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Dove comprare il tè a Torino: 8 negozi seri e specializzati

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Con proposte che vanno dal brunch al cocktail dopo cena Torino continua nel suo fermento culinario. E anche la caffetteria ricopre un ruolo fondamentale in questa crescita gastronomica, tè compreso. Al punto che possiamo contare ben 8 insegne d'eccezione per gustare infusi pregiati.

Torino, e più in generale il Piemonte, rappresentano un immenso giacimento di prodotti e cultura agroalimentare, artigianalità e imprenditorialità. Dalle caffetterie alle pasticcerie, dai cocktail bar ai ristoranti, dalle trattorie tradizionali ai bistrot contemporanei, il capoluogo piemontese è una fonte inestimabile di indirizzi golosi e allettanti per tutti gli appassionati della buona tavola. Per gli amanti del dolce in cerca di una pausa gourmet, la città offre un'ampia scelta di sale da tè (e negozi) di qualità, dove assaggiare e acquistare tisane e infusi di prima scelta.

Ancienne Maison du Thé

Protagonisti del locale sono i prodotti di MariageFrères, celebre maison francese che negli anni ha conquistato il palato degli amanti del tè di tutto il mondo. “Abbiamo aperto 20 anni fa”, racconta Alessia Bragotti, “e fin da subito abbiamo cercato solo gli ingredienti migliori. Oggi abbiamo circa un centinaio di tè sfusi, più qualche selezione di prodotto confezionato in cotone o in scatole di latta da 100 grammi”. E ancora acque di frutta e tisane firmate Erba Logica, realtà specializzata nella creazione di prodotti artigianali confezionati a mano, con particolare attenzione all'ambiente e al riciclo dei materiali. “Abbiamo, poi, una selezione di marmellate, biscotti artigianali e tutte le attrezzature necessarie per il rituale del tè, dalle teiere in ghisa a quelle in vetro, porcellana e ceramica”. Per un locale completo in grado di offrire tutto il necessario per la preparazione di una buona tazza: “I consumatori sono sempre più attenti alla qualità. Il panorama è molto cambiato negli ultimi anni, e ora è il momento giusto per spingere ancora di più la promozione di questo prodotto”.

Ancienne Maison du The | Torino | via della Rocca, 2 i | tel. 01 1835575 | www.anciennemaisonduthe.com

Berlicabarbis

Oltre 150 varietà di tè, infusi e tisane scelte per raccontare il piacere di sorseggiare miscele nate in Paesi lontani. Il carattere inconfondibile del tè verde, i profumi raffinati delle foglie intrecciate dei fiori di tè, le fragranze inedite degli infusi a base di frutta: un viaggio in giro per il mondo tra aromi tradizionali e gusti inusuali, alla scoperta delle tante sfumature delle foglie più pregiate. Questa la filosofia alla base di Berlicabarbis, sala da tè torinese con ben due punti vendita all'attivo. Sul fronte gastronomico, spiccano dolci artigianali della tradizione, dalla torta di mele alla crostata con ricotta e pere, dalle tartellette con crema e frutta ai biscotti secchi. Non manca, poi, una proposta salata, fra taglieri di salumi e formaggi, tortini di riso con zucca e gorgonzola, panini, torte salate, strudel e sfoglie farcite con verdure e formaggi, tutto accompagnato da una selezione di vini e birre artigianali del territorio. E ancora sciroppi, composte a base di fiori eduli, caramelle, frutta sotto miele e tanti accessori diversi, in vetro, porcellana e ghisa, oltre alle scatole di latta francesi, completano l'offerta del locale.

Berlicabarbis | Torino | corso Moncalieri, 214 | tel. 01 12074508 | berlicabarbis.com

Berlicabarbis | Torino | via Catania, 10 | tel. 01 1231032 | berlicabarbis.com

Camellia - il tempo del tè

Ezio, Donata e Ombretta sono tre ragazzi di Langa trapiantati a Torino da più di un decennio, uniti da una lunga amicizia e da una passione in comune, quella per il tè di qualità. Sono loro a dare vita a Camellia – il tempio del tè, chiamato così in omaggio alle foglie e i germogli della Camellia Sinensis, “pianta spontanea del sud-ovest della Cina che regala un'ampia gamma di tipologie di tè”. I prodotti sono tutti in vendita, ma possono anche essere gustati in loco, comodamente seduti ai tavolini: classici tè cinesi, giapponesi, indiani aromatici, infusi, tisane e rooibos compongono la vasta offerta del locale, arricchita ancora di più da specialità dolci e salate fatte in casa. Ampio spazio anche per l'oggettistica, dalle ceramiche d'arte ai libri, dalle teiere alle tazze. La selezione di tè cambia di continuo, con foglie di stagione provenienti dai diversi Paesi produttori.

Camellia – il tempo del tè | Torino | via Catania, 24 | tel. 01 17651876 | www.camelliate.it/contatti/

Convitto Cafè

Uno spazio polivalente che si presenta come “torteria” e sala da tè, “con circa una cinquantina di prodotti”, ma che è anche un indirizzo valido per la pausa pranzo e l'aperitivo. Qui si trovano i tè di Ceylon, dell'India (assam e darjeeling), della Cina, gli oolong di Formosa, i tè giapponesi e poi le miscele classiche, come l'English Breakfast e la Russian caravan. Ma anche gli aromatizzati, dall'earl grey al tè al frutto della passione, dal Quattro stagioni al Rosa di Bulgaria. Da accompagnare a torte artigianali semplici e gustose, come la pere e cioccolato, la crostata con pesche, cioccolato e amaretti, la torta di ricotta glassata, la cheesecake ai frutti di bosco, la tarte-tatin servita tiepida con panna, la torta di nocciole e mele e poi tante tipologie di cioccolato, oltre a una vasta scelta di cioccolate calde di ogni genere: con cannella, peperoncino, panna e menta, amaretto, tanto per citarne alcune. Dalla cucina, piatti e prodotti della tradizione piemontese come il vitello tonnato, i tomini alle nocciole, il castelmagno con miele e noci, e poi specialità del giorno che variano a seconda della disponibilità degli ingredienti.

Convitto Cafè | Torino | via San Francesco da Paola, 8 | www.convittocafe.it

The Tea

Il profumo di caffè tostato si spandeva già a fine Ottocento attorno a questo locale che ogni giorno smerciava generose quantità di miscele di ogni qualità, esposte in bella vista accanto all’apposito tostino….”. Queste le righe che si leggono sul volume Negozi e locali storici di Torino, che raccoglie tutte le insegne che hanno segnato la storia della gastronomia cittadina. The Tea nasce dalla selezione accurata di tè e infusi di produttori certificati e importatori che lavorano secondo i parametri della ETP, Ethical Tea Partnership, ovvero un rigido protocollo applicato alle piantagioni che riguarda il rispetto dell'ambiente e dei lavoratori. “Ogni foglia di tè ha la sua storia di culture, tradizioni, persone, posti, viaggi per terra e per mare. Quando prepariamo il nostro tè, pensiamo sempre che dentro la tazza ci sia un mondo intero”. Tante le tipologie offerte dal negozio, dal tè bianco al tè verde, dal tè nero agli oolong, oltre a un'ampia scelta fra tisane e infusi di frutta. The Tea propone anche accessori, sali, spezie, erbe aromatiche e fiori eduli, da acquistare in bottega oppure online attraverso la sezione di e-commerce.

The Tea | Torino | via Corte d'Appello, 2 | tel. 01 14364973 | www.thetea.it

Tea & Company

Tè classici, aromatizzati, neri, verdi, infusi di frutta, tisane, biscotti della tradizione anglosassone e francese, torte e cioccolate: da Tea & Company si va per concedersi una pausa gustosa all'insegna del relax, assaporando infusi da tutto il mondo, miele, confetture ricercate e una vasta gamma di prodotti salati, dalle salse alle mostarde, in abbinamento a carni, formaggi, gelatine di vino, chutney e molto altro ancora. Una sala da tè, sì, ma ancor prima un luogo che richiama gli empori di una volta, ricchi di prelibatezze esotiche in grado di far venire l'acquolina anche ai meno golosi. Cacao in polvere, cioccolatini, caramelle, Champagne, e naturalmente tè, accessori per prepararlo al meglio e poi una selezione curata e ampia di libri e film dedicati all'argomento. Tanti i marchi scelti dalla bottega, dal celebre Dammann Frères a Blend Tea, da Whittard of Chelsea a Naturasan, senza dimenticare Higher Living Organic, Clipper, Ahmad Tea London, per una selezione dinamica che comprende tutti i diversi Paesi produttori.

Tea & Company | Torino | via Mazzini, 22 g | tel. 01 18170433 | www.teaecompany.it

Teapot

Una tisaneria con cucina dove degustare tè da tutto il mondo (Giappone, India, Sri Lanka, Cina, Ceylon), tisane ma anche caffè, centrifughe, estratti di frutta, muffin e dolci fatti in casa. Bancone in legno, tavolini, piante sparse in ogni angolo, caminetto e arredi in perfetto stile shabby chic: l'atmosfera che si respira da Teapot è quella accogliente e familiare delle sale da tè più romantiche, ma l'offerta è moderna e dinamica, e spazia dai dolci classici a quelli gluten free, vegani, senza lattosio, senza zucchero, pensati per andare incontro alle diverse esigenze alimentari. Vera specialità della casa, però, è il brunch domenicale, che alle prelibatezze dolci aggiunge piatti salati tipici della colazione anglosassone come le uova strapazzate, il bacon e i sandwich, da assaporare in abbinamento a tè verdi, neri, rossi, bianchi, aromatizzati, affumicati, da scegliere su consiglio del personale. La regia oggi è quella di Stefano Schiapparelli, che ha rilevato il locale un anno fa: “Tutti i prodotti sono fatti in casa, compreso il pane per i toast e i panini, e i tè, circa 20 in tutto, sono anche disponibili per l'acquisto”.

Teapot | Torino | via Silvio Pellico, 18 | tel. 01 119781481 | www.facebook.com/Teapot-Tisaneria-Con-Cucina-969380563125686/

Torteria Olsen

Abbiamo aperto nel '96 come laboratorio, ma è solo dal 2002 che abbiamo iniziato l'attività della sala da tè”, racconta Cinzia, proprietaria del piccolo locale in zona Quadrilatero che si è fin da subito imposto come uno dei punti di ritrovo per gli amanti del tè in città. “Abbiamo circa 120 tipologie di foglie fra tè, infusi e tisane, da gustare qui oppure acquistare per casa, in confezioni preparate al momento, in modo da conservare al meglio freschezza e aromi del prodotto”. Dieci tavolini e un bancone espositivo pensato per ospitare torte, crostate, strudel, lieviti, dolci per la prima colazione o la pausa merenda. Ma ci sono anche le torte salate con verdure e formaggi, “ci piace utilizzare alimenti naturali e biologici”, seitan e tofu, e poi primi e secondi piatti preparati espressi. Tè e infusi a parte, per accompagnare piatti e specialità dolci e salate si può scegliere dalla lista dei vini piemontesi, il caffè americano aromatizzato con cannella e scorza d'arancio ed estratti di frutta e verdura.

Torteria Olsen | Torino | via Sant’Agostino, 4b | tel. 01 14361573| torteriaolsen.it/

a cura di Michela Becchi

Dove comprare il tè a Milano: 6 negozi seri e specializzati

Dove comprare il tè a Bolzano e Merano: 3 negozi seri e specializzati

Dove comprare il tè a Bologna: 4 negozi seri e specializzati

Dove comprare il tè a Firenze: 3 negozi seri e specializzati

Dove comprare il tè a Palermo: 4 negozi seri e specializzati


Michelin Tokyo 2018. Nella città più stellata del mondo arriva il primo macaron per Heinz Beck

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Con 234 insegne stellate, Tokyo si segnala tra le capitali gastronomiche più ambite dai viaggiatori gourmet. Molto è merito degli standard elevati della ristorazione francese in città, che gli ispettori della Rossa hanno sempre dimostrato di apprezzare. Ma è la diversificazione dell'offerta il segreto del successo di una metropoli che conta oltre 13 milioni di abitanti. C'è spazio anche per l'Italia, con la prima stella per Heinz Beck. 

Tutte le stelle di Tokyo

È la città più stellata del mondo, e pur considerando l'estensione tentacolare dell'agglomerato urbano – sui 13 milioni si attesta il numero di abitanti di una delle municipalità più estese e popolose del mondo – il dato non può essere ignorato. Con la metropoli giapponese, la Michelin è storicamente molto generosa: dalla prima edizione, lanciata nel 2007, il numero degli stellati è sempre cresciuto, e tocca, sulla guida 2018, quota 234, di cui 12 ristoranti a tre stelle (nessuna novità, tutti confermati i premiati dell'anno scorso), 56 bistellati, e ben 166 insegne meritevoli di appuntarsi sul petto un macaron della Rossa. Una compagine davvero nutrita, che incorona Tokyo tra le capitali della ristorazione d'autore più ambite nel mondo; per intenderci, la seconda in ordine di classifica, Parigi, di insegne stellate ne conta 107 (comunque una concentrazione molto significativa in rapporto al numero di abitanti). Passando in rassegna i ristoranti premiati in città è chiara la preferenza accordata agli chef capaci di interpretare la cucina francese nel senso più classico e altisonante del termine, come dichiara il ruolino corposo degli indirizzi ispirati dall'haute cuisine, considerando pure che nel gruppo di testa troneggia un modello indiscusso del genere come l'Atelier di Joel Robuchon.

 

Le nuove entrate

E tra le 5 new entry bistellate, due – Hommage e Florilege – offrono al commensale l'esperienza di un autentico ristorante francese. A festeggiare l'assegnazione delle due stelle sono pure il ristorante cinese Sazenka, Higuchi e Den. Ottengono il primo macaron 23 insegne, specchio di un'offerta gastronomica variegata e di livello, tra sushi bar (e il mitico Jiro Ono, su tutti, con le sue solidissime tre stelle) e immancabili tavole francesi, insegne cinesi e ramen bar. Due i locali dedicati alla specialità giapponese più conosciuta nel mondo subito dopo il sushi, e solitamente piuttosto informali e a buon prezzo, premiati con la stella: Japanese Soba Noodles Tsuta e Nakiryu.

 

Una stella per Heinz Beck

Noi però ci soffermiamo sugli indirizzi italiani, cominciando da uno dei più celebri rappresentanti della ristorazione made in Italy nel mondo: al ristorante Heinz Beck va la prima stella dall'approdo del gruppo dello chef de La Pergola nella metropoli giapponese, alla fine del 2015. Da due anni, in cucina c'è il giovane Giuseppe Molaro, classe 1986, di Somma Vesuviana, che un anno fa intervistavamo in occasione della consegna delle Tre Forchette tricolore di Top Italian Restaurants. Conquistano l'attenzione della Rossa anche le insegne di ispirazione italiana Bottega, Prisma Principio.  

 

Le nuove Due Stelle

Den

Florilège

Higuchi

Hommage

Sazenka

 

Le nuove prime stelle

Argile

Azumaya

Bottega

Crony

Ginza Ishizaki

Ginza Shinohara

Heinz Beck

Hiroo Hashizume

Kiraku

Lature

La Paix

L'Aube

Mimosa

Nanachome

Oryori Tsuji

Principio

Prisma

Reikasai Ginza

Shiorian Yamashiro

Sushi Kojima

Sushi Hachizaemon

Sushiya Ichiyanagi

Sushi Yu

 

a cura di Livia Montagnoli

Premio Flaminio 2017. Gli chef umbri per l'olio extravergine di oliva di qualità

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Torna per il secondo anno consecutivo la competizione voluta dalla società agricola Trevi Il Frantoio per promuovere l’olio extravergine di qualità nella ristorazione. A vincere, Maikol Piccioni, chef de La Cucina di San Pietro a Pettine a Trevi, con i suoi tortelli di passatelli di pane e olive taggiasche.

