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I migliori ristoranti di Roma 2018, l’app di Puntarella Rossa. Chi sono le Puntarelle d’Oro

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Un’app in aggiornamento costante per raccontare la Roma gastronomica attraverso i suggerimenti e le recensioni di Puntarella Rossa, che per il secondo anno presenta la sua guida digitale al mangiare (bene) in città. Ecco chi conquista la Puntarella d’Oro per il 2018. 

L’app per mangiare in città

Mangiare in città, a tutte le ore. Mentre nei grandi centri urbani d’Italia il moltiplicarsi dell’offerta gastronomica complica la scelta dei più assidui frequentatori di ristoranti (ma pure, è bene sottolinearlo, prestando il fianco a una certa schizofrenia che non fa bene al settore), tanti sono gli strumenti che si prefiggono l’obiettivo di offrire una mappatura altrettanto completa, e selezionata, degli indirizzi che meritano una visita. Da un anno a questa parte, anche Puntarella Rossa – sito specializzato in recensioni e attualità del mondo enogastronomico, che nel 2009 nasceva proprio come blog legato all’orizzonte romano – pubblica un’app che riunisce Imigliori ristoranti di Roma, sulla scia della Guida ai ristoranti di Roma edita nel 2015 da Newton Compton. E dal 3 dicembre, a seguito della presentazione ospitata nell’ambito della manifestazione Roma Golosa (fino a lunedì 4 al Guido Reni District), è disponibile la versione aggiornata dell’app, per dispositivi Ios e Android, con I migliori ristoranti di Roma 2018, che per tutto il prossimo anno sarà aggiornata costantemente.

Si parte con 350 indirizzi, tra ristoranti, trattorie, wine bar, gelaterie, pizzerie, cocktail bar, street food, tutti facilmente rintracciabili tramite geolocalizzazione; tra loro 30 Puntarelle d’Oro assegnate alle eccellenze che si distinguono nelle diverse categorie e rappresentano una novità nel panorama capitolino (aperti da non più di due anni), premiate sul palco durante la cerimonia di presentazione della guida digitale. Noi vi sveliamo in anteprima i 10 vincitori dei premi più attesi, con le relative motivazioni che hanno portato alla scelta. Più l’undicesimo premio speciale assegnato da una delle firme più longeve e apprezzate del gruppo, Er Murena.

 

Le Puntarelle d’Oro 2018

Ristorante gourmetAll’Oro
Riccardo di Giacinto si conferma grande chef, nella nuova sede, elegante ma calda. Una cucina originale, che sorprende sempre.

RistoranteGiulia
Uno chef di cui si sentirà parlare, Pierluigi Gallo, che dà nuova linfa alla cucina abruzzese (e non solo). E un ristorante moderno, in una delle vie più belle di Roma.

TrattoriaTrattoria Pennestri
Una trattoria senza “caciara”. Un posto quasi rivoluzionario nella sua semplicità, che non è mai banalità. La cucina è solida, con piatti popolari, in un contesto informale.

Wine BarMoggio
Miracolo al Quadraro. I ragazzi di Moggio hanno messo in piedi un wine bar divertente, originale e coraggioso, con vini naturali e prodotti selezionati.

Cucina romanaSanto Palato
Cervella, trippa, pajata, animelle. Santo Palato è la patria pop e retrò del quinto quarto. E di una chef giovane che è già più di una promessa: Sarah Cicolini.

PizzeriaPiccolo Buco
Una pizzeria di qualità nella tana dei locali turistici, a due passi da Fontana di Trevi: lunga lievitazione, materie prime di qualità e leggerezza.
Street FoodSmor
Cucina vichinga a Roma. Smorrebrod e bolliti, aringhe e tartine, Nord Europa e Friuli. Con questi inediti connubi, Smor vince la palma di street food più originale.

Birreria28 Birreria gastronomica
Un format che unisce birra artigianale e alta gastronomia. Grandi spazi, con design anni luce lontano dalle birrerie tradizionali, e materie prime eccellenti, a due passi da Corso Francia. 

Banco al mercatoSeu al Mercato Centrale
Un talento emergente della pizza, pronto a sbarcare a Trastevere con un suo locale. Nel frattempo è al Mercato centrale, vanto della Roma gastronomica moderna.

Format originaleMercerie
A chi ha nostalgia delle tapas spagnole, a chi vuole una cucina sartoriale, cucita su misura per un cliente curioso, giovane, gourmet. Ecco i “bottoni” e le passamanerie di Mercerie, che si fa catering e bottega.

Premio speciale Er Murena: Barred
Un ristorante fuori dagli schemi, che disorienta: e a noi piace essere disorientati dalla bellezza, estasiati dal cibo e tramortiti dai vini buoni.

 

Foto Trattoria Pennestri di Alberto Blasetti


Colazioni del mondo. Francia: croissant, baguette, madeleine, crêpes

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Fra le colazioni più amate in tutto il mondo, un posto d'onore è riservato al binomio croissant e caffè, tradizione divenuta popolare grazie ai francesi, ma che affonda le sue radici in terra austriaca. Oggi vi raccontiamo la storia del lievito e di altri i prodotti della petit déjeuner francese.

Quando si pensa alla tradizione dolciaria francese, l'associazione con croissant e pain au chocolat è immediata. Resistere al profumo inebriante che si sparge fra i vicoli delle strade fuori ogni boulangerie, infatti, è un'impresa ardua per i golosi, ma la colazione d'oltralpe - così come la conosciamo oggi - non è sempre esistita. Tutto ha inizio durante il periodo del Rinascimento, quando comincia a diffondersi nel Paese l'abitudine di consumare pane al burro e latte caldo al mattino, un abbinamento semplice e in grado di sostenere i lavoratori durante tutto il giorno. Bisogna attendere qualche decennio perché il caffè, che oggi accomuna il risveglio della maggior parte delle popolazioni occidentali, inizi a farsi strada nelle case dei francesi, fino a giungere, nel XIX secolo, alla nascita del termine petit déjeuner, a indicare la prima colazione come pasto a tutti gli effetti. È con le specialità della Francia che inauguriamo una nuova rubrica in cui narrareremo, tra storia e leggenda, le colazioni del mondo.

Il croissant fra storia e leggenda

E quando si parla di colazione, in Francia, non esiste prodotto più rappresentativo del croissant, un dolce divenuto simbolo del Paese ma che in realtà affonda le sue origini nella cultura austriaca. I racconti popolari narrano, infatti, che il celebre lievito a forma di mezzaluna (croissant significa, letteralmente, crescente) sia stato creato per festeggiare l'eroica impresa dei fornai viennesi che, svegli in piena notte per lavorare, nel 1683 diedero l'allarme dell'assedio da parte delle truppe ottomane alla città. Sconfitti i turchi, i viennesi decisero di festeggiare con un dolce che avesse la forma del simbolo dell'impero turco, la mezzaluna, appunto.

 

Cornetti

Come nelle migliori tradizioni gastronomiche, però, fatti e leggende sono andate a sovrapporsi nei secoli, creando attorno a questa specialità burrosa un vero mito. Altre storie, infatti, fanno risalire la nascita del croissant al 1839, anno in cui l'ufficiale di artiglieria austriaco August Zang fondò la Boulangerie Viennoise in via de Richelieu, 92 a Parigi. Qui, fra le tante prelibatezze, a dominare la scena era il kipferl, lievito ripieno di noci considerato da molti storici della gastronomia l'antenato del croissant. La prima testimonianza scritta del dolce, però, risale alla metà dell'Ottocento, nel volume Des substances alimentaires, e poi ancora nel Dictionnaire de la langue française del 1863, mentre la prima ricetta nero su bianco arriva nel 1906, nella Nouvelle Encyclopédie culinaire.

La viennoiserie, dal pain au chocolat al pain au lait

Croissant a parte, la Francia vanta un ampio patrimonio dolciario, quello della viennoiserie, tradizione artigianale di dolci da forno molto legata al mondo della panificazione, ben diverso da quello della pâtisserie, che comprende invece i dolci alle creme. Come si intuisce dal nome, il termine si ispira all'origine viennese dei lieviti, e a quella prima boulangerie aperta da Zang, e contempla tutte quelle paste lievitate che riempiono gli scaffali dei forni d'oltralpe.

 

Pain au chocolat

Come il pain au chocolat, chiamato anche chocolatinea sud della Loira o petitpainnel Nord della Francia, un dolce sfogliato con lo stesso impasto del croissant, di forma quadrata e ripieno di barre di cioccolato. O il pain aux raisins, stessa brioches ma farcita di uvetta, il croissant aux amandes,con pasta di mandorle e scaglie di mandorle in superficie, la sfoglia ripiena di mele e i tutti i panetti dolci caratterizzati da una generosa dose di burro come il pain au lait, nella versione semplice oppure arricchito con gocce di cioccolato.

La madeleine da Proust ai giorni nostri

Le viennoiserie sono, dunque, le specialità più popolari e apprezzate della petit déjeuner, ma non le uniche. Molto diffuse, infatti, sono anche le madeleine, dolcetti tipici del comune di Commercy, nel nord-est della Francia, divenute celebri grazie all'opera di Marcel Proust “À la recherche du temps perdu”, e la famosa scena dell'assaggio della madeleinette (o petitmadeleine) con il tè, che risveglia nel narratore vecchi ricordi d'infanzia (“Ma appena la sorsata mescolata alle briciole del pasticcino toccò il mio palato, trasalii, attento al fenomeno straordinario che si svolgeva in me. Un delizioso piacere m’aveva invaso, isolato, senza nozione di causa”).

 

Madeleine

Il nome di questo dolce sembra risalire al culto di Santa Maria Maddalena, la discepola che, secondo la tradizione cristiana cattolica, vide per prima Cristo risorto. Da qui la tipica forma a conchiglia, che nella simbologia cristiana viene da sempre attribuita ai pellegrini. Altre fonti, invece, incluso il New Oxford American Dictionart, riportano una versione diversa, che associa la ricetta a Madeleine Paulmier, pasticcera francese dell'Ottocento che per prima inventò i dolcetti. L'impasto è soffice e dalla tessitura sottile, con note di burro e limone molto pronunciate. Vengono solitamente consumate con il tè o il caffè, spesso per la pausa pomeridiana ma anche per la prima colazione, come alternativa più delicata e leggera ai croissant.

Le crêpes

Se brioches e madeleine sono fra i prodotti più acquistati nei forni, quando la colazione si fa in casa, sono le crêpes le protagoniste della tavola, cialde morbide e sottili a base di farina di frumento, uova e latte, farcite con confetture, conserve, marmellate, miele, creme spalmabili oppure, più semplicemente, con zucchero e succo di limone, ma anche con ingredienti salati come prosciutto e formaggio. Anche in questo caso, non ci sono testimonianze scritte della loro origine ma, stando ai racconti tramandati oralmente nei secoli, le prime crespelle sembrano aver fatto la loro comparsa nel V secolo d.C., per sfamare i pellegrini francesi arrivati a Roma dopo un lungo viaggio per partecipare alla festa della Candelora. Semplici e veloci da preparare, queste frittatine rappresentavano la soluzione ideale per rifocillare e dare ristoro ai fedeli più stanchi, che portarono poi in Francia la ricetta.

 

crepes

La crêpe suzette

Molto diffusa è anche la crêpe suzette, dessert onnipresente dei bistrot parigini che prevede di arricchire le crêpes con l'aggiunta di una salsa a base di zucchero e burro caramellati, succo e scorza di agrumi, e Grand Marnier, il tutto servito flambé. Antica patria di questa ricetta è il Principato di Monaco, più precisamente il Cafè de Paris di Montecarlo, ristorante del grande chef Auguste Escoffier. La leggenda vuole che il dolce sia nato per un errore del giovane apprendista Henry Charpentier, che in preda all'emozione di dover cucinare per Edoardo VIII, principe del Galles, fece cadere il liquore sulla cialda che, a contatto col fuoco, si infiammò. Il principe apprezzò così tanto quel dessert sbagliato che chiese al cuoco di dedicarlo ala figlia del suo amico che stava pranzando con lui, Suzette.

La ricetta: Croissant e pain au chocolat di Giuseppe Solfrizzi, Le Levain (Roma)

A fornirci la ricetta di croissant e pain au chocolat, il pasticcere Giuseppe Solfrizzi, pugliese trapiantato a Roma che ha appreso le basi dell'arte dolciaria durante una lunga esperienza in Francia. Nella sua boulangerie capitolina nel cuore di Trastevere, Le Levain, Solfrizzi realizza creazioni ispirate alla tradizione d'oltralpe, ora anche disponibili sulla WebTv di Gambero Rosso in una nuova golosa miniserie, Tour En France.

 

a cura di Michela Becchi

Pizza Napoletana Nel Mondo. Il profilo Instagram che mappa le pizzerie napoletane

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L'opinione di una persona che assaggia una pizza è sempre affidabile? No. È partito da questo un avvocato di professione, che non vuole dichiarare la sua identità (anche se noi la conosciamo benissimo!) quando ha aperto il profilo Instagram Pizza Napoletana Nel Mondo. Dimenticatevi dunque il sapore, qui gli unici parametri per la pubblicazione sono quelli estetici.    

La nascita del profilo Instagram dedicato alla pizza napoletana

Ho imparato a fare la pizza grazie a un corso presso l'Associazione Verace Pizza Napoletana, però mi sono sempre interessato di tutto quello che ruota attorno a questo mondo, seguendo i grandi maestri, da Pepe a Coccia, ma anche i blogger più disparati, leggendo classifiche (ce ne sono a bizzeffe!), consultando guide o libri, andandomi a leggere centinaia di recensioni su Tripadvisor”. Dopo quattro anni di ricerca, ma sono molti di più quelli segnati dalla passione, il “Liberato della pizza” giunge a una conclusione: “Non mi sarei mai fidato di una classifica, di una guida o una recensione scritta da altri, piuttosto avrei fatto affidamento sulle foto che potevo vedere con questi occhi”. Così, sfruttando il più grande strumento di comunicazione visiva del web, Instagram, ha dato il via a una mappa mondiale della pizza. Con solo due informazioni: la foto e la geolocalizzazione, che implica nome della pizzeria, città e Paese. “In questo modo ogni utente poteva decidere con i propri occhi se la pizza era di suo gradimento oppure no”. In risposta alla diffidenza nei confronti di tutti i recensori per hobby (ogni riferimento a Tripadvisor è voluto) o dei food blogger “che per la maggior parte delle volte, se famosi, sono foraggiati dalle aziende”.

