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Dialog oven, il forno intelligente che dialoga con i cibi

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Un ibrido tra un forno convenzionale e uno a microonde, capace di cuocere alla perfezione, ed esattamente nello stesso tempo, cibi differenti. È Dialog oven, il forno a onde elettromagnetiche a frequenza variabile che il brand Miele lancerà nel 2018. 

A prima vista sembra un semplice forno, in realtà è un inedito metodo di cottura by Miele dotato di un modulatore che genera onde elettromagnetiche in una specifica gamma di frequenze e le distribuisce nel vano cottura tramite due antenne. Vi sembra complicato? Riavvolgiamo il nastro, e cerchiamo di spiegarlo in parole comprensibili.

Le potenzialità del Dialog oven

Partiamo dai risultati. Con questo speciale forno si può cucinare il pesce in un blocco di ghiaccio, senza che quest'ultimo si sciolga, oppure ci si può sbizzarrire con un filetto di vitello in un involucro di cera d’api, tanto la cera rimane intatta. Una “magia” dovuta alle due antenne di cui sopra, le quali forniscono un feedback sulla quantità di energia assorbita dal cibo, che viene dunque modulata di conseguenza. In questo modo diversi ingredienti, con differenti tempi di cottura, possono essere disposti insieme su una teglia ed essere cotti alla perfezione esattamente nello stesso tempo. A proposito di tempo, con questo forno la durata di cottura si accorcia fino al 70% rispetto ai metodi convenzionali. Qualche esempio? Una torta marmorizzata nel Dialog oven richiede 37 minuti contro i 55 di un forno tradizionale, un gratin di patate è pronto in 35 minuti o il pulled pork può essere preparato in 2 ore e 20 (nel forno tradizionale richiederebbe dalle 8 alle 16 ore). Con il Dialog oven è anche possibile scongelare delicatamente alimenti e cuocerli automaticamente.

Pesce cotto in cubo di ghiaccio con il forno Dialog oven

Il funzionamento

È tutta questione di chimica (altro che magia!): le molecole nel cibo sono disposte in modi diversi e cambiano la loro disposizione durante la cottura, in base a questa modulazione le antenne comunicano al sistema la quantità di onde elettromagnetiche necessaria a completare la cottura. Il cibo viene cotto in modo “volumetrico” e quindi omogeneo: un filetto di carne, ad esempio, viene rosato uniformemente dai bordi fino al centro. Cosa assai difficile in un forno convenzionale, dove il calore cuoce sempre dall'esterno verso l'interno, consegnando spesso una carne perfetta al centro ma troppo cotta sui bordi. Nella cottura con onde elettromagnetiche a frequenza variabile, che i tecnici Miele hanno chiamato M Chef, è possibile cuocere senza dorare, per esempio il pane può essere cotto a puntino senza crosta. Nulla vieta, però, di combinare questa tecnologia con la modalità di cottura convenzionale, cioè calore superiore e inferiore o calore ventilato, per ottenere una classica pagnotta o arrostire la carne.

Arrosto e verdure cotto nel forno Dialog oven di Miele

Come utilizzarlo

Prima di tutto scordatevi le vecchie unità di misura, qui ci si misura con “unità gourmet” (1 unità gourmet = 1 kilojoule), che indicano la quantità di energia da trasmettere al cibo, e “intensità”, che definisce quanto velocemente gli alimenti devono assorbire questa energia. Una volta acquisito questo, l'esperienza e le ricette riferite a un forno convenzionale possono essere facilmente adattate applicando una regola generale: combinare la modalità di funzionamento di una preparazione convenzionale con questa nuova tecnologia e, a metà del tempo che si impiegherebbe seguendo un metodo tradizionale, controllare il grado di cottura.

Ovviamente un gran numero di ricette saranno già presenti all'interno dei programmi automatici, opera degli studi fatti dai tecnici e dagli chef austriaci Andreas Döllerer, Johann Lafer e Cornelia Poletto. Ma qualora ci fosse la necessità di trasferirle da un forno convenzionale al Dialg oven, ecco come procedere: selezionare una temperatura superiore di 20° C rispetto al forno convenzionale, controllare nel libro delle ricette (incluso nel pacchetto Dialog oven) quale unità gourmet e intensità impostare, e controllare manualmente la cottura dopo la metà del tempo di cottura che sarebbe necessario in un forno convenzionale. Dopodiché queste impostazioni possono essere memorizzate per utilizzarle in seguito, anche nell'apposita app.

Ma a chi è rivolto un prodotto del genere? L'azienda dichiara che è destinato a tutti coloro che amano sperimentare in cucina, anche se non si espone sul prezzo. Staremo a vedere. Dal canto nostro, abbiamo provato alcuni piatti cucinati con il Dialog oven; possiamo confermare che la carne è cotta uniformemente, pesce e verdure mantengono la loro struttura e i dolci risultano fragranti.

 

www.miele.it

 

a cura di Annalisa Zordan

 

 


Colazioni del mondo. Francia: croissant, madeleine, crêpes

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Fra le colazioni più amate in tutto il mondo, un posto d'onore è riservato al binomio croissant e caffè, tradizione divenuta popolare grazie ai francesi, ma che affonda le sue radici in terra austriaca. Oggi vi raccontiamo la storia del lievito e di altri i prodotti della petit déjeuner francese.

Quando si pensa alla tradizione dolciaria francese, l'associazione con croissant e pain au chocolat è immediata. Resistere al profumo inebriante che si sparge fra i vicoli delle strade fuori ogni boulangerie, infatti, è un'impresa ardua per i golosi, ma la colazione d'oltralpe - così come la conosciamo oggi - non è sempre esistita. Tutto ha inizio durante il periodo del Rinascimento, quando comincia a diffondersi nel Paese l'abitudine di consumare pane al burro e latte caldo al mattino, un abbinamento semplice e in grado di sostenere i lavoratori durante tutto il giorno. Bisogna attendere qualche decennio perché il caffè, che oggi accomuna il risveglio della maggior parte delle popolazioni occidentali, inizi a farsi strada nelle case dei francesi, fino a giungere, nel XIX secolo, alla nascita del termine petit déjeuner, a indicare la prima colazione come pasto a tutti gli effetti. È con le specialità della Francia che inauguriamo una nuova rubrica in cui narrareremo, tra storia e leggenda, le colazioni del mondo.

Il croissant fra storia e leggenda

E quando si parla di colazione, in Francia, non esiste prodotto più rappresentativo del croissant, un dolce divenuto simbolo del Paese ma che in realtà affonda le sue origini nella cultura austriaca. I racconti popolari narrano, infatti, che il celebre lievito a forma di mezzaluna (croissant significa, letteralmente, crescente) sia stato creato per festeggiare l'eroica impresa dei fornai viennesi che, svegli in piena notte per lavorare, nel 1683 diedero l'allarme dell'assedio da parte delle truppe ottomane alla città. Sconfitti i turchi, i viennesi decisero di festeggiare con un dolce che avesse la forma del simbolo dell'impero turco, la mezzaluna, appunto.

 

Cornetti

Come nelle migliori tradizioni gastronomiche, però, fatti e leggende sono andate a sovrapporsi nei secoli, creando attorno a questa specialità burrosa un vero mito. Altre storie, infatti, fanno risalire la nascita del croissant al 1839, anno in cui l'ufficiale di artiglieria austriaco August Zang fondò la Boulangerie Viennoise in via de Richelieu, 92 a Parigi. Qui, fra le tante prelibatezze, a dominare la scena era il kipferl, lievito ripieno di noci considerato da molti storici della gastronomia l'antenato del croissant. La prima testimonianza scritta del dolce, però, risale alla metà dell'Ottocento, nel volume Des substances alimentaires, e poi ancora nel Dictionnaire de la langue française del 1863, mentre la prima ricetta nero su bianco arriva nel 1906, nella Nouvelle Encyclopédie culinaire.

La viennoiserie, dal pain au chocolat al pain au lait

Croissant a parte, la Francia vanta un ampio patrimonio dolciario, quello della viennoiserie, tradizione artigianale di dolci da forno molto legata al mondo della panificazione, ben diverso da quello della pâtisserie, che comprende invece i dolci alle creme. Come si intuisce dal nome, il termine si ispira all'origine viennese dei lieviti, e a quella prima boulangerie aperta da Zang, e contempla tutte quelle paste lievitate che riempiono gli scaffali dei forni d'oltralpe.

 

Pain au chocolat

Come il pain au chocolat, chiamato anche chocolatinea sud della Loira o petitpainnel Nord della Francia, un dolce sfogliato con lo stesso impasto del croissant, di forma quadrata e ripieno di barre di cioccolato. O il pain aux raisins, stessa brioches ma farcita di uvetta, il croissant aux amandes,con pasta di mandorle e scaglie di mandorle in superficie, la sfoglia ripiena di mele e i tutti i panetti dolci caratterizzati da una generosa dose di burro come il pain au lait, nella versione semplice oppure arricchito con gocce di cioccolato.

La madeleine da Proust ai giorni nostri

Le viennoiserie sono, dunque, le specialità più popolari e apprezzate della petit déjeuner, ma non le uniche. Molto diffuse, infatti, sono anche le madeleine, dolcetti tipici del comune di Commercy, nel nord-est della Francia, divenute celebri grazie all'opera di Marcel Proust “À la recherche du temps perdu”, e la famosa scena dell'assaggio della madeleinette (o petitmadeleine) con il tè, che risveglia nel narratore vecchi ricordi d'infanzia (“Ma appena la sorsata mescolata alle briciole del pasticcino toccò il mio palato, trasalii, attento al fenomeno straordinario che si svolgeva in me. Un delizioso piacere m’aveva invaso, isolato, senza nozione di causa”).

 

Madeleine

Il nome di questo dolce sembra risalire al culto di Santa Maria Maddalena, la discepola che, secondo la tradizione cristiana cattolica, vide per prima Cristo risorto. Da qui la tipica forma a conchiglia, che nella simbologia cristiana viene da sempre attribuita ai pellegrini. Altre fonti, invece, incluso il New Oxford American Dictionart, riportano una versione diversa, che associa la ricetta a Madeleine Paulmier, pasticcera francese dell'Ottocento che per prima inventò i dolcetti. L'impasto è soffice e dalla tessitura sottile, con note di burro e limone molto pronunciate. Vengono solitamente consumate con il tè o il caffè, spesso per la pausa pomeridiana ma anche per la prima colazione, come alternativa più delicata e leggera ai croissant.

Le crêpes

Se brioches e madeleine sono fra i prodotti più acquistati nei forni, quando la colazione si fa in casa, sono le crêpes le protagoniste della tavola, cialde morbide e sottili a base di farina di frumento, uova e latte, farcite con confetture, conserve, marmellate, miele, creme spalmabili oppure, più semplicemente, con zucchero e succo di limone, ma anche con ingredienti salati come prosciutto e formaggio. Anche in questo caso, non ci sono testimonianze scritte della loro origine ma, stando ai racconti tramandati oralmente nei secoli, le prime crespelle sembrano aver fatto la loro comparsa nel V secolo d.C., per sfamare i pellegrini francesi arrivati a Roma dopo un lungo viaggio per partecipare alla festa della Candelora. Semplici e veloci da preparare, queste frittatine rappresentavano la soluzione ideale per rifocillare e dare ristoro ai fedeli più stanchi, che portarono poi in Francia la ricetta.

 

crepes

La crêpe suzette

Molto diffusa è anche la crêpe suzette, dessert onnipresente dei bistrot parigini che prevede di arricchire le crêpes con l'aggiunta di una salsa a base di zucchero e burro caramellati, succo e scorza di agrumi, e Grand Marnier, il tutto servito flambé. Antica patria di questa ricetta è il Principato di Monaco, più precisamente il Cafè de Paris di Montecarlo, ristorante del grande chef Auguste Escoffier. La leggenda vuole che il dolce sia nato per un errore del giovane apprendista Henry Charpentier, che in preda all'emozione di dover cucinare per Edoardo VIII, principe del Galles, fece cadere il liquore sulla cialda che, a contatto col fuoco, si infiammò. Il principe apprezzò così tanto quel dessert sbagliato che chiese al cuoco di dedicarlo ala figlia del suo amico che stava pranzando con lui, Suzette.

La ricetta: Croissant e pain au chocolat di Giuseppe Solfrizzi, Le Levain (Roma)

A fornirci la ricetta di croissant e pain au chocolat, il pasticcere Giuseppe Solfrizzi, pugliese trapiantato a Roma che ha appreso le basi dell'arte dolciaria durante una lunga esperienza in Francia. Nella sua boulangerie capitolina nel cuore di Trastevere, Le Levain, Solfrizzi realizza creazioni ispirate alla tradizione d'oltralpe, ora anche disponibili sulla WebTv di Gambero Rosso in una nuova golosa miniserie, Tour En France.

 

a cura di Michela Becchi

Non solo kimchi: alla scoperta della cucina coreana e degli abbinamenti coi vini italiani

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Vi state preparando alle grandi tavolate delle feste? Per arrivare in perfetta forma ai prossimi cenoni consigliamo una terapia d'urto a base di cibo coreano. Eh sì, perché pare proprio che tra i molti pregi di questa cucina, ci sia anche il suo potere dimagrante. Ma dieta a parte, la cucina coreana è un patrimonio di sapori che vale la pena conoscere, magari abbinandoli ai vini italiani.

Cucina coreana: un tesoro di sapori e benessere

Considerata fra le più salutari al mondo, la cucina coreana tradizionale è stata spesso oggetto di studi scientifici che hanno confermato l'effetto positivo di questo tipo di alimentazione riguardo – tra le altre cose - al rischio diabetico e cardiovascolare. Merito delle materie prime usate e di una delle tecniche alla base di questa tradizione gastronomica, la fermentazione. Un metodo di conservazione che apre a uno spettro di sapori talvolta inconsueti per le abitudini occidentali, ma incredibilmente interessanti che vale la pena di scoprire. Insomma, a noi la cucina coreana piace moltissimo, al punto che abbiamo voluto tentare l'abbinamento con i nostri migliori vini. Una sfida, certo, che ci ha messo alla prova e in più di un'occasione ci ha stupiti aprendo imprevedibili sinergie tra sapori esotici e nostrani, a dare conto di una tavola sempre più contaminata. Dunque eccoci ad affiancare a 13 tra i più importanti piatti coreani, altrettante etichette selezionate tra quelle presenti nell’ultimissima edizione della Guida Vini 2018 del Gambero Rosso. Si tratta di vini premiati con i Tre Bicchieri (la valutazione massima assegnata alle etichette eccellenti nelle loro rispettive categorie), i Due Bicchieri Rossi (vini da buoni a ottimi che hanno raggiunto le degustazioni finali) e i Due Bicchieri (vini da buoni a ottimi nelle rispettive categorie).

