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Bianco Natale 2017. I dolci suggeriti dai grandi chef

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Abbiamo chiesto ai ristoranti premiati con le Tre Forchette nella nostra guida Ristoranti d'Italia 2018 di inviarci una ricetta natalizia e bianca. Bianca come la neve, bianca come il latte, o come tutti gli ingredienti utilizzati dagli chef che, c'è da dirlo, si sono sbizzarriti. È la volta dei dolci.

Per l'antipasto avete ben sette ricette da cui attingere, tra l'altro firmate da chef del calibro di Valeria Piccini, Bobo e Chicco Cerea, Francesco Apreda, Moreno Cedroni, Anthony Genovese, Heinz Beck e Mauro Uliassi. E non che con i primi e i secondi vi sia andata male, con le ricette di Corelli, Meroi, Iaccarino, Metullio, Bottura, Romito e Cannavacciuolo. Ora tocca ai dolci e a un immancabile sorbetto.

Sfoglia di latte, sesamo nero e kumquat – Berton, Milano

Il 2017 è stato un anno intenso per Andrea Berton: il raddoppio di Dry, il vero lancio di Berton al Lago e persino il debutto in libreria. Ma tutto questo attivismo, su più fronti, invece di distrarlo dal ruolo principale continua a dargli adrenalina. E infatti lo chef friulano è uno dei cuochi più bravi sotto la Madonnina, con i suoi piatti precisi, tecnici ed equilibrati. Ecco la sua ricetta natalizia.

Sfoglia di latte, sesamo nero e kumquat – Berton, MilanoSfoglia di latte, sesamo nero e kumquat – Berton

Ingredienti per 4 persone per le sfoglie di latte

1lt di latte

100 g di glucosio

Emulsionare a 40° C in una bacinella a bagnomaria entrambi gli ingredienti, recuperare la schiuma, appoggiarla in uno stampino ovale da 6 centimetri. Disidratare in forno statico a 50° C per 10 ore. Staccare le sfoglie e appoggiarle su di un vassoio espositore.

Per la crema di sesamo nero

80 g di panna

90 g di latte

8 g di cioccolato Alpaco

12 g di zucchero di canna

20 g di sesamo nero

5 g di gelatina in fogli

Portare a bollore latte, panna e zucchero. Versare sul cioccolato e aggiungere la colla di pesce e il sesamo nero, frullare e far raffreddare a + 4° per 10 ore. Montare il composto in planetaria e riporlo in una poche da pasticceria.

Per la crema di kumquat

500 g di kumquat

600 g di succo di clementine

160 g di zucchero

200 g di acqua

40 g di succo di limone

Dividere in due i kumquat, sbollentare tre volte e raffreddare in acqua e ghiaccio. Eliminare i semi. Sciogliere lo zucchero in acqua, portare a bollore e aggiungere entrambi i succhi, lasciare ridurre e aggiungere le falde di kumquat. Frullare nell’hotmix fino a raggiungere una consistenza cremosa. Riporre in una poche da pasticceria. Mettere la crema di sesamo nero e di kumquat tra due sfoglie di latte, unire i due lembi e appoggiarla su un crumble di cacao.

 

Caffè bianco, granita di mandarino e rosmarino – D'O, Cornaredo (MI)

Dalla trattoria di rango a un nuovo locale che eleva il concept Pop e lo trasforma con un approccio sempre più etico, centrato, evoluto, di grande cucina accessibile: è la nuova era di Davide Oldani, fresco Tre Forchette per la nostra guida Ristoranti d'Italia. Ma cosa significa Pop? Non è solo questione di prezzo, riguarda una visione più complessa, che fa riferimento tanto ai costi (corretti) quanto al design, che nel caso della cucina significa oggetti gradevoli esteticamente, capaci di valorizzare il contenuto oltre che essere funzionali. Oldani ragiona anche sui marchi, che devono essere immediatamente riconoscibili, sul benessere della persona e sulla riduzione degli sprechi. La ricetta che propone ai lettori del Gambero è (ovviamente) Pop e facile da replicare a casa.

Caff_Bianco_Granita_di_Mandarino_e_Rosmarino_credito_Brambilla_SerraniCaffè bianco, granita di mandarino e rosmarino - D'O. Ph. Brambilla-Serrani

Ingredienti per il caffè bianco

250 g di panna

50 g di chicchi di caffè tostati

Portare a ebollizione la panna, unire il caffè e coprire con la pellicola, lasciare in infusione per 30 minuti, filtrare e montare.

Per la granita

400 g di succo di mandarino

30 g di zucchero

5 g di rosmarino

Bollire il succo di mandarino con il rosmarino e lo zucchero, togliere dal fuoco e far freddare, mantecare nella gelatiera.

Per la finitura

5 g di sesamo nero tostato

Disporre la granita nei piatti, poi la panna e infine il sesamo tostato.

 

Ramo di marasca – Duomo, Ragusa

Ciccio Sultano è la chiave di volta per comprendere la storia gastronomica siciliana, o almeno di questa splendida parte della Sicilia. Testa e cuore dello chef oggi sono un tutt'uno con il suo locale, un vero e proprio sito interattivo che genera saperi e conoscenze, che conduce a una sinestesia di sapori, odori, colori in un'unica esperienza, fino a trovare la Sicilia più nascosta, tutto in un'armonica sensazione. Il dolce proposto è abbastanza complesso, ma di una bellezza da togliere il fiato.

Ramo di marasca – Duomo, RagusaRamo di marasca – Duomo

Ingredienti per le sfere di crema inglese

125 g di latte intero

35 g di tuorlo

35 g di zucchero

Buccia di 1/2 limone

Mescolare bene tuorlo e zucchero. Scaldare il latte a bagnomaria con la buccia di limone e versare lentamente sopra i tuorli, portare il composto a 82° C mescolando continuamente. Versare la crema inglese in stampini a sfera o mezza sfera e congelare. Una volta congelate immergere nella bagna di cioccolato bianco (vedi ricetta sotto) con uno steccone e scolare bene.

Per la sfera di ricotta dolce (da preparare prima)

100 g di ricotta

40 g di zucchero

Marasche

Mettere a scolare la ricotta per una notte, il giorno seguente mixare velocemente con lo zucchero finché la ricotta non risulti lucida ma non troppo morbida. Riempire gli stampi a sfera con la ricotta e al centro di ognuno mettere una marasca, congelare. Una volta congelata immergere nella bagna di cioccolato bianco (vedi ricetta sotto) con uno steccone e scolare bene.

Per la bagna di cioccolato bianco e burro di cacao

100 g di burro di cacao

200 g di cioccolato bianco

Colorante rosso per cioccolato

Sciogliere a bagnomaria il burro di cacao, unire il cioccolato bianco e il colorante, emulsionare bene con un frullatore a immersione.

Per il ramo di cioccolato 72%

Cioccolato 72%

Acqua

Ghiaccio

Sciogliere il cioccolato e portarlo a 35° C. Preparare una ciotola con abbondante acqua e ghiaccio. Con una sac à poche formare il disegno del ramo direttamente nell’acqua, aspettare che cristallizzi e ritirare, avendo cura di asciugare l’acqua in eccesso. Conservare in un luogo fresco.

Per le nocciole caramellate

75 g di zucchero

25 g di acqua

150 g di nocciole

15 g di burro

Far sciogliere a fuoco vivace acqua e zucchero, quando lo zucchero è totalmente sciolto aggiungere le nocciole e mescolare continuamente fino a che le nocciole non siano uniformemente caramellate. Prima di ritirare dal fuoco aggiungere il burro, stendere su un foglio di carta forno e separare le nocciole prima che raffreddino.

Per la ganache di cioccolato 72%

100 g di panna

50 g di cioccolato 72%

Portare a bollore la panna, versare sul cioccolato ed emulsionare con un frullatore a immersione. Lasciar cristallizzare in frigorifero per almeno 3 ore.

Per la finitura

Marasche

Zucchero a velo

Foglie di menta

Disegnare con la ganache la sagoma di un ramo. Posizionare il ramo di cioccolato, due sfere di crema inglese e una di ricotta dolce, inserire all’interno di ogni marasca una nocciola caramellata, come se fosse un nocciolo e sistemarne 3 per ogni piatto. Completare il piatto con zucchero a velo e a piacere foglie di menta fresca.

 

Fede – Le Calandre, Rubano (PD)

Se gli Alajmo sono titolari di un impero su cui non tramonta mai il sole, è qui che il sole nasce tutti i giorni, in questo locale di famiglia (struttura eclettica che include altre mille attività) nell’ingloriosa periferia di quella che Michele Serra definirebbe "Capannonia" e che loro hanno elevato a luogo spillato sul mappamondo gourmet. Qui Massimiliano Alajmo non smette mai di creare. Per questa occasione svela la ricetta di Fede, si tratta di una stoviglia bianca vuota con, all’interno dell’incavo sotto, una crema pasticciera coperta con una foglia d’oro. “Per enfatizzare il concetto di fede, il piatto viene presentato come fosse vuoto: il gioco è quello di far percepire attraverso i profumi la presenza della crema, che si trova invece nel suo senso inverso. È curioso osservare quanto i bambini riescano a trovare più rapidamente la crema rispetto agli adulti”. All'aspetto risulta dorato (che fa comunque tanto Natale!) ma sotto, il piatto è completamente bianco. Abbiate fede.

Fede – Le Calandre, Rubano (PD)Fede – Le Calandre

Ingredienti per la crema cotta

160 g di panna

80 g di latte

30 g di zucchero semolato

80 g di tuorlo

1 pizzico di semi di vaniglia

1 nebulizzazione di essenza di incenso

1 nebulizzazione di essenza di vaniglia

Mescolare la panna e il latte con 8 grammi di zucchero in un pentolino, portare a bollore e raffreddare a 80° C. Versare sul tuorlo mescolato con il restante zucchero e la vaniglia. Profumare la base della crema con le essenze. Capovolgere 4 fondine fredde (siamo soliti utilizzare la fondina “Impronta” della linea In.gredienti, che ha un incavo del diametro di 7,5 cm e una profondità di 0,5 cm e una capacità di 17 grammi di liquido) e versare nell’incavo 17 grammi di crema per persona. Porre i piatti in una placca forata e cuocere in forno a vapore a 83°C per 6’. Raffreddare rapidamente a 4°C e conservare in frigorifero.

Per la finitura

4 fogli di oro a 24 carati

4 nebulizzazioni di essenza di vaniglia In.gredienti

Far aderire un foglio d’oro sulla crema. Rigirare il piatto e servirlo al contrario, posizionandolo su una velina trasparente per alimenti profumata con l'essenza di vaniglia.

 

Sotto la neve - Piazza Duomo, Alba (CN)

Non ha mai lavorato a Milano, nonostante sia nato e cresciuto in Brianza. Non ha mai cercato le copertine. Non è mai stato presenzialista: ancora oggi vederlo fuori dalla cucina di Piazza Duomo per congressi o eventi è rarissimo. Sta di fatto che Enrico Crippa è all'unanimità considerato il miglior allievo di Gualtiero Marchesi. La lunga premessa per sottolineare che il suo talento, unito a una capacità di applicazione totale, ha trovato (abbastanza) in ritardo la meritata consacrazione e solo ora, a nostro avviso, ha davvero innestato la sesta marcia. Lo fa con una proposta profondamente internazionale, sia per l’eccellenza sia per le contaminazioni tecnico-gustative-estetiche tra la Langa, l’Italia, la Francia, l’Oriente. Ai lettori, però, non vuole imporre nessuna ricetta. Solo un suggerimento: “A casa sbizzarritevi nella rivisitazione dei grandi dessert della tradizione italiana come il tiramisù o la zuppa inglese. Sotto la neve, per esempio, è la nostra rivisitazione del Montebianco. Alla base del piatto ci sono purea di castagne, crema di cachi e meringhe sbriciolate. Lo strato esterno che ricopre il tutto è composto da panna montata e fiori ghiacciati al cioccolato bianco”. (Foto in apertura)

 

Cristallo di ghiaccio: mandorle di Noto e Limoni di Sorrento – Enoteca Pinchiorri, Firenze

Un tempio. Se la parola vi fa pensare a qualcosa di immutabile siete sulla strada sbagliata. Da Giorgio Pinchiorri e Annie Feolde ogni giorno si mettono in pista novità, entusiasmo e voglia di fare. Lo staff al completo si muove come un congegno perfettamente oliato. In cucina due figure al timone: Riccardo Monco, executive chef, quello che rappresenta la storia dell'Enoteca, e Alessandro Della Tommasina, cresciuto nella brigata e da due anni ad affiancare Riccardo nella conduzione. A seguire la pasticceria Luca Lacalamita. Classe 1985, originario di Trani, è quel che si dice cittadino del mondo: prima Londra, al Dorchester e da Gordon Ramsay, poi Milano da Cracco e la chiamata al Bulli di Ferran Adrià. E ancora Modena alla Francescana, San Sebastian da Akelarre e infine Firenze all'Enoteca Pinchiorri, dove ha conquistato il titolo di Pastry Chef dell’anno per la nostra guida Ristoranti d'Italia 2018. Preparatevi per una ricetta complessa, ma ricca di spunti.

Cristallo di ghiaccio: mandorle di Noto e Limoni di Sorrento – Enoteca Pinchiorri, FirenzeCristallo di ghiaccio: mandorle di Noto e Limoni di Sorrento – Enoteca Pinchiorri

Ingredienti per il Semifreddo al sesamo bianco

250 g di crema pasticcera

150 g di pasta di sesamo bianco

350 g di meringa italiana

500 g di panna semimontata

Mescolare la pasta di sesamo alla crema ancora calda, temperare. Aggiungere la meringa italiana e successivamente la panna, congelare in stampi a semisfera.

Per la dacquoise alle mandorle

500 g di albumi

5 g di cremor tartaro

125 g di zucchero

750 g di tpt alle mandorle (50% zucchero e 50% farina di mandorle)

170 g di polvere di mandorle con la buccia

Montare gli albumi e aggiungere lo zucchero e il cremor tartaro a pioggia. Aggiungere le farine mescolare e setacciare. Stendere su silpat a spessore 0,5 e cuocere in forno a 180° C per 7 minuti e controllare.

Per il bagno di cioccolato

500 g di cioccolato Valrhona Opalys

300 g di burro di cacao

5 grdi colorante bianco

Sciogliere il cioccolato bianco con il burro di cacao a 45° C. Aggiungere il colorante bianco.

Per il latte di marzapane

1,2 lt di latte

600 g di marzapane

100 g di zucchero

Buccia di 1 limone

Scaldare tutti gli ingredienti, frullare e riempire gli stampi con 90 grammi di liquido, congelare.

Per la gelatina fredda di limone e yogurt

250 g di acqua

120 g di yogurt naturale

1,8 g di agar

20 g di zucchero

Buccia di 1 limone

Bollire tutti gli ingredienti, lasciar temperare e riempire gli stampi di ghiaccio. Congelare a -20° C per 4 ore e sformare.

Per il caramello neutro

500 g di fondant (pasta di zucchero)

250 g di isomalto

250 g di glucosio

Cuocere gli zuccheri a 155° C, stendere su silpat, raffreddare. Frullare il caramello nel Bimby e stenderlo sugli stencil. Sciogliere in forno a 165° C.

Per lo streusel di mandorle

50 g di burro

50 g di farina di mandorle

50 g di farina

50 g di zucchero di canna

Impastare il burro con lo zucchero, aggiungere le farine e lavorare fino a ottenere un impasto omogeneo. Stendere a 0,3 mm e raffreddare. Coppare e cuocere in forno a 175° C per 8 minuti e controllare.

Per i bastoncini di meringa

125 g di albume

60 g di zucchero

60 g di zucchero

Buccia di 1 limone

Montare gli albumi con la prima parte di zucchero, aggiungere la seconda parte di zucchero e la buccia di limone. Stendere su placca con la bocchetta e cuocere in forno a 80° C per 1 ora.

Sulla base del piatto posizionare mezzo spicchio di limone, un disco di streusel alle mandorle. Posizionare un disco di dacquoise alle mandorle sullo streusel. Bagnare il latte di marzapane congelato nel mix di burro di cacao e cioccolato. Posizionare la semisfera di semifreddo sulla punta del latte appena bagnato. Posizionare un disco di caramello neutro sul semifreddo e successivamente posizionare il cristallo di ghiaccio sul caramello neutro. Spolverare con la meringa in polvere.

 

Neve, finocchio marino e visciole – Pascucci al Porticciolo, Fiumicino (RM)

Un’evoluzione durata anni, costata impegno e fatica, ha portato lo chef Gianfranco Pascucci a trasformare il ristorante dell’albergo di famiglia in una meta per appassionati gourmet. Una cucina che riesce a essere sorprendente e creativa, esaltando le risorse del litorale senza mai snaturarle: il tocco dello chef è sempre evidente, anche nella ricerca di prodotti inusuali, come quelli utilizzati nella ricetta che segue. “Il finocchio marino e la cakile marittima usata in questa ricetta fanno parte di un progetto di riqualificazione della duna marittima del litorale laziale intrapreso dal nostro staff del Porticciolo grazie a Riccardo di Giuseppe e alla collaborazione dell'oasi di Macchiagrande gestita dal WWF Italia”.

Neve, finocchio marino e visciole – Pascucci al Porticciolo, Fiumicino (RM)Neve, finocchio marino e visciole – Pascucci al Porticciolo

Ingredienti per la neve (sorbetto di finocchio di mare)

200 g di succo di finocchio

100 g di succo di finocchio marino

15 g di albumina

30 g di zucchero di canna

Succo di 1/2 limone

Unire i due succhi (finocchio e finocchio marino), lo zucchero e il succo di limone. Montare il tutto in planetaria a bassa velocità aggiungendo l’albumina. Aggiungere lo sciroppo (vedi ricetta sotto), lentamente, continuare a montare a velocità più alta, fino a triplicare il volume iniziale. Sformare su teglia e abbattere in negativo.

Per lo sciroppo

75 g di acqua

80 g di zucchero

1 foglio di colla di pesce

Unire lo zucchero e l'acqua, mettere su fiamma e mescolare a fuoco medio. Portare a ebollizione fino a quando lo zucchero si è completamente sciolto. Togliere il pentolino dal fuoco e aggiungere la colla di pesce.

Per i frutti rossi e verdure

50 g di visciole

1 cucchiaio di succo di visciole

Finocchio marino,

1 foglia di cakile marina

Petali di cipolla rossa cotta in forno a 180 ° C per 60 minuti

Fiori di finocchio marino

1 fungo porcino in lamelle

3 corbezzoli

Succo di mela (azotato)

Disporre sulla base di un piatto fondo un cucchiaio di succo di visciole. Ricoprire con la neve di finocchio, aggiungere in maniera armonica il resto degli ingredienti. Completare il piatto con succo di mela verde (se possibile azotato).