Pizza Napoletana Nel Mondo, il nome del profilo Instagram

Il profilo Instagram, dal nome che più esplicito non si può (Pizza Napoletana Nel Mondo), “non ha alcuna pretesa di autorevolezza”. In questa mappa, infatti, non si trovano solo pizze napoletane secondo disciplinare, quindi a lievitazione naturale, cotte al forno a legna e utilizzando olio d’oliva, ma anche pizze che, pur non essendolo, all'aspetto risultano tali. “Sono molto tollerante con i Paesi in cui è difficile reperire alcuni ingredienti o con un'identità culturale gastronomica molto forte, come il Medio Oriente per esempio, ma non mi sento assolutamente attaccabile dai puristi, dato che il brand “Pizza Napoletana” è stato abusato ben prima della nascita di questo profilo. Oltretutto io ho una sorta di reverenza nei confronti di questo prodotto, tanto che prima di postare le immagini, faccio un triplice check” Secondo quali parametri posti? “Guardo il sito o i social della pizzeria in questione, vedo le foto postate dai frequentatori e leggo, con spirito ipercritico, le recensioni fatte dagli utenti”. Alla vista, dato che di questo stiamo parlando, come deve essere una pizza meritevole di pubblicazione? “Deve avere il tipico cornicione rigonfio, una buona cottura (deve risultare leopardata!), il pomodoro e la mozzarella non devono essere né sciolti né rinsecchiti e il basilico utilizzato deve essere fresco, sono tollerante sul cotto. Sembra superficiale, ma già da questi elementi si possono evincere un'idratazione e una cottura corrette”. Effettivamente negli stessi concorsi si valuta l'aspetto. L'idea pazza non è rimasta inascoltata, la pagina, nata solo lo scorso anno, ha avuto fin da subito un grande successo, arrivando anche dall'altra parte del mondo. “Hanno cominciato a inviarmi immagini di pizze dal Giappone, Australia, Finlandia... Ho scoperto storie incredibili, di due napoletani che hanno aperto un caseificio per foraggiare una pizzeria, di un ragazzo che si è trasferito in un'isola sperduta dove ha poi aperto la prima pizzeria o di tanti pizzaioli che si fanno spedire i forni a legna per non tradire il disciplinare”. Niente nomi. “Nel mio progetto non esiste una pizza migliore o una peggiore, lascio semplicemente la libertà di scelta, senza mai arrivare a classifiche o recensioni. Qui solo l'occhio vuole la sua parte”.

Come funziona esattamente e qual è la sua utilità

Funziona così: tu sei in un posto esotico, per esempio i Caraibi o l'Indonesia e proprio non puoi fare a meno di una pizza napoletana. Apri la mappa e hai buone possibilità di trovarne una nelle vicinanze. Stranamente non ci aveva mai pensato nessuno, sarà per questo che è stato un successo”. In pochissimo tempo ha superato tutte le pagine e i food blogger di settore e, a oggi, la pagina ha collezionato quasi 200mila like per più di 14mila follower, con un engagement rate del 15-20%. “L'engagement è da capogiro se considerate che una pagina Instagram, quando va bene, raggiunge in media il 3%. Insomma, potrei diventare il "Chiara Ferragni della Pizza" e dunque vorrei strutturare questo simpatico progetto, magari arrivando a provare veramente tutte le pizze postate”. Cerchi dunque dei finanziatori? “Assolutamente sì!”. Invece, per chi volesse sfogliare una guida vera e propria, esiste Top Italian Restaurants del Gambero Rosso, la guida online che dà i voti ai migliori ristoranti italiani all'estero, comprese ovviamente le pizzerie, ovvero tutte quelle realtà che fuori dai nostri confini, fa ricerca, dà valore al prodotto d’origine, lo abbina, lo comunica.

 

www.instagram.com/pizza.napoletana

Top Italian Restaurants | www.gamberorosso.it/restaurants

 

a cura di Annalisa Zordan

 

 

 

La Liste 2018. Mille ristoranti in fila con l’algoritmo infallibile. Primo, di nuovo, il francese Guy Savoy

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Una top ten molto francese, con l'Italia protagonista con Bottura e Alajmo, mentre nelle retrovie si fanno largo le insegne cinesi, 123 in tutto dietro al Giappone, ma davanti alla Francia. Alla base c’è sempre l’algoritmo ideato per mettere insieme le valutazioni di guide, riviste di settore, siti gastronomici. Quest’anno sono 550 quelli presi in considerazione. 

La Liste. Come funziona

La stagione delle classifiche volge al termine, ma poco ci vorrà prima di ricominciare a ballare. E sarà proprio la Michelin a riaprire le danze, all’inizio del 2018, con una nuova edizione della sua guida di punta, quella dedicata alla Francia (mentre all’orizzonte si profila l’esordio di un nuovo progetto che mette in fila l’alta ristorazione, i World Restaurant Awards, con la complicità di Andrea Petrini, a maggio 2018). Prima però, puntuali come da 3 anni a questa parte, arrivano i risultati de La Liste, graduatoria internazionale di ristoranti blasonati fondata sul meccanismo tortuoso – se non addirittura controverso – ideato da Jorg Zipprick. Alla base della compilazione, che premia 1000 ristoranti tenendo conto del giudizio di 550 (un numero in crescita costante, fino all’anno scorso erano 400, per una copertura di 165 Paesi) tra guide gastronomiche, giornali, riviste del settore e siti web, un algoritmo “infallibile” avallato dall’ente del turismo francese che per primo, nel 2015, sposò il progetto, con il sostegno del Ministero degli Esteri, per valorizzare la ristorazione di qualità nel mondo. Un atto di mecenatismo gastronomico tacciato sin dall’inizio di favoritismi nei confronti delle insegne francesi, espedito – sostengono sin dalla prima edizione i più scettici – come risarcimento per la scarsa considerazione che la ristorazione nazionale ottiene nella World’s 50 Best Restaurant (ma ricordiamo che l’ultima cerimonia di premiazione, dall’Australia, ha celebrato il quarto posto di Mauro Colagreco, italo argentino di stanza a Menton, Costa Azzurra).

 

Guy Savoy in testa

Senza troppe sorprese, anche La Liste 2018, resa nota appena qualche giorno fa, vede saldamente in testa, per il secondo anno consecutivo, Guy Savoy (neanche a dirlo, uno chef francese). L’elegante tavola parigina del VI arrondissement mantiene anche il punteggio lusinghiero del 2017, piazzandosi al primo posto con 99.75/100. Seguono, al secondo piazzamento pari merito con 99.50, Kyubey in Giappone e (ancora) la cucina francese di Le Bernardin a New York. Terzo gradino del podio per Plaza Athenée di Alain Ducasse a Parigi, il ristorante dell’Hotel Ville de Crissier in Svizzera e Eleven Madison Park a New York. Tutti premiati a quota 99.25. A 99 punti, invece, si attesta un gruppo nutrito di indirizzi blasonati, da El Celler de Can Roca a Martin Berasategui– entrambi spagnoli - al The French Laundry in California.

Gli italiani in lista

Seguono, a 98.75, tante dele tavole più apprezzate dai gourmet internazionali, Osteria Francescana e Le Calandre comprese: le insegne di Massimo Bottura e dei fratelli Alajmo ottengono così il quinto punteggio utile (l'anno scorso, però Bottura saliva sul podio, con il punteggio di 99.25), e guidano lo schieramento degli italiani, che pure è numeroso, con il Reale di Niko Romito e La Pergola di Heinz Beck a 97.75, Dal Pescatore a 97.50, Uliassi a 97.25. Più giù, con 95.25, Villa Crespi e la cucina di Antonino Cannavacciuolo, poi, a 94.50, Da Vittorio dei fratelli Cerea. Sopra i 90 anche Don Alfonso La Peca (94.25), La Madia (93.75), Taverna Estia (93.50), il Duomo di Ragusa (93.25), Danì Maison (92.75), Enrico Bartolini al Mudec (91.75), Il Luogo di Aimo e Nadia, Piazza Duomo, Seta e il Piccolo Lago (91.25), Vissani (91), Enoteca Pinchiorri (90.75), Al Sorriso (90.50).

La rivincita della Cina

Ma è la Cina a confermarsi meta gastronomica in grande spolvero, rivendicando la presenza in lista di ben 123 insegne, contro le 118 della Francia, che la segue da vicino. La corona della classifica per nazioni, però, spetta anche quest’anno al Giappone, con 134 indirizzi, a sottolineare il predominio dell’Estremo Oriente. Quarto piazzamento per gli Stati Uniti, con 188 insegne. Stasera la cerimonia di premiazione al Quai d’Orsay, officiata come di consueto dal ministro degli Esteri Jean Yves Le Drian.

 

Tutta La Liste 2018

 

a cura di Livia Montagnoli

Iginio Massari: la nuova pasticceria a Milano con Intesa Sanpaolo

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Il più grande maestro pasticcere italiano sbarca a Milano. Dopo il pluriennale successo di Pasticceria Veneto (e dei suoi tanti progetti nel settore dell'arte dolce), Iginio Massari si prepara a inaugurare una nuova pasticceria nel capoluogo meneghino. In una location esclusiva di Intesa Sanpaolo, a febbraio 2018.

Il percorso

Lo scopo di un dolce d'autore? “Stimolare subito il senso della vista con pulizia e minimalismo e esaltare chi lo consuma, ancora prima di chi lo fa”. Una caratteristica imprescindibile nel mondo dell'arte dolce, soprattutto se a dirlo è il Maestro dei Maestri, Iginio Massari, il pasticcere numero uno in Italia per eccellenza che, ormai, non ha più bisogno di molte presentazioni. Il suo lavoro di rigore, precisione, fantasia e gusto è un impegno portato avanti da anni con dedizione e costanza, senza sosta, con caparbietà e passione. Fondatore dell'Accademia dei Maestri Pasticceri Italiani, Cast Alimenti, allenatore e Presidente della quadra italiana che ha vinto la Coppa del Mondo di pasticceria a Lione nel '97, e nel 2015, e a Roma nel 2002, titolare della Pasticceria Veneto, la prima in Italia a essere entrata nell'esclusiva catena Relais Desserts, di cui è membro consigliere: il suo percorso è costellato di successi, ma Massari non è solo un artigiano d'eccellenza. Dal 20 novembre, infatti, è di nuovo in tv con la serie “Iginio Massari The Sweetman”, in onda su Sky Uno HD all’ora di pranzo e, in libreria, con il volume tratto dal programma ed edito da Mondadori Electa, una raccolta di ricette spiegate in maniera semplice anche per i meno esperti.

La voglia di rimettersi in gioco

Una leggenda vivente, dunque, negli ultimi anni divenuta una vera rockstar, tanto da perdere un aereo per Oslo a causa dell'assalto dei fan. Ma prima di tutto un professionista che ha fatto scuola, segnando la storia della pasticceria italiana, riuscendo sempre a rimanere al passo con i tempi. E soprattutto mettendosi in gioco, ancora oggi, dopo un percorso lunghissimo e consolidato da tempo, rischiando ancora, ponendosi obiettivi sempre più ambiziosi, senza mai smettere di sognare e migliorarsi.

La nuova apertura

Dopo i rumors degli ultimi mesi, infatti, la notizia è ora ufficiale: a febbraio 2018 il maestro aprirà un nuovo locale, la sua prima pasticceria milanese in via Marconi, all'angolo con Piazza Diaz, in uno degli spazi più centrali di Intesa Sanpaolo, da poco rinnovato interamente negli arredi.“La pasticceria è qualcosa che è condivisibile con tutti, è una scienza esatta regolata da numeri, pesi, volumi e bilanciamenti”, sottolinea nuovamente Massari, e aggiunge:“Bisogna prestare attenzione ai minimi particolari e alla qualità assoluta”. Per godere a pieno delle creazioni del Maestro, i fortunati consumatori milanesi potranno assistere alla realizzazione nel laboratorio a vista all'interno del locale. Dove Massari porterà le sue specialità, i suoi dolci unici, dall'equilibrio perfetto, dai grandi classici a quelli più innovativi. E, chissà, forse anche qualche novità studiata su misura per il pubblico meneghino. Per scoprirlo, attendiamo con ansia l'inaugurazione, certi che, in qualsiasi caso, non rimarremo delusi.

Fermento dolciario a Milano: le insegne più recenti

Nell'attesa, per i più golosi non mancano gli indirizzi d'autore dove poter gustare dolci d'eccellenza. Oltre ai grandi punti di riferimento meneghini (Pasticceria Knam, La Martesana, Pavè, tanto per citarne alcuni), fra le insegne di recente apertura ricordiamo Pascal Caffet di via San Vittore, a pochi passi da Sant'Ambrogio, bottega aperta due anni e dedicata alle creazioni dell'omonimo pasticcere francese, campione mondiale nel 1995, e poi, sempre del 2015, la cioccolateria torinese Odilla, ottimo esempio di sinergia tra iniziativa privata e investimento pubblico, con l'accordo con la Centrale del Latte di Torino. Ancora L'Eclair de Gènie, insegna parigina di Christophe Adam che conta diverse sedi sparse per il mondo, fra cui quella meneghina in corso Garibaldi e il laboratorio in corso di Porta Ticinese (la Fabrique) per la linea di prodotti freschi, per finire con l'ultima nata, L’Île Douce nel quartiere Isola, coadiuvato da Fabrizio Barbato, giovane pastry chef che negli anni si è fatto le ossa al Boscolo di Milano, e prima ancora con grandi maestri del calibro di Luigi Biasetto, Sal De Riso e Iginio Massari.

a cura di Michela Becchi

Gambero Rosso, numero 311. Cosa c’è sul mensile di dicembre 2017

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Classifiche e grandi tavole italiane, consigli per gli acquisti, viaggi gastronomici nel mondo e una miniguida per arrivare preparati alla Settimana Bianca. È tutto da scoprire il nuovo numero di Gambero Rosso, con i panettoni dei grandi maestri pasticceri (chi sarà il migliore?) e il racconto inedito dell’Enoteca Pinchiorri; la sala di Riccardo Camanini, la cucina coreana e il cuscus benedetto di Davide Enia. 

E siamo a due. Seconda prova d’uscita per il mensile del Gambero Rosso nella nuova veste che l’ha trasformato con la complicità di un gran numero di autori, fotografi, illustratori, scrittori, insieme per dimostrare che l’editoria cartacea può ancora avere un futuro. La strada per farcela, con il giusto mix di approfondimento, curiosità e freschezza – e sempre con l’obiettivo di valorizzare la lunga e fortunata storia della testata, in scena da oltre 30 anni – si costruisce un passo dopo l’altro. E il numero di dicembre 2017, che da qualche giorno trovate in edicola e sullo store online (disponibile anche l’abbonamento annuale), non fa altro che confermare l’impegno per offrire un progetto ricco di contenuti e prospettive diverse. Si passa così dalla copertina che invita a calarsi nello spirito del Natale al racconto di chi ha fatto la storia della ristorazione italiana, dalle ricette di un giovane talento della cucina d’autore alla guida cittadina per scoprire la Bolzano enogastronomica. Ma procediamo con ordine, con gli highlight del numero 311 di Gambero Rosso.

Dicembre 2017. Gli highlight

34 panettoni visti da dentro – e lo scatto di copertina, di Alberto Blasetti, corrobora l’idea – per guidare all’assaggio consapevole del dolce simbolo delle feste attraverso la classifica di Mara Nocilla, che nella sua degustazione alla cieca ha coinvolto i panettoni di grandi artigiani e pasticceri italiani, ma pure i prodotti di aziende specializzate e le insolite proposte vegane. Due campioni pari merito sul podio della pasticceria d’autore: chi sono? Abbandonata la dimensione pop, per approdare sulle sponde del lago di Garda, Gabriele Zanatta ci racconta il meccanismo perfetto di cucina e sala di Lido84, concertato all’unisono da Riccardo e Gianluca Camanini. Il ristorante, premiato per il Miglior servizio di sala in Ristoranti d’Italia 2018, è la dimostrazione lampante che la cucina è nulla senza il cameriere: un esempio di studio rigoroso e grandi qualità umane al servizio del cliente, con il ricordo di Angelo Paracucchi ben vivo nella memoria di tutti.

