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HortExtreme: il progetto italiano che porta gli ortaggi su Marte

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Dopo l'introduzione di insalate e riso integrale, nello spazio arrivano anche i prodotti dell'orto. L'ultimo esperimento italiano prenderà vita a febbraio 2018 in Oman, dove gli astronauti si impegneranno per simulare la coltivazione delle piante su Marte.

Il progetto

Si chiama Amadee-18 la missione internazionale che vedrà cinque astronauti impegnati nella preparazione delle future missioni su Marte il prossimo febbraio 2018 in Oman, nel Medio Oriente, scelto come sito per la missione per alcune caratteristiche geo-fisiche che lo rendono somigliante al Pianeta rosso. Fra i tanti progetti con cui i professionisti avranno a che fare, anche la ricerca alimentare. Durante la missione, infatti, gli astronauti si troveranno a dover gestire l'orto “marziano”, un sistema di 4 metri quadri per 4 specie di microverdure, tra cui il cavolo rosso e il radicchio, appositamente selezionate affinché completino il loro ciclo vitale in circa 15 giorni. Realizzato da ASI, ENEA e l'Università di Milano nell'ambito dell'esperimento di biologia delle piante, HortExtreme è pensato per garantire un corretto apporto nutrizionale ai membri dell'equipaggio, con l'obiettivo di consentire ai professionisti di godere di un'alimentazione sana e di alta qualità.

Il funzionamento

Alla base del progetto, un metodo di coltivazione fuori suolo con sistema idroponico, ovvero con riciclo dell'acqua, e interamente biologico, senza l'uso di pesticidi o agrofarmaci. “Il sistema di coltivazione idroponica che abbiamo messo a punto è del tipo per allagamento”, spiega Eugenio Benvenuto, responsabile Laboratorio Biotecnologie dell'ENEA. Si tratta, dunque, di una sorta di vassoio “con un substrato inerte posto in modo che le piante possano ricevere luce e nutrimento a intervalli regolari, modulati da sensori ad hoc che lavorano in tempo reale”. Dotato di tecnologie d'avanguardia e microcamere puntate sulle piante per tutto il tempo della missione, l'orto sarà monitorato da astronauti, tecnici e ricercatori dal laboratorio in Casaccia, dal quale si potranno osservare “parametri di fisiologia vegetale dell'orto marziano, con l'obiettivo di dimostrare la produttività dell'ecosistema nelle condizioni estreme previste nella missione di simulazione”.

L'obiettivo

A coordinare la missione, l'Austrian Space Forum, che ha già ricevuto ufficialmente il prototipo dell'orto, in collaborazione con l'Organizzazione Astronomica dell'Oman. HortExtreme arriverà al campo base in Oman il 15 gennaio, e sarà gestito dall'astronauta Claudia Kobald, che inizierà la sua missione di simulazione dell'esplorazione umana di Marte il prossimo 1 febbraio. “Si tratta di temi cruciali per le missioni finalizzate all'esplorazione umana, e con un enorme potenziale di trasferimento a terra delle conoscenze per la risoluzione di problematiche quali la sostenibilità ambientale e l'efficienza energetica”, ha spiegato Gabriele Mascetti, responsabile dell'Unità Volo Umano e Microgravità dell'Agenzia Spaziale Italiana (ASI). Una ricerca determinante, che rappresenta il “naturale proseguimento dello sviluppo di moduli abitativi resistenti fino a -80°C, venti oltre i 100km/h, e che porterà alla nascita di serre gonfiabili dotate di una rete di sensoristica avanzata per tutti i parametri indispensabili alla vita umana e vegetale su Marte”, aggiungono Cavaliere e Potenza del Dipartimento di Fisica dell'Università di Milano, da anni impegnati a realizzare esperimenti in Antartide, sulle Alpi e nello spazio.

L'Italia in missione

HortExtreme a parte, a rappresentare l’Italia nella missione internazionale verso Marte, tre progetti nei settori della realtà virtuale e geo-scienze a cura della stessa Agenzia Spaziale Italiana, Università di Perugia e l’organizzazione Mars Planet. Dell'alimentazione nello spazio avevamo già parlato: la dieta per gli astronauti è ferrea e limitata, ma la selezione di pietanze disponibili a bordo comincia a crescere. Il cibo, si sa, gioca un ruolo fondamentale per il fabbisogno alimentare in un ambiente di micro gravità, oltre che per una serena e pacifica convivenza. Per far luce sull'argomento, tempo fa avevamo intervistato PaoloNespoli, astronauta italiano dell'Agenzia Spaziale Europea, al quale avevamo chiesto cosa significhi mangiare nello spazio.

 

 

a cura di Michela Becchi


Una Notte da Street Food: i ristoranti di Pozzuoli insieme per valorizzare la cucina locale

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37 attività ristorative unite per dare vita a un lungo e articolato percorso di degustazione: nella TZL del lungomare di Pozzuoli, il 20 dicembre va in scena Una Notte da Street Food, evento pensato per valorizzare il cibo da strada locale. 

La gastronomia di Pozzuoli

Già scalo commerciale cumano nel VI secolo a. C., il porto di Pozzuoli diviene il più importante del Tirreno in epoca romana: qui partiva e arrivava di tutto da e per le province più remote dell'Impero. Oggi la località campana è ancora un porto d'interesse, soprattutto per i collegamenti verso Ischia, e proprio per la sua posizione favorevole gode di una cucina ricca e sfaccettata. Il pescato giornaliero e i prodotti d'eccellenza che arrivano dall'entroterra contribuiscono, infatti, ad alimentare una vivace tradizione gastronomica, che pesca nel passato la semplicità dei piatti popolari: coniglio all'ischitana, fagiolini con pomodoro fresco, insalata di mare, mozzarella in carrozza, pasta fritta, scialatielli alla pescatora. Il comune ospita, tra l'altro, il più importante mercato ittico della regione, per cui non c'è da meravigliarsi se la maggior parte delle ricette locali traggono ispirazione dalle antiche usanze dei pescatori, che dovevano consumare pasti unici sostanziosi e nutrienti per affrontare la giornata di lavoro.

L'evento

Per celebrare la gastronomia del territorio, la notte fra il 20 e il 21 dicembre 2017 il lungomare di Pozzuoli si trasformerà in una grande fiera all'aria aperta, una rassegna che chiama a raccolta ben 37 attività ristorative locali, impegnate a preparare e presentare le loro specialità. Si chiama Una Notte da Street Food e – come si intuisce dal nome – si tratta di un evento dedicato al mangiari di strada, format ormai immancabile in qualsiasi manifestazione o festival che si rispetti. A idearlo, il maestro pizzaiolo Ciro Coccia de La Dea Bendata, uno dei punti di riferimento per la pizza di qualità nel territorio flegreo, segnalato con Due Spicchi dalla guida Pizzerie d'Italia 2018 del Gambero Rosso, in collaborazione con l'Associazione Terrammare. Una festa del cibo, in scena dalle 20 alle 24 nella ZTL del lungomare, con un percorso di degustazione studiato ad hoc dagli artigiani che hanno scelto di partecipare.

Il programma

Un programma fitto di appuntamenti, dagli spettacoli di intrattenimento con gli artisti di strada della Compagnia degli Elefanti alle esibizioni di musica itinerante a cura del Pozzuoli Jazz Festival. Cuore pulsante dell'evento è il lungomare, ma Una Notte da Street Food coinvolgerà anche i vicoli del Rione Terra, dove i locali rimarranno aperti fino a tardi per un'insolita notte bianca all'insegna del gusto. Non mancherà, inoltre, la presentazione di un albero di Natale, addobbato a tema con i dolci della pasticceria Babbà. Per partecipare alla degustazione, è necessario acquistare presso gli stand un ticket di 15 euro, che dà diritto a 10 consumazioni (1 per ogni categoria merceologica degli esercizi commerciali).

I protagonisti

A fare la parte del leone, naturalmente saranno gli assaggi: dai panini ai sartù di mare, dagli arancini alla pizza, senza dimenticare i fritti e le caldarroste con il vino. Ci saranno i mini sandwich di tonno con friarelli e crema di pecorino di A casa mia, i piatti gluten free de La cucina degli amici, lo gnocco alla crema di scampi con calice di falanghina di White chill out, e tante altre specialità realizzate dai professionisti di Pozzuoli e dintorni per valorizzare il gusto autentico della tradizione, rivisitato in chiave moderna in formato street food. Un'occasione unica per scoprire sapori e ristoranti, dalle insegne storiche a quelle di recente apertura, dalle pizzerie alle caffetterie, per un'offerta completa in grado di rispondere a ogni esigenza.

Una Notte da Street Food - Pozzuoli (NA) -20 dicembre 2017, dalle 20.00 alle 24.00 - www.facebook.com/events/242613026276080/

A Natale tutti chef (o pizzaioli): i kit gourmet da mettere sotto l’albero

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Dall’amatriciana di Cristina Bowerman alla pizza di Gabriele Bonci. Ecco alcune confezioni a prova di vero foodie, contenenti gli ingredienti (selezionatissimi) con cui cimentarsi ai fornelli di casa nella preparazione di ricette d'autore.

Un modo per mettersi alla prova in cucina, un gioco e un’occasione di convivialità. Rinomati chef e protagonisti del panorama gastronomico nazionale ci lanciano una “sfida” con i loro kit gourmet, in cui hanno raccolto i migliori ingredienti necessari per realizzare una determinata ricetta, accompagnati da linee guida e suggerimenti. Insomma, a pochi giorni dal Natale ecco un regalo a prova di vero foodie, ma anche di chi vuole cimentarsi ai fornelli e non saprebbe da dove iniziare. Scopriamo nel dettaglio le box che abbiamo selezionato per voi.

 

carbonara bowerman

Amatriciana e Carbonara Kit di Cristina Bowerman

Partiamo dalla cucina capitolina, in particolare da amatriciana e carbonara. È a questi primi piatti che la chef Cristina Bowermanha infatti dedicato due appositi kit, contenenti le dosi per 4 persone: per l’amatriciana (23 euro) ci sono i mezzi rigatoni del pastificio Di Martino, i pomodori pelati dei fratelli Longobardi, guanciale di Sauris o gola della macelleria Fracassi (i box sono riempite al momento ed è possibile scegliere), Pecorino romano di Castel Gandolfo, pepe di Sarawak; per la carbonara (25 euro), invece, il formato di pasta scelto sono gli spaghetti, affiancati da guanciale, pecorino, uova Peppovo e pepe. “Sono preparazioni tipiche e sostengo da sempre che siano state troppo mitizzate: si pensa che siano inarrivabili, invece credo che vadano fatte proprio a casa e tramandate di generazione in generazione”, afferma la chef di Glass Hostaria(Due Forchette nella guida Ristoranti d’Italia 2018del Gambero Rosso) e di Romeo Chef & Baker. Ogni confezione è accompagnata dalla sua ricetta, che nel caso dell’amatriciana include la cipolla: “mettere l’aglio o la cipolla non vuol dire non rispettare la tradizione, perché in realtà quest’ultima raccoglie più versioni e alcune di queste ne prevedono l’utilizzo”, conclude Bowerman.

I kit li potete trovare da Romeo Chef & Baker, spazio polifunzionale che è ristorante gourmet, pizzeria e bottega LINK, oppure nell’omonimo banco all’interno del mercato di Testaccio. Si possono inoltre acquistare su Cosaporto(un portale che garantisce un servizio di delivery nella Capitale) e sul sito del locale: in questo modo si ottiene un buono, valido per un anno, con cui ritirare il prodotto direttamente da Romeo.

https://romeo.roma.it/regala-romeo/

 

Kit roscioli

La tradizione romana nelle box Roscioli: amatriciana, carbonara, cacio e pepe, burro e alici

Un’altra eccellenza della scena romana, una realtà che nel tempo si è ingrandita senza mai perdere di vista la qualità della sua copiosa offerta è quella portata avanti da Alessandro e Pierluigi Roscioli. Dal forno al caffè-pasticceria, senza dimenticare la salumeria che è pure ristorante, dove tra grandi affettati e formaggi non mancano i box perfetti per chi ha voglia non solo di amatriciana e carbonara (entrambe a 27 euro), ma anche di cacio e pepe (23 euro) o pasta con burro e alici (29 euro). I kit si possono acquistare pure sul sito aziendale e vengono spediti all’estero, fatta eccezione per quello dedicato alla carbonara data la presenza delle uova fresche (viene però consegnato in città), contengono gli ingredienti sufficienti per 4/5 porzioni e la brochure in cui sono indicati i vari passaggi della ricetta, oltre a qualche consiglio per portarla in tavola al meglio.

Gli stessi consigli, Roscioli li ha messi a disposizione di appassionati e curiosi attraverso dei videotutorial:quando si pulisce il guanciale, ad esempio, bisogna togliere sia la cotenna che il pepe presente in superficie, che altrimenti si brucerebbe durante la cottura lasciando un retrogusto amaro; il condimento della carbonara, invece, deve essere una crema densa e omogenea, che si ottiene mescolando velocemente uova (tuorlo e poco albume) e pecorino, a cui va poi aggiunta un po’ di acqua di cottura. “Queste ricette non sono segreti da trattenere: è bello condividerle e soprattutto è bello comunicare che, per realizzare un buon piatto, basta mettere determinate materie prime tra le mani di chi ha voglia di dilettarsi in cucina”, afferma Riccardo Cecchetti, responsabile della salumeria Roscioli.

Ed ecco quali sono, kit per kit, le materie prime in questione. Quello per l’amatriciana comprende mezze maniche abruzzesi Verrigni/Roscioli, guanciale di Valle Imperiale, Pecorino romano Dop 24 mesi, pomodori pelati dei fratelli Longobardi, peperoncino contuso. Per burro e alici, invece, ci sono gli spaghettoni Mancini, l’emulsionato Roscioli con burro e acciughe, una confezione di alici del Cantabrico. Il box per la cacio e pepe contiene spaghetti alla chitarra Verrigni, pepe di Sarawak, Pecorino romano Dop Brunelli 18 mesi, l’emulsionato Roscioli a base di Pecorino Brunelli, Parmigiano reggiano vacche rosse 36 mesi, Pecorino di fossa di Sogliano del Rubicone, pepe Sarawak. Infine, la carbonara: Super spaghettoni Verrigni, guanciale del Monte Conero, Pecorino romano Dop Brunelli 18 mesi, uova di Paolo Parisi, pepe di Sarawak.

http://shop.salumeriaroscioli.com/it/categoria-prodotto/kit-e-cesti/

 

Kit da vittorio

Un piatto iconico, a portata di casa: i paccheri alla Vittorio

Tutto è iniziato a Bergamo nel 1966. Da Vittorio (Tre Forchette nella guida Ristoranti d’Italia 2018) dal 2005 è a Brusaporto, dove in cucina sono i fratelli Enrico e Roberto Cerea con Chicco in sala, a portare avanti questo grande nome della ristorazione nazionale. Tra i piatti che ne hanno costruito e consolidato la fama, uno dei più importanti è senz’altro rappresentato dai paccheri alla Vittorio, che negli anni sono rimasti fedeli a se stessi e allo stesso tempo sono evoluti. Basti pensare che oggi, per prepararli, vengono utilizzati tre tipi di pomodoro: “ce n’è sempre uno fresco, oltre ai pelati e a un sugo che produciamo e invasiamo noi durante l’estate”, ci racconta Enrico Cerea.

Ed è proprio da questa combinazione che nasce la salsa presente nel vasetto all’interno della confezione (che costa 80 euro e contiene le dosi per 5 persone), dove trovate anche i paccheri del pastificio Vicidomini, Parmigiano reggiano, olio extravergine d’oliva biologico, peperoncino, una comoda “bavaglia” a prova di schizzo e la ricetta. “Noi consigliamo di aggiungere il basilico e una piccola noce di burro durante la mantecatura”, conclude Enrico. Il kit si acquista direttamente a Brusaporto oppure si ordina online, e viene spedito anche all’estero.

https://www.davittorio.com/it/pasta/49-gift-shop/confezioni-dettaglio/1063-confezione-%E2%80%9Cricetta-paccheri%E2%80%9D.html

 

kit ciccio sultano

L’omaggio alla Sicilia di Ciccio Sultano: la pasta Turiddu

Il concetto di tradizione come eredità da ricevere e contemporaneamente rivisitare è molto caro pure a Ciccio Sultano, lo chef del Duomo a Ragusa (anch’esso un Tre Forchette nell’ultima edizione della nostra guida Ristoranti d’Italia). Uno chef che ama definirsi “cartografo gastronomico della Sicilia”, secondo cui “ciò che il cuoco deve fare, ai giorni nostri, è tradire la tradizione per crearne un’altra”. Nel caso però della pasta Turiddu, la protagonista del kit che ha commercializzato da 3 mesi (a 32,50 euro, con le dosi per 4 persone), “ho voluto rispettare il passato, piuttosto che interpretarlo”. Il suo tocco lo ha dimostrato soprattutto alleggerendo una preparazione “muscolosa e di sostanza”, quella - appunto - degli spaghetti alla Turiddu presente nel ricettario del gastronomo Luigi Carnacina (il nome vuole probabilmente esprimere l’omaggio alla Sicilia che questo piatto rappresenta, dato che Turiddu è il soprannome di Salvatore, nome molto comune sull’isola).

Di che si tratta? Nel box ci sono: spaghetti di grano duro Cappelli in purezza di Carla Latini, salsa Turiddu (a base di olive nere, capperi, acciughe, aglio, cipolla e finocchietto selvatico), un vasetto di muddica atturata(è pangrattato di grano duro con olio, aglio rosso di Nubia, peperoncino e origano), peperoncino secco, olio extravergine monocultivar Tonda Iblea, il tutto accompagnato da una descrizione del procedimento. “Per insaporire ancora di più si può fare un soffritto con aglio, olio e peperoncino, mentre il pangrattato va aggiunto dopo aver impiattato”, sottolinea Sultano. Che per il prossimo anno ha già in mente il kit Taratatà, dedicato agli spaghetti con una salsa a base di bottarga, che deve il suo nome a una battaglia tra Mori e Normanni (la parola onomatopeica ricorda infatti il rumore delle armi). La confezione Turiddu, invece, la potete acquistare al Duomo o a I Banchi (il locale dello chef, sempre a Ragusa, che offre una proposta più informale) oppure richiedere la spedizione in Italia contattando le due insegne via mail.

http://www.cicciosultano.it/firmato-sultano/prodotti/

 

Kit bonci

Bonci per un giorno, con il Pizza Kit

Concludiamo con un kit perfetto per gli amanti dell’arte bianca: quello ideato da Gabriele Bonci, con cui cimentarsi a casa nella preparazione della sua famosa pizza. Le materie prime, che non smentiscono la predilezione del noto panificatore romano per il mondo del biologico, sono accompagnate dalla ricetta, illustrata passaggio dopo passaggio.

L’impasto (si ottiene unendo tutto ciò che trovate nella confezione: olio extravergine bio Torrente Locone, farina bio di grano tenero Buratto di tipo 2 del Mulino Marino, lievito di pasta madre bio dell’Antico Molino Rosso, acqua naturale QualeAcqua, sale fino integrale Terre dell’Oasi) va lasciato riposare per almeno un’ora a temperatura ambiente, in una ciotola ben oliata, mentre la seconda lievitazione avviene in frigo e deve durare minimo 18 ore. Per la cottura, non dimenticate di impostare la temperatura al massimo e di posizionare la teglia a contatto con il fondo del forno, da cui va spostata nella parte centrale dopo circa 10 minuti. E qualche consiglio per i topping? Tra i tanti abbinamenti ideati da Bonci, ve ne segnaliamo uno natalizio: cotechino, patate americane e broccoletti. Oppure c’è l’intramontabile patate e mozzarella, uno dei randi classici del suo Pizzarium e delle altre insegne, a Roma, Lucca e Chicago 

Il Pizza kit costa 29,90 euro. A Roma lo si può acquistare in tutti i punti vendita gestiti da Bonci, altrimenti è possibile riceverlo in Italia ordinandolo sul sito Magiordomus. “Non ci aspettavamo di ricevere richieste da Belgio, Francia o Danimarca”, ci racconta Salvatore Vaccaro, addetto stampa di Gabriele, “è il primo anno che ci dedichiamo a questo progetto e per ora non sono previste spedizioni all’estero”.

http://bonci.it/

http://www.magiordomus.it/la-spesa/?q=bonci

 

a cura di Agnese Fioretti

 

Street food alla siciliana. Un viaggio attraverso il cibo da strada meno conosciuto dell’isola

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Arancini, pane e panelle, sfincione. E poi? Una nuova rubrica racconta le pietanze “da passeggio” italiane, andando oltre quelle più note. Cominciamo con la Sicilia. E con una ricetta perfetta per la Vigilia di Natale.

A Roma è il supplì, a Napoli la pizza a portafoglio: ogni angolo d'Italia è caratterizzato da uno o più cibi da strada che, nell’immaginario collettivo, lo rappresentano e contraddistinguono. Ma cosa c'è oltre le “celebrità”? C'è un universo di ricette che meritano ugualmente di essere raccontate (e, va da sé, assaggiate): questa nuova rubrica la dedichiamo proprio agli street food meno conosciuti al di fuori della loro zona d'origine, partendo dalla Sicilia. La Sicilia dell’arancino, dello sfincione, del pane con le panelle. E tanto altro.