 

a cura di Annalisa Zordan

 

Il menu Bianco Natale (primi, secondi e dolci nelle prossime puntate)

Antipasti:

- Baccalà, calamaro, cavoli cotti e crudi, yogurt al limone - Da Caino, Montemerano (GR)

- Carpaccio di branzino con crema di ostriche, granita di vodka lime - Da Vittorio, Brusaporto (BG)

- Tartare di scampi, mozzarella di bufala e appiccatelli vesuviani - Imàgo dell'Hotel Hassler, Roma

- Baccalà Bianco - Madonnina del Pescatore, Senigallia (AN)

- Cappesante radicchio e melagrana – Il Pagliaccio, Roma

- Polvere di fegato grasso d'anatra – La Pergola dell'Hotel Rome Cavalieri, Roma

- Pan cotto al latte di mandorle e ricci di mare – Uliassi, Senigallia (AN)

Primi: 

- Mojito di Parma - Atman a Villa Rospigliosi, Lamporecchio (PT)

- Baci di calamaro con leggero pesto acidulo – Don Alfonso, Sant'Agata sui Due Golfi (NA)

- Tortelli al camoscio – Laite, Sappada (BL)

Secondi: 

- Merluzzo al miso, topinambur, daikon e verza – Siriola dell'Hotel Ciasa Salares, San Cassianon (BZ)

- Sogliola mediterranea – Osteria Francescana, Modena

- Pancetta e Sedano Rapa – Reale, Castel di Sangro (AQ)

- Baccalà Baccalà Baccalà – Villa Crespi, Orta San Giulio (NO)

Dolci:

- Sfoglia di latte, sesamo nero e kumquat – Berton, Milano

- Caffè bianco, granita di mandarino e rosmarino – D'O, Cornaredo (MI)

- Ramo di marasca – Duomo, Ragusa

- Fede – Le Calndre, Rubano (PD)

- Sotto la neve - Piazza Duomo, Alba (CN)

- Cristallo di ghiaccio: mandorle di Noto e Limoni di Sorrento – Enoteca Pinchiorri, Firenze

Sorbetto:

- Neve estiva, finocchio marino e visciole – Pascucci al Porticciolo, Fiumicino (RM)


L'enoturismo è legge. Ecco cosa cambia punto per punto

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Per la prima volta il turismo del vino entra nel quadro legislativo italiano, attraverso la Legge di Bilancio, appena approvata. Facciamo chiarezza su soggetti interessati, adempimenti e soprattutto nuove possibilità per le cantine

L'enoturismo esce dall'ombra. L'inserimento dentro la Legge di Bilancio, appena approvata in Senato, dell'emendamento che regola le visite in cantina, ha dato un'accelerata a un iter che si era messo in moto già da tempo e che, in quest'ultimo anno, ha visto un'intesa collaborazione tra il senatore Dario Stefàno (capogruppo in Commissione Agricoltura di Palazzo Madama e primo firmatario dell'emendamento), il Movimento Turismo del Vino, l'Unione Italiana Vini e le Città del Vino. E adesso, cosa cambia per le cantine che da gennaio 2018 dovranno rapportarsi al nuovo – anzi all'unico - testo sull'enoturismo finito in sede legislativa?

 

Chi può fare enoturismo?

Per fare chiarezza partiamo dal termine stesso.“Con enoturismo” recita l'emendamento (art. 1, comma 292) “si intendono tutte le attività di conoscenza del vino espletate nel luogo di produzione, le visite nei luoghi di coltura, di produzione o di esposizione degli strumenti utili alla coltivazione della vite, la degustazione e la commercializzazione delle produzioni vinicole aziendali, anche in abbinamento ad alimenti, le iniziative a carattere didattico e ricreativo nell'ambito delle cantine". Ma chi potrà fare enoturismo? Il testo fa riferimento alle aziende agricole e a quelle di imbottigliamento, solo se in zone di vini Docg, Doc e Igt. Via libera, dunque, anche ai grandi gruppi industriali, purché insistano su un territorio vocato alla viticoltura. Rimangono, invece, esclusi gli imbottigliatori fuori zona.

 

Visite e degustazioni. Le novità

Altra questione sul tavolo dei lavori: le degustazioni. La domanda qui sorge quasi spontanea: fino a questo momento le cantine non hanno, forse, proposto le suddette attività? Allora, perché adesso serve una legge per continuare a fare quello che si faceva già? “È vero che in termini generali tutte queste attività sono permesse dal Codice Civile art. 2135”ci spiegano gli esperti del Movimento Turismo del Vino“è però vero, allo stesso tempo, che l'articolo fa riferimento a una legge inesistente ("...attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge"). Tanto che per l'agriturismo si è dovuta fare una legge apposita, altrimenti esisterebbe ancora un vuoto normativo. La legge che permette le degustazioni in cantina, cioè la consumazione sul posto dei prodotti agricoli, sarebbe attualmente il Decreto del Fare (legge 98/2013), che ben chiarisce che: primo, devono essere rispettate le norme igienico-sanitarie; secondo, che non può essere effettuata attività di somministrazione. Come a dire: si può aprire la bottiglia, ma non versare il vino nei bicchieri”. Insomma, fino a ora – e senza la nuova legge - si può comprare la bottiglia, aprirsela da soli e bere ciò che si è comprato. Ma in questo caso non è corretto parlare di degustazione. Per tutto il resto e per essere al momento in regola, l'unica possibilità è avere una licenza, come quella dei winebar.

In pratica, fino a qui le degustazioni si son fatte non rispettando una legge ... che però non c'era. Diciamo, quindi, che la novità è la legge stessa. “L'approvazione di queste norme” chiarisce il presidente di Mtv, Carlo Pietrasanta“sia pur ancora da completare, non fa altro che chiarire e definire il quadro in cui muoversi. Nessun appesantimento burocratico: solo la definizione delle regole, la base minima per poter avviare qualsiasi tipo di discorso. Non possiamo pensare di fare turismo del vino con una mentalità ferma a 20 anni fa”.

 

Le altre attività oltre le degustazioni

Anche perché, nel frattempo, le attività e le proposte in cantina si sono moltiplicate. “Il concetto di enoturismo” continua il presidente Mtv “va e deve andare oltre la semplice degustazione in cantina. Oggi sonocontemplate tutta una serie di altre attività, quali visite aziendali estese a tutto il patrimonio aziendale (cantina di lavorazione, cantina di affinamento, vigneti), intrattenimento, creazione di pacchetti turistici da commercializzare in tutto il mondo attraversogli operatori del settore; partecipazione all'attività di turismo vendemmiale”. Tutte cose che solo con la nuova legge potranno essere fatte e fatturate regolarmente. Non solo. Se fino a ora non era possibile stipulare assicurazioni verso terzi – i visitatori presenti in cantina – adesso si potrà fare tutto a norma. “Attenzione, però” precisa Pietrasanta “tutte queste cose non sono obblighi, ma possibilità. Possibilità fino a ora negate. A oggi, dare le forbici a un visitatore e fargli provare l'esperienza della vendemmia sarebbe illegale e soggetto a multe salate, in quanto lavoro in nero. Il nuovo testo mette al riparo da tutti questi rischi”.

 

Regime fiscale

E passiamo, infine, agli aspetti fiscali. Cosa cambia da un punto di vista economico per le cantine che faranno enoturismo? Il comma 293 introdotto dalla legge di bilancio equipara la disciplina fiscale di queste attività a quella delle attività agrituristiche per gli imprenditori agricoli. L'imprenditore potrà scegliere se optare per le forme previste per l'agriturismo o per la contabilità aziendale ordinaria. Tenendo presente che le regole attualmente vigenti per l'attività agrituristica prevedono un reddito calcolato forfettariamente al 25% dei ricavi e Iva ridotta al 50%.Per intenderci: su un incasso di 100, scegliendo il regime degli agriturismi, le tasse si pagheranno su 25. A chi, invece, ha costi superiori conviene la contabilità ordinaria e, quindi, il calcolo tasse sulla differenza costi-ricavi. Cosa che resterà obbligatoria per i grandi gruppi industriali. Ricordiamo, infine, che l'Iva su degustazioni e pacchetti enoturistici è stabilita al 22%.

 

Gli adempimenti burocratici

Infine, il comma 295 stabilisce che queste attività devono essere svolte secondo i requisiti e gli standard fissati, previa presentazione della Scia (segnalazione certificata di inizio di un'attività) al Comune di appartenenza. E qui c'è chi potrebbe chiedersi se questo non sia un altro appesantimento burocratico o economico. “Si tratta di una pratica molto semplice” spiega il numero uno di Mtv“perché è praticamente un'autocertificazione che viene fatta al proprio Comune, in cui si dichiara di aprire un'attività enoturistica, senza alcun costo aggiuntivo. La domanda, quindi, non è neppure soggetta ad approvazione. Il resto del lavoro si dà per scontato che sia stato fatto già da tempo adeguandosi alla Legge del Fare. Mi riferisco a tutte le norme igienico-sanitarie e all'idoneità dei locali. E qui ribadisco: se fino a ora le cose sono state fatte in modo casereccio, adesso non possiamo più permettercelo. Dobbiamo voltare pagina e capire che l'enoturismo è un'altra cosa: il futuro passa anche da qui”.

 

Continua l'iter del Ddl Stefàno

Ma non è finita. Oltre all'emendamento della Legge di Bilancio, che dovrebbe essere approvata prima di Natale, c'è un altro testo (ddl 2616) che porta la firma del senatore Stefàno in discussione presso la Commissione Agricoltura al Senato. Disegno di legge che, anche dopo l'approvazione della Finanziaria, continuerà il suo corso in modo parallelo. Va da sé che i concetti chiave sono gli stessi che animano l'emendamento (compresa la definizione di “enoturismo”), ma ai temi sopra affrontati si aggiungono anche altri aspetti normativi che le associazioni coinvolte hanno ritenuto fondamentali per completare il quadro. In particolare:

- condizioni alle quali possono svolgere attività enoturistiche le aziende di imbottigliamento
- certificazione e formazione
- cartellonistica stradale che indicherà gli operatori enoturistici come destinazioni turistiche e non come attività commerciali
- creazione di un osservatorio sull'enoturismo
- piano strategico di promozione dell'enoturismo

 

Le altre misure agricole inserite nella Legge di Bilancio

Non solo enoturismo.Quest'anno l'agricoltura - e in particolare la semplificazione in materia - è entrata prepotentemente nella Legge di Bilancio. Nel testo, infatti, sono state inserite anche la modifica sulla certificazione antimafia, l’Iva agevolata e le misure sul lavoro agricolo.

Nello specifico, è stata accettata la modifica, richiesta a gran voce dalle associazioni, relativa all'obbligo di presentare la documentazione antimafia. Grazie all'emendamento inserito in Bilancio, l'obbligo riguarderà solo i titolari di terreni agricoli che accedono a fondi europei superiori a 25 mila euro. In questo modo, si è evitato che la burocrazia penalizzasse le piccole aziende.

Per quanto riguarda l'Iva, è stata introdotta la possibilità di detrarre l’imposta nel caso di applicazione della stessa in misura superiore a quella effettiva.

Infine, è stato prorogato al primo gennaio 2019 la presentazione dell’Uniemens agricolo, relativo alle denunce all'Inps per la manodopera impiegata.

 

a cura di Loredana Sottile

Ricette delle feste. La Colombia di Roy Caceres e la ricetta del buñuelo colombiano

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Natale uguale tradizione? Sì, certo; ma chi l'ha detto che deve necessariamente essere la nostra? Abbiamo chiesto ad alcuni chef stranieri che lavorano sul nostro territorio di raccontarci un po' dei costumi dei loro paesi di origine. E di darci qualche ricetta tipica. Iniziamo oggi con Roy Caceres del ristorante Metamorfosi di Roma.

Roy Caceres e Metamorfosi

Ogni piatto è una storia da raccontare, per Roy Caceres, e nel suo caso è una storia di territori e di viaggi. Come quello che dalla natìa Bogotà l'ha portato in Italia. Forte dei Marmi, Bormio, Cortina d'Ampezzo, Porto Ercole, Gastel Guelfo, Albano. E poi Roma, dove una manciata di anni fa apre Metamorfosi. Il ristorante che ha dato uno scossone al quieto quartiere Parioli, proiettandolo nelle traiettorie gourmet. Merito di una cucina originale e ricca di suggestioni, una cucina internazionale nella sua espressione migliore: che varca i confini, attinge a materie prime, preparazioni, piatti che guardano a tradizioni di altri paesi. Sudamericani, soprattutto. Perché la terra d'origine di Roy è un rimando sempre presente sulla sua tavola. Ma senza che questa diventi mai etnica né, tantomeno, fusion.

 

roy Caceres

La sua è una cucina contemporanea, curiosa e aperta al mondo. Tanto basti. Perché se l'Uovo a 65° carbonara – in menu praticamente sin dall'apertura – è un omaggio alla romanità, cose come Gamberi rossi e pisco sour o Agnello e mole parlano un esperanto gastronomico che, già alla vista, con quei piatti materici, i supporti in legno, le foglie di mais a mo' di cartoccio, sono come un biglietto aereo destinazione Ande.

 

Il Natale in Colombia

La festa da noi comincia a novembre” scherza Roy Caceres. E per festa intende non solo quella che testimonia il calore familiare e l'intimità domestica, ma quella in cui si balla e ci si diverte in compagnia di parenti e amici. Insomma: il Natale, a Bogotà, è molto sentito, un momento da trascorrere in allegria. Sarà forse anche per questo che la Colombia, il polmone verde del Sudamerica, è stato nominato lo scorso anno il paese più felice al mondo dalla Win Gallup International Association. “Si festeggia più il 24 che il giorno successivo, con una grande mangiata la sera della Vigilia”. Ci sono tantissimi piatti tradizionali, ovviamente dipende dalla regione. A Bogotà il piatto tipico è una zuppa che si chiama ajiaco a base di papas criolla - una patata locale gialla e piccolina dal sapore particolare “che non si trova in Italia” dice Caceres, che aggiunge “ho provato anche piantarla qui” - insieme con un altro tubero colombiano, pollo, capperi, “mia nonna metteva anche la pelle del latte che crea quasi una panna”. E anche se oggi il Natale si è un po' americanizzato, con l'affermarsi di una nuova tradizione che vuole il tacchino in tavola, questa minestra è uno dei piatti più tipici. Ma non l'unico: ci sono i tamales, preparati con una polenta di mais, posta dentro foglie di bijao (una specie di platano), con pollo, maiale, carote, ceci e riso, “tutto molto condito e saporito” aggiunge Roy. Le foglie ripiene, chiuse a formare dei pacchetti, vengono cotte al vapore. È una preparazione che coinvolge tutta la famiglia, bambini inclusi, intorno a grandi pentoloni “una volta con mio nonno ne abbiamo fatti 150” ricorda lo chef “è un pasticcio di polenta, riso e carne molto gustoso, quando si apre la foglia esce un profumo pazzesco”. Non mancano i dolci: per esempio le natillas, una sorta di budino di mais, una delle materie prime alla base della cucina locale, con cannella e uva passa. “Si cuoce e si fa rapprendere un po', poi si serve a fette, una salsa di more, che da noi sono enormi”. Ma Roy ci regala la ricetta di un altro dolce, i buñuelos, frittelle di formaggio e amido di mais, croccanti fuori e soffiate e vellutate all'interno: “forse hanno un'origine spagnola, perché ricordano alcune loro crocchette”. Hanno un sapore dolciastro e si consumano con il masato, la bevanda fermentata con riso, cannella e chiodi di garofano.

 

I buñuelos colombianos

Ingredienti

100 g di formaggio fresco grattugiato tipo feta

100 g di formaggio primo sale grattugiato

120 g di maizena

60 gr di amido di tapioca

45 g di zucchero

110 g di uova intere

3 g di sale

10 g di burro morbido.

2 g di baking powder

abbondante olio per friggere.

 

Procedimento

Mescolare bene tutti gli ingredienti fino ad avere un impasto liscio ed omogeneo, non si devono vedere i pezzi di formaggio ma deve diventare tutt'uno.

Formare delle sfere di 2,5 cm di diametro e friggerle in una pentola dove possano galleggiare bene e siano coperte dall'olio, a 163 c° per circa 15 min fino che saranno dorate, servire caldo.

 

Metamorfosi – Roma – via G. Antonelli, 30 – 068076839 - www.metamorfosiroma.it

 

a cura di Antonella De Santis

Il mio cioccolato. Il libro di ricette del maître chocolatier Guido Castagna

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Mousse, torte, crostate, biscotti, creme. E ancora praline, tavolette, panna cotta, profiterole: sono tante le specialità dolci che si possono realizzare a partire dal cioccolato. Il maestro Guido Castagna le racconta tutte in un nuovo libro di ricette.

Guido Castagna

Dimentichiamo le storie centenarie, le ricette di famiglia tramandate da generazioni, quelle tradizioni antiche e lunghissime che caratterizzano il percorso di tanti grandi artigiani del Bel Paese. Guido Castagna non è figlio d'arte. È uno studioso. Un ricercatore di sapori, del gusto, della qualità del cacao, e soprattutto grande appassionato di dolci. Il suo percorso inizia, infatti, nelle scuole di pasticceria, e poi nei vari laboratori, fra tirocini e stage. Col tempo, l'amore per torte e mignon è rimasto, ma un nuovo interesse ha cominciato a farsi insistentemente strada: quello per il cioccolato, prodotto a cui dedicherà tutta la sua carriera.

Metodo Naturale Guido Castagna

La sua linea è semplice, la filosofia schietta e ben definita. Lui lo chiama “Metodo Naturale Guido Castagna”, ovvero una sorta di mantra basato sull'attenzione scrupolosa al processo lavorativo delle fave del cacao. Giorno dopo giorno, nel suo piccolo laboratorio di Giaveno, a 35 chilometri da Torino, cioccolatiere controlla minuziosamente passo dopo passo ogni fase di tostatura delle fave. La sua scelta, infatti, è stata quella di tornare ai lavori di una volta, ai prodotti fatti in casa, senza ricorrere a semilavorati. Un passo indietro che gli ha consentito di andare avanti, entrando di diritto nell'olimpo dei migliori maestri del cacao italiani.

Il libro

Non c'è fiera o manifestazione del settore, infatti, in cui Guida Castagna non venga chiamato a dire la sua (fra gli ultimi eventi, il seminario di Gourmet Food Festival dedicato alla rivincita del cioccolato al latte). Da poco più di un mese, il maestro ha scelto di raccontarsi per la prima volta in un libro, una raccolta di golose ricette e consigli preziosi per realizzare dolci d'autore in casa. Un volume rivolto a tutti, dagli appassionati ai consumatori comuni, che attraverso un linguaggio semplice e immediato potranno essere guidati nell'intricato e complesso mondo dei pregiati cacao. Edito da Giunti, Il mio cioccolato si compone di dolci semplici, biscotti e creme, “che possono essere serviti da soli o insieme, accostando gusti non banali, con matrimoni spesso imprevedibili”,grandi classici della pasticceria italiani ma anche variazioni sul tema, creazioni per le occasioni speciali e dessert più elaborati, “ricette sontuose e spettacolari, da servire in tavola per la delizia di occhi e papille gustative”.

Dal giandujotto al Guinott

Prima delle ricette, però, una spiegazione doverosa: la storia del Guinott, personale interpretazione di Castagna del celebre gianduiotto piemontese, uno dei cioccolatini più iconici della regione, di cui l'artigiano ripercorre origini e evoluzioni. Tutto ha inizio nella Torino dell'Ottocento, quando l'embargo napoleonico ostacolava l'arrivo delle fave di cacao, che di conseguenza continuavano ad aumentare di prezzo. A quel tempo, la nocciola era facilmente reperibile sul territorio piemontese, e “si creò così quello che potremmo definire il primo surrogato del cioccolato”. Il primo vero gianduiotto venne realizzato con le “coltelle”, “spatole artigianali con cui si formava un piccolo impasto di circa 12 grammi, per poi farlo cadere sul tavolo”. I primi ad automatizzarne la produzione furono Caffarel e Prochet, le due realtà più attive nel commercio dei gianduiotti fin dal 1865. Guido ha dunque “rinnovato un prodotto vecchio di centocinquant'anni, pur restando fedele alla tradizione”. Il Guinott, infatti, presenta una percentuale di zucchero più bassa, e un'elevata dose di Nocciole Piemonte Igp. Per realizzarlo, il maître ha dovuto ideare un macchinario apposito, in grado di “estrudere e tagliare il gianduja a temperature diverse”, aumentando il grado di raffinazione per ottenere un prodotto più liscio e piacevole. Last but not least, la ricette prevede zucchero di canna e fave di cacao del Chuao, “un pregiatissimo cacao proveniente dall'omonima piccola penisola del Venezuela” e non contiene latte o cacao in polvere.

La ricetta: Candela di Natale

La fiamma della candela ha un fascino particolare per chiunque: ricorda episodi di intimità in famiglia o con gli amici più cari. A me provoca un'attrazione magnetica, perché è un elemento che racchiude calore e vivacità. Se penso al Natale, non riesco a immaginarlo senza le luci delle candele. Ho voluto tentare di riproporre la stessa atmosfera in un dolce, che apparirà a centro tavola al momento più bello della cena. L'ispirazione è nata da un disegno di Ermias. I gusti sono quelli classici di un dolce tradizionale: cioccolato, panna e cannella”.