 

Galbi

Costolette di agnello o di maiale condite con frutta e verdura

È vero, è carne. Ma qui preferiamo un grande bianco, complesso e strutturato ovviamente. Dalla beva sapida e con la giusta acidità, perfetta per equilibrare la grassezza del maiale o dell’agnello. A noi è piaciuto il Soave Classico Monte Alto ’15 dell’azienda Ca’ Rugate. Due Bicchieri Rossi.

 

 

Bulgogi

Filetto o lombata di manzo tagliati a fette sottili, a straccetti

Un rosso succoso, freschissimo, dal tannino lieve e dal sapore persistente, ma dalla struttura che trasmetta mediterraneità. È lui il vino ideale per il Bulgogi. Un bicchiere di Etna Rosso ’15 della cantina Tornatore è quello che ci vuole. Tre Bicchieri

 

Bibimbap

Riso alla piastra con vari ingredienti - carne, verdure, uova - disposti a raggiera

Se arricchiamo il riso con carne, verdure e uova abbiamo bisogno di un bianco di struttura, che arrivi da zone calde, di grande complessità, persistenza gustativa e dal sorso profondo. Provate il Capichera ’15 dell’omonima cantina e fateci sapere. Due Bicchieri

 

Bindaetteok

Crêpe di fagioli mungo verdi ripiene di carne e verdure

Crêpe di fagioli? Giochiamo una partita facile e ci abbiniamo una bollicina. Meglio se un Metodo Classico da uve pinot nero, di buona struttura generale, ideale anche per il ripieno di carne e dalla giusta sapidità che da profondità al sorso. Il Brut Rosé di Monsupello è un fuoriclasse della sua categoria. Tre Bicchieri

 

Dakgalbi

Stufato di pollo marinato nel gochujang (pasta fermentata di peperoncino, riso glutinoso e soia), patate dolci, cavolo, perilla, scalogno e polpette di riso

Mai facile abbinare un vino quando aromaticità e piccantezza dominano il piatto. Ma un bianco macerato, con la giusta estrazione tannica, molto sapido e dalla complessità e persistenza magistrali possono fare al caso nostro. La Malvasia ’13 di Damijan Podversic sembra perfetta per il Dakgalbi. Tre Bicchieri

 

Gochujang

Una salsa a base di peperoncini che copre da sola quasi tutte le basi del sapore

Abbinare un vino a una salsa? Per di più a base di peperoncini? Noi ci giochiamo una carta rischiosa, andando a scomodare un vino dolce per tentare il completo contrasto gustativo. Alla fine non sfigura di certo il Romagna Albana Passito Scacco Matto ’13 della Fattoria di Zerbina. Tre Bicchieri

 

Kimbap

Riso, carne e verdura avvolte nell’alga

Sapidità, percezioni iodate, quasi fumé. Si gioca tutto su queste sensazioni il nostro abbinamento col Kimbap. Senza dubbio il Grechetto Colle Ozio ’15 di Leonardo Bussoletti non delude ed esalta tutte le caratteristiche del piatto. Due Bicchieri

 

kimch

Kimchi

Piatto nazionale. Verdure fermentate in salamoia con spezie, peperoncino, scalogno, aglio... Solitamente cavolo, ma ne esistono infinite varietà

Verdure fermentate, tanta aromaticità, speziatura e piccantezza. L’abbinamento è veramente arduo. Ma il piatto nazionale merita di essere accostato a un grande vino italiano. Altrettanto aromatico, sapido e dalla persistenza lunghissima. Non si direbbe ma l’Alto Adige Gewürztraminer Nussbaumer ’15 della Cantina Tramin è perfetto per il Kimchi. Tre Bicchieri

 

Sundae

Salsicce di sanguinaccio alla piastra

Sanguinaccio? Salsiccia? Il richiamo ci porta dritti verso un rosso. Dal buon tannino per sgrassare bene, di grande complessità (il piatto è molto ricco) e dal sorso profondo in modo da lasciar la bocca pulita. Abbiamo optato per il Sabbie di Sopra il Bosco ’15 di Nanni Copé, un grande vino artigiano che arriva dal formidabile terroir di Caiazzo. Tre Bicchieri

 

Jokbal

Piedini di maiale stufati con il kimchi

Un rosso mediterraneo, di grande genuinità gustativa, dai sentori tipici del territorio e della varietà che l’hanno creato. Con i piedini di maiale stufati abbiniamo senza dubbio un Montepulciano d’Abruzzo. Lo Spelt ’13 è la Riserva prodotta dall’azienda La Valentina. Una garanzia il vino, una garanzia l’abbinamento. Due Bicchieri

 

Daetongbap

Riso cotto con castagne, pinoli e giuggiole in un segmento di bambù di tre anni di età

Un piatto da bollicina. Senza dubbio. Una bollicina elegante, fine, di grande freschezza e ottima sapidità finale. Un vino che accompagni senza mai coprire gli ingredienti principali del Daetongbap. Per noi è perfetto L’Alta Langa Zero Nature Sboccatura Tardiva ’11 di Enrico Serafino. Tre Bicchieri

Jeonbokjuk

Porridge a base di riso (con una consistenza che ricorda il nostro risotto), olio di sesamo e abalone

Senza dubbio un bianco per il Jeonbokjuk. Ma deve avere una bella struttura (il sesamo e il mollusco si fanno sentire), una sapidità finale che accompagna bene il piatto e un’aromaticità ideale per andar di pari passo con tutti gli ingredienti. L’Offida Pecorino ’16 della Tenuta Santori è il vino che fa per noi. Tre Bicchieri

 

Granchi della neve

Direttamente da Yeongdeok, il villaggio di pescatori che è la capitale coreana dei crostacei. Cotti al vapore e intinti nella salsa di soia piccante

Un rosso non sarebbe andato d’accordo coi crostacei (tantomeno col piccante); un bianco non avrebbe sostenuto la complessità del piatto. E allora? Un Rosato, un grande Rosato italiano ci pare la soluzione ideale. La Puglia ci regala da più di settant’anni un rosato delizioso da uve Negramaro, il Five Roses 73° Anniversario ’16 di leone De Castris. Provare per credere. Due Bicchieri Rossi

 

a cura di Giuseppe Carrus

 

Se vi interessa conoscere in modo più approfondito la gastronomia coreana, i piatti tipici e le tradizioni che si celano dietro una delle culture gastronomiche più attuali sul palcoscenico mondiale, cercatevi il Gambero Rosso di dicembre. Troverete 10 pagine illustrate da Marcello Crescenzi e firmate da Sara Porro, completamente dedicate alle caratteristiche di questa cucina, la sua storia, la sua diffusione nel mondo, la teoria dello yin e lo yang e dei 5 elementi. Un servizio completo con in più un focus sui consumi e i commerci di vino e altre bevande in Corea, i nostri scambi commerciali nel settore agroalimentare, una mappa con le 5 destinazioni gourmet della Corea selezionate da Jasmina Trifoni, l'intervento di Caterina Pamphili, nutrizionista che ci spiega perché questa cucina è così salutare, un approfondimento sulla presenza della cucina coreana in Italia con chef ed esperti che ci hanno aiutato a capire i punti in comune tra le due tradizioni gastronomiche.

Articolo uscito sul Gambero Rosso di dicembre. Un numero tutto rinnovato che potete trovare in edicola o in versione digitale, su App Storeo Play Store. Abbonamento qui

 

BlueBlazer presenta la Guida ai migliori cocktail bar d’Italia. La top 10

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Smart, fruibile da cellulare, continuamente aggiornata e gratuita. Giunge alla terza edizione la Guida ai migliori cocktail bar d’Italia voluta dai ragazzi di BlueBlazer, la rivista web dedicata alle “cose buone del bere”. Qui qualche anticipazione.

Sarà presentata lunedì 18 dicembre, presso il The Fusion Bar & Restaurant di Firenze, la Guida ai migliori cocktail bar d’Italia. È la creatura di Giampiero Francesca (direttore e fondatore di BlueBlazer), Massimo Gaetano Macrì (capo-redattore) e circa un centinaio di collaboratori, che dopo un'attenta selezione hanno decretato i loro160 bar del cuore, con un’attenzione, non affatto scontata, per le realtà di provincia. Ospitalità, qualità del servizio e bontà del cocktail, questi i criteri della selezione perché per il team BlueBlazer far bene da bere, non basta. “Consideriamo soprattutto l’alto grado di accoglienza, ormai sempre più rara, che si traduce nella capacità di far star bene il cliente, consentendogli di vivere un’esperienza completa. Poi, ovviamente, viene anche il cocktail”, spiega Giampiero Francesca.

Giampiero Francesca e Massimo Gaetano Macrì - i BlueBlazerGiampiero Francesca e Massimo Gaetano Macrì

Come funziona l'app

Scaricabile sulle piattaforme iOS e Android, la guida è un contenitore virtuale di indirizzi, informazioni e news sui migliori cocktail bar d’Italia. Una volta installata, è sufficiente aprirla dal proprio smartphone per consultarla. La navigazione del menu è semplice e intuitiva, si può decidere di geolocalizzarsi e selezionare i locali che appaiono sulla cartina, oppure filtrare per categoria: cocktail bar; bistrot - restaurant; hotel bar; speakeasy. In ogni caso, cliccando su un locale, si apre la scheda con una breve storia di presentazione, alcune informazioni sui cocktail consigliati e sul tipo di miscelazione praticata, gli orari, i contatti e l’accesso diretto alle mappe per rintracciare la strada col proprio navigatore. “Le categorie sono uno strumento utile per consentire a chiunque, in base ai propri gusti e aspettative, di scegliere velocemente”. Quindi oltre ai classici cocktail bar e speakeasy, “in cui abbiamo inserito sia i locali il cui accesso è garantito tramite la parola d’ordine, sia quelli che in qualche modo ricordano le atmosfere fumose, con un accesso da secret bar, in cui entri solo se ne conosci fisicamente l’ingresso”, compaiono anche i bistrot - restaurant e gli hotel bar. “Non potevano mancare i cocktail bar degli hotel”, racconta Massimo Gaetano Macrì, “spesso soggetti alla diffidenza di molti, soprattutto in Italia. Con il nostro lavoro vorremmo far capire che dietro ad atmosfere eleganti e forse a volte ovattate, si celano locali notevoli e aperti a tutti”.
 


La presentazione lunedì 18 novembre a Firenze

Grandi aspettative anche per la presentazione in sé: “Oltre a riunire i migliori barman e barmaid d’Italia, vorremmo aprire a un pubblico quanto più vasto possibile”. Dichiara Giampiero Francesca. “Per questo, al di là della guida, ci piacerebbe regalare un momento di ritrovo tra amici e colleghi”. Non solo, a margine della serata, grande attesa per la cerimonia di consegna dei premi il “Miglior cocktail Martini” e il “Miglior Old Fashioned”. Senza troppa sacralità però:“Lungi da noi fare classifiche, sia chiaro, ma dopo aver bevuto praticamente ovunque entrambi i drink, anche più volte in uno stesso posto, la piccola presunzione di poter decretare il migliore ce l'abbiamo!”. Scherzano, ma non troppo, i BlueBlazer.

 

I 10 migliori cocktail bar (senza ordine di preferenza)

1930 | Milano | Indirizzo segreto

Trussardi alla Scala | Milano | Piazza della Scala, 5 | tel. 02 80688201 | www.trussardiallascala.com

Literary Bar del Belmond Grand Hotel Timeo | Taormina (ME) | via Teatro Greco, 59 | tel. 0942 6270200 | www.belmond.com

Londra Bar del Londra Palace | Venezia | Riva degli Schiavoni, Castello 4171 | tel. 041 5225032 | www.londrapalace.com

La Punta, Expendio de Agave | Roma | via Santa Cecilia, 8 | tel. 06 5816665 | www.lapuntaexpendiodeagave.com

The Corner | Roma | viale Aventino, 121 | tel. 06 45548810 | thecornerrome.com

Brusco Wine & Audio Room | Pozzuoli (NA) | via Napoli, 161/163 | tel. 081 7622122

Surfer's Den | Milano | Piazza Caduti del Lavoro, 5 | tel. 338 5916764

Freccia Bar | Piumazzo (MO) | via dei Mille, 159 | tel. 059 931158

Piano 35 - lounge bar | Torino | Grattacielo Intesa Sanpaolo, Corso Inghilterra, 3 | tel. 011 4387837 | www.grattacielointesasanpaolo.com

 

Guida ai migliori cocktail bar d’Italia di BlueBlazer | gratuita e scaricabile all'indirizzo www.blueblazer.it/app | Presentazione su invito lunedì 18 dicembre, ore 19.30, presso il The Fusion Bar & Restaurant di Firenze, vicolo dell'Oro 3

 

a cura di Annalisa Zordan

foto di Andrea di Lorenzo e video di Alberto Blasetti

 

I vini da abbinare ai menu delle feste 2017/18. Vol. 2: 25 etichette a buon prezzo dal Sud Italia

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Dall'Umbria alla Sardegna. 25 vini dall'incredibile rapporto qualità prezzo perfetti per la tavola delle feste, dalla Vigilia a San Silvestro e oltre.

Alcuni vini citati in questo articolo sono acquistabili su Tannico.it, l’enoteca online partner di Gambero Rosso. 


Continuiamo il nostro excursus sulle etichette dall'ottimo rapporto qualità prezzo, selezionate da Berebene 2018, la guida del Gambero Rosso che premia ottimi vini a meno di 13 euro. Proprio dalle pagine di questo prezioso volume abbiamo scelto i vini che meglio si abbinano ai menu dei giorni di festa. Dopo la prima puntata, dedicata alle etichette del Nord Italia, concludiamo oggi con una selezione di vini del Sud, partendo dall'Umbria e arrivando fino alla Sicilia e alla Sardegna. Umbria

Non solo rossi dall'Umbria, e il Todi Grechetto Montorsolo '16 di Cantine Peppucci ne è la prova: frutto giallo, elicriso, erbette aromatiche al naso, bocca molto sapida, tesa e di buon sapore. Per il sostanzioso pranzo di Natale invece, dovreste assaggiare il Roccascossa di Terre Margaritelli, sangiovese e cabernet franc che si amalgamano in un naso di ribes e frutti di bosco e in una bocca perfetta per equilibrio e piacevolezza. Ma anche l'Amelia Ciliegiolo Carmìno '16, scorrevole ma dalla trama fitta, dal tannino delicato ed elegante e il finale bello speziato.

