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Creazioni: pasticceria e cucina d'autore sul lago di Garda

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L'abbiamo conosciuta alla Dolce Locanda, la pasticceria di Giancarlo Perbellini a Verona, ma la giovane Giulia Cerboneschi ha da poco aperto un nuovo locale tutto suo sulle sponde del lago di Garda, in cui si cimenta anche con la cucina.

Le ideatrici

Giulia Cerboneschi è un nome già noto nel panorama della gastronomia nazionale: due anni fa la guida Pasticceri & Pasticcerie del Gambero Rosso l'aveva premiata come Pasticcere Emergente, a soli 25 anni, per l'impegno alla Dolce Locanda di Verona, la pasticceria dello chef Giancarlo Perbellini. Oggi, la giovane artigiana ha abbandonato la città per creare un locale suo a Manerba del Garda, insieme a Francesca Serra, classe '91, operatrice turistica ed esperta di comunicazione e gestione dei locali. Si sono conosciute per caso, ma non ci è voluto molto perché da quell'incontro fortuito nascesse fra le due giovani una solida collaborazione basata sulla stessa filosofia e focalizzata su un obiettivo comune: offrire ai consumatori un'esperienza gastronomica di qualità, attraverso la selezione di prodotti sani, freschi e di prima scelta.

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Il progetto

Un progetto di ampio respiro, che ha preso vita lo scorso 15 ottobre sulle sponde del lago di Garda, in un comune di poco più di 5mila anime che ora può fare affidamento anche su una pasticceria di livello. Ma non solo: Creazioni è anche il luogo ideale per la pausa pranzo, la merenda e l'aperitivo. “Avevo in mente da tempo di aprire un locale simile”, racconta Giulia, “un posto in grado di soddisfare i clienti in ogni momento della giornata. La pasticceria resta la mia passione, ma qui mi diverto anche con il salato”. Non mancano, infatti, brioche e lieviti per la prima colazione, ma il menu comprende anche panini, taglieri di salumi e formaggi, e piatti semplici e sfiziosi, che cambiano di continuo: “La stagionalità è molto importante per noi, per questo cambiamo il menu circa ogni tre settimane, adeguandoci al ritmo della natura”.

 

hamburger

Il locale

Un locale polifunzionale, dunque, un open space interamente dominato dal bancone, suddiviso fra vetrine riscaldate per le brioche, reparto frutta e verdura, “che usiamo per gli estratti e le centrifughe, ma che può essere anche acquistata per casa”, banco mignon e pozzetti per il gelato. Circa 50 posti all'interno e una veranda esterna per questo nuovo locale che ha già conquistato il palato dei clienti: “Non ci aspettavamo una risposta immediata, invece, da subito abbiamo avuto un afflusso notevole”. Anche in una cittadina così piccola, ben diversa dalla turistica Verona: “Venire ad abitare qui per me è stato un toccasana. Sono cresciuta in un paesino e vivere a Verona non è stato facile”. Quello della città scaligera, però, resta un ricordo positivo, che la pasticcera custodisce con cura: “Ogni esperienza lavorativa è fondamentale per la propria crescita professionale. Alla Dolce Locanda ho acquisito una marcia in più, un approccio diverso al mestiere che mi ha permesso di ripartire, cominciando un'attività in proprio”.

 

Mignon

L'offerta

A coadiuvare servizio e gestione della sala, Francesca, mentre la cucina è il regno di Giulia. Si comincia con la colazione, fra croissant e sfoglie, biscotti e dolci della tradizione anglosassone, francese, tedesca e, naturalmente, anche italiana: “Tutte le brioche sono realizzate con lievito madre, seppur con impasti diversi. Abbiamo quello ai 7 cereali, il classico e il vegano”.

 

lieviti

Ma ci sono anche le torte, “fresche e moderne”, i mignon, le crostate, i dolci da credenza, i dessert al cucchiaio, senza dimenticare i gelati artigianali, per una proposta dolce ampia e variegata, in grado di adeguarsi a ogni ora del giorno. Per pranzo, panini e burger, tutti preparati con pane fatto in casa, taglieri di salumi e formaggi di un'azienda locale, La Collina, “dalla quale ci riforniamo anche per la frutta e la verdura”. Ad accompagnare pietanze dolci e salate, caffè biologico, tè, infusi, tisane, succhi di frutta bio, estratti, centrifughe e spremute fresche, e una selezione di vini “curata da Francesca, che studia di continuo per proporre etichette sempre nuove”, e birre artigianali.

Creazioni | Manerba del Garda (BS) | via Gassman, 7 | 0365552796 | facebook.com/Creazionicaffe/

a cura di Michela Becchi


Novità in Romagna. La pizza di Ivan Signoretti a Rimini, i panini di Senape, la cucina del caseificio Mambelli

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Quattro indirizzi per quattro differenti vocazioni. E altrettanti approcci alla ristorazione, tutti però in territorio romagnolo, da Rimini a Bertinoro, passando per Cervia. Nella città dei Malatesta aprono Il Cortile in Centro e Casabrigandi, a Cervia arrivano i burger gourmet di Senape. Mentre il Caseificio Mambelli ci prova con la cucina di Osta! 

È un tour della Romagna per tappe quello alla scoperta delle novità gastronomiche che nelle ultime settimane hanno movimentato l'orizzonte ristorativo tra Rimini, Cervia, Forlì e provincia. Quattro nuovi indirizzi, differenti per vocazione uno dall'altro, che si aggiungono all'inaugurazione più significativa dell'autunno romagnolo – DaGorini a San Piero in Bagno, nuova casa di Gianluca Gorini – e al recentissimo esordio della squadra di Benso, ai Giardini Orselli di Forlì, con la supervisione di Piergiorgio Parini. A confermare il buon momento,  un mese fa, è arrivato il riconoscimento importante per la cucina di Alberto Faccani, alla guida del ristorante Magnolia di Cesenatico, che festeggia l'assegnazione della seconda stella Michelin, e illumina una volta di più il (nutrito) panorama della ristorazione d'autore romagnola. 

Il Cortile in Centro. Pizza d'autore a Rimini

Intanto, nel centro di Rimini, si gioca sul rilancio di una proposta informale di livello. All'inizio di novembre, in via Sigismondo Malatesta, ha inaugurato Il Cortile in Centro, pizzeria di ambientazione moderna che trova il suo punto di forza negli impasti di Ivan Signoretti, socio del progetto insieme a Thomas Agostini. Il maestro romagnolo è celebre sul territorio per l'esperienza maturata al Qbio di Faenza, e ancor prima negli anni allo Sp.accio di San Patrignano. La nuova sfida lo mette al centro di un sistema modulato sull'offerta pizza e cocktail, con bancone che domina la sala e laboratorio a vista (progetto a cura di Cinzia Domizi). Per i riminesi, il “ripopolamento” delle celebri Cantinette – luogo deputato alla movida cittadina -  è una questione molto sentita. E l'investimento che ha portato all'apertura del Cortile, diverse centinaia di migliaia di euro per i lavori che hanno totalmente ripensato lo spazio, asseconda le aspettative. Al tempo dire se la pizza di Ivan si dimostrerà all'altezza dei precedenti: nel 2015 il Gambero Rosso lo premiava per la pizza dell'anno sulla guida Pizzerie d'Italia. Nella pizzeria di Rimini, oltre ai classici del genere, diverse proposte creative, fermo restando l'impasto da lievito madre e la cottura nel forno elettrico: tataki di tonno e Piennolo giallo, mortadella Bonfatti e burrata, prosciutto crudo e fior di latte. Servite a spicchi, in versione degustazione.

 

Casabrigandi

E nel centro di Rimini è appena approdato Fabio Brigandì, che in corso d'Augusto, all'interno del cortile di Palazzo Carli, ha appena inaugurato Casabrigandi. Lo chef di origini siciliane è già noto in città per la militanza al ristorante Teatini. Col nuovo progetto (di fatto un trasloco) abbraccia una proposta da ristorante enoteca gourmet, con vendita al dettaglio delle bottiglie nello spazio dedicato all'enoteca, e carta dei vini mirata a raccontare il territorio romagnolo in primis, ma pure una selezione delle migliori proposte sul versante nazionale, con attenzione particolare al biodinamico. Dalla cucina di mare, su base stagionale, un menu ridotto, secondo disponibilità del mercato: sardoncini al testo, radicchio da taglio e cipolla di Tropea caramellata, sgombro alla catalana, strozzapreti al ragù di pesce.

Senape. I burger gourmet di Cervia

Da Cervia, invece, arriva la storia di Luca Giorgini, 31enne bolognese ideatore della risto-hamburgeria Senape, inaugurata appena una settimana fa in corso Mazzini. Idea semplice e già vista altrove – trasformare il più classico dei junk food d'importazione americana in un prodotto gourmet – che da Senape si traduce prima di tutto nell'accurata selezione di materie prime del territorio: il pane è quello di San Patrignano, lo squacquerone del caseificio Buon Pastore di Sant'Alberto, il prosciutto di Mora romagnola, il pecorino di fossa, la carne di Lem Carni, il pescato dell'Adriatico. La senape, ca va sans dire, fatta in casa. Il servizio è tipico del più classico dei fast food: si compone il panino con i propri ingredienti preferiti, si ordina alla cassa. Ma si può optare anche per i “suggerimenti” della casa: il Teodorico con burger di fassona piemontese,  guanciale croccante di San Patrignano, formaggio Teodorico del Buon Pastore, asparagi, uova di quaglia e salsa barbecue; il burger di pesce con salmone affumicato, burratina, rucola, avocadi e germogli di porro; il Campagnolo con tomino di capra alla piastra, pomodori secchi, pesto al basilico; il Fior di ricotta, con burger di scottona allevata a erba medica, ricotta, lardo di mora romagnola San Patrignano e miele di castagno. Tutto accompagnato con patate novelle al forno con sale di Cervia. Qualche minuto per “ritirare” l'ordine, e accomodarsi al tavolo. Una trentina in tutto i coperti. Dalle 12 alle 23, anche da asporto.

 

Osta! Dispensa e Cucina del Caseificio Mambelli

Ultimo cambio di set, in vista di Bertinoro (FC), per registrare l'ultimo progetto di una realtà che sul territorio opera dal 1972: il Caseificio Mambelli. Fondata da Domenico Mambelli, recentemente scomparso, l'azienda mantiene la conduzione familiare (ma oggi ha notevolmente ampliato la produzione), con la terza generazione di casari all'opera. Tra i prodotti di punta, il primo che l'ha reso celebre, la Ricotta di Romagna, ottenuta dal latte (e non dal siero), e dalla metà degli anni Novanta anche lo Squacquerone e la Casatella. Nelle ultime settimane, all'interno del caseificio di Santa Maria Nuova ha inaugurato una tavola informale guidata dallo chef Pierangelo Medri. Osta! Dispensa e Cucina si colloca così al confine tra gastronomia (si acquista anche a scaffale e dal banco), tavola da asporto e bistrot, aperto a pranzo e cena. Il menu cambia ogni settimana; ora in carta cremoso ai carciofi, noci e tarassaco, fazzoletti di zucca mantovana al forno su pesto di rucola, cappone ripieno di castagne e salsiccia matta, mascarpone artigianale Mambelli con scaglie di cioccolato. E poi hamburger, piadine e crescioni, la degustazione di formaggi con marmellate dolci e salate.

 

Il Cortile in Centro | Rimini | via Sigismondo Malatesta, 17-19 | www.facebook.com/Il-cortile-in-centro-478093129222629/

Casabrigandi | Rimini | corso d'Augusto, 76 | www.casabrigandi.it

Senape | Cervia (RN) | corso Mazzini, 2 | www.facebook.com/senapelaboratoriodelgusto/

Osta! Dispensa e Cucina | Santa Maria Nuova, Bertinoro (FC) | via Ceredi, 1402 | www.mambelli.com

 

a cura di Livia Montagnoli

Le 5 migliori pizzerie agricole d'Italia: l'arte bianca che si ispira alla terra

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Ci sono le migliori pizze all'italiana e quelle a degustazione, le classiche e le più creative, le tonde e i tranci. Ma ci sono anche tante pizzerie cosiddette “agricole”, che traggono ispirazione dall'orto e i frutti della terra. Ecco le migliori secondo la guida Pizzerie d'Italia del Gambero Rosso.

54 Tre Spicchi (riconoscimento per la pizza tonda) e 10 Tre Rotelle (premio per la pizza a taglio). Questi i numeri dell'ultima edizione della guida Pizzerie d'Italia del Gambero Rosso, che conferma ancora una volta l'interesse crescente verso il settore dell'arte bianca. Fra locali innovativi, moderni e gourmet, trova spazio anche un nuovo filone, quello delle “pizzerie agricole”, ovvero tutte quelle insegne che si rifanno al mondo dell'agricoltura, avvalendosi di un orto proprio e realizzando in casa la maggior parte delle materie prime necessarie per la creazione di impasto e condimento. Una tendenza nata grazie al lavoro di grandi maestri come Gabriele Bonci e Franco Pepe, e ben presto diffusasi anche fra gli artigiani più giovani. Qui, una raccolta di indirizzi validi per assaggiare le migliori pizze agricole d'Italia segnalate dalla guida.

Agriturismo Il Casaletto – Viterbo

Un diploma all'Istituto Alberghiero di Caprarola, diverse esperienze nei ristoranti della Tuscia e poi l'incontro fortuito con Marco Ceccobelli del Casaletto: a soli 26 anni Andrea Pechini si è inserito a pieno nell'elenco dei migliori pizzaioli della Penisola. Da qualche tempo gestisce con cura e passione il reparto pizzeria del ristorante viterbese, che comprende anche un'area dedicata alla trattoria, guidata da Marco e la compagna Donatella. Appassionato di lieviti e farine – tutte macinate a pietra – e grande sperimentatore, il pizzaiolo si destreggia fra impasti diversi e condimenti originali. Fra le ultime nate, la focaccia a base di farina integrale di cartamo, tipica della zona, ma ci sono anche proposte classiche come la Margherita e la Marinara, e altre stagionali che variano a seconda della disponibilità degli ingredienti e della fantasia dell'artigiano. In azienda, si producono cereali, ortaggi e anche salumi, che periodicamente vengono degustati in abbinamento alla focaccia bianca. Ottima anche la carta dei vini e delle birre, che spazia dalle migliori etichette locali alle bollicine italiane, fino ad arrivare agli Champagne.

Agriturismo Il Casaletto | Viterbo | s.da Grottana, 9 | tel. 07 61367077 | www.ilcasaletto.it

Gigi Pipa – Este (PD)

Il giovane Alberto Morello da anni porta avanti una ricerca attenta per ottenere prodotti digeribili e conditi solo con ingredienti stagionali. Nel 2015 la guida lo aveva premiato come pizzaiolo emergente, ma il suo impasto oggi è ancora più maturo e calibrato, al punto da essersi guadagnato, nell'ultima edizione, i Tre Spicchi. Alla base del suo successo, due panetti a lunga lievitazione - uno da pasta madre e l'altro da biga - entrambi a lunga lievitazione (72 ore) e ottenuti da farina macinata a pietra. L'impasto con lievito madre è soffice e alveolato, disponibile sia nella versione classica che in quella a degustazione, mentre il secondo risulta più croccante e leggero. Fra i cavalli di battaglia di Alberto, la pizza Dell'orto, con verdure fresche (dell'orto proprio, ça va sans dire) e topping colorati, ma anche la Culatello DOP, a base di salume emiliano e fiordilatte pugliese. Da provare, poi, la pizza a degustazione con battuta di manzo, fiordilatte, porro stufato e senape in grani.

 

Gigi Pipa

Gigi Pipi | Este (PD) | v.le Rimembranza, 1 | tel. 331 4161253 | www.pizzeriagigipipa.it

Grotto Pizzeria Castello – Caggiano (SA)

Nel cuore del borgo medievale di Caggiano, la pizzeria di Angelo Rumolo gode di una posizione privilegiata, in un'ala ai piedi del Castello Normanno, nel mezzo del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano. Le sue sono pizze di matrice agricola, semplice e gustose. Fra le specialità della casa, la Zammedda (“pelle di pomodoro” in dialetto caggianese), una pizza dall'impasto misto di farine di grani antichi, condita con pomodoro, buccia di pomodoro e pecorino. E poi la stagionale Cicorione, con pomodoro fresco, mozzarella, salame piccante e, naturalmente, cicorione. Olio extravergine di oliva, formaggi, salumi, ortaggi: il menu è caratterizzato da ingredienti locali, molti dei quali prodotti in casa.

