Quantcast
Channel: Gambero Rosso
Viewing all 5335 articles
Browse latest View live

Tenute SalvaTerra e Gambero Rosso lanciano una giornata per ripensare al mondo del vino in modo visionario

$
0
0

Il territorio della Valpolicella è protagonista del progetto di valorizzazione e comunicazione promosso dalle tenute SalvaTerra in collaborazione con Gambero Rosso, che, il prossimo 18 maggio, si incontreranno a San Pietro in Cariano per riflettere insieme ai “visionari” del vino.  

Promuovere il vino e la terra

Nomen omen. Così, quella delle tenute SalvaTerra è diventata quasi una missione: promuovere il territorio della Valpolicella nel rispetto dell'ambiente e del suo forte legame con il vino. Su questo fil rouge è nato il progetto della Giornata SalvaTerra, in collaborazione con il Gambero Rosso, la cui prima edizione è stata programmata per il 18 maggio 2018, a San Pietro in Cariano (Verona).

"Vorremmo che fosse un'occasione per sviluppare una nuova visione del mondo del vino" spiega l'ad di Tenute Salvaterra Paolo Fontana "Di solito si tratta di un mondo molto tradizionalista, ingessato e autoreferenziale. La nostra visione, invece, è diversa. Pensiamo a un discorso più ampio che possa coinvolgere un target di persone variegato, i cosiddetti 'visionari', per un confronto su diversi temi, che spaziano dalla sostenibilità al concetto di tempo. È un progetto in cui crediamo molto, per questo vorremmo che diventasse un appuntamento annuale, da replicare ogni terzo venerdì di maggio. Presto verranno annunciati i nomi – tra cui grandi chef, giornalisti, imprenditori – che prenderanno parte alla giornata. Una giornata divisa in due parti: di mattina il momento della provocazione, di pomeriggio quello della sedimentazione, in una tavola rotonda in cui riflettere sugli input innescati".

 

Come superare la vecchia narrativa del vino?

Il comitato scientifico dell'evento è composto da Marco Sabellico (Gambero Rosso), Giacomo Mojoli (docente universitario), Marco Gualtieri (Seeds & Chips), Paolo Fontana (ad Tenute SalvaTerra) e Licia Granello (La Repubblica). Ed è proprio quest'ultima a spiegarci più nel dettaglio cosa bolle in pentola: "L'idea è superare la vecchia narrativa del vino, dove ognuno legge la propria noiosa relazione e torna al suo posto. Puntiamo, invece, a incontri-confronti di 30 minuti su temi specifici, analizzati da più punti di vista. Quello economico, quello filosofico, artistico e così via". Otto interventi per otto persone suddivise in 4 gruppi per affrontare 4 diversi temi. Alla fine ci sarò anche un premio, che andrà all'idea più visionaria.

Intanto, aspettando il 18 maggio, è stato lanciato lo speciale TV Tenute SalvaTerra - l’Essenza del Territorio, condotto da Marco Sabellico e visibile su Gambero Rosso Channel (prossime repliche sabato 30 dicembre alle ore 17.30 e domenica 31 dicembre alle ore 16.30). È la storia di una grande passione per il territorio e dell'incontro fortunato tra un gruppo di imprenditori, guidati dal piemontese Paolo Fontana, e la famiglia veneta Furia (che tutt'ora detiene il 30% delle quote), avvenuto quattro anni fa, che ha portato al progetto di rilancio dei vini.

 

SalvaTerra

Oggi la galassia SalvaTerra abbraccia 657 ettari di terreni e ben 8 tenute dislocate in alcune delle aree più vocate del Veneto, dal Lago di Garda ai Colli Euganei, passando per la Valpolicella: Villa Giona, Tenuta di Mezzane, Cazzano di Tramigna, Tenuta di Montorio, Tenuta di SanMartino Buonalbergo, Tenuta di Oliosi, Tenuta di Vescovana e Tenuta di Prun, che comprende le spettacolari cave di marmo, utilizzate anche per la costruzione dell'Arena di Verona.

"La scelta di puntare sul Veneto" racconta Fontana (piemontese doc, con un passato da manager in Gancia) "è nata da una semplice constatazione: il Veneto è la prima regione vitivinicola italiana, con la percentuale export più alta e con tre eccellenze vitivinicole che tutto il mondo ci invidia: vini della Valpolicella, Prosecco e Pinot Grigio". A seguire la parte enologica è stato chiamato un altro piemontese di razza: Beppe Caviola, il re Mida del nebbiolo. La prossima sfida dell'azienda, adesso, si chiama sostenibilità. È già in corso un processo di conversione che, dovrebbe nel giro di qualche anno, portare alla certificazione biologica e al compimento di quel progetto già racchiuso nel nome SalvaTerra.

 

a cura di Loredana Sottile

 


I migliori panettoni al cioccolato. I pasticceri italiani che lo fanno

$
0
0

Non uno ma tanti panettoni al cioccolato, una famiglia allargata, con padri, figli e nipoti, del più famoso dolce natalizio. Dalla variante più semplice con gocce di cioccolato nell'impasto a quelle più ardite e accessoriate, con il figlio della fava di cacao in tutte le sue forme e abbinato ad altri compagni di viaggio. Scopriamo quali sono le migliori pasticcerie che le producono.

Panettone e cioccolato. È la quintessenza della golosità, è l'incontro difficile tra la nuvola di pasta lievitata e la natura densa e materica del cacao: praticamente un ossimoro. E anche se per molti il panettone è solo quello tradizionale, la variante al cioccolato è ormai un classico che non può mancare nell'assortimento di qualsiasi pasticciere, e con un suo rispettabile esercito di fan. Del resto, come diceva John Q. Tullius, “nove persone su dieci amano il cioccolato; la decima mente”.

Il panettone più difficile

Bontà al cubo ma anche difficoltà all'ennesima potenza. Se il panettone tradizionale uvetta e canditi nella sua forma moderna più che un pane dolce arricchito è un lievitato che sfida le legge della fisica, un campione di ingegneria dolciaria, quello al cioccolato è un banco di prova anche per i pasticcieri più bravi e virtuosi: il panettone dei pasticcieri eroi. Il maestro Iginio Massari docet: “il cioccolato assorbe l'umidità e asciuga il lievitato”. Tutto lo sforzo per creare un impasto leggero e aereo a nuvola setosa e leggermente umida rischia di essere vanificato dall'irriverente figlio della fava di cacao che sequestra l'acqua del dolce, la succhia come una spugna, lasciando la mollica secca e cartonata, e con grandi cavità nella struttura alveolata. Non solo. Tende a togliere al panettone i caratteristici profumi freschi e solari sia, spesso, per l'assenza degli agrumi, sia per le naturali tonalità aromatiche cupe e crepuscolari del cioccolato. Il pasticciere si trova così a muoversi in un terreno accidentato e in uno spazio troppo angusto per fare la scelta giusta: quanto e quale cioccolato usare, come lavorarlo, con quali ingredienti abbinarlo e in che misura, come cuocerlo?

Uno e centomila

L'albero genealogico del panettone parte dalla tipologia più semplice, ancora nei ranghi del dolce classico: la mollica è gialla come quello della versione tradizionale, con i pezzettini di cioccolato tra gli alveoli al posto di uvetta e canditi, mentre la cupola è nuda di decorazione oppure con la classica glassa all'amaretto. Tutt'al più le varianti si moltiplicano per quattro secondo il tipo di cioccolato usato: al latte, fondente, gianduja, bianco. Ma è una scelta che dice già molto, in termini di gusto e di soluzione nella ricerca dell'impasto perfetto. “Faccio anche il panettone al fondente ma nella mia pasticceria ha più successo quello con il cioccolato al latte”, spiega il mastro dolciere Alfonso Pepe di Sant’Egidio del Monte Albino, ambasciatore del Cacao Barry,“piace ai bambini ed essendo più grasso del fondente mantiene morbido l'impasto”. Altri pasticcieri che producono il panettone con cioccolato al latte: Salvatore De Riso (il Cremderì, nella confezione l'omonima cremaa base di nocciole e cacao da spalmare sul panettone), Mennella, Macellaro (con alta percentuale di cacao), Dolciarte di Avellino (l'“inzupposo” Caffè e Latte, da colazione dei giorni di festa).

Il panettone al fondente nella sua versione base lo fanno in tanti, dalla milanese pasticceria Cova di via Montenapoleone a Scutellà nell'entroterra di Reggio Calabria. Quali sono i più buoni? Se si sceglie tra le pasticcerie nella classifica del panettone tradizionale pubblicata sul mensile del Gambero Rosso di dicembre non si sbaglia. In rappresentanza del panettone al gianduja citiamo la brianzola Boutique del Dolce del maestro Achille Zoia (suo cavallo di battaglia il panettone noci, cioccolato e uvetta), che ci svela la sua ricetta: “all'interno pasta di nocciola che dà grasso e aromi e pasta di gianduja amara, a copertura una glassa di nocciole e cacao, e bassa percentuale di cioccolato per conservare la sofficità del dolce, che comunque va mangiato fresco, entro le tre settimane”. Sul fronte del cioccolato bianco, coreografico e goloso il panettone al caffè di Lombardi, con l'impasto scurito dalla miscela di Arabica, il cioccolato bianco all'interno e a copertura, e una spolverata di caffè sulla cupola color avorio.

Tutto cioccolato

Lo step successivo del panettone easy al cioccolato è la presenza più importante del cacao, sia all'interno che nella copertura, per grandi lievitati con tutte le sfumature del barocco coniugato alla pasticceria. Sono due gli interpreti che propongono le migliori espressioni di questo panettone ipergoloso: Rami Kozman, dell'omonimo laboratorio di alta pasticceria nella periferia di Roma, e Pasquale Marigliano, maître chocolatier e pâtissier nell'hinterland di Napoli. Tanto il primo è esagerato e ormonale, quanto il secondo è educato e raffinato. Quello di Koznam non è panettone al cioccolato ma cioccolato al panettone, con pepitone abbondanti che si addensano nell'impasto e ricoprono la cupola a fungo in modo evocativo: ricorda il panino al burro con dentro la tavoletta di cioccolato fondente della merenda di una volta. Il panettone di Marigliano è un'elegante astronave di cioccolato, con la cupola liscia e smagliante di lucido fondente, che nasconde un impasto composto dove trovano la loro beata quiete sia la lievitazione che il cioccolato. Nel panettone di Rami il cioccolato prende il sopravvento sull'impasto, con cavità e un'alveolatura scomposta, imponendo la sua natura sguaiata ma vitale. Ma è questa la sua forza, grazie anche alla qualità del cacao, un monorigine Repubblica Dominicana profumatissimo e travolgente. Un ragazzo di vita gaudente e goloso di vita, dove il cioccolato è apparentemente non gestito, in realtà tenuto a guinzaglio extra lungo per concedergli spazio e dare al dolce un'esuberanza un po' maleducata ma goduriosa. Il panettone di Marigliano è un piccolo principe del sublime nettare, un jeune seigneurtres chic in abito da grand soirée, con una gestione perfetta degli ingredienti e un esemplare controllo della materia.

Un monumento di barocco fiorito prossimo al rococò è All Black di Corrado Vicina, estroso pasticciere di Maghi Infarinati a Ivrea, che del dolce di Natale propone un ricco campionario (fatto con le farine del mulino Marino); un panettone tutto cioccolato di nome e di fatto, con gocce di fondente e massa di cacao che scuriscono l'impasto, e sulla cupola pezzi di meringa al cioccolato. I pistoiesi fratelli Lunardi – alle spalle un lungo e glorioso vissuto nel cioccolato – oltre al panettone con impasto dorato e un blend di fondente al 65%, e una ricca glassa di gianduja, disponibile solo sotto Natale, produconotutto l'anno il Black, una monoporzione di 120 grammi dall’impasto cioccolatoso e imbevuto di Vin Santo toscano, che oltre a dare aromi conserva il dolce a lungo, con una morbidezza garantita per 8 mesi. Belli e buoni anche i panettoni al fondente di Michele Falcioni per Posillipo Dolce Officina di Riccione (con 70% Guanaja, fava di tonka, pasta d'arancia e zucchero caramello), di Mamma Grazia di Nocera Superiore (panettone al cioccolato sfumato), di Comi a Missaglia (il Gocciolone), di Roberto Cantolacqua della pasticceria Mimosa di Tolentino (già battezzato Oro Nero).

panettone di FerrantePanettone di Ferrante

Agrumi

Un'unione vincente è quella tra il cioccolato e la frutta e gli agrumi, che oltre a dare una fresca acidità e arrotondare la paletta aromatica rappresentano delle riserve di umidità per l'assetato cioccolato, contribuendo a evitare il rischio della deumidificazione del lievitato. Rimane nella tradizione il panettone cioccolato e agrumi, un matrimonio riuscito grazie alla complementarietà dei due ingredienti, con la freschezza degli agrumi canditi - in genere l'arancia – che alleggerisce le tonalità profonde e fosche del cioccolato fondente. Alcuni nomi eccellenti: Perbellini Ernesto, Martesana, Mennella, Rinaldini, Attilio Servi, Scutellà, Pietro Macellaro (con fiori di lavanda), Corrado Vicina di Maghi Infarinati (il King Willy, con mandarino tardivo di Ciaculli). Mandarino anche nelle versioni con cioccolato bianco proposte da Beltrame, Ferrante e Dolciarte di Avellino (con zucchero muscovado).

Gusto Sacher

Abbinamento di successo anche quello fra albicocca e cioccolato fondente (più raramente al latte o bianco) ispirato al gusto Sacher, con il particolare sapore dolce-aspro del frutto che arrotonda la bocca. Non a caso ha vintoil premio PanGiuso 2017 dedicato al dolce innovativo di Natale nell'ambito di Re Panettone la pasticceria genovese Ferrante con l'AlbiMokka, all'interno albicocca candita e infuso liquoroso al caffè, sopra una copertura barocca di cioccolato bianco, con glassa e grandi rose spolverate da caffè macinato. Da non perdere il Panetùn de l'Enzo della pasticceria Martesanae le versioni “bianche” territoriali con l'insuperabile albicocca pellecchiella del Vesuvio e white chocolate proposte da Mennella e Gabbiano.

Panettone pere e cioccolato dell'Antico Forno Roscioli

Pere

Un tandem di tendenza è cioccolato fondente e pere, di cui l'Antico Forno Roscioli di Roma pare sia il caposcuola. “Siamo stati i primi a farlo” precisa Pierluigi Roscioli, l'ultima generazione della famosa famiglia di fornai romani, orgoglioso del suo “panettone da panettiere”. E che ha degni epigoni in Claudio Gatti della pasticceria Tabiano (la focaccia al cioccolato, conpere a pezzettoni e sciroppo al Grand Marnier), Maurizio Bonanomi della pasticceria Merlo, Olivieri, L'Ôfelee, DenisBuosi, che propone uno spazialepanettone con l'impasto scurito da massa di cacao Venezuela, pepe selvatico del Madagascar e ganache fondente al 70% iniettata a cottura ultimata, punteggiata da cubetti di pera semicandita, e a guarnizione glassa e piccole perle di fondente. Il barocco trionfante sposa la pasticceria nel panettone ricotta e pere di Sal De Riso, con la crema a base di ricotta e cioccolato bianco fuso, sia siringata nell'impasto che spalmata sulla cupola del lievitato, coronato da pere candite e nocciole tostate.

Fichi, ciliege, frutti di bosco, zenzero

Se cioccolato e fichi è un abbinamento sperimentato soprattutto da pasticcieri del sud Italia (la Pregiata Forneria Lenti e Pietro Macellaro, che impiegano il dolcissimo fico bianco dottato del Cilento), nei panettoni design & glamour della Patisserie di Selvazzano Dentro cioccolato e frutta si incontrano conla complicità di una tecnica messa a punto da Denis Dianin: “non usiamo le gocce, il cioccolato lo fondiamo, lo facciamo rapprendere e lo tagliamo a cubetti, in questo modo il cioccolato rimane morbido, quasi cremoso come una ganache, e non asciuga il panettone”. Del dolce di Natale il pasticciere di Selvazzano oltre alle varianti cioccolato bianco, arancia e fava di tonka, e quelle con l'agrume associato sia al fondente che al latte – propone gli abbinamenti con fondente e ciliegia o amarena, cioccolato bianco, caffè e albicocca. Ad alto tasso di golosità ilVIP Very Irresistible Panettone di Rinaldini, nell'impasto scaglie di fondente al 62% Venezuela eamarene candite in casa, e glassa al gianduja.

Cioccolato bianco e frutti di bosco: un accostamento di successo grazie alla freschezza e all'acidità dei piccoli frutti che bilancianola sensazione grassa e stucchevole dell'oro bianco. Gli interpreti più interessanti: Olivieri, L'Ôfelee, Panificio Ascolese di San Valentino Torio, Picchio di Loreto (panettone Bocelli). Lo zenzero, radice che sta riscuotendo successo anche in pasticceria e cioccolateria, è un dolce partner dell'oro nero in panettoni che vogliono osare. Li producono le milanesiMartesana e Pasticceria & Dessert di Marcello Rapisardi, Gabbiano (CioccoZè, insieme alla pera), Beltrame (con la pesca), Perbellini Ernesto (concedro).

Panettone di Denis BuosiPanettone di Denis Buosi

Ai tre cioccolati

Bianco, al latte e fondente per un panettone ai 3 cioccolati che fa tendenza. Lo producono Dolciarte di Avellino, Infermentum di Grezzana (con profumo d'arancia) e il Panificio Ascolese. Anche Denis Buosi gioca la carta dei 3 cioccolati nell'esclusivo panettone al Buosino (la bevanda della casa a base di cioccolata calda e caffè), con pasta di caffè e gocce di fondente al 70% aggiunti all'impasto tradizionale, all'esterno glassa di fondente ricoperta da gocce di cioccolato bianco. Mentre il forno Roscioli scommette su un tris di fondente: il blend equatoriale al 54% e i cru Guanaja e Manjari.

Gli alcolici

Chi non conosce il Panbriaconedella pasticceria Bonci a Montevarchi? La variante di questa specie di panettone “ubriaco” di sciroppo alcolico sono i Bria, in 7 varianti che contemplano anche quelle al rum e cioccolato fondente, il Mokanero con gocce di cioccolato fondente e liquore al caffè, ilBianco con cioccolato bianco e liquore, o caffè espresso. Nel solco tracciato dal Bonci aretino si è mosso Roberto Cantolacqua della pasticceria Mimosa per i suoi Panbrilli, marchio registrato, panettone inzuppato di liquore in 3 versioni, tra le quali quelle al cioccolato e caffè Borghetti, e cioccolato e rum. Un panettone tutto piemontese il Blagheur della Pasticceria Artigianale Cavour, con Barolo chinato, uvetta e cioccolato.