La Vigilia a Lentini: il cudduruni

A chi arriva a Lentini, cittadina barocca in provincia di Siracusa, può capitare di scoprire il cudduruni. La radice di questa parola - probabilmente il termine greco kollura, che significa “corona” - è la stessa di molti altri prodotti, spesso diversi tra loro, che è possibile trovare in Sicilia ma anche nelle vicine Calabria e Puglia. Salvatore Giuffrida, segretario della sede Slow Food di Lentini, ci ha rivelato le origini e le tre autentiche varianti di questa focaccia ripiena - altre sette specialità da forno siciliane ve le abbiamo già descritte - una pietanza povera nata dalla necessità di arrangiare un pasto raccogliendo in campagna le erbe selvatiche e utilizzandole per guarnire gli avanzi di pane. “Qui il cudduruni si mangia spesso, ma il momento dell'anno in cui prepararlo diventa quasi 'd'obbligo' è la Vigilia di Natale”, ci spiega, “l'impasto è a base di semola di grano duro, acqua, sale, lievito; per la farcia, invece, le opzioni sono tre: anciti (bietole selvatiche), broccoli neri o cipolla, con pecorino, estratto di pomodori secchi, olio extravergine”. Infine, la pasta viene ripiegata su se stessa e i bordi chiusi con la tipica “pizzicatura” a mo' di cordoncino: una delle tante ipotesi vuole infatti che il nome derivi da “cordone” (sotto la ricetta di Lucinda Nocita, che gestisce uno dei più antichi forni cittadini).

Nel tempo sono state sperimentate altre versioni: c'è chi aggiunge la salsiccia sbriciolata, la mortadella, le olive o le acciughe. Al di fuori dei confini di Lentini, la parola cudduruni può indicare altre ricette. A Melilli, sempre nel siracusano, è ad esempio una base tonda dalla forma a spirale, caratterizzata da una serie di “solchi” concentrici all'interno dei quali viene distribuito il ripieno.

CrispelleFoto: Antica Friggitoria Stella

Le crispelle catanesi: a Natale salate, per San Giuseppe dolci

Spostandoci a Catania, la Vigilia di Natale ha tra i suoi protagonisti un altro cibo da strada: le crispelle. Appartengono alla tradizione locale da molto tempo, ma non se ne conoscono con esattezza le origini. “Il segreto risiede nella capacità di fare una pastella dalla consistenza al limite del liquido, maneggiarla velocemente in modo da creare delle palline da riempire con ricotta (di pecora) o acciughe, per poi friggerle nello strutto”: ce lo racconta Alessandra dell'Antica Friggitoria Stella (storica insegna gestita da suo figlio Andrea e segnalata dalla nostra guida Street Food 2017). La differenza, quindi, la fa la mano del crispellaio o della crispellaia.

Delle crispelle esiste pure una versione dolce, preparata in occasione della festa di San Giuseppe e su cui sono state raccolte informazioni più precise. Pare infatti che siano state inventate dalle monache benedettine di un monastero catanese nel XVI secolo. Si tratta di bastoncini di riso cotto nel latte e aromatizzato all'arancia, che vengono fritti nell'olio e poi guarniti con miele, zucchero e cannella.

 

Il grande universo delle rosticcerie catanesi con le bolognesi e le bombe

A livello di street food, Catania è una città che ha davvero molto da offrire. Per rendersene conto, basta andare alla scoperta delle sue rosticcerie. Oltre al noto arancino (nella Sicilia orientale è usato il sostantivo maschile, mentre a Palermo “l’arancina è fimmina” e non ci sono margini di trattativa), le tavole calde cittadine sono costellate di numerosi sfizi che, per i catanesi, rappresentano uno spuntino da concedersi a qualsiasi ora del giorno, spesso come colazione salata.

Tra le ricette meno conosciute oltre i confini regionali ci sono, ad esempio, la bolognese e la bomba. La prima è un rustico dalla forma circolare che si contraddistingue per la combinazione di due impasti: la base è una pizzetta, mentre la parte superiore è un disco di pasta sfoglia. Per quanto riguarda il ripieno, le possibilità sono davvero tante: uovo, prosciutto cotto e formaggio, ad esempio, o formaggio e ragù (dal suo utilizzo deriva forse il nome del prodotto). La bomba, invece, è una gustosa preparazione realizzata con pasta di pizza, una sorta di pallotta che solitamente racchiude un cuore di prosciutto cotto e formaggio a pasta filata, servita fritta o dopo la cottura al forno.

 

Pasticceria_SaviaFoto: Pasticceria Savia

E ancora cartocciate, cipolline, siciliane e sfoglie

Altrettanto frequenti sono la cartocciata e la cipollina. La prima è una mezzaluna cotta al forno: l’impasto è morbido e lievitato con un retrogusto leggermente dolce, la farcia classica è con prosciutto cotto, pomodoro e mozzarella (o altri latticini), a cui c’è chi aggiunge le olive nere, ma ormai le alternative sono svariate. A partire da quella creata nella celebre pasticceria Savia (presente nella nostra guida Pasticceri&Pasticcerie 2018), con melanzane fritte, salsa di pomodoro, prosciutto cotto e formaggio. Le cipolline sono invece dei fagottini di pasta sfoglia, che devono il loro nome a uno degli ingredienti che custodiscono: la cipolla appunto, che generalmente viene prima stufata, a cui si aggiungono mozzarella (o simili) e prosciutto cotto. Dopo averli ben distribuiti sulla base di sfoglia, quest’ultima va chiusa a fazzoletto portando i 4 angoli al centro.

Poi ci sono le siciliane, che all’aspetto ricordano i calzoni; sono fritte nell’olio e caratterizzate dalla farcia con tuma e acciughe. Ormai sono diverse le insegne in cui è possibile trovarle, in città e non solo, ma in realtà furono inventate in un bar-pasticceria di Zafferana Etnea: Donna Peppina, aperto nel 1924 da Giuseppa Finocchiaro. Infine, le sfoglie (dette pure paté): a base di pasta sfoglia, ce ne sono tre tipi. Quelle rettangolari di solito sono farcite con cotto e formaggio, quelle a mezzaluna con spinaci e formaggio, le tonde (meno diffuse) con il ragù impiegato pure per gli arancini.

 

Catania e la carne (di cavallo): arrusti e mancia

Non finisce qui. Perché la descrizione del cibo da strada catanese non può essere esaustiva se non si parla di arrusti e mancia, una tradizione che ha il suo cuore pulsante in via Plebiscito. Quest’ultima, infatti, pullula di trattorie che servono a getto continuo carne cotta alla brace. Ci sono salsicce, costate di maiale, le tipiche cipollate (create arrotolando la pancetta attorno a un cipollotto) e le stigghiole palermitane, ma soprattutto c’è la carne di cavallo. Proposta a fettine o come polpetta, la si mangia da sola o all’interno di un panino, arricchendola con il salamarigghiu (il salmoriglio), un intingolo preparato unendo olio, aceto, sale e origano.

 

Foto.. pitoneFoto: Angela Cucinotta

Messina e il suo pitone (o pidone?)

A Messina, invece, non si può non assaggiare il pitone (in dialetto pituni). Se la diatriba linguistica tra l’arancina e l’arancino ha avuto una risonanza nazionale al punto che è intervenuta l’Accademia della Crusca, ce n’è - su scala più ridotta - certamente un’altra. Quella tra “pitone” e “pidone” (piduni è la formula dialettale). Definire con certezza quale delle due espressioni sia più corretta è difficile, dato che non conosciamo esattamente l’origine della parola: c’è chi la collega a Pitone, il drago-serpente della mitologia greca che, prima di Apollo, custodiva l’oracolo di Delfi; c’è chi, invece, afferma che derivi da “piede”, ritenendo che il suo primo significato fosse quello di “calza di lana” o “soletta”. In ogni caso, si tratta di un rustico simile a un calzone. Il suo tratto distintivo sono le materie prime con cui viene farcito, le stesse che compongono il topping della focaccia messinese: scarola, pomodori, acciughe e tuma (ma si utilizzano ormai vari formaggi a pasta filata). La ricetta tradizionale prevede che il prodotto sia fritto nell’olio, ma è altrettanto comune trovarlo cotto al forno. Nelle rosticcerie cittadine sono con il tempo nate numerose varianti che si differenziano per il ripieno: rimane nel solco della tradizione quello alla Norma con salsa di pomodoro, melanzane fritte e ricotta infornata.

 

Foto: cosedafareinsicilia.it

 

L’anima di Palermo è nel “manciari di strada”

Palermo è stata spesso considerata una delle capitali internazionali dello street food. Qui il manciari di strada è una vera istituzione, dallo sfincione al pani ca’ meusa (il panino con la milza). Anche se per farne un compendio del tutto esauriente servirebbero frotte di pagine, ecco alcune delle preparazioni in cui ci si imbatte tra i vicoli e i mercati della città.

Partiamo dalla frittola (frittula in dialetto), che si ottiene dagli scarti di macellazione del vitello. Questi vengono fritti, lasciati poi a riposare in acqua fredda e infine bolliti. Una volta pronti, il frittularu li trasferisce nel panaru (un cesto di vimini) e li tiene rigorosamente coperti per mantenerne la temperatura. La frittola viene servita insaporita con sale, pepe e limone, direttamente su un foglio di carta oleata o in un panino.

 

stigghiola

Il quarumaru, la stigghiola e le raschiature

Il quarumaru è un’altra figura iconica: è colui che vende la quarume (in italiano caldume: pietanza calda), ossia un brodo realizzato con le interiora del vitello, che dopo essere state accuratamente lavate si fanno bollire con vari ortaggi come cipolla, sedano, carota e pomodoro. La parola quarume deriva da quarara, la tipica pentola usata per la cottura. Un tempo, nelle botteghe che la vendevano era indicata con la scritta “Brodo e pietanza”, sintesi perfetta di un piatto che riscalda ed è nutriente. Ancora oggi, molto spesso il quarumaru è colui che vende pure il mussu e carcagnolo (letteralmente, il muso e il calcagno), che altrimenti si possono acquistare nelle macellerie: sono pezzi di carne e cartilagine ottenuti da queste due parti del vitello. Dopo la bollitura, i palermitani li mangiano semplicemente a “stricasale” (conditi con olio, sale e succo di limone) oppure in insalata, accompagnandoli di solito con cipolla, sedano, carote, olive, olio, sale, pepe, limone e aceto. Nell’insalata, spesso, si trova anche ilmasciddaru, ossia la mascella.

A completare il quadro “carnivoro” dello street food palermitano è la stigghiola, quella che i cittadini riconoscono dal fumo provocato dallo stigghiularu. Si tratta infatti di budella (generalmente di agnello, ma ci sono pure di vitello) cotte sulla brace dopo esser state arrotolate attorno a un cipollotto oppure infilzate in uno spiedino a mo’ di serpentina. Una volta pronte, si tagliano a pezzetti e si insaporiscono con sale e succo di limone.

Al saggio motto del “non si butta via niente” si ispirano infine le raschiature (in dialetto rascature), nate dall’abitudine delle friggitorie di riciclare gli avanzi degli impasti preparati per panelle e crocchette di patate (le crocchè), raschiandoli dalle teglie per poi mescolarli: ogni volta, dunque, il risultato e la consistenza cambiano, ma comunque la raschiatura è una sorta di polpetta dalla forma allungata che viene nuovamente fritta.

 

pane cunzato Foto: La Vecchia Salumeria

L’arte siciliana di “cunzare” il pane

L’ultima tappa di questo viaggio la dedichiamo al pane cunzato (o pani cunzatu), che non significa altro che “pane condito”. Diffuso (in più versioni) in tutta l’isola, dal trapanese alle isole Eolie, ecco un altro esempio di street food che trae origine dalla necessità di mettere qualcosa in tavola con poche risorse economiche: la soluzione era preparare il pane nel forno di casa e guarnirlo come si poteva. Tra i condimenti tipici c’è quello con acciughe sottolio, pomodori, primosale siciliano, origano e olio extravergine. I segreti per prepararlo ce li racconta Antonio La Vecchia de La Vecchia Salumeria a Marsala (locale a conduzione familiare da 5 generazioni, presente nella guida Street Food 2017): “il pane deve essere tiepido, non va aggiunto il sale perché è sufficiente la sapidità delle acciughe, che si possono sostituire con le sarde, ed è fondamentale non dimenticare le foglie di basilico che danno freschezza”.

 

La ricetta del cudduruni con i broccoli neri

 

Ingredienti per 450 g di impasto

200 g di semola di grano duro

200 ml di acqua

4 g di sale

10 g di lievito di birra

 

Per la farcia

150 g di pecorino fresco

300 g di broccoli neri

Estratto di pomodoro secco q. b.

Sale q.b.

Olio q.b.

 

Unire semola, acqua, sale e lievito. Lavorare l’impasto fino a renderlo elastico, coprirlo e lasciarlo lievitare fino al raddoppiamento del volume. Ricavare un disco: distribuire l’estratto di pomodoro su metà della base, al di sopra il pecorino (volendo pepato) tagliato a fette sottili e infine i broccoli (che vanno prima tagliati a pezzetti e leggermente sbollentati con sale e olio extravergine). Chiudere il disco a mezzaluna, pizzicando i bordi a mo’ di cordoncino. Ungere con dell’olio la parte superiore della focaccia e praticare dei fori con i rebbi della forchetta. Cuocere in forno a 180/200° per 40 minuti circa.

 

a cura di Agnese Fioretti

 

 

Il temporary cocktail bar di John Lewis: i prodotti delle campagne inglesi nel cuore di Londra

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La celebre catena di grandi magazzini porta a Londra le specialità delle campagne inglesi: fino alla Vigilia di Natale, la terrazza di John Lewis ospita The Ethicurean, ristorante dell'Inghilterra sud-occidentale specializzato nella cucina di territorio.

John Lewis

Non occorrono molte presentazioni per John Lewis, catena di grandi magazzini britannica da anni sinonimo del Natale grazie alla pubblicazione annuale di spot dedicati e pensati su misura per i più piccoli in occasione delle feste. Fra oggetti di design, articoli per la casa e abbigliamento, John Lewis è una delle realtà più gettonate in Inghilterra, specialmente a Londra. È proprio nella capitale che il brand ha cominciato da qualche tempo a interessarsi anche al settore gastronomico: negli ultimi anni, infatti, la via dello shopping londinese è stata al centro di un’accesa competizione tra i grandi negozi del distretto commerciale per aggiudicarsi la miglior offerta di food & beverage, in grado di attirare l'attenzione delle migliaia di persone che ogni giorno gravitano nell’area. Tre anni fa è stata la volta di Ham Holy Burger e Rossopomodoro, entrambe parte della Sebeto Spa di Franco Manna, due insegne made in Italy selezionate da John Lewis nel 2014.

Somerset e la tradizione casearia

Per questo Natale, il negozio si prepara ancora una volta a stupire i passanti, focalizzandosi di nuovo sulla gastronomia di qualità. Nella bella terrazza affacciata su strada, fino al 24 dicembre è possibile gustare un buon aperitivo o una cena tradizionale grazie al nuovo temporary cocktail bar voluto dall’azienda, un pop up in arrivo direttamente dalle campagne inglesi. Più precisamente da Somerset, contea dell'Inghilterra sud-occidentale nota per la sua ricca cultura casearia. Perché se Italia e Francia si contendono il titolo di più grandi produttori di formaggi fin dalla notte dei tempi, gli altri Paesi europei non sono certo da meno. Anzi, proprio perché sconosciute, le specialità straniere hanno cominciato negli ultimi anni a fare sempre più gola agli appassionati del genere, che durante fiere e manifestazioni di settore continuano a dimostrare un'attenzione crescente verso queste prelibatezze. A conferma del successo dei latticini made in UK, nuovi format e locali a tema continuano infatti a raccogliere l'entusiasmo del pubblico nella capitale britannica, come il Cheese Bar, recente apertura nel piano sottostante di un club di burlesque del Camden Town Stables Market, un locale tutto dedicato ai formaggi di qualità, declinati in tante sfumature.

Il temporary

Per celebrare questa antica tradizione, sulla terrazza del John Lewis c'è The Ethicurean, ristorante di Somerset che porta in tavola tutti i prodotti della terra, seguendo attentamente il ritmo delle stagioni. Via libera, dunque, a formaggi, burro di latteria, ma anche verdure, ortaggi, frutta fresca e animali da cortile allevati a terra, vacche libere di pascolare allo stato brado, e ingredienti realizzati secondo i dettami dell'agricoltura biologica. Uno dei maggiori punti di riferimento per la cucina del territorio, incastonato fra le Mendip Hills, colline estese nella zona costiera della contea, e guidato dai fratelli Matthew e Ian Pennington. Inaugurato lo scorso 21 ottobre, il pop up resterà attivo fino alla vigilia di Natale, cena compresa, per offrire agli ospiti un assaggio della vera cucina britannica, una tavola schietta e sincera, senza fronzoli, che trae ispirazione dalle antiche usanze dei pastori e contadini del luogo.

Il menu

Sulla terrazza panoramica di Oxford Street, dunque, si possono assaggiare piatti vegetariani a base dei prodotti di stagione, taglieri di salumi e formaggi, e poi tutti i grandi classici della tradizione, dalla Shepherd's pie, il celebre pasticcio di carne ricoperto di purè di patate, alla roast dinner, tipica cena inglese a base di roast beef, verdure, patate al forno e yorkshire pudding, piccole pastelle cotte in forno. Non mancano, inoltre, piatti di stampo internazionale, con aggiunta di kimchi, salsa tandoori e curry, e poi i dolci a base di mele e cannella. Ad accompagnare l'offerta, vini – inglesi e stranieri – birre artigianali, ale, e una selezione di cocktail sapientemente miscelati dal team dell'Ethicurean, da tempo impegnato nella realizzazione di drink d'autore a base di distillati di pregio. Un'occasione unica per degustare prodotti autentici, e – perché no – per trascorrere un'originale cena della Vigilia.

www.johnlewis.com/content/roof-garden

a cura di Michela Becchi

Le Donne dell'ortofrutta: la rete di professioniste per l'agroalimentare

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30 imprenditrici esperte uniscono le forze per mettere a punto obiettivi e regole di una nuova realtà, l'associazione Le Donne dell'ortofrutta, gruppo ideato per creare una rete di professioniste attive nel campo agroalimentare.

Il progetto

Sempre più spesso si sente l'esigenza di "raccontare" l'ortofrutta, facendo emozionare i consumatori”. È da questo bisogno che nasce l'associazione Le Donne dell'Ortofrutta, presentata lo scorso 6 dicembre a Bologna, una nuova realtà impegnata nella valorizzazione del lavoro agricolo. “E' importante adottare linguaggi e proposte che vadano in questa direzione. Ebbene, le Donne dell'ortofrutta vogliono dare un contributo di conoscenza ed esperienza su questi temi di grande attualità”, hanno raccontato le 30 ideatrici del progetto. Professioniste del settore, imprenditrici esperte di tutta la filiera produttiva che, negli ultimi mesi, si sono confrontate per mettere a punto obiettivi e regole dell'associazione. Lo scopo? Creare un network di addette ai lavori per presentare idee, organizzare eventi e prendere parte nella comunicazione di settore con una visione al femminile.

Le fondatrici

Ai vertici del gruppo, Alessandra Ravaioli (presidente), Serena Pittella e Cristina Bambini (vicepresidenti), e Giulia Montanaro (tesoriera). Socia onoraria, l'assessore Simona Caselli, in qualità di presidente di Areflh (Associazione delle Regioni Ortofrutticole Europee), che ha commentato: “Ho accolto con piacere e interesse la proposta perché ritengo che le imprenditrici e le operatrici del settore possano giocare, in questo momento, un ruolo importante di stimolo culturale e ideativo per promuovere sempre di più un settore fondamentale per l'agroalimentare made in Italy”. E aggiunge: “Tra l'altro, l'associazione è unica in Europa, e di questo siamo orgogliose”.

Le iniziative

Fra le tante attività in programma, il reclutamento di altre socie, e l'organizzazione di incontri nelle diverse realtà produttive delle associate. Uno dei primi progetti a prendere vita sarà l'evento di lancio in primavera, pensato per sottolineare l'approccio innovativo dell'associazione a tutti i temi più caldi dell'ambito ortofrutticolo. Oltre all'aspetto più propriamente legato alla parità di genere, l'Associazione intende altresì costituire un polo d'attrazione del talento delle donne, con l'obiettivo di stimolare i consumi tra tutte le fasce di età, di censo, d'istruzione e di genere.

L'obiettivo

Un'occasione, dunque, per fare luce sul lavoro significativo delle donne in campo, e anche, come ha spiegato la Caselli, “per far capire al settore che si può lavorare insieme e dare prova di aggregazione diffondendo buone pratiche e idee valide”. Grande attenzione, inoltre, sarà rivolta alla comunicazione, punto di forza del lavoro al femminile, sui canali tradizionali come sui social. Quali saranno le prossime mosse?

I piatti più ordinati nel 2017. Le specialità che hanno spopolato in Italia e all'estero

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Mentre l’anno in corso si sta per concludere, Deliveroo, il servizio di food delivery che consente di gustare a domicilio i piatti dei migliori ristoranti della città, fa il punto sui 12 mesi appena trascorsi celebrando le ricette più popolari del mondo.

L'anno del ramen

2017. Un anno di sperimentazioni, anche in campo gastronomico. 12 mesi di cucina straniera, fusion, ricette innovative e format rivoluzionari, che hanno conquistato in breve tempo favori e palato del pubblico internazionale. Piatti originali, creativi, dai sapori netti e decisi, immortalati negli scatti sui social, Instagram in primis, principale fonte di condivisione di esperienze gastronomiche a livello internazionale. Un anno all'insegna del ramen, come aveva previsto a inizio gennaio la National Restaurant Association degli Stati Uniti, che confermava alcuni movimenti in atto, come l’approfondirsi dell’interesse per la cucina etnica più autentica - ramen e poke in testa – o l’imperversare dello street food, che non sembra conoscere limiti e definisce nuovi mercati della ristorazione, come testimonia la diffusione di foodhall e catene di fast food d'autore (con quanto ne consegue in termini di messa a punto di piatti ispirati al cibo di strada).