Il premio

Un premio legato all'olio ma dalla logica rovesciata: un solo extravergine per 10 chef, tra i più validi ed estrosi della ristorazione umbra, che a colpi di pentole e padelle si contendono il primo posto attraverso un piatto originale studiato ad hoc per il contest. Vince chi riesce a valorizzare al meglio l'oro verde, un prodotto che continua a destare l'attenzione del pubblico, e soprattutto quella dei ristoratori che, finalmente, iniziano ad approcciarsi in maniera diversa a questo ingrediente, trattandolo come materia prima a tutti gli effetti, parte integrante di una ricetta, e non più solo un grasso o un condimento. Questa la filosofia alla base del Premio Flaminio, giunto alla sua seconda edizione, e organizzato da Irene Guidobaldi dell'azienda agricola Trevi Il Frantoio, “per sottolineare la valenza dell'extravergine in cucina, e restituire valore a questo elemento cardine della nostra dieta”. Un Dop Umbria Colli Assisi Spoleto, per la precisione, un fruttato medio appena franto con sentori di mandorla, carciofo, note vegetali e piacevoli sensazioni di amaro e piccante, equilibrate ed eleganti.

 

Il vincitore

A ospitare la sfida, il ristorante Il Terziere di Trevi, dove i 10 chef in gara hanno condiviso gli spazi della cucina per realizzare le loro creazioni. Un gruppo tutto giovane, composto da cuochi ambiziosi e appassionati, con le idee già ben chiare in fatto di cucina nonostante la poca esperienza, e con un loro stile tutto ancora da affinare, ma già personale. A vincere, Maikol Piccioni, classe '93, de La Cucina di San Pietro a Pettine a Trevi, che ha presentato alla giuria di esperti e giornalisti del settore, capitanata dalla chef Cristina Bowerman, un piatto studiato nei minimi dettagli, curato e goloso. Tortellini dalla sfoglia ben tirata, sottile, ripieni di passatelli di pane e olive taggiasche, cotti in brodo di prosciutto, passatina di melanzane arrostite, aria di olio e caviale di tartufo, un primo piatto saporito ed equilibrato, in cui l'oro verde diviene condimento e accompagnamento, un protagonista che non ruba la scena agli altri prodotti, sapientemente amalgamati fra di loro.

 

Premio Flaminio

Cristina Bowerman, Maikol Piccioni, Irene Guidobaldi

Menzioni speciali

Medaglia d'argento per Vittorio Ottavi di Ottavi Mare e il suo baccalà in olio cottura e bruschetta condita, mentre sul terzo gradino del podio troviamo il giovane Michele Caporicci del ristorante Osteria della Torre, che ha stupito i giudici con una chianina in vaso cottura aromatizzata al timo selvatico.

 

Premio Flaminio

Chianina in vaso cottura, Michele Caporicci

Fuori programma, ma fortemente voluto dalla giuria, un ulteriore premio, una menzione speciale per un piatto coraggioso, ambizioso, un baccalà arrosto con crema di aglio affumicato, wasabi e olio extra vergine di oliva, ricetta elaborata e complessivamente ben riuscita, con qualche dettaglio da migliorare, “ma dopo tutto, questa chef ha molto tempo davanti a sé per aggiustare il tiro”, scherza Cristina. Alla quindicenne Sofia Minelli viene riconosciuto dai giudici il merito di aver saputo valorizzare bene l'olio, sperimentando con i sapori con gusto e intelligenza.

L'azienda

Un appuntamento ormai fisso, quello del Premio Flaminio, nato grazie alla passione della società agricola fondata nel 1968 dalla famiglia Guidobaldi e un gruppo di agricoltori caparbi e appassionati, che le diedero il nome del comune proprio a indicare lo stretto legame con il territorio. La cooperativa di Trevi vanta una tradizione olivicola antica, che prende vita in una zona da sempre molto vocata alla coltivazione dell'ulivo e alla produzione di extravergine: con 3000 ettari di terreno fra piante di leccino, frantoio e moraiolo, la realtà conta oggi 59 soci olivicoltori, guidati da Angelo Guidobaldi, presidente e amministratore dell’azienda, insieme ai figli Ernesto e Irene, che oltre a essere direttore commerciale e pr, è la “madre” della linea Flaminio, “frutto della mia follia”. Una linea nata in onore della via Flaminia, la strada consolare romana lungo la quale è situata la società agricola, una gamma speciale riservata a enoteche, wine bar, gastronomie e alta ristorazione.

Società Agricola Trevi Il Frantoio | Trevi (PG) | loc. Torre Matigge via Bastia, 1 | 0742 391631 - 800 862 157 | www.oliotrevi.it

www.premioflaminio.it

Casa Artusi a Recoaro. Il Ristorante Didattico che porta in sala e cucina gli studenti

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Un bell'esempio di come la formazione possa fare la differenza, e agevolare l'ingresso nel mondo del lavoro, quello che arriva dal piccolo paese di Recoaro, Vicenza, ai piedi delle Piccole Dolomiti. Qui, il 12 dicembre, aprirà il ristorante didattico Casa Artusi. A gestirlo gli studenti dell'Istituto alberghiero locale. 

Casa Artusi a Reacoaro

Le scuole alberghiere sono le scuole del fare. Esordisce così il manifesto del ristorante didattico che si appresta ad aprire battenti il prossimo 12 dicembre, a Recoaro Terme, un'ora di macchina da Vicenza nell'alta valle dell'Agno. Il progetto, in realtà, nasce circa un anno fa per iniziativa dell'Istituto Pellegrino Artusi (tra gli ex allievi celebri, Carlo Cracco), che il ristorante “gestito” dai suoi studenti ha scelto di chiamarlo semplicemente Casa Artusi. L'iter per arrivare all'apertura al pubblico è stato lungo: individuati i locali, l'ex ristorante La Linte di via Roma, nel centro del paese, con il sostegno della Provincia di Vicenza (20mila euro l'investimento iniziale) il nuovo spazio ha visto la luce a dicembre 2016. Poi, per diversi mesi, ha funzionato come laboratorio decentrato per le attività della scuola, con l'intenzione ben chiara di concretizzare l'obiettivo finale: mettere in piedi un contesto operativo fondato sul confronto con le problematiche reali del mestiere, certo in un ambiente protetto come quello scolastico, ma comunque a diretto contatto con le esigenze degli avventori. Il lavoro di preparazione, per arrivare carichi all'appuntamento, ha visto avvicendarsi in cucina molte classi dell'Istituto, mentre insieme ai docenti i ragazzi cominciavano a ragionare sulle molteplici variabili da padroneggiare per gestire al meglio un ristorante: la composizione del menù, gli ordini, la previsione dei volumi di vendita,  la gestione del magazzino, il budget e il costo pasto anticipano le competenze professionali l’esecuzione dei vari piatti, il rispetto delle norme igieniche, l’allestimento dei tavoli, l’abbinamento cibo-vino, sino alla traduzione dei menù in lingua straniera, al servizio ed alla presentazione dei vini.

 

Il ristorante didattico. Un modello formativo vincente

Il progetto, d'altronde, può contare su diversi precedenti e casi di scuola, vista la capillare diffusione del modello in molti Paesi d'Europa e del Nord America, ma pure sulla rete che riunisce i Ristoranti Didattici in Italia, una cinquantina in tutta la Penisola (i pionieri lavorano al progetto dl 1992). E anche la legge italiana (decreto 44/2001, art. 21) contempla la possibilità per gli istituti alberghieri di somministrare cibi e bevande e vendere beni e servizi “quale prodotto delle esercitazioni” (ma gli utili devono essere investiti nel miglioramento dell'istituzione scolastica). Tra il dire e il fare, però, corre la buona volontà. E il desiderio di rimboccarsi le maniche. A Recoaro, tutto questo sta per concretizzarsi. Gli studenti lavorano in cucina, ma anche in sala, e al bar, ognuno mettendo in gioco le proprie attitudini, e le competenze apprese in classe e durante i laboratori pratici. E tutti, a turno, si occupano di gestire il magazzino e fare le pulizie.

Il ristorante apre all'ora di pranzo, dal martedì al venerdì. I clienti non sono comparse, ma avventori reali: 80 coperti in tutto, e due classi impegnate ogni giorno, una in cucina, l'altra in sala. 200 gli studenti coinvolti nella fase iniziale. I progetti in cantiere, se l'esperimento dovesse funzionare, sono molti e ambiziosi. Aprire ogni tanto la sera, per eventi speciali, coinvolgere chef blasonati. In gioco la possibilità di imparare cosa significhi rapportarsi con le esigenze del cliente, rispettare i tempi di servizio, lavorare di comune accordo con le filiere alimentari locali per promuovere il territorio e le sue risorse. Tutto quello che difficilmente si apprende tra le mura di un'aula di scuola. Per scoprire il menu – una routine didattica, più una serie di proposte alla carta – non resta che aspettare l'inaugurazione ufficiale. Intanto ci piace sottolineare la bontà dell'iniziativa, e a tal proposito segnaliamo il precedente romano de I Carbonari, con i ragazzi dell'alberghiero Tor Carbone, che l'estate scorsa apriva i battenti a Trastevere, in un piccolo laboratorio con cucina confiscato all'ndrangheta.

 

a cura di Livia Montagnoli

Appunti di degustazione. Giulio Ferrari. La Riserva del Fondatore che non ha paura di invecchiare

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6 annate per conoscere la Riserva del Fondatore Giulio Ferrari per conoscere il fiore all'occhiello delle Cantine Ferrari.

Nel 1972 Mauro Lunelli, allora enologo della prestigiosa casa spumantistica trentina, decise di mettere da parte alcune migliaia di bottiglie di un Ferrari diverso da quelli prodotti fino ad allora. Dopo ben otto anni lo fece assaggiare ai fratelli Franco e Gino, a cui aveva nascosto tutto. Fu così che, a seguito di giudizi entusiastici, si decise di produrre una delle bollicine italiane più prestigiose al mondo. E di dedicarla al fondatore Giulio Ferrari.

Apprezzato dalla critica nazionale e internazionale (il Gambero Rosso lo ha premiato ben 21 volte con i Tre Bicchieri) la Riserva del Fondatore Giulio Ferrari è senza dubbio una delle grandi bollicine del mondo; sintesi perfetta di un terroir che vede protagonista un microclima di montagna tra i 500 e i 600 metri d’altitudine, un unico vigneto, interamente circondato dal bosco, il Maso Pianizza, e l’utilizzo esclusivo dello chardonnay, vede nella meticolosa azione umana il completamento di un'opera che parte dalla terra e finisce in cantina. Dal 1986 l’enologo dell’azienda trentina è Ruben Larentis, all’attivo 32 vendemmie in Ferrari e artefice di una gamma capitanata dal Giulio Ferrari, bollicina prodotta solo nelle migliori annate e sempre frutto di un affinamento sui lieviti di oltre 10 anni.

 

Ogni millesimo è un nuovo inizio

Ricerco l’espressione più completa dell’annata per lo chardonnay del vigneto Pianizza. Non vado alla ricerca di uno stile” ci dice Ruben Larentis “penso che la continuità, attuata attraverso uno stile preciso, sia più adatta ai prodotti non millesimati di Ferrari, mentre nella Riserva del Fondatore le ripetizione la considero un nemico. Ogni millesimo è un nuovo inizio, non c’è da seguire nessuna ricetta, ma ogni annata è un’occasione unica di reinventare un’armonia tra quello che ci ha concesso la natura e l’espressività finale nel bicchiere. Nell’assemblaggio definitivo” prosegue Larentis “cerco di arrivare all’equilibrio tra gli opposti, che è la base per raggiungere la complessità che il Giulio Ferrari deve avere. È così che l’obiettivo è quello di avere leggerezza, ma anche concentrazione, freschezza e maturità, ossidazione e riduzione”. In tutto questo poi c’è il tempo. “Il tempo è essenziale” conclude l’enologo “ma non è prevedibile e in certe annate l’evoluzione organolettica può diventare un mistero. Dopo 7 anni sui lieviti è il momento dell’armonia, il lievito accompagna il frutto e arrotonda l’acidità; dopo 12-15 anni è il momento dell’intensità espressiva e della profondità; dopo 20-30 anni è il momento dell’integrità, della complessità e della suadenza”.

 

La degustazione

Lo scorso 16 novembre abbiamo avuto l’occasione di assaggiare 6 grandi annate di Giulio Ferrari Riserva del Fondatore, grazie all’evento organizzato dall’Ais Veneto (delegazione di Verona). In presenza dell’enologo Ruben Larentis e del delegato Ais Verona Paolo Bortolazzi, l’assaggio ha visto protagoniste le bottiglie Magnum delle annate 1994, 2000, 2001, 2004, 2005 1986, tutte sboccate tardivamente. Ecco come è andato l’assaggio:

 

Giulio Ferrari Riserva del Fondatore 1986

Sboccatura: maggio 2017. Dosaggio: 3 grammi litro

Cenni sull’annata: piogge alternate a diverse giornate calde hanno caratterizzato la primavera. In luglio e agosto le temperature sono state elevate, ma le escursioni termiche hanno garantito aromaticità e acidità.

Le parole dell’enologo: maturità e complessità

Note di assaggio: di colore giallo oro intenso che fa trasparire un perlage che dopo più di 20 anni sui lieviti è molto evidente e carico. Al naso emerge subito una gran maturità, con i sentori fruttati sempre in evidenza a partire dall’albicocca, seguita da profumi di cachi, miele di castagno, cenni di liquirizia, mela cotta, spezie dolci e zafferano. La bocca è cremosa, profonda e avvolgente, ricca ma sempre ben equilibrata da un pizzico di sapidità e da un’acidità fresca, balsamica e ben integrata alla materia. Finale lunghissimo, saporito, denso, armonico e di gran fascino.

Valutazione: 95 punti.

 

Giulio Ferrari Riserva del Fondatore 1994

Sboccatura: gennaio 2016. Dosaggio: 4 grammi litro

Cenni sull’annata: estate piuttosto calda con piogge ben distribuite durante le settimane. Le temperature sopra la media hanno anticipato la maturazione delle uve. Le prime bottiglie sono uscite dopo 8 anni dalla vendemmie, dosate con 10 grammi litro di zucchero.

Le parole dell’enologo: essenzialità e morbidezza

Note di assaggio: di colore giallo paglierino carico con riflessi dorati che fa trasparire un perlage fitto e persistente. Il naso in una prima fase mostra profumi maturi, opulenti di pasticceria, frutta secca, frutta a pasta gialla candita, seguiti da sentori di fiori gialli e spezie. La bocca è secca, quasi scarna per progressione, profonda nella beva, di sviluppo verticale grazie a un dosaggio basso e a un’acidità rigida ma ben armonizzata con la sensazione avvolgente. Pian piano il sorso diventa più voluttuoso, morbido, setoso.

Valutazione: 90 punti.

 

Giulio Ferrari Riserva del Fondatore 2000

Sboccatura: gennaio 2016. Dosaggio: 3 grammi litro

Cenni sull’annata: annata caratterizzata da un luglio freddo, da un agosto decisamente più caldo e un settembre dove le piogge e gli sbalzi termici hanno garantito una perfetta maturazione delle uve.

Le parole dell’enologo: maturità e opulenza

Note di assaggio: colore giallo oro intenso. Perlage fitto e armonico. Al naso spiccano le note agrumate, di arancia candita, seguite da sensazioni di erba secca, spezie dolci, fiori e miele. La bocca è grassa, opulenta, ricca di frutto, avvolgente e riempie il sorso nonostante il basso dosaggio. Tutto è armonizzato da buona sapidità, una carbonica che spinge il sorso in un bel finale e l’acidità, percepita non altissima, ha comunque la capacità di lasciare la bocca pulita e tonica.