 

a cura di Mara Nocilla

 

GLI INDIRIZZI

Ferrante - Campomorone (GE) - via Martiri della Libertà, 53r - 010783945 - ferrante.ge.it

Maghi Infarinati - Ivrea (TO) - c.so Botta, 30 - 0125641112 - 3397592609 - maghiinfarinati.it

Pasticceria Artigianale Cavour -Cavour (TO) - via Roma, 20 - 012169840 - pasticceriaartigiana.it

La Boutique del Dolce – Achille Zoia - Concorezzo (MB) - via De Giorgi, 2 - 0396049251 - laboutiquedeldolce.it

Buosi- Venegono Superiore (VA) - via Baracca, 18 - 0331857492 - 0332400149 - buosi.it

Comi - Missaglia (LC) - via Cavour, 4 - 039941274 - pasticceriacomi.it

L'Ôfelee - Merate (LC) - via P. Paolo Arlati, 2 - 0399900514

Cova - Milano - via Montenapoleone, 8 - 0276005599 - covamilano.com

Martesana - Milano - via Cagliero, 14 - 0266986634 - martesanamilano.com

Pasticceria & Dessert di Marcello Rapisardi - Milano - p.le F. Bacone, 12 - 0284215008 – pasticceriarapisardi

Merlo - Maurizio Bonanomi - Pioltello (MI) - via Masaccio, 4 - 0292105824

Beltrame- Verona- v.le Palladio, 54 - 045 2021247 | pasticceriadomenicobeltrame.it

Infermentum- Grezzana (VR)- loc. Stallavena via Copernico, 40 - 3387025550 - infermentum.it

Perbellini Ernesto - Bovolone (VR) - via Vittorio Veneto, 46 - 0457100599 - perbellini.com

d&g Patissserie- Selvazzano Dentro (PD)- via Monte Grappa, 30- 049637201- degpatisserie.it

Olivieri- Arzignano (VI)- via Alberti, 13- 0444670344 - olivieri1882.com

Posillipo Dolce Officina - Riccione (RN) - v.le Ceccarini, 126 - 0541833439 - enoteca-posillipo.com - pastrychef.it

Rinaldini- Rimini- via Ennio Coletti, 131- 054127146 - rinaldinipastry.com

Pasticceria Tabiano - Claudio Gatti - Salsomaggiore Terme (PR) - v.le alle Fonti, 7 - 0524565233 - pasticceriatabiano.it

Bonci - Montevarchi (AR) - via Vespucci, 101 - 055981225 - pasticceriabonci.it

Lunardi- Quarrata (PT)- via Di Lucciano, 33/39- 057373077 - fratellilunardi.it

Mimosa di Roberto Cantolacqua - Tolentino (MC) - v.le Vittorio Veneto, 69/77 - 0733 969950 - pasticceriamimosa.it

Picchio creatori di sensazioni - Loreto (AN) - via Traversa E.Rampolla, 2/8 - 071977760 - pasticceriapicchio.com

Antico Forno Roscioli - Roma - via dei Chiavari, 34 - 066864045 - anticofornoroscioli.it

Kozman - Roma - via Ugo da Porta Ravegnana, 22/24 - 0690272561 - kozmanroma.com

Attilio Servi - Pomezia (RM) - via Campo Bello, 1c - 069124150 - attilioservi.eu

Dolciarte- Avellino- via Trinità, 52- 0825 34719 - 3381124450 - dolciarte.it

Gabbiano- Pompei (NA)- via Lepanto, 153- 0818636305 - gabbianopasticceria.it

Marigliano - Ottaviano (NA) - via Cupa Piediterra - 0815124639 - pasqualemarigliano.com

Mennella- Torre del Greco (NA)- via Vittorio Veneto, 2- 0818811541- pasticceriamennella.it

Lombardi Pasticcieri dal 1948 - Maddaloni (CE) - via Forche Caudine, 59 - 0823202049 - lombardipasticcieri.it

Mamma Grazia - Nocera Superiore (SA) - via V. Russo, 136/142 - 0815144037 - pasticceriamammagrazia.it

Panificio Ascolese - San Valentino Torio (SA) - via Vetice, 53 - 0815187444 - panificioascolese.it

Pepe - Sant’Egidio del Monte Albino (SA) - loc. Tuoro via Nazionale, 2/4 - 0815154151 - pepemastrodolciere.it

Pietro Macellaro – Pasticceria Agricola Cilentana- Piaggine (SA)- via Madonna delle Grazie, 28- 328 6188973 -pietromacellaro.it

Sal De Riso Costa d'Amalfi- Tramonti (SA)- via Santa Maria La Neve- 089856446 - deriso.it

Pregiata Forneria Lenti - Grottaglie (TA) - via Raffaello, 11 - 099 5665376 - pregiatafornerialenti.com

Tiri - Acerenza (PZ) - via Antonio Gramsci, 2/4 - 0971749182 - tiri1957.it

Scutellà - Delianuova (RC) - via Roma, 19 - 0966963280 - pasticerriascutella.it

Olio e uva tra impero e Rinascimento. Il recupero agropastorale di Villa Adriana e Villa d’Este a Tivoli

$
0
0

3500 ulivi secolari nel parco di Villa Adriana, il ripristino di vigneti autoctoni intorno a Villa d’Este. È questo il futuro immaginato da Andrea Bruciati per il Polo Tiburtino, che oltre al celeberrimo patrimonio storico e archeologico può vantare un’antica tradizione agropastorale. Ecco come ripristinarla in sinergia con la tutela dei siti culturali. 

Tra archeologia e campagna. I tesori di Tivoli

Può la tutela del patrimonio artistico convivere con la valorizzazione di un paesaggio antropizzato, e quindi con il ripristino dell’identità rurale di un territorio? Certo, se anche la tradizione agricola, consuetudine antichissima in gran parte della Penisola, contribuisce ad avvalorare il prestigio culturale di un sito storico-artistico. È il caso della Villa di Adriano, alle porte di Tivoli, una trentina di chilometri da Roma. Dal 1999 il sito archeologico che perpetua le memorie dell’imperatore-filosofo Adriano è tutelato dall’Unesco, per l’unicità del contesto che alterna terme, ninfei, luoghi di culto, appartamenti imperiali, parte della sontuosa residenza extraurbana realizzata nel II secolo d.C. per un centinaio di ettari di estensione; insieme a Villa d’Este – che con Villa Gregoriana forma la triade delle ville tiburtine – il complesso ha attirato nell’ultimo anno circa 600mila visitatori, garantendo al polo tiburtino un soddisfacente indotto turistico. Parte del merito si deve ad Andrea Bruciati, che dalla primavera 2017 è direttore dell’Istituto Autonomo di Villa Adriana e Villa d’Este e, al pari del collega Mauro Felicori (direttore della Reggia di Caserta) e di Valentino Nizzo (direttore del Museo Nazionale Etrusco di Roma, dove sono nati dallo scorso autunno gli orti basati sui ritrovamenti archeologici), ha subito scommesso su una valorizzazione del sito che recuperi il contesto territoriale di pertinenza, riportando in auge la dimensione agricola e paesaggistica delle origini. Quindi non solo conservazione e restauro, ma pure promozione e ricerca, con il supporto di un cospicuo finanziamento del Ministero della Cultura, che alla fine di settembre ha garantito la riapertura di un sito di grande attrazione dell’area, il Santuario di Ercole Vincitore, nelle campagne che presto torneranno a essere utilizzate, sempre per impulso di Bruciati.

L’olio di Adriano

Ma partiamo da Villa Adriana: nel parco che circonda le rovine, su circa 40 ettari, 3500 ulivi secolari costituiscono l’uliveto storico del sito, che dallo scorso autunno è tornato a produrre olio, l’Olio di Adriano, com’è stato subito ribattezzato. Questo perché riappropriarsi dei luoghi, e comunicarli attraverso la loro dimensione agropastorale, coinvolgendo l’intera filiera produttiva, è stata sin dall’inizio una priorità del nuovo direttore, che con lo stesso obiettivo, a poche settimane dall’incarico, promuoveva un bando di concessione per affidare i servizi di ristorazione e caffetteria nelle Ville ad attività, sostenibili, di street food, chiamate a valorizzare i prodotti del territorio. La raccolta delle olive dello scorso novembre, invece, ha permesso di ottenere una piccola produzione, 78 bottiglie numerate che saranno in vendita al bookshop del museo, per raccontare Villa Adriana da un nuovo (antichissimo) punto di vista. Lo scopo, chiaramente, non è quello di spingere la dimensione produttiva del luogo, ma dare il buon esempio, secondo Bruciati, è importante “per indicare un futuro sostenibile”, scommettendo sull’identità rurale dell’area.

L’uva pizzutella

Ecco perché anche Villa d’Este sarà presto coinvolta nel progetto, con il ripristino di un piccolo vigneto di uva pizzutella tra gli orti dei magnifici giardini voluti da Ippolito II d’Este. L’operazione, in questo caso, si carica di un messaggio ulteriore: anticamente il Pizzutello (caratteristica uva da tavola, dal chicco oblungo) si coltivava lungo la strada che saliva a Tivoli, circa 100 ettari di campagne progressivamente abbandonate, dagli anni Sessanta, per ripiegare su attività più remunerative. Il vigneto in villa, invece, proverà a rilanciare il modello agricolo che racconta l’identità di Tivoli, e della comunità che abita il territorio da secoli, “con l’auspicio di attirare aziende interessate a collaborare”. Chi l’ha detto che un’attività culturale non può proporre modelli integrati di sviluppo economico?

a cura di Livia Montagnoli

Ricette delle feste. La Spagna di Alba Esteve Ruiz e la ricetta del roscol die reyes

$
0
0

I doni, in Spagna, li portano i Magi non Babbo Natale. Quindi la parte più ludica delle feste si celebra l'Epifania e la sera precedente. Quando nei paesi ci sono sfilate, rappresentazioni e il classico scambio di doni. Un momento che si festeggia con un dolce tipico, il roscol die reyes. Come si prepara? Lo abbiamo chiesto a Alba Esteve Ruiz.

Alba Esteve Ruiz e Marzapane

Giovane, neanche trentenne, ma con tanti anni di esperienza già alle spalle, in Spagna prima da gente come Paco Torreblanca e i fratelli Roca, e in Italia poi, dove ha transitato per l'Abruzzo de La Bandiera, a Civitella Casanova, prima di approdare a Roma.

 

Alba Estve Ruie Michel Magoni - Marzapane

 

Esperienze che hanno lasciato tracce importanti e che oggi, nel nuovo corso di Marzapane – sempre più centrato e maturo – sono rielaborate in un menu che percorre, tappa dopo tappa, la storia professionale della chef. Dalla Spagna all'Abruzzo e dall'Abruzzo a Roma. Con piatti come bonuelo de bacalao e costillas de iberico, per quanto riguarda il suo paese d'origine, passando per cacio e ova e arrosticini a sancire il passaggio in terra d'Abruzzo, fino a cose come le crucifere (piatto simbolo del primo menu di Marzapane, di cui vi abbiamo parlato pochi giorni fa) o il risotto burro, alici e zenzero, creazioni nate nel locale capitolino a un passo da piazza Fiume. Oggi Alba sa guardare al passato e, ancor più, procedere a passo spedito verso un'evoluzione, quella cui è intitolato il secondo menu nel ristorante di Roma.

 

Le feste in Spagna

Ho festeggiato il Natale con la mia famiglia solo fino a 14 anni” racconta Alba, che ha cominciato giovanissima a lavorare nella ristorazione, 14 anni fa “e questa cosa un po' mi pesa” ammette. La cena della Vigilia di pesce “non ci sono piatti tradizionali, cambiano di casa in casa, ma i crostacei non mancano mai” e il pranzo del 25 di carne sono appuntamenti fissi anche in Spagna, cui lei ha dovuto rinunciare quasi ragazzina. Di Banyeres de Mariola, un paese vicino Alicante, del Natale ricorda soprattutto dei dolci di solo tuorlo ricoperti di zucchero, tipici di Murcia, e poi la Messa che riunisce tutto il paese dopo la cena della Vigilia. Ma a Natale non ci si scambiano i doni, quello si fa durante l'Epifania. La fine dell'anno è attesa con trepidazione, e gli ultimi secondi prima della mezzanotte sono scanditi dal pendolo di Plaza del Sole, quando si mangia un acino d'uva per ogni rintocco, uno per ogni mese dell'anno appena trascorso, “ed è tutto così veloce che non fai in tempo a mangiarli: alla fine hai la bocca piena di uva”.

 

L'Epifania

La festa più divertente, però, è l'Epifania: la sera del 5 gennaio ogni paese, anche il più piccolo, c'è una sfilata con i carri e i Re Magi che regalano dolci e caramelle ai bambini, che spesso salgono direttamente sui carri; alla fine della sfilata passa un camion pieno zeppo di regali, “e alcune persone vestite di nero si arrampicano nelle case per consegnare i doni che erano stati lasciati in precedenza”. È una grande festa, molto sentita, che continua tutta la notte: dopo aver scartato i pacchetti si esce e si va nelle case dei parenti per scambiarsi i regali, poi c'è una rappresentazione con i Re Magi e si mangia un dolce tipico, spesso accompagnato da cioccolata cala, el roscol die reyes. Un dolce a forma di ciambella dall'impasto piuttosto duro a base di uova, farina, latte, olio e lievito. All'interno si mettono una figuretta che rappresenta un re, in genere una statuina, e una fava, poi si fa lievitare, si aggiungono canditi e zucchero per glassare e poi si cuoce. Si mangia così oppure tagliato a metà e farcito di panna o cioccolato. Chi trova la figurina del re è il re della serata e indossa una corona dorata che di solito si mette sul dolce come decorazione, chi invece trova la fava, deve pagare il dolce dell'anno successivo. “quando lavoravo da Paco Torreblanca, ad Alicante all'interno del Corte Inglés, cominciavamo alle 7 e finivamo alle 4 di notte, solo per fare questo dolce. Oggi non lo fa più nessuno in casa ma si compra nel forno del paese, che ancora li cuoce a legna”.

 

El roscol die reyes

Ricetta Roscon de Relles

 

Ingredienti

Pre-impasto

150 g. di farina manitoba

100 g. di latte tiepido

Un cucchiaio di zucchero

12 g. di lievito di birra

 

Impasto

550 g. di farina manitoba

100 g. di latte

25 g. di baking powder

3 uova

Scorza di arancia grattata

Scorza di limone grattata

100 gr di burro a pezzettini

Aroma di gelsomino

2 cucchiai di rum

Stecca di vaniglia

100 gr di zucchero

Cucchiaino di sale

Glassa

2 uova

20 ml. di latte

20 g. di zucchero

20 ml. di acqua

Granella di mandorle

Frutta candita a piacere

 

Procedimento

Fare un pre-impasto con 150 g. di farina di manitoba, 100 g. di latte tiepido, un cucchiaio di zucchero, e 12 g. di lievito di birra. Far riposare per minimo sei, massimo dodici ore.

Mettere tutto in planetaria, aggiungere 550 g. di farina di manitoba e 100 g. di latte. Far impastare. Quando l’impasto è liscio, aggiungere 25 gr di baking powder e 3 uova, una alla volta. Quando l’impasto è unico e liscio, aggiungere un limone grattugiato, un’arancia grattugiata e 100 g. di burro a pezzettini, finché tutto si amalgama. Infine aggiungere aroma di gelsomino, 2 cucchiai di rum, l’interno una stecca di vaniglia, 200 g. di zucchero e un cucchiaino di sale. Impastare di nuovo, Impastare di nuovo. Stendere la pasta, fare un rotolo per fare una ciambella, incidere dei taglietti nella parte inferiore della ciambella. A questo punto mettere le figurine dell’impasto: il re, la fava e altre figurine.

Lasciare lievitare e una volta lievitato spennellare con uno sciroppo fatto con 2 uova sbattute, 20 ml. di latte, 20 g. di zucchero, e 20 ml. di acqua.

Ricoprire con una granella di mandorle e frutta candita a piacere.

Cuocere in forno a 160 gradi per 40 min.

 

Marzapane – Roma - Via Velletri, 39 - 0664781692 -http://www.marzapaneroma.com/

 

a cura di Antonella De Santis

 

Ricette delle feste. La Spagna di Alba Esteve Ruiz e la ricetta del roscon de reyes

$
0
0

I doni, in Spagna, li portano i Magi non Babbo Natale. Quindi la parte più ludica delle feste si celebra l'Epifania e la sera precedente. Quando nei paesi ci sono sfilate, rappresentazioni e il classico scambio di doni. Un momento che si festeggia con un dolce tipico, il roscol die reyes. Come si prepara? Lo abbiamo chiesto a Alba Esteve Ruiz.

Alba Esteve Ruiz e Marzapane

Giovane, neanche trentenne, ma con tanti anni di esperienza già alle spalle, in Spagna prima da gente come Paco Torreblanca e i fratelli Roca, e in Italia poi, dove ha transitato per l'Abruzzo de La Bandiera, a Civitella Casanova, prima di approdare a Roma.

 

Alba Estve Ruie Michel Magoni - Marzapane

 

Esperienze che hanno lasciato tracce importanti e che oggi, nel nuovo corso di Marzapane – sempre più centrato e maturo – sono rielaborate in un menu che percorre, tappa dopo tappa, la storia professionale della chef. Dalla Spagna all'Abruzzo e dall'Abruzzo a Roma. Con piatti come bonuelo de bacalao e costillas de iberico, per quanto riguarda il suo paese d'origine, passando per cacio e ova e arrosticini a sancire il passaggio in terra d'Abruzzo, fino a cose come le crucifere (piatto simbolo del primo menu di Marzapane, di cui vi abbiamo parlato pochi giorni fa) o il risotto burro, alici e zenzero, creazioni nate nel locale capitolino a un passo da piazza Fiume. Oggi Alba sa guardare al passato e, ancor più, procedere a passo spedito verso un'evoluzione, quella cui è intitolato il secondo menu nel ristorante di Roma.

 

Le feste in Spagna

Ho festeggiato il Natale con la mia famiglia solo fino a 14 anni” racconta Alba, che ha cominciato giovanissima a lavorare nella ristorazione, 14 anni fa “e questa cosa un po' mi pesa” ammette. La cena della Vigilia di pesce “non ci sono piatti tradizionali, cambiano di casa in casa, ma i crostacei non mancano mai” e il pranzo del 25 di carne sono appuntamenti fissi anche in Spagna, cui lei ha dovuto rinunciare quasi ragazzina. Di Banyeres de Mariola, un paese vicino Alicante, del Natale ricorda soprattutto dei dolci di solo tuorlo ricoperti di zucchero, tipici di Murcia, e poi la Messa che riunisce tutto il paese dopo la cena della Vigilia. Ma a Natale non ci si scambiano i doni, quello si fa durante l'Epifania. La fine dell'anno è attesa con trepidazione, e gli ultimi secondi prima della mezzanotte sono scanditi dal pendolo di Plaza del Sole, quando si mangia un acino d'uva per ogni rintocco, uno per ogni mese dell'anno appena trascorso, “ed è tutto così veloce che non fai in tempo a mangiarli: alla fine hai la bocca piena di uva”.