Le tendenze del 2017

I pronostici del gruppo statunitense si sono rivelati esatti: nel 2017 si è assistito all'ascesa della cucina hawaiana e di quella giapponese (come abbiamo avuto modo di registrare più volte con le tante aperture di ramen bar nella Penisola), ma anche di una nuova tendenza, che inizia a farsi insistentemente strada verso la cima della lista dei prodotti più in voga: gli insetti. A confermarlo è Deliveroo, servizio di consegne a domicilio che ha fatto il punto dei piatti più ordinati a livello internazionale negli ultimi 12 mesi. I foodies più avventurosi, infatti, si sono lanciati nella sperimentazione di insalate di grilli e pomodori, o vermi di bufala accompagnati da un dessert al caramello. Cavallette e grilli a parte, il 2017 è stato anche l'anno degli abbinamenti azzardati, le combinazioni più inusuali e creative ideate dagli chef, che si sono divertiti a giocare con gli ingredienti, inventando piatti ibridi sui generis: pizze alla crema all'uovo, waffles di pollo a forma di cono, sandwich a base di porchetta, cioccolato al peperoncino, avocado e sottaceti, tanto per citarne alcuni.

I piatti più ordinati in Italia

Ma quali sono i piatti più ordinati in Italia? Al primo posto, il sushi bowl salmone del Macha/Japanese café di Milano, seguito in corsa dall'hamburger Buffalo Campano di Trita, ancora a Milano. Terzo posto per il NY Style Bagel di Bagels di Milano. Ma se il podio è tutto meneghino, nella top 10 si trovano anche specialità di insegne romane, bolognesi e fiorentine. Come il sushi roll di Daruma Sushi a Roma, l'hamburger di manzo con bacon di Beveria Monteverde, ancora nella Capitale, e la pizza alla Diavola di Aviazione, Firenze. Nel capoluogo emiliano, invece, a vincere è un hamburger, il Buffalo Buffalo DOP di WellDone Burger, mentre a Torino è la tradizionale salsiccia di Bra a fare la parte del leone, con l'hamburger di Nicola Batavia The Egg. Continua, dunque, l'era dello street food, di pizza e panini, burger e tramezzini, proposte semplici e sfiziosi, pronte in pochi minuti, soluzioni prefette per una cena last minute o una pausa pranzo veloce.

E nel mondo...

Wrap, hamburger e panini restano protagonisti dei delivery anche nel resto del mondo: primi clienti di Deliveroo sono i francesi, con gli hamburger di Big Fernand di Lille, e poi gli irlandesi, amanti dei burrito, seguiti in corsa dai cugini inglesi, che a distanza di anni dall'apertura della prima sede continuano ad apprezzare i cheeseburger della celebre catena Five Guys. Presente anche il katsu curry di Wagamama (a breve in arrivo anche a Milano Malpensa), uno dei piatti più richiesti a Londra, e gli hamburger all'avocado –altro novel food che ha spopolato nell'ultimo anno – del Little Apple di Parigi. Insomma, un anno all'insegna del gusto, della scoperta di sapori nuovi, esotici, combinazioni insolite e continue sperimentazione. Quali saranno i trend del 2018?

Rinaldini Pastry Spa. 30 aperture in 5 anni e un nuovo concept per Roberto Rinaldini. Si comincia a marzo da Milano

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Il nuovo sodalizio con Micaela Dionigi garantirà al talentuoso pasticcere riminese il supporto finanziario per tentare l’espansione in Italia e nel mondo. Con un nuovo concept dedicato a tutto tondo a pasticceria e ristorazione e un grande laboratorio di supporto, in via di completamento alle porte di Rimini. Ecco cosa succederà a partire dai prossimi mesi.

Roberto Rinaldini. Lo stilista della pasticceria

Quando sulla giacca hai cucito l’appellativo di enfant prodige (Gambero Rosso eleggeva il suo laboratorio riminese miglior pasticceria innovativa dell’anno nel 2005, lui aveva appena 28 anni), non deludere le aspettative è una sfida alla ricerca del miglioramento costante. Il suo percorso però è sempre stato un crescendo, dalla vittoria al campionato di pasticceria d’Italia juniores nel 1998, passando per l’ingresso nell’Ampi nel 2004 agli innumerevoli successi conquistati sulla scena internazionale, fino all’inclusione nel Relais Dessert (associazione francese che riunisce l’elite mondiale dell’alta pasticceria e cioccolateria) nel 2014. Nel frattempo Roberto Rinaldini, lo “stilista” della pasticceria, come oggi molti lo definiscono, ha saputo applicare il suo talento e la sua creatività all’idea imprenditoriale di una linea di boutique che, da Rimini, cuore pulsante e centro propulsore del suo mondo, ha raggiunto Milano e Roma (con i corner alla Rinascente), Firenze e Tokyo. Tenendo alti gli standard imposti da una maturità espressiva che la guida Pasticceri & Pasticcerie del Gambero Rosso gli ha riconosciuto anche con l’ultima edizione, assegnandogli Tre Torte.

Tecnica al servizio della creatività. Le collezioni

Del resto, l’esposizione mediatica – Roberto ha anche una spiccata propensione a stare sotto i riflettori, ideatore di concorsi, talent scout, in passato giudice di un talent dedicato alla pasticceria in onda sulla Rai – non sembra spostare affatto il suo baricentro, né intaccare l’attenzione che ripone sulla sua attività, prolifico e immaginifico inventore di collezioni dolci che si apprezzano con gli occhi, prima ancora che col gusto. Novità che si susseguono senza sosta, basate su grande padronanza tecnica e materie prime di ottima qualità, poi presentate al meglio grazie allo studio di packaging su misura. La pasticceria come la moda, dunque, che sia in grado di colpire, attrarre, ingolosire. Quindi spazio agli ormai celebri MacaRal, i macaron secondo Rinaldini, o alle altrettanto note Gnam-belline. Poi creazioni in zucchero, monoporzioni, torte d’autore, gelée alla frutta. E lievitati per la colazione, cioccolato e praline, gelati. Panettoni artigianali e una linea salata per l’aperitivo ugualmente variegata e all’altezza delle aspettative, protagonista nel locale di riva dell’Adriatico.

Nasce Rinaldini Pastry Spa

La prossima tappa, una vera rivoluzione che punta con decisione alla conquista del mercato internazionale, passa attraverso il sodalizio con Micaela Dionigi, imprenditrice riminese a capo di Sgr, società del gas del territorio. In qualità di nuova azionista della Rinaldini Pastry Spa, che esordisce proprio in queste ore, la Dionigi metterà a supporto dello sviluppo aziendale i mezzi e la struttura finanziaria-amministrativa necessaria alla crescita. In concreto, con il fondamentale contributo di 3FRetail, gruppo di gestione di progetti retail guidato da Mario Esposito, nei prossimi 5 anni la maison di Roberto Rinaldini si prefigge l’apertura di 30 nuovi punti vendita, in Italia e nel mondo. Per studiare nel dettaglio il progetto c’è voluto un anno, lavorando in parallelo su due fronti: la realizzazione di un grande laboratorio di 5000 metri quadri per il supporto logistico dell’operazione, e la definizione di un nuovo concept declinabile in 4 format diversi da esportare nei locali che nasceranno.

Il nuovo laboratorio a Rimini

Il laboratorio, a circa 4 chilometri da Rimini, sulla strada che porta a San Marino, è in fase di completamento: “3600 metri quadri saranno destinati alla produzione, che resterà rigorosamente artigianale, ma potrà affinare le proprie peculiarità, grazie al grande dispiegamento di mezzi, alle nuove attrezzature a disposizione, alla migliore organizzazione degli spazi e delle risorse” racconta Mario Esposito. Nel centro di produzione, però, nascerà anche il negozio pilota che sarà riferimento per tutti gli altri: 400 metri quadri destinati al pubblico, con un’offerta che spazia dal dolce alla caffetteria, alla ristorazione, “per riassumere in un unico spazio tutte le potenzialità del cibo interpretato da Roberto Rinaldini”. Proprio la ristorazione sarà una delle novità veicolate dal nuovo concept: con la produzione salata il pasticcere riminese è già affine, ma tra qualche mese in tavola ci sarà qualche proposta in più, e legata al mondo della cucina, già in fase di sviluppo.

L’esordio in centro a Milano. Poi Roma

A marzo, probabilmente in concomitanza con l’apertura del laboratorio, infatti, è prevista l’inaugurazione del primo punto vendita della nuova era, a Milano, zona Scala, “in uno spazio di grande visibilità, non molto grande, su due piani”. Qui, i milanesi (che a febbraio avranno a disposizione anche le creazioni di Iginio Massari), potranno apprezzare la prima formula mista: pasticceria, caffetteria e piccola ristorazione, “con proposta di piatti legati alla tradizione romagnola, pasta fresca, cappelletti, piadine gourmet. Oltre alla nostra linea per l’aperitivo”. Poi si procederà con le altre aperture. Nella prima metà del 2018 Rinaldini arriverà a Roma, con un negozio indipendente in centro città, e poi ancora, verso la fine dell’anno, in partnership con altri imprenditori a Milano e Roma.

La scalata internazionale

Il 2019, invece, sarà l’anno di Londra e Parigi, “già stiamo cercando gli spazi giusti”, con locali da 250 metri quadri, il taglio più articolato previsto dal concept, che altrove potrà svilupparsi in punti vendita da 50 metri quadri (semplici corner di pasticceria, magari all’interno di centri commerciali), 100 metri quadri (con caffetteria), 150 metri quadri. La ristorazione, fatta eccezione per la prima avventura milanese, sarà destinata agli spazi più grandi. Il design, invece, studiato da M2Italia, resterà lo stesso: materiali di pregio, marmo di Carrara, illuminotecnica all’avanguardia. Tutto per esaltare il talento di un grande pasticcere italiano. In bocca al lupo a Roberto Rinaldini.

a cura di Livia Montagnoli


Natale 2017. Pandori: ecco i migliori

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Un dolce non semplice da fare, il pandoro: lo abbiamo verificato sul campo con una degustazione alla cieca in cui abbiamo messo, uno accanto all'altro, alcuni dei migliori prodotti italiani. Dolci d'autore che, al netto di qualche campione difettato che ha portato all'esclusione dalla classifica, ha evidenziato come ancora ci sia parecchia strada da fare per arrivare al pandoro perfetto.

Natale significa, soprattutto, tradizione: l'albero, le grandi tavolate in famiglia, i doni da scartare, la vigilia di magro, e poi – ovviamene – il dolce a coronare i menu delle feste. E qui le strade si dividono: panettone o pandoro? Se fino a poco tempo fa le preferenze ricadevano senza incertezza sul primo (sempre più oggetto di studio e sperimentazione da parte di maestri lievitisti, siano pasticceri, panificatori o grandi chef), oggi non è più così. L'eterno secondo tra i dolci di Natale, ancora distante nelle preferenze dei buongustai dal più amato panettone, comincia la sua rincorsa sulle tavole delle feste, incontrando il favore di chi non ama canditi e uvettama cede all'aroma confortante e familiare di burro, uova, vaniglia. Un dolce da bambini, direbbe qualcuno, rassicurante nella sua classicità (sui pandori si sperimenta poco, per fortuna, principalmente con glasse e farciture, ma senza gli spericolati abbinamenti del panettone che lasciano spesso a bocca aperta, e inesorabilmente vuota). Il pandoro il più delle volte è semplice, un vero comfort food, dorato e soffice, richiama immediatamente alla merenda dei più piccoli. Insomma: un dolce da inzuppo.

Come per il panettone la prova è quella del filo: provate a prendere una parte di mollica, deve venir via formando strisce dorate e soffici. L'esterno più colorato ma mai tenace, una pasta filante e omogenea, dall'alveolatura allungata, morbida come una spugna naturale sono alcune delle più tipiche caratteristiche di questi dolci. Una nuvola di dolcezza e di profumo buono.

 

Gli ingredienti e la legge

Al pari di panettone, colomba e altri dolci classici (come savoiardo e amaretto, anche nella versione morbida), il pandoro è tutelato nella sua ricetta tradizionale da un decreto interministeriale, quello del 22 luglio 2005, adottato congiuntamente dal Ministero delle Attività Produttive e dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali. Questo decreto definisce ingredienti obbligatori e facoltativi, e dimensioni. Nel caso del pandoro si dice che è un “prodotto dolciario da forno a pasta morbida, ottenuto per fermentazione naturale da pasta acida, di forma a tronco di cono con sezione a stella ottagonale e con superficie esterna non crostosa, una struttura soffice e setosa ad alveolatura minuta ed uniforme ed aroma caratteristico di burro e vaniglia”. Gli ingredienti obbligatori sono: farina di frumento; zucchero; uova di gallina di categoria “A” (cioè uova fresche) o tuorlo d’uovo, o entrambi, in quantità tali da garantire non meno del 4% in tuorlo; materia grassa butirrica (cioè burro), in quantità non inferiore al 20% (più del panettone, in cui il limite minimo è 16%); lievito naturale costituito da pasta acida; aromi di vaniglia o vanillina; sale. Ma molte altre voci sono consentite, per esempio malto, burro di cacao, aromi naturali, emulsionanti; conservanti (acido sorbico o sorbato di potassio). A integrazione di questo testo, solo pochi mesi fa - il 16 maggio 2017 - è arrivata una modifica a opera del Mise e del Mipaaf che puntualizza in modo più preciso questo elenco. Per esempio nel caso delle uova, anche i tuorli devono essere derivati da uova di galline di categoria A, e nel caso della parte grassa oggi si fa esplicitamente al burro (e non più alla materia grassa butirrica) che dovrà essere “ottenuto direttamente ed esclusivamente dalle creme di latte vaccino con un apporto in materia grassa butirrica”. Inoltre si prevede anche la dicitura iodato al sale e si inseriscono deroghe all'uso delle denominazioni relative ai prodotti gluten free.

pandoro

La degustazione

Ancora c'è molto da lavorare sul pandoro: questa la conclusione dopo il nostro test effettuato alla cieca. Lievitazioni talvolta sfuggite di mano, note vintage, aromi esuberanti per la prodiga presenza di preziosa vaniglia che talvolta intralciano la piacevolezza della degustazione. Insomma: siamo in un percorso di avvicinamento al pandoro perfetto, ma siamo ancora per strada. Non a caso dopo questo primo approccio sperimentale, abbiamo già messo in agenda una grande degustazione (della caratura fatta quest'anno sul mensile di dicembre, ancora in edicola, sui panettoni artigianali) in pubblicazione il prossimo dicembre 2018. Del resto la storia del pandoro d'autore è cosa recente, rispetto al più sperimentato panettone. La fortuna, poi, non è stata dalla nostra: tra i campioni arrivati in redazione anche qualcuno non perfetto. Può succedere. Noi li abbiamo assaggiati senza aggiungere zucchero a velo né scaldarlo su una fonte di calore. Né, va da sé, arricchito con creme. Lo abbiamo aperto e tagliato a fette, semplicemente, prima di passare alla degustazione seguendo i classici passaggi: esame visivo, olfattivo, gustativo.

 

pandoro

 

Dal primo all'ottavo classificato, ecco la nostra classifica

 

Rinaldini

Altro pandoro da esposizione: chiaro e molto regolare, struttura filante, buona alveolatura, sottile e omogenea. Al naso è appena percepibile un ricordo di arancia e molto più di mou, dulce de leche, latte condensato, burro buono, panna. Un ventaglio di aromi che si ritrovano anche all'assaggio: gusto pieno e ricco, equilibrato, piacevolmente dolce, finale pulito e gradevole. Lascia una buona bocca. Fondente, aromatico ed equilibrato: molto caratteristico e soddisfacente; buono, goloso come il pandoro dev'essere. Ottimo da inzuppare nel latte la mattina. Nella lista degli ingredienti anche zucchero di canna bianco, burro di cacao, oltre a farina, uova fresche, burro, sale, lievito di birra, latte in polvere, baccelli di vaniglia.

Rinaldini pastry – Rimini, Firenze, Milano, Roma, Pesaro, Lonato (BS) - rinaldinipastry.com 

 

Renato Bosco

Compatto, molto molto chiaro, soffice e leggerissimo: una nuvola da sfogliare. Al naso è percepibile una nota alcolica, come di marsala, meno evidente in bocca dove la sensazione di liquore e uovo crudo è comunque presente, caratteristica e niente affatto spiacevole. Leggero e molto composto, non lunghissimo ma godibile e invitante. Uno stile magari non filologico, ma piacevolissimo, anche e soprattutto per la bella lievitazione che lo rende etereo e leggerissimo.

Renato Bosco  - San Martino Buon Albergo (VR), Verona -  http://www.boscorenato.it/

 

Marcello Rapisardi

Colore chiaro, aspetto uniforme e perfettino: è quello che, nell'immaginario collettivo, si pensa debba essere un pandoro: dorato, soffice, con la pasta filante. Ha una struttura buona, una tessitura fine e omogenea. Al naso emergono profumi puliti, sentori ordinati ed equilibrati di vaniglia e burro leggero e piacevole, molto delicato. La stessa correttezza si ritrova all'assaggio. È composto, educato e rassicurante, forse poco spontaneo. Come ultimo ricordo lascia un richiamo di confetto, eredità dello zucchero presente. La lista degli ingredienti conta farina di grano tenero tipo 00, uova fresche, zucchero, burro, latte intero fresco pastorizzato, lievito madre naturale, fruttosio, burro di cacao, sale, aromi. Emulsionanti: mono e digliceridi degli acidi grassi. 

Pasticceria & Dessert Marcello Rapisardi – Milano- Piazzale F. Bacone 12 - 0284215008 - pasticceriarapisardi.com/

 

Gruè

All'esame visivo il pandoro risulta ben cotto, con un bel colore dorato e invitante, l'aspetto leggermente irregolare denota dei punti in cui la struttura – poco filante e non leggerissima - ha ceduto, e rivela qualche piccola imprecisione nella lievitazione. Al naso prevalgono note floreali, di burro buono e vaniglia, presente in grande quantità, ben visibile e percepibile anche al morso con una sensazione sabbiosa data proprio dai semini (quella usata è la Tahiti, che negli ingredienti si unisce a farina di grano tipo 00, burro, zucchero,uova , burro di cacao, lievito naturale, miele di acacia acqua, latte, zucchero a velo). La bocca non pulitissima apre a sensazioni pungenti e, in chiusura, a ricordi amarognoli. Corretta l'umidità e molto ben misurata la dolcezza.

Gruè – Roma - Viale Regina Margherita, 95 – 068412220 - https://www.facebook.com/pasticceriagrue/

 

Pasticceria Veneto - Iginio Massari

La superficie esterna appena ruvida, verace e invitate ne dichiara in modo trionfante l'artigianalità, bello anche l'interno, molto ben alveolato, ma piuttosto asciutto – soprattutto in alcune parti - e poco filante. Allo sguardo si nota la vaniglia, presente in quantità generosa (tra gli ingredienti, insieme a farina di grano tenero tipo 00, burro, uova fresche, zucchero velo, acqua, lievito di birra, burro di cacao, tuorli, latte, sale), che riporta una sensazione croccante al morso. Al naso risulta un po' chiuso e non troppo esuberante, con il lievito che si fa vivo anche nell'analisi olfattiva.

Veneto – Brescia - via Salvo D'Acquisto, 8 – 030392586 - 030392586 - https://www.iginiomassari.it/pasticceria-veneto/

 

Alfonso Pepe

L'esterno è scuro e spugnoso, con un lieve cornicione nella parte inferiore che ricorda la cottura nel forno a legna, con una struttura poco filante ma molto morbida. Le note chiuse al naso sono bilanciate da richiami di marmellata di arancia data dalla scorza (presente negli ingredienti in una pasta realizzata con sciroppo di glucosio e zucchero), insieme a farina 00, burro, zucchero, uova, tuorli d’uova, lievito naturale, burro di cacao, miele, latte, sale e bacche di vaniglia del Madagascar. Gli aromi non precisissimi e un po' scomposti si ritrovano anche all'assaggio, dove torna la sensazione croccante data dalla vaniglia presente in grande quantità e un rimando amarognolo sul finale.

Pasticceria Pepe - Sant'Egidio del Monte Albino (SA) - via Nazionale, 2/4 – 0815154151- http://www.pasticceria-pepe.it/

 

Nero Vaniglia

Ancora un pandoro chiaro, e ancora un pandoro asciutto. È un dolce spartano, che manca la prova del filo e non vuole giocare la carta dell'esuberanza burrosa, tipica di questo dolce natalizio. È un prodotto sincero, pulito, pur se all'analisi olfattiva non emerge molto il burro ma si percepiscono aromi floreali e di cocco. Croccante per la presenza di semini di vaniglia (tra gli ingredienti insieme a farina, burro, pasta madre viva, zucchero, uovo, latte fresco intero, lievito di birra, sale, fava di tonka) e con una chiusura vagamente amarognola.

Nero Vaniglia - Roma - Circonvallazione Ostiense, 201 – 06578 0306 - https://www.facebook.com/Nero-Vaniglia-814247182024418/

 

Opera Waiting

Superlievitazione con alveoli molto pronunciati e distribuiti in modo non del tutto omogeneo che in abbinata a sentori vintage e leggermente chiusi che emergono nell'analisi olfattiva e a un po' di acidità fanno presumere una lievitazione lenta ma ad alta temperatura non del tutto dominata. Materie prime in gran parte biologiche, come per il miele toscano e le farina di grano tipo 0 impiegata per la pasta madre, presenti insieme a farina di grano tipo 0, burro, uova intere, zucchero, tuorlo d'uovo, acqua, malto d'orzo, lievito di birra, bacca di vaniglia.

Opera Waiting - Poggibonsi (SI)- Via San Gimignano, 71 – 05771741358 - http://www.operawaiting.it/

 

 


 

 

Heart & Hound. Esordio a LA per April Bloomfield, che inventa una taverna in stile inglese sul Sunset Boulevard

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Per il suo primo ristorante a Los Angeles (in California è la seconda prova, dopo il Tosca Cafe di San Francisco), la chef inglese adottata da New York recupera uno storico pub con giardino di Hollywood e imposta la cucina sul fuoco vivo, con uno spettacolare braciere a dominare la scena.