 

Grotto

Grotto Pizzeria Castello | Caggiano (SA) | via Roma, 26 | tel. 320 0229051 | www.facebook.com/GrottoPizzeriaCastello/

Pizzeria Agricola – Rosolina (RO)

Un pizzaiolo e una pasticcera, entrambi amanti della buona tavola e da sempre alla ricerca delle materie prime più pregiate: Giacomo Carlizza e Diletta Maria Grasso vantano due curricula d'eccezione, in cui si scorrono nomi come Bonci, Massari, Radicioni. Qualche anno fa i due hanno scelto di unire le forze e così, negli spazi che prima ospitavano il bar della famiglia Marangon – che oggi sostiene il progetto dei due giovani – Giacomo e Diletta portano avanti la loro passione per la natura. Selezionando attentamente ogni ingrediente, scegliendo personalmente gli allevatori del territorio che credono nel lavoro pulito e etico, e coltivando frutta e verdura. Un locale dalla doppia anima, bar al mattino, Il Gattaccio, con i dolci di Diletta, e ristorante la sera, con proposte che spaziano dal pesce alla carne, senza dimenticare i piatti vegetariani e la pizza a taglio. Sul bancone ruotano sempre 4 proposte: pomodoro, orto, affettato e crostino, ma si può scegliere anche il percorso degustazione ideato da Giacomo, da 3 o 5 tranci.

Pizzeria Agricola | Rosolina (RO) | piazza San Giorgio, 15 | tel. 346 6104429 | www.facebook.com/PizzeriaAgricola/

Vola, Bontà per Tutti - Santo Stefano Belbo (CN)

A leggere i suoi fornitori si fa un bel giro nelle più virtuose realtà piemontesi: farine, carni, pomodoro, birra, mozzarella di bufala di Cuneo e tante altre le specialità territoriali alla base delle pizze di Stefano Vola, artigiano premiato come Pizzaiolo Emergente dell'anno. Ma a fornire i prodotti è prima di tutto l'orto di casa, dal quale Stefano raccoglie le materie prime per condire le sue pizze. Alla base, diversi impasti, da quello di Enkir - liscio e leggero - a quello alla nocciola. A insaporire i dischi di pasta, salsiccia, mozzarella, verdure appena spadellate, salumi e formaggi locali, ma il menu qui varia di continuo, assecondando il ritmo delle stagioni e, soprattutto, l'estro di Stefano.

 

Vola

Vola, Bontà per Tutti | Santo Stefano Belbo (CN) | tel. 01 41840626 | www.facebook.com/Bontapertutti/

a cura di Michela Becchi

Pizzerie d’Italia del Gambero Rosso 2018 | pp 384 | euro 8,90 | La guida è acquistabile in edicola, libreria e on line

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Natale solidale con gli chef. T’Invito a cena a Brescia, Ambrosino per Nairobi, Sultano a Km Zero. E il calendario dei pizzaioli

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Si moltiplicano le iniziative solidali che coinvolgono chef e grandi cucina. Il 18 dicembre mobilitazione a Brescia per 500 persone in difficoltà, già il 15 appuntamento a Ragusa da Ciccio Sultano, a favore dei minori disagiati. Per tutto il mese raccolta fondi al 28 Posti di Milano. E per il prossimo anno c’è il calendario One Pizza 2018. 

Chef, etica e solidarietà

Col Natale alle porte, c’è un motivo in più per impegnarsi a fare del bene. L’affinità tra mondo dell’alta ristorazione e solidarietà, del resto, si riconferma con costanza ben oltre il periodo delle feste. E questa è una fortuna, visto quanto, da qualche anno a questa parte, gli chef siano in grado di catalizzare l’attenzione mediatica e sollecitare un discreto numero di persone. Tant’è che il Basque Culinary Center di San Sebastian, sull’eticità dello chef ha inventato un premio: un riconoscimento per chi più degli altri sia riuscito a distinguersi nell’aiutare la propria comunità, le persone bisognose di cibo e attenzioni, persino il Pianeta e l’equilibrio naturale delle cose, perennemente minacciato. In Italia, da un paio d’anni, i riflettori si accendono sul tema con cadenza regolare in occasione di Care’s (che tornerà dal 14 al 18 gennaio 2018, ne riparleremo), ma il testimonial per eccellenza è indubbiamente Massimo Bottura, che nel mondo continua a portare un’idea di solidarietà fatta di aiuti concreti e restituzione della dignità. Senza l’una, non avrebbero senso gli altri. E questa è la forza più dirompente del modello Refettorio, descritto pure nell’ultimo libro dello chef modenese, Il Pane è Oro.

T’Invito a cena. A Brescia

Tornando al Natale, e al contributo che tutti possiamo dare in prima persona, la forma di solidarietà più diffusa è quella della cena solidale, che si tratti di raccolta fondi o di coinvolgere direttamente chi ha bisogno di ritrovarsi intorno a un tavolo con un po’ di serenità. A Brescia, per esempio, lunedì 18 dicembre va in scena T’Invito a cena, una tavolata collettiva per 500 persone in difficoltà che si ritroveranno al Gran Teatro Morato per un evento speciale. In cucina gli chef del territorio, coordinati da Stefano Cerveni (Due Colombe e Terrazza Triennale a Milano), e coinvolti nella rete solidale della Caritas Diocesana di Brescia. Tra loro Philippe Leveille, Riccardo Camanini, Piercarlo Zanotti, Fabio Mazzolini. Sul sito dell’iniziativa si può contribuire alla buona riuscita della cena: per donare un piatto bastano 10 euro, per regalare la cena a un’intera famiglia 100 euro.

 

28 Posti per Food in Slums

Al 28 Posti di Marco Ambrosino (Milano), invece, l’appuntamento cardine a sostegno del progetto Food in Slums c’è già stato: il 5 dicembre scorso, lo chef ha sancito il suo impegno al fianco dell’ong Liveinslums Onlus con una cena destinata alla raccolta fondi per combattere la malnutrizione infantile e sostenere l’agricoltura urbana nelle bidonville di Nairobi (Mathare, nello specifico, un agglomerato che ospita più di 500mila persone alla periferia della città). Ma l’iniziativa si protrarrà per tutto il mese di dicembre: a pranzo e cena, gli ospiti di 28 Posti saranno invitati a fare una donazione, ricevendo in cambio un dono dello chef.

Solidarietà a Km Zero con Ciccio Sultano

Molto più a Sud, tagliando la Penisola in direzione Sicilia, le luci della solidarietà si accendono sul Duomo di Ragusa, promotore dell’iniziativa Solidarietà a Km Zero. L’impegno di Ciccio Sultano sul territorio non è certo un mistero, e allora la charity dinner in programma per il 15 dicembre avrà il duplice merito di coinvolgere nell’organizzazione della serata i produttori locali, e al contempo destinare le donazioni raccolte a tre associazioni locali: il Piccolo Principe di Ragusa impegnato nel sostegno dei bambini disabili, Il convento di Rosario di Scicli che segue minori in difficoltà, la Casa di Toti, al lavoro con ragazzi con problemi cognitivi. A seguire la cena (200 euro per partecipare, 40 i posti disponibili), un’asta di beneficenza con i prodotti dei fornitori coinvolti. Le donazioni confluiranno direttamente nelle casse delle associazioni, con bonifico diretto dei partecipanti alla coordinate indicate. Il menu, dopo il generoso benvenuto dello chef, Il mio carciofo sott’olio con la tartare di manzo di Giuseppe Grasso, lo spaghettone con lenticchie, panna acida e ostriche, i maccheroncini con zuppa di pesce e astice mediterraneo, il maialino nero farcito con castagne al bbq, funghi e carote caramellate. E molto altro, con vini in abbinamento.

One Pizza 2018

L’ultima iniziativa, un appuntamento che si riconferma, coinvolge i pizzaioli napoletani, fotografati da Salvio Parisi sulle pagine del calendario One Pizza 2018. 11 i protagonisti dell’iniziativa a favore dell’Ospedale Santobono di Napoli: Enzo Coccia, Antonio Starita, Ciro Oliva, Alessandro Condurro, Vincenzo Esposito, Attilio Bachetti, Salvatore Grasso, Guglielmo Vuolo, Francesco eSalvatore Salvo. Il calendario si può già acquistare nelle pizzerie coinvolte, con donazione minima di 5 euro.

 

T’Invito a cena |Brescia| per donazioni www.tinvitoacena.it

Food Slums da 28 Posti | Milano | via Corsico, 1 | per tutto il mese di dicembre | www.28posti.org

Solidarietà a Km Zero | Ragusa Ibla | via Capitano Bocchieri, 31 | il 15 dicembre, dalle 20.30 | per info e prenotazioni 0932 651265/ info@ristoranteduomo.it | www.cicciosultano.it

 

a cura di Livia Montagnoli

 

Pinot Nero. 12 vini da abbinare durante le feste

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È forse uno dei vitigni più difficili da trattare, delicato e fragile, quanto espressivo ed elegante. Rappresenta una sfida per molti viticoltori italiani che a tutte le latitudini cercano di cimentarsi con la sua vinificazione. Stiamo parlando del pinot nero.

 

Alcuni vini citati in questo articolo sono acquistabili su Tannico.it, l’enoteca online partner di Gambero Rosso. 

 

Il pinot nero

È uno dei vitigni più sensibili al terroir e all'andamento dell'annata. La sua culla sembra essere la Borgogna, da cui provengono vini che sono veri e propri capolavori enoici, tra le produzioni più prestigiose (e costose!) del panorama vinicolo internazionale. Il suo nome deriverebbe dalla particolare forma del grappolo, con gli acini molto serrati, tanto da farlo assomigliare a una pigna. L'acino, invece, ha una buccia sottilissima, caratteristica che, come dicevamo, lo rende delicato e particolarmente sensibile alle malattie. Ma una delle particolarità che più lo contraddistingue è l'acidità piuttosto marcata, che si sviluppa soprattutto quando l'uva è coltivata in luoghi dal clima fresco che ne permettono una maturazione lenta che nel bicchiere diventa eleganza e espressività aromatica.

In Italia ci sono diverse zone in grado di esprimere queste caratteristiche e negli ultimi anni abbiamo assistito a una crescita qualitativa dei vini a base pinot nero. Territorio di elezione rimane l'Alto Adige, anche se ottime prove provengono dal vicino Trentino, dalla Valle d'Aosta e dall'Oltrepò Pavese. Ma non solo al nord si concentrano le aziende che si misurano con questo vitigno; anche in Toscana, soprattutto sulle colline che fanno da contrafforti all'Appennino, ci sono ottime prestazioni e non mancano letture interessanti da parte di zone vinicole del nostro Meridione.

Maison Anselmet – Valle d'Aosta Pinot Noir Semel Pater '15

Villeneuve è uno dei paesi alla periferia di Aosta: qui troviamo Anselmet, una delle migliori maison della regione. Le etichette di Giorgio sono molte, l’attenzione sui vitigni autoctoni è marcata ma ciò non lo distoglie dal cimentarsi anche con i vitigni internazionali. Sapientemente le nuove tecnologie sono state adattate alle tradizioni e una profonda conoscenza del territorio ha portato a ottimi risultati. Sempre grande il Pinot Nero Semel Pater, deliziosi i profumi fruttati che ricordano le more e le ciliegie ben fusi con i sentori di legno e speziati. È un vino ancora giovane ma con le carte in regola per evolvere nel tempo.

Andrea Picchioni – Pinot Nero Arfena '15

Andrea Picchioni, a differenza di molti suoi coetanei e conterranei, non è figlio di vignaioli. Ha fondato personalmente la sua piccola azienda nel 1988, a soli 21 anni, costruendo la cantina e recuperando vecchi vigneti in parte abbandonati lungo le ripide pendenze della Val Solinga, sino agli attuali 10 ettari. Nel 1995 inizia la collaborazione con l’agronomo ed enologo Beppe Zatti. I vini cominciano ad assumere una personalità ben definita. L’Arfena ’15 spicca quest’anno quest'anno ci ha davvero colpito. È un Pinot Nero che regala un naso di frutti neri e spezie dolci, mentre in bocca è soave, leggiadro, dal tannino carezzevole e di buona profondità.

Pravis – Madruzzo '15

Largo spazio ai giovani, ai figli di Domenico, Gianni e Mario, i tre amici che dal 1975 hanno rivoluzionato gran parte dei vigneti della valle dei Laghi, tra Trento, il lago di Toblino, quello del Garda e le montagne che portano alle Dolomiti di Brenta. Tanti piccoli appezzamenti vitati, tra cielo e acqua, tutti in alta collina, campi baciati dal vento benefico che soffia dal lago. Un vino per ogni singolo vigneto, recuperando varietà antiche ma piantando pure solaris e le sue sorelle, viti cosiddette interspecifiche, naturali per antonomasia. La giovialità dei vini consente a questa cantina di distinguersi nettamente nel panorama dolomitico. Il Madruzzo è un pinot nero in purezza che fermenta in acciaio e fa una macerazione di circa due settimane; matura poi in barrique per 18 mesi. Il vino che ne risulta ha un bouquet fresco che ha note eteree amalgamate alla ciliegia. Acidità spiccata e buona pienezza fanno il resto.

Cantina Girlan – A. A. Pinot Nero Trattmann Mazon Ris. '14 e A. A. Pinot Nero Patricia '15

Posta all’estremità settentrionale della zona d’Oltradige, la Cantina Girlan nell’ultimo decennio ha saputo rinnovarsi profondamente e diventare una delle strutture che guidano il comparto atesino. Gerhard Kofler ha saputo dare valore ai vitigni storici della regione, dalla schiava al pinot nero, dal pinot bianco al gewürztraminer, cercando di unire ricchezza ed eleganza, aderenza al territorio e personalità, per una produzione che non conosce punti di debolezza. La fresca vendemmia 2014 ha conferito una straordinaria finezza al campione di casa, il Pinot Nero Trattmann Mazon, una Riserva che esprime profumi di erbe fini e frutto selvatico, dotata di un sorso agile e succoso perfettamente sostenuto dalla spinta acida. Ma neanche il Patricia '15 è da sottovalutare; più pieno e strutturato, si offre morbido e con bocca vellutata.

Franz Haas – A. A. Pinot Nero Schweizer '13 e A. A. Pinot Nero '15

Certamente il luogo comune che vuole gli altoatesini persone chiuse e poco comunicative va rivisto completamente nel caso di Franz Haas. Produttore instancabile, eclettico e visionario, Franz non perde occasione per raccontare quali siano le sue aspirazione e a che progetti stia lavorando, si tratti della nuova cantina o dei vigneti piantati in alta montagna. L’ampia gamma di vini proposta spazia dai classici varietali a interpretazioni personali dei vitigni e del territorio atesino. È un grande Pinot Nero lo Schweizer di Franz. Frutto di una selezione di uve provenienti da quattro vigneti diversi e con altitudini che vanno dai 350 ai 700 metri, offre al naso intense note di frutti di bosco ed erbe officinali, mentre in bocca presenta la perfetta fusione tra la dolcezza del frutto, l’acidità e la delicata trama di tannini. Meno complesso e stratificato, ma altrettanto piacevole e fresco il Pinot Nero '15, una versione del vitigno giocata più sull'estrema bevibilità.

Elena Walch – A. A. Pinot Nero Ludwig '14

La cantina di Elena Walch si trova nel cuore di Termeno, perfettamente nascosta all’interno della proprietà di via Andreas Hofer. Il cuore pulsante dell’azienda è però nelle colline vicine, una collana di gioielli che si dipana ai piedi della Mendola fra Termeno e Caldaro, dove brillano le due perle di Kastelaz, dove le vigne di estendono per cinque ettari e di Castel Ringberg dove invece la superficie raggiunge la ventina di ettari. Molto buono il Pinot Nero Ludwig ’14, frutto di vigneti diversi della zona di Termeno. Il bouquet si apre su note classiche di ciliegia e prugna, con sbuffi di spezie dolci. Elegante nel sorso, è perfettamente equilibrato tra acidità e morbidezza.

Maculan – Breganze Pinot Nero '15

Il territorio di Breganze è costituito da una ristretta fascia collinare che si estende da Thiene all’imbocco della Valsugana. Colline dolci con vigneti generalmente esposti a sud che godono del calore del giorno e poi velocemente rinfrescate dalle correnti che scendono dall’altipiano di Asiago. In questo contesto opera da decenni Fausto Maculan, oggi affiancato dalle figlie Angela e Maria Vittoria. La produzione è consolidata da tempo e ruota attorno alla ricchezza dei rossi e la complessità dei passiti. Solo acciaio per questo Pinot Nero che esprime un profilo olfattivo fine, fresco e gradevolmente speziato. La bocca è scorrevole e lineare, piacevolmente intrigante, con una chiusura decisa e di buona persistenza.