 

L'Epifania

La festa più divertente, però, è l'Epifania: la sera del 5 gennaio ogni paese, anche il più piccolo, c'è una sfilata con i carri e i Re Magi che regalano dolci e caramelle ai bambini, che spesso salgono direttamente sui carri; alla fine della sfilata passa un camion pieno zeppo di regali, “e alcune persone vestite di nero si arrampicano nelle case per consegnare i doni che erano stati lasciati in precedenza”. È una grande festa, molto sentita, che continua tutta la notte: dopo aver scartato i pacchetti si esce e si va nelle case dei parenti per scambiarsi i regali, poi c'è una rappresentazione con i Re Magi e si mangia un dolce tipico, spesso accompagnato da cioccolata cala, el roscon de reyes. Un dolce a forma di ciambella dall'impasto piuttosto duro a base di uova, farina, latte, olio e lievito. All'interno si mettono una figuretta che rappresenta un re, in genere una statuina, e una fava, poi si fa lievitare, si aggiungono canditi e zucchero per glassare e poi si cuoce. Si mangia così oppure tagliato a metà e farcito di panna o cioccolato. Chi trova la figurina del re è il re della serata e indossa una corona dorata che di solito si mette sul dolce come decorazione, chi invece trova la fava, deve pagare il dolce dell'anno successivo. “quando lavoravo da Paco Torreblanca, ad Alicante all'interno del Corte Inglés, cominciavamo alle 7 e finivamo alle 4 di notte, solo per fare questo dolce. Oggi non lo fa più nessuno in casa ma si compra nel forno del paese, che ancora li cuoce a legna”.

 

El roscon die reyes

 

Ricetta 

 

Ingredienti

Pre-impasto

150 g. di farina manitoba

100 g. di latte tiepido

Un cucchiaio di zucchero

12 g. di lievito di birra

 

Impasto

550 g. di farina manitoba

100 g. di latte

25 g. di baking powder

3 uova

Scorza di arancia grattata

Scorza di limone grattata

100 gr di burro a pezzettini

Aroma di gelsomino

2 cucchiai di rum

Stecca di vaniglia

100 gr di zucchero

Cucchiaino di sale

Glassa

2 uova

20 ml. di latte

20 g. di zucchero

20 ml. di acqua

Granella di mandorle

Frutta candita a piacere

 

Procedimento

Fare un pre-impasto con 150 g. di farina di manitoba, 100 g. di latte tiepido, un cucchiaio di zucchero, e 12 g. di lievito di birra. Far riposare per minimo sei, massimo dodici ore.

Mettere tutto in planetaria, aggiungere 550 g. di farina di manitoba e 100 g. di latte. Far impastare. Quando l’impasto è liscio, aggiungere 25 gr di baking powder e 3 uova, una alla volta. Quando l’impasto è unico e liscio, aggiungere un limone grattugiato, un’arancia grattugiata e 100 g. di burro a pezzettini, finché tutto si amalgama. Infine aggiungere aroma di gelsomino, 2 cucchiai di rum, l’interno una stecca di vaniglia, 200 g. di zucchero e un cucchiaino di sale. Impastare di nuovo, Impastare di nuovo. Stendere la pasta, fare un rotolo per fare una ciambella, incidere dei taglietti nella parte inferiore della ciambella. A questo punto mettere le figurine dell’impasto: il re, la fava e altre figurine.

Lasciare lievitare e una volta lievitato spennellare con uno sciroppo fatto con 2 uova sbattute, 20 ml. di latte, 20 g. di zucchero, e 20 ml. di acqua.

Ricoprire con una granella di mandorle e frutta candita a piacere.

Cuocere in forno a 160 gradi per 40 min.

 

Marzapane – Roma - Via Velletri, 39 - 0664781692 -http://www.marzapaneroma.com/

 

a cura di Antonella De Santis

 

Colazioni del mondo. Stati Uniti: cereali, pancakes, doughnuts, bagel, French toast

$
0
0

Dalla ciambella di pane farcita con formaggio a quella dolce ricoperta di zucchero, dai celebri corn flakes al pane fritto: tutti i prodotti per la prima colazione americana, e la ricetta dei French toast.

La colazione negli Stati Uniti

Innanzitutto, una precisazione: il binomio uova e bacon è ancora oggi una delle pietanze preferite dagli americani al mattino, solitamente riservata ai weekend e giorni di festa. L’abbinamento, però, trae ispirazione dalla più ricca e ampia English breakfast, la prima colazione saporita e golosa che ha fatto la storia della gastronomia del Regno Unito. Gli Stati Uniti, invece, possono vantare una delle invenzioni più originali e largamente diffuse in tutto il mondo: i corn flakes, ovvero i cereali zuccherini da gustare immersi in una tazza di latte. Ma gli americani sono anche i padri dei pancakes, le celebri frittelle ricoperte di sciroppo d’acero, di doughnuts, French toast e bagel. Ecco una raccolta delle specialità del mattino più popolari negli States, più la ricetta firmata Max Mariola, chef romano che interpreta con gusto e originalità la preparazione del French toast.

Latte e cereali: la cura degli ammalati

Protagonisti assoluti del risveglio in America sono i corn flakes (o cornflakes), ovvero fiocchi di mais tostati e arricchiti di zucchero. A ideare queste scaglie sottili e croccanti fu John Harvey Kellogg, sovrintendente della casa di cura Battle Creek Sanitarium nel Miching e fautore convinto della dieta vegetariana, che nel 1894 inventò la ricetta per proporla ai propri pazienti come pasto leggero e nutriente. Il prodotto ebbe un tale successo che qualche tempo dopo il medico diede vita alla Kellogg Company (la Kellogg’s), brevettando ufficialmente la ricetta nel 1896. Da quel momento, il signor Kellogg continuò a sperimentare con ingredienti e proporzioni (alla base di tutto, da sempre, mais, zucchero e malto), fino ad arrivare, nel 1928, alla creazione dei Rice Krispies, croccanti cereali a base di riso soffiato, ancora oggi uno dei prodotti più apprezzati per la prima colazione, messi a punto da Eugene McKay, a capo del team di sviluppo e ricerca dell'azienda.

 

corn flakes

La Kellog's oggi: seconda multinazionale al mondo

Nonostante si tratti di una specialità made in USA, il più grande stabilimento di corn flakes a marchio Kellog's si trova nella contea di Manchester, in Inghilterra, nell'area del Trafford Park. Negli anni, l'azienda ha acquisito e incorporato altre realtà produttrici di snack di livello internazionale, fino a diventare una delle più grandi multinazionali del mondo, seconda solo alla PepsiCo.

Pancakes: la ricetta pre-digiuno quaresimale

Latte e cereali a parte, nelle case americane sono i pancakes a fare la parte del leone. Morbide frittelle a base di burro, farina, latte, zucchero e uova, cotte in padella in una noce di burro, e solitamente abbinate a sciroppo d'acero, dolcificante naturale diffuso in tutto il Nord America, ricavato dalla linfa di due varietà di acero: l’Acer saccharum(acero da zucchero) e Acer saccharum nigrum(acero nero). Vengono spesso consumati anche con frutta fresca, panna montata, creme spalmabili, confetture o miele, o anche nella variante salata, farciti con salumi e formaggi. Si tratta di una ricetta che ha avuto, fin dall'inizio, un successo internazionale, tanto da avere da decenni una festa in proprio onore, il Pancake Day, celebrato in America e nel Regno Unito, dove è chiamato anche ShroveTuesday (Martedì grasso, dall'inglese shrive, ovvero assolvere). L'usanza di preparare le frittelle è nata, infatti, proprio per l'esigenza di consumare le ultime uova e i vari grassi, come il burro e l'olio, prima di cominciare il periodo di digiuno quaresimale. E quale prodotto migliore di questa specialità ricca di gusto per celebrare l'abbondanza della tavola?

 

pancakes

Doughnuts, il lascito delle colonie olandesi

Non c'è bottega, negozio di alimentari, supermercato, pasticceria o forno negli Stati Uniti che non abbia, fra gli scaffali, le tipiche ciambelle ricoperte di glassa, le doughnuts (o donuts). La prima testimonianza scritta di questi dolci risale al 1809, nel volume “History of New York” di Washington Irving, che descrive delle “palle di pastella fritte nel grasso e chiamate doughnuts o olykoeks”. Le oly koeks (o olykoecks) di origine olandese a cui fa riferimento l'autore sembrano essere le vere antenate delle ciambelle (stesso impasto e procedimento, ma senza la tipica forma ad anello), portate nel Nuovo Continente dai colonizzatori dell'impero olandese.

 

donuts

La leggenda della forma ad anello

Come spesso accade per le tradizioni gastronomiche più antiche, le vere origini delle doughnuts sono avvolte nel mistero. Fra le tante leggende popolari, la più famosa è senza dubbio quella di Elizabeth Gregory, la madre del capitano di una nave da guerra del New England della prima metà dell'Ottocento. Bilanciando sapientemente le spezie – noce moscata e cannella – mescolate alla scorza di limone, la donna creò una “pastella magica”, in grado di scongiurare raffreddore e scorbuto, una antica malattia derivata da una forte carenza di vitamina C, di cui spezie e agrumi sono invece ricchi. Per aggiungere un ulteriore apporto nutrizionale, Elizabeth aggiunse anche nocciole e noci al centro dell'impasto che, per via del peso, rimase crudo. I membri dell'equipaggio dovettero, quindi, togliere la parte di pastella centrale, dando così vita alle prime ciambelle ad anello.

Bagel: il pane della vittoria polacca

Fra i tanti dolci che caratterizzano il risveglio degli americani, trova spazio anche una specialità salata: il bagel, ciambella di pane che trae ispirazione dalla tradizione ebraica, in particolare dal krakow bagel polacco. Furono proprio i fornai della Polonia, Paese ufficialmente incaricato di fornire il pane a tutta Europa durante il XVII secolo, a creare - dopo il decisivo intervento del re JanSobieski (Giovanni III di Polonia) contro l'impero ottomano nella Battaglia di Vienna del 1683 - un rotolo di pane circolare che ricordava la forma della staffa del re, il beugel (in austriaco, staffa).

 

bagels

Testimonianze e varianti

Il primo testo scritto a menzionare i bagel, però, è “Disposizioni Comunitarie” della città di Cracovia del 1610, nel quale viene riportata l'usanza dei bajgel,piccoli anelli di pane offerti in dono alle donne incinte, come simbolo del ciclo della vita. Fra miti e leggende, un fatto è certo: il bagel divenne famoso nel corso dei secoli per via della sua shelf life – tempo di conservazione – molto più lunga rispetto a quella del pane tradizionale. Acqua, farina, sale, lievito e malto sono gli ingredienti che compongono l'impasto, dapprima bollito e poi cotto in forno, e spesso arricchito con semi di papavero o sesamo. La maggior parte delle volte, viene consumato come pietanza salata, farcito con formaggio spalmabile e salmone affumicato, oppure ancora verdure o prosciutto, ma può essere anche gustato in abbinamento a cioccolata e confetture.

French toast, da Apicio alla leggenda di Jospeh

Una fetta di pane spessa inzuppata in un mix di uova e latte, fritta nel burro e ricoperta di zucchero, miele, sciroppo d'acero, panna, frutta: è il French toast la più peccaminosa delle colazioni statunitensi, un'antica ricetta che affonda le sue radici nell'Antica Roma. Il primo a parlarne, infatti, è Apicio, che la descrive come una delle tante aliter dulcia (“un altro piatto dolce”), specialità già in voga fra i romani, che la preparavano utilizzando solamente il latte. All'origine del French toast così come oggi lo conosciamo, c'è il pain perdu francese (letteralmente, pane perduto), chiamato così per l'usanza di inzuppare il pane raffermo così a lungo da “perdere” la fetta originale, ottenendo un nuovo prodotto, soffice e goloso. L'Oxford English Dictionary cita il 1660 come anno della prima apparizione del French toast nel volume The Accomplisht Cook, ma secondo le leggende metropolitane, padre di questo dolce è l'americano Joseph French, che inventò la ricetta ad Albany nel 1724. Secondo le regole grammaticali della lingua inglese, il piatto avrebbe dovuto chiamarsi French's toast (“Il toast di French”) ma, stando ai racconti popolari, Joseph non aveva mai imparato a leggere e scrivere correttamente, e per questo si dimenticò l'apostrofo.

 

french toast

La ricetta: French toast di Max Mariola

A interpretare con gusto e creatività la ricetta a stelle e strisce del French toast, lo chef romano Max Mariola, uno dei volti più amati del Gambero Rosso Channel, che nella serie I Panini li Fa Max (divenuta anche un libro di 60 ricette) si dedica alla preparazioni di specialità italiane e straniere a base di pane.

a cura di Michela Becchi

Colazioni del mondo. Francia: croissant, madeleine, crêpes

Colazioni del mondo. India: naan, upma, puttu, masala chai

Colazioni del mondo. Regno Unito: English breakfast, porridge, muffin inglesi

Obesità infantile. Nel Regno Unito arrivano gli sconti sugli snack ipocalorici, aspettando la tassa sulle bevande gassate

$
0
0

Sconti su tutti gli snack al di sotto delle 100 calorie. Questa la nuova proposta in arrivo dall’Inghilterra, un paese da tempo focalizzato nel riscatto di una corretta dieta infantile. Ecco il primo progetto del 2018. 

Obesità infantile nel Regno Unito: una lotta senza sosta

È inarrestabile la battaglia del Regno Unito contro l’obesità infantile, un tema caldo, sempre più battuto da nutrizionisti, medici, chef e addetti ai lavori di tutto il mondo. Soprattutto in Inghilterra dove, nell'estate del 2016, le dichiarazioni della premier Theresa May, che aveva scelto di privilegiare l’industria alimentare, avevano scatenato la reazioni di chi nella lotta al junk food ci ha sempre creduto (chef Jamie Oliver, tanto per citarne uno). Progetti, eventi, manifestazioni e campagne promozionali dedicate all’alimentazione sana continuano a prendere vita in Gran Bretagna, ormai da anni al centro dei riflettori del sistema alimentare: in particolare, mai come nel 2017 il tema dei pasti dei più piccoli ha infiammato gli animi di genitori e operatori scolastici, che continuano a battersi per dirimere l'annosa gestione del servizio di ristorazione delle mense e non solo.

Fra le ultime iniziative, quella del sindaco di Londra, Sadiq Khan, che, stando a quanto riportato dall'Evening Standard, ha annunciato di voler istituire un divieto a livello cittadino per tutti i ristoranti fast food che hanno intenzione di aprire una nuova sede entro 400 metri dal territorio scolastico. Con oltre il 40% di bambini in sovrappeso, la capitale britannica detiene, infatti, il primato nazionale di obesità infantile, una problematica da risolvere al più presto, definita da Khan come una “bomba a orologeria”. Un progetto che non ha tardato a incontrare l’ostilità delle tante catene di ristorazione veloce presenti in città, e ancora tutto in divenire.

Gli sconti sugli snack ipocalorici

Nel frattempo, con l’anno nuovo la lista dei buoni propositi del Regno Unito aumenta, con una nuova idea che coinvolgerà alcuni supermercati selezionati del Paese per 8 settimane. Un progetto che fa leva su uno dei temi più cari ai consumatori: la spesa, e soprattutto, l’economia domestica. Si tratta, infatti, di un sistema di sconti pensato per tutti gli snack e le merendine al di sotto delle 100 calorie, considerati quindi “innocui”. A ideare la campagna, la Public Health England (Phe), agenzia governativa britannica afferente al Dipartimento salute, intenzionata a fare luce sulla quantità di zuccheri nascosti nella maggior parte degli alimenti che i più piccoli consumano abitualmente. Gli incentivi, sotto forma di sconti, cercheranno di ‘spingere’ i genitori all’acquisto di prodotti come frutta, yogurt a basso contenuto di zuccheri e crackers al riso, snack dall’apporto calorico ben inferiore a quello di un sacchetto di patatine (190 calorie) o un gelato (175), per esempio.

Le prossime mosse

Se si gira per un supermercato si vedono molti più snack rispetto al passato”, ha spiegato Alison Tedstone, capo nutrizionista di Phe. “I cestini della merenda dei bambini sono pieni di prodotti che portano con loro molte calorie. Dalle nostre ricerche spesso i genitori sono sorpresi di sapere quanto zucchero i figli consumano in queste merende”. Ma l’educazione alimentare – si sa – comincia proprio in età infantile, e sono proprio genitori e insegnanti le prime figure adulte a indirizzare i giovani verso un consumo consapevole, una dieta equilibrata e ponderata. La campagna di sconti, però, è solo il primo di una serie di passi verso la sconfitta dell’obesità in Inghilterra, fra cui – lo ricordiamo – una tassa sulle bibite gassate che diventerà operativa a cominciare dal mese di aprile, e sulla quale torneremo a soffermarci in futuro. I dati della ‘National Diet and Nutritional Survey’ della Phe, del resto, parlano chiaro: ogni anno i bambini britannici consumano, in media, circa 400 biscotti, 120 tortine, ciambelle e pasticcini, 100 porzioni di dolciumi e caramelle, 70 tavolette di cioccolato e gelati e 150 confezioni di succhi e lattine di bibita gassata. Numeri critici e preoccupanti, che possono ancora, però, essere modificati. Perché il percorso verso una nuova consapevolezza deve essere graduale e costante. E comincia fin da bambini.

a cura di Michela Becchi

 

Le migliori pasticcerie di Salerno e dintorni: 9 indirizzi imperdibili

$
0
0

Una pasticceria ricca, dai sapori netti e decisi: nella zona di Salerno per i dolci c'è l'imbarazzo della scelta. Ecco i migliori indirizzi della provincia secondo la guida Pasticceri & Pasticcerie del Gambero Rosso. 

Ospitalità campana, clima mediterraneo e atmosfera rilassata fanno della cittadina del Cilento un'ottima meta per trascorrere una giornata alla scoperta di una cultura millenaria che ha visto sfilare romani, longobardi, normanni. Cerniera tra la Costiera Amalfitana e quella Cilentana, sul fronte gastronomico Salerno sa presentare quanto di buono e autentico riserva un territorio vario (dal mare alla collina, alle alture dell’entroterra) e foriero di prodotti di qualità. In una terra così sfaccettata e dalle mille anime, trova spazio anche l'arte dolce, che qui può fare affidamento su tante materie prime d'eccellenza. Una tradizione golosa e irresistibile, quella della pasticceria salernitana, che continua a crescere e svilupparsi di anno in anno, rinnovandosi nella forma ma mantenendo sempre intatto il carattere identitario della gastronomia locale. Qui, abbiamo voluto raccogliere i migliori indirizzi segnalati dalla guida Pasticceri & Pasticcerie 2018.