Di fattore umano, ricordi e storia vissuta da protagonisti è fatto pure il racconto dell’Enoteca Pinchiorri, che Annie Feolde (e non perdete i ritratti pop di Alberto Blasetti, che di Madame, come non l’avete mai vista, riassumono grazia ed energia) supervisiona insieme a suo marito Giorgio da 45 anni. È la storia di una fucina di talenti che è stata palestra di molti giovani cuochi prima che spiccassero il volo, “l’atmosfera effervescente da bottega rinascimentale” che Sonia Gioia - firma della nostra storia – ritrova ancora oggi tra cucina, sala e cantina. Basta poco per scacciare l’immaginario di una tavola compassata e imbolsita dal peso dei suoi anni: l’Enoteca Pinchiorri è viva, ha molto da raccontare e tante carte per stupire. Scopriamole insieme, anche con gli articoli degli chef che sono passati di qui: da Antonio Guida a Carlo Cracco passando per Loretta Fanella. Che ricordano e scrivono per noi.

I viaggi gastronomici e le ricette

Poi si parte alla volta di nuove mete gastronomiche: la Corea di Sara Porro (con i disegni di Marcello Crescenzi e le infografiche di Alessandro Naldi), per approfondire da vicino l’idea di cucina “curativa” (come spiega la nutrizionista Caterina Pamphili in un piccolo approfondimento) che da secoli regge la dieta coreana, tra fermentazioni e tavola dei colori. Un viaggio a Est per scoprire la Corea gourmand in 5 tappe guidati per mano da Jasmina Trifoni, i ristoranti coreani in Italia, i punti di incontro tra le due culture gastronomiche, i rapporti commerciali con l’Italia, e l’abbinamento cibo/vino che non ti aspetti: 13 vini molto italiani per 13 piatti molto coreani (a cura del ‘mastro abbinatore’ Giuseppe Carrus).

Se preferite restare in Italia, la bussola punta sulla Sicilia d’inverno, verso la punta occidentale dell’isola alla scoperta di Trapani e dintorni, con le parole di Liliana Rosano, le foto di Dorothea Schmid, e gli acquarelli di Linda Randazzo ispirati dal racconto di Davide Enia, una storia di cuscus e identità isolana, tavole familiari e granelli benedetti. Alla poesia del racconto si accompagnano tanti consigli per visitare il territorio, gli indirizzi per mangiare, il glossario gastronomico e una piccola guida vinicola alla Sicilia Occidentale firmata da uno dei sommelier più amati: Valerio Capriotti.

Ma sul mensile di dicembre trovate anche le ricette di Simone Cipriani (Essenziale a Firenze), e la proposta per la tavola delle feste de La Locanda delle Grazie di Curtatone (Mantova), i grandi torroni italiani e le birre affumicate, i consigli per Berebene con meno di 13 euro a scaffale e un vademecum gastronomico su Bolzano e le sue montagne a cura di Valentina Marino, per arrivare preparati alla Settimana Bianca.

Solletica l’appetito il notiziario coordinato da Livia Montagnoli che mixa suggerimenti e curiosità, tendenze gastronomiche e fatti dal mondo. Con le nuove aperture nelle grandi città d’Italia, il piatto che verrà che Laura Mantovano ha chiesto a Enrico Crippa, il progetto napoletano di Massimo Bottura, gli ultimi aggiornamenti dal cantiere di Carlo Cracco in Galleria.

E poi la foto impossibile di Paolo della Corte, la rubrica sui libri a cura di Antonella De Santis, i consigli di design congegnati da Sonia Massari. Che aspettate a correre in edicola? Un progetto editoriale così non c’era mai stato.

 

Il numero di dicembre 2017 del Gambero Rosso: le informazioni utili

I vini da abbinare ai menu delle feste 2017/18. Vol. 1: 38 etichette a buon prezzo dal Nord Italia

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Dalla Valle d'Aosta alla Toscana. 38 vini dall'incredibile rapporto qualità prezzo perfetti per la tavola delle feste, dalla Vigilia a San Silvestro e oltre.


Alcuni vini citati in questo articolo sono acquistabili su Tannico.it, l’enoteca online partner di Gambero Rosso. 


Le feste si avvicinano. E cresce sempre di più l'ansia di cosa mettere in tavola ma soprattutto nel bicchiere per accompagnare i luculliani banchetti di Natale e Capodanno. Se pensate che per il vino da abbinare ai vostri menù sia necessario dissanguarsi, beh...siete fuori strada. Quest'anno abbiamo deciso di consigliarvi alcune (molte) etichette dal formidabile rapporto qualità prezzo, e per farlo abbiamo pescato a piene mani tra le pagine di Berebene 2018, la guida del Gambero Rosso che premia ottimi vini a meno di 13 euro. Partiremo per un lungo viaggio enoico nel variegato panorama vinicolo italiano e vedremo come, da Nord a Sud, in ogni regione si possano trovare vini interessanti a prezzi più che amichevoli. In questa prima puntata parleremo dei vini del Nord Itaia.

 

Valle d'Aosta

Come tradizione vuole, partiamo dalla Valle d'Aosta. Il primo vino che vi proponiamo è il Valle d'Aosta Pinot Noir '16 di Cave Gargantua, un vino profumatissimo, sottile, esile, di estrema eleganza

 

Piemonte

Anche mettendo da parte le Langhe e il nebbiolo, che ovviamente superano abbondantemente la nostra soglia di prezzo, il Piemonte ci offre un bel ventaglio di vini da abbinare sia alla tavola della Vigilia che a quella più carica e sontuosa del Natale.

Partiamo da un bianco, l'Erbaluce di Caluso La Rustìa di Orsolani, che ha al naso ricordi di erbette e miele e in bocca è ricco di sfumature acide. La versatilità del vitigno ci spinge a consigliarvi anche l'Erbaluce di Caluso Extra Brut di Podere Macellio, un Metodo Classico non millesimato che profuma di nocciola, fresco e cremoso. Per i rossi ci affidiamo al Grignolino del M.to Casalese Bricco del Bosco '16 di Giulio Accornero e Figli, delicatamente speziato, che accompagna a una gradevole presa tannica un piacevole tocco di sapidità, e alla Barbera del M.to Sup. Le Cave del Castello di Uviglie, che brilla per finezza olfattiva e armonia gustativa. Infine, per il panettone non possiamo non consigliare un Moscato d'Asti: la Tenuta il Falchetto propone il Ciombo '16, che sfoggia un grande equilibrio tra dolcezza e freschezza acida e fragranti note di agrumi canditi.

 

Liguria

In Liguria abbiamo scelto un bianco e un rosso: il primo è il Riviera Ligure di Ponente Pigato Majé '16 di Bruna, un vino profumato ed elegante che si fa notare per il gusto sapido, perfetto per accompagnare antipasti di pesce; il secondo invece è il Rossese di Dolceacqua '16 di Maccario Dringenberg, uno dei vini che più ci hanno colpito quest'anno in virtù di una bocca affusolata ed energica e di tannini setosi.

 

Lombardia

Tra le tante etichette premiate in Lombardia, vogliamo consigliare una bollicina a base pinot nero che viene da uno dei distretti spumantistici più importanti d'Italia, l'Oltrepò Pavese. Qui Vanzini propone uno spumante, il Pinot Nero Extra Dry Martinotti Rosé, realizzato con un Martinotti lungo: il risultato è un rosato dal profilo aromatico molto espressivo, giocato tra piccoli frutti rossi e fiori, molto equilibrato in bocca e dalla beva fresca e vivace. Come vivaci sono Birba e Faso, i Dirupi Boys: il loro Rosso di Valtellina Olè '16 è un vino pericolosissimo, da beva compulsiva, grazie a un naso nitido e fresco e a una bocca dal tannino fitto ma perfettamente addomesticato

 

Trentino

Probabilmente nei vostri brindisi non mancheranno degli ottimi Trentodoc, il metodo classico di montagna che sempre più sta guadagnando il giusto apprezzamento tra gli appassionati e gli addetti ai lavori, ma noi vi consigliamo di non sottovalutare la Cuvée Brut Riserva di Cesarini Sforza, uno spumante vivace prodotto selezionando uve chardonnay per ottenere un vino di piacevole acidità e pronta beva, con fragranze che richiamano le mele dolomitiche e i fiori d'alta quota. Sul fronte rossi, De Vescovi Ulzbach ci ha ammaliato con il suo Teroldego Rotaliano '15, un "base" davvero portentoso, austero nonostante si presenti con tutta la sua gioviale immediatezza.

 

Alto Adige

A chi invece preferisce rossi freschi e leggeri, non possiamo che consigliare di pescare tra i Lago di Caldaro. Thomas Pichler con il suo Olte Reben '16 ne offre una versione di grande tipicità, di bella struttura, elegante e fragrante. Tra i tanti bianchi altoatesini che affollano le pagine del BereBene, vi consigliamo l'A. A. Terlano Cl. '16 della Cantina Terlano, pinot bianco, chardonnay e sauvignon dal profilo aromatico che ricorda la mela verde e la pesca bianca, con sfumature delicate di melissa e menta.

 

Veneto

Al Veneto abbiamo affidato le bollicine per il vostro aperitivo: una è il Conegliano Valdobbiadene Brut '16 di Biancavigna, dai profumi di frutti bianchi e fiori, dotato di un sorso asciutto sapido e armonioso; l'altra, per chi ama qualcosa di più dosato, è il Valdobbiadene Dry Cruner de Le Colture, dove invece spicca il frutto giallo accompagnato da sfumature di mandarino e liquirizia; la bocca è cremosa e in buon equilibrio tra misurata dolcezza e fresca acidità. Per il bianco invece abbiamo scelto il Soave Cl. V. Turbian '16 di Daniele Nardello, garganega con piccolo saldo di Trebbiano di Soave che contribuisce a rendere più fini e freschi gli aromi; la bocca è agile e di buon allungo. Lasciamo la regione con due rossi, entrambi dalla Valpolicella: il Valpolicella '16 di Bertani, fruttato, speziato e grintoso, e il Valpolicella Cl. Sup. Ripasso '15 di Giuseppe Campagnola, strutturato ma dall'impalcatura acida tipica dei vini di questa terra.

 

Friuli Venezia Giulia

Fiegl, Torre Rosazza eRonco Blanchis sono le tre aziende friulane per la vostra tavola delle feste. La prima candida un Collio Friulano '16, varietale nei suoi aromi di fiori e mela, che sfoggia una bocca energica e accattivante, di grande spalla acida; stesso vitigno per Torre Rosazza con il FCO Friulano '16, dal naso più maturo, giocato su ricordi di miele e dalla bocca sapida, tesa e gustosa; infine dal Collio arriva un blend di friulano, chardonnay e sauvignon, il Blanc de Blanchis '16, con un bouquet che sfuma sull'iris e il glicine e un palato vibrante e lungo.

 

Emilia Romagna

L'Emilia Romagna da sempre è patria di vini dall'ottimo rapporto qualità prezzo. Per lo zampone o il cotechino non potevamo non scegliere un Lambrusco, uno dei più classici, il Sorbara Vecchia Modena Premium '12 diCleto Chiarli: dal bel colore rosa brillante, profuma di fiori e frutti rossi, con una beva esemplare e una chiusura piena e soddisfacente. Spostandoci in Romagna, vi offriamo due proposte: il Sangiovese Sup. Tre Rocche '16 di Fattoria Nicolucci godibile e spensierato, e l'Albana Secco A '16 di Fattoria il Monticino Rosso, coinvolgente e umorale.

 

Toscana

Qui in Toscana c'è davvero di che divertirsi, non solo tra i rossi. E infatti partiamo con la Vernaccia di San Gimignano Selvabianca '16 de Il Colombaio di Santa Chiara, eleganza e pulizia al servizio di una bocca strutturata e saporita. Poi è la volta del sangiovese in tutte le sue forme più fresche. Si parte dal Chianti Cl. '15 di Bandini Villa Pomona, dinamico succoso, di carattere; si va a Montalcino con il Rosso di Montalcino '15 di Capanna e quello di Tenuta I Fanti: il primo profondo, carnoso e proporzionato, il secondo compatto ed equilibrato. Proponiamo poi una tripletta poliziana: Podere le Bèrne con un Rosso di Montepulciano '16 che profuma di fiori rossi e frutti di bosco, con un tocco di cannella e richiami balsamici e una bocca lieve quanto scintillante; Avignonesi con il suo Rosso di Montepulciano '15, fine e delicato; e infine Poderi Boscarelli con il Prugnolo '16, pepato e silvestre dal sorso agile e irrefrenabile.

Un piccolo salto in Maremma conclude i nostri suggerimenti toscani: assaggiate il Morellino di Scansano '16 di Col di Bacche, e due Monteregio di Massa Marittima, il Rosso '15 di Valentini e l'Altana '15 di Muralia.

 

Marche

Per bere un buon rosso nelle Marche due sono le zone di riferimento: il Conero e il Piceno. Proprio da questi due territori provengono il Rosso Conero il Cacciatore di Sogni '15 deLa Clacinara, potente e succoso, e il Rosso Piceno Sup. Il Cardinale '12 di Costadoro, energico e dalla serrata trama tannica. Per i bianchi c'è l'imbarazzo della scelta: noi vi proponiamo due Verdicchio, entrambi dalla zona classica dei Castelli di Jesi; il Filotto '15 di Filodivino, dal naso cesellato da ricordi di anice, mandorla e note balsamiche, e dal sorso fresco e progressivo, tonico; e l'Ylice di Poderi Mattioli, leggiadro e luminoso, scorrevole e pervasivo.

 

Alcuni vini citati in questo articolo sono acquistabili su Tannico.it, l’enoteca online partner di Gambero Rosso. 


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Kasher. Laura Ravaioli e i segreti dell'Hràymi

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La cucina degli ebrei di Libia è un ulteriore tassello di quell'incontro di storie e di tradizioni che è la cultura gastronomia ebraica. Un mosaico frutto della contaminazione che, nei secoli, il popolo ebraico ha tessuto nei luoghi in cui si è stabilito e in cui il cibo occupa un posto da protagonista che Laura Ravaioli ci racconta nel suo ultimo programma, su Gambero Rosso Channel.

Laura Ravaioli ci porta alla scoperta della tradizione gastronomica degli ebrei di Libia, uno dei tasselli di quel mosaico di suggestioni e culture che è la cucina ebraica. E lo fa attraverso Kasher, un programma televisivo su Gambero Rosso Channel in cui racconta ricette, storie e abitudini proprio degli ebrei di Libia, una comunità molto numerosa in Italia.

 

La cucina ebraica di Libia in Italia

Quando gli ebrei dovettero scappare dalla Libia a causa dei drammatici eventi politici del 1967, lasciarono tutto: beni, oggetti e ogni cosa che che avevano costruito in tanti anni di convivenza con gli arabi. Fu un esodo drammatico. Nel quale, però, portarono con sé la cosa più importante: i ricordi. Come per tutti i profughi, gran parte di questi ricordi, legati alle loro vicende personali, ai momenti vissuti con i propri cari, sono strettamente connessi con il cibo, con i suoi sapori e gli odori che evocavno, anche in terre lontane, la casa, gli affetti, i momenti di festa vissuta e tutte le abitudini domestiche. Mantenere in vita le tradizioni gastronomiche è stato un modo per non sentirsi sradicati e ricreare una comunità anche in condizioni così avverse, un modo per consolidare un'identità che rischiava di andare perduta. Da questa storia di dolore nasce la tradizione di questa cucina che porta, anche in Italia, l'eco di tradizioni arabe.