Podere della Civettaja – Pinot Nero '14

A volte i luoghi hanno un significato che va oltre quello che è possibile vedere: Vincenzo Tommasi ha la sua azienda vicino alla pieve di Romena, in Casentino, luogo di culto aperto al mondo, e qui ha avuto il coraggio di prendere decisioni non facili, come piantare pinot nero in un territorio mai stato troppo amante della vite. I risultati gli hanno dato ragione ma invece di cullarsi sugli allori ha iniziato a radunare altri produttori animati di passione come lui per creare insieme a loro un'associazione che riunisse tutti i produttori di Pinot Nero dell'Appennino Toscano. Intanto il suo 2014 si comporta a meraviglia: bel colore limpido, ha profumi intensi, decisi, freschi, di erbe aromatiche, anche menta, e frutti come ribes e mirtillo. L'ingresso in bocca è morbido, elegante, invitante, di straordinaria bevibilità. Tannini fini e mirati, finale prolungato, dal retrogusto che regala cenni speziati di chiodi di garofano.

Podere Fortuna – 1465 MCDLXV '12 e Coldaia '14

Alla fine degli anni Novanta Alessandro Brogi fece ripartire l'attività di viticoltura nei terreni del podere Fortuna, 31 ettari compresi tra il fondovalle del fiume Sieve e le prime pendici collinari, dove fino ad allora si erano coltivati cereali. Scelse di piantare chardonnay e soprattutto pinot nero, un vitigno allora non certo comune per la Toscana. I risultati gli hanno dato ragione e hanno spinto altri viticoltori a farlo. Molto buono il 1465, con un bagaglio aromatico tutto dedicato a frutti rossi ed erbe aromatiche su un corpo austero e sapido, dal finale gustoso. Più fresco e delicato il Coldaia ’14.

Emanuele Scammacca del Murgo – Tenuta San Michele Pinot Nero '14

La fascinosa storia di un territorio e di una famiglia affiatata, risalente al 1860. Sarà Emanuele Scammacca, prestigioso Ambasciatore e uomo lungimirante, a riconvertire, dal 1981, antichi feudi in moderne aziende agricole, efficacemente aiutato dai numerosi figli. La strategia era ed è chiara: esaltare al massimo i vitigni tipici del terroir etneo e le diverse contrade senza tralasciare alcune cultivar francesi presenti sul vulcano sin dall'Ottocento. E delle fresche pendici del vulcano si giova anche il Pinot Nero Tenuta San Michele, che qui sull'Etna acquisisce sfaccettature minerali davvero interessanti. Il tannino è fine ma deciso e fa da contraltare a sensazioni di piccoli frutti rossi croccanti fusi con delicate note speziate. Un'euqilibrata sferzata acida chiude il cerchio.

 

Alcuni vini citati in questo articolo sono acquistabili su Tannico.it, l’enoteca online partner di Gambero Rosso. 


www.tannico.it

Trionfo di migliaccio e cucina regionale. Il cibo secondo Google Trends. Le ricette più cercate nel 2017

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Al bando ricette esotiche, gli italiani sono incuriositi dalle specialità della cucina regionale, e al web si affidano per cercare di replicarle in casa. Ma la sorpresa arriva dal primo della lista, il migliaccio napoletano: dolce della tradizione carnevalesca popolare che scalza il tiramisù. I dati di Google Trends. 

Un anno di ricerche online

Se il 2016 era stato l’anno del tiramisù, nel 2017 la corona finisce in Campania e spetta a una specialità non proprio nazionalpopolare: il migliaccio napoletano. Di stilare classifiche nessuno sembra più poter fare a meno, così rassicuranti e di facile presa nel mondo della comunicazione in pillole somministrata dal web. E proprio dalla rete arrivano i dati diffusi da Google Trends in merito alle parole più cercate sul motore di ricerca più popolare del mondo nell’ultimo anno (il bacino di utenza è chiaramente limitato ai confini nazionali). Con puntualità, a dicembre, il portale pubblica i suoi elenchi, limitandosi a specificare che sono frutto di stime “sui termini di ricerca per cui è stato rilevato un alto picco di traffico nel 2017 rispetto al 2016” (e così negli anni precedenti). Statistiche, dunque, in grado di rivelare dove si sposti la curiosità degli utenti un anno dopo l’altro. Quali argomenti d’attualità abbiamo attirato maggiormente la nostra attenzione – per esempio, tra le 5 parole più cercate spiccano i fatti di cronaca che hanno avuto più rilevanza: Nadia Toffa, Hotel Rigopiano, terremoto, Italia-Svezia; e primo tra gli interrogativi è “perché la Catalogna vuole l’indipendenza – ma pure i vezzi di un’identità nazionale che si conferma molto legata alla sua cultura gastronomica.

Come fare… Le olive in salamoia?

Come spiegare, altrimenti, la presenza nell’elenco del “Come fare” di ben 5 (su 10) preparazioni di cucina? Gli italiani, nell’ultimo, si sono chiesti soprattutto – cercando risposte in rete – come fare le olive in salamoia; ma anche la marmellata di albicocche e la carbonara. E a seguire il pesto, e la crema pasticcera. Un popolo di naviganti, eroi… Cuochi fai da te. Quando si passa in rassegna la top 10 specificamente dedicata alle ricette più cercate, le sorprese non mancano. Perché se gli ultimi anni avevano visto trionfare tiramisù e marmellate, il 2017 è decisamente l’anno delle specialità regionali, migliaccio napoletano in testa.

Il migliaccio napoletano

Non il dolce più celebre della tradizione campana, certo, eppure in grado di scalzare la pastiera, che conquista solo il terzo gradino del podio (a dividerli, in seconda posizione, l’onnipresente carbonara). Il migliaccio, dunque, come emblema della cucina popolare che fa di necessità virtù, e appronta un dolce delle feste – di Carnevale – con miglio, ricotta, scorza d’arancia e sangue di maiale (tra i prodotti a disposizione delle famiglie contadine nei giorni successivi all’uccisione del maiale: a proposito delle “nozze del maiale” Pellegrino Artusi ricorda la variante romagnola della ricetta). Chi oggi chiedesse a Google la ricetta per replicarlo, però, ne troverebbe una versione edulcorata per incontrare il gusto contemporaneo: niente più sangue, e semolino al posto del miglio, secondo l’uso riproposto oggi dalla più famose pasticcerie campane.

Il trionfo della cucina regionale

Un riscoperto orgoglio campanilistico, però, porta gli italiani a cimentarsi pure con la caponata siciliana (quarta), le fave dei morti (seste), il castagnaccio (nono). Un risultato non proprio scontato, visto l’esterofilia degli anni passati, tra doraiyaki e Angel food cake. Ma comunque una certa predilezione per la pasticceria che si conferma, finanche a comprendere i segreti per realizzare in casa una Colomba perfetta (al quinto posto). E di estrazione regionale sono pure i restanti protagonisti della top 10: l’amatriciana, la ribollita, il gateau di patate. Una classifica che presa nell’insieme finisce per raccontare l’Italia del Centro Sud a tavola, tagliando fuori il Nord. Ma questo dipende anche dalla geolocalizzazione di chi cerca ricette online, in prevalenza utenti del Sud. Piccolo scatto d’orgoglio anche su scala mondiale, dove l’unico rappresentante italiano nella top 10 delle ricette più cercate è il pesto (nono), in buona compagnia di french toast, dumpling, costolette di maiale.

 

a cura di Livia Montagnoli

(foto del migliaccio dal sito della Regione Campania, www.sito.regione.campania.it)

Dolci Feste. Il tronchetto Christmas Candy della Belle Hélène

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Nella provincia di Viterbo la Belle Hélène rappresenta una delle migliori espressioni dell'arte dolce laziale. In occasione delle feste, ci siamo fatti regalare dalla pasticcera una ricetta speciale perfetta per la merenda di Natale.

Cresce il settore della pasticceria italiana, e aumenta di pari passo il numero di realtà d'eccellenza segnalate e premiate dalla nostra guida Pasticceri & Pasticcerie 2018. Fra le new entry nell'olimpo delle Tre Torte – massimo riconoscimento – una realtà del viterbese, più precisamente del comune di Tarquinia, centro dell'antica Etruria. È Belle Hélène, la creatura di Francesca Castignani, che nel suo laboratorio rielabora tecniche e conoscenze acquisite in Francia con gusto e personalità. Per Natale, l'artigiana consiglia un tronchetto dolce ispirato ai bastoncini di zucchero bianchi e rossi tipici della tradizione anglosassone, una ricetta semplice e golosa, facilmente replicabile a casa. Con l'occasione, abbiamo ripercorso la storia della pasticceria dal 2010 a oggi.

Come hai iniziato il tuo percorso in pasticceria?

In realtà ho cominciato in cucina. Ho seguito un corso professionale a Roma, e poi mi sono fatta le ossa in diversi ristoranti della città e in un albergo in Trentino Alto Adige. Nel frattempo, però, avevo un pensiero fisso: lavorare alla Pergola. Dopo qualche tempo sono riuscita a realizzare il mio sogno, e proprio alla corte di Heinz Beck ho iniziato a sperimentare con i dolci. Da quel momento, ho cominciato a studiare, ricercare e dedicarmi sempre di più alla pasticceria, fino ad arrivare a Pierre Hermé.

Un'esperienza significativa, quella francese. Come l'hai vissuta?

La Francia mi è rimasta nel cuore. Il mondo firmato Hermé oggi è un vero impero, ma nonostante i grandi numeri, nei laboratori di Pierre non c'è mai l'atmosfera frenetica e concitata tipica della cucina. I rapporti umani vengono al primo posto, e ogni dipendente è trattato con il massimo rispetto. Al contempo, i pasticceri sono esigenti e intransigenti, e si lavora duramente per raggiungere la perfezione.

Che cosa conservi di quegli anni?

Il senso della praticità. Lì ho imparato a ottimizzare i tempi e a organizzare il laboratorio, dallo stoccaggio delle torte alla glassatura degli éclair: realizzare dolci sempre freschi giorno dopo giorno è possibile, e se si calibrano bene i tempi si riesce a fare tutto nelle ore lavorative.

Da Parigi a Tarquinia. Perché questa scelta?

Io e mio marito ci siamo trovati di fronte a un bivio: avevamo voglia di crescere, di metterci in proprio, creare una realtà nostra. Inizialmente avevamo pensato di trasferirci negli Stati Uniti, ma poi la nostalgia di casa si è fatta sentire, e abbiamo deciso di tornare in Italia. A Tarquinia i miei genitori erano proprietari di un locale che abbiamo deciso di rinnovare e trasformare in pasticceria.

Una decisione rischiosa. Com'è andata i primi tempi?

Non è stato facile. Nonostante l'afflusso di turisti che approda ogni estate al porto, inizialmente la clientela scarseggiava. Proponiamo un tipo di pasticceria meno tradizionale, più moderna, con forti richiami alla scuola francese, e prezzi leggermente più alti della media locale, se pur molto competitivi rispetto a quelli romani. Da sempre la nostra fama è quella della “pasticceria più cara della città”.

Col tempo, però, il panorama è cambiato. O no?

Gradualmente siamo riusciti a ottenere una cerchia di clientela affezionata. Inoltre, nei weekend possiamo fare affidamento su una fetta ampia di romani che vengono in gita a Tarquinia. Dopo Natale, comunque, abbiamo intenzione di prendere accordi con le agenzie di viaggio per raggiungere anche i turisti delle navi da crociera.

Quest'anno la Belle Héléne festeggia il suo il 7° anniversario. Cos'è cambiato dal 2010 a oggi?

Se penso ai dolci che proponevo all'inizio mi rendo conto di quanto sono profondamente cresciuta dal punto di vista della composizione e dell'estetica. Sono una perfezionista, e in questi anni ho cercato di migliorare tutti quei dettagli che contribuiscono a rendere speciale un dolce. La leggerezza dei croissant, per esempio! Ora, a distanza di 7 anni, sono finalmente contenta del prodotto ottenuto.

Cosa non ti convinceva dei tuoi lieviti?

Non riuscivo a lavorare bene la pasta madre. O meglio: non come speravo. Con l'aiuto di Roberta Pezzella, grande chef esperta di lievitazioni e mia cara amica, ho creato una struttura migliore, con l'alveolatura più ampia e omogenea.

 

lieviti

Come definiresti la tua pasticceria?

Il mio obiettivo è realizzare dolci in cui ogni singolo ingrediente sia facilmente riconoscibile. Voglio sentire il sapore della frutta, del cioccolato, dei canditi, delle creme. Alla base di tutto, le materie prime: fresche e di qualità, quasi tutte locali, tranne burro e cioccolato, che sono francesi. Ma prodotti e tecnica sono solo una parte del lavoro: l'altra è fatta di sensibilità, gusto, fantasia.

Il dolce che non manca mai nella tua vetrina?

Abbiamo sempre due tipi di crostatine, due tipi di bignè, un dolce al caffè, uno al cioccolato. Il resto varia a seconda della stagionalità degli ingredienti.

Dolce preferito?

Amo le crostate. In particolare, quella con ricotta e cioccolato, il dolce della mia infanzia, che in pasticceria ho rivisitato in chiave più moderna. Cuocio prima la frolla, e poi aggiungo la crema di ricotta, zucchero e alchermes a 90°C per circa 40 minuti, in modo che la base non si bruci e la ricotta non si asciughi. Finisco di farcire la crostata con una ganache al cioccolato fondente, una bavarese di ricotta e un crumble al cioccolato e fior di sale.

***

 

Tronchetto

La ricetta: Christmas Candy

Un rotolo di pasta biscuit farcito con crema al mandarino, confettura di lamponi e chantilly al cioccolato bianco: la ricetta di Francesca si ispira ai bastoncini di zucchero bianchi e rossi tipici delle feste di Natale. Ecco come realizzarla con i consigli della pasticcera.

Ingredienti per la pasta biscuit

40 g di tuorli
110 g di uova intere
110 g di zucchero
70 g di albumi
55 g di farina setacciata

Montare i tuorli e le uova con 80 grammi di zucchero fino a ottenere un composto spumoso e voluminoso. Montare a parte gli albumi con 30 grammi di zucchero. Unire, alternandoli, albumi e farina al primo composto. Stendere su una teglia rivestita di carta da forno e cuocere per circa 5/10 minuti a 230° C finché la pasta non diventa dorata.

Per la bagna al mandarino
150 g di succo di limone

30 g di zucchero

Zest di ½ mandarino

Unire gli ingredienti in un pentolino, scaldare e mescolare finché lo zucchero non si sarà completamente sciolto.

Per la crema al mandarino
85 g di uova
80 g di zucchero
Zest di 2 mandarini
80 g di succo di mandarino
135 g di burro

Strofinare tra le mani lo zucchero con le scorze dei mandarini per far uscire gli oli essenziali contenuti nella buccia ed ottenere una crema più profumata, unire il succo e le uova. Cuocere mescolando fino ad arrivare ad una temperatura di 85° C. Togliere dal fuoco. Quando arriva a 60° C unire il burro morbido ed emulsionare con il mixer fino ad avere una consistenza omogenea e vellutata. Lasciar raffreddare bene.

Per la chantilly al cioccolato bianco
400 g di panna
16 g di miele di acacia
54 g di cioccolato bianco

Unire 160 grammi di panna e miele, e portare a ebollizione. Versare sul cioccolato precedentemente sciolto a bagnomaria e amalgamare bene. Unire 240 grammi di panna fredda e emulsionare con un mixer ad immersione. Lasciar cristallizzare per una notte intera in frigorifero.

Assemblaggio: spennellare la pasta biscuit con la bagna al mandarino, stendere 170 grammi di confettura di lamponi e la crema al mandarino. Aiutandosi con un foglio di carta da forno, arrotolare ben stretta la pasta, avvolgere nella pellicola e congelare. Il giorno dopo, montare con le fruste la chantilly al cioccolato bianco e ricoprire a il tronchetto. Decorare a piacere con frutti rossi o confettura di lamponi.

Belle Hélène - Tarquinia (VT) - via G. Garibaldi, 12 - 0766196387 - facebook.com/Pasticceria-Belle-Helene-113843508696041/

a cura di Michela Becchi

FAC a Firenze. Il Fast and Casual di Simone Cipriani dentro Eataly: cucina da trattoria d'autore

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Talento della nuova guardia della ristorazione fiorentina, il giovane chef patron di Essenziale (e volto di Gambero Rosso Channel con Cambio Menu) si lancia in una nuova sfida, che da febbraio 2018 lo vedrà protagonista, con la sua squadra, al primo piano di Eataly, in via Martelli. Qui nascerà FAC, modello fast and casual importato dall'America, e adattato all'identità gastronomica italiana più tradizionale. 

Dopo il successo di Essenziale, il team composto da Simone Cipriani, Massimiliano Vitali, Matteo Ercoli e Gemma Perez, replica a Firenze, con l’apertura di FAC, al primo piano di Eataly Firenze, in via Martelli, a due passi dal Duomo. Una novità importante (ma per scoprirla bisognerà attendere fino a febbraio 2018), poiché sarà il primo locale di questo tipo presente in Italia, e poi per l’intraprendenza di aprire un secondo ristorante in città, in una struttura come Eataly, che era alla ricerca di un format adatto per valorizzare il ristorante "di sopra". Parliamo del progetto con Massimiliano Vitali e Simone Cipriani.

