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I Cento di Torino, Milano e Roma. Edizione 2018 per le guide Edt che fotografano Top e Pop

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Cento indirizzi, come garantisce la copertina, per raccontare la ristorazione cittadina nelle sue due anime complementari, le prove autoriali e le tavole più popolari, dove si mangia bene spendendo poco. Da Torino a Roma, passando per Milano, con un terzetto di vincitori eccellenti: Matteo Baronetto, Antonio Guida, Anthony Genovese. 

I Cento di...

L'ultima arrivata, nella collana che EDT dedica a chi ama mangiar fuori in città, è Roma. Una pubblicazione agile, 100 indirizzi per raccontare la ristorazione cittadina: 50 locali Top (in ordine di preferenza crescente, fino alla tavola d'autore più apprezzata) e 50 insegne pop, le 50 migliori insegne popolari tra trattorie, bistrot e cibi di strada. Una ricognizione che dunque si propone di accontentare un pubblico trasversale, offrendo due fotografie del panorama gastronomico cittadino diverse e complementari, a cura della triade Luca Iaccarino, Alessandro Lamacchia, Stefano Cavallito, che da Torino sono partiti con un format editoriale rivelatosi vincente, ampliando poi il raggio d'azione a Milano e Roma. Il merito principale è quello di essere riusciti a diversificare l'approccio, coinvolgendo persone (addetti ai lavori, giornalisti e critici) che la città la vivono ogni giorno, chiedendo loro di restituire un quadro quanto più possibile autentico della situazione ristorativa in città, con spunti curiosi e focus relativi alle abitudini gastronomiche più peculiari di ogni scenario.

 

Torino. Matteo Baronetto in testa

Cominciando da Torino, anche quest'anno la prima ad essersi palesata con i suoi 50 ristoranti (tavole gourmet sopra i 40 euro) + 50 piole (l'anima torinese della cucina di tradizione in ambiente informale, per mangiare bene con 25 euro o poco più), il terzetto sul podio gourmet riassume le ambizioni di una ristorazione d'autore solida e vivace, sebbene ignorata dall'ultima guida Michelin. In testa c'è Matteo Baronetto con la cucina Del Cambio, argento per Casa Vicina da Eataly Lingotto, bronzo per Spazio7. Nei primi 10 anche Magorabin, il neorrivato Cannavacciuolo Bistrot (quinto), il Carlina Restaurant, ma pure due indirizzi più tradizionali, come Il Consorzio e Magazzino52. Nei primi 40 anche Hafastorie (Christian Milone a Torino) e Piano35, ora condotto da Fabio Macrì. Dieci le segnalazioni aggiuntive, “oltre la classifica”, tutte parimerito. E 26 new entry in tutto su 100 indirizzi recensiti, con il compendio degli Imperdibili fuori, delle 10 colonne della ristorazione cittadina e 24 consigli per le gite fuori porta. Tra i premi speciali, novità 2018 è il bistrot di Antonino Cannavacciuolo, la migliore promessa Gaudenzio Vino e Cucina, la cantina curiosa quella di Scannabue. La miglior piolaTrattoria Bar Coco's.

 

Milano. Capitale gastronomica internazionale

A Milano – con la quinta edizione della guida che I Cento dedica alla città - si cambia set per raccontare una situazione “fiorita”: “è come un fiorire improvviso e senza fine, una esplosione di tavole accoglienti...” decreta l'introduzione a cura di Carlo Lodovico Cappelletti, Gaia Corazzari e Alessandro Pellegri. Tanto che, tra gli indirizzi Top, le prime venti segnalazioni “sono posti di livello gastronomico internazionale” sostengono gli autori. Ma ci sono anche le trattorie, come di consueto, per un'esperienza che non supera i 35 euro di spesa. Poche new entry e podio invariato, con Seta, Lume e Mudec in ordine decrescente. Ma nei primi 10 troviamo pure Andrea Berton, Aimo e Nadia, Davide Oldani, Matias Perdomo e Carlo Cracco (ottavo). Decimo Matteo Fronduti, con la sua proposta d'autore di periferia al Manna. E poi Spazio e Tokujoshi, Leemann al Joia e Giancarlo Morelli (all'hotel Viu e alla Trattoria Trombetta); Marco Ambrosino, Andrea Aprea, Cesare Battisti, Claudio Sadler, Felice Lo Basso. I big sono tutti schierati. Premi speciali per la Grande Promessa Matias Perdomo, la Cantina curiosa di Aromando Bistrot, la miglior trattoria Abele.

 

Roma. Anthony Genovese porta in vetta Il Pagliaccio

Arriviamo a Roma, l'ultima uscita, con la selezione a cura di Federico De Cesare Viola e Luciana Squadrilli. Ancora una volta, 50 ristoranti e 50 trattorie per descrivere la vita gastronomica in città, “la grande bellezza di stare a tavola”. I 50 Top, com'è peculiare dell'edizione romana, contemplano anche diverse insegne blasonate nei dintorni della Capitale, dall'Aminta Resort (al numero 10) a L'Osteria dell'Orologio di Fiumicino, al The Cesar de La Posta Vecchia, a Ladispoli. Terzetto di testa all'insegna della grande ristorazione d'albergo, fatta eccezione per il primo in classifica, Il Pagliaccio di Anthony Genovese (da terzo a primo), nuovo Tre Forchette sulla guida Ristoranti d'Italia 2018 del Gambero Rosso. Seguono, rispettivamente argento e bronzo, l'Imago dell'hotel Hassler eLa Pergola al Rome Cavalieri. In top 10 anche Metamorfosi, Pipero (new entry in quinta posizione), Gianfranco Pascucci (a Fiumicino), Giulio Terrinoni, Cristina Bowerman con Glass. Tra le 50 trattorie (35-40 euro le spesa media), il premio per l'indirizzo più meritevole va a Santo Palato, che è anche new entry in guida. La giovane promessa, invece, è il pizzaiolo Pier Daniele Seu (che presto troveremo con un locale tutto suo), l'oste che sorride Stefano Callegari. Cantina curiosa un indirizzo storico come Il Sorì. In tutto sono 34 le novità che animano la quinta edizione romana de I Cento. Segno che la Capitale – almeno quella gastronomica – sta bene.

www.edt.it 

a cura di Livia Montagnoli

 

Le classifiche

50 Top Torino

1. Del Cambio
2 Ristorante Casa Vicina – Eataly Lingotto
3 Spazio7
4 Magorabin
5 Cannavacciuolo Bistrot
6 Magazzino 52
7 Carlina Restaurant
8 Ristorante Consorzio
9 Artemisia Bistrot
10 Gaudenzio Vino e Cucina
11 Al Gatto Nero
12 Vintage 1997
13 Contesto Alimentare
14 Settesì
15 Piano35
16 La Limonaia
17 Scannabue Caffè Restaurant
18 Les Petites Madeleines–Turin Palace Hotel
19 Ristorante Capriccioli
20 Ristorante Carignano
21 La Gallina Scannata
22 Dadò
23 Trattoria La Madia
24 Mare Nostrum
25 Rossorubino
26 Luogo Divino
27 Enoteca Parlapà
28 Camilla’s Kitchen
29 Opposto Restaurant Cocktail House
30 Ristorante Tre Galline
31 Fiorfood by La Credenza
32 Ristorante Bastimento
33 Osteria Antiche Sere
34 Al Garamond Ristorante
35 Villa Somis
36 Tre Galli Vineria Ristorante
37 Hafastorie
38 Oinos
39 Shizen
40 L’Acino Restaurant

 

da 40 a 50 (parimerito)

- Chiodi Latini New Food
– Etikø – Diversamente Bistrot
– La Sartoria
– Cucina su Misura
– Ristorante del Circolo dei Lettori
– Ristorante Ruràl
– Sakapòsh
– San Tommaso 10
– Scalo Vanchiglia
– Sorij Nouveau
– Le Vitel Étonné

 

