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Architetti di ristoranti. Lo studio MORQ fra Roma e Perth

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Uno studio a cavallo fra due lati opposti del globo, Australia e Italia, Perth e Roma. L'ormai consolidato trio alla guida di MORQrealizza da 16 anni progetti innovativi sul territorio capitolino e nella Terra dei canguri, giocando con territori e tradizioni diverse, anche nel mondo della ristorazione.

Lo studio

Matteo Monteduro, Emiliano Roia, Andrea Quagliola. Tre amici, tre soci, tre architetti con idee comuni, simile filosofia e stessi obiettivi: valorizzare l'idea che si cela dietro ogni struttura, senza rimanere ancorati a stili particolari o tendenze del momento, ma puntando a rivelare la vera anima di un progetto. Insieme, nel 2001, hanno creato a Roma la loro attività: MORQ, dalle iniziali dei loro cognomi, uno studio di architettura nato in seguito a diverse esperienze condivise. “Abbiamo iniziato un po' per gioco”, racconta Emiliano, “dopo aver lavorato fianco a fianco presso degli studi specializzati. E poi abbiamo deciso di metterci in proprio”.Le loro strade, però, si dividono presto, perché nel 2003 Andrea prepara le valigie e vola in Australia, mentre gli altri due restano a Roma. Fino a 5 anni dopo, momento in cui Emiliano raggiunge l'amico nella Terra dei canguri, dove vince un concorso e diventa professore associato di Architetturaalla University of Western Australia. Il lavoro di squadra ricomincia, fra Perth e Roma: “Matteo è più presente in Italia, Andrea in Australia, e io faccio da ponte fra i due Paesi”.

Fra Australia e Italia

Organizzare uno studio a distanza non è facile, ma al contempo fornisce al giovane e ambizioso trio gli stimoli giusti per crescere e migliorarsi: “L'ambiente romano presenta delle difficoltà e ci troviamo spesso a dover affrontare problematiche legate alle complessita di una citta storica come Roma”. Quello australiano, invece, è un campo di battaglia diametralmente opposto – non solo dal punto di vista architettonico – ma nonper questo meno stimolante: “Ci sono degli ostacoli anche in Australia.Creare una propria realta professionale in un altro paesenon è mai semplice. Anche li, abbiamo ache fare con regolamentazioni ferree, parametri molto rigidi e costrizioni talvolta un po' eccessive”. D'altra parte, però, chiarezza e trasparenza contribuiscono a sciogliere con facilità ogni nodo: “Sappiamosempre a chi rivolgerci. Gli australiani sono meno flessibili, ma lì tutto è molto limpido e lineare”.

Roscioli Caffè: i materiali della strada

Dagli spazi residenziali al retail, dai progetti urbani all'architettura del paesaggio: il lavoro di Morq si articola in ambiti eterogenei fra loro, “stiamo attualmente completando una serie di interni a Roma, in zona Parioli, e poi costruendo una casa in Calabria e alcune strutture in Australia”. Quello della ristorazione è un campo ancora poco battuto dai tre soci, che hanno comunque avuto modo di creare progetti originali per una realtà storica come Roscioli. Più precisamente, per Roscioli Caffè, bar e caffetteria di qualità nato all'inizio del 2016. In Piazza Cairoli, in uno spazio contenuto da suddividere e gestire con massima cura del dettaglio: Rileggendo e re- interpretando la struttura esistente dello spazio,abbiamo creato due ambienti, l'area caffetteria con bancone e la sala più interna con le sedute. Ogni ala è pensata per un momento specifico: la prima parte rappresenta la vita cittadina, e vuole riprendere la funzione originaria del bar come cuore pulsante della comunità”. Attraverso il bancone, “che mette in comunicazione fra loro i clienti, e il barista con i consumatori”, e poi i materiali, “con i quali abbiamo cercato di ricreare l'atmosfera della strada, con pietra ruvida e poi argille più morbide al tatto, oltre a tutta la parte in acciaio e vetro della zona adibita alla preparazione del caffè”. Gli elementi scelti sono quelli di Matteo Brioni, realtà specializzata nella terra cruda, materiale di grande tradizione storica.

La sala interna

Più intima, invece, è la sala interna, dominata dal tavolo sociale: “Non è un bancone, né un tavolo a tutti gli effetti. Piuttosto uno spazio per condividere il momento del pasto con qualcuno, chiacchierare con gli altri commensali, sedersi a bere un caffè leggendo il giornale, o anche fare nuovi incontri: ho visto nascere coppie!”. Un elemento simbolico forte, in grado di adattarsi alle esigenze di ogni cliente. A suggerire il caratterepiu intimodi questo spazioin questo caso sono i colori, “più scuri e cupi rispetto ai toni del marrone e beige attorno al bancone”. I materiali, invece, sono più raffinati, dal legno del tavolo, “sul quale abbiamo dovuto sviluppare delle finiture precise per farlo ossidare nel tempo”, alla pietra martellata utilizzata per il bancone nascosto dietro la tavola, e al pavimentoancora una volta frutto della famiglia Brioni, “che produce delle formelle in cotto artigianali straordinarie”.

Cantina Roscioli

Sempre per Roscioli, il lavoro per la cantina, non aperta al pubblico, ma non per questo meno curata. “Abbiamo immaginata uno spazio misteriorioso, quasi una discesa dentro la terra. Anche se la vera sfida è stata quella di rendere performante sotto il profilo climatico lo spazio”. Un'estetica funzionale, dunque, studiata nel minimo dettaglio per garantire la conservazione migliore delle tante etichette di pregio presenti sugli scaffali. “La disposizione degli elementi non poteva essere modificata di molto perché lo spazio è interrato. Abbiamo utilizzato dei piatti di ferro spessi 1 centimetro per suddividere l'ambiente, e per realizzare le pareti perle bottiglie”.

Progetti futuri: il nuovo Retrobottega

Niente ristoranti in Australia, “il panorama di Perth deve ancora crescere molto: i prodotti sono eccellenti, ma la ristorazione deve fare qualche passo in più”. Lo stile più in voga al momento? “Nessuno in particolare. Vengono utilizzati materiali di diverso tipo, mescolati fra loro, e poi si scelgono degli arredi vintage. Ci sono anche dei locali più ricercati, ma in qualsiasi caso non hanno una forte personalità”. Nel frattempo, però, nella Città Eterna continuano i progetti con realtà gastronomiche d'autore. Prime fra tutte Retrobottega, in via della Stelletta, uno degli indirizzi più amati dai foodies della Capitale, che presto subirà una trasformazione degli spazi e, in parte, anche dei contenuti, prevista per l'inizio del 2018. “È tutto ancora in fase progettuale ma la volontà è quella di rendere l'esperienza più confortevole per gli ospiti, senza però stravolgere l'anima originaria del locale”.

Il rifiuto di uno stile e la ricerca dell'essenza

Uno studio sui generis, che viaggia su due binari paralleli mantenendo sempre la propria personalità. Lo stile di Morq? “Non esiste. Abbiamo il nostro linguaggio, esenza dubbio un nostro approccio, una sensibilità molto pronunciata per la materia, e l’interpretazione del luogo, ma parlare di stile è riduttivo. Quello che vogliamo è che l'insieme degli elementi stimoli una reazione, un dialogo con ilfruitore”. Per questo motivo, la scelta dei materiali naturali, “quelli che più invitano il pubblico a curiosare, toccare. Un ambiente ben costruito e arredato è quello in grado di coinvolgere emotivamente le persone”. Un consiglio per chi vuole intraprendere questo mestiere? “Parlare tanto con i clienti, capire qual è l'idea dietro il progetto. I consumatori finali devono percepire l'atmosfera concorde con l'offerta gastronomica, l'essenza del locale. Se si coglie la vera anima di un progetto, si può fare un lavoro ben fatto con poche mosse. Basta saper ascoltare”.

Morq | Roma | Via Monte Santo, 25 | tel. 06 37350175 | www.morq.it

Morq | Perth | Corner Stirling Hwy and Clifton Street | tel. +61 864882578 | www.morq.it

a cura di Michela Becchi

Architetti di ristoranti. Lo studio Salefino di Agrigento

Architetti di ristoranti. Lo studioAutoban di Istanbul

Architetti di ristoranti. Lo studio Vudafieri Saverino Partners di Milano

Architetti di ristoranti. Lo studio Q-Bic di Firenze

Architetti di ristoranti. Lo studio Leonardo Project di Montesilvano

Architetti di ristoranti. Lo studio Margstudio di Milano

Architetti di ristoranti. Lo studio Strato di Roma


Mercati, nuove alleanze e criticità. Ecco di cosa si è parlato al forum wine2wine

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A Verona tavola rotonda sull'export di vino. Ma non solo. Arriva anche il decalogo per fare affari in Cina e il nuovo progetto Donne del Vino per incrementare le quote rosa nei consorzi. E intanto, le fiere di Verona e Parma uniscono le forze

Il vino negli ultimi 10 anni: luci e ombre

Da una parte, un settore – quello del vino – in grado di incrementare il proprio export del 74% negli ultimi 10 anni; di generare autentici boom di mercato (con il Prosecco a +421% solamente negli ultimi 6 anni); di contribuire in modo significativo all'enoturismo; di raddoppiare in 5 anni la superficie biologica del vigneto Italia; e di registrare in 10 anni un trend export che cresce in valore tre volte più della media dell’intero manifatturiero, più del doppio della gioielleria e quasi il quadruplo rispetto all’abbigliamento e al tessile.

Dall'altra, l'incapacità di mantenere il primato nel primo mercato di riferimento (vedi lo storico sorpasso a valore della Francia negli Usa); di superare la crisi di crescita dei vini fermi; di imporre una politica di prezzi differente; di trovare alternative al nanismo del tessuto imprenditoriale e di affermarsi nei mercati emergenti, prima tra tutte la Cina. L'Italia, infatti, continua a rimanere ancorata ai top importer storici (Usa, Germania e Regno Unito), che valgono il 60% delle esportazioni globali, contro il 39% della Francia.

Sono queste le luci e ombre che hanno caratterizzato gli ultimi dieci anni del settore vitivinicolo italiano e che son venute fuori nell'incontro Vino italiano: bianco o nero?, all'interno del forum wine2wine (4 e 5 dicembre), organizzato da Veronafiere-Vinitaly.

 

Le proposte delle associazioni per superare le criticità

A confrontarsi su questo tema sono arrivate in quel di Verona quasi tutte le associazioni di categoria, ognuna con le proprie osservazioni e soprattutto con le loro proposte per superare le criticità. “Vedrei molto bene" è l'idea della presidente Fivi Matilde Poggi "un’azienda unica partecipata da pubblico e privato che si occupi della promozione di vino del mondo, sul modello francese. C’è sicuramente bisogno di un brand ombrello in grado di vendere il sistema Paese”. Le fa eco la coordinatrice vino Alleanza delle cooperative settore Agroalimentare Ruenza Santandrea: “Sono d’accordo con l’ipotesi di un’azienda unica per la promozione, ma sono fondamentali anche gli accordi bilaterali che vanno sviluppati con l’Unione Europea. Non si più andare in ordine sparso nella promozione, serve una grande manifestazione in Asia dedicata al made in Italy. Un evento così costerebbe meno rispetto a tante altre piccole iniziative”.

Molto critico il commento del presidente Federvini Sandro Boscaini: “Abbiamo preso una sbornia. Il successo degli anni passati ci ha fatto pensare di poter andare in giro per il mondo a raccontare delle storielle in maniera un po’ naif. Oggi dobbiamo trovare la maniera per metterci insieme, serve centralizzare il modo di raccontare il vino – oggi delegato alle regioni – come ha fatto la Francia. I mezzi ci sarebbero, ma ci facciamo del male da soli perché la burocrazia non li sa gestire e dobbiamo essere messi nelle condizioni almeno di spendere bene i soldi”.

Punta il dito contro i soldi spesi male anche il presidente di Unione Italiana Vini Ernesto Abbona:“La rappresentazione dell’Italia è molto diversa da quella francese. Purtroppo ancora oggi il nostro Paese è una somma di regioni che creano ripartizione e frammentazione di risorse. In questo settore occorre tornare a premiare la meritocrazia: chi non raggiunge gli obiettivi non deve ricevere i finanziamenti”.

 

Storica alleanza Veronafiere-Fiere di Parma

E se l'incontro ha messo in evidenza l'importanza di lavorare in squadra, Veronafiere ha fatto di più, dando l'esempio e aprendo la strada. A wine2wine, infatti, è stato annunciato il matrimonio con Fiere di Parma e la nascita di una nuova società che porta il nome di Vpe (Verona Parma Exibitions), ovvero il primo organizzatore diretto di rassegne dedicate al settore agricolo e agroalimentare in Italia. In questo modo, le due Spa vanno a costituire il secondo polo fieristico nazionale (dopo Milano) sia per fatturato consolidato nel 2016 con 127 milioni di euro, sia per superficie lorda coperta con 283 mila metri quadrati complessivi. La prima uscita ufficiale è stata proprio a Verona con la nuova rassegna, Wi.Bev – International Wine&Beverage, in ottica tecnologia e innovazione. Solo una piccola anteprima, però: la prima edizione è prevista a dicembre 2018, sempre a Verona, sempre all'interno del suddetto forum. All'estero, invece, verrà sviluppato un nuovo format dal nome Cibus&Vinitaly.

 

2017: che anno è stato per il vino?

A tirare le somme dell'anno che sta per concludersi e a darne una chiave di interpretazione ci ha pensato, invece, Denis Pantini, responsabile Nomisma-Wine Monitor: “Il2017 sarà ricordato come l’anno dei sorpassi. Forte di una ripresa economica ormai consolidata, il commercio internazionale di vino chiuderà l’anno con una crescita in valore superiore al 5% rispetto al 2016, trainato anche dall’imponente recupero della Russia che è cresciuta del 40% nei primi 9 mesi, dall’ennesimo sprint della Cina con +14% a ottobre e che scalza definitivamente la Germania dal terzo scalino del podio dei top mercati di import, nonché dalla conferma dello stato di salute degli Usa che si attestano a +8% a settembre, dove però si assiste anche al sorpasso del vino francese su quello italiano a opera soprattutto di una rimonta dello Champagne e di un’esplosione delle vendite dei rosè de Provence”.

 

Il decalogo per fare affari in Cina

Tra i mercati di cui si è parlato a Verona, non poteva di certo mancare la Cina. Paese di cui tanto si è detto in questi ultimi anni, ma che rimane comunque un nuovo mondo tutto da scoprire. Per questo, Business Strategies ha proposto il decalogo ‘Dos and Don’ts’ da seguire per fare affari con il Dragone. “Interpretare e gestire il fattore culturale rappresenta il primo passo per addentrarsi e radicarsi sul mercato cinese” spiega la ceo Silvana Ballotta “I cinesi dicono che ‘è difficile diventare amici in un anno, ma è molto facile offendere un amico in un’ora’, e questo è un monito da tenere sempre presente, anche e soprattutto negli affari”. Non ci sorprenderà, quindi, trovare tra le cose da fare, anche dei gesti apparentemente insignificanti, come porgere i biglietti da visita con due mani, parlare lentamente, tenere il bicchiere più basso durante i brindisi (per riverenza). Assolutamente da evitare, invece le espressioni idiomatiche, le interruzioni o il parlare velocemente.

Fondamentale anche il tipo di messaggio che si intende trasmettere tramite etichetta e packaging. Ad esempio, è importante che gli ologrammiutilizzati siano in grado non solo di traslitterare i suoni, ma anche di veicolare un’identità e valori significativi per i consumatori cinesi. I simboli utilizzati devono, il più possibile, rimandare a valori quali rispetto, onore, tradizione e reputazione.

Nel campo delle comunicazioni commerciali, non si può prescindere dalle Guanxi, reti di relazioni reciprocamente vantaggiose su cui businessmen cinesi e partner occidentali devono essere disposti a metterci la faccia. Se, invece, ci spostiamo sul fronte della comunicazione digitale, dimenticatevi di Google, Youtube, Facebook, Instagram e Whatsapp. Ci troviamo, infatti, alla corte del più complesso sistema di firewall al mondo che censura e blocca tutti i siti che non sono registrati o ritenuti in linea con il governo. Ma niente paura, per raggirare l'ostacolo, la soluzione c'è e risponde al nome di Vpn (virtual private network).

 

DECALOGO

 

1) produrre materiale in lingua

2) imparare i falsi fratelli (“dage” è il fratello maggiore e, quindi, gerarchicamente il termine da usare. Mai usare “xiaoge”, fratello minore)

3) imparare l'etichetta

4) essere pronti alle lunghe negoziazioni

5) avere sempre un interprete

6) proporre prodotti corrispondente alla domanda

7) attenzione alle guanxi (reti di relazione)

8) usare le Vpn

9) circondarsi di persone pronte a far fronte all'eccessiva burocrazia

10) ricordarsi che l'aspetto (etichette e nomi) conta

 

Donne e consorzi. Un progetto per aumentare la rappresentatività

Infine, wine2wine è stata l'occasione per affrontare il rapporto tra le donne e la rapresentatività all'interno dei Consorzi: aumentare le quote rosa nei cda è l'obiettivo dichiarato delle Donne del Vino, che a Verona hanno presentato un progetto destinato a formare le future consigliere italiane nei consorzi. Oggi, infatti, ha evidenziato l'associazione, le donne dirigono il 28% delle cantine con vigneto e il 12% delle cantine industriali, il 24% delle imprese che commercializzano vino al dettaglio e il 12,5% di quelle all’ingrosso (dati Cribis- Crif), eppure nei posti dove viene decisa la politica del vino, come i cda dei Consorzi di tutela, scendono sotto il 10%. Per questo, a breve partiranno dei corsi mirati al genere femminile, in collaborazione con WineMeridian-WinePeople per sviluppareuna sorta di “Wine Marketing di genere” partendo dall’istintiva predisposizione delle donne allo storytelling e a un’informazione meno tecnica di quella maschile, per trasformarla in un tratto professionale in grado di sviluppare messaggi più identitari, distintivi e soprattutto incisivi. Come spiega anche Vincenzo Russo, professore Università Iulm ed esperto di neuromarketing: "Le donne sono più orientate alle relazioni: hanno uno stile emotivo e coinvolgente nella comunicazione e sono orientate alla condivisione di esperienze. Gli uomini considerano la comunicazione come terreno di confronto e di prova su cui misurarsi: affrontano il mondo quale individuo all’interno di un ordine sociale gerarchico. Molti uomini prendono le decisioni senza consultarsi. È importante sempre trovare la complementarietà". Per la presidente delle Donne del Vino, Donatella Cinelli Colombini bisogna perseguire un nuovo protagonismo in rosa attraverso: "la professionalizzazione di uno stile femminile nella comunicazione e nella vendita del vino, l’aumento delle donne nella classe dirigente del vino e infine, ma non meno importante, le opportunità per le giovani desiderose di lavorare in questo comparto, che appare fra in più in salute dell’intera economia italiana".

