Risale ancora al giugno 2017 la notizia della chiusura di 6 locali della catena Jamie's Italian sul suolo inglese, una decisione che è costata il lavoro a ben 120 dipendenti. Il gruppo, però, non ha tardato a fornire le prime rassicurazioni, spostando l'attenzione sulle nuove (22) aperture previste nel resto d'Europa, da Dusseldorf a Reyakiavyk. Dichiarazioni rincuoranti, positive, tanto che i più maligni avevano iniziato a ipotizzare motivazioni ben più prevedibili dietro alla decisione di chiudere i 6 locali inglesi: secondo molti, in patria l’insegna non sarebbe stata più in grado di sostenere la concorrenza agguerrita di nuovi competitor, come dimostra il calo netto degli incassi registrato tra il 2015 e il 2016, da quasi 4 milioni di sterline di fatturato a 2,3 milioni. Il problema, dunque, non erano solo le spese per le forniture bensì, a quanto pare, gli incassi che in alcune insegne della Gran Bretagna non erano stati all’altezza.

I debiti

Infatti, anche un anno e mezzo dopo la Brexit, dopo la chiusura dei ristoranti, i progetti, i diversi tentativi per rientrare, lo chef si ritrova sommerso dai debiti. Nessuna delle iniziative dei suoi piani di espansione si è concretizzata. Tutt'altro: secondo quanto riportato dal quotidiano inglese Sun, la quota di debiti di Jamie Oliver oggi ammonta a 71,5 milioni di sterline. La società deve dunque chiudere 12 delle sue insegne britanniche, che costeranno il lavoro a ben 450 dipendenti. Secondo i documenti del tribunale, il gruppo deve altri 41 milioni di sterline ai creditori, più oltre 2 milioni al personale del ristorante. Senza contare gli arretrati con i fornitori (263mila sterline a un venditore di pesce fresco, 133mila a un panificio all'ingrosso, tanto per citarne alcuni).

Le spiegazioni dello chef

Ma gli insuccessi della chef-star non finiscono qui: lo scorso autunno Oliver è stato citato in giudizio dal Gluten Intolerance Group del Nord America per aver utilizzato impropriamente il marchio GF (gluten free) nel suo programma The Naked Chef, e, nello stesso periodo, si è ritrovato ad affrontare la bancarotta della sede del Jamie's Italian di Istanbul. Ancora una volta, lo chef incolpa la Brexit, ma anche una serie di “amici con cui non avrei dovuto collaborare come partner commerciali”. Se a inizio 2014 la fortuna di Oliver era stimata circa 150 milioni di sterline, i rapporti recenti parlano di 90 milioni. La società, nel frattempo, rassicura i clienti più affezionati: “Abbiamo un marchio forte e siamo decisi a continuare a mantenere gli alti standard di servizio, gusto e esperienza che i nostri clienti di fiducia meritano”. I membri della società si definiscono “fiduciosi”, e sperano di poter salvare posti di lavoro e rapporti con i fornitori attraverso l'approvazione del Company Voluntary Arrangement (CVA), ovvero un accordo che un'impresa con problemi di debito stipula con i propri creditori commerciali per cercare di evitare il fallimento, chiedendo un rimborso da parte di tutti per un periodo di tempo concordato.

In attesa di nuovi sviluppi, sono tanti i dubbi e le perplessità che si annidano fra i consumatori. Certo è che dopo un 2017 molto difficoltoso, il nuovo anno per lo chef non è cominciato nella maniera migliore. Fra lo scetticismo generale, comincia a farsi largo però una sensazione sempre più netta ed evidente: che la Brexit non sia solo un convincente capro espiatorio per evitare di ammettere che alcuni locali, come è possibile che accada, non girano più tanto bene?

a cura di Michela Becchi

Torino: la Galleria Umberto I riqualificata grazie alla ristorazione. Christian Milone e non solo

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Nuove aperture, serate speciali, cene a quattro mani: nella galleria che occupa gli spazi dell'ex Ospedale Maggiore dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, a un passo dal mercato torinese di Porta Palazzo, cresce l'ondata gourmet.

La Galleria Umberto I a Torino è un posto speciale. Intanto, per la sua storia, visto che occupa lo spazio dell’antico Ospedale Maggiore dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, creato nel 1575, di cui rimane la storica Farmacia Mauriziana e la pianta a croce, che sfrutta i volumi che un tempo costituivano le corsie dell'ospedale. Poi per la sua atmosfera dapassageparigino, soffitto di vetro e ferro, lampade a boule sospese su bracci di ferro battuto: un gioiellino del gusto eclettico di fine ‘800, inaugurata nel 1890 e dedicata al re Umberto I. E last but not least perché quei 100 metri di lunghezza sono il trait d’union fra la reggia sabauda (Palazzo Reale è a pochi passi) e il gran mercato di Porta Palazzo, il ventre della città, il più grande mercato all’aperto d’Europa.

Gli angoli gourmet della Galleria

Non stupisce quindi che la Galleria, dove stanno aprendo pure diversi spazi d’arte, stia diventando una galleria del gusto e del food, collocazione perfetta e vocazione assoluta. D’altra parte era così fin dalle origini, con caffè e negozi (e fino agli anni '40 del ‘900 anche la bottega del cioccolatiere Feletti).

Il food accoglie fin dai due accessi. Entrando da Porta Palazzo, superato il portale con lo stemma sabaudo, c’è Goustò, ristorante ed emporio, proposte di cucina piemontese, dagli agnolotti al vitello tonnato classico alla finanziera di Cavour e vini di una carta molto ricca e selezionata, che predilige il Piemonte e la Liguria e va alla ricerca anche di etichette e vitigni di nicchia. Dall’altro accesso, su via della Basilica, da un lato c’è il Caffè della Basilica, atmosfera d’antan, e dall’altro Ingrosso Minuto, risto-caffetteria-torteria dagli arredi contemporanei minimal.

 

È stato proprio Stefano Pani di Ingrosso e Minuto, insieme a un paio di amici, Fulvio Marchetti che gestisce una bottega di carni al Mercato coperto di Porta Palazzi e Mario Natoli, ingegnere (ma la sua famiglia aveva un negozio in galleria) ad aprire pochi metri più in là Litro, nuovo locale stile vineria contemporanea, arredi essenziali di legno, dove bere (e acquistare) vino sfuso di qualità (ma c’è anche qualche cocktail, a cominciare dall’onnipresente spritz) accompagnati da sfizi da aperitivo, “pani, vini e sughi” ovvero tapas alla piemontese servite in piccole burnie di vetro (i vasi per la marmellate a Torino si chiamano così), prezzi easy e un orario per qualsiasi pausa food, dalle 15.30 alle 23.

Christian Milone da Haka Storie

Hafa Storie

Accanto, Hafa Storiela grande svolta della Galleria. Idea forte, quella di unire nel cuore multietnico di Torino la cucina marocchina e quella piemontese, in una location piacevolmente colorata, da bistrot- suk (si vendono anche oggetti e tessuti di grande gusto selezionati da Milli Paglieri, architetto con casa a Marrakech e la sua socia Stefania Codecà, gran viaggiatrice, e realizzati da designer in Marocco). Non cucina piemontese qualsiasi però, visto che nell’avventura è stato coinvolto Christian Milone, chef stellato della Trattoria Zappatori di Pinerolo, che ha portato qui le sue specialità di tradizione, dagli ineffabili plin al vitello tonnato, per citare solo due piatti cult. Ora, a un anno esatto dall’apertura di Hafa Storie, c’è una bella novità in sintonia con la filosofia del posto e con il percorso personale di Christian Milone, che, una volta al mese, porta a Torino la sua “gastronavicella”, ovvero il suo menù più creativo e innovativo, finora riservato allo stellato pinerolese.

Alici marinate

La gastronavicella di Milone

È passato un anno dall’apertura” spiega Milone ”eravamo a inizio febbraio 2017 e sono soddisfatto dell’esperienza torinese, è una bella vetrina in città ed è stimolante la commistione con la cucina marocchina (e con altre cucine etniche, per esempio nei menù con Chef Kumalè che proponiamo ogni mese, in cui io cucino con gli stessi ingredienti dei piatti di Castellani, ma creo una mia ricetta personale, con risultati totalmente diversi). Mi è sembrato arrivato il momento per far conoscere anche le proposte più sperimentali della mia cucina. La gastronavicella è un’esperienza gastronomica che segue la stagionalità, che propongo 4 volte all’anno, otto piatti per un’emozione diversa, stimolante, insolita”.

 

Risotto ai lamponi e barbabietola

Per la prima serata, si è iniziato con una spuma di patate all’olio, limone e grana, il ravanello in carpione, le alici marinate con caco mela spadellato e servito con mozzarella di bufala, gelatina di moscato e dragoncello, il tutto innaffiato da acqua di bufala. Quindi il risotto di lamponi, barbabietola, sanape e cedro, l’agnello su fondo di pepe nero, verdure acidule e focaccia e per finire dessert a base di nocciola e caffè, sciolto da una colata di crema al caffè calda. Materie prime che arrivano tutte dal mercato di Porta Palazzo, più che chilometri “metri” zero...