Ingredienti

Per il bisquit al cioccolato

105 g. di tuorli

270 g. di albumi

75 g- di zucchero

90 g. di burro

260 g. di cioccolato fondente 64%

Unire il burro ammorbidito al cioccolato fuso, quindi aggiungere i tuorli montati con lo zucchero e, per ultimi, gli albumi montati a neve. Mescolare il tutto con una spatola, per non smontare il composto. Stendere l'impasto su una teglia ricoperta con carta da forno e cuocere a 150°C per 10 minuti circa.

Per la mousse al cioccolato al latte e cannella

125 ml. di latte

150 g. di cioccolato al latte

4 g. di gelatina

300 g. di panna semimontata

cannella q.b.

Scaldare il latte e unire la gelatina precedentemente ammollata in acqua fredda; aggiungere il cioccolato al latte fuso e lasciar raffreddare per 30 minuti (finché la crema sarà circa a 40°C). A questo punto mescolare la crema insieme alla panna semimontata e alla cannella. Mettere in frigo a raffreddare e nell'attesa preparare la salsa al mandarino.

Per la salsa al mandarino

250 ml. di succo di mandarino

75 g. di zucchero

2 g. di gelatina

Scaldare insieme il succo e lo zucchero, poi immergervi la gelatina ammollata in acqua. Come salsa non è molto densa, dato che c'è poca gelatina; inq uesto modo, potremo metterla all'interno del cilindro o come fondo nel piatto.

Assemblaggio

Temperare del cioccolato bianco (fondere il cioccolato a bagnomaria intorno ai 45°C, versarne 2/3 su un tavolo di marmo o una superficie d'acciaio e far raffreddare fino ai 26-27°C, e trasferirlo di nuovo nella ciotola insieme a quello rimasto), e stenderlo sottile su un foglio di carta da forno. Tagliare delle strisce di diversa larghezza e arrotolarle su un cilindro d'acciaio per fargli prendere la forma desiderata (4 o 5 cm di diametro sono ottimi per una monoporzione ricca). Mettere le candele ottenute in frigo e lasciarle raffreddare. Successivamente, riempirle con il bisquit a cioccolato tagliato in dischetti della stessa misura, con la mousse al cioccolato al latte e cannella e con la salsa al mandarino. Come tocco finale, decorare con un ricciolo di panna in cui affondare l'alchechengi (le sue foglie ricordano la fiamma della candela).

Il mio cioccolato, Guido Castagna – Giunti Editore – Euro 18,00

a cura di Michela Becchi

Dolci feste. Il plumcake ai canditi dell'Antico Caffè Spinnato

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Maurizio Santin è da tempo uno dei volti più celebri del Gambero Rosso Channel. Da un anno a questa parte, il pasticcere è alla guida del laboratorio dell'Antico Caffè Spinnato di Palermo, new entry nell'Olimpo delle Tre Torte, massimo riconoscimento della nostra guida Pasticceri & Pasticcerie. La nostra intervista e una golosa ricetta per le feste di Natale.

Maurizio Santin

Prima il ristorante di famiglia, l'Antica Osteria Del Ponte di Cassinetta di Lugagnano, poi la collaborazione con Gambero Rosso, come executive chef per la Città del gusto Roma, e poi come volto televisivo di Gambero Rosso Channel con “Dolcemente”, “Dolci di casa”, “Dolcemente con”, “Questo l'ho fatto io”. Ma anche l'esperienza a La prova del Cuoco su Rai 1, come pasticcere ospite, e poi il riconoscimento di “Pasticcere dell'anno” nel '98 per l'Espresso e 10 anni dopo, nel 2008, per Identità Golose. Il curriculum di Maurizio Santin, classe '66, è costellato di successi, di periodi di formazione presso le migliori cucine del mondo (Louis XV con Alain Ducasse e Jamin con Joel Robuchon, tanto per citarne alcune), ma soprattutto di cambiamenti. Sfide continue, nuove idee e progetti in cui l'artigiano si lancia a capofitto, da solo o in compagnia.

La collaborazione con Spinnato

È il caso della collaborazione iniziata nel 2016 a Palermo con RiccardoSpinnato, un professionista con il quale condivide il concetto di qualità, efficienza, una mentalità quadrata e la voglia di migliorarsi sempre. Dopo anni di TV Santin arriva in Sicilia, in una realtà già consolidata da tempo, e da sempre annoverata nell'olimpo dei migliori bar della Penisola dalla guida Bar d'Italia: l'Antico Caffè Spinnato. A un anno dall'ingresso del pasticcere, il locale si aggiudica per la prima volta le Tre Torte – massimo riconoscimento – nella guida Pasticceri & Pasticcerie del Gambero Rosso. Con Maurizio, abbiamo ripercorso la storia di questa nuova avventura.

L'Antico Caffè Spinnato è una realtà storica. Che tipo di pasticceria proponi lì?

Ho cercato di dare nuova vita alle specialità locali, rispettando sempre il gusto della tradizione. La pasticceria siciliana affonda le sue radici in tempi remoti, e non è mia intenzione snaturarne l'identità. Quello che mi preme è aggiungere un tocco più fresco e moderno alle torte, creando dolci maggiormente in linea con la pasticceria contemporanea.

In che modo?

Per esempio, le torte più famose del locale - da sempre quella con pistacchio e panna, e la pistacchio e ricotta – sono rimaste invariate nel gusto, ma hanno acquisito un'estetica diversa. Il diametro è più piccolo, e le creme non sono più inserite in piccoli ciuffi con la sacà poche, ma in maniera più lineare e squadrata.

E la ricetta è rimasta invariata?

No, è stata leggermente modificata in modo da essere più leggera, un po' come accade per tutte le torte moderne. I sapori, però, sono sempre puliti, netti, gli stessi del passato.

Un bel cambiamento per una pasticceria antica. Come è stato vissuto dai palermitani?

Come sempre, le trasformazioni portano con loro vantaggi e svantaggi. Inizialmente non è stato facile, ma a oggi posso ritenermi soddisfatto: il locale funziona e i consumatori escono soddisfatti.

Quali ricette hai creato ispirandoti alla tradizione siciliana?

La torta Buccellato, tipica ciambella di pasta frolla decorata e farcita con frutta secca, che ho ristrutturato e rielaborato in una nuova forma, mantenendo il gusto originale. E poi la famosa Sette Veli, che ora è diventata una Tre Veli e Mezzo, o ancora la versione estiva della Cassata, più leggera e facilmente digeribile, perfetta per la stagione più calda.

Il mondo della pasticceria è in fermento. Qual è il prossimo passo da compiere?

Continuare su questa strada, senza mai accontentarsi. La pasticceria sta seguendo il percorso della cucina: Marchesi ha cominciato, ma poi l'intero settore è esploso. Mi auguro che i giovani pasticceri possano seguire la via dei grandi maestri.

Qualche giovane in cui intravedi del potenziale?

Tantissimi. In particolare, sono rimasto molto colpito da Mattia Cortinovis, figlio d'arte, un ragazzo davvero in gamba e dalle mille idee. Gli auguro il meglio.

Progetti per il futuro?

Nessuno in particolare. Si continua con il programma Dolcemente sul Gambero Rosso Channel, e poi il libro di ricette ispirato alla serie.

13 anni di Gambero Rosso Channel. Cos'è cambiato da allora?

Quasi 14, a dir la verità. Il programma è rimasto sempre lo stesso: spiego un dolce, mostro i vari passaggi della ricetta e fornisco qualche consiglio per rifarla a casa. Un format semplice che ha sempre funzionato proprio perché si rivolge a tutti. A cambiare negli anni sono stato io, che sicuramente sono diventato più spigliato e disinvolto davanti alle telecamere.

Che ricetta ci regali per le feste?

Un plumcake ai canditi, un modo per ritrovare i sapori dell'Avvento senza doversi cimentare con preparazioni lunghe e difficili come il panettone. Sono in molti a preparare grandi lievitati a casa, ma si tratta di ricette complesse ed elaborate. Con il plumcake ai canditi ritroviamo la fragranza tipica di burro e vaniglia unita agli aromi della frutta, senza però dover ricorrere a lunghe lievitazioni.

Prima di salutarci: il tuo dolce preferito?

Il tiramisù di mia nonna!

La ricetta: Plumcake ai canditi

Ingredienti

650 g. di farina passata al setaccio
600 g. di zucchero a velo
1 kg. di frutta candita mista
450 g. di burro morbido
150 g. di latte fresco
50 g. di rum
50 g. di zucchero invertito
500 g. di uova
5 g. di sale maldon
15 g. di lievito
1 bacca di vaniglia

Lasciar ammorbidire il burro a temperatura ambiente, quindi lavorarlo con una frusta per renderlo più cremoso. Aggiungere la vaniglia, lo zucchero a velo e lo zucchero invertito, continuando a lavorare delicatamente fino a incorporare il tutto. Unire le uova una alla volta, assicurandosi che la prima sia completamente amalgamata prima di aggiungere la successiva. Lavorare in continuazione ma con delicatezza, facendo attenzione a non dividere i due ingredienti. Una volta che tutte le uova saranno state incorporate, aggiungere il rum (o qualsiasi altro liquore a scelta) e il latte, mescolando accuratamente con una spatola da pasticceria. Setacciare insieme la farina e il lievito chimico, e aggiungere la parte secca al primo composto, evitando la formazione di grumi. A parte, tagliare la frutta candita in cubetti piccoli e regolari, passarli velocemente nella farina e incorporarli all’impasto. Imburrare gli stampi e procedere con la cottura: per i primi 10 minuti a forno caldo a 210°C, poi abbassare la temperatura a 150°C. Si preferisce non indicare un tempo di cottura, in quanto dipende dalla forma e dalla dimensione degli stampi scelti; quando il dolce inizierà ad avere un colore dorato in superficie e leggermente più ambrato sui bordi, attendere ancora 5 minuti e procedere con la prova dello stecchino: se esce ancora umido, continuare la cottura per 10 minuti; se asciutto, spegnere il forno. Sformare e lasciar riposare su una grata da pasticceria almeno 2 ore prima di servirlo.

Antico Caffè Spinnato - Palermo - Via Principe di Belmonte, 111 - 091 749 5104 - www.caffespinnato.it/

a cura di Michela Becchi

Dolci feste. Il tronchetto Christmas Candy della Belle Hélène

La versione di Knam. Il giro d'Italia in 80 dolci con il re del cioccolato

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Il re del cioccolato continua la sua attenta ricerca nel mondo della pasticceria. Nel suo ultimo libro, “La versione di Knam”, il pasticcere indaga la storia dell'arte dolce italiana, fornendo la sua interpretazione delle tante specialità regionali.

Ernst Knam

Tutto ha inizio a casa di mia mamma, una bravissima cuoca. Ricordo il profumo dei sughi, dei dolci appena sfornati. E il sapore del cioccolato”.Si raccontava così Ernst Knam lo scorso Natale, poco dopo aver ricevuto per la prima volta le Tre Torte, massimo riconoscimento della guida Pasticceri & Pasticcerie del Gambero Rosso. Classe '63, originario di Tettnang, in Germania, il re del cioccolatooggi non ha bisogno di tante presentazioni: dal 2012 infatti, Knam è uno dei volti televisivi più popolari di Real Time, ma nasce (e rimane) pasticcere. Un artigiano capace, talentuoso, ma soprattutto un eterno goloso, costantemente alla ricerca di sapori nuovi, dolci creativi e originali, pietanze uniche da assaporare con gusto.

Il libro

La sua curiosità lo ha spinto a condurre una ricognizione speciale alla scoperta della pasticceria regionale, che da sempre scandisce ricorrenze, feste e abitudini di tutti gli italiani, e che Knam ha deciso di riproporre con il consueto sguardo attento e rigoroso. Con questi propositi nasce La versione di Knam, il giro d'Italia in 80 dolci, volume edito da Giunti e dedicato alle specialità locali, dai baci di dama piemontesi alla crema fritta veneta, dalla pastiera napoletana al parrozzo abruzzese, con ricetta originale accompagnata dalla reinterpretazione del pasticcere. Una raccolta di 80 dolci per ripercorrere la storia dell'arte dolce nazionale, fra accenni storici, aneddoti e leggende popolari, “un'occasione per riscoprire il patrimonio culinario italiano e sperimentarne le specialità, guidati da Ernst Knam”, come spiega lo storico della gastronomia italiana Alberto Capatti nell'introduzione.

La storia della pasticceria italiana

Un lavoro per niente banale, quello di Knam, che ha portato alla luce dati e vecchi episodi che hanno segnato la storia della pasticceria del Bel Paese. Per la sua ricerca, l'artigiano si è documentato a dovere, con il puntiglio che lo caratterizza e il rigore ferreo che contraddistingue i professionisti del settore. Leggendo e confrontando testi antichi, dalla prima carta geografica dei dolci italiani, risalente al 1903 e inserita nell'Almanacco italiano dell'anno successivo alla Guida gastronomica d'Italia edita dal Touring Club Italiano nel 1931, e ripubblicata, completamente rinnovata, nel '69. Da un volume all'altro i numeri della pasticceria italiana crescono: le specialità del Piemonte, per esempio, una delle regioni più note per dolci e cioccolato, in pochi decenni salgono da 12 a 51, e poi ancora a 56. La svolta principale, poi, arriva negli anni '70, quando lo zucchero non è più solo un privilegio per pochi ma un ingrediente comune: grazie a questo cambiamento, “il suo dosaggio attento”, scrive Capatti, “diventa un valore”.

La versione di Knam

I ruoli di massaia e pasticcere professionista si fanno sempre più distinti: la prima consulta i libri tramandati in famiglia, mentre il secondo può fare affidamento su una serie di ricettari di stampo più tecnico che cominciano a fare capolino fra gli scaffali delle cucine. La Scienza in cucina di Pellegrino Artusi del 1911, ma anche La nova cucina delle specialità regionali di Vittorio Agnetti del 1910, e La cucina delle specialità italiane di Bonfiglio e Krassich del '39. Questi e molti altri i volumi sui quali si è basato Knam per scrivere il suo ricettario, un libro che “eredita e nel medesimo tempo rinnova un patrimonio, con una precisazione importante: i dolci regionali sono tutti ripetibili fuori dal rispettivo territorio, e un'eventuale traduzione di questo volume porrà nuovi problemi, di selezione degli ingredienti e di riconoscimento linguistico e culturale dell'artefatto. Ma va precisato che l'offerta a tutti gli italiani delle singole specialità – basti pensare al panettone o alla pizza napoletana – ha sempre rappresentato il primo passo per la loro internazionalizzazione”. Perché il cibo è di tutti, e da tutti può essere compreso: “La vita di un cannolo è molto più lunga della nostra: basta ristudiarlo e riproporlo, per dargli un secondo futuro”.

La ricetta: Struffoli

Gli struffoli hanno tutte le caratteristiche tipiche della pasticceria meridionale, forse retaggio dell'antica Grecia, fantasiosa e ricca di ingredienti zuccherini, tra i quali non mancano mai la frutta candita e il miele. La mia versione lascia invariata la ricetta del dolce ma prevede, prima di servirlo, una spolverata di cioccolato cru Uganda 80% grattugiato, per dare un tocco di classe e bontà, oltre a una nevicata di pepe rosa passato al setaccio”.

Ingredienti

Per l'impasto

650 g. di farina 00

10 g. di sale

30 g. di zucchero

10 g. di scorza di limone grattugiata

50 g. di tuorli

300 g. di uova

3000 g. di strutto

Per la decorazione

325 g. di miele al limone

30 g. di scorza d'arancia grattugiata

150 g di scorzette di arancia candita

150 g. di cedro candito

Per la versione di Knam

200 g. di cioccolato fondente 80%

30 g. di pepe rosa setacciato

Impastare la farina con il sale, lo zucchero, la scorza di limone grattugiata, i tuorli e le uova. Lavorare bene fino a ottenere un impasto liscio; lasciarlo riposare in frigo per 2 ore. Ricavare dall'impasto dei cilindretti del diametro di un dito e tagliarli in piccoli pezzi. Friggerli, pochi alla volta, in abbondante strutto bollente, scolandoli quando saranno di un bel colore dorato. Versare il miele in una casseruola e scaldarlo sul fuoco fino a quando sarà ben sciolto, quindi levare il recipiente dal fuoco e aggiungere la scorza d'arancia grattugiata. In un'ampia ciotola versare il miele sopra ai tocchetti di pasta fritta utilizzando un cucchiaio di legno e badando a non schiacciare o rompere gli struffoli, quindi unire il cedro e le scorze d'arancia candite tagliate a pezzettini. Rovesciare il composto su un piatto rotondo e, con le mani leggermente bagnate d'acqua, dare alla massa una forma conica. Prima di servire lasciar riposare un paio d'ore.

La versione di Knam. Il giro d'Italia in 80 dolci, Ernst Knam – ed. Giunti Editore – Euro 19,90

a cura di Michela Becchi

Mercato Excelsior a Palermo. Una nuova food hall nell’ex Supercinema Excelsior

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Frutto di un progetto di riqualificazione che restituisce uno spazio chiuso da tempo ai palermitani, il Mercato Excelsior è un polo gastronomico aperto dalle 8 a mezzanotte che riunisce 13 botteghe e 3 ristoranti. Ecco cosa si mangia. 

Un mercato nell’ex cinema

Mercato Excelsior, o più semplicemente oratorio dei sapori. L’insegna delle nuova food hall sorta proprio nel centro di Palermo eredita il nome dell’edificio che la ospita, il vecchio Supercinema Excelsior di via Cavour, chiuso al pubblico dal 2011, dove – qualcuno ricorderà – alla fine del 2014 già si parlava di allestire un grande polo gastronomico dedicato a vendita e somministrazione di cibo del territorio - Eat Sicily – sotto le direttive dello chef Natale Giunta. Di quel progetto di riqualificazione, nonostante le buone intenzioni, all’epoca non si fece più nulla, mentre solo qualche giorno fa lo chef palermitano reso celebre dalla tv ha inaugurato l’ultimo dei suoi progetti, la friggitoria “a vista” Passami ù coppu, in corso Vittorio Emanuele (angolo via Roma), apertura pilota di un marchio dedicato all’eccellenza della tradizione popolare siciliana che potrà moltiplicarsi in futuro. Intanto, però, negli spazi dell’ex cinema, il Mercato Excelsior ha fatto suo il modello tracciato in precedenza, riunendo sotto lo stesso tetto 13 botteghe e 3 ristoranti, per un totale di 16 insegne che tracciano un percorso del gusto all’interno della tradizione gastronomica siciliana.

 

Mangiare al mercato. Le botteghe e i ristoranti

4000 metri quadri su 4 piani, aperti dalle 8 alle 24, pensati per essere vissuti nel segno della condivisione, con aree comuni per mangiare, la terrazza per l’aperitivo, gli eventi e le degustazioni organizzati con la complicità delle botteghe. Un altro mercato, dopo quello di SanLorenzo inaugurato poco meno di un paio d’anni fa, che strizza l’occhio alle moderne food hall di stampo europeo, nella città italiana che forse più di ogni altra è legata al folclore dei suoi mercati tradizionali, Vucciria in testa, tanto da essere spesso citata tra le capitali dello street food su scala mondiale. Eppure nella Palermo di oggi, i luoghi storici del cibo possono convivere con queste nuove isole del gusto, almeno nelle intenzioni di chi le crea, perché poi sarà il tempo a dire se il pubblico apprezzerà (l’esperimento SanLorenzo, per esempio, è ben riuscito). Quel che conta, intanto, è che uno spazio chiuso da tempo, a breve distanza dal Teatro Massimo, sia stato restituito alla città.