50 Top Milano

1 Seta
2 Lume
3 Enrico Bartolini – Mudec
4 Ristorante Berton
5 Il luogo di Aimo e Nadia
6 Contraste
7 Essenza Ristorante
8 Ristorante Cracco
9 D’O
10 Manna Ristorante
11 Spazio Milano – Mercato del Duomo 12 Tokuyoshi
13 Joia
14 Ada e Augusto
15 Felix Lo Basso Restaurant
16 Giancarlo Morelli – Hotel Viu
17 Il Ristorante Trussardi alla Scala
18 Al Mercato
19 28 Posti
20 Sadler
21 Ceresio7
22 Al Pont de Ferr – Osteria con Cucina
23 La Maniera di Carlo
24 Wicky Wicuisine Seafood Restaurant
25 Osteria Le Api
26 Vun – Andrea Aprea
27 Langosteria
28 Trattoria del Nuovo Macello
29 Gong Oriental Attitude
30 Yazawa
31 Michelangelo Restaurant
32 Ratanà
33 Iyo
34 Chic’n Quick Trattoria Moderna
35 Trattoria Trombetta by Giancarlo Morelli
36 Ristorante Al Peck
37 Osteria Brunello
38 La Griglia di Varrone
39 La Bottega del Vino
40 Aromando Bistrot
41 BA Asian Mood
42 Yuzu
43 Pisacco
44 Fukurou
45 Alice Ristorante – Eataly
46 Ristorante Rovello 18
47 Erba Brusca
48 Tano Passami l’Olio
49 Ristorante Sikélaia
50 Besame Mucho

 

50 Top Roma

  1. Il Pagliaccio

  2. Imago

  3. La Pergola

  4. Metamorfosi

  5. Pipero Roma

  6. Pascucci al Porticciolo

  7. Per Me

  8. ilSanlorenzo

  9. Glass Hostaria

  10. Aminta Resort

  11. tordomatto

  12. Enoteca Achilli al Parlamento

  13. Antonello Colonna Resort & Spa

  14. Chinappi

  15. Enoteca La Torre – Villa Laetitia

  16. Il Tino

  17. All'Oro

  18. Salumeria Roscioli

  19. Osteria dell'Orologio

  20. Eit Restaurant

  21. Osteria Fernanda

  22. Mazzo

  23. Romeo

  24. Marzapane

  25. Retrobottega

  26. Epiro

  27. Open Colonna

  28. Greg Ristorante

  29. Acquolina

  30. Giuda Ballerino

  31. The Corner

  32. L'Arcangelo

  33. Bistrot 64

  34. Armando al Pantheon

  35. The Cesar – La Posta Vecchia

  36. Al Ceppo

  37. Antico Arco

  38. Da Rosario all'Albos Club

  39. La Baia

  40. Livello 1

  41. Da Romolo al Porto

  42. Pacifico

  43. Pigneto 1870

  44. Pianostrada

  45. Checchino dal 1887

  46. Caffè Propaganda

  47. Ercoli dal 1928

  48. Kiko

  49. Zuma

  50. Domenico dal 1968


La Calabria del vino volta pagina

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Dall'immobilismo vitivinicolo alla voglia di rivalsa. Adesso i produttori calabresi ci credono e provano a investire nel settore, come ha fatto la Cantina emergente dell'anno per la guida Vini d'Italia 2018, Spiriti Ebbri. Intervista doppia ai presidenti dei due principali Consorzi: Doc Cirò e Terre di Cosenza

La viticoltura calabrese

Con oltre 10.300 ettari, la Calabria è la quindicesima regione italiana per superficie vitata - ha la stessa estensione dei vigneti nella sola Provincia di Trento - che complessivamente rappresenta l'1,62% del vigneto nazionale. Dopo anni di immobilismo, ormai da tempo un fitto reticolo di piccole e medie aziende sta rimettendo in moto il comparto, grazie soprattutto al cambiamento generazionale. Ciò ha significato nuove idee sul modo di fare impresa, sull'impiego del marketing e della comunicazione, sulla scelta della sostenibilità, sulla valorizzazione del ricco patrimonio di vitigni autoctoni e altro ancora. Per capire cosa sta succedendo, abbiamo chiesto ai due presidenti dei consorzi più rappresentativi (Cirò e Terre di Cosenza) e all'azienda emergente 2018, secondo la nostra guida Vini d'Italia 2018, di raccontare la loro esperienza.

 

Un Cirò in ripresa, Un anno sotto la presidenza Librandi

Raffaele Librandi dal maggio 2016 è il presidente del Consorzio di tutela e valorizzazione del vino Doc Cirò (e Melissa), la più importante e conosciuta area vitivinicola calabrese. Il suo insediamento ha segnato una cesura con il passato e l'apertura di una nuova fase che ha coinvolto gran parte delle aziende della zona. Di fatto, è stato anche un implicito riconoscimento del ruolo di aggregazione svolto dalla Librandi in questi anni e degli sforzi per valorizzare, dal punto di vista della conoscenza e dell'immagine, la vitivinicoltura cirotana. A un anno da questa elezione, tracciamo con lui un primo bilancio ampliando lo sguardo anche all'insieme del vino regionale.

 

Quando nel 2016 si è insediato, quale situazione ha trovato nel Consorzio?

I soci erano pochi, circa una decina di aziende rappresentate dagli esponenti della vecchia generazione di produttori. Era tutto fermo, bloccato: prevalendo le vecchie ruggini vigeva il mantenimento dello status quo. Con l'entrata in campo di una nuova generazione di produttori, che hanno fortemente voluto il mio coinvolgimento, è cambiato tutto. Molti dei giovani, che oggi hanno deciso di rinnovare le vecchie aziende, hanno studiato fuori, si sono specializzati e in molti casi hanno deciso di abbandonare le cooperative e di investire in una propria cantina. Frutto di questa nuova cultura anche la scelta del biologico che molti portano avanti. La proposta di diventare presidente – la mia azienda è sempre stata fuori dal Consorzio – nasce in questo contesto di rinnovamento.

 

Attualmente, qual è il ruolo del territorio cirotano nel contesto vinicolo regionale?

Storicamente è sempre stato il più importante del vino calabrese anche perché per molto tempo ha fornito l'uva, che poi veniva vinificata altrove. Basti pensare che in passato nella nostra area ci sono stati anche 1700 ettari di vigneto. Ora il mercato è molto cambiato: le uve non si vendono più, il nostro vigneto si è ridotto a 500 ettari, ma negli ultimi 5 anni, il nostro imbottigliato è passato a 3.8 milioni di bottiglie, da 3 mln. Anche l'Igt sta crescendo e oggi solo per la mia azienda (Librandi) vale 700.000 bottiglie.

 

Come Consorzio quali obiettivi vi siete dati nel medio periodo?

Innanzi tutto ricreare le condizioni per una nuova crescita della superficie vitata ma, allo stesso tempo, svecchiare l'immagine e la comunicazione del nostro territorio. In questo senso, da tempo abbiamo iniziato una discussione per valutare l'opportunità di far diventare il Cirò una Docg. Una delle condizioni per arrivare all'incremento della superficie vitata è la crescita del prezzo delle uve dagli attuali 65/70,00 euro al quintale ad almeno 80,00 euro. Un obiettivo non irrealizzabile se riusciamo a dare una nuova immagine alla nostra terra e al nostro vino, in Italia e all'estero.

 

Dove viene consumato il vino dei vostri associati?

Attualmente stimiamo che il mercato domestico assorba il 70% del nostro vino e in questo ambito la Regione Calabria rappresenti circa l'70-80%, mentre il resto (20/30%) va nelle altre Regioni. Il mercato estero è pari al 30% delle nostre vendite. Siamo convinti che seppur il fenomeno della "regionalizzazione dei consumi di vino" sia in atto un po' dovunque, ci sia un buon potenziale di crescita della nostra presenza in Italia. Per questo vorremmo favorire sia l'incoming nel nostro territorio, sia organizzare dei tour nelle principali città italiane, grazie all'impiego dei bandi promozione del PSR regionale.

 

Oggi come si presenta il vino di Cirò?

Innanzi tutto, siamo una Doc moderna, al passo dei tempi e dei gusti del mercato. Non solo: ormai la nostra produzione, suddivisa tra 1/3 di bianchi, 1/3 di rossi e 1/3 di rosati, ha una qualità media elevata ed è verificabile sia nelle piccole che nelle grandi aziende della zona. Stiamo vivendo un grande momento di cambiamento positivo e si stanno facendo spazio le produzione biologiche che qui trovano delle condizioni meteoclimatiche assai favorevoli.


Consorzio Terre di Cosenza. Un triennio di riorganizzazione

Il comprensorio della Dop Terre di Cosenza, ricade nel territorio amministrativo della Provincia e va dai litorali delle coste Ionica e Tirrenica all'entroterra collinare sino alle prime pendici della Sila. Si tratta di un areale molto esteso - circa 50.000 ettari - con una grande variabilità, dalle zone litoranee alle superfici terrazzate dell'interno, dove la superficie vitata complessiva (Dop, Igp e uva per vini comuni) è di 4500 ettari. Ciò significa che quasi la metà del vigneto calabrese (10.300 ettari) si trova in questa area ed è quasi interamente dedicato alla produzione di vini comuni. La struttura consortile – presieduta da Demetrio Stancati – è stata costituita nel dicembre 2014. Il sistema delle denominazioni territoriali locali che risultava assai dispersivo e poco rivendicato, è stato razionalizzato e si sono poste le basi per valorizzare storiche aree produttive, come le sottozone di Donnici, Verbicaro, Pollino, San Vito di Luzzi, Savuto, ecc. Attualmente le aziende associate sono 30. Complessivamente nel 2017 gli ettari rivendicati dalla Dop Terre di Cosenza sono stati 250 per una produzione di 13.500 qli di uva. Nel 2016 sono state prodotte circa 1.100.000 bottiglie (dei quali 50% rosso, 35%, bianco e 15% rosato).