Angelo Grippa – Eboli (SA)

La famiglia Grippa ha iniziato il percorso in pasticceria più di 30 anni fa, ma è solo dal 2005, con l'ingresso di Angelo, che il locale ha cambiato marcia, puntando in modo deciso su una produzione di qualità. Si comincia con i lieviti per la prima colazione, semplici oppure farciti con creme lisce e setose, e si prosegue poi con babà, macaron e paste di mandorle, prodotto di punta della pasticceria. Da provare anche il Gingerapple – mandorlato con mela annurca e uvetta – la Poesia a strati (millefoglie ripiena di crema alla nocciola e al cioccolato, e dedicata allo zio di Angelo, fondatore dell'attività), e poi tutti i grandi lievitati. Le materie prime sono quelle della Piana del Sele, terra generosa che fornisce i frutti anche per gelati e liquori. A completare il quadro, i biscotti da tè e le caramelle artigianali.

Angelo Grippa – Eboli (SA) – via San Berardino, 21 – 08 28367033 – angelogrippa.it

Di Dato – Angri (SA)

L'elegante pasticceria del maestro Gerardo Di Dato, che ha festeggiato lo scorso anno il 25esimo anniversario dell'attività, si trova a pochi passi dall'uscita autostradale, ed è senza dubbio un indirizzo che merita una deviazione. Al fianco di Gerardo, la moglie Rita Russo, barlady di livello internazionale che cura con passione il reparto bar e caffetteria del locale. Sfogliatelle, babà, pastiere napoletane e cassate: qui è la pasticceria tradizionale a fare la parte del leone, insieme a un'offerta valida di brioches e lievitati preparati in occasione delle feste. Nel periodo estivo è disponibile anche un'ampia proposta di gelati e sorbetti, da gustare passeggiando oppure comodamente seduti ai tavolini esterni. Sul fronte delle bevande, i cocktail di Rita (l'Elisir Mediterraneo a base di pomodorini di Corbara, tanto per citarne uno) non deluderanno gli amanti del bere miscelato.

Di Dato – Angri (SA) – via Brigadiere D'Anna, 116 – 08 1961085 – pasticceriadidato.it

Maison Manilia – Montesano Sulla Marcellana (SA)

Continua a ricevere premi e riconoscimenti di livello internazionale il giovane Giuseppe Manilia, artista della pasticceria che rappresenta una delle più belle espressioni dell'arte dolce cilentana. Un'insegna di livello eccellente nell'assortimento come negli arredi, eleganti e curati, situata in un paese di circa 6mila anime, non distante dall'uscita autostradale di Padula. Ci sono gli éclair, le code di aragosta alla crema, le praline al cioccolato – disponibili anche in confezioni regalo – e poi le torte: la Rosemary - un insieme di cioccolato bianco, pistacchio e glassa al lampone - la Spirito - unione di cioccolato fondente, gelatina agli agrumi e caramello alla nocciola - la crostata moderna con fragoline di bosco del territorio. A impreziosire ancora di più la vetrina, lavori in zucchero artistico, e poi, nel periodo di Pasqua, uova di cioccolato decorate ad hoc.

Maison Manilia – Montesano sulla Marcellana (SA) – via C. Battisti, 24 – 349 5605444

Mi sa...di dolce – Oliveto Citra (SA)

Un nuovo ingresso in guida, una bella scoperta che merita una visita. Gelsomino Cuozzo è un pasticcere giovane che si è fatto le ossa presso diversi laboratori italiani e che, dopo anni di viaggi, ha deciso di tornare nella sua terra d'origine per aprire un'attività tutta sua. Ingredienti freschi e di prima scelta danno vita a dolci classici e innovativi, dalle torte alle crostate, dai mignon alle monoporzioni. Fra le specialità della casa, il tiramisù rivisitato, la cheesecake e tutti i dessert al cucchiaio, golosi ed equilibrati. Non manca, poi, un'offerta di lievitati in occasione delle feste, caratterizzati da impasti morbidi e profumati. Presente anche un reparto di pasticceria secca, con una sezione speciale dedicata a cioccolato e praline.

Mi sa.. di dolce – Oliveto Citra (SA) – via Laurone, 105 – 339 1980983 - facebook.com/misadidolcepasticceria/

Pansa – Amalfi (SA)

I fratelli Andrea, Nicola e Marilla Pansa portano avanti da anni una delle insegne più storiche dello scenario gastronomico amalfitano. All'ombra del Duomo, la pasticceria Pansa è dal 1830 un punto di ritrovo per tutti i golosi della zona. Al timone oggi, la quinta generazione, che attraverso una selezione attenta delle materie prime – tutte locali – crea una linea di dolci innovativi e originali. Protagonisti assoluti qui sono i limoni (degli alberi di famiglia): c'è l'immancabile delizia al limone, ma anche la torta, le scorzette candite e ricoperte di cioccolato, e il pasticciotto atranese con crema al limone. Non si può uscire dal locale, poi, senza aver prima assaggiato la sfogliatella Santa Rosa, realizzata a regola d'arte e ancora a mano secondo una tradizione ormai quasi scomparsa. Per gli amanti del cioccolato, i fratelli offrono anche una linea di tavolette ampia e variegata.

Pansa – Amalfi (SA) – p.zza Duomo, 40 – 08 9871065 – pasticceriapansa.it

Pasticceria Agricola Cilentana Pietro Macellaro – Piaggine (SA)

Pioniere della produzione agricola abbinata alla pasticceria, Pietro Macellaro ha saputo trasformare l'azienda creata dal nonno in una realtà innovativa che fa della filiera completa il valore aggiunto della produzione. Valorizzando i sapori e i prodotti della terra, il pasticcere continua a stupire tutti con le sue creazioni originali e gustose. Alla base del suo lavoro, le materie prime locali, quelle prodotte all'interno del parco Nazionale del Cilento, dall'olio extravergine di oliva agli ortaggi, dalle erbe aromatiche alla frutta. Fra le tante delizie esposte sul bancone, la torta Dolcenera, la Fragolella, la Ducale, la Perla Nera, ma anche macaron, biscotti e mignon. Da provare la linea di praline (imperdibile quella fondente all'origano selvatico di montagna e limone di Sorrento). I dolci firmati Macellaro possono, inoltre, essere acquistati anche online, grazie a un servizio di e-commerce ben strutturato che consente anche anche a chi è lontano di assaporare un po' di Cilento.

Pasticceria Agricola Cilentana Pietro Macellaro – Piaggine (SA) – via Madonna delle Grazie, 28 – 328 6188973 -  pietromacellaro.it

Pasticceria Pepe – Sant'Egidio del Monte Albino (SA)

Riconosciuto da tempo tra i grandi maestri dell'impasto e della lievitazione, Alfonso Pepe è uno dei volti più illustri dell'arte dolciaria campana. Fiore all'occhiello della sua produzione sono i grandi lievitati, a cominciare dal panettone, proposto in tante versioni: tradizionale, al limoncello, ai fichi bianchi. Equilibrato nei sapori e umido al punto giusto, il lievitato delle feste è una gioia per il palato di grandi e piccini. A ospitare le creazioni del pasticcere, uno spazio interamente rinnovato dopo un anno di lavori: 170 metri quadri di modernità curati in ogni dettaglio, con tanto di laboratorio a vista. Tra le novità, un corner dedicato alla pasticceria salata, con panini gourmet, tramezzini e pizzette, ma le specialità della casa restano i dolci: monoporzioni, torte, e anche gelati artigianali.

Pasticceria Pepe – Sant'Egidio del Monte Albino (SA) – via Nazionale, 2 – 08 15154151 - facebook.com/pepemastrodolciere/

Sal De Riso Costa d'Amalfi – Minori (SA)

Un ampio locale polifunzionale dove ordinare dal caffè alle torte, passando per la parmigiana di melanzane, i raviolini al limone e le pizze gourmet. Senza dimenticare lieviti per la colazione e panettoni per le feste. È la creatura di Sal De Riso, all'anagrafe Salvatore De Riso, maestro pasticcere che due anni fa ha rinnovato interamente gli spazi del suo locale per offrire ai clienti un'esperienza a tutto tondo. Nei suoi dolci è racchiusa l'anima della Costiera Amalfitana: la delizia al limone, l'intramontabile ricotta e pere, la Freschezza ai lamponi e ancora la soffice e classica Paradiso. Le materie prime sono scrupolosamente selezionate da Sal per valorizzare i prodotti del territorio, dal limone Costa d'Amalfi alle nocciole di Giffoni, dalle mele annurche ai fichi della Costiera. Non mancano panettoni e colombe, disponibili in una dozzina di varianti, e poi anche un reparto dedicato a gelati e sorbetti.

Sal De Riso Costa d'Amalfi – Minori (SA) – via Roma, 80 – 08 9877941 – salderiso.it

Svizzera – Salerno

Nel cuore del quartiere Torrione, l'insegna rappresenta da anni un punto di riferimento per i golosi della città, che qui possono sostare anche per una sfiziosa pausa aperitivo, con pizzette, panini e proposte salate di qualità. A coadiuvare il laboratorio, i fratelli Cuofano, che si dilettano anche nella preparazione di torte per cerimonie e feste private. Protagonista dell'attività è il comparto cioccolateria, ma da Svizzera ci si va anche per assaggiare le torte e tutti i grandi classici della pasticceria tradizionale: bignè, babà, crostatine alla frutta e cannoli ripieni di ricotta. Non mancano, poi, dolci più innovativi e moderni, monoporzioni e mignon d'autore, tutti realizzati con le materie prime che il territorio ha da offrire.

Svizzera – Salerno – via P. Del Pezzo, 51 – 08 9756459 - facebook.com/CANDY-SHOP-Svizzera-Salerno

a cura di Michela Becchi

Pasticceri & Pasticcerie 2018 del Gambero Rosso | Prezzo: 14,90 | disponibile in edicola, libreria e online

Pasticceri & Pasticcerie 2018 del Gambero Rosso. Classifica e premiati

Le migliori pasticcerie di Bolzano e dintorni: 5 indirizzi imperdibili 


Milano. Ivan Milani è il nuovo chef del Pont de Ferr. L'esordio dello chef con Maida Mercuri

$
0
0

Dopo il commiato di Vittorio Fusari, alla guida della cucina da marzo 2015, a dirigere la brigata del Pont de Ferr arriva lo chef torinese, reduce dall'esperienza di Piano 35. Dietro la scelta, la stima per Maida Mercuri, patronne della storica insegna sui Navigli. Le prime impressioni di Milani. 

Cambio chef al Pont de Ferr

A neanche 24 ore dal primo servizio, Ivan Milani è già saldamente alla guida della cucina del Pont de Ferr. Due turni per rompere il ghiaccio, pranzo e cena, nella tradizione di un'insegna storica della città, da 31 anni affacciata sul Naviglio grande, dove un ponticello in ferro attraversa il canale più celebre di Milano. Un pezzo di storia della ristorazione meneghina che Maida Mercuri ha ideato e plasmato a sua immagine e somiglianza - quella di una patronne forte, volitiva, competente e un po' folle - mentre le mode intorno passavano. E se oggi il Pont de Ferr sa viaggiare oltre gli ostacoli e gli avvicendamenti di sorta, preservando sempre lo spirito che l'ha animato sin dall'inizio - un buon calice di vino e una cucina sincera sui Navigli di fine anni Ottanta - il merito è certamente suo. Che nel progetto, e nella sua versatilità, continua a credere. Con l'addio di Vittorio Fusari, che al fianco di Maida è rimasto negli ultimi tre anni raccogliendo il testimone di Matias Perdomo, al Pont de Ferr arriva il sesto chef in 31 anni di attività.

Arriva Ivan Milani

Un esordio milanese, per il torinese Ivan Milani, che non può prescindere dalla storia del luogo: “Non ho scelto Milano, ma il Pont de Ferr e Maida. Ho scelto il progetto, più che la città. E le prime impressioni, il lavoro dei primi giorni, l'accoglienza in brigata, la dimensione dei Navigli mi stanno già ripagando”. Entusiasmo e voglia di fare non mancano, e Milani – chiusa la primavera scorsa l'esperienza sul grattacielo di Piano 35 – certo non fa nulla per nasconderlo: “Tre anni fa, prima che Vittorio arrivasse al Pont e io sposassi il progetto torinese di Intesa Sanpaolo, avevamo già ventilato l'ipotesi di un mio arrivo a Milano con Maida. Ci stimiamo e ci conosciamo da tempo, l'idea di una collaborazione ci è sempre piaciuta: lei apprezza la mia cucina, io il suo entusiasmo e la sua competenza”. E così, qualche mese fa, quando Fusari matura la decisione di lasciare per dedicarsi alla sua famiglia (“a mio figlio, a mia moglie, alle loro e alle mie esigenze. Perché anche di loro si nutre la mia ispirazione”, scrive oggi in una lettera di commiato particolarmente lucida e sincera, in cui non manca di ringraziare Maida, “con cui brinderò ancora e ancora, con l’amicizia di sempre”), Maida richiama Ivan, e gli propone di prendere il testimone.

Tutta l'anatra

La nuova cucina del Pont de Ferr. Storia e sperimentazione

Abbiamo iniziato a confrontarci, ci siamo trovati. Vittorio ha terminato con il servizio del 23 dicembre, io il 27 ero in cucina, per cominciare a lavorare con la brigata che mi ha lasciato, affiatata, volenterosa... Decisamente un bel modo per partire”. Uno staff coeso e motivato, che somma le giovani leve introdotte da Fusari alle presenze storiche del Pont, “una squadra che mi dà molta serenità, perché non è facile trovare una continuità di lavoro, specie quando alla guida si avvicendano diversi chef. E invece al Pont il discorso non si è mai interrotto, tutti lavorano con un obiettivo comune”. L'altra motivazione importante, quella che ha spinto Milani a lasciare Torino, abbracciando una nuova vita, è la prospettiva che animerà la cucina nel prossimo futuro: “Spesso tendo ad annoiarmi, ho bisogno di sperimentare cose nuove, e nelle precedenti esperienze non sempre la proprietà si è dimostrata capace di fidarsi. Con Maida, invece, è stato il contrario: mi ha spinto a osare, 'facciamo cose nuove e divertenti', mi ha detto. Assaggia ogni piatto, è sempre vigile e porta avanti le sue idee. Ma al tempo stesso ci lascia grande libertà”.

Il risultato? Oggi nel menu del Pont de Ferr restano 3 grandi classici dell'insegna - “è giusto rispettare la storia del luogo” - poi ci sono le creazioni che Milani porta con sé, dal suo passato in cucina, e le nuove proposte, idee in divenire su cui si lavorerà molto nei prossimi mesi. Una, per tutte, porta un nome simbolico, Terreno fertile, “con l'auspicio che Milano sia proprio questo per me”: un gioco di verdure e tuberi su terra di malto d'orzo che racconta la dimensione vegetale della nuova carta, ben presente accanto alla proposta di terra, e di mare, che sarà maggiormente rappresentata con l'arrivo della primavera. I fornitori sono quelli storici del Pont, fatta eccezione per i punti di riferimento cui Milani difficilmente rinuncerebbe, come Beppe Gallina: “Stiamo cercando di organizzarci perché possa fornirmi lui il pesce, anche a Milano”.

In generale si lavorerà molto sulla stagionalità, con tre alternative di menu degustazione: la Tradizione (quella del Pont), il Gioco (“la mia cucina”), la Follia, “un menu sartoriale, alle cieca, da 11 a 13 piccole portate, per provare la dimensione più sperimentale della nostra cucina”. Al Pont de Ferr si ricomincia, con l'animo allegro di sempre. 

 

Pont de Ferr - Milano - Ripa di Porta Ticinese, 55 - www.pontdeferr.it 

 

a cura di Livia Montagnoli

Foto di Alessandra Tinozzi, www.alessandratinozzi.com

Kasher. Laura Ravaioli e i segreti della baklawa

$
0
0

Laura Ravaioli nella puntata di questa sera su Gambero Rosso Channel racconta la storia della baklawa, dolce dorato, croccante e farcito con un sontuoso ripieno. Qualche anticipazione, in più la ricetta.

Nel suo ultimo programma su Gambero Rosso Channel, Kasher, Laura Ravaioli racconta i segreti della cucina ebraica. Una cucina frutto di un affascinante incontro di storie e di tradizioni che intreccia lingue, usi e costumi eterogenei. La puntata di stasera ci porta alla scoperta delle baklawa, dolci a base di frutta secca e miele, dalle mille varianti.

La storia della baklawa

Dolce dono è la vita e ci sono momenti dell’anno in cui, per gli ebrei, è doveroso ricordarlo. E cosa c'è di più dolce di dorate, croccanti e sottili sfoglie di pasta fillo, farcite con un sontuoso ripieno, e rese lucide e ancor più dolci da uno sciroppo di zucchero aromatizzato? Stiamo parlando delle baklawa. Certo, o quasi, è che la baklava così come la conosciamo oggi nasce nelle cucine del Palazzo Topkapi di Istanbul, dove fu creata la pasta yufka (fillo) - sfoglie sottili come un foglio di carta - utilizzata nella ricetta. Originario della Turchia è un dolce che durante l’Impero ottomano si è diffuso in tutti i territori sottoposti al suo dominio, dal Nord Africa al Medio Oriente, e in quasi tutte le cucine della vicina Asia e dei Balcani. Molte le varianti: dalla baklewa tunisina, alla pʼaḫlava armena fino alla baqlāwa araba, la persiana baqlavā e ancora la bakllava albanese. Proprio questa grande diffusione del dolce in tutta l'Asia occidentale e nel Mediterraneo orientale, ha dato luogo ad una infinità di caratteristiche variazioni regionali. In Turchia l’ingrediente chiave del ripieno sono i pregiati e costosi pistacchi di Antep, in Grecia usano invece le noci e aggiungono la cannella. In Iran, uniscono il cardamomo a una miscela di noci e zucchero e aromatizzano lo sciroppo con acqua di rose. Gli armeni aggiungono una miscela di noccioline per ogni tre o quattro strati di ripieno. Fino ad arrivare alla baklawa bengasina ripiena di datteri o con un misto di frutta secca resa particolare dalla polpa di cocco in fiocchi. Di seguito la mia variante.

Baklawa

Ingredienti

500 g di pasta fillo

250 g di margarina fusa

Per il ripieno

400 g di frutta secca mista: nocciole tritate, uvetta, lavata ed asciugata, fiocchi di cocco

30 g di pistacchi in granella per guarnire

Per il miele tripolino

500 g di zucchero canna

1 l di acqua

1 limone

In un pentolino, a fiamma moderata, mettete a fondere la margarina. Intanto preparate il miele tripolino mettendo in una pentola lo zucchero di canna, l’acqua, mezzo limone e il succo spremuto dall’altra metà e portate a cottura fino a che non sarà divenuto ambrato e una goccia posta in un piatto tenda a rapprendersi.