Dove sta andando Milone? Con la solita ironia un po’ spiazzante, lui risponde che attualmente sta “fluttando nel nulla, d’altra parte” aggiunge “la mia Stella è arrivata dopo 10 anni, non ho fretta”. Ora di anni ne ha 38, e in realtà i progetti non gli mancano: un nuovo locale (“ci sono solo problemi burocratici, di permessi..”) nel verde fra Pinerolo e Torino, la riapertura della Trattoria Zappatori il 13 febbraio con le prime due opere vincitrici del concorso Giovani Stelle, che ha lanciato per selezionare giovani artisti (i nove vincitori si alterneranno ogni sei mesi in Trattoria), l’imminente inaugurazione del Tuit Bistrot ad Asti e chissà cos’altro: a Milone piace sorprendere. Intanto la gastronavicella è atterrata a Porta Palazzo, e ha messo un nuovo tassello nella Galleria del Gusto, evviva.

 

Goustò – Torino - piazza della Repubblica 4 - tel. 3299415437 - www.gousto.eu

Caffè della Basilica – Torino - via della Basilica 3 b - tel. 3493549553 - www.caffedellabasilica.it

Ingrosso Minuto – Torino - via della Basilica 1 - tel. 011 7609045 - www.ingrossominuto.com

Litro – Torino - Galleria Umberto I 7 - tel. 339 6848795

Hafa Storie – Torino - Galleria Umberto I 10-13 - tel. 011 19486765 - www.hafastorie.it

 

a cura di Rosalba Graglia

 

 

 

Attable Festival a Lione. L'ultima invenzione di Andrea Petrini: happening e sperimentazione gastronomica

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Dal 16 al 18 marzo appuntamento a Lione per scoprire dove sta andando la cucina creativa moderna in Europa. L'idea è di Andrea Petrini, gli effetti speciali garantiti, tra piatti per nottambuli e cene a 4 mani. Vi raccontiamo come nasce Attable. 

Andrea Petrini e l'happening gastronomico

Mai sentito parlare del paradosso di Lione? Probabilmente no, perché il teorema non ha nulla a che vedere con le formulazioni scientifiche di qualche luminare ottocentesco. E piuttosto è il frutto di una riflessione sulla storia gastronomica lionese degli ultimi decenni, meditata da chi la città attraversata dal Rodano l'ha scelta anni or sono come residenza elettiva. Lui è Andrea Petrini, giornalista, food writer e fine gourmand, esperto direttore d'orchestra di rutilanti happening gastronomici, costruiti sulla voglia di intrattenere (fin quasi spiazzare) chi assiste alla rappresentazione non meno di chi la mette in scena. Gelinaz, organizzato insieme ad Alexandra Swenden, è la sua creazione più celebre e ogni anno scombina le carte, coinvolgendo le migliori teste pensanti del panorama gastronomico mondiale: un ciclo itinerante di eventi, sempre diversi, che inneggia al libero scambio di cibo e idee, fuori da schemi prestabiliti. Performance concepite per stupire con effetti speciali, dunque, che riescono a tenere insieme l'approccio iniziatico di un divertissement intellettuale e la cifra originale di una festa tra cuochi che si mettono a nudo, raccontando con sincerità la propria identità gastronomica. L'unico dogma, in effetti, è la fede nella libertà d'espressione. Così sarà anche a Lione, dal 16 a 18 marzo, quando prenderà forma l'edizione pilota di Attable, l'ultima variazione sul tema della rassegna di cucina d'autore firmata Andrea Petrini.

 

Attable. Il parco giochi gastronomico di Lione

Un prototipo perfettibile e in divenire che lontano da Lione non potrebbe esistere, proprio perché, con l'intenzione di sciogliere il paradosso di cui sopra, ha preso vita. Lione, sostiene Petrini, è oggi (come ieri) una città divisa tra l'importante eredità gastronomica del passato e la voglia di guardare al futuro, attualizzando gli insegnamenti del suo cittadino più celebre – Paul Bocuse – ma pure rilanciandosi come meta di turismo enogastronomico grazie all'ingente investimento che finanzierà la Citè Internationale de la gastronomie. Ma il presente cos'è? Gli attori motivati sono tanti, e Petrini lo sostiene con forza (non è l'unico peraltro: sulla città sono da poco piovute grandi soddisfazioni stellate). Giovani chef audaci, desiderosi di affermare la propria personalità muovendosi tra gli ingranaggi di codici imposti, e ripensandoli dall'interno; più semplicemente “local heroes”, come li definisce Petrini, che ha scelto di costruire intorno a questa energia il nuovo festival, chiamando a raccolta anche vecchie e nuove conoscenze in arrivo da tutta Europa. L'obiettivo? “Fare di Attable - e di Lione – il parco giochi, lo spazio della libertà, di espressione e di gioco che la cucina creativa europea reclama”. Fornendo quindi ai partecipanti un avamposto di sperimentazione culinaria di cui potrà beneficiare l'intera città.

 

L'edizione pilota. Il programma

Nello specifico, il festival è organizzato dall'associazione Arty Farty in collaborazione con Grand Cuisine, con la direzione artistica di Petrini e la consulenza di Mathieu Rostaing-Tayard, patron del Café Sillon, che insieme ad altre celebri insegne cittadine sarà teatro della manifestazione diffusa. Il programma, ancora in via di definizione, coniugherà una serie di cene a 4 mani ospitate presso il Café Sillon e il ristorante di Katsumi Ishida En mets fais ce qu'il te plait (un'insegna che è una dichiarazione d'intenti!) con happening gastronomici allestiti a La Piscine e pressoLe Bistrot du Potanger Gerland. Il 17 marzo sarà la giornata clou, con il Kollettivo della Gioventù asutriaca per una società progressista (da Philip Rachinger aKostantin Filippou) chiamato a “occupare” il bistrot, e la squadra delle “girls” impegnata a La Piscine con il maiale in tutte le sue forme (protagonista, tra le altre, ancheAntonia Klugmann). Poi, allo scoccare della mezzanotte, avrà inizio La notte più lunga del Cafè Sillon: un cuoco ogni ora per scandire il tempo con piatti per nottambuli e cuochi reduci dal servizio. Si andrà avanti fino alle 7 del mattino, con la partecipazione di Inaki Aizpitarte, Davide Scabin, Michel e Cesar Troisgros, Simone Tondo, Bertrand Grebaut e molti altri. Chiusura domenicale con l'omaggio di rigore a Paul Bocuse, recentemente scomparso, a La Piscine: si mangerà, si parlerà, si ascolterà buona musica. Tutto questo sarà Attable (biglietti disponibili online dalla fine di febbraio).

 

Attable – Lione – dal 16 al 18 marzo – www.attable.eu

 

a cura di Livia Montagnoli

 

Osticcio a Montalcino. Locali rinnovati e nuove ambizioni per una storica insegna: in cucina c'è Ronald Bukri

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Un'insegna storica nel cuore di Montalcino, e il cambio di proprietà concretizzato l'estate scorsa, con l'obiettivo di trasformarla in un ristorante d'ambizione. In cucina è arrivato Ronald Bukri, 30 anni, origini albanesi, curriculum importante. Ecco cosa succederà ora. 

Osticcio. Nuova vita per una storica insegna

La storica osteria di via Matteotti, civico 23, a Montalcino la conoscono tutti. Nella patria del Brunello, per oltre 25 anni, Tullio Scrivani ha gestito l'attività, nel palazzetto che guarda la valle e le colline circostanti dal punto di vista privilegiato del poggio Osticcio, che all'insegna dà il nome. Poi, l'estate scorsa, il passaggio di proprietà, con l'acquisto di Giuseppe Valter Peretti, che da Vicenza era approdato tra le colline senesi per investire nel vino: da 5 anni è sua la Tenuta Ridolfi, 30 ettari di terreno di cui più di 11 vitati a Brunello. La decisione di scommettere sulla ristorazione, invece, è strettamente legata all'interesse per un locale simbolo della cittadina, di cui l'imprenditore ha subito intuito le potenzialità. L'obiettivo? Quello di farne un ritrovo per visitatori in cerca di un'accoglienza di qualità, valorizzando un territorio che del turismo enogastronomico ha fatto da tempo un punto di forza. Dunque resta il riferimento all'enoteca, perché i vini continueranno a giocare un ruolo importante (e come potrebbe essere altrimenti?), ma l'osteria viene sostituita da un più chiaro riferimento al ristorante, perché di ambizioni e talento si nutrirà d'ora in poi la cucina di Osticcio. Il progetto ha preso forma negli ultimi mesi, coinvolgendo la struttura in un accurato lavoro di restauro, terminato solo alla fine di dicembre scorso: distribuiti su tre livelli, oggi i locali accolgono il ristorante al piano strada (circa 25 coperti), la suggestiva cantina sottostante e la cucina del primo piano, con piccolo orto di pertinenza che presto sarà messo a coltura con erbe aromatiche e prodotti a supporto dello chef.