 

a cura di Loredana Sottile

Un Piatto Sospeso per Natale. La cena solidale arriva a domicilio, con l'app di Just Eat

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L'iniziativa prende le mosse dai ristoranti solidali che Just Eat gestisce a Milano e Torino, con il supporto di Ponyzero e la collaborazione della Caritas, mettendo a sistema una rete di ristoranti impegnati a ridistribuire le eccedenze a chi non può permettersi un pasto caldo. E su ispirazione del caffè sospeso arriva il piatto sospeso via app. Ecco come funziona. 

Il Ristorante Solidale a domicilio. Perché funziona

Battezzato con il supporto di una rete di ristoranti milanesi alla fine del 2016, il Ristorante Solidale di Just Eat si è rivelato un'idea vincente. La piattaforma, operativa in Italia del 2011 e leader di mercato per la consegna a domicilio di cibo, sposava così due delle emergenze all'ordine del giorno tra le priorità dell'agenda alimentare italiana (e internazionale): la lotta allo spreco e il diritto al cibo, facendosi intermediaria per la ridistribuzione delle eccedenze alimentari, in collaborazione con Ponyzero e i ristoranti partner favorevoli all'iniziativa. Del resto, dopo anni di scetticismo, anche in Italia continua a crescere il numero di fruitori dei servizi di food delivery, consuetudine alimentata (e che alimenta a sua volta) dal generale potenziamento degli standard qualitativi, in termini di varietà e gestione di ordine e consegna. E allora perché non sfruttare i nuovi mezzi a disposizione per aiutare chi ha bisogno? Dopo l'esordio milanese con il sostegno di Caritas Ambrosiana – il servizio è attivo da gennaio 2017 – un paio di mesi fa il Ristorante Solidale è arrivato anche a Torino sulla scorta dei dati positivi dell'esperienza meneghina: un migliaio di pasti caldi serviti, a vantaggio di quattro comunità patrocinate dalla Caritas, Refettorio Ambrosiano compreso. Nel capoluogo piemontese sono 12 le insegne che hanno aderito al progetto.

 

Il Piatto Sospeso si ordina online

E nel periodo prenatalizio, insieme ai “colleghi” milanesi, parteciperanno all'ultima iniziativa lanciata dalla piattaforma, con l'obiettivo di ripensare il pasto sospeso in versione digitale. Contribuire al progetto è semplice: fino al 17 dicembre, da 20 ristoranti solidali di Milano e Torino sarà possibile aggiungere al proprio ordine i piatti sospesi. Ricalcando la tradizione del caffè sospeso, il piatto in più non sarà consegnato a chi lo ha acquistato, ma recapitato con il supporto di Ponyzero e Caritas a chi ne ha bisogno, in concomitanza con la Giornata Internazionale della Solidarietà Umana, la sera del 20 dicembre. Accedendo al servizio tramite app, facilmente sarà possibile individuare i piatti speciali ideati per la campagna solidale, del valore di 3 o 5 euro: “Con l’iniziativa “Piatto Sospeso” il nostro obiettivo è che per Natale, ma anche per altri momenti e situazioni durante l’anno, il digitale diventi un vero e proprio abilitatore per permettere anche ai nostri utenti di partecipare a Ristorante Solidale, aggiungendo un piatto sospeso direttamente nel loro ordine”, ha spiegato Daniele Contini, country manager di Just Eat Italia. E anche la piattaforma ha tutta l'intenzione di impegnarsi per favorire le ridistribuzione delle risorse alimentari: iniziativa nell'iniziativa, per ogni Piatto Sospeso ricevuto, Just Eat raddoppierà il numero di pasti che saranno consegnati grazie al supporto di Ponyzero.

Eventuali eccedenze rispetto al servizio del 20 dicembre (un'evenienza auspicabile), invece, saranno consegnate in successive cene solidali in calendario per il 2018, fino a esaurimento degli ordini ricevuti. Il servizio è già attivo dal 5 dicembre scorso, ne beneficeranno comunità e case d'accoglienza milanesi e torinesi, tra cui Mizar, Pani e Peschi, La Locomotiva, Maria Teresa Gabrieli, La Grangia Comunità S. Anna e Smile, e diverse famiglie che occupano alloggi e case temporanee a Torino.

 

www.ristorantesolidale.it 

L'Enoteca Pinchiorri di Firenze e altre storie: conversazione con madame Annie Féolde

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Superati, polverosi, senatori della ristorazione, grandi vecchi. Qualcuno ha pensato di dare galloni a certi ristoranti glorificandoli, certo, ma anche relegandoli al ruolo di alfieri del passato. Ma dentro alcune di queste antiche insegne non solo c'è la contemporaneità, ma c'è proprio il futuro. E c'è da sempre. La storia incredibile dell'Enoteca Pinchiorri a 45 anni dalla sua fondazione.

Alessandro Cini ha 23 anni. Un efebo lungo 190 centimetri che tutte le sere, dopo aver congedato l'ultimo ospite, si rifugia in cantina mettendo da un canto le bottiglie svuotate per guadagnare spazio ai nuovi arrivi. Tetris che tutti i giorni rigenera la collezione di 80mila etichette come fa il bagnetto col lievito madre, annotato quotidianamente su incarico di Alessandro Tomberli, direttore di sala con 33 anni di fedeltà a Enoteca Pinchiorri. Il sommelier classe '94 in via Ghibellina invece è di casa da appena due anni, ma fra i caveau da leggenda si muove con la familiarità di Roberto Bolle sulle assi dello Staatsoper di Berlino. Allunga un'occhiata sull'anfiteatro delle bottiglie stappate che introduce ai cubicoli della cantina, snocciolando a caso la storia dello Château Mouton Rothschild 2009 stappata di fresco come quella del Petrus 1991, un buco nero nella verticale (altrimenti completa) di sua altezza reale Giorgio Pinchiorri: semplicemente perché quell'anno la vendemmia andò a secco e l'annata non ha mai visto la luce. 

I ragazzi della sala preparano i tavoli per il servizio all'Enoteca Pinchiorri di FirenzeI ragazzi della sala preparano i tavoli per il servizio

45 anni e non sentirli

Ristorazione superata? Ristorantone d'antan che proprio mentre scriviamo compie 45 anni di vita? Neanche un per sogno! Al civico 87 di palazzo Jacometti-Ciofi imbolsita è (al più) la livrea del portiere incaricato del primo benvenuto, ristretto in una compostezza da giannizzero vaticanense. Ma è il portiere dell’hotel, non quello di casa Pinchiorri. Per il resto tiene la scena un’atmosfera effervescente da bottega rinascimentale. Se la cucina rientri fra le arti liberali o meccaniche è questione oziosa, quel che conta è tenere alta la fiamma.

Una bottega di talenti

L’Enoteca è oggi una nursery per talenti in erba, età media 30 anni fra brigata di sala e cucina. Ai fuochi nessuno stagista, tutti a contratto due anni minimo. Allevare comparse che poi svaniscono appena imparato è l'unico lusso che l'Enoteca delle enoteche non può affatto permettersi. Lo stesso dicasi per la gelosia. Ai colonnelli di lungo corso il compito di trasmettere il mestiere, i gesti collaudati e codificati fino a diventare tratti di stile. Alle giovani leve quello di reggere il passo e la possibilità di metterci ciascuno del proprio, ad averne la stoffa. 

Tokyo, l'incendio e la fine di una prima vita dell'Enoteca

Madame Annie, all’anagrafe Annie Françoise Féolde Lenoir, è stata la prima a dare l’esempio. Dopo anni di studio matto e disperatissimo sui testi sacri della cucina italiana – “io, nizzarda, avevo tutto da imparare a partire da me soltanto, e nessun maestro” traguardata l’impresa impossibile di pareggiare i livelli della cantina di casa, cede il passo e molla i fornelli. Giocoforza. “Bisognava che seguissi la sala, Tokyo che apriva”. Correvano gli anni Novanta. I flash back affiorano in rapida sequenza. Sono mesi che bruciano, letteralmente: il 17 novembre 1992 un incendio incenerisce 25mila bottiglie. L’anno è lo stesso in cui brucia la biblioteca di Sarajevo. Coincidenze. In via Ghibellina non c’è tempo per un segno di croce, bisogna ingollare fumo cenere e dolore, e rimettersi in pista.

Leggera battuta di manzo, anguilla in dolceforte, ricci di mare, sedano e purea di mandorle. Foto di Alberto BlasettiLeggera battuta di manzo, anguilla in dolceforte, ricci di mare, sedano e purea di mandorle

Enoteca Pinchiorri: la seconda vita

La second life dell’Enoteca inizia il 25 gennaio del 1993: ai fuochi prendono posto Italo Bassi (di ritorno dall’Asia, dove ha guidato l’apertura nella capitale nipponica) e Riccardo Monco. Il primo ha 24 anni, il secondo 21. In cucina, in quell’anno cruciale di venticinque anni fa, c’è anche un giovanissimo Carlo Cracco, che nella carta riesce a introdurre il risotto. Da allora Annie prende più aerei di Lady Gaga e veglia, letteralmente, annotando sui post-it il da farsi l’indomani: per l’amazzone della ristorazione italiana l’insonnia è un abito antico, defatigante e prolifico. 

Il passaggio del testimone

Il passaggio di testimone scandisce scarti evolutivi in cucina. Enoteca Pinchiorri, il regno della pasta orgogliosamente fatta in casa, apre invece alla pasta secca, ma non è una resa. Piuttosto una scossa tellurica nell’alta ristorazione dell’epoca. A introdurla è Monco: “La parabola evolutiva dell’Enoteca è stata ritmata dai viaggi nei più importanti ristoranti del mondo, dal dovere di emanciparsi dall’egoismo del proprio gusto, ignorando il gusto che cambia. E ancora, dal bisogno di sperimentare dando un’identità al luogo in cui si lavora” racconta Monco“Da una lettura sinottica di dieci piatti provenienti dai quattro angoli del mondo, nel villaggio globale della cucina, risulta impossibile identificarne la provenienza. Per questo il nostro ultimo menù porta il nome di Contemporaneo: l’italianità è il nostro marcatore identitario, quello che fa la differenza”.

Riccardo Monco. Foto di Alberto BlasettiRiccardo Monco

Qualcuno è passato di qui

Tanto quanto il pit-stop di numeri uno che hanno marcato segmenti di storia. Come Franck Cerruti. Annie: “Ci diceva, ma vi rendete conto che avete Due Stelle Michelin? Eravamo sorpresi del suo piglio professorale, quasi sul punto di essere offesi. Ma aveva ragione lui”. Carlo Cracco: “Era molto giovane e molto severo, con se stesso e gli altri”. Stefano Baiocco: “È entrato qui grazie al fratello Walter, ha fatto una prova ed è rimasto tre anni. Era il capo partita dei secondi, una manualità da paura. Si capiva che aveva una marcia in più: tutto studio e curiosità”. Anthony Genovese: “Lo abbiamo mandato a Tokyo, l’Asia lo ha trasformato, quando è tornato era un altro cuoco”. Paolo Lopriore: “Per noi era Bubul, è rimasto solo sei mesi ma la sua gentilezza e la grande timidezza hanno lasciato il segno”. Loretta Fanella: “Siamo andati a prendercela direttamente in Spagna, a El Bulli di Ferran. In due anni ha portato il vento della cucina concettuale anche nella nostra pasticceria. Il suo Prato, omaggio ai paesaggi dolci di casa Adrià, sono un pezzo della nostra storia”. E ancora Andrea Berton, Antonio Guida, Andrea Mattei, Luca Landi. Ovvero i mattatori della nuova cucina italiana. Tutti passati di qui, tutti formatisi qui. Una storia che affonda nei decenni, ma che continua oggi con lo stesso atteggiamento.

Luca Lacalamita e Alessandro Della Tommasina. Foto di Alberto Blasetti Luca Lacalamita e Alessandro Della Tommasina

L'ultima generazione

L’ultima testa di serie passata in queste cucine? Lady chef e Riccardo Monco si scambiano un’occhiata complice: “Almeno due, uno siamo andati a prendercelo da Akelarre a San Sebastian, l’altro è arrivato da commis ed è stato promosso chef di cucina”. Si parla del pastry chef Luca Lacalamita (pastry chef dell'anno per la guida Ristoranti d'Italia 2018 del Gambero Rosso), pugliese classe 1985 e di Alessandro Della Tommasina, leva calcistica ’81. “Luca ha virato a tutto sesto sui lievitati e il cioccolato. E ha plasmato la sua visione della pasticceria a misura dell’Enoteca, mettendoci dentro anche l’orto. I suoi sono dolci dolci, ma di una levità modernissima”. Toscano di Massa il secondo, l’executive dice di lui: “È capace di spingere verso la contemporaneità anche il sapore più retrò”. Lo scarto generazionale fra i due cucinieri alla testa della brigata? Tutto in un utensile: “La bilancia, strumento mutuato dalla pasticceria, da Adrià in poi niente è più stato lo stesso. Alessandro sa usarla, io no”.

La pasta secca, il risotto, i dolci destrutturati, la bilancia. L’urgenza di andare e la certezza di non essere arrivati, mai. La curiosità onnivora. E il pienone tutte le sere: provare a prenotare per credere. Mais surtout Annie e Giorgio, l’amor che move il sole e l’altre stelle.

 

a cura di Sonia Gioia

foto di Alberto Blasetti

 

Abbiamo raccontato l'Enoteca Pinchiorri nel numero di dicembre del Gambero Rosso. Un'edizione tutta nuova in cui troverete una Annie Féolde come non l'avete mai vista, ritratta in una inedita versione pop-rock da Albero Blasetti. Nel servizio anche i ricordi dei tanti, oggi tra i più grandi nomi della ristorazione italiana, che sono passati di qui e i ricordi che ha di loro madame Féolde, la testimonianza di Alessandro Tomberli, direttore di sala e deus ex machina della straordinaria cantina, a fianco di Giorgio Pinchiorri.

 

Articolo uscito sul Gambero Rosso di dicembre. Un numero tutto rinnovato che potete trovare in edicola o in versione digitale, su App Store o Play Store. Abbonamento qui.

 

 

Novità a Milano. Dalla campagna del Filo di Grano al pranzo in stazione di Maio Bar&Bistro

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E poi l'Emilia Romagna di Via Emilia e le specialità partenopee di Eccellenze Campane. Ma anche tante proposte informali e fortunati raddoppi. Quota cucina d'autore con Enrico Bartolini, consulente per il bistrot di Pandenus. Aspettando Iginio Massari.  

Il sistema agricolo del Ticino. E Cascina Caremma

Per ogni milanese, l'abbazia di Morimondo, immersa nel Parco del Ticino, è un'attrazione familiare e leggendaria al tempo stesso. Meta turistica di rilievo, a 30 chilometri da Milano, l'abbazia fondata dai cistercensi alla metà del XII secolo è tappa ideale per una gita fuori porta. Ecco perché la nostra rassegna prenatalizia dei nuovi indirizzi per mangiare in città, comincia dall'insegna meno cittadina di tutte – per contesto e ideali – eppure profondamente meneghina nell'anima. Il Filo di Grano è la locanda con cucina inaugurata appena qualche giorno fa all'interno dell'Hotel Morimondo, in una delle antiche cascine del borgo di Besate, a pochi metri dal complesso monastico. Alla suggestione dell'ambiente – uno spazio storico con affreschi settecenteschi alle pareti, interessato da un rigoroso intervento di restauro – si somma la garanzia di una realtà altrettanto celebre tra gli estimatori della campagna milanese, Cascina Caremma. Il nuovo progetto di ristorazione, infatti, fa capo a Gabriele Corti, che dell'agriturismo aperto oltre 25 anni fa a Besate è il patron e fondatore (e dal 2014 ha concepito la struttura alberghiera di Corte dei Cistercensi). Negli anni, la struttura - conosciuta pure per la capacità di coniugare un'ospitalità esclusiva con l'attitudine agricola del territorio – è diventata punto di riferimento per il sistema di approvvigionamento rurale dell'hinterland milanese: 36 gli ettari di terra messi a coltura in regime biologico, un percorso agro-ambientale aperto al pubblico, la fattoria didattica per le scuole, gli audiopercorsi nella natura, un vigneto-museo piantato a Freisa, l'allevamento di suini e bovini di Fassona piemontese, la produzione di salumi.

 

Il Filo di Grano. Un territorio gourmet

L'offerta gastronomica, fino ad oggi, si è articolata tra la proposta informale del bistrot, le cene al ristorante naturale, i prodotti bio “a metri 0” in vendita allo spaccio aziendale. Il Filo di Grano è l'ultimo arrivato in famiglia e si muove per catturare l'attenzione di un pubblico in cerca di una tavola più ricercata, sempre a partire dai prodotti della terra (l'insegna è ispirata proprio a granoturco e segale coltivati in abbondanza in Lombardia). Con questa intenzione, la cucina è stata affidata al giovane Edoardo Passeri, esperienze al Caffè Trussardi di Milano e al Four Seasons di Londra, con licenza di interpretare il territorio con mano moderna e approccio creativo. 40 coperti in tutto, in uno spazio raccolto con camino, per assaggiare i classici della Cascina – i salumi artigianali con lo gnocco fritto, i formaggi, la polentina fritta con uovo poche, fonduta di gorgonzola dolce e nocciole, la lingua con salsa verde – e piatti meno consueti, dal risotto con mortadella di fegato e cavolfiore allo storione con verza fondente e crema di datteri. Anche degustazione, 5 portate a 45 euro.

Regionalità in tavola. Dall'Emilia Romagna alla Campania

Altrettanto territoriale, ma con ben altri riferimenti geografici, la proposta di Via Emilia, nuovo rifugio per gli amanti della tradizione gastronomica emiliano-romagnola calato in via della Moscova. Una bottega con cucina – anche da asporto, o per la vendita a scaffale – che asseconda un trend riesploso con prepotenza nelle grandi città: in tavola pasta fresca all'uovo (dal pastificio La Lanterna di San Giovanni in Persiceto, tortellini, lasagne, cotoletta petroniana, tigelle e piadine. E selezione di salumi, come la mortadella Villani, e formaggi, del Caseificio Olmo e Centomo. Per i più assidui, le lezioni di pasta della sfoglina Rina Poletti. Fino alle 19.30. Ancora qualche giorno, invece, per scoprire le specialità mediterranee di Eccellenze Campane, il format partenopeo di Paolo Scudieri che si appresta all'esordio meneghino nel grande spazio di via Cusani. Si apre al pubblico il 15 dicembre, solo qualche giorno prima dell'attesissima inaugurazione della prima filiale in città dell'Antica Pizzeria Da Michele, sul luogo del delitto del modaiolo Ricci, che dopo appena un anno di attività è già acqua passata (di entrambi abbiamo raccontato qui).