April Bloomfield. 15 anni di successi in America

A New York la conoscono tutti, eletta Best Chef in città nel 2014 dalla James Beard Foundation e colonna portante della ristorazione al femminile statunitense. Eppure April Bloomfield, classe 1974, il favore della città ha dovuto conquistarselo da straniera di belle speranze. E grande talento in cucina. Lei, originaria di Birmingham, negli Stati Uniti è arrivata per la prima volta nel 2003, dopo un inizio professionale brillante in Gran Bretagna, per un passaggio obbligato da Alice Waters, in California. La sua storia newyorkese, invece, la vede sin dall’inizio al fianco di Ken Friedman, ristoratore altrettanto lungimirante con cui in poco più di dieci anni sarà in grado di concepire un impero della ristorazione (con qualche defaillance, come l’ultimo intoppo di Salvation Burger, progetto sfortunato inaugurato all’inizio del 2016 al Pod Hotel di Midtown East, funestato da un incendio, poi riaperto e definitivamente chiuso a luglio 2017), a partire dall’iconico gastropub The Spotted Pig, recentemente privato della stella Michelin. Nel frattempo sono arrivati il The Breslin Bar & Dining Room, The John Dory Oyster Bar, la macelleria con cucina The White Gold Butchers, Salvation Taco, e un’incursione californiana a San Francisco con il Tosca Cafè. Sempre all’insegna di una cucina schietta, generalmente impostata su una proposta carnivora e sull’attualizzazione della tradizione gastronomica americana e anglosassone.

Heart & Hound a LA

Da qualche settimana, però, il duo Bloomfield-Friedman – seppur in un momento non proprio favorevole, visto il recente coinvolgimento di Friedman nello scandalo delle molestie sessuali che sta facendo tremare il gotha americano – ha scelto di scommettere ancora una volta sulla West Coast, raddoppiando gli avamposti in California con l’apertura di Heart & Hound a Los Angeles. Il progetto è maturato a lungo - da due anni si attendeva l’arrivo della coppia in città - e ha ereditato lo spazio dell’ex pub inglese Cat & Fiddle sul Sunset Boulevard di Hollywood, ripensandolo nello stile di una taverna sempre di impostazione inglese (molti già avanzano paragoni con lo Spotted Pig, ricreato in salsa californiana), con tanto legno, pietre a vista, parquet, camini, travi, specchi alle pareti, vecchie credenze. Mentre anche la corte di pertinenza dell’edificio storico che ospita il locale sarà a disposizione di chi vuole mangiare sotto le stelle, con 100 coperti (un altro centinaio all’interno) allestiti intorno alla storica fontana restaurata.

La cucina. A fuoco vivo

Dal bancone del bar, invece, si apprezza la cucina a vista, dominata dal fuoco di un grande braciere, vero protagonista dell’impresa, e dal forno a legna incassato nella parete (“abbiamo sviluppato il concept a partire dalle cotture sul fuoco vivo” spiegava April a pochi giorni dall’inaugurazione). Uno spazio scenografico, dunque, ma familiare quanto basta per raccontare una cucina che non vuole stupire con effetti speciali, e anzi gioca su classici consolidati della chef: maiale con mele cotogne arrosto, barbabietole con noci e formaggio di capra, bistecche cotte sulla brace, e grande varietà nella scelta di primizie e ingredienti stagionali che accompagnano ogni pietanza. Oltre alla scelta di puntare con più forza sulle proposte vegetariane: la carne c’è, ma le alternative non mancano. E così anche ortaggi, radici, tuberi traggono vantaggio dalla cottura sul fuoco vivo, come dimostrano un paio delle portate principali del primo menu: carote alla griglia con peperoncini arrosto, lime e vinaigrette o patate confit croccanti con kefir e cardi. Del resto l’aspettativa è alta, e in cucina nessuno vuole correre il rischio di deludere l’attesa, tanto che per i primi mesi April Bloomfield sarà costantemente in viaggio tra New York e Los Angeles. Piacerà a Hollywood la cucina country chic della chef? Intanto, a tener alta l’attenzione sulla scena gastronomica losangelina ci pensa David Chang, anche lui prossimo all’esordio in città, nel quartiere di Chinatown. Slittata di qualche mese l’apertura – ora si parla di inizio 2018 – da pochi giorni Chang ha reso noto il nome ufficiale dell’insegna, Majordomo. Il resto è ancora un mistero.

Heart & Hound – Los Angeles – Sunset Boulevard, 6530 – www.theheartandhound.com

a cura di Livia Montagnoli

Libri. Borgogna e le vigne della Côte d'Or. Intervista ad Armando Castagno

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Presentato a Roma lo scorso 11 dicembre, ma già prenotabile da metà settembre, “Borgogna. Le vigne della Côte d'Or” è l'ultima fatica editoriale di Armando Castagno. Un libro che ha accolto solo pareri positivi.  

Non appena le prime copie hanno visto la luce e sono state recapitate ai primi acquirenti, sui siti di settore e nei social tutti hanno iniziato a parlarne, con termini entusiastici, tanto che qualcuno lo ha salutato come “il caso editoriale dell'anno”. E noi condividiamo abbastanza. Iniziamo con un po' di numeri: 800 pagine, 4.1 kg di peso, 10 anni per la raccolta del materiale, due per la redazione, più di 400 monografie dedicate ai vigneti del territorio e alla loro estrema parcellizzazione, 110 annate (dal 1900 al 2016) raccontate in appendice. Si capisce già da questi dettagli la monumentalità dell'opera. Che potrebbe sconfortare come di solito sconfortano tutti i tomi troppo imponenti. Però, basta aprire le prime pagine (compresa la prefazione, affidata a Michel Bettane, forse il critico enoico più importante di Francia; e l'articolata – e divertente – introduzione, a firma di Fabio Rizzari) per percepire che ci si trova di fronte a qualcosa di diverso, un'opera che è enciclopedica senza essere pedante; stile che riflette la personalità dell'autore.

L'autore

Armando Castagno è tra i critici enoici più importanti in Italia. Laureato in Giurisprudenza prima e Studi Storico Artistici poi, ha dedicato la sua vita al vino e alla diffusione della cultura ad esso legata. Dal 2003 tiene Master e Corsi di approfondimento in tutta Italia e insegna presso l'Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo.

Il libro

Il libro consta di quattro parti: a una prima di carattere generale relativa a temi quali la storia, il territorio, la legislazione, l'ampelografia, l'enologia e la toponomastica, seguono la seconda e la terza parte nelle quali ci si cala profondamente nella Côte d'Or, nelle sue denominazioni, nelle sue vigne alle quali sono dedicate monografie più o meno lunghe, ma tutte frutto di dettagliate ricognizioni che abbracciano dati storici, territoriali, geologici, altimetrici, toponomastici e aneddotici, nonché la fisionomia da considerare classica per il vino che ne deriva. Infine, la quarta parte è l'appendice sulle annate, citata sopra.

Ne consegue che il libro non è una guida ai “consigli per gli acquisti”. Non si parla di aziende, se non in maniera incidentale, ma di terroir, parola oggigiorno forse abusata nel mondo del vino, ma che trova la sua atavica ragion d'essere proprio qui in Borgogna: “esso costituisce il punto di partenza e insieme l'obiettivo finale del lavoro di chi le vigne di Borgogna ha ieri delimitato e studiato, e oggi abita e cura” come spiega Castagno nella Premessa. Vi lasciamo alle parole dell'autore, che potrete incontrare nelle prossime presentazioni del suo lavoro a Napoli (21/12), Udine (19/01), Asolo (23/02), Bologna (26/02), Verona (20/03); in preparazione, ma senza ancora una data, ci saranno tappe a Livorno, Genova e Cagliari.

 

Cosa ti ha spinto a scrivere un libro sulla Borgogna?

La voglia di leggerlo. O per dire meglio, la constatazione che il libro che sognavo, con le vicende puntuali delle vigne della Côte d’Or, non esisteva in italiano ed era a mio avviso spesso sbrigativo e un po’ didascalico e soggettivo, pur esistendo, in inglese.

Quando hai esposto il progetto all'editore, che accoglienza hai trovato?

L’idea l’avevo avuta nel 2010, e ho ancora i primi file scritti all’epoca, una ventina di testi, devo dire buttati giù piuttosto male e in modo disomogeneo; avevo abbandonato il progetto perché troppo complicato. Un caro amico e collega, Ruggero Rinaldi, me l’ha riproposta un paio di anni fa, ma è poi stato l’editore stesso, Paolo Buongiorno a telefonarmi chiedendomi se fossi disponibile a lavorare a questo progetto. Io ho detto “sì” ed eccoci qua. Il merito è essenzialmente loro.

Quanto tempo (e fatica) si impiega a scrivere un libro così?

Tempo di preparazione una buona decina di anni, perché il materiale da collazionare è cospicuo. Tempo di scrittura un paio d’anni a tappe forzate, quattro o cinque ore al giorno più o meno tutti i giorni comprese le festività. E quindi la fatica fisica c’è, ma è nulla rispetto a quella mentale.

Esistono altri libri simili sulla Borgogna? A quale pubblicazione ti sei ispirato? Quali sono state le tue fonti più importanti?

Il libro che ho scritto è nuovo come impostazione; il solo testo che io conosca che tenti un’analisi di tutti i vigneti di un qualche prestigio nella zona è “Inside Burgundy”, del Master of Wine Jasper Morris. Altri autori che ho consultato sono ad esempio Clive Coates, Remington Norman, Charlotte Fromont, Marie-Hélène Landrieu-Lussigny, Jean-François Bazin e Henri Cannard.

Il libro è un vero e proprio manuale d’“istruzioni per l'uso”, e non un elenco di aziende e dei loro vini (che pure ci sono, ma in maniera incidentale). Perché questa scelta?

Per non dargli una scadenza: il libro tratta di fattori per la grande maggioranza stabili e oggettivi, come il terroir in tutti i suoi elementi, la geologia regionale, la legislazione e le radici toponomastiche. Il fattore produttivo è fondamentale, ma a mio giudizio lo si può apprezzare ancora meglio, scegliendosi i modelli di riferimento e i produttori del cuore, dopo aver letto o consultato il volume che ho scritto. Se li avessi inseriti nel volume, avrei al contempo immesso una grande quantità di asserzioni soggettive, altamente discutibili, e non era quel che intendevo fare.

In un momento storico in cui questi vini sono diventati molto costosi e rari, il tuo libro a chi si rivolge?

A tutti coloro che amano i vini espressione di un territorio, perché la Borgogna può fare da buon esempio. E soprattutto agli amanti della Borgogna stessa, perché nel volume viene accordata la stessa dignità a tutti i comuni analizzati, e di conseguenza diventa più semplice orientare gli acquisti verso luoghi poco comunicati ma di grande valore potenziale, come Fixin, Savigny-Lès-Beaune, Monthelie, Auxey-Duresses, Saint-Aubin o Santenay. Credo che almeno questi non siano ancora interessati, se non marginalmente, dall’aumento spaventoso dei prezzi.

Perché il vino in Borgogna è così “difficile”? Che cosa differenzia la Borgogna da tutto il resto?

Lo scrivo in premessa: la tensione un po’ anacronistica ma di enorme portata culturale verso l’analisi anziché la sintesi. In un mondo che generalizza e raggruppa, la Borgogna mantiene un sistema che esige di andare al dettaglio, perché sia compreso. Anzi, di partire dal dettaglio; un po’ come l’arte dei paesi di radice nordica, come le Fiandre che facevano parte del Ducato di Borgogna: Federico Zeri diceva che la pittura italiana si guarda partendo dall’insieme e andando al dettaglio, mentre la pittura nordeuropea chiede che si parta dal dettaglio per andare all’insieme. Chissà che non sia una questione ancestrale, insita nel DNA delle persone.

Ormai siamo giunti alla mitizzazione di questo territorio, e spesso viene usato come termine di paragone per alcune zone o alcuni vini italiani: non credi che questo possa essere un po' pericoloso o comunque controproducente per il vino italiano?

Senza dubbio sì. Pericoloso, inutile, scoraggiante e fuori luogo, in quanto introduce un elemento di subalternità dal quale i nostri territori classici non sono affatto interessati. Alle volte si parla peraltro di “stile borgognone” per esprimere, nei rossi, un carattere basato sull’acidità, che va oggi di gran moda. Se ci si intende sui termini si può anche capire la metafora, ma io penso sia meglio evitarla quattro volte su cinque.

Non solo vigneti e vigne ma anche una ricerca intensa nelle biblioteche e nei catasti, soprattutto per la parte riguardante le interpretazioni etimologiche che hai dato di più di duecento lieux-dits. Che ci racconti a riguardo?

Che è la parte del libro che mi è piaciuto più scrivere, proprio perché presupponeva ricerche d’archivio. Ne ho svolte a Beaune, a Digione e in alcuni luoghi oggi secondari ma un tempo importanti, perché ospitavano capitoli abbaziali e biblioteche. Sono riuscito poi ad acquistare alcuni volumi antichi senza svenarmi, e li ho utilizzati, talvolta. Resta il fatto che la maggioranza dei “misteri” che questi nomi portavano con sé si potevano risolvere semplicemente con un buon vocabolario italiano-latino classico.

Il libro, oltre che da mappe dettagliate, fondamentali per la comprensione di questo territorio, è corredato da fotografie evocative, che ritraggono ovviamente i vigneti, ma anche dettagli di cantine, chiese, villaggi, case... come le avete scelte? E perché non ci sono didascalie?

Le fotografie sono veramente belle e suggestive, e sono uno dei vanti del libro; le ha scattate Andrea Federicia tutte le ore del giorno. Le ho scelte io, a seconda del testo che viene loro pubblicato vicino. Esse hanno la funzione di trasportare nell’ambiente della Borgogna, e così come non ci sono didascalie nel paesaggio “reale”, non ci sono nel libro. Fanno parte del viaggio, per così dire: ne rendono il colore, la temperatura, la materia, l’umore, se mi passi i termini.

Nell’ultima parte del libro, c'è una sezione relativa alla descrizione delle annate, dalla 2016 fino a risalire al 1900. Dove si reperiscono le informazioni per andare a descrivere vini e annate così vecchi? Qual è l’annata più vecchia che hai mai assaggiato?

Mi è capitato raramente di assaggiare cose di Borgogna molto vecchie, e mai del XIX secolo, ma non ricordo una sola bottiglia veramente deludente. I vini dei primi vent’anni del Novecento sono spesso fonte di enorme sorpresa, ad esempio: quest’anno la generosità di un amico di Napoli mi ha permesso di assaggiare il mio primo 1917, un Corton Rouge che pensavo ridotto ai minimi termini: invece era un vino dalla tenuta granitica.

Ricordi il primo Borgogna che hai assaggiato? E invece l’ultimo?

Il primo sì: il Vosne-Romanée Premier Cru Beauxmonts 1993 di Emmanuel Rouget, aperto dal dedicatario dell’opera Giancarlo Marino, il più grande esperto di Borgogna che io conosca in Italia. L’ultimo è giustappunto in rampa di lancio per stasera a cena: è il Pommard Les Petits Noizons 2015 di un piccolo Domaine che si chiama Moissenet-Bonnard, e che mi piace molto.

Sarebbe possibile scrivere un libro simile su una zona italiana? È nei tuoi progetti futuri?

Certamente è possibile, e per diversi territori: forse sarà la prossima iniziativa che prenderemo. C’è da scegliere bene luoghi, tempi e modi, ma alcune zone si prestano ottimamente. Spero altresì che i più bravi tra i miei colleghi si cimentino anche loro presto in opere di un certo respiro, così da tornare a riempire tutti insieme la biblioteca degli appassionati italiani con testi analitici in lingua italiana.

La prima edizione è stata tirata in 1500 copie: le prenotazioni sono iniziate il 18 settembre e tutto lascia prevedere che ci sarà una seconda ristampa. Per un libro così imponente, dall'argomento molto settoriale e dal costo (giustamente) elevato, si può parlare di grande successo. Come te lo spieghi?

Non me lo spiego affatto: ho difatti perso con ignominia tutte le scommesse che ho fatto cercando di prevedere quante copie avremmo venduto entro fine 2017. La Borgogna è indubbiamente un argomento che “tira” più di quanto da me immaginato. Meglio così, è una notizia ottima sotto vari aspetti, perché penso che studiare luoghi e comunità umane come quelle della Borgogna accresca la coscienza e la cultura del vino in chiunque, sia che ne apprezzi i vini, sia in caso contrario.

 

Borgogna. Le vigne della Côte d'Or - Armando Castagno - Tre Bit Edizioni - pp. 800 - 100 € - levignedellacotedor.com

 

a cura di William Pregentelli

Morto Sebastian Stocker. Addio all’enologo di Terlano che ha “inventato” la longevità del bianco altoatesino

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Dal 1955 al 1993, per quasi 40 anni mastro cantiniere della storica Cantina Sociale di Terlano, nel cuore dell’Alto Adige vitivinicolo. E brillante inventore del metodo Stocker, che di pinot bianco e sauvignon esalta la longevità e la complessità aromatica. Classe 1929, si è spento a 88 anni. 

Addio a Sebastian Stocker

È stato un 2017 difficile per il mondo del vino italiano, che negli ultimi mesi ha dato l’ultimo saluto a molti padri fondatori dell’enologia nazionale, accomunati da grande tempra, lunghe carriere e brillanti intuizioni. E la tendenza non si smentisce neppure ora che l’anno volge al termine, a pochi giorni dall’arrivo del nuovo, colpendo nel cuore dell’Alto Adige vinicolo che fa capo a Terlano, e alla sua celebre denominazione. Ad andarsene, stavolta, è Sebastian Stocker, classe 1929, che della storica Cantina di Terlano ha gettato le fondamenta, battezzando una tecnica di cantina – il cosiddetto metodo Stocker, ispirato dall’esempio dei colleghi francesi – che dei grandi bianchi del territorio ha contribuito a tracciare una storia luminosa, esaltandone longevità e complessità aromatica attraverso una sosta prolungata sui lieviti fini (una lunghissima maturazione in botti di legno “sur lie”), seguita poi da anni di affinamento. La Cantina Sociale del Terlano, fondata nel 1893, lo accoglieva per la prima volta nel 1955, poco più che ventenne: solo nel 1993 si sarebbe ritirato nel suo maso sopra la cittadina altoatesina per dedicarsi, con suo figlio Sigmar, a produzioni indipendenti, con il pallino per gli spumanti (metodo classico), a base pinot bianco, chardonnay, sauvignon.

 

La longevità del bianco altoatesino. Il metodo Stocker

Per 40 anni, però, è stato il Kellermeister di Terlano, e l’attività della cantina sociale l’ha fatta crescere, organizzandola al meglio, preservando una collezione di bottiglie che potessero raccontare la storia del luogo – l’archivio enologico tuttora custodito nel caveau, che conta oltre 100mila bottiglie -  ma soprattutto guidando l’attività in vigna e in cantina con metodi innovativi, alla ricerca costante della longevità del vino, da uve bianche pinot e sauvignon. Facendo scuola. Ancora oggi, non a caso, le “rarità” della Cantina Terlano seguono la strada tracciata dal maestro, come si legge sul sito ufficiale della cantina: “Le annate migliori si fanno prima affinare in botti di rovere per un anno, poi si travasano in piccoli fusti d’acciaio da 2.500 litri, dove rimangono da 10 a 30 anni, avendo così tutto il tempo per sviluppare sui lieviti fini i loro aromi e la loro struttura complessa. Quando l’enologo ritiene che abbiano raggiunto il grado ideale d’armonia ed equilibrio, questi vini vengono imbottigliati, e fatti invecchiare per altri 4-5 anni prima di essere pronti per la mescita”. Perché secondo la filosofia impartita da Stocker, scomparso all’età di 88 anni, ma lucidissimo fino alla fine, “prendersi il tempo e dare il tempo alle cose è forse il lusso più grande che possiamo immaginare”. Se i vini bianchi altoatesini oggi sono così apprezzati in Italia, e nel mondo, molto è anche merito suo. E Terlano ora lo ricorda commossa. 

 

Photo credit Sebastian Stocker

Libri. 13 volumi da regalare e regalarsi a Natale 2017

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La storia a due voci dell'Enoteca Pinchiorri, i 50 anni del Ristorante Da Vittorio, le ricette di Michel Roux, la guida ai ristoranti da scoprire e molto altro. 13 libri imperdibili da regalare e regalarsi sin questo Natale 2017.

 

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Altri grani altri pani

Un grande libro sul pane, che parte dalle vecchie varietà di grano, passa per i mulini e le farine (come quelle di Filippo Drago in Sicilia o Rosario Floriddia in Toscana), e arriva ai forni e da questi ai pani. Laura Lazzaroni cerca il Pane con la P maiuscola, ovunque si trovi: dal “guru” Eugenio Pol a Fobello, al mercato del Suffragio di Milano da Davide Longoni, dai ragazzi del Forno Brisa di Bologna e da Giuseppe Concordia di Bari e Alessandro Battazza di Riccione, passando per il laboratorio romano di Pina Fioretto, Niko Romito in Abruzzo e Franco Pepe a Caiazzo, che sperimenta con la pizza. Una geografia artigianale e agricola che traccia le traiettorie dell'arte bianca dentro e fuori l'Italia, attraversando l'Oceano per incontrare gente come Chad Robertson, Michael Pollan, Dan Barber, Stephen Jones. Con ricette d'autore, informazioni tecniche, un diario intimo di panificazione domestica, bellissime immagini e un gusto per la narrazione di rara eleganza.