 

Lazio

La piccola azienda di Damiano Ciolli produce uno dei vini dal miglior rapporto qualità prezzo del Lazio, il Cesanese di Olevano Romano Sup. Silene '15, scorrevole, fresco, elegante che evidenzia note di sottobosco, ciliegia, grafite con un fiale di rosmarino. Tra Monteporzio e Frascati invece si trova L'Olivella; ci è piaciuto il loro Frascati Sup. Racemo '16, grazie ai suoi tipici profumi du agrumi e salvia, per un palato nitido, piacevole e sapido.

 

Abruzzo

Spesso abbiamo parlato dell'Abruzzo come territorio di caccia per chi abbia voglia di bere bene a prezzi contenuti. I vini che proponiamo per le feste vanno proprio in questa direzione: si parte dall'indole allegra ma concreta dell'Abruzzo Pecorino Giocheremo con i Fiori '16 di Torre dei Beati; si passa per le note agrumate, speziate e balsamiche del Montepulciano d'Abruzzo '15 di Vigneti Radica, per giugnere a un altro rosso dall'impianto contemporaneo, sfaccettato negli apporti di ribes nero, legna arsa e noce moscata, il tutto supportato da spalla e calore, il Montepulciano d'Abruzzo Cadetto '15 di Castorani.

 

Molise

Scendendo giù per lo Stivale, una sosta in Molise è d'obbligo. Tenimenti Grieco realizza un rosso da uve montepulciano in purezza, il Molise Rosso Passo alle Tremiti '15: fragola, humus, legna arsa, coniuga dolcezza e distensione nella seconda parte di bocca grazie anche alla qualità dell'estrazione tannica.

 

Campania

Di anno in anno ci troviamo a fare i conti con vini da uve falanghina sempre più buoni: la Falanghina del Sannio Janare '16 de La Guardiense è costantemente una delle più interessanti; fresca e dagli sbuffi mentolati, è compatta e dal sorso continuo. Non meno intrigante è il Greco di Tufo '16 di Villa Matilde, dove spiccano note floreali e di frutta bianca innestate su una bocca di struttura e nervosa acidità. Sul fronte dei rossi, è l'Irpinia Aglianico Taurì '15 di Antonio Caggiano il consiglio che sentiamo di darvi, un rosso arioso, giocato sul frutto rosso, con netti tocchi di scorza d'arancia e dalla bocca tonica e rigorosa. Se invece ci spostiamo nel casertano alle pendici del Massico, troviamo un goloso Falerno, lo Zero5 '14 di Regina Viarum, un primitivo in purezza che offre sentori di arancia rossa e grafite, e ha una chiusura accattivante di fiori e pepe.

 

Basilicata

Tra i vini lucani, non potevamo non scegliere un Aglianico del Vulture: il Teodosio '14 di Basilisco profuma di mora e sentori balsamici, ha sorso schietto e misurato e tannino ben integrato.

 

Puglia

Ci spostiamo in Puglia dove invece incontriamo il vitigno principe della regione, declinato nei due territori più vocati. Il Gioia del Colle Primitivo 14 Vign. Marchesana '14 di Polvanera vi stupirà per la sua freschezza; al naso le note fruttate sono nette e si amalgamano a sbuffi di macchia mediterranea, il tutto su una bocca grintosa e dinamica, dal lungo finale. Ci spostiamo poi a Cellino San Marco, sede della cooperativa Due Palme: il suo Primitivo di Manduria San Gaetano '16 è un rosso che sfoggia frutti neri e una lieve speziatura al naso e un sorso nitido, scorrevole e facile.

 

Calabria

Prima di lasciare il continente per spostarci sulle isole, facciamo un'ultima tappa in Calabria dove vi proponiamo di festeggiare con due Cirò. Il primo è un grande classico dell'enologia italiana: si tratta del Cirò Rosso Cl. Sup. Duca Sanfelice Ris. '15 di Librandi, ampio ed elegante nel bouquet che rimanda a frutti rossi ed erbe di sottobosco mediterraneo mentre il sorso fresco e vitale ha già trovato un buon equilibrio tra frutto, acidità e tannini. L'altro rosso invece è il Cirò Rosso Cl. Sup. '14 di 'A Vita, azienda biologica da sempre che propone questo gaglioppo in purezza che sfuma tra bache rosse e macchia mediterranea mentre la bocca è sospinta da una fresca vena acida a supporto di un frutto tonico e polposo dove affondano i tannini giovani e ancora nervosi.

 

Sicilia

Ci spostiamo in Sicilia dove vi vogliamo consigliare un rosso da un vitigno poco conosciuto, raramente vinificato in purezza. Si tratta del Sicilia Nocera '15 di Planeta, vino intenso ed elegante di straordinaria complessità olfattiva e dalla bocca perfettamente bilanciata tra tensione acida e finezza del frutto. Dal nisseno, invece, Masseria del Feudo propone un classico Sicilia Nero d'Avola '16, che si offre al naso con profumi balsamici e di frutti di bosco mentre il sorso si rivela agile, tonico e ben sostenuto da tannini fitti e puliti e da una fresca corrente di corroborante acidità. Di solito siamo abituati a berlo nella versione dolce, ma lo zibibbo dimostra la sua fragranza e piacevolezza anche nella versione secca. Donnafugata ne propone una versione davvero intrigante: si tratta del Lighea '16: profumi ampi e prorompenti di frutta matura, pesche e nespole in particolare, rosa ed erbe aromatiche, grintoso, freschissimo e di bella ampiezza di sorso.

 

Sardegna

Concludiamo il nostro giro per l'Italia enoica con la Sardegna. Anche sull'isola dei quattro mori è davvero semplice reperire etichette a prezzi amichevoli. Come il Vermentino di Sardegna Camminera '16 di Audarya, che affascina per i profumi di agrume, erbe aromatiche, frutto bianco e delicati sentori ammandorlati; in bocca è fresco e sapido, avvolgente nella beva e caratterizzato da un sapore profondo. Non meno interessante il Cannonau di Sardegna V. Di Isalle '15 di Cantina Dorgali, sfaccettato tra rosa e fragola, frutto di bosco e spezie, scorrevole, caldo, dal tannino lieve e dal finale sapido. Cambiamo ancora vitigno e stavolta ci affidiamo al Cagnulari '15 di Cherchi; sfoggia profumi di sottobosco, radici e corteccia, un profilo olfattivo terragno che anticipa una bocca fitta, dal tannino presente ma mai invadente e dal nerbo acido vivo. Chiudiamo la nostra rassegna con il Carignano del Sulcis di Cantina Giba: note di mirto e macchia mediterranea si uniscono a prugne e spezie; la bocca è succosa e snella, dinamica e di buona progressione.
 

Alcuni vini citati in questo articolo sono acquistabili su Tannico.it, l’enoteca online partner di Gambero Rosso. 


www.tannico.it

Michelin Bangkok 2018. Tutte le stelle. Esordio bistellato per Gaggan, una stella per le omelette di Jay Fai

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Premia l'alta cucina come lo street food la prima edizione delle Rossa dedicata alla capitale thailandese. Comincia da due Gaggan Anand, pari merito con Le Normandie e Mezzaluna. Tra le prime stelle, una celebra lo street food della settantenne Jay Fai. 

Due stelle per Gaggan

Inutile negarlo, qualcuno si aspettava tre stelle, pronti e via. E sul nome del predestinato tutte le voci sono pressoché concordi: alla vigilia della prima edizione Michelin dedicata a Bangkok, Gaggan Anand e la sua cucina indiana progressive erano candidati molto papabili al trono tristellato. Invece, lo chef impegnato a riabilitare l'immagine della tradizione gastronomica indiana nel mondo dal suo quartier generale thailandese, dove porta avanti da anni un concetto molto personale di ristorazione gourmet, deve accontentarsi – si fa per dire – delle due stelle. Ma l'esordio della Rossa a Bangkok è illuminato da un firmamento piuttosto luminoso, ed eterogeneo. Come Gaggan, altre due sono le insegne che meritano di attestarsi, da subito, in quota bistellata: la cucina francese di Le Normandie al Mandarin Oriental Hotel (non un grande sorpresa, considerata l'inclinazione partigiana degli ispettori Michelin) e il ristorante Mezzaluna al 65esimo piano del Lebua Hotel, votato a una cucina di stampo europeo con influenze nipponiche. Più originale e benevola verso le espressioni gastronomiche autoctone la lista delle prime stelle, che premia 14 tavole, sulle 98 che compongono la prima edizione della guida Michelin Bangkok, omaggio “alla ricchezza gastronomica di questa città”, proclama sul palco il megadirettore Michael Ellis.

 

Lo street food stellato di Jay Fai

Una scena gastronomica riconosciuta nel mondo per la sua varietà tentacolare, “incredibilmente animata, ricca di valide proposte di strada e al contempo di solide proposte tradizionali e insegne che prediligono l'innovazione e la creatività”, rincara la dose Ellis. Esempio concreto di tanta generosità gastronomica, Jay Fai (dal nome della mitica, settantenne “chef patronne”) è la prima stella che più fa parlare di sé: da 40 anni, la modesta bottega serve omelette al granchio, curry, e noodle ai gamberoni cucinati espressi sul wok, nel piccolo spazio affacciato su strada. E da tempo, la città, ha assegnato a Jay il titolo onorario di regina dello street food Thai, sebbene il locale sia celebre per i prezzi non proprio contenuti delle specialità della casa: circa 25 euro per una omelette al granchio. Del resto il cibo di strada – rappresentato in guida da 28 indirizzi - si conferma l'anima più genuina della tradizione gastronomica locale, nonostante il tentativo di mettere al bando baracchini e attività di street food avanzato tempo fa dall'amministrazione cittadina.

 

Le prime stelle

Un macaron arriva anche per la cucina sostenibile di Bo.Lan, che serve pietanze tipiche con ortaggi autoprodotti, Nahm al Como Metropolitan Hotel (la cucina thai dell'australiano David Thompson, già stellato a Londra, per l'insegna omonima), Suhring, tra le tavole fine dining più celebri in città, con l'impronta tedesca dei gemelli Thomas e Mathias Suhring. Una stella anche per l'onnipresente Atelier di Joel Robuchon, J'Aime di Jean Michel Lorain, Elements e Savelberg (tutti in rappresentanza del fine dining francese), Ginza Sushi Ichi, la cucina thailandese contemporanea di Chim by Siam Wisdom e Sra Bua by Kiin Kiin.

 

Due Stelle

Gaggan

Le Normandie

Mezzaluna

 

Una Stella

Bo.lan 
Chim by Siam Wisdom
Elements
Ginza Sushi Ichi
J’AIME by Jean Michel Lorain
L’Atelier de Joël Robuchon
Nahm
Paste
Saneh Jaan
Savelberg
Sra Bua by Kiin Kiin
Sühring
Upstairs at Mikkeller
Jay Fai 

 

a cura di Livia Montagnoli

Arte del pizzaiuolo napoletano patrimonio dell'Unesco. Il riconoscimento per gli artigiani partenopei

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Dopo un lungo percorso cominciato 10 anni fa, e concretizzatosi nel 2015 con la richiesta ufficiale alla Commissione Italiana, l'arte del pizzaiuolo napoletano è diventata finalmente patrimonio immateriale dell'Unesco. E i pizzaioli festeggiano questo importante riconoscimento.

La richiesta e l'ufficializzazione

Marzo 2015. Dopo pochi mesi dalla chiusura dell'Expo, la Commissione Italiana per l'Unesco decide di premiare la pizza e l'Associazione dei Pizzaiuoli Napoletani, che insieme alla fondazione presieduta da Alfonso Pecoraro Scanio e a Coldiretti era riuscita a raccogliere 300mila firme per presentare al vaglio dell'Unesco uno dei simboli più significativi del made in Italy. Che oggi, 7 dicembre 2017, entra ufficialmente a far parte dei beni tutelati dell'Italia, 58 in tutto, di cui 9 in Campania. I lavori del Comitato Unesco si concluderanno definitivamente il prossimo 9 dicembre, e solo al termine di questa ultima sessione l’Arte del pizzaiuolo napoletano sarà iscritta nella Lista rappresentativa del Patrimonio culturale immateriale dell’Unesco, che ha twittato: “Congratulazioni Italia, il know-how culinario legato alla produzione della pizza, che comprende gesti, canzoni, espressioni visuali, gergo locale, capacità di maneggiare l’impasto della pizza, esibirsi e condividere è un indiscutibile patrimonio culturale”.

Il panorama della pizza oggi

Un riconoscimento significativo che, come ha spiegato Scanio, rappresenta “la riaffermazione di una tradizione storica che per il nostro Paese rappresenta, da secoli, un vero elemento d'unione culturale”. Un'usanza antica che contempla conoscenze artigianali uniche, tramandate di generazione in generazione, simbolo del carattere identitario di un luogo, di un popolo, quello partenopeo, indissolubilmente legato alla tavola. Quella dei pizzaioli è divenuta, negli ultimi anni, una categoria a tutti gli effetti, una schiera di professionisti che seguono la stessa filosofia di ricerca: la pizza oggi, infatti, rimane sì un cibo popolare, semplice, ma finalmente risale il podio del gradimento e del prestigio, grazie allo sviluppo di tecniche, stili e prodotti avvenuto recentemente con l'avvento di artigiani sempre più giovani e ambiziosi. E noi del Gambero Rosso lo sappiamo bene, considerando che dal 2013 registriamo annualmente il panorama dell'arte bianca da Nord a Sud nella nostra guida Pizzerie d'Italia, cominciata con qualche grande professionista da raccontare, un vuoto generazionale da colmare e dei numeri non proprio confortanti. L'ultima edizione, invece, offre un'istantanea del mondo pizza completamente diversa: 54 Tre Spicchi e 10 Tre Rotelle (massimo riconoscimento per la pizza tonda e la pizza a taglio), un vero traguardo per questo settore che sembra destinato a crescere ancora a lungo.