 

Pandenus. Bartolini e la cucina da bistrot

Intanto, in via Mercato, è già partita la prima collaborazione di Enrico Bartolini col gruppo Pandenus. Lo chef del Mudec ci anticipava qualche settimana fa l'intenzione di cimentarsi, in qualità di consulente, con una proposta da bistrot comprensibile, buona, generosa. Dall'inizio di dicembre la cucina di Locanda Pandenus è operativa al civico 24, nell'ambito di un'offerta che si sviluppa sull'intera giornata, da colazione a cena. Il prossimo obiettivo del patron Filippo Ledacarne – ancora con la complicità di chef Bartolini – dovrebbe portare in piazza Gae Aulenti, in un grande spazio pronto in primavera.

Maio Bar&Bistro. Mangiare in stazione

Nutrito e diversificato il comparto della ristorazione informale, che non smette di produrre nuove insegne a uso e consumo di chi ha poco tempo, ma vuole mangiare bene. Tra gli ultimi arrivi, tra i binari della Stazione Centrale (dove anni fa esordiva il primo Bistrot di Autogrill), il Bar&Bistro del gruppo Maio (i fratelli piemontesi Alessandro e Massimo, già al settimo piano della Rinascente con Maio Restaurant e ideatori di Be Steak), sul modello dei precedenti francesi, particolarmente frequentati dai pendolari parigini. Aperto da colazione a cena, il progetto è stato affidato a Claudio Tronci nell'ambito dell'iniziativa Centostazioni, e occupa uno spazio della Galleria dei Mosaici al piano dei binari, con guscio vetrato a circondare il bar ben visibile dall'esterno. Disponibile anche servizio lunch box, aperitivo e sala meeting da 15 posti. Dalla cucina del bistrot proposte della tradizione meneghina – Riso Carnaroli con zafferano e cristalli di liquirizia, milanese di vitello – e suggestioni piemontesi, dai ravioli alla Monferrina al vitello tonnato con verdure in agrodolce, alla tartare di Fassona piemontese.

Veloce, ma buono

Ancora in zona stazione Centrale, non ha troppo bisogno di spiegazioni il raddoppio di Miscusi, format giovane e di successo dedicato alla pasta fresca. E di fortunato raddoppio parliamo anche per Pescaria: poco più di un anno c'è voluto perché il panino di pesce di Polignano conquistasse un nuovo avamposto in città, dopo l'esordio (con qualche problema iniziale di gestione dei flussi) in via Bonnet. Stessa formula, stesso menu, il nuovo locale di via Solari accontenterà il pubblico dei Navigli, ma bisognerà aspettare fino a febbraio 2018. Tutt'altro registro quello di 403030 Healthy Kitchen, un'insegna che dichiara le sue intenzioni: cibo salutare per chi vuole prendersi cura di sé, con la consulenza della nutrizionista a coadiuvare lo chef. Tra tante proposte che strizzano l'occhio alla mania dell'healthy food, del locale inaugurato alla fine di ottobre da Mariella Radici colpisce soprattutto il design degli spazi (all'interno di Palazzo Kiton), firmato da Patricia Urquiola per assecondare la filosofia del concept. Quindi materiali naturali, linee pulite, colori sobri: una zona destinata a colazioni e take away, con bancone in marmo, la sala del bistrot, e un social table nascosto al piano inferiore. Dal menu, districandosi tra un simbolo e l'altro (basso indice glicemico, senza glutine, vegetariano), insalate e omelette bilanciate, piatti di ispirazione etnica, zuppe.

Per chi dal cibo cerca altre emozioni, invece, ricordiamo l'arrivo di Iginio Massari in città: countdown impostato su febbraio 2018.

 

Il Filo di grano | Morimondo (MI) | corte dei cistercensi, 6 | www.ristoranteilfilodigrano.it

Via Emilia | Milano | via della Moscova 27 | www.bottegaviaemilia.com

Eccellenze Campane | Milamo | via Cusani, 1 | dal 15 dicembre | www.eccellenzecampane.it

Antica Pizzeria da Michele | Milano | via Vittor Pisani | dal 20 dicembre | www.damichele.net

Locanda Pandenus | Milano | via Mercato, 24 | www.pandenus.it

Maio Bar&Bistro | Milano| Stazione Centrale, piazza Duca d'Aosta, 1 | www.maiobarbistro.com

Miscusi | Milano | piazza san Camillo De Lellis | www.miscusi.com

Pescaria | Milano | via Solari, 12 | da febbraio 2018

403030 Healthy Kitchen | Milano | Palazzo Kiton, via Fiori Chiari, 32 | http://403030lifestyle.com/

Iginio Massari | Milano | via Marconi, angolo piazza Diaz | da febbraio 2018 

 

a cura di Livia Montagnoli

Kasher. Laura Ravaioli e la ricetta delle Mafrùm

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Laura Ravaioli racconta le mille sfumature della cucina kasher, una cucina che si adatta ai tempi e ai luoghi dove si stanzia una comunità. Appuntamento questa sera su Gambero Rosso Channel con la ricetta delle polpette tripoline: le mafrùm.

Pur nella immutabilità delle prescrizioni alimentari che regolano l’alimentazione kasherut, la cucina ebraica sa sempre reinventarsi a seconda dei tempi e dei luoghi dove vive una comunità. E la cucina tripolina non fa eccezione prendendo delle sfumature esotiche, orientali grazie all’uso delle spezie. Tra queste non manca mai il baharat(dall'Arabo بهارات; cioè spezie), una miscela di spezie finemente tritate usata nella cucina libanese, siriana, giordana, palestinese e genericamente mediorientale.

Le diverse varianti del baharat

Come ogni miscela di spezie, ha moltissime varianti etniche o familiari. Queste le più diffuse.

- Miscela classica: pimento (pepe della Giamaica o pepe garofanato), pepe nero, chiodo di garofano, cannella, cardamomo, coriandolo, carvi, noce moscata, paprica.

- Miscela libica e tunisina: alla miscela classica si aggiungono petali di rosa.

- Miscela turca: alla miscela classica si aggiunge menta.

- Kebsa o Baharat del golfo persico: alla miscela classica si aggiungono lime essiccato (loomi) e zafferano.

Mafrùm

Il baharat, insieme ai petali di rosa, è l'ingrediente imprescindibile delle mafrùm, ovvero verdure tagliate come piccoli scrigni, pronte a raccogliere bocconcini di carne. Un piatto molto elaborato della tradizionale cucina degli ebrei di Libia che richiede tempo e pazienza, e che si prepara per le ricorrenze importanti. Insieme al cuscus non manca mai sulla tavola dello Shabbat.

La ricetta delle Mafrùm, polpette tripoline

Pe le verdure (già lavate e pulite)

1 melanzana

4 patate medie

2 carote

4 cimette di cavolfiore

1 cucchiaino ben colmo di sale

1,5 l di acqua

Per il ripieno

500 g di carne magra di manzo

1/2 panino bagnato in acqua e ben strizzato

1 cipolla piccola tritata finemente

1 mazzetto di prezzemolo tritato finemente

¼ di cucchiaino di petali di rose in polvere

1 cucchiaino di baharat

1/4 cucchiaino di curcuma

1/4 cucchiaino di cannella

1/2 cucchiaino abbondante di sale

1 uovo

Per la frittura

4 uova intere

1/4 di cucchiaio di doppio concentrato di pomodoro sciolto in 1 cucchiaio d’acqua

1kg di farina per la panatura

1,5 l di olio di arachidi

Per il sugo

1 dl di olio extra vergine d'oliva

1 cipolla grande finemente tritata

1/2 cucchiaio di paprika dolce

2 cucchiai di doppio concentrato di pomodoro

1 patata tagliata a cubetti

1 costa di sedano tagliata a cubetti

1 zucchina tagliata a cubetti

1 carota tagliata a cubetti

2 ciuffetti di cavolfiore tagliati a pezzetti

1 cucchiaio scarso di baharat

1 cucchiaino di petali di rosa in polvere

1/2 cucchiaino di sale

Acqua q.b.

Preparazione

Per prima cosa mettiamo in una ciotola l’acqua e il sale e poi passiamo a preparare le verdure, per le polpette. Iniziamo con le melenzane: tagliamo una fetta di circa 1 cm, o poco più di spessore, badando a non arrivare fino in fondo, lasciate circa 3 cm alla base, così che resti attaccata alla fetta successiva che invece taglieremo fino in fondo; si ottengono così dei dischetti che si aprono così da poter poi essere farciti. Tagliamo le patate, già pelate, con la stessa procedura (tradizionalmente si tagliavano per il verso lungo e si ottenevano delle polpette oblunghe a forma di “uovo”). Per il cavolfiore e le carote si procede diversamente: le carote vanno tagliate in due pezzi e ogni pezzo va poi inciso a croce per il verso lungo lasciando, anche in questo caso, le estremità unite, la stessa cosa si fa anche con le cimette di cavolfiore. Mano a mano che preparate le verdure immergetele nell’acqua e sale già preparata, questo serve a dare gusto ma soprattutto ad ammorbidire le verdure così che poi sarà più facile farcirle.

Passiamo ora alla preparazione del ripieno. In una ciotola mettiamo la carne, il pane la cipolla, il prezzemolo, lavoriamo bene con le mani il tutto per avere un composto omogeneo. Passiamo ora ad aromatizzare il ripieno con le spezie: petali di rose in polvere, baharat, curcuma e cannella, finiamo con il sale e l’uovo, quindi lavoriamo bene la farcitura. Scoliamo ora le verdure dall’acqua e sale e cominciamo a farcirle abbondantemente con la carne, dopo di che passiamo ad infarinarle stringendo bene con le mani così che la carne non fuoriesca durante la cottura.

Mettiamo a scaldare l’olio per la frittura. In una ciotola, dopo averle controllate, mettiamo 4 uova, aggiungiamo il doppio concentrato di pomodoro diluito con un paio di cucchiai d’acqua. Passiamo ora le polpette nell’uovo e passiamo alla frittura, scoliamo le mafrùm, che a questo punto già si possono mangiare così come sono, e passiamo alla preparazione del sugo.

In un ampio tegame mettiamo l’olio con la cipolla e quando questa è diventata trasparente aggiungiamo la paprika, bagnamo subito con ½ bicchiere d’acqua, per evitare che prenda un sapore amaro e lasciamo insaporire per un minuto. Aggiungiamo ora il doppio concentrato di pomodoro, mescoliamo bene e bagnamo ancora con un altro po’ d’acqua e lasciamo cuocere il sughetto fino a che non si sia addensato e l’olio cominci ad affiorare in superficie; a questo punto aggiungiamo tutte le verdure già tagliate a dadini, mescoliamo e lasciamo cuocere per 3-4 minuti prima di aggiungere le spezie, il baharat e i petali di rosa, mescoliamo bene il tutto, bagnamo con 1 bicchiere con d’acqua, mescoliamo ancora. Ora cominciamo a disporre le mafrum, che avevamo già fritto, nel tegame con il sugo cercando di sistemarle in un solo strato o al massimo leggermente sovrapposte l’una sull’altra, con la parte della carne posta verso l’alto, l’importante è che siano immerse nel sugo. Copriamo il tutto e lasciamo cuocere a fiamma moderata per 10-15 minuti. Le mafrum sono pronte per andare in tavola accompagnate con da sale e limone, sono ed essere, insieme al cuscus, le protagoniste della tavola dello Shabbat secondo la tradizione tripolina.

 

Kasher | Gambero Rosso Channel | canale 412 di Sky lunedì alle ore 21.30, a partire dal 27 novembre 2017

 

a cura di Laura Ravaioli

 

Kasher. Laura Ravaioli e i segreti dell'Hràymi

 

 

 

 

Il piatto dell'infanzia secondo Ferran Adrià. La creatività dello chef catalano per la causa di One Drop

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Una campagna di raccolta fondi per assicurare il diritto all'acqua potabile, 10 testimonial messi alla prova. Tra loro anche Ferran Adrià, chiamato a reinventare il piatto preferito dell'infanzia dei 4 donatori più generosi. Che vincono pure una cena da Enigma, con Ferran e suo fratello Albert. 

A sostegno del diritto all'acqua

Un mese è già trascorso, ne restano 11 per partecipare alla campagna 10 Waves of One Drop, iniziativa promossa dall'organizzazione no profit The One Drop Foundation in occasione dei primi 10 anni di attività, spesi per garantire il diritto all'acqua in tutto il mondo. Con un'ottima intuizione, la fondazione ha coinvolto una serie di testimonial di forte richiamo, non limitandosi però a chiedere loro di metterci la faccia, ma incentrando la raccolta di crowdfunding sulle rispettive abilità delle personalità che hanno accettato la sfida. A disposizione la vetrina di una rete solidale online - Charitybuzz – che fino all'autunno 2018 collezionerà le donazioni per le singole esperienze eccezionali, una al mese, proposte da ciascuna delle celebrità. Tra loro – un cast stellare che vede pure la partecipazione di Michael Douglas, Shakira, Rafael Nadal – anche Ferran Adrià, indimenticato patron di elBulli, sulla costa catalana, che ha aperto la campagna nel mese di novembre.

Ferran Adrià. Da Bullipedia alla beneficenza

Lo chef che ha cambiato il corso della ristorazione moderna è certamente una personalità che ha saputo confermare negli anni di meritare un posto sotto i riflettori, ben oltre la pratica di cucina. Imprenditore di successo in coppia col fratello Albert, Ferran è quotidianamente coinvolto con le attività di ricerca e divulgazione di elBulli Foundation: solo un mese fa, il catalano ha lanciato il primo volume (500 esemplari, quasi 600 pagine a 80 euro, acquistabile online) dell'opera in 36 tomi che raccoglierà tutto lo scibile sull'universo gastronomico e la cultura alimentare, intitolata non a caso Bullipedia. Si comincia con le bevande, seguiranno – con una cadenza di 7-8 pubblicazioni annuali – focus su filosofia, tecnologia, arte e scienza degli alimenti e del mestiere di cucina, per addetti ai lavori e appassionati del genere. E il 2018, sempre che non si verifichino altri ritardi (burocratici e non) sarà pure l'anno inaugurale dell'ambizioso centro espositivo con ristorante e laboratorio di Cala Montjoi, nell'area protetta dove fino al 2011 è esistito elBulli. Intanto però Ferran Adrià presta la sua creativa per una giusta causa. E la sfida che l'aspetta è tutt'altro che semplice.

 

Il piatto dell'infanzia

L'offerta sul piatto per sostenere One Drop, infatti, scava nella memoria gastronomica di ciascuno di noi: cosa succederebbe se uno dei più grandi chef della storia della cucina si confrontasse con il nostro piatto preferito dell'infanzia? Quello, per intenderci, che ognuno considera perfetto così com'è, legato ai ricordi di un pranzo in famiglia, alla scoperta ingenua dei primi sapori inconsueti, ai rituali di una circostanza spazio-temporale che non tornerà. La prova, per essere chiari, non contempla l'idea di riportare in tavola il piatto della nonna: quella è una moda fin troppo abusata sulle tavole di mezzo mondo. Ferran, invece, promette di mettere in campo il suo genio creativo per trasformare la pietanza in questione, senza però snaturarne il significato. E riconducendolo al piano dell'avanguardia che gli è più congeniale: 4 le proposte selezionate, come i fortunati che saranno invitati ad assaggiare e discutere la creazione a Barcellona, nelle cucine di Enigma, dove sperimenteranno anche il percorso degustazione del ristorante, con Ferran e suo fratello Albert. Ognuno riceverà in dono la ricetta step by step firmata Adrià, per aggiungere un significato in più al ricordo del proprio piatto preferito d'infanzia. L'offerta più alta ha raggiunto i 20mila dollari: il ricavato finirà per metà nelle casse di One Drop, per metà finanzierà un progetto di beneficenza caro allo chef. Per scoprire i piatti vincitori, però, bisognerà aspettare novembre 2018. E voi, quale piatto fareste reinventare a Ferran Adrià?

 

http://onedroptenwaves.charitynetwork.com/

 

a cura di Livia Montagnoli

Acquistare il pesce con consapevolezza. La pesca, ieri oggi e domani

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Dalle catene ristorative all'acquacoltura di precisione, dalle app alla pescaturismo: la filiera della pesca guarda al futuro. A Roma un incontro, voluto da LegaCoop, che ha coinvolto GDO e istituzioni, per elaborare strategie di crescita e fare il punto sull'innovazione messa in campo dalle imprese.

Parliamo di freschezza, sapore, cotture e abbinamenti, ma spesso ci scordiamo che il pesce, quello che mangiamo, è frutto di una filiera, tra le più tracciabili (forse troppo, secondo tanti critici della burocrazia), che ha una storia tanto antica quanto bisognosa di guardare al futuro. Dalle onde alle aste, dal mercato al piatto, la pesca è sottoposta a riflessione continua, e dal punto di vista normativo e da quello economico e culturale.

Al centro una serie di paradossi che rendono il settore “speciale”: il pescatore sfrutta un bene che è limitato e per continuare a sfruttarlo/valorizzarlo deve sottoporsi a restrizioni e vincoli molto pesanti (come il fermo pesca). Si vedono, per questo, spesso contrapposti il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (alle spalle l'Unione Europea), da un lato, le imprese di pesca, dall'altro, in Italia riuniti spesso in cooperative. Al centro della discussione il rispetto dell’ecosistema marino, il ripopolamento degli stock ittici, l’equo compenso dei pescatori, gli ammortizzatori sociali, la valorizzazione di tecniche tradizionali.

LegaCoop fa il punto sulle criticità del settore pesca in Italia

LegaCoop, gigante della cooperazione che nel suo Dipartimento Pesca conta 300 cooperative e 95 imprese (circa il 25% della produzione nazionale), ha lanciato lo scorso 5 dicembre un confronto fra gli attori della filiera, dalle istituzioni ad alcuni rappresentanti della GDO, per avviare un percorso di rinascita e superare le difficoltà del settore. Ed eccoci davanti al vero paradosso: a fronte di una domanda che cresce (e che supera l'offerta) la categoria è in sofferenza da tempo. Detto in soldoni: dati del 2015 ci dicono che i cittadini europei hanno speso 54 miliardi di euro nell'acquisto di materia prima ittica, la cifra più alta mai registrata; al contempo in Italia 17 mila sono i posti di lavoro persi negli ultimi anni nel mondo pesca. "Queste perdite, soprattutto nel nostro paese, non rappresentano solo numeri, ma equivalgono al rischio di scomparsa di un intero patrimonio umano e culturale: quello delle marinerie, delle tecniche tradizionali tramandate nelle comunità, di padre in figlio": è netto il Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali Giuliano Poletti. Chiamato in causa da Legacoop, Poletti dipinge la pesca come settore in mutamento: "Una volta era solo prelevamento del pesce, oggi è un campo ibrido che sconfina nel turismo, nella gastronomia, nell'ecologia (la relazione con l'ambiente è imprescindibile), nella formazione".