Valutazione: 92 punti.

 

Giulio Ferrari Riserva del Fondatore 2001

Sboccatura: luglio 2013. Dosaggio: 5 grammi litro

Cenni sull’annata: buona annata con caldo intenso a luglio e agosto e cambio repentino a settembre con temperature ben al di sotto della media. Maturazione delle uve rallentata e conseguenti basi per produrre un Giulio di grandissima finezza.

Le parole dell’enologo: intensità ed eleganza.

Note di assaggio: bellissimo colore giallo oro e perlage di rara finezza. Il naso è fin da subito piccante con note di zenzero in evidenza seguite da cenni floreali, di zafferano, agrumi e frutti esotici. La bocca sembra la sintesi perfetta del Giulio Ferrari che ci si aspetta, elegante nello sviluppo, equilibrato, fine, sottile, con tante sfumature che si rincorrono e riempiono la bocca, la avvolgono. Finale setoso, morbido, pulito, perfetto.

Valutazione: 93 punti.

 

Giulio Ferrari Riserva del Fondatore 2004

Sboccatura: ottobre 2015. Dosaggio: 2,5 grammi litro

Cenni sull’annata: tempo molto stabile, temperature nella media, piogge ben distribuite e un settembre fresco che ha rallentato la maturazione delle uve.

Le parole dell’enologo: carattere e profondità

Note di assaggio: giallo dorato lieve con ancora nuance paglierine. Perlage molto fitto e di grande eleganza. Particolare naso iniziale con note di talco e cenni mentolati seguiti da profumi di radici, fiori gialli, mandorla e ricordi di frutto a pasta gialla. La freschezza caratterizza il palato, forse manca un po’ di polpa al centro del sorso, ma il finale è sapido, pulito e molto profondo.

Valutazione: 89 punti.

 

Giulio Ferrari Riserva del Fondatore 2005

Sboccatura: febbraio 2016. Dosaggio: 3 grammi litro

Cenni sull’annata: annata particolare e non facilissima, con caldo a giugno, seguito da 15 giorni di fresco e nuovamente caldo a fine luglio. La piovosità è stata maldistribuita, ma i giorni prevendemmia sono stati freschi e ciò ha potuto garantire delle uve con acidità molto alte.

Le parole dell’enologo: ricchezza ed intensità

Note di assaggio: Colore paglierino classico. Perlage fine e persistente che anticipa un naso ricco di profumi agrumati, di bergamotto, ma anche di radici, erba fresca e alcuni tratti terrosi e di sottobosco. La bocca è fresca, molto secca, austera e profonda, in profondità si percepisce un leggero amaro accompagnato da una bella acidità che pulisce e da vibranza al sorso. Finale sulle note olfattive, più ricche e mature: miele, frutta disidratata, fieno e fiori secchi.

Valutazione: 91

 

Cantine Ferrari | Trento | via Ponte di Ravina 15 | tel.  0461 972311 | www.ferraritrento.it

 

a cura di Giuseppe Carrus

foto Ais Veneto

 

 

 

 

Vanessa Kimbell. La donna che ha insegnato al Regno Unito a fare il pane

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La lievitazione – si sa – ha delle regole ferree, ma per creare prodotti d'eccellenza secondo Vanessa Kimbell occorre anche una sensibilità spiccata, oltre a una profonda consapevolezza del valore di ogni ingrediente. Storia della guru della panificazione inglese.

Vanessa Kimbell

Ecco, questo è l'origine di tutto. Toccalo, assaggialo: senti l'acidità? Sono gli stessi microbi che abbiamo nel corpo, gli stessi che vivono sottoterra. Ogni elemento è connesso al pane, che è materia viva”. Infila le mani nella pasta madre, la accarezza, si porta il dito alle labbra, chiude gli occhi. Assapora con gusto, beandosi di quel piccolo momento di piacere come fosse il suo primo assaggio. Ma di lieviti, Vanessa Kimbell, ne ha preparati, curati e rinfrescati a dismisura. Perché la sua storia d'amore con la panificazione inizia oltre 30 anni fa, con quei primi pani che ben presto smette di mangiare per problemi di digestione. “Ho chiesto a ogni medico del Regno Unito: nessuno sapeva darmi una spiegazione”. Oggi è lei a insegnare ai dottori perché alcuni prodotti sono più difficili da assimilare, nella sua scuola a Nord di Londra che è ormai un punto di riferimento a livello internazionale.

 

Vanessa

L'amore per il pane

Là, dietro il suo bancone, Vanessa impasta, spiega, assaggia, condivide con gli allievi la sua enorme passione, frutto di uno studio e di un puntiglio applicato a una ricerca lunghissima, portata avanti negli anni senza sosta. “Fare il pane significa portare gioia in casa, contribuire a quel senso di convivialità tipico della tavola: fare il pane è un atto d'amore”. A guidarla, una conoscenza profonda della materia prima, delle tecniche di lievitazione e degli aspetti nutrizionali legati all'arte bianca. Ma soprattutto istinto, sentimento, impulso. “Guardalo”, ci incalza con occhi sognanti indicando la pagnotta, “la crosta dorata, la mollica soffice dai sentori di miele, latte, aceto. È morbido, è fragrante, è invogliante: come si fa a non amarlo?”

 

Pane

Gli inizi

Poche righe per descrivere Vanessa, un personaggio unico nell'ambiente: inglese doc, inizia a giocare con le farine all'età di 11 anni, approfondisce la materia in Francia, a 24 anni comincia ad accusare disturbi legati al consumo di pane, e smette di mangiarlo. Resistere alle specialità delle boulangerie francesi, però, è un'impresa ardua per una buongustaia come lei, così decide un giorno di tentare di nuovo. Sta bene, torna in Inghilterra, ci riprova e si ammala di nuovo. “I medici non capivano: col tempo mi sono resa conto che dipendeva tutto dalle lievitazioni. Il pane inglese era preparato velocemente, un mix di farina cruda che cuoce all'istante, mentre quello francese era il risultato di una lunga maturazione”. Questa la svolta, che porta la panettiera a studiare, leggere ogni libro scritto sull'argomento, specializzandosi sempre di più. Da qui, il percorso si fa sempre più denso. A cominciare dalla scuola, la Sourdough School a Northamptonshire, dove insegna le tecniche di panificazione, per finire con la pubblicazione di ben tre libri sulla lievitazione naturale, “a breve anche in italiano”, e diverse collaborazioni con programmi TV inglesi.

 

Vanessa

L'aspetto nutrizionale

Insegnare a preparare il pane, per Vanessa, significa molto di più che sciorinare dosi e procedimenti: “Si tratta di un discorso più complesso, che parte dalle fondamenta scientifiche della lievitazione. La pasta madre prende vita dai batteri del lattosio che creano acidità, elemento che consente al nostro organismo di digerire meglio il prodotto. In questo modo, abbiamo una maggiore quantità di minerali, vitamine e fibre, che aiutano a mantenere stabile il livello di glicemia”. Si assimila, dunque, molto meglio il tanto condannato glutine, tema di dibattiti e discordie negli ultimi anni in cui si è fatto un gran parlare di celiachia e intolleranze: “C'è molta confusione al riguardo. Sempre più persone credono di non riuscire a digerire il glutine, ma il vero problema sta nella qualità del pane: la maggior parte dei prodotti in circolazione sono realizzati frettolosamente, con lievitazioni brevi e poco curate, e in questo modo tutte le proteine i micronutrienti restano legati fra di loro senza svolgere la loro funzione”. Per spiegare meglio questo passaggio, l'artigiana ci invita a immaginare il pane come una lunga collana di perle: “Se è ben lievitato e acidificato a dovere, la collana si spezza, e ogni perla – ovvero gli amminoacidi – confluisce nel nostro corpo, contribuendo alla formazione di massa muscolare, all'apporto di energia e simili”.

 

Lievito

La qualità delle materie prime

Caratteristica che rende questa tipologia di pane perfetta anche per chi soffre di diabete, “specialmente se si utilizzano farine integrali: l'assimilazione dei carboidrati diventa molto più semplice”. Un invito a riflettere meglio sulla qualità degli ingredienti, prima di condannare il glutine, “i microbi del lievito sono gli stessi del nostro stomaco: può esistere niente di più naturale?”. La pasta madre, però, va sempre fatta in casa, o chiesta a dei fornai di fiducia, “quella che troviamo in vendita al supermercato non è altro che una polvere che, ancora una volta, accelera i processi di lievitazione”. Fortunatamente, però, i consumatori iniziano a essere più consapevoli: “In Inghilterra ora c'è un vero trend della lievitazione naturale. Questo mi fa piacere, ma come sempre bisogna saper riconoscere i prodotti di qualità”.

L'uomo e il pane: un'evoluzione simbiotica

Ma se gli aspetti salutistici sono fondamentali per Vanessa, la spinta maggiore verso questo prodotto proviene dal suo gusto unico: “Il pane è un elemento tattile, va accarezzato, toccato, bisogna affondarci le dita dentro. Il pane va vissuto a pieno, con tutti i sensi”. E, prima ancora, è un prodotto chiave della storia dell'uomo: “Ci siamo evoluti con il grano, che è parte della nostra natura. La terra ci dona questo frutto straordinario da secoli: sta a noi farne buon uso, rispettandolo e trattandolo con cura”. Le parole di Vanessa sono quelle di una donna innamorata, che vive in simbiosi con ciò che produce, “terra, uomo e grano sono interconnessi dagli stessi elementi: non possiamo esistere separatamente”. Intanto,continua a studiare senza sosta: “Sono venuta in Italia per quattro giorni per lavorare fianco a fianco con Gabriele Bonci, con il quale condivido lo stesso approccio al prodotto. È stata un'esperienza meravigliosa che mi ha insegnato tanto: il confronto con i colleghi è fondamentale”.

 

Pane

Dopo l'aggiornamento professionale sul territorio capitolino, Vanessa è tornata nel Regno Unito, nella sua scuola, dove la aspettano studenti di tutto il mondo, di ogni età e provenienza, medici compresi. Gli stessi che anni fa non avevano saputo darle una risposta. “Se sono orgogliosa del mio percorso? Non lo so. Dovrei esserlo? Non ci ho mai pensato. Quando ti innamori, non ti poni delle domande”. Una risposta, però, la panettiera ce la fornisce: “Sono felice, sì. È amore. Che altro aggiungere?”.

Sourdough School | Northampton | Moulton Rd | tel. +44 7813308301 | www.sourdough.co.uk/

a cura di Michela Becchi

Il Panettone Baj, dall’Ottocento di piazza Duomo al rilancio del XXI secolo

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La storia della Confetteria Baj, specializzata nella produzione del dolce simbolo di Milano, è intrecciata alla tradizione dolciaria della città da oltre due secoli. Dopo oltre 50 anni di stop, la produzione di panettoni riprende a Como, per iniziativa dell’ultimo erede, Tomaso Baj. 

Il panettone più celebre di Milano

Un tempo lontano fu Giuseppe Baj, classe 1839, a sdoganare il panettone col marchio di famiglia, quando nel 1872 inaugurava in piazza Duomo, all’angolo con via Santa Radegonda, la Confetteria Baj, fortunatissima attività specializzata in produzione e commercio del dolce simbolo di Milano, da subito premiata a livello nazionale (e pure con medaglie prestigiose alle Esposizioni di Milano del 1881 e 1887) e ben presto al centro di un vivace mercato delle esportazioni – con sedi satellite a Genova e in Svizzera - nel periodo precedente allo scoppio della Prima Guerra Mondiale. In negozio, negli anni d'oro, entrava spesso pure Filippo Tomaso Marinetti, che a Natale regalava il panettone Baj ai lettori della sua rivista. Del resto la famiglia Baj poteva vantare una lunga tradizione nel settore, in prima linea nell'albo degli offellaj (i pasticceri) sin dalla metà del XVIII secolo: celebre il detto “quando a Milano non c'era ancora il tramvaj, già si gustava il panettone Baj”. Dopo la guerra, negli anni Trenta, furono i figli di Giuseppe – Alfredo e Luigi – a ridare slancio alla produzione, seppur con minor capacità e successo dal capostipite. Tanto che, l'esplosione del secondo conflitto mondiale finì per esaurire definitivamente l'esperienza del laboratorio di famiglia, che neppure nel Dopoguerra, con il boom dei consumi e la diffusione capillare del panettone sulla tavola delle feste, riuscì a tornare in pista. Storia di un'impresa dell'Italia del cibo che fu, relegata all'album dei ricordi.

Il panettone Baj nel XXI secolo

Almeno fin quando, un anno fa, Tomaso Baj, ultimo discendente della famiglia, non ha deciso di riprendere l'attività, rilanciando il marchio storico con gli accorgimenti necessari per sopravvivere al mercato dei giorni nostri. Classe 1974, comasco, Tomaso ha quindi rispolverato la ricetta del trisnonno Giuseppe, riavviando una produzione che vanta oltre 200 anni di storia, registrando nuovamente il marchio, e rivolgendosi a esperti maestri pasticcieri per impostare da principio la lavorazione: lui, seppur dotato di molta buona volontà, è designer della comunicazione, a digiuno di qualunque nozione di pasticceria. La soluzione è arrivata con il sodalizio con un laboratorio dolciario di Como, nel rispetto di alcuni punti fermi derivati dalla tradizione di famiglia: la qualità eccellente degli ingredienti, e la forma caratteristica del Panettone Baj, bassa, secondo l’uso ottocentesco, con tre tagli sul dorso che richiamano il rosone del Duomo di Milano. La comunicazione ha fatto il resto, con la realizzazione di confezioni originali a partire dalle scatole d’epoca (la più celebre quella tonda in cartone, per la spedizione di panettoni da 2 kg) tramandate da foto in bianco e nero e campagne pubblicitarie della Belle Époque: ogni panettone, debitore alla memoria della pasticceria che fu, è corredato da un libretto che ne racconta la storia, attraverso immagini e documenti del passato. Per il secondo Natale consecutivo, dunque, il panettone Baj del XXI secolo è pronto a tornare sulla tavola delle feste: dopo la produzione di prova del 2016, quest’anno la commercializzazione entra nel vivo, con pezzature e confezioni di diverso tipo, persino con foulard di seta stampati in tecnica ecoprinting che avvolgono il panettone, per rievocare una possibilità offerta in pasticceria già nel XIX secolo. Ma come acquistarlo, un panettone della Baj & C.? Per il momento tramite Amazon e con ordini online diretti ai recapiti dell’azienda.

 

www.panettonebaj.it  

 

a cura di Livia Montagnoli

(Foto Baj e C. Srl)

Non solo d'estate e non solo cibo standard. La svolta delle crociere gourmet

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Oggi in crociera ci si va in ogni mese dell'anno, potendo contare non più solo sul mare e sui paesaggi vacanzieri, ma anche sull'intrattenimento e su un'offerta gastronomica mai così varia.

Oltre 5700 passeggeri e circa 7000 pasti complessivi, se si considerano i 1320 componenti dell'equipaggio. Sono cifre da vertigine quelle delle più moderne navi da crociera. Nel caso specifico sono quelle della Meraviglia di MSC Crociere, un colosso di 19 ponti e 315 metri di lunghezza e 65 di altezza, operativa dall'estate scorsa.