 

Tutto questo Laura Ravaioli ce lo racconta in Kasher, in onda tutti i lunedì su Gambero Rosso Channel sul canale 412 di Sky, alle ore 21.30, a partire dal 27 novembre 2017. Durante la seconda puntata ci spiega come preparare l'Hràymi.

 

Hràymi

In queste puntate, LauraRavaioli, uno dei volti più noti di Gambero Rosso Channel, ci accompagna alla scoperta della cucina tipica degli ebrei di Libia. E ci fa conoscere, attraverso le sue ricette, anche storie e tradizioni che vi sono dietro. È una cucina fatta generalmente di pazienti preparazioni e lunghissime cotture, quella libica. Durante questa puntata Laura ci racconta la preparazione dell'Hràymi, una piatto di pesce molto profumato, piccante e saporito. Che, contrariamente ad altre pietanze, è piuttosto veloce da realizzare. Si tratta di un intingolo di pesce che pur nella sua semplicità mantiene tutti i profumi e i sapori della terra di Libia: l'Hràymi.

 

Hràymi - Pesce in salsa piccante

6-7 porzioni

 

Ingredienti

1 kg di cernia, ricciola, baccalà o altro pesce, pulito e tagliato in tranci piuttosto spessi o dell’aringa affumicata passata sulla fiamma e privata della pelle.

2 dl di olio extravergine di oliva

2 cucchiai molto abbondanti di Felfel u ciùma, crema di peperoncino e aglio

6 cucchiai di doppio concentrato di pomodoro

1 cucchiaino di carvi (karawija)

1 cucchiaino di cumino macinato (kamun)

sale fino

acqua calda

1 limone

 

Per il felfel u ciùma

8 spicchi di aglio spellati e schiacciati

4 cucchiai di peperoncino rosso piccante, macinato

sale fino

3 cucchiai di olio extravergine d’oliva

3 cucchiai di acqua

 

Preparazione

Per prima cosa prepariamo il fefel u ciùma mescolando e lavorando bene tutti gli ingredienti in una ciotola fino ad ottenere una pasta a aromatica. In genere si prepara prima e si tiene in frigorifero in un barattolo a tenuta ermetica, coperto con filo di olio in superficie.

In un tegame piuttosto ampio, così da poter contenere i tranci di pesce in un solo strato, mettiamo l’olio, 2 cucchiai colmi di Felfel u ciùma e 6 cucchiai di doppio concentrato di pomodoro (la regola “classica” prevede un rapporto di 1 a 2 con il risultato di un intingolo molto, molto piccante) e cominciamo a scaldare il tutto a fiamma media, mescolando e aggiungendo poco a poco l’acqua calda, circa 3 bicchieri, così da ottenere un sughetto, poi saliamo. Lasciamo sobbollire delicatamente per circa 20 minuti, aggiungendo se necessario dell’altra acqua; pian piano l’olio deve affiorare in superficie e il sughetto deve risultare denso.

Una volta pronto il fondo di cottura aggiungiamo i semi di carvi, il cumino macinato e sistemiamo i tranci di pesce uno accanto all’altro nel tegame. Lasciate cuocere a fuoco moderato per una decina di minuti, girando i tranci a metà cottura. Il tempo necessario varia a seconda della varietà di pesce e soprattutto dallo spessore dei tranci.

Si può mangiare sia caldo che freddo, e quando si serve si può insaporire ulteriormente con qualche goccia di limone spremuta al momento.

Si accompagna con il cuscus o pane.

 

Kasher | Gambero Rosso Channel | canale 412 di Sky lunedì alle ore 21.30, a partire dal 27 novembre 2017

 

a cura di Laura Ravaioli e Antonella De Santis


Il Sangiovese secondo il Consorzio del Montecucco: biologico, selezionato e tutelato

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Un territorio-calamita per molti produttori (e non) provenienti da lontano. Una Docg arrivata nel 2011. E adesso anche la scommessa sul Vermentino. Alla scoperta dei vini alle pendici del Monte Amiata. 

Un Consorzio quasi maggiorenne (nato nel 2000) per una denominazione alla prova dei 20 anni. Per la Docg del Montecucco questo è un anno importante, in cui tirare le somme di un lavoro che ha fatto conoscere al mercato, anche questa faccia del Sangiovese. Quella alle pendici del Monte Amiata e al di fuori delle vicine zone più blasonate, ma che non vuole più essere il fratello minore del più conosciuto Brunello. “Siamo incastonati tra la zona del Morellino e di Montalcino” dice Claudio Tipa (ColleMassari), presidente del Consorzio, al suo terzo mandato consecutivo. Facile comprendere le difficoltà a emergere in una zona così concorrenziale e a così alto tasso di concentrazione di Sangiovese.

Le origini

All'inizio è stata dura” continua Tipa, che nella zona ci è arrivato 20 anni fa “eravamo un gruppo di volenterosi, ma i vini erano ancora relegati a contesti familiari. La stampa, anche il Gambero Rosso, ci ha molto aiutato a capire cosa e come migliorare”. Oggi il Consorzio è rappresentato da 67 aziende produttrici - quasi tutte di piccole dimensioni - per una produzione di oltre 1,2 milioni di bottiglie. L'arrivo della Docg, nel 2011, ha sottolineato ancora di più come, per i produttori, sia il Sangiovese il punto di riferimento.

La vocazione biologica

Tra le peculiarità della denominazione, c'è una forte vocazione al biologico: 66% della produzione per il 50% delle aziende, oltre a quelle attualmente in conversione. “Essere biologici da queste parti è quasi la normalità” spiega il presidente “le condizioni climatiche sono ideali, con il vento che, grazie alla vicinanza al mare, soffia in qualunque periodo dell'anno, e alle notevoli escursioni termiche”. A questo si aggiunge una diffusa biodiversità: quasi tutte le aziende vitivinicole sono anche agriturismi, hanno uliveti e coltivano cereali. Motivo per cui ci si può permettere di avere solo vini di livello. Per dirla con Tipa: “Se si salta un'annata, per fortuna non si va in bancarotta”. Una condizione di “libertà”, che spiega anche certe decisioni controcorrente rispetto ai canoni di mercato, come le rese tra le più basse in Italia: solo 70 quintali per ettaro.

L'anomala vendemmia 2017

Si consideri, poi, una vendemmia come quella appena conclusa, che non si può di certo definire generosa: “All'inizio abbiamo avuto fretta”spiega il presidente e produttore“ma dopo la prima settimana di raccolta ci siamo fermati, pensando di non andare avanti se le condizioni fossero rimaste quelle che vedevamo. Essendo una denominazione giovane – o così almeno ci definiscono – non avevamo un termine di paragone, una vendemmia alle spalle simile a questa. La pazienza, alla fine, ci ha premiato e - con due settimane e mezzo di ritardo - abbiamo portato in cantina un buon prodotto, anche se il quantitativo ha subito una contrazione compresa tra il 20 e il 40%”.

 

La scommessa sui bianchi

Prossimo obiettivo del Consorzio è incrementare il mercato interno, attraverso fiere, anteprime ed eventi sul territorio, considerato che il 70% del prodotto finisce all'estero. In testa Svizzera e Germania, seguite dagli Stati Uniti e dal Nord Europa. C'è, poi, ancora da lavorare in direzione asiatica, dove al momento l'unico mercato davvero significativo è rappresentato dal Giappone. Altro fronte da non sottovalutare è quello dei bianchi. La grande scommessa è rappresentata dal Vermentino: una modifica del disciplinare ha, infatti, permesso di invertire il rapporto tra questo vitigno e il Trebbiano, a favore del primo. La sua produzione oggi rappresenta circa il 7% del totale (non si va oltre le 50 mila bottiglie), ma è già un traguardo eccezionale in una regione da sempre vocata ai grandi rossi. Degna di nota anche l'introduzione delle versioni rosè e passito, che rappresentano comunque un corollario delle aziende: il primo per intercettare il cosiddetto pubblico degli aperitivi (Collemassari ne propone addirittura una versione magnum), il secondo per riprendere e riproporre in chiave moderna la tradizione del Vin Santo, da sempre presente sul territorio.

 

Il lavoro di tutela

Infine, il lavoro sulla tutela. Ad agosto il Consorzio ha inviato al Ministero delle Politiche agricole una richiesta di opposizione all'istanza di modifica del disciplinare dell'Igp "Dealurile Zarandului" avanzata di produttori romeni in sede europea, per poter utilizzare l'uso della menzione Sangiovese. Pericolo scongiurato al momento, ma il fronte rimane aperto e la concorrenza - non sempre leale - su un vitigno così conosciuto, è e sarà sempre altissima.

 

La degustazione a Roma

Per conoscere da vicino quest’altra faccia della Maremma, alla Città del gusto di Roma, la scorsa settimana, si è tenuta una masterclass dedicata alla Doc Montecucco e alla Docg Montecucco Sangiovese rivolta a operatori, stampa, esperti e appassionati. A guidare la degustazione, Marco Sabellico (curatore della guida Vini d'Italia) e William Pregentelli (curatore della guida Berebene), che hanno definito questo rosso toscano: “un vino di grande stoffa, elegante e ben dosato”. “Un vino” ha aggiunto Tipa “che prende la gioiosità dal Morellino e la profondità dal Brunello”. Non è un caso che molti produttori si siano innamorati di questo terroir: “un vero e proprio territorio-calamita”, come ha notato Sabellico che ha “adottato” - accanto alla nutrita schiera delle famiglie storiche – diversi produttori venuti da lontano. Primo tra tutti lo stesso presidente del Consorzio che, passato quasi per caso da queste parti, ha poi finito per restarci e mettere vigne e radici. E come lui anche altri, ad esempio Stefano Sincini(Pianirossi) proveniente dal settore della moda; Giovanbattista Basile (azienda Basile); Ambrogio e Giovanni Folonari (Tenute Vigne A Porrona) e il gruppo Masi (Poderi del Bello Ovile).

 

a cura di Loredana Sottile

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Storia di Adriano Dalpez. Affinatore dei formaggi trentini

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Rendere qualcosa più fine. Affinare, perfezionare, ingentilire. Ma anche purificare, migliorare, modificare. L'affinatore (di formaggi) è tutto questo. Fa tutto questo. Vi raccontiamo la storia di Adriano Dalpez, deus ex machina della maggior parte dei formaggi di malga trentini. 

Un tempo l’affinamento era semplicemente la stagionatura del formaggio. Oggi l’affinatore è colui che parte dal formaggio, se ne prende cura, lo fa crescere e lo porta a maturazione completa. Un lavoro complesso che a volte può anche rovinare il prodotto, magari con una proteolisi mal gestita che consegna un sapore marcatamente ammoniacale. Ovviamente, non staremo qui a parlare di questo, ma di come un affinatore esperto riesca a migliorare le caratteristiche del formaggio, affidandosi, sì, alla natura, quindi all’ambiente, alla temperatura, all’umidità naturali; ma senza mai dimenticare le tecniche casearie e la chimica. Vi parliamo di Adriano Dalpez, fotografo, giornalista, Presidente per anni della Camera di Commercio di Trento; oggi l'affinatore più famoso del Trentino.

Adriano Dalpez

Viene da una famiglia di contadini della Val di Sole, Adriano, per il quale l'affinamento fa parte di conoscenze e pratiche tradizionali: “Da noi il formaggio fresco non era molto considerato, era un ripiego, così ci si cimentava sempre nella stagionatura, che un tempo coincideva con l'affinamento. Non a caso tradizione vuole che i formaggi d'alpeggio non possano essere tagliati prima di due mesi di agosto”. Quindi, considerando che i migliori formaggi vengono fatti nei mesi di luglio e agosto “quando le vacche si sono stabilizzate”, non prima dei dodici mesi di vita. Un tempo la pratica dell'alpeggio era una necessità: “Bisognava conservare il foraggio in fondo valle per i mesi invernali”. Ma col tempo è diventata il pretesto per una produzione di formaggi di qualità, in cui entrano in gioco fattori differenti. A cominciare dal casaro che interpreta il latte ogni giorno: “La temperatura indicativa per la rottura della cagliata, per esempio, è intorno ai 41° C, ma essendo il latte un prodotto vivo, non si può procedere solo tramite regole ferree. Ecco perché l'esperienza del casaro è fondamentale. È lui che in base al tempo meteorologico, alla carica batterica o all'acidità del latte calibra la temperatura e la mescolata, che deve essere di norma lenta e non a fuoco troppo vivo, per arrivare a una cagliata molto sottile, quasi come quella del grana”. La saggezza, la pratica e la sensibilità del casaro sono fondamentali per la riuscita del lavoro dell'affinatore. Figura professionale (recente) che sceglie i formaggi adatti alla stagionatura e si prende cura di loro.

Formaggi di malga al sole

Affinare, a cominciare dalla scelta delle forme di formaggio

Nonostante in Trentino questa figura professionale non sia ancora così affermata, esistono persone che con passione e professionalità portano avanti il discorso” spiega Adriano. Ma in che consiste esattamente il ruolo dell'affinatore moderno? “Innanzitutto è fondamentale la scelta dei formaggi: io mi reco di persona negli alpeggi, dove ho anche alcune vacche di proprietà, e individuo le forme più adatte alla stagionatura, ovvero quelle che pesano dagli 8 ai 10 kg, non troppo grandi e dalla grana fitta. Ovviamente senza il rapporto di fiducia con alcune malghe e casari, non potrei fare nulla perché la qualità della materia prima dipende per buona parte dal lavoro che si fa nel pascolo e durante la caseificazione”. L'affinatore di Malè predilige le forme totalmente scremate, fatte con latte proveniente da almeno due vacche. D'altra parte è un estimatore della tradizione: “Un tempo non esistevano formaggi semigrassi o grassi. Per prima cosa perché il burro (risultato del latte scremato) era considerato una moneta di scambio, poi perché il formaggio magro si prestava di più alla lunga stagionatura. Evitando tra l'altro quella piccantezza tipica dei formaggi grassi”. Tra le malghe con cui collabora: la Strino, la Caldesa, la Villar, la Senagge e la Malga Cercen in Val di Rabbi, “valle in cui c'è grande tradizione di casari”.

Le diverse fasi dell'affinamento

Dopo aver individuato il cavallo (si spera) vincente, Adriano porta le forme di formaggio “compatte e pesanti” nella sua cantina a Malè, a temperatura (intorno ai 15° C) e umidità controllate. Qui le mette su assi di abete - “no larice perché profuma troppo” - e si concentra sulla fase del rivoltamento, durante la quale le forme vengono rigirate ogni giorno per almeno i primi tre mesi. Dopodiché il formaggio viene lavato e messo ad asciugare per qualche ora al sole, “questo consente la fuoriuscita di glicerine naturali che proteggono il formaggio, senza alcun bisogno di utilizzare additivi”. Dopo 9 mesi è pronto per essere mangiato.“Durante questo periodo continuo a lavare la crosta per togliere ogni forma di impurità: nella nostra valle siamo abituati a consumare anche questa parte, un po' come i francesi, perché senza ombra di dubbio è quella che conferisce molto sapore al formaggio”. Non tutto però fila sempre liscio. “Normalmente nelle varie fasi saltano fuori piccoli difetti in alcune forme, in questi casi il formaggio interrompe la sua corsa verso la stagionatura e viene destinato al consumo. Superano l'esame solo un 20% di forme”. Ma quelle che arrivano al traguardo sono incredibilmente buone, dal sapore che esprime una miriade di fattori, dalla razza al tipo di alimentazione dell'animale. E poi c'è l'ambiente in cui vive, con prati e pascoli fioriti in ogni stagione. Sono dei formaggi non standardizzati, che riescono a sopravvivere nonostante le rigide norme igienico sanitarie.