Pescatore dell'Organizzazione Produttori Bellaria PescaPescatore dell'Organizzazione Produttori Bellaria Pesca

Le iniziative dei pescatori

L'invito del Ministro è a estrarre valore da tutta la catena: ci vogliono, dice, capacità di fare impresa e di produrre opportunità. E i pescatori, c'è da dire, ce la stanno mettendo tutta per evolversi, a partire dall'innovazione tecnologica. Per coniugare pesca locale e turismo, ad esempio, la Cooperativa San Marco di Burano ha sviluppato, in collaborazione con Regione Veneto, un'attività di pescaturismo coadiuvata da una video-audioguida (chiamata iLagoon) pensata per integrare l'esperienza pratica delle escursioni con informazioni digitali su mestieri, tradizioni e produzioni. Per accorciare la filiera e renderla più trasparente, valorizzando il prodotto locale, l’Organizzazione Produttori Bellaria Pesca si è dotata dell’applicazione APPena pescato, diretta a grossisti, commercianti, ristoratori e consumatori finali per comunicare le tipologie di pescato giornaliero ed effettuare direttamente gli acquisti. Iniziativa analoga per la cooperativa Pescatori dello Jonio che ha lanciato l’app Pesce a Miglio zero, che inoltra quotidianamente notifiche sul pescato in arrivo agli utenti iscritti. Certo che, oltre all'iniziativa e alla creatività, in un campo che deve sospendere le attività obbligatoriamente in alcuni periodi dell'anno il sostegno delle istituzioni è imprescindibile: il fermo pesca crea disoccupazione, servono ammortizzatori sociali, bisogna far cassa (l'ultimo decreto in materia è attualmente all'approvazione della Corte dei Conti).

Italia vs Europa

Ma dal punto di vista concreto - per le decisioni sulle quote di pesca, ad esempio, o per lo stanziamento di fondi - la battaglia principale si gioca a Bruxelles. Dalla Commissione per la pesca del Parlamento Europeo (PECH), la parlamentare Renata Briano ricorda che in Europa mangiamo solo per un 20% pesce europeo - il resto è prodotto importato - e che la maggioranza delle frodi alimentari viene attuata proprio su prodotti di importazione. Se è fondamentale, quindi, incentivare il consumo di pesce locale, bisogna confrontarsi spesso con decisioni dell'Unione non sempre favorevoli all'Italia. La battaglia nella PECH, secondo la Briano, oggi verte su un anello fondamentale della trasparenza di filiera: quando è stato pescato il pesce? Informazione che noi italiani saremmo pronti a mettere in etichetta, ma che invece le lobby della grande pesca, soprattutto nel Nord Europa, osteggiano per ovvi motivi, trattandosi di rappresentanti di flotte che stanno via molti giorni prima di sbarcare.

Un possibile futuro per i pescatori

Altro nodo - portato alla luce dall'europarlamentare Rosa D'Amato - è la competitività del nostro sistema nazionale: siamo i terzi in Europa per volume di pesca, dopo Francia e Spagna, e nonostante questo dipendiamo pesantemente dalle importazioni. Nel "Report on the role of fisheries-related tourism in the diversification of fisheries", mozione per una risoluzione del Parlamento Europeo, si fa luce su quanto le comunità tradizionali di pesca siano state sotto pressione negli ultimi anni, in tutta Europa, a causa del sovrasfruttamento e della conseguente riduzione gli stock ittici, ma anche del cambiamento climatico, dell'inquinamento, del calo demografico e della mancanza di appeal della professione del pescatore. Dato che i primi a non beneficiare del plusvalore della filiera sono proprio i pescatori e che per la maggior parte si tratta di aree geografiche di interesse turistico, anche nel report europeo la conclusione è una: la diversificazione dei mestieri, integrando nella pesca tradizionale il turismo a essa correlato, potrebbe contribuire a creare posti di lavoro e a rivitalizzare le comunità che dalla pesca dipendono economicamente.

Esempi concreti di pescaturismo e ittiturismo

Dal pescaturismo all'ittiturismo, passando per le attività acquatiche, alla pesca ricreativa all'amo o alle azioni di sostegno alla biodiversità marina. Esempi vincenti ancora una volta tra le coop di pescatori: molti hanno già deciso di affiancare la ristorazione al lavoro in barca. Esempio lampante la cooperativa pescatori di Fano, che ha dato vita a una vera e propria catena di ristoranti, chiamata Pesceazzurro, in cui si cucina e si vende pesce fresco e locale. Ulteriore passo il lancio di Cibidamare: una linea di 12 sughi pronti, prodotti in uno stabilimento d'avanguardia, per penetrare con tutti i requisiti nel mercato più appetibile, quello della Grande Distribuzione Organizzata. Proprio nel fare rete con gli attori della GDO, secondo LegaCoop Agroalimentare, si troverebbe la chiave di volta.Se la grande distribuzione decide di valorizzare il prodotto locale può far crescere enormemente il settore e garantire ai consumatori qualità e tipicità. Entrare nella GDO e nella ristorazione collettiva vuol dire, però, per le imprese soddisfare requisiti igienico-sanitari ben precisi, che arrivano solo con il controllo attento della distribuzione e della commercializzazione e con l'innovazione tecnologica nella trasformazione.

I canolicchi del Consorzio Pescatori di GoroI canolicchi del Consorzio Pescatori di Goro

L'acquacoltura

L'acquacoltura, che in Italia raggiunge livelli qualitativi piuttosto alti, ha risposto all'appello con alcuni esempi virtuosi, come quello del Consorzio Pescatori di Goro, in provincia di Ferrara, che nella filiera delconfezionamento dei molluschi vivi ha introdotto un sistema di packaging sottovuoto in termosigillatura che consente di mantenere gli alimenti freschi più a lungo; stesso discorso per la Almar di San Giorgio di Nogaro(Udine) che ha anche adottato un sistema di precisione - con applicazione del gps alle imbarcazioni - per ridurre l'impatto ambientale degli allevamenti lagunari.

Esempi virtuosi di utilizzo consapevole della materia prima

In Sardegnail Nuovo Consorzio Cooperative Pontis ha puntato sul muggine: per eliminare gli sprechi - il muggine (o cefalo), nonostante sia sano e buono, viene valorizzato solo per la bottarga di Cabras - è stata avviata la produzione di filetti affumicati, ottenendo un prodotto locale che ha conservabilità e, quindi, maggiori potenzialità economiche.

Altro modello da seguire quello elaborato dalla cooperativa toscana Mare Nostrum, che ha brevettato un processo di preparazione del pescato che agisce su temperatura, umidità e ossigeno, per aumentare la shelf-life del prodotto. Privilegiando specie meno note e pesce azzurro, i pescatori viareggini sono riusciti a entrare nelle mense scolastiche cittadine, operando anche in un'ottica di sostenibilità e di educazione alimentare.

Un pesce eccezionale, il tonno bianco alalunga, è oggi al centro del lavoro della cooperativa Mare dell’Etna di Portopalo di Capo Passero: grazie a processi tecnologici, come la cottura in salamoia, l’abbattimento rapido della temperatura, la cella di asciugatura e la sterilizzazione in forno, la cooperativa realizza conserve di gran qualità, dai filetti alla ventresca, che ridanno vita alla cultura gastronomica locale e alle antiche lavorazioni siciliane del pesce, portandole, però, nel XXI secolo. Altro che scatolette.

 

a cura di Pina Sozio

foto di apertura: www.facebook.com/PescheriaGallina

 

 


Il pane è oro. Il libro di Massimo Bottura contro lo spreco alimentare

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150 ricette di grandi chef di fama internazionale all'insegna del recupero degli avanzi: l'ultimo progetto di Massimo Bottura si concretizza in un libro, un volume nato dall'esperienza del Refettorio che ha come protagonisti gli ingredienti più “poveri”.

La figura dello chef

“Pasti straordinari con ingredienti ordinari”. Questo il sottotitolo dell'ultimo volume di Massimo Bottura, pubblicato in Italia lo scorso 27 novembre, un libro che segna ancora una volta l'impegno costante dello chef dell'Osteria Francescana nella lotta allo spreco alimentare. 150 ricette per rispondere a una domanda: “Il ruolo degli chef determinerà il futuro del cibo?”. Perché quella del cuoco, sottolinea Bottura, non è più solo una figura determinante in cucina: “Gli chef stanno diventando ambasciatori di cultura, pensatori autorevoli e attivisti”. Un professionista con una visione ampia del mestiere e dalla grande capacità di sintesi intellettuale, Bottura, da sempre vicino alle tematiche più intricate del mondo dell'enogastronomia.

L'impegno nella lotta allo spreco

Come la ridistribuzione delle eccedenze alimentari, per esempio, per la quale lo chef ha creato diversi progetti dedicati, a partire da Food For Soul, con l'inaugurazione del Refettorio Felix a Londra la scorsa estate (dopo il primo esperimento meneghino nato nel 2015 e la parentesi di Rio), accompagnata dall'ufficializzazione dell'accordo conSogemi, la società che gestisce ogni settimana circa due tonnellate di ortaggi in eccedenza in arrivo dall'Ortomercato di Milano, novità che ha segnato un nuovo modello di riciclo che fa leva sulla possibilità di surgelare i prodotti recuperati tra i banchi, grazie a un costoso macchinario donato alla causa del Refettorio. E ancora la mensa sociale, uno spazio aperto ogni domenica dove sarà cucinato e servito il cibo non venduto al supermercato, il primo progetto nel Sud Italia, a Napoli, all'interno di Made in Cloister, proprio a un anno dal progetto di riqualificazione dell'ex lanificio di Porta Capuana interamente ripensato da Davide De Blasio, Rosa AlbaImprota e Antonio Giuseppe Martiniello. E continua a farsi strada con insistenza, poi, l'ipotesi di una mensa per la comunità del popoloso distretto del Bronx, in collaborazione con l'ospedale di St. Barnabas, ma si parla anche di Detroit e New Orleans, senza dimenticare Chicago.

Le ricette

Un impegno, dunque, su larga scala, messo nero su bianco in Il Pane è Oro, volume che celebra la cucina “povera”, i piatti di recupero, le ricette più semplici e alla portata di tutti, ma non per questo meno gustose. Non se a raccoglierle è uno dei migliori cuochi del mondo. “Ho chiesto agli chef: non sarebbe bello cucinare per le persone che non hanno idea di chi siamo?”, scrive nel libro. E così, 45 grandi cuochi, fra cui Ana Roš (Hiša Franko), Gastón Acurio (Astrid y Gaston), Jessica Murphy (Kai Cafe & Restaurant), Alain Ducasse, Alex Atala (D.O.M.), Alice Delcourt (Erba Brusca), Michel Troisgros (Maison Troisgros), Ferran e Albert Adrià, hanno contribuito nel tempo alle ricette del Refettorio di Milano, ora diventate parte del libro. Ogni capitolo (uno per chef) comincia con una vignetta che racconta l'esperienza dei professionisti nel refettorio. Così troviamo, accanto a ogni ricetta, le parole di Daniel Humm, “tutti i piatti della tradizione sono stati creati per necessità”, Cristina Bowerman, “avendo troppi ingredienti alle volte rischiamo di dimenticare l'elemento più importante: la semplicità”, René Redzepi e molti altri ancora.

L'obiettivo

E poi, naturalmente, quelle di Bottura, le più intime, le più sentite: “Ogni mattina a colazione io e i miei fratelli litigavamo per gli avanzi di pane della sera prima, per inzupparli nel latte caldo con un goccio di caffè. Chiamavamo questo pasticcio “zuppa di latte”... Poi, per mio diletto, aggiungevo lo zucchero, tanto zucchero, finché mia madre non iniziava a urlare “Massimoooo – è troppo zucchero!” Lei adorava raccontare questa storia agli sconosciuti, con tanto di commento “E guardalo ora – un cuoco famoso!”. Un dolce inventato anni fa, giocando con il fratello a colazione, e che oggi è diventato uno dei piatti simbolo dell'Osteria Francescana. Il Pane è Oro, infatti, è uno dei dessert più celebri dello chef, nato dai ricordi d'infanzia, rielaborati con sentimento, tecnica e innovazione. Una crema di pane e zucchero ricoperta di sfoglie croccanti e servita con gelato al caramello salato. Ma impreziosita dal color oro, idea folgorante nata per caso: “Sfogliando una rivista d'arte a casa, vidi un cesto di carta igienica placcato d'oro dell'artista svizzera Sylvie Fleury che attirò la mia attenzione... L'ordinario divenne straordinario... Il messaggio era di rendere visibile l'invisibile”. Certo, Bottura non poteva immaginare che il nome del dessert sarebbe divenuto di lì a breve uno slogan a tutti gli effetti, una filosofia, e anche il titolo di un libro fuori dal comune: “Come potevo sapere che una ricetta sarebbe diventata un inno con il quale cantiamo i valori non celebrati delle ricette di recupero e di tutti quegli ingredienti scartati, sottovalutati e trascurati?”

Il Pane è Oro, Massimo Bottura | ed. Phaidon, 2017, L'Ippocampo | euro 25,42

a cura di Michela Becchi

10 torroni artigianali dal Piemonte alla Sardegna

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Al torrone spetta in genere un ruolo da attore non protagonista. Eppure è il dolce più antico e offre una straordinaria gamma di varianti. Ecco i 10 che ci hanno convinto di più.

Entriamo nel magico mondo dei torroni. Morbidi e friabili, croccanti, “baci”, pantorroni e giuggiulene, torroni veneti, calabresi, di Visone, di Asti, di Crema, di Benevento, di Tonara... Mandorle, nocciole, noci e pistacchi incontrano il miele, lo zucchero e l'albume d'uovo. Profumati di vaniglia, arricchiti da canditi e cioccolato.

Torrone Basano Coraglia

Basano Coraglia

L'azienda è piccola e giovane, nata due anni fa sull'onda dell'entusiasmo nel fare il gusto al torrone per la propria gelateria, l'attività precedente. “Siamo rimasti folgorati!”. Racconta Graziella Coraglia, insieme al marito Gianluigi Basano, e con la collaborazione della sorella Carla, titolare di questa nuova azienda tra Langhe e Roero. Un torrone artigianale fatto secondo la tradizione piemontese e la lezione del maestro Canelin di Visone, al quale si sono ispirati. Soprattutto il friabile alle nocciole, il fiore all'occhiello, con la trilobata Piemonte Igp (il 50%) tostata in casa, dove le note aromatiche della frutta secca si fondono a un bouquet di mieli (acacia, castagno e millefiori), albume, zucchero e vaniglia naturale Bourbon, senza sciroppo di glucosio e gelatine alimentari. Molto buoni anche il friabile alle mandorle di Avola e pistacchi di Bronte, con miele di acacia e di zagara siciliani e olio essenziale d'arancia, il torrone morbido alla nocciola, proposto anche al cioccolato (Domori), e i maltagliati alla nocciola.

Basano Coraglia | San Damiano d’Asti (AT) | via Asti, 16a | tel. 0141 971084 |  www.torronebasanocoraglia.it

 

Torrone Canelin

Canelin

Il grande vecchio del torrone alla piemontese. Giovanni Verdese, 86 anni compiuti, da sempre produce il tradizionale torrone di Visone, bianco friabile alle nocciole, come lo faceva il bisnonno, ai suoi tempi soprannominato Canelin. “Sono la quarta generazione”, sorride Giovanni. Una lavorazione in solitaria, senza aiuti, apprendisti o delfini, “un cugino ogni tanto viene a darmi una mano, ma è pensionato anche lui...”. Un torrone classico d'antan, ambrato, profumato di vaniglia e dal gusto ricco, con inebrianti aromi tostati e di incredibile friabilità, in grandi stecche dalla confezione essenziale. Ingredienti: un'altissima percentuale di nocciole tonde gentili Piemonte Igp (65-70%), il resto miele piemontese (“normalmente di acacia, ma quest'anno in assenza di raccolto l'ho sostituito con il millefiori”), zucchero di canna bianco, albume d'uovo, vaniglia. Da alcuni anni Canelin propone anche il torrone ricoperto di cioccolato fondente. In vendita presso il laboratorio a Visone e nella gelateria ad Acqui Terme.

Canelin | Visone (AL) | via Acqui, 123 | tel. 0144 395285

 

D. Barbero

Premiata confetteria, da 180 anni (nel 2018) e da 7 generazioni nella produzione di torrone d'Asti, costantemente migliorata. I suoi classici sono il torrone friabile alle nocciole Piemonte (51%), il cavallo di battaglia, cotto lentamente in oltre sette ore dentro caldaie di rame, e i 3 Gran Cru, senza glucosio e con una maggiore percentuale di frutta secca (60%): il friabile piemontese alle nocciole, fatto solo con ingredienti della zona, e due morbidi nello stile del Sud, alla mandorla pizzuta siciliana e miele di limone di Sorrento, al pistacchio di Bronte Dop, miele di zagara e scorzetta d'arancia dalla Sicilia. Novità 2017: il torronfino, marchio registrato, torroncino quadrato e sottile, la versione miniaturizzata e monoporzione del torronfetta, pure brevettata, inventata dal nonno di Davide Barberoalla fine degli anni ’50 per recuperare l'ultima fetta ottenuta dal taglio delle stecche di torrone, uno sfrido di lavorazione diventato un must della casa, proposta con diversi tipi di frutta secca e al rum e cioccolato.

D. Barbero | Asti | via Brofferio, 84 | tel. 0141 594004 | www.barberodavide.it

 

Torrone Bandirali

Bandirali

Il tradizionale torrone di Crema, friabile alle mandorle, che Mauro Bandiraliproduce non nel classico formato a stecca bensì rotondo, come un candito e lucido panetto rustico, simile al mandorlato veneto. Bandirali, l'unico artigiano di quest'antica specialità cremasca, in collaborazione con Slow Food sta lavorando per creare una filiera locale di pasticceri e di produttori di miele e uova biologiche da galline allevate a terra di alta qualità, “il punto di partenza di un progetto finalizzato ad ottenere il Presidio Slow Food” spiega Mauro. Lavorazione rigorosa e ingredienti sceltissimi: mandorle di Toritto Filippo Cea Presidio, albume di uova fresche, zucchero di canna, miele d'acacia (quest'anno un blend di mieli chiari), cottura prolungata a bassa temperatura in un'antica torroniera in rame. “E senza vaniglia per non alterare le caratteristiche del vero torrone cremasco”.Stessi ingredienti, ma aggiunta di vaniglia naturale e cottura più breve a temperatura più bassa, nel torrone morbido, confezionato a stecca.