Con Igles Corelli e Terry Giacomello

Ronald Bukri, chi è

A guidare la squadra - una brigata che, vedremo, è già decisamente affiatata – c'è il giovane Ronald Bukri, 30 anni, origini albanesi. Di lui, chi frequenta da qualche anno i ristoranti della zona avrà già sentito parlare, nonostante la sua attitudine a girare per il mondo l'abbia portato in cucine a migliaia di chilometri di distanza dalle colline toscane. In Italia è arrivato quando aveva 6 anni, e di fatto si sente italiano a tutti gli effetti: cresciuto a San Gimignano, non nasconde il suo spiccato accento toscano, e l'Albania, fino a oggi, l'ha conosciuta solo attraverso i racconti dei genitori: “Curioso che abbia girato il mondo, ma non sia mai tornato nel mio Paese. Sarà sicuramente la prossima meta da scoprire”. Non al momento, però, visto l'impegno che lo attende alla guida di Osticcio, operativo da una settimana appena e già alla prova del sold out in vista della manifestazione Benvenuto Brunello, che andrà in scena il prossimo fine settimana. Giovane ma nient'affatto sprovveduto, Ronald vanta un curriculum eccellente: gli inizi al Canto di San Gimignano con Paolo Lopriore - “un'esperienza folgorante e difficile al tempo stesso, all'epoca da noi sono passati tutti, eravamo una delle tavole più chiacchierate d'Italia” - poi un'esperienza alla guida del ristorante dell'Hotel La Collegiata, sempre nel borgo senese. E l'inizio di una serie di peregrinazioni in grandi cucine: il francese Guillaume a Sydney, allo Sketch di Londra per Pierre Gagnaire, poi la Spagna, un mese in Thailandia per avere nuove suggestioni. “Il mio punto di riferimento resta sicuramente la tecnica francese, ma ho preso come una spugna da tutte le esperienze; a Sydney il melting pot gastronomico è illuminante”. Tornato in Italia, e la storia è più recente, prima l'Atman con Igles Corelli, poi Inkiostro, a Parma, al fianco di Terry Giacomello, dov'è rimasto fino a novembre scorso. Da Osticcio, non a caso, ha riunito una squadra di amici e colleghi fidati: il maitre Francesco Perali e il sommelier Alberto Ponziani (entrambi ex Atman), in cucina Simone Franzoni (Inkiostro e Piazza Duomo), Matteo Loreti (dal Four Seasons di Firenze) e Michele Moroni (Atman).

La vista dal ristorante

Osticcio. Il ristorante

Del progetto ha curato ogni dettaglio, in accordo con la proprietà: “Ho detto la mia sulle luci, curato la progettazione del banco di servizio, scelto le stoviglie”. La proposta si articola in una carta breve (5 scelte per portata) e due menu degustazione (il più caro a 65 euro), “la Tradizione ispirata al territorio e il percorso più ambizioso, I miei viaggi, dove condenso gli spunti degli ultimi anni. So di potermi confrontare con una clientela internazionale e molto interessata alla cucina creativa, Montalcino è una piazza felice e stimolante, e dietro al progetto c'è un grande investimento”. La carta dei vini è altrettanto ambiziosa, con tanto territorio e una grande selezione di champagne francesi. In menu, invece, sono moltissime le materie prime locali, piccione, chianina, cinta senese, ma anche miele, zafferano, fagioli occhiello, selvaggina, “e il pesce di Orbetello, anguille e bottarga”. Tra i piatti in carta, all'esordio, la Ribollita, “a modo mio”: bottoni di pasta ripieni di fagioli occhiello e cavolo nero con brodo di pane tostato alla brace e cipollotto fresco. O il foie gras glassato con miele e zafferano e insalata di pere e senape, “omaggio alla Francia e a Montalcino insieme”. Proposte creative anche dalla pasticceria, con cui Ronald si è ampiamente cimentato in passato. In generale dunque una cucina di grande tecnica, creativa, ma non troppo spinta, come la descrive Ronald: “Spero di non avere ancora un mio stile, voglio costruirlo nel tempo, con la libertà di scegliere se essere francese, e il giorno dopo giapponese”. Non ama la routine, Ronald, e finora ha sempre assecondato il suo istinto giramondo. Vedremo come saprà metterlo a sistema ora, alla guida di Osticcio.

 

Osticcio Ristorante ed Enoteca – Montalcino (SI) – via Matteotti, 23 – aperto a pranzo e cena

 

a cura di Livia Montagnoli

Classifiche. I 5 migliori lardi d’Italia

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I cinque migliori lardi italiani reperibili nel settore di nicchia, in botteghe e locali gourmet e in tavole d’autore.

Sono ottenuti dal grasso duro di schiena del suino bianco. Mattonelle di grasso sodo, compatto e niveo con appena una sbavatura di magro, da affettare sottilissimo e gustare in modi diversi. Parliamo del lardo, il protagonista della classifica pubblicata nel nuovo numero del mensile del Gambero Rosso. Qui la top 5, tutto il resto lo trovate in edicola.

 

Il lardo

È il prodotto della maialata più voluttuoso, il più grasso (per definizione!) ricavato dallo spesso strato adiposo disposto lungo la schiena del suino. Un grasso nobile, spesso, duro e bianco, tutt’al più con sfumature rosate e un’ombra di magro, che viene condito con sale, spezie ed erbe aromatiche, in qualche caso con l’aiuto di zuccheri, antiossidanti (E300 ed E301), nitrati e nitriti (E249, E250, E251 ed E252). Nella rete del panel sono finiti lardi esclusivamente di suino convenzionale bianco, reperibili in botteghe di cose buone, locali e ristoranti di alto profilo attenti alla selezione delle materie prime.

Un tempo il grasso in tutte le sue declinazioni (lardo, strutto, sugna) era l’ingrediente fondamentale per cucinare, pagato meglio di un prosciutto, e un valore aggiunto nei salumi. Il boom economico – complici le diete e le indicazioni nutrizionali a partire dagli anni ‘60 – lo ha demonizzato facendolo quasi sparire dalle nostre tavole. Da alcuni anni è tornato alla ribalta, sul red carpet di taglieri per buongustai che puntano alla qualità a ogni costo, grazie anche alle nuove frontiere della ricerca.

 

La composizione e le proprietà del lardo

Il lardo è composto per il 99% da lipidi, niente proteine e solo tracce di vitamina E. Ma dei grassi contenuti, la quota di quelli saturi “cattivi” (responsabili del colesterolo) si è oggi ridotta a circa il 30% a favore dei grassi “buoni” (insaturi) che possono avere effetti positivi sul cuore e sulla circolazione, passati dal 30% a oltre il 60% dei grassi totali, con punte del 70%. L’acido oleico, un grasso monoinsaturo della famiglia degli Omega-9, presente anche nell’olio di oliva, è oggi l’acido grasso maggiormente rappresentato con un contenuto intorno al 46%. Questo ribaltamento della situazione è dovuto a cosa? Ai maiali “moderni” destinati alla produzione salumiera di qualità, figli di un miglioramento della genetica, dell’allevamento e dell’alimentazione grazie a mangimi a base di proteine vegetali, crusca e cereali nobili, dove gioca un ruolo fondamentale l’orzo, ricco di tocoferoli, potenti antiossidanti, e betaglucani, che abbassano il colesterolo.

 

Il ruolo dei grassi

I grassi segnano punti anche nella degustazione dei salumi: veicolano i profumi e gli aromi, regalano dolcezza, conferiscono morbidezza aiutando la masticabilità e la solubilità del prodotto. Ma a condizione che siano freschi, puliti e precisi, di un bel bianco niveo o appena rosato, privi di rancido. Attenzione quindi a lardi di colore giallo, segno di irrancidimento del grasso: non fanno bene alla salute né all’assaggio, penalizzato da aromi sgradevoli e dal sapore acido, con una sensazione allappante e amara a fine bocca.

 

Elogio al lardo di Colonnata Igp

I lardi classificati nel mensile di febbraio del Gambero Rosso provengono dall’Italia del centro e del nord. Ci sono quelli privi di certificazioni e quelli riconosciuti dall’Unione europea: la Dop Valle d’Aosta Lard d’Arnad e il lardo di Colonnata Igp. Da sottolineare quest’ultimo marchio di tutela, che ha conquistato tutti e tre i gradini del podio. Un risultato che testimonia la bravura dei norcini ma anche la validità di una certificazione che ha saputo proteggere e blindare il prodotto. Tanto più trattandosi di una Igp. A differenza di altri salumi a indicazione di origine protetta per i quali sono ammessi conservanti e carni provenienti dal resto del mondo, anche congelate, nel lardo di Colonnata la materia prima arriva solo da allevamenti dell’Italia centro settentrionale, gli stessi del prosciutto di Parma Dop, e lavorata fresca; sono esclusi – come recita il disciplinare – “sostanze liofilizzate, aromi naturali, naturidentici ed artificiali, conservanti, additivi e starters”, la concia deve contenere tassativamente sale marino naturale, pepe nero macinato, rosmarino fresco, aglio sbucciato e spezzettato, e a discrezione del produttore spezie e altre erbe aromatiche (cannella, anice stellato, coriandolo, noce moscata, chiodi di garofano, salvia, origano). Inoltre, la lavorazione, rigorosamente in conche, le famigerate vasche di marmo bianco di Colonnata, è stagionale, da settembre a maggio. Una procedura che altre Igp, e anche tante Dop, si sognano.

 

La top 5

Al panel di degustazione hanno partecipato: Serena Bri (food blogger Cucina Serena), Maria Gabriella Ciofetta (assaggiatrice professionista di olio), Antonio Menconi (esperto di analisi sensoriale di pane e olio), Mara Nocilla (redazione del Gambero Rosso), Elvan Uysal (giornalista di enogastronomia), Domenico Villani (maestro assaggiatore della delegazione O.N.A.S. di Roma).