Preparate il ripieno mescolando in una ciotola la frutta secca. Ora passiamo alla vera e propria preparazione del dolce: aprite la pasta fillo, prendetene la metà facendo attenzione a che i fogli rimangano così come sono, cioè impilati l’uno sull’altro. Coprite la parte rimasta con un panno da cucina umido per evitare che si secchi. Con la pasta foderate il fondo di una teglia rettangolare a bordi dritti in alluminio di circa 30x40 centimetri, poi con la punta di un coltello fate sulla pasta quanti più buchi possibili penetrando fino all’ultimo strato. Con un pennello ungete bene il fondo di pasta con circa 1/3 della margarina. Attraverso i fori praticati nella pasta il grasso penetrerà tra stato e strato rendendoli croccanti una volta cotti. Distribuite la frutta secca sulla base di pasta, bagnate con un altro terzo della margarina quindi coprite con la pasta rimasta e con la punta di un coltello ben affilato praticate dei tagli così da dividere il dolce in quadrati di 10 centimetri di lato. Finite con la margarina rimasta quindi fate cuocere il dolce.

Cuocere in forno caldo a 180° C per circa 40 minuti o poco più. La superficie del dolce deve risultare ben dorata. Togliete il dolce dal forno e mentre è ancora caldo versatevi sopra lo sciroppo, ripassate bene i tagli praticati prima della cottura quindi finite il dolce con la granella di pistacchi.

 

Kasher - Gambero Rosso Channel - canale 412 di Sky lunedì alle ore 21.30, a partire dal 27 novembre 2017

 

a cura di Laura Ravaioli

 

Kasher. Laura Ravaioli e i segreti del basìn

Kasher. Laura Ravaioli e i segreti dell'Hràymi

Kasher. Laura Ravaioli e la ricetta delle Mafrùm

Kasher. Laura Ravaioli e i segreti del Couscus alla tripolina

 

 

LePolveri a Milano. Il micro panificio di Aurora Zancanaro è un forno d'altri tempi

$
0
0

50 metri quadri in tutto, un'impastatrice, il forno, la cella di lievitazione. E un piccolo banco per la vendita, ricolmo di pane, biscotti, dolci da forno. L'idea di Aurora Zancanaro, una laurea in chimica e la passione per la panificazione, è coraggiosa quanto vincente: aprire un panificio che sforna cose buone, a ogni ora del giorno. Con farine di qualità e grande competenza.   

Il micro panificio di Aurora

Aurora Zancanaro, da Treviso, ha poco più di 30 anni, e la panificazione nella sua vita è arrivata solo dopo l'università, una laurea in chimica a Venezia. Eppure a guardarla muoversi con sicurezza nel piccolo spazio progettato su misura (e la sua, in altezza, raggiunge il metro e ottanta!) che alla fine novembre ha inaugurato in via Ausonio, si direbbe che il mestiere ce l'ha nel sangue. La sua bottega, un laboratorio a vista con microscopico banco per la vendita in una delle zone più eleganti di Milano, non distante da Sant'Ambrogio e Corso Magenta, ha aperto i battenti senza troppo clamore, ma il quartiere non ha tardato ad adottarla, e il viavai è costante. Ci lavora da sola, in produzione continua da mattina a sera. Così, quando un cliente entra in negozio per comprare un filone ai cereali, o una baguette, non è raro trovarla alle prese con l'impasto per i biscotti, mentre in forno cuoce il pane, e nell'aria si respira un profumo di cose buone.

LePolveri, come recita l'insegna del micro panificio, è ‘grande’ appena 50 metri quadri: dentro, in uno spazio pulito col soffitto affrescato, c'entrano un forno, un'impastatrice, il lavandino che si intravede nel retrobottega, vicino alla cella di lievitazione, il piano per impastare separato da un vetro che lascia ampio spazio alla curiosità. Ma il banco è sempre pieno di valide alternative, a patto di arrivare prima che tutto finisca: oltre al pane, dolci da forno – danesi e cardamom bun – pan brioche e pizza alla pala, bianca o con verdure di stagione.

Farine selezionate e fantasia

Tutto da lievito madre e farine di piccoli mulini che Aurora seleziona sul territorio italiano, dal Molino Ronci di Riccione a Terrevive di Rossano Veneto, al mulino della Riviera di Dronero. Al resto provvede la fantasia della panettiera, che impasta secondo ispirazione del momento: pane ai cereali e di segale – seconda la ricetta tradizionale del Nord Europa – ci sono sempre, ma le combinazioni sono moltissime, dal mix dolce uvetta, fichi e albicocche all'impasto con spezie e semi di girasole, dal pane al finocchietto selvatico al pan brioche con nocciole, albicocche, pinoli e rosmarino. Per un centinaio di chili di pane al giorno. Stessa creatività con i biscotti, dolci o salati, venduti pure in confezioni già pronte, allineate sugli scaffali sotto il banco: con uvetta e noci, mandorle e arancia, profumatissimi con cacao, sale e rosmarino.

Ma lei, com'è arrivata sin qui, con la voglia (e il coraggio) di lanciarsi in una sfida in solitaria? Nel suo passato, dopo lo scarto tra ricerca universitaria e primi esperimenti di panificazione (sempre con la sensibilità, il rigore e la competenza di una chimica), esperienze importanti: le lezioni al Molino Quaglia, la gestione del panificio Mamapetra al Mercato Metropolitano durante Expo2015, un passaggio da Davide Longoni, e la collaborazione con Molino Vigevano, prima a Londra e poi come tecnica di panificazione. Persino una parentesi al Refettorio Ambrosiano, per tenere corsi allo staff.

Oggi, invece, procede da sola, e per Milano – pure sempre più capace di far crescere realtà di panificazione artigianale importanti, compreso il piccolissimo forno di Giuseppe Zen, al mercato della Darsena - è una gran bella novità.

 

LePolveri – Milano – via Ausonio, 7 – www.lepolveri.com

 

a cura di Livia Montagnoli

Il Brunello di Montalcino 2013 raccontato dai produttori

$
0
0

Il Brunello di Montalcino 2013. Ad anticiparci la nuova annata stavolta sono direttamente i produttori. Ma non parlano del proprio, bensì del vino di un'altra azienda.  

Con l'inizio del nuovo anno avviene il déblocage del Brunello di Montalcino, ovvero è possibile mettere in commercio la nuova annata. Quest'anno si tratta dell'annata 2013, come recita il comma 5 dell'art. 5 del Disciplinare che lo regola: "Il vino a denominazione di origine controllata e garantita Brunello di Montalcino non può essere immesso al consumo prima del 1° gennaio dell’anno successivo al termine di cinque anni calcolati considerando l’annata della vendemmia", uno in più per la Riserva. E per il 26esimo anno il Consorzio organizza gli eventi di presentazione in tutto il mondo: negli Stati Uniti (primo mercato del Brunello) in primis, poi a Montalcino a metà febbraio con l'evento Benvenuto Brunello, che quest'anno prevede oltre alle degustazioni anche i seminari. E per finire con le date in Estremo Oriente a novembre. Nel mezzo le grandi fiere, dal Vinitaly a ProWein, e gli eventi locali; insomma un calendario di presentazioni intenso e impegnativo.

Non solo, tra qualche settimana, arriveranno anche le prime recensioni: le casse di Brunello 2013 stanno per partire verso i grandi sommelier, critici e riviste internazionali e già dalla fine di gennaio i giornalisti che preferiscono valutare il nuovo vino a km zero si recheranno a Montalcino. Ma cosa succede se a recensire il Brunello sono gli stessi produttori? Un'operazione proposta ai produttori e accolta positivamente perché, per quanto strano possa sembrare in una società volta alla competizione, a Montalcino lo spirito di gruppo prevale sul singolo.

Il Brunello di Montalcino 2013: intervista a Riccardo Talenti

Prima di passare alle recensioni, ecco l'intervista a chi il Brunello lo valuta per conto del Consorzio: Riccardo Talenti, Commissario valutatore “Valore Italia” e vice presidente con delega tecnica del Consorzio del Vino Brunello di Montalcino.

Quali sono le note comuni di questa annata?

Il Brunello 2013 è caratterizzato da buone acidità, bei tannini ma anche dolcezze. Certo, più lo si assaggia e più si scoprono differenti sfaccettature, ecco perché lo paragonerei a un diamante a più facce. Ricorda un po' i Brunello delle annate 1998 e 2004 per via della freschezza, dei profumi molto puliti. Ma è al tempo stesso un'annata old style, che per certi versi ricorderà anche i Brunello degli anni ’80.

Siete in partenza per presentare la nuova annata agli Stati Uniti. Il Brunello ha sempre un posto speciale nel cuore degli americani?

Sì, assolutamente. È il mercato più importante, la comunità italiana è grande, i nostri ristoranti sono prestigiosi e non solo, Montalcino ma tutto il made in Italy di alta qualità, in particolare a New York, è diventato di culto.

Lei viaggia per presentare il Brunello ormai da molti anni. Qual è il suo primo ricordo internazionale?

New York 2001, poco dopo gli attentati delle Torri Gemelle (all'epoca la presentazione era a novembre, ndr), potete immaginare con che stato d'animo partimmo. Invece trovammo un'accoglienza calorosa e una grande partecipazione. La città era traumatizzata ma trovammo i newyorkesi determinati più che mai.

Dove viene distribuito e quanto costa un Brunello negli USA?

Principalmente il circuito è quello delle enoteche, poi le grandi aziende sono presenti anche in alcuni supermercati, mentre le più piccole hanno perlopiù clienti privati, come i ristoranti più importanti. Per rispondere alla domanda vi dico che un'annata che qui costa intorno ai 35 euro, a New York la si trova dai 60 dollari in su.

Si è appena chiuso il 2017: cosa ricordare?

È stato un anno impegnativo e positivo. Il rovescio della medaglia è rappresentato dalla perdita di due giganti del Brunello e di Montalcino: Nello Baricci, padre fondatore del Consorzio, una vera pietra angolare per Montalcino, e Pablo Harri, grande tecnico, venuto da fuori, ha lavorato con Banfi e Col d'Orcia, per poi arrivare ad avere una cantina sua. Due figure diverse alle quali il Brunello deve moltissimo.

 

Brunello 2013. I pareri dei produttori

Brunello di Montalcino '13 Argiano

Tommaso Cortonesi (Cortonesi). Esordisce con un rubino limpido e brillante, e dà un bellissimo floreale non facilmente riscontrabile in questa zona di Montalcino. Man mano scopre la sua complessità, seppur con un naso ancora un po' chiuso, caratteristica delle grandi bottiglie da invecchiamento. Pian piano escono fuori note di sottobosco e una leggera speziatura, bene integrata con del frutto rosso. In bocca viene il bello: grande struttura con una lunghissima persistenza con un trama tannica ancora austera. Uno dei più persistenti 2013 che abbia assaggiato fino adesso. Tannino e grassezza da Brunello tradizionale, deciso e con quella freschezza tipica di questa annata. Bello l'equilibrio. Bottiglia da mettere nella propria cantina e scoprire tra qualche anno. È il Brunello che mi aspetto di bere da un'azienda come Argiano diretta da una mano ferma e determinata come quella di Bernardino Sani.

Riccardo Campinoti (Le Ragnaie): Colore rubino intenso, complesso ed espressivo al naso con note floreali e di ciliegia. Bellissima bocca, dove l’annata e la mano conferiscono al vino freschezza e complessità, unite a un tannino vivace ma rigoroso. Con questa annata, la prima sotto la supervisione di Bernardino Sani, Argiano torna a proporre vini eleganti e tradizionali al tempo stesso, e questa è sicuramente una bella notizia per Montalcino tutta.

Argiano - Montalcino (SI) - S. Angelo in Colle - 0577 844037 - argiano.net

 

Brunello di Montalcino '13 Banfi

Fabrizio Bindocci (Il Poggione). Naso opulento ed elegante, intensamente fruttato, dolce e con un tocco di legno che lo ingentilisce. In bocca grande presenza di frutta e spezie, prugna, frutti rossi e pepe nero. Acidità importante ma in equilibrio. L’ingresso in bocca è molto ricco e viene completato da una sapidità finale e tannini in quantità che necessitano comunque di una ulteriore permanenza in bottiglia. Gran bel Brunello, tipico e piacevole, valorizzato da un equilibrio ed eleganza frutto della vite e del lavoro dell’uomo, importante realtà del nostro territorio.

Banfi - Montalcino (SI) - Località Castello di Poggio alle Mura - 0577 840111 - castellobanfi.com

 

Brunello di Montalcino '13 Baricci

Emanuele Nardi (Tenute Silvio Nardi). Unisce raffinatezza a struttura. Profumi ricchi e complessi, frutti rossi, spezie, tabacco. Al sorso inizia vellutato per poi esprimere tutta la sua ricchezza e spessore. Grande bevibilità.

Baricci - Montalcino (SI) – Località Colombaio di Montosoli, 13 - 0577 848109 - baricci.it

 

Brunello di Montalcino '13 Bosco di Grazia

Jessica Pellegrini (Fattoria del Pino). Bel rosso rubino si presenta al naso aperto e pronto con piccoli fiori di erica. In bocca continua ad essere molto piacevole, i tannini non sono aggressivi ma ugualmente esprimono giovinezza. Acidità giusta ed equilibrio. In bocca esce di media lunghezza con una piccola nota di amaro che non disturba. Lo reputo un Brunello dove c'è struttura, equilibrio, territorio. La percezione più intrigante che ho avuto su questo vino e che mi porta a ricordarlo è la presenza di un frutto rosso ben maturo, immediato, e subito dopo una nota verde che timidamente si affaccia e lo rende enigmatico.

Bosco di Grazia - Montalcino (SI) – Podere Bolsignano 272 - 333 7693549 - brunellograzia.it

 

Brunello di Montalcino Tenuta Nuova '13 Casanova di Neri

Emanuele Nardi (Tenute Silvio Nardi). Naso molto complesso con note che vanno dai frutti rossi alle spezie arricchite da sensazioni minerali. Al palato attacco morbido seguito da un centro lineare e avvolgente fino al finale strutturato con tannino fitto e dolce. Molto complesso, strutturato e giovane, un Brunello decisamente da invecchiamento.

Casanova di Neri - Montalcino (SI) – Podere Fiesole, via Traversa dei Monti, Km 31 - 0577 834455 - casanovadineri.it

 

Brunello di Montalcino '13 Casato Prime Donne

Laura e Lucia Sutera (Collosorbo). Si presenta elegante, al naso note di viola, ribes e lievi sentori di liquirizia. In bocca i tannini sono ancora giovani e delicati, per niente aggressivi, buona l'acidità. Corpo leggero, perfettamente in linea con l'annata tendenzialmente fresca. Un Brunello che descrive la zona e l'andamento climatico, si esprimerà al meglio nei prossimi 5-7 anni.

Casato Prime Donne - Montalcino (SI) – Località Casato, 17 - 0577 849421 - cinellicolombini.it

 

Brunello di Montalcino '13 Castello Tricerchi

Sebastian Nasello (Podere Le Ripi). Precisione e territorialità. Ha in se tutte le corde di un’annata fresca e austera e ne racconta pienamente le sfumature. Frutta rossa e sottobosco predominano al naso mentre al sorso a fare da protagonista è una fine trama tannica accompagnata da buona struttura e mineralità. Un Brunello più elegante che di forza. Sarà divertente vederne l’evoluzione negli anni.

Castello Tricerchi - Montalcino (SI) – Località Altesi - 347 2501884 - castellotricerchi.com

 

Brunello di Montalcino '13 Cava d’Onice

Emanuele Nardi (Tenute Silvio Nardi). Dai sentori molto complessi e variegati, molto balsamico. Al palato è eccezionale il connubio tra spessore, struttura e acidità.

Cava d’Onice - Montalcino (SI) - Podere Colombaio, 105 - 320 4091184 - cavadonice.it

 

Brunello di Montalcino '13 Ciacci Piccolomini d’Aragona

Emanuele Nardi (Tenute Silvio Nardi). Note di sottobosco, macchia mediterranea, spezie e tostatura. Al sorso è pieno e avvolgente con una struttura importante. Beva piacevolissima.

Ciacci Piccolomini d’Aragona - Montalcino (SI) - Località Molinello, Castelnuovo dell'Abate - 0577 835616 - ciaccipiccolomini.com

 

Brunello di Montalcino '13 Col di Lamo

Santiago Marone Cinzano (Col d'Orcia). Un Brunello giovane e da domare, con tannini ancora ruvidi ma di buona grana. L’acidità promette una grande longevità, oggi è piacevolmente fruttato con note di lampone e sottobosco. Un finale persistente con sottili note di cioccolato amaro. Un vino goloso e invitante.

Col di Lamo - Montalcino (SI) - Podere Grosseto, 28 - 0577 834433 - coldilamodigiovannaneri.com

 

Brunello di Montalcino '13 Col d'Orcia

Diletta Maria Pieraccini (Col di Lamo). Vino complesso, armonico, di grande eleganza, rubino intenso e brillante. Profumo avvolgente di frutti di bosco con raffinata speziatura. In bocca morbido, setoso, perfettamente equilibrato. Di eccezionale e piacevole persistenza. Un Brunello capace di grandi racconti, adesso e per molti anni. Da conservare gelosamente in cassaforte, come un gioiello prezioso che non esaurisce mai il suo potenziale emozionale.

Col d'Orcia - Montalcino (SI) - via Giuncheti, 53024 - 0577 80891 - coldorcia.it

 

Brunello di Montalcino '13 Collosorbo

Violante Gardini (Donatella Cinelli Colombini). Brunello importante per occasioni importanti. Giovane e intrigante, fin da subito affascina col suo rosso rubino. Malgrado l'annata non semplice questo Brunello rivela eccezionali potenzialità; grazie all'ottimo lavoro, la botte diventa culla e libera complessità, eleganza, finezza, preannunciando un grande futuro. Il naso rapisce portando nel bosco: frutti rossi, spezie, cuoio, tabacco. In bocca conquista: racconta Montalcino con l'eleganza che è propria delle tre donne di famiglia. Un Brunello da condividere con gli amici giusti e che sa esaltare sia le carni rosse del senese ma anche cacciagione e formaggi stagionati. Ci vuole tempo, passione e serenità per gustare al meglio questo vino che lascia il segno. Ottime premesse che fanno immaginare come sarà tra qualche anno... non vedo l'ora.

Collosorbo - Montalcino (SI) - Località Villa Sesta, Castelnuovo dell'Abate - 0577 835534 - collosorbo.it

 

Brunello di Montalcino '13 Corte dei Venti

Roberto Terzuoli (Sasso di Sole). La 2013 è stata un’annata in progressione, la maturazione è arrivata gradualmente, questo ha portato ad avere dei vini equilibrati. Il Brunello di Clara Monaci al naso si presenta timido ma basta farlo ossigenare un po' che si ha subito un impatto crescente di profumi molto piacevoli di piccoli frutti rossi e fiori appassiti, balsamicità di macchia e il bouquet che chiude con note di vaniglia e caffè. In bocca ha un gusto avvolgente e retto da una spalla acida e minerale, che si apre ai frutti rossi di bosco e macchia mediterranea. Un vino che non si dimentica dopo averlo degustato.