 

Presidente Stancati, qual è lo stato dell'arte del vostro Consorzio?

Siamo ancora in una fase di riorganizzazione anche se la razionalizzazione della Denominazione ci ha aiutato a fare ordine nel nostro territorio: alcune Doc ormai erano solo sulla carta e funzionavano di più le Igt. Abbiamo assicurato la salvaguardia dei vitigni autoctoni (magliocco, pecorello, e altri.) di cui possiamo vantare una grande ricchezza. In sostanza, abbiamo la coscienza di lavorare per i viticoltori del domani.

 

Quali sono le principali difficoltà quando proponete i vostri vini?

In primo luogo, abbiamo problemi di localizzazione del nostro territorio sulla carta geografica, specialmente all'estero, dove prima dobbiamo spiegare dov'è la nostra regione e poi che siamo nella parte Nord. L'unica area calabrese davvero conosciuta è quella di Cirò, anche se storicamente, sino all'Ottocento, siamo stati noi i grandi esportatori di vino, ma con l'avvento della fillossera, agrumi e ulivi, hanno preso il posto della vite.

 

Ci descrive le novità che stanno accadendo nel territorio?

Appena venti anni fa le cantine erano pochissime, mentre oggi siamo più di 60 aziende. La novità è che molti stanno investendo nel vino. In alcuni casi provenendo da altri settori, soprattutto dal mondo delle professioni, in parte per il cambio generazionale, e ancora rimodernando le vecchie aziende familiari, ora condotte in modo moderno e professionale. È un trend positivo, che sta innescando investimenti in vigna e in cantina, con l'arrivo di grandi enologi da fuori regione. Insomma, si sta creando un movimento positivo, che non potrà che giovare al territorio e alla denominazione. I nostri obiettivi: strutturarci sempre meglio e iniziare la promozione in Italia e all'estero il prima possibile. Per ora siamo in attesa dell'uscita dei Bandi PSR, fondamentali per intraprendere qualsiasi attività.

 

La storia di Spiriti Ebbri, la Cantina Emergente dell'anno

Pierpaolo Greco insieme a Damiano Mele e Michele Scrivano vuol dire Spiriti Ebbri, Tre Bicchieri 2018 con il Neostòs Bianco 2016 e Cantina Emergente dell'anno. Tre amici innamorati della terra e del buon vino che, con grande passione, hanno dato vita a una azienda che sta crescendo gradualmente mantenendo lo spirito "naturale". Certo, la Calabria non è ancora un territorio vitivinicolo conosciuto nel mondo eandare in giro, presentandosi come cantina calabrese non aiuta, come spiegano i tre soci: "I vini calabresi e il nostro territorio, sono scarsamente conosciuti. S'immagina la nostra regione come un territorio simile alla Sicilia, solo un po' più verde. Insomma, pochi pensano alle montagne e ai mille microclimi diversi. Abbiamo pure riscontrato il parere di chi è convinto di una nostra presunta scarsa capacità come vinificatori, poi assaggiano i vini e rimangono stupiti. Librandi comunque, continua a essere una bandiera e un riferimento".

Che le cose stiano cambiando è ormai chiaro, e i segnali ci sono tutti: "Il cambio generazionale è stato importantissimo e c'è un fiorire di nuove aziende con una mentalità aperta alle novità, più rispettosa del territorio e dell'ambiente".

E poi, ci sono i premi delle guide che, soprattutto in questo caso, servono a far emergere realtà sconosciute ai più: "Da quando abbiamo ricevuto il premio del Gambero Rosso come Cantina Emergente dell'anno” spiegano i tre produttori “abbiamo aumentato in modo considerevole i contatti. Non ci saremmo mai aspettati così tante richieste arrivate per mail e per telefono". Tant'è che, adesso, la cantina pensa ad ampliarsi, con l'acquisto di altri 2 ettari e mezzo di vigneto per arrivare a 5 totali e una produzione di 35 mila bottiglie.

 

a cura di Andrea Gabbrielli

 

 

Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 16 novembre

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Architetti di ristoranti. Lo studio Strato di Roma

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Festeggia i 10 anni di attività Strato, studio di architettura e design che dal 2007 a oggi ha realizzato diversi progetti di ristorazione in vari quartieri romani. All'insegna del recupero dei materiali e degli oggetti di pregio, per sottolineare ancora una volta il ruolo fondamentale dell'ambiente in cui si mangia.

Lo studio

Un romano doc e un pugliese trapiantato nella Città Eterna già da molto tempo, entrambi appassionati di architettura e arredi che, dopo un lungo percorso di studi, hanno unito le forze e si sono messi in proprio, creando uno studio tutto loro dove progettare format nuovi e originali. Hanno dato vita a Strato 10 anni fa, Vincenzo Tattolo e Martino Fraschetti, occupandosi della ristrutturazione di negozi e case, per poi specializzarsi sempre di più nella ristorazione, a cominciare da 23 Cavallini in zona Prati e l'Officina Settembrini, per passare poi a diversi locali firmati Laurenzi Consulting, per finire, fra gli ultimi progetti, con due corner all'interno della nuova Rinascente Tritone, uno dei lavori più innovativi che hanno interessato il suolo capitolino negli ultimi tempi, con penultimo e ultimo piano, e straordinaria terrazza su tetti e cupole della città a ospitare le food hall. E poi Bulzoni Vini & Cucina, storica enoteca di Roma nata nel 1929 e recentemente trasformata in un ristorante a tutti gli effetti.

Punto di partenza: Officina Settembrini

La nostra idea di lavoro nel settore gastronomico nasce con Officina Settembrini”, locale aperto alla fine del 2013 (oggi chiuso) con l'intento di unire alle pietanze gli “oggetti del cibo”, ovvero tutti gli strumenti utilizzati in cucina, in uno spazio che coniugasse l'ambiente tipico dell'enoteca a quello del negozio. “In quel caso ci siamo trovati di fronte a dei locali che avevano ospitato dapprima una vecchia officina meccanica e poi un supermarket. Dovevamo creare uno spazio dedicato alla gastronomia fredda e uno per la vendita di oggetti di design, per cui ci siamo ispirati al modello dei vecchi empori di una volta”. Via libera, quindi, a librerie alte, “in grado di avvolgere il cliente e farlo sentire a proprio agio”, che racchiudono il bancone, “nucleo centrale, interamente in acciaio”, e si alternano con le scaffalature per l'esposizione dei prodotti. “Abbiamo recuperato la graniglia e lasciato l'impiantistica a vista. I colori cambiano a seconda dell'offerta, più freddi all'ingresso e più caldi nella sala da tè, tutti forniti da Bludiprussia di Sabina Guidotti”.

 

Officina Settembrini

Tiberino: l'architettura di recupero

La svolta arriva poi con i locali a marchio Laurenzi, da Tiberino a Ted, da Platz a Plancha, da Brylla a Nanù. “I lavori per Tiberino sono stati molti particolari. Il locale nasce in una posizione singolare, in un palazzo storico su un'isola nel cuore della città, una collocazione che porta con sé vantaggi e svantaggi: la gestazione del progetto è durata 2 anni!”. Un impegno notevole, che ha dato origine a un nuovo approccio all'arredamento, all'insegna del recupero dei materiali, “tutti quegli elementi legati alle lavorazioni romane del passato, come le pareti di intonachino e i pavimenti in legno”. E poi le vecchie travi a vista, “che abbiamo recuperato sotto strati di altri materiali che nel tempo si erano andati a sovrapporre fra di loro”, gli infissi in legno, i marmi di pregio per il bancone e il retro-banco. “Tiberino non aveva una vera cucina, per cui abbiamo dovuto crearla da zero, insieme alla gelateria, entrambe caratterizzate da piastrelle ricercate di un'azienda siciliana, Made a Mano”. Decorazioni artigianali, dunque, che si mescolano a oggetti di design più contemporanei, come le lampade House Doctor. “Cerchiamo sempre materiali di qualità, che siano vivi, che abbiano una storia, dal legno al marmo all'intonachino, che acquistiamo da un'azienda francese, Ressource, fornita da Maison Rive Gauche di Frederic Gachie”.