Al Mercato, con accesso diretto dall’attigua libreria Feltrinelli, convivono salumi e formaggi di provenienza isolana e nazionale del Barone dei Salumi (anche in versione pausa pranzo con panini e taglieri), il fritto di Fritty Food, tra panelle, crocché, pane ca meusa, arancine e cartocci ripieni, le polpette di Nino Scurria - patron di Polpetta & frittata – fatte con pancetta di suino dei Nebrodi, patata siciliana di montagna, scamorza affumicata dei Nebrodi, mollica di pane e uova bio. Anche in variante panino e coppo. E poi i gelati di Ciccio Adelfio (cognome storico della gelateria palermitana), la bottega della frutta e verdura, con menu vegetariano per pranzo e cena, il pane, la pasta fresca (anche da consumare sul posto) e i legumi di Grano e Granis, il pesce di Gianni Monreale o la carne della macelleria Sorrentino nella bottega di Bricco e Bacco (ristorante di Monreale). La birra artigianale e il vino. Sul fronte ristorativo, invece, si è scelto di scommettere su format meno legati alla tradizione cittadina, se non addirittura etnici, come il giapponese Umibozu (anche se lo chef è italiano). In alternativa le ostriche del Sicilian Oyster Bar, ma anche la tradizione siciliana d’autore al ristorante Uber Alles di Gianni Sorrentino. Il polo ha esordito con un calendario ricco di eventi per farsi conoscere e celebrare le festività natalizie, con degustazioni gratuite fino al 31 dicembre.

 

Mercato Excelsior – Palermo – via Cavour, 133 – www.mercatoexcelsior.it

Passami ù coppu - Palermo – via Roma, 195/197 – www.passamiucoppu.it

 

a cura di Livia Montagnoli

Ricette delle feste. La Svizzera di Pietro Leemann e la ricetta della fondue

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Natale uguale tradizione? Sì, certo; ma chi l'ha detto che deve necessariamente essere la nostra? Abbiamo chiesto ad alcuni chef stranieri che lavorano sul nostro territorio di raccontarci un po' dei costumi dei loro paesi di origine. E di darci qualche ricetta tipica. Iniziamo oggi con Pietro Leemann del Joia di Milano.

Per molti, il Natale è l'occasione per spolverare le vecchie abitudini familiari, il momento in cui le tradizioni hanno la meglio. E questo accade in ogni parte del mondo. Così, abbiamo chiesto ad alcuni chef stranieri che vivono e lavorano in Italia, di raccontarci le loro tradizioni. Cominciamo da Pietro Leemann, svizzero di nascita e milanese di adozione.

Pietro Leemann. Foto Francesco MionFoto: Francesco Mion

Pietro Leemann

Svizzero di Locarno (ma cresciuto a Minusio), classe 1961, Pietro Leemann è l'antesignano dell'alta cucina naturale, il primo, in Italia, ad aver aperto le porte della ristorazione gourmet alla cucina vegetariana. O, se vogliamo, ad aver compreso che un certo tipo di cucina – dalla forte componente etica - può essere goduriosa e raffinatissima. Capisce, appena adolescente, che la sua strada sarebbe stata tra i fornelli, e ancor prima individua nel rispetto la sua regola di vita, quello per le persone, gli animali, l'ambiente. Scelte chiare nutrite da studi ed esperienze che, inevitabilmente, si riflettono sul suo lavoro. Per lui - vegetariano da oltre trent'anni - non si tratta solo di una scelta alimentare, né tanto meno di una moda, ma della diretta conseguenza di uno stile di vita che ha abbracciato neanche trentenne e che ha continuato ad approfondire costantemente. La spiritualità è una compagna di viaggio che non l'abbandona mai, a scuola come in cucina, nei viaggi di ragazzo come nella vita privata. Appassionato di religione e filosofia, lettore vorace e determinato, si muove tra misticismo, disciplina e attitudine contadina a comporre una visione olistica del cibo. Esperienze in Francia a intercettare gli ultimi riverberi della Nouvelle Cuisine, e poi alla corte di Gualtiero Marchesi: Pietro Leemann è uno dei suoi allievi più famosi, da lui acquisisce conoscenza tecnica e attitudine alla crescita, culturale e umana prima di tutto.

 

Joia

Nel 1989 apre il Joia, il ristorante (Due Forchette per il Gambero Rosso e Stella Michelin) che ha portato sulla piazza milanese la sua cucina naturale, sempre più orientata verso scelte green; nel 2009 elimina dal menu anche il pesce spingendo verso un vegetarianesimo sempre più completo e complesso. Coerente con il suo approccio verso ogni aspetto della vita di cui l'alimentazione è una delle componenti. Le filosofie – ayurveda, antroposofia, dietistica cinese - si incrociano con la profonda spiritualità, il rigore e la disciplina. Nel suo lavoro coltiva il rapporto con i produttori, l'attenzione alle materie prime, e lo fa con un pensiero di cucina evoluto e raffinato, capace di stupire appagare e meravigliare. Al pari di una cucina onnivora.

 

Il Natale in casa Leemann

Natale per me significa famiglia e condivisione” spiega Leemann “così anche quest'anno chiudo il ristorante per passare le feste in casa, in pellegrinaggio tra la mia famiglia e quella di Rosanna, mia moglie”. Tutto secondo le tradizioni, con i riti a scandire queste giornate di fine anno, a partire dall'appuntamento con la tavola. Ma quando c'è un cuoco in famiglia, chi si mette ai fornelli? “Di solito cucino io per la mia parte, mentre quando siamo dalla famiglia di mia moglie, no”. E chi immagina ricette complicate a casa di uno chef, deve ricredersi: “da noi il Natale può sembrare semplice, magari” ammette nel presentare uno dei suoi piatti tradizionali, “da noi si prepara spesso la fondue, che viene fatta come da tradizione con due formaggi: gruyère e vacherin fribourgeois, uno più dolce l'altro più piccante, grattugiati grossolanamente e messi a marinare con vino bianco secco, di solito tipico del Vallese”. È un piatto che arriva dalla sua infanzia, “nella mia famiglia non c'è mai stata l'usanza di mangiare carne, come molti hanno” spiega, spiegando, però, come la cucina sia sempre stata la compagna dei giorni di festa: “Mia mamma preparava dei biscotti e il classico tronchetto di Natale, il biscotto arrotolato farcito con marmellata di castagne dell'autunno appena passato, ricoperto di crema di cioccolato rigata a riprodurre la corteccia dell'albero”. La festa, da lui, è molto sentita: “messa di mezzanotte, bancarelle e così via: in un paese di montagna c'è molto calore e senso di comunità, e a Natale ancora di più” e aggiunge “lo scopo della festa è di stare insieme”.

 

La ricetta

Trovo molto bello che abbia bisogno di poco lavoro” dice lo chef parlando di questa ricetta che non costringe a lunghe sessioni in cucina e permette di godere la festa insieme ai propri cari. “Poi” aggiunge “nella fondue c'è questo aspetto importante, di condivisione”, col piatto messo al centro del tavolo da cui si servono tutti insieme. Leemann propone questa ricetta anche al suo ristorante, in versione più elaborata, si chiama Swiss Dream. “È un piatto che rappresenta la mia terra”, racconta. Lo serve con verdure saltate con burro di montagna che sposano la fonduta “rotonda e avvolgente” il piatto viene poi arricchito con cialde di riso cotte in forno, fragranti e colorate, completata con erbe aromatiche e tartufo pregiato di Norcia. “Così” spiega “è più moderna, fresca e originale”.

Swiss dream joia Pietro Leeman

 

Ingredienti per 4 persone

400 g. di gruyère

400 g. di vacherin fribourgeois

600 g. di vino bianco vallese

20 g. di fecola di mais

40 g. di kirsch o grappa di ciliegie

2 g. di pepe

1 g. di curcuma e

1 g. di chiodi di garofano

200 g. di patate piccole

200 g. di cavolfiore

200 g. di broccolo romanesco

 

Una volta grattugiati grossolanamente i formaggi e messi a marinare con vino e spezie, si scalda tutto a temperatura non alta e quando comincia ad ammorbidire si aggiunge la maizena diluita con del kirsch si versa nel caquelon, la pentola per la fonduta, fino a che non diventa una crema. A questo punto è pronta per essere portata al centro della tavola così che tutti possano servirsi intingendo cubetti di pane, patate lesse o verdure nella fonduta fino a che la crema non li avvolge completamente. “È molto buona con broccoletti di Bruxelles o cavolfiore sbollentati” consiglia Leemann. Sottaceti o sottoli spesso arricchiscono il piatto.

 

Joia – Milano – via Panfilo Castaldi 18 – 0229522124- http://www.joia.it/

 

a cura di Antonella De Santis

 
 

Il Polo Del Gusto di Stefano Boeri: la testimonianza dei ristoratori di Amatrice in un video

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Un progetto operativo dalla scorsa estate, grazie ai fondi raccolti da Corriere della Sera e TG La 7, su iniziativa di Stefano Boeri Architetti: a più di anno dal terremoto, attraverso un video di 12 minuti Il Polo Del Gusto racconta l'anno zero di Amatrice, dando voce ai ristoratori.

Stefano Boeri Architetti per Amatrice

Ricominciare è possibile. Lo hanno dimostrato le innumerevoli iniziative nate in seguito al sisma che poco più di un anno fa ha distrutto popolazioni, famiglie, patrimoni storici e realtà agricole e ristorative dell'Italia Centrale. Un dramma umano e un danno economico incommensurabile, che ha lasciato una cicatrice indelebile nei territori di Umbria, Marche e Lazio. Ma le attività non si sono arrese, e con tenacia hanno ricominciato a splendere di luce nuova, grazie anche e soprattutto al buon cuore di molti, all'aiuto e il sostegno ricevuto sin dalle prime settimane del dopo terremoto. Per Amatrice, una delle località più colpite, fra i tanti progetti un posto d'onore lo merita l'ottimo e tempestivo intervento del Corriere della Sera e TG La 7, per il progetto donato da Stefano Boeri Architetti, un nuovo spazio di aggregazione, una mensa nata nel dicembre 2016, che rappresentava il traguardo di un piano ben più ambizioso.

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Il Polo Del Gusto

Il secondo step del progetto, Il Polo Del Gusto, ha preso vita meno di un anno dopo, nel luglio 2017: un centro della ristorazione locale – pure per onorare la tradizione gastronomica della cittadina, che al suo piatto principe doveva gran parte della sua fama – pensato per rilanciare l'economia del territorio. Si tratta, nello specifico, di un'area di 8mila metri quadri di edifici dedicati al cibo e al senso di convivialità, una nuova piazza civica che accoglie, oltre alla mensa, 8 ristoranti storici la cui sede era stata spazzata via dal terremoto. Un'idea realizzata anche grazie al contributo del Friuli Venezia Giulia, che attraverso il Consorzio Innova FVG ha fornito tutti gli elementi modulari prefabbricati in legno della filiera, una sfida contro il tempo che ha dimostrato, come ha specificato Boeri, “che anche in emergenza si possono fare cose di qualità e destinate a durare”.

Il video

20 interminabili secondi. Questo il tempo impiegato dal sisma per squarciare uno dei comuni più storici del Lazio, una tragedia che ha lasciato dietro di sé una conta dei danni lunghissima e straziante. Ma a meno di un anno e mezzo di distanza da quel 24 agosto, i ristoratori del paese che avevano visto anni di duro lavoro e sacrifici sgretolarsi sotto i loro occhi scendono in campo per raccontarsi. In un video di 12 minuti che sintetizza tutti gli sforzi fatti dalla comunità per ricostruire gli spazi, la vita dei ristoratori di Amatrice, l'edificazione della mensa e del Polo Del Gusto. Una storia di empatia, di volontà comune e consapevolezza; un racconto che ci ricorda che sono gli uomini e le donne, con le loro scelte, a dare un significato al concetto di tempo. Fin dalla sua inaugurazione, infatti, il Polo del Gusto è diventato una tappa fissa per i tanti visitatori e turisti che ogni giorno decidono di portare la loro solidarietà ad Amatrice. A realizzare il video, la giovane casa di produzione milanese The Blink Fish, che racconta il primo capitolo della ricostruzione di Amatrice. Dando voce a chi non si è arreso, ma ha creduto nella rinascita della cittadina fin da quella tragica notte.

Il video: urlsand.esvalabs.com/?u=https%3A%2F%2Fwww.dropbox.com%2Fs%2Fnn2smz4gc6jzhh8%2FNEW%2520AMATRICE_DELIVERY_ITA_02.mp4%3Fdl%3D0&e=18883dc2&h=d8ccca2a&f=y&p=y

a cura di Michela Becchi

video di Blinkfish e Stefano Boeri Architetti

È morto Gualtiero Marchesi. Addio al Maestro della cucina italiana

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Se n’è andato a Milano, dov’era nato nel 1930, malato da tempo, eppure mai stanco di lanciarsi in nuovi progetti. Gualtiero Marchesi ha attraversato da protagonista 40 anni della cucina italiana, e l’ha rivoluzionata da pioniere qual è stato, uomo di piglio, consapevole, strenuo sostenitore della cultura, del bello. E della formazione. Nel 2018 avrebbe chiuso il Marchesino, ma l’ultimo progetto – la casa di riposo per cuochi a Varese – resta incompiuto.  

Dalla Francia alla cucina totale

Non si fermava mai, Gualtiero Marchesi. Classe 1930, figlio di ristoratori milanesi, il Maestro universalmente riconosciuto della cucina italiana guardava ancora al futuro come una possibilità per costruire nuovi progetti, immaginare nuovi orizzonti. Lui, che la sua storia aveva saputo legarla a doppio filo con quella di un rinnovato orgoglio gastronomico tutto italiano, ma non per questo fine a se stesso, e anzi pronto a carpire suggestioni e influenze dal mondo per rivendicare un posto privilegiato nell’universo dell’alta cucina (un concetto teorizzato nel 1980 nel libro La mia nuova cucina italiana). Pioniere in tante occasioni, dall’intuizione che lo portò in Francia, negli Anni Settanta, per respirare l’aria di quel movimento che all’epoca andava formandosi, la rivoluzione della Nouvelle Cuisine di cui in prima persona sarà protagonista; al primato stellato, nel 1986, quando il mitico ristorante di via Bonvesin de La Riva – aperto a Milano nel 1977 per concretizzare l’idea della cucina totale, in cui tutte le parti contribuiscono a creare l’esperienza del cibo – si aggiudicò le Tre Stelle, per la prima volta assegnate dalla Michelin a un italiano. Lì, nella cucina del suo ristorante, avrebbe ideato negli anni piatti iconici dell’alta ristorazione italiana: il Risotto oro e zafferano, il Raviolo aperto, il Dripping di pesce, gli Spaghetti al caviale, erba cipollina. Ma nel 2008, forte del piglio che l’ha sempre guidato, sceglieva di restituirle al mittente, le stelle, sottraendosi al meccanismo dei voti.

Gli allievi, la formazione. La cultura del gusto

E primo pure a scommettere sul valore della formazione, maestro di tanti celebri allievi – da Paolo Lopriore Carlo Cracco, Andrea Berton, Enrico Crippa, Davide Oldani, Riccardo Camanini, Ernst Knam, ma la conta potrebbe continuare a lungo - e dal 2004 alla guida dell’Accademia Internazionale di Cucina Italiana di Colorno, di cui recentemente aveva lasciato la presidenza, per dedicarsi all’ultima delle sue sfide, la realizzazione di una casa di riposo per cuochi a Varese. Apertura prevista autunno 2018. Ora il progetto che il Maestro tanto desiderava veder coronato dovrà proseguire da sé: Gualtiero Marchesi se n’è andato, malato di tumore da tempo, all’età di 87 anni, circondato dall’affetto dei parenti, nella sua casa di Milano. Ma la sua è stata indubbiamente una vita lunga e ricca di soddisfazioni, l’impegno per nobilitare l’arte della cucina da un lato, con l’idea che la mancanza di preparazione, cultura e curiosità restituisce un cuoco a metà (la differenza che passa tra un bravo esecutore e un artista); la capacità di investire sulla ristorazione dall’altro, tracciando un modello di chef-imprenditore consapevole dei propri mezzi e preparato ad affrontare il mercato, con l’apertura del relais all’Albereta nei primi anni Novanta (1993), e poi  l’invenzione del Marchesino nel 2008 (l’insegna, peraltro, sarà destinata a chiudere battenti per volontà del Maestro proprio nel 2018). Dal 2010 la sua visione confluiva nelle attività della Fondazione Marchesi, creata per diffondere il bello attraverso il gusto.

E il mondo intorno a lui, ben al di là dell’orizzonte degli addetti ai lavori, si era accorto della sua unicità. Di recente protagonista in tv per Sky Arte, gli omaggi al Maestro nel corso della sua lunga carriera non si contano. E ci limitiamo a citare, tra i più curiosi, l’omaggio a fumetti, con la citazione del cuoco sulle tavole di Topolino, in veste di Gualtiero Baroni. Sul numero di gennaio 2018 del Gambero Rosso, invece, troverete quello che probabilmente è l’ultimo scritto di suo pugno: un lungo e sferzante articolo sulla ristorazione negli anni Settanta, in cui il Maestro racconta senza mezzi termini la situazione dell’epoca, dando prova, ancora una volta, di una grande considerazione di sé. Una qualità, quella della consapevolezza dei suoi mezzi, che non l’hai mai abbandonato. A costo di risultare persino scomodo. Ma anche questo dice molto della grandezza di un uomo.  

Cresce il consumo di spumanti made in Italy. A Natale 240 milioni di bottiglie

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Le stime di Uiv e Ismea per le festività portano un po' di ottimismo. L'export è in doppia cifra e sulla spumantistica l'Italia sta guadagnando spazi a livello globale. Tuttavia, il settore vino non può contare solo sulle performance del Prosecco. 

È uno dei segmenti che in questa parte finale del 2017 darà un contributo decisivo a tutto il vino italiano, sostenendo sia il positivo andamento delle esportazioni sia la ripresa dei consumi interni. Gli spumanti made in Italy raggiungeranno quota 240 milioni di bottiglie complessive stappate durante queste festività, di cui 66 milioni in Italia (+6% sul 2016) e 174 milioni all'estero (+11%). Secondo l'Osservatorio del vino, su stime Ismea, c'è da essere ottimisti considerato che tutto il comparto nazionale degli spumanti è destinato a chiudere il 2017 con una produzione che sfiorerà i 670 milioni di bottiglie, in aumento del 9% sul 2016. E all'estero se ne venderanno quasi 500 milioni di bottiglie.


Export e mercato interno

L'Osservatorio evidenzia due elementi in particolare: "L’economia interna è in ripresa e i consumi sono favoriti da un clima di maggior fiducia. Inoltre, il consumatore sta facendo notevoli passi avanti in termini di crescita culturale nei confronti della qualità che siamo in grado di offrire, e questo" rileva il presidente Ernesto Abbona "ci fa ben sperare per il futuro di tutto il vino italiano". Per quanto riguarda le esportazioni, la crescita registrata tra gennaio e settembre è in doppia cifra: +11% a volume e +14% a valore. Nove mesi nei quali sono stati esportati circa 2,5 milioni di ettolitri di vino per un incasso di 920 milioni di euro. Nel dettaglio, gli spumanti Dop crescono del 13% a volume e del 15% a valore. Da segnalare il Prosecco, che rappresenta la gran parte delle esportazioni: da solo, infatti, vale circa il 70% di tutti gli spumanti Dop e poco meno del 60% rispetto all’intero comparto spumantistico.



I principali Paesi clienti

Il Regno Unito si conferma primo mercato di destinazione delle bollicine Italiane. Qui si registra un incremento in valore del 13% sul 2016, per un corrispettivo di 267 milioni di euro, e una crescita in quantità del 10%. Risulta al di sopra della media la performance degli Stati Uniti, dove le bollicine italiane valgono più di 217 milioni di euro (+17%) e crescono in volume del 14%. Torna a galoppare la Russia, che negli anni scorsi aveva segnato il passo, con un aumento sia a volume sia a valore intorno al 40%. A livello globale le esportazioni sono in crescita dell'11% a valore e a volume, secondo l'analisi Ismea, col contributo del Cirve-Università di Padova, partner dell’Osservatorio del vino. In questo quadro, l’Italia sta proseguendo la sua espansione nel mercato internazionale degli spumanti, con una crescita dei valori superiore alla media del mercato (+14%) e una progressione dei volumi in linea col mercato (10%). Se poi si guarda a ciò che fanno gli altri grandi esportatori di spumanti nel 2017, si nota che la Francia cresce ma meno dell’Italia (+9,6% in valore, +8,5% in volume) e che la Spagna cresce in volume più dell’Italia (+18%), ma con prodotti dal costo più basso: la progressione in valore è minore (+10%) rispetto all’Italia.