Cosa è FAC?

Simone: È l’acronimo di Fast and Casual, un format esistente negli Stati Uniti, che ho scoperto 4 anni fa. Gli elementi portanti sono quelli di un servizio veloce, spendendo una cifra sostenibile per alimenti di buona qualità. Un tipo di ristorazione che abbraccia una clientela ampia e variegata. Tornato in Italia ho “contaminato” i mie soci su questa idea che abbiamo sviluppato e trasformato per renderla funzionale a dove ci troviamo. Gli aspetti fondanti saranno dunque tradizione, street food e contaminazioni dal mondo.

Massimiliano:L’attenzione sarà quella di servire prodotti di qualità elevata in tempi brevi. Informali ed essenziali sempre, ancora di più rispetto a quanto abbiamo fatto nella casa madre.


Quali piatti saranno presenti?

Simone:L’indole street food, quindi la possibilità di mangiare con le mani sarà una delle caratteristiche, un po’ quello che ho mostrato in alcuni piatti tipo “pappa donuts”. Ci saranno equilibri fra servizi diversi, una contaminazione di generi importante: vogliamo sviluppare l’idea del piacere diffuso, del comfort entro determinati tempi, con un approccio disinvolto e informale, e la voglia di far riscoprire il piacere della trattoria. Siamo arrivati all’ultima generazione delle nonne, che hanno visto guerra e hanno patito la fame, sono quelle che vanno salvaguardate, per evitare che vada perduta la sapienza culinaria. Riscoprire il piacere di una volta, ma in termini moderni. Bisogna cucinare per davvero senza dover standardizzare in maniera pedissequa, ma affidandosi all’esperienza.

Massimiliano: La cucina sarà italiana, non legata solo a Firenze, e utilizzeremo parte dei prodotti già presenti da Eataly. Avremo un menu, ma breve: non vorremmo mai essere un ristorante turistico. Saremo i “fratellini impertinenti” di Eataly, non abbiamo dogmi, saremo ospiti da Eataly, ma potremmo osare di più a livello di proposta gastronomica.

 

Cambierà il design del locale?

Massimiliano: Sì, svuoteremo il ristorante attuale per dargli un nuovo look, ideato da Moreno Vannini, l’interior designer che ha progettato Essenziale, conservando così una forte identificabilità con la casa madre. Vogliamo essere replicabili, riconoscibili, identificabili, sostenibili e divertenti.

 

Come vi state preparando?

Simone: La squadra al lavoro sui piatti è quella di Essenziale, quindi Alessio Ninci, David Chen  e il sottoscritto. A fare formazione ci sarà Barbara Corrado, già presente da Eataly come sous chef di Enrico Panero. Svilupperemo una carta di vini piccola, privilegiando la proposta al bicchiere.

 

Quindi il primo obiettivo quale sarà?

Saremo i primi a definire il Fast and casual, importando un modello statunitense, legato a un’idea di fast food che può conciliarsi con il fine dining gourmet: per esempio, a New York, lo fa Daniel Humm di Eleven Madison, con Made Nice. Noi vogliamo legarlo alla vera tradizione italiana. 

 

FAC – Firenze – Eataly, via Martelli – sempre aperto, da febbraio 2018

 

a cura di Leonardo Romanelli

Foto di Giovanni Rasoti


L'Umbria torna a festeggiare il Natale. Riaprono i ristoranti di Norcia colpiti dal sisma

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Una conta dei danni lunghissima e straziante, quella avvenuta in seguito al terremoto dell'agosto 2016 in tutta l'Italia Centrale. Dopo le mille iniziative messe in campo nel mondo agroalimentare, a più di un anno di distanza giunge un'altra buona notizia: riaprono i ristoranti di Norcia.

I danni del terremoto

Un anno, 3 mesi e 20 giorni. È il tempo trascorso da quel 24 agosto che ha squarciato l'Italia Centrale, colpendo famiglie e attività commerciali, agroalimentari in primis. Un sisma che ha messo in ginocchio intere comunità, un dramma umano pesantissimo, con oltre 200 vittime, e un danno inestimabile a edifici storici e realtà agricole. Sono state moltissime le iniziative di sostegno e raccolta fondi messe in piedi per aiutare le popolazioni delle zone colpite. Anche nel mondo alimentare, la conta dei danni è stata lunga e dolorosa: produzioni di legumi, ortaggi, allevamenti interi traumatizzati dal terremoto, aziende crollate e raccolti rovinati sono solo alcune delle conseguenze che si sono abbattute sulla terre umbre, marchigiane, laziali e abruzzesi.

Le conseguenze sull'agricoltura

Ciauscolo, principalmente, ma anche prosciutto e altri salumi: tutta l'area tra Umbria e Marche ha una solida tradizione norcina. Le difficoltà sono state di vario genere: allevamenti, laboratori di trasformazione, locali per la stagionatura o lo stoccaggio dei cereali. Il terremoto ha colpito tutto e tutti. Anche i Comuni non coinvolti direttamente nella tragedia hanno risentito dell'accaduto: Spoleto, Trevi e altre località del Centro Italia che non hanno subito danni gravi si sono ritrovate comunque a dover far fronte a una realtà molto più dura. Il forte calo del turismo nella regione, per esempio, ha comportato una perdita di clienti, visibilità e vendite notevole: i produttori, dopo aver faticato per anni per promuovere le specialità locali, si sono ritrovati a dover ripartire da zero.

L'Umbria. Un anno dopo

È difficile, ma restituire valore a una terra così aspramente ferita è possibile, attraverso la costanza e la dedizione. E la solidarietà. Lo hanno dimostrato le tante iniziative concrete, come il progetto lanciato dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, Regione Umbria e Perugina, #RinascitaCastelluccio, ovvero un Villaggio per le Attività Produttive ed Economiche, pensato per consentire ai piccoli produttori e commercianti locali di continuare la propria attività grazie a capannoni e magazzini per lo stoccaggio e la vendita. E ancora la caparbietà di aziende a conduzione familiare come la Alberti Guido, che nonostante le difficoltà non si sono arrese. Anzi, hanno lavorato con ancora più tenacia.

Norcia: riaprono i ristoranti delocalizzati

Fra le località colpite, Norcia, custode di antiche tradizioni, fra cui quella di salumi e carni insaccate. In questo borgo caratteristico, uno dei maggiori centri della gastronomia e cucina regionale (dove Palazzo Seneca, con la cucina d’autore del suo ristorante, è stato tra i primi a riaprire), erano diversi i ristoranti tra Porta Romana e Porta Ascolana delocalizzati dopo il sisma. Erano, appunto. Perché quest'anno si prospetta un Natale diverso, grazie alla riapertura dei locali. Granaro del Monte, Palatino, Salicone: questi i nomi dei primi tre ristoranti a Porta Romana che, già dal prossimo fine settimana – 16 e 17 dicembre – torneranno ad accogliere i propri ospiti. “Prima del 25 dicembre contiamo di vedere riaperti anche Il Tartufo e La Cantina di Nursia, dove sono in corso i lavori di rifinitura degli interni”, ha spiegato all'Ansa Giuliano Boccanera, assessore ai Lavori pubblici e allo Sviluppo economico. Le insegne di Porta Ascolana, invece, dovranno attendere ancora un po': “La consegna dei locali è prevista per il 27 dicembre, e confidiamo che per quella data le opere siano state ultimate”. In corso anche i lavori per Cantina 48, “che riaprirà i battenti in fondo a viale della Stazione, non distante dal centro storico”, e perIl Manicomio, “nella zona industriale”. Nel frattempo, a Norcia si può festeggiare, come ha sottolineato Vincenzo Bianconi, presidente umbro di Federalberghi e dell'associazione “I love Norcia”: “Intanto perché il patrimonio naturalistico dei nostri luoghi è perfettamente intatto, e poi perché la città, per quel che è possibile, è vestita a festa. Si respira la magia del Natale, che vuol dire anche solidarietà”. Un anno fa Norcia piangeva i suoi morti. Oggi, il dolore resta, ma la città reagisce. Insieme a tutto il mondo della ristorazione.

a cura di Michela Becchi

Novità a Roma. Cocktail e profumi per Broccatelli, la pasta di Zia Rilla. E pizza: in padellino, tonda, gourmet

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Inaugurano spazi ibridi in centro città, tra design, concept store, cocktail e cucina. E così Emanuele Broccatelli prepara drink in profumeria, il team di Cohouse ci prova con DAFORMA, Ben Hirst collabora al Musia. A Prati, intanto, apre un nuovo pastificio con cucina. Per gli amanti della pizza: Le Padelline e Frida. Prossimamente Blind Pig: cocktail, champagne, birre e pizza gourmet. 

Miscelazione d'autore in profumeria

Un lungo corridoio ricolmo di unguenti, boccette preziose, fragranze e accessori di bellezza. Pavimenti in granito a motivi geometrici; spazi imponenti e affreschi nascosti, a pochi passi dalla scalinata di Trinità dei Monti, piazza di Spagna. La consueta rassegna di aperture prenatalizie a Roma parte da una segnalazione che proprio usuale non è. Siamo all'interno del nuovo store di HB Profumerie (storico marchio, ultracinquantenario, dell'alta profumeria), in via Due Macelli, cuore della Capitale. Qui, Emanuele Broccatelli – barman romano di talento col gusto per la sfida – ha appena intrapreso il suo ultimo progetto di miscelazione, che lo vede protagonista dietro al banco, tra scaffalature in legno scuro, alambicchi e vetrine dal gusto retrò. In occasione del party di inaugurazione, Broccatelli, con l'inseparabile Valeria Bassetti, ha servito un Negroni delle sei (suggestiva anche la degustazione di ostriche di Corrado Tenace, rigorosamente dopo essersi fatti vaporizzare del profumo “in abbinamento” sulla mano).

E d'ora in avanti, l'originale cocktail bar vivrà della risposta del pubblico: si comincia con un'apertura soft, non oltre l'orario di chiusura del negozio (19.30), si lavora in occasione degli eventi che il bellissimo spazio ospiterà con frequenza. Ma se il riscontro dovesse rivelarsi positivo, l'offerta di miscelazione potrebbe diventare fissa, il venerdì e il sabato.

 

DAFORMA. Design e cocktail

Attraversando il centro, da un contesto inconsueto all'altro, in via dei Cappellari (zona Campo de' Fiori), inaugura in contemporanea DAFORMA, spazio dedicato al design dotato di concept store affacciato sulla corte interna, floral lab, e due bar, a dividersi l'offerta gastronomica diurna e notturna. L'idea è frutto dell'incontro tra Simone Menassè, Abigail Lewis e Claudio Salvatore, che insieme hanno progettato un concept space dove ospitare mostre di architetti, interior designer, artisti, concentrati a indagare il tema dell'abitare. La caffetteria all'ingresso sarà operativa dalle 9 alle 19, la notte invece la proposta di miscelazione curata dal team del Cohouse vivrà all'interno della cosiddetta pink crazy room, proponendo un'alternativa in più (la zona non è certo avara di possibilità, a cominciare dal Jerry Thomas) agli amanti del bere di qualità.

Ricordiamo anche che, a breve distanza, in via dei Chiavari, ha appena aperto le porte al pubblico Musia, spazio polifunzionale ideato dal collezionista Ovidio Jacorossi, che nell'ex bottega del nonno ha riunito una galleria d'arte che è pure residenza per artisti, piazza culturale e spazio eventi, coinvolgendo nel progetto lo chef Ben Hirst, consulente della proposta di cucina del “ristorante” interno (operativo solo a partire dalle prossime settimane, ne riparleremo).

La pasta di Zia Rilla

Passando ai progetti più strettamente gastronomici, in zona Prati ha inaugurato qualche giorno fa Zia Rilla, laboratorio con cucina dedicato alla pasta fresca. L'idea di Enrica Sutrini coniuga la dimensione di un tradizionale pastificio di quartiere, con vendita della pasta fresca al chilo, con l'approccio più moderno di una cucina informale e godibile, che trova il suo punto di forza nei primi piatti preparati sul momento. Uno spazio di dimensioni contenute, laboratorio di cucina a vista e 24 coperti per accomodarsi, all'ora di pranzo; dal menu, a cura dello chef di origini svizzere Ruggero Wolleb, primi piatti recuperati dalle diverse tradizioni regionali d'Italia: spatzle, pansotti liguri, tortellini, ravioli del plin, casunzei. Oltre alle proposte con i sughi del giorno, abbinabili ai formati di pasta fresca in produzione. A cena si apre solo su prenotazione, mentre è sempre disponibile una proposta di colazione continentale o americana (con scrumbled egg, pancake, bacon croccante).

Pizza in città. Le Padelline e Frida Pizza&Cucina

Al capitolo pizza, invece, tre sono le buone nuove in città. Tutte diverse una dall'altra per ambizione e tipologia, a testimoniare come il terreno di confronto tra pizzaioli sia sempre più vivace, a tutto vantaggio di chi la pizza la ama in tutte le forme. Effetto dejà vu assicurato in via Merulana 77, dove Andrea Koveos ha rinnovato l'idea della pizza al padellino, che fino a poco tempo fa curava sotto l'insegna Pizza Trieste (ancora viva e vegeta) in via Urbana, rione Monti. Ora, Le Padelline raccontano un progetto in solitaria, abbracciato a seguito del grande successo riscontrato dalle pizzette in città. Sulla lavagna i gusti del giorno, più una selezione di piatti cucinati che cambiano spesso, dal minestrone alla polenta, alla lasagna, alla trippa finta. I padellini sono allineati dietro al bancone, i prezzi popolari (2.50 euro per una pizzetta), si consuma sugli sgabelli, appoggiati alle mensole che corrono lungo la parete.

Anche Frida (il marchio lo riconosceranno i frequentatori di Frida Food&Drink, della stessa proprietà), in zona Talenti, alla prima periferia della città, scommette sul binomio pizza&cucina. Ma l'approccio è quello più tradizionale di una pizza al piatto, lunga lievitazione, farina di grano tenero, prodotti del territorio, forno a gas, e il know how del pizzaiolo Francesco del Bene. Della proposta di cucina, invece, si occupa Antonio Giordano (già sous chef da Romeo), con primi piatti del territorio laziale e secondi della tradizione italiana alleggeriti. Disponibile una selezione di salumi e formaggi nazionali, protagonisti del corner Il Salumaio. Da bere anche birre artigianali.

 

Blind pig. Pizza gourmet e cocktail

L'ultima incursione nel mondo della pizza ci porta nel cuore del settimo municipio, che da qualche anno a questa parte, sul fronte food&drink vuol dire Marco Pucciotti. Il nuovo progetto del giovane imprenditore romano (all'attivo Hop&Pork, Barley Wine, Epiro, Sbanco, Santo Palato, solo per citare le insegne più note) riconduce al nome tradizionalmente usato per ribattezzare gli speakeasy di epoca proibizionista la storia di un'amicizia consolidata con i due soci della nuova avventura: Mirko Gaffi e Francesco Capuana, che con lui conducono il Barley Wine. In via La Spezia 72, dove i lavori procedono in vista di un'apertura che oscilla tra l'ultimo dell'anno e la Befana, il focus sarà legato proprio alla miscelazione, con i drink di Egidio Fidanza e Mattia Ria, barman di talento e fulcro del progetto. A loro il compito di intrattenere gli ospiti fino a tarda ora, con proposte originali e una serie di twist a base champagne (con la collaborazione della champagneria Remigio). Un esempio? Lillet, limone, pompelmo, champagne, spuma di essenza di vaniglia, lavanda. Altro approccio, invece, per il drink che mixa bourbon infuso alle noci, Limone, sciroppo di timo, top di purea di prugne e mirto. Ampia selezione di distillati alla mescita, bollicine e immancabili birre artigianali. Protagonista della tavola, invece, la pizza a degustazione, servita a spicchi, proposta dalle 18 alle 2. L'impasto porta la firma di Stefano Callegari, i topping sono appannaggio della squadra di Epiro, ideati da Marco Mattana e Matteo Baldi, realizzati in loco da Alessio Angelino. Tra le prime varianti in carta:battuta di manzo, salsa di alici e misticanza; erborinato di capra, radicchio, pere e nocciola; stracciatella di burrata, alici del cantabrico e polvere di arancia. In aggiunta sfizi cucinati per l'abbinamento al calice, ma perfetti anche con la carta dei drink.  

 

Hb Roma - via dei Due Macelli, 12 - 0632651547

DAFORMA - Roma - via dei Cappellari, 38 - www.daforma.it

Zia Rilla - Roma - via Famagosta, 18 - 0694890418

Le Padelline - Roma - via Merulana, 77

Frida Pizza&Cucina - Roma - via Francesco d'Ovidio, 27 

Blind Pig - Roma - via La Spezia, 72 - prossima apertura

 

a cura di Livia Montagnoli

Vin brulé nel mondo: storia, varianti e ricetta del vino caldo di Natale

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Vino rosso, zucchero, spezie aromatiche: sono questi gli ingredienti base per il vin brulé, una delle bevande alcoliche calde più diffuse in tutta Europa e non solo. Un vino speziato dalle origini antiche, fra i classici intramontabili dei mercatini di Natale. Tutta la storia.