 

Tiberino

Ted: giochi di luce e riflessi

Cambia l'offerta, si modifica lo spazio. Ted-burger&lobster è un format insolito per la Penisola, che trae ispirazione dalla cucina dell'East Coast, celebre per l'utilizzo dell'astice, e che porta per la prima volta a Roma il lobster roll, l'hamburger con astice grigliato e salsa bernese e tante altre golose specialità statunitensi. “La cucina di Ted è innovativa e moderna, e l'ambiente si proponeva più mondano e vivace, per cui anche gli spazi sono stati pensati con questa idea”. Al centro, ancora una volta il bancone, “per dare un senso di comfort e familiarità, ma anche per dividere in due parti il locale, una riservata ai cocktail e una alla gastronomia, sollevata su due gradini”. I materiali, in questo caso, sono più appariscenti, “con colori accesi, meno intimi”, ma la vera protagonista di Ted è la luce: “Ci sono gli specchi per rendere lo spazio più ampio, e poi c'è l'ottone che crea questi riflessi per il locale, rendendolo più luminoso”.

 

Ted

La Rinascente

Se il progetto di Ted era “una scatola vuota da riempire”, altrettanto non si può dire del corner della cantina Feudi di San Gregorio all'interno della Rinascente, “dove abbiamo dovuto ragionare partendo da elementi preesistenti e indicazioni precise”. Un bistrot ispirato alla tradizione romana, con un'ampia scelta di etichette delle aziende del gruppo vinicolo, alla mescita o in bottiglia, da accompagnare a una proposta gastronomica fredda, alla cucina classica, oppure ancora alla pizza. Questo il concept dello spazio, “distribuito su due aree, quella a destra del bancone, più intima, e quella a sinistra con i tavoli sociali”.A fare la parte del leone è di nuovo il banco, “di marmo Calacatta intagliato, un materiale meraviglioso”, circondato da sedie di design nere firmate Vitra, “per un ambiente dal sapore retrò ma molto attuale”.

 

Feudi di San Gregorio, La Rinascente

Progetti per il futuro?

Stili diversi che si mescolano fra loro, elementi e materiali che si sovrappongono in maniera armonica per creare spazi dalla forte personalità e dal carattere unico: questa la filosofia con cui Strato si approccia ai ristoranti, “per fornire agli ospiti un'esperienza piacevole non solo della cucina, ma anche dell'ambiente, due dimensioni che devono coesistere in maniera sempre più sinergica”. Fondamentale anche l'acustica e la musica, “che conferiscono classe al locale”, due dettagli su cui lo studio si focalizzerà a breve: “Abbiamo in cantiere diversi progetti, fra cui due molto interessanti che coniugano design, cibo e musica, e rappresentano un ulteriore passo verso un concetto più ampio e aperto dell'esperienza gastronomica”.

Strato | Roma | via A. Sacchi, 4 | tel. 06 87904648| www.studiostrato.it

a cura di Michela Becchi

Architetti di ristoranti. Lo studio Salefino di Agrigento

Architetti di ristoranti. Lo studioAutoban di Istanbul

Architetti di ristoranti. Lo studio Vudafieri Saverino Partners di Milano

Architetti di ristoranti. Lo studio Q-Bic di Firenze

Architetti di ristoranti. Lo studio Leonardo Project di Montesilvano

Architetti di ristoranti. Lo studio Margstudio di Milano

Dove comprare il tè a Palermo: 4 negozi seri e specializzati

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Una città che continua a crescere, imponendosi sempre più come meta turistica imperdibile per amanti dell'arte e del gusto. Per gli appassionati di tè, ecco 4 indirizzi da appuntare in agenda.

I palermitani continuano a sostenere che in città non succeda nulla di interessante, ma in questi ultimi tempi il capoluogo siciliano si sta dando un gran da fare per mostrare il suo aspetto migliore, quello più ricco e vivace dal punto di vista culturale ed enogastronomico. Perché Palermo non è solo pani ca' meusae sfincione, banchi dedicati ai mangiari di strada e trattorie tradizionali, ma può fare affidamento su una serie di insegne valide anche per la caffetteria e la pasticceria. Fra espressi e dolci, trova spazio anche il tè di qualità. La nostra raccolta dei negozi specializzati.

Centro Cha

Tisane, infusi, tè, cioccolata, vini ma anche primi e secondi piatti espressi: Centro Cha è l'indirizzo ideale per gli amanti del gusto in cerca di una pausa golosa e veloce, dalla colazione all'aperitivo, passando per la pausa pranzo. Una sala da tè che è anche caffetteria e winebar, con taglieri di salumi e formaggi del territorio e insalate ricche a base di materie prime locali, che non rinuncia anche alla vendita di accessori – teiere, tazze, ceramiche, filtri – tè e infusi. Circa un centinaio di miscele pregiate provenienti da Cina, Giappone, India e altri grandi Paesi produttori caratterizzano l'offerta del locale, che si completa con torte fatte in casa, biscotti, crostate ma anche specialità della tradizione anglosassone, dalla red velvet alla cheesecake. Aperto nel 2007, Centro Cha è oggi uno dei punti di ritrovo più in voga per gli amanti del genere, che qui potranno trovare il luogo ideale per sperimentare il rituale del tè, condotto come vuole la tradizione, con tempi lenti e ritmi cadenzati, per ritrovare il piacere di sorseggiare una bevanda calda con calma nelle giornate più rigide.

 

Cha

Centro Cha | Palermo | via Giuseppe Velasquez, 28 | tel. 09 1580127 | www.facebook.com/pg/francosavocacha/about/?ref=page_internal

Emporio La Mela

Benessere, salute, alimenti e biologico. “Queste sono le parole che hanno ispirato il nostro progetto, con il quale ci proponiamo di rivalutare l'importanza dell'alimentazione sana e naturale, per imparare a volerci bene. I ritmi e gli stress ai quali siamo sottoposti giornalmente ci hanno fatto dimenticare il valore di queste parole, ma per star bene occorre nutrire e curare il nostro corpo in modo sano”. Per questo, dal 1990, l'Emporio rappresenta un punto di riferimento per tutti gli appassionati di cucina naturale a Palermo, con prodotti ricercati biologici e biodinamici. “Il nostro obiettivo è quello di far rivivere la tavola come un momento di piacere, e sicuramente i cibi naturali sono quelli che stimolano maggiormente i nostri sensi”. Tè compreso, senza contare le tisane e gli infusi di frutta, da acquistare sfusi o in bustina. E poi una gamma di accessori da tè, colorati e moderni, dalle teiere di vetro a quelle in porcellana, dalle tazze alle teiere per una sola persona. Bollitori, colini a forma di cucchiaio, infusori in acciaio inossidabili, “tutti gli strumenti necessari per fare graditi regali o godersi una buona tazza di tè in casa”.

Emporio La Mela | Palermo | Via Nicolò Garzilli, 29 | tel. 09 16112857 | www.emporiolamela.com/contatti/

Rabbit Hole

Un ambiente sui generis, fiabesco e con forti richiami al celebre racconto Alice nel Paese delle Meraviglie, storia dell'infanzia che dedica al rituale del tè un interno capitolo, con personaggi divenuti popolari come il Cappellaio Matto, il Bianconiglio e molti altri entrati a far parte della memoria collettiva. È a loro che si ispira Rabbit Hole, sala da tè di Palermo che si propone come un “luogo di evasione dal caos e dallo stress della vita quotidiana, un piccolo rifugio in cui 'ognuno può essere quel che è e può non essere quel che è'”, spiegano i giovani ideatori citando un passo del libro di Lewis Carroll. Due ragazzi accomunati dalla passione per la cultura giapponese che, dopo un viaggio alla scoperta del paese del Sol Levante (e un matrimonio) sono riusciti a realizzare il loro sogno: creare nella loro città un locale a tema, format che avevano visto per la prima volta proprio a Tokyo, dove è molto diffusa la tendenza dei Themed Cafè. Enormi cappelli segnano l'ingresso nelle varie sale: c'è il privé dedicato allo Stregatto, la sala del Cappellaio Matto con tazze e teiere appese sul soffitto, quella della Regina di Cuori, il tavolo sociale nell'area dedicata ad Alice con il bancone per dolci e tè, e infine il Labirinto esterno. Tanti i tè in assaggio, ma nel menu – fresco e semplice – di Rabbit Hole ci sono anche cioccolate calde, caffè, tisane e tante creazioni dolci artigianali di stampo anglosassone.