Bandirali | Crema (CR) | via Piacenza, 93 | tel. 0373 84068 | www.gelateriabandirali.it

 

Preparazione del torrone Scaldaferro
Scaldaferro

Sono passati quasi cento anni da quando è nata l'azienda (all'inizio una pasticceria), una decina da quando alle redini c'è Pietro, l'ultima generazione Scaldaferro, e il torrone è sempre buono. Anzi, di più e con un numero maggiore di referenze, tutte fatte con ingredienti scelti in modo talebano, in abbinamenti ben studiati e centrati che prendono l'abbrivio dal tradizionale mandorlato veneto. A cambiare sono le tipologie di frutta secca e miele. Nocciole Piemonte Igp e miele di rosmarino. Noce Lara e miele di sulla. Pistacchio di Bronte Dop e miele di coriandolo. In quelli alla mandorla cultivar diverse a seconda del tipo di miele: “la brindisina con mieli potenti come quello salato di barena veneziana – spiega Pietro Scaldaferro la burrosa Filippo Cea con il miele alla rosa damascena oppure nel torrone al pepe di Sechuan e miele di arancio, l'intensa Tuono di Bari con il miele di ciliegio e di mandorlo”. Le novità 2017 “edizione limitata” sono i mandorlati all'ormonale miele di carrubo siciliano e a quello amaro di corbezzolo sardo, “l'unico che mi mancava nella classifica dei mieli monoflora”.

Scaldaferro | Dolo (VE) | via Ca’ Tron, 31 | tel. 041 410467 | www.scaldaferro.it

 

Prodotti Borillo

Cavalier Innocenzo Borrillo

Sul retro della storica buvette, la spezieria di famiglia fine '800 che conserva gli arredi originali in lacca veneziana e l'atmosfera di quando aprì i battenti nel 1891 – bancone in marmo, vetrinette, l'antica bilancia, tavolini e sedie, colori pastello alle pareti – da oltre 120 anni vengono prodotti i torroni classici di qui. Che sono fondamentalmente tre: il torrone tradizionale di Benevento, bianco friabile alle mandorle (che si rifà alla cupeta dei Latini), lo stesso ricoperto di cioccolato e i torroncini Baci, specialità brevettata della casa, sottili barrette a base di mandorle e nocciole (una via di mezzo tra un torroncino e un croccantino) ricoperte di cioccolato fondente. La lavorazione è tuttora artigianale in paioli di rame. Le ricette sono quelle originali, gelosamente custodite, impiegando pochi e selezionati ingredienti: mandorle pugliesi o d'Avola e nocciole avellane tostate in laboratorio, bianco d'uovo, miele di castagno o millefiori, zucchero, cioccolato finissimo. Da provare la pasticceria fresca, con le imperdibili cassatine.

Cavalier Innocenzo Borrillo | San Marco dei Cavoti (BN) | via Roma, 64/66 | tel. 0824 984060 | www.borrillo.it

 

Torrone Di Iorio

Torronificio Di Iorio
Uno dei più antichi torronifici italiani, dal 1750. Offre un vasto assortimento di prodotti, in vendita anche nel nuovo show room a via delle Industrie, a 500 metri di distanza dalla storica fabbrica. La novità per il Natale 2017 è Dolce Gusto, un torrone morbido alla mandorla con crema di pistacchio. Ma i prodotti di punta sono quelli della linea Vecchia Maniera, torroni friabili fatti in tempi e modi artigianali (16 ore di cottura) con ingredienti di prima scelta e di origine italiana, a parte la vaniglia Bourbon: mandorle pugliesi, un mix di mieli di collina del Sud Italia, cioccolato monorigine, nocciole gentili“di Giffoni, Piemonte Igp e di Viterbo, dipende dall'annata”,spiega Federico Di Iorio, l'ultima generazione dei torronieri avellinesi. Un classicone Di Iorio è il pantorrone, specialità di Dentecane inventata e brevettata nel 1924, torrone farcito di pan di Spagna imbevuto di liquore e ricoperto da cioccolato fondente, proposto in tre versioni: classico bagnato con un liquore alle erbe simile allo Strega, al limoncello e al caffè.

Torronificio Di Iorio | Pietradefusi (AV) fraz. Dentecane | via Roma, 145 | tel. 0825 962097 | www.torronediiorio.com

 

Torroni Taverna

Francesco Taverna
In questo storico torronificio nato nel 1930 si incontrano due grandi scuole dolciarie, calabrese e siciliana, antiche ricette e invenzioni esclusive introdotte dalla terza generazione Giorgio e Fabio Taverna. Lavorazione all'antica, materie prime di qualità: mandorle della varietà fascionello di Avola, miele di zagara calabrese, albume d'uova, vaniglia, cioccolato fondente, lenta tostaura della frutta secca a 70 gradi, lavorazione nelle torroniere classiche a bagnomaria. Molto ampio il ventaglio dei prodotti: torrone morbido e tradizionale friabile (ai gusti cannella, vaniglia, gianduja), torrone gelato (specialità siculo-calabra a base di frutta candita, zucchero fondente e mandorle tostate), 11 torroncini morbidi ricoperti di cioccolato, alcuni ai sapori di Calabria (bergamotto, limone, arancio, liquirizia...), il croccante fatto ancora nel paiolo di rame a fuoco diretto (con il 66% di mandorle), praline al rum, datteri e fichi farciti e ricoperti.

Francesco Taverna | Taurianova (RC) | piazza Italia, 8 | tel. 0966 611106 | www.pasticceriataverna.it

 

Torrone Caffè Sicilia

Caffè Sicilia

Una produzione di torroni che non cede alle mode e alle tendenze del momento, anno dopo anno sempre fedele alla tradizione e al territorio. Anche per il Natale 2017 Corrado Assenza propone la sua splendida cinquina dei tipici dolci a base di frutta secca, con mandorle della varietà romana di Noto Presidio Slow Food e pistacchi di Bronte. C'è l'arabeggiante giuggiulena, eredità dell’occupazione moresca in Sicilia, con sesamo, miele, mandorle tostate e scorza d’arancia. C'è il torrone morbido, candido e con un'altissima concentrazione di mandorle (70%) grandi e pelate, una piccola quantità di pistacchi e miele di zagara dei Monti Iblei, del quale è proposta anche la versione croccante, con le mandorle abbrustolite e il miele caramellato. A questo tris si aggiungono il torrone bianco morbido al pistacchio e scorza d'arancia candita e il “Blu Noto”, morbido alle mandorle con chicchi di caffè Blue Mountain giamaicano tostati dal Caffè del Doge di Venezia.

Caffè Sicilia | Noto (SR) | corso Vittorio Emanuele, 125 | tel. 0931 835013

 

Prodotti di Salvatore Pruneddu

Salvatore Pruneddu

È il nome più famoso del celebrato torrone di Tonara, in Barbagia, nel cuore della Sardegna, fatto rigorosamente senza zuccheri aggiunti. “Gli ingredienti sono tre, fondamentalmente due – precisa Antonello Pruneddu, il titolare insieme ai fratelli del torronificio fondato dal padre Salvatore nel 1963 – il 98% è costituito da frutta secca e miele, l'% dall'albume: non contiene saccarosio e sciroppo di glucosio ma solo gli zuccheri naturali del miele e della frutta”. Se nei torroni e nei torroncini classici monofrutto di mandorle, noci e nocciole, di provenienza italiana ed estera, c'è un blend di mieli sardi, nella linea Speciali, la novità Pruneddu per il prossimo Natale, il miele è uniflorale; si sceglie fra 12 torroncini dai diversi gradi di intensità a seconda del miele impiegato: dai più delicati di sulla, asfodelo, arancio e lavanda, agli aromatici di timo e di rosmarino, agli intensi di corbezzolo, castagno, cardo, eucalipto, millefiori e di macchia mediterranea. Altra new entry 2017 il torrone bio.

 

a cura di Mara Nocilla

 

Articolo uscito sul Gambero Rosso di dicembre. Un numero tutto rinnovato che potete trovare in edicola o in versione digitale, su App Store o Play Store. Abbonamento qui.

 

Alleanza Cibus-Vinitaly. Tutte le novità nell'intervista al dg di Veronafiere Giovanni Mantovani

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Veronafiere e Fiere di Parma uniscono le forze e creano la nuova società Verona Parma Exibitions. A dicembre 2018 la prima manifestazione a due: Wi.Bev dedicata alle nuove tecnologie. Intanto, possibili nuovi eventi ed acquisizioni all'estero.

In dote portano rispettivamente 88 milioni di euro e 39 milioni. L'una ha all'attivo 67 fiere ed eventi, l'altra 24. La prima è legata a nomi come Vinitaly, Sol&Agrifood, Enolitech; la seconda a Cibus, Cibus Tec, Cibus Connect.

Il matrimonio di fatto tra Veronafiera e Fiere di Parma, annunciato nei giorni di wine2wine, ha già portato alla nascita di Vpe (Verona Parma Exibitions), ovvero il primo organizzatore diretto di rassegne dedicate al settore agricolo e agroalimentare in Italia. Le due SPA rappresentano, infatti, il secondo polo fieristico nazionale (dopo Milano) sia per fatturato consolidato nel 2016, con 127 milioni di euro, sia per superficie lorda coperta, con 283 mila metri quadrati complessivi. Ma la vera novità è che food e wine si alleano per la prima volta per conquistare i mercati: “L’accordo tra Veronafiere e Fiere di Parma” dice il presidente di Fiere di Parma Gian Domenico Auricchio ha una molteplice valenza: è in favore delle due fiere e delle rispettive manifestazioni - Cibus e Vinitaly - che sono due corrazzate efficaci e complementari; asseconda gli obiettivi di Governo, che da tempo auspica l’unione delle risorse per la promozione del brand italiano del wine&food; va incontro alle esigenze di internazionalizzazione delle imprese del settore”.

Ma, per capire meglio cosa succederà nella pratica, cosa cambierà per le due Fiere e quali sono gli obiettivi della nuova società Verona Parma Exibitions, abbiamo fatto una chiacchierata con il dg di Veronafiere Giovanni Mantovani.

 

Direttore, era tempo che food e wine si alleassero. Ma come mai avete pensato proprio a Fiere di Parma per creare questa nuova società?

La ragione è chiarissima: in portfolio abbiamo prodotti complementari e sinergici. Noi vino (Vinitaly), olio (Sol), agroalimentare (Sol&Agrifood). Loro una bandiera del made in Italy come Cibus. La scelta è stata quasi scontata.

 

Nel 2016 un'operazione simile si era avuta con la Fiera di Milano in occasione della manifestazione Tutto Food. Quell'accordo è ancora valido?

Non avremmo ragione per non tenere fede all'impegno preso con Milano. Ci sarà una nuova edizione di Tutto Food e stiamo andando avanti anche con la piattaforma per la promozione del reparto ortofrutticolo, Fruit&Veg Innovation. Certo, questo nuovo progetto con Parma va un po' oltre: in questo caso, oltre alla collaborazione abbiamo dato vita ad un nuovo strumento societario insieme.

 

In ogni caso, dal punto di vista economico, Veronafiere e Fiere di Parma continueranno ad essere due società separate.

Assolutamente sì. Non c'è alcuna fusione: ognuna continuerà ad avere il proprio esercizio di bilancio. In comune ci saranno solo gli utili della nuova società Vpe (Verona Parma Exibitions).

 

Invece, da un punto di vista organizzativo e dal lato visitatore, cambierà qualcosa per le vostre due fiere di riferimento, Vinitaly e Cibus? Ci riferiamo a location, date, nomi, e così via ...

Allo stato attuale non cambierà quasi niente: né date, né luoghi. Ci sarà, però, una sempre maggiore collaborazione, incentrata soprattutto sullo “scambio” di interlocutori e buyer internazionali. In ogni caso non ci precludiamo nulla.

 

Intanto, avete presentato un nuovo appuntamento in comune: Wi.Bev – International Wine&BeverageTechnologies Event. Come si svilupperà in futuro e dove?

Dopo il piccolissimo assaggio di wine2wine, la vera prima edizione sarà nel 2018, sempre a Verona e sempre nel periodo del Forum: dicembre è un periodo favorevole per le aziende vitivinicole che, libere da altri impegni, possono focalizzarsi di più sullo sviluppo delle loro capacità produttive. Il piano industriale del nuovo evento prevede 1 milione di euro di ricavi che triplicheranno nel triennio successivo. L'obiettivo di Wi.Bev è diventare un punto di riferimento per gli sviluppi della tecnologia, le nuove frontiere, la biotecnologia, i prodotti della nuova genetica.

 

Non si rischia, in questo modo, di sovrapporsi all'altra grande fiera italiana del settore tecnologie, organizzata dall'Uiv?

Diciamoci la verità: il Simei negli ultimi anni ha perso un po' di grinta. E aver portato l'evento a Monaco quest'anno (la prossima edizione è prevista a Milano; ndr), la dice lunga su come stiano andando le cose. Sarebbe, quindi, auspicabile riuscire a ricollocare il comparto delle tecnologie vitivinicole in Italia, senza dover passare per forza per l'estero. Pensiamo ad un grande polo di livello internazionale che, però, si svolga nel nostro Paese.

 

Si tratta di una “risposta a” o di un invito rivolto all'Uiv?

Le porte sono aperte e con Unione Italiana Vini è già aperto un dialogo per trovare una convergenza. Siamo possibilisti. Intanto, abbiamo anche coinvolto Assoenologi per l'edizione di Wi.Bev del 2018.

 

Guardiamo all'estero. Al Forum di Verona avete parlato del nuovo format Cibus&Vinitaly. Di cosa si tratta?

Il format che stiamo studiando varia da Paese a Paese. Di sicuro, un concetto deve essere chiaro: il successo italiano sui mercati esteri passa da una sempre maggiore sinergia tra vino e cibo. L'America sarà il nostro primo banco di prova.

 

In che modo?

Oltre a presidiare questo mercato, siamo in trattative per l'acquisizione di una quota significativa di un player fieristico del Nord America. Al momento non possiamo dire di più, ma contiamo di chiudere l'affare entro gennaio 2018. Non solo. Un'operazione simile sarà replicata in Cina, mentre prospettive interessanti potrebbero aprirsi anche in Brasile.

 

Ovvero: porterete il vino italiano in Brasile?

Non proprio. Ci è stato chiesto – a fronte della nostra esperienza con Vinitaly - di organizzare una fiera dedicata ai vini del Mercosur. In particolare, di Brasile, Argentina, Cile e Uruguay. Si potrebbe iniziare nell'autunno del 2018, con un grande evento a Porto Alegre. Sarebbe anche l'occasione per esportare Wi.Bev in America Latina.

 

Insomma, ormai i tempi sono maturi per abbattere le frontiere e presidiare vecchi e nuovi continenti. Anzi, per dirla con Danese (presidente di Veronafiere): “Non è più tempo di campanilismi. Ad alleanze e acquisizioni dedicheremo oltre 30 dei 94 milioni di investimenti programmati.

Esatto. Allo stesso tempo, non trascureremo la città di Verona. Abbiamo già previsto un piano di investimenti nell'auditing del quartiere fieristico: nel giro di un triennio ci sarà un cambiamento radicale anche della sua struttura. Vedrete.

 

wibev.it

 

a cura di Loredana Sottile

foto di Ennevi

 

 

 

PizzAut. Il progetto di inclusione sociale che scommette sulla pizza, con l'impegno dei ragazzi autistici

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Il prossimo obiettivo è raccogliere 60mila euro tramite crowdfunding. Intanto i ragazzi di PizzAut si sono già fatti notare – e amare – in tv e sulla rete. E tanti sono i sostenitori del progetto di inclusione sociale ideato da Nico Acampora. In vista dell'apertura di una pizzeria molto speciale.   

Inclusione sociale... In cucina

PizzAut è un progetto di ristorazione (inclusione) sociale in divenire. È l'impegno di un gruppo di genitori con figli autistici, una scommessa che la primavera scorsa riuniva appena qualche famiglia della provincia di Milano sollecitata dall'iniziativa di Nico Acampora, e ora raccoglie le forze di associazioni dell'intero territorio nazionale. Con il sostegno aggiunto di tante persone sensibili al tema, che i ragazzi di PizzAut – il nome fa il verso alla celebre catena inglese Pizza Hut – hanno imparato a conoscerli anche grazie alla tv, vincitori morali del talent show Tu si que vales (in onda su Canale Cinque), dove la squadra ha dimostrato di saperci fare con la pizza. Del resto l'obiettivo è proprio quello di farcela da soli, con il supporto economico delle donazioni pervenute alla causa. E aprire presto una pizzeria gestita da ragazzi autistici, impegnati in cucina, davanti al forno e nel servizio di sala. Non la prima iniziativa del genere, a testimoniare come l'abilità manuale e l'attitudine a concentrarsi su un'attività creativa siano valori aggiunti delle persone affette da autismo. Ci limitiamo a ricordare i ragazzi del Tortellante di Modena, abilissimi con la mattarello, sfoglie all'uovo e pasta ripiena, sotto la guida attenta delle maestre sfogline e con il supporto di Massimo Bottura. Sfumato il premio tv di 100mila euro – ma la partecipazione al programma ha contribuito a dare grande visibilità al progetto – solo un paio di giorni fa il gruppo si è ritrovato al ristorante Il Moro di Monza, in occasione di una cena solidale che ha raccolto l'adesione di molte personalità della scena gastronomica meneghina, da Felix Lo Basso ad Andrea Alfieri, al panificatore Adriano Del Mastro.

 

Il crowdfunding per PizzAut

E online è sempre aperto il crowdfunding che “nutre l'inclusione”. A oggi la campagna ha raccolto quasi 39mila euro (da 1095 donatori), ma l'obiettivo è di raggiungere quota 60mila, per portare a termine il progetto: “realizzare un prodotto ottimo con ingredienti di qualità dove l'integrazione e la relazione saranno il condimento essenziale”. Nel locale destinato ad aprire, i ragazzi saranno affiancati da professionisti della ristorazione e della riabilitazione, perché ognuno conduca la mansione più appropriata alla propria attitudine. Con l'idea di offrire al commensale un'esperienza “dai tempi lenti”, dove coltivare le relazioni sociali, senza trascurare il prodotto che arriva in tavola, realizzato con ingredienti di qualità. I fondi sosterranno quanto necessario per lo start up: l'acquisto di tutti gli arredi,  dei macchinari e delle attrezzature di cucina, i percorsi di formazione destinati ai ragazzi per l'acquisizione delle competenze necessarie (anche Rossopomodoro ha dato la sua disponibilità), l'eventuale affitto della struttura e il costo del personale almeno nella fase di avvio. Tante le voci che finora hanno speso parole di incoraggiamento per il progetto (non ultima quella di Matteo Renzi). Lo spirito dell'iniziativa, d'altronde, non può che essere condiviso: PizzAut vuole dimostrare che l'inclusione sociale può essere bella, piacevole e divertente. E per farlo ha scelto un simbolo della tavola italiana, che mette tutti d'accordo. In lizza per l'apertura, speriamo a breve, Monza e Segrate.

 

Il crowdfunding per sostenere PizzAut

Nobile e Sostenibile. Montepulciano verso la certificazione Equalitas con l'informatica di Soste-Nobil-età

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Impegnato da un decennio sul fronte della viticoltura sostenibile, il Consorzio del Vino Nobile presenta il progetto Soste-Nobil-età, con la piattaforma gestionale informatica sviluppata insieme all'Università Marconi di Roma. Obiettivo: le certificazione Equalitas per l'intera Docg. Appuntamento il 13 dicembre, con la tavola rotonda moderata da Marco Sabellico. 