Forme di formaggi di malga durante la stagionatura

La legislazione e il Fermalga

Le tante normative europee e italiane igienico sanitarie introdotte nel settore penalizzano eccessivamente i sapori e tendono a standardizzarli. La sfida è quella di trovare il giusto equilibrio tra gusto e sicurezza alimentare, cercando di sconfiggere l'appiattimento del prodotto dal punto di vista del gusto e della qualità”. Sulla stessa onda il progetto “Fermalga”, portato avanti dalla Fondazione E. Mach dell'Istituto Agrario di S. Michele, con il sostegno dell’Ente camerale; volto alla salvaguardia della biodiversità e della tipicità nelle produzioni casearie delle malghe trentine. “Si tratta di un fermento ottenuto da latte proveniente dagli alpeggi di tre macrozone del Trentino, che in poche parole vuole tutelare il patrimonio microbico ed enzimatico nel latte di partenza. A vantaggio di un prodotto finale in grado di conservare aromi e profumi dei nostri pascoli”. Il consiglio è di andarlo a trovare nella sua piccola azienda, Luganegheformai, nel cuore della Val di Sole.

 

Luganegheformai | Malè (TN) | via Molini, 25 | tel. 334 3737377 | www.luganegheformai.it

 

a cura di Annalisa Zordan

foto di: www.facebook.com/valdisole/

Dove comprare il tè a Pescara: 3 negozi seri e specializzati

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Sorseggiare un tè di qualità a Pescara non è un sogno impossibile: negli ultimi anni, diversi appassionati del genere hanno scelto di scommettere su questo prodotto, dando vita a spazi originali e format insoliti. Tre sale da tè originali da provare a Pescara.

Non si può raccontare la tradizione gastronomica abruzzese con i suoi profumi, sapori, racconti centenari e ricette, senza nominare Pescara, una delle località più vivaci sul fronte della ristorazione, che vanta una serie di piatti tipici di mare e di terra dal gusto unico. Una cucina schietta, autentica, senza fronzoli, proprio come la gente del luogo, una cucina dall'anima antica, rimasta ferma nel tempo senza per questo risultare banale. La tavola pescarese è ricca di prelibatezze legate alla tradizione contadina e pastorale, oltre ai piatti tipici dei pescatori. Negli anni, però, format più innovativi e soluzioni moderne si sono andati ad aggiungere alla lunga lista di indirizzi validi che propongono una cucina di territorio. Fra street food e pizzerie di qualità, ha infatti iniziato a prendere piede anche la tendenza delle sale da tè. Ecco una lista di tre realtà specializzate su infusi e tisane nella località abruzzese.

Flatlandia vegan boardgame café

I fan di Edwin A. Abbott riconosceranno sicuramente il titolo della sua opera più celebre, “Flatlandia”, il racconto di un universo bidimensionale immaginario che per la prima volta entra in contatto con l'abitante di un mondo tridimensionale. È proprio dalla voglia di creare uno spazio nuovo, ancora sconosciuto, che nel 2013 nasce Flatlandia, vegan boardgame café, un ristorante vegano con un'attenzione particolare ai prodotti di agricoltura biologica, ma anche una ludoteca, un negozio di giocattoli, e pure una sala da tè. Un locale poliedrico in grado di rispondere alle diverse esigenze della clientela, anche quella più giovane, nato dall'amore per i giochi da tavolo e per la natura. Qui, si possono gustare bevande bio e birre artigianali, spremute di frutta di stagione, piatti vegani e naturali e un'ampia selezione di tè e infusi da degustare o acquistare: “Abbiamo molte tisane biologiche, confezionate e sfuse, e poi tè floreali, tè matcha, verde, bianco, che serviamo al tavolo secondo precisi rituali, con tutte le attrezzature necessarie”.

 

Flatlandia

Flatlandia vegan boardgame café | Pescara | viale Marconi, 224 | tel. 08 52122369 | www.flatlandia.org/

I giardini del the

Ho seguito dei corsi di degustazione a Roma, e mi sono da subito appassionata a questo mondo ricco di leggende, miti, racconti. A Pescara non esisteva un luogo dedicato a questa bevanda, e così ho deciso di intraprendere una nuova avventura”. A parlare è Cecilia Guidi, titolare della sala da tè aperta nel 2014 e divenuta in poco tempo un punto di ritrovo per tutti gli amanti del genere a Pescara. Circa 45 tipologie di tè in foglie da Cina, Giappone, Ceylon, India, più tisane e infusi di frutta, da acquistare per casa o gustare comodamente seduti ai tavoli. Ma non finisce qui, perché I giardini del the è anche ristorante, “proponiamo una cucina prettamente a base di verdure, molto attenta alla stagionalità”, e bottega, “vendiamo spezie e alcuni prodotti di nicchia, come le confetture biologiche, marmellata, mieli pregiati e conserve”. Cuore pulsante dell'attività, però, resta il tè, una specialità che continua a raccogliere l'entusiasmo del pubblico di tutta Italia, Pescara compresa: “Non pensavo potesse suscitare tanto interesse, invece molte persone hanno cominciato anche a pasteggiare con il tè; un vero passo avanti per questo settore”.

 

tè i giardini del the

I giardini del the | Pescara | via Nicola Fabrizi, 20 | tel. 328 8281020 | www.facebook.com/I-Giardini-del-The-862332323779374/

I Luoghi dell'anima

“Benessere è anche conoscenza di ciò che ci fa bene”. Questo lo slogan del locale, libreria, emporio e sala da tè, uno spazio con un occhio di riguardo all'alimentazione naturale e la dieta sana, e soprattutto all'agricoltura biologica: “Ogni alimento acquistato da produttori e rivenditori che sostengono questo tipo di coltivazione contribuisce a conferire gusto e nutrizione al nostro corpo, e a onorare la terra che ci rende i suoi frutti”. Fra libri di ogni tipo, specialità dolci e salate, qui si possono trovare anche tè di qualità, firmati Pukka, Yogi Tea, Meridiani e molti altri marchi pregiati, in bustina oppure sciolti. Ogni infuso, tisana e tè può poi essere consumato anche in loco, “accompagnato da biscotti e dolci vari, con confetture, mieli, cioccolate, tutte le prelibatezze dolci che contraddistinguono il rituale del tè”. Aperto nel 2012, I Luoghi dell'anima si è imposto fin da subito come punto di riferimento per tutti i sostenitori del bio, elemento protagonista che per il team del locale rappresenta “un modo per prendersi cura dell'ambiente in cui viviamo e della salute del nostro corpo che nutriamo con i suoi prodotti”.

 

I luoghi dell'anima

I Luoghi dell'anima | Pescara | via Campobasso, 14 | tel. 392 9894739 | www.librerialuoghidellanima.com/

a cura di Michela Becchi

Dove comprare il tè a Milano: 6 negozi seri e specializzati

Dove comprare il tè a Bolzano e Merano: 3 negozi seri e specializzati

Dove comprare il tè a Bologna: 4 negozi seri e specializzati

Dove comprare il tè a Firenze: 3 negozi seri e specializzati

Dove comprare il tè a Palermo: 4 negozi seri e specializzati

Dove comprare il tè a Torino: 8 negozi seri e specializzati

Forum Internazionale su Alimentazione e Nutrizione 2017. Reportage dal convegno di Milano

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Spreco di cibo, fame nel mondo, sostenibilità: sono molteplici i temi da affrontare in campo agroalimentare per garantire un sistema alimentare migliore alle nuove generazioni. I punti chiave del Forum Internazionale su Alimentazione e Nutrizione di Milano.

I paradossi del sistema alimentare

815 milioni di persone nel mondo soffrono la fame, ossia l’11% della popolazione globale. E mentre è ancora alto il numero di chi è obeso o in sovrappeso, nel mondo 1/3 del cibo prodotto viene gettato, anche prima di essere commercializzato”. A parlare è Luca Virginio, Vice Presidente BCFN, la Fondazione Barilla Center for Food & Nutrition, organizzazione che da anni contribuisce alla ricerca scientifica internazionale sui sistemi agroalimentari sostenibili. Con queste parole chiare e allarmanti, Virginio ha introdotto l'ottava edizione del Forum Internazionale su Alimentazione e Nutrizione di Milano, un evento interdisciplinare aperto a tutti, iniziato sabato scorso, che oggi si conclude, dopo una tre giorni di dibattiti e convegni. L'obiettivo? Cercare soluzioni intelligenti ai grandi paradossi e alle più intricate controversie del nostro sistema alimentare: “Dobbiamo ripensare i nostri modelli se vogliamo centrare gli obiettivi di sostenibilità dell’Agenda 2030 dell’ONU. Per pesare meno sul nostro futuro dobbiamo fare qualcosa di concreto, partendo da quello che mettiamo ogni giorno nel piatto”.

La donazione sui social

Quest'anno, inoltre, l'evento gode del patrocinio del World Food Programme, la più importante organizzazione umanitaria impegnata a contrastare la fame a livello globale. “Portare cibo significa portare la vita”,ha dichiarato Tiziana dell’Orto, direttore Generale del WFP Italia, che aggiunge: “Questa edizione del Forum darà a tutti i partecipanti l’opportunità di sostenere con una donazione il lavoro del WFP attraverso una campagna sui social promossa grazie alla Fondazione Barilla. Il WFP è finanziato solo su base volontaria; abbiamo bisogno del contributo di tutti: individui, aziende, istituzioni, governi”.

Obiettivo: consapevolezza dei consumi

Una manifestazione che ha riunito a Milano accademici ed esperti internazionali per ricordare le responsabilità derivanti dal privilegio dell’accesso, della scelta e dello spreco del cibo. Ma l'edizione appena conclusasi ha previsto, oltre agli operatori del settore, un'altra grande fetta di pubblico, per la prima volta co-protagonista dell'iniziativa: i bambini, ovvero i consumatori del futuro. Barilla ha aperto le porte anche ai più piccoli, organizzando per loro una serie di laboratori interattivi in grado di far capire come ogni scelta possa influenzare l'intero ingranaggio agroalimentare. Perché l'obiettivo ultimo del Forum è proprio quello di formare consumatori consapevoli, attori sociali responsabili, consci che il piatto è il bandolo di una rete di relazioni, di storie, di vite a cui siamo connessi e che possiamo trasformare.

Cambiamenti climatici

Allarme clima: una problematica ancora irrisolta. Un dato su tutti emerge durante il convegno, ovvero lo stretto legame fra cambiamento climatico e flussi migratori: ogni punto percentuale di aumento dell'insicurezza alimentare costringe, infatti, l'1,9% della popolazione a migrare. Per far fronte a queste complicazioni, BCFN ha realizzato con MacroGeo, società di ricerche geopolitiche presieduta da Lucio Caracciolo, uno studio su migrazioni e cibo nell'area mediterranea, analizzando risorse, flussi e rotte migratorie in relazione ai diversi sistemi alimentari.

Food sustainability index

Fra le conferme di questa edizione, torna di nuovo il Food sustainability index, progetto voluto da Barilla e lanciato per la prima volta un anno fa, un indice che considera non solo il piacere della tavola, ma anche le conseguenze del sistema alimentare in termini di sostenibilità. Una mappatura a livello globale che prende in considerazione non solo i prodotti e la cultura gastronomica di un Paese, ma anche le pratiche che questo utilizza per produrre il cibo, per distribuirlo e per ridurre l’impatto delle proprie attività; un metodo in grado, quindi, di decifrare la sostenibilità dei sistemi agroalimentari dei maggiori Paesi sulla base delle scelte negli ambiti della nutrizione, dell’agricoltura e dello spreco. E la nuova edizione dell'indice porta con sé una piacevole sorpresa: l'introduzione di altre 9 nazioni (Spagna, Marocco, Grecia, Portogallo, Tunisia, Libano, Giordania, oltre a Svezia e Ungheria), che si aggiungono alle 25 già inserite l'anno scorso in elenco.

a cura di Michela Becchi

A Londra continua la lotta all'obesità infantile. No fast food vicino alle scuole

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Mai come nel 2017 il tema dei pasti nelle scuole ha infiammato genitori e operatori scolastici, che continuano a battersi per dirimere l'annosa gestione del servizio di ristorazione delle mense. E ora il Regno Unito si batte contro l'apertura dei fast food nelle vicinanze degli istituti.

Obesità infantile nel Regno Unito

Era il 21 luglio scorso quando, un anno dopo la sentenza della Corte d'Appello di Torino che consentiva ai genitori di rinunciare alla mensa scolastica provvedendo loro stessi ai pasti dei bambini, si riaccendeva la polemica circa l'alimentazione dei più piccoli nelle scuole italiane. Un dibattito ancora aperto, che continua a destare l'indignazione delle famiglie e degli insegnanti, in Italia ma anche all'estero. Servizi di ristorazione a parte, quello della dieta infantile è un tema caldo, sempre più battuto da nutrizionisti, medici, chef e addetti ai lavori di tutto il mondo. Soprattutto in Inghilterra dove, nell'estate del 2016, le dichiarazioni della premier Theresa May avevano scatenato la reazioni di chi nella lotta al junk food ci ha sempre creduto, come lo chef Jamie Oliver. Il Primo Ministro, infatti, di fronte al compito di rafforzare economicamente il Paese in vista della Brexit, aveva scelto di privilegiare l’industria alimentare, annunciando una evidente marcia indietro rispetto alle misure drastiche promesse dal governo contro il cibo spazzatura, come in passato è stato per l’introduzione della tassa sulle bibite zuccherate (tra le cause principali di obesità infantile), che è rimasta comunque in vigore.

Il nuovo progetto

Ancora una volta, i riflettori del sistema alimentare si accendono sulla Gran Bretagna, in particolare su Londra, dove ai ragazzi potrebbe presto essere vietato il consumo di junk food durante la pausa pranzo. Perché la lotta all'obesità infantile continua, con un'iniziativa del sindaco della capitale, Sadiq Khan, che, stando a quanto riportato dall'Evening Standard, ha annunciato di voler istituire un divieto a livello cittadino per tutti i ristoranti fast food che hanno intenzione di aprire una nuova sede entro 400 metri dal territorio scolastico. Con oltre il 40% di bambini in sovrappeso, Londra detiene attualmente il primato nazionale di obesità infantile, una problematica da risolvere al più presto, definita da Khan come una “bomba a orologeria”. La nuova zona “no-burger” voluta dal sindaco non contemplerà le catene di fast food già presenti nell'area, ma vieterà l'accesso a tutte le nuove insegne. I ristoratori che volessero intraprendere un'attività attorno agli istituti dovranno, dunque, porre maggiore attenzione alla sicurezza alimentare e ai principi di una dieta sana ed equilibrata riducendo, per esempio, la quantità di cibi fritti, e migliorando la qualità dell'offerta, prediligendo materie prime fresche e di stagione.