 

MCS & Costa: come cambiano le crociere

MSC è la più grande compagnia crocieristica a capitale privato al mondo, con base in Svizzera. Dal 2014 ha intrapreso un percorso di crescita che prevede l'ampliamento della flotta con alcune navi di nuova tecnologia. Navi dai nomi evocativi come Meraviglia, Meraviglia Plus, Seaside, World, per un totale di 11 nuovi giganti del mare e 9 miliardi di euro di investimento. Insomma: un imponente piano industriale che punta all'innovazione. Non è l'unica, ci sono anche le nuove unità della flotta Costa Crociere, la cui prossima ammiraglia, Costa Smeralda (frutto della sinergia con il Consorzio Costa Smeralda), sarà in mare nei primi mesi del 2018. La Costa ha tre nuove navi dal design contemporaneo, che si aggiungono a quelle già presenti. Tutte contano su intrattenimento e spettacoli di vario genere, attività sportive, centri benessere e un'offerta gastronomica varia. Il focus, nel caso di Costa, è sulla cucina regionale, sulle tradizioni gastronomiche locali e sul food&wine pairing, ma non mancano anche menu griffati da uno dei grandi nomi dell'alta cucina italiana, Bruno Barbieri, e piatti di cucina creativa, ristoranti più riservati, pizzerie e opzioni etniche: dal teppanyaki (sulla Costa Diadema), ai piatti pacific fusion dei ristoranti Samsara.

Seaside

Le navi del futuro

Costata 900 milioni, la Meraviglia è “la nave per tutte le stagioni” e infatti il calendario delle sue partenze non si ferma mai, con sei porti di imbarco tra Italia, Francia e Spagna, in alcune delle località più belle del Mediterraneo. Ed è la prima di una serie di “navi del futuro”, così vengono definite queste grandi navi di nuova generazione introdotte nella flotta di MSC Crociere tra il 2017 e il 2026. Extra large, extra lusso, extra tutto. La seconda, la nuova ammiraglia della flotta MSC presentata proprio in queste ore, è la Seaside: “la nave che segue il sole, la più grande nave da crociera mai realizzata in Italia”, la prima delle due commissionate da MSC Crociere a Fincantieri (le seconda Seaside è attesa per la primavera prossima). L'ultima nata, del valore di 700 milioni di euro, conta su 2.067 cabine (tra cui anche suites e cabine modulari e collegate tra loro, adatte per famiglie e gruppi, e altre cabine esclusive) con una capienza di 5.179 passeggeri per 323 metri di lunghezza. Poco meno della Meraviglia, dunque, e con un ponte in meno, ma con una impostazione diversa in virtù di una destinazione diversa: opererà nei Caraibi (con tanto di passaggio in un'esclusiva riserva marina in un'isola privata delle Bahamas) e promette un rapporto ravvicinato con il mare come non si era mai visto. In entrambe lo Yacht Club, extralusso ed extrariservato, è una nave nella nave, con un raffinate cabine, personale dedicato a disposizione h.24, ristoranti, solarium e altri spazi privati non accessibili al resto degli ospiti (e neanche a noi, quando l'abbiamo visitata).

Galleria Meraviglia

Le nuove navi: l'esperienza nell'esperienza

Queste navi sono concepite per essere loro stesse una destinazione, a prescindere dai porti in cui faranno scalo. La Meraviglia, per esempio, ha una lunghissima passeggiata chiamata la Galleria Meraviglia: circa 90 metri sotto una volta luminosa a led, 480 metri quadrati in cui per tutto il giorno si proiettano immagini ed effetti speciali che cambiano creando atmosfere magiche. Un vero e proprio cielo tecnologico che fa da scenografia al corso della nave sul quale si affacciano i negozi: una via dello shopping, come nei centri cittadini, che si trasforma di ora in ora. Mentre la Seaside, pensata come una gigantesca e lussuosa villa sulla spiaggia e progettata per condizioni climatiche miti, ha spazi aperti e una passeggiata esterna, quella sul ponte 8, che è la promenade più vicina al livello del mare che sia mai stata costruita. E come in una cittadella o in un villaggio turistico, ci sono centri sportivi, intrattenimento (con il Cirque du Soleil che programma spettacoli creati per l'occasione che includono anche una dining experiencecoordinata allo show, dalla disposizione dei tavoli, ai costumi, alla musica, fino agli effetti visual del menu di tre portate) e poi concerti, attività sportive e per i bambini, e altre iniziative, come il tecnologico acquapark sul mare della Seaside. L'idea di fondo è lasciarsi alle spalle la vecchia prospettiva delle crociere che puntano solo al passaggio di porto in porto e di città in città e di trasformare la crociera in un'esperienza in sé. A partire dalla proposta gastronomica. Che, oggi, include anche proposte gourmet, e diverse opzioni che attraversano tutta la giornata.

Seashore restaurant seasideSeashore restaurant - Seaside

Le esperienze gastronomiche. La proposta base

Provvedere a circa 14mila pasti al giorno, tra pranzo e cena, richiede molta organizzazione, sia per quanto riguarda la parte della cucina, che per quella dell'accoglienza. Per evitare, infatti, affollamenti che rallenterebbero il servizio dei pasti, ci sono turni e destinazioni ben precise comunicate al momento dell'imbarco (ovviamente passibili di modifiche, su richiesta). L'offerta ordinaria parte dal Marketplace, un buffet ricchissimo sia in termini di offerta, mediterranea ed etnica, sia di superficie: nella Meraviglia sono 3.550 metri quadrati (con cucine a vista, un'area dedicata alla produzione di mozzarella “con la cagliata fornita da un caseificio di Battipaglia” spiega Bruno Habusha, F&B manager della MSC Meraviglia, e un mercato di frutta e verdura), aperto 20 ore su 24. Un buffet che nella Seaside è stato duplicato con in più spazi per la griglia e per la pizza. L'opzione flex dining consente di non essere vincolati ai turni dei quattro ristoranti-base, che cambiano nelle ambientazioni ma hanno tutti gli stessi menu alla carta, che si muove tra una proposta internazionale e dei piatti più prettamente italiani. Quattro locali in grado di soddisfare, contemporaneamente, 2200 ospiti. Il centro di produzione è uno solo e lavora praticamente a getto continuo, con capopartita in gran parte italiani, almeno nella Meraviglia. Il feedback sul gradimento, in una circostanza come questa, acquista un valore fondamentale, perché viene registrato e informatizzato così da riuscire a individuare eventuali punti deboli in tempo utile: “il menu in corso – 14 in un anno, con 22 piatti principali - difficilmente viene cambiato durante la stagione”.

Ristorante Italia - Meraviglia

I ristoranti tematici

Oltre alla proposta base, alcuni ristoranti tematici - ognuno con un proprio sommelier - intercettano le esigenze degli ospiti: come il Butcher’s Cut, la steak house in perfetto stile americano (presente in entrambe le navi), con tanto di cella per il dry age e birre artigianali, cocktail e vini statunitensi.

 

Butchers Cut - Seaside

All'estremo opposto, nella Meraviglia, ci sono la tecnica e i sapori dell'Estremo Oriente con Kaito Teppanyaki, sushi bar e ristorante con 4 griglie e altrettanti chef. In questi locali, il focus è sul momento della preparazione dei piatti, tutti realizzati a vista di fronte ai clienti. A sancire, ancora di più, il concetto del cibo-show come esperienza non solo gastronomica, ma culturale, artigianale, legata al saper fare e alle tradizioni. Ma è forse la presenza di Eataly che incuriosisce di più sulla nave del Mediterraneo: Eataly Food Market ha un'offerta easy e disinvolta nel più tipico stile dei “ristorantini” presenti in tutti i foodstore della catena, dove mangiare circondati dai prodotti in vendita esposti sugli scaffali, il Ristorante Italiano, invece, ha una proposta fine dining con tanto di tavolo dello chef e piatti che si trovano anche in altri Eataly nel mondo, firmati da Pierluigi Pagano e dal sous Pasquale Pulziello. Champagne bar, locali in perfetto stile club inglese o dedicati agli appassionati di sport, e altri corner sono disseminati per tutta la nave, tra questi anche la cioccolata, le crêpes e il gelato di Jean-Philippe Maury nella Meraviglia e quelli di Venchi nella Seaside. Il suo ristorante gourmet di pesce si chiama Ocean Cay: cucina americana con tocchi mediterranei, con il granchio locale, lo Stone Crabs proveniente da Miami, a fare la parte dal leone insieme a spigole del Mediterraneo e spaghetti alle vongole. Francese, invece, la proposta del bistrot La Bohème, in uno spazio informale e accogliente che, dalle colazioni agli snack caldi fino alla proposta di taglieri si propone di far rivivere lo spirito gastronomico d'Oltralpe. 

 

MSC_Seaside_Asian_Market_KitchenAsian Market Kitchen - Seaside

Ma il cuore dell'offerta food è quello che gira intorno al celebrity chef nippo-americano Roy Yamaguchi, ristoratore, autore di libri e personaggio televisivo, alle spalle ben 30 ristoranti ispirati alle atmosfere hawaiane e con una cucina giapponese molto contaminata. Coinvolto a 360° nell'ideazione dei ristoranti della Seaside - dalle ricette ai menu, dalla scelta dei vini a quella delle porcellane e della musica – ha messo a punto l'offerta pan asiatica dell'Asian Market Kitchen che va dal teppanyaki al ristorante à la carte al sushi bar.

Chef's table - Meraviglia

Gli approvvigionamenti

Una struttura del genere sposta tonnellate di materie prime a settimana: circa 13mila chili di carne - fresca e non - 20mila di frutta, 30mila uova fresche e 12mila bottiglie di vino, con l'angus per la steak house viene imbarcato ogni 3 o 4 giorni. Le cambuse sono un regno subacqueo sterminato, con magazzini tra i 200 e i 1500 metri quadrati. A gestire l'approvvigionamento, Msc Italcatering, una azienda del gruppo MSC dedicata specificatamente al food & beverage per tutta la flotta, non solo per le navi appena varate. “Ovviamente ci sono fornitori fissi per tutte e navi del Mediterraneo” spiega ancora Bruno Habusha. “Abbiamo un magazzino centrale per il Mediterraneo – come ne abbiamo uno per gli Stati Uniti e – che acquista facendo gli ordini per le successive tre settimane”. Il rigido monitoraggio sui consumi, “che varia molto in base alla nazionalità degli ospiti: con molti italiani bisogna aspettarsi un maggiore consumo di pasta, con i francesi di formaggi e foie gras, con i russi di vodka”. I passeggeri, infatti, in genere sono molto eterogenei: circa 60-70 nazionalità diverse, con una prevalenza di nord e sud America e Oriente nel caso delle crociere nel Mediterraneo, ma anche in quelle nei Caraibi la composizione è quanto mai varia. Ci sono poi variabili stagionali: in inverno, nel Mediterraneo, si consumano soprattutto ananas e frutta esotica. Capitano anche ordini di emergenza, considerando che, solo di farine, se ne usano 1000 chili al giorno: la panetteria è sempre in attività, per pane, dolci secchi, plum cake e altre torte. La carne arriva in pezzi parzialmente lavorati, poi finiti in macelleria, dove lavorano 5 persone solo per questo, altre 3 sono al pesce. Complessivamente, in cucina ci sono 260 persone. L'organizzazione non consente falle dagli orari di lavoro alle regole di bordo dal punto di vista igienico sanitario. Tutto è molto rigido. E forse è questo il segreto per far funzionare un colosso del genere.

 

www.msccrociere.it

www.costacrociere.it

 

a cura di Antonella De Santis

 


Vi cuciniamo per le feste. Allo Sheraton di Roma i beniamini di Gambero Rosso Channel

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Una cena spettacolo con tutti i protagonisti di Gambero Rosso Channel per festeggiare insieme l’arrivo del Natale. Torna puntuale come ogni anno l’appuntamento con la tavola imbandita dai beniamini del canale 412 di Sky. Il 6 dicembre, allo Sheraton Rome Hotel. Il menu.

È nutrito il parterre di chef e personalità del mondo gastronomico che il 6 dicembre si ritrovano allo Sheraton Roma Hotel per la grande festa di Natale di Gambero Rosso Channel. Un format di successo, quello della cena corale che coinvolge veterani del canale e nuovi arrivati nel palinsesto a tema gastronomico, che ogni anno anticipa l'atmosfera natalizia in compagnia dei volti più amati del canale 412 di Sky. Pronti a “cucinarvi per le feste”, per una cena spettacolo all'insegna del gusto e del divertimento, Igles Corelli, Massimo D’Addezio, Giorgione, Peppe Guida, Hiro, Fabrizio Nonis, Gianfranco Pascucci eMaurizio Santin. Apertura, dalle 19, affidata al barman capitolino Massimo D’Addezio, protagonista di Spirits, che in tv regala tante pillole per scoprire il mondo dei distillati e della miscelazione: a lui il compito di servire il cocktail di benvenuto agli ospiti.

Dalle 20.30 via alle danze, con tutti i beniamini del canale tra palco e cucina, per un menu d'autore a 14 mani. La serata, come di consueto, prevede che gli chef coinvolti si alternino tra palco e cucina, così da raccontarsi a tu per tu con gli ospiti in sala. Questo il menu ideato per la serata (ogni piatto a cura di uno dei protagonisti). Attenzione perché i biglietti sono esauriti (250 persone) ma si sta lavorando per ricavare qualche spazio agguntivo, bando alle indecisioni.

Cocktail di benvenuto

Massimo D’Addezio: Japanese 75 (praticamente un French 75)

In tavola

Hiro : Salmone delle feste

Igles Corelli: lasagnetta croccante con battuta di vitello, fondente di pomodoro

Gianfranco Pascucci: Su Filindeu

Peppe Guida: pasta e patate affumicate, totani e alghe

Giorgione: maialino alla “Giorgione” ripieno dell’orto... È così che si cucina!

Fabrizio Nonis: musét & montagna

Maurizio Santin: caffè viennese

Auguri dalla grande famiglia di Gambero Rosso Channel!

Vi cuciniamo per le feste | Roma | Sheraton Rome Hotel | il 6 dicembre 2017, dalle 19 | 75 euro a persona |
www.gamberorosso.it/it/store/eventi/vi-cuciniamo-per-le-feste-cena-dei-talent-1-detail

 

PARTNER DELL'EVENTO
 

   
   

 

I consigli dell'oste. Diego Rossi di Trippa e la carne di Carlo Alberto

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Diego Rossi, patron insieme a Pietro Caroli di Trippa, ci consiglia le sue tre macellerie di fiducia. E noi vi raccontiamo la storia di una di queste, quella del compaesano dello chef Carlo Alberto.

Andiamo alla scoperta di prodotti e produttori selezionati dagli osti più bravi d'Italia, premiati dalla nostra guida Ristoranti d'Italia 2018 con i Tre Gamberi. È la volta di Diego Rossi, patron insieme a Pietro Caroli di Trippa, la trattoria milanese sulla bocca di tutti. Che ci consiglia la carne (e rispettive frattaglie) di ben tre macellerie.