Viticoltura sostenibile

Cosa significa sostenibilità? E come impegnarsi sul campo per attribuire il significato che merita a un concetto altrimenti abusato? Nella Toscana del Vino Nobile di Montepulciano, provincia di Siena, i produttori riuniti in Consorzio si impegnano da anni perché le pratiche vitivinicole – l'attività agricola e di cantina – rispettino le condizioni essenziali per potersi dire sostenibili. A Montepulciano gli investimenti diretti praticati dalle aziende produttrici di Vino Nobile negli ultimi dieci anni per la sostenibilità ambientale hanno superato gli 8 milioni di euro. Oltre il 70% delle imprese (circa 60) ha già investito in progetti sostenibili, mentre il 90% ha in corso progetti di realizzazione di impianti. Entrando nel dettaglio, delle 76 aziende consorziate, oltre il 70% ha un impianto fotovoltaico e il 35% si è dotato di solare termico per la produzione di calore. Il 20% ha sistemi di recupero delle acque reflue, mentre un 10% delle imprese ha investito nella geotermia. Negli ultimi anni circa la metà delle aziende ha sviluppato pratiche naturali, come la fertilizzazione, l’inerbimento, l’utilizzo di metodi di coltivazione meno impattanti. Questo si lega al concetto di biodiversità che vede gran parte delle aziende di Vino Nobile praticare un'agricoltura sotto il regime del biologico, alcune biodinamiche. Il passaggio in più, che al territorio della denominazione garantirà la possibilità di diventare il primo distretto vitivinicolo in Italia in grado di poter certificare la sostenibilità territoriale in base alla norma Equalitas, è la nuova piattaforma gestionale informatica sviluppata in collaborazione con l'Università Marconi di Roma, nell'ambito del Progetto Integrato di Filiera.

 

Soste-Nobil-età. La presentazione del progetto

Il 13 dicembre, al Teatro Poliziano di Montepulciano, il Consorzio – con i partner del progetto Soste-Nobil-età (oltre all'università Marconi, CIA Toscana, QSR srl di Montepulciano, la Fattoria del Cerro del gruppo Unipol-SAI, la cantina Salcheto e la Vecchia Cantina di Montepulciano) – presenterà ufficialmente la piattaforma e gli strumenti gestionali a disposizione della Docg. A fare gli onori di casa il sindaco Andrea Rossi, il presidente del Consorzio Piero di Betto, il presidente Vecchia Cantina di Montepulciano Adriano Ciofini; dalle 11.30, la tavola rotonda moderata da Marco Sabellico (curatore della guida Vini d'Italia del Gambero Rosso, che è pure media partner dell'evento), che coinvolgerà nel dibattito sul vino Nobile e Sostenibile Dino Scanavino (Presidente Cia), Riccardo Ricci Curbastro (Presidente Equalitas), Marcello Lunelli (Gruppo Ferrari), Rocco Toscani, Andrea Farinetti.

È il primo momento di incontro e lo abbiamo voluto organizzare a Montepulciano non a caso, per poi ritrovarci ad aprile a Vinitaly con i risultati dell’interazione con la piattaforma” anticipa Piero Di Betto “L’obiettivo è quello di coinvolgere il mondo del vino, dagli operatori alle cantine di altri territori, passando per enologi e agronomi perché crediamo che questo possa essere un modello da poter replicare in altri territori a vocazione vitivinicola in Italia e non solo”. Al professore Umberto Di Matteo (Dipartimento Ingegneria dell'Università Marconi) spetterà il compito di presentare la piattaforma, affiancato da Michele Manelli della cantina Salcheto, tra le prime aziende a sperimentare i nuovi strumenti a disposizione, che corroborerà la teoria con l'esperienza sul campo. L'evento è aperto al pubblico, e trasmesso in diretta streaming sul sito del Consorzio Vino Nobile.

 

Nobile e Sostenibile | Montepulciano | Teatro Poliziano | il 13 dicembre, dalle 9.30 | www.consorziovinonobile.it

 

Barawards 2017: la classifica dei migliori bar e ristoranti d'Italia secondo Bargiornale

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Una redazione da sempre impegnata a valorizzare le migliori caffetterie d'Italia e non solo: Bargiornale premia ogni anno anche cocktail bar e ristoranti, bartender e chef. Ecco i risultati svelati durante la cerimonia di premiazione dello scorso 11 dicembre.

2018, un'edizione generosa

La rivista specializzata nei bar italiani di qualità ha decretato i numeri uno nel settore del caffè dell'anno 2017. E non finisce qui: Bargiornale, con una giuria di addetti ai lavori, premia anche ristoranti e locali innovativi che si sono distinti per qualità delle materie prime e attenzione al servizio. Mai come in questa edizione si assiste a una pioggia di premi in tutto lo Stivale, da Nord a Sud, per le insegne ma anche per i professionisti.

Bar caffetteria dell’anno

Aroma - Bologna (Bo)

Bar d’albergo dell’anno

Atrium Bar Four Seasons - Firenze

Bar pasticceria/gelateria dell’anno

Pasticceria Daloiso - Barletta (Ba)

Bar rivelazione dell’anno

Cubi - Maglie (Le)

Cocktail bar dell’anno

Rita&Cocktails - Milano

Ristorante d’albergo dell’anno

Morelli Hotel Viu - Milano

Ristorante rivelazione dell’anno

Ristorante Bros – Lecce

Bar Manager dell’anno

Flavio Angiolillo - Mag - Milano

Bar team dell’anno

Nu Lounge Bar - Bologna

Barista dell’anno

Francesco Masciullo - Ditta Artigianale Oltrarno - Firenze

Bartender dell’anno

Mattia Pastori - Bulk - Milano

Bartender Italiano all’estero dell’anno

Fabio La Pietra - Subastor - San Paolo, Brasile

Bartender under 30 dell’anno

Maurizio Zanni - L'antiquario - Napoli

Brand ambassador dell’anno

Francesco Pirineo - Compagnia Dei Caraibi

Cuoco dell’anno

Matias Perdomo - Contraste - Milano

Gelatiere/Pasticcere dell’anno

Alessandro Comaschi - Pasticceria Martesana - Milano

Foodtender dell’anno (menzione speciale)

Flavio Ghigo - La Farcia - Torino

Francesco Masciullo, il numero uno dei baristi italiani

Fra i premi più attesi, quelli dedicati al mondo dell'oro nero, da sempre al centro dell'attenzione della redazione di Bargiornale, fra le prime realtà editoriali italiane – insieme al Gambero Rosso con la guida Bar d'Italia – a interessarsi a questo settore. E quest'edizione, così generosa, assegna due riconoscimenti significativi, che segnano ancora una volta il crescente interesse del pubblico e degli addetti ai lavori verso la cultura del caffè di qualità.

 

Francesco Masciullo

Barista dell'anno è il giovane Francesco Masciullo di Ditta Artigianale Oltrarno di Firenze, seconda creatura di Francesco Sanapo, maestro e mentore che ha sostenuto il barista durante la preparazione per il campionato italiano del 2017, in cui si è classificato primo, e il campionato mondiale, durante il quale ha portato l'Italia all'undicesimo posto su 58 Paesi in gara. Un ragazzo appassionato, ambizioso, fulgido esempio della cosiddetta Third Wave Coffee, del Rinascimento del caffè o - più semplicemente - di una nuova tendenza, un approccio diverso al modo di bere, concepire e considerare il caffè.

Bar caffetteria dell'anno: i pionieri degli specialty

E se i giovani rappresentano il futuro del settore, non bisogna dimenticare chi ha cominciato questo percorso in tempi non sospetti. Sono i pionieri Cristina Caroli e Alessandro Galtieri, coppia nel lavoro e nella vita, a vincere il premio per il miglior Bar caffetteria dell'anno con il loro Aroma – il piacere del caffèdi Bologna. Un'insegna unica nel suo genere, da tempo punto fermo nella nostra guida Bar d'Italia, dove domina il capoluogo emiliano con Tre Chicchi, il massimo riconoscimento per la qualità dell'oro nero. Oggi, è un punto di ritrovo per tutti gli amanti della tazzina. 20 anni fa, era uno dei locali più innovativi della Penisola.

 

Aroma

Non ce l'aspettavamo, ci sono così tante realtà d'avanguardia oggi in Italia!”, commenta a caldo Cristina, la voce carica di emozione e di quella punta legittima di orgoglio. “La prima volta che abbiamo iniziato a diversificare i blend, offrendo due tipologie di miscele, è stato nel '96. A quel tempo non credevamo fosse possibile raggiungere una così ampia fetta di pubblico, ma ci speravamo tanto”. A più di un ventennio da quel primo, rischioso tentativo, il duro lavoro della coppia viene premiato, e non solo da Bargiornale: “La soddisfazione più grande è ricevere i complimenti dei nostri clienti, italiani ma soprattutto stranieri”. Perché per loro il servizio viene sempre al primo posto:“Siamo una coppia che vive nel bar, la sala è casa nostra”. Nel 2000 arrivano i metodi di estrazione alternativi all'espresso, i caffè filtro, i macchinari più innovativi. Nel 2017, un grande riconoscimento, da condividere con tutti: “Sono contenta soprattutto perché tante persone presenti alla premiazione erano membri Sca, (Specialty Coffee Association, ndr) un'associazione impegnata nella promozione del caffè di qualità, ma prima ancora una comunità a tutti gli effetti, che mi auguro possa continuare a crescere”.

Per la lista completa clicca qui

a cura di Michela Becchi

Foto di copertina di Sca Italy

 

 

I 10 migliori panettoni artigianali di Natale 2017

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Fermenti nuovi e in continua evoluzione si agitano nel mondo del panettone. Così torniamo anche quest'anno a degustarlo e a classificarlo nei nostri blind test.  

Quale panettone? Quello classico tradizionale con uvetta e canditi, sia nella versione alta a fungo che in quella bassa a pagnotta. E preferibilmente senza glassa, con la cupola nuda di decorazioni, chiamato anche Milano. Di questa tipologia evergreen, la più amata e acquistata nonostante il fiorire inarrestabile delle varianti superaccessoriate e più ardite, vi proponiamo i 10 migliori (per la classifica completa consultate il numero di dicembre del Gambero Rosso). La top ten dei panettoni di alta pasticceria, preparati con ingredienti selezionatissimi, burro di panna, uova da galline allevate a terra, in alcuni casi canditi autoprodotti, senza mono né digliceridi degli acidi grassi.

Le degustazioni sono state realizzate alla cieca da un panel costituito da pasticcieri, esperti in analisi sensoriale, giornalisti e critici enogastronomici, e anche un chimico industriale, con ripetuti allineamenti e riassaggi con l’obbiettivo di stilare classifiche il più equilibrate possibile. Non trovate il vostro artigiano preferito sotto casa? Vero. Abbiamo optato infatti per chi garantisce una reperibilità nazionale o regionale il più possibile diffusa.

La classifica

Panettone Morandin. Ph Alberto Blasetti

1 ex aequo - Morandin (Panettone tradizionale milanese)

La grafica essenziale dell'astuccio color tabacco, con stilizzati un cuore rosso e la M scura di Mauro Morandin, grande lievitista degno figlio del maestro Rolando, è perfettamente coerente con il panettone che esce dal laboratorio al centro di Saint-Vincent. Un classicissimo cilindro cupolato alto, stretto e privo di glassa, fatto secondo uno stile “nordico” sobrio e misurato di pane arricchito. Tre i punti di forza. La selezione delle materie prime: “farine bilanciate presso il nostro mulino di fiducia, burro in quantità equilibrata, uova da allevamenti a terra e non colorate, uva sultanina australiana” precisa Mauro Morandin. La formidabile frutta candita: scorza d'arancia bionda navel e cedro provenienti dalla Calabria canditi da Mauro nel proprio laboratorio di via Chanoux con la tecnica a cielo aperto, dal fresco e in modo naturale. L'arte del pasticciere, unita a un lievito madre di circa 95 anni conservato in acqua secondo l’antico uso piemontese, “una lievitazione molto lenta che rende il dolce leggero e digeribile”. Il panettone di Mauro Morandin è un'alta cupola chiara color camoscio, punteggiata da canditoni e uvetta, che al taglio mostra una fetta dall'impasto morbido e sofficissimo perfettamente lievitato di un giallo chiaro credibile. Una nuvola vellutata e setosa dal profumo classico e particolare: all'esterno di crosta di pane dolce più che di pasticceria, nel cuore una festa di note tenere che richiamano il burro, gli agrumi e i canditi, i biscotti e il mondo dell'infanzia. Gusto pieno, dolcezza molto ben controllata. La struttura, benché ben lievitata, risulta un po' pastosa. Lascia in bocca un'amabile sensazione burrosa e agrumata.

1 kg prezzo 32/33 euro

Morandin | Saint-Vincent (AO) | via Chanoux, 105 | tel. 0166 512690 | mauromorandin.it

 

Panettone Tiri. Ph Alberto Blasetti

1 ex aequo - Tiri 1957 (Panettone tradizionale)

È il nome del momento in fatto grandi lievitati. Il suo panettone tradizionale, confezionato in un elegante luxury box marrone scuro con inserti in oro (il prossimo Natale anche nella scatola celebrativa del sessantesimo anniversario), raggiunge il gradino più alto della classifica per la perfezione e la costanza qualitativa. Parla di ottime materie prime e lavorazione ad arte: blend di farine italiane di frumento macinate a pietra, tuorli d’uova di galline allevate in Italia a terra e allo stato brado, burro di panna francese e belga, zucchero di canna italiano, miele di acacia regionale, arancia “stiaccia” lucana e cedro calabrese canditi in casa dal fresco con il metodo in vasca a cielo aperto, uvetta australiana, vaniglia Bourbon, lievito madre di quasi un secolo rinfrescato ogni giorno, tre fasi d’impasto e tre lunghe lievitazioni per complessive 72 ore di lavorazione. Il dolce sembra sbocciato dal taglio a croce sulla bassa cupola abbronzata e priva di glassa. La fetta mostra una faccia di un bel giallo tenue (tuorli d'uova e un pizzico di malto), un corpo sensuale soffice e setoso arricchito dai gioielli di frutta in giusta proporzione e ben distribuiti e con la polvere di vaniglia visibile tra gli alveoli. I profumi delicati richiamano i biscotti e i dolci casalinghi, la crosta di pane, la pasticceria sincera. Ma il meglio deve ancora venire. In bocca si apprezzano una carnosa uvetta, canditi dolci, morbidi e succosi, gusto di una rotondità giottesca, aromi di buon burro, note tostate e agrumate fresche che puliscono il palato, un lieve accento vanigliato, texture morbida e fondente. Lascia la bocca pulita e profumata in una persistenza di soavi sensazioni che si rinnova a ogni morso.

1 kg prezzo 33/50 euro

Tiri 1957 | Acerenza (PZ) | via Antonio Gramsci, 2/4 | 0971749182 | tiri1957.it

 

Panettone Sal De Riso. Ph Alberto Blasetti

2 - Sal De Riso Costa d'Amalfi (Panettone classico milanese)

Un piazzamento sul podio che vale quasi un primo posto. Salvatore De Riso non solo è pasticciere a tutto tondo, di lievitati delle feste e di tante cose buone. È anche un artigiano “strutturato”, con una rete di distribuzione in Italia e all'estero e una capacità produttiva del dolce di Natale di quasi 30mila pezzi l'anno. Ma la lavorazione rimane artigianale, 80 ore tra impasto e lievitazione rigorosamente con lievito madre per un panettone campione di bellezza e bontà. Il classico milanese, basso, dalla superficie ambrata decorata solo dal taglio a croce, mostra un impasto dorato intenso di struttura soffice, setosa e filante di goduriosa scioglievolezza. Il gusto è di un'esuberanza quasi rococò nella ricchezza della frutta e nella persistenza dolce ma non stucchevole. Profumi e aromi sono freschi, precisi e avvolgenti di buona pasticceria: cedro di Diamante e scorza d'arancia della costiera sorrentina canditi, burro fresco, vaniglia Bourbon e Tahiti, una ormonale uvettona australiana.

1 kg prezzo 34/46 euro

Sal De Riso Costa d'Amalfi | Tramonti (SA) | via Santa Maria La Neve | 089856446 | salderiso.it

 

Panettone Dolcemascolo. Ph Alberto Blasetti

3 - Dolcemascolo (Panettone classico)

Un podio di cui essere fieri quello di Matteo Dolcemascolo, 28 anni, terza generazione di una famiglia di pasticcieri e nome emergente nella produzione del più famoso dolce lievitato italiano, ottenuto da una lievitazione a freddo sotto i 20°, in 72 ore di lavorazione e impiegando ottimi ingredienti: farina tipo 1 macinata a pietra, arancia e cedro canditi in casa, uvetta cilena, vaniglia in bacca del Madagascar, sale di Maldon. Bello, preciso, alto e privo di grassa, ha una cupola bronzée talmente lievitata che ha strappato la pelle. La struttura, color giallo un po' troppo intenso, è da manuale, sofficissima, setosa e bella filante, forse un pizzico troppo umida, ben condita di frutta e appena punteggiata dalla polvere di vaniglia. Il gusto è equilibrato, i profumi e gli aromi sono freschi e precisi di buon biscotto e onesta pasticceria, di burro di panna e uovo “pulito”, con ricordi vanigliati. Struttura morbida e fondente. Lascia la bocca pulita.

1 kg prezzo 27/36 euro

Dolcemascolo | Frosinone | via dei Salci | tel. 0775 898360 | pasticceriadolcemascolo.it

 

Panettone Olivieri. Ph Alberto Blasetti

4 - Olivieri 1882 (Panettone classico)

Nome poco conosciuto nella sfera dei grandi lievitati nonostante con tutte e due le mani nell'arte bianca dal 1882. Ma al suo panettone classico, fatto in 4 giorni di lavoro, non manca nulla. C'è la bellezza: basso e senza glassa, ha un aspetto invitante, composto e ben sviluppato, con il rituale taglio a croce al centro della cupola di colore marroncino caldo. La fetta è di un bel giallo luminoso con una struttura perfetta, soffice, appena umida e filante, e la polvere di vaniglia ben visibile. Soprattutto ci sono i profumi e gli aromi intensi freschi e puliti che richiamano il Natale e parlano di ottimi ingredienti: farine macinate a pietra, burro fresco belga da panna di centrifuga, uova biologiche da galline allevate a terra, arancia e limoni canditi autoprodotti da agrumi bio (eccellenti), uva sultanina australiana, zucchero di canna, acqua di fonte, miele di acacia italiano, bacche di vaniglia del Madagascar. Gusto equilibrato, struttura scioglievolissima.