L'atmosfera magica dell'Avvento, tra luci colorate e leccornie di ogni tipo, nella più classica tradizione nordeuropea è racchiusa nei mercatini di Natale, al secolo Mercati di San Nicola, ribattezzati Christkindlmarkt in seguito alla riforma protestante. È in queste fiere all'aperto che consumatori di tutto il mondo si concedono un goloso strappo alla regola, fra dolci tipici, piatti corroboranti pensati per far fronte al clima rigido di dicembre, e bevande calde zuccherine. Come il sidro di mele, per esempio, o la più classica cioccolata calda, o ancora il celebre vin brulé, fra i drink più popolari delle feste di Natale.

 

Mercatini di Natale

Mercatini di Natale

Dall'Antica Roma al Medioevo

Una ricetta millenaria, che affonda le sue origini nell'Antica Roma, con il contidumparadoxum,descritto da Apicio nel “De re coquinaria”, un vino dolcificato con abbondante miele,scaldato a più riprese e aromatizzato con pepe, foglie di nardo, zafferano e datteri, generalmente offerto agli ospiti a fine del pasto. Una specialità che ha attraversato secoli di storia, subendo – come sempre accade – modifiche e variazioni a seconda delle epoche e delle zone di diffusione. Anche nel Medioevo si rintraccia una sorta di antenato del vin brulé, l'ipocras, vino arricchito con erbe officinali e solitamente consumato freddo, conosciuto anche come claret o piment. La leggenda fa risalire la ricetta a un'antica invenzione di Ippocrate, medico greco del V secolo a.C., ma le prime testimonianze scritte compaiono solo alla fine del Duecento nel volume “Tractatus de modo preparandi et condiendi omnia cibaria”.

Il glögg svedese

Una pratica diffusa in tutta Europa, quella di aggiungere spezie al vino, un po' per le loro proprietà nutraceutiche (la cannella, per esempio, è ricca di antiossidanti ed è uno dei più antichi rimedi naturali per combattere raffreddore e influenza), e un po' per coprire il sapore del vino, al tempo di scarsa qualità e spesso rancido a causa delle cattive condizioni di trasporto e conservazione.

 

spezie

Per cercare di migliorarne il gusto, gli svedesi inventarono il glögg, vino caldo speziato - originariamente consumato durante i pasti - che nell'Ottocento si arricchisce di un'ulteriore aggiunta alcolica; il cognac. Il glögg così come oggi lo conosciamo prevede, infatti, l'utilizzo di vino rosso, cognac (talvolta sostituito dal rum scuro), zucchero, anice stellato, cardamomo, cannella, chiodi di garofano, zenzero, noce moscata, arancia, uva passa e mandorle.

Da vino da pasto a bevanda natalizia

È proprio con la bevanda svedese che il vino caldo inizia a essere associato al Natale. La svolta avviene alla fine dell'Ottocento, quando vinattieri e speziali decidono di portare i loro prodotti fra i banchi dei mercati, proponendoli in bottiglie dipinte a mano in occasione delle feste. Le ricette, fino ad allora custodite gelosamente da ogni produttore, iniziano così a diffondersi per tutto il Paese creando un fenomeno a tutti gli effetti, quello del vino di Natale, una tendenza che ben presto raggiunge anche le nazioni più lontane. Con le dovute variazioni, naturalmente, a cominciare dalla tipologia di vino – rosso, bianco, rosato, frizzante, dolce – per finire con la miscela di spezie, erbe aromatiche e frutta che conferisce carattere e gusto alla bevanda.

Gluhwein tedesco: tradizioni e abbinamenti

Fra le tante varianti un posto d'onore lo merita il gluhwein tedesco, a base di vino rosso, cardamomo, chiodi di garofano, alloro, cannella e scorza di agrumi. In Germania, infatti, non esiste mercatino, evento o anche pranzo in famiglia nel periodo natalizio senza un bicchiere di vino caldo. Non solo: secondo i racconti popolari, i celebri mercatini hanno avuto origine proprio in Germania e Alsazia, attorno al XV secolo, in una Dresda dell'epoca, agghindata a tema per l'occasione.

 

Lebkuchen

Lebkuchen

Qui, ad accompagnare il vino ci pensano i lebkuchen, dolci inventati dai monaci in Franconia nel XIII secolo, molto simili al nostro panpepato, con miele, spezie, noci e frutta candita. Ma soprattutto gli s pekulatius, biscotti alla cannella di origine fiamminga realizzati con stampi in rilievo di legno o terracotta, da gustare in purezza o, meglio ancora, inzuppati in un calice di gluhwein. Senza dimenticare tutte le specialità salate, a cominciare dai bratwurst, salsicce a base di carne di manzo o vitello, per finire con le Nürnberger Rostbratwurst, salsicce di Norimberga IGP, preparate con carne suina, senza cotenna e pancetta, solitamente aromatizzate con maggiorana, pepe, cerfoglio, cardamomo, zenzero e limone.

 

Bratwurst

Bratwurst

Francia e Inghilterra: vin chaud e mulled wine

Fra i più grandi mercatini d'Europa, quello di Strasburgo, con circa 300 chalet distribuiti in 12 location nel cuore della città. Fra gli addobbi e gli abeti illuminati, è impossibile resistere alla tentazione del profumo dolcemente speziato che si sprigiona dalle pentole di rame. Il vin chaud francese prevede l'aggiunta di un goccio di cognac, e viene gustato in abbinamento ai bredele, biscotti di pasta frolla tipici della tradizione alsaziana, o ancora con i männele, brioche a forma di omino.

 

Vin Chaud

L'Inghilterra risponde con il mulled wine, insaporito con arancia, limone, cannella, noce moscata, semi di finocchio, anice stellato, chiodi di garofano, cardamomo e zenzero, disponibile in tutte le fiere natalizie. Al fianco di ogni tino di vino, nei mercati del Regno Unito non può mancare il sidro di mele caldo – molto diffuso anche in America - bevanda dolce aromatizzata con lo stesso mix di spezie, e resa ancor più golosa dall'aggiunta di miele e whisky.

In Italia: la ricetta del vin brulé

Anche in Italia la bevanda raccoglie da sempre i favori di tutti i consumatori, dai cultori ai meno appassionati, che in questa versione dolce e profumata trovano un'espressione più briosa e meno impegnativa del vino rosso. È soprattutto in Trentino-Alto Adige, una regione ricca di richiami alla cultura mitteleuropea e dalla marcata atmosfera nordica, che il vin brulé ha preso piede, divenendo il prodotto simbolo dei mercatini di Natale. A Bolzano così come a Merano e in tante altre località turistiche, il clima rigido si compensa, infatti, con una tavola generosa e ammantata di profumi di burro, mele e spezie, cannella su tutte. Curiosando tra i mercatini, non si può rinunciare a un assaggio di vin brulé, realizzato dagli artigiani del territorio come vuole la tradizione.

 

ricetta

Ci siamo fatti raccontare dell'enologo Gerhard Spanin di Caldaro Sulla Strada del Vino, la ricetta per preparare al meglio questa bevanda saporita.

Ingredienti

2 l di vino schiava

1 arancia non trattata

6 chiodi di garofano

1 stecca di cannella

150 g di zucchero

Inserire i chiodi di garofano nella buccia dell'arancia, unire tutti gli ingredienti e cuocere a 70° C per circa 5/10 minuti. Attenzione: non superare la temperatura indicata; il vino non va mai bollito!

a cura di Michela Becchi

Panettone, a Milano un logo identifica quello della tradizione artigiana

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Il dolce simbolo meneghino sale nelle preferenze di italiani e stranieri. Già 150 le pasticcerie e panetterie che si fregiano del marchio della Camera di commercio. Incassi in crescita o stabili per due operatori su tre. In città il giro d'affari del settore vale 100 milioni di euro al mese. Sabato e domenica degustazioni gratuite. 

Panettone. Giro d'affari in crescita

Resta quella tradizionale la versione di panettone maggiormente richiesta a Milano, città simbolo di per questo prodotto made in Italy, che nel settore dolciario ogni mese sviluppa un business pari a cento milioni di euro, grazie a cinquemila imprese che danno lavoro a diecimila addetti. Secondo un sondaggio della Camera di commercio di Milano, Monza-Brianza e Lodi, quasi metà degli operatori del settore (pasticceri e panettieri milanesi aderenti al protocollo del panettone tipico) prevede una spesa in aumento di almeno dieci punti percentuali rispetto al 2016, mentre un 30% di intervistati prevede una spesa stabile, e uno su dieci stima un calo degli incassi.

A dicembre, un operatore su tre segnala l'acquisto di un panettone a settimana da parte dei propri clienti. Ogni giorno, in ogni pasticceria, si vendono una trentina di panettoni artigianali, che pesano per circa un terzo degli incassi del periodo festivo e rappresentano circa un decimo degli incassi di tutto l'anno. L'80% dei clienti sceglie il tipo tradizionale (con uvetta e canditi, nel rispetto della ricetta classica). Cresce la clientela straniera, oggi al 5% per circa tre panettieri e pasticceri su quattro. Ma per questo prodotto, secondo gli intervistati, occorrerebbe potenziare la comunicazione attraverso internet e degustazioni gratuite.

 

Il panettone in Italia

In tutta Italia, il giro d'affari mensile del settore dolciario (pasticcerie e panetterie) vale mezzo miliardo di euro, con 160 mila addetti, un export medio di 50 milioni (600 in un anno) destinato soprattutto all'Europa e agli Stati Uniti. Sono oltre 40 mila le imprese italiane attive nella produzione e commercio di prodotti di pasticceria e panetteria. Cinquemila sono in Lombardia. Milano è terza in in Italia con circa 2 mila imprese, insieme a Napoli e Roma. La sola Lombardia vanta oltre 20 mila addetti coinvolti. La città di Milano è prima in Italia coi suoi 10 mila addetti, seguita da Roma e Napoli con oltre 5 mila.

Il logo del panettone artigiano

La Camera di commercio di Milano e il Comitato dei maestri pasticceri milanesi ha ideato un marchio di identificazione del "Panettone tipico della tradizione artigiana milanese". Questo per garantire che il panettone sia realizzato con determinati ingredienti, nelle proporzioni stabilite, seguendo le tecniche della lavorazione artigianale. Il logo riprende il celebre Uomo vitruviano di Leonardo da Vinci, ritenuto il più grande artigiano di tutti i tempi. E in 150 tra pasticceri e panettieri hanno aderito all'iniziativa, che coinvolge non solo la città ma anche la provincia. Il logo (depositato presso l’ufficio brevetti della Camera di commercio) è esposto sulle vetrine e sulle confezioni e indica un prodotto fresco, senza conservanti e artigianale.

 

La mappa e i percorsi di degustazione

Sabato 16 e domenica 17 dicembre, la Camera di commercio ha organizzato una due giorni dedicata alle degustazioni di panettone. L'obiettivo è avvicinare i consumatori a questo grande lievitato e aiutarli a identificare quei locali che lo producono nel rispetto dei canoni. Per far questo ha messo a disposizione una mappa online. Degustazioni (domenica 17 alle 16,30) anche in Galleria Vittorio Emanuele. “Con questo marchio" afferma Pietro Restelli, presidente Associazione panificatori Milano, Monza Brianza e province "tuteliamo e promuoviamo un prodotto portatore dell’immagine e del gusto di Milano nel mondo". Per Sergio Monfrini, presidente di Assofood-Confcommercio Milano si tratta di "un'opportunità per le imprese del settore di essere percepite a un alto livello qualitativo grazie al marchio in vetrina".

Il borsino dei prezzi. Brescia la più cara

È di 28 euro al chilo il prezzo medio del panettone artigianale in Lombardia, con una forbice compresa tra 14 e 40 euro. A Milano, secondo una rilevazione Coldiretti attraverso le pasticcerie specializzate, la forbice è fra 28 e 36 euro. Brescia e Mantova sono le città con le maggiori oscillazioni, nella prima 27-40 euro (il prezzo più alto registrato in regione), mentre a Mantova 14-37 euro. I più economici costano invece 12-13 euro al chilo. A Cremona i prezzi sono compresi tra 22 e 30 euro; a Sondrio e Lecco, in media, 24 euro al chilo; a Pavia da 25 a 33 euro; a Como 26 euro. I prezzi del panettone artigianale a Monza sono compresi tra 26 e 32 euro, a Lodi tra 27 e 28 euro, a Varese 28 euro in media e a Bergamo 25 euro al chilo.

 

a cura di Gianluca Atzeni

The Vegetarian Chance 2018. Iscrizioni aperte al concorso per chef che promuove la cultura vegetariana

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Dal 2014, Pietro Leemann e Gabriele Eschenazi organizzano a Milano il festival dedicato alla cucina vegetale, promosso dall’associazione omonima nata per valorizzare la cultura vegetariana e l’alimentazione cruelty free. Ai giovani cuochi si rivolge il concorso internazionale che li sfida a cimentarsi con una ricetta vegana. Ecco come partecipare. 

Cucina vegetariana. Un’opportunità

L’ultima edizione è andata in scena la primavera scorsa al Teatro Parenti di Milano, ma The Vegetarian Chance è ormai un festival solido (l’esordio risale al 2014) e ben instradato nel panorama delle manifestazioni che coinvolgono in prima persona chef e professionisti del settore gastronomico. Dietro c’è la serietà di Pietro Leemann, ambasciatore della prima ora del pensiero veg e della cucina naturale, e patron del Joia di Milano, tra le più apprezzate insegne vegetariane d’autore in Europa e nel mondo. Tanto che lo chef svizzero, con la complicità del giornalista Gabriele Eschenazi, proprio nel capoluogo lombardo che da molti anni lo ospita richiama ogni anno giovani chef desiderosi di cimentarsi con la cucina naturale, in gara al prestigioso concorso internazionale di cucina veg nato come costola dell’associazione The Vegetarian Chance. Motore dell’iniziativa, le premesse che hanno portato alla nascita dell’associazione, intenzionata a promuovere e approfondire la cultura e la cucina vegetariana. E infatti, se da un lato il festival invita gli chef a cimentarsi con una prova non facile nelle cucine del Joia (che ospita pure una scuola di formazione), dall’altro il ripetersi della rassegna è soprattutto un’occasione per sensibilizzare un pubblico eterogeneo alla causa dell’alimentazione cruelty free, senza però ricorrere a quel vigore strillato che spesso infiamma gli esponenti più radicali della causa vegana.

Il concorso. Obiettivi e regole

L’edizione 2018 si svolgerà a Milano il prossimo 13 maggio, ma è già possibile iscriversi al concorso: c’è tempo fino al 28 febbraio per presentare la propria ricetta, che dovrà rispettare i requisiti fissati dal Direttivo, primo tra tutti essere vegana (al bando anche colla di pesce, brodi di carne, caglio animale), come il piatto che lo scorso maggio si è aggiudicato la vittoria, una zuppa di piselli e asparagi presentata dall’olandese Gijs Kemmeren. Allora la competizione ha coinvolto chef in arrivo da Giappone, Paesi Bassi, Germania, Perù, e regalato alla giuria (Davide Oldani, Antonia Klugmann, Franco Berrino, Stefano Bocchi, Luca Ferrua) variazioni sul tema piuttosto originali, dai Cappelletti in brodo alla Grigliata tra amici… Della natura. Quest’anno nuovi aspiranti ambasciatori della cucina veg sono chiamati a cimentarsi con la prova: in palio un premio in denaro di 2600 euro. E gli onori della cronaca.

Per partecipare, però, si richiede un’esperienza minima di 4 anni in cucina di ristorante o alberghi e 21 anni compiuti. Ogni candidato dovrà presentare due ricette, una della tradizione del Paese di provenienza (eventualmente rivisitata), l’altra creativa, a scelta tra antipasto e piatto principale. Con l’auspicio che i prodotti utilizzati siano in prevalenza caratteristici del territorio di provenienza del cuoco, e – necessariamente – di origine biologica o biodinamica, meglio ancora spontanei. La documentazione, con lista degli ingredienti e foto del piatto dev’essere inviata via email entro i termini del bando. A giudicare le domande pervenute saranno Pietro Leemann, il dietista Ferdinando Giannone e la food coach Jenny Sugar: passerà chi meglio sarà capace di conciliare equilibrio nutrizionale, sostenibilità, etica, estetica e stagionalità. Alla finale di Milano arriveranno in 8.