Altri grani altri pani - Laura Lazzaroni - Guido Tommasi - 312 pp – 28 euro

 

I miei appetiti

Anthony Bourdain è un uomo dai molti appetiti. E un personaggio capace di avvincere i suoi molti seguaci, sia dal pass della cucina, al piccolo schermo, come dalle pagine dei molti libri che ha firmato. L'autore di best sellers come KitchenConfidential,Al Sangue, I viaggi i un cuoco, firma oggi un libro di ricette (quelle che tutti, secondo lui, sono i grado di cucinare). Lo stile è quello che abbiamo imparato a conoscere e amare: irriverente, impertinente, e molto divertente. Così come lo sono le fotografie che corredano le parole. Parole e immagini che trascinano nell'universo Bourdain. Anche quando si parla di ricette classiche come la caesar salad o la bisque di gamberi, o di creazioni originali come le vongole con chorizo, porri, pomodori e vino bianco. E i dessert… “Fanculo il dessert”

I miei appetiti - Anthony Bourdain – Gribaudo – 304 pp. - 29 euro

 

Il pane è oro

Il concetto alla base del Refettorio Ambrosiano diventa un volume edito da Phaidon a firma di Massimo Bottura, In lingua inglese, il volume raccoglie ricette per menu di tre portate firmate da 45 top chef. Tra gli altri Daniel Humm, Mario Batali, René Redzepi, Alain Ducasse, Joan Roca, Ferran & Albert Adrià, Virgilio Martínez. Circa 150 ricette (e 200 foto) che trasformano ingredienti quotidiani e parti di scarto in piatti deliziosi, economici, semplici da riprodurre e dunque alla portata di tutti. Il libro è parte di un progetto più ampio che si propone di cambiare l'approccio all'alimentazione, democratizzare la cucina di qualità, e di “sfamare il mondo” sfruttando il potenziale gastronomico di quelli che, a torto, vengono considerati rifiuti, ma rappresentano una risposta concreta all'emergenza alimentare.

Il Pane è Oro, Massimo Bottura - ed. Phaidon, 2017, L'Ippocampo – 25,42 euro

 

Pinchiorri a due voci

Due libri in uno: da una parte la cucina di Annie Feolde, dall'altra la cantina di Giorgio Pinchiorri. Insieme sono l'anima concretissima di un posto mitico: l'Enoteca Pinchiorri di Firenze, raccontata per i suoi 45 anni, intrecciando i loro percorsi professionali e umani, dall'infanzia a oggi. C'è Annie che, nella sua eleganza regale, si rivela affettuosa, spontanea e appassionata, come l'abbiamo vista sul numero di dicembre del Gambero Rosso. E c'è Giorgio Pinchiorri, schivo, pieno di temperamento, che racconta con ruvida sobrietà il suo improvviso amore per il vino, l'incendio del 1992, si accende di fronte alla sua sconfinata e incredibile cantina, ai vini, alla scoperta e ai riti di quel suo culto laico. Con 10 piatti storici di Annie, le grandi bottiglie di Giorgio, le testimonianze dei molti personaggi che sono passati all'Enoteca, foto storiche, illustrazioni.

Pinchiorri a due voci -Leonardo Castellucci – Cinquesensi - 224 pp. – 35 euro

 

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Pisani e Negrini. Il Luogo di Aimo e Nadia

Quasi una coppia di fatto, quella composta da Alessandro Negrini e Fabio Pisani, che ha saputo raccogliere l'eredità di Aimo e Nadia senza congelarla in una celebrazione conservativa ma rinnovandola con coerenza e continuità. La testimonianza è tutta condensata in questo volume bilingue: oltre 60 ricette con immagini di Adriano Mauri, tra piatti storici (immancabili gli Spaghettoni al cipollotto), nuovi classici e creazioni recenti, organizzate per sezioni: verdure (anche in versione dolce), pasta (secca, fresca e trasformata come nel Popcorn di pasta dolce), riso, pesce crudo e cotto, carne, e infine dessert (mai troppo dolce). Un viaggio nei sapori della penisola alla maniera de Il Luogo, che in oltre 50 anni di vita ha saputo leggere, con originalità, la cucina italiana, sancendone l'incontro tra Nord e Sud.

Pisani e Negrini. Il Luogo di Aimo e Nadia - Alessandro Negrini e Fabio Pisani - Italian Gourmet - 240 pp – 68 euro

 

L'essenza della cucina francese

Nell'introduzione al suo libro, Michel Roux, dichiara: "Prima di cominciare, con il supporto dei miei settant'anni di esperienza, vorrei prendervi per mano e accompagnarvi in un tour alla scoperta delle ricchezze naturali della Francia. Senza questo viaggio per me sarebbe difficile, se non impossibile, spiegare e descrivere la nostra infinita gamma di cibi e prodotti”. E parte da qui per tratteggiare il profilo di una cucina che sa interpretare al meglio quel che offre il territorio francese. Un giacimento incredibile di tesori agroalimentari che lo chef ha attraversato da un capo all'altro, per scovare prodotti unici, rarità, materie prime fondamentali per le sue ricette. Quelle che del The Waterside Inn, a Bray, nel Regno Unito, oggi guidato dal figlio Alain. Il volume, costato tre anni di vita e numerosi viaggi, è un'antologia di grandi piatti d'oltralpe.

L'essenza della cucina francese - Michel Roux - Guido Tommasi Editore – 272 pp. - 34 euro

 

Ristoranti da scoprire

L'ultima fatica editoriale di Marco Bolasco (ex curatore della guida Ristoranti del Gambero Rosso, ex direttore editoriale e attuale curatore della guida Osterie d'Italia di Slow Food, oggi stabilmente in forze alla Giunti) parla di ristoranti. Ma non i soliti noti, quelle insegne blasonate e incensate dalla critica internazionale. Stavolta si concentra su locali meno famosi, ma che vale la pena di conoscere, facendo il paio con l'equivalete volume sui Vini da scoprire. Un indirizzario intimo, fatto di posti del cuore, accoglienti, con una propria identità non solo gastronomica e una cucina fatta di materia e sentimento, e della vita e delle storie di chi li ha creati. Un taccuino redatto con un'attitudine da talent scout e una prospettiva nuova, che vuole dar conto dei cambiamenti del sempre più variegato mondo dell'enogastronomia, con l'ingresso di nuove personalità da una parte all'altra del pass.

Ristoranti da scoprire - Marco Bolasco - Giunti - 256 pp - 18 euro

 

Lenticchie alla julienne

Vita, ricette e show cooking del grande Alain Tonné, il più grande chef di sempre, nato dalla fantasia di Antonio Albanese che non perde occasione di mettere alla berlina il mondo dell'enogastronomia, così come lo viviamo oggi, con i suoi vezzi e i suoi vizi. Con i suoi protagonisti, nuovi maître à penser, sex symbol, capitani di una nuova industria, celebrate star di un'arte interdisciplinare che si ammanta di metafisica, profeti pop della religione del raw food e del vegan con il loro vocabolario criptico, santoni che parlano con le verdure, eroi di un melò in cui ogni stella mancata volge in tragedia e ogni piatto non finito merita un guanto di sfida. Protagonisti, insomma, di imprese mitiche raccontate dal piglio caustico ed esilarante del comico e scrittore.

Lenticchie alla julienne - Antonio Albanese - Feltrinelli – 176 pp. - 15 euro

 

Com'è profondo il mare

 

Com'è profondo il mare

Prima spiaggia (fino a 15 metri), sottocosta (15-50 metri), mare aperto (da 50 a 200 metri), in profondità (da 200 a 500 metri), i viaggiatori (sui pesci migranti) e le acque salmastre. Con questi capitoli si dispiega il volume di Gianfranco Pascucci che racconta il mare e i suoi abitanti, suddividendo i paesaggi secondo le varie profondità a restituire un approccio sempre più attento all'intero habitat della fauna marina. Ogni capitolo un focus su specie e tecniche: per esempio la tellina nel primo, la marinatura nel secondo, il calamaro e il fritto nel terzo, il centrolofo nel mare aperto e il plancton a raccontare i grandi o piccoli viaggiatori del mare, fino al muggine, uno dei simboli dell'impegno di Pascucci nei confronti dell'ambiente oltre che in cucina, parte di un progetto nell'oasi di Burano. Poi preparazioni di base e ricette, 60. Su tutto, le bellissime foto di Lido Vannucchi.

Com'è profondo il mare - Gianfranco Pascucci - Gambero Rosso ed. - 192 pp. - 28,50 euro

 

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Da Vittorio

Un libro d'oro che celebra i 50 anni del locale della famiglia Cerea a Brusaporto, un ristorante immerso nella campagna lombarda, in 10 ettari curatissimi tra laghetti naturali e campi da gioco a pochi minuti di macchina da Bergamo. Un'avventura straordinaria che è, prima di ogni cosa, un'avventura familiare, nata con Vittorio e proseguita, giorno dopo giorno, da tutti i membri della famiglia. Diventato ormai un rifugio per gli appassionati gourmet di mezzo mondo, per chiunque cerchi, in un ristorante, qualcosa di più di un tavolo e del cibo. Il volume racconta storie e ricette di questa famiglia che ha saputo dare un nuovo significato alla tradizione lombarda.

Da Vittorio – Mondadori - 216 pp. – 49 euro

 

Classico contemporaneo La prima autobiografia di Enrico Bartolini

Dal terzo piano del Mudec, quartier generale meneghino di Enrico Bartolini che gestisce anche il bistrot al piano terra (oltre ai locali di Bergamo, Venezia e in Maremma, in attesa del prossimo, all'interno di Fico di Bologna), il pluripremiato chef racconta la sua storia. Che è una storia di successo, ma soprattutto una storia d'amore, quello per la cucina. La racconta in prima persona, muovendosi tra suggerimenti, ricette e ricordi. In una visione che non riguarda solo la cucina cucinata - la sua: nel segno di una classicità riadattata - ma anche quella vissuta, fatta di assaggi, incontri, ricordi ed esperienze. Nella seconda parte del volume 30 ricette: da quelle più familiari, a quelle della maturità. Tutte con un corredo di racconti, ricordi e le bellissime foto di GiòMartorana.

Classico contemporaneo - Enrico Bartolini - 24 ore Cultura - 160 pp – 29,50 euro

 

Il mio cioccolato

Non è solo un volto televisivo, Guido Castagna, da anni ospite di Antonella Clerici (che firma la prefazione) alla Prova del Cuoco. Castagna è un dei più grandi cioccolatieri italiani, che ha definito un suo disciplinare rigorosissimo di produzione - Cioccolato Metodo Naturale Guido Castagna - che parte dalla selezione delle fave di cacao, prodotte in cooperative certificate, e arriva alla loro lavorazione e trasformazione in praline, tavolette e nei famosissimi giuinott, e negli altri prodotti. In questo libro, però, non parla solo di questo, ma anche dell'uso del cioccolato in pasticceria, protagonista di ricette golosissime, perfette per le feste.

Il mio cioccolato – Guido Castagna - Giunti Editore - 160 pp - 18 euro

 

La versione di Knam. Il giro d'Italia in 80 dolci

I dolci italiani visti con gli occhi di un pasticcere tedesco innamorato dell'Italia. È un omaggio al paese che lo ha adottato, e alle sue tradizioni regionali, quello che fa Ernst Knam, con la voglia di raccontare l'aspetto più intimo legato ai dolci, quelli che accompagnano i momenti di festa delle persone, spesso legati a tradizioni e ricette trasmesse per via orale. Parte proprio da queste, Knam, per trasformare i dolci tipici dall'interno con il sapere del grande pasticcere: dettagli minimi, piccoli accorgimenti, nuovi ingredienti, conoscenze tecniche che attualizzano questi dolci e ne fanno prodotti unici.

La versione di Knam. Il giro d'Italia in 8o dolci - Ernst Knam - Giunti Editore - 256 pp - 19.90 euro

 

 

Bianco Natale 2017. Gli antipasti suggeriti dai grandi chef

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Il bianco è il colore della purezza, della luce e dell’essenzialità e allo stesso tempo è simbolo di solennità ed eleganza. Ecco un menu natalizio tutto bianco, a cominciare dagli antipasti suggeriti dai più grandi chef d'Italia.

Abbiamo chiesto ai più grandi chef d'Italia (premiati con le Tre Forchette nella nostra guida Ristoranti d'Italia 2018) di inviarci delle ricette in occasione della Vigilia di Natale, con un unico limite: il piatto doveva risultare bianco. La cosa inaspettata è che siamo stati inondati di ricette! Ecco la puntata dedicata agli antipasti, quelli di Valeria Piccini, Bobo Chicco Cerea, Francesco ApredaMoreno CedroniAnthony GenoveseHeinz Beck e Mauro Uliassi.

Baccalà, calamaro, cavoli cotti e crudi, yogurt al limone – Da Caino, Montemerano (GR)

È una storia bella da raccontare quella di Valeria Piccini, chef e patronne del ristorante, con il marito Maurizio Menichetti e il figlio Andrea: una giovane donna che si sposa ed entra a lavorare in cucina nella trattoria dei suoceri. Anno dopo anno l'esperienza cresce e quando lei e il marito decidono di trasformare il locale è pronta a mettere in pratica gli insegnamenti acquisiti. Valeria ha iniziato così la carriera di autodidatta, che l'ha portata a diventare una delle chef più rinomate del nostro paese. Lei consiglia la sua ricetta, ovviamente bianca, a base di baccalà.

Baccalà, calamaro, cavoli cotti e crudi, yogurt al limone – Da CainoBaccalà, calamaro, cavoli cotti e crudi, yogurt al limone – Da Caino

Ingredienti per 4 persone

150 g di baccalà dissalato e tagliato a fette sottili

120 g di calamaro pulito e affettato a tagliatella sottile

300 g di cavolfiore

100 g di yogurt greco

Succo di 1 limone

Olio extravergine di oliva

Sale di Maldon e pepe q.b.

1/2 bicchiere di aceto di vino

Tagliare a metà il cavolo e dalla parte centrale ricavarne delle fette sottili e tenere da parte, tagliare poi 12 cimette che verranno sbianchite in acqua bollente nella quale è stato aggiunto l’aceto. Saltare in una padella antiaderente le tagliatelle di calamaro, asciugarle bene per eliminare l’olio in eccesso. Unire il succo di limone allo yogurt e mescolare bene. In un piatto piano preparare la composizione con le fettine di baccalà, il calamaro, i cavolfiori cotti e crudi e versare tutt’intorno lo yogurt. Spolverare di sale, pepe nero di mulinello e olio extravergine. Buon Natale a tutti!

 

Carpaccio di branzino con crema di ostriche, granita di vodka lime – Da Vittorio, Brusaporto (BG)

Se parliamo di Esperienza con la E maiuscola, che inizia dalla cortesia del posteggiatore al sorriso di mamma Bruna, non c'è partita: Da Vittorio è imbattibile. E pensare che tutto è cominciato in un "ristorantino" di Bergamo, aperto e tirato su da Vittorio Cerea, che mezzo secolo fa ebbe l'ardire di proporre una cucina di mare in una città dove la tradizione vuole quasi solo la terra. Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti, la famiglia si è allargata e si è spostata in provincia, e gli eredi e la consorte di Vittorio ne hanno egregiamente raccolto il testimone. Ai lettori del Gambero Rosso Bobo e Chicco Cerea (entrambi alle redini della cucina) propongono la ricetta del carpaccio di branzino.

Carpaccio di branzino con crema di ostriche, granita di vodka lime – Da VittorioCarpaccio di branzino con crema di ostriche, granita di vodka lime – Da Vittorio

Ingredienti per la granita di lime

5 lime

100 ml di vodka

100 ml di acqua

30 g di zucchero

Unire in un contenitore l’acqua e lo zucchero, far riscaldare. Una volta che lo zucchero è sciolto aggiungere il succo di lime e la vodka. Congelare.

Per la crema di ostriche

2 scalogni

7 ostriche

100 ml di brodo di pesce

50 ml di panna fresca

Tagliare lo scalogno a julienne, far rosolare e unire le ostriche, la panna e il brodo di pesce. Portare a ebollizione, quindi far ridurre a fuoco basso per 5 minuti, frullare, passare a setaccio e far raffreddare.

Per il branzino

150 g di branzino

Sale di Maldon

Buccia di lime

Olio extravergine di oliva

In un piatto porre la crema di ostriche sul fondo, adagiare il branzino precedentemente diliscato, tagliarlo a fettine sottili e insaporire con sale di Maldon, olio extravergine, la granita di lime e la scorzetta. Guarnire con dell’insalatina croccante.

 

Tartare di scampi, mozzarella di bufala e appiccatelli vesuviani - Imàgo dell'Hotel Hassler, Roma

Dieci anni di Imàgo con Francesco Apreda, un menu dedicato di "classici in evoluzione", il restyling di sala e cantina e un successo trasversale che non conosce battute d'arresto. Anzi. Il ristorante dell’Hassler nel tempo è diventato una meta amatissima da molti, sia per la vista che si gode dalle vetrate della sala (forse la più affascinante di Roma) sia per i piatti di Apreda, autore di una proposta sempre più originale e centrata, con i piedi piantati nella nostra tradizione e la testa in giro per il mondo. Lui ci propone la Tartare di scampi, mozzarella di bufala e appiccatelli vesuviani.

Tartare di scampi, mozzarella di bufala e appiccatelli vesuviani - Imàgo dell'Hotel HasslerTartare di scampi, mozzarella di bufala e appiccatelli vesuviani - Imàgo dell'Hotel Hassler

Ingredienti per la tartare di scampi e polvere

800 g di scampi

1 cedro

4 g di salsa di soia scura

160 g di olio extravergine di oliva

3 g di aceto di sherry

Sale in cristalli

Sbucciare gli scampi e tritare la polpa. A parte mescolare l’olio con la soia e l’aceto di sherry emulsionando il tutto. Condire poi, al momento di servire, la tartara di gamberi con l’olio emulsionato, il sale in cristalli e la buccia grattugiata di cedro.

Per la spuma di mozzarella

350 g di mozzarella

200 g di latte

50 g di panna

Frullare il tutto al termomix a una velocità media fino ad arrivare a 37° C, frullare poi alla fine per un minuto alla massima velocità. Inserire il liquido nel sifone e caricare con due cariche di gas. Tenere il sifone a temperatura ambiente oppure in acqua a 35° C circa.

Per la pellicola di siero

300 g di siero di mozzarella

20 g di latte di bufala

4 g di agar agar

Mescolare siero e latte e filtrare il liquido, aggiungere l’agar agar e portare a ebollizione e filtrare nuovamente al colino fine. Stendere su delle teglie ottenendo uno strato sottile. Conservare in frigo e tagliare della forma voluta.

Per la polpa di appiccatelli alla scapece

500 g di appiccatelli vesuviani

Olio extravergine di oliva

20 g di aceto mele

5 g di sale

Menta e basilico

Friggere gli appiccatelli nell’olio di oliva a 140° C, scolarli e raffreddarli (conservare il liquido per la ricetta del crumble). Eliminare la buccia e scolarli, conservando un po’ di liquido. Tritare poi gli appiccatelli e condirli con aceto, sale, olio ed erbe tritate.

Per il crumble di pane al pomodoro

Liquido degli appiccatelli

Pane raffermo

Spugnare il pane nel liquido degli appiccatelli e seccarlo al forno a 70° C. Frullarlo e passarlo in padella con olio evo e asciugarlo ulteriormente.

Per le guarnizioni

Acetosella variegata in foglioline

Blend Pepi e Sesami by Apreda

Mozzarella di bufala disidratata

Adagiare la tartare di scampi al centro del piatto aiutandosi con un coppa pasta rotondo, aggiungere la polpa di appiccatelli alla scapece e ricoprire con la spuma di mozzarella e un velo di pellicola di siero. Infine guarnire con la mozzarella di bufala disidratata e polverizzata, le foglioline di acetosella variegata, il crumble di pane al pomodoro e completare con una spolverata di Blend di Pepi e Sesami by Apreda.

 

Baccalà Bianco - Madonnina del Pescatore, Senigallia (AN)

Ha anticipato mode gastronomiche e concept restaurant, inventato formule innovative che hanno segnato la strada di un'avanguardia ristorativa per la sua capacità di macinare sempre nuove idee. Lui è Moreno Cedroni, che con i suoi Madonnina del Pescatore, Clandestino susci bar e Anikò salumeria ittica, è diventato il punto di riferimento per chiunque voglia provare una cucina principalmente di mare, fatta di cuore, passione e tradizione, in un mix di fantasia e classe. “Nato e cresciuto davanti al mare, il Natale non poteva che essere di pesce, quindi passatelli in brodo di pesce e baccalà. Ma a voi invio la ricetta di un mio baccalà bianco, che naturalmente non è quello della mamma, rigorosamente con le patate, ma sicuramente uno dei baccalà più riusciti”.

Baccalà Bianco - Madonnina del Pescatore. Ph Brambilla e SerraniBaccalà Bianco - Madonnina del Pescatore. Ph Brambilla - Serrani

Ingredienti per lo sciroppo

25 g di zucchero semolato

15 g di aceto bianco

3 g di sale

Preparare lo sciroppo sciogliendo lo zucchero con il sale e l’aceto bianco.

Per la quinoa

200 g di quinoa

20 g di burro

1 l di acqua

8 g di sale

Mettere in ammollo la quinoa per 12 ore. Cuocerla in acqua bollente salata e scolarla. Unire lo sciroppo a 190 grammi di quinoa cotta. Cucinare il tutto come un risotto aggiungendo il burro e l’acqua bollente salata poco alla volta.

Per l’aria di cocco

Cocco in barattolo g 80

Acqua g 100

Sale g 2

Lecitina di soia g 1,7

Scaldare il cocco con l’acqua e il sale, poi aggiungere la lecitina di soia e frullare.

Per il cocco e la cipolla

40 g di cipolla bianca

100 g di cocco in barattolo

80 g di acqua

1 g di sale

2 g di succo di lime

Preparare il cocco e la cipolla sbollentando la cipolla tritata e aggiungendo il cocco, l’acqua e il sale. Mescolare gli ingredienti e aggiungere il succo di lime.

Per il baccalà mantecato

300 g di baccalà ammollato

180 g di latte pastorizzato

60 g di panna

15 g di aglio

Cuocere per 15 minuti il baccalà a fuoco medio con il latte, la panna e l’aglio tagliato a rondelle.

Per la maionese di baccalà

300 g di latte di cottura del baccalà

200 g di olio di semi

Emulsionare gli ingredienti con il minipimer.