Evitare la dipendenza dal Prosecco

L’export di vino italiano, che nel 2017 dovrebbe chiudere con un nuovo record, vicino ai 5,9 miliardi di euro, è ad oggi trainato dal Prosecco. "Tuttavia" come rileva il presidente Abbona "non possiamo affidare a questo prodotto, seppur vincente, la nostra penetrazione nei mercati stranieri. Stiamo lavorando da tempo, insieme all’Ice e al Mise, per individuare strategie efficaci affinché tutto il nostro vino di qualità venga percepito e apprezzato come tale all’estero. La situazione sta migliorando, ma c’è ancora molto lavoro da fare".

 

a cura di Gianluca Atzeni

Il panettone del giorno dopo: alcune idee per mangiare (e riciclare) il lievitato del Natale

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È il re della tavola natalizia, ma se avanza? Ecco come valorizzarlo in gustose preparazioni salate, con i consigli di Nicola Di Tarsia e della pizzeria Sancho.

Senza di lui non sarebbe Natale, parliamo ovviamente del panettone (nel numero di dicembre del Gambero Rosso vi abbiamo segnalato i migliori panettoni di alta pasticceria, quelli delle aziende specializzate in dolci e grandi lievitati e i vegani), ma una volta trascorsi i giorni delle feste e delle tavole imbandite che ne è di lui? Spesso viene consumato così com'è, magari inzuppato in una bella tazza di latte, oppure viene riutilizzato all’interno di vari dessert. Noi vogliamo sdoganarlo dal ruolo esclusivamente dolce consigliandovi delle versioni salate. In più vi sveliamo una ricetta davvero particolare che porta la firma della pizzeria Sancho di Fiumicino (Tre Rotelle nella nostra guida Pizzerie d'Italia 2018).

Panini di panettone: i consigli dello chef Nicola Di Tarsia

Iniziamo dai consigli di Nicola Di Tarsia, chef che non passa inosservato nel panorama della ristorazione torinese grazie alla sua perenne ricerca, al tempo stesso saldamente ancorata nel patrimonio regionale italiano. E messa a punto nell'elegante locale, Berbel. “I miei sono degli spunti per quello che ho ribattezzato ‘il panettone del giorno dopo’: a Natale va mangiato come tradizione vuole, in primis da solo oppure accompagnato da zabaione, crema inglese o salsa al cioccolato; quando invece non abbiamo più voglia di degustare le classiche fette a fine pasto, possiamo senza dubbio sfruttarlo per preparazioni salate”.

Prima di tutto, possiamo impiegarlo per sostituire il pane all’interno di un sandwich: “in questo caso le fette di panettone devono essere ben compatte, quindi bisogna tostarle in padella con ulteriore burro”, sottolinea Di Tarsia, “per chi le volesse ancora più croccanti, basta metterle in forno per circa 10 minuti a 170° C; vanno poi lasciate riposare per mezz’ora prima di farcire il panino”. Come? Lo chef predilige: il pesce spada marinato, l’abbinamento di formaggio di capra morbido e tartare di salmone, il vitello tonnato per il piacevole equilibrio che si crea tra la dolcezza dei canditi e la nota sapida dei capperi. Chi ha voglia di realizzare un Club Sandwich, deve semplicemente tagliare delle fette più sottili e stratificarle con i condimenti che preferisce.

Al posto di grissini, crostini o pan grattato

Si può utilizzare il panettone anche al posto di grissini o crostini. Nel primo caso, va tagliato a listarelle e fatto asciugare in forno: “raggiunta la giusta croccantezza, diventa perfetto da sgranocchiare assieme, ad esempio, al Parmigiano Reggiano o al salame”, sottolinea Di Tarsia, “il dolce-acido che contraddistingue i lievitati è ideale per alleggerire il palato dalla componente grassa degli insaccati e si sposa bene pure con gli affumicati”. Nella seconda alternativa, invece, diventa il tocco finale (e inaspettato) con cui portare in tavola le zuppe, prendendo il posto dei canonici crostini a base di pane raffermo o in cassetta. “Si inizia tagliando le porzioni avanzate a cubetti; questi vanno poi trasferiti in una padella antiaderente con aroma di rosmarino o maggiorana: per farli rosolare si può scegliere il burro, ma suggerisco di preferire l’olio per evitare di aggiungere la stessa materia grassa già presente nell’impasto (nel caso dei panini, invece, serve il burro perché a freddo mantiene meglio la compattezza)”, specifica lo chef di Berbel. E quali sono le ricette che, più delle altre, vengono valorizzate dal tandem con il panettone? La crema di zucca, sicuramente, oltre a quella di topinambur e alla tipica zuppa pavese, caratterizzata dal tuorlo d’uovo messo a crudo nel brodo bollente.

Il lievitato natalizio, inoltre, può rimpiazzare il pangrattato. “Lasciate asciugare il panettone avviato senza fretta, se si tratta di un prodotto artigianale lo si può usare nell’arco di 60 giorni; per completare l’essiccazione bisogna ricorrere comunque al forno, in cui il panettone deve restare per circa 40 minuti a 70/80°; successivamente va frullato e volendo unito a un trito di erbe aromatiche come timo, maggiorana e salvia. lo consiglio come impanatura per le carni bianche, a partire dal petto di faraona o di tacchino”.

La provocazione della pizzeria Sancho: i supplì al panettone

Concludiamo con la proposta provocatoria della pizzeria a taglio Sancho, da anni un punto di riferimento a Fiumicino grazie a Franco Di Lelio - in arte Sancho – oste nato e capace di coniugare la tradizione romana della pizza al taglio verace a una visione più moderna e ampia dell'arte bianca. Ovviamente non fa tutto da solo: lo affiancano i figli Emiliano e Andrea, insieme a una squadra di giovani pizzaioli appassionati e volenterosi. E c'è da dire che il lavoro di ricerca ha dato frutti evidenti, con impasti leggeri, friabili, profumati che ormai lasciano colpiti anche i palati più inesperti. Una realtà in continuo fermento che dimostra come la sperimentazione - se supportata da qualità della materia prima e tecnica – possa permettersi di toccare anche un mostro sacro come il supplì.“Abbiamo scelto un grande classico della tradizione romana come il supplì, per farne la nostra versione al panettone: abbiamo voluto osare e non ci aspettavamo un riscontro così positivo”, ci racconta Emiliano Di Lelio, che lavora nell’insegna di famiglia con il fratello Andrea, mamma Caterina e papà Franco. Il segreto, però, risiede nel fatto che questi supplì non contengono il panettone, ma ne riproducono gusto e consistenza. “Tra prove e riprove siamo arrivati a definire la crema inglese (con cui mantechiamo il riso precedentemente cotto nel latte, a cui vanno aggiunti canditi e uva sultanina), che sottoponiamo a una sorta di fermentazione controllata affinché, addentando i supplì, si abbia la sensazione di assaporare un lievitato”, prosegue Emiliano, “si possono mangiare come dessert, magari abbinati a una crema allo zabaione, ma li ho assaggiati persino assieme alle alici del Cantabrico e mi hanno piacevolmente sorpreso”.

 

La ricetta dei supplì al panettone di Sancho

Ingredienti per il riso

250 g di riso

Latte q.b.

Cedro e arancia canditi, uva sultanina q.b.

Scorza d’arancia q.b.

Sale q.b.

Per la crema inglese

250 ml di latte

70 g di zucchero

1 bacca di vaniglia

3 tuorli d’uovo

10 g di maizena

Granella di mandorle q.b.

Per la crema inglese, scaldare il latte assieme allo zucchero e alla bacca di vaniglia. Nel frattempo montare i tuorli d’uovo con la maizena. Unire poi i due composti e portare a ebollizione. In un’altra pentola versare del latte e cuocervi il riso. Una volta pronto, scolare il riso, mantecarlo con la crema inglese e aggiungere canditi, uva sultanina, un pizzico di sale e della scorza di arancia grattugiata. Far raffreddare in frigorifero: il giorno dopo comporre delle palline, panarle con il panko e friggerle in olio bollente. Prima di servire, guarnire con granella di mandorle.

 

Berbel – Torino – via San Domenico, 33b – 011 4366778 - berbel.it

Pizzaria Sancho - Fiumicino (RM) – via di Torre Clementina, 142a – 06 6580690

 

a cura di Agnese Fioretti

 

Leggi anche:

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Natale 2017. I 10 panettoni più buoni

8 migliori panettoni classici di aziende specializzate in dolci e grandi lievitati italiani

 

 

Rotten su Netflix. La crime series che indaga tra le truffe del cibo. 6 episodi da gennaio 2018

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Prodotta da Zero Point Zero, la serie sarà disponibile in esclusiva su Netflix dal 5 gennaio. Un format di denuncia, in 6 episodi tematici girati a partire da scandali e meccanismi corrotti dell’industria alimentare americana e globale. L’obiettivo? Stimolare il senso critico del consumatore. 

Una crime series dedicata al cibo

Gli addetti ai lavori la definiscono a tutti gli effetti una crime series, e la logica non fa una piega. L’obiettivo del documentario in sei puntate che dal prossimo 5 gennaio sarà disponibile su Netflix– in contemporanea nel mondo – è infatti quello di indagare tra i misfatti dell’industria alimentare americana e globale. A produrlo è la Zero Point Zero, che gli appassionati del genere hanno già apprezzato alla prova con diversi format gastronomici di successo, specie quelli che hanno contribuito all’affermazione di Anthony Bourdain(No Reservation, Parts Unknown), o The Mind of a chef, ma anche nell’ultimo documentario firmato Bourdain sulla lotta allo spreco alimentare, Wasted. Stavolta però lo sguardo vira più in profondità, pescando nel marcio di un sistema ugualmente esposto alla corruzione, alle malefatte e ai pericoli concreti di un qualunque contesto criminoso.

Rotten. La verità è dura da ingoiare

E infatti, annunciano le note che anticipano la messa onda di Rotten – come si chiamerà la serie - il trattamento riservato alle vicende trattate sarà analogo a quello messo in campo per indagare su una scena del crimine, anche se “la verità è dura da ingoiare”, scandisce minaccioso il trailer. Ma, continuano gli autori, “in un mondo in cui colossali multinazionali del cibo si consolidano sempre di più”, la denuncia è necessaria e procede all’inverso: “La serie parte dal piatto che servi per cena evidenziando le conseguenze scioccanti, manifeste o meno che siano, di un sistema che confonde regolamentazione, avidità, innovazione, in nome del denaro”. Insomma, potrebbe quasi dirsi un’avvertenza per deboli di cuore, la campagna promozionale che anticipa il lancio di Rotten. In realtà l’intenzione è quella di fare chiarezza sulla missione del format, che certo non vuole indirizzarsi al mero intrattenimento, ma stimolare la consapevolezza e lo spirito critico dei consumatori, sulla rotta tracciata da celebri precedenti, da Super Size me (2004, più recente il secondo capitolo della saga, Holy Chicken, meno riuscito del primo successo) a Food Inc (2008), all’ultima prova sugli Ogm di Scott Hamilton Kennedy, Food Evolution (2017), già candidato all’Oscar nel 2009 per The Garden, sulla storia di una delle ultime fattorie di Los Angeles.

6 episodi, dal 5 gennaio

Ogni episodio si focalizzerà su un tema specifico, emblematici ed evocativi (degni di una stagione di True Detective) i titoli delle singole tracce: Avvocati, pistole e miele; il problema dell’arachide; respiro d’aglio; il grande uccello; soldi di latte; il merluzzo è morto. Si passerà così dalla frode ribattezzata Honeygate (con l’arrivo sugli scaffali dei supermercati di un prodotto spacciato per miele) all’insorgere crescente di nuove allergie alimentari, al business dei polli d’allevamento male alimentati per massimizzare i profitti. Al problema della pesca illegale con l’aggravante delle truffe perpetuate nel processo di trasformazione e conservazione del pesce. Riflettori puntati principalmente sull’industria alimentare americana, e sugli scandali che a più riprese l’hanno travolta, “ma la crisi è globale”, e nessuno può restare a guardare, intima il trailer. “Se mangi cibo, questo è un problema di cui devi preoccuparti”. Dal 5 gennaio c’è uno strumento in più per informarsi.

 

a cura di Livia Montagnoli

Gualtiero Marchesi. Il primo incontro con il Maestro, la sua eredità, gli insegnamenti

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Ognuno ha un ricordo, un dettaglio, una cameo che porta con sé. Dell'incredibile vicenda di Gualtiero Marchesi, cuoco, mentore, anticipatore della cucina italiana, che ci ha lasciato il 26 dicembre.

È un dato di fatto: io non cucino, faccio arte”. Diceva così, Gualtiero Marchesi, e se pure voleva essere chiamato cuoco e non chef, aveva profonda consapevolezza di quale fosse il suo ruolo. Non uno che cucina ma un compositore, come si definì solo pochi anni fa. Quando, non senza una vis polemica, parlava con slancio di cibo e società, di come la ristorazione stava diventando e dei vizi e i rischi di questo mondo. Affrontando di petto quello che riteneva un male di cui liberarsi, l'ignoranza. Lui quell'ignoranza l'ha denunciata e combattuta, inclusa quella dilagante su certi canali. Coltissimo, spingeva a leggere e studiare, incantava tutti con la sua capacità di spostarsi da un piano all'altro delle espressioni artistiche, sapeva anticipare, stupire, provocare, superando steccati e rischiando di suo, dalla cucina di via Bonvesin de la Riva e poi da quella dell'Albereta, senza contare i mille progetti in cui si è lanciato. “Ènato, vissuto e - purtroppo - ora è anche morto come un artista” dice di lui Ernst Knampasticcere che alla corte del Maestro è stato tra il 1989 e il 1992. Il primo impatto? “Mi aprì lui la porta e mi salutò in tedesco e in tedesco facemmo il colloquio”: per quasi tutti il momento dell'incontro con il Maestro è indimenticabile. Lo ricorda Davide Oldani che, appena uscito dall'alberghiero, si presentò accompagnato dal padre e, come in un passaggio di testimone, fu accolto da Marchesi e “accudito come un secondo padre”. Era la metà degli anni '80 quando il Maestro disse a Oldani padre che i “ragazzi sono come spugne, assorbono, assorbono e poi a un certo punto rilasciano quel che hanno preso”. Carlo Craccoinvece, andò a cena a via Bonvesin de la Riva, “sponsorizzato da mia sorella” che gli offrì la cena. Aveva 19 anni, e subito capì che quello era il posto in cui voleva stare, così si presentò e rimase dal 1985 al 1987 fino a che Marchesi lo spinse a continuare la sua formazione all'estero, così come aveva fatto lui stesso. Così come avrebbe continuato a fare con i suoi allievi, talvolta riprendendoli con sé al rientro in Italia.

Gualtiero MarchesiGualtiero Marchesi con alcuni dei suoi allievi

 

Da Marchesi, in quell'epoca si trovava di tutto: cuochi di ogni nazionalità, professionisti di lunga data o giovani coraggiosi, come Andrea Bertonche da Udine si trasferì a Milano proprio per lavorare da lui. Si presentò forte della sua ingenuità e della voglia di partire dall'alto per capire se davvero quello era il lavoro della sua vita, e solo per caso il Maestro si affacciò nella stanza in cui il suo sous chef francese stava dicendogli che vista l'inesperienza non c'erano molte possibilità per lui in quel momento, “cercava il modo di liquidarmi”. Ma aveva con sé tutti i documenti e si disse disposto a iniziare in quello stesso momento. Rimase circa8 anni, tra Bonvesin (1989-1993) e l'Albereta (2000-2004). D'altro canto, invece, Pietro Leemann arrivava forte di esperienze di alta ristorazione “lavoravo in Svizzera da Girardet, con il mio chef arrivammo a Milano perché cercavamo alcuni oggetti per il ristorante e volemmo provare la sua cucina”. Capì allora che voleva stare lì, affascinato dalla personalità di Marchesi e dal cibo “ero abituato a una cucina rigorosa ma rigida e il suo approccio creativo, culturale e artistico mi conquistò” racconta “Per me fu un colpo di fulmine, come quando ci si innamora” trascorse lì un anno nel 1984 e poco meno nel 1988. Riccardo Camanini fu in un periodo successivo, tra il 1993 e il 1997 “avevo 19 anni, alle spalle qualche esperienza in alberghi di poco conto in cui avevo vissuto con frustrazione e non mi avevano fatto amare questo lavoro” poi l'arrivo all'Albereta: ho un ricordo bellissimo e vivido di quando sono entrato dopo due rampe di scale, quelle che dall'ingresso dei fornitori portavano in cucina: non avevo mai fatto uno stellato in vita mia e non avevo mai visto una cucina così grande. C'erano 25-30 cuochi vestiti di bianco, l'uniforme candida che in un silenzio assoluto assaggiavano con i cucchiai e lavoravano” era qualcosa di completamente diverso rispetto a quanto aveva visto e rispetto anche a quasi tutto quello che c'era stato in Italia fino a pochi anni prima. E se qualcosa stava cambiando, era solo merito di Gualtiero Marchesi, “questo signore elegante e acculturato, sempre pieno di sorrisi” racconta ancora Camanini “Sì, di Marchesi ricordo i sorrisi, tanti, era una cosa atipica in un lavoro come questo in cui ci sono molte tensioni e mi stupiva. Bacchettava anche, certo, ma senza mai perdere le staffe. Rimanevo incantato, mi ricordava certi zii di Milano, colti ed eleganti, io ero figlio di operai e venivo da un paesino, sentivo un enorme divario”. In quella cucina, Camanini, come molti, individua il luogo e il momento in cui ha trovato la strada per incanalare quella passione. Tra gli ultimi Daniel Canzian, che lo incontrò la prima volta nel 2004 al Vinitaly “Cinque giorni dopo ero in Franciacorta” racconta, e ricorda la frase di Marchesi; “Allora hai deciso di non fare più il cuoco e vuoi cominciare a fare cucina?

 

riso e oroRiso e oro

 

Una cucina inconfondibile

Alla corte di Marchesi arrivavano in tanti, e anche se a quei tempi non si parlava molto di ristoranti, la notizia di quel cuoco di Milano che stava cambiando radicalmente la cucina italiana faceva il giro d'Italia. “Arrivavano dall'Italia e dall'estero, vedevo Vissani, Pierangelini, gente che avevo imparato a conoscere dalle pagine di Le Grand Table” ricorda Camanini. “Il pubblico era abbastanza vario ma si trattava pur sempre di un piccolo circolo, erano anni in cui non tutti andavano al ristorante, c'era molta selezione” aggiunge Cracco. Grandi nomi del mondo culturale gravitavano attorno alla tavola di Marchesi e tutti i ristoratori volevano capire cose era questa nuova cucina italiana e a tutti lui insegnava quel suo mantra dell'alleggerire. E poi quel ribaltamento completo: porzioni piccole e impiattate con eleganza, pulizia estrema nell'aspetto e nei sapori, “erano gli anni di panna prosciutto e piselli” fa Cracco. Marchesi andava per la sua strada, instancabile. Ricorda Berton che lo vedeva partire in macchina alle 7 di sera alla volta di Parigi, per tornare un paio di giorni dopo a Erbusco: “aveva già più di 70 anni” e continuava ad accendersi per un progetto o un'idea. E a stupire con la sua cucina. “Inconfondibile” la definisce Knam “piatti come quadri da appendere alle pareti”. Camanini ricorda ancora, con suo fratello Giancarlo, una cena dell'epoca, la prima alla tavola di Marchesi: un piatto dopo l'altro, i suoi capolavori vincono la sfida del tempo e rimangono impressi fino a oggi.