I commenti dei pizzaioli

L'entusiasmo pulsante di un comparto che continua la sua ascesa all'impazzata si percepisce anche e soprattutto nei commenti dei maestri pizzaioli, che hanno accolto la notizia del riconoscimento Unesco con gioia e un legittimo pizzico di orgoglio: “Una volta il lavoro del pizzaiolo era un ripiego di chi non trovava altro. Questa è la conferma che abbiamo fatto la scelta giusta”, spiega CiroSalvo di 50 Kalò. Da Caiazzo, poi, giungono anche le parole di FrancoPepedi Pepe in Grani, che aggiunge: “È la testimonianza del percorso che ha fatto la pizza come piatto, ma è giusto che ci sia un riconoscimento anche della figura del pizzaiolo”. Il segreto per diventare maestro pizzaiolo? Lo svela Enzo Coccia de La Notizia: “Tutto parte dal cervello, arriva al cuore e poi alle mani, in 60 secondi di cottura, e in secoli di storia”. Infine, tra i più giovani grandi nomi del settore, Ciro Oliva di Concettina ai tre santi, che festeggia la vittoria nel modo che preferisce: “Finalmente giovani come me non dovranno più emigrare. Invece che stappare champagne sforneremo pizze”. Per celebrare una specialità golosa che ha saputo conquistare negli anni i palati di tutto il mondo, un piatto democratico, per consumatori di ogni età e provenienza, in grado di mettere tutti d'accordo. Una ricetta che è casa, tradizione, passato ma anche presente, e che guarda al futuro con spirito di innovazione senza però dimenticare le proprie origini: “La nostra storia è nelle cose semplici. La marinara con i piscitelli, la margherita: io le paragono alla famiglia”.

a cura di Michela Becchi

Orme Valori agricoli ritrovati. A Roma il selezionatore di prodotti virtuosi

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Parte da Roma per scoprire produttori e allevatori virtuosi e poi li fa conoscere ai cuochi che cercano prodotti diversi da quelli che si trovano in giro. Così nasce Orme. Il selezionatore dei grandi chef.

Andare a prendere il latte, nelle mie estati da ragazzino, significava andare dal pastore”. E così per la ricotta, o altri prodotti. “Fare lo slalom tra le pecore era una cosa normale” ed era normale il rito dell'incontro e dello scambio di saluti con chi il latte lo aveva munto e la ricotta preparata. Per Federico Falchetti, creatore di Orme, l'origine del suo lavoro è tutto qui. In quelle estati in Abruzzo, terra di origine della sua famiglia, trascorse tra la natura e i suoi frutti e i ritmi della vita contadina. Tra quei sapori e quegli incontri “quella legata al mondo contadino è un'umanità che mi è sempre piaciuta”. Poi ci sono stati i fine settimana da ragazzo, “quando invece di andare a fare bisboccia prendevo la mia bella guida e andavo in giro per ristoranti, che all'epoca, verso la metà degli anni '90, erano spesso in provincia”. Quella era l'occasione per conoscere il territorio, i produttori della zona. E magari tornare a casa con un bottino di prodotti ben più autentici di quelli che si trovavano normalmente in giro. “La natura è il miglior produttore di cibo al mondo, se si rispettano le sue leggi”.

Orme

Orme – Valori Agricoli ritrovati

Federico crea Orme quattro anni fa, dopo 15 anni nella ristorazione “in cui mi sono reso conto che c'era uno scollamento tra quella realtà e il mondo agricolo così come lo avevo conosciuto io”. Quello in cui c'è un rapporto diretto con il produttore, in cui i frutti del lavoro cambiano stagione dopo stagione e a volte giorno dopo giorno. Prodotti buoni ne girano nella ristorazione, intendiamoci, soprattutto quella di alto livello “ma spesso di produzione seriale e non italiani”. Insomma quel rapporto non mediato e profondo con la terra e i contadini, in città, è difficile da rintracciare. E nella perdita di questa relazione diretta si perde, in parte, anche il riconoscimento del valore del lavoro e delle storie che ci sono dietro. “Abbiamo una miniera di biodiversità, e poi ci sono moltissime realtà audaci, spesso giovani che hanno fatto una scelta di vita precisa” racconta “di ritorno alla terra, preferendo a un maggiore guadagno una maggiore qualità della vita” abbracciando un approccio focalizzato a ritrovare l'armonia con la natura e la coltura dei luoghi attraverso l'agricoltura più che a massimizzare la produzione. È la cosiddetta decrescita felice. Ma questo troppo spesso nelle cucine professionali non arriva. O meglio non arrivava. “Orme vuole essere un ponte tra le realtà contadine e quegli interpreti della cucina particolarmente attenti alla materia prima” quella dagli alti valori organolettici, ma che racchiude anche altri valori, legati al rispetto dell'ambiente, dei ritmi della natura e delle specie autoctone, in genere meno produttive rispetto a quelle selezionate da decenni, ma che racchiudono preziose riserve di cultura contadina e identità. Senza contare che “usare prodotti più onesti, mangiare meglio significa anche tenere i soldi sul territorio”

Orme

Il lavoro

Vado in giro a cercare contadini” spiega “chi fa un'agricoltura molto tradizionale nel massimo rispetto della naturalità e della stagionalità, senza serre, senza chimica, senza forzature” e li mette in contatto con i cuochi “uso spesso un'immagine: è come se prendessi per mano lo chef e lo portassi in un farmer's market con 75 banchi di aziende agricole diverse ”, tanti sono i produttori con cui lavora oggi Federico. Un lavoro non facile, perché per loro natura questi prodotti non possono assicurare quella costanza e quella regolarità che serve ai ristoranti. Eppure la risposta c'è: tra i clienti di Orme alcuni dei maggiori e più blasonati locali capitolini, ma anche moltissime tra le nuove leve “c'è una generazione di cuochi trentenni particolarmente sensibile all'origine dei prodotti”. I vostri prodotti? “Lavoriamo tutte le categorie merceologiche, abbiamo circa 400-450 prodotti e cerchiamo in tutti lo stesso approccio”. Le merci arrivano al magazzino di Roma dove vengono controllate e solo dopo distribuite “abbiamo i nostri mezzi, anche il trasporto - come tutto il resto - viene fatto da noi, è lo stesso modo di lavorare delle nostre aziende: uno dei criteri di selezione, infatti, è che siano a ciclo chiuso e tutto venga realizzato internamente”.

Tra carne e pesce

Per la carne si rivolge ad allevamenti che seguono un metodo naturale, con monte non programmate, dunque la disponibilità dei capi non è sempre la stessa: “abbiamo 3 razze bovine, 4 suine, 3 ovine, tutte autoctone” spiega “ci sono differenze genetiche e legate alla latitudine degli allevamenti, così lo chef può scegliere secondo le sue esigenze e noi, avendo diverse opzioni, abbiamo sempre prodotto” lavorato esattamente come richiede lo chef, cosa possibile visti i numeri limitati e il rapporto diretto che si riesce a creare tra produttore e ristoratore, mediato solo da Federico e il suo staff, che oggi conta una decina di persone. Discorso simile sul pesce: “su questo la questione della variabilità delle consegne è ancora più esasperata: proponiamo solo quel che è stato pescato secondo criteri non intensivi e di prossimità e rispettando il fermo pesca”. Come vi approvvigionate? “Facciamo l'asta a Fiumicino tre volte a settimana e abbiamo un collegamento con una cooperativa i pescatori sarda che ci manda 2 volte a settimana quel che hanno pescato quel giorno”.

Orme

Il lavoro con i ristoranti

Il nostro lavoro è settimanale” dice, e intende che ogni settimana si azzera tutto e si ricomincia da capo. Anche perché quelli selezionati da Orme sono prodotti mai uguali a se stessi e spesso da una settimana all'altra cambia completamente la disponibilità. “La difficoltà maggiore” spiega“è coordinare due mondi che hanno tempi, modalità operative e reazioni completamente diversi, come quello della campagna e quello della ristorazione, è un po' come far viaggiare insieme una barca a motore e una a vela”. Come ci si riesce? “Giocando di programmazione”. E invece per un cuoco - soprattutto nei fine dining i cui menu non prevedono certo l'inserimento di piatti del giorno - non è un ostacolo avere una materia prima sempre diversa per fare la stessa preparazione? “No, sono loro che creano il piatto a partire dal quel che arriva. C'era una richiesta latente e la voglia di avere un prodotto unico da interpretare”. Come hai intercettato questa esigenza? “Avevo già dei rapporti personali con i ristoranti” in virtù della vita precedente, “ma poi è stato il passaparola a fare il resto: questo è un mondo che fa molta rete, chi vuol una materia prima che abbia determinate caratteristiche virtuose si conosce e si scambia informazioni”. Ma così non c'è il rischio che abbiano in tanti lo stesso prodotto che è, sì, diverso dalla massa di quel c'è sul mercato - serializzata, uguale da Torino a Palermo - ma uguale a quello di un altro bravo ristoratore, magari di cui condivide intenti e stile di cucina? “Ai cuochi posso far scegliere qualcosa fatta quasi solo per loro, raramente qualcuno usa la stessa materia prima, e comunque mai più di 2 o 3 hanno lo stesso prodotto”. Su quanti? “Serviamo circa 80 ristoranti” la maggior parte a Roma, alcuni in Umbria. “All'inizio avevamo anche qualche cliente a Milano, ma per fare questo lavoro serve un contatto diretto, anche perché quel che lavoriamo è naturale: c'è tanta rotazione di settimana in settimana e poi ci sono molte variabili, basta un giorno di pioggia. Quindi bisogna avere un rapporto costante con i ristoranti”.

Orme

Questioni di comunicazione

A ben pensare non confrontarsi in modo continuativo con i cuochi sarebbe contrario allo spirito di questo progetto, che nasce a partire dalla ricerca di autenticità e di un contatto diretto. Dalla voglia di creare un ponte - Federico la chiama cinghia di trasmissione - tra i due mondi. Lui va da chi coltiva e alleva nel modo che dice lui, e poi fa conoscere il frutto di quel lavoro ai ristoratori “questa è un po' la nostra anima, la parte più importante è far conoscere l'esistenza di un prodotto e le sue caratteristiche a chi può interessare. La vendita è quasi una conseguenza”. Ed evidentemente di questo c'era necessità “in fondo è quel che farebbero i cuochi stessi se non avessero i tempi limitati imposti dal loro lavoro”. La difficoltà maggiore? “Trovare ragazzi appassionati che abbiano la voglia e l'umiltà di mettersi a studiare”, chi vuole un certo tipo di prodotto vuole anche saperne di più: “in questo lavoro devi portare un valore aggiunto: la conoscenza. E quella la devi fare tu, si tratti di spiegare la differenza tra un suino allevato in gabbia e uno come si deve, o di illustrare le 200 tipologie di pomodoro che lavoriamo”.

 


Orme | Roma | via Garessio 44 | tel. 06 88596021 | https://www.facebook.com/ORME-Valori-agricoli-ritrovati-1634340283505467/

 

a cura di Antonella De Santis 

foto Alberto Blasetti

 

 

 

 

 


Muore Alfonso Cascone. L'ultimo colpo per Artecarta, leader del packaging per pasticceria, distrutta da un incendio doloso

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Alfonso Pepe e Sal De Riso, Vincenzo Tiri e Iginio Massari. Il registro di cassa di Artecarta annovera tra i suoi clienti i maestri pasticceri più celebrati d'Italia. Non a caso l'azienda a conduzione familiare di Scafati è leader nella produzione di confezioni dolciarie. Alla metà di novembre un rogo doloso ha spezzato una storia durata oltre 20 anni. E Alfonso Cascone non ce l'ha fatta. 

Artecarta. Il packaging dei maestri pasticceri d'Italia

Una decina di giorni fa, a Milano per celebrare il panettone di qualità, l'appello era arrivato dai migliori pasticceri d'Italia, disposti ad autotassarsi per rimettere in piedi un'azienda dell'eccellenza imprenditoriale campana prostrata dalla meschinità criminale. Artecarta, 54 dipendenti alle dipendenze della famiglia Cascone - Alfonso e i suoi figli Luciano, Emiliano e Raffaele - in quel di Scafati (Salerno), è parte di quelle realtà della piccola e media industria italiana che lavorano lontano dai riflettori, forse poco conosciuta dal consumatore diretto, ma di grande supporto per i professionisti che lavorano su standard elevati fatti di scrupolo e dettagli. Come le confezioni che rappresentano il biglietto da visita di tanti dolci d'autore, tutti accomunati, per l'appunto, dal packaging per l'alta pasticceria prodotto da Artecarta Italia. Marigliano, De Riso, Alfonso Pepe, Gabbiano, Tiri, Massari, Sacchetti, Biasetto: la lista dei clienti eccellenti è nutrita e blasonata (molte delle confezioni le trovate nel servizio sui migliori panettoni di pasticceria sul numero di dicembre 2017 del Gambero Rosso, fotografate da Alberto Blasetti).

L'incendio doloso

Lo scorso 14 novembre, un rogo di origine dolosa distruggeva la fabbrica di via Galileo Ferraris, nel Comune di Scafati, chiamato in ballo dalla cronaca nera degli ultimi giorni per il giro d'usura di stampo camorrista sventato dalla Procura di Nocera Inferiore. Altrettanto criminali (la Procura ha già aperto un'inchiesta) le intenzioni di chi, con il favore delle tenebre, ha spezzato una storia imprenditoriale che dura da più di 20 anni: oltre 3 milioni di euro di danni accertati, macchinari distrutti, scorte e bancali pronti per la consegna andati in fumo, ovunque un cumulo di macerie. E la voglia di non mollare, pur atterriti dalla situazione: “Non ci hanno portato via solo il lavoro o i soldi, ci hanno portato via i nostri sogni e i sogni di un territorio del sud da sempre martoriato. Quello che ci tengo a dire è che Artecarta Italia risorgerà da queste ceneri. Noi non ci faremo fermare dalla criminalità”. Parole di rabbia e speranza che all'indomani dell'incendio Luciano Cascone affidava a una lettera accorata.

 

L'ultimo colpo. Addio ad Alfonso Cascone

Intanto però, papà Alfonso, fondatore dell'azienda diventata leader della produzione di carta e cartone per i prodotti dolciari, accusava duramente il colpo, vittima di un malore cardiaco e subito trasferito in ospedale a Napoli. Così, mentre intorno a lui si moltiplicavano gli appelli alle istituzioni, “per non far morire una realtà virtuosa”, e la pasticceria italiana si mobilitava per la causa (“sono ancora sconvolto per quello che è accaduto agli amici di Artecarta Italia. Vi chiedo umilmente, di fare un piccolo gesto di solidarietà a favore di questa prestigiosa azienda del Sud. La famiglia Cascone grandi lavoratori, imprenditori esemplari ma soprattutto persone oneste”, scriveva Sal De Riso a poche ore dall'accaduto), Alfonso Cascone ha combattuto la sua battaglia personale. Fino a un paio di giorni fa, quando i postumi dell'infarto – sopraggiunto dopo due giorni trascorsi accanto ai Vigili del fuoco impegnati a domare il rogo - hanno avuto la meglio sulla sua forza di volontà: “Oggi un altra pagina buia si scrive nella nostra storia. Gli uomini sono fatti di carne e il corpo spesso cede, ma la mente è quella che resta e la voglia di lottare di mio padre era più forte di qualsiasi cosa ed è quello che ha trasmesso a noi”.