 

https://thevegetarianchance.org/

 

a cura di Livia Montagnoli

Foto di Emiliano Scatarzi

Colazioni del mondo. Regno Unito: English breakfast, porridge, muffin inglesi

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Fra le più iconiche colazioni del mondo, l'English breakfast: un pasto ricco con uova, bacon, funghi, toast e salsicce. Ma nel Regno Unito al mattino c'è anche ci opta per i muffin salati o il porridge. I piatti tipici per una vera colazione all'inglese. 

La colazione nel Regno Unito

Quando si parla della cucina del Regno Unito, il pensiero corre immediatamente alla colazione. Le uova – strapazzate o al tegamino – il bacon croccante, i funghi, i pomodori e le salsicce grigliate: la giornata per gli inglesi comincia con un amalgama di sapori decisi, profumi intensi, e qualche caloria di troppo. Quella della full English breakfast è una tradizione molto antica, diffusa ancora oggi ma solitamente riservata alla domenica, giorno in cui la prima colazione rappresenta un pasto a tutti gli effetti, ricco e sostanzioso, in grado di rilasciare energie fino a sera, momento dedicato alla roast dinner, tipica cena a base di roast beef, patate al forno, verdure e yorkshirepudding(pastelle cotte in forno). Un lusso goloso da concedersi saltuariamente, dunque, ritrovando il piacere di gustare a pieno il primo pasto della giornata. Ma cosa mangiano gli inglesi a colazione durante la settimana? Oltre ai classici internazionali come latte e cereali, tè, biscotti e lievitati, fra le specialità più tradizionali troviamo i muffin inglesi (ben diversi dai dolcetti americani) e il porridge, pappa d'avena originaria della cultura scozzese. Qui, abbiamo voluto raccontarvi le colazioni più popolari del Regno Unito, con tanto di ricetta dei muffin salati.

Full English Breakfast: la colazione nuziale del Medioevo

Full English breakfast. Questo il nome completo del celebre piatto inglese (chiamato anche fry-up), un'usanza antica che affonda le sue radici in età medioevale. La colazione all'inglese nasce per garantire ai contadini il giusto apporto nutrizionale per affrontare il duro lavoro nei campi. A quel tempo, infatti, erano solo due i pasti principali della giornata: colazione e cena, solitamente a base di pane e formaggio, o altri prodotti caseari, molto popolari soprattutto nella parte sud-occidentale del Paese. Ma quella dell'English breakfast è una tradizione legata anche alle cerimonie: nell'Inghilterra medioevale i matrimoni dovevano svolgersi prima di mezzogiorno, e per questo motivo iniziò a diffondersi fra gli sposi la consuetudine di consumare il primo pasto del giorno delle nozze insieme. Tant'è che per un certo periodo di tempo la fry-up divenne nota come “colazione nuziale”.

La colazione in età vittoriana: la celebrazione dell'abbondanza

Bisogna attendere l'età vittoriana perché la colazione inglese inizi ad assumere il ruolo fondamentale che ancora oggi ricopre. Un'epoca determinante per il popolo britannico, un periodo lungo poco meno di un secolo, durante il quale iniziano a essere definiti principi, idee e valori che ancora oggi caratterizzano l'identità del Paese, cultura gastronomica compresa. È in questo momento di metà Ottocento che cominciano a prendere sempre più piede banchetti, feste private, fiere e ricevimenti, momenti di convivialità che si contraddistinguevano proprio per l'abbondanza del cibo. La colazione diventa un'occasione per stupire i propri ospiti, con tavole imbandite a festa e argenteria in bella mostra. Ma l'English breakfast non è riservata solo alla nobiltà: anche la classe operaia può godere dei piaceri del cibo, concedendosi uova e bacon prima delle lunghe ed estenuanti ore di lavoro nelle fabbriche al tempo della Rivoluzione Industriale. Un piatto democratico, quindi, che da sempre accomuna il risveglio di tutti gli inglesi, senza differenza di classe.

 

fry-up

L'English breakfast oggi

Ma cosa compone, oggi, una fry-up completa? Innanzitutto, uova e bacon. Le prime vengono solitamente servite strapazzate (le famose scrambled eggs, uova intere sbattute e mescolate con un goccio di panna, sale e pepe, cotte nel burro a bassa temperatura), oppure all'occhio di bue. Ad accompagnarle, l'immancabile bacon, ben diverso dalla nostra pancetta: si tratta di un salume di suino realizzato a partire dalla pancia dell'animale, oppure con la lonza comprensiva di parte della pancetta. Grigliato o fritto in padella, questo prodotto è una goduria per il palato di grandi e piccini, e viene abitualmente consumato su una fetta di pane tostato spalmata di burro. Come verdure, pomodori grigliati e funghi, mentre per un'ulteriore carica proteica, i puristi della colazione inglese aggiungono anche i fagioli in salsa di pomodoro. I più tradizionalisti, poi, non possono rinunciare al black pudding, ovvero il sanguinaccio, un insaccato preparato con diverse parti del maiale e insaporito con spezie e erbe aromatiche. Il tutto gustato in abbinamento a una buona tazza di tè nero (English Breakfast, ça va sans dire), resa ancor più golosa dall'aggiunta di una dose generosa di latte.

Il porridge: la più salutare delle colazioni inglesi

Tanto consumato in Inghilterra quanto in Irlanda, per non parlare degli Stati Uniti, dove da decenni rappresenta una delle colazioni più in voga fra i consumatori, il porridge ha in realtà origini scozzesi. Ancora una volta, è l'epoca medioevale a dar vita a questa ricetta semplice e alla portata di tutti, basata solamente su due ingredienti: fiocchi di avena e acqua. Un piatto “povero”, dunque, perfetto per accompagnare i lavoratori durante la giornata: l'avena – uno dei cereali più coltivati nel Regno Unito – è, infatti, ricca di fibre e proteine, ma anche di sostanze grasse buone come l'acido linoleico.

 

porridge

Un alimento dalle tante proprietà nutraceutiche, valido alleato contro il colesterolo cattivo e con un basso indice glicemico. La ricetta originale prevede la cottura dell'avena nell'acqua, solitamente in rapporto 1:1, ma le dosi cambiano a seconda delle preferenze personali. Oggi, inoltre, la maggior parte degli inglesi sceglie di sostituire l'acqua con il latte, per ottenere un composto più cremoso. A insaporire la pappa d'avena, miele, sciroppo d'acero, frutta fresca o secca, confetture oppure una semplice spolverata di zucchero.

English Muffin: il piatto della servitù

L'etimologia del nome muffin va ricercata nel tedesco muffen, letteralmente “piccola torta”. Questa specialità inglese è infatti un panetto lievitato piccolo e rotondo, tradizionalmente consumato farcito con uova e bacon, oppure semplicemente tostato, tagliato a metà e spalmato di burro. In passato, prima che il forno iniziasse a essere presente nelle case, i muffin venivano venduti già cotti porta a porta: da questa antica usanza, nacque la celebre canzone per bambini “Do you know the Muffin Man?” (“Conosci l'uomo dei muffin?”). Durante l'età vittoriana, i muffin rappresentavano invece il pasto della servitù, realizzato con gli avanzi di pane, biscotti e anche di purè di patate, mescolati insieme e cotti su piastra bollente. Ben presto, però, questi pani divennero popolari anche fra le altre classi sociali.

 

Muffin

Da piatto povero a specialità nazionale

Non appena i nobili si resero conto della bontà del prodotto, infatti, il muffin iniziò a essere preparato con ingredienti freschi da tutti i fornai del Paese, e gli inglesi presero l'abitudine di consumarlo durante il tè del pomeriggio. Oggi, la ricetta prevede l'utilizzo di lievito, farina, latte e burro, e può essere impreziosita con gli ingredienti più disparati. Fra i piatti più golosi realizzati con i muffin inglesi, le Eggs Benedict - prelibatezza tipica dei brunch statunitensi -  muffin tagliati a metà e ricoperti di bacon (o prosciutto grigliato), uova in camicia e salsa olandese. Ne esiste, poi, anche una variante vegetariana, molto diffusa nel Regno Unito: sono le Eggs Florentine, stessa ricetta ma con l'utilizzo degli spinaci al posto del bacon.

 

Eggs florentine

La ricetta: English Muffin di Lorenza Barletta e Ludovica Frigieri

A fornire ingredienti, dosi e procedimento per realizzare i panetti inglesi con tanto di uovo in camicia, Lorenza Barletta e Ludovica Frigieri, blogger appassionate di colazione e autrici delle ricette del libro The Breakfast Journey, un volume che raccoglie oltre 40 specialità del mattino da tutto il mondo.

Ingredienti

Per i muffin

425 g di farina bianca

300 ml di latte

7 g di lievito secco

25 g di zucchero di canna

50 g di burro

1 cucchiaino di sale

Olio q.b.

Farina di mais o semola q.b.

Scaldare leggermente il latte, aggiungere il lievito e lo zucchero, mescolare bene e lasciar riposare 5 minuti. In una ciotola lavorare il burro morbido, il lievito sciolto nel latte, la farina e il sale, fino a ottenere un impasto liscio e compatto. Coprire il composto con la pellicola e far lievitare in un luogo caldo per almeno un'ora, fino a che non avrà raddoppiato il suo volume. Tirare l'impasto fino a uno spessore di 2 cm circa. Con un taglia biscotti formare dei dischetti di 5-8 cm di diametro. Disporre su una teglia con la carta da forno, cospargere con un po' di semola, coprire con un canovaccio e lasciar lievitare per altri 30 minuti circa. Quando saranno pronti, scaldare bene una padella, ungerla leggermente e cuocere 7/8 minuti per lato a fuoco medio. Una volta cotti, tagliare a metà e tostare nel tostapane o sulla padella.

Per l'uovo in camicia

1 uovo

Sale q.b.

Aceto di vino q.b.

In una pentola portare a ebollizione 1 litro d'acqua con un cucchiaio di aceto di vino e un pizzico di sale. Con un cucchiaio mescolare fino a  formare un vortice di acqua. Rompere l'uovo in una ciotolina e versarlo delicatamente al centro del vortice. Abbassare il fuoco, mantenere il vortice girando l'acqua con il cucchiaio, e cuocere per 2 minuti. Scolare l'uovo con una schiumarola e servirlo sull'English muffin.

a cura di Michela Becchi

Colazioni del mondo. Francia: croissant, madeleine, crêpes

Colazioni del mondo. India: naan, upma, puttu, masala chai  

Apre Mercerie a Roma. Foto, menu e prezzi dell’high street food firmato Igles Corelli

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Dopo qualche mese d’attesa, si concretizza il primo progetto romano di Igles Corelli, che a largo Argentina inaugura le sue Mercerie: piccoli assaggi di alta cucina a prezzi accessibili. Si mangia sul posto o take away, dalla colazione al dopocena. Il menu, e i prezzi. 

Mercerie. Il concept

L’idea di Mercerie High Street Foodnasce dal desiderio di proporvi una cucina innovativa e tecnologica declinata in piccoli assaggi che la rendono accessibile a tutti”. Le parole di Igles Corelli sono chiare, come le sue intenzioni. Quello che sarebbe stato Mercerie, progetto gastronomico che per la prima volta lo mette a confronto con la scena gastronomica romana, il patron di Villa Atman ce lo raccontava diversi mesi fa: le idee c’erano già tutte, i lavori per trasformare l’ex negozio di stoffe di largo Argentina in un locale unico nel suo genere (e certamente innovativo per la piazza capitolina) cominciavano allora. Ora la sfida di Mercerie – “una proposta attenta ai dettagli, aperta alla sperimentazione, alla ricerca e alla tecnologia ma sempre indirizzata alla valorizzazione dei prodotti italiani attraverso l’impiego delle migliori materie prime sul mercato” – entra nel vivo: “Proprio come quando entrate in una Merceria alla ricerca di un prezioso dettaglio per una stoffa, da noi potrete apprezzare lo stesso amore per i particolari e la stessa attenzione per il vostro gusto.

Dimenticate antipasti, primi e secondi piatti, qui potrete trovare il giusto equilibrio tra la vostra fame e la vostra voglia di togliervi qualche sfizio, perché il menù lo componete voi, anche nelle dimensioni, scegliendo tra bottoni, salati o gelato, praline e lasagnette da gustare nel nostro elegante salotto, magari sorseggiando uno dei nostri signature cocktail”.

 

Cucinare circolare al servizio dello street food

Si mangia sul posto, quindi, più o meno rilassati, secondo le proprie esigenze. Oppure take away, scegliendo dalla vetrina dedicata uno snack da consumare passeggiando per il centro della città, con proposte adatte per la colazione, un pranzo veloce, l’aperitivo, cena e dopocena. A guidare il lavoro, il credo che di Igles ha fatto uno dei più competenti ambasciatori della cucina senza scarti, in tempi non sospetti: la cucina circolare, che tratta il prodotto “come un’entità complessa da smembrare”. Non una novità per chi i piatti dello chef emiliano li ha conosciuti su tavole ben più blasonate, e invece un approccio che sarà interessante scoprire alle prese con una forma di ristorazione alla portata di tutti, informale quanto basta per non spaventare, ma curatissima in ogni momento del processo produttivo, dall’ideazione alla selezione della materia prima, all’esecuzione in cucina. Alla presentazione raffinata di ogni assaggio, con una linea di packaging ad hoc per il take away.

Il menu

Cosa si mangia, quindi, alle Mercerie che inaugurano oggi? Le golosissime lasagnette, per esempio: una mini porzione, “molto croccante fuori, morbidissima dentro”, con ripieni e sfoglie diversi: cacio e pepe, panna prosciutto e salsa all’aglio, confettura di peperone con pasta al cacao amaro e semi di papavero, gamberi e bietoline con pasta al nero di seppia, pomodoro e ventricina. Due porzioni per 4.50 euro, la degustazione in 8 assaggi a 16 euro. E poi le praline, “il gusto di un’intera ricetta in un sol boccone”: parmigiana, palloncino circolare (con maionese di gamberi rossi, riso alla rapa rossa e zenzero), pollo al curry, coniglio in porchetta. Degustazione a 7.50 euro, disponibili anche in versione tartare, con battuto di cervo affumicato o salmone batik. O i bottoni, il concept da cui il progetto ha preso forma, salati, dolci o gelato. Tra i salati, la sfoglia ripiena di prosciutto cotto Zivieri, fondente di cipolle in agrodolce, alici del Cantabrico, burro bretone e semi di papavero; moltissime, invece, le varianti gelato, dal cioccolato e caramello salato al crema all’uovo e arancia amara.

Al “piatto”, petto di anatra mulard, insalata di pollo e avocado, una vellutata e uno sformato di stagione.

E poi la carta dei drink, con una selezione di distillati e digestivi e la lista dei signature cocktail della casa (10 euro), dal Moscuma Mule all’After Stormy, al Bottone d’Oro.

Dalla mattina (e per tutta la giornata), al lounge bar, il servizio di caffetteria, con carta dei tè, infusi, spremute, toniche, succhi di frutta e pomodoro condito.

 

Mercerie – Roma – via San Nicola de’ Cesarini, 4/5 – dal 15 dicembre –  www.mercerie.eu

 

a cura di Livia Montagnoli

 

 


Scaturchio a Chiaia. Nuova sede per la storica pasticceria napoletana dei Ministeriali

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Ha attraversato oltre un secolo di storia, con le vetrine di piazza San Domenico Maggiore presto diventate celebri ben oltre i confini della città. Poi, qualche anno fa, un periodo difficile, il fallimento e il cambio di proprietà. Oggi Scaturchio è di nuovo un’azienda solida, tramanda le sue tradizioni dolciarie e apre il terzo punto vendita in città. Dopo il Vomero, ecco Chiaia. 

Scaturchio. La storia

Fondata da Giovanni Scaturchio oltre un secolo fa – era il 1905 quando per la prima volta le vetrine affacciate in piazza San Domenico Maggiore svelavano un tripudio di specialità dell'arte dolciaria campana nel cuore popolare di Napoli – la pasticceria che dal suo fondatore prende il nome vive ancora oggi del fascino leggendario della sua storia. E del successo dei mitico Ministeriale, la mattonella al cioccolato fondente ripiena di crema al liquore, che Giovanni e suo fratello Francesco battezzavano all'inizio del Novecento per omaggiare Anna Foguez, fascinosa artista che all'epoca riempiva i caffè cittadini. Negli ultimi anni l'attività ha attraversato alterne fortune, con Mario Scaturchio (figlio di Giovanni e volto della pasticceria per oltre 50 anni) costretto a cedere per fallimento la gestione dell'attività a una società esterna (nel 2009), e presto richiamato all'ovile in qualità di supervisore senza rivali. Lo storico patron  è scomparso nella primavera del 2015, all'età di 86 anni, celebrato da funerali di piazza nella basilica di San Domenico Maggiore. L'attività, intanto, è ripresa a pieno regime, forte di una gestione aziendale moderna (dietro ci sono Anna e Paolo Normale), che tiene insieme oltre 50 dipendenti, tra veterani e volti nuovi, con propensione alla crescita nel rispetto però delle origini del marchio.