 

1 - Larderia Fausto Guadagni (Lardo di Colonnata Igp e Lardo ai capperi e pepe di Sichuan)

Fausto Guadagni è uno di quei fuoriclasse che si lasciano dietro gli altri concorrenti distaccandoli di qualche metro. I suoi lardi, di Colonnata Igp e innovativi, sono campioni di pulizia, dolcezza, equilibrio, precisione dei grassi, esuberanza aromatica e morbidezza, con una texture talmente scioglievole da sembrare crema solida. Nell’Igp, un luminoso e vibrante lardo niveo, la classicità trionfa in un tripudio di note che richiamano erbe e spezie tradizionali (oltre 20 in conca, con rosmarino di coltivazione propria); la forza fresca dell’aglio e accenti mentolati solleticano il palato, i ricordi di frutta secca ed esotica confermano la lunga stagionatura, che va dai 9 fino ai 48 mesi! Stesse caratteristiche e stesso stile nel lardo ai capperi di Pantelleria, pepe di Sichuan, timo e rosmarino, stagionato 19 mesi; in più sorprendenti note salmastre e balsamiche, di brezza marina e di legno aromatico che ricordano il pino marittimo.

1 kg prezzo 28 euro

Larderia Fausto Guadagni - Carrara - località Colonnata - strada comunale, 4 - 0585768069 - 3356530268 – larderiafaustoguadagni.com

 

2 - Le Larderie di Battella Gino (Lardo di Colonnata Igp)

Anche Gino Battella offre un’esemplare espressione del lardo di Colonnata, trasformando in boccone da re questo storico companatico povero della merenda dei locali cavatori di marmo. Bianco, vivido e lucente, sembra appunto marmo che brilla al sole. Al naso emana inebrianti profumi dolci e sapidi di grasso fresco e talmente preciso da non sembrare neanche unto, accompagnati da aglio leggero e da un ampio ventaglio di note balsamiche fresche e centrate, intense ma non invadenti, riconducibili alla miscela di erbe e spezie con le quali il lardo ha condiviso la conca. Tutto ritorna in bocca: il bell’equilibrio dolce/sapido, il grasso perfetto, gli aromi gentili e forti della concia, completati da un retrolfatto fruttato che testimonia una stagionatura adeguata. La struttura è un altro dei punti di forza: morbida, scioglievolissima e succosa, quasi cremosa.

1 kg prezzo 20/25 euro

Le Larderie di Battella Gino - Carrara - località Colonnata - via Maffiori, 12 - 058552598 – lelarderiedicolonnata.it

 

3 – Venanzio (Lardo di Colonnata Igp)

Uno dei più famosi e richiesti lardi di Colonnata è quello di Venanzio: tra i suoi clienti anche l’Enoteca Pinchiorri e i ristoranti di Alain Ducasse. Stagionato almeno 6 mesi, il pezzo di lardo compatto, niveo e lucido, appena un filo di magro lungo un lato che lo rende visivamente appetibile, esprime un’ampia tavolozza di sensazioni: concia di erbe e spezie ricca ma non esagerata né stucchevole, appena una scia di aglio potente e di fascinose note fruttate (frutta secca ed esotica), una dolcezza tenera ma di temperamento, sentori animali “buoni” che confermano la qualità della materia prima, un grasso fresco e preciso, un gusto equilibrato dalla sapidità molto ben controllata, una struttura morbida, succosa e solubile.

1 kg prezzo 20/34 euro

Venanzio - Carrara - frazione Colonnata - via Giardino, 12 - 0585768046 - 3357888941 – lardocolonnata-venanzio.it

 

4 - Bernardini Gastone (Lardo agli aromi)

Un signor lardo, di alte prestazioni e ottimo rapporto qualità/prezzo, commercializzato anche da selezionatori di specialità agroalimentari. La materia prima proviene dalla Spagna, la lavorazione è affidata a maestri della concia dell’azienda pisana, con sale, spezie e aromi (oltre a destrosio, E301 ed E 250) aggiunti a mano, la stagionatura intorno ai 3 mesi. Il bel pezzo di lardo bianco rosato, umido e privo di magro, sembra un ghiacciaio illuminato dal sole pallido al tramonto. Al naso un bel bouquet di profumi dolci, di grasso preciso, di aglio, erbe aromatiche e pasticceria. La concia s’impone soprattutto al palato insieme a una sapidità alta ma bilanciata dalla dolcezza in un abbraccio gustativo molto equilibrato. La struttura ha una fibrosità impalpabile, succosa e cedevole, come una sottile tela di ragno che si scioglie al palato con facilità.

1 kg prezzo 8/11,80 euro

Bernardini Gastone - Crespina Lorenzana (PI) - località Cenaia Crespina - via Lavoria, 83/85 - 050644100 – bernardinigastone.it

 

5 - Maison Bertolin (Lard d’Arnad Dop)

Sei P: presenza, profumi, pulizia, pastosità, precisione di grassi, aromi e fine bocca, prestazioni di alto profilo. È il lardo di Arnad Dop, fiore all’occhiello della Maison Bertolin. Materia prima: spallotto (il lardo dorsale con il suo magro) di maiali di peso superiore ai due quintali provenienti da allevamenti del nord d’Italia. Tecnica: maturazione per almeno 3 mesi dentro i “doïl” (antichi recipienti in castagno, rovere o larice) insieme a sale, acqua, spezie e piante aromatiche della Vallée, senza additivi e conservanti, secondo l’antica tradizione di Arnad. Perfetto, una bella traccia di magro marezzato sullo spesso strato adiposo di un bianco caldo, il lardo Bertolin ha profumi e aromi caratteristici, freschi ed eleganti che richiamano il buon grasso suino e una concia discreta ed equilibrata, una sapidità non persistente che lascia spazio a una dolcezza generosa, una texture avvolgente di grande succosità e scioglievolezza.

1 kg prezzo 16/21 euro

Maison Bertolin - Arnad (AO) - località Champagnolaz, 10 - 0125966127 - 0125966144 – bertolin.com

 

 

a cura di Mara Nocilla

foto di Mammanannapappacacca Studio

 

 

QUESTO È NULLA...

Nel numero di febbraio del Gambero Rosso, un'edizione tutta nuova in questi giorni in edicola, trovate la classifica completa dei lardi, con altri 8 prodotti d'eccellenza. Lo speciale include anche i consigli per utilizzare al meglio le gustose fettine di lardo, dalle patate al forno fino all’abbinamento col miele, e un focus sul magnifico lardo di suino nero. Da leggere anche l'inedito punto di vista di chi li ha fotografati questi lardi: Adriano Cosi di Mammanannapappacacca Studio.

 

 


Le migliori pasticcerie di Siracusa e dintorni: 7 indirizzi imperdibili

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Perla della Sicilia sud orientale, la splendida città di Siracusa ha molto da offrire ai turisti in cerca di una sosta golosa e rinfrancante. Ecco le pasticcerie migliori della zona e le specialità da assaggiare.

Risplende grazie alla sua pietra arenaria questa città che nei secoli è stata punto di snodo della vita politica e sociale, una delle più affascinanti località della Sicilia, elegante e incantevole in ogni periodo dell'anno. Il patrimonio artistico e culturale locale è un tesoro inestimabile, ma non è da meno il fronte gastronomico, profondamente influenzato dalla tradizione greca, e da sempre richiamo fortissimo per turisti italiani e stranieri. La cucina qui mescola sapientemente i prodotti del mare con quelli della terra, provenienti dai vicini Monti Iblei, prelibatezze uniche rinomate in tutto il mondo, dal pomodoro di Pachino alla mandorla di Avola, dal miele di Sortino alla patata novella. Assortito e golosissimo il comparto dolciario, tra paste di mandorle, che regnano incontrastate nelle pasticcerie della città, granite, giuggiulena (il torrone tipico delle feste), i buccellati, biscotti glassati a base di mandorla con pistacchi o bucce d'arancia canditi e tanti, tanti altri dolci unici che raccontano la storia del territorio. Dove assaggiare i più buoni? Ecco i migliori indirizzi segnalati dalla guida Pasticceri & Pasticcerie 2018 del Gambero Rosso.

Brancato – Siracusa

Imperdibili le paste di mandorla di Antonio Brancato, professionista di lunga esperienza che nel suo laboratorio porta avanti da anni un lavoro di ricerca minuzioso. Punto di riferimento per tutti i golosi della città, il suo locale accoglie da tempo giovani che hanno scelto di intraprendere questo percorso, con stage e periodi di formazione. Fra mignon, crostatine e bignè, a fare la parte del leone qui sono soprattutto le torte, dalla Don Camillo con crema al pistacchio, alla torta al limone verdello, senza dimenticare la celebre Setteveli. Non mancano i grandi classici come i cannoli e le bombette, oltre alle specialità delle feste, come le uova di cioccolata pasquali. In estate, poi, l'assortimento si arricchisce anche di gelati e granite.