Corte dei Venti - Montalcino (SI) - Località Piancornello, 35 - 347 3653718 - lacortedeiventi.it

 

Brunello di Montalcino I Poggiarelli '13 Cortonesi

Bernardino Sani (Argiano). Vigneto singolo sulla strada che porta a Castelnuovo dell'Abate situato a circa 420 metri sul livello del mare in un terreno ricco di galestro. Naso estremamente fruttato invitante, pulito, con spiccate note di marasca e viola e una complessità che ricorda i grandi Barolo. In bocca è ancora molto giovane con tannini esuberanti ancora in evoluzione. Ottimo uso del legno che incornicia il vino lasciandone integre tutte le caratteristiche.

Cortonesi - Montalcino (SI) - Località La Mannella, 73 - lamannella.it

 

Brunello di Montalcino '13 Fattoria del Pino

Elisabetta Rubegni (Bosco di Grazia). Il vino di Jessica Pellegrini è intrigante e complesso come la proprietaria, frutti scuri ma anche una nota di sole, di frutti agrumati. Un corpo pieno, i tannini sono come seta sul palato ma allo stesso tempo si fanno sentire. Dopo due ore dall’apertura devo dire che mi ha stregato ancora di più, è un vino che non svanisce, persistente ed equilibrato.

Fattoria del Pino - Montalcino (SI) – Strada Consorziale dei Canali – 3475719051 - fattoriadelpino.com

 

Brunello di Montalcino '13 Fuligni

Lorenzo Magnelli (Le Chiuse). Ottima interpretazione di un'annata “vecchio stile”, al naso una netta espressione di frutti rossi e viola che ancora tengono legata la sua complessità fatta di note balsamiche, mai troppo invadenti, e di note minerali. In bocca è il Brunello che piace a me, vibrante, si distende nell’assaggio quasi sembra non aver mai fine con un tannino che esprime tutta la sua gioventù. Un Brunello super classico per eleganza e progressione, che provoca emozioni fin da subito ma che allo stesso tempo ruggisce suggerendoti che il meglio deve ancora venire.

Fuligni - Montalcino (SI) – via S. Saloni, 33 - 347 6654529 - fuligni.it

 

Brunello di Montalcino '13 Il Poggione

Rudy Buratti (Castello Banfi). Grande e immediata potenza olfattiva, poi freschezza ed eleganza, una nota va al frutto con una leggera speziatura e una nota va al legno che non sovrasta, ma si integra perfettamente. In bocca è già molto bello: rotondo e succoso, dotato di complessità ed equilibrio, incredibile freschezza. I tannini sono ben presenti, ma dotati di grana finissima, un piacere averli in bocca, Un vino dotato di eleganza e freschezza inusuale, caratteristiche apprezzabilissime in questo momento, ma che faranno la differenza tra qualche mese di bottiglia. Bottiglia che farà parlare di sé nei prossimi anni.

Il Poggione - Montalcino (SI) – Loc. Monteano, S. Angelo in Colle - 0577 844029 - tenutailpoggione.it

 

Brunello di Montalcino '13 Le Chiuse

Emanuele Nardi (Tenute Silvio Nardi). Stupisce per potenza e struttura, al naso spezie e piccoli frutti di bosco, tannini favolosi e perfettamente integrati, grande spessore e ampiezza; il tutto sostenuto da un'ottima acidità.

Le Chiuse - Montalcino (SI) – Località Pullera, 228 - 055 597052 - aziendaagricolalechiuse.it

 

Brunello di Montalcino '13 Le Ragnaie

Bernardino Sani (Argiano). Naso elegante, complesso, etereo con profumi molto variegati e note balsamiche e di sagrestia. In bocca sorprendono i tannini, estremamente soffici all'inizio ma che evolvono e rimangono molto persistenti rendendo il vino longevo e molto vivace. Straordinario per complessità e tipicità.

Le Ragnaie - Montalcino (SI) – Località Le Ragnaie, 264 - 0577 848639 - leragnaie.com

 

Brunello di Montalcino '13 Mastrojanni

Alex Bianchini (Ciacci Piccolomini d'Aragona). Naso floreale arricchito da una variegata frutta rossa, tannino giovane e una bellissima acidità, rispecchia in pieno l'annata 2013, in bocca è molto rotondo con un'importante persistenza. Bottiglia sicuramente di grande longevità vista la gioventù che esprime in questo momento.

Mastrojanni - Montalcino (SI) – Località Poderi Loreto e San Pio, Castelnuovo dell'Abate - 0577 835681 - mastrojanni.com

 

Brunello di Montalcino Cielo d'Uisse '13 Podere Le Ripi

Tommaso Squarcia (Castello Tricerchi). Nuova etichetta, diversa personalità. Inizia così la nuova avventura di Podere le Ripi nelle nuove vigne sul versante ovest, in punta di piedi. Sangiovese classico, colori delicati. Nel naso l'espressione della tipica botte grande, frutti rossi e sottobosco. In bocca ruspante, come l'annata; tannini e acidità ancora in evoluzione ma che già dipingono un quadro di grande beva.

Podere le Ripi - Montalcino (SI) – Località Le Ripi - 0577 835641 - podereleripi.it

 

Brunello di Montalcino '13 Salvioni

Luciano Ciolfi (Sanlorenzo). Naso tipico, floreale, frutti rossi. In bocca più lineare che ampio, acidità che ancora deve integrarsi, così come il tannino, anche se è già ben levigato. Finale lungo. Sicuramente rispecchia un'annata piuttosto fredda e piovosa, privilegia l'eleganza alla struttura. Una bottiglia da lasciare in cantina per tanti anni (magari averne!).

Salvioni - Montalcino (SI) – Piazza Cavour, 19 - 0577 848499 - aziendasalvioni.com

 

Brunello di Montalcino '13 Sanlorenzo

Alessia Salvioni (Salvioni). Vino nervoso e austero; lentamente questa austerità si trasforma in eleganza. Ha molto tempo davanti a sé per arrotondare gli spigoli. In bocca ormai il classico stampo alla Sanlorenzo. La sensazione al primo sorso è un misto di salivazione per l’acidità, la sapidità e la presenza di tannini che lo rendono tagliente ma non troppo. Man mano anche al naso subentra un buon balsamico e una nota di tabacco quasi dolce. Ottimo retrogusto. Probabilmente avrà da raccontare altre storie nel suo percorso di evoluzione. In questo momento sembra di vedere un bravo bambino che si nasconde dietro a una maschera da bullo.

Sanlorenzo - Montalcino (SI) – Podere San Lorenzo, 280 - 0577 832965 - sanlorenzomontalcino.it

 

Brunello di Montalcino '13 Sasso di Sole

Clara Monaci (Corte Dei Venti). Un vino dal forte carattere. In questo Brunello si percepisce il grande lavoro in vigna, dove l’affinamento in cantina non stravolge, ma valorizza profumi e gusto. L’eleganza della botte grande è presente e non invasiva, quasi come fosse una firma dei vini Sasso di Sole. Colore rosso rubino carico, denso. Al naso fine, complesso, note balsamiche piacevoli su frutto piccolo maturo di fragoline e ribes, leggera liquirizia. Al gusto caldo, di corpo, non ancora in equilibrio con le parti dure presenti, fresco di beva. Un vino ammaliante, dalla forte personalità. Una bottiglia con un lungo futuro di fronte a sé.

Sasso di Sole - Montalcino (SI) – Podere Sasso di Sole, 85 - 0577 834303 - sassodisole.it

 

Brunello di Montalcino '13 Solaria

Andrea Lonardi (Val di Suga). Vino di colore rosso rubino intenso che lascia presagire un ottimo livello di concentrazione. Al naso si presenta subito aperto con delle note speziate fresche di noce moscata, rosmarino e mallo. Il vino mostra evoluzione nel bicchiere con piacevoli note di fiori secchi, cioccolato e ricche note ematiche che richiamano al versante est di Montalcino. In bocca il vino si presta fresco e lineare con un ingresso morbido caratterizzato da delle piacevoli note cremose. Il tannico risulta di buona struttura, morbido e già perfettamente integrato. Già pronto per essere apprezzato ma con una sicura crescita in bottiglia che conferirà sapidità e maggiore lunghezza.

Solaria - Montalcino (SI) – Podere Capanna, 102 - 0577 849426 - solariacencioni.com

 

Brunello di Montalcino '13 Talenti

Tommaso Cortonesi (Cortonesi). Quando assaggio un Brunello Talenti mi torna sempre in mente quando da piccolo andavo al Vinitaly e assaggiavo con mio padre alcuni Brunello alla cieca. La mano di Pierluigi Talenti (Piero per noi montalcinesi) era inconfondibile! Quello del 2013 apre con un naso etereo. La frutta rossa matura ben lega con alcune note speziate. Naso di grande impatto e già molto espressivo. In bocca quello che ti aspetti: un connubio tra struttura ed eleganza. Tannino molto fine e vellutato, ben legato con il corpo del vino. Buona acidità non invasiva e ben integrata. Grande piacevolezza. Scoprire questo Brunello bicchiere dopo bicchiere è una bella esperienza. Un Brunello che darà soddisfazioni sin dalla messa in commercio, in tipico stile Talenti.

Talenti - Montalcino (SI) – Località Pian Di Conte, Sant'Angelo in Colle - 0577 844064 - talentimontalcino.it

 

Brunello di Montalcino '13 Val di Suga

Patrizia Cencioni (Solaria). All’analisi visiva il vino si presenta di colore rosso rubino con riflessi granati, di buona consistenza. Il naso è elegante, a primo impatto viene fuori la nota speziata di liquirizia e vaniglia che si apre lentamente verso note fruttate di sottobosco e frutta rossa matura. Buono l’ingresso in bocca, si estende fino al centro. Vino caldo di buona persistenza, morbido e abbastanza sapido. Presenta una buona acidità, caratteristica dell’annata che è stata fresca e con un fine settembre piovoso. Si ritrova la liquirizia ma vengono fuori al gusto note tostate e di tabacco. L’azienda è una delle realtà medio grandi di Montalcino e la buona qualità dei vini è sempre una certezza, il 2013 sicuramente rispetta quella che è la loro impronta stilistica. Da assaggiare nuovamente tra qualche anno per apprezzarne l’evoluzione.

Val di Suga - Montalcino (SI) – Strada Provinciale del Brunello - 0577 804101 - valdisuga.it

 

a cura di Dario Pettinelli

 

www.consorziobrunellodimontalcino.it

 

Un ristorante in libreria. Nuova vita per Gonnelli, bottega storica nel cuore di Firenze

$
0
0

Dalla fine del XIX secolo, la Libreria Gonnelli è stata il punto di riferimento per collezionisti e appassionati di libri antichi e oggetti d'arte. Ora trasloca in piazza d'Azeglio, ma gli spazi storici di via Ricasoli, a due passi dal Duomo, non resteranno inutilizzati: al posto di libri e scaffali, un ristorante dedicato alla cucina toscana. 

La libreria storica nel centro di Firenze

La storia della Libreria Gonnelli, che affonda le radici nel 1875, sancisce un primato inequivocabile: la longeva attività di via Ricasoli, a Firenze, tramanda la memoria di una delle più antiche e prestigiose librerie antiquarie d'Italia, sempre in mano alla stessa famiglia, ormai da quattro generazioni. E nel tempo, il bello spazio a pochi passi dal duomo di Santa Maria del Fiore – col suo cortile coperto cinquecentesco spesso teatro di mostre e aste antiquarie – è diventato un punto di riferimento per gli appassionati di libri antichi e incunaboli, di cui la libreria, che è pure casa editrice, possiede una nutrita collezione. Oggi alla guida dell'insegna c'è Marco Manetti, che è il promotore dell'ultimo ambizioso progetto che di sicuro lascerà molti affezionati clienti sorpresi. Da marzo, la storica bottega trasloca in piazza d'Azeglio: dopo più di 140 anni vissuti tra le mura di via Ricasoli, infatti, lo sconfinato catalogo librario di Gonnelli ha bisogno di più spazio, come del resto l'attività di casa d'aste, rilanciata nel 2009 e in costante sviluppo, ma sfavorita dalla posizione troppo centrale della libreria, raggiungibile con difficoltà nel mare di turisti che affollano le strade limitrofe al Duomo a ogni ora del giorno. Così, per una situazione tutt'altro che critica (come sempre più spesso accade quando un'attività storica chiude bottega), la libreria Gonnelli si proietta verso un futuro ricco di aspettative.

 

Il ristorante in libreria

Ma la novità vera, che conferma il desiderio di rilanciare diversificando l'attività, prenderà forma proprio nel fondo storico della famiglia Manetti Gonnelli, che lungi dal vendere la proprietà ha deciso di reimpiegarla con nuova destinazione d'uso, seppur coerente con la storia del luogo (vincolo peraltro difficilmente aggirabile, e per fortuna). In primavera, quindi, Gonnelli riunirà sotto l'insegna di via Ricasoli un ristorante-libreria, destinato a ospitare iniziative culturali, ma con chiaro orientamento all'offerta enogastronomica. Un nuovo locale dedito alla somministrazione in pieno centro città, in barba ai più che discutibili limiti sanciti dal nuovo regolamento del commercio fiorentino, che a maggio scorso ha introdotto il divieto di aprire ristoranti e negozi alimentari in tutto il perimetro storico, per i prossimi tre anni. La domanda di Gonnelli, però, è stata protocollata entro il tempo limite – il progetto matura già da un paio d'anni – e il ristorante si farà, in collaborazione con un imprenditore fiorentino e con particolare attenzione alla qualità della proposta, incentrata su prodotti del territorio e valorizzazione della cucina toscana, come Manetti ha anticipato al Corriere fiorentino. Del resto, nello spazio fondato alla fine del XIX secolo dai suoi avi, le sorprese non mancano. E così, tra scaffali e pile di libri (che pure resteranno a preservare il legame col passato), spunta una grande cappa, dove un tempo i Gonnelli cucinavano qualcosa per sé, attardandosi a mangiare un boccone con qualche cliente nel retrobottega. L'obiettivo, ora, è quello di ricreare un nuovo spazio conviviale, moderno, ma memore (e rispettoso) dei tempi che furono. L'ultima asta, il 15 e 16 gennaio, aiuterà ad alleggerire il magazzino prima del trasloco: 731 lotti tra dipinti, libri antichi e oggetti d'arte. Poi si cambia vita.

 

a cura di Livia Montagnoli

Alta ristorazione e mense ospedaliere. Luca Marchini da L'Erba del Re al Carlo Poma di Mantova

$
0
0

Un nuovo esempio di alta ristorazione prestata alle mense ospedaliere. È la volta di Luca Marchini de L'Erba del Re che sta rivoluzionando l'offerta del Carlo Poma di Mantova.

Riorganizzare e migliorare la cucina di un ospedale puntando a una maggiore gradevolezza dei sapori e alla valorizzazione delle proprietà organolettiche e nutrizionali dei cibi è difficoltoso, soprattutto se questa casa di cura è pubblica, oberata da burocrazia, abitudini consolidate difficili da scardinare e tenuta a rispettare un budget preciso.

 

L'erba del reRistorante L'Erba del Re

Ma a dispetto delle difficoltà, Luca Marchini, chef de L’Erba del Re (stellato per la Guida Michelin e secondo, a Modena, solo all’Osteria Francescana di Massimo Bottura per la Guida del Gambero Rosso 2018, dove conquista le Due Forchette con una valutazione di 87 su 100) ha accettato con entusiasmo la sfida.

 

Alta cucina e ristorazione ospedaliera

L’operazione non è nuova. Era già stata messa in pratica, nel 2016, dagli chef Jeunes Restaurateurs d’Europe (Jre, di cui Marchini è presidente per l’Italia) nella casa di cura Madonnina, aperta a marzo di due anni fa dal Gruppo ospedaliero San Donato milanese. Nel 2017 è stata la volta di Niko Romitoche da marzo di quest’anno firma i pasti al Cristo Re di Roma nell’ambito del suo progetto Intelligenza nutrizionale. Dopo l’estate è partito anche Luca Marchini. E lo ha fatto all'ospedale Carlo Poma di Mantova: a settembre si è cominciato con i dipendenti dell’ospedale e a novembre con i pazienti ammessi alla dieta libera. E, settimana dopo settimana, l'esperienza sta andando a regime.

Ad accomunare le tre esperienze è la volontà di unire in maniera strutturata vantaggi economici ed efficienza lavorativa con il miglioramento della qualità nutrizionale e organolettica dei cibi. A distinguere il progetto di Marchini dagli altri due è il fatto che quest’ultimo si trova a lavorare con una struttura pubblica.

Prima di iniziare conosceva bene il progetto Intelligenza Nutrizionale di Romito. “Con l’amico e collega Romito ho parlato molto prima di cominciare. Da lui ho preso il grande entusiasmo, anche se ciò che puoi fare in un luogo privato non è applicabile in uno pubblico. Certamente quest’ultimo contesto ti mette di fronte ad una sfida più complessa. Devi combattere con poche armi, quelle basiche, e renderle ineccepibili per quanto possibile. Il mio obiettivo è che le persone comuni che mangeranno in quell’ospedale, dipendenti o pazienti che siano, possano dire: Ho mangiato in modo piacevole. Non in modo eccelso, ma piacevole. Quando questo accadrà, il mio obiettivo sarà raggiunto”.

Ospedale carlo poma

L'idea iniziale e i primi ostacoli

Marchini è stato contattato circa un anno fa dalla direzione dell'ospedale Carlo Poma di Mantova per partecipare al progetto “Chef in ospedale: diamo gusto alla salute”. Inserito nell’ambito di ERG-European region of gastronomy 2017, il progetto è coordinato dal direttore medico del presidio di Mantova, Consuelo Basili.

L'idea” spiega lo chef “era di rendere il cibo appetibile su basi scientifiche, di diffondere una cultura della sana alimentazione nella comunità, sia all’interno che all’esterno dell’ospedale, per contribuire alla prevenzione delle patologie. Dal momento in cui venni contattato e accettai la proposta, trascorremmo quattro mesi con la direzione dell’ospedale e gli addetti competenti soltanto per capire se ci fosse la possibilità di un eventuale cambiamento”.

Il primo scoglio era confrontarsi con una grande cucina e un ampio staff, il secondo era capire cosa potesse essere fatto. “I dipendenti erano 15”prosegue Marchini “e tutti avrebbero dovuto seguirmi a scapito delle loro convinzioni e delle loro abitudini. In un ospedale pubblico, di grandi dimensioni e doverosamente attento ai limiti di budget, una cucina d’autore non era assolutamente pensabile. Ma a me non dispiaceva, perché la mia idea, per questa destinazione, era proprio una cucina semplice, basata sugli ingredienti che di solito troviamo negli ospedali, ma lavorati in modo da farli risultare più gustosi e più salutari. Sarebbero cioè rimasti la pasta in bianco, il pollo e il purè di patate, che tuttavia sarebbero stati preparati in modo da risultare più leggeri e con qualità organolettiche migliori”.

 

Quali cambiamenti nella proposta alimentare?

Per vincere il primo scoglio Marchini trascorse sei mesi, da aprile a ottobre, con i dipendenti, in modo da creare una squadra affiatata e accomunata da valori condivisi. Per passare al meglio il secondo step, invece, venne aiutato dalla biologa specializzata in Scienza della nutrizione, MariaChiara Bassi, per integrare le ricette e/o per eliminare ciò che non era considerato adeguato dal punto di vista nutrizionale.