 

Scaturchio. Il presente: una nuova sede

Oggi l'insegna continua ad attirare napoletani e turisti nella sede storica, ma è presente anche al Vomero, e nei corner all'interno del Teatro San Carlo (Opera Cafè) e presso la Certosa di San Martino (Scaturchio Certosa Cafè). Da un paio di giorni, a confermare il buon momento dell'azienda, alla famiglia Scaturchio si è aggiunta la nuova pasticceria di piazza Amedeo, Chiaia, dove un tempo c'era il bar Amadeus: quattro vetrine su strada per esporre i classici della casa, ministeriali, babà (il signature della casa è quello a forma di Vesuvio), sfogliatelle, struffoli. E i panettoni per le feste. Il progetto è stato curato dall'architetto Andrea Giuliano Dell'Uva, recuperando l'atmosfera d'epoca della sede storica senza penalizzare la modernità degli spazi, con eleganti scaffali ben illuminati, grandi vetrate disegnate sul modello del laboratorio, maioliche anch'esse commissionate su misura, con un disegno ispirato alla pastiera. La produzione, invece, resta centralizzata, e continuerà a far capo alla sede storica. “Desideriamo riportare il fascino, l’eleganza e lo stile raffinato di Scaturchio con elementi di contemporaneità e una proposta che miri a valorizzare sempre di più l’eccellenza della pasticceria napoletana” hanno confermato Anna e Paolo Normale. E festeggia anche il quartiere, che dopo la chiusura del bar (nella primavera 2016) temeva che i locali restassero a lungo sfitti. Invece, sono arrivati i ministeriali di Scaturchio.

Scaturchio – Napoli – piazza Amedeo -  www.scaturchio.it

 

a cura di Livia Montagnoli

 

Agroalimentare italiano. Un quarto del fatturato viene dalle cooperative

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Un giro d'affari di circa 35 miliardi e ben 4.703 imprese cooperative attive sul suolo nazionale: sono i dati del settore agroalimentare nel 2017, emersi dal rapporto dell'Osservatorio sulla Cooperazione agricola. Tutti i dettagli.

Il bilancio

Dicembre. Tempo di Avvento, di feste, pranzi ricchi e golosi strappi alla regola. Ma soprattutto tempo di numeri. Di tirare le somme dell'anno che sta per volgere al termine, e fare previsioni per quello che verrà. Anche in campo gastronomico. Al centro degli studi e delle analisi di mercato degli esperti di settore, le tendenze del mondo del food & beverage: quale sarà la moda del 2018? Quali i progetti di food tech più innovativi? Supposizioni e pronostici a parte, dicembre è soprattutto il mese dei bilanci. Mai come negli ultimi anni, il panorama nazionale continua a offrire un'istantanea dell'industria agroalimentare positiva e ottimistica. E il 2017 non fa eccezione. Si parla, infatti, di un giro di affari di circa 35 miliardi, con 1/4 del fatturato derivante dalle cooperative (4.703 imprese totali). Numeri favorevoli, quelli del rapporto dell'Osservatorio sulla Cooperazione agricola, che testimoniano ancora una volta il ruolo fondamentale del cibo nell'economia del Paese.

Il ruolo delle cooperative

Sono soddisfatto del quadro economico fotografato dal rapporto”, commenta Giorgio Mercuri, presidente dell'Alleanza delle Cooperative Agroalimentari. E aggiunge: “In particolare per il contributo importante che le cooperative stanno dando in termini di incremento delle vendite sui mercati internazionali”. Queste realtà, infatti, molto spesso rappresentano la strada per arrivare più compatti e forti sui mercati, non solo quelli interni. È il caso del settore vitivinicolo, in cui le cooperative rappresentano circa il 10% del fatturato totale del comparto, con numeri in costante crescita: “Le prime 25 cooperative vitivinicole hanno in media la metà del loro giro d'affari derivante dall'export”.

La provenienza delle materie prime

E non solo: occorre ricordare anche che le imprese cooperative lavorano materia prima per il 74% di provenienza locale, per il 24% nazionale e solo per il restante 2% estera. Un dato da sottolineare, considerata l'importanza che negli ultimi anni è stata riservata alla tracciabilità dei prodotti e alla trasparenza della filiera. “Questo è possibile grazie al forte legame che le cooperative hanno con la propria base sociale di agricoltori”, spiega Ersilia Di Tullio, responsabile cooperazione della società Nomisma. La quota degli approvvigionamenti di materia prima delle cooperative, infatti, oggi “è costituita dai conferimenti dei propri soci, come evidenzia il grado di mutualità pari in media all'83%”.

I prodotti più in voga

Ad aumentare più di tutti il proprio export (20% in un solo anno), il settore lattiero-caseario, ma accanto al latte, i prodotti principali trattati dalle cooperative restano carne, ortofrutta e vino. In particolare, sono le carni fresche e quelle trasformate a raggiungere la maggiore quota di fatturato: 8,9 miliardi di euro, pari al 26% del totale. A seguire, il comparto dell'ortofrutta, con8,7 miliardi (25% del fatturato totale), e poi quello del latte (6,6 miliardi, 18% del fatturato totale). Ultimi posti per i servizi (4,8 miliardi, 14% fatturato), e per il vino, con 4,5 miliardi pari al 13% del fatturato totale.

a cura di Michela Becchi

8 migliori panettoni classici di aziende specializzate in dolci e grandi lievitati italiani

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La classifica degli 8 panettoni con un duplice pregio: sono prodotti di qualità più che buona e sono distribuiti in modo capillare.

Finalmente la classifica dei panettoni di aziende specializzate in dolci e grandi lievitati italiani, che hanno il duplice pregio di fare prodotti di qualità più che buona e che sono distribuiti in modo capillare (in alcuni casi marchi famosi nel settore dolciario che si appoggiano a laboratori terzi). Ovvio, qui troviamo mono e digliceridi degli acidi grassi nell'impasto per poter cominciare la produzione con largo anticipo, allungando la shelf life (la vita di scaffale) del panettone e mantenerlo morbido. Ma rimangono comunque degli ottimi prodotti.

Parametri essenziali per individuare la qualità

Lievitazione ben espressa, alveolatura allungata, impasto soffice, setoso e filante di un giallo credibile, buoni canditi e uvetta in quantità e proporzione giuste distribuiti in modo omogeneo, gusto equilibrato con una dolcezza non stucchevole, aromi freschi e naturali che richiamano il buon burro, la pasticceria, gli agrumi, la vaniglia, le note tostate di cereali dolci cotti. Diffidare di una mollica di un giallo troppo intenso (dovuto spesso a pigmenti prodotti per via sintetica aggiunti ai mangimi delle galline) e dalla struttura eccessivamente serrata, asciutta e che si sbriciola invece di fare il filo, oppure troppo umida e con la tendenza ad appiccicarsi ai denti e al palato. Dubitare anche di profumi sparati, forzati e chimici: potrebbero essere aromi aggiunti estranei agli ingredienti puri e semplici che dovrebbero esserci in un buon panettone artigianale. E anche una persistenza eccessivamente unta, una chiusura amara o una sensazione di bocca sporca al termine del morso non sono gradite.

La classifica

1 – Mammamassaia (Panettone tradizionale)

Roberta Di Vincenzo ha cominciato a fare i grandi lievitati nel 1991 a fianco del marito Corrado Roma, ex calciatore e allenatore di successo. Continua oggi, dopo la scomparsa del consorte, con lo spirito genuino e onesto della prima ora. E anche se nell'impasto sono aggiunti mono e digliceridi degli acidi grassi e lecitina di soia, che allungano la durata del dolce e lo mantengono morbido, la lavorazione rimane artigianale e la scelta degli ingredienti molto curata. Tanto per dire: uvetta australiana 6 corone e gli spaziali canditi Morandin. Il panettone ha un'altezza media, un bel portamento a fungo color nocciola. La mollica ben dorata ha una struttura sofficissima e leggera, lievemente umida e di una setosità favolosa. I profumi sono freschi ed eleganti di buona pasticceria, di uova e burro di qualità, il gusto è pieno, armonico e pulito. E anche se la presenza di uvetta e soprattutto di canditi, peraltro eccellenti, non è esagerata, la texture vellutata, elastica e fondente basterebbe a se stessa.

1 kg prezzo 25/32 euro

Mammamassaia - Montesilvano (PE) - via Verrotti, 46 - 3351428640 - mammamassaiapescara.it

 

Panettone Bonifanti. Foto di Alberto Blasetti

2 – Bonifanti (Panettone Gran Milanese)

Da oltre 80 anni i grandi lievitati italiani. Nonostante sia un'azienda strutturata, presente con i suoi dolci in tutta Italia e in più di 50 Paesi esteri, e usi mono e digliceridi degli acidi grassi, peraltro impiegati normalmente nei lievitati confezionati con una shelf life di 6 mesi, Bonifanti riesce a produrre un panettone capace di conquistare anche un palato raffinato. Merito di ingredienti selezionati e di una ricetta ben calibrata. Basso, color cuoio antico, ha un aspetto particolare, con la cupola che sembra aver ceduto al centro del grosso taglio a croce. La fetta, di un giallo dorato spento, all'occhio è compatta e serrata ma al tatto si rivela molto soffice, elastica e filante. Generosa ed equilibrata la presenza di gustosi canditi e uvetta. L'olfattiva è piacevole di dolci cotti, di burro e frutta, di note tostate e agrumate. La dolcezza è molto controllata. Leggero retrogusto amarognolo.

1 kg prezzo 18,20/26,50 euro

Bonifanti - Villafranca Piemonte (TO) - via Vigone, 51 - 011 9800718 - bonifanti.com

 

Panettone Dall'Ava Bakery. Foto di Alberto Blasetti

3 - Maria Vittoria - Dall’Ava Bakery (Panettone classico)

Maria Vittoria è la linea bakery di Dok Dall'Ava, produttore di prosciutti di alto profilo a San Daniele del Friuli. Il panettone, confezionato in una bella scatola bianca e nera chiusa da un nastro azzurro oppure in una vezzosa latta tipo vernice, è realizzato con ingredienti scelti: farine macinate a pietra, burro belga, cedro di Diamante e scorza di arancia canditi (da Morandin), sale di Pirano, vaniglia Bourbon. Alto e privo di glassa, si presenta bello e slanciato con la cupola ben abbronzata. Il taglio è arrendevole nella mollica dorata dalla struttura soffice ma un po' asciutta (nonostante l'uso di mono e digliceridi degli acidi grassi). Conquista per la ricchezza della frutta (buona l'arancia, un po' meno il cedro), la freschezza degli oli essenziali dei canditi, i profumi e gli aromi delicati ma tipici, freschi e puliti di buon panettone, con un refolo sapido che rinforza il gusto.

1 kg prezzo 29,30/32 euro

Maria Vittoria Dall’Ava Bakery - San Pietro al Natisone (UD) - loc. Ponte San Quirino, 1 - 0432 727585 - dallavabakery.it

 

Panettone Loison. Foto di Alberto Blasetti

4 - Loison Pasticceri dal 1938 (Panettone classico a.D. 1476, linea top Genesi)

Nel panettone top di gamma Loison “a.D. 1476” ci sono 72 ore di lavorazione, burro e panna freschi, latte Alta Qualità, vaniglia Mananara del Madagascar Presidio Slow Food, scorze candite di arance di Sicilia e di cedro di Diamante, sale marino integrale di Cervia. Un panettone fin troppo bello e sensuale, basso, composto e ben lievitato, con il doppio taglio a croce che forma una stella sulla cupola color cuoio. La mollica di colore giallo intenso rimane leggermente serrata e asciutta (nonostante l'uso di mono e digliceridi degli acidi grassi, di origine vegetale), che fonde con difficoltà. Profumi, gusto e aromi sono quelli di un panettone industriale molto buono e fatto ad arte, con gradevoli note tostate, di cereali cotti, burro, canditi e vaniglia accompagnati da accenti forzate e vintage. Dolcezza contenuta, buona presenza di frutta in quantità e proporzione, anche se un po' morbida e anonima.

1 kg prezzo 25/29,50 euro

Loison Pasticceri dal 1938 - Costabissara (VI) - s.da del Pasubio, 6 - 0444 557844 - loison.com

 

Panettone Corsini. Foto di Alberto Blasetti

5 - Corsini (Panettone premium classico)

Il panettone premium della famosa azienda dolciaria amiatina è il classico dolce di Natale industriale di buon livello. C'è una certa cura delle materie prime, prevalentemente italiane (uova fresche, miele e scorza d’arancia candita), oltre ad altre estere come la vaniglia in bacca del Madagascar. Basso e privo di glassa, con la cupola un po' seduta su se stessa e la pelle marroncina rugosa e un po' âgée, ha una struttura di un giallo dorato pallido che alla vista si presenta serrata e indietro nella cottura, mentre al tatto è soffice e filante e al palato fondente e di buona masticabilità. L'odore, appena percettibile, richiama le note tipiche del panettone e sentori burrosi non precisi. Gusto equilibrato, dolcezza non eccessiva, buoni i canditi e l'uvetta. Sensazione grassa in chiusura.

1 kg prezzo 16,50/23 euro

Corsini - Castel del Piano (GR) - via Cellane, 9 - 0564 956787 - corsinibiscotti.com

 

Panettone Albertengo. Foto di Alberto Blasetti

6 - Albertengo (Panettone Antica Ricetta)

Nata come piccolo forno nel 1905, oggi è una società per azioni specializzata nei dolci lievitati. L'Antica Ricetta, il panettone top di gamma, è il classico milanese senza glassa, lavorato con ingredienti preferibilmente di provenienza italiana insieme a mono e digliceridi degli acidi grassi e lecitina di girasole, come nella stragrande maggioranza di prodotti lievitati destinati a conservarsi a lungo. Basso, sufficientemente lievitato e molto cotto, sotto la cupola scura mostra una mollica appena asciutta ma abbastanza soffice e filante color oro antico, con alveoli disomogenei. I profumi sono quelli tipici di panettone industriale, tostati, tendenti al cupo e non esuberanti ma corretti. Corretto anche il sapore, un po' dolce e senza particolari slanci ma caratteristico. Discreti l'uvetta e la scorza d'arancia candita, distribuiti quasi solo nella parte periferica del panettone. Lascia la bocca non perfettamente pulita.

1 kg prezzo consigliato 18/20 euro

Albertengo - Torre San Giorgio (CN) - via Cardè, 2a - 0172 921028 - albertengo.com

 

Panettone Flamigni. Foto di Alberto Blasetti

7 classificato - Flamigni dal 1930 (Panettone tipo Milano)

Il Milano riprende la ricetta originale creata nel 1930 dal fondatore Aurelio Flamigni e come tutti i panettoni dell'azienda romagnola sono prodotti a Rodello d’Alba, nelle Langhe. Materie prime dichiarate: farina, tuorli d’uova da allevamenti a terra, scorza di arance navel di Sibari e cedri di Diamante canditi, tutti di provenienza italiana; poi burro francese di centrifuga, uvetta sultanina turca o australiana macerata in Albana di Romagna Passito, estratto di vaniglia di Mananara Presidio Slow Food; inoltre mono e digliceridi degli acidi grassi di origine vegetale e lecitina di girasole. Basso, cupola nuda color cuoio chiaro, ha un bell'aspetto classico e composto. La mollica giallo oro anticato è corretta e abbastanza soffice, con una presenza quasi eccessiva di uva sultanina. Profumo e aromi tendono al tostato, accompagnato da note alcoliche e forzate. Gusto un po' scomposto. Buoni canditi, morbidi e succosi, un po' meno l'uvetta. Leggero retrogusto amaro.

1 kg prezzo 22/30 euro

Flamigni dal 1930 - Forlì - via M.L. King, 17 - 054 383200 - flamigni.it

 

Panettone Muzzi. Foto di Alberto Blasetti

8 - IDB Industria Dolciaria Borsari - Antica Pasticceria Muzzi (Panettone classico)

Una storia che comincia nel 1795 a Foligno come confetteria Muzzi. E continua oggi come azienda strutturata dopo l'acquisizione, nel 2000, delle Industrie Dolciarie Borsari (IDB), proprietaria dei marchi Borsari, Giovanni Cova & C., Bedetti, Scar Pier, Tommaso Muzzi, Golfetti e Antica Pasticceria Muzzi. Con quest'ultimo brand, riservato al canale tradizionale, un buon panettone classico industriale figlio di una ricetta collaudata e di un processo standardizzato (con mono e digliceridi degli acidi grassi). Basso, essenziale, sulla cupola abbronzata la croce rituale, ha una struttura dorata corretta e abbastanza filante e di discreta solubilità. La crosta ha un profumo tipico di panettone industriale, forzato ma caratteristico, l'interno un sentore ruffiano con prevalenza di note agrumate un po' artificiose. Scia aspra e amara in chiusura. Buone la quantità e la proporzione della frutta, con gustosi canditi (arancia, cedro e limone) e uvetta migliorabile.