Diego Rossi, Michael Stipe e Pietro CaroliDiego Rossi, Michael Stipe e Pietro Caroli

Diego Rossi e i tre macellai di fiducia

Addirittura protagonista di una gag nel sito il Milanese Imbruttito (parlando di manager: “Fissare un appuntamento con voi, per la gente, deve essere come un tavolo libero da Trippa 2 giorni prima del weekend: impossibile”) e frequentata da veri vip, Michael Stipe in primis, Trippa è il fenomeno milanese del momento. Al di là dei pettegolezzi da rotocalco o delle frequentazioni, la trattoria di Diego Rossi e Pietro Caroli se lo merita tutto questo successo. Un consenso assodato anche dalla critica, in generale, e dalla nostra guida Ristoranti d'Italia 2018 che l'ha premiata con Tre (meritatissimi) Gamberi. Di questa realtà vi abbiamo già parlato, intervistando proprio Diego Rossi, ma ora proviamo per un attimo a spostare i riflettori, puntandoli su chi, giorno dopo giorno, fornisce la materia prima per i loro piatti must, dal vitello tonnato alla trippa fritta, dalla pajata ai rognoni. “Senza Marco Martini di Boves, Trippa non esisterebbe”, sentenzia Diego Rossi - che riusciamo a raggiungere telefonicamente mentre è in mezzo a un campo in cerca di fagiani (sì, Diego è anche questo!) - “lui ci dà tutta la carne di vitellone piemontese e la maggior parte delle frattaglie che utilizziamo”. Rappresentante di terza generazione di una famiglia che ha portato Boves e la sua carne in tutta Italia, Marco deve il suo successo al controllo completo della filiera, dall'allevamento, in cascine di sua proprietà, alla vendita. Ma non è l'unico “macellaio da generazioni”: “Poi c'è il pugliese Michele Varvara, che mi ha presentato il mio amico e fotografo Marco Varoli, che ci fornisce perlopiù di montone, pecora e rispettive frattaglie. E il mio grande amico, compaesano, Carlo Alberto. Da lui prendo tutto quello che è equino, dal cavallo all'asino, al mulo, ma anche conigli, galline, more romagnole e alcune frattaglie, a cominciare da animelle e cuore”. È di lui, macellaio per vocazione, che vi parleremo.

Il macellaio Carlo AlbertoCarlo Alberto

La storia di Carlo Alberto

È storia recente quella di Carlo Alberto, se così si può dire, che ha deciso di aprire una macelleria 19 anni fa nella sua città: Verona. Ma i geni c'erano comunque tutti: “Sono figlio di allevatori di equini, ho avuto una parentesi alberghiera (nella stessa scuola frequentata anni dopo da Diego Rossi. Ndr),quello sì, ma una volta terminati gli studi ho rilevato una macelleria di carni equine”. Aveva solo 21 anni e le idee chiare. “In famiglia si è sempre parlato di etica e di benessere degli animali, dato che allevavamo asini stalloni e cavalli destinati a procreare i muli dell'esercito, così dopo qualche esperienza come cuoco, ho deciso di aprire la macelleria. Ho colto l'occasione giusta al momento giusto, poi la passione è venuta da sé”. Tanta la passione e la competenza, da diventare negli anni il fornitore della maggior parte dei ristoranti blasonati di Verona, da Perbellini al 12 Apostoli, all'Antica Bottega del Vino. Non contento, però, nel 2014 apre una seconda macelleria, questa volta dedicata alle carni biologiche e grass fed per la quale si affida a piccolissime, se non microscopiche, produzioni locali che gli consegnano circa 7 o 8 animali l'anno, “da quest'anno mi affido anche ad Alfonso Camassa: allevatore, in Inghilterra, di animali al pascolo allevati in maniera grass fed”.

L'apertura della seconda macelleria

Una scelta, quella di aprire la seconda macelleria, dettata dalla voglia di mettersi in gioco: “La carne di cavallo a Verona è utilizzata da sempre - è una tradizione che risale addirittura al periodo delle crociate, durante il quale si è cercato un modo di recuperare i numerosi cavalli caduti in guerra, mettendone a macerare la carne in vino e spezie per poi cucinarla. Da qui la Pastisada de' Caval - “però vendere solo questo tipo di prodotto iniziava a essere limitante. L'apertura del secondo punto vendita a Cà di David mi ha permesso di continuare a far ricerca, introducendo pian piano prodotti del territorio come la gallina Grisa della Lessinia o la pecora, l'agnello e il castrato di razza Brogna, per la quale nel 2012 abbiamo fondato l'Associazione per la promozione e la tutela”. Con qualche digressione territoriale, pensiamo alla Mora Romagnola, o tematica “ho introdotto anche le lumache biologiche di Cerna, che in umido con la polenta, sono la fine del mondo!”.

 

Trippa | Milano | via Giorgio Vasari, 3 | tel. 327 6687908 | www.trippamilano.it

Martini Carni | Boves (CN) | Via Milia, 23 | tel. 0171 1723036 | www.martinicarni.it

Varvara | Altamura (BA) | via Ugo Foscolo, 50 | tel. 320 411 8061 | www.facebook.com/fratellidicarne

Macelleria Carlo Alberto | San Giovanni Lupatoto (VR) | via Madonnina, 72/A | tel. 045 9251602 | macelleria-online.it

Macelleria Carlo Alberto | Cà di David (VR) | via Vittorio della Vittoria, 19 | tel. 045 2224784

 

a cura di Annalisa Zordan

 

I consigli dell'oste

Michele Vallotti e i salumi di Vanni Forchini

Gherra e Vergano del Consorzio di Torino e la carne della Macelleria Brarda

Giovanni Milana di Sora Maria e Arcangelo e i formaggi di Marzia Molinari

Luca Casablanca di Tischi Toschi a Taormina e le conserve ittiche di Adelfio

Daniele Minarelli dell'Osteria Bottega e la mortadella di Ennio Pasquini

Sergio Circella della Brinca e i prodotti dell'Azienda Agricola Rue de Zerli

Gennaro D’Ignazio della Vecchia Marina e l'olio di Valentini e del Frantoio Montecchia 

Rinaldo Merola del ristorante Angiolina e le alici di Menaica


 

 

Eugenio Boer lascia Essenza subito dopo aver conquistato la Stella Michelin. Dettagli, verità e rumors

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14 giorni. È il tempo trascorso dall'uscita dell'ultima edizione della Michelin Italia che, fra le altre novità, ha assegnato un premio da lungo atteso: la Stella per Essenza di Eugenio Boer. Che, dopo appena due settimane, lascia il ristorante. Ecco cosa è successo. 

La prima Stella

La si attendeva da tempo, e finalmente, lo scorso 16 novembre, è arrivata: la prima Stella per Eugenio Boer, Essenza, premiato dalla Rossa nell'ultima edizione italiana (un premio speciale per il Gambero Rosso era arrivato invece lo scorso anno), insieme a tanti altri colleghi meneghini e lombardi. È sconcertante pensare che proprio lui, lo chef che ha maturato la passione per i fornelli quando era ancora solamente un bambino, già familiare con il mondo della ristorazione, (“mio padre mi portava in giro in macchina e aveva la guida Michelin sul sedile”), lui che dopo i tanti sacrifici, sforzi e impegni è riuscito a conquistare un riconoscimento di caratura internazionale, decida di abbandonare il ristorante.

Il ristorante non era di Boer (?)

Ma il ristorante che egli aveva ideato nel 2015 era proprio suo? Lo avevamo definito "patron", "ideatore", "titolare". Probabilmente così non era e si sarebbe dovuto approfondire di più, perché la vera gestione del locale sembrerebbe appartenere a un altro gruppo, lo stesso del Gallura, ristorante di cucina sarda di via Vittorio Colonna a Milano, una realtà tradizionale dai grandi numeri, apprezzata da milanesi e turisti per la semplicità dell'offerta e i prezzi contenuti. Un grande finanziatore, insomma, che aveva voluto differenziare con un locale gastronomico. Dunque, stanti così i fatti, Boer non sarebbe andato via ma sarebbe semmai stato licenziato dalla proprietà.

I motivi

Già, ma perché? Solitamente in questi casi il problema è sempre il medesimo: soldi. Di questo si parla in merito alle ragioni per cui Boer sarebbe stato costretto ad abbandonare i fornelli. Quella dello chef è una cucina d'autore, ragionata, equilibrata, sofisticata ed elegante, ma proprio per questo non per tutti. Una tavola che, dal punto di vista di prenotazioni, commensali, entrate, costi e guadagni, non può reggere il confronto con un posto come il Gallura. Probabilmente, insomma, la proprietà si aspettava ben altri introiti, ben altri margini di guadagno, ben altro conto economico. Probabilmente la proprietà non si rendeva conto di quanto costoso – e spessissimo in perdita – sia il mondo della ristorazione forchettata, cappellata e stellata…

I primi avvisi risalgono a luglio

Una delle voci più insistenti in queste ore nella Milano gastronomica è: non sarà mica che Boer sapeva già da tempo di dover lasciare il "suo" Essenza? Non sarà mica che la cosa gli era nota già dallo scorso luglio, e dunque assai prima dell'uscita della Michelin Italia 2018? Non sarebbe il primo caso, beninteso, ma bisogna ricordare quanto le guide gastronomiche siano severi in casi come questo: ti sei fatto premiare tenendomi nascosta la verità di un cambio che sarebbe comunque avvenuto e che avrebbe trasformato in “già vecchia” la mia guida? La prossima volta te la farò pagare. Una piccola comprensibile scorrettezza diventa un grave sgambetto per chi fa libri che non sono pagine web e non si possono correggere in corsa una volta che sono stampati, rilegati e distribuiti nelle librerie.

Il sostituto

In attesa di un comunicato ufficiale della proprietà e di una intervista a Eugenio Boer (che per ora abbiamo chiesto e non ottenuto) le perplessità sono tante e le certezze poche. Certo è che la presenza già di un nome come sostituito fa pensare ad una storia che effettivamente sarebbe maturata da mesi, non certo da giorni. I gastronomi bene informati del capoluogo lombardo giurano che sarà Matteo Torretta, chef giovane ma di esperienza, alla guida del ristorante Asola, a prendere le redini di Essenza in sostituzione di Boer. Entrambi sono molto talentuosi e ambiziosi, ma la partita a quanto pare ormai la vince chi riesce anche a far quadrare i conti…

Essenza | Milano | via Marghera, 34 | essenzaristorante.it

Festival gastronomici di dicembre. 9 appuntamenti da non perdere

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Dicembre, il freddo diventa intenso e nell’aria si sente profumo di festa. Ma i festival gastronomici non temono l’inverno e, al di là dei classici mercatini di Natale, sono diversi gli eventi che celebrano la buona tavola. Ecco i migliori 9.

Autentico, sintassi della cucina abruzzese – evento diffuso

Un evento itinerante che toccherà più punti dell'entroterra montano abruzzese, con un percorso di 8 giornate per conoscere e imparare a utilizzare in cucina le specialità del territorio, con l'aiuto di chef, artigiani e addetti ai lavori. Autentico, sintassi della cucina abruzzese è una nuova manifestazione suddivisa in 8 appuntamenti, cominciati lo scorso 21 novembre, e che proseguiranno fino al 13 dicembre. Il programma prevede la degustazione di olio extravergine di oliva presso l'Azienda Agricola Tommaso MasciantonioTrappeto di Caprafico di Casoli, in provincia di Chieti, con pranzo da Villa Maiella, il ristorante di Guardiagrele guidato da Peppino Tinari, la visita all'allevamento maiale nero d’Abruzzo, al Caseificio Alimonti, e il laboratorio di cucina con la famiglia Tinari. Ad accompagnare gli ospiti, il giornalista enogastronomico Alessandro Bocchetti,che guiderà tutti i partecipanti nell’abbinamento con il vino, sempre made in Abruzzo.

Autentico, sintassi della cucina abruzzese | Abruzzo | fino al 13 dicembre 2017 | www.autenticoabruzzo.it/

Chocomodica - Modica

Fra le tante tipologie di cioccolato in commercio, quello di Modica merita un posto d'onore nella lista di tutti i golosi. Con le sue note aromatiche preziose, la sua consistenza unica e il sapore inconfondibile, questa specialità rappresenta una delle più affascinanti espressioni del cacao, che per il secondo anno di seguito diventa protagonista di una manifestazione a prova di buongustaio. È Chocomodica, kermesse di assaggi, degustazioni, laboratori, musica e arte in scena nella città barocca dall'8 al 10 dicembre. Workshop sulla panificazione, concorsi di sculture di cioccolato, showcooking, racconti, convegni, dj set e spettacoli, per una tre giorni all'insegna del gusto e della (ri)scoperta della storia e dell'evoluzione di questo prodotto così antico e apprezzato in tutto il mondo.

Chocomodica | Modica | dall'8 al 10 dicembre 2017 | www.chocomodicaofficial.it/

Evoluzione, percorsi per l'extravergine di qualità - Roma

Nato dalla partnership fra La Pecora Nera Editore, casa editrice a indirizzo enogastronomico attiva nel Lazio, in Lombardia e in Piemonte, e Simona Cognoli, assaggiatrice di olio e titolare di Oleonauta, società di promozione e valorizzazione dell'olio extravergine di oliva, Evoluzione è un evento rivolto agli operatori di settore, in scena il prossimo 11 dicembre negli spazi dell’Hotel Savoy. Banchi d’assaggio con i primi oli dell'anno, seminari e degustazioni: la manifestazione si propone come punto d'incontro per tutti gli addetti ai lavori, e soprattutto come uno spunto di riflessione per i ristoratori. Per una volta, infatti, chef e pizzaioli non saranno chiamati sul palco per cooking show, dimostrazioni e tavole rotonde ma - insieme ai negozianti, assaggiatori, sommelier e giornalisti interessati - potranno assaggiare, imparare e confrontarsi con chi l’olio extravergine lo produce con passione e competenza tecnica. Verranno, inoltre, consegnati i premi delle guide cittadine de La Pecora Nera per gli indirizzi che prestano particolare attenzione all’extravergine, e a fine giornata Simona e la giornalista Luciana Squadrilli presenteranno il loro libro edito da LSWR Olio, lo straordinario mondo dell'olio extravergine di oliva.

 

Olio
Evoluzione, percorsi per l'extravergine di qualità | Roma | Hotel Savoy | www.facebook.com/events/574859382902359/

Fiera del grano saraceno e della castagna bianca – Pamparato (CN)

In Piemonte si celebra la castagna bianca, eccellenza locale tutta da scoprire, insieme alla farina più popolare e diffusa nella regione, quella di grano saraceno. In occasione dell'Immacolata, il prossimo 8 dicembre Pamparato, piccolo comune in provincia di Cuneo, ospita una mostra mercato dedicata all'artigianato e ai sapori a chilometro zero: castagna bianca, patata di montagna, formaggio d'alpeggio Raschera, paste di meliga, grano saraceno e farina di mais “ottofile”. La giornata si apre con il tradizionale mercatino lungo le vie del borgo, una fiera all'aria aperta dove poter assaggiare le tante prelibatezze del luogo, guidati dai produttori. Previste, inoltre, visite culturali alle cappelle campestri e le fontane del paese, oltre a un convegno sull'alimentazione del passato, La dieta dei Templari, che prevedeva già, oltre 2mila anni fa, tutti gli ingredienti che ancora oggi costituiscono la cucina locale.

Castagna

Fiera del grano saraceno e della castagna bianca | Pamparato (CN) | 8 dicembre 2017 | www.comune.pamparato.cn.it

Flos Olei 2018 - Roma

Nona edizione per la guida Flos Olei, manuale in doppia lingua – italiano e inglese – che celebra la qualità dell'olio extravergine di oliva di tutto il mondo. Curata da Marco Oreggia e Laura Marinelli, la guida verrà presentata il 9 dicembre a Roma, al Westin Excelsior di via Vittorio Veneto, dove verranno premiati i migliori produttori dell'annata 2016/2017. Oltre 80 tra i migliori olivicoltori internazionali porteranno in assaggio, come di consueto, le loro etichette migliori, che quest'anno verranno valorizzate anche attraverso la cucina di 13 chef e artigiani, che abbineranno le loro creazioni dolci e salate all'oro verde. Una festa dell'olio aperta a tutti, durante la quale i visitatori avranno la possibilità di partecipare ai seminari tenuti dai due curatori. Novità di questa edizione è la proiezione di 22 cortometraggi iscritti all'AgriCulture Film Festival, concorso cinematografico nato dalla collaborazione tra Flos Olei e MEET (Movies for European Education and Training), che hanno come tema le interrelazioni tra cultura, agricoltura, produzione alimentare e biodiversità.