 

Dripping di pesceDripping di pesce. Foto: M. Borghi

Il ruolo di mentore

Poi c'erano i momenti di confronto dopo il servizio “mi chiamava in ufficio” racconta Berton “parlavamo di tutto fino a notte fonda. Cose che sono servite tantissimo nel mio futuro professionale. Assorbivo informazioni ed emozioni: aveva intelligenza e conoscenza incredibili”. Quelle chiacchierate erano un privilegio, spiega Camanini “ricordo perfettamente la prima volta che mi dissero di andare nel suo studio. Io mi limitavo ad ascoltarlo perché molte nozioni erano fuori dalla mia portata, mescolava gastronomia, arte, musica, testi antichi”. Anche se non era un uomo di molte parole, sul lavoro “Non parlava tanto ma diceva tanto” spiega Knam. Un uomo colto, creativo, come ricorda Cracco “una persona di grande cultura, spessore e grande apertura mentale. Dava alla sua creatività degli obiettivi più alti rispetto al normale, e aveva il coraggio di cambiare e di andare controcorrente ma sempre nel rispetto dell'origine del piatto”. Insomma: un grande ispiratore. “L'insegnamento più importante è stato quello umano” aggiunge Oldani “educazione, regole, è stato il mio secondo padre” colui che lo ha sostenuto e gli ha fatto capire che per essere un cuoco onesto, professionale e intelligente avrebbe dovuto seguire un preciso iter di formazione.

 

Gualtiero Marchesi con la bridata e ungiovanissimo Carlo CraccoLa brigata di via Bonvesin de la Riva con i giovanissimi Carlo Cracco, Davide Oldani, e molti altri

 

Insegnamenti

Se chiedi a ognuno dei suoi allievi quale è stato il lascito più importante, ognuno potrà dire qualcosa di diverso, ma per tutti, l'insegnamento maggiore è stato quello del togliere, una sorta di Mies van Der Rohe della cucina nostrana che ha insegnato a guardare l'essenza delle cose, i sapori, creando rimandi culturali, eliminando orpelli e inutili decorazioni e concentrandosi sulla perfezione della materia prime e della tecnica. Un concetto modernissimo e quanto mai attuale, che ha sviluppato decine di anni fa: “togliere, togliere togliere”. Valorizzare gli ingredienti e trattarli nel modo migliore. Lui è quello che ha cambiato il modo di cuocerli quegli ingredienti, fino ad allora sfiniti da cotture eccessive. Lui è quello che ha spinto per piatti leggibili, chiari, ma anche spiazzanti. “Ciò che si fa, anche in cucina, deve avere un senso”Leemann riunisce in poche parole l'eredità dei suoi anni alla corte di Marchesi: “Un piatto non può essere un mero abbinamento di ingredienti ma questi devono avere un motivo per stare insieme in quel modo”.

 

Raviolo apertoRaviolo aperto

La perfezione come unica via possibile è un marchio di fabbrica: “ricordo che per scegliere le 20 foglie di prezzemolo da mettere nel raviolo aperto si impiegava anche un'ora: dovevano essere consistenti ma non troppo coriacee, tutte uguali, perfette” ricorda Camanini, e ricorda pure l'attenzione necessaria per disporre la foglia d'oro sul famoso risotto “solo in pochi potevamo farlo”. È questa perfezione che Pietro Leeman individua come l'impronta marchesiana, “il non avere compromessi in ciò che si propone, e cercare sempre un risultato che sia il più perfetto possibile”. Poi ci sono i prodotti: le verdure che hanno aperto la strada al vegetarianesimo più convinto di Leeman e il riso, lascito che Berton sente di avere avuto dal Maestro: “Ho capito come deve essere cotto e trattato un ingrediente come il riso a via Bonvesin de la Riva. È un aspetto che sa bene chi ha lavorato direttamente con Gualtiero Marchesi. Tutti hanno seguito quella tipologia di cottura e quel trattamento del riso”. Del resto lui era sempre lì a correggere e insegnare con l'esempio, come ha più volte ammonito in un periodo che, a guardarlo ora, sembrerebbe secoli fa. “Ha anticipato i tempi in ogni cosa” spiega Davide Oldani: “è stato uomo immagine per case automobilistiche e testimonial per prodotti da Gdo, ha disegnato tovaglie e stoviglie, e aperto ristoranti all'estero, creato un brand riconoscibile su scala mondiale e ha fatto tutto in un modo elegante, come lui era.Dopo 35 anni” conclude Oldani “posso solo dire grazie”. Impossibile non essere d'accordo.

 

 

a cura di Antonella De Santis

 

Fuga di Capodanno. 18 indirizzi dove mangiare e dormire

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È l'evoluzione dell'esperienza enogastronomica. Che supera l'idea del comfort food per addentrarsi nel campo del comfort a tutto tondo. Sono infatti molte le realtà che uniscono l'esperienza gastronomica alla comodità del pernottamento, un servizio fondamentale soprattutto nel caso di locali fuori dai centri abitati. Ecco i nostri 18 consigli per Capodanno.

Certo, Capodanno non è il momento migliore per programmare una vacanza gourmet, stretti come tutti sono tra cenoni e serate danzanti. Proprio per questo, però, non volevamo rinunciare alla ricerca di qualche angolo dove sia possibile una rapida fuga gourmet, dove ci si possa coccolare facendosi prendere per la gola e regalandosi saune, massaggi, wellness… E se non fate in tempo a prenotarvi per Capodanno, potete sempre farci un pensierino subito dopo le feste.

gnocchi di patate, crème brûlée al tartufo nero e foie gras. Guido da CastiglioneGnocchi di patate, crème brûlée al tartufo nero e foie gras - Guido da Costigliole

Guido da Costigliole al Relais San Maurizio

È un monumento, ma non è statico e neanche polveroso. È la seconda casa (l'altra è a Serralunga) di una delle famiglie più emblematiche della ristorazione italiana, non solo piemontese. È infine una struttura di gran classe a 360 gradi, un raffinato relais ricavato in un antico monastero con camere eleganti, spa e tutto l'occorrente per un soggiorno da re. Andrea Alciati tramanda qui la storia scritta dai suoi genitori, Piero e Lidia, e lo fa con radici salde nel passato e sguardo vispo nel presente. La cifra di questo grande ristorante, infatti, rimane nella capacità di mantenere vivo il ricettario materno senza negarsi tocchi di originalità ed esplorazioni in altri lidi, sempre garbati, secondo lo stile della casa. Quindi ovvio che i plin al sugo d'arrosto e il vitello tonnato siano passaggi imprescindibili, ma ci si può anche far stuzzicare dagli gnocchi di patate, crème brûlée al tartufo nero e foie gras, da una pluma iberica con zafferano, asparagi e arachidi, da un'insalata di verdure cotte e crude con salsa alla robiola di Roccaverano ed enkir soffiato, da un cannolo croccante con mousseline di vaniglia e grappa e caramello ghiacciato. Poi c'è la splendida cantina, ricca e profonda quanto accessibile.

Guido da Costigliole - Santo Stefano Belbo (CN) – loc. San Maurizio, 39 – 0141844455 - guidosanmaurizio.com

 

Piatto de La Rei del Boscareto ResortPiatto de La Rei del Boscareto Resort

La Rei del Boscareto Resort

Un'affascinante struttura d'ospitalità con centro benessere e una raffinata gastronomia. Panorami da cartolina, ambiente moderno di elegante design, gentile accoglienza, servizio impeccabile, dehors con una vista che ha pochi eguali. In cucina il sempre più bravo Pasquale Laera, di scuola Cannavacciuolo. Completamente calato nel ruolo e nel luogo, Pasquale ha conseguito una propria netta identità poggiata sugli insegnamenti del maestro ma personale nell’attingere e fondere dalla sua Puglia storie, ricette, ingredienti. Ne nascono nobili interpretazioni in un alternarsi di vigore e delicatezza, dove convivono sapienti abbinamenti, giochi di contrasti, consistenze e temperature. La carta è ricca e non mancano opportunità per chi cerca referenze locali. A Capodanno c'è un menu dedicato.

La Rei del Boscareto Resort - Serralunga d'Alba (CN) – via Roddino, 21 – 0173613042 - ilboscaretoresort.it

 

Vista da Il VescovadoVista da Il Vescovado

Il Vescovado

Posizione incantevole, con un dehors panoramico incredibile, per questo ristorante inserito all'interno dell'antico Palazzo Vescovile adibito a struttura di ospitalità di charme, con stanze romantiche, confortevoli e arredate con gusto ed estrema attenzione ai dettagli. La cucina di Giuseppe Ricchebuono si attesta su ottimi livelli, muovendosi con eleganza fra classici della tradizione e piatti più spinti sul fronte della creatività. Il punto di partenza? Materie prime di eccellente qualità e una tecnica che riesce a valorizzarle al meglio. In occasione di Capodanno c'è un menu degustazione a 160 € che comprende: entrée, Ostrica, mela verde e sedano, Palamita e agrumi, Nasello, funghi e nocciole, Seppioline, fagioli di Conio e finocchi, Pescatrice, fondo di verdure e scorzonera. E ancora Riso con zafferano di Quiliano e triglia di scoglio, Tortello di Prebuggiun ai gamberi bianchi e L'Astice. Dulcis in fundo: Sorbetto di pere e gelatina di camomilla e Cioccolato e arance.

Il Vescovado - Noli (SV) – p.le Rosselli – 0197499059 - ristorantevescovado.it

 

Risotto - Da VittorioRisotto - Da Vittorio

Da Vittorio

Un posto di rara suggestione - inserito nel verde di una tenuta - incredibile lusso e cura estrema in ogni dettaglio. La famiglia Cerea è una squadra impeccabile, a gestire un luogo da sogno dove tutto gira alla perfezione. Dalla Dimora, una vera locanda di charme con solo dieci camere (il consiglio è di godere dell'ottima colazione allestita nella sala con veduta sul vigneto che si specchia nel parco), al ristorante. Con la sala, visionata soavemente da Rossella Cerea, e la cucina gestita dai fratelli Chicco e Bobo, che hanno il vantaggio di potersi alternare, di essere presenti entrambi o di assentarsi contando su una brigata impeccabile che esegue egregiamente i loro storici (sempre richiestissimi) come le creazioni recenti, decisamente più stimolanti per i gourmet. Il mare continua a ispirare ed ecco il granchio reale, cevice di zucca e patata alla cenere, le fettuccine vongole, crema acida e caviale affumicato o lo scorfano scomposto, brasato e crudo. Preferite la carne? Risotto, castagne, pancia di maiale e riduzione di moscato di scanzo, costoletta di agnello alle erbe e crema cotta di sedano rapa o royal di lepre, gel di rabarbaro e gnocchi di polenta. Pietanze che non sono mai esercizi di stile perché in carta si devono confrontare con ricette ancora perfette dopo trent'anni di servizio.

Da Vittorio - Brusaporto (BG) – via Cantalupa, 17 – 035681024 - davittorio.com

 

Spaghetti, anguilla affumicata e finocchietto - GlamSpaghetti, anguilla affumicata e finocchietto - Glam

Glam a Palazzo VenartLuxury Hotel

Il lavoro di Enrico Bartolini, oltre al mestiere di chef che porta avanti con evidente personalità, è quello di coordinare l'operato di una squadra in crescita costante (e coerente). Come i progetti del gruppo che sovrintende, a distanza, dal suo quartier generale del Mudec a Milano. Il suo ruolo di “coach” lo prende molto sul serio. L'ultima conferma che la profusione di energie e la condivisione di obiettivi porta risultati è rappresentata proprio dal Glam di Venezia, inserito in un contesto incantevole come quello del Palazzo Venart Luxury Hotel, affacciato direttamente sul Canal Grande. Ma veniamo al menu, diviso tra piatti contemporanei e della tradizione. Si passa dal baccalà mantecato (ma alle erbe) alla granseola proposta con patate soice, capperi e finger lime, passando per il wafer di gamberi e cuore di lattuga, gli spaghetti, anguilla affumicata e finocchietto, il risotto al ginepro, il capriolo, cavolo nero e topinambur e ancora le animelle di vitello, cicoria e alloro.

Glam - Venezia - Calle Tron, 1961 – 0415233784 - ristoranteglam.com

 

Hotel Rosa AlpinaHotel Rosa Alpina

St. Hubertus dell'Hotel Rosa Alpina

"Cook the mountain" è lo slogan che riassume la filosofia di Norbert Niederkofler, una visione dell'arte culinaria che abbina gusto, raffinatezza, sostenibilità e salubrità. Professa il suo credo in questa elegante insegna incastonata nel lussuoso Rosa Alpina, Relais & Château della famiglia Pizzinini. Lo chef scansa i riflettori per puntarli sulla montagna più autentica, fatta di paesi poco glamour dove vivono e lavorano gli artigiani che gli forniscono ogni materia prima. Terre di storia e di storie che lui racconta in ogni piatto, costruendolo attorno agli ingredienti acquistati direttamente dai contadini, senza intermediari, così da garantire loro il massimo guadagno. Con un lavoro inimmaginabile di ricerca seleziona i prodotti e con tecnica inappuntabile padroneggia le cotture più antiche e quelle più aggiornate. Traduce il suo pensiero in piatti che diventano delle icone, come la stupefacente tartare di coregone: del pesce utilizza ogni parte - il messaggio contro lo spreco alimentare è chiaro - preparando la tartare con la carne, la parte croccante con la pelle essiccata e fritta, la salsa con le lische e le teste abbrustolite, sfumate nel vino e quindi montate con burro e olio di aneto. L'identità è il menu degustazione (190 euro) che traduce in modo completo l'idea di Norbert, ma si può comunque scegliere di comporre il proprio percorso scegliendo dalla carta, il cui finale (i dolci) è superbo grazie alle creazioni di Andrea Tortora, maestro Ampi (Accademia maestri pasticceri italiani).

St. Hubertus dell'Hotel Rosa Alpina - San Cassiano/Sankt Kassian (BZ) – s.da Micurá de Rü, 20 – 0471849500 - rosalpina.it

 

L'Argine a VencòL'Argine a Vencò

L'Argine a Vencò

A un paio di chilometri dalla Slovenia, sull'argine dello Judrio, troviamo la bella tavola di Antonia Klugmann e Romano De Feo: una sala moderna con vetrate ampissime a tutta altezza affacciate sul bosco che circonda la casa, gli occhi che si perdono fra lo splendore della natura circostante e l'affaccendarsi indaffarato della cucina, lo scorrere felpato del servizio, le luci centrate sul tavolo e soffuse intorno, la musica di sottofondo; il teatro perfetto per la cucina di Antonia. Pulita, essenziale, lineare, netta, centrata sul territorio, alimentata direttamente dai suoi prodotti, un foraging sensato ed elegante che accompagna e sostiene preparazioni di grande cura estetica e di altrettanto gusto. Spesso sorprendenti, mai banali. Parte assai importante dell'esperienza è la capacità di Romano di estrarre, da una cantina davvero ben fatta, abbinamenti praticamente perfetti con i piatti e spesso affatto scontati. Potendo, fermatevi a dormire qui, la colazione preparata da Antonia meriterebbe una scheda a parte.

L'Argine a Vencò - Dolegna del Collio (GO) – loc. Vencò, 15 – 0481 1999882 - largineavenco.it

 

Piccione con castagne e uva fragola - Da CainoPiccione con castagne e uva fragola - Da Caino

Da Caino

È una storia bella da raccontare quella di Valeria Piccini, chef e patronne del ristorante, con il marito Maurizio Menichetti e il figlio Andrea: una giovane donna che si sposa ed entra a lavorare in cucina nella trattoria dei suoceri. Anno dopo anno l'esperienza cresce e quando lei e il marito decidono di trasformare il locale è pronta a mettere in pratica gli insegnamenti acquisiti. Valeria ha iniziato così la carriera di autodidatta, che l'ha portata a diventare una delle chef più rinomate del nostro paese, riuscendo a proporre piatti attuali e moderni che non tradiscono le sue origini. In sala Maurizio ha lasciato il posto al figlio, preferendo dedicarsi alla produzione di vino e olio (utilizzati in cucina). Il servizio curato da Andrea è molto attento, sartoriale e professionale, ma non ingessato, anzi, sorridente. In tavola due menu degustazione, uno dei piatti storici a 100 euro, l'altro stagionale a 140, e una carta ben calibrata. Se riuscite a prenotare per il Capodanno, c'è un menu dedicato a 400 euro. Fortunato chi pernotta nelle belle camere e gode della fantastica colazione.

Da Caino - Montemerano (GR) – via Chiesa, 4 – 0564 602817 - dacaino.it

 

Villa RospigliosiVilla Rospigliosi

Atman a Villa Rospigliosi

Igles Corelli, chef e patron dell'insegna, ha trovato in Toscana una nuova linfa creativa, che sembra lo abbia riportato ai tempi del mitico Trigabolo di Argenta, per la capacità di stupire nei piatti, unita a una tecnica sopraffina, sempre al passo (se non spesso in avanguardia) con i tempi. Poi il contesto è strepitoso: una bellissima villa storica, dall'enorme valore artistico. La sala ha sede nel sottosuolo e sembra quasi di accomodarsi a teatro: i tavoli guardano tutti la cucina a vista, con delle nicchie nelle quali sono sistemate sedute come palchi riservati. La proposta contempla quattro menu degustazione, ma, volendo, si può anche andare alla carta, con molta libertà di scelta. E per Capodanno c'è un menu apposito a 250 euro con i vini inclusi.

Atman a Villa Rospigliosi - Lamporecchio (PT) – via Borghetto, 1 – 0573 803432 - atmanavillarospigliosi.it

 

Antonello Colonna ResortAntonello Colonna Resort

Antonello Colonna Resort

Farm restaurant? Agriresort? Relais di campagna? Niente di tutto questo. Siete ospiti a casa di Antonello Colonna. Il cerchio si apre e si chiude a Labico per lo chef che in patria è tornato a cinquant'anni suonati (nel 2012), senza peraltro abbandonare a se stessi gli affari capitolini (all'Open Colonna, vedi scheda). Un "sì luogo" (come ama definirlo lui stesso che l'ha concepito dal primo all'ultimo dettaglio) geometrico e modulare, su un solo livello, arredato con pezzi di design unici e circondato da 20 ettari di parco con orto e fattoria, un nido non convenzionale che Colonna ha architettato (anzi, "anarchitettato", sempre per citarlo) a propria immagine e somiglianza. Col cuore, insomma, oltre che con l'acume imprenditoriale che lo contraddistingue. E che ci sia cuore si avverte perché appena arrivati ci si sente in pace: liberi di vivere l'esperienza senza restrizioni, di soggiornare in una delle dodici stanze illuminate dalla luce naturale, fare un salto rigenerante nella spa, semplicemente oziare nel parco. Tanto l'edificio è stato pensato in funzione del territorio circostante, e non viceversa, tanto la cucina è in funzione dell'orto di casa e dei fornitori-amici della zona. Per un menu stagionale e succulento nei sapori ma con classe, concentrato sulla materia prima, promozionale di queste terre.

Antonello Colonna Resort - Labico (RM) – via di Valle Fredda, 52 – 06 9510032 - antonellocolonna.it

 

Cappelletti in brodo progressivo - La ParolinaCappelletti in brodo progressivo - La Parolina

La Parolina

Siete nella schiera delle persone che sostengono che dalle tavole gourmet ci si alza con la fame? Allora la Parolina è il locale che fa per voi. Naturalmente la meritata fama di Iside e Romano deriva soprattutto da qualità e originalità: la prima, costante nel tempo; la seconda, sempre pronta a rinnovarsi. Ci sono i classici, come l’uovo alla carbonara e il foie gras, accanto alle novità. Poi ci sono i confortevoli cappelletti in brodo progressivo, i ravioli di pane aglio, olio, alici e caviale o il risotto mantecato alla zucca gialla, zafferano zenzero e maialino arrostito. Secondi di carne (però non mancano “escursioni” verso il lago): dal reale di vitello a lunga cottura, salsa tonnata allo spiedo di piccione e liquirizia, all'agnello della Tuscia con salsa di pecora. Servizio inappuntabile, con il bravo sommelier Giuseppe Castellana capace di valorizzare al meglio le scelte mai banali della carta dei vini. E dopo la cena, potete fermarvi nelle confortevoli stanze.