Gli ostacoli

Un progetto studiato con intelligenza e sensibilità, che però ha già incontrato l'ostilità di tutte le catene di ristorazione veloce. Secondo una mappa realizzata dall'analista Dan Cookson, infatti, se la regola venisse applicata sul territorio londinese resterebbero pochissimi spazi adatti ai fast food (attualmente circa 8mila nel perimetro urbano), lontano dalle scuole. Qualche parco, un sito industriale e poche altre le zone idonee per questa tipologia di ristorazione, che non avrebbe più la possibilità di aprire neanche nella maggior parte dei centri commerciali, spesso situati a poca distanza dagli istituti scolastici.

L'educazione alimentare

Nonostante le problematiche, il sindaco sembra determinato a intraprendere questa strada, continuando la sua battaglia contro l'obesità infantile che, ribadisce, non vuole essere una minaccia alle imprese dei fast food: “I ristoranti da asporto sono una parte fondamentale della vita londinese”, ha commentato, “ma è importante che non incoraggino i nostri figli a fare scelte alimentari sbagliate”. Perché la consapevolezza inizia fin da giovanissimi, con un'opportuna educazione sull'argomento. In casa, prima di tutto, ma anche nelle scuole, attraverso un servizio di ristorazione adeguato, lezioni dedicate, laboratori e anche – laddove necessario – delle regole in grado di contribuire, fin da subito, a formare futuri consumatori attenti e consapevoli. Le no-burger zone prenderanno piede?

a cura di Michela Becchi

Anti panettone: i migliori vegani di Natale

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Non è stato facile, ma siamo riusciti a trovare dei grandi lievitati natalizi vegani, dolci simili al panettone ma realizzati senza uova, né burro, né latte. E, cercando bene, siamo anche riusciti a trovarne alcuni validi. Perché, inutile girarci intorno, in questi dolci i limiti imposti dal regime alimentare vegano si fa sentire.

Quest'anno le prove per il panettone sono state tantissime nella redazione del Gambero Rosso: con ben tre degustazioni realizzate alla cieca (per ora, ma ce ne saranno delle altre) da un panel costituito da pasticcieri, esperti in analisi sensoriale, giornalisti e critici enogastronomici, e anche un chimico industriale, con ripetuti allineamenti e riassaggi con l’obbiettivo di stilare classifiche il più equilibrate possibile. Nelle tre sessioni abbiamo voluto scoprire il migliore panettone della sua categoria: alta pasticceria, aziende specializzate e, ultima, vegano. Ebbene sì. Noi lo abbiamo chiamato anti panettone, perché panettone, anche ai termini di legge, non si può chiamare. Si tratta di prodotti che soddisfano la richiesta di una piccola fetta di consumatori che segue un'alimentazione priva di derivati animali, “il 2,8% della popolazione adulta” precisa Paola Cane, direttore dell'Osservatorio VEGANOK (il 3% secondo il Rapporto dell’Eurispes e la ricerca Eurisko pubblicati nel 2017, che però includono i bambini n.d.r.), con un incremento del 2,1% rispetto al 2016 e un giro d'affari intorno ai 700 milioni di euro”. Un mondo, quello vegano, attualmente senza regole. “Non esistono linee guida dell'alimentazione vegetariana e vegan, nonostante siano state invocate dal regolamento UE 1169/2011, articolo 36” denuncia Paola Cane “attualmente ci sono solo autocertificazioni volontarie e disciplinari privati che possono essere più o meno talebani o permissivi”. Un far west del cibo animal e cruelty free con una crescita non solo dei consumi: anche della palatabilità, di pari passo all'aumento della domanda, “soprattutto nei dolci, come è successo con i prodotti gluten free”. La prova provata è il dolce di Natale primo classificato, vegan correct sì, ma non punitivo. La dimostrazione che quando si getta il cuore oltre l'ostacolo ortodossia vegana e bontà possono andare d'accordo.

Comunque la pensiate c'è sempre più interesse per questo regime alimentare che, nel caso specifico dei dolci tipici del Natale, incappa in ostacoli di non poco conto: il divieto di utilizzare burro, uova e latte esclude tre degli ingredienti principali di questi lievitati. Non è stato semplice, per noi, trovare delle alternative valide.

 

La classifica

Panettone vegano Sammarco

1 classificato - Panterrolio

È vegan correct ma non punitivo. Il segreto del Panterrolio è quello di non scimmiottare il panettone classico. Antonio Cera, titolare del forno Sammarco, fa cose strane ma non astruse. Nel suo dolce di Natale animal free ha sbrigliato la creatività e l'ha sposata al territorio centrando in pieno l'obiettivo. Farina di grano tenero Abbondanza integrale, zucchero, olio evo di peranzana, burro di cacao, lecitina di soia, olive (cellina di Nardò candite da Corrado Assenza) e cioccolato – e nient'altro! – uniti al lievito madre danno vita a un dolce basso che nell'aspetto esterno è molto vicino al fratello burro e uova, con la superficie color castagna. L'impasto è violaceo e un po' serrato ma soffice, arricchito da gocce di buon cioccolato e dalle succulenti olive semicandite al posto di uvetta e agrumi. Il naso ci porta in un affascinante mondo vegetale fatto di sentori minerali e tostati, di legno, mandorle, carrube, lievito madre e buon pane integrale raffermo. Il sapore è gradevolmente austero e poco dolce. Lascia la bocca un po' grassa e patinata ma senza disturbare più di tanto.

1 kg prezzo 39/50 euro

Sammarco | San Marco in Lamis (FG) | via Lungo Jana, 10 | tel. 3930426463 | fornosammarco.com

 

Panettone vegano Tabiano

2 classificato - La Focaccia 100% Vegan

È la focaccia in puro stile Tabiano-Gatti: bassa, lucida e marroncina, qui spolverata da semi di lino e di sesamo al posto dell'uvetta e con l'amabile mollica rarefatta, sofficissima, setosa e molto umida, che nella variante vegan diventa color cappuccino grazie ai grani antichi tostati (orzo e grano del miracolo) aggiunti alla farina di frumento tipo 00 e 1, allo zucchero di canna e una crema di nocciole a base di tonda gentile trilobata e di cacao magro, in sostituzione di uvetta e canditi. Al naso arrivano note alcoliche e liquorose, da un paio d'anni il leit motive della focaccia, accompagnati da interessanti richiami al malto d'orzo, a cose torrefatte e tostate (caffè, cioccolato, nocciole), a intriganti accenti cupi e boschivi. Dolcezza poco dolce, un po' stucchevole la cremina contenuta nell'impasto, che ricorda il rinforzo caffè. Lascia la bocca un po' patinata.

1 kg prezzo 35/46 euro

Pasticceria Tabiano di Claudio Gatti | Salsomaggiore Terme (PR) | fraz. Tabiano Terme v.le alle Fonti, 7 | tel. 0524565233 | pasticceriatabiano.it

 

Panettone vegano Vergani

3 classificato e miglior rapporto qualità/prezzo - MilanoVeg®

È il marchio registrato del dolce di Natale vegano, con uva sultanina e cubetti d'arancia canditi, prodotto da Vergani dal 1944, azienda dolciaria dedicata ai panettoni nata nel 1944. MilanoVeg® è simile al classico panettone, realizzato con zucchero di canna, margarina vegetale a base di olio di riso, burro di cacao, olio evo e lecitina di girasole in sostituzione del burro, aromatizzato con vaniglia Bourbon, come emulsionanti mono e digliceridi degli acidi grassi e lecitina di soia. Basso, con la cupola marroncina priva di glassa, dentro una scarpetta a forma di quadrifoglio, ha una struttura pallida e serrata ma abbastanza soffice e filante, con una buona presenza di canditi e uvetta. Odore e aromi sono tipici, con i caratteristici richiami alla frutta accompagnati da note alcoliche, legnose e vintage. Chiude amaro e un po' citrico.

750 g prezzo 14,90/18 euro

Vergani dal 1944 | Milano | via Oristano 5 | tel. 022571069 | milanoveg.com

 

Panettone vegano Gerri

4 classificato - Dolce di Natale vegan

Accanto a una produzione artigianale di panettoni classici, Germano “Gerri” Labbate propone una versione vegan del dolce di Natale, dove l'impronta di pasticceria è associata a una ricetta che si avvicina il più possibile al tradizionale: farine macinate a pietra, canditi e pasta di arancia artigianali, vaniglia del Madagascar, olio di riso al posto del burro, lecitina di soia in sostituzione delle uova, uniti a un lievito madre conservato in acqua secondo il metodo piemontese. All'occhio sembra un classico panettone basso e non glassato, con il taglio a croce sulla cupola rossiccia. La mollica è giustamente anemica, molto serrata, compatta e “sbriciolosa” con scarsa presenza di canditi. L'odore è timido, vegetale e un po' vintage. Il gusto è poco dolce e citrico, gli aromi richiamano il lievito, il mondo vegetale, le spezie (semi di finocchio, noce moscata, lieve anice), gli agrumi. Buona l'uva sultanina, un po' troppo cedevoli i canditi.

1 kg prezzo 35/55 euro

Cafè du Soir – Gerri | Agnone (IS) | via Roma, 33 | tel. 086577325 | cafedusoiragnone.it

 

Panettone vegano Olivieri

Fuori classifica - Il Veganettone di Olivieri

Tra gli anti panettoni vegani in lizza è quello più simile al classico dolce di Natale. Peccato che nel campione assaggiato un problema di cottura abbia rovinato la festa. Nel Veganettone di Olivieri, basso e coronato da una glassa tipo Buondì, la mollica giustamente pallida aveva la struttura estremamente soffice e umida che si appiccicava al palato. Anche profumi e aromi confermavano la cottura incompleta: farina di buona qualità e ben condita di cedro Diamante di Calabria (bio candito in casa) ma un po' cruda, lievito madre gestito correttamente tuttavia ancora attivo, insieme a piacevoli e puliti sentori di pane, agrumi e vaniglia naturale (Bourbon), a ricordi speziati. Un incidente di percorso che è costato a Olivieri (4° nella classifica di panettoni classici di pasticceria che trovate sul mensile) l'ingresso nel ranking dei dolci vegani.

1 kg prezzo 28/37 euro

Olivieri 1882 | Arzignano (VI) | via Alberti, 13 | tel. 0444670344 | olivieri1882.com

 

a cura di Mara Nocilla

foto di Alberto Blasetti

 

Se vi interessa sapere anche quali sono i migliori panettoni classici, con uvetta e canditi, sia quelli di alta pasticceria, acquistabili nei negozi specializzati, che quelli di aziende specializzate nei grandi lievitati italiani, più semplici da reperire, leggete il numero di dicembre del Gambero Rosso, dove troverete le classifiche complete: ben 34 assaggi alla cieca per scoprire il migliore di ogni categoria e i consigli per riciclare con gusto i panettoni avanzati.

Articolo uscito sul Gambero Rosso di dicembre. Un numero tutto rinnovato che potete trovare in edicola o in versione digitale, su App Store o Play Store . Abbonamento qui

 

Pasta mania. Da New York a Milano: il fast food del Greenwich Village, il raddoppio di Miscusi

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Spaghetti con meatballs a New York, carbonara con pasta fresca e homemade a Milano. Ognuno lo interpreta come più gli piace, ma il pasta bar è un'idea di sicura presa su un pubblico trasversale. Al Greenwich Village ci pensa Mark Ladner, con Pasta Flyer. A Milano, il ristorante della pasta, con mulino annesso, raddoppia in zona Stazione Centrale.  

Pasta Flyer. Il fast food della pasta

C'è voluto qualche mese più del previsto, ma alla fine, all'inizio di novembre, Mark Ladner ha finalmente concretizzato il sogno di aprire un fast food tutto dedicato alla pasta, al Greenwich Village. Con Pasta Flyer, l'ex chef di Del Posto (dov'è stato per oltre 10 anni a capo della brigata), un passato blasonato e una passione per l'Italia sviluppata in seno alla premiata ditta Batali&Bastianich, ha messo a punto un format ispirato dalle precedenti incursioni della cucina d'autore nel casual dining, che a New York ormai non si contano più. Il suo segreto? La pasta, rigorosamente al dente, pronta in tre minuti (precotta prima del servizio, sì, e questo farà storcere il naso a molti). 7 dollari per porzione – il prezzo d'ingresso per una pasta alla marinara - tanti formati diversi e altrettanti condimenti del giorno, che strizzano l'occhio alla tradizione popolare tricolore: pesto, arrabbiata, ragù della nonna, cavolfiori e uvetta, cime di rapa, ricotta e peperoncino. E pure le mitiche Fettuccine Alfredo. Con un alleato 100% italiano d'eccellenza, il Pastificio Felicetti. Qualcuno già l'ha ribattezzato il McDonald's della pasta, in modo non proprio lusinghiero.

 

Veloce, semplice, buona

Eppure l'obiettivo di Ladner, quando ha scelto di uscire dalle mura di una grande cucina, era proprio questo: semplificare spazi, pratiche, tempi. E offrire un servizio informale – il cliente ordina al banco, il personale provvede ad assemblare gli ingredienti, il piatto viene presentato in vassoio, e poi ognuno sceglie un tavolo dove accomodarsi – veloce, da fast food consumato. Al bando velleità foodies, la ristorazione informale “non necessariamente deve avere una connotazione negativa”, spiega Ladner a chi lo interroga sulla svolta. Purché la qualità del prodotto, e del risultato finale, resti il focus su cui concentrarsi: piatti semplici, ma ben fatti. In accompagnamento una serie di sfizi che strizzano l'occhio alla tradizione italiana così com'è interpretata oltreoceano: crocchette di pane fritto all'aglio, parmigiana di melanzane con pesto, insalata con lenticchie e pecorino. Il simbolo dell'esperimento? Spaghetti with meatballs, i celeberrimi spaghetti serviti con topping di polpette al sugo che hanno forgiato il mito degli italiani in America nel mondo (ma poco hanno a che fare con l'autentica tradizione italiana). Il progetto, inutile nasconderlo, è stato concepito per essere scalabile. Se i primi mesi daranno ragione allo chef, allora New York potrebbe essere invasa da punti vendita di Pasta Flyer.

 

Pasta mania a New York

Ma che la pasta mania, in città, sia all'ordine del giorno, lo dimostrano altre novità degli ultimi mesi. Come il Sola Pasta Bar, ideato dallo chef varesino Massimo Sola al 330 di West Broadway (SoHo): atmosfera informale, si mangia anche al bancone che circonda la cucina, vero cuore del locale. Nel piatto fettuccine alla bolognese, linguine con i calamari, penne all'arrabbiata. Olio extravergine e pomodoro in arrivo dall'Italia, per un menu di alto profilo che scommette sulla semplicità di un piatto di pasta ben fatto. Dallo stesso universo nasce l'ispirazione di Raviolo, “il nuovo Dim Sum italiano” che Paolo Meregalli, proprietario di Mulino a Vino, ha aperto al West Village all'inizio dell'autunno scorso. Con la consulenza dello chef Massimiliano Eandi (dal Combal.Zero a Gordon Ramsey, prima di approdare da Mulino a Vino), la pasta ripiena diventa pretesto per servire piccoli assaggi della Penisola: pollo e patate, polpo alla Luciana, fegato alla veneziana, parmigiana, caprese. Tutto in un raviolo, in abbinamento a bollicine e cocktail in arrivo dal gin tonic bar.