 

Rabbit Hole

Rabbit Hole | Palermo | via Volturno, 20 | tel. 327 0070818 | rabbitholepalermo.it/

Via di Mezzo Librotheca

Un ristorante, bar, caffetteria e anche sala da tè: Via di Mezzo è un locale che coniuga più anime, tutte dedicate all'offerta gastronomica di qualità. Aperto nel 2002, il bistrot si propone come un luogo polifunzionale adatto per tutte le ore del giorno, dalla colazione alla cena, e in grado di rispondere alle diverse esigenze della clientela. Cuore pulsante del locale è il tè (non in vendita), proveniente da diverse parti del globo e servito a regola d'arte con set di teiere e tazze ricercate pensate per offrire agli ospiti un'esperienza unica, all'insegna del relax. “Abbiamo una selezione di circa 40 prodotti fra tisane, infusi di frutta e tè, tutti sfusi, nessun confezionato”. Da gustare immersi in una location d'eccezione, a pochi passi da piazza Sant'Oliva. “Non vendiamo il tè, ma cerchiamo di servirlo nel mondo migliore, consigliando ai clienti quello che più incontra i propri gusti per aromi, profumi e sapore”.

Via di Mezzo Librotheca | Palermo | via Sant'Oliva, 20/22 | tel. 09 16090090

a cura di Michela Becchi

Dove comprare il tè a Milano: 6 negozi seri e specializzati

Dove comprare il tè a Bolzano e Merano: 3 negozi seri e specializzati

Dove comprare il tè a Bologna: 4 negozi seri e specializzati

Dove comprare il tè a Firenze: 3 negozi seri e specializzati

Big Mamma. Caso imprenditoriale della ristorazione parigina che scommette sulla trattoria italiana

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Tutto è iniziato nella primavera 2015, con l'apertura di East Mamma seguita a stretto giro dalla pizzeria Ober Mamma. Ma l'idea di importare la buona cucina popolare italiana a Parigi è maturata nel tempo, grazie alla passione per l'Italia di Tigrane Seydoux e Victor Lugger. Due anni dopo i due trentenni sono tra gli imprenditori più acclamati di Francia. Ecco perché. 

Buono, economico... Italiano

Non dimenticarlo, se è delizioso ed economico, è già fenomenale. Nel motto della casa è racchiusa la filosofia aziendale: una dichiarazione d'intenti che la dice lunga sulla strategia di comunicazione adottata dal gruppo francese Big Mamma, praticamente il caso imprenditoriale più dirompente del panorama ristorativo francese degli ultimi anni. Non le gesta di qualche nume tutelare dell'haute cuisine parigina (che pure, è ben certificato, è molto propensa all'imprenditorialità scalare), né la galoppata trionfale di uno dei tanti enfant prodige della bistronomie. Nulla di più distante. Dietro al fenomeno Big Mamma ci sono Tigrane Seydoux Victor Lugger, due francesi laureati in economia con la passione per l'Italia. Insieme, in due anni, sono riusciti a mettere in piedi la più fortunata catena di ristorazione informale a Parigi. Scommettendo, neanche a dirlo, sulla cultura gastronomica italiana. In squadra, attualmente, contano 238 dipendenti, uomo più uomo meno... E tutti con passaporto tricolore. Il pallino per la Penisola, i due amici imprenditori l'hanno sviluppato in tempi non sospetti, sin dai primi viaggi in Italia, parallelamente alla passione per le trattorie “popolari”, come le definiscono oggi che di quel format si sono “appropriati” grazie a una brillante intuizione trasformata in business plan (ragionando su altri numeri, il paragone più celebre ci porta nella New York di Danny Meyer, e delle sue insegne ispirate alla romanità). Trattoria Popolare, non a caso, è il nome dell'attività aperta a Parigi, all'inizio della primavera scorsa. La penultima di una serie di fortunate inaugurazioni, che li vede a capo di 6 diversi locali, tutti nella capitale francese, ognuno con la propria anima, ma sempre debitori al made in Italy.

L'Italia in tavola. A Parigi

Con una certa maniacalità nel reperire le materie prime – tre volte alla settimana arriva a Parigi il carico con i prodotti dei fornitori italiani – e nel circondarsi di uno staff tutto italiano (gli annunci di lavoro online sono rigorosamente rivolti a “personale italiano specializzato”, chef di cucina, pizzaioli, commis, panettieri) cui il gruppo si preoccupa pure di fornire l'alloggio, nell'ottica di cementare il team. La fila fuori dal locale si è palesata fin dall'inizio, e ha finito per diventare un'abitudine, in tutte le insegne del gruppo (che a onor del vero, non accettano prenotazioni). Perché? Sono in molti a chiederselo, mentre le pagine della stampa internazionale riportano con dovizia di particolari la storia, assurta a leggenda, dei due giovani (34 anni ciascuno!) Tigrane e Victor. L'ultima edizione della guida Gault e Millau non ha potuto fare a meno di assegnar loro il premio come imprenditori dell'anno. Dall'altra parte del confine, agli italiani viene quasi da chiedersi se non sia finalmente il caso di sfatare il mito sulla rivalità con i cugini francesi: solo considerando la capitale, il numero di insegne italiane apprezzate dai parigini può contare su chef osannati dalla critica (su tutti Giovanni Passerini, ma ricordiamo anche la pizza a degustazione di Gennaro Nasti) e, per altro verso, proprio sulla permeabilità del (dei) format ideati da Big Mamma, che certo molto del suo successo lo deve alla strategia di comunicazione perfezionata nel tempo.

Il segreto del successo. I locali di Big Mamma

Oltre che ai prezzi contenuti di una proposta che spazia dalla pizza di Ober Mamma (forno a legna e cocktail bar) alla pasta fresca col tartufo di East Mamma, restando sempre popolare. I detrattori si chiedono come sia possibile mantenerli, questi prezzi, senza rinunciare alla qualità; loro rispondono con l'elenco dei fornitori, una rete di fiducia costruita sul campo, più di 200 produttori e artigiani che permettono di contenere i costi, pur tenendo alto il livello dell'offerta. Ma la famiglia annovera anche Mamma Primi a Batignolles – arrondissement che ha mantenuto un forte spirito di quartiere, “e un po' ci ricorda il Rione Monti” - tutto giocato sui primi piatti, e il grande locale su 4 livelli riconoscibile dall'insegna Pink Mamma – l'ultima arrivata in famiglia -  trattoria, bisteccheria alla brace, un menu che spazia dal carpaccio alla fiorentina. Con cucina a vista, scaffalature ricolme di barattoli di giardiniera e frutta in sciroppo, piatti da collezione alle pareti, arredi piacevolmente retrò: un ambiente studiato a regola d'arte per confermare un altro dei motti del gruppo, “Tutto e fatto in casa. E basta”. E un angolo nascosto, ribattezzato No Entry, che introduce allo speakeasy firmato Big Mamma. Tra gli ultimi esperimenti anche il Biglove Caffè, “brunch italiano e pizza senza glutine”, un po' fraschetta (con i prosciutti appesi al soffitto) un po' vecchia drogheria, un po' torrefazione, con caffè tostato in loco. E forno a legna, nel cuore del Marais. Mentre un'altra scommessa vinta del gruppo si trova in rue Reamur, non distante dal severo Palazzo della Borsa. Popolare torna sulla passione per i grandi spazi (250 coperti), e approfondisce il discorso sulla pizzeria all'italiana. La Margherita costa 5 euro, “come a Napoli”, dietro al banco di lavoro, in un tripudio di mattonelle in ceramica che rivestono le pareti (quelle esterne sono fatte di bottiglie di Aperol e vermouth italiani), due forni a legna di Salvatore Acunto. L'altra anima del locale è il cocktail bar, con una selezione di 500 distillati.

 

Un'azienda solida e geniale

Il fatturato complessivo di questa corazzata della cucina orientata all'italianità – con spunti che pescano nella Roma di Monti e tra le pizzerie di Mergellina, nella Toscana vinicola e nelle osterie di provincia del Nord Italia -  nell'ultimo anno ha raggiunto i 5 milioni di euro, cumulando una media di 4mila clienti al giorno (in caso di vendita, ventilata nelle scorse settimane, il gruppo oggi varrebbe qualcosa come 120 milioni di euro). E ripaga le aspettative dei generosi tycoon dietro alla nascita del gruppo, non due nomi a caso: Stephane Courbit, ex patron di Endemol, e Xavier Niel, della rete telefonica Free. Insomma, dal nulla non ci si inventa, ma portare la macchina a girare a pieno regime non è impresa da tutti. Interrogati sul segreto del loro successo, i due minimizzano: “Prendere la ricetta della buona trattoria italiana  - gustosa, non troppo cara, ospitale – e ricrearla a Parigi”. Il merito va ai primi che ci hanno provato, “due geni” chiosa Bernard Boutboul, economista francese esperto nel settore della ristorazione.

www.bigmammagroup.it  

 

a cura di Livia Montagnoli

A tavola nascono nuovi eroi. Il progetto di Mipaaf e Ismea per valorizzare coniglio e uova

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Rilanciare il consumo di uova e carne di coniglio, prodotti alimentari spesso dimenticati, ma fondamentali per la nostra dieta. Questa la campagna promossa dal Mipaaf in collaborazione con Ismea, raccontata lo scorso 20 novembre durante la conferenza stampa a Roma. I dettagli del progetto.