Al ricordo sentito dei figli, si accompagna ora l'urgenza di fare qualcosa di concreto: è già attivo un conto per le donazioni, mentre in occasione del Natale Artecarta ha già rimesso in commercio la sua scatola per panettone chic, in cartoncino teso con laccetti in juta. E l'istanza è arrivata anche in Parlamento, con l'interrogazione parlamentare di Arturo Scotto. “Ripartiremo con enormi difficoltà, ma ritorneremo più forti di prima”. È l'augurio di tutti.

 

a cura di Livia Montagnoli

Foto di Alberto Blasetti

Sicilia occidentale: 6 cantine da non perdere di vista secondo Valerio Capriotti

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Un territorio affascinante, ricco di paesaggi suggestivi, borghi e per sapori che raccontano stratificazioni millenarie: è la Sicilia occidentale. Ma oggi vogliamo parlare dei suoi vinii. ecco le 6 cantine da non perdere di vista secondo Valerio Capriotti

Toccate, chiedendomi della Sicilia, terra a me molto cara per più motivi, un dente dolente in quanto terra dalle immense potenzialità, da ipotetici numeri che farebbero invidia al mondo intero, eppure... queste lande vengono all'80% inghiottite da cooperative e industrie che purtroppo tagliano nettamente le produzioni ‘eticamente’ corrette”. Così esordisce Valerio Capriotti quando gli chiediamo la sua personale top 6 delle aziende vitivinicole della Sicilia Occidentale. Capriotti è uno dei più celebri e stimati uomini di sala in Italia e in attesa di prendere le redini in qualità di direttore dello Spazio di Niko Romito a Roma (di prossima apertura) ha lavorato la scorsa estate per lunghi mesi a Marina di Ragusa, in quel ristorante VotaVota che poi la nostra Guida ha deciso di premiare nell’attuale edizione e prima ancora è stato alla guida della cantina di Ciccio Sultano al Duomo di Ragusa. Da lì, pur immerso nella Sicilia Orientale, non esitava a proporre tanti vini della parte di qua dell’isola. Per questo lo abbiamo convinto a stilare la sua classifica delle aziende vitivinicole in quest’area.

 

1 - Badalucco

Pierpaolo Badalucco con la moglie Beatriz, tra Mazzara e Marsala. Molto interessante l'unione dei vitigni spagnoli Verdejo e Tempranillo con i due autoctoni siculi come il Grillo e Nero d'Avola. La perseveranza e la determinazione dei due ragazzi viene premiata da costante crescita. Il loro bianco Grillo Verde, quest'anno, è stata una delle bevute più piacevoli!

Badalucco | Petrosino (TP) | via M. Angileri, 90 | tel. 3473695615 | www.vinibadalucco.it

 

2 - Barraco

Nino, una persona seria che fa vini seri e seriamente. Vini non perfetti a volte, ma riconoscibili. Spesso, e devo dire, anche volentieri. Lui è a Marsala, una delle massime espressioni degli autoctoni della zona, Grillo, Catarratto, Zibibbo, Perricone, Nero d'Avola. Macerazioni capaci di mettere in risalto sapidità, complessità e longevità. Il suo Vignammare... il mare nel bicchiere.

Barraco | Marsala (TP) | contrada Bausa | tel. 3897955357 | www.vinibarraco.it

 

3 - Marco De Bartoli

Storica azienda di Marsala. Il Grillo in tutte le sue facce: secco, spumantizzato. Marsala e poi il mito: il Vecchio Samperi. Anche le vigne di Pantelleria hanno fatto da faro per molti produttori spesso "alla deriva", dispersi tra zuccheri e altre soluzioni meno ortodosse, e regalato vini dolci come il Bukkuram, dall'omonima contrada, capaci di rimanere stampati nei ricordi di ogni bevitore. Le versioni "Integer" da seguire con interesse.

Marco De Bartoli | Marsala (TP) | contrada Fornara Samperi | tel. 0923962093 – www.marcodebartoli.com

 

4 - Francesco Guccione
Francesco, a Monreale. Tra San Cipirello e la Piana degli Albanesi. Il suo Trebbiano, piantato in Contrada Cerasa dal 1400, mi folgorò qualche anno fa. Un concentrato elegante di territorio, di sapidità, di sole, di terra, la sua "cifra" si fa sempre più marcata nel tempo. I suoi Cararratto, Perricone, e Nerello Mascalese (che fu piantato dal bisnonno) sono vini da provare assolutamente, capaci di far capire quali risultati può dare un territorio non proprio "gentile" quando viene lavorato con dedizione e rispetto per la propria terra.

Francesco Guccione | San Cipirello (PA) | corso Trieste, 46 | tel. 3472993492 | www.francescoguccione.com

 

5 - Porta del vento

Marco Sferlazzo, a Camporeale. Guarda tutti dall'alto della sua cantina a 600 mt. Interprete del Catarratto "di montagna" come pochi, con le vigne che godono dell'inerbimento selvatico di camomilla, elicriso, nepitella, grazie alle quali si raggiunge spesso una piacevole balsamicità (frequentemente, quasi transalpina!) che regala unicità alla bevuta. Il Vento porta lo iodio e il sale, la Vigna porta frutti, e Marco fa il resto. Sembra facile, ma non lo è. Ottimi anche la sua Bolla e i suoi rossi.

Porta del vento | Camporeale (PA) | contrada Valdibella | tel. 3356692875 | www.portadelvento.it

 

6 - Viola

Aldo. Aldo Viola. Alcamo, nel trapanese. 10.000 bottiglie e due zone di produzione. Quattro generazioni alle spalle. Grillo di grandissima levatura, un bicchiere in continua progressione, capace di avvolgere e plasmare lentamente il palato. Guarini, il suo Syrah in purezza che piantò grazie alle sue origini materne francesi, è forse uno dei Syrah più interessanti e rispettosi (del cugino francese) per complessità, rotondità, spaziatura equilibrata, dirompente ma mai prepotente. Da bere anche il suo Nero d'Avola ed il Saigne Rosato.

Viola | Alcamo (TP) | via per Camporeale 18c | tel. 092427998 | www.viniviola.it

 

Valerio Capriotti

 

Di Trapani abbiamo parlato sul numero di dicembre del Gambero Rosso in un articolo - con parole di Liliana Rosano e immagini di Dorothea Schmid - che intreccia storia e leggenda, e un presente fatto di contaminazione culturale e gastronomica, quella data dalla sua posizione centrale nel Mediterraneo, con quel mare a fare da porta di accesso ed elemento di contatto con altre popolazioni. Questa apertura alle tradizioni di altre comunità si rintraccia nel pesto derivazione genovese, e ancor più nel cus cus, che dalle sponde del nord Africa arriva in Sicilia e viene adattato sostituendo alla carne di montone il pesce locale. Di questo lampante esempio di contaminazione gastronomica parla Davide Enia, scrittore e uomo di teatro, che ci regala un bellissimo racconto inedito. In questo servizio parliamo anche di Erice, di Mazara del Vallo – la città delle cento chiese, del gambero rosso e dalle suggestioni maghrebino che si trovano anche nella sua cucina- di Marsala con il suo mercato e le cantine, delle Egadi e delle saline di Trapani e Paceco, inserite all'interno di una riserva naturale: un'area incredibile che offre visioni mozzafiato, soprattutto al tramonto. Un glossario minimo di parole chiave introduce all'angolo estremo dell'Italia che vale un fine settimana anche d'inverno.

Articolo uscito sul Gambero Rosso di dicembre. Un numero tutto rinnovato che potete trovare in edicola o in versione digitale, su App Store o Play Store . Abbonamento qui

Starbucks Reserve a Shanghai. Princi e Schultz ancora insieme in Cina, aspettando Milano

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A più di un anno dall'accordo stipulato con Howard Schultz, e dopo il primo esordio negli States, Rocco Princi porta ora la sua esperienza trentennale nella panificazione in Cina, a Shanghai. Nell'attesa del prossimo, grande step: l'approdo sul territorio italiano.

L'evoluzione di Starbucks

1989. Starbucks, il colosso del caffè americano, apre il suo primo locale al di fuori di Seattle, a Chicago, dove inizialmente viene accolto con diffidenza da quei consumatori “così fieri del loro caffè, così esperti” che guardavano con timore il nuovo arrivato, come racconta Howard Schultz, direttore esecutivo di Starbucks. Da quella prima avventura a oggi, il colosso del caffè statunitense ha dato vita a un vero seguito di punti vendita sparsi in tutto il mondo, imponendosi in breve tempo come prima catena di caffetterie franchising a livello internazionale. Una realtà che mai come negli ultimi anni è tornata al centro dell'attenzione, grazie alla serie di ghiotte novità annunciate recentemente. A cominciare dall'apertura milanese nell'ex Palazzo delle Poste di piazza Cordusio, uno spazio che si propone di essere il più grande Starbucks d'Europa, per finire con l'annuncio dello Starbucks Reserve a Chicago, uno spazio di quasi 4mila metri quadri previsto per il 2019, proprio a 30 anni dall'inaugurazione del primo caffè in città, e che diventerà il più grande locale a marchio Starbucks nel mondo.

L'accordo con Princi

Un anno e mezzo fa, poi, un annuncio significativo per il mondo della gastronomia italiana: l' HYPERLINK "http://www.gamberorosso.it/it/news/1025062-il-pane-di-princi-per-starbucks-nuova-alleanza-con-il-colosso-statunitense-e-nel-2017-un-negozio-a-seattle"accordocon Princi, solido brand meneghino da anni punto di riferimento per il settore della panificazione a Milano e non solo. Quello di Starbucks, infatti, è un piano di espansione che definisce alleanze strategiche a livello internazionale, studiate su misura per avvalorare la crescita del marchio. A cominciare da Princi, l'azienda fondata più di 30 anni fa da Rocco Princi, e poi cresciuta come catena di panetterie con servizio al tavolo, sbarcata anche a Londra. Appena un mese fa, Princi ha esordito a Seattle.

 

Shanghai

Starbucks Reserve a Shanghai

Il programma di Schultz era chiaro: prima gli Stati Uniti, poi la Cina, e infine l'Italia. Così, lo scorso 4 dicembre il format del Reserve Roastery, soluzione unica che garantisce ai clienti un'esperienza sensoriale a 360 gradi nel mondo del caffè, ha aperto i battenti a Shanghai. Dal settore della torrefazione alla tazzina finale, dall'assaggio alla preparazione delle diverse bevande: entrare in uno Starbucks Reserve (al momento ne esistono tre, uno a Seattle, uno a Londra e l'ultimo di Shanghai) consente ai visitatori di provare aromi e gusti nuovi. La scelta è più ampia, ma soprattutto più curata, e comprende selezioni di microlotti tostati singolarmente, in modo da poter catturare da ogni chicco il massimo delle proprietà aromatiche. Nell'area panificazione, poi, oltre 80 prodotti Princi vengono sfornati freschi ogni giorno.

 

Shanghai

Design, tecnologia, arredi

Circa 2790 metri quadri per quello che è il primo vero centro del caffè in Asia (e attualmente il più grande al mondo), e tecnologia d'avanguardia. Mediante un'app dedicata i consumatori possono scannerizzare l'intera caffetteria, esplorando le sale, e sbirciando all'interno delle strutture di rame grazie a un sofisticato sistema di tecnologia AR a disposizione del cliente.“La Roastery è un teatro in cui l'esperienza del caffè raggiunge un livello più alto, e dove i consumatori medi trascorrono almeno 40 minuti”, commenta Schultz. Importante lo studio della luce, che definisce uno spazio curato nei minimi dettagli, tra eleganti arredi in legno e oggetti di design originali.

 

Shanghai

Un ambiente che supera il concetto classico di caffetteria. A creare l'atmosfera è ancora una volta Liz Muller, vicepresidentessa del settore Creative and Global Design dell'azienda, la stessa firma dietro l'ambizioso progetto di Seattle. Le premesse solide del gigante di Schultz fanno dunque sperare in un ambiente d'eccezione anche per l'esperimento meneghino, ma per le conferme, dovremmo attendere ancora un anno (mentre all'orizzonte, a sorpresa, si profilano anche due aperture romane, a piazza di Spagna e Termini).

a cura di Michela Becchi

Appunti di degustazione. Le migliori bollicine assaggiate allo Sparkle Day 2018

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Circa 300 bollicine in degustazione e 70 banchi d'assaggio in rappresentanza di tutta Italia nella grande manifestazione dedicata agli spumanti nostrani. Tante le etichette interessanti, ma noi ne abbiamo scelte solo 9. Ecco le nostre preferite.

Lo scorso 2 dicembre presso l’Hotel Westin Excelsior di Roma è andato in scena lo Sparkle Day 2018. Manifestazione, che arrivata al suo decimo anno di vita, festeggia l’uscita della guida Sparkle dedicata unicamente al mondo delle bollicine Made in Italy ed edita dalla rivista Cucina&Vini.

 

La manifestazione

Più di 300 le etichette in degustazione per un totale di 70 espositori che per l’evento capitolino sono accorsi da tutte le parti d’Italia. I vini selezionati per questa edizione della guida sono stati 863, provenienti per lo più da Lombardia, Veneto, Trentino-Alto Adige, Abruzzo, Puglia, Friuli Venezia Giulia, Piemonte, Marche, Umbria e Sicilia.

Nata nel 2003 e giunta ormai alla sua sedicesima edizione, la guida Sparkle è un unicum nel panorama editoriale italiano. Francesco D’Agostino, curatore della guida e direttore della rivista Cucina & Vini restituisce nel bicchiere una descrizione puntuale della scena spumantistica italiana. Negli ultimi dieci anni le bollicine Made in Italy sono state capaci di farsi interpreti di un trend globale; comprendendo le domande di mercato ed offrendo una risposta puntale fatta di numeri, export, know how, territorio, qualità e diversità.