Il raddoppio di Miscusi a Milano

Intanto, in Italia, è Milano (dove ricordiamo è appena approdata anche la leggendaria cacio e pepe di Felice a Testaccio) a celebrare il successo del format. Da un'idea di Filippo Mottolese e Alberto Cartasegna, Miscusi ha aperto la prima sede in città all'inizio del 2017, con l'idea di dedicare un ristorante monotematico alla pasta, fresca e prodotta in loco, nel pastificio annesso al locale, con tanto di mulino a vista. Pochi piatti in menu, solo pasta fresca, ricette semplici e condimenti fissati dalla tradizione regionale tricolore: il pesto, la carbonara, il sugo di pomodoro fresco, le cime di rapa. Prezzi che oscillano dai 6 ai 12 euro. Una formula talmente indovinata da garantire il raddoppio con qualche mese d'anticipo sulla prima candelina: da qualche giorno, la seconda sede di Miscusi ha inaugurato in piazza San Camillo De Lellis, zona Stazione Centrale. Stessi ingredienti per una proposta che sembra piacere proprio a tutti. A quando il prossimo locale?

 

Pasta Flyer | New York | Greenwich Village | 510, 6th Avenue | www.pastaflyer.com

Sola Pasta Bar | New York | 330, West Broadway (SoHo) | www.chefsola.com/pasta-bar

Raviolo | New York | 57, 7th Avenue South | www.raviolonyc.com 

Miscusi | Milano | piazza San Camillo De Lellis | www.miscusi.com 

 

a cura di Livia Montagnoli


28 assaggi da Top of Vini Alto Adige

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Oltre 100 etichette altoatesine in assaggio a Bressanone, le più premiate dalle guide di settore, con tanti, tantissimi bianchi, come tra tradizione locale, e qualche bella etichetta rossa. Parliamo di Top of Vini Alto Adige di Bressanone.

Per festeggiare il crescente successo dei vini altoatesini, il 1 dicembre si è tenuta a Bressanone Top of Vini Alto Adige: una degustazione con oltre cento etichette scelte tra le più premiate dalle Guide di settore (Gambero Rosso, Slow Wine, L’Espresso, Doctor Wine, Vitae, Vini Buoni, Veronelli, e Bibenda).

images/Top_Alto_Adige_IDM_Clemens_Zahn_Castello_Lebenberg_300_1.jpgCastello Lebenberg Clemens Zahn

Vini altoatesini: un successo (anche) di critica

Nella valutazione delle principali Guide italiane, i vini dell’Alto Adige hanno conquistato per 191 volte il massimo dei voti, con ben 27 Tre Bicchieri nella guida Vini d'Italia del Gambero Rosso. Il vino che ha messo tutti d’accordo quest’anno è stato l’A. A. Müller Thurgau Feldmarschall von Fenner ’15 di Tiefenbrunner, che ha ottenuto il massimo dei voti in sei diverse guide enologiche. Lo seguono da vicino l’A. A. Gewürztraminer Nussbaumer ’15 della Cantina Tramin e l’A. A. Val Venosta Riesling Windbichel ’15 della Tenuta Unterortl, con cinque riconoscimenti ciascuno. Tre vini hanno ottenuto un riconoscimento in quattro guide enologiche: l’A. A. Terlaner Sauvignon Quarz ’15 e l’A. A. Terlaner Rarity ’91 della Cantina Terlano, e l’A. A. Lagrein Mirell ’14 della Tenuta Waldgries.

Inoltre 11 vini sono stati premiati in tre guide ciascuno, 19 in due e ben 93 sono quelli che hanno ottenuto una singola menzione. In totale sono 36 i vini ad avere ricevuto più di un riconoscimento: 20 sono vini bianchi, 11 sono rossi, 4 dolci e un Metodo Classico. La cantina altoatesina più premiata è stata la Cantina Terlano, che ha conquistato complessivamente 14 riconoscimenti. Le cantine di San Michele Appiano e Girlan e la Tenuta Tiefenbrunner condividono il terzo posto con nove premi ciascuna. Castel Juval si è aggiudicato sette valutazioni al top, mentre la Cantina di Bolzano, la Tenuta Waldgries e la Tenuta Köfererhof hanno ottenuto sei riconoscimenti.

images/Top_Alto_Adige_IDM_Florian_Andergassen_Bassa_Atesina_Tenuta_Baron_Longo_300_2.jpgTenuta Baron Longo Florian Andergassen Bassa Atesina

Alto Adige: un piccolo territorio di grandi vini

Il numero dei premi assume un valore ancora più alto, se consideriamo che la superficie vitata altoatesina è di 5.393 ettari (di cui 5.285 classificati DOC) e rappresenta meno dell’1% di quella italiana. Oggi la produzione è divisa tra un 60% di vini bianchi, in continuo aumento, e un 40% di vini rossi. Fino agli anni ’60 la regione era caratterizzata dalla coltivazione di uva schiava destinata alla produzione di vini sfusi o di bassa qualità. Solo grazie a una vera rivoluzione di tutto il settore vitivinicolo si è cominciato a puntare sulla qualità. Un processo che ha consentito di scegliere i vitigni più adatti per le varie zone in base al clima, ai terreni, alle esposizioni e alle altitudini. Pur essendo una regione piccola, l’Alto Adige offre una grande varietà di condizioni pedoclimatiche: si passa dai ripidi pendii della Val Venosta, alle colline soleggiate della Bassa Atesina, ai vigneti terrazzati, che salgono fin quasi a 1.000 metri della Valle Isarco. Un mosaico di microclimi che permette di coltivare ogni vitigno nell’area più adatta, in modo che possa esprimere al meglio le sue potenzialità. Grazie a terroir così eterogenei, in Alto Adige si coltivano circa 20 vitigni diversi, che danno origine a una pluralità di vini davvero unica per un territorio così piccolo.

Top alto adige

I nostri migliori assaggi

La degustazione dei Top of Vini Alto Adige ha confermato l’alto livello raggiunto dalla produzione. Soprattutto il settore dei bianchi, che rappresentava la stragrande maggioranza dei vini premiati, si è rivelato di qualità molto alta. Non tutti i vini premiati erano presenti a Bressanone, ma tra i banchi d’assaggio c’era l’imbarazzo della scelta. Ecco una selezione dei nostri preferiti.

 

Spumanti e Bianchi

Tra gli Spumanti Metodo Classico, i calici più seducenti per eleganza, ricchezza aromatica, freschezza e persistenza, si sono rivelati l’A. A. Brut Comitissa Ris. ’12 di Lorenz Martini e l’A. A. Brut Ris. ’07 di Haderburg.

I bianchi sono i vini di maggior successo dell’Alto Adige, con una produzione in continua crescita sia in termini di quantità che di qualità. Partiamo dal Pinot Bianco, che si sta finalmente ritagliando il giusto spazio tra gli appassionati. Piacevole l’A. A. Pinot Bianco ’16 di Wassererhof, che si distingue per raffinata freschezza e un profilo essenziale e pulito. Molto interessante per intensità e profondità gustativa l’A. A. Pinot Bianco V Years Riserva ’11 della Cantina Meran, così come l’ormai classico l’A. A. Pinot Bianco Sanct Valentin ’15 di San Michele Appiano. Molti Chardonnay risentivano di un apporto del legno non ancora perfettamente integrato al corpo del vino e tra le varie bottiglie in degustazione abbiamo preferito la finezza dell’A. A. Terlano Chardonnay Sophie ’15 di Manincor. Nella vasta selezione di Pinot Grigio ci ha colpito l’interpretazione di estrema eleganza varietale di Pacherhof, con il suo A. A. Valle Isarco Pinot Grigio ’16.

Il Sylvaner, vino simbolo della Valle Isarco, ha mostrato un livello medio molto elevato, con vette di assoluta eccellenza: A. A. Valle Isarco Sylvaner ’16 di Kofererhof, A. A. Valle Isarco Aristos ’16 della Cantina Valle Isarco e A. A. Valle Isarco Sylvaner Alte Reben di Pacherof. Sempre tra i vitigni del nord, segnaliamo l’A. A. Valle Isarco Veltliner Praepositus ’16 dell’Abbazia di Novacella, l’A. A. Valle Isarco Grüner Veltliner ’16 di Pacherhof e l’A. A. Müller Thurgau Feldmarschall von Fenner ’15 di Tiefenbrunner. Tra i Riesling ci è piaciuto per intensità e perfetta armonia, l’Alto Adige Valle Isarco Kaiton 2016 di Kuenhof. Più freschi, tesi e vibranti, l’A. A. Valle Isarco Riesling ’15 di Kofererhof e l’A.A. Val Venosta Riesling ’15 di Falkenstein.

Tra i Sauvignon le nostre preferenze sono andate all’A. A. Sauvignon Oberberg ’16 della Tenuta Kornell, all’A. A. Sauvignon Quarz ’15 della Cantina Terlano e all’A. A. Valle Isarco Sauvignon Renaissance ’14 di Gumphof. Infine, nel panorama dei Gewürztraminer, notevoli per potenza e intensità l’A. A. Gewürztraminer Nussbaumer ’15 della Cantina Tramin e l’A. A. Gewürztraminer Brenntal ’15 della Cantina Cortaccia, ma ci è piaciuta molto l’interpretazione più floreale, elegante e fresca all’A. A. Valle Isarco Gewürztraminer Praepositus dell’Abbazia di Novacella.

 

Rossi

In una regione di grandi bianchi i rossi trovano inevitabilmente meno spazio e minor attenzione. Tuttavia il Pinot Nero si esprime in Alto Adige su alti livelli e pur in un’annata difficile come la 2014, alcune etichette si sono dimostrate di sicuro valore: in particolare l’A. A. Pinot Nero Burgum Novum ’14 di Castelfeder e l’A. A. Pinot Nero Mazzon Riserva Trattman di Girlan. Chiudiamo con la Schiava, il classico vino rosso della tradizione altoatesina. Spesso sottovalutato, offre invece etichette che si fanno apprezzare per la grande piacevolezza di beva. Ci sono particolarmente piaciute: l’A. A. Lago di Caldaro Classico Superiore Pfarrhof ’16 della Cantina Caldaro, l’A. A. Schiava Alte Reben Gschleier ’15 di Girlan, l’A. A. Santa Maddalena Classico Huck am Back della Cantina Bolzano e l’A. A. Santa Maddalena Classico Vigna Rondell ’16 di Glogglhof.

 

 

a cura di Alessio Turazza

 

 

Tre Bicchieri 2018 in degustazione a Milano. Al Marco Polo4 i migliori vini d'Italia

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Lunedì 18 dicembre, dalle 18 alle 22, lo spazio Marco Polo4 ospita una grande degustazione in compagnia delle migliori cantine d'Italia selezionate dal Gambero Rosso. In assaggio le etichette premiate con i Tre Bicchieri dalla guida Vini d'Italia 2018.

31 anni di Vini d'Italia

31 edizioni di Vini d'Italia, 31 anni che attraversano la storia vitivinicola moderna della Penisola. E una guida di riferimento che somma un anno dopo l'altro l'impegno di tanti collaboratori che scandagliano la scena vinicola nazionale, regione per regione, alla ricerca delle produzioni più convincenti, delle etichette meritevoli di conquistare i riflettori. Tutto questo è la guida Vini d'Italia del Gambero Rosso, che con l'edizione 2018, presentata lo scorso 22 ottobre a Roma, si ripromette di guardare al futuro con la stessa competenza di sempre. 22mila i vini e 2485 le aziende oggi in guida, e ben 436 le etichettepremiate con i Tre Bicchieri, massimo riconoscimento. Con una presenza sempre più rilevante di vini biologici e biodinamici – 99 in tutto – a testimonianza di una sensibilità crescente verso l'ambiente e la sostenibilità a tutto tondo: non solo nel metodo di coltivazione delle uve e di produzione di vini, ma anche nell'approccio complessivo delle aziende. Anni di assaggi e riflessioni sul vino e tutto quanto gli gira intorno offrono oggi l'istantanea di un patrimonio che fa della territorialità il suo punto di partenza, incardinando concetti come identità, piacevolezza e imprevedibilità per giungere a tratteggiare un panorama ampio e diversificato di prodotti, ognuno con una propria storia da raccontare e con un proprio posto da occupare.

La degustazione a Milano

Così, mentre proseguono gli eventi esteri del Tre Bicchieri World Tour, volti a promuovere le migliori etichette italiane e i produttori al seguito di fronte a platee e buyer internazionali (la guida è tradotta in quattro lingue: inglese, cinese, tedesco e giapponese, per un totale di oltre 300mila copie diffuse nel mondo), riprendono anche gli appuntamenti con le degustazioni nelle principali città d'Italia. Il prossimo lunedì 18 dicembre sarà la volta di Milano, dove andrà in scena la grande degustazione dei vini premiati con i Tre Bicchieri. A ospitare l'evento, gli spazi del Marco Polo4, in zona Garibaldi, dove dalle 18 alle 22 il pubblico partecipante potrà scoprire i vini in assaggio, incontrare i produttori e acquistare la guida. Il prezzo d'ingresso è di 30 euro a persona e il biglietto è acquistabile online sullo store del Gambero Rosso. Ma i biglietti si potranno acquistare anche il giorno della manifestazione presso la sede dell'evento, fino a esaurimento posti.

Degustazione Tre Bicchieri 2017 | Milano | via Marco Polo, 4 | dalle 18.00 alle 22.00 
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Best Airline Cuisine 2017 ad Alitalia. In classe Magnifica il menu di bordo più buono del mondo

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Per l’ottavo anno consecutivo il servizio di ristorazione in volo della compagnia italiana ottiene il prestigioso riconoscimento della rivista Global Traveler, stilato sulla base delle preferenze di 22mila frequent flyer. A pagare è la cucina regionale servita in classe Magnifica, un’esperienza di volo molto esclusiva. A cominciare dalla tavola. 

Un premio per la cucina made in Italy

Ottavo anno consecutivo per confermare quello che più che un riconoscimento lusinghiero è ormai uno stato di cose consolidato dalle preferenze di chi l’aereo lo prende abitualmente. E così Alitalia, nonostante gli ultimi mesi travagliati, può festeggiare ancora una volta l’attestato di Best Airline Cuisine rilasciato dal mensile americano Global Traveler, che alla compagnia aerea assegna il titolo stabilito dalla media dei voti di oltre 22mila frequent flyer. Un premio per la qualità della ristorazione a bordo – ma stimato sulla proposta della classe più esclusiva tra quelle del pacchetto Alitalia, la Magnifica - che agli standard di cucina somma l’attenzione del servizio, ma soprattutto si concentra sul livello dell’offerta gastronomica, in termini di prodotti, ideazione del menu e carta dei vini. A esprimere la soddisfazione del gruppo è Fabio Maria Lazzerini, Chief Commercial Officer di Alitalia, che punta l’accento sul fondamentale contributo della tradizione regionale italiana, che fa da sponda a una proposta di ricette made in Italy particolarmente apprezzate dai viaggiatori stranieri: “Abbiamo a bordo la Magnifica, una classe di viaggio con caratteristiche uniche nel mercato del lungo raggio, all’insegna della qualità e del made in Italy: basti pensare a partner come Lavazza e le cantine Ferrari. In generale, il nostro obiettivo è abbinarci ai brand italiani di successo per fare leva sull’attrattività del Paese di cui siamo il vettore. E soprattutto abbiamo formato i nostri assistenti di volo affinché, nel loro ruolo di ambasciatori del made in Italy, possano offrire ai nostri passeggeri piatti gourmet accompagnati da un perfetto abbinamento con i migliori vini italiani”.