Flos Olei | Roma | Westin Excelsior | 9 dicembre 2017 | www.marco-oreggia.com/

#Gastroborghi – Biccari (FG)

Tre weekend di visite, workshop, passeggiate e degustazione animeranno, fino al prossimo 17 dicembre, il comune di Biccari, in provincia di Foggia, inserito nella rete dei Borghi Autentici d'Italia. Un'immersione fra la natura incontaminata dei Monti Dauni, alla scoperta di sapori e saperi dimenticati: ogni weekend è legato a un tema o prodotto specifico dell'enogastronomia locale, attorno al quale ruotano le diverse esperienze, laboratori e attività in programma. Per il 2 e il 3 dicembre è prevista la visita guidata al salumificio con cooking class in lingua franco provenzale, e trekking alla ricerca di funghi e tartufi. Il 16 e il 17, invece, protagonista è il miele, con un tour in un'azienda apistica seguito da degustazione e laboratorio finale di dolci natalizi.

#Gastroborghi | Biccari (FG) | fino al 17 dicembre 2017 | www.comune.biccari.fg.it

Kids Food Festival – Roma

La cultura gastronomica passa anche e soprattutto attraverso i bambini, più aperti verso sapori nuovi e cucine diverse, alle quali si approcciono con maggiore flessibilità ed entusiasmo. È a loro, futuri consumatori, che si rivolge l'evento Kids Food Festival, un'iniziativa di Family Welcome, blog dedicato ai genitori con consigli, indicazioni e suggerimenti per l'educazione e l'intrattenimento dei più piccoli. In scena il 3 dicembre presso EXPLORA, Museo dei Bambini di Roma, il festival si propone di avvicinare le famiglie al mondo del cibo attraverso laboratori didattici, assaggi, street food, degustazioni, workshop di cucina, lezioni di cake design, coltivazione di piante aromatiche e panel formativi, tutti incentrati sul tema della corretta alimentazione e della dieta sana. Con la partecipazione di una chef d'eccezione, Cristina Bowerman, che si metterà in gioco in prima linea, al fianco dei genitori.

Kids Food Festival | Roma | 3 dicembre 2017 | www.facebook.com/events/127001014636586/

Roma Golosa - Roma

Prima edizione per Roma Golosa, manifestazione figlia dell'ormai celebre appuntamento meneghino ideato da Davide Paolini de Il Gastronauta, in scena il 2 e 4 dicembre al Guido Reni District. Un contenitore di temi gastronomici condensati tra i padiglioni dell'ex caserma, tra laboratori e degustazioni a tu per tu con i produttori, lezioni dei maestri e cooking show, approfondimenti culturali (presentazioni di libri, guide, focus sulla cultura del buon cibo). Un mercato organizzato in collaborazione con Excellence, e animato dagli artigiani in arrivo da tutta Italia, con più di qualche valido spunto per i regali di Natale a tema gastronomico, dal pane di Matera alla pasta di Gragnano, dalla colatura d’alici di Cetara all’aceto balsamico di Modena, dal pesto genovese al pecorino toscano.

 

Roma Golosa

Roma Golosa | Roma | dal 2 al 4 dicembre | www.romagolosa.it

Sparkle Day 2018 - Roma

Festeggia i suoi primi 10 anni Sparkle, manifestazione nata per lanciare l'uscita dell'omonima guida, un manuale per appassionati di vino tutto dedicato alle bollicine, edito da Cucina & Vini. Come di consueto, a inaugurare l'evento sarà proprio la presentazione dell'ultima edizione della guida, che segna il successo crescente del settore spumantistico italiano:“Quando facemmo la prima selezione nel 2002 e la proponemmo a fine novembre di quell'anno” racconta Francesco D’Agostino, direttore di Cucina & Vini, “il nostro impegno produsse la premiazione di dieci vini con le 5 sfere. Sette volte di più può sembrare molto in sedici anni! In verità, la reale rivoluzione della spumantistica italiana non è quella di aver prodotto bollicine per tutte le tasche da vendere ovunque nel mondo, quanto piuttosto quella di essere cresciuta moltissimo in qualità”. La festa proseguirà poi con assaggi e degustazioni guidate di tante etichette italiane, e non solo: presenti, fra i banchi d'assaggio, anche le creazioni de I Dolci Sapori, i salumi di Maletti1867 e le miscele di Oro Caffè.

Sparle Day 2018 | Roma | 2 dicembre 2017 | www.cucinaevini.it/sparkle-day-2018/

a cura di Michela Becchi

Onigiri Raku a Bologna. Il giapponese originale, e d'asporto, di Mayumi Sunagawa

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In Giappone gli onigiri-ya sono diffusissimi, in omaggio a una specialità di strada della tradizione gastronomica giapponese famosa in tutto il mondo, e antichissima. A Bologna, dopo quasi vent'anni passati a insegnare cucina (e cultura) nipponica, Mayumi Sunagawa li propone alla Bolognina. E ad appena un mese dall'apertura già fa parlare di sé.   

Gastronomia giapponese. Non solo sushi e ramen

Per comprendere il successo immediato di Raku, take away specializzato in onigiri nato un mese fa all'ombra delle Due Torri sulla scia dell'interesse crescente di Bologna per la cucina giapponese meno patinata (ricordate Yuzuya? E più di recente i ramen di Sentaku, ma la tendenza corre rapida anche in altre città, Milano in testa, con la Gastronomia Yamamoto), due sono gli elementi da non trascurare. Il primo è intrinseco alla natura del progetto, che nel capoluogo emiliano si propone di sdoganare una specialità nipponica ben nota nell'immaginario dei cultori del genere, ma spesso presentata come side dish di un'offerta che privilegia piatti caldi della tradizione (leggasi ramen, pollo karaage, okonomiyaki) o la più diffusa variazione di sushi e sashimi. L'onigiri, invece, dietro al banco di Raku – un tempo tempio della pasta all'uovo e oggi reinventato all'insegna di una proposta altrettanto artigianale, ma di gastronomia giapponese - è protagonista assoluto in tante varianti, incartato in confezioni singole, 2.50 euro al pezzo, con la specifica ben leggibile degli ingredienti che caratterizzano ciascun abbinamento: salmone crudo, prugna in salamoia (umeboshi), surimi, tonno (crudo o cotto), carote piccanti, semplice con guarnizione di katsubushi e alga kombu, edamame e formaggio, ma pure un'italianissima concessione al prosciutto crudo e formaggio.

L'onigiri. Cos'è

Ma cos'è, esattamente, l'onigiri? Emblema della cucina semplice e casalinga in salsa nipponica, la polpetta di riso ripiena, spesso avvolta da un'alga o ricoperta di sesamo e/o scaglie di tonno essiccato, è una costante dei bento, comoda da consumare in velocità, sugli sgabelli del piccolo locale, in strada, o a portar via. Uno spuntino adatto per tutte le ore, dalla caratteristica forma triangolare, con la presa facilitata dall'altrettanto tipico rivestimento di alga nori, che in Giappone ha determinato il proliferare di negozi specializzati, i cosiddetti onigiri-ya, cui la bottega-laboratorio di via Milazzo (zona stazione) si ispira. La storia degli onigiri, però, affonda le radici in epoche lontane, corroborata da documenti che ne attestano il consumo già nell'XI secolo, e poi al seguito dei samurai in guerra nel XVII secolo. La presenza trasversale degli onigiri nella storia della cultura gastronomica giapponese, semplicemente, si spiega con la stessa motivazione che in Italia, patria dei cibi di strada più disparati, ha determinato il successo di tante specialità di umili origini, ideate a partire da ingredienti di recupero o avanzati in tavola, esattamente come il riso delle polpette giapponesi. E anche la manualità – ingrediente imprescindibile di tante preparazioni locali - gioca un ruolo fondamentale nel tramandarne il mito, in patria e nel mondo.

 

Mayumi Sunagawa. La maestra di cucina giapponese

Secondo elemento della narrazione, tornati a concentrarci su Bologna, è Mayumi Sunagawa, giapponese di Osaka da quasi vent'anni in Italia. Da Bologna si è fatta conquistare subito, e la città l'ha adottata, curiosa di scoprire, già in tempi non sospetti, la storia di una tradizione gastronomica tanto complessa quanto suggestiva. E infatti dai primi anni del 2000 Mayumi insegna cucina giapponese all'ombra delle Due Torri: in Giappone, a Ehime, i suoi genitori gestiscono il ristorante Yoshimasa. Lei ha ereditato la passione per il cibo (ma la sua formazione è da pianista), mettendola in pratica in molti ristoranti del suo Paese, prima di trasferirsi definitivamente in Italia, dove ha sposato il marchigiano Gianluca. E col tempo, dopo le prime lezioni, sono arrivati anche i catering a domicilio, e l'organizzazione di eventi gastronomici a tema.

Raku. Il menu

Poi, qualche tempo fa, la scelta di cimentarsi con un locale suo, dopo essersi adattata per molti anni alle cucine degli altri. Da Raku, oltre agli onigiri, ha portato le specialità che tanti clienti in passato hanno dimostrato di apprezzare: il teryaki di pollo, il riso saltato secondo gusto del commensale (con pancetta, verdure, tofu), i noodle con carne o vegetariani, gli udon in brodo con polpette di maiale, la zuppa di miso con verdure, il donburi (una ciotola di riso servito a scelta con uova e pollo o tofu e verdure), le golosissime polpette di polpo takoiyaki. Molte servite in formula bento, di carne o pesce, a 12 e 13 euro. E pure una scelta di sushi e sashimi: nigiri, hosomaki, sashimi misto di tonno, salmone, branzino. Tra i dolci, la torta al tè matcha e una specialità fritta – karinto – che molto ricorda le nostre chiacchiere di carnevale. Da bere tè verde, birra giapponese, sakè. Tutto servito a prezzi contenuti, dal lunedì al sabato, a pranzo e cena (11.30-15.30 e 18.30-22.30). Lo spazio è poco, l'ambiente spartano, ma curato. E visto il potere del passaparola, a solo un mese dall'apertura, non è escluso trovare la fila fuori. Meglio arrivare preparati.

 

Raku | Bologna | via Milazzo, 5 | tel. 051 0567798 | https://www.facebook.com/OnigiriRAKU/

 

a cura di Livia Montagnoli

Chocomodica 2017. A Modica il festival che celebra il cioccolato locale

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Il cioccolato di Modica non ha bisogno di molte presentazioni. Per scoprire le tante sfumature di questo prodotto, dall'8 al 10 dicembre 2017 torna Chocomodica, manifestazione che ripercorre la storia di questa eccellenza siciliana.

La tradizione del cioccolato a Modica

Nessun cioccolato artigianale in Italia è così indissolubilmente legato al territorio come quello di Modica. Una ricetta antica (che qualcuno fa risalire al tempo degli Atzechi), solo massa di cacao, zucchero e spezie, un pezzo importante dell’identità culturale di una città orgogliosa della propria storia gastronomica e dolciaria. Una ricerca archivistica promossa e sostenuta dal CTCM, portale del cioccolato modicano, è riuscita finalmente a liberare dal polveroso oblio non solo i nomi dei cioccolatieri attivi a Modica a partire dal 1746, ma anche ingredienti, computi di peso e misura, oggetti, attrezzi, utensili e termini specifici relativi a questa storica tradizione. Come il pestello di pietra, che in passato veniva battuto sulla valataraciucculatti (spianatoio a forma di mezzaluna) dall'artigiano, intento ad amalgamare sapientementefra loro tutti gli ingredienti. Strumenti e tecniche si sono evolute, ma ancora oggi, i cioccolatieri modicani continuano a lavorare il cacao a basse temperature come una volta, evitando il processo di concaggio, al fine di conservare l'integrità delle materie prime e tutte le loro proprietà nutraceutiche. Una specialità dolce che racchiude, quindi, un pezzo di storia di una località, legata a doppio filo a questa antica tradizione che, oggi più che mai, sta tornando in auge raccogliendo il favore della schiera sempre più ampia di buongustai di tutto il mondo.

 

Cioccolato di Modica

Il progetto

L'ex Contea, infatti, ha puntato proprio su questo prodotto per attrarre visitatori e offrire ai turisti percorsi gastronomici e culturali studiati ad hoc che hanno come protagonista assoluto il cioccolato. Per celebrare la storia, la bontà e l'evoluzione di questa prelibatezza, per il secondo anno consecutivo Modica si ferma, nel weekend dell'Immacolata, e fa festa. Trasformando i propri spazi e rendendoli ancora più speciali, aggregando persone, dialogando con storici ed esperti, divertendosi a mettere le mani in pasta (di cacao, ça va sans dire). Si chiama Chocomodica e, come si intuisce dal nome, si tratta di una manifestazione pensata per promuovere e valorizzare il prodotto locale per antonomasia, voluta e ideata dall'agenzia Zero, con lo scopo di invitare il pubblico a una riflessione condivisa sul ruolo del cioccolato per la comunità iblea. Un patrimonio su cui investire, per incrementare una crescita imprenditoriale e un virtuoso progetto di sviluppo turistico.

 

fave di cacao

Programma e obiettivi

Un programma fitto di appuntamenti, quello del festival, a cominciare dal ChocoLab a cura della Fabbrica del Cioccolato BeantoBar, per finire con ChocoArt, il concorso di scultura di cioccolato, senza dimenticare il ChocoArt Show. Ma ci saranno anche giochi, presentazioni di libri, racconti, convegni, forum e seminari rivolti a tutti coloro che vogliano saperne di più sull'argomento. E poi convegni, workshop, dimostrazioni, intrattenimento per una tre giorni in cui turisti e residenti, assaggiatori e produttori, potranno scendere in piazza per confrontarsi e riscoprire il gusto di questa eccellenza.

 

Scultura di cioccolato

Slogan e motto dell'evento è “L'oro vero di Modica”, concept ideato da Zero per mettere in relazione, metaforicamente e visivamente, i valori (e le forme) della barretta classica del cioccolato modicano con il calibro di un lingotto d'oro. Un percorso culturale e sensoriale di livello, che segna ancora una volta il crescente successo di questo prodotto, confermato dall'alto numero di produttori che si sono formati nel tempo, tanto da posizionare la località siciliana a fianco di Perugia e Torino nella filiera nazionale del cioccolato, e dalla sempre più folta platea degli iscritti al Consorzio di Tutela del Cioccolato di Modica. Sulla scia della fama di questa eccellenza gastronomica, Chocomodica trasforma la città in una grande fiera all'aperto. All'insegna del gusto e della condivisione.

Chocomodica | Modica | dall'8 al 10 dicembre 2017 | www.chocomodicaofficial.it/il-progetto/
a cura di Michela Becchi

L'Enoturismo è dentro la Legge di Bilancio. Quali i vantaggi per le cantine?

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Se passa la Legge di Bilancio le aziende vitivinicole potranno finalmente fatturare anche visite e degustazioni. E intanto il Movimento Turismo del Vino presenta il suo prossimo evento: Cantine Aperte a Natale

Il lavoro di squadra

Per la prima volta la parola enoturismoentra nel quadro legislativo italiano. E lo fa attraverso un emendamento inserito nella Legge di Bilancio, appena approvato dalla commissione Bilancio del Senato, che ne riconosce lo status giuridico-fiscale. “Avremo la legge entro l'anno” aveva annunciato al Gambero Rosso il presidente del Movimento Turismo del Vino Carlo Pietrasanta a gennaio 2017. E alla fine, in un modo o nell'altro, l'obiettivo è stato centrato, grazie soprattutto alla determinazione del senatore Dario Stefàno (capogruppo in Commissione Agricoltura di Palazzo Madama e primo firmatario dell'emendamento) e grazie ad un lavoro di squadra che ha visto in prima fila – accanto a Mtv – l'Unione Italiana Vini e le Città del Vino.