Per le guarnizioni

4 g di daikon

10 g di maionese di baccalà

Sul fondo del piatto mettere la quinoa, il cocco, la cipolla e un pezzo di baccalà. Decorare con il daikon tagliato a spaghetto sottile, la maionese di baccalà e l’aria di cocco.

 

Capesante radicchio e melagrana – Il Pagliaccio, Roma

Difficile imbrigliare la cucina di Anthony Genovese con etichette, perché il suo è un estro dinamico e in continua evoluzione. Dopo la riapertura (per via dei lavori di ristrutturazione), poi, sembra proprio che il suo percorso di maturazione sia giunto a un punto decisivo. Ai lettori del Gambero propone un antipasto a base di capesante, ingrediente immancabile nelle cene della Vigilia.

Capesante radicchio e melagrana – Il PagliaccioCapesante radicchio e melagrana – Il Pagliaccio

Ingredienti per il radicchio fermentato (da preparare prima)

1 radicchio viola

Acqua

Sale

Zucchero

Aceto

Zucchero a velo

Prendere le foglie di radicchio e metterle sottovuoto in una soluzione di acqua e sale al 5% per due ore. Togliere l’acqua dalle foglie e dalla busta e chiudere nuovamente in una differente con una soluzione composta da una parte di zucchero, due di aceto e tre di acqua. Lasciare per 5 giorni a una temperatura di 40 gradi costanti. Dopo tutto aprire la busta, togliere le foglie e metterle ad essiccare, aggiungere zucchero a velo.

Per il battuto di radicchio

1 radicchio variegato

Olio

Burro

Verjus

Limone candito

Piquillo

Aglio

Zenzero

Capperi

Acciughe

Aceto di vino rosso

Tagliare a julienne le foglie di radicchio, mettere in pentola con olio e burro caldo, aggiungere il resto degli ingredienti e cuocere tutto a fuoco lento per 65 minuti, freddare il tutto e battere al coltello.

Per la nage

Sedano

Porro champignon

Scalogno

Pepe affumicato

Cardamomo nero

Vino bianco

Ghiaccio

Mettere in pentola tutti gli ingredienti sopra elencati, rosolare a fuoco basso, aggiungere vino bianco, ghiaccio e lasciare per 40 minuti sul fuoco. Filtrare il tutto e raffreddare.

Per il succo di melograna

1 melagrana

Burro

Aceto di vino rosso

Tagliare a metà la melagrana, raccogliere tutti i chicchi, passare all’estrattore lasciandone qualcuno intero. Mettere a ridurre il succo ricavato con burro e aceto di vino rosso.

Per le capesante

3 capesante fresche e scottate in piastra

30 g di fish sauce

70 g di melassa melograno

1 lime

Ridurre sul fuoco la fish sauce con la melassa di melograno fino a consistenza desiderata.

Scaldare il battuto di radicchio, farne una quenelle e adagiare sul piatto, mettere intorno la salsa di melograno ridotta, la capasanta scottata in piastra e laccata, scorza di lime.

Montare con un minipimer la nage, mettere a lato della quenelle i chicchi di melograno e la foglia croccante di radicchio fermentato.

 

Polvere di fegato grasso d'anatra – La Pergola dell'Hotel Rome Cavalieri, Roma

Si è detto, scritto e descritto tutto della Pergola di Heinz Beck. Ed è difficile trovare una chiave di lettura inedita per raccontare quello che vi aspetta all'ultimo piano del Rome Cavalieri, ma non perché non ci sia "materiale" per farlo. Anzi. Lo spessore di questo posto, e di questa esperienza, è talmente stimolante e denso, di sensazioni, emozioni, riflessioni pre, post e durante la permanenza, che solo concretamente, standoci dentro, riuscirete davvero a capire cosa vuol dire una serata qui. Non rinunciamo però a darvi la ricetta natalizia pensata da Beck per la vostra cena natalizia (foto di copertina).

Ingredienti per il parfait di fegato

100 g di fegato grasso d'anatra

100 g di panna

2 fogli di colla di pesce

35 g di riduzione di Madeira

Sale

In un pentolino, unire la panna, la riduzione di Madeira, il sale, la colla di pesce precedentemente ammorbidita in acqua fredda e scaldare il tutto a 75°-80°C. Mettere il composto nel Bimby insieme al fegato grasso pulito e tagliato a pezzi e azionare per 30 secondi alla massima potenza. Passare allo chinois e fare riposare in frigorifero per almeno 3 ore.

Per la spuma di cocco

50 ml di latte di cocco

0,20 g di xantana

Frullare il latte di cocco con l'aggiunta della xantana con un mixer ad immersione ed utilizzare solo la schiuma che si formerà in superficie.

Per la brunoise di funghi

250 g di funghi cardoncelli

Rosmarino

1 spicchio di aglio

Sale

Olio extravergine di oliva

Lavare e pulire i funghi cardoncelli, tagliare i cappelli a brunoise e rosolare in padella con rosmarino, aglio in camicia, olio extravergine e sale. Rimuovere gli odori e conservare fino ad utilizzo.

Per la polvere di fegato grasso (da preparare prima)

150 g di fegato grasso d'anatra

20 ml di riduzione di Madeira

20 ml di riduzione di Porto

20 ml di vino dolce (Torcolato, Muffato...)

100 g di lardo tagliato a fette sottili

Sale

Pepe

Malto di tapioca

Pulire e svenare il fegato. Fare una marinatura con sale, pepe, la riduzione di Madeira, la riduzione di Porto, il vino dolce e condire il fegato. Lasciare riposare per 2 ore in frigorifero. Scolare il fegato, sistemarlo in una terrina in ghisa rivestita con le fettine di lardo e schiacciarlo bene, riempiendo tutti i vuoti. Mettere il coperchio e cuocere per 50 minuti in forno a vapore a 63°C. Fare raffreddare su acqua e ghiaccio pressando la terrina con un peso e fare riposare in frigorifero per un giorno. Scaldare la terrina in forno a 80°C per fare sciogliere il grasso. Separare la parte grassa dalla carne e trasferirla in un contenitore adatto alla centrifuga da laboratorio. Centrifugare per 15 minuti a 4000 giri. Unire il malto di tapioca per ottenere la polvere di fegato grasso.

Riso soffiato allo zafferano

30 gr riso carnaroli

2 gr zafferano

400 ml acqua

Sale

Olio extra vergine di oliva

Bollire il riso in acqua salata per 30 minuti fino a quando risulterà ben cotto. Aggiungere lo zafferano, scolare il riso e farlo asciugare in forno a 80°C per 2 ore. Separare i chicchi di riso e friggerli in olio extra vergine d'oliva a 180°C per pochi secondi. Asciugare con un foglio di carta assorbente e condire il riso, se necessario, con un pizzico di sale.

Per la quinoa croccante alle 4 spezie

30 gr quinoa

400 ml acqua

Mix 4 spezie (pepe, noce moscata, chiodi di garofano e cannella)

Sale

Olio extra vergine di oliva

Cuocere la quinoa in acqua per 40 minuti con l'aggiunta del mix di spezie. Scolare, stendere la quinoa su una teglia e far seccare in forno a vapore a 70°C. Quando sarà ben asciutta, friggere la quinoa in olio extravergine di oliva ed asciugare su carta assorbente. Regolare di sale.

Per le guarnizioni

Mirtilli neri

Fragoline di bosco

Atzina cress

Cerfoglio

Collocare il parfait di fegato sul fondo del piatto, adagiarvi sopra un cucchiaio di spuma di latte di cocco e la brunoise di funghi. Con l'aiuto di uno spargi-farina, distribuirvi sopra la polvere di fegato grasso. Aggiungere il riso soffiato, la quinoa croccante e completare il piatto con i mirtilli e le fragoline. Guarnire con atzina cress e cerfoglio.

 

Pan cotto al latte di mandorle e ricci di mare – Uliassi, Senigallia (AN)

Semplicemente straordinario. E potremmo terminare qui la descrizione, tutto ciò che segue è solo per rendere vagamente l'idea di quale altissimo livello si debba aspettare chi si avvicinerà a questa insegna. Iniziamo dall'accoglienza: Catia Uliassi è una perfetta padrona di casa, consiglia, chiede, suggerisce vini dall'ampia carta, si muove con grazia ed eleganza tra i tavoli. Poi c'è Mauro Uliassi, vulcanico, sorridente, un professionista come pochi. Che a voi svela la ricetta di uno dei piatti più interessanti del suo menu Lab.

Pan cotto al latte di mandorle e ricci di mare – UliassiPan cotto al latte di mandorle e ricci di mare – Uliassi

Per il pan cotto al latte di mandorle e ricci di mare

250 g di mandorle pelate (da preparare prima)

350 g di acqua naturale

200 g di acqua gassata

200 g di pane secco tipo altamura tagliato a cubetti

60 g di ricci di mare congelati e tagliati a cubetti

1 spicchio di aglio senza anima, scottato in acqua per 3 volte

1 cucchiaino di aceto trucioleto

2,5 g di procrema

1 g di lecitina di soia

10 g di purea di cicoria

Lasciare da parte 30 mandorle e metterle a bagno in acqua gassata per 2 giorni per renderle più morbide. Frullare il resto delle mandorle con l’acqua naturale fino a ottenere una purea, poi passare all’etamina per ottenere il latte. Porre il latte in un bricco, unire l’aglio, l’aceto e frullare fino a che non sarà liscio e vellutato, aggiustare di sale.

Per la spuma di mandorle: prendere 100 grammi di latte unire la lecitina e la procrema, frullare bene e versare in un sifone. Lasciare indietro 20 cubi di pane, con il latte rimasto cucinare metà del resto del pane per tre minuti e l’altra metà per un minuto, freddare e unire i due tipi di pane .

Dividere il pane cotto in 4 piatti fondi, aggiungere 5 cubi di pane secco per piatto e salsare con la purea di cicoria, mettere 15 grammi di ricci gelati per ogni piatto e con il sifone ricoprire il tutto con la spuma di mandorle, guarnire con le mandorle morbide.

 

a cura di Annalisa Zordan

foto di copertina: Janez Puksic

 

Il menu Bianco Natale (primi, secondi e dolci nelle prossime puntate)

Antipasti:

- Baccalà, calamaro, cavoli cotti e crudi, yogurt al limone - Da Caino, Montemerano (GR)

- Carpaccio di branzino con crema di ostriche, granita di vodka lime - Da Vittorio, Brusaporto (BG)

- Tartare di scampi, mozzarella di bufala e appiccatelli vesuviani - Imàgo dell'Hotel Hassler, Roma

- Baccalà Bianco - Madonnina del Pescatore, Senigallia (AN)

- Cappesante radicchio e melagrana – Il Pagliaccio, Roma

- Polvere di fegato grasso d'anatra – La Pergola dell'Hotel Rome Cavalieri, Roma

- Pan cotto al latte di mandorle e ricci di mare – Uliassi, Senigallia (AN)

Primi:

- Mojito di Parma - Atman a Villa Rospigliosi, Lamporecchio (PT)

- Baci di calamaro con leggero pesto acidulo – Don Alfonso, Sant'Agata sui Due Golfi (NA)

- Tortelli al camoscio – Laite, Sappada (BL)

Secondi:

- Merluzzo al miso, topinambur, daikon e verza – Siriola dell'Hotel Ciasa Salares, San Cassianon (BZ)

- Sogliola mediterranea – Osteria Francescana, Modena

- Pancetta e Sedano Rapa – Reale, Castel di Sangro (AQ)

- Baccalà Baccalà Baccalà – Villa Crespi, Orta San Giulio (NO)

Dolci:

- Sfoglia di latte, sesamo nero e kumquat – Berton, Milano

- Caffè bianco, granita di mandarino e rosmarino – D'O, Cornaredo (MI)

- Ramo di marasca – Duomo, Ragusa

- Fede – Le Calndre, Rubano (PD)

- Sotto la neve - Piazza Duomo, Alba (CN)

- Cristallo di ghiaccio: mandorle di Noto e Limoni di Sorrento – Enoteca Pinchiorri, Firenze

Sorbetto:

- Neve estiva, finocchio marino e visciole – Pascucci al Porticciolo, Fiumicino (RM)

 

RFood, il nuovo inserto di Repubblica dedicato al cibo

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Una crescita inarrestabile, quella del settore gastronomico, che continua a destare l’interesse della stampa. Lo storico quotidiano Repubblica comincia oggi una nuova avventura: un ambizioso inserto settimanale dedicato al mondo del cibo. Ecco com’è e come sarà RFood. 

Repubblica e il cibo

Raccontare storie. Attraverso ricerche approfondite, studi attenti, interviste, inchieste, confronti. Un lavoro che Repubblica porta avanti da anni su diversi fronti, cronaca e cultura, politica e economia, e che ora ha scelto di dedicare interamente al settore dell’enogastronomia. Un interesse, quello per il cibo, cominciato già da qualche tempo sul web, con Repubblica Sapori, sezione online di Repubblica.it nata poco più di un anno fa e che ha raccolto fin da subito l’entusiasmo degli appassionati, grazie alle sue ricette, gli itinerari gastronomici e i consigli su dove mangiare bene. Articoli sul tema non sono mai mancati neanche nella versione cartacea, ma se fino a oggi il cibo era solo uno dei tanti argomenti trattati, da questa mattina il giornale si arricchisce di un nuovo progetto editoriale, denso di contenuti, spunti di riflessione, idee e spessore di grande profilo.

Il progetto

Fra Economia e Cultura, nel bel mezzo del quotidiano, fa il suo ingresso oggi, 21 dicembre 2017, RFood, nuovo inserto settimanale (in uscita ogni giovedì) fortemente voluto da Mario Calabresi, un insieme di 8 pagine dedicate alla cultura del cibo, e coadiuvato dalla giornalista Clotilde Veltri. Un amalgama di racconti che s’intrecciano e convivono in sinergia fra loro: il progetto si propone di portare alla luce storie di negozianti, produttori, designer, sommelier, camerieri, viticoltori, ognuno con il suo percorso, “che vale la pena svelare”. Alla base di tutto, la voglia di esporre la testimonianza di uomini e donne che, spiegano dal quotidiano,“con il lavoro e la loro creatività, reinventano quotidianamente la gastronomia, rendendo quella italiana un unicum riconosciuto in tutto il mondo”.

 

RFood

L’inserto

E quindi dopo il Gambero Rosso, che da pochissimo ha completamente rinnovato il suo mensile cartaceo, anche il Gruppo Editoriale L’Espresso scommette ancora sulla carta: 8 pagine di rubriche, approfondimenti, consigli. Storie affidate a esperti del settore attivi in Italia e all’estero, ai tanti collaboratori che il team di Repubblica ha reclutato nel tempo. Ci saranno i nomi storici del giornalismo gastronomico, come Licia Granello, da sempre food writer fedele del quotidiano, che tornerà a scandagliare il pianeta delle materie prime, focalizzandosi sul rapporto tra chef, ingredienti e fornitori, andando a fare luce su uno dei più intricati temi del settore, quello della filiera alimentare. E poi Carlo Petrini, padre di Slow Food, che si impegnerà a dare voce a tutti quegli artigiani, cuochi e produttori che lavorano seguendo la filosofia del Buono, Pulito, Giusto. Non mancheranno, inoltre, consigli per gli acquisti, la rubrica sul vino, quella sulla grafica e le ricette da rifare a casa.

 

RFood

Il primo numero

Nessuno più di noi del Gambero Rosso, che da oltre 30 anni ci occupiamo con dedizione dell’intero universo gastronomico, sa quanto questo settore risulti complesso e sfaccettato. Soprattutto, quanto sia arduo e difficoltoso raccontarlo sulla carta stampata. Ma l’editoria cartacea, come avevano già spiegato qui, non è morta, e realizzare un giornale – o un ampio inserto, come nel caso di RFood – di carta che parli di cibo è possibile. La strada per farcela, con il giusto mix di approfondimento, curiosità e freschezza, si costruisce un passo dopo l’altro. Nel primo numero, infatti, si leggono storie dall’estero (un quadro del mercato londinese Borough Market di Enrico Franceschini, il racconto della gastronoma libanese Abdeni Massaad firmato Carlo Petrini), appunti di vino (il Primitivo del Salento, a cura di Laura Di Cosimo), di prodotti (approfondimento sul tartufo di Licia Granello), le immancabili note sul Natale, fra consigli per il pranzo e indicazioni per riconoscere un buon panettone.

 

RFood

Gli obiettivi

Impegnandosi a offrire un progetto ricco di contenuti e prospettive diverse, Clotilde ha scelto di prendere in mano questa nuova, ambiziosa avventura. Abbiamo deciso, allora, di farci raccontare dalla curatrice in persona cos’è, cosa vuole essere e cosa sarà RFood. Innanzitutto, un servizio ai lettori: “Vogliamo fare informazione sul cibo, sia andando alla ricerca di vicende e aneddoti singolari, sia raccontando le tendenze del momento”. Come? “In maniera più “alta”, approfondita, curata, ma al contempo divertente e accattivante”. Con un linguaggio immediato, fruibile da tutti, ma non per questo meno tecnico. Articoli, quindi, che si rivolgono a tutti, con l’obiettivo di sdoganare luoghi comuni e sviscerare ed esaminare i tanti dibattiti di questo mondo, senza però rinunciare ad analisi settoriali portate avanti dagli esperti. “Vorrei concentrarmi molto sulla salute, sul tanto chiacchierato binomio gusto/benessere, che abbiamo voluto utilizzare come chiave di lettura anche per il nostro articolo sul pranzo di Natale”. Ma non solo: “Quello che ci proponiamo di fare è rispondere alle domande dei consumatori”. Ai tanti dilemmi che ognuno di noi si pone durante la spesa, per esempio. Che RFood analizzerà attraverso la rubrica “Sfida in salsa chimica”, questa settimana dedicata all’annoso dibattito: zucchero bianco o di canna? “Un dubbio che hanno in molti, e che abbiamo provato a chiarire con precisione, senza ricorrere però a tecnicismi eccessivi”.

 

RFood

Web e carta: due mondi sinergici

E mentre RFood comincia a prendere vita, nel mondo web, Sapori continua la sua strada: “I lettori della carta e del giornale online sono molto diversi. Nonostante gli spazi limitati, il cartaceo consente un’analisi più lunga e minuziosa dei vari argomenti, mentre il web richiede pezzi più immediati, concisi e in grado di catturare l’attenzione del lettore. Inoltre, il sito è un prodotto in continuo aggiornamento, un contenitore di notizie e dati che vanno implementati costantemente”. Quella fra carta e web, però, non è una sfida a chi raccoglie più seguaci. La distinzione fra i due ambiti continua a esistere, netta e marcata come sempre, ma non rappresenta un ostacolo, né una limitazione: “Non si tratta di due prodotti che viaggiano su binari paralleli e che non si incontreranno mai. Mi piace immaginarli, piuttosto, come mondi sinergici, opposti e complementari”.

a cura di Michela Becchi

 

Bruno Barbieri blog. Il nuovo progetto editoriale del giudice di Masterchef

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Un nuovo sito, in concomitanza con il ritorno in tv, dove Bruno Barbieri veste ancora una volta, dalla prima edizione, i panni del giudice di Masterchef. Ma lo chef di Fourghetti, nel suo ultimo progetto editoriale mette tutta la sua storia: i viaggi, la lunga carriera, le ricette storiche e le ultime creazioni. 

Bruno Barbieri. La storia di una chef star

Ormai particolarmente a proprio agio davanti a flash e telecamere, Bruno Barbieri sa benissimo come e quando far parlare di sé. Tornato a cimentarsi in prima linea con la ristorazione la primavera scorsa, quando ha inaugurato a Bologna Fourghetti (con la promessa di replicare presto in Italia e all’estero), da qualche ora lo chef emiliano è rientrato nelle case degli italiani per l’appuntamento fisso del giovedì con Masterchef, alla prima uscita senza Carlo Cracco dall’inizio del talent show di cucina (al suo posto, a testa alta, la prima donna giudice del programma, Antonia Klugmann, che a giudicare dalla prima uscita saprà dare filo da torcere non solo ai concorrenti, ma anche ai suoi colleghi, con il mix di schiettezza, competenza e sensibilità che la contraddistingue sul lavoro, e fuori). E proprio in concomitanza con il nuovo impegno televisivo, Barbieri ha scelto di lanciare il suo nuovo progetto editoriale online: un blog, brunobarbieri.blog, ideato e realizzato con il supporto di Realize Networks, che rinnova l’immagine del vecchio sito (ancora online) con una veste grafica più accattivante e contenuti inediti, tra cui diverse rubriche di approfondimento sul mondo gastronomico e 4 sezioni che raccontano il Barbieri pensiero attraverso le sue passioni, le sua storia in cucina, i suoi viaggi, le ricette.

Bruno Barbieri. Il blog

Questo sito è il mio taccuino di viaggio, viaggio che poi è la mia vita… Suggestioni, idee, spadellate “condivise” al Fourghetti, ricette e racconti. Tutto questo, ma anche molto altro, perché io non mi fermo mai” riassume lui per raccontare i retroscena del progetto. Quel che tutti possono già apprezzare (il sito è online dal 20 dicembre scorso), è il desiderio di condividere con i propri fan - ormai sono moltissimi, come ricorda il counter in cima alla pagina, che scandisce oltre 400mila follower su Facebook e Instagram, e quasi 300mila su Twitter – quanto più possibile della propria vita da chef star, dentro e (soprattutto) fuori dalla cucina.