1 kg prezzo 30/40 euro

Olivieri 1882 | Arzignano (VI) | via Alberti, 13 | 0444670344 | olivieri1882.com

 

Panettone  Massari. Ph Alberto Blasetti

5 - Pasticceria Veneto (Panettone bresciano)

È il panettone, alto e coronato da glassa all'amaretto, del maestro Iginio Massari, forse il più famoso campione del mondo di pasticceria e papà insieme ad Achille Zoia, più di trent'anni fa, del panettone moderno, molto lievitato, ricco di frutta e burro. Elegante, portamento slanciato, composto nella forma e nella decorazione, va in finale in un immaginario concorso del panettone più bello. L'impasto è ben sviluppato e opulento color giallo acceso, superaccessoriato di uvetta e canditi incastonati in una bella alveolatura allungata, appena spolverata di vaniglia. Se i profumi risultano un po' chiusi e delicati con note dolci tostate e burrose tendenti al cupo, è in bocca che il panettone bresciano si fa più godurioso: dolcezza esuberante, sentori agrumati e vanigliati, la preziosità di buoni canditi e uvetta (australiana). La texture è un po' asciutta e non completamente fondente. Ottima la mandorla barese della glassa.

1 kg prezzo 35/50 euro

Pasticceria Veneto | Brescia | via S. D’Acquisto, 8 | 030392586 | iginiomassari.it

 

Panettone Giotto. Ph Alberto Blasetti

6 - Pasticceria Giotto dal Carcere di Padova (Panettone classico)

Uno dei più buoni panettoni in vendita nel mercato italiano di nicchia si produce dietro le sbarre, nella Pasticceria Giotto all'interno del carcere Due Palazzi di Padova. Dal 2005 alcuni detenuti guidati da maestri pasticceri ogni giorno producono dolci e da fine ottobre panettoni figli di una lavorazione di circa 72 ore e ingredienti selezionati (burro belga, scorza d'arancia e cedro di Diamante canditi, uva sultanina naturale turca...), venduti anche all'estero. Alto e privo di glassa, con la cupola chiara ambrata, è un signor panettone d'antan, austero ed elegante, classico nei profumi e nel gusto, un campione di morbidezza, dalla struttura dorata sofficissima, aerea e filante ottenuta, a onor del vero, anche con l'aiuto dei mono e digliceridi degli acidi grassi. Eccellenti i canditi e l'uvetta, in giusta quantità e proporzione, sapore armonico, dolcezza non sparata, aromi pannosi e agrumati, struttura arrendevole e fondente. Lascia la bocca leggermente grassa.

1 kg prezzo 25/32 euro (Miglior rapporto qualità/prezzo)

Pasticceria Giotto dal Carcere di Padova | Padova | via Forcellini, 172 | 0498033800 | idolcidigiotto.it

 

Panettone Pepe. Ph Alberto Blasetti

7 - Pepe (Panettone tradizionale)

È una certezza il panettone Pepe, confezionato nell'inconfondibile astuccio verde, il colore che ormai identifica la maison cilentana. Un panettone nello stile campano: ormonale, esuberante di dolcezza, generoso di frutta e aromi naturali, di avvolgente setosità. Basso, dalla bella cupola gonfia di tonalità ocra, mostra all'interno una mollica color oro antico (da tuorlo d'uovo rinforzato dal malto) perfettamente lievitata, soffice e umida che fila allo strappo in perfetto stile Pepe, generosamente condita dalla frutta in giusta quantità e proporzione. Notate dei puntini scuri intrappolati nella fitta maglia di alveoli? È la vaniglia naturale in bacca del Madagascar. Se l'odore è un po' chiuso e appena agrumato, è in bocca che il panettone Pepe gioca le sue carte migliori: consistenza morbida e setosa, ottime uvettone (l'australiana 5 corone), canditi succosi che accompagnano intense note tostate, agrumate e vanigliate. Appena una persistenza grassa nel finale.

1 kg prezzo 35/50 euro

Pepe | Sant’Egidio del Monte Albino (SA) | loc. Tuoro via Nazionale, 2/4 | 0815154151 | pasticceria-pepe.it

 

Panettone Pasquale Marigliano. Ph Alberto Blasetti

8 - Pasquale Marigliano (Panettone classico “uvetta scorzetta”)

Artigianale ma perfetto, vibrante, composto e trés charmant, con la cupola bruna decorata da uvette e canditi e da un taglio che forma una stella a sei punte. È il panettone di alta pasticceria di Pasquale Marigliano, il centrotavola ideale nel pranzo di Natale. Il coltello affonda con facilità e goduria nell'impasto dorato di una sofficità soave e tenera, umido il giusto e filante, ricco di frutta, ben lievitato e con un'occhiatura oblunga comme il faut. Sulla crosta e soprattutto all'interno delicate note tostate e burrose, ricordi di pane leggero e di vaniglia, richiami alle uova e a materie prime di qualità (bacche di vaniglia Bourbon, burro belga extra quality, uvetta australiana, acqua dinamizzata...), accompagnate da sentori alcolici. Gusto equilibrato, ottima masticabilità e scioglievolezza. Lascia la bocca appena unta. Migliorabili i canditi, un po' troppo teneri e poco agrumati.

1 kg prezzo 32/42 euro

Pasquale Marigliano | Ottaviano (NA) | via Cupa Piediterra | 0815124639 | pasqualemarigliano.it

 

Panettone Bisco. Ph Alberto Blasetti

9 - Bisco (Panettone)

Se è vero che i prodotti assomigliano all'artigiano che li fa, nel suo panettone Silvano Baldi ci mette la faccia e la sua essenza semplice, sincera e lineare. Una lista degli ingredienti all'osso: farina (piemontese), uvetta (australiana), scorza di arancia siciliana candita (in casa con il metodo a caldo), burro (tedesco), zucchero, uova fresche (da galline allevate a terra), lievito naturale, miele, vaniglia (Bourbon), sale. L'aspetto, classico alto e slanciato, privo di glassa e dal colorito chiaro bronzé, è composto e curato nonostante l'incarto essenziale. Il colore della fetta è di un bel giallo credibile, vivace ma non eccessivo. La struttura, molto umida e soffice che fila allo strappo, indica una corretta lievitazione. L'odore, un po' chiuso e delicato, richiama la buona pasticceria. La bocca gioca le sue carte migliori: percezioni aromatiche pulite e precise, gusto equilibrato e non stucchevole, note floreali di zagara, consistenza soffice e fondente, appena appena appiccicosa e unta.

1 kg prezzo 25/36 euro

Bisco | Costigliole d’Asti (AT) | via Roma, 20 | tel. 0141 961575 | pasticceriabisco.it

 

a cura di Mara Nocilla

foto di Alberto Blasetti

 

Questo articolo è pubblicato sul nostro magazine cartaceo di questo mese e qui è pubblicato solo in parte. Nel numero di dicembre del Gambero Rosso, in questi giorni in tutte le edicole, potete consultare infatti la classifica completa dei 21 panettoni di alta pasticceria. In classifica ci sono anche: Cristalli di Zucchero, Antico Forno Roscioli, Dolciarte, Attilio Servi, Pietro Macellaro, Perbellini, Gabbiano, Fratelli Lunardi, Converso, Il Gentile San Lorenzo, Montaquila – Ricci, Forno Sammarco. In che ordine saranno arrivati?

In più potete seguire i consigli di come riciclare con gusto i panettoni avanzati. E leggere la classifica dei migliori panettoni delle ditte industriali specializzate e la graduatoria di quelli vegani.

Il numero lo potete trovare in edicola o in versione digitale, su App Store o Play Store. Abbonamento qui.

 

Leggi anche: Anti panettone: i migliori vegani di Natale

 

 


L'alluvione in Emilia. Allagata la Reggia di Colorno, danni importanti per l'Alma

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A Colorno, da più di un giorno, Vigili del Fuoco e volontari spalano acqua e fango per cercare di arginare i danni provocati dalla piena del Parma. Tra gli edifici coinvolti, anche la storica Reggia settecentesca che ospita la Scuola Internazionale di Cucina Italiana fondata da Gualtiero Marchesi, con cantine e aule didattiche del pian terreno allagate. Difficile la situazione anche in provincia di Modena, dove la piena del Secchia ha travolto la Riserva di Campogalliano. Timore per il ristorante Laghi.  

L'alluvione emiliano. Paura alla Riserva di Campogalliano

Enza, Secchia, Parma. Sotto la pioggia insistente caduta negli ultimi giorni sulla provincia emiliana, i fiumi che disegnano la Pianura Padana hanno rotto gli argini. Trasformandosi ancora una volta, l'ennesima per un'Italia troppo spesso colpita da esondazioni devastanti, in terribili espressioni della forza della natura (ma l'incuria, invece, è una colpa di pertinenza esclusiva dell'uomo). Tra le località più colpite Brescello (frazione di Lentigione) in provincia di Reggio Emilia, Colorno nel territorio parmense, la riserva di Campogalliano, Modena. Le immagini sono quelle di un triste repertorio: strade interrotte, campi sommersi, tetti circondati da interminabili distese d'acqua. E poi c'è la conta dei danni, una prima stima della situazione che ha portato il governatore dell'Emilia Romagna Stefano Bonaccini a chiedere lo stato di emergenza: la rete elettrica è saltata in molti Comuni, a Lentigione sono un migliaio le persone evacuate, l'esondazione del Secchia ha cancellato i laghi Curiel nella riserva di Campogalliano (in corrispondenza della cassa d'espansione del fiume), dove la piena ha seriamente compromesso l'agriturismo la Falda (ma gli animali nelle stalle si sono miracolosamente salvati) e travolto pure il ristorante Laghi di Campogalliano, insegna storica della zona, dove lo chef Paolo Reggiani porta avanti la tradizione gastronomica emiliana, valorizzando i Presidi locali e recuperando antiche ricette modenesi: l'acqua che ha sommerso via Albone non ha risparmiato i locali della trattoria. Persi i frigoriferi, da rifare gli impianti, ma si conta di poter riaprire entro Natale.

 

La conta dei danni all'Alma

Sarà lunga la conta dei danni anche a Colorno, dove la storica Reggia settecentesca di Maria Luigia d'Austria è diventata, suo malgrado, uno dei simboli dell'alluvione. La piena del torrente Parma, nelle prime ore di ieri mattina, ha attraversato l'edificio da un lato all'altro, insinuandosi nel cortile interno, fino al giardino storico retrostante. Acqua e fango hanno così preso il sopravvento sulle barriere improvvisate per arginare l'esondazione, inondando i locali del pian terreno e gli scantinati. E al timore per i danni riportati da un edificio di grande valore storico, si aggiunge in queste ore l'apprensione per il patrimonio conservato dalla più prestigiosa scuola italiana di cucina, l'Alma, fondata nei primi anni Duemila e da subito ospitata all'interno del Palazzo Ducale. Trainata dall'impegno di Gualtiero Marchesi (solo recentemente dimissionario dalla carica di Rettore), la Scuola Internazionale di Cucina Italiana è diventata un punto di riferimento per gli studenti di tutto il mondo. Una prima stima dell'accaduto, pur nella concitazione delle operazioni ancora in corso, la fornisce il Direttore Generale Andrea Sinigaglia, che conferma la gravità della situazione: “Si tratta indubbiamente del danno più grande nella storia della Scuola. Dalle 14 di ieri siamo riusciti a entrare per spalare il fango: c'è stata una mobilitazione stupenda, da parte di tutti, collaboratori, docenti, studenti”. La piena improvvisa però è stata fatale: “Gli scantinati sono letteralmente sommersi dal fango, il problema principale è la centrale termica, senza riscaldamento e elettricità non possiamo riprendere le lezioni, e neanche stimare i danni alle attrezzature dei laboratori”. Poi c'è la cantina didattica, anch'essa nei sotterranei del Palazzo: un migliaio di vini che rappresentano il panorama enologico italiano travolti dall'acqua, che ha raggiunto anche i locali del pian terreno, salendo fino a 50 cm di altezza. Sorte appena più clemente con l'aula magna, comunque danneggiata, a confermare un bilancio pesante, che si preciserà nelle prossime ore.

Certa, purtroppo, la perdita di un migliaio di volumi della Biblioteca, “sono finiti sott'acqua e non c'è più possibilità di recuperarli. Siamo stati colti alla sprovvista”. Fortunatamente, però, la maggior parte del corpus (oltre 14mila testi che custodiscono la storia dell'enogastronomia italiana e internazionale) si è salvato: “Proprio in questi giorni era in corso il trasferimento ai piani superiori della biblioteca, molti volumi erano già stati spostati”. Si continua a lavorare con pale e vanghe, a supporto dei Vigili del Fuoco, intanto si pianifica una strategia: “Dalla prossima settimana speriamo di poter riprendere con i master; per i corsi di cucina, però, non abbiamo idea di quando saremo in grado di riprendere l'attività. Per ora non riusciamo neanche a comunicare con l'esterno: a 24 ore dall'accaduto il nostro server è ancora fuori uso”.

 

a cura di Livia Montagnoli

(Foto di Massimo Gelati)

Unetto a Bagheria. I panini gourmet di Tony Lo Coco: nel cuore il cibo di strada

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Lo chef de I Pupi non ha mai nascosto il legame con la tradizione gastronomica popolare della sua terra. Ora si cimenta con un nuovo progetto, una salumeria d'autore che mette al centro la materia prima, e l'estro dello chef. In carta panini, focacce ripiene, salumi, formaggi. E tanti prodotti da acquistare. 

Cibo di strada... Da chef

Volevamo aprire in sordina”... Recita all'indomani dell'inaugurazione un post di ringraziamento sulla pagina Facebook di Unetto. Impresa difficile se ti chiami Tony Lo Coco, tieni alta la bandiera della cucina siciliana e a Palermo ti conoscono tutti gli amanti delle cose buone. E infatti l'apertura della nuova panineria gourmet firmata Lo Coco, a Bagheria, si è trasformata in una festa del cibo di qualità, gli scaffali gremiti di prodotti, la selezione di formaggi in assaggio e il prosciutto al coltello, lo chef mpegnato dietro al banco con i suoi panini, la folla e gli amici in strada per salutare l'ultimo progetto di Tony e sua cugina Marilena Chiavetta (immancabile pureLaura Codogno, compagna di Lo Coco nella vita e sul lavoro, in qualità di responsabile di sala). Dalla cucina de I Pupi (Due Forchette sulla guida del Gambero Rosso) alla bottega d'autore di via del Cavaliere il passo è breve, considerando quanto la tradizione gastronomica di Palermo sia debitrice alla cultura locale del cibo di strada, e come lo chef, tra gli esponenti più meritevoli dell'alta ristorazione isolana, non abbia mai dimenticato di rivendicare il rapporto viscerale con le specialità popolari della sua terra.

Basti pensare alla celebre rivisitazione della stigghiola palermitana, servita regolarmente sulla tavola del suo ristorante: al lardo avvolto tradizionalmente dal budello bovino (una prelibatezza per stomaci forti), Lo Coco sostituisce un filetto di tonno avvolto da una sfoglia di seppia. Dalla terra al mare, con la fortuna di averli entrambi sotto gli occhi ogni giorno, generosi di prodotti da valorizzare in cucina. Insomma, della necessità di recuperare la memoria e l'identità del territorio, Lo Coco è sempre stato convinto, pur alla guida di un ristorante blasonato. E questo gli è valso la stima dei suoi concittadini, che numerosi frequentano I Pupi.

 

Unetto. La salumeria gourmet

Parallelo, da sempre, corre il richiamo della strada, la voglia di confrontarsi con una platea trasversale, fuori dalle mura della propria cucina. Così nasce Unetto, un'idea di ristorazione “easy chic”, come la definisce lui, che non sminuisce la carica autoriale, ma la applica a un contesto diverso. Nella pratica una salumeria dall'atmosfera familiare, tanto legno e un bel bancone ad accogliere gli ospiti, con qualche tavolo per accomodarsi al piano rialzato (più sedie e pedane all''esterno, per la bella stagione). In menu taglieri, panini e focacce, da accompagnare con birre artigianali e vini. Protagonista assoluta la materia prima, non solo siciliana. Farine e grani sono tutti isolani – del resto moltissime sono le varietà del patrimonio cerealicolo siciliano, molte da riscoprire, altre rilanciate dall'attività di valorosi mulini indipendenti – salumi e formaggi arrivano anche dal resto d'Italia e dal mondo, selezionati dallo chef.

Sulla lavagna, la lista dei panini dichiara un vezzo da chef, ognuno intitolato a un collega celebre: c'è Pino (Cuttaia) con creme fraiche, acciughe e pesto al finocchietto, Moreno (Cedroni) con tonno, stracciatella e buccia di limone; e poi Chicco (Cerea), raffinato nell'accostamento tra salmone d'Islanda, burro montato, pepe di Sichuan e nocciole di Polizzi, o Gennarino (Esposito), con la semplicità di prosciutto crudo e mozzarella di bufala. E Totò? L'omaggio al Principe unisce lardo arrotolato, melanzane, profumo di limone. Tony, invece, fuori carta, ci mette “passione, creatività, tradizione, amore e arte”. Prezzi dai 5 ai 10 euro.

Con l'esperimento di Lo Coco, gli chef siciliani si confermano molto propensi a cimentarsi con forme di ristorazione alternative, spinti dalle forti radici gastronomiche dell'isola, ma pure per rispondere all'esigenza di confrontarsi con un pubblico per certi versi ancora diffidente davanti all'alta cucina. Citiamo a tal proposito I Banchi di Ciccio Sultano a Ragusa, Radici di Accursio Craparo a Modica, Uovodiseppia di Pino Cuttaia a Licata, Kistè di Pietro d'Agostino a Taormina. Ma Lo Coco guarda ancora avanti: la prossima tappa potrebbe essere una trattoria, da chef.

 

Unetto | Bagheria (PA) | via del Cavaliere, 3 | dalle 9 a mezzanotte | la pagina fb di Unetto 

 

a cura di Livia Montagnoli

Le migliori pasticcerie di Bolzano e dintorni: 5 indirizzi imperdibili

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L’Alto Adige in inverno dona panorami mozzafiato e scorci incantevoli, ma anche temperature glaciali. Per contrastare il clima rigido di questa splendida regione, non c’è niente di meglio di una buona fetta di torta. Ecco dove trovare i dolci migliori nei pressi di Bolzano.

Sono trascorse un paio di settimane dalla presentazione della guida Pasticceri & Pasticcerie 2018 del Gambero Rosso, manuale che, come ogni anno, fornisce un'istantanea dell'Italia più dolce. Un panorama in costante crescita, nel quale la gioia del palato e la felicità per gli occhi viaggiano su un unico binario, in un connubio indissolubile. Perché la pasticceria, si sa, è scienza, rigore, una pratica fatta di cura del dettaglio e gusto del cesello, in cui l'estetica gioca un ruolo fondamentale. Dopo una lunga ricerca di dolci buoni e belli, gustosi e accattivanti, l'edizione 2018 ha segnalato ben 560 indirizzi in tutta la Penisola, di cui 20 insigniti con le Tre Torte, massimo riconoscimento. In occasione delle feste di Natale, per raccontare le migliori pasticcerie d'Italia partiamo da una delle località più gettonate delle vacanze invernali, Bolzano, che vanta una serie di insegne valide. Ecco le nostre preferite.