Il cuore del cambiamento”riferisce Bassi “è consistito nel creare la cultura di una corretta alimentazione in un mondo dove regna un’immensa confusione. Per farlo, abbiamo cercato di adeguare la mensa alla dieta mediterranea tradizionale, riducendo le proteine animali, alternandole alle vegetali e inserendo cereali integrali e verdura. Non ultimo, lo scopo era trasmettere un modo semplice di cucinare, per cui il primo passo è stato eliminare il dado e diminuire drasticamente il sale, sostituendoli rispettivamente con erbe aromatiche fresche e spezie. Abbiamo ridotto il consumo di carne, limitato i formaggi a una volta alla settimana, minimizzato l’utilizzo di carne conservata, limitando l’offerta di salumi e insaccati a una volta alla settimana. Abbiamo ridotto anche l’utilizzo delle patate, che sono ad alto indice glicemico. Le utilizziamo però per il purè, che ci costa personale dedicato e per cui vorremmo acquistare uno schiacciapatate, per togliere dagli ingredienti i fiocchi di patate, che sono caratterizzati da un indice glicemico elevatissimo. Abbiamo proceduto alla riduzione dei prodotti congelati, preferendo verdure di stagione consumate e/o lavorate da fresco. Sono stati ridotti i grassi superflui del 99%, eliminando il burro e sostituendolo con l’olio in minore quantità rispetto al primo”.

Prosegue la biologa: “Abbiamo inserito invece legumi tutti i giorni e cereali integrali (come riso, orzo, farro, miglio), riso basmati e polenta con grano saraceno. Il mio prossimo obiettivo sarebbe quello di servire i menù non più su piatti di plastica, ma su piatti di plastica biodegradabile”.

 

I processi produttivi

La squadra è intervenuta anche sui processi produttivi, che hanno subito così notevoli cambiamenti. “A cominciare dalla corretta mantecatura della pasta e del riso”, specifica Marchini. “Non più dunque la pasta cotta alle 12 e servita nel piatto con la classica mestolata di pomodoro sopra, magari fino alle 14, ma una pasta con il suo tempo corretto di cottura e la sua successiva mantecatura. Non più la carne cotta alle 10.40 di mattina e tirata fuori dal forno alle 12.00, ma mantenuta morbida grazie alla corretta cottura al vapore. Le stesse crucifere ora vengono tagliate prima della cottura e lasciate in ebollizione i soli sei minuti necessari. Li condiamo con la senape, per potenziarne il sulforafano, che stimola i processi del fegato e abbassa il rischio di patologia tumorale”.

Dal punto di vista della strumentazione, lo chef non ha potuto beneficiare di alcuna innovazione o strumento in più. “Anche solo la rottura di un forno o la necessità di sostituire un dipendente”racconta “provocava danni e ritardi al servizio, poiché la burocrazia richiede tempi molto dilatati. La stessa cucina è logisticamente lontana dai reparti e non è prassi effettuare alcuna prenotazione. Di tutto ciò dobbiamo sempre tener conto”.

 

Piccoli cambiamenti e nuove ricette

Come procedere dunque? “Abbiamo iniziato dalle operazioni più “semplici”, all’apparenza scontate”, precisa lo chef modenese. “Ad esempio, nell’ospedale veniva utilizzato un olio extravergine di oliva di bassa qualità senza beccuccio dosatore, che portava a sprecare una certa quantità di prodotto. Quindi, abbiamo adottato un olio evo di qualità nettamente superiore, sempre con un occhio al prezzo, dotato di beccuccio dosatore calibrato che evita gli sprechi. Sembrano dettagli futili, ma la nostra filosofia è proprio questa: cercare di migliorare, utilizzando quello che abbiamo nel miglior modo possibile”.

Abbiamo posto molta attenzione anche agli abbinamenti”specifica Marchini “inserendo nella dieta molte zuppe e vellutate, che fino a quel momento non sono state considerate e che invece hanno ricevuto molto apprezzamento, grazie anche all’utilizzo di verdure di stagione che allettano la vista. Abbiamo inserito tipologie di carne meno grasse, sostituendo, ad esempio, la coppa di maiale con la coscia e sgrassandola prima dell’utilizzo (tra nervature e materia grassa abbiamo raggiunto una quota di sgrassamento del 20%). Ancora, abbiamo adottato cotture differenti in base alle necessità di ogni singolo prodotto e/o verdura. Ma abbiamo anche reso più efficienti gli addetti alla cucina, ad esempio, insegnando loro, con un incontro ad hoc, a utilizzare al meglio i forni a vapore con pressione incorporata”.

Luca Marchini

La carriera di Luca Marchini iniziò 15 anni fa. “Quando aprii, in centro a Modena, nell’area Pomposa” racconta “inaugurai il ristorante L’Erba del Re. Dopo un anno avviai la mia attività di catering. Nel 2011 fu la volta della scuola di cucina, strutturata con team building e una vera e propria cucina sul davanti. Arriviamo così a due anni e mezzo fa, quando decisi di dedicare uno spazio anche alla tradizione estrema della cultura modenese con piatti storici. Fu così che nacque la trattoria Pomposa, dove la pasta a mano occupa il 70% del menù, affiancata dalle carni cotte in forno a legna”.

Conclude lo chef: “Il mio sogno era quello di un locale tutto mio che potessi gestire in prima persona. L’Emilia Romagna è una regione che si presta molto. Il territorio offre un paniere di materie prime che lascia solo l’imbarazzo della scelta. A questo aggiungiamo il suo imprinting di terra fatta di equilibri e contrasti. A condire il tutto è la mia personale convinzione che i grandi piatti debbano essere fatti a tavolino. Pertanto, no a un cucina d’impulso, si a una cucina meditata. Anche e soprattutto in ospedale”.

 

L'Erba del Re – Modena – via Castel Maraldo, 45 – 059 218188 - www.lerbadelre.it

Trattoria Pomposa – Modena – via Castel Maraldo, 57 - 059 214881- http://www.trattoriapomposa.it/

 

a cura di Alessandra Ferretti

 

 

Pig Calabria, del maiale non si butta niente. Dal rito ancestrale al piatto dello chef: 12 protagonisti a Villa Rossi

$
0
0

L'idea arriva da Nino Rossi, talentuoso rappresentante della nuova generazione di chef calabresi che sulla tradizione e i prodotti regionali sta scommettendo per lanciare la Calabria sui palcoscenici internazionali. Il 14 gennaio, Pig racconta l'identità regionale rievocando l'uccisione rituale del maiale. A cucinarlo, senza sprechi, 12 chef, per una grande festa di piazza.  

La Calabria di Nino Rossi

L'uccisione del maiale ha sempre rappresentato nell'immaginario rurale calabrese, un vero e proprio avvenimento collettivo, di tipo liberatorio e allo stesso tempo motore di nuove speranze, durante il quale la paura di raccolti scarsi e di miseria veniva blindata in un rito simbolico e fortemente culturale. Perciò ho deciso di affidare a degli chef fortemente rappresentativi il compito di dare nuova linfa al nostro rituale. I numeri di questa edizione sono di assoluto rilievo: 12 chef, 2 macellerie d'eccellenza, un maestro pasticcere, 4 produttori vinicoli tra i più interessanti del panorama calabrese”. Chi meglio può spiegare lo spirito e il “regolamento” di una nuova manifestazione, se non chi l'ha ideata? Le parole, quindi, le prendiamo in prestito da Nino Rossi, classe 1981, calabrese con orgoglio, e tanto legato alla sua terra da concepire un nuovo palcoscenico dedicato alle tradizioni della Calabria rurale, col supporto però di quella creatività gastronomica che è la chiave di volta della sua cucina. Di territorio, certo, ma generosamente sperimentale. Dalla primavera 2016, e dopo esperienze che l'hanno portato nell'Alta Badia di Norbert Niederkofler come al fianco di Giancarlo Perbellini, guida il progetto Qafiz, all'interno di Villa Rossi, tenuta settecentesca della sua famiglia, a Santa Cristina d'Aspromonte. E partecipa di quel rinascimento gastronomico che ha rilanciato la ristorazione calabrese sulla scena internazionale, merito in gran parte della curiosità di giovani chef come lui, attaccati alle proprie radici, e ai grandi ingredienti regionali, ma non per questo incapaci di guardarsi intorno.

 

Pig. Il rituale del maiale

La Calabria però è anche quella di rituali ancestrali legati alla vita contadina e frugale, dove l'uccisione di un maiale diventa momento di complicità e condivisione sociale, ben prima che necessità alimentare. Da questa considerazione, e da una tradizione culinaria che della carne di suino ha fatto un alimento centrale della tavola, prende forma Pig, “del porco calabro non si butta niente”, prima edizione in calendario il 14 gennaio, a Villa Rossi. Con la partecipazione dei colleghi che hanno risposto all'appello, Rossi cavalca così l'onda di un movimento che sempre più spesso porta chef di rango a confrontarsi con materie prime povere, meglio se in contesti estemporanei, conviviali e ad alto tasso di spettacolarità, dove l'istinto e l'improvvisazione (finanche un pizzico di compiacimento splatter) guidano il corso degli eventi, e il talento creativo si trasforma in un grande momento di festa. Il risultato si apprezza nel piatto, e per scoprirlo è meglio prenotare un posto in prima fila acquistando online il biglietto d'ingresso, 50 euro per assaggiare tutto quello che finirà sul fuoco, tra griglie e tecniche di cottura primitive.

 

Cucina creativa e paiolo di rame a confronto

Ma come funziona Pig? Alla rievocazione del rito identitario parteciperanno 12 chef: Luca Abbruzzino, Antonio Biafora, Gennaro Di Pace, Maurizio Sciarrone e Nino Rossi in rappresentanza della Calabria, Mauricio Zillo e Francesco Ruggiero da Parigi, Diego Rossi da Milano, Luciano Monosilio da Roma, Angelo Sabatelli da Putignano, Giacomo Sacchetto da Verona, Roberto Petza dalla Sardegna. Con loro il pasticcere Rocco Scutellà. E due macellerie locali, Ioppolo e Arturo, che lavoreranno in parallelo al paiolo di rame, cuocendo le diverse parti del maiale nella sugna (i cosiddetti frittuli “a caddara”), uso tradizionale. Ai cuochi, invece, il compito di reinventare il prodotto, servendosi liberamente dei tagli che preferiscono – dal gambone alla pancia, dalla cotenna alle zampe, a lingua, rognone, muso, orecchie, costine - ed elaborandoli in libertà (a disposizione persino roner e una batteria di green egg alimentata a carbone dell'Aspromonte), rinnovando un costume antico che introduceva ai tempi di magra della stagione invernale. Oggi, invece, ci si concentra sulla necessità di valorizzare la cultura territoriale. Bello che l'input arrivi da un cuoco della nuova generazione.

 

Pig – Santa Cristina D'Aspromonte (RC) - Villa Rossi Dimora Storica, Località Calabretto, 1 – il 14 gennaio, dalle 13 – ingresso 50 euro – www.pigcalabria.it

 

a cura di Livia Montagnoli

 


La nuova cucina del Ristorante Club del Doge, del Gritti Palace a Venezia

$
0
0

Vi raccontiamo la nuova cucina di Daniele Turco, chef del Ristorante Club del Doge al Gritti Palace, uno degli alberghi più lussuosi e più amati di Venezia.

È tra gli alberghi più amati della città, sarà per via del lusso che lo caratterizza o forse per la sua storia che risale al 1525. Parliamo del Gritti Palace a Venezia, nato come residenza privata del Doge Andrea Gritti, diventato negli anni il rifugio veneziano di personaggi illustri, famiglie reali, scrittori e artisti di fama internazionale. Le grandi sale affrescate, i soffitti con decorazioni in oro, i marmi pregiati, i lampadari di vetro di Murano, gli specchi e i mobili antichi ne fanno uno scenario straordinario e indimenticabile. Per non parlare della vista sul Canal Grande o sulla splendida Chiesa di Santa Maria del Giglio. A completare il tutto, ora anche la nuova cucina del Ristorante Club del Doge, ad opera dello chef Daniele Turco.

Gritti Palace a Venezia

La storia e la reputazione del Gritti Palace

Nulla o poco è cambiato in questi secoli, il Canal Grande è sempre la splendida via d’acqua che attraversa la città dei Dogi e accompagna chi arriva dalla terraferma, sfiorando i centosettanta palazzi sorti tra il XII e il XVIII secolo. Tra i più affascinanti e ricchi di storia il Gritti Palace, perla fra le perle, secondo Ernest Hemingway “il miglior albergo della città, in una città di grandi alberghi”. Un’antica residenza di proprietà della famiglia Gritti, che diede il 77° Doge a Venezia, divenuta albergo all'inizio del XIX secolo, e che oggi conserva con orgoglio decine di aneddoti sullo scrittore statunitense, in virtù delle sue frequenti visite e di una speciale intesa che intercorreva tra lui e il maître. Tanto da indurre Papa Hemingway a includere il Gritti Palace e il suo premuroso personale nella trama di uno dei suoi ultimi romanzi, “Di là dal fiume e tra gli alberi”, pubblicato nel 1950. Ma Hemingway non è stato l’unico grande nome ad aver scelto il Gritti, nel corso dei decenni si sono succeduti ospiti illustri di ogni ordine e grado, da Ian Fleming a William Somerset Maugham, da Peggy Guggenheim a Woody Allen.

La ristrutturazione nel 2013

Con la ristrutturazione del 2013, durata quindici mesi, e un investimento di 35 milioni di euro, l'albergo della catena Luxury Collection è tornato a risplendere, guidato con mano sicura dal direttore Paolo Lorenzoni. Ora si possono nuovamente contemplare i preziosi elementi d’arredo, i pavimenti in marmo, i decori, i soffitti ornati, gli specchi e le lampade del XVIII secolo realizzate dagli artigiani di Murano. E ci si può rilassare scegliendo tra le 61 camere e 21 suite a disposizione, ciascuna caratterizzata da stoffe pregiate e raffinati arredi neoclassici intitolati ai clienti storici del Gritti. Ovviamente la sferzata di novità ha colpito anche la ristorazione. E se i piatti amati da Hemingway, come il Risotto agli scampi con brodetto di crostacei, l’Anitra speziata allo zenzero e miele con salsa al Porto invecchiato, il Sigaro al cioccolato con salsa al Bourbon – che lui accompagnava con l'immancabile Martini o con calici di Amarone, Champagne o Capri bianco ghiacciato - sono ormai scolpiti nella storia del Gritti, nel corso degli ultimi due anni la cucina del Ristorante Club del Doge ha vissuto profondi mutamenti.

Risotto agli scampi di Daniele Turco - Gritti Palace a Venezia

Lo chef del Ristorante Club del Doge

L’executive chef Daniele Turco sta conducendo una piccola rivoluzione, mettendo in discussione assunti di ieri, dando vita a una cucina piacevole e interessante, che non vuole tagliare con il passato, ma porre in essere un’abile e precisa rivisitazione dei piatti storici. Lo chef trevigiano, classe 1970, ha saputo cercare nuovi stimoli, rimettendosi in gioco, anche grazie alle fruttuose esperienze di confronto e scambio con nomi di rilievo della cucina italiana come i fratelli Cerea, Carlo Cracco, Vittorio Fusari, Matteo Baronetto, fino a Luca Marchini, Eugenio Boer e Rino Duca. Esperienze feconde che hanno sensibilmente influenzato il nuovo corso del ristorante del lussuoso hotel veneziano, dove Daniele propone una cucina per niente convenzionale, con le materie prime dell’isola di Sant'Erasmo e del Mercato di Rialto, in un intrigante gioco di contrasti mai eccessivo, attraverso piatti puliti e senza sbavature, con cotture appropriate ed esecuzioni accurate.

La cucina di Daniele Turco

Sono le stesse materie prime stagionali e regionali a divenire spunto per la nascita dei miei piatti”, afferma Daniele Turco “in un percorso che si evolve con le mie esperienze, quando arrivano le primizie mi misuro con nuovi piatti e nuove sfide, e la mia cucina si arricchisce di stimoli”. Per il General Manager Paolo Lorenzon: “Il nuovo corso del Gritti Palace imprime all’offerta enogastronomica nuove sensazioni e percorsi innovativi, che devono anticipare i desideri degli ospiti, secondo l’attuale orientamento del comparto luxury che vede una ristorazione mondiale di alto profilo, quindi fine dining, e che al tempo stesso sappia essere divertente senza mettere mai in soggezione; in più a tutte le ore del giorno”. Dal menu: i classici cicchetti veneziani, ovviamente all'altezza delle aspettative, con gamberetti di laguna, sedano e pepe di Cubebe; canestrello gratinato e lenticchia nera; baccalà mantecato e polenta biancoperla; sarde in saòr. Oppure battuta di Fassona con barbabietola, finger lime, germogli di stagione e stracciatella di burrata o l'ovetto di montagna barzotto, spinacino fresco e castraure (Carciofi Violetti di Sant'Erasmo). Tra i primi: ravioli del suolo con tartufo nero, formaggio monteveronese e burro di malga, spaghettoni con estratto di vongole nostrane e limone con schiuma di carota o tagliatelle integrali con ragù di germano reale e ribes rosso. Se poi uno volesse rivivere l'atmosfera del passato lo chef trevigiano prepara anche il Risotto con scampi alla Hemingway. Ancora, filetto di branzino, frutti di mare e cime di rapa e per finire la torta caprese con sorbetto al mosto e namelaka al cioccolato ridotto.

Tartare di Daniele Turco - Gritti Palace a Venezia

La carta dei vini e il Bar Longhi

Superlativa la carta dei vini, raccontata con pazienza e precisione senza ostentare superflui tecnicismi, attraverso le etichette simbolo del Triveneto come l’Amarone, il Prosecco, i vini della Laguna, con grandi annate e outsider di piccoli e virtuosi produttori, insieme a interessanti selezioni convenzionali, biologiche e biodinamiche delle regioni più vocate della Penisola. L'offerta dell'hotel si completa con la spettacolare The Gritti Terrace, aperta da aprile a ottobre con un menù più smart, The Gritti Epicurean School, la storica scuola di cucina del Gritti Palace che propone lezioni personalizzate di cucina veneziana, e il Bar Longhi. Un caffè paragonabile alla sala di un museo per opere d'arte, arredi e raffinatezza complessiva. Che deve il nome ai sei splendidi dipinti del XVIII secolo realizzati dall'omonimo pittore veneziano. Specchi, divani in pelle, lampade in vetro di Murano e un bancone di marmo finemente lavorato lo rendono un luogo in cui il tempo sembra essere sospeso, per l'appunto, ai tempi di Hemingway.

 

Gritti Palace – Venezia - campo Santa Maria del Giglio, 2467 – 041 794611 - thegrittipalace.com

 

a cura di Luca Bonacini

Pavé Birra a Milano. Birra e hot dog per animare le serate di Porta Venezia

$
0
0

Un nuovo progetto, il quarto, per i ragazzi di Pavé, che a febbraio, proprio dirimpetto al laboratorio di via Felice Casati, inaugurano un birrificio di quartiere, aperto dal pomeriggio a notte fonda. Con le birre di War e hot dog di qualità. Un altro successo già scritto? 