 

Le ricette, i viaggi, gli aneddoti

Ma si parte comunque dall’inizio, dai quei “40 anni in cucina” che raccolgono le migliori ricette di Barbieri, i suoi grandi classici, le interpretazioni della cucina emiliana, le suggestioni raccolte in giro per il mondo, le proposte più fresche studiate per il Fourghetti. La sezione Vita da chef, invece, è quella che più di ogni altra focalizza l’attenzione sui segreti del mestiere e la giornata tipo di Barbieri, con una serie di video in aggiornamento costante. Poi c’è la rubrica I miei viaggi, quella più simile a un diario di bordo che intreccia la passione per la cucina con la voglia di viaggiare per scoprire il mondo, e nuovi sapori, che ha accompagnato Bruno in tutta la sua carriera: “Voglio raccontarvi una storia. La storia di un viaggio che parte da un piccola cittadina in provincia di Bologna e attraversa tutto il mondo, dalla Spagna al Libano, dal Brasile alla Turchia, con il cuore sempre diviso a metà, tra l’amore per la propria terra e la voglia di scoprire paesi lontani”, scrive guardando al suo passato Barbieri. È questo lo spazio per aneddoti e foto ricordo, scoperte enogastronomiche e condivisione di esperienze fuori dal comune (dal Sudafrica alla Grecia, a Los Roques, da Istanbul al Messico). Occhio di riguardo anche per il merchandise, che fa capo alla Fourghetti Experience: uno shop online dove acquistare pacchetti esclusivi per vivere un’esperienza al Fourghetti, tra cena e pernottamento. (Tante) foto d’ordinanza a impreziosire il pacchetto, e il nuovo sito di Bruno Barbieri è online.

 

www.brunobarbieri.blog

 

a cura di Livia Montagnoli

Alain Locatelli a Milano. Una nuova boulangerie e pasticceria francese da scoprire

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Classe 1988, Alain Locatelli ha aperto meno di un mese fa la sua prima attività milanese, portando un bagaglio di esperienze maturate specialmente in Francia e negli anni di gestione del bar di famiglia, nella provincia bergamasca. Lievito madre e farine macinate a pietra sono le basi per allestire il banco di forno e pasticceria. 

Una nuova boulangerie in città

Nella Milano che si avvicina al Natale, non c’è pasticceria che si rispetti a non esporre in vetrina il suo panettone. Anche in viale dell’Innovazione, zona Bicocca, fronte teatro degli Arcimboldi, Alain Locatelli propone il suo, da lievito madre e farina semintegrale macinata a pietra tipo 1, uvetta e canditi all’arancia come tradizione comanda, “giusto un po’ di pasta di cedro in aggiunta, ma senza stravolgerne il significato, perché la ricetta tradizionale va rispettata, ed è buona tutto l’anno”. Di fronte al panettone, insomma, anche l’estro di un giovane boulanger che della creatività ha fatto il suo punto di forza fa un passo indietro. Eppure il risultato è estremamente personale. Dev’essere la storia che Alain, neanche trentenne, porta con sé, la grande passione per un mestiere che ha scelto da giovanissimo, ad animare di una luce molto particolare un progetto un po’ folle, ma tagliato su misura sulle sue qualità. Prima di arrivare a Milano, dove la boulangerie pastisserie che porta semplicemente il suo nome ha aperto meno di un mese fa, Alain si è fatto le ossa nella provincia lombarda, in quel di Bonate di Sopra, Bergamo.

Da Bonate di Sopra a Milano

È lì che la sua famiglia, originaria della Svizzera, si è trasferita prima che Alain nascesse, aprendo un’attività di bar e pasticceria che qualche anno fa (era il 2009), Alain e suo fratello, sebbene molto giovani, hanno ripensato secondo schemi piuttosto insoliti per una caffetteria di provincia. Impostando cioè un discorso serio su panificazione e pasticceria, che li ha fatti conoscere presto all’esterno, mentre Alain si impegnava per restare concentrato su un’idea di artigianalità fin quasi scarna nella sua essenzialità, fatto di contatto con la materia, sicurezze conquistate sul campo (“di maestri non ce ne sono, siamo tante teste per tanti modi di pensare”), poche parole, comprese quelle reticenze che lo spingono a raccontare poco di sé, perché tanto sono i suoi prodotti a parlare. Non è un caso che, nel suo nuovo laboratorio milanese – 130 metri quadri in una zona della città non proprio centrale, “ma avevo bisogno di spazio, e qui gli affitti mi consentivano l’investimento. In centro, se le cose dovessero funzionare, potrei pensare a replicare con piccole boutique rifornite dal laboratorio” – Alain abbia scelto di lasciare tutto a vista, come un unico grande open space, dove solo il banco di vendita separa i clienti da chi lavora dietro le quinte. Una fucina sempre in moto che si apprezza anche dall’esterno, “perché tutti possano vedere quello che facciamo, la semplicità degli ingredienti che usiamo: panificazione solo da lievito madre, farine veramente macinate a pietra del circuito Viva, ingredienti stagionali selezionati”.

La formazione francese

Il suo percorso fin qui l’ha visto appassionarsi alla scuola francese (ricordiamo che negl ultimi anni Milano ha visto aprire tante pasticcerie francesi, succursali di celebri maitre patissier parigini, ma anche interpretazioni originali, come la recente Ile Douce): è tra Parigi e le boulangerie di Francia e Svizzera francese – da Roanne a Losanna, a Neuchatel – che Alain si è formato. Poi è tornato in Italia, qualche esperienza romana non troppo soddisfacente e una crescita da mettere a frutto, a Bonate di Sopra, per una lunga parentesi durata fino al 2015. La voglia di crescere ancora, in completa autonomia, l’ha portato a cercare a lungo: “L’idea era di trasferirmi a Parigi, la mia tradizione è quella, e avevo già trovato il locale perfetto, chissà che un giorno non ci ripensi. Però è arrivata quest’opportunità a Milano, avevo voglia di cimentarmi con la sfida”.

La pasticceria

Così durante l’estate sono cominciati i lavori di allestimento del laboratorio, che dalla fine di novembre apre dal mattino fino alle 19.30, “prolungando l’orario fino alle 21 nei giorni di teatro”. Ora l’obiettivo è capire come si muove un quartiere a prevalenza universitaria – “il 60-70% degli studenti non sono interessati alla nostra proposta, per loro i prezzi sono troppo alti. Ma noi dobbiamo lavorare per far capire cosa significa qualità, e perché si paga” – e raccogliere proseliti della pasticceria francese. L’offerta, del resto, è già molto varia, e invitante. Si comincia con lieviti e croissant per la colazione, semplici e più elaborati, come i croissant con sorpresa, sfogliati all’esterno e ripieni di farce ispirate ai classici della pasticceria francese: tarte citron con crema al limone e meringa all’italiana, tarte tatin con una composta di mele e caramello al burro salato. E poi pain au chocolat, chouquettes (bigné di pasta choux senza ripieno, cosparsi di granella di zucchero, molto popolari come spuntino dolce a Parigi), brioche in stampo. Ora il laboratorio è molto concentrato sulla produzione di panettoni, da gennaio al banco arriverà anche una linea di monoporzioni di pasticceria al cucchiaio, éclair, torte della tradizione, invenzioni della casa come la Morgana, con crema di assenzio, pistacchio e amarene.

Il pane

Si lavora in 3, il ritmo è alto, ma i volumi di produzione sono già buoni. Chi arriva per acquistare può anche sedersi a consumare su qualche sgabello, funzionale alla proposta di caffetteria. L’altra metà della produzione è la panificazione: c’è chiaramente la baguette (sempre da lievito madre) e poi il pane 100% segale del Vallese. Quello al farro monococco e all’orzo, all’avena e all’uvetta. Tanti i pani alla frutta, altrettante le varianti stagionali: pane alle castagne, alla zucca, alle noci, con albicocche. E poi la pizza “alla romana, rifatta a modo mio: impasto croccante, però morbido all’interno”. Da farina tipo 1, con condimenti che spaziano tra le tradizioni regionali, tra salsiccia e friarielli e polenta con taleggio e salame bergamasco. Una buona nuova sulla scena della giovane panificazione in città.

Alain Locatelli – Milano – viale dell’Innovazione, 13 – 0249792531

 

a cura di Livia Montagnoli

Bianco Natale. Primi e secondi suggeriti dai grandi chef

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Ogni luogo, ogni casa, ogni famiglia ha le sue tradizioni di Natale, che si traducono in sapori riconoscibili, ingredienti insostituibili e rituali da rispettare. Se invece quest'anno volete trasgredire le regole, ecco i consigli dei più bravi chef d'Italia, per stupire gli ospiti con menù tutto bianco.

Partecipanti: tutti i ristoranti premiati con le Tre Forchette nella nostra guida Ristoranti d'Italia 2018. Regole del gioco: pensare a una ricetta che fosse al tempo stesso natalizia e bianca. Le ricette degli antipasti ve le abbiamo già svelate, ora a stupire i lettori per il round “primi e secondi” i giocatori Igles CorelliFabrizia MeroiErnesto IaccarinoMatteo MetullioMassimo BotturaNiko Romito Antonino Cannavacciuolo. Ecco a voi tutte le ricette.

 

Mojito di Parma - Atman a Villa Rospigliosi, Lamporecchio (PT)

Igles Corelli, chef e patron dell'insegna, ha trovato in Toscana una nuova linfa creativa, che sembra lo abbia riportato ai tempi del mitico Trigabolo di Argenta, per la capacità di stupire nei piatti, unita a una tecnica sopraffina, sempre al passo (e spesso in anticipo) con i tempi. Per questo Natale Igles propone un piatto “inspirato al bianco, al fresco della neve, con il ricordo dell’Emilia, la mia terra”.

Ingredienti per 4 persone per il risotto

280 g di riso Carnaroli Acquerello Rondolino 7 anni

80 g di Parmigiano Reggiano 24 mesi, grattugiato

1/2 scalogno di Romagna tritato

50 ml di rum Zacapa invecchiato

1 litro di brodo di pollo

50 g di burro a cubetti, messi in congelatore

3 lime

1 cucchiaio di foglie di menta fresca tritata

Foglie di menta per decorare

Sale q.b.

Stufare lo scalogno in una casseruola con poco burro per qualche minuto. Versare due cucchiai di brodo e continuare la cottura per altri 5 minuti. In un secondo tegame versare il riso e scaldare a fuoco vivace. Quando il riso sarà caldo al tatto, aggiungere il rum e fare evaporare. Aggiungere lo scalogno e continuare la cottura, aggiungendo il brodo bollente poco alla volta e mescolando fino a cottura del risotto. A cottura ultimata, fuori dal fuoco, mantecare con il formaggio, la buccia di due lime, la menta tritata e il burro freddo, regolare di sale.

Per il gelato di Parmigiano Reggiano

200 g di Parmigiano Reggiano 64 mesi, grattugiato

300 g di panna fresca

2 tuorli

In una casseruola scaldare panna e formaggio. Appena prende il bollore, spegnere il fuoco, aggiungere i tuorli mescolando bene, raffreddare immediatamente. Filtrare attraverso un colino fine e utilizzare la crema per preparare il gelato (se non avete la gelatiera, mettete il composto in freezer avendo cura di mescolare ogni tanto).

Per l’aria di Parmigiano Reggiano

100 g di croste di Parmigiano Reggiano 36 mesi

500 ml di brodo di pollo

1/2 carota

1/2 cipolla

5 g di lecitina di soia in polvere

Sale q.b.

Versare il brodo in una casseruola, aggiungere le croste di Parmigiano Reggiano, carota e cipolla tagliate in pezzi. Sobbollire per 40 minuti, omogeneizzare con il frullatore a immersione, filtrare e regolare di sale. Aggiungere la lecitina di soia, e con il frullatore a immersione preparare l’aria.

Versare il risotto nelle fondine calde, aggiungere una pallina di gelato al centro, qualche cucchiaino di aria di Parmigiano, buccia di lime grattugiata e foglioline di menta. Servire immediatamente.

 

Baci di calamaro con leggero pesto acidulo – Don Alfonso, Sant'Agata sui Due Golfi (NA)

Sono pochissimi i locali di ospitalità e ristorazione che mettono d'accordo tutti, ottenendo il favore della grande critica e della grande clientela, nazionali e internazionali. Quelli di cui possiamo essere fieri perché nel mondo ci fanno fare bella figura e promuovono al meglio le risorse del nostro Paese. Il Don Alfonso è uno di questi: da un lato le dimore tutte pietra e ceramiche variopinte, i giardini e la piscina, dall'altro il ristorante con la splendida cucina a vista quasi interamente ricoperta di ceramiche in stile. Qui si fa formazione, si sperimenta, si accoglie. E mentre Alfonso supervisiona, racconta, stimola, ai fornelli c'è il figlio Ernesto Iaccarino, che svela la ricetta di un romantico primo.

Baci di calamaro con leggero pesto acidulo – Don Alfonso. Ph Ennio CaliceBaci di calamaro con leggero pesto acidulo – Don Alfonso. Ph Ennio Calice

Ingredienti per le pettole di calamari

1 kg di calamari puliti

200 g di albume

Sale q.b.

Ghiaccio

Pulire bene i calamari dai filamenti e dalla pellicina che li ricopre, tagliarli a pezzi e triturarli al Bimby con l’albume e un poco di ghiaccio perché non si cuociano. Passare al passaverdure, regolare di sale. Stendere sul silpat, coprire con pellicola e cuocere a 85 ° C a vapore per 15 minuti. Abbattere. Con i coppapasta recuperare più dischi o pettole possibili alternando il grande con il piccolo.

Per la farcia dei baci di calamaro

600 g di ragù di pesce (acqua pazza con un po' di peperoncino)

280 g di frutti di mare puliti (50% cozze, 50% vongole)

70 /100 g di pane in cassetta ammollato nell'acqua pazza

240 g di mozzarella

40 g di ricotta

100 g di calamari tritati

160 g di astice

Sale q.b.

Bisque ben ridotta q.b.

Fumetto q.b.

Acqua di vongole e cozze q.b.

Olio q.b.

Cuocere il pesce in acqua pazza, preferibilmente usare teste di pesci, tipo la ricciola. Una volta cotto spolpare sino a ottenere un ragù di solo pesce. Scottare gli astici per poterli pulire facilmente. Aprire i frutti di mare in padella e conservare l’acqua filtrata. Passare in una bastardella, mescolare con la ricotta e il pane in cassetta ammollato. Regolare di sale e pepe. Fare delle semisfere in appositi stampi di silicone.

Per il pesto leggero acidulo

200 g di basilico sbianchito e appena strizzato

50 g di pinoli

45 g di pecorino

14 g di aceto di vino rosso

Sale q.b.

50 g di olio extravergine di oliva

1/2 cucchiaio di tapioca

Ghiaccio

Frullare tutti gli ingredienti con qualche cubetto di ghiaccio.

Per lo spaghetto soffiato

Spaghetti

Olio d'oliva

Partendo da acqua fredda e salata, portare a cottura (non meno di venti minuti di bollore) gli spaghetti, passarli in una placca con un po’ di olio in maniera che si raffreddino senza attaccare. Arrotolare su dei cilindri e seccare in forno a 70° C per circa 3 ore. Friggere in olio d’oliva a 180° per qualche istante. Conservare in un luogo asciutto.

Per impiattare

20 pettole di calamaro piccola

20 pettole di calamaro grandi

20 semisfere di farcia

Pesto leggero acidulo

Spaghetti soffiati

Curry bianco q.b.

Montare i baci partendo dalla pettola più piccola, la semisfera di farcia e poi la pettola più grande cercando di coprire tutta la semisfera. Passare a vapore a 85° C per 5 minuti. Nel piatto fare un cerchio col pesto, che non deve toccare i bordi e deve essere spesso qualche millimetro, adagiare i baci, spolverare con il curry e terminare guarnendo con lo spago fritto.

 

Tortelli al camoscio – Laite, Sappada (BL)

Ci sono in assoluto pochi posti che sanno regalare all'ospite momenti di pura felicità come questo. A cominciare dal contesto, una valle al confine fra Friuli Venezia Giulia e Veneto, tutta prati verdissimi e monti; per continuare con la vecchia casa restaurata e conservata con amore infinito. È la dimora di Fabrizia Meroi e Roberto Brovedani, che hanno realizzato qui il sogno della loro vita, e che da una quindicina d’anni continuano a lavorare, a studiare, a cercare nuove vie per migliorarsi e migliorare la permanenza dei loro ospiti. Fabrizia, la cuoca, ci svela la ricetta dei suoi Tortelli al camoscio.

Tortelli al camoscio – Laite, Sappada (BL)Tortelli al camoscio – Laite

Ingredienti per la pasta

420g circa di patate medie pasta gialla

2 tuorli

Sale q.b.

Olio extravergine di oliva

200 g circa di farina 00

Bollire le patate in acqua leggermente salata in una pentola capace, scolarle e passarle a setaccio, una volta raffreddate impastarle con i tuorli, il sale e la farina velocemente.

Per la farcitura

200 g di formaggio spalmabile

50 g di mascarpone

150 g di prosciutto di camoscio

60 g di burro

40 g di formaggio Piave stravecchio

1 cucchiaio di semi di papavero

Tritare il prosciutto di camoscio con il tritacarne e amalgamare accuratamente con i due formaggi. Stendere a mattarello l'impasto della pasta fino a ottenere una sfoglia sottile, fare attenzione a tenere bene infarinata la superficie del piano di lavoro in modo tale da evitare che si attacchi la pasta di patate. Ritagliare dei dischi con l'apposito tagliapasta di circa 5 centimetri. Farcire ciascun dischetto con un po' di impasto al camoscio; richiudere a mezza luna, sigillando il bordo dei ravioli con le punte di una forchetta incidendo leggermente. Tuffarli in acqua bollente leggermente salata quando verrano a galla scolarli, disporli sui piatti condendo con un po' di stravecchio del Piave, semi di papavero e burro fuso ben caldo.

 

Merluzzo al miso, topinambur, daikon e verza – Siriola dell'Hotel Ciasa Salares, San Cassianon (BZ)

Siriola in ladino vuol dire "usignolo", e questa Siriola canta in maniera eccelsa. Merito del patron Stefan Wieser, che tre anni fa ha affidato le redini della cucina al triestino Matteo Metullio, brillante chef under 30 con importanti esperienze alle spalle (tra cui quella al St. Hubertus). Il suo motto non è tanto il km zero, specie se diventa una limitazione, ma chilometro vero. Il Merluzzo al miso, topinambur, daikon e verza ne è un esempio.

Merluzzo al miso, topinambur, daikon e verza – Siriola dell'Hotel Ciasa Salares, San Cassianon (BZ)Merluzzo al miso, topinambur, daikon e verza – Siriola dell'Hotel Ciasa Salares

Ingredienti per il merluzzo (da preparare prima)

320 g di merluzzo fresco

500 g di zuppa di miso

125 g di sakè

125 g di mirin

40 g di zucchero bianco

30 g di aceto di riso per sushi

Sfilettare il merluzzo e fare 4 porzioni da 80 grammi. Dopodiché procedere per la marinata caramellando lo zucchero e sfumandolo con il sakè, infine aggiungere gli altri ingredienti e portare a ebollizione. Una volta ottenuta la marinata raffreddarla e versarla sopra il pesce per 24 ore. Una volta marinato il pesce, filtrare il succo e ridurlo in modo da ottenere una glassa utile per la cottura del pesce.

Per la crema di topinambur

100 g di topinambur

20 g di patate

250 ml di latte

50 ml dii panna

Olio extravergine di oliva

Sale e pepe q.b.

Pelare e pulire i topinambur e le patate, cuocere a vapore e infine nel latte e nella panna. Frullare in modo da ottenere una purea liscia e omogenea, aggiustare di sale, pepe e olio d’oliva extravergine.

Per la verza

¼ di verza

Sale e pepe q.b.

Tagliare la verza finemente e scottarla velocemente in una padella antiaderente.

Per il daikon

½ daikon

Pelare il daikon e tagliarlo in cubi da 1,5 x1,5 centimetri.

Versare la purea sulla base del piatto, la verza e il daikon, una volta creata la base servire il merluzzo precedentemente cotto sotto la lampada con la sua marinatura per circa 5 minuti, ultimare con germogli di finocchio rosso e delle gocce di olio extravergine d’oliva.

 

Sogliola mediterranea – Osteria Francescana, Modena

Massimo Bottura con la sua squadra straordinaria ha scalato ogni classifica e guida e convinto chiunque abbia bussato alla sua porta. Ma l'Osteria Francescana non si è crogiolata sugli allori, non è rimasta ferma un solo giorno, e nutrita da quel vulcano del suo artefice, continua un incessante lavoro di registro su ambienti, arte, cibo e ospitalità, alla ricerca del locale perfetto. Ecco la sua ricetta bianca, che riesce a rendere straordinaria anche una sogliola.

Sogliola mediterranea – Osteria Francescana, ModenaSogliola mediterranea – Osteria Francescana

Ingredienti per la sogliola

1 sogliola

10 g di olio extravergine di oliva Villa Manodori

2 g di sale

Rimuovere la pelle e le interiora della sogliola e spinarla. Riporre in un sacchetto sottovuoto con l’olio e il sale. Cuocere a 60° C per 15 minuti (potrebbe richiedere più o meno tempo in base alla pezzatura). Immergere immediatamente in un bagno di acqua e ghiaccio per raffreddare e rassodare. Dividere in 4 porzioni.

Per la salsa di sogliola

4 kg di lische di sogliola

Acqua

5 g di sale

1 spicchio d’aglio

1,5 l di vino bianco secco

Olio extravergine di oliva Villa Manodori

In una pentola larga, tostare le lische con l’olio e l’aglio, facendo attenzione che l’aglio non imbrunisca. Sfumare con il vino e aggiungere il sale. Aggiungere l’acqua e lasciar cuocere per 2 ore, poi filtrare. Ridurre dell’80%, lasciando sobbollire per un’altra ora, finché non sarà diventato un fondo denso e concentrato.

200g succo di limone

200g olio essenziale di limone

100g olio extravergine di oliva Villa Manodori

1l olio di vinaccioli

Incorporare il succo di limone al fondo e frullare con un frullatore ad immersione. Unire l’olio di limone e l’olio d’oliva gradualmente ed emulsionare. Unire gradualmente anche l’olio di vinaccioli continuando a emulsionare finché non si otterrà una consistenza omogenea e viscosa. Aggiustare di sale e succo di limone.

Per la salsa di olive

200 g di olive nere di Gaeta, denocciolate

100 g di succo di olive nere (olive nere centrifugate)

10 g olio extravergine di oliva Villa Manodori

Porre tutto in un frullatore e lavorare fino a ottenere una crema liscia e omogenea. Filtrare in un setaccio a maglia fine.