I Dolci di Ricky, Badia (Bolzano) – Due Torte

Un ambiente semplice e accogliente, con pochi tavolini e un dehors estivo affacciato sul Sas dla Crusc, una delle più affascinanti montagne delle Dolomiti: nella pasticceria di Richard Wieser si viene per assaporare i grandi classici della tradizione, dalla Sacher alla Linzer, dalla torta di carote al panpepato, senza dimenticare la Foresta Nera con ciliegie e i biscotti farciti con confetture fatte in casa. Ma il locale vanta anche un goloso comparto dedicato al cacao, fra tavolette, praline e - durante il periodo delle feste - alberi di Natale di cioccolato. Fra le specialità della casa, un posto d'onore lo merita lo strudel, proposto in tante variazioni: al cioccolato, con pasta frolla, classico o con sfoglia a base di farina di grano saraceno. Non manca, inoltre, una selezione di lieviti assortiti: cornetti integrali, glassati, ripieni di crema pasticcera, fagottini alle prugne, alla ricotta, sfoglie alle mele e alla vaniglia.

 

I dolci di Ricky

I Dolci di Ricky | Badia (BZ) | s.da Pedraces, 17 | tel. 04 71838018 | www.idolcidiricky.it

Acherer Patissier Chocolatier, Bolzano – Due Torte

È il 2014 quando Andreas Acherer, uno dei più validi esponenti della pasticceria altoatesina e non solo, decide di affiancare alla sua Patisserie Blumen di Brunico un secondo esercizio nel cuore di Bolzano. A tre anni dall'inaugurazione, l'insegna rappresenta ancora una delle più moderne espressioni dell'arte dolce in città, con prelibatezze dal gusto contemporaneo, i sapori puliti e delicati, più leggeri rispetto alla tradizionale pasticceria locale di stampo austriaco. A fare la parte del leone è la biscotteria, ma il locale sfoggia anche una bella carrellata di pasticcini, torte e dolci monoporzione, tavolette, praline e cioccolatini. Imperdibili i dolci delle feste, impreziositi ancora di più da un packaging originale e ricercato. Spazio anche al reparto caffetteria, con l'angolo bar che permette ai consumatori di degustare le varie proposte comodamente seduti al tavolo, in abbinamento con caffè, infusi, tisane e cioccolate calde.

 

Acherer

Acherer Patissier Chocolatier | Bolzano | via Leonardo da Vinci, 1 d | tel. 04 71977269 | www.acherer.com

5 O' Clock, Brunico (BZ) – Due Torte

Un locale raffinato e ben arredato, perfettamente inserito nell'elegante Stradtcafè, la strada dei negozi e degli acquisti della cittadina sudtirolese. Distribuito su due piani, lo spazio ampio e luminoso si compone di grandi vetrine e scaffali da cui occhieggiano le prelibatezze più disparate. A cominciare dai barattoli di tè, i set di tazze e teiere, per passare ai prodotti di pasticceria secca, le marmellate fatte in casa e la frutta candita. A coadiuvare il laboratorio, Felix Crepax, giovane pasticcere con un pallino per il cioccolato, che qui viene declinato in tutte le sue sfumature, dalle praline alle tavolette, senza dimenticare le creazioni per le feste e le ricorrenze, come i cuori di San Valentino, le uova di pasqua e i celebri Osterhasen, tipici leprotti di Pasqua della tradizione germanica. Last but not least, 5 O' Clock è anche il luogo ideale per acquistare confezioni regalo originali, dalle caffettiere alle scatole di caramelle, dai tè più pregiati ai vini del territorio.

 

5 O' Clock

5 O' Clock | Brunico (BZ) | Stadtgasse, 31 | tel. 04 74530832 | www.stadtcafe.it

Stadtcafé, Brunico (BZ) – Due Torte

Sulla stessa strada, si affaccia un altro indirizzo di vecchia data, da tempo punto di ritrovo per i più golosi, un bar/pasticceria gestito da circa un ventennio da Robert Waink e Ulrike Hofer. A guidare il laboratorio è di nuovo Felix Crepax, che qui si cimenta con i dolci della tradizione, fra Sacher e crostate. Fra le specialità del pasticcere, la Brunecker Original Stradttorte, delizia a base di mandorle, cioccolato, uova, zucchero, farina, pane, latte e burro, fra le più richieste dai clienti. E poi pastine, cioccolatini, confetture, strudel e dolci al cucchiaio. Inoltre, Stadtcafé è anche bar, per cui via libera a lieviti e biscotti, caffè e infusi, serviti con cura dalla patronne Ulrike, responsabile del servizio.

 

Stadtcafè

Stadtcafé | Brunico (BZ) | via Centrale, 26 | tel. 04 74555152 | www.stadtcafe.it

Acherer Patisserie Blumen, Brunico (BZ) – Tre Torte

Una delle più valide coppie dell'alta pasticceria italiana: Andrea Acherer e Barbara Strondl sono due professionisti di talento che quest'anno festeggiano il decimo anniversario del loro locale, una pasticceria ricercata che ha conquistato il palato di tutti fin dall'inizio, imponendosi come punto di riferimento per l'arte dolce in tutta la regione. Uno spazio ampio e luminoso, curato e accogliente, che coniuga in maniera armoniosa il banco dei pasticcini con l'angolo della fioreria, vecchia passione di Barbara. L'assortimento è ricco, fra mignon, torte e un comparto cioccolato di ottimo livello, oltre alla selezione di lieviti e biscotti per la prima colazione. Da provare le Punte originali del Castello di Brunico, cioccolatini fondenti ripieni di miele d'acacia, pasta di nocciole e grappa di lamponi di bosco, e imperdibili i macaron, le marmellate fatte in casa e i dolci monoporzione di fattura impeccabile. A rendere ancora più indimenticabile la visita alla pasticceria, le confezioni dolce+fiori, originali e curate nei minimi dettagli, proprio come il packaging.

Acherer Patisserie Blumen | Brunico (BZ) | via Centrale, 8b | tel. 04 74410030 | www.acherer.com

a cura di Michela Becchi

Pasticceri & Pasticcerie 2018 del Gambero Rosso | Prezzo: 14,90 | disponibile in edicola, libreria e online

Pasticceri & Pasticcerie 2018 del Gambero Rosso. Classifica e premiati

Ancora Italia a New York. Lo spin off di Rossopomodoro, i vini di nicchia di Fausto, la Bologna di Lucciola

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Dietro alla pizza di Simo Pizza, che si appresta a esordire in città, c'è Simone Falco, proprietario di Rossopomodoro a New York. Ma nella Grande Mela arriva anche un team tutto bolognese, dietro al progetto Lucciola. E l'Italia continua a ispirare progetti autoctoni: l'ultima idea di Joe Campanale si chiama Fausto.   

Nella New York che sembra repentinamente aver riscoperto la sua passione per la cucina popolare italiana – mai venuta meno, per carità, ma ora supportata da persone, progetti e prodotti più autenticamente made in Italy – non si fa in tempo a censire le ultime novità, che subito è necessario aggiornare la lista. Tra approdi eccellenti – il Trapizzino di Stefano Callegari, il recentissimo raddoppio di Gino Sorbillo – e interpretazioni autoctone più o meno veraci - il fast food della pasta di Mark Ladner, pizza e fritti romani di Danny Meyer, il gruppo rampante de la Pecora Bianca – diverse sono le opportunità per mangiare italiano in città. La pizza, in buona compagnia della pasta in grande rimonta, è certo uno dei fattori di traino di questa tendenza. E nel computo di un panorama sempre più diversificato, dalla romana di Marta e Martina alla pinsa di Camillo, alla mitica tasca ripiena di Callegari, la pizza napoletana continua a giocare la parte del leone. Anche Eataly, sin dall'esordio di Flatiron (correva l'anno 2010), ha scelto di scommettere su un partner solido della pizza napoletana, Rossopomodoro del Gruppo Sebeto, che a New York apriva all'epoca il suo primo punto vendita dopo il progetto pilota americano a Naples (Florida).

 

Rossopomodoro lancia Simo Pizza

Alla pizzeria di Fifth avenue, seguiva nel 2014 il primo locale indipendente al Greenwich Village, e il raddoppio dentro Eataly, in occasione dell'apertura a Downtown, nell'estate 2016. A coordinare le operazioni, Simone Falco, nipote del patron Franco Manna, e direttamente proprietario della pizzeria al Village. Classe 1974, napoletano trapiantato a New York, nei prossimi mesi Falco inaugurerà in città uno spinoff di Rossopomodoro, sotto l'insegna Simo Pizza: due pizzerie, la prima operativa tra qualche settimana, per presentare un'idea popolare di pizza napoletana, al Meatpacking District e Downtown Brooklyn (la seconda in arrivo per l'estate 2018). In menu solo 4 alternative: Margherita, marinara, con soppressata piccante, champignon e rucola. Due insalate per chi rinuncia alla pizza, e gelato per dessert. Prezzi contenuti, entro i 10 dollari, e idee ben chiare sulla replicabilità del format, destinato a diventare una catena “senza compromessi sulla qualità”.

 

I vini italiani di Fausto

Intanto, in equilibrio tra l'italianità sbandierata di interni, menu e carta dei vini e i natali newyorkesi di Joe Campanale (ristoratore prodigio che vanta all'attivo Dell'Anima, L'Artusi e il wine bar Anfora), ha già inaugurato a Park Slope Fausto. Formazione da sommelier e radici italiane, Campanale abbraccia il nuovo progetto con Erin Shambura, già chef a L'Artusi, e scegli di dedicare molto spazio al vino, abbinato ai piatti della tradizione regionale italiana, dalle linguine alle vongole, ai bigoli con ragù d'anatra e Piave, dai ravioli ripieni di patate alle costolette di agnello con salsa verde. In carta etichette di piccoli produttori abruzzesi, siciliani e campani, più una proposta di miscelazione che valorizza gli amari italiani. E anche il design dice la sua, con boiserie in legno, divanetti in pelle e marmo per evocare i ristoranti italiani di una volta; al piano inferiore, la sorpresa per gli appassionati di vino: la cantina con sala privata per 25 persone.

 

Lucciola

Italianissimo, invece, l'esordio di Lucciola (in omaggio a Pupi Avati), tavola bolognese di Michele Casadei Massari (lo chef), Alberto Ghezzi e Gianluca Capozzi (tra i soci anche Luca Filicori, della Filicori e Zecchini di Bologna). Allestimento degli interni a cura di un altro italiano trapiantato a New York – l'artista salernitano Marco Gallotta – carta da pareti, legno, metallo e vetro per un'originale ambientazione urbana, e menu d'antan giocato sulla pasta, con richiami alla ristorazione anni Ottanta, dalle penne alla vodka agli gnocchi di zucca con gorgonzola. Immancabili lasagne alla bolognese.

 

Simo Pizza | New York | 90-92, Gansevort street | prossimamente

Fausto | New York | 348, Flatbush avenue | www.faustobrooklyn.com/

Lucciola | New York | 621, Amsterdam avenue | https://www.facebook.com/lucciolanyc/

 

a cura di Livia Montagnoli

Intervista a Francesco D’Agostino, Direttore di Cucina&Vini

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Francesco D’Agostino è il Direttore della rivista enogastronomica Cucina&Vini e curatore della guida Sparkle, giunta ormai alla sua 16ma edizione.

A lui abbiamo chiesto un parere sullo stato dell’arte delle bollicine made in Italy, sulla comunicazione di settore e sui prossimi scenari del comparto spumantistico italiano e non solo.

Come è cambiata la comunicazione del vino sulla carta stampata?

Negli ultimi 10 anni non è cambiato molto. Il cambio c’è stato prima, e il Gambero Rosso è stato l’indiscusso protagonista di questo cambiamento.

Qual è stato il contributo del Gambero Rosso?

Dietro al vino c’è un mondo che prima era trascurato mentre oggi ne è parte integrante. Questo modo di comunicare è quello che il Gambero ha saputo intercettare e decodificare, aprendo una nuova strada nel mondo del vino. Oggi sono cambiati i mezzi più che il linguaggio. Ma l’importante è comunicare sempre una storia per avere presa sul pubblico.

Come è cambiato il linguaggio?

Il linguaggio è legato alla tecnologia. Ma quello del vino non può cambiare perché è un linguaggio codificato e legato alla fisiologia del gusto. In realtà ciò che cambia è il modo di raccontare.

In che senso?

Oggi la tecnologia impone sintesi, ma non credo che sia la strada vincente per raccontare un vino.

Qual è la strada vincente?

Carta e web devono lavorare assieme per ampliare il racconto, non certo per sintetizzarlo.

Qual è la differenza tra il linguaggio del web e quello su carta?

Paradossalmente nessuna. Ma bisogna sapere sempre a chi si vuole parlare: se a persone che si accontentano di restare in superficie o se vogliono approfondire. Non ci sono comunque delle regole precise.

C’era bisogno di una guida italiana sulle bollicine?

Nasciamo nel 2003 come prima e unica guida sulle bollicine. In quel momento storico il mondo richiedeva una guida e il progetto Cucina & Vini, un gruppo di appassionati del settore, ha intercettato questa richiesta. Toccava mostrarsi. Noi abbiamo scelto guide tematiche e non generaliste, iniziando con “ bere dolce “ e poi con quella sugli spumanti.

Il suo ruolo tra le tante guide?

Ha saputo intercettare un trend e crescere nel tempo.

Quali sono le principali fonti finanziarie della guida?

Siamo un gruppo di soci e la guida è finanziata con la pubblicità. Dallo scorso anno è un free book e abbiamo unito alla guida un Qr code che riporta poi sul sito una descrizione del vino più ampia.

I vantaggi del QR code?

In questo modo abbiamo ridotto da 450 a 200 le pagine, dimezzando i costi, aumentato la tiratura e unendo le necessità di spazio del cartaceo alla possibilità di ampiezza del web. Le guide ancora oggi danno riconoscibilità a un progetto editoriale, anzi lo trainano.

Anche questo è il ruolo di una guida. Giusto?

Effettivamente all’epoca, quando iniziammo, non fu un’esigenza ma una scelta necessaria. Ai tempi era impossibile essere un editore e non presentare una guida.

Come sono cambiate le bollicine italiane in questi 10 anni?

Tanto. Per quantità, export ma sopratutto qualità. Si è superato il vino fermo a livello di produzione, ma è stato l’aspetto qualitativo a fare la differenza nella crescita. 

Qualche esempio?

Il prosecco da vino rustico, semplice e banale ha acquistato complessità olfattiva (un concetto importante della fase degustativa di un vino), impensabile per il prosecco di qualche anno fa. Di contro i metodo classico italiani, salvo i blasonati, erano tutti omogenei figli di una tecnica che omologava l'espressione del frutto. Oggi invece è proprio questo che differenzia un metodo classico da un altro.

Questo fenomeno è legato alla scoperta e alla consapevolezza del patrimonio ampelografico italiano?

No. Direi piuttosto che il patrimonio ampelografico italiano rappresenti un mezzo per aumentare il carattere degli spumanti: l’Italia per vendere bollicine nel mondo, e quindi competere con lo Champagne, deve giocare sul carattere e quindi portare diversità. E questo è il grande balzo in avanti fatto dalle bollicine italiane. Quando si va allo scontro con le francesi la partita non si gioca più sull’imitazione ma sulla differenza.

In questo senso la spumantizzazione può diventare un mezzo.

Esatto, un mezzo che alcune zone poco note del nostro paese possono usare per farsi conoscere ed emergere, interpretando al meglio le uve autoctone e valorizzandone la diversità tramite un know how che metta la produzione su un livello qualitativamente alto. Questo è il grande cambiamento: non imitare più. È l'unica via per emergere.

Ci sono esempi concreti?

In Puglia, il bombino bianco. Ma gli esempi sono tanti.

Quali i produttori che sono stati capaci di interpretare meglio il territorio con questa tecnica?

Sono moltissimi gli interpreti. Ad esempio la leggiadria del prosecco è una interpretazione del loro territorio. Trento e Franciacorta usano stesse uve ma hanno profonde differenze.

Per le bollicine non c'è altra strada se non la diversità?

Sì. La crescita delle bollicine è legata moltissimo alla lettura del territorio dove viene prodotto. Se prima la tecnica sovrastava le uve, oggi è capace di interpretare le uve che ogni territorio dà.

Quali gli scenari futuri per le bollicine made in Italy?

L’eccellenza. Finché il sistema prosecco continua a tirare, ce n'è per tutti! Sulla scia del Prosecco, Franciacorta e Trento Doc possono crescere molto. L'importante è non eccedere con il gioco dei prezzi.

Le bollicine sono il prodotto più glamor dell’agroalimentare firmato made in Italy?

È una bella lotta con il rosato ma credo di si. La bolla è decisamente glamor!

Teme un italian sounding per le bollicine?

Le bollicine italiane, come quelle francesi, sono colpite da questo fenomeno ma non credo sia ancora paragonabile con ciò che avviene nel settore dei formaggi.

Come si può prevenire il problema?

Quello che c'è da fare è investire, andare in giro per il mondo, fare cultura, magari spendere un po' per le tutele legali e per la comunicazione. L’Italia deve fare squadra per difendersi.

La vostra rivista è nata da un fermento giovanile, con quale hashtag lo definirebbe oggi?

#Passioneoltreognimisura. All’inizio è stata la passione, la voglia di sapere, conoscere, raccontare al pubblico. Siamo andati in giro per l’Italia a godere della bellezza, poi ci siamo accorti che questa andava raccontata. Bisognava dirlo a tutti. L’Italia purtroppo ha un problema di fondo nella comunicazione: si parla poco del bello, dei successi e delle cose positive del nostro Paese. Una mancanza di ieri che persiste ancora oggi. C'è un gran bisogno di comunicare positività e ce ne sarebbe da scrivere!

Quali gli ingredienti per una comunicazione degna di nota?

Passione, impegno, fondi e la volontà di investire.

Un consiglio ai giovani che vogliono lanciarsi nel mondo della comunicazione?

Ci sono spazi enormi. La sfida dell’agroalimentare sarà anche la comunicazione. Per fare comunicazione ci vuole cultura e si devono conoscere i prodotti. Bisogna essere profondi conoscitori delle bellezze che il nostro paese ha da offrire. Ad un giovane direi: “ Individua un aspetto e diventane il miglior conoscitore”. Vietato essere pressappochisti.

Siamo nel 2030. Come se la immagina la guida?

Entreranno sempre più uve nella produzione di vini spumanti. La viticoltura è lenta e ci vuole tempo, ma le nostre latitudini e temperature consentiranno sicuramente ottime produzioni. Speriamo solo che coloro che fanno grandi numeri sappiano modellarsi rispetto al mercato. Ci sarà prima o poi una tendenza a diminuire ma ad oggi si stanno consolidando posizioni importanti e quindi al momento possiamo solo crescere. Siamo in decollo verticale.

 

a cura di Emanuele Schipilliti

 

 

 

 

 

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