Sparkle

Bollicine mon amour

Il bubbling italiano continua a sorprendere registrando dal 2003 al 2013 un incremento del 40% della produzione. Come ci racconta D’Agostino “sono tanti i dati per dire che assistiamo a due macroeventi, quello del vino immediato, leggero, piacevole che seduce il mondo e quello dei vini spumanti ad alto valore aggiunto che per accedere all’export devono garantire livelli di qualità elevatissimi, che possano confrontarsi col leader mondiale di categoria”. Lo stato di salute dei distretti spumantistici italiani è ottimale e le bollicine italiane sono sicuramente il prodotto più glamour di tutto il comparto agroalimentare firmato Made in Italy.

 

La degustazione

 

Prosecco

Gli assaggi ci restituiscono uno scenario variegato con molte conferme, scommesse riuscite e the next big thing. Il Prosecco in generale ha fatto della leggiadria uno stile. Particolarmente riuscito il Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore Collalto Dry 2016, note dolci e sapide dai contorni erbacei al naso ed un attacco di bocca dinamico e di piacevole persistenza.

 

Gli antipodi: Alto Adige e Sicilia

L’Alto Adige stupisce per il A.A. Riserva Hausmannhof Brut 2007 di Haderburg, da sole uve chardonnay, un metodo classico montanaro, fine, leggiadro a tratti esotico con un carbonica ben fatta ed una lunga sapidità nel finale. Niente male la versione Pas Dosé 2013 anche se perde di tensione nel finale. Il Riserva Nobile Brut 2013 D’Araprì è una sorpresa che il bombino bianco sa regalare agli estimatori più attenti. Al naso assume sfumature speziate, assaggio morbido ed affondo sapido con un chiusura fresca e bilanciata. Un vino con carattere e determinazione, bravi! La Sicilia è ben rappresentata dal Terre Siciliane Gaudensius BdB Brut di Firriato: solare, dal frutto carnoso e con una trazione fresco/sapida molto interessante.

 

Alta Langa

L’Alta Langa è per molti the next big thing della spumantistica tricolore ed il Totocorde Brut 2012 di Giulio Cocchi ne è un esempio: naso fine, verticale con un frutto elegante e ben espresso, avvolto da lievi sentori di tabacco e pan dolce. Assaggio deciso e calibrato, non perde mai tensione regalando sul finale di bocca freschezza e personalità. Austero e risoluto. Ottimo. Sulla stessa linea ma da un distretto diverso arriva il Lugana Nature Brut 2011 di Perla del Garda anche in questo caso è l’eleganza olfattiva a colpire mentre un assaggio di grande progressione ed equilibrio regala un affondo fresco-sapido ed un ritorno ammandorlato e fruttato di grande stile.

 

Franciacorta e Trentodcoc

La Franciacorta è una fucina di talenti e di conferme capace di offrire un esempio di qualità diffusa, personalità ed interpretazione del territorio e dell’annata. Il Trentodoc affida al Trento Domini Nero Brut 2011 di Abate Nero una delle interpretazioni più riuscite di Blanc de noirs affiancato da un Trento Brut di Balter in stato di grazia.

 

a cura di Emanuele Schipilliti

 

 

Apre Benso a Forlì. Menu e foto della cucina ispirata da Piergiorgio Parini

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Un progetto di “pubblica ristorazione” per portare nel centro di Forlì una ventata d'aria fresca. Questa l'idea dei tre soci che hanno ripensato l'ex chiosco dei Giardini Orselli, con la complicità di Piergiorgio Parini. Pronti per l'inaugurazione, ecco cosa si mangerà. 

Benso. Pronti per cominciare

Primavera 2017. Dall'idea di tre storiche insegne forlivesi (Osteria Don Abbondio, Big Bar, Locanda dell'Appennino di Predappio), si faceva strada un concetto di pubblica ristorazione destinato a irrompere sulla scena gastronomica di una tranquilla realtà di provincia. Benso il nome scelto dai tre soci – Maicol Ravaioli, Simone Zoli, Jacopo Valli– che in piazza Camillo Benso, all'interno dei Giardini Orselli, prendevano in carico un ex chiosco per trasformarlo in un locale dall'approccio informale, con la collaborazione eccellente di Piergiorgio Parini, a supervisionare l'offerta gastronomica, in qualità di consulente. Il progetto ce lo spiegavano all'epoca con dovizia di particolari, pronti a cominciare entro l'estate, esordio previsto per il mese di luglio. E invece, intoppi burocratici e rallentamenti in cantiere hanno dilazionato non poco le scadenze, tanto che solo oggi, 8 dicembre, Benso è pronto ad accendere le luci. Il concept è rimasto inalterato, così come il progetto architettonico che ha ripensato lo spazio, oggi composto di una parte in muratura anni Settanta (“tipica dell'architettura pubblica italiana di poste e circoscrizioni comunali” raccontano i protagonisti) e una scenografica struttura vetrata, che trasforma la sala in uno scrigno ben visibile dall'esterno: 50 metri quadri per 32 coperti, stessa estensione per la cucina, progettata su misura con la complicità di Parini. E poi complementi d'arredo di design, come l'originale mise en place, con i piatti della cooperativa Eta Beta di Bologna (ne abbiamo parlato di recente a proposito del progetto 7 Tavole).

 

Il menu di Piergiorgio Parini

Il menu risente delle suggestioni di chi l'ha ideato: lo chef – pur felice di dedicarsi a progetti molteplici, e per nulla preoccupato di restare ancora senza una cucina tutta sua – seguirà l'avvio da vicino nei primi tempi, detterà linea e tempi. Carta agile, molte verdure, possibilità di ordinare assaggi ridotti, ribattezzati “mezze”, 10 tra cui scegliere ogni giorno (si comincia con carne cruda, fungo e cavolo nero; carpaccio di zucca fusaja, alloro e squacquerone; bietola, kiwi e bottarga; polenta e fumo; pomodoro e conserva). E prezzi variabili, dai 7/12 euro per le Mezze ai 14/18 euro per le portate principali, dal Riso con canocchie, vongole e camomilla al Fritto a metà, dallo Sgombro arrosto, melograno e cime di rapa al criptico Bestiarium. Tra i dolci il cremino fritto, la Paris-Brest, la crostatina bergamotto e cioccolato caldo. E menu degustazione da 5 portate a 45 euro. Si lavora sulla stagionalità e sulla disponibilità di mercato, con vini naturali in abbinamento (carta a cura di Simone Zoli), aperitivo e dopocena che virano sul divertissement, con proposte inconsuete di miscelazione naturale, per accompagnare il percorso dei commensali. Con l'idea di accogliere un pubblico quanto più possibile trasversale. Aperti dalle 18 alle 23.

 

Benso | Forlì | Piazza Cavour | dall'8 dicembre 2017 | www.bensofood.com 

 

a cura di Livia Montagnoli

Authentica da Pepe in Grani. Franco Pepe, il mestiere del pizzaiolo e la riscoperta del contatto umano

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Belle novità a Caiazzo, nel palazzetto della pizza di Franco Pepe. L’ultima idea del maestro si chiama Authentica e scommette sulla riscoperta dello scambio con l’ospite, nella pizzeria più piccola del mondo: un forno, un banco di lavoro, un tavolo per 8. Il pensiero di Franco sul mestiere del pizzaiolo. 

Pizza. Riconoscimenti e obiettivi: il Pepe pensiero

Il riconoscimento è un traguardo molto importante, che dà l’energia giusta. Ma non ci hanno regalato una laurea, spetta a noi mettere in pratica tutto ciò che ci riconoscono”. Mentre a Napoli e in Italia si festeggia per l’iscrizione al registro Unesco dell’Arte del pizzaiuolo napoletano, Franco Pepe ha le idee chiare sul futuro che l’aspetta. Lui, le ultime 48 ore, le ha trascorse tra Torino – per impegni sul palco di un paio di convegni – e la sua pizzeria di Caiazzo: sveglia alle 5, tante ore di viaggio, il rientro in pizzeria per un prefestivo particolarmente affollato. Un 7 dicembre come tanti altri giorni, semmai più caotico. In vista del doppio turno dell’Immacolata, e del weekend a seguire, che si preannunciano sold out. Il patron di Pepe in Grani, maestro riconosciuto della pizza napoletana (bottino pieno da sei spicchi sulla guida Pizzerie d’Italia 2018: i Tre sempre confermati a Caiazzo, altrettanti a incoronare La Filiale dell’Albereta), è un veterano di quel mestiere che ora conquista i riflettori internazionali. Non sempre è stato così, e oggi la voglia di rivalsa è forte. Ma Franco mette in guardia dall’effetto contrario: “Il mio percorso, d’ora in avanti, sarà lo stesso di sempre. Il valore aggiunto al mio lavoro cerco di darglielo io. Spesso ho l’impressione che si facciano troppe chiacchiere sulla pizza: per me tutto ha un senso solo quando c’è l’emozione. In passato ho detto no a grandi progetti nelle principali piazze italiane, perché ho bisogno di vivere le situazioni. All’Albereta, per esempio, mi emoziono ogni volta, resta l’adrenalina di confrontarsi con un luogo così importante”.

Authentica. La pizzeria più piccola del mondo

Questo è Franco, pizzaiolo di talento, grande sapienza artigianale e competenza tecnica, tanta voglia di fare – “dobbiamo essere propositivi, la staticità è sintomo di poca passione” -  che il mestiere ce l’ha nel sangue, e al valore del contatto umano, dello scambio con l’ospite, non vuole rinunciare: “Ricordo mio padre, lavorava dietro a un banco in legno, riusciva a guardare tutti i tavoli… Voglio ritornare all’intimità del mio lavoro”. Un monito al mondo della pizza baciato da un successo senza precedenti, col rischio di smarrire la via dell’autenticità. Non però un invito a rallentare, tutt’altro. Perché a Caiazzo non ci si ferma mai, e l’ultimo progetto ha già preso forma. Authentica è la nuova esperienza del pacchetto Pepe in Grani, “un ambiente dove Franco e la pizza sono sempre presenti”. Una sala ricavata nell’ultimo spazio a disposizione del palazzetto di vico San Giovanni Battista, “all’ultimo piano, adiacente alle camere per gli ospiti”. L’idea originale, non a caso, portava in direzione dell’ospitalità: “Con l’architetto abbiamo pensato a lungo se fare una nuova camera. Ma a Caiazzo l’indotto della pizzeria ha stimolato l’apertura di tanti b&b, io ho pensato di concentrarmi ancora una volta sulla pizza”. E di portare un messaggio molto preciso: “Oggi tutti creano delle portaerei, locali da 200 coperti, pizzerie da grandi numeri. Io, invece, inauguro la pizzeria più piccola del mondo, in uno spazio che valorizza l’autenticità artigiana, a cominciare da quella delle maestranze che abbiamo coinvolto nel cantiere”.

La pizza, il mestiere, il contatto umano

Ecco cos’è Authentica, un tavolo per 8 persone, un banco di lavoro per il pizzaiolo e un forno. Ferro, legno e pietra i materiali utilizzati. Un ambiente semplice, “per ritrovare me stesso, e il mestiere che torna a essere protagonista”. Non un tavolo dello chef, Franco ci tiene a sottolinearlo, sebbene tutto ciò che succederà nella nuova sala all’ultimo piano dipenderà da lui: “Prendo io la prenotazione, ci si confronta sulle esigenze degli ospiti. Si può riservare l’intero piano, comprese le camere. Arrivare per mangiare una pizza fatta da me, cimentarsi in prima persona con gli impasti sotto la mia guida”. Ma pure organizzare una serata speciale, di confronto a approfondimento sulla pizza: “Penso anche agli addetti ai lavori in cerca di uno spazio per scambiare idee, o agli amici chef. Magari una cena con Nino Di Costanzo, Giuseppe Iannotti… Ci sarà da divertirsi”.

La voglia di fare

Insomma un modo per diversificare ancora, non necessariamente orientato al business: “Avrei potuto riempire la sala di tavoli, ma non voglio fare un discorso economico. Non siamo nel cuore di una grande città, le persone arrivano qui per questo. Non devo dare solo la pizza, ma tanto di me”. Con l’obiettivo di garantire una continuità di risultato spesso sottovalutata: “Anche chi ci valuta dovrebbe riconoscere il valore della continuità. È importante dare questo messaggio: noi pizzaioli non dobbiamo perdere di vista chi siamo, dobbiamo pensare a ritrovare noi stessi”. Come farlo è un discorso molto soggettivo. Franco, per esempio, ha trovato nella diversificazione dell’offerta il suo habitat congeniale: “Qui abbiamo la pizzeria tradizionale, le sale degustazione più riservate, la privacy del belvedere, le camere per l’ospitalità. E ora si aggiunge l’esperienza Authentica”. Spazi a disposizione, ora, non ce ne sono proprio più, ma certo è difficile non aspettarsi altre sorprese. Tra le ultime novità, ce n’è pure una molto golosa: la degustazione di pizza fritta. “Assoluto fritto, l’abbiamo chiamato: 8 assaggi delle proposte fritte che abbiamo in carta. Del resto ai clienti il fritto piace, specie quando è leggero e l’impasto non assorbe olio. Ho dovuto spostare un ragazzo al per stare dietro alla richiesta, e allora perché non proporre una degustazione?”. Bollicine di rigore, e si comincia. Un motivo in più per organizzare una gita a Caiazzo.

 

Pepe in Grani | Caiazzo (CE) | vico San Giovanni Battista, 3 | www.pepeingrani.it

 

a cura di Livia Montagnoli

Flos Olei 2018, la guida internazionale all'olio extravergine di oliva

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Viene presentata a Roma oggi, 9 dicembre 2017, la nuova edizione della guida Flos Olei, manuale per gli appassionati di extravergine che raccoglie i migliori prodotti della scorsa campagna olearia 2016/2017.

La guida

Nona edizione per la guida Flos Olei, manuale in doppia lingua – italiano e inglese – che celebra la qualità dell'olio extravergine di oliva di tutto il mondo. Curato da Marco Oreggia e Laura Marinelli, il volume consente ad assaggiatori e consumatori di avere un quadro generale della produzione olivicola internazionale. Un'edizione cherecensisce ben 500 aziende d’eccellenza provenienti dai 5continenti, per un totale di 51 Paesi, Italia compresa, per la quale vengono presi in considerazione i prodotti della scorsa campagna olearia (2016/2017). New entry di quest'anno è la Colombia, che va ad aggiungersi alla schiera di nazioni presenti, dall'Europa alle Americhe, dal Nord Africa al Medio Oriente. Nel vademecum, i lettori appassionati troveranno anche indicazioni sulla tecnica di degustazione e sui prezzi dell'oro verde, consigli sulla corretta conservazione delle bottiglie e un approfondimento sul valore economico del comparto. Dopo la presentazione della guida, oltre 80 tra i migliori olivicoltori internazionali porteranno in assaggio, come di consueto, le loro etichette, che quest'anno verranno valorizzate anche attraverso la cucina di 13 chef, che abbineranno le loro creazioni all'oro verde. Altra novità è la proiezione di 22 cortometraggi iscritti all'AgriCulture Film Festival, concorso cinematografico nato dalla collaborazione tra Flos Olei e MEET (Movies for European Education and Training), che hanno come tema le interrelazioni tra cultura, agricoltura, produzione alimentare e biodiversità.