Per la salsa di pomodoro

600 g di pomodori ciliegini (sbiancati e pelati)

15 g di olio essenziale di basilico Manodori

Porre i pomodori nell’affumicatore e affumicare per due ore a 70° C con trucioli di legno di ciliegio. Riporre i pomodori affumicati nel forno e lasciare essiccare tutta la notte a 65° C. Frullare con l’olio di basilico.

Per la salsa di limone

0,5 l di acqua

0,5 kg di zucchero

10 g di sale

5 limoni di Amalfi

Fare un semplice sciroppo con l’acqua, lo zucchero e il sale e lasciarlo raffreddare. Tagliare i limoni in 4 parti e rimuovere i semi. Riporre i limoni in un sacchetto sottovuoto con lo sciroppo e sigillare. Lasciare riposare un giorno per poi frullare il contenuto. Aggiungere eventualmente dello sciroppo per regolare la consistenza.

Per le sfoglie di acqua marina

1 l di acqua marina

1 pezzo di alga kombu

12 g di agar agar

3 g di diossido di titanio

Portare a bollore l’acqua di mare con l’alga kombu, rimuovere dal fuoco e lasciare in infusione per un’ora. Rimuovere l’alga e aggiungere l’agar agar e il diossido di titanio. Frullare il composto e portare nuovamente a bollore. Versare il liquido su un vassoio piano, formando uno strato sottile di massimo 2mm. Una volta creatasi una gelatina ferma, far scivolare il foglio della carta forno e lasciarlo asciugare per una notte. Con un cannello bruciare il foglio e strapparlo in diversi pezzi.

Per impiattare

1 porzione di sogliola

30 g di salsa di sogliola

5 g di succo di limone

1 cappero di Pantelleria

2 g di salsa di olive

2 g di salsa di limone

3 g di salsa di pomodoro

Sfoglie di acqua marina

Riscaldare la sogliola in una padella insieme alla salsa di sogliola e il succo di limone. Nappare finché non sarà caldo. Su di un piatto piano, mettere in linea una goccia di salsa di pomodoro, una di salsa di olive, una di salsa di limone e il cappero. Adagiare la sogliola in modo da coprire la linea creata con le salse e il cappero. Versare la salsa di sogliola sul pesce e finire il piatto con le sfoglie di acqua marina.

 

Pancetta e Sedano Rapa – Reale, Castel di Sangro (AQ)

In un articolo vi abbiamo spiegato in 10 parole perché il Reale, oggi, è il miglior ristorante d'Italia. E perché Niko Romito è il più grande cuoco del paese. In quell'occasione non abbiamo parlato di cucina, perché la sua non è solo una grande tavola: è un congegno di eccellenze, un albergo tra i più affascinanti, una scuola che sforna talenti, è collaborazioni con aziende note, è un progetto per la standardizzazione e il livellamento verso l’alto della ristorazione collettiva. È un pensiero gastronomico con una identità assoluta, che cerca di entrare nel profondo della materia prima, scardinandone sapori primari e secondari. È (anche) la filosofia che sta dietro al suo famoso Pancetta e Sedano Rapa. Ecco la ricetta.

Pancetta e Sedano Rapa – Reale, Castel di Sangro (AQ)Pancetta e Sedano Rapa – Reale

Ingredienti per la pancetta

Pancetta

Timo, salvia, finochietto e rosmarino

Sale

Olio di oliva

Asciugare bene la pancetta con la carta assorbente, fare il trito di timo, salvia, finocchietto e rosmarino. Condire la pancetta con sale, il trito di erbe e olio di oliva. Cuocere a 85° C a vapore per 6 ore.

Per la salsa di miele

2 kg di miele millefiori

30 g di aceto Montale

16 g di Gin Monkey 47

Mischiare tutti gli ingredienti.

Per il sedano rapa

20 g di olio extravergine di oliva per ogni chilo di sedano rapa

10 g di sale su chilo sedano rapa

Pulire il sedano rapa, farlo a cubi, aggiungere tutti gli ingredienti per condire con sale e olio. Cuocere a 100° C per 1 ora e 15 minuti.

Rigenerare la pancetta a 170°C per 15 minuti. Mettere un goccio di olio extravergine sui cubi di sedano rapa e lasciarli sotto la lampada (devono essere tiepidi). Tagliare la pancetta a cubi della stessa dimensione del sedano rapa e immergerla nella salsa al miele e tamponarla sulla carta assorbente. Impiattare con la pancetta a sinistra e il sedano rapa a destra. Mettere una foglia di maggiorana sul cubo di sedano rapa.

 

Baccalà Baccalà Baccalà – Villa Crespi, Orta San Giulio (NO)

Sono lontani i tempi in cui passando per il lago d’Orta si poteva trovare un tavolo senza prenotare in anticipo. Oggi si viaggia con mesi di attesa, pure d’inverno: potenza della televisione che ha svelato al grande pubblico un cuoco già bravissimo, dotato di straordinaria capacità comunicativa. È Antonino Cannavacciuolo, che, nonostante i mille impegni e l'enorme popolarità, è in villa il più possibile, perché gli piace tornare in famiglia, ama questo posto e soprattutto vuole stare ai fornelli, uscendo in sala alla fine della serata. È l’ABC della professione? Sì, e ferma restando la bravura di una brigata consolidata, il tocco di classe dello chef napoletano c’è sempre e si sente. Ai lettori del Gambero propone il suo candido Baccalà Baccalà Baccalà.

Baccalà Baccalà Baccalà – Villa Crespi, Orta San Giulio (NO)Baccalà Baccalà Baccalà – Villa Crespi

Ingredienti per il baccalà

500 g di baccalà dissalato e spinato

200 ml di acqua

100 ml di latte

1 foglia di alloro

1 spicchio d’aglio

Sale

Olio di girasole

Privare il baccalà dalla pelle e porzionarlo. In una pentola mettere l’acqua, il latte e gli aromi, portare a una temperatura di 85° C e unire il baccalà. Tenerlo in immersione fino a portarlo a cottura.

Per la maionese

100 ml di fumetto di pesce

100 g di scarti di baccalà

200 ml di olio di girasole

In un pentolino con coperchio cuocere nel fumetto di pesce le parature del baccalà a fuoco molto lento, per circa 20 minuti senza far arrivare a bollore. Filtrare con un colino a maglie strette e lasciar raffreddare. Con l’aiuto di un frullatore a immersione, montare come una maionese aggiungendo olio di girasole a filo sino al raggiungimento della giusta consistenza.

Per la chips di tapioca

130 g di tapioca

550 ml di acqua

3 g di sale

Per la chips mettere la tapioca in un termomix, aggiungere l'acqua e far cuocere per circa 1 ora. Salare, stendere il composto fra dei fogli di carta da forno e lasciar essiccare a temperatura ambiente oppure in forno a 65° C per una notte. Prima dell’utilizzo friggere a 190° C circa.

In un piatto adagiare il baccalà, coprire con la sua maionese e ultimare con la chips.

 

a cura di Annalisa Zordan

 

Il menu Bianco Natale (primi, secondi e dolci nelle prossime puntate)

Antipasti:

- Baccalà, calamaro, cavoli cotti e crudi, yogurt al limone - Da Caino, Montemerano (GR)

- Carpaccio di branzino con crema di ostriche, granita di vodka lime - Da Vittorio, Brusaporto (BG)

- Tartare di scampi, mozzarella di bufala e appiccatelli vesuviani - Imàgo dell'Hotel Hassler, Roma

- Baccalà Bianco - Madonnina del Pescatore, Senigallia (AN)

- Cappesante radicchio e melagrana – Il Pagliaccio, Roma

- Polvere di fegato grasso d'anatra – La Pergola dell'Hotel Rome Cavalieri, Roma

- Pan cotto al latte di mandorle e ricci di mare – Uliassi, Senigallia (AN)

Primi:

- Mojito di Parma - Atman a Villa Rospigliosi, Lamporecchio (PT)

- Baci di calamaro con leggero pesto acidulo – Don Alfonso, Sant'Agata sui Due Golfi (NA)

- Tortelli al camoscio – Laite, Sappada (BL)

Secondi:

- Merluzzo al miso, topinambur, daikon e verza – Siriola dell'Hotel Ciasa Salares, San Cassianon (BZ)

- Sogliola mediterranea – Osteria Francescana, Modena

- Pancetta e Sedano Rapa – Reale, Castel di Sangro (AQ)

- Baccalà Baccalà Baccalà – Villa Crespi, Orta San Giulio (NO)

Natale 2017. Dolci originali. Per chi non si accontenta del solito panettone

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Ancora panettoni? Sì, perché tra i molti disponibili sul mercato, ci sono anche le mille e più varianti nate dall'estro dei pasticceri. Versioni aromatizzate, farcite, arricchite da ingredienti inattesi.

Quest'anno “famolo strano”. Cosa? Il panettone. Perché dopo le degustazioni alla cieca per trovare il miglior panettone artigianale classico, il miglior vegano, i pandori più buoni arriviamo oggi ai lievitati più originali. Quelli farciti o aromatizzati in modo particolare, edizioni speciali per il Natale 2017. Dolci non ortodossi, certo, ma non per questo meno buoni (anzi, diciamo la verità, in alcuni casi si tratta proprio di irresistibili golosità). Noi li abbiamo assaggiati tutti.

Mandarino, cioccolato e zucchero muscovado - Dolciarte

Non è uno di quei panettoni superpompati dal cappello altissimo e la lievitazione overquoted. Eppure con quella sua superficie compatta, ben tesa e dorata è davvero invitante. Proprio un bel panettone, di quelli in stile focaccia dalla struttura omogenea e rassicurante. La cottura ben controllata regala un colore dorato che ricorda più certi pani che i classici dolci natalizi. E la stessa bella impressione la dà al taglio, con quella trama regolare e omogenea. I canditi sono buoni e ben distribuiti e la mollica, soffice e profumata, supera brillantemente la prova del filo. L'aroma del mandarino, unito al cioccolato e alle note calde dello zucchero muscovado, è dominante, pulito, persistente.

 

Ricotta e pere - Sal de Riso

Già la farcitura, di per sé, avrebbe dignità di dolce: pere e ricotta sono un'abbinata vincente, protagonista – non a caso - di uno dei cavalli di battaglia di Sal de Riso: la famosa torta creata quasi un quarto di secolo fa. E il panettone celebra questo binomio con una glassa fastosa e candida, punteggiata da pezzetti di pera candita che si ritrovano anche all'interno, alternati da morbida crema di ricotta, profumata al rum e nocciole. Proprio questa sontuosa crema domina l'assaggio creando un suadente intermezzo nella mollica. Irresistibile per chi, nei dolci, ama una certa rotondità e il rassicurante tocco cremoso.

 

Frutti rossi e vino aglianico - Alfonso Pepe

Il panettone più nuovo di Alfonso Pepe, creato per il Natale 2017, è di un bel colore brunito, ben alveolato e con una convinta umidità che resiste anche al trascorrere delle ore. L'acidità dei frutti rossi, ben distribuiti, bilancia la componente zuccherina e regala croccantezza al morso. Merito dei semini, che secondo noi non solo non danno fastidio, ma aggiungono struttura e creano un piacevole contrappunto nella degustazione. Un panettone da adulti, forse. E non solo per la componente vinosa, ma anche per quell'amalgama di struttura, umidità, acidità persistente e il fatidico crunch che dà profondità all'assaggio.

 

Pistacchio, limone e frutti rossi - Cortinovis

Uno di quei panettoni monumentali che fanno la gioia degli appassionati dei dolci-dolci: la glassatura con cioccolato bianco e pistacchi è una dichiarazione di golosità, quasi barocca e con quel bicolore decorativo che è un invito al pizzicarne un po' per sentire ogni parte il sapore che ha. All'interno, a dare movimento al morso e ben distribuiti nella mollica alveolata, i frutti rossi, che dettano il ritmo dell'assaggio e continuano lunghi con la loro spinta acidula che si unisce a quella del limone.

 

Panettùn strudel – Martesana

Il gioco è stato mettere insieme due dolci tradizionali, quali il panettone e lo strudel, con la cannella e i canditi di mele che si aggiungono all'uvetta. Una prova che poteva essere un virtuosistico esercizio di stile, e che invece ha dato vita a un dolce nuovo, che ha aromi e sapori tipici dello strudel (tanto che a occhi chiusi potrebbe quasi confondere), ma con la soffice consistenza del panettone. Un assaggio quasi straniante, tanto i due sapori si mescolano e si inseguono. Alla lunga, però, è lo strudel a vincere nel ricordo che lascia impresso. Con vivo piacere.

 

Panettone alla rugiada - Aqua Crua

Il panettone di Giuliano Baldessari del ristorante Aqua Crua di Barbarano Vicentino è semplice, piccolo e grazioso, con l'altezza che gli conferisce un'aria pacioccosamente orgogliosa, rivela al taglio un impasto giallo intenso. I profumi esuberanti di spezie (cannella, fava di tonka, noce moscata, chiodi di garofano, curry, curcuma) richiamano i colorati suk d'Oriente (e colorano anche il panettone), la bocca è rinfrescata e stimolata dal pepe di Sichuan. Tra gli ingredienti anche burro francese, sapa sarda e canditi di produzione propria (ottimi); e la rugiada raccolta la notte di San Giovanni, il 24 giugno, sulle montagne del Lagorai, sopra Trento. Un panettone trasparente, colorato, proposto in un solo formato da 500 grammi.

 

 

Panettone ai 4 cioccolati – Pavè

Un panettone per chi ama il cioccolato ma non i dolci ridondanti, quello della pasticceria Pavè. Eppure ben quattro cioccolati arricchiscono questo bel lievitato: fondente, al latte, biondo e bianco, usati con misura e abilità. La costa è croccantina con frammenti minuti di cioccolato e all'interno, nella mollica allungata, si ritrovano piccole aree in cui si annida un poco di farcitura. Un panettone che riesce a essere, contemporaneamente, austero e goloso, che non gioca la carta piaciona e barocca della glassa al cioccolato o delle farciture di creme opulente.

 

Gruè di cacao e arancia candita / Amarena e cioccolato / Uvetta e champagne – Renato Bosco

Di piccola pezzatura, i panettoni di Renato Bosco hanno alveolatura più tondeggiante che allungata, e giocano con classici abbinamenti, per esempio amarena e cioccolato. Qui la spinta amarognola del frutto viene compensata, nell'impasto, da perle di crema al cioccolato di ugual misura. A creare contrasto, una copertura croccante con codine di zucchero. Arancia candita e cacao è un altro dei classici matrimoni di sapori, qui nella variante croquer data dal gruè. Domina l'uvetta (di taglia XXL) nel grande lievitato arricchito da champagne.

 

Macadamia - Gruè

Non è frequente trovare nel panettone la frutta secca a guscio, se non nella copertura. Invece la pasticceria Gruè ha messo un produzione, per quest'anno, un panettone in cui si nascondono pezzettoni di noci macadamia. Inconsueto, e non solo per gusto: al morso si alternano parti molto soffici, con un'alveolatura allungata e filante, a bocconi tenaci, da masticare, a tutto si aggiunge una glassa croccante e poco uniforme.

 

Solo zuccheri naturali e integrali Bio - Pasticceria Tabiano di Claudio Gatti

È la novità per il Natale 2017 di Claudio Gatti: uno pseudo-panettone (la quantità di grassi è inferiore al 16%) con dieci zuccheri, biologici, alternativi al saccarosio: zucchero di canna biologico, di cocco, cristallino di uva e Moscovado, miele, sciroppo di agave e di acero, melassa, malto di riso e d'orzo. Due varianti – una con uvetta (con incarto verde), l'altra al cioccolato (incarto arancione) – nell'inconfondibile struttura Gatti style, aerea, impalpabile, sofficissima, filante come poche, di velluto e seta. Quella con il cioccolato bianco nell'impasto l'abbiamo preferita: colore scuro come quella ai grani antichi (una delle più riuscite tra le molte focacce in produzione) grazie alla crema di malto d'orzo al posto di canditi e uvetta, ha dolcezza contenuta e un gusto compiuto, centrato, un suo perché.

 

Panettone all'olio e buccia di limone - Mamma Grazia

Un panettone all'olio extravergine d'oliva e buccia di limone della costiera amalfitana con olio del Frantoio Marsicani e burro. Difficile trovare un panettone all'extravergine con una struttura così: umida, sofficissima e molto filante. Un dolce sicuramente eretico, e inconsueto negli ingredienti come nell'aroma. All'assaggio è tenero, semplice, pulito. Con note agrumate e floreali. Insomma: un panettone decisamente particolare.

 

Cuor di panettone, albicocca, pesca e lavanda - Pasticceria Giotto dal Carcere di Padova

I grandi lievitati della pasticceria del carcere di Padova sono una certezza: la loro struttura non delude mai (anche grazie ai mono e digliceridi degli acidi grassi). Il Cuor di panettone albicocca, pesca e lavanda vede in prima linea l'aroma di lavanda che, sia al naso che in bocca, domina la scena. Deve piacere, insomma. Perché la lavanda, in cucina, non lascia vie di scampo: o si odia o si ama. E l'incontro con albicocche e pesche, ancorché da manuale, è un campo di prova.

 

a cura di Antonella De Santis

 

Mangiare a Roma. A Ostiense arrivano i piatti romani di Saulo e il panino all'astice di Ted

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Inarrestabile il fermento gastronomico da anni in corso in zona Ostiense. Quest'inverno, nel quartiere arrivano due nuove insegne, il ristorante romano con cocktail bar di Saulo, e Ted, lobster bar del quartiere Prati che si prepara a raddoppiare.

Due nuovi indirizzi di qualità si insediano nella zona sud-est di Roma, in quell'area ex industriale stretta tra la via Ostiense, il ponte di ferro e il Gasometro, che lambisce Testaccio e che sta vivendo, da ormai più di cinque anni, una seconda giovinezza all'insegna del buon bere e del buon mangiare. Non occorrono più molte presentazioni per quello che ormai da tempo è diventato un punto di ritrovo per tutti gli appassionati gastronomi della città, un quartiere che continua ad accogliere insegne di livello, format innovativi e proposte sfiziose.

Saulo, l'incontro fra passato e presente

In via Ostiense, affacciato sulla Basilica di San Paolo Fuori Le Mura, ha aperto i battenti il 21 dicembre Saulo, un ristorante con cocktail bar che deve il suo nome proprio a Paolo di Tarso (San Paolo), ma anche sito archeologico e terrazza panoramica, un nuovo spazio interamente dedicato al cibo e al bere miscelato che mescola passato e presente. A concepire il ristorante, due giovani imprenditori capitolini, Paolo Rosmarino della pasticceria Barberini e Francesco Profili della torrefazione ProfiliCaffè, che ha coordinato i lavori di ristrutturazione: “Abbiamo voluto valorizzare la parte del sepolcreto e tutto ciò che lo circondava, con la complicità dei Beni Culturali, cercando di lasciare l'ambiente storico quanto più intatto possibile, a cominciare dai materiali. Siamo in una posizione privilegiata, dirimpetto a una grande struttura architettonica: abbiamo voluto puntare molto su questo aspetto”. Gli arredi, curati dall'architetto Francesco Cotone, sono semplici e familiari, “il nostro obiettivo è offrire ai clienti uno spazio accogliente, senza però scadere nello stile un po' antiquato delle osterie romane di una volta”.

Cucina romana e cocktail d'autore

A firmare il menu di Saulo, MauroSecondi, uno dei migliori maestri pastai della Città Eterna, che ha messo a punto un menu variegato, che comprende proposte come il raviolo fresco ripieno di coda alla vaccinara, la pasta e fagioli con cotiche soffiate, il lesso alla picchiapò con mentuccia romana e il baccalà in oliocottura con la sua maionese. In cucina, il giovane Andrei Dondin, diplomato alla scuola alberghiera con diverse esperienze alle spalle (Va.Do. Al Pigneto e Clotilde, tanto per citarne alcune), che da Saulo ha intenzione di riproporre le specialità del pranzo della domenica, dalle lasagne alle fettuccine al ragù, dal pollo alla cacciatora al vitello tonnato. Per concludere il pasto, naturalmente, dessert firmati Barberini, “bavaresi, millefoglie, profiteroles”. Sul fronte cocktail, i drink di Argot, bar dedicato al bere miscelato in pieno centro storico, a Campo de’ Fiori, che per il neonato locale ha ideato 10 diverse proposte. I grembiuli del team di Saulo, inoltre, portano la stessa firma della mente che veste gli allievi delle scuole del Gambero Rosso alla Città del gusto Roma.

La doppietta di Ted: da Prati a Ostiense

Procedendo sull'Ostiense, all'altezza di via del Porto Fluviale, proprio dirimpetto al locale che ha dato il là alla movida gastronomica di quartiere, si prepara ad aprire i battenti anche Ted, un nome già noto ai buongustai romani, dall’autunno 2015 in azione con la prima sede in zona Prati. Un concept creativo e insolito, un unicum in Italia, un open space di 250 metri quadri curato nei minimi dettagli da Strato, brillante studio di architettura che ha realizzato uno spazio moderno e vivace, dal design accattivante ma al contempo accogliente, tutto giocato su luci e riflessi. Un format originale, quello di Ted, creato in collaborazione con la famiglia Laurenzi Consulting, che trae ispirazione dalla cucina dell'East Coast, celebre per l'utilizzo dell'astice, e che ha portato per la prima volta a Roma il lobster roll, l'hamburger con astice grigliato e salsa bernese e tante altre golose specialità statunitensi. Nessuna informazione precisa, per il momento, circa la data di apertura, ma l'arrivo di Ted in zona sud potrebbe portare con sé anche altre ghiotte novità, fra serate a tema e intrattenimento.

Saulo – Roma – via Ostiense, 251 - facebook.com/ristorantesaulo/?ref=br_rs

a cura di Michela Becchi

video di Saverio De Luca

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