1 kg prezzo 20/24 euro

IDB Industria Dolciaria Borsari Antica Pasticceria Muzzi - Badia Polesine (RO) - via Cà Mignola Nuova, 1577 - 0425 596277 - pasticceriamuzzi.com

 

a cura di Mara Nocilla

foto di Alberto Blasetti

 

Questo articolo è pubblicato sul nostro magazine cartaceo di questo mese e qui è pubblicato solo in parte. Nel numero di dicembre del Gambero Rosso, in questi giorni in tutte le edicole, potete consultare infatti la classifica completa dei 21 panettoni di alta pasticceria. In più potete seguire i consigli di come riciclare con gusto i panettoni avanzati. E leggere la graduatoria di quelli vegani.

Il numero lo potete trovare in edicola o in versione digitale, su App Store o Play Store. Abbonamento qui.

 

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Anti panettone: i migliori vegani di Natale

Natale 2017. I 10 panettoni più buoni

 

Wagamama a Milano Malpensa. La catena di cucina asiatica arriva nel capoluogo meneghino

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Dopo l'esordio a Orio al Serio, in provincia di Bergmo, Wagamama si prepara a una nuova apertura italiana. Il 21 dicembre 2017 il gruppo di cucina orientale arriva a Milano Malpensa, all'interno del Terminal 1.

Wagamama

“Oriental cuisine of noodle and vegetarian dishes” recita lo slogan del celebre brand di cucina asiatica, una catena di fast food in salsa orientale nata sul territorio inglese e presto moltiplicatasi in tante piazze internazionali. Al motto di “positive eating, positive living”, la creatura di Alan Yau (uomo d'affari di Hong Kong con il pallino per la ristorazione) ha sdoganato nel tempo il ramen e tutte quelle preparazioni della tradizione dell'Estremo Oriente meno note sulle tavole occidentali. A cominciare da Londra, dove Wagamama prendeva le mosse nel 1992. Oggi il gruppo è presente in 18 Paesi del mondo e vanta la pubblicazione di due libri che ne raccontano storia e ricette. Un fenomeno a tutti gli effetti nel mondo della ristorazione veloce e informale, al pari di realtà come Starbuck's, ma tutto concentrato sulla cultura gastronomica giapponese. A prezzi ragionevoli.

Wagamama in Italia

A luglio 2016 i consumatori italiani accoglievano con entusiasmo un annuncio a lungo atteso: l'arrivo di Wagamama in Italia, con W Italia srl, grazie all’accordo tra Percassi Food & Beverage - la holding di Antonio Percassi - e Migebar, la società di Giacomo Moncalvo e Maurizio Raviolo. Allora la previsione di aprire entro l’anno non fu rispettata. Cinque mesi dopo, invece, la notizia: Wagamama apriva finalmente nel Bel Paese, all’aeroporto Orio al Serio, in provincia di Bergamo, già protagonista di diverse iniziative in ambito food. Ramen e zuppe di noodles, di carne o di verdura, sono le specialità più conosciute dagli appassionati del locale, ma i clienti di Orio al Serio dallo scorso maggio 2017 possono gustare anche il gambero piccante, pensato soprattutto per gli amanti dei sapori forti, o l’insalata di tofu al chili che coniuga l’opzione vegetariana a un gusto più deciso. Ma quella di Bergamo era solo la prima di una serie di aperture italianenel piano di sviluppo di Wagamama.

L'apertura a Malpensa

215 coperti e 600 metri quadri di spazio: questi i numeri della nuova sede italiana del brand, ancora una volta in Lombardia, al Terminal 1 di Milano Malpensa, all’interno dell’area Airside Shengen. L'apertura è prevista per il 21 dicembre, e Maurizio Raviolo, e porterà nel capoluogo meneghino tutte le specialità tipiche della catena: dai caratteristici ramen, le ciotole di profumata zuppa di noodles con carne o verdure, al gusto speziato
dei gamberi piccanti, passando per le specialità pensate per i vegetariani, come l’insalata di tofu al chilli. Immancabile nel menù, il pollo al katsu curry,
uno dei piatti icona del brand: gustoso petto di pollo fritto e dorato con pangrattato, servito con salsa al katsu curry, riso e insalata. Piatti completi e
gustosi, ma anche proposte perfette per colmare un semplice languorino, come i gyozas, i tipici ravioli giapponesi, oppure i fagioli di soia saltati con
chilli e sale, oltre a un’ampia varietà di centrifughe preparate al momento, dessert e bevande. “Come pochi mesi fa per Orio Center, abbiamo dedicato la massima attenzione ad ogni dettaglio e non vediamo l’ora di partire con questa seconda avventura, aperta ai viaggiatori, che esprime l’internazionalità del
brand
”, ha dichiarato Mauro Raviolo, managing director di Wagamama Italia.

a cura di Michela Becchi

In viaggio. Sicilia occidentale, un ponte tra Europa e Nordafrica

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Andiamo alla scoperta della provincia di Trapani, con le bellezze e le tradizioni gastronomiche di Erice, Mazara del Vallo, Marsala e Castelvetrano.

Ebbene sì, anche d’inverno. Perché anche d’inverno questo lembo estremo di Italia che si affaccia sul Mediterraneo è una meta da valutare per una visita, un fine settimana, un viaggio veloce, le ferie di Natale. Luoghi affascinanti per i paesaggi, per il mare e il sole, per i borghi e per sapori che raccontano stratificazioni millenarie. Non a caso in molti dal “continente” scelgono di fissare qui la seconda residenza. Va di gran moda la Sicilia sud orientale di Ragusa, Modica e Scicli? Bene, noi facciamo il contrario e andiamo a occidente: Trapani e provincia.

La Sicilia occidentale

La luce abbagliante della pietra di tufo disegna le architetture di vicoli, palazzi e strade. Azzurre cale abbracciano chilometri di spiaggia bianca che terminano in montagne di sale e mulini a vento. Siamo nella provincia di Trapani, estremo occidente siciliano dove l’isola tende la mano al Nord Africa, quasi abbracciandolo. È la Sicilia punico-africana che sprigiona odore di cumino, di zafferano, zagara e gelsomino, ponte di attualissimo dialogo tra l’Europa e il Continente Nero, chiave di lettura di un Mediterraneo complesso e stratificato. Terra di vitigni assolati, di uliveti sconfinati, di pescatori che calano le reti in mare, di borghi arroccati che quasi si immergono nelle acque. E, dunque, di una cucina che raccoglie l’eredità di diversi popoli che dal mare sono arrivati e che vivono tra le acque e le montagne.

Trapani. Foto di Dorothea Schmind

La Provincia di Trapani

Un viaggio che inizia nella “città dei due mari”, Trapani, segnata da tante stratificazioni storiche e culturali che risalgono a ben prima dei Greci: agli insediamenti degli Elimi.

Roccaforti dei Cartaginesi, Trapani subì l’influenza dei fenici e ancor più degli arabi, che ne sfruttarono la sua posizione di città-emporio sul mare ideale per i collegamenti commerciali con l’area africana. La Drepanon greca va riscoperta nei vicoli del centro storico, tra i palazzi e le chiese barocche: cento in tutto, che culminano, quasi idealmente, nel Complesso dell’Annunziata, principale monumento cittadino. In un solo colpo d’occhio, da quassù, si abbraccia il panorama più bello e più incantevole di tutta la Sicilia. Per goderselo al meglio bisogna salire sulla terrazza della Torre Ligny, costruita sullo scoglio con il tufo proveniente da Favignana. Da qui la vista spazia da Capo San Vito ad Erice e poi fino a Marsala e alle isole Egadi. In mezzo il Castello di Mare, conosciuto come il Castello della Colombaia, fortezza medievale e skyline della città. Si scorge il paesaggio più iconico della zona trapanese: la riserva naturale delle saline di Trapani e Paceco, di origine fenicia. Mulini a vento, montagne di sale, uccelli migratori che dall’Africa si fermano per trovare ristoro, la mano operosa dell’uomo che ancora estrae il sale in questa riserva, secondo la tecnica tradizionale antichissima di raccoglierlo nelle vasche. L’occhio si sposta su un villaggio di pescatori. È ora di assaporare Trapani al tramonto.

La tradizione gastronomica: cucina di mare e granite

La cucina trae la sua ricchezza dal mare, che è identità profonda di questo territorio. E non c’è solo il famoso cous cous di pesce alla trapanese: la città è entrata negli annali culinari anche e soprattutto per il suo pesto, condimento inventato dai marinai genovesi che si fermarono nel porto della città e poi arricchito con ingredienti locali come mandorle e pomodori. A Trapani nascono anche le busiate, maccheroni fatti in casa e attorcigliati; e la rianata, il cibo di strada tradizionale anch’esso di eco ligure: una focaccia con pomodori e il caratteristico origano. La granita qui si chiama scursunera, preparata con gelsomino e cannella (profumi che richiamano anche il gelo di mellone, che invece spopola a Palermo): anche questa è un’eredità araba sapientemente custodita e preparata nella celebre pasticceria Colicchia.

Erice. foto di Dorothea Schmind

Alcuni indirizzi a Erice

Seguendo una rivoluzione culinaria ormai inarrestabile nell’isola e tutta giocata nel rimando fra tradizione e creatività, Gaetano Basiricò (chef di Serisso 47) si definisce prima che cuoco “ricercatore e degustatore delle prelibatezze gastronomiche”. La sua è una cucina dalla forte vocazione marinara che trae ispirazione anche dall’interesse per i popoli e i cibi di altri paesi.

Seguendo il profilo della costa, volgiamo lo sguardo verso l’alto: ecco il borgo medievale di Erice, punto strategico e perfetto per ammirare e dominare con un colpo d’occhio tutta la costa occidentale.

Tra le botteghe di artigianato colorate e vivaci, si sente l’odore di paste appena sfornate. Sono quelle di Maria Grammatico, storica titolare della pasticceria Grammatico che inizia l’avventura con soli tre chili di mandorle e ora gestisce due negozi, un bar e una scuola di cucina dove si impara l’arte della pasticceria siciliana: paste, cassate, frutta martorana e le leggendarie “genovesi”, tortine di pasta morbida farcite con una sorta di crema pasticcera.

Marsala e la sua tradizione vinicola

Ma tra i pilastri senza i quali non si può dire di aver visitato queste terre c’è un'altra città iconica e imprescindibile. Bisogna scendere da Erice e procedere verso mezzogiorno. Un po’ Africa, un po’ Sicilia punica e poi araba, normanna. Insomma, Marsala.

Terre di mare e di vino. Un intreccio che trasforma il territorio in una cartolina enologica iconica. Marsala, Mars-Allah, “Porto di Allah” in arabo, è anche la città dove sbarcò Garibaldi con i suoi Mille: il suo tramonto sullo Stagnone venne raccontato dal regista Michelangelo Antonioni come “il più bello del mondo”. La città, famosa per il vino liquoroso che ne porta il nome, ha dedicato la sua anima al commercio e al mare. Siamo nel punto più occidentale di Sicilia. Dal suo centro barocco, passando per l’anima frizzante dell’antico mercato, fino alle cantine storiche (Florio, Pellegrino, De Bartoli). A Marsala c’è profumo di botti di rovere, di uve pigiate, di mosto: da qui, la Sicilia ha fatto del vino il suo passepartout per il mondo.

Non solo grandi nomi, a Marsala si affacciano piccoli produttori che portano avanti la tradizione millenaria del vino traghettandola verso la modernità. Come Fabio Ferracane, titolare dell’azienda vinicola di famiglia, tornato in Sicilia dopo varie esperienze all’estero: conosciuto come “l’uomo del Catarratto” per aver dato identità a un’uva prima usata soprattutto nei blend, descrive i suoi vini come “una forte espressione del territorio, artigianali, non industrializzati, vini che si fanno in vigna e che hanno una marcata evoluzione anno dopo anno”.

Mazara del Vallo

Ancora più a sud. Meno di 200 km da Tunisi, un centro storico che prende le forme di una Kasbah, la seconda in Europa dopo quella di Marsiglia, Mazara del Vallo è invece la città dello cento chiese, del satiro danzante e del celebre gambero rosso.

La famiglia Giacalone lo pesca dal 1929 e oggi l’azienda “Rosso di Mazara” in mano ai figli, porta in tutte le tavole dei ristoranti più esclusivi e stellati “l’oro rosso”.

Siamo gli unici al mondo”, dice Paolo Giacalone, “a pescare e mettere in commercio un gambero che ha ha ben quattro certificazioni: sulfiti zero, flash freezing process(surgelazione instantanea) il marchio DNA controllato e la certificazione Friend of the sea”.

Nell’aria, nella luce, si sente che il Maghreb è alle porte. In cucina i piatti si lasciano contaminare da spezie nordafricane e lasciano un varco per la sperimentazione nella tradizione. Come la cucina di Bartolomeo Marmoreo dell’Antico Borgo Marinaro, che raccoglie l’esperienza del padre interpretando una cucina giovane, moderna, glocale.

A Mazara nasce Arica, giovane azienda che promuove il territorio del trapanese scegliendo il meglio dei prodotti che la provincia offre: dalla pasta con i grani antichi siciliani, l’olio biologico con la Nocellara del Belice, ai capperi di Pantelleria. L’obiettivo, per il giovane Giacomo Bono, è quello di dare identità agroalimentare al territorio di appartenenza.

Appena si lascia la costa, al largo ci si immerge nelle acque cristalline delle isole Egadi. Isole di un’isola, Marettimo, Levanzo e Favignana, regalano tramonti unici, hotel ricavati all’interno di cave di tufo, tonnare, ex magazzini, fondali rosa, spiagge disegnate dalla sabbia, paradiso da ebbrezza primordiale dove il giorno finisce per dispetto. Anche e soprattutto d’inverno.

 

Tratto da un articolo uscito sul Gambero Rosso di dicembre. Un numero tutto rinnovato che potete trovare in edicola o in versione digitale, su App Store Play Store. Abbonamento qui.

 

a cura di Liliana Rosano

foto di Dorothea Schmind

 

gli indirizzi

TRAPANI

Serisso 47 - via Serisso, 47 - 0923 26113 - serisso47.com

Cantina Siciliana - via Giudecca, 32 - 0923 28673 - cantinasiciliana.it

Versi di Rosso - corso Vittorio Emanuele, 63 - 0923 27985

Vultaggio - Località Guarrato, Contrada Miliscemi - 0923 864261 - agriturismovultaggio.it

Baglio Sorìa Wine Resort - Contrada Sorìa - 0923 861679 - firriato-baglio-soria-trapani.it

Officina Gastronomica Hotel - via G. Ricevuto, 14 - 0923 532594 - officinagastronomica.com

Pasticceria Colicchia - via delle Arti, 6/8 - 0923 547612

La Salerniana - Galleria d’arte contemporanea, Palazzo della Vicaria - via San Francesco d’Assisi, 54 - lasalerniana.it


ERICE

Tirreno Hotel Ristorante - via Enea, 23 - 0923 571078 - seaclubtirreno.it

Pasticceria Maria Grammatico - via Vittorio Emanuele, 14  - 0923 869390 - mariagrammatico.it

 

MARSALA

Le Lumie - Contrada Fontanelle 178, b  - 0923 995197 - ristorantelelumie.com

Ciacco Putia Gourmet - via S. Cammareri Scurti, 3  - 0923 711160 - ciaccoputia.it

La Bottega del Carmine - via Caturca, 20 - 0923 719055 - labottegadelcarmine.it

B&B Dai Siciliani di Paolo e Paola - contrada San Giuseppe Tafalia, 316/A - 0923989148 - 3396259170 - daisicilianipaoloepaola.com

Casa Vinicola Ferracane - Contrada Bosco, 280 a - 329 1586304 | casavinicolaferracane.it

 

MAZARA DEL VALLO

Marea Viva Pescheria Ristorante - strada statale 115 km 50,800 presso CTA Pesca - 3669044937 - mareaviva.it

Ristorante Antico Borgo Marinaro - lungo Mazzaro Ducezio, 42 - 0923 934546 - anticoborgomarinaro.it

Hotel Giardino di Costanza - via Salemi km 7 - 0923 675000 - giardinodicostanza.it

Cantina Rosso di Mazara - via M. Fani, 35 - 0923 654110 - rossodimazara.eu

 

CASTELVETRANO

Villa Sogno Dimora d’Epoca - Contrada Latomie, Strada statale 115, Località Marinella di Selinunte - 0924 46821 - villasogno.it

Centonze Frantoio - Contrada Latomie, Strada statale 115 (dir. Selinunte km 0.500, 103) - 0924 904231 - oliocentonze.com

Case di Latomie - Contrada Latomie, Strada statale 115, Località Marinella di Selinunte - 0924 907727 - casedilatomie.com

Bottega del Pane Rizzo - via G. Garibaldi, 85 - 092481088 - panificiorizzo.com

 

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