 

L'inserimento nella Legge di Bilancio

L'approvazione” ha detto un soddisfatto Stefàno “introduce un’assoluta novità nell’impianto normativo italiano che disciplina il settore. Da oggi si aprono nuove strade, ricche di opportunità per le aziende italiane e per i territori di produzione”. Prima di stappare le bottiglie delle migliori occasioni (rigorosamente italiane), bisogna solo aspettare l'ok definitivo alla Camera e, quindi, alla Legge di Bilancio. Ma il primo traguardo è stato raggiunto, come ricorda il segretario generale dell’Unione Italiana Vini Paolo Castelletti: “Siamo a un passo dal riconoscimento normativo dell’attività enoturistica, un momento storico per il nostro Paese. L’emendamento, inserito in finanziaria, recepisce i punti principali del ddl Stefàno e definisce il quadro fiscale e legislativo entro cui, finalmente, anche in Italia si potrà essere operatori enoturistici a tutti gli effetti”.

 

Ecco cosa cambia per la cantine

Ma vediamo, nella pratica, cosa cambia, per le aziende vitivinicole italiane. “L'attività di degustazione (e quindi di visita; ndr) in cantina potrà finalmente essere regolarmente fatturata, come avviene per un agriturismo e per qualunque altra attività ricettiva” spiega il presidente Mtv “Basterà presentare la Scia di inizio attività al Comune di appartenenza e, poi, rispettare le regole del 'Decreto del Fare' del Governo Letta, che ai tempi aveva fornito tutte le indicazioni per la corretta degustazione (bicchieri, luogo, regole igieniche) senza tuttavia dare la possibilità di venderla. A ciò, si aggiunge anche la possibilità – fino ad oggi negata – di stipulare delle assicurazioni verso terzi (i visitatori) da applicare proprio al momento della degustazione”.

 

Prosegue l'iter per il Ddl Stefàno

Via libera, quindi, grazie alla “scorciatoia” della Legge di Bilancio, alla parte principale del disegno di legge Stefàno. Legge che, comunque, continuerà il suo iter per arrivare all'approvazione anche degli altri punti, tra cui la formazione del personale di cantina destinato all'accoglienza, la cura della cartellonistica stradale e la creazione di un osservatorio del vino. Per il presidente dell'Associazione Nazionale Città del Vino, Floriano Zambon: "Occorre che l'iter della proposta di legge sull'enoturismo, in parte accolto da questo emendamento, possa continuare per la sua definitiva approvazione. Il settore ha bisogno di questa legge perché i territori del vino possano esprimere al meglio tutte le loro potenzialità turistiche e di accoglienza”. Ottimista Pietrasanta sui tempi di attuazione: “La convergenza che si è venuta a creare, in questi mesi di lavoro, tra tutte le associazioni coinvolte, ma soprattutto tra Mipaaf e Mise, ci fa pensare che riusciremo 'a portare la legge in cantina' entro fine legislatura”.

 

L'evento. Cantine Aperte a Natale

Nell'attesa di poter finalmente beneficiare della nuova legge, il Movimento Turismo del Vino si prepara per l'ultimo evento dell'anno - dopo quelli di primavera, di mezza estate, della vendemmia e di San Martino - dedicato agli enoturisti: Cantine Aperte a Natale, che abbraccia tutto il periodo festivo. In primo piano, mercatini, degustazioni e abbinamenti con ricette tipiche e musica per le oltre 200 cantine partecipanti da 12 regioni di tutta Italia.

A Pompei, il 15 dicembre, si potranno degustare le antiche ricette del più famoso gastronomo dell’antichità, Marco Gaio Apicio, mentre a Villorba (Treviso) andrà in scena una cena con delitto in cantina. Ad Altavilla Monferrato, il 3, 10 e 17 dicembre si celebreranno i cosiddetti ‘Grappa days’ e in Trentino, il 9 dicembre, Mezzacorona propone una visita agli alambicchi. Protagonisti anche i bambini: nelle Marche con i laboratori organizzati in provincia di Ancona e in Toscana, con i collage con le foglie della vite a Bolgheri. Non solo. Alcune cantine prevedono anche dei pacchetti-degustazione come originali regali di Natale. Per il programma completo www.movimentoturismovino.it

Chiudiamo l’anno” dice Pietrasanta “registrando come le proposte enoturistiche coinvolgano un target sempre più allargato: dagli enoappassionati, ai turisti stranieri e alle giovani famiglie. Nel 2017 il fenomeno è cresciuto ancora, con i soli grandi eventi programmati che insieme totalizzeranno oltre 2,5 milioni di presenze”.

 

a cura di Loredana Sottile


Il ristorante italiano all’estero secondo Niko Romito: i 5 piatti immancabili

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Quando si va in un ristorante italiano all'estero cosa ci si aspetta di trovare? Reinterpretazioni originali o grandi classici? Probabilmente tutte e due le cose. Ma ci sono alcuni capisaldi immancabili, che fanno subito Italia. Ecco quali sono.

Quando si parla di cucina italiana all'estero la fedeltà all'originale - nei sapori, nelle ricette, nello spirito, nei procedimenti - è una cosa fondamentale e sempre più rara da trovare. Le difficoltà che si incontrano sono di varia natura: una riguarda le materie prime, spesso molto diverse da quelle tricolori, e non solo per quanto riguarda i prodotti tipici come potrebbero essere salumi e formaggi (avete presente il parmesan?), ma anche per frutta, verdura, latte, pesce, carni, talvolta enormemente diversi dai nostri per via delle differenze di territori, clima, delle varietà di prodotti o di razze, dei sistemi di allevamento e coltivazione. E poi ci sono le difficoltà – spesso oggettive - di approvvigionamento come pure le scorciatoie dell'italian sounding, l'imbastardimento delle ricette, le concessioni ai gusti dei paesi di adozione, la perdita delle vecchie consuetudini con la nascita di nuove tradizioni. La cucina è qualcosa di vivo, che si modifica nel tempo e reagisce al susseguirsi delle cose della vita; accade ovunque, anche nel Belpaese. Ma c'è qualcosa che caratterizza la cucina autenticamente italiana: quel quid che passa per la materia prima e giunge nel piatto finito attraverso il saper fare nostrano. Quell'attitudine al sapore e alla semplicità che è, probabilmente, la nota più caratteristica della nostra tradizione culinaria. Quella che ci identifica nel panorama internazionale. E che noi stiamo cercando di certificare nelle sue migliori respressioni oltreconfine con la nostra nuova guida Top Itaian Restaurant.

Quando si tratta di cucina italiana all'estero, la difficoltà sta proprio nel mantenere integra questa caratteristica e nel ricreare un orizzonte di sapori familiari. Quelli che portano, direttamente, nella storia e nelle tradizioni di ognuno di noi. Alcuni hanno un fondamentale potere evocativo, e in un sol boccone riescono a restituire l'orizzonte culinario nostrano. Sono piatti iconici della nostra cultura gastronomica. Per individuare quali abbiamo chiesto a Niko Romito, lo chef del ristorante Reale di Castel di Sangro Tre Forchette, in cima alla classifica della guida Ristoranti d'Italia del Gambero Rosso e Tre Stelle Michelin.

 

Niko Romito. Dall'Italia al resto del mondo

Quando è nato il progetto a fianco di Bulgari – che ha dato vita alla recente apertura del suo primo ristorante a Pechino - Niko Romito ha riflettuto sulla grande cucina classica italiana, intercettandone i concetti base e utilizzando piatti antologici della tradizione, a modo suo: “Intervenendo sui processi produttivi ma soprattutto alleggerendo i grassi e andando a perfezionare il gusto”. Poi standardizzando tutto, secondo un suo modus operandi ormai diventato familiare, perché il progetto è di inserire tutti i piatti in tutte le nuove aperture di Bulgari all’estero. “Cerchiamo di ristabilire realmente i gusti” aggiunge lo chef. Tanti hanno un'insegna italiana ma non sono italiani né negli ingredienti, né nel metodo di cottura né nel gusto. Partire dai classici perché? “Perché stiamo all'anno zero. C'è pochissima cucina italiana del mondo dunque bisogna ripartire dalle basi”. Le prime 5, allora, quali sono? “Secondo me sono queste, e non dovrebbero mai mancare in un ristorante tradizionale italiano di alto livello”.

 

1. PANE

Rappresenta la nostra cultura, la storia, la semplicità, la tradizione. È una preparazione che ha ingredienti totalmente semplici, ma se non hai esperienza tramandata non riesci a fare un pane che abbia le nostre caratteristiche. E dunque croste croccantissime e mollica alveolata, acida, cremosa.

 

2. SPAGHETTI AL POMODORO

Forse è il piatto più rappresentativo della cucina italiana del mondo. E dunque quello più difficile e quello che più di altri ha bisogno di essere presentato e fatto conoscere nella sua verità assoluta. Dunque spaghetto cotto in un certo modo, pomodoro sui toni dell'acidità e non della dolcezza. Oggi all'estero si mangiano spaghetti scotti, dolci e col pomodoro che copre lo spaghetto.

 

3. TORTELLINI IN BRODO

Ci sono in questo piatto due grandi culture italiane: la pasta ripiena e il concetto del brodo. Sono culture gastronomiche che si ritrovano anche altrove (ad esempio i dumpling cinesi e i loro brodi), ma da noi sono peculiari e completamene diversi. 

 

4. ARROSTO DI VITELLO

Rappresenta il piatto della condivisione, della domenica. Una esperienza che tutti quanti abbiamo condiviso al centro della tavola con la famiglia, con gli amici durante le festività. La cosa interessante dell'arrosto di vitello è che riporta anche un protagonista della cucina italiana, come l'intingolo. In giro per i ristoranti anche italiani si trovano carni accompagnate non dall'intingolo, che è un risultato della cottura, ma il fondo che un'altra preparazione più indipendente, una linea a se più propria della scuola francese.

 

5. BABÀ

È diventato un dolce nazionale. Avrei potuto pensare al tiramisù, ma mi piaceva l'idea del babà che è un dolce conosciutissimo ma assai poco inflazionato all'estero. Perché? Perché per essere eseguito ha bisogno di esperienza, professionalità, tecniche di lievitazione.

 

a cura di Antonella De Santis e Massimiliano Tonelli

foto di copertina Alberto Zanetti

 

Articolo uscito sul Gambero Rosso di novembre. Un numero tutto rinnovato che potete trovare in edicola o in versione digitale, su App Store o Play StoreAbbonamento qui 

 
 

 

 

Prodotti del mese. Dicembre, le arance e la ricetta di Gianfranco Pascucci

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Tutto sulle arance, dalla storia, alle molteplici varietà e proprietà, al loro utilizzo in cucina. In più una ricetta di Gianfranco Pascucci, chef di Pascucci al Porticciolo di Fiumicino.

Arriva dicembre e con dicembre le arance, agrume meraviglioso, prezioso per le sue proprietà salutari e gastronomiche, con quel suo sapore dolce-acidulo che rinfresca il palato e l'anima. Anche volendola dilatare al massimo, la sua stagione va da novembre a maggio.

 

La storia

Le arance, frutti del genere Citrus, sono originarie dell'Asia sud-orientale ma si sono diffuse enormemente, a partire dall'XI secolo, nel bacino Mediterraneo, specie in Spagna, Italia e successivamente nel Mezzogiorno francese. Si legge in Storia dell'alimentazione(J. L. Flandrin - M. Montanari) che “le arance amare erano così abbondanti, alla fine del XIV secolo, che i bambini di Marsiglia le usavano come proiettili durante il carnevale”. Già, perché inizialmente quelle più consumate (e coltivate) erano le arance amare. Le cose cominciano a cambiare solo tre secoli dopo, quando le preferite diventano quelle dolci. Nonostante le origini asiatiche e la diffusione europea, i più grandi consumatori, a partire dal 1900, sono gli statunitensi, che hanno ovviato al compito “estremamente” noioso di sbucciarle, con il succo di arancia. Prodotto che oltre a conquistare un ruolo fondamentale nel breakfast americano, consente un consumo annuale, e non più stagionale, del frutto invernale per eccellenza. Fatta l'introduzione storica, entriamo nel merito delle varietà.

 

Le varietà

Partiamo dalle macro categorie: amare e dolci. Le prime vengono principalmente usate per realizzare marmellate, frutta candita o, con la loro buccia (zeste), diversi liquori e oli essenziali; le seconde hanno un impiego più ampio e si distinguono in bionde e rosse. Tra le arance bionde, quelle più diffuse sono le cosiddette navel, termine che indica in modo generico una varietà che presenta un ombelico, navel appunto, all'interno della buccia in cui si forma un altro piccolo frutto, localizzato al polo opposto rispetto al picciolo. Qualche esempio? Dalla Navelina alla Washington Navel, dalla Navelate (completamente priva di semi) alla Ribera D.O.P..

Per quanto riguarda le rosse, invece, le più conosciute sono le Tarocco, le Moro e le Sanguinello. Poi ci sono le Arance rosse di Sicilia IGP, molto comuni sui banchi dei mercati, che si suddividono a loro volta in diverse varietà. L'elenco completo potete consultarlo nel sito del Consorzio di Tutela Arancia Rossa di Sicilia IGP. Nonostante si tratti di varietà dalle proprietà organolettiche e nutrizionali sostanzialmente analoghe, alcune sono maggiormente sviluppate in alcune varietà piuttosto che in altre. Ad esempio, quelle coltivate sulle pendici dell’Etna, presentano una concentrazione di sali minerali sensibilmente superiore alle altre varietà.

 

Proprietà nutrizionali

L'arancia, con le sue 34 Kcal per 100 grammi, è un frutto ipocalorico. Questo grazie alla grande quantità di acqua presente (circa l'87%) e al basso contenuto di grassi (0,2%). Nonostante questi frutti siano apprezzati per il loro contenuto in acido ascorbico, vengono battuti dai kiwi, ma anche dai peperoni o gli spinaci e le fragole. Tra gli altri componenti ricordiamo i carotenoidi (precursori della vitamina A), gliantociani dal potere antiossidante e i flavanoni, concentrati soprattutto nella buccia. Già, perché anche la buccia è ricchissima di proprietà, tanto che l'olio essenziale ricavato da foglie e buccia ha proprietà sedative e digestive. Un'altra qualità preziosa di questi frutti è il grande apporto salino, contenendo, tra gli altri, potassio, calcio e fosforo.

 

Utilizzo

Le arance vengono consumate fresche, come frutta, ma trovano impiego in preparazioni dolci e salate, sia intere che spremute. Si impiega la buccia, in zeste o grattugiata, e il succo è utile per marinare volatili, carne e pesce. Se ne fanno marmellate, gelatine, canditi o composte. Ed è proprio la composta, la protagonista della ricetta di Gianfranco Pascucci tratta dal libro di imminente pubblicazione: Come è profondo il mare. Con ricette e racconti di Gianfranco Pascucci.

Calamaro composta pascucciCalamaro fritto in composta di arancia e cipolle. Foto Lido Vannucchi

 

Calamaro fritto in composta di arancia e cipolle

Per la pastella

200 g di farina 00

10 g di sale

50 g di vodka

500 g di acqua

 

Amalgamare bene tutti gli ingredienti con un mixer a immersione. Versare il composto in un sifone con doppia carica e tenere in fresco.

 

Per la composta

5 cipolle rosse di Tropea

40 g di burro

2 foglie di alloro

10 grani di pepe nero schiacciato

1 cucchiaio di miele di castagno

30 g di zucchero di canna

100 g di succo di arance rosse

 

Tagliare a julienne le cipolle e farle appassire in padella con il burro. Aggiungere alloro, pepe, zucchero e miele, far amalgamare per qualche minuto. Bagnare con il succo di arance rosse e lasciar cuocere per 20 minuti. Poco prima di servire aggiungere qualche goccia di limone.