Brancato - Siracusa - via Grotta Santa, 219 - 0931442702 - www.antoniobrancato.it

Caffè Costanzo – Noto

Alle spalle di Palazzo Ducezio e con vista sull'incantevole cattedrale di Noto, il locale propone le autentiche specialità siciliane, dai cannoli con cialda croccante farciti con ricotta alle cassatine coperte di marzapane. E poi sfogliatelle, Biancomangiare, e brioche “col tuppo” per una colazione in perfetto stile siculo, naturalmente accompagnate da una granita artigianale alla mandorla o pistacchio, mandarino, gelsi o limone. Presenti anche i semifreddi e le torte – imperdibile il pan di Spagna al cioccolato di Modica, ricotta e granella di pistacchio di Bronte – e tutto il comparto di pasticceria secca. Tra le specialità della casa, dolcetti di mandorla, frutta Martorana, e torroni.

Caffè Costanzo – Noto (SR)- via S. Spaventa, 7 – 0931835243 - www.facebook.com/Caff%C3%A8-Costanzo-122047967935134/?rf=203274989711384

Caffè Sicilia – Noto

Fra i meriti del maestro pasticcere Corrado Assenza, al primo posto vi è senza dubbio quello di essere riuscito a conservare il carattere essenziale e goloso della pasticceria siciliana tradizionale, elevandola a un piano superiore. Il suo Caffè Sicilia è da tempo uno dei luoghi simbolo della cultura gastronomica isolana (e non solo), meta di pellegrinaggio per appassionati gourmet e chef d'alta cucina: l'artigiano è infatti uno dei personaggi più influenti del settore. Fra torte d'autore, disponibili anche al trancio, e gelati artigianali di prima qualità, nel locale nel cuore di Noto si possono trovare creazioni dalla tecnica impeccabile e il gusto perfettamente equilibrato, con forti richiami alla tradizione ma con una personalità contemporanea. A lui si devono dei dolci che indagano il confine tra dolce e salato, la ricerca sui materiali, la scelta di tecniche e prodotti di livello assoluto. Da provare la torta con noci, vaniglia e semi di papavero, la ricotta e cannella, la bergamotto e pepe bianco, ma anche quella con zafferano di Navelli e arancia amara. Protagonista assoluto dell'insegna però è il re di tutti i dolci siciliani, il cannolo, realizzato a regola d'arte con cialda croccante e ricotta di pecora freschissima, soffice, aromatica.

Caffè Sicilia – Noto (SR) - c.so Vittorio Emanuele, 125 – 0931835013 - www.facebook.com/Caff%C3%A9-Sicilia-Noto-59815635165/

Corsino – Palazzolo Acreide

Vincitore del premio Gusto&Salute nell'edizione 2017, Vincenzo Monaco ha ereditato la passione per la pasticceria dalla sua famiglia, in particolare dal padre, che gli ha trasmesso le tecniche basi e l'amore per una disciplina tanto impegnativa quanto affascinante. A guadagnarsi il premio, infatti, non è stato lo storico locale di famiglia, ma il meno conosciuto Corsino7, dall'altro lato della strada, una pasticceria gluten free che non rinuncia al gusto. Da anni punto di ritrovo per i buongustai della zona, la sede principale guidata dal papà continua invece a proporre paste di mandorla, pistacchio, biscotteria da tè, cannoli di ricotta o crema al pistacchio realizzati secondo tradizione. Ottime anche le crostatine e le sfogliatelle, per non parlare dei celebri geli di limone e cannella, i bignè e i tartufi al cioccolato.

Corsino – Palazzolo Acreide (SR) – via Nazionale, 2 – 0931875533 – www.corsino.it

Pasticceria Leonardi By Peruch – Siracusa

Un’offerta molto varia che va dalle crostate alle ciambelle per la colazione, dalle torte fragranti ai golosi bignè. Varcando l'ingresso del bar Leonardi c'è sempre il rischio che l'idea iniziale di ciò che si voleva ordinare inizi a vacillare, considerata la ricca offerta di tentazioni dolci che stimolano golosità e acquolina. Squisita la crostata ricotta e fichi, eccellenti le tartellette alla frutta e imbattili i gelati artigianali realizzati con maestria. Torte classiche e a tema si alternano durante tutto l'anno, mentre nei periodi di festa è tempo per i grandi lievitati fatti in casa. Sul versante della tradizione locale si spazia tra cassate di ricotta, cannoli e la “cuccia”, specialità siracusana a base di grano cotto condito con ricotta, zucchero e cannella, preparata a dicembre in occasione di Santa Lucia, patrona della città.

Pasticceria Leonardi By Peruch - Siracusa - viale Teocrito, 123 - 093161411 - www.pasticcerialeonardi.com

Pasticceria Caprice – Palazzolo Acreide

Un'insegna siciliana di stampo classico, gestita da una famiglia di appassionati dell'arte dolce che della costanza qualitativa e del servizio votato al sorriso dei clienti ha fatto il suo credo. Da sempre impegnati nella preparazione di dolci della tradizione, i Pirruccio continuano a tenere alta la bandiera della pasticceria siciliana con i loro gelati, i pasticcini, la frutta Martorana e i torroncini bianchi con mandorle. E poi zeppoline, torta Savoia (strati di pan di Spagna e crema al cioccolato e nocciole con copertura di glassa fondente), bignè con crema alle nocciole, cassatine e lieviti profumati per la prima colazione. Non manca, poi, un comparto salato sfizioso, fra rustici e focacce, per soddisfare la pausa pranzo o il momento aperitivo, da consumare all'interno oppure, durante la bella stagione, nella deliziosa veranda esterna.

Pasticceria Caprice – Palazzolo Acreide (SR) – c.so Vittorio Emanuele, 21 – 0931882846 – www.pasticceriacaprice.com

Tunisi – Siracusa

Tante specialità per questo bar che si destreggia bene fra l’offerta per la colazione e quella per il pranzo e l’aperitivo. Interessanti i coni da passeggio, molto buone le granite, creativa e attraente la pasticceria mignon, ma molto ampia anche la proposta salata, dai tramezzini alla rosticceria tipica. Al mattino ci si ferma per assaggiare delle paste ben lievitate e farcite con creme lisce e setose, mentre a merenda è tempo di torte alla frutta, ricotta e pistacchio, paste di mandorle oppure pizzette e arancini. La regia è quella dei fratelli Giuseppe e Pietro Zitelli, che hanno ormai saldamente in mano le redini dell'attività ultra consolidata da più di 50 anni, ereditata direttamente da papà Silvestro.

Tunisi - Siracusa | viale Tunisi, 74 - 0931 442737 - www.bartunisi.it

a cura di Michela Becchi

Pasticceri & Pasticcerie 2018 del Gambero Rosso | Prezzo: 14,90 | disponibile in edicola, libreria e online

Pasticceri & Pasticcerie 2018 del Gambero Rosso. Classifica e premiati

Le migliori pasticcerie di Bolzano e dintorni: 5 indirizzi imperdibili

Le migliori pasticcerie di Salerno e dintorni: 9 indirizzi imperdibili

Le migliori pasticcerie di Padova e dintorni: 6 indirizzi imperdibili

Le migliori pasticcerie di Bologna e dintorni: 7 indirizzi imperdibili

Record storico per l'export agroalimentare. Superati i 41 miliardi di euro

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Il cibo italiano piace specialmente in Germania, che guida la classifica degli importatori del made in Italy agroalimentare, garantendo all'Italia quasi 7 miliardi di fatturato. Ma il 2017 ha fatto registrare un generale incremento dell'export, +7% rispetto all'anno precedente. E anche negli Stati Uniti i prodotti tricolore volano. 

Made in Italy da record

Comincia nel migliore dei modi l'anno nazionale del cibo italiano che i ministri Dario Franceschini e Maurizio Martina hanno proclamato all'unisono all'inizio del 2018. A far esultare gli addetti ai lavori del comparto agroalimentare, e l'Italia intera perennemente alla ricerca di una stabilità economica che faccia dormire sonni tranquilli, è il record fatto registrare dalle esportazioni del made in Italy alimentare nel 2017. Un risultato mai raggiunto prima per un fatturato pari a 41,03 miliardi di euro e un incremento del 7% rispetto all'anno precedente, che di fatto consolida il trend positivo dell'agroalimentare nazionale sui mercati esteri. Nello specifico, stando ai dati Istat sul commercio estero ripresi da Coldiretti, i maggiori importatori di eccellenze italiane si trovano dentro i confini dell'Unione Europea: quasi 2/3 delle esportazioni (per un valore di oltre 26 miliardi) finiscono sulla tavola di consumatori europei. Ma anche gli Stati Uniti si confermano una destinazione a cui guardare con attenzione per tenere alta la bandiera del made in Italy nel mondo: con 4,03 miliardi di euro di fatturato, gli States sono il mercato extraeuropeo decisamente più favorevole per i nostri prodotti.

 

A chi piace il cibo italiano

Ma in futuro sarà fondamentale sfruttare le potenzialità di mercati più giovani, ma promettenti, come la Cina. Il made in Italy sul territorio della potenza asiatica vale (solo!) 448 milioni di euro, ma le opportunità di crescita sono ben prevedibili, e il confronto con il passato indica comunque percentuali in crescita, con un +14,8% delle esportazioni di cibo italiano. Mentre più difficile, per il momento, resta la relazione con la Russia (sebbene il dato sull'export indichi +24%, ma bisogna considerare l'effetto dell'embargo da un paio d'anni a questa parte), e altrettanto limitate sono le esportazioni alla volta del Giappone. In Europa, invece, il cibo italiano piace specialmente alla Germania, prima nella classifica mondiale degli importatori made in Italy davanti a Francia e Stati Uniti. I tedeschi, così, fanno guadagnare al comparto agroalimentare tricolore ben 6,89 miliardi di euro, ma anche i cugini francesi dimostrano di apprezzare i nostri prodotti: in Francia il valore dell'export agroalimentare sale a 4,53 miliardi (+8%).