La Parolina - Acquapendente (VT) – via G. Leopardi, 1 – 0763 717130 - laparolina.it

 

Suite - Casa VissaniSuite - Casa Vissani

Casa Vissani

Il merito del successo mediatico e televisivo degli chef va ascritto a Gianfranco Vissani, antesignano del fenomeno già dallo scorso millennio. Il rovescio della medaglia è che trovarli poi nelle loro cucine è diventato abbastanza raro (e, ovviamente, Vissani non fa eccezione). Ma senza il maestro la formidabile brigata ti fa mangiare comunque bene. Quindi, una sosta qui - perché no, se potete, anche nelle splendide camere - continua a essere un must per ogni gourmet che si rispetti, pure per un contesto di location e accoglienza che ha pochi paragoni. Il filo conduttore è quello di accostamenti che sembrano pensati per sorprendere, ma che hanno invece la loro degna logica ed equilibrio. Così pomodori, moscardini e croccante di cannella; trasparente di vitella, tonno e tè nero; liquido di carbonara, caffè e peperoncino; agnolotti del plin, trota fario e cannellini o zuppa di pesce alla vastese, paprica e basilico. La carta dei vini è divisa in tre sezioni dai nomi musicali e dal prezzo crescente: se non cercate la griffe a tutti i costi vi assicuriamo che troverete piacevolmente alcune delle scelte migliori proprio tra le bottiglie più economiche.

Casa Vissani - Baschi (TR) – loc. Cannitello, 65 s.s. 448 Todi-Baschi km 6,600 – 0744 950206 - casavissani.it

 

Colazione a CasadonnaColazione a Casadonna

Reale

Quella di Niko Romito è una vicenda professionale e umana che meriterebbe la sceneggiatura di un film. Non un documentario come quelli che si realizzano su tanti chef, proprio cinema nel vero senso. Il ragazzo di montagna autodidatta che conquista il mondo. Il "brutto anatroccolo" timido che si tramuta in un cigno dell'imprenditoria di successo, sana e coraggiosa. Il racconto di una famiglia che parte dalla tradizione e scala le vette di una ricerca gastronomica senza eguali. Una storia italiana che riempie di speranza. Questo film continua a essere proiettato giorno dopo giorno in tanti luoghi quanti sono quelli dove oggi le idee di Romito si sono trasformate in progetti, in aziende, in valori tangibili. Non è una grande tavola e basta, è un convento del Cinquecento, Casadonna, ingemmato tra Molise a Abruzzo, tra gli alpeggi aspri dell'Appenino più impervio e i primi tenui profumi dell'Adriatico. Al di là del pasto, una straordinaria esperienza gastronomica tout court, inclusa la colazione per chi rimane a dormire in una delle meravigliose stanze, recentemente aumentate di numero.

Reale - Castel di Sangro (AQ) - piana Santa Liberata – 086469382 - ristorantereale.it

 

KresiosKresios

Kresios

Uno spazio polifunzionale - all'interno anche negozio, caffè e ovviamente camere - dallo stile minimalista e moderno negli arredi, circondato da 5 ettari di vigneto e un orto di proprietà. La cucina dello chef Giuseppe Iannotti, autodidatta, è complessa e ragionata, capace come poche di divertire, incuriosire e stupire senza mai cadere nel puro nell'esercizio di stile. Una ricerca incessante di nuovi stimoli che si spinge fino alle mete più all'avanguardia, come la Spagna e l'Asia. Niente carta, previsti solo due menu degustazione (90 e 130 euro) con almeno una ventina di assaggi presentati con ricercatezza e originalità. Si parte con dieci snack da mangiare con le mani, tra cui il memorabile pop corn di animella e ketchup, la rivisitazione della pizza napoletana e il tramezzino di rane. Il percorso che segue si snoda tra l'orto, il mare e la terra e celebra la centralità del sapore in ogni preparazione. Ampia e interessante la cantina, gestita con piglio esperto dal giovanissimo Alfredo Buonanno, in grado di proporre anche abbinamenti al calice inconsueti. La sala gira molto bene e sa trasmettere la filosofia di cucina con competenza, garbo e cordialità.

Kresios - Telese Terme (BN) – via San Giovanni, 59 – 0824940723 - kresios.com

 

Piatto del Don AlfonsoPiatto del Don Alfonso

Don Alfonso 1890

Ci si lascia lontani il glamour e l'aria frizzante di Amalfi e Positano e ci si immerge nell'incantevole casa della famiglia Iaccarino. Da un lato le dimore tutte pietra e ceramiche variopinte, i giardini e la piscina, dall'altro il ristorante diviso in più ambienti luminosi modulati sul bianco e sui toni pastello, e in ultimo la splendida cucina a vista quasi interamente ricoperta di ceramiche in stile. Si fa formazione, si sperimenta, si accolgono importanti personaggi del mondo della gastronomia per un fermento generale che si vive e si percepisce con estrema piacevolezza. E Alfonso Iaccarino è sempre lì, a supervisionare, raccontare, stimolare. Ai fornelli c'è il figlio Ernesto, chiamato a rinvigorire i precetti secolari di famiglia con due menu degustazione da 150 e 170 euro, che si fondano su cultura e tradizione, ma risultano quanto mai moderni e attuali nelle tecniche utilizzate e nella riscoperta del piacere della tavola. I primi sono un inno alla golosità: spaghetti aglio, olio e peperoncino con sgombro in carpione, pangrattato, pinoli, cipolla caramellata e salsa di tonno Alalunga, o i cappelli ripieni di genovese di vitello con vellutata di parmigiano stravecchio e verdure disidratate. Ispirazione anni '80 e tecniche d'avanguardia per la faraona ripiena di pistacchi con patate allo zafferano e salsa ai peperoni di Senise nella doppia versione acidula e piccante. In sala l'eleganza e il garbo di Livia e Mario guidano una squadra capace e attenta, disponibile a soddisfare ogni esigenza del cliente. Imperdibile la visita a una cantina antichissima e preziosa scavata per trentacinque metri nella roccia vulcanica e disposta su più livelli per contenere circa venticinquemila bottiglie provenienti da ogni angolo del mondo e un ambiente dedicato all'invecchiamento dei formaggi.

Don Alfonso 1890 - Sant'Agata sui Due Golfi (NA) – c.so Sant'Agata, 11 – 081 8780026 - donalfonso.com

 

Piatto del Due CaminiPiatto del Due Camini

Due Camini a Borgo Egnazia

Luogo suggestivo dall'atmosfera elegante, tra pietre a vista e nicchie retroilluminate, arredi originali a cura del designer Pino Brescia, come i piatti realizzati a mano a Grottaglie. È uno dei ristoranti all'interno del raffinato Borgo Egnazia, un luogo dell'ospitalità tra i più belli della regione e incarna la Puglia contadina e quella innovativa. Il talentuoso chef Domingo Schingaro propone una cucina che si ispira alle tradizioni del territorio, ma guarda al futuro. Attinge a piene mani dall'orto della masseria e dai produttori locali, valorizza le ricette pugliesi con un'interpretazione delicata e internazionale. In sala il servizio è di gran classe coordinato dal maître Donato Marzolla; importante la carta dei vini con una selezione proposta da Giuseppe Cupertino.

Due Camini a Borgo Egnazia - Fasano (BR) – c.da Pezze di chiave – 080 2255000 - borgoegnazia.it

 

Piatto di S'Apposentu di Casa PudduPiatto di S'Apposentu di Casa Puddu

S'Apposentu di Casa Puddu

Non è solo un ristorante, bensì un progetto di riqualificazione territoriale di una regione straordinaria. Siamo a Siddi, nel cuore dell’isola, vicino alle famose spiagge, ma in una zona contadina e “affaticata”, e si sente. S'Apposentu è un agriturismo con camere curate e confortevoli, un orto, l'autoproduzione di formaggi di pecora, un centro di formazione per cuochi e mille altre idee e intuizioni per valorizzare e promuovere l'area. Il gourmet, moderno e curato, ruota attorno allo stile personale di Roberto Petza, a tratti aspro e ostinato come il carattere della gente del luogo, però sempre intrigante e stimolante, capace di stupire. Si parte da una tradizione locale importante e da materie prime eccelse, attualizzate con tecnica e piglio contemporaneo. Qualche esempio? Totano arrostito, gnocchi di erbe amare e salsa di ricci di mare; ostrica, sorbetto di cipolla, lattuga di mare e rapa; zuppa di fregua di casa con le delizie del mare, basilico e profumo di agrumi; ricciola di lenza, cozze, lattuga e liquirizia. Per gli amanti della carne: cacciatora di coniglio; maialino, funghi, topinambur e salsa al melograno; piccione di cortile arrostito con rape, cipolline e raviolini dei suoi fegatini. Il servizio è egregiamente supervisionato da un giovane maitre e sommelier dalle idee chiare, la carta dei vini è ricca e interessante, con giusto e intelligente focus sulle realtà isolane, pure quelle meno conosciute.

S'Apposentu di Casa Puddu - Siddi (VS) – vico Cagliari, 3 – 070 9341045 - sapposentu.it

 

Camera di Don SerafinoCamera della Locanda Don Serafino

Locanda Don Serafino

La locanda Don Serafino è diventata, nel corso degli anni, un punto di riferimento e l'umile e bravissimo Vincenzo Candiano merita il pubblico internazionale che segue il suo lavoro. Il ristorante è ricavato in una serie di grotte e piccole costruzioni rurali in un'atmosfera affascinante e unica. Si comincia con gamberoni scottati su crema di cipolla, liquirizia, limone candito e spinaci; capasanta, canocchia, calamaro con plancton, frutta e fiori; animelle di vitello arrosto, jus al lemon grass, patata affumicata. Tra i primi: spaghetti freschi neri con ricci, ricotta e seppia; ravioli di patate e caprino con pistacchio e minestra di granchio rosa; conchiglie al cavolo rapa ripassato, tenerumi e pomodorini confit. Si continua con rib eye fumè alla piastra, salsa BBQ e millefoglie estiva; costolette di agnello arrosto al timo limoncino e la spalla infornata ai capperi. La bellissima cantina mappa l'intera Sicilia enologica, contiene il meglio della produzione internazionale e custodisce una serie di rarità da far perdere la testa agli appassionati di vino. Il servizio è di alto livello, all'altezza di un posto speciale come la Locanda.

Locanda Don Serafino - Ragusa – via Av. G. Ottaviano, 13 – 0932 248778 - locandadonserafino.it

 

a cura di Annalisa Zordan


Il futuro del Marchesino. Altri 10 anni per il gruppo Marchesi. Ma cos’è stato il ristorante alla Scala?

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Al debutto, nel 2008, il ristorante milanese di Gualtiero Marchesi alla Scala voleva essere un nuovo trampolino di lancio dopo l’addio a Erbusco e la delusione stellata. Un luogo dove rappresentare i fasti del passato, con l’idea di proiettarsi nel futuro. Operazione riuscita a metà, ma difesa con grande caparbietà. Dopo la scomparsa del Maestro, ecco cosa succederà. 

Il Marchesino. Gli inizi, gli obiettivi

L’ironia della sorte è che il responso sul destino del Marchesino sia arrivato a poche ore dalla scomparsa di Gualtiero Marchesi. Ma certo non è un caso che, alla fine dei conti, la Marchesi Milano srl continuerà a gestire quegli spazi, adiacenti al Teatro della Scala, che nel 2008 segnavano il ritorno del Maestro nella sua Milano, dopo la parentesi dell’Albereta. Dieci anni (la concessione sarebbe scaduta il prossimo marzo) per mettere insieme una proposta funzionale agli spettacoli della Scala, caffetteria, bistrot, sushi bar all’italiana e ristorante con apertura da mattina a sera, che all’epoca – e superato il clamore che aveva accompagnato i fasti del primo Marchesi di via Bonvesin de la Riva - concretizzava la tenacia di farcela ancora una volta, a tornare sulla cresta dell’onda. Essere moderno, ambizione che non ha mai difettato al cuoco, e all’uomo, così pervicace nel cercare di dare forma a un modello di ristorazione urbana di respiro internazionale. Introducendo però, e dandogli lustro, gli elementi di una narrazione che qualche decennio prima, negli anni Ottanta, avevano fatto di lui, e del suo ristorante, il centro propulsore di nuove istanze gastronomiche, artistiche e culturali, sommandole sotto l’egida della cucina totale.

La Minextra (2009)

Tra avanguardia e retrospettiva

I tempi, intanto, erano cambiati non poco, Marchesi continuava a giocare la sua partita, strenuo ambasciatore di un mondo che per tanti versi non c’era più. Gli arredi disegnati su misura con la collaborazione dell’architetto Ettore Mocchetti, l’illuminazione studiata, la cucina a vista. E poi le posate, i segnaposto, le tovaglie. La passione per la musica a fare da fil rouge. In tavola i piatti signature, col dejavù di sfogliare il catalogo di una “collezione” d’arte… Il Raviolo aperto, il Dripping, il Riso Oro e Zafferano, dove quello che era stato avanguardia diventa retrospettiva. E le nuove proposte di cucina, più agili, per un pranzo veloce, o un dopoteatro rilassato (con lui, al debutto del Marchesino, gli chef Domenico Deraco e Daniel Canzian, alla pasticceria Galileo Reposo, oggi da Peck). Una recita a spartito ben congegnata, ma non necessariamente intonata. Alla vigilia dell’inaugurazione alla Scala, Marchesi arrivava in polemica con la guida Michelin, rea di avergli tolto la terza stella all’Albereta di Erbusco: il Maestro non aveva gradito, ingaggiando una rivendicazione d’orgoglio che l’avrebbe portato a essere escluso dai giochi.

La ricerca della modernità

Ma nel Marchesino, seppur con un risultato da molti considerato straniante (se non anacronistico), il cuoco si impegnava ancora una volta a portare se stesso. Qualche anno dopo, senza perdere il gusto per la provocazione (ma sempre con garbo), a chi lo invitava a indicare “un artista contemporaneo con un futuro assicurato nella storia dell’arte”, rispondeva semplicemente: “Io, Gualtiero Marchesi”. Nella stessa occasione, del resto, lo ribadiva senza mezzi termini: “L’oggetto a cui sono più legato è il mio cervello”. Bene, o meno bene, che si mangiasse al Marchesino, Gualtiero Marchesi aveva continuato a far parlare di sé, e non solo attraverso le gesta di quella nutrita schiera di promettenti allievi che oggi occupano posti di rilievo nella moderna ristorazione italiana (a tal proposito, l’ultimo ricordo di Carlo Cracco: “Nella ristorazione era a livelli troppi alti e molti non l’hanno mai capito anche se ora che è scomparso, tutti lo chiamano maestro. Sono curioso di sapere quanti tra costoro si sono accomodati al Marchesino, ben pochi temo”).

Così nel suo Marchesino investiva idee e risorse, come quando, era l’estate 2014, pensò di dotare la sala di un servizio di ordinazione ipertecnologico, con iPad in tre lingue a sostituire la carta, per indicare intolleranze e preferenze, e visualizzare i piatti in menu, attraverso gli scatti che veicolano la dimensione estetica del piatto, esaltandone il momento creativo. Una sperimentazione tanto audace, quanto compiaciuta, con il commensale invitato ad approfondire la conoscenza del Maestro tra una portata e l’altra, navigando tra i contenuti speciali: testi, video, link per raccontare Gualtiero Marchesi e la sua idea di cucina. Anche il Marchesino, insomma, ha fatto la storia di chi l’ha inventato.

Il futuro del Marchesino

E la buona notizia arriva con l’apertura delle buste del bando europeo che nel 2018 avrebbe dovuto decidere per la nuova concessione, 6 anni più 4 per la gestione dello spazio dietro pagamento di un canone annuo non inferiore ai 200mila euro. In gara due contendenti: la società Marchesi, attuale gestore, e la Real 2 srl dell’imprenditore Vincenzo Morabito, che nel progetto aveva coinvolto lo chef del Piccolo Lago Marco Sacco. L’assegnazione però (non scontata, fino all'ultimo) è andata a favore del gruppo Marchesi, tenendo conto di criteri che esulano dalla mera offerta economica. Per esempio la notorietà del brand, l’impegno a valorizzare spazi (che con probabilità saranno sottoposti a ristrutturazione) e servizio di accoglienza, gli attestati di merito ricevuti negli anni. Di tutto ciò ha tenuto conto la Fondazione Teatro alla Scala, che da marzo farà partire altri 10 anni di concessione per l’attuale gestione. E ora c’è un motivo in più per rilanciare la memoria del luogo (restano la brigata e i piatti storici del Maestro in menu, subentra Ladurée, che gestirà in partnership la pasticceria, e proporrà presso alcuni punti vendita nel mondo i piatti di Marchesi, concretizzando i sogni di internazionalizzazione del brand cari al cuoco, che per l'esportazione della cultura gastronomica e culinaria italiana, nella sua semplicità, si è sempre battuto): celebrare il ricordo di Gualtiero Marchesi. Per chi volesse ricordarlo prima, i funerali si svolgeranno domani, 29 dicembre, alle 11, presso la chiesa di Santa Maria del Suffragio, Milano. Prima però, e per tutta la giornata, fino alle 20 di stasera, la camera ardente per l'ultimo saluto, al Teatro Dal Verme.

 

Il Marchesino - Milano -  via Filodrammatici, 2

Marchesi alla Scala - Milano - piazza della Scala, angolo via Filodrammatici

 

a cura di Livia Montagnoli

Lo street food del contadino. Il via libera della legge: gli agricoltori potranno vendere prodotti cucinati e trasformati

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Tra le misure per la valorizzazione del settore agricolo, la manovra 2018 dà agli agricoltori l'opportunità di vendere direttamente al consumatore prodotti trasformati e cucinati, anche in modo itinerante. E Coldiretti festeggia per il via libera allo street food contadino. 

Dalla campagna alla tavola

Oggi molti preferiscono nobilitarlo con l'etichetta street food, di fatto allontanando la tradizione del cibo di strada da quelle che sono le sue origini sul territorio italiano, legate a doppio filo alla cultura rurale che accomuna la Penisola nell'arte di sapersi “arrangiare” con gli ingredienti a disposizione. E in questa direzione si muove la legge di Bilancio 2018 approvata negli ultimi giorni dalle Camere, con un provvedimento mirato a disciplinare la vendita diretta di prodotti trasformati da parte degli agricoltori. La misura salutata con grande soddisfazione da Coldiretti (ad annunciarla in occasione dell'Assemblea nazionale di fine anno è stato il presidente Roberto Moncalvo) fa parte di un più ampio pacchetto di norme dedicate al settore agricolo, con importanti novità in materia di decontribuzione per i giovani agricoltori, bonus verse e sterilizzazione delle aliquote Iva. Ma quello che più balza all'occhio è il via libera allo “street food contadino”: dal prossimo anno, infatti, agli agricoltori sarà consentito “vendere direttamente i propri prodotti anche derivati da processi di manipolazione o trasformazione e pronti per il consumo, dalla polenta fritta veneta alle olive all’ascolana, dalle panelle siciliane ai peperoni cruschi lucani, dagli arrosticini abruzzesi ai frullati della salute direttamente dal produttore al consumatore, anche in forma itinerante”.

 

Lo street food del contadino. Perché è importante

Una misura che asseconda e legittima i tempi che cambiano, soppesando il valore di quel rapporto diretto tra chi produce e chi consuma che da qualche anno a questa parte è tornato ad approfondirsi, parallelamente alla crescita della consapevolezza alimentare di chi ha bisogno di sapere cosa porta in tavola. E certo asseconda anche una tendenza in ascesa costante, che vede in media un italiano su due alle prese con il cibo di strada: “Ora” – spiega la Coldiretti – “sarà finalmente possibile farlo acquistando direttamente a chilometri zero dagli agricoltori e dagli allevatori a garanzia della genuinità e della qualità ma anche del rispetto degli ingredienti e della vera tradizione enogastronomica made in Italy”.

Non ultimo, un modo per regolamentare una pratica di fatto già diffusa nei mercati contadini itineranti, che sempre più spesso espongono sui banchi prodotti trasformati e cucinati accanto ai prodotti della terra, per incontrare le esigenze di un pubblico più numeroso. Anche questo provvedimento, quindi, risponde all'obiettivo prioritario del Mipaaf, al lavoro con impegno crescente, “perché l'Italia sia un Paese guida nella trasparenza in campo agricolo e agroalimentare”, come ha ribadito il ministro Maurizio Martina

 

a cura di Livia Montagnoli

Liguria Gourmet. Il circuito che valorizza l'identità gastronomica regionale. Dal marchio a Facebook

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70 ristoranti in difesa della tradizionale gastronomica regionale, un marchio che li certifica e li riunisce in circuito di valorizzazione, per la promozione turistica del territorio e la tutela della ristorazione tipica e delle eccellenze locali. Ora anche su Facebook, con ricette e storie da condividere. 