Il progetto

A tavola nascono nuovi eroi. Si chiama così l'ultima iniziativa del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, realizzata in collaborazione con Ismea – Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare – e presentata lo scorso 20 novembre al ristorante Hostaria Luce di Roma. Una campagna promozionale pensata per reintegrare la carne di coniglio e le uova nella dieta quotidiana, a fronte dei recenti cambiamenti delle abitudini alimentari molto spesso frutto di un'informazione scorretta o quantomeno imprecisa. I continui allarmismi sulle uova hanno posto gli operatori del settore nella condizione di dover affrontare momenti di crisi e cali delle vendite notevoli, compresi tutti quegli avicoltori e cunicoltori italiani che lavorano in maniera seria, seguendo le regole ferree dei disciplinari di qualità, nel pieno rispetto dell'ambiente, degli animali e della salute dei consumatori.

I consumi

Infatti, il consumoitaliano pro-capite di uova è pari a 12,6 chilogrammi, contro gli oltre 14 chilogrammi nel resto dell'Unione Europea. I numeri del settore parlano, per le uova, di una produzione agricola nazionale che ammonta a 850.000 tonnellate, pari ad un valore di 1,2 miliardi di euro. 42 milioni di galline, presenti in 3400 allevamenti, di cui circa 1000 con capacità superiore a 1000 capi assicurano un fatturato pari a 1,5 miliardidi euro. Per il coniglio, invece, l'Italia si posiziona al secondo posto per produzione e consumo mondiale, subito dopo la Cina. Ma anche in questo caso il calo è costante, circa -12% nei primi 9 mesi del 2017, per un consumo di circa 1kg di carne di coniglio pro-capite l'anno.

La campagna

Un ragazzo che corre alla velocità di un ghepardo, una ragazza in piedi sulle ali di un aeroplano: è studiata in chiave ironica e divertente la nuova campagna promozionale nata per sostenere il consumo di questi due alimenti, così nutrienti e sostanziosi da permettere a chi li mangia di affrontare imprese straordinarie. Un progetto che si rivolge prima di tutto ai giovani, con un linguaggio fresco e dinamico, attraverso spot radio e TV, due siti web (www.super-uovo.it e www.superconiglio.it) e l'apertura dei canali social. Oltre a una serie di attività di informazione nei mercati rionali, cuore pulsante della vita cittadina, e la distribuzione in 800 punti vendita di materiale informativo tra cui un ricettario con 10 piatti facili da proporre in ogni circostanza, in modo da rinnovare l’immagine di questi prodotti e renderli sempre più accattivanti anche per il target più giovane.“In collaborazione con l’Ismea abbiamo dato vita a un piano di comunicazione in grado di poter parlare in maniera diretta ai consumatori, allo scopo di contrastare i pregiudizi e informarli correttamente su qualità e valori nutrizionali delle uova e delle carni di coniglio”, sottolinea Luca Bianchi, Capo Dipartimento delle politiche competitive della qualità agroalimentare del Mipaaf. E aggiunge: “Un’occasione davvero preziosa al fine di sensibilizzare il nostro Paese a un consumo maggiore di questi prodotti che rappresentano una risorsa alimentare importante nel panorama agro-zootecnico italiano”.

Le ricette

La campagna è stata presentata all'Hostaria Luce di Roma, ristorante in zona Trastevere attento alla stagionalità e ai prodotti di agricoltura biologica, interpretati con semplicità e cura dalla chef Ines Bertini, che per l'occasione ha realizzato piatti creativi e facili da replicare, come l'insalata di coniglio, i bocconcini di coniglio fritto, lo zabaione con fiori eduli e l'uovo in camicia con salmone e avocado. Sul ricettario del Mipaaf, invece, si possono trovare cinque ricette a base di coniglio e cinque a base di uova, studiate su misura per essere replicate anche in casa, con ingredienti facilmente reperibili e tecniche piuttosto consuete.

Bocconcini di coniglio saporito

Ingredienti per 4 persone

½ coniglio disossato o 4 filetti di coniglio

Succo di 1 limone

1 cucchiaio di prezzemolo tritato

1 litro di olio di semi di arachide

200 ml di acqua minerale frizzante fredda

200 g. di farina

2 cucchiaini di curry

Olio extravergine di oliva q.b.

Sale q.b.

Pepe q.b.

Tagliare in bocconcini il coniglio e marinarlo in frigorifero per un'ora con olio, limone, prezzemolo, sale e pepe. Preparare la pastella mettendo in una ciotola la farina mescolata con il curry, aggiungere l'acqua gradualmente mescolando con una frusta per non formare grumi, un cucchiaio di olio e un pizzico di sale. Infarinare i bocconcini, passarli nella pastella e friggerli pochi per volta in olio di arachide a 170°C. La pastella si gonfierà e assumerà la caratteristica doratura. “Asciugare su carta da cucina, salare e portare in tavola. Questi bocconcini si possono servire infilati in spiedini di legno o in piccoli cartocci di carta paglia.

Zabaione salutista

Ingredienti per 4 persone

2 uova

7 tuorli

9 cucchiai di zucchero

2 cucchiai di caffè solubile

4 cucchiai di brandy

6 cucchiai di Marsala secco o Porto

200 g. di panna montata

Montare le uova e tre tuorli con cinque cucchiai di zucchero, aggiungere il brandy e cuocere a bagnomaria. Togliere dal fuoco, aggiungere il caffè solubile e far raffreddare mescolando. Preparare un semifreddo allo zabaione montando quattro tuorli con quattro cucchiai di zucchero, aggiungere il Marsala e cuocere a bagnomaria finché la massa è gonfia e consistente. Raffreddare mescolando, quindi aggiungere la panna con movimenti dal basso verso l'alto. Mettere in freezer per circa 4 ore, quindi ridurre in palline e conservare in freezer. Al momento di servire, stiepidire a bagnomaria lo zabaione al caffè, versarlo nelle coppe e mettere al centro, in modo che rimanga completamente coperta, una pallina di semifreddo. Portare subito in tavola guarnendo con caffè in polvere e foglioline di menta.

a cura di Michela Becchi

Maritozzo Day. Artigiani romani riuniti per una giornata dedicata al dolce della Capitale

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Classico ripieno di panna montata, quaresimale con pinoli e uvetta, salato: negli anni il maritozzo ha trovato espressioni diverse a seconda della creatività dell'artigiano, restando sempre uno dei punti fermi della pasticceria romana. Il 2 dicembre i locali capitolini lo festeggiano offrendo le loro specialità ai più golosi.

La storia

Leggende, racconti popolari, storie tramandate oralmente nel tempo, che in ogni borgo e provincia hanno trovato un'interpretazione diversa. L'origine di tante ricette italiane è avvolta nel mistero, contesa fra i luoghi che ne rivendicano la paternità. E il maritozzo non fa eccezione, la piccola pagnotta dolce della tradizione romana attorno alla quale si intersecano storie divergenti. Giggi Zanazzo, Adone Finardi, Giuseppe Gioacchino Belli: sono solo alcuni dei personaggi che nel tempo hanno scritto di questa specialità laziale che, secondo le loro testimonianze, sembra essere nata in epoca romana come dono per la propria fidanzata in occasione del primo venerdì di marzo da parte del futuro marito, chiamato col vezzeggiativo burlesco “maritozzo”. All'interno del dolce panciuto e rigonfio, infatti, spesso veniva inserito un anello o un oggetto d'oro come pegno d'amore. Altre storie, invece, raccontano che il pane venisse preparato a forma di cuore, per essere poi offerto dalle ragazze in età da marito al giovane più bello del paese, che avrebbe dovuto prendere in sposa l'artefice migliore. In principio, il maritozzo nasce come impasto di farina, uova, miele, burro e sale, un prodotto sostanzioso e nutriente che, secondo altre leggende, era stato creato per dare conforto ai braccianti lontani da casa. Gli amanti del dolce, poi, conosceranno sicuramente la tradizione del maritozzo quaresimale, di pezzatura più piccola e colore più scuro, arricchito con uvetta, pinoli e canditi, uno dei pochi peccati di gola concessi durante il periodo di digiuno.