 

Strategie e obiettivi

I meriti, secondo il ministro del Mipaaf Martina sono da distribuire “ tra le nostre aziende, piccole, medie e grandi che hanno saputo guardare al mondo e il piano di internazionalizzazione voluto dal Governo, con il marchio unico per l'agroalimentare italiano”, e certo la volata lanciata da Expo 2015 non è stata ininfluente. Poi c'è la diplomazia, che ha giocato un ruolo fondamentale nell'apertura di frontiere prima precluse a specifici prodotti, “si pensi ai salumi negli Stati Uniti, o al maiale in Cina (rispettivamente dal 2014 e 2016, ndr)”, ma pure al via libera per uva da tavole e susine in Canada e alla buone relazioni ristabilite con Marocco e Algeria riguardo alla vendita di materiale di moltiplicazione di vite e fruttiferi. I prossimi obiettivi, quindi, tendono alla valorizzazione del patrimonio enogastronomico nazionale, che si concretizzerà con un giro di vite sulla trasparenza in etichetta (sul percorso già avviato con grano, formaggi, riso) e con l'ambizione di puntare alla vetta dei 50 miliardi in export agroalimentare entro il 2020.

 

a cura di Livia Montagnoli

 

NIO, la start-up italiana dei cocktail in bustina

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Giovani, italiani, intuitivi, sono il volto migliore di questa Italia un po' sonnacchiosa. Hanno lasciato due lavori “sicuri” per lanciarsi in un settore che prima frequentavano solo da fruitori, quello della mixology, inventandosi i cocktail in bustina. Sono Luca Quagliano e Alessandro Palmarin, i founder di NIO.

NIO: Needs Ice Only

Ero stanco di lavorare per le multinazionali e avevo voglia di creare qualcosa di mio, così un giorno ho avuto un'idea folle e ne ho parlato ad Alessandro, il quale si è dimostrato entusiasta”. A raccontarci gli esordi (recentissimi) è Luca Quagliano, con alle spalle esperienze commerciali in varie realtà, come Benetton, Intimissimi, Levi's, Vodafone. “Dopo la nascita delle mie due figlie la vita è necessariamente cambiata, le uscite si sono fatte sempre più sporadiche a vantaggio di molte cene a casa con gli amici, il cui epilogo all'italiana è rappresentato da amari e limoncello. Limitante, no?”. È semplicemente da qui che è scattata la scintilla: “Mi sono chiesto perché in un'epoca in cui a casa si può fare tutto, non si possa bere un buon cocktail”. L'idea era dunque quella di portare l'arte di un barman esperto e i migliori spirits nelle mani del consumatore finale, il quale deve semplicemente avere a portata di mano del ghiaccio. Da qui il nome Nio: Needs Ice Only.

NIO-Needs Ice Only

In che consiste?

In pratica i cocktail si presentano in bustine contenute in un cofanetto di piccole dimensioni (grande come un cd), facilmente trasportabile e che può essere conservato anche a temperatura ambiente. Si agita la confezione, si strappa l'angolo pretagliato e si versa il contenuto in un bicchiere pieno di ghiaccio. Et voilà, il cocktail è fatto. Niente polverine, pensiamo per esempio all'americana Palcohol, né bottiglie di vetro, in questo caso il riferimento va ai ragazzi del Mag Cafè con il loro servizio a domicilio. Un'idea dunque innovativa, che proprio per questo ha riscontrato resistenze burocratiche: “Purtroppo le cose innovative non sono così facili da digerire, almeno per la burocrazia italiana. Considerate che l'Agenzia delle dogane e dei monopoli ci ha inizialmente detto un no di default, perché non c'era alcuna licenza del genere. Alla fine l'ha creata ad hoc per noi; in Italia attualmente siamo gli unici ad averla”. 

Dal sogno alla realtà

Una volta ottenuta l'agognata licenza, Luca e Alessandro hanno iniziato a concretizzare il sogno. “Ne ho parlato con Massimo Palmieri che ha un'agenzia di marketing, il quale è entrato con una piccola quota in società e ha creato nome e logo. Ma non potevamo partire senza un super barman, così ci siamo rivolti a uno dei più bravi d'Italia: Patrick Pistolesi”. Sono del barman romano le dieci ricette attualmente disponibili nel sito di e-commerce aperto a novembre scorso. Dal Milano-Torino “preparato con vermouth Carpano e Campari” al Whiskey sour “fatto con il Bulleit Bourbon, mica con prodotti da discount, conservanti o agenti chimici”. Di media un cocktail costa poco meno di 5 €, ma il valore aggiunto sta anche nella confezione, “un cofanetto da collezione che, volendo, possiamo pure personalizzare”. La confezione merita un discorso a parte. “È composta da due elementi: la parte di cartoncino nella quale è spiegato il cocktail, e che dunque possiamo personalizzare, e la bustina di plastica alimentare che al suo interno ha un filtro apposito per le materie alcoliche, che consente di mantenere il prodotto inalterato nel tempo”.

Nio-cocktail

Progetti futuri

I cocktail in bustina vengono confezionati in un laboratorio di loro proprietà in Brianza, ma a giorni si trasferiranno all'interno dei laboratori del gruppo ICR, azienda specializzata nella creazione di profumi e cosmetici. “Ci appoggiamo da loro perché hanno ambienti asettici e il giusto know-how per la fase produttiva”. A onor di cronaca anche perché è entrato nell'azionariato con una quota di 1milione di euro il proprietario Roberto Martone, il quale detiene anche l'Hotel Magna Pars a Milano, dove i ragazzi apriranno entro fine marzo il loro primo show room. Già, perché i progetti futuri sono ambiziosi: “Oggi la maggior parte delle vendite sono destinate a ristoranti e hotel che non hanno un barman, oppure ad aziende che usano i nostri cocktail in bustina come strumento di marketing, penso per esempio a Discovery Channel o assicurazioni Generali per le quali abbiamo creato delle confezioni apposite. Ma il nostro intento è di espanderci all'estero, attraverso il franchising o magari salendo a bordo di aerei e navi da crociera”. Non male come piano.

 

https://nio-cocktails.com

 

a cura di Annalisa Zordan

Olio extravergine di oliva di qualità: 3 eventi da non perdere a Lucca, Trieste e Verona

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Da Lucca a Trieste, passando per Verona. Tre eventi per fare luce sul mondo dell'olio extravergine di oliva - quello buono - fra degustazioni, incontri e seminari.

Tre settimane all'insegna della qualità dell'oro verde, prodotto prezioso per la dieta mediterranea che continua, passo dopo passo, a raccogliere l'entusiasmo del pubblico appassionato, ma anche quello dei consumatori comuni, sempre più curiosi di capirne di più. Con l'obiettivo di valorizzare l'extravergine d'eccellenza, nei prossimi giorni tre eventi italiani animeranno diverse località della Penisola con degustazioni, forum, dibattiti e convegni.

ExtraLucca, l'olio buono a Palazzo Ducale

A cominciare da un festival già rodato nel cuore di Lucca, una due giorni dedicati alla cultura olearia italiana, con decine di produttori in arrivo da tutta la Penisola per proporre il loro olio. E poi specialità gastronomiche, verticali di vino e grandi nomi della ristorazione internazionale, da Gianfranco Pascucci a Gennaro Nasti per quello che ormai da 6 anni è un appuntamento fisso per tutti gli appassionati di extravergine. Extralucca è l'iniziativa voluta da Fausto Borella, presidente dell’accademia di Maestro D’olio, una manifestazione dedicata alla cultura olearia tout court, per approfondire le virtù dell’autentico extravergine artigianale accolti in un salotto d’eccellenza, il Palazzo Ducale. Cuore pulsante della manifestazione è la degustazione degli oli dell'anno da diverse regioni, con una sezione speciale per gli oli toscani, in onore della terra che ospita l'evento, con tante etichette da diversi territori della regione. Un'occasione unica per avvicinarsi al mondo dell'oro verde, confrontarsi con produttori e operatori del settore, e scoprire le bottiglie più buone dell'anno premiate dalla guida Terre D'olio.

extraLucca - Lucca - Palazzo Ducale – San Marco, 1 - dal 17 al 18 febbraio 2018 - www.extralucca.it/it/

Olio capitale, salone dell'extravergine a Trieste

Oltre 250 etichette in assaggio per ben quattro giorni nel cuore di Trieste, presso la Stazione Marittima. Torna la dodicesima edizione di Olio Capitale, una delle più importanti fiere specializzate interamente dedicate all'olio extravergine di oliva. In pieno centro sul fronte mare cittadino, la manifestazione si propone di diffondere la cultura dell'olio come alimento imprescindibile della nostra dieta e formare i consumatori affinché siano in grado di distinguere l'olio industriale da quello artigianale di qualità. Tanti luoghi comuni e convinzioni da scardinare, falsi miti da sfatare, attraverso laboratori, convegni e dibattiti. Confronto diretto con i produttori, italiani ma anche croati, spagnoli e greci, per capire, da chi vive in prima persona il settore, le basi della filiera, dalla coltivazione alla raccolta. Consigli per l'uso anche per la conservazione, fondamentale per mantenere intatti gli aromi ed evitare processi di ossidazione. Disponibili anche i corsi di assaggio e piccole lezioni di avvicinamento all'analisi sensoriale dell'extravergine. Un'importanza rilevante la riveste il contest riservato alle aziende produttrici: gli oli saranno valutati da tre diverse giurie, che analizzeranno il profilo aromatico e gustativo di ogni prodotto, andando alla ricerca di quello che meglio racconta il territorio.