Via Felice Casati, civico 27, quartiere Porta Venezia, Milano. Coordinate scolpite nella mappa gastronomica della città, che 5 anni e mezzo fa accoglieva il laboratorio di pasticceria di tre giovani soci destinati ad avere successo. Oggi Pavé è un progetto di grande solidità imprenditoriale: 3 sedi con offerta differenziata, gelato compreso (e che gelato!), e un quartier generale, il primo locale di via Casati, che macina numeri dalla mattina alla sera, colazione, pausa pranzo o merenda che sia. Anzi, proprio all'ambizione di Diego Bamberghi, Giovanni Giberti Luca Scanni va il merito di aver rivitalizzato una zona altrimenti dimenticata di Porta Venezia, tra Repubblica e Buenos Aires, eppure piuttosto degradata fino a qualche anno fa: “Quando siamo arrivati, molte saracinesche erano abbassate, ora tutto è cambiato. E siamo felici di aver contribuito al rinascita di un quartiere che ha grandi potenzialità”. Non a caso, anche il nuovo obiettivo del team, una birreria che presto sorgerà proprio dirimpetto al primo Pavé, al posto di un vecchio bar che ha chiuso battenti, concentra le sue aspirazioni sul rinnovamento della vita di quartiere, anche nelle ore serali, quando la pasticceria spegne le luci.

La birreria di quartiere

Il pallino della birra lo coltiviamo da tempo” racconta Scanni “e l'idea di aprire un locale serale, disimpegnato e pensato come birreria di quartiere ci ha sempre affascinato, in primis da fruitori abituali del genere”. Così, quando si è presentata l'opportunità di rilevare il locale sfitto, in via Felice Casati, proprio di fronte alla pasticceria, la congiuntura è sembrata quella perfetta. E tra febbraio e l'inizio di marzo nascerà Pavé Birra, col fondamentale sottotesto “birra di quartiere”: “Apriamo con la speranza di alimentare e alimentarci della vita di quartiere, e proporci come punto di riferimento per una birra dopo il lavoro, un preserata prima di rientrare a casa, uno spazio confortevole dove ritrovarsi dopo cena, aperto dalle 17.30 fino alle 2 di notte. Crediamo molto nell'utilità sociale del progetto, e in questo ricalchiamo il modello inglese dei pub che lavorano molto nel preserale”. Ma l'idea è anche quella di catalizzare il pubblico della notte, portando movimento sulla via.

 

Un ritrovo per le serate di Porta Venezia

Lo studio del contesto è stato accurato: 5 anni fa il quartiere adottava i ragazzi, oggi loro si dicono innamorati di Porta Venezia, e hanno imparato a conoscerne pregi e difetti: “Corso Buenos Aires funziona da spartiacque: a destra, via Melzo è strutturata per la vita notturna, a sinistra, dove siamo anche noi, l'area più matura è quella di via Lecco e via Panfilo Castaldi. Intorno a Pavé, invece, ci sono soprattutto ristoranti, ma le prospettive per crescere verso nuove aree di interesse ci sono tutte. Noi vogliamo offrire una valida opzione per il dopocena”.

Come? Pavé Birra ospiterà un lungo bancone per dodici spine, sgabelli e 35-40 coperti al tavolo, “una cosa intima, con i tavoli in condivisione e la prospettiva che si possa consumare anche velocemente una birra e un hot dog”. L'offerta gastronomica, solo salata, sarà limitata, appunto, agli hot dog, con wurstel in arrivo da una realtà trentina, “che utilizza solo carne di qualità”, e salse realizzate homemade, nel laboratorio di Pavé. Alla birra penseranno i ragazzi di War, We Are Rising, birrificio artigianale nato alle porte di Milano con cui Pavé collabora da tempo. A loro il compito di seguire la proposta brassicola - “quando ci lanciamo in un'esperienza che esula dalla pasticceria vogliamo sempre un partner competente al nostro fianco” - con ricette in esclusiva e un'alternanza delle etichette già in produzione. Spesso si organizzeranno serate a tema, con degustazioni e proposte di abbinamento cibo/birra, anche dolci. Lo stile, come il design, sarà quello di Pavé, pur adattato alla dimensione serale: colori pastello, tanto legno, arredi di recupero reperiti dai rigattieri, “più per necessità che per moda: tra qualche giorno saremo alla Bergamasca per trovare tavoli e sedie. È una bella sensazione, ci fa tornare indietro all'entusiasmo di 6 anni fa”. I lavori in cantiere sono già cominciati, termine previsto per la fine di gennaio. Poi si procederà a curare i dettagli. E presto Milano avrà una nuova birreria. Di personalità. 

 

Pavé Birra - Milano - via Felice Casati - da febbraio 2018 - pavemilano.com

 

a cura di Livia Montagnoli

Sahara Forest Project. Al via al progetto di agricoltura nel deserto della Giordania

$
0
0

Un’iniziativa nata qualche anno fa e che, finalmente, comincia a prendere vita. Il Sahara Forest Project si propone di realizzare un sistema agricolo efficace e funzionale nel bel mezzo del deserto della Giordania. Tutti i dettagli.

I prodotti della Giordania

Della florida terra un tempo nota come “Mezzaluna Fertile” la Giordania è uno dei paesi più accoglienti per i turisti che non si fanno fermare dall'incerta situazione mediorientale. Una nazione che vanta una tradizione gastronomica antica e variegata, fatta di specialità gustose e uniche nel loro genere, dall'hoummus di ceci e sesamo al maqlube (o “sottosopra”, una ciotola di riso pressato, poi sformato e ricoperto da carne o verdure), dal mensaf (agnello marinato nello yogurt e servito con riso) alla kunafa, dolce ripieno di formaggio e coperto di sciroppo. E poi “miele di Siria, cotogne ottomane, pesche di Amman, gelsomino di Aleppo, nenufar di Damasco, cetrioli del Nilo”, come narra Sherazade ne “Le Mille e Una Notte”. La Giordania, però, è anche una terra solcata dal deserto, il Wadi Rum di Lawrence di Arabia, con le dune che delineano lo straordinario paesaggio locale. In un ambiente dalle condizioni pedoclimatiche così singolari è difficile parlare di agricoltura, fra temperature elevate e scarsità d’acqua, ma non impossibile.

L’agricoltura nel deserto

Si tratta, infatti, di una forma di agricoltura in costante crescita, grazie a notevoli investimenti internazionali a sostegno dei giardini botanici e degli orti nel deserto, e che continua a raccogliere favori degli addetti ai lavori. Fra gli ultimi progetti, comincia a prendere vita il Sahara Forest Project – avviato nel 2012 ma ancora in fase di sviluppo – una ricerca sponsorizzata dal re Abdullah II di Giordania e dal principe di Norvegia Haakon, e sostenuta dall’Unione Europea e la Max Fordham, azienda inglese specializzata in ingegneria innovativa. Con temperature medie che sfiorano i 40°C e piogge quasi del tutto inesistenti, il territorio attorno alla città portuale di Aqaba è da tempo sotto la lente di ingrandimento della Max Fordham, impegnata nella realizzazione di un sistema agricolo in grado di funzionare anche in un ambiente così ostico.

Le tecnologie

In principio furono le serre ad alta tecnologia, pensate per controllare ogni singola fase di crescita delle piante, ma ben presto il team a capo del progetto ha dovuto far fronte alle difficoltà del deserto: sole, mare, sabbia, tutti elementi che l’azienda ha scelto di sfruttare a proprio favore, per creare un sistema di raffreddamento delle colture. “Il Sahara Forest Project utilizza l’energia solare come motore delle installazioni elettriche delle serre. Sia i pannelli fotovoltaici che l’energia solare concentrata possono, infatti, fornire elettricità e calore”, spiega la squadra del SFP in una nota. In che modo? L’aria secca viene fatta convogliare sopra dei cuscinetti di acqua marina, che ne abbassano la temperatura, arricchendola di umidità. In seguito, l’aria viene fatta fluire nelle serre. Sul soffitto delle serre, poi, sono stati creati degli appositi impianti di raccolta dell’umidità notturna, che accumulano e trasformano le goccioline in acqua dolce, che viene utilizzata per l’irrigazione. In cantiere, infine, la costruzione di una struttura di pannelli solari, in grado di alimentare energicamente il progetto e di riscaldare l’acqua marina.

Progetti futuri e obiettivi

L’unica coltura testata finora sono i cetrioli, fra i più semplici da coltivare, ma la selezione è destinata ad ampliarsi nei prossimi anni. Attualmente, vengono prodotte all’interno delle serre circa 130 tonnellate di ortaggi, distribuite su 3 ettari di terreno. Nel piano futuro, salvo imprevisti, si parla però di 200 ettari circa, pensati per dare vita a 34mila tonnellate di frutta e verdura. Oltre a fornire diversi posti di lavoro. Un progetto rivoluzionario per il campo alimentare, dunque, ma anche per l’economia del Paese, considerando soprattutto il complesso scenario geopolitico del Medio Oriente.

a cura di Michela Becchi

Viaggio nei vitigni autoctoni. Il gaglioppo

$
0
0

Rappresenta un piccolo patrimonio storico del territorio della costa ionica, da qualche anno oggetto di un lavoro di sperimentazione e ricerca per ottenere uve migliori e migliori vini. È il gaglioppo, vitigno a bacca rossa della zona di Cirò.

Storia e territorio

La Calabria ha una tradizione millenaria nel campo della viticoltura e ancora oggi il paesaggio di molte zone costiere è disegnato da vigne, che si perdono nell’orizzonte azzurro del mare. I primi navigatori greci, mossi dallo spirito d’avventura e dalla ricerca di nuove opportunità di commercio, sbarcarono in queste terre attorno all’VIII secolo a.C. Le popolazioni autoctone avevano già iniziato il processo di domesticazione della vite selvatica e gli scambi con i colonizzatori ellenici, fecero della Magna Grecia una regione famosa per la viticoltura. Il termine Enotria-terra del vino- con cui i Greci identificavano buona parte dell’Italia meridionale, conferma l’antica vocazione vitivinicola di un territorio proteso verso il mare e naturale crocevia d’incontri e contaminazioni tra popoli e civiltà provenienti da tutto il Mediterraneo. Non sappiamo con certezza con quali vitigni fossero prodotti i vini dell’antichità come l'amineo, il thurino, il byblinos, il lagaritano, il reghinon, forse con antenati dei vitigni del nostro Sud o forse con cultivar oggi scomparse.

Va comunque dato merito ai viticoltori calabresi d’aver saputo conservare uno straordinario patrimonio di varietà autoctone, ancora oggi alla base dei vini più famosi della Regione. I vitigni internazionali sono arrivati tardi e hanno interessato, solo in modo marginale, una produzione che affonda le radici nell’antica storia del territorio. Il gaglioppo è presente soprattutto nella zona collinare di Cirò, situata a nord di Crotone, lungo il litorale ionico. Grazie a un clima mediterraneo, caldo e ventilato, e a terreni di matrice argillo-calcarea, particolarmente vocati per una viticoltura di qualità, il gaglioppo ha trovato in quest’area il suo habitat ideale.

 

Caratteristiche

Il gaglioppo è un vitigno di buon vigore e produttività, con un ciclo vegetativo piuttosto lungo e una maturazione medio-tardiva. Produce grappoli dalla forma conica, con una notevole varietà morfologica tra i vari biotipi. Gli acini sono piccoli, con buccia abbastanza spessa e pruinosa, di colore nero-violaceo. Da molti anni è stato intrapreso un percorso di ricerca per selezionare i migliori cloni di gaglioppo, con l’obiettivo finale di elevare la qualità dei vini. L’Azienda Librandi, in particolare, ha sempre creduto nelle potenzialità del vitigno e ha portato avanti un progetto di valorizzazione del gaglioppo. La ricerca è partita da una selezione massale di vecchi alberelli della zona di Cirò, scelti in base alla presenza di grappoli e acini piccoli, tendenzialmente spargoli, adatti a produrre con basse rese. Il materiale è stato poi reimpiantato in vigneti sperimentali, con l’intento di isolare i cloni migliori. A questo progetto iniziale, si è affiancata la realizzazione di un campo sperimentale di piante da seme, con lo scopo di osservare la variabilità genetica della cultivar e selezionare i migliori biotipi.

Infine, Nicodemo Librandi e Davide De Santis hanno girato tutta la Calabria alla ricerca di vecchi cloni autoctoni di gaglioppo e di altri vitigni calabresi. Nel 2003 è stato creato un giardino varietale con oltre 2.800 viti del materiale collezionato. Il gaglioppo e gli antichi vitigni autoctoni sono stati studiati attraverso analisi del DNA, delle uve e micro-vinificazioni, coordinate dal laboratorio Enosis di Donato Lanati. L’Azienda Librandi sta portando avanti anche una sperimentazione sui portainnesti, per trovare la migliore soluzione in relazione alla composizione dei terreni e alle caratteristiche della cultivar. La strada verso un progressivo miglioramento qualitativo del materiale in vigna è stata tracciata e in futuro darà i suoi frutti. Per quanto riguarda le forme di allevamento, ancora oggi si preferisce l’alberello di tradizione greca, che copre circa il 70% della superficie vitata a gaglioppo. Gestito con potature corte e alta densità d’impianto, l’alberello garantisce uve di alta qualità e si adatta perfettamente al clima del territorio cirotano.

 

Produttori

Per il lavoro di ricerca sul gaglioppo, Librandi merita sicuramente un posto di rilievo tra i produttori di Cirò. Produce il Cirò Rosso e Cirò Rosso Classico SuperioreRiservaDuca Sanfelice, che affina per tre anni in acciaio, coniuga la fragrante freschezza varietale del vitigno con eleganti note evolutive. Tra le altre etichette interessanti segnaliamo: il Val di Neto di Ceraudo, il Calabria Sette Fratelli e Calabria Catà di iGreco,il Calabria Rosso 160 Anni e il Cirò Rosso Superiore Riserva Ripe del Falcodi Ippolito, il Cirò Rosso Classico Superiore Aris di Sergio Arcuri, le versioni Bio Cirò Rosso Classico Superiore e Cirò Rosso Classico Superiore Riserva di ‘A Vita e sempre per restare in ambito Bio, ilCirò Rosso e Cirò Rosso Classico Superiore Federico Scala Riserva di Santa Venere.

 

a cura di Alessio Turazza

 

 

Gucci Osteria da Massimo Bottura a Firenze. Al Gucci Garden cucina internazionale e tortellini

$
0
0

Apre al pubblico dal 10 gennaio il nuovo spazio di Gucci in piazza della Signoria. All'interno del Gucci Garden anche un ristorante da 35 coperti, a cura di Massimo Bottura, che affida la guida della cucina alla messicana Karime Lopez Kondo. Cosa si mangerà? 

Affaccia su una delle piazze più celebri del mondo il trecentesco Palazzo della Mercanzia, antica sede del tribunale destinato a giudicare le cause dei mercanti fiorentini. Stretto tra Palazzo Gondi e Palazzo Vecchio, in piazza della Signoria, da oggi  nell'edificio si insedia il Gucci Garden, l'ultimo progetto firmato dal mitologico direttore creativo Alessandro Michele che rinnova i locali di proprietà della maison fiorentina, finora adibiti a museo, accostando un moderno spazio museale (a cura di Maria Luisa Frisa, al primo e secondo piano), una boutique, l'archivio Gucci e un piccolo ristorante al pian terreno destinato a far molto parlare di sé. Se il palcoscenico è quello delle grandi occasioni, infatti, la maison non ha certo perso l'opportunità per alzare la posta in gioco, assoldando Massimo Bottura– legato da una profonda amicizia di vecchia data a Marco Bizzarri, amministratore delegato - che ha sposato la causa supervisionando l'offerta gastronomica del ristorante, la Gucci Osteria da Massimo Bottura.

La cucina di Ana Karime Lopez Kondo. Chianina, tortellini, tacos e bun

Ma lo chef modenese, lungi dal curare una mera consulenza, ha fatto di più, spinto dalla lucidità di visione che riconosce alla maison: “Sa perché adoro Gucci? Perché stanno facendo esattamente quello che faccio io in cucina. Guardano al passato in una chiave non nostalgica. Prendono il meglio di ciò che c’era ieri e lo proiettano nel futuro con capacità critica” ha rivelato Bottura a Vogue Italia. E così in cucina ci sarà Ana Karime Lopez Kondo, chef messicana con lunghi trascorsi al Central di Lima accanto a Virgilio Martinez (e prima ancora in giro per le migliori cucine del mondo, dal Pujol di Città del Messico al Mugaritz di San Sebastian, al Noma, passando per il Giappone di Seiji Yamamoto da Ryugin, a Tokyo) e moglie di Taka Kondo, sous chef della Francescana. Il ristorante, 35 coperti e un dehors su piazza, sarà aperto al pubblico dal 10 gennaio, in concomitanza con l'apertura di Pitti Uomo, giocando con la commistione tra generi e suggestioni gastronomiche prese in prestito da tutto il mondo: "Viaggiando per il mondo, la nostra cucina interagisce con tutto quello che vediamo, sentiamo e gustiamo. Aguzziamo gli occhi, sempre alla ricerca della prossima e inaspettata scoperta", il commento di Bottura. A ricordare lo spirito cosmopolita della città, cui il ristorante vuole rendere omaggio, i versi del canto carnascialesco la Canzona de' sette pianeti campeggiano in lettere dorate sulle pareti dell'Osteria.

E la chiave di volta dell'operazione si preannuncia proprio la voglia di divertirsi in una cucina destinata a lavorare tutto il giorno con orario continuato, e a confrontarsi con un pubblico internazionale e trasversale. Quindi bando alle etichette, per stare concentrati su una proposta solida che non rinuncia a sperimentare, con quel pizzico di irriverenza che ha sempre animato lo spirito critico di Bottura. Dalla reinterpretazione della cucina emiliana (presente in carta con i tortellini modenesi) si passerà così all'omaggio alla cucina toscana, seppur con grande originalità: Chianina sì, ma nell'hot dog. E poi un bel mix di specialità esotiche (come anticipato da Aldo Fiordelli sul Corriere Fiorentino), ben a fuoco nel bagaglio culinario della chef: tortillas, tacos, tostada dall'America Latina, melanzane in salsa di shiso e un bun al vapore con pancia di maiale (il Taka-Ban) in omaggio all'Oriente. Chiusura affidata agli spaghetti di mezzanotte. Vini toscani e francesi d'accompagnamento.

 

E l'occhio di Gucci – simbolo divertente ed esoterico del nuovo spazio – a vigilare sulla buona riuscita dell'operazione.

 

Gucci Osteria da Massimo Bottura – Firenze - Gucci Garden, piazza della Signoria

 

a cura di Livia Montagnoli

 

Viewing all 5335 articles
Browse latest View live