I premiati

Tanti riconoscimenti per l'Italia, che in questa edizione primeggia con ben 12 premi, a cominciare da quello riservato all'Azienda dell'Anno, vinto dall'Azienda Agricola Biologica Americo Quattrociocchi. Segnalazioni rilevanti anche per le aziende emergenti, 3 in tutto: Crudo Schiralli, Cominciolie DonatoConserva. Ma l'Italia domina anche nei premi di categoria, con 8 titoli, seguita in corsa dalla Spagna, a quota 6 riconoscimenti tra i quali l'ambito Migliore Olio Extravergine di Oliva dell'Anno, destinato all'andalusa Castillode Canena Olive Juice, ma il miglior olio biologico e dop è l'italiano Dop Colline Teatine dell'azienda agricola Trappeto di Caprafico. Premio speciale Cristina Tiliacos, poi, va all'Oil Bar Caffè del Mercato Centrale di Livorno, format insolito e originale che coniuga il mondo del bar all'extravergine di qualità, e un riconoscimento anche al Ristorante dell'Anno, vinto dal Danì Maison di Ischia, grazie al lavoro dello chef Nino Di Costanzo.

A ospitare la cerimonia di premiazione e la degustazione, le sale dell'Hotel Westin Excelsior di Roma, in via Vittorio Veneto, dalle 11 alle 22. Nel frattempo, con la nuova campagna olearia ancora in corso, e le prime degustazioni per la guida Oli d'Italia 2018 del Gambero Rosso in dirittura di arrivo, auguriamo il meglio ai produttori, che quest'anno hanno dovuto far fronte a ostacoli climatici non indifferenti. Attendendo con ansia i giudizi degli esperti per l'oro verde d'Italia del 2017/2018.

Flos Olei | Roma | Westin Excelsior | 9 dicembre 2017, dalle 11.00 alle 22.00 | www.marco-oreggia.com/

a cura di Michela Becchi


La pubblicità natalizia di Motta e il nostro punto di vista sui canditi. Parola al maestro Morandin

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Motta non sbaglia un colpo, almeno in termini di marketing. Così, dopo aver sterminato un'intera famiglia e il postino nelle celeberrime pubblicità del Buondì, si sbizzarrisce con lo spot natalizio. Un po' prendendo in giro tutti quelli che si sono indignati nei tre spot precedenti, un po' lanciando una campagna di sensibilizzazione in difesa del candito, ogni Natale oggetto di un'opera quasi chirurgica di esclusione a bordo piatto. 

Due le versioni, una più lunga e il taglio da 30 secondi, per un unico messaggio: durante le feste non scartate i canditi. Questo il monito dell'azienda fondata a Milano nel 1919 da Angelo Motta, colui che ha introdotto il sacchetto per contenere la spinta dell'impasto e costringerlo a gonfiarsi in verticale. 

 

 

Si fa presto però a dire canditi. Intorno a loro c'è sempre un gran discutere: ci sono i favorevoli, i contrari; e poi quelli che “solo se naturali”. Una voglia di naturale che fa tanto bene al gusto e che è da sempre la missione di Mauro Morandin, grande lievitista che candisce in casa le scorze di arance bionde navel e di cedri provenienti dalla Calabria.

La storia di Mauro Morandin

Maître pâtissier sin da giovanissimo, Mauro Morandin negli anni è diventato sempre più esperto, bravo e creativo. Certo, è cresciuto imparando i segreti del mestiere da papà e grande lievitista Rolando, ma ormai ha preso il volo diventando un maestro di fama internazionale. Tant'è che le sue creazioni sono conosciute ben oltre i confini regionali, esportate in mezza Europa e in Asia. Ma come spesso avviene, dietro un grande uomo c'è una grande donna. È la moglie Barbara, che lo aiuta a condurre con professionalità l'ormai storica azienda pasticcera, che anche quest'anno ha confermato le Due Torte nella nostra guida Pasticceri&Pasticcerie.

Canditi di Mauro Morandin

I suoi canditi

A Mauro (protagonista della classifica dei Panettoni Classici uscita sul Gambero Rosso di dicembre) abbiamo chiesto il segreto della sua frutta candita. “Il punto di partenza è necessariamente la materia prima. Scelgo le arance navel provenienti da un unico produttore calabrese, con il quale si è instaurato ormai un rapporto di fiducia. Lui ce le raccoglie da fine dicembre a fine febbraio, il periodo migliore. Di queste, buona parte la usiamo fresca, l'altra la surgeliamo per garantire i canditi tutto l'anno. I cedri, invece, li prendo a Santa Maria del Cedro e li uso solo freschi”. Oltre ad arance e cedri, che vanno dritti dritti nei suoi panettoni, Mauro candisce anche mele valdostane, limoni liguri, ciliege, fragole, frutti di bosco e addirittura la frutta portata dai clienti.Lo fa con la tecnica a cielo aperto, in modo naturale: “Una volta lavata per qualche giorno, la frutta viene cotta e messa dentro vasche di canditura a cielo aperto, con sciroppo d'acqua e zucchero per una ventina di giorni (solo alcuni frutti delicati, come le fragole o i mirtilli, le candiamo sottovuoto). Tutto qui, in maniera tradizionale, con la tecnica che usava mio papà”. Già perché, anche la canditura è tradizione di famiglia: “Inizialmente mio papà candiva solo i marroni. Ricordo quando, per una decina di giorni, arrivavano le signore del paese a pelare le castagne precedentemente cotte dal nonno. Era l'occasione per ritrovarsi, chiacchierare e guadagnare qualcosina. Uno spettacolo indimenticabile”.

 

Morandin | Saint Vincent (AO) | via E. Chanoux, 105 | tel. 0166 512690 | www.mauromorandin.it

Classifica dei Migliori 34 Panettoni Classici uscita sul Gambero Rosso di dicembre. Un numero tutto rinnovato che potete trovare in edicola o in versione digitale, su App Store o Play Store Abbonamento qui

 

a cura di Annalisa Zordan

 

 

Libri. The Breakfast Journey. Colazioni dal mondo e la ricetta del Moraba-ye haveej

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È il pasto più importante della giornata, quello su cui saggezza popolare e scienza concordano: la colazione. Il momento indispensabile per affrontare con energia le ore a seguire e mettere in moto l'organismo. Un nuovo libro ci racconta le ricette di oltre 40 paesi del mondo.

Che la colazione sia il pasto più importante della giornata siamo tutti d'accordo, inclusi nonne e nutrizionisti. E noi crediamo che sia anche il più sottovalutato, spesso relegato a un caffè trangugiato in piedi e un frollino mangiato di corsa. Per questo abbiamo cominciato, domenica passata, a raccontarvi cosa si mangia nel resto del giorno nelle prime ore del giorno (e continueremo a farlo settimana dopo settimana), convinti che siano le più rivelatorie del carattere di ognuno di noi, del nostro stile di vita e delle tradizioni, domestiche e non. E proprio con questo istinto da esploratore si sono mosse Elisa Paganelli Laura Ascari nel loro volume dedicato alle colazioni nel mondo.

 

Le autrici

Una specie di diario di bordo, redatto giorno dopo giorno, nelle prime ore del mattino. Così si presenta The Breakfast Jouney, il libro firmato da Elisa Paganelli e Laura Ascari, illustratrice e visual designer la prima, fotografa e videomaker la seconda. Entrambe con la passione per i viaggi e per il cibo, quello preparato e mangiato, ma anche quello ritratto e raccontato per parole e immagini. E un amore senza confini per le prime ore del mattino, quelle in cui la casa si risveglia e si rivela, investita da una luce ancora non contaminata dal trascorrere del tempo.

 

Il volume

Nasce da questi interessi condivisi l'idea di un volume che consentisse a tutti di viaggiare con la fantasia e attraverso i sapori “con un battito di ciglia”. Si tratta di“un viaggio curioso e goloso per scoprire cosa accade nelle cucine degli altri in giro per il mondo” facendolo nel momento più intimo, non appena la giornata prende vita. Cosa si mangia a colazione nel resto del mondo? Di quali gesti si compongono i riti mattutini negli altri paesi? E ognuno di noi, a quali abitudini non riesce a rinunciare e quali nuove traiettorie è disposto a percorrere? Spinte da queste suggestioni le due autrici viaggiano in lungo e in largo per il mondo seguendo un preciso itinerario gastronomico attraverso più di 40 paesi e 43 pietanze. Tante sono le ricette spiegate passo passo e corredate da fotografie personalizzate con interventi grafici.

 

Dolci, ma non solo

Si va dalla nostra brioches al muffin inglese, da gaufre del Belgio al bolo de fubà del Brasile, un dolce da forno che ricorda da vicino i nostri classici ciambelloni, arrivando fino ai doughnuts statunitensi da gustare con una tazza di american coffee. Ma se a noi italiani queste pietanze risultano familiari, e come pure lo strudel austriaco o gli anzac biscuits australiani, non altrettanto si può dire degli alimenti che aprono la giornata in altre parti del mondo. Per esempio il kimci coreano o il miso giapponese. Piatti che qualcuno avrà già mangiato, magari a cena. Già, perché in oriente la colazione prevede le stesse portate degli altri pasti, quindi non stupitevi di vedere noodes in brodo nelle prime ore del giorno, è il mian tiao tang cinese.

Dolci, salate, piccanti, acide, calde, fredde: ce ne è per tutti i gusti. Ed è interessante vedere come si possano tracciare delle linee di congiunzione tra luoghi lontani, a testimonianza dell'esistenza di punti di contatto tra culture anche distanti: in Turchia il menemen ricorda da vicino le nostre verdure stufate, con pomodoro peperoni e cipolla, mentre in Spagna non è raro trovare anche al mattino la tostada, che altro non è se non pane tostato con aglio e pomodoro, insomma, una bruschetta. E anche il nome non è poi così diverso. Le uova sono un ingrediente molto frequente e così i formaggi, ma ancora di più lo yogurt, consumato nel kiselo mlyako bulgaro (con noci, miele e mandorle), o nel cranachan scozese (con fiocchi d'avena e lamponi e un poco di whisky) o nel labneh libanese, con sale, olio di oliva e spezie. E se vi pare azzardato per la colazione, c'è sempre un brunch da preparare.

 

La ricetta dall'Iran: Moraba-ye haveej

 

Ingredienti

700 g di carote

500 ml di acqua

il succo e la scorza di 2 arance

il succo di 1 limone

1 cucchiaio di acqua di rose

6-8 baccelli di cardamomo

 

Preparazione

Sbuccia le carote e tagliale à julienne, utilizzando una grattugia o un robot da cucina. Schiaccia i baccelli di cardamomo dolcemente, lasciando i semi dentro. In una pentola larga sciogli lo zucchero in acqua con la buccia d'arancia tagliata finemente e i baccelli di cardamomo. Porta a ebollizione, mescolando spesso (circa 5 minuti). Lascia addensare un po' il composto cuocendo per altri 5 minuti, fino a quando il liquido diventerà sciropposo. Aggiungi le carote, riporta a ebollizione. Abbassa la fiamma e cuoci per circa 15/20 minuti. Una volta che le carote sono morbide, aggiungi l'acqua di rose, il succo di arancia, il succo di limone e fai bollire per altri 2 minuti. Togli dal fuoco e prepara i tuoi vasetti. Se ti piace di più speziata aggiungi in cottura un piccolo bastoncino di cannella che poi rimuoverai a fine cottura insieme ai baccelli di cardamomo. Servi con pane, formaggio fresco (tipo paneer) e... sentirai che gusto quando il dolce della marmellata incontra il salato del pane e del formaggio! Accompagna con una buona tazza di tè.

 

 

The Breakfast Journey | Elisa Paganelli e Laura Ascari | Nomos Edizioni | pp. 148 | 19.90€

 

a cura di Antonella De Santis

Cammini e Percorsi, seconda fase. Alberghi e ristoranti in castelli e immobili demaniali

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Dopo il primo bando dell'estate scorsa, prosegue l'iniziativa promossa dall'Agenzia del Demanio per la valorizzazione di immobili dismessi lungo i percorsi storico-religiosi e le ciclovie che attraversano la Penisola. Con l'obiettivo di valorizzare il turismo lento e favorire l'imprenditoria sostenibile. Le regole per partecipare. 

Cammini e Percorsi. L'idea

La prima puntata è andata in onda l'estate scorsa, quando il bando dell'Agenzia del Demanio sfruttava la scia dell'iniziativa Valore Paese per la concessione di fari e case cantoniere abbandonate, da ripensare come attività ricettive e di promozione turistica. Con Cammini e Percorsi, in collaborazione con MIBACT e Mit, il Demanio cercava di replicare il successo della campagna precedente, concentrandosi però sulla valorizzazione di immobili dismessi lungo i principali percorsi storico-religiosi e ciclovie della Penisola. Un patrimonio ingente a rischio degrado, oltre 300 edifici da rivitalizzare in sinergia con l'iniziativa privata, nell'arco di tre anni a partire dall'estate 2017. Il primo bando (che si chiude proprio in questi giorni), dunque, coinvolgeva 100 immobili pubblici per la salvaguardia e il riuso del patrimonio tipico della tradizione locale, e quindi masserie e rifugi, piccole stazioni e caselli idraulici, ma pure monasteri, castelli e ville (da restaurare e restituire alla collettività), con l'obiettivo di assegnarli in concessione gratuita agli imprenditori under 40, perché potessero trasformarli in ostelli, alberghi, ristoranti e ciclofficine.