Evoo days, le giornate dell'olio a Verona

Dopo il successo della prima edizione, anche quest'anno tornano gli Evoo days, iniziativa di Veronafiere-Sol&Agrifood a supporto della filiera dell’olio d'oliva in programma i prossimi 19 e 20 febbraio. Con forum e dibattiti dedicati a diverse tematiche, dalla sempre più ricca biodiversità italiana alle proprietà nutritive, dalla salute alle analisi di mercato, senza dimenticare il momento dedicato all'assaggio. Per una due giorni all'insegna della cultura dell'olio extravergine di oliva durante il Sol & Agrifood, fiera dell'agroalimentare di Verona. Una kermesse di seminari, convegni e laboratori sull'oro verde d'Italia, con relatori nazionali e internazionali pronti a confrontarsi sugli argomenti di attualità del settore olivicolo. Come costruire i nuovi oliveti che dovranno soddisfare le esigenze di domani? Impianti intensivi o superintensivi? Quali varietà? Quanto strategico è e sarà l’uso dell'irrigazione e della fertirrigazione? A queste e molte altre domande si propongono di rispondere gli addetti ai lavori presenti alla manifestazione. Fra i banchi d'assaggio, poi, non mancheranno prodotti tipici e specialità dolci e salate del territorio.

Evoo days | Verona | Veronafiere – viale del Lavoro, 8 | 19 e 20 febbraio 2018 | www.solagrifood.com

a cura di Michela Becchi

Capodanno cinese 2018: tradizioni, piatti tipici e due ricette tutte da provare

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15 giorni di festeggiamenti per celebrare l'arrivo dell'anno del Cane. È il Capodanno cinese, che si celebra anche in Italia con spettacoli, sfilate e piatti tipici.

Per i cinesi, quelli che abitano dentro e fuori i confini del Celeste impero, è la festa più importante e sentita dell'anno, un po' come il Natale in Occidente. E come per il Natale, il Capodanno cinese - legato al calendario lunare e per questo variabile - è principalmente una festa da trascorrere in famiglia, a partire dalla sera della viglia e poi per due settimane nelle quali si celebra la festa di Primavera (chunjie), fino alla conclusione con la festa delle Lanterne. Ma in ognuno dei giorni successivi al Capodanno, quest'anno il 16 febbraio, ci sono cibi tradizionali e consuetudini da seguire. “Il secondo giorno si vanno a trovare i parenti” spiega Francesco Boggio Ferraris direttore della scuola di Formazione permanente della Fondazione Italia Cina “il settimo, il renri, è il giorno dell'uomo ed è la giornata della benevolenza, con un evidente parallelismo con la simbologia cristiana”. Quello che sta cominciando ora è l'anno del Cane, undicesimo segno dello zodiaco cinese e simbolo di fedeltà, tolleranza e rispetto.

Il Capodanno cinese

Si deve tornare indietro di millenni per arrivare alle origini di questa festa, che tradizionalmente si fa risalire alla dinastia Shang, intorno al 1600 a.C. In quel periodo cominciano le celebrazioni commemorative della sconfitta di Nian, il leggendario mostro antropomorfo con denti aguzzi e sguardo feroce che si manifesta ogni 365 giorni, in questo periodo. Incarna il male e il pericolo. Il dragone con il volto di leone che si spesso vede sfilare, invece, è una figura positiva, che ha il compito di difendere e fare la guardia - non a caso spesso i leoni sono posti all'ingresso delle abitazioni come guardiani – dunque proteggere dal demone. Nian, termine che significa anno, simboleggia l'anno trascorso che deve essere cacciato. Secondo la leggenda questo mostro che divora uomini e animali è infastidito dai rumori forti e dal rosso, per questo il Capodanno è celebrato con fuochi d'artificio (l'arte pirotecnica è profondamente radicata nel Paese e si riconoscono giorni e orari più propizi alla sua pratica) e oggetti, lanterne e abiti di colore rosso, che secondo la tradizione hanno il potere di allontanare il demone. Rosse sono anche le buste (hongbao) che vengono donate, direttamente o – è il segno dei tempi – anche tramite la app wechat, diffusissima in Cina. Dentro ci sono dei soldi, anche quando sono inviate tramite l'app collegata al conto in banca, “per i cinesi il denaro non è tabù, non è sconveniente o poco elegante parlarne e legarlo alle festività. C'è una tradizione laica”, ma che tiene conto di alcune superstizioni: mai donare soldi in cifre che contengano il numero 4 o i suoi multipli poiché questo numero si pronuncia in modo uguale alla parola morire, quindi è considerato sfortunato e da evitare, in favore di cifre fortunate.

La sfilata è un momento di grande festa, ma il Capodanno è soprattutto una festa intima da trascorrere in famiglia. Ce lo racconta Marco Liu, del ristorante Ba Asian di Milano, perfetto esempio di seconda generazione (è nato a Reggio Emilia), imprenditore nel settore della ristorazione insieme ai fratelli Claudio (patron di Iyo, votato con Tre Mappamondi, massimo riconoscimento ai ristoranti etnici nella nostra guida Ristoranti d'Italia del Gambero Rosso) e Giulia (alla guida di Gong), autori di una proposta etnica, glamour e di alta qualità. “In Cina ci sono persone che lavorano 360 giorni l'anno e prendono solo 5 giorni di ferie in questo periodo, per stare in casa con i parenti”. Ma anche in Italia ormai è possibile assistere alle variopinte sfilate e agli spettacoli in onore del Capodanno cinese: a Milano, domenica 18 in via Paolo Sarpi (nel cuore della China Town) mentre il Mandarin Oriental Milano festeggia ospitando, fino a sabato 17 al Mandarin Bar & Bistrot, James Hu, chef del ristorante Yong Yi Ting del Mandarin Oriental Pudong a Shanghai, con un menù di quattro portate di autentica cucina cinese (con piatti come Consommé di pollo con vongole egelsomino e Polpetta di astice saltata con pane croccante); a Roma sabato 17, a piazza del Popolo, sono previste esibizioni di arti marziali, acrobazie e giochi pirotecnici, cortei sempre il 17 a Prato (dove è presenta una folta comunità cinese) e Padova, mentre altre iniziative sono previste anche a Torino, Bologna, Cagliari.

 

Il cibo

Gran parte delle tradizioni gastronomiche del capodanno cinese hanno alla base motivi linguistici” spiega Boggio Ferraris, e aggiunge “perché alcuni cibi sono omofoni o ricordano nei suoni quelli di parole benauguranti” così – per esempio – la cena della vigilia o il primo giorno dell'anno (ma più spesso in entrambi i banchetti) non possono mancare piatti a base di pesce, in genere serviti come ultima portata, la parola pesce (yu), ha lo stesso suono di quella che indica la prosperità. Mangiare pesce la vigilia e capodanno significa, dunque, avere molti soldi e accumularne anche per l'anno successivo. Tra i pesci più consumati ci sono la carpa carassio (jiyu) il cui nome significa buona fortuna e abbondanza, e il pesce gatto (nianyu) che suona come anno e abbondanza, a indicare una prosperità che si rinnova anno dopo anno. Nel quinto giorno della festa di Primavera si mangiano i ravioli, detti jiaozi, anch'essi augurio di fortuna perché ricordano, stavolta non nel nome ma nella forma, i lingotti d'oro che si usavano un tempo, simili a delle barche, di forma ovale con le estremità rivolte verso l'alto “è un augurio di ricchezza, un po' come le lenticchie per noi” aggiunge Boggio Ferraris.“Poi noi i jiaozi tipici di questo periodosono i goutie, i ravioli brasati, solitamente ripieni con pancia maiale, zenzero e cipollotto e magari un po' di verdura” spiega Marco Liu, che spiega “I ravioli si possono preparare al vapore ma la cottura più corretta è a fuoco basso, in una pentola coperta, con i bordi alti, in circa un centimetro e mezzo di acqua. Quando l'acqua si asciuga il raviolo si scotta e diventa croccante”. Naturalmente anche in Cina, come accade in Italia, le ricette variano da regione, talvolta di casa in casa.

Durante la festa delle Lanterne, che chiude le celebrazioni per l'anno nuovo, si mangiano tāngyuán, le palline di riso dolce “che nel nome e nella forma sferica richiamano allo stare insieme, all'armonia in famiglia e alle riunioni familiari attorno alla tavola, di solito circolare” spiega Boggio Ferraris. In genere sono farcite con marmellata di fagioli, datteri, o una pasta di sesamo nero, bollite in acqua e zucchero e servite con lo sciroppo di cottura, “ma non mancano versioni diverse, senza farcitura, oppure fritte e ricoperte di zucchero di canna grezzo” aggiunge Liu.