I menu regionali

Qualche esempio tangibile? I Pizzoccheri Valtellinesi e la cotoletta di vitello alla barese, le orecchiette con le cime di rapa e la costoletta di vitellone Igp alla milanese, il timballo di polenta gialla con pomodori confit e l’insalatina di mare, per chiamare in gioco solo due – quello lombardo e il pugliese – dei molteplici ricettari regionali della Penisola, attualmente protagonisti della rotazione mensile sugli aerei del vettore. Già in passato, Alitalia ha infatti scelto di allearsi con Alma, Fis, Lavazza, Richard Ginori per elaborare una proposta riservata ai viaggiatori della Classe Magnifica, guidare i turisti stranieri alla scoperta del made in Italy di qualità ancor prima di atterrare sul suolo nazionale, e al contempo tenere alta la bandiera della buona tavola italiana nel mondo.

Mangiare (bene) in volo

A questo proposito, ricordiamo pure il coinvolgimento di Gualtiero Marchesi, che in tempi non sospetti (oggi sono molti gli chef blasonati chiamati a elaborare speciali menu di bordo d’autore dalle compagnie di tutto il mondo: qualche mese fa salivamo sugli aerei della flotta American Airlines, per scoprire l’offerta gourmet, a cura di 4 diversi chef) collaborava all’ideazione di menu firmati per Alitalia, proprio come più di recente è toccato ad Antonio Guida per Cathay Pacific Airways, o agli chef svizzeri coinvolti dalla compagnia di bandiera nazionale, Swiss Airlines, che ha saputo perfezionare negli anni una strategia sistematica in materia di ristorazione di bordo. Non ultima, la trovata spettacolare pianificata di concerto con lo chef Andreas Caminada sulla tratta Zurigo – New York, nel 2014. Mangiare in aereo, insomma, non è più questione di cibi precotti e vassoi dal sinistro fascino ospedalizio: consumare un buon pasto in volo si può, e il blog Inflightfeed, ideato dall’australiano Nik Loukas nel 2012, può rivelarsi un valido strumento per orientarsi tra buoni e cattivi della ristorazione a 10mila metri di quota. A chi invece volesse sondare con mano il premio assegnato da Global Traveler non resta che prenotare un volo con Alitalia, in classe Magnifica. Non proprio un’esperienza low cost.

 

a cura di Livia Montagnoli

Buò – Crudo, cotto e mangiato, il nuovo bio-bar e mercato con cucina di Bari

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Hanno cominciato come gruppo d'acquisto solidale, evolvendosi poi in negozio di prodotti biologici, fino a diventare, oggi, un mercato con cucina e bar dedicato all'alimentazione vegetariana e bio. Un nuovo originale format a Bari.

La tradizione pugliese

Una cucina fatta di sapori antichi e rispetto delle stagioni, che si divide fra i piatti dell’entroterra e quelli della costa: la Puglia è una terra ricca di prelibatezze dolci e salate, da sempre fondata su una tavola di tradizione, dalla storia antica e le ricette secolari. Negli ultimi anni nel tacco dello Stivale hanno iniziato a svilupparsi formati innovativi e locali di tendenza, con soluzioni originali e creazioni che traggono ispirazione dal passato ma che restano al passo con i tempi. Anche qui quello del biologico è diventato nel tempo un vero fenomeno, una filosofia, un approccio alla cucina che ha creato una schiera di seguaci impegnati nella tutela dell'ambiente, a favore della salute del terreno e dei consumatori.

Da gruppo di acquisto a mercato con cucina

Con questi intenti, nel 2013 a Bari nasce uno dei primi gruppi d'acquisto solidali, Rete Utile Buono e Bio, trasformato poi nel tempo in negozio bio specializzato. Circa 50 famiglie hanno aderito all'iniziativa, prendendo parte alla spesa e frequentando regolarmente il negozio, generando un successo tale da portare il gruppo – che attualmente conta 10 persone – a evolversi ancora, creando un mercato con cucina, con annesso bio-bar. “Il negozio esiste ancora e fa parte del nuovo locale”, spiega Francesco Morisco, uno degli ideatori di Buò – Crudo, cotto e mangiato, spazio polifunzionale inaugurato lo scorso 2 dicembre in via Mameli, non lontano dal mare. Un locale che si propone di rispondere alle diverse esigenze della giornata, dalla colazione, “con torte, lieviti e dolci classici, tutti biologici”, alla cena, “al momento siamo aperti solo a pranzo ma abbiamo intenzione di cominciare con il servizio serale nei prossimi giorni”. Senza dimenticare l'aperitivo, “con birre artigianali di Gruit, una realtà biologica di Brindisi, e vini del territorio, prettamente a base di primitivo e malvasia bianca dell'azienda agricola Tre Pini di Cassano delle Murge, in provincia di Bari”.

 

Rete

Le materie prime, l'e-commerce, la sala degustazione

Prima regola: rispetto dell'ambiente, con conseguente scelta di prodotti provenienti da agricoltura biologica o biodinamica. Seconda regola: territorialità, un concetto molto caro alla squadra di Buò, che si rifornisce solo da piccole realtà pugliesi. La cucina è perlopiù vegetariana, e tutte le materie prime vengono trasformate e lavorate nello spazio che prima ospitava il punto vendita, ora adibito a magazzino e laboratorio. Sempre nella vecchia sede vengono stoccati anche tutti i prodotti che i consumatori possono ordinare online tramite la sezione di e-commerce, “uno spazio virtuale dove poter fare la spesa, da ritirare nel punto vendita oppure da ricevere a casa con la consegna a domicilio”. A breve, inoltre, verrà creata un'altra aula interamente dedicata ai corsi di assaggio, “dall'olio extravergine di oliva al miele, per cercare di avvicinare sempre di più il pubblico a un'alimentazione di qualità, e per informare al meglio i consumatori”. Oltre a mangiare, naturalmente, da Buò è ancora possibile fare la spesa fra prodotti ortofrutticoli, confetture, mieli e conserve.

 

Rete

Gli obiettivi

Un progetto nato in sordina, con un finanziamento della Regione, che in pochi anni è riuscito a raccogliere i favori del pubblico, trasformando spazi e format, evolvendosi ma restando sempre fedele alla sua filosofia, quella dei prodotti sani, bio, etici, delle filiere trasparenti, corte, tracciabili. E che ora si prepara ad affrontare una nuova sfida, ancora più ambiziosa, soprattutto in un territorio che, per molto tempo, è rimasto saldamente ancorato alla sua tradizione, in una situazione di stallo sia dal punto di vista della ristorazione che, più in generale, della cultura del cibo di qualità. Ma che sta iniziando ad aprirsi verso una nuova visione del mondo della gastronomia, verso un modo più dinamico e moderno di concepire il sistema agroalimentare: “All'inizio è stato molto faticoso, e non nego che gli ostacoli siano ancora molti. Ma i consumatori cominciano a essere più esigenti, attenti, maggiormente interessati a ciò che mangiamo, e più consapevoli del ruolo fondamentale che la qualità del cibo ricopre per la nostra salute”.

Buò crudo cotto e mangiato | Via Goffredo Mameli, 4 | tel. 08 02022213

a cura di Michela Becchi

Masoni Macelleria & Bistrot a Viareggio. Esordio in cucina per Michelangelo Masoni

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Sartorialità, trasparenza, rispetto per l'animale, rapporto diretto col cliente. Il credo di Michelangelo Masoni, maestro beccaio con la macelleria nel sangue, è riconosciuto nel panorama italiano dell'eccellenza artigiana. Ora esordisce con un nuovo progetto, macelleria e bistrot insieme, nel nuovo locale sul litorale viareggino. 

Una storia di famiglia

Lui si chiama Michelangelo, ricorrenza frequente sui registri dell'anagrafe toscana. Ma ci piace pensare che un nome solitamente associato alla grandezza dell'arte possa vestire alla perfezione una personalità istrionica (e qui l'aggettivo non è usato a sproposito) come quella dell'artigiano viareggino che lo porta, macellaio che le cronache degli ultimi anni hanno innalzato all'eccellenza della categoria. Con merito. Mastro beccaio per sangue, e nell'anima, Michelangelo Masoni è l'ultimo erede di una storia - quella della macelleria di famiglia - che affonda le radici all'epoca del bisnonno Ulisse, nei primi decenni del Novecento, quando l'attività ferveva in località Madonna dell'Acqua, appena fuori Pisa, attorno al commercio di carni e latte. Poi fu la volta di nonno Raffaello, che al papà di Michelangelo e ai suoi fratelli lasciò una bottega ben più ramificata, dedita pure alla produzione di insaccati di qualità. Michelangelo, dal canto suo, ha prima coltivato gli studi (nel cassetto una laurea in economia aziendale), poi l'indole e l'aria respirata in casa sin da bambino l'hanno riconciliato con il mondo della macelleria. Oggi è alla guida del punto vendita al mercato di Viareggio e della macelleria di Lido di Camaiore, mete dello shopping gourmand e punto di riferimento per chi ancora crede nel valore del consumo consapevole, fondato sulla fiducia tra produttore e consumatore, sulla trasparenza della filiera, sull'allevamento etico non meno che sulla conoscenza profonda delle antiche tradizioni del mestiere.

Il rispetto dell'animale. Un sacrificio da valorizzare

E sul totale rispetto dell'animale in tutte le fasi della sua vita, sino al momento dell'ultimo sacrificio, quando il macellaio entra in gioco per rendere omaggio alla bestia intera, lavorata e venduta senza produrre scarti: “La macellazione è un rito, un sacrificio che dev'essere valorizzato. Il senso ultimo è il nostro nutrimento, non qualche vezzo di tendenza”. Un approccio, questo, che lungi dall'essere meramente filosofico, è disciplina rigorosa di bottega, e oggi si fa strada grazie all'eco delle cucine professionali più evolute, e di chef altrettanto illuminati. Quando Michelangelo ha cominciato a parlarne, però, diversi anni fa, questo concetto tanto intriso dall'identità contadina tramandata in secoli di frugalità e rapporto diretto con la campagna, non andava ancora di moda. E anche oggi, in tempi di ritorno alle origini, l'universo della macellazione, con le sue pratiche massive, gli stereotipi, le false credenze, è ancora precluso ai più. Ecco perché il contributo dei singoli, quelli disposti a stare sulle barricate anche a costo di risultare antipatici, è più che mai utile alla causa. Michelangelo è indubbiamente uno di loro. Nel tempo ha consolidato il rapporto con l'alta ristorazione, fornitore prediletto di tante tavole celebri: il Mirazur di Mentone, La Magnolia e Lux Lucis a Forte dei Marmi, l'Imbuto e Il Punto di Lucca, Romano e il Lunasia di Viareggio. Ma non si è mai montato alla testa, perché è dietro al suo banco che dà il meglio di sé, tra coltelli e tagli di razza piemontese (che preferisce alla Chianina toscana), mentre si profonde in spiegazioni e consigli di sorta, per la buona spesa: “Una battaglia non semplice, ci sono arrivato dopo anni di impegno per acquisire credibilità. I miei clienti ormai mi conoscono, non c'è strada per il capriccio: sono un padre severo, che però è quello che vuole il tuo bene”.

Un nuovo progetto. Il trasloco

Michelangelo ha sempre lavorato così: carni grass fed che pascolano per tutto il ciclo vitale, allevatori selezionati sul territorio toscano – come i ragazzi di Carne Italiana, “c'è chi ogni mattina parte alle 5 su un cavallo per controllare le bestie, e gli dà il fieno col forcone. Per salvarle dai lupi, fa nascere dei cani maremmani in mezzo agli animali: vivono in simbiosi, li difendono dai pericoli. È tutto molto naturale” - rapporto diretto col cliente, quello disposto a imparare, scoprire cose nuove. Fidarsi. Contro il macellaio non serio “che accontenta la stupidità”. Il motivo è presto detto, Masoni crede strenuamente nella possibilità di lavorare bene (con un ritorno economico, chiaro) facendo cultura del cibo. E il progetto che si appresta a esordire tra qualche ora non fa che confermarlo. Macelleria & Bistrot è il binomio nuovo di zecca che campeggia sull'insegna del nuovo locale di via San Martino 144, Viareggio, un trasloco di qualche centinaio di metri per ripensare l'attività secondo nuove esigenze, senza tradire il passato: “Il banco così com'era fino a ieri ha la vita corta. Ho analizzato una serie di indicazioni di mercato, ho scelto di spingere l'acceleratore sulla sartorialità che mi è propria. Si continua a chiedere sempre e solo gli stessi tagli, lo scamone, la bistecchina, il filetto...”. Michelangelo invece vuole esasperare il rapporto diretto, “il cliente è costretto a chiedere, in mancanza di riferimenti riconducibili ai tagli canonici. Posso lavorare tutta la mezzena, perché i miei animali sono sani. E voglio raccontarlo a chi entra in negozio”. Dal 7 dicembre, tutto questo si approfondisce con il battesimo di una cucina che fa servizio di macelleria, su due binari paralleli, entrambi votati all'accoglienza semplice, e senza fronzoli, “bistrot, per dirla alla francese, perché è il termine che meglio riassume il concetto, la diluizione del servizio, l'assetto dinamico dell'offerta”.

 

Take away e cucina sartoriale

Nel nuovo locale – realizzato con il supporto di Uberto Procacci, Mario del Pistoia e Andrea Caponi - il bancone resta il fulcro dell'attività: foraggia la cucina e presenta al contempo una linea di preparazioni take away, cotte al 90% e messe sottovuoto (20 giorni garantiti di shelf life), da terminare in casa in 10 minuti appena, “con la possibilità di abbinare le nostre salse pronte, la pizzaiola, la boscaiola, la zingara, un intingolo al limone. Ma se il cliente lo chiede possiamo fare anche una salsa all'ostrica!”. Al bistrot, invece, che può contare su una ventina di posti a sedere e qualche sgabello al bancone, ci si accomoda per pranzo, cena, o fuori orario: “Se alle 5 del pomeriggio vuoi un hamburger, noi siamo pronti a farlo”. In menu proposte stagionali e must della casa: le polpette, il Mason burger – classico o con midollo di bue – il cuore del Mason, “un cubo di carne tenerissima”, straccetti, carpacci, tartare, salumi della casa e di produttori selezionati (Steiner in Alto Adige, Ghirardi Onesto Parma). Ma anche zuppe, proposte per i più piccoli, “persino piatti per vegetariani, perché dobbiamo pensare anche a loro, e lo dico sempre: se non sapessi da dove arrivano le mie carni, con i tempi che corrono, diventerei vegetariano anch'io”. Con la voglia di giocare in cucina, specie a cena (fino alle 22.30), quando la proposta diventa più varia. “Proprio ieri abbiamo provato con Valentino Cassanelli un Coscio di pollo al mattone: mi ha fatto i complimenti”. Oltre a una linea di tapas e sfizi per l'aperitivo, e una piccola carta dei dessert. Da bere 50 etichette tra bollicine, bianchi e rossi, con il supporto di Lucca Biodinamica e la collaborazione dell'Enoteca Sergio. E birre artigianali del Birrificio Italiano e di Petrognola. Tutto è pronto per accendere i riflettori.

 

Masoni Macelleria & Bistrot | Viareggio (LU) | via San Martino, 144 | dal 7 dicembre (inaugurazione alle 17), 8.30-14.30/ 16.30-22.30 | www.macelleriamasoni.com

 

a cura di Livia Montagnoli

Foto d'apertura di Lido Vannucchi

 

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