 

Ristoranti e alberghi tra castelli e ville storiche

Intanto però, dal 4 dicembre scorso, la seconda tranche di immobili in concessione è già disponibile sul sito dell'Agenzia, che bandisce 48 nuove strutture da destinare alla promozione del turismo lento, tipico di chi si muove a piedi o in bicicletta. Per presentare domanda c'è tempo fino al 16 aprile 2018, ma le regole di ingaggio cambiano: non più concessione gratuita, ma concessione di valorizzazione fino a un massimo di 50 anni di locazione, con canone annuo da versare al Demanio statale nel caso di 16 dei 48 immobili, o agli enti locali di pertinenza nel caso delle altre strutture. Il motivo è presto detto: a differenza del precedente, il nuovo bando interessa principalmente edifici di grande pregio storico o architettonico, ville, masserie, castelli e caserme. Ai candidati il compito di proporre soluzioni di riqualificazione sostenibile e riuso del bene, in accordo con le finalità indicate dal bando, con destinazione d'uso legata all'ospitalità, che si tratti di locande, alberghi, punti ristoro o informazioni.

L'esigenza sposata dal ministro Dario Franceschini, non a caso, è quella di favorire la diluizione dei flussi turistici (in crescita) oltre le città d'arte normalmente assediate, verso luoghi meno conosciuti del Paese, ma non per questo meno meritevoli di attenzione. Il bando è aperto a tutti, stranieri compresi. Tra gli immobili interessati il Molino della Certosa di Pavia, la caserma di Dolegna del Collio (GO), la Birreria della Caserma Mameli di Bologna, il Castello di Blera in provincia di Viterbo, la Casa Cantoniera di Montescaglioso in Basilicata. In attesa delle date previste per il sopralluogo, sul sito dell'Agenzia del Demanio sono disponibili tutte le informazioni tecniche sulle singole strutture, e i criteri di partecipazione al bando.

Le schede degli immobili interessati

 

a cura di Livia Montagnoli

Colazioni del mondo. India: naan, upma, puttu, masala chai

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Dal dolce al salato, la prima colazione nel mondo può assumere le sfumature più disparate a seconda delle tradizioni locali. Fra le più singolari per noi occidentali, quella indiana, che anche al mattino si colora di spezie, aromi intensi e sapori pungenti. I prodotti tipici e la ricetta del masala chai. 

La colazione indiana

Non esiste un modo univoco per raccontare la tradizione gastronomica dell'India, una terra ricca di profumi, sapori, aromi speziati, con una cultura culinaria che affonda le sue radici in tempi remoti, fra ricette secolari che, col susseguirsi delle epoche, sono state modificate a seconda della disponibilità degli ingredienti, dell'aspetto economico e sociale delle varie comunità e delle nuove tecnologie. Come prima macro-distinzione, si possono individuare due tradizioni principali: la prima, quella del Nord, che prevede un maggiore uso della carne, e la seconda, più diffusa al Sud, prettamente vegetariana. Ma la tavola indiana è complessa, sfaccettata, multiforme. Anche per la prima colazione, che – come tutti i pasti locali – si arricchisce di spezie e gusti saporiti. Niente brioches e cappuccino, dunque, e molti pochi dolci. Spazio, invece, a piatti salati sostanziosi e nutrienti, per cominciare la giornata al meglio. Qui, abbiamo citato solo alcuni dei più rappresentativi con le loro varianti, ma è bene ricordare che per ogni specialità esistono decine di interpretazioni diverse, tutte parimenti gustose e da provare durante un viaggio nel subcontinente.

Il pane: naan

Fra le varie opzioni, il pane arricchito con banane, tofu, salsicce di verdure e spezie. Protagonista assoluto dell'arte bianca indiana, il naan è un pane tradizionale diffuso anche in Iran, Afghanistan, Pakistan e altre parti del Medio Oriente. In origine, naan era un termine generico utilizzato per indicare tutti i tipi di pane azimo nel mondo, conosciuto nelle lingue turche come nan.

 

naan

Simile alla nostra piadina, questa specialità indiana si compone di un impasto a base di farina di grano duro, cotto al momento e servito ancora caldo. Ne esistono diverse varianti, come quella ripiena di formaggio o spalmata di burro fuso, oppure ancora quella ripiena di ragù d'agnello, generalmente riservata al pranzo e alla cena. Altre variazioni della ricetta base prevedono l'impiego di farina bianca, sale, lievito madre con l'aggiunta di yogurt e latte, utilizzati per rendere l'impasto più liscio ed elastico. Ad accompagnare il naan, a colazione, frutta – banana in primis – e verdura, oppure burro o ghi, burro chiarificato tipico della tradizione indiana e, più in generale, dei paesi asiatici, privato dell'acqua e della sua componente proteica.

Upma di rava

Pane a parte, sulle tavole indiane, soprattutto quelle del Sud, fra i piatti più diffusi a colazione un posto d'onore è riservato all'upma, specialità saporita e nutriente che varia di regione in regione, nata a Tamil Nadu, una delle città più grandi dell'India. Alla base di tutto c'è la rava (o sooji), tipica semola locale che dà origine a una pietanza dalla consistenza simile al nostro semolino o alla pappa d'avena britannica. Conosciuta anche come uppindi, uppumavu o uppittu, la ricetta deve il suo nome ai termini uppu, che significa “sale”, e pindi, mavu o hittu, ovvero “farina”. Per insaporire questa sorta di semolino, gli indiani aggiungono verdure saltate in padella e una salsa rossastra a base di spezie, la sambhar, che viene versata ancora calda sull'upma.

 

upma

Le varianti: dal garam masala alla versione dolce

Fra le tante interpretazioni della ricetta, una delle più popolari è quella che prevede la sostituzione della semola con farina di grano duro, riso o cereali di vario tipo, e l'aggiunta di legumi – soprattutto i fagioli – e frutta secca, anacardi e arachidi in primis. Non può mancare, poi, la variante masala, conosciuta nella parte sud-occidentale come kharabath, in cui vengono aggiunti garam masala (letteralmente “spezia bollente”), tradizionale mix di spezie varie (cardamomo, cannella, cumino, chiodi di garofano, pepe nero, curcuma e l'immancabile coriandolo) e polvere di peperoncino rosso. Ne esiste, infine, anche una versione dolce, molto popolare nella zona di Karnataka, ancora una volta a sud-ovest del Paese: è l'upma kesari bath, un mix di semola e zucchero, ghi, acqua e latte.

Specialità dolci: il puttu

Onnipresente nella cucina indiana, anche a colazione il riso gioca un ruolo da protagonista. Al mattino è il puttu a fare la parte del leone, una sorta di rotolino (nel linguaggio di Tamil puttu significa, appunto, “porzionato”) a base di crumble di farina di riso e ripieno di cocco fresco grattugiato (altro ingrediente immancabile nella tradizione asiatica), il tutto cotto con un sistema a vapore particolare chiamato puttu kutti. Molto diffuso anche nello Sri Lanka, dove è spesso arricchito con il cumino, il puttu è uno dei piatti più popolari della colazione indiana, specialmente al Sud, dove viene accompagnato da thoran – curry vegetariano a base di legumi e verdure – e popadum, sottili dischi di pasta croccante a base di farina di fagioli mungo neri, lenticchie o ceci, solitamente fritti nell'olio di cocco oppure lasciati essiccare al sole. In alternativa al cocco, per la farcia vengono spesso impiegati uova al curry o banana.

 

puttu

Da bere: il masala chai

La tavola, dunque, è ricca e assortita di tante prelibatezze. Fondamentale nella tradizione indiana, però, è anche il fronte delle bevande, sul quale non c'è alcun dubbio: è il tè il prodotto preferito da Nord a Sud. In particolare, il masala chai, negli ultimi anni divenuto popolare anche nei Paesi occidentali. Letteralmente, il nome potrebbe essere tradotto come “tè con mistura di spezie”, e non è difficile intuirne il motivo: per prepararlo, si parte proprio dalle spezie, che vanno fatte bollire per alcuni minuti in acqua affinché rilascino il loro aroma. In seguito, si aggiunge il tè nero (che va lasciato in infusione per pochi minuti) e il masala è pronto. Viene servito tradizionalmente con il latte, ma in molti preferiscono gustarlo in purezza, talvolta addolcito con un po' di zucchero o miele.

 

masala

Condiviso anche con Nepal, Pakistan e in generale in tutta l’Asia centrale, il masala chai ha origini remote, e la sua storia è legata a doppio filo con la tradizione ayurvedica e la medicina delle erbe. Secondo i racconti popolari, infatti, la bevanda – inizialmente nata come puro infuso di spezie in acqua – si è iniziata a diffondere per scopo depurativo, pensata per curare disturbi lievi come mal di testa, mal di stomaco e febbre. Nell'Ottocento, grazie alla dominazione britannica, le piantagioni di tè iniziano ad acquisire valore, e gli indiani decidono di aggiungere le foglie di tè nero al chai. La tradizione del latte, invece, arriva un secolo dopo, quando per mantenere bassi i costi, i venditori cominciano a insaporire la bevanda con latte e zucchero, diminuendo così la quantità di tè, la più costosa delle materie prime, e contenendo i prezzi.

La ricetta: Masala chai di Lorenza Barletta e Ludovica Frigieri

Una ricetta da un libro di pubblicazione recente, The Breakfast Journey di Elisa Paganelli e Laura Ascari (di cui vi abbiamo appena parlato) volume interamente dedicato alla prima colazione, un ricettario sui generis che raccoglie oltre 40 specialità del mattino da tutto il mondo. Per l'India, le blogger Lorenza Barletta e Ludovica Frigieri – autrici delle ricette – hanno scelto proprio il masala chai. Perché “è sempre l'ora del tè, ancora meglio se ti permette di viaggiare senza confini, grazie al karha e alle spezie che lo compongono”.

Ingredienti

4 baccelli di cardamomo

1 cucchiaino di cannella in polvere

4 chiodi di garofano

1 cucchiaino di zenzero in polvere

500 ml. Di acqua

60 ml. Di latte

20 g. di tè nero indiano (tipo Assam)

Come prima cosa preparare il Karha, il mix di spezie, sminuzzando i baccelli di cardamomo e miscelandoli con la cannella, i chiodi di garofano e lo zenzero. Mettere l'acqua e il latte a sobollire e, quando saranno pronti, mettere in cottura anche il tè e il mix di speze per 10 minuti, lasciandoli sempre sul fuoco. Togliere dal fuoco e filtrare.

a cura di Michela Becchi

Colazioni del mondo. Francia: croissant, madeleine, crêpes

Il Gioco del Gelato. Il gioco da tavola di Alberto Marchetti

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I giochi da tavola che incontrano il mondo dell'enogastronomia: per avvicinare i più piccoli ai prodotti artigianali, il gelatiere Alberto Marchetti ha creato con Lo Scarabeo il Gioco del Gelato, una sfida dove vince chi riesce a preparare i gelati preferiti dei clienti.

Il gelatiere

Figlio d'arte, Alberto Marchetti la passione per il gelato artigianale buono e sano l'ha conosciuta fin da piccolo e ne ha fatto un mestiere, diventando uno dei nomi di punta dell'arte fredda. Tant'è che si è comodamente posizionato nell'Olimpo della guida Gelaterie d'Italia del Gambero Rosso con i Tre Coni (massimo riconoscimento). Le sue gelaterie sono un esempio di artigianalità che può viaggiare sul territorio nazionale senza intaccare la qualità, e senza rinunciare alla sua genuinità: attualmente, infatti, il mastro gelatiere conta due punti vendita torinesi, uno ad Alassio, uno a Milano, più il progetto Casa Marchetti, gelateria, laboratorio e anche magazzino. Senza cedere al franchising, e con un'attenzione quasi maniacale verso le materie prime, lavorate secondo regole scrupolose (ogni gusto è miscelato entro le 24 ore e mantecato al massimo ogni 3 ore), Alberto rappresenta oggi un fulgido esempio di imprenditoria nel settore dolciario italiano.

L'offerta

Alla base delle sue creazioni, latte fresco delle valli piemontesi, più un tocco di condensato per ottenere il gusto cremoso-caramellato che caratterizza lo stile torinese. Amante dei sapori di una volta, Marchetti non rinuncia però a sperimentare con gli ingredienti, mantenendo sempre la sua cura meticolosa nella lavorazione e soprattutto un'attenta selezione di produttori locali. Il cioccolato, per esempio, è quello di Guido Gobino, le nocciole sono le trilobate di Lana, la frutta è sempre fresca e di stagione, lo zucchero è di barbabietola, ma in sostituzione il gelatiere utilizza anche il destrosio d'uva. Gianduja, crema all'uovo, nocciola, pistacchio, sorbetto al Chontalpa, tiramisù con i savoiardi del forno di Giovanni Moro, nel Nuorese: questi e molti altri i cavalli di battaglia dell'artigiano.

Il gioco

Con l'avvicinarsi delle feste di Natale, Marchetti torna a sorprendere gli appassionati del genere con una creazione insolita, dedicata ai più piccoli e pensata per coniugare il mondo dei giochi da tavola con l'arte del gelato. In tutti i punti Marchetti e nei migliori negozi di giocattoli arriva il Gioco del Gelato, un'idea regalo originale e economica (12 euro). Adatto per i bambini dai 6 anni in su, il gioco comprende tutti gli ingredienti necessari per la preparazione del gelato, dalla panna fresca al latte, dallo zucchero di barbabietola alla frutta. Presente, poi, anche un ricettario, semplice e alla portata di tutti. Lo scopo del gioco? Accontentare il più possibile i clienti preparando i loro gusti preferiti.

Come funziona

Come ogni gioco da tavola che si rispetti, il Gioco del Gelato – nato in collaborazione con Lo Scarabeo – è provvisto anche di regolamento. Il box è composto da 110 carte, suddivise poi in carte Cliente, carte Ingrediente e carte Ingrediente Base. Le carte Cliente, contrassegnate dal simbolo del gelato, devono essere poste al centro del tavolo, e rivelate in corso d'opera in modo da formare il “negozio”. A turno, ciascun giocatore può scegliere se preparare un gelato da servire al cliente oppure procurarsi gli ingredienti necessari per realizzare un'altra ricetta. Ci sono, poi, le carte Jolly, utili per sostituire le diverse materie prime. I punti si ottengono a seconda della quantità di gelati preparati e dalla capacità di ogni aspirante gelatiere di rispondere alle esigenze dei clienti.

Gelateria Alberto Marchetti | Torino | Corso Vittorio Emanuele II 24bis | www.albertomarchetti.it

Gelateria Alberto Marchetti | Torino | Via Po 35bis | www.albertomarchetti.it

Gelateria Alberto Marchetti | Alassio | via XX Settembre 48 | www.albertomarchetti.it

Gelateria Alberto Marchetti | Milano | Viale Montenero, 73 | www.albertomarchetti.it

a cura di Michela Becchi

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