Un altro piatto tipico di questi giorni si chiama niangao, una torta di riso agglutinato cotto al vapore con zucchero, castagne, datteri o foglia di loto. È una pietanza che si trova in diverse versioni, spiega Marco, sia dolce che salata, che rappresenta un augurio di avanzamento nella scala sociale, e significa – in modo più o meno letterale - anno più alto. Nelle case, inoltre, si trovano aranci o mandarini ordinati in piccole piramidi, sono il simbolo del capodanno. “Anche in questo caso il motivo è da cercare nel suono dei loro nomi, cheng e ju, che richiamano rispettivamente quelli di successo e di buona fortuna” conclude Francesco Boggio Ferraris.

 

Le ricette

Ba Asian Mood, fondato nel 2011, è il più cinese dei locali dei fratelli Liu, figli d'arte (la famiglia si trasferì da Reggio Emilia a Milano nel 2003 per aprire una pizzeria), che – insieme – hanno per primi portato nel capoluogo meneghino una nuova concezione di cucina esotica, ben lontana da quella dei ristoranti cinesi di basso livello che imperversavano fino a poco tempo fa sulla Penisola: la loro è una cucina di alta qualità, moderna e fuori dagli stereotipi del genere. Ba Asian Mood è un locale informale in cui nulla è trascurato, a partire dalla lunga lista di dim sum passando all'ampia scelta di pietanze al vapore, dai tanti crostacei agli spaghetti di riso che spesso si arricchiscono di prodotti italiani, come italiana (e in parte francese) è la cantina. Qui la proposta è quella di una cucina cinese che non tradisce la sua storia gastronomica ma non ha timore di concedersi qualche accento fusion e punte di rinnovamento. Del resto la storia del suo patron è quella di un giovane dei nostri tempi, nato in Italia con parte della famiglia, e del suo cuore, nella lontana Cina.

 

Ravioli di carne alla piastra

Per l'impasto

500g farina di grano

20g fecola di patate

5g zucchero

500ml acqua

 

Per il ripieno

600 g di pancettone di maiale tritato

90 g di sale

150 g di cavolo cinese sminuzzato

55 g di zucchero

10 g di oyster sauce

10 g di zenzero tritato

5 g di pepe

20 g di olio

Impastare le farine e lo zucchero con acqua tiepida e lasciare riposare.

Per il ripieno, amalgamare tutti gli ingredienti insieme in modo da ottenere un impasto omogeneo.

Preparare dei dischi da 8/10 cm di diametro con l’impasto (8/10g a dischetto)e farcirli con il ripieno appena preparato, chiudendo il raviolo a forma di mezza luna. (20-22g per raviolo),

Cuocere i ravioli al vapore per 4 minuti e infine passare la base dei ravioli in padella con un filo d’olio a fiamma bassa fino a raggiungere una d’oratura croccante, oppure seguire la procedura descritta nel testo.

 

Green T.

Sono 13 anni che Green T. racconta la varietà, la freschezza e l'incredibile raffinatezza della cucina cinese autentica. Lo fa nel cuore della capitale, in un magnifico locale su più livelli vicino al Pantheon, in cui si condensano la cultura, il gusto e lo stile cinese. Ristorante gourmet, casa da tè (Jiang Yan, proprietaria insieme al marito sommelier Giacomo Rech, è maestra del tè), boutique, in un ambiente di grandissimo fascino ed eleganza, con mobili e oggetti antichi. Un luogo in cui cucina imperiale e cucina di strada hanno la stessa dignità, realizzate rispettando tecniche tradizionali, talvolta antichissime, e selezionando con cura le materie prime. Basta provare gli involtini primavera o l'anatra laccata servita in tre portate con pelle croccante, carne al wok e zuppa finale per capire la differenza.

 

Astice al curry con insalata di riso venere, alghe, edamame e funghi shiitake (gluten free)

 

Astice femmina viva da 600 g

2 cucchiai di curry di Madras in polvere

1 cucchiaino da tè di zenzero tritato

1 patata, tagliata a fettine sottili

100 g di funghi shiitake

5 -6 spicchi di aglio pelati e lasciati interi

1 peperoncino rosso lungo, senza i semi e tagliato a dadini

8 carote baby sbollentate

Broccoli siciliani (solo il fiore) sbollentati

2 cucchiaini di cipollotti tagliati a rondelline (anche il gambo)

1 cucchiaino di prezzemolo tritato

3 cucchiai di olio di arachidi

500 ml di fondo di pollo (aumentate la quantità del brodo se volete la ricetta più salsosa)

1 cucchiaino di sale

¼ di cucchiaino zucchero di canna

350 gr di latte di cocco

1 cucchiaio di salsa di ostriche

Fecola di patate per infarinare

Foglie di Curry come guarnizione

Sale rosa dell’Himalaya

 

Per il fondo di pollo (per 1 litro di brodo):

2 litri di acqua

½ kg di gallina

400 g di maiale magro

160 g di gambuccio di prosciutto

Portate l’acqua ad ebollizione e aggiungete le carni. Cuocere a fuoco minimo per circa 4 ore, fino a riduzione del liquido a circa 1 litro. Filtrare e lasciare riposare.

 

Per l’insalata di riso nero

80 gr di riso nero Venere

Fungo Shiitake o altri funghi a vostra scelta

2 cucchiai di edamame congelati o freschi

Alghe Kombu o Hijiki qb

1 cucchiaio di miele liquido

1 cucchiaio di olio Evo

1 cucchiaino da tè di olio di sesamo

1 cucchiaio di aceto di riso

3 cucchiai di salsa di soia dolce gluten free

 

Cuocere il riso Venere in acqua bollente con un cucchiaino da caffè di sale rosa dell'Himalaya. Cuocete per il tempo indicato sulla confezione comunque, se vi piace un po’ croccante per 25 minuti, più soffice, per 45 minuti. Scolatelo per bene, passatelo sotto l’acqua fredda e mettetelo da parte.

Cuocete gli edamame in acqua bollente per 5-6 minuti, poi sciacquateli sotto l’acqua fredda per bloccare la cottura. Tagliate a fettine sottili i funghi, scaldate l’evo e saltate i funghi per circa 4 minuti, finché si inteneriscono. Aggiungete il riso, gli edamame e 1 cucchiaio di cipollotti e saltate insieme.

In una ciotola preparate una salsa amalgamando salsa di soia, aceto di riso, miele e olio di sesamo, stendere sul riso e mescolate bene.

NOTA. A piacimento e secondo stagione potete modificare gli ingredienti: asparagi e piselli o mango, avocado e arachidi, broccoli o cavolfiori o alghe …

 

Per l’astice

L'astice va comprato vivo. Preferite la femmina, perché la sua carne è più compatta e gradevole, talvolta ricca di uova. Si riconosce dalle alette sui fianchi, che le servono per ossigenare le uova. Lavate bene l’astice, passandolo sotto il getto dell’acqua fredda e strofinate il suo carapace con una spazzoletta. La preparazione dell'astice non è gradevole: al Green T. non vengono gettati vivi nell’acqua bollente, ma - per compassione della loro sofferenza – vengono “anestetizzati”, riponendoli qualche minuto nell’abbattitore: al freddo, si addormentano e non sentono dolore. Voi potete fare lo stesso con il congelatore, lasciandoveli per 15’. Dopo, staccate le zampe e le chele dell’astice dal corpo, nel punto in cui si uniscono al torace e torcete la coda fino a staccarla, mentre con l’altra mano tenete la testa. Con un trinciapollo, tagliatelo a metà, nel senso della lunghezza, eliminate la sacca dello stomaco posta dietro la testa e l’intestino, ma recuperate le parti gialle e cremose all’interno della testa e le uova sotto la coda, se ve ne sono. Tranciate la coda in pezzi e rompete le chele con un coltello pesante. Sciacquate e scolate bene i pezzi.

Infarinate i pezzi di astice con la fecola di patate e rosolateli nel wok a fuoco vivo nell’olio di arachidi caldo, finché si colorano uniformemente di rosso, ma non superate la metà cottura della polpa.

Toglieteli e soffriggete leggermente i cipollotti con 1 cucchiaino di zenzero e il prezzemolo. Aggiungete il fondo di pollo e la polvere di curry, poi il latte di cocco, mescolate bene e portate a ebollizione, finché la salsa non si sia ridotta e rassodata.

Mentre la salsa si addensa, in una padella antiaderente, con poco evo, saltate per circa 3 minuti i funghi shitake affettati, gli spicchi d'aglio, il peperoncino tagliato a cubetti, le patate, le carote e i broccoli.

Unite i pezzi di astice, il sale e lo zucchero. Cucinate a fuoco vivace per circa 10 minuti o fino a cottura completa dell’astice, poi aggiungete le parti cremose della testa, le uova, la salsa di ostriche. Amalgamate bene. Versate l’astice in un piatto ben caldo e servite disponendo a lato l’insalata di riso nero con uno stampo per impiattare. Guarnite con qualche fogliolina di curry.

 

 

Ba – Asian Mood – Milano - via Carlo Ravizza 10 – tel. 02 46 93 206 - www.ba-restaurant.com

Green T. - Roma - via del Piè di Marmo, 28 - tel. 06 6798628 – www.green-tea.it

 

a cura di Antonella De Santis

 

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