 

Per la finitura

200 g di calamari puliti e tagliati a strisce lunghe

100 g di farina 00

50 g di semola di grano duro erbe aromatiche (mentuccia, erbe cipollina, timo, origano, aneto) sale

 

Infarinare i calamari nelle due farine miscelate. Togliere la farina in eccesso, quindi ricoprirli con la pastella ottenuta dal sifone. Friggerli immediatamente in olio di vinaccioli a 180 gradi, scolarli quando dorati e croccanti e metterli ad asciugare su carta assorbente. Servire su un piatto da portata, cospargendo i calamari con un pizzico di sale e guarnendo con erbe aromatiche e la composta di cipolla.


Pascucci al Porticciolo | Fiumicino (RM) | viale Traiano, 85 | tel. 06 65029204| http://www.pascuccialporticciolo.com/

 

a cura di Annalisa Zordan

Maker Faire alla Fiera di Roma. Un padiglione dedicato al cibo del futuro: le idee più innovative e insolite

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Dall'orto terraponico alla macchina automatizzata per cocktail, al guanto che guida la mano di chi cucina per agevolarlo nella preparazione del piatto. Tante idee creative legate al mondo digitale, nell'ampia sezione che la rassegna internazionale dell'innovazione dedica ai food maker. Alla Fiera di Roma questo weekend.

Maker Faire. Anche il cibo è digitale

Cosa significa essere food maker nell'era digitale? Sul concetto contemporaneo di artigianalità del cibo riflette la quinta edizione del Maker Faire di Roma, che dal 1 al 3 dicembre racconta il mondo dell'innovazione negli spazi della Fiera di Roma. E la Capitale, coinvolta in un circuito che annovera molte grandi e avanguardistiche città del mondo, mantiene un primato che la vede giganteggiare insieme a New York e San Francisco tra gli organizzatori delle rassegne più ambiziose ed estese (per numero di espositori) di tutto il sistema Maker Faire. Con buon riscontro del pubblico, che l'anno scorso ha superato le 100mila presenze in tre giorni. L'obiettivo è quello di crescere ancora, e certo il focus sul cibo e le dinamiche del sistema alimentare è uno degli assi nella manica della manifestazione, con coinvolgendo espositori da tutto il mondo si confronta pure con il cibo del futuro. Ognuno dei padiglioni del circuito, infatti, affronta temi specifici, dall'interazione al movimento, dalla manifattura all'universo dei robot. L'area food, che condivide lo spazio con arte e musica, spazia dall'agricoltura di precisione alla trasformazione della materia prima, ai sistemi innovativi di distribuzione e riciclaggio. L'idea è quella di offrire un viaggio lungo la catena alimentare che pone l'accento sulla creatività di chi “ coltiva, produce, trasforma, combina, scambia, consuma, ricicla e con il suo operato e le sue scelte quotidiane può davvero generare un impatto sull’intera comunità”.

 

L'Area Food

Al motto di “from farm to fork”, installazioni, workshop e talk che animeranno il padiglione si concentrano su food design, smart kitchen, superfood, spreco e sicurezza alimentare. Cinque le aree tematiche sul percorso: produzione, trasformazione, distribuzione, consumo e riciclaggio. La parola al nutrito gruppo di innovatori alimentari, molti impegnati a perfezionare sistemi per ottimizzare la produzione agroalimentare. C'è Agricoltura Urbana 432 Healthy Zone, che porta in fiera la coltivazione di erbe aromatiche e germogli in container con l'ausilio di vibrazioni musicali; e Agricolus, che facilita il compito degli agricoltori offrendogli un pacchetto per ridurre lo spreco di risorse. O Algaria, specializzata nella produzione di alghe e prodotti derivati, e BioPic con il suo orto terraponico a cm 0. Ma c'è spazio anche per chi riflette sull'entomofagia, con l'idea di rendere appetibile il consumo di insetti in vista della ricezione della normativa europea, come Crické. E chi ha inventato – Massimo e Mattia Cestra, padre e figlio dodicenne – una serie di biosfere automatizzate, controllate via app, per monitorare la qualità dell'aria e dell'acqua. Poi 3Bee, per il controllo da remoto degli alveari, il sistema di home brewing digitale Beerlab, Cold detector per controllare gli ambienti refrigerati nella ristorazione e garantire il rispetto dei parametri HACCP, il drone trattore agricolo Drover.

 

Le curiosità

Più curiosa l'idea di Funghi Espresso, startup per la produzione di funghi freschi a partire dai fondi di caffè, che diventano substrato nutriente per incentivare la crescita. Altrettanto insolita l'idea di Handsonfood, un guanto elettronico collegato a un'app: scelta la ricetta, il dispositivo guida l'utilizzatore nella preparazione del piatto. Da osservare con la giusta dose di perplessità la macchina per cocktail semi-automatizzata (Mixartista, made in Italy), la piastra refrigerata per gelato espresso Mashcream, lo sguscia molluschi Shell-o, capace di sgusciare 1 kg di telline in 5 minuti. Ospiti del padiglione anche l'Università di Tor Vergata con il suo Naso elettronico e la nuovissima Scuderia Future Food Urban Coolab, inaugurata a Bologna per approfondire gli obiettivi dell'innovazione alimentare e finalizzarli in cucina. Domenica 3 dicembre, al padiglione 10, dalle 11.30, la conferenza sull'Agrifood: make, hack o tech?

 

Maker Faire | Roma | Fiera di Roma | dal 1 al 3 dicembre, 10-19 | ingresso 12 euro | www.makerfairerome.eu

 

a cura di Livia Montagnoli

Sapori e Saperi. Antiche tradizioni calabresi nell'ex convento dove cucinano ragazzi disagiati e disabili

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Da Belvedere Marittimo (Cosenza) arriva la storia del ristorante sociale che si impegna a riabilitare giovani sottratti alla microcriminalità e disabili. Il risultato è una cucina buona, semplice, di territorio, che vale all'attività un Gambero sulla guida Ristoranti d'Italia, a pochi mesi dall'apertura. 

Una buona tavola regionale

Spesso, ed è comunque lodevole, sono gli obiettivi solidali e formativi dietro a una bella storia il pretesto migliore per raccontarla. Nel caso specifico, invece, il merito di Sapori e Saperi, ristorante di territorio e laboratorio di antiche tradizioni nella provincia cosentina, è quello di essersi distinto per la convincente proposta gastronomica, e l'ospitalità calorosa di un'insegna verace della provincia italiana. Tradotto in numeri, questo si concretizza nell'assegnazione di un Gambero sull'ultima edizione della guida Ristoranti d'Italia del Gambero Rosso, che premia la tavola di Belvedere Marittimo a pochi mesi dall'inaugurazione dell'estate scorsa. Oltre il giudizio di merito che soppesa e certifica la bontà dell'esperienza gastronomica, però, c'è la storia del luogo e delle persone che hanno reso possibile trasformarlo in ciò che è oggi, una piccola impresa virtuosa della ristorazione regionale. E qui tornano in gioco le finalità del progetto, le motivazioni solidali e la componente formativa del percorso che prende le mosse dall'A.I.A.S. Sezione di Cetraro Onlus per favorire l'integrazione di minori, giovani disagiati sottratti alla microcriminalità organizzata calabrese o con disabilità.

Il progetto di inclusione sociale

Da anni, infatti, l'associazione ospita i ragazzi che hanno bisogno d'aiuto nelle proprie strutture sul territorio, e la concretizzazione di Sapori e Saperi è il primo esempio regionale di imprenditoria sociale nel settore della ristorazione, con l'idea di vivere come risorsa il disagio e la disabilità, finalizzando gli sforzi all'inserimento lavorativo a chilometro zero e al miglioramento della qualità della vita delle persone coinvolte. Riabilitazione e lavoro, in questo contesto, coincidono nell'interesse superiore di un risultato qualitativamente apprezzabile, come dimostra il buon esito dei primi mesi di attività. Il vantaggio sta nella possibilità di accompagnare i ragazzi in un percorso di job coaching applicato all'apprendimento della cultura del cibo e delle tradizioni gastronomiche locali e nazionale (si collabora con scuole e istituti alberghieri, e con i principali rappresentanti delle eccellenze enogastronomiche calabresi). Quindi formazione sulle materie prime, selezionate tra produttori di fiducia e coltivazioni bio, e insegnamento delle ricette dell'alto Tirreno cosentino, così come sono state tramandate nel tempo o con il pallino di ripensarle alla luce dell'innovazione tecnologica.

La tavola di Sapori e Saperi

Una bella storia calata nel contesto che merita, un antico monastero agostiniano recuperato nel borgo antico di Belvedere, ristrutturato e reso accessibile ai disabili. In cucina e in sala, come cuochi, maitre, camerieri, sommelier lavorano i ragazzi, la squadra che anima il ristorante sociale con l'idea di regalare l'atmosfera di un pranzo in famiglia. In tavola, i piatti arrivano secondo stagionalità e disponibilità del mercato, a cominciare dai crostini (con pane di Cerchiara) con verdure e pescato del giorno, per proseguire con gli spaghetti con alici e finocchietto selvatico. Il venerdì, come da tradizione, baccalà e stoccafisso in tutte le salse (in umido, fritto, in insalata, con olive verdi e cipolla), sempre disponibile il pescato del giorno alla mediterranea, la zuppa di pesce (ma solo su prenotazione), l'arrosto di carne, i dolci della casa – brioche ripiene di gelato homemade comprese -  e i baci di Belvedere. 40 i coperti per gli ospiti, a servirli un team di una decina di ragazzi, molti ospiti della comunità Lo Scoiattolo di Sangineto, con il coordinamento in sala di Emanuela Belmonte. In pochi mesi l'ambizione è cresciuta, si organizzano serate a tema, degustazioni di vino guidate, esposizioni d'arte, la squadra è destinata ad accogliere nuovi ragazzi. Aperti a pranzo e cena.

Sapori e Saperi | Belvedere Marittimo (CS) | piazza Amellino, 16/17 | www.ristorantisaporiesaperi.it

 

a cura di Livia Montagnoli

Libri. Spirits: storia, cocktail e racconti di Massimo D'Addezio

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Ci sono i classici e i twist, le storie da raccontare, le cose da sapere e le curiosità che consentono di capirci qualcosa di più. Tutto in un unico libro dal titolo Spirits

Il barman è uno psicologo? No”. Comincia così il volume firmato da Massimo D'Addezio, barman di gran classe, tra i nomi più importanti della miscelazione italiana e protagonista di Spirits su Gambero Rosso Channel. E proprio a quel fortunato programma fa riferimento il titolo del nuovo volume edito da Gambero Rosso. Un libro in cui D'Addezio racconta quel che c'è dentro e dietro i cocktail più famosi: ricette – certo - ma anche strumenti, materie prime, storie e procedure. Narrati con quel suo stile inconfondibile - leggero, divertente, professionale e serissimo, ma mai serioso – così amato dai tanti affezionati clienti che da anni si siedono al suo bancone.

daddezio

Massimo D'Addezio

E come è al bar, allo stesso modo lo ritroviamo nel libro. Con quel modo di fare sornione, ironico, con la battuta sempre pronta a mettere una sfumatura in più o a togliere quando ti pare di aver già intuito la fine della frase. Ma questo è solo un aspetto, quello di contorno. Perché Massimo D'Addezio è un barman di rango: l'abbiamo conosciuto allo Stravinskij, il glorioso cocktail bar dell'Hotel De Russie di Roma che proprio lui ha reso uno dei punti cardinali del buon bere miscelato capitolino, quando la Città Eterna non aveva molte carte da giocare. Quando, insomma, alla domanda: “dove bevo un buon Martini Cocktail?” l'unica risposta possibile era “allo Stravinskij”. Da quel posto mitico, che affaccia in un giardino privato, a un certo punto D'Addezio è andato via, ché il ciclo era compiuto ed era giunto il momento di tornare su strada. C'è stato allora Co.So. il locale formato mignon in una viuzza del Pigneto che ha cambiato, d'improvviso, le traiettorie degli amanti dei buoni cocktail, spostandoli dall'atmosfera lussuosa e rarefatta a un passo da piazza del Popolo, a uno dei quartieri della movida capitolina, scompigliata e un po' caciarona. Da lì poi, con un altro colpo da maestro, ha raddoppiato in un posto che a entrarci dentro pare di non stare a Roma, anche se il Cuppolone a portata di mano non lascia dubbi. Un luogo ancora sconosciuto ai più, nel mezzanino dell'Auditorium Conciliazione, dunque non visibile dalla strada. Quasi un secret bar, ma senza segreti: Chorus

daddezio libro

Il libro

Prima di tutto, di ogni assaggio e di ogni ricetta, il volume parte da alcune parole chiave, quelle da memorizzare se si vuole entrare nel magico mondo dei cocktail, anche solo come clienti, per rispondere con disinvoltura all'offerta di un twist on classic o di un old fashioned, per non confondere ginger ale con ginger beer o magari pensare che quest'ultimo sia una specie di birra allo zenzero. Insomma: anche il mondo del bere miscelato ha il suo vocabolario minimo. Che è bene conoscere. Come è bene conoscere gli strumenti indispensabili che vedrete mille e mille volte muovere dietro al bancone. Dopo questa, indispensabile, premessa, si passa alle cose serie: ovvero ai drink, con una lunga lista di ricette e racconti divisi in capitoli - secondo l'ingrediente base - e a loro volta divisi in classici e twist (vedete che è una parola che occorre conoscere?) ovvero le varianti sui classici: le “versioni di Max”.

 

L'ingrediente base

Si parte dall'ingrediente fondamentale per ogni drink che si rispetti: il ghiaccio. “Il ghiaccio è per il barman ciò che è il fuoco per il cuoco” ovvero “è il responsabile della cottura di un cocktail”: amalgama, miscela, diluisce. Insomma: non si usa per mettere meno alcol nel bicchiere, ma è necessario per trasformare gli ingredienti in qualcosa di diverso, il cocktail. Forma e dimensioni contano: cubetti piccoli o bucati all'interno si sciolgono prima, annacquando il vostro drink. Avete mai visto quelle sfere grandi quanto il bicchiere? Ecco. Oltre che belle e scenografiche sono pure funzionali. Anche se poi, quanto a scena, non c'è nulla di meglio dell'ice carving, l'arte del taglio e della modellazione del ghiaccio in diretta, a partire da un blocco intero.

 

E tutti gli altri

Dal “distillato che nessuno tocca, ma tutti bevono”: la vodka - con la sua storia avventurosa che attraversa tre continenti e diversi paesi, si scontra con il proibizionismo e ne esce vittoriosa – a “sua maestà il gin”, olandese di nascita ma inglese di adozione, che fece innamorare mezzo mondo potendo contare anche sulle sue qualità medicamentose, proprio le stesse che hanno dato vita a uno dei cocktail più famosi, il gin tonic. Passando poi per bollicine, soda (a proposito, sapete la differenza tra soda e seltz?), “vecchi” liquori, fiore all'occhiello – questi - della tradizione italiana, che vivono una seconda giovinezza, protagonisti di riedizioni, restyling, imitazioni e, ovviamente, di mix fino a poco tempo fa impensabili. Tra questi un posto di primo piano ce l'ha il vermouth, il vino aromatizzato di Torino tanto apprezzato dai Savoia, che ne decretarono la fortuna. Oggi tra gli immancabili dei mixologist di tutte le età. Si passa da una ricetta all'altra, da uno stile all'altro, fino al colorato mondo del tiki. Di drink in drink, di spirit in spirit: rum, tequila, mezcal, agave, prodotti che vale pena conoscere e scoprire nelle loro migliori espressioni. Dentro al bicchiere, ovviamente.

 

Spirits | Massimo D'Addezio | Gambero Rosso ed. | 162 pp. | 18 euro | in vendita in libreria e on line

 

 

a cura di Antonella De Santis

foto di Francesco Vignali

 
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