L'evento

A raccontare storia, ricetta e variazioni del dolce romano per antonomasia, gli artigiani della Capitale, riuniti insieme il prossimo 2 dicembre per il Maritozzo Day, un appuntamento che si svolgerà nei quartieri di Roma, e che radunerà diversi locali, intenti a realizzarli nella versione dolce e salata. A ideare la festa, Tavole Romane, che fra le varie realtà ha contattato anche Maritozzo Rosso Bistrot, format insolito battezzato un paio d'anni fa in occasione di This is Food e approdato la scorsa primavera all'interno della libreria Mondadori dell'Eur, che per l'occasione proporrà anche un maritozzo d'autore creato in esclusiva dalla chef Alba Esteve Ruiz del ristorante Marzapane. Fra i protagonisti, la pasticceria Andreotti dal 1931, Attilio Servi, Cafè Merenda, Linari, Nero Vaniglia, Otaleg e molti altri ancora, per una lista destinata ancora a crescere. Ogni pasticcere proporrà la propria interpretazione, da quella classica - squisita, con il baffo di panna montata a separare i due panetti soffici - a quella quaresimale, fino ad arrivare alle interpretazioni più contemporanee, creative e originali. Senza dimenticare le varianti salate e quelle pensate per andare incontro alle esigenze alimentari dei clienti, dal gluten free al vegan. Invitando il pubblico a riscoprire il piacere di questo lievito d'eccezione, gustoso, spesso messo da parte in favore di una colazione più veloce, da consumare in piedi dietro il bancone.

Come partecipare

Per partecipare a questa maratona del maritozzo, i più golosi dovranno presentarsi al locale con il coupon gratuito, disponibile al link dell'iniziativa. La distribuzione dei dolci inizierà intorno alle 10 di mattina fino a esaurimento scorte, e ogni locale segnerà sul coupon il proprio orario d'apertura. Inoltre, il Maritozzo Rosso Bistrot e Romoli resteranno aperti fino a tarda notte, per offrire al pubblico la possibilità di gustare il dolce fino a tarda serata.All'insegna della condivisione, sui social media verrà dato spazio a foto, video, aneddoti e ricette attraverso l'hashtag #maritozzoday, da utilizzare su Twitter, Instagram e Facebook. Dalle 10 alle 12, poi, gli appassionati potranno confrontarsi direttamente con pasticceri e addetti ai lavori, che interverranno sui social per fornire i loro preziosi consigli.

Artigiani e maritozzi protagonisti

Andreotti Pasticceria dal 1931 | Ostiense, via Ostiense 54

Attilio Servi Pasticceria presso La Dea Bendata Caffè | Prati-Borgo, Largo di Porta Castello 29

CaféMerenda | Marconi, via Luigi Magrini 6

Doce Doce | Centro Storico, via dei Cappellari 36

Il Maritozzo Rosso Bistrot | speciale tutto il giorno | Eur, viale Europa 90 (spazio Mondadori)

Lievito Pizza, Pane | speciale quaresimale | Eur, viale Europa 339

Linari | Testaccio, via Nicola Zabaglia 9

Napoleoni Pasticceria Bar | speciale anche gluten-free | Appio-Latino, via Appia Nuova 592

Nero Vaniglia | speciale duetto di mini maritozzi alla ganache montata di caffè e al cremoso di pistacchio oppure maritozzo classico | Ostiense-Garbatella, Circonvallazione Ostiense 201

Otaleg | speciale gelato gusto maritozzo ideato per l’evento | Monteverde, viale dei Colli Portuensi 594

Romoli Pasticceria dal 1952 | speciale fino all'una di notte | Quartiere Africano, viale Eritrea 142

Sorelle Giordano | Centocelle, viale Giulio Agricola 129

Maritozzo Day | 2 dicembre 2017, dalle ore 10.00 | www.tavoleromane.it/maritozzo-day-2017-coupon/

a cura di Michela Becchi

La cucina italiana in Asia in cinque tappe

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Mangiare italiano in Asia non è più un'esperienza da evitare come fino a pochi anni fa. Oggi ristoranti fine dining, pizzerie, trattorie ed enoteche in Estremo Oriente non hanno nulla da invidiare a quelli nella Penisola.

Lanciata la guida Top Italian Restaurants siamo stati venti giorni in Asia per premiare chi ravviva la nostra sensibilità enogastronomica, testare nuovi ristoranti, intercettare cosa piace della cucina italiana, cosa meno. Cosa succede quando incontra il gusto locale?

Tokyo

Il nostro viaggio inizia dal Giappone. “Non apprezzano i piatti particolarmente sapidi, la soglia è diversa dalla nostra, così come non vanno le consistenze molto grasse”, racconta Luca Fantin, fuoriclasse tra gli chef italiani all’estero, da 8 anni a Tokyo, fresco vincitore delle Tre Forchette. “Dai giapponesi ho imparato rigore e perfezione, dalla lavorazione del pesce alle affumicature che qui sono sempre sfumate e mai invasive”. Insieme a Luca c’è uno dei più bravi pasticceri che abbiamo incontrato nei nostri viaggi: Fabrizio Fiorani, romano, anche lui come Fantin si è formato sotto il ‘mestolo’ di Heinz Beck a Roma. “A fine cena ci si arriva stanchi, c’è bisogno di qualcosa che stempera, che risveglia i sensi, che ti fa fare una risata”, aggiunge Fabrizio. I suoi dolci uniscono grande padronanza tecnica e profilo ludico in uno straordinario gioco di consistenze e forme. 

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Cenare da Luca Fantin, nel suo ristorante omonimo all’interno della Ginza Tower di Bulgari, è un’esperienza gastronomica completa, figlia di un lavoro complesso messo a punto con piccoli fornitori locali, oltre 50, mentre dall’Italia arrivano vini, olio, formaggi, riso e tartufo. Per una cucina di prodotto, squisitamente stagionale, italianissima nell’approccio e nelle sensibilità. Basta vedere l’assaggio de Il mercato secondo Luca, sequenza di 10 assaggi secondo reperibilità, un risotto da capogiro (castagne e tartufo bianco) o gli Spaghetti Monograno Felicetti con i ricci di mare, piatto da antologia, sartoriale nella punta piccante. Un ristorante, siamo alla terza esperienza, costante e in crescita, figlio di un team affiatato che è riuscito a fare un percorso insieme, cosa rarissima tra i ristoranti italiani all’estero.

Heinz Beck tokyoHeinz Beck Tokyo

A pochi minuti di taxi ci sono altri due ristoranti premiati con le Tre Forchette, Heinz Beck Tokyo, aperto dal 2014, grazie al talento dello chef campano Giuseppe Molaro che è riuscito ad alternare i classici di repertorio dello chef italo-tedesco a menu capaci di pescare ed esaltare le ottime materie prime locali in un’esperienza fine dining a tutto tondo. “È stato molto difficile all’inizio, ma ora ci stiamo levando grandi soddisfazioni”, ci racconta, soddisfatto, Giuseppe. Il terzo ristorante premiato con il massimo riconoscimento è Faro Shiseido, torniamo a Ginza. “Ultimamente la cacciagione sta andando fortissimo, mentre sul vino vogliono sempre saperne di più e le carte stanno migliorando tantissimo in ricerca e profondità”, racconta Renato di Sarò, general manager, formatosi alle scuole di Marchesi, Pinchiorri e Robuchon. Come ristorante di cucina tradizionale, premiato il solidissimo Elio Locanda Italiana dove sapori del Sud Italia sposano una grande selezione di vini, mentre come miglior pizzeria si conferma Peppe Napoli sta’ ca’ di Giuseppe Ericchiello, infine Bar&Enoteca Implicito come miglior wine bar.

 

Tagliolini_al_Nero_di_Seppia_con_Astice_e_crema_di_Vitelotte_e_Caviale_Beluga_-_taverna_de_medici

Tagliolini al Nero di Seppia con Astice - Taverna de' Medici

 

Taipei

Aprire un ristorante italiano sembra essere diventato il nuovo hobby a Taipei. Non si contano le nuove aperture, da piccoli bistrot con taglio regionale a format più innovativi come quello deIl Mercato: forno, carta dei vini profondissima messa a punto da Giuseppe Vaccarini, team di cucina tutto italiano. Tra i ristoranti, spiccano Il Sorriso di Marco Lotito, formatosi da Sadler, e Piccola Enoteca Zhubei City, un’ora a sud di Taipei, il locale di Boris Wang offre ottimi prodotti italiani e un'importante carta dei vini. Come tanti dei ristoratori locali, investono tantissimo in ricerca: tantissimi i viaggi in Italia per studiare, trovare l’ispirazione e importare non solo sapori ma anche idee e nuovi format. Il focus regionale è quello più seguito. “Il primo anno è stato molto complicato, i piatti venivano riportati indietro ma siamo convinti che dobbiamo mantenere la nostra identità di sapori, niente paste scotte, niente ricette inventate” racconta Riccardo Ghironi, chef della Taverna De’ Medici. La sua specialità? Testaroli della Lunigiana.