Liguria Gourmet. Il marchio

Tutela dei prodotti del territorio, valorizzazione delle tradizioni gastronomiche regionali, omaggio all'identità culturale di una comunità e al presente ristorativo di una regione estremamente prolifica di begli esempi in passato, ma altrettanto dotata di validi ambasciatori oggi. Sono coinvolti tutti i valori che contribuiscono allo sviluppo di un sistema turistico virtuoso nel progetto Liguria Gourmet, marchio collettivo geografico per la ristorazione ligure ideato, registrato e garantito da Regione Liguria e dal sistema camerale ligure. A monte la volontà di promuovere l'eccellenza e la tipicità della gastronomia locale, con una certificazione che indirizzi il consumatore a riconoscere la “vera Liguria nel piatto”. Dunque un marchio per ristoranti e attività di somministrazione sul territorio regionale il cui rilascio compete alla Camera di Commercio, previa verifica della qualità dei piatti proposti al cliente, in termini di rispetto delle ricette dell'antica tradizione ligure e di utilizzo di prodotti certificati del territorio (circa 300, selezionati dal Comitato Tecnico di progetto, fra carni locali, condimenti, formaggi, prodotti vegetali, paste fresche e prodotti di panetteria, biscotteria, prodotti dl mare, liquori).

 

Il circuito di promozione. Ricette e storie da condividere

Al circuito, che si è costituito negli ultimi anni, finora aderiscono 70 ristoranti distribuiti tra le quattro province liguri, con uno zoccolo duro riunito sotto la rete Genova Gourmet, che nel capoluogo regionale rappresenta 37 attività. Un sistema ramificato, dunque, che ora pensa a promuoversi per crescere ancora, con il lancio di una piattaforma Facebook per condividere ricette ed eventi organizzati sul territorio dal marchio e mettere a sistema un patrimonio di 150 preparazioni tradizionali (e 30 videoricette) già raccolte dal sito di riferimento. Il nuovo strumento contribuirà a dare visibilità ai ristoranti della rete, geolocalizzati sulla mappa, descritti in poche righe e rappresentati ognuno dalle ricette tradizionali proposte dalla cucina (in abbinamento ai vini del territorio). In alternativa, il ricettario è consultabile in ordine alfabetico, con l'aiuto delle chiavi di ricerca per tipologia, tempi di preparazione, difficoltà.

 

La Brinca di Nè

Riportiamo dal sito, uno dei piatti proposti da La Brinca di Nè, istituzione (a Tre Gamberi) del mangiar tradizionale nella provincia di Genova, con una valida selezione di ricette dell'entroterra ligure di Levante che racconta l'identità contadina della Val Graveglia, tra i boschi del Tigullio. Qualche mese fa il patron Sergio Circella ci raccontava la storia di uno dei suoi storici fornitori di fiducia. Ora vi proponiamo la ricetta di un classico della casa, le Lattughe ripiene in brodo di gallina e manzo, un tempo piatto tradizionale del Lunedì dell'Angelo, di fatto preparazione corroborante per i mesi più freddi dell'anno.

 

Lattughe ripiene in brodo

Ingredienti (per 4 persone):
5 lattughe a persona
circa 20 foglie di lattuga
2 hg carne di vitello magra
cervella
una manciata di pinoli
1 rosso d´uovo
2 cucchiai di Parmigiano Reggiano DOP
una cipolla
una carota
rosmarino
maggiorana
aglio
olio extravergine di oliva Riviera Ligure DOP 

Per il brodo 2 hg di gallina e di manzo

Preparazione:

sbollentare le foglie di lattuga a vapore o in acqua calda per pochi istanti, per ammorbidirle e renderle adatte a farne involtini. Stenderle poi su un telo.

Mettere in un tegame con un filo d´olio la carne di vitello e la cervella tagliata a pezzetti, con i pinoli, la cipolla, la carota e il rosmarino. Rosolare il tutto per 10 minuti. Si lascia raffreddare e poi il tutto viene tritato finemente, aggiungendo la maggiorana all´impasto, l´aglio e il rosso d´uovo che farà da legante. L´amalgama ottenuto si fa a palline con un cucchiaio e si dispongono al centro delle foglie distese sul telo. Si arrotola la foglia così da formare delle noci più o meno grandi a seconda della grandezza che vogliamo farle. Si dispongono poi su di un tegame e si inforna per circa 15 minuti a 180°.

A parte si prepara il brodo con la gallina e il manzo.

Le lattughe ripiene calde verranno messe nella zuppiera aggiungendo delicatamente il brodo caldo e poi servite direttamente. Al momento del servizio si potrà aggiungere del Parmigiano.

(Da abbinare a Rosso Golfo del Tigullio d.o.c. o a Pinot Nero Alto Adige d.o.c. Giovane)

 

Liguria Gourmet – www.liguriagourmet.it- https://www.facebook.com/liguriagourmet/

La Brinca – Nè (GE) – via Campo di Ne, 58 - www.labrinca.it

Mutti apre le porte al pubblico: il nuovo progetto architettonico di Carlo Ratti

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Migliaia di barattoli di vetro firmati Mutti per un nuovo stabilimento aperto al pubblico, dove il confine fra natura e costruzione si fa sempre più labile. È l'ultimo progetto dell'azienda di conserve di pomodoro, affidato all'architetto Carlo Ratti.

Carlo Ratti

Italiano, ma alla direzione del MIT Senseable City Lab del Massachusetts, architetto e ingegnere affascinato dalle potenzialità della tecnologia, e non nuovo alla progettazione di spazi destinati al cibo. Già nel 2008 Carlo Ratti aveva realizzato a Saragozza il Digital Water Pavilion, e poi ancora in occasione di Expo2015 a Milano l'innovativo Future Food District, un complesso rivoluzionario, un padiglione di 2500 metri quadri adibito a supermarket con la grande piazza antistante di 4500 metri quadri, e pensato per approfondire le potenzialità delle tecnologia in grado di modificare l'interazione del consumatore con la catena alimentare. Questa volta, in attesa di rivoluzionare tutta l'area dove si è svolta Expo, lo studio Ratti Associati si dedica alla costruzione della sede centrale dell'azienda Mutti, noto brand di conserve alimentari che ha intenzione di aprire le porte dello stabilimento di Parma anche al pubblico.

Il nuovo centro aperto al pubblico

Muri costruiti con migliaia di boccacci di salsa, e una terrazza pubblica per consentire ai visitatori di ammirare i campi e il processo di lavorazione dei pomodori: questo il progetto del novo centro che verrà messo a punto da Ratti (l'avvio dei lavori di costruzione è previsto per il 2018), vincitore del concorso internazionale indetto da Mutti. Uno spazio di 250mila metri quadri, che ripensa il legame dell'azienda con il territorio e il paesaggio circostante, e si propone di rendere Montechiarugolo, la località in provincia di Parma dove ha sede la realtà, una destinazione gastronomica degna del circuito della food valley. I muri semi trasparenti, 120x7metri, si ergeranno nel bel mezzo della campagna, e saranno dotati di illuminazioni notturne.

Il parco della biodiversità

Un centro per i visitatori a tutti gli effetti, che ospiterà, inoltre, una serie di attività, eventi, degustazioni e incontri, oltre a visite guidate per adulti e studenti. “Ci siamo ispirati alla poesia di Pablo Neruda, “Ode al Pomodoro”, che è anche uno degli slogan di Mutti”, spiega l'architetto: “La strada piena di pomodori” della poesia è un modo per mostrare a tutti che l'azienda ha voglia di aprirsi verso l'esterno”. Lo stabilimento è stato, infatti, immaginato dalla squadra come “un grande teatro a cielo aperto”, perfettamente inserito nella natura circostante. Altro punto chiave del progetto è appunto la valorizzazione del territorio: un nuovo parco della biodiversità di ben 24mila metri quadri prenderà vita attorno all'impianto aziendale, andando ad assottigliare sempre di più la distinzione netta fra industria e natura.

Il rispetto per il territorio

Ma non finisce qui: il piano di Ratti prevede, inoltre, nuovi spazi destinati al lavoro, nel bel mezzo della limonia: “La nostra azienda si trova proprio nel cuore della food valley, e ha un forte legame con il territorio, che ci impegniamo ad amare e rispettare”, commenta Francesco Mutti, CEO della Mutti S.p.a. e presidente della giuria del concorso di design. E aggiunge: “Ecco perché la nostra ambizione è quella di creare un modello in cui sia gli individui che il territorio e tutta la filiera vivano in armonia con con la nostra attività”.
a cura di Michela Becchi

A Capodanno come vuoi: ecco i panettoni gastronomici da portare in tavola per il Cenone

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Artigiani e pasticceri oltrepassano sempre di più le frontiere del dolce. Dal plancton all’aglio candito, dagli ingredienti dell’amatriciana a quelli di cacio e pepe, vediamo come il classico lievitato natalizio può essere trasformato in un prodotto da consumare tutto l’anno, magari come antipasto o aperitivo.

È vero, a Natale non c’è nulla di sacro quanto il panettone, da gustare a fine pasto come tradizione vuole. Le feste, però, non sono ancora finite e in vista del Capodanno ci si può sbizzarrire anche con questo prodotto, ad esempio portandone in tavola versioni salate. Il panettone gastronomico, appunto, che nell’immaginario collettivo non è altro che una cupola caratterizzata da fette di pan brioche alternate a svariate farce. Ma non finisce qui, perché il mondo della pasticceria è in continuo fermento, come dimostrano i sempre più numerosi tentativi di costruire una proposta che sconfini nel salato (non a caso, l’ultima edizione della guida Pasticceri&Pasticceriedel Gambero Rosso ha per la prima volta istituito il premio dedicato alla migliore pasticceria salata, assegnandolo alla Martesana di Milano). Tra le mani di artigiani sparsi per tutto lo Stivale, il classico grande lievitato è così diventato la base di continue sperimentazioni agrodolci e i canditi hanno lasciato il posto a ingredienti di ogni tipo. Il risultato? Un panettone che si differenzia da quello dolce principalmente per la riduzione della componente zuccherina nell’impasto e a cui sta stretta l’etichetta di dessert natalizio. Ecco quelli che abbiamo selezionato per voi.

 

panettone salato attilio servi

Le focacce di Attilio Servi, tra tradizione romana e i consigli di Corrado Assenza

Tra gli apripista di questa tendenza c’è sicuramente Attilio Servi, che nel suo omonimo locale di Pomezia la mette in pratica pure attraverso l’interessante selezione di biscotti dolci e salati (l’offerta è in costante evoluzione, tra torte moderne e lieviti del mattino che rivelano grande cura dei dettagli, nel gusto tanto quanto nell’estetica). “Nel 2012 ho pensato per la prima volta a un panettone che potesse non solo chiudere il pasto, ma anche aprirlo”ci racconta “ho reso l’impasto più sapido cambiando le proporzioni di zucchero e sale e modificando gli elementi aromatici caratterizzanti: ho tolto ad esempio la vaniglia per inserire il pepe”. È nata così una serie di focacce, arricchitasi di anno in anno con nuove creazioni e che oggi consente di scegliere tra 5 opzioni (da 750 g., con un prezzo che va dai 26 ai 30 euro). La prima ideata è quella “del Contadino”, con pere semicandite e Parmigiano Reggiano vacche rosse stagionato 30 mesi, oltre alla quale ci sono: la Trionfo d’Italia con pomodori, pecorino e origano di Pantelleria, quella all’amatriciana con pomodoro, pecorino e guanciale, la versione con Robiola di Roccaverano - “è stato Corrado Assenza a suggerirmi di utilizzarla”, ricorda Servi - mandorle caramellate al sale e rosmarino, la Cacio e Pepe con pecorino (a cubetti e grattugiato) e due tipi di pepe.

La conoscenza della materia prima deve essere trasversale e non miope: non mi sono voluto fermare alla ricetta tradizionale con i canditi, ho osato e i clienti hanno reagito con entusiasmo”prosegue il pasticcere, “ho notato però una maggiore difficoltà a considerare il panettone, sia dolce che salato, oltre le festività natalizie, anche se comunque le focacce le mantengo in vendita tutto l’anno tranne nei mesi di luglio e agosto”. Per chi, invece, avesse voglia di novità senza abbandonare la dolcezza, vi segnaliamo il panettone firmato Servi con Amarone della Valpolicella, amarene semicandite e pasta di mandorla.

 

Da Milano alla Valtellina, per un lievitato da aperitivo

Marra Pane Pasticceria Pause e Delizie, a Cantù, è un locale nato nel 1970, rivelatosi capace di mantenere i suoi standard qualitativi nonostante il progressivo ampliamento dell’offerta, che oggi spazia dal panificio alla cioccolateria senza dimenticare la linea salutistica a prova di intolleranze. L’insegna si è cimentata per la prima volta quest’anno nella realizzazione di panettoni gastronomici, ottenendo sin da subito un riscontro positivo da parte della clientela: “ci siamo resi conto che un prodotto di questo tipo, perfetto come antipasto o come aperitivo, mancava nell’assortimento dei lievitati”sottolinea Carmen Marra “si è generata un’immediata curiosità che ci ha spiazzati e piacevolmente sorpresi”. Le novità sono due: il Meneghino con zucca, pancetta, Parmigiano Reggiano e zafferano (preparato nella classica forma del panettone Milano, in più dimensioni) e il Valtellina con farina di grano tenero, grano saraceno, Bitto, bresaola e vino rosso valtellinese (questo ha la forma di una stella ed è disponibile in un’unica pezzatura; costano entrambi 32 euro al kg). “Per renderli adatti al consumo a cui sono destinati, ho riformulato la ricetta abbassando il carico zuccherino e il livello del miele”, spiega Alessandro Marra, pasticcere e fratello di Carmen, “quest’ultimo è fondamentale perché conferisce morbidezza, ma ne ho dovuto individuare uno più neutro affinché la nota dolce non fosse troppo invasiva”.

E poi? “Aggiungendo spezie ed erbe aromatiche si può dare libero sfogo alla fantasia, senza mai dimenticare l’importanza della materia prima e dell’impegno costantemente necessario” precisa Alessandro “credo che il successo di queste interpretazioni più originali sia frutto del grande lavoro che ancor prima è stato fatto per recuperare il valore del panettone classico. Un lavoro che si fonda proprio sul ritorno marcato alla qualità e sull’attenzione all’artigianalità”. Un’ultima segnalazione per i più golosi: Marra propone un panettone dolce (in edizione limitata) con albicocche, pistacchi tostati e fave tonka.

 

panettone salato panciauliello

La cucina ebolitana fatta panettone: il Panciauliello di Angelo Grippa

Dalla Lombardia alla Campania, dove Angelo Grippa dimostra come innovare significhi spesso fare un passo indietro volgendo lo sguardo alle tradizioni. Nella pasticceria di Eboli che ha rilevato nel 2005, porta infatti avanti una filosofia che si muove tra passato e avanguardia, senza mai perdere di vista la valorizzazione della materia prima locale. E così ha preso forma il Panciauliello, ossia un panettone salato impreziosito con olive nere, pomodori essiccati e aglio candito (sempre in produzione nel formato da 500 g., al prezzo di 16 euro). “Mi sono ispirato a un tipico piatto ebolitano, il ciauliello, che stava scomparendo”ricorda Grippa “ormai abbiamo capito che con i lievitati possiamo offrire nuovi sapori e diverse occasioni di fruizione”.

Dietro tutto questo, non possono mancare tecnica e precisione: “la fase più complessa è il bilanciamento del sale nell’impasto, perché se non viene dosato bene può compromettere la lievitazione; altrettante accortezze sono necessarie per gli ingredienti che si aggiungono alla pasta: per quanto riguarda l’aglio, ad esempio, abbiamo optato per la canditura in modo da eliminarne la spigolosità, sia nella masticazione che nella digestione, e allo stesso tempo mantenerne l’aroma”, conclude il pasticcere. Sul fronte del dolce, invece, la sperimentazione di Grippa prende il nome di Panalburni, un lievitato con infuso di tè Pu-erh, arricchito con cioccolato monorigine Ecuador 72%, funghi chiodini canditi e castagne dei monti Alburni.

 

oanettone salato Dolcearte

Verdure candite e richiami salentini nelle creazioni di Dolcearte

Torniamo in Lombardia, precisamente a Mornago. In questo piccolo comune della provincia di Varese c’è la pasticceria Dolcearte, dove dal 2008 Luca Riganti fa di artigianalità e creatività i tratti distintivi della sua intera linea produttiva, dai mignon salati a torte e monoporzioni. Dal 2010, in particolare, si dedica alla realizzazione di varianti del panettone dolci e agrodolci. Tra le prime, la novità del 2017 è quella con mandarino e arancio canditi, gocce di mandorla e anice stellato, glassa a base di cioccolato e zucchero muscovado. “Per quelli dolci-salati, ho deciso di inserire lo zucchero solo nell’impasto serale, senza aggiungerne altro nella successiva fase di lavorazione, e di lasciare invariata la quantità di sale per non inibire i lieviti; la sapidità la conferiscono gli altri ingredienti”, spiega Riganti.

Ecco quali sono le varie proposte e gli abbinamenti suggeriti dal pasticcere: il Salentino si contraddistingue per olive e pomodori canditi (tutti i canditi sono di produzione propria), pomodori secchi, capperi e timo, perfetto per accompagnare i piatti di pesce; il Prealpino, con cipolla di Tropea candita, marron glacé e Grana Padano, si sposa bene con formaggi dal gusto deciso; il Contadino con peperoni, carote, zucchine, cipolla di Tropea canditi e rosmarino è ideale da associare ai salumi, mentre quello con asparagi bianchi di Cantello canditi e maggiorana Riganti consiglia di accostarlo ai formaggi di capra. Ogni opzione è disponibile solo nel formato da 500 g. e costa 16 euro.

 

Quando il plancton entra nella lievitazione: i PanOpera di Opera Waiting

Concludiamo con una tappa in Toscana, da Opera Waiting a Poggibonsi. I fratelli Gianluca e Gabriele Ciacci si dilettano a inventare connubi di dolce e salato, partendo da una selezione degli ingredienti che predilige l’agricoltura biologica e dimostra la voglia di scovare sempre il meglio, dai grani antichi alle piccole realtà locali. Rientrano in tutto questo i panettoni PanOpera, come quello con pepe selvatico in grani e pere semicandite (18 euro per 500 g., ma su ordinazione è possibile richiedere formati diversi) e la versione con plancton, capperi salati di Pantelleria e limoni canditi (19 euro per 500 g.).

Queste varianti sono il frutto della nostra volontà di creare un lievitato che possa essere apprezzato tutto l’anno, spesso nascono dall’incontro con i produttori e dalla scoperta di materie prime che ci affascinano”, precisa Gabriele, “l’impasto si differenzia da quello classico non solo per le proporzioni di sale e zucchero, ma anche per l’aggiunta dell’olio extravergine”. Acquistabili 12 mesi l’anno sono pure i panettoni dolci più innovativi, come quello con zafferano di San Gimignano, camomilla e whisky o l’opzione con olive verdi candite, vermouth e impasto all’olio evo.

 

Attilio Servi - Pomezia (RM)- Via Campobello, 1/c -06 91.24.150 - http://www.attilioservipasticceria.com/

Pasticceria Marra - Cantù (CO- via Sesia, 6 - 031.700804 - http://www.marraweb.it/mw/

Angelo Grippa - Eboli (SA)- via S. Bernardino, 21 - 0828.367033 - http://www.angelogrippa.it/

Dolcearte - Mornago (VA) - via C. Pisacane, 1 - 0331 903167- https://www.facebook.com/dolcearte.pasticceria/

Opera Waiting - Poggibonsi (SI) - Via San Gimignano, 71 - 05771741358 - http://www.operawaiting.it/

 

 

a cura di Agnese Fioretti

 

 

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