Mio PechinoMio Pechino

Pechino

Pechino si conferma invece la capitale della pizza napoletana. Sugli scudi, due pizzerie come non se ne trovano in tutta la Cina, Bottega dei fratelli Salvo (menzione a parte per l’ottima genovese) e La Pizza, entrambe con diverse location nella zona di Sanlitun, quartiere che ospita anche l’ambasciata italiana. Tra i ristoranti, in cima Mio, l’hotel del Four Seasons guidato dalla creatività del giovane chef Nello Turco: la sua è una cucina di contrasti, contaminazioni, frutto delle esperienze maturate con Heinz Beck e René Redzepi. A ruota Opera Bombana, con la solidità della cucina dello chef Marino d’Antonio. Tra le trattorie, premiato Mercante, locale di punta di punta di Omar Maseroli: autentica cucina emiliana tra i vicoli della città vecchia, gli hudong. “I pechinesi sono molto conservatori in cucina, è difficile proporre una cucina italiana autentica, anche perché le restrizioni sono ancora tante”, commenta Fabio Nompleggio, chef del ristorante Cèpe all’interno del Ritz Carlton. Tra i suoi piatti signature, l’amatriciana in brodo e un cervo tonnato perfetto nell’esecuzione.

Grissini - Hong Kong

Hong Kong

È più facile trovare un buon Gambero Rosso di Mazara, così come un pregiato tartufo d’Alba, a Hong Kong che a Bologna. Ingenti investimenti e competizione sfrenata hanno fatto di Hong Kong una delle mete mondiali della cucina italiana. “Arriva tutto a Hong Kong, non ci sono restrizioni, sono tantissimi le nuove aperture all’insegna dell’italianità”, racconta Paolo Monti, chef del locale storico Gaia, in città dal 2001. Hong Kong, assieme a Tokyo, vanta il più alto numero di ristoranti premiati con le tre forchette. Il riconoscimento va a Tosca, grazie all’estro dello chef Pino Lavarra, 8½ Otto e Mezzo Bombana e Grissini, ristorante bandiera del Grand Hyatt. Tre Gamberi invece a Giando, il ristorante bandiera di Giandomenico Caprioli: cucina di prodotto e carta dei vini straordinariamente profonda, con Barolo e altre perle anche degli anni ‘50. “Negli ultimi anni l’economia di Hong Kong ha rallentato, c’è sicuramente lo zampino della Cina, sono stati tagliati gli stipendi, ma continua la straordinaria voglia d’Italia e di ristoranti magari più snelli e informali nella proposta”, ci racconta Luca de Berardinis, chef di Operatta. Qui abbiamo trovata una delle più ricercate e contemporanee selezioni di vini italiani, con produttori e artigiani italiani in prima fila.

Va bene

Va Bene - Shanghai

Shanghai

Il piano per la riduzione dell’inquinamento sembra dare buoni frutti a Shanghai, cielo terso come non l’avevamo mai visto. A rimetterci le pizze napoletane, visto il divieto di utilizzare i forni a legna, commenta Jakcky Xue, titolare del ristorante Primo 1, premiato nella sezione fine dining. “Mi sono innamorato dell’Italia, ho aperto il primo ristorante Top Chef ma ora è il momento per alzare l’asticella, le persone a Shanghai sono pronte per un altro tipo di cucina italiana. Faccio una cucina fine dining con un mix di prodotti ricercati cinesi ed eccellenze italiane”, commenta Jacky mentre ci estrae un ottimo espresso. Tra le trattorie, premiato il ‘vero console’ italiano a Shanghai: Marco Barbieri e la sua Da Marco. Da vent’anni propone una cucina solida, autentica, a partire da un ottimo pollo grigliato ben insaporito e una impepata di cozze sfiziosa. Infine, premiato un altro chef giovanissimo, non si bada alla carta anagrafica all’estero, nella sezione fine dining: Natalino Ambra del ristornate Va Bene, locale accattivante nel cuore della Concessione Francese. “Sei anni a Shanghai sono tantissimi, ancora tanti i limiti ma con un po’ di organizzazione risolviamo tutto. Ad esempio stocco il formaggio con largo anticipo per evitare le tante restrizioni e blocchi del governo cinese”.

 

Alessadro Cozzolino grissini

Alessandro Cozzolino - Grissini

Nasce il Premio Surgiva Taste&Design

Con il tour asiatico fa il suo esordio il premio Surgiva Taste&Design. L’acqua trentina, che sgorga ne cuore del Parco Naturale Adamello Brenta, in Trentino, è main sponsor della guida Top Italian Restaurants. Il riconoscimento è stato ideato per valorizzare chi abbina buona tavola, cura del servizio e amore per i dettagli. Durante l’evento di Osaka, è stato premiato il Luogo di Takeuchi, insegna che dal 2010 propone una cucina di grande pulizia dei sapori, pochi coperti, servizio capace di coccolare e mettere a proprio agio il clienti con pochi gesti. A Tokyo, il premio Surgiva Taste&Design è andato invece al ristorante Faro Shiseido, al decimo piano di cuore di Ginza. Infine, a Hong Kong il premio Taste&Design è stato ritirato dallo chef dell’anno di Top Italian Restaurants: Alessandro Cozzolino, 27 anni, executive chef del Grissini. Lo storico locale italiano, all’interno del Grand Hyatt Hotel, offre una vista mozzafiato su Victoria Harbour e i grattacieli di Kowloon, abbinando cura del servizio, design essenziale ed elegante, una cucina di straordinaria identità. Basta saggiare uno spaghetto tiratissimo, con gamberi rossi e pesto di basilico in perfetta sintonia, per capire il talento di uno dei ragazzi più che abbiamo in giro per il mondo.

E tra pochi giorni Top Italian Restaurants sarà nell’agognata Russia: il 23 novembre saranno premiati i migliori locali di Mosca.

 

Il Ristorante di Luca Fantin | Ginza Tower di Bulgari | Giappone | Tokyo | 2-7-12 Ginza, Chuo-ku | tel. +81 3-6362-0111 | https://www.bulgarihotels.com/it_IT/tokyo-osaka-restaurants/tokyo/il-ristorante

Sensi by Heinz Beck | Giappone | Tokyo | Nissei Marunouchi Garden Tower | 1-1-3 Marunouchi, Chiyoda-ku | tel. +81 3-3284-0030 | http://www.heinzbeck.jp/english/sensi/restaurants.php

Faro Shiseido | Giappone | Tokyo | 10F Tokyo Ginza Shiseido Building | 8-8-3 Ginza, Chuo-ku | tel. +81 3-3572-3911| http://faro.shiseido.co.jp/en/

Elio Locanda Italiana | Giappone | Tokyo | Hanzomon House, 1F | tel.  +81 3-3239-6771| http://www.elio.co.jp/en/

Peppe Napoli sta’ ca’ | Giappone | Tokyo | Minato, Azabudai, 1 Chome−1−11−4| tel. +81 3-6459-1846

Bar&Enoteca Implicito | Giappone | Tokyo |  4-6-3-1F Higashi, Shibuya-ku | tel. +81 3-5774-4433| http://www.implicito.com/

Il Mercato | Taiwan | Taipei | No. 164, Section 2, Zhongcheng Road, Shilin District| tel. +886 2 2873 0608 | http://www.ilmercato.com.tw/

Al Sorriso | Taiwan | Taipei | 219-2 Fuxing South Road | tel. +886 2 8773 5013 | https://restaurants.accorhotels.com/gb/restaurant-A5T1_R001-al-sorriso-taipei.shtml

Piccola Enoteca | Taiwan | Zhubei City | No. 84, Guangming 3rd Road | tel. +886 3 558 6831| https://www.facebook.com/piccolaenotecatw/

Taverna De’ Medici | Taiwan | Taipei | No. 237, Section 5, Minsheng East Road, Songshan District | tel. +886 2 2760 0091| http://www.riccardoghironi.com/

Bottega dei fratelli Salvo | Cina | Pechino | No. 20 Xin Yuan Li West, Chaoyang District | tel.+86 10 64161752 |https://www.bottegacn.com/

La Pizza| Cina | Pechino |  6 Chaoyang Gongyuan Lu Chaoyang Dist | tel. +86 10 5136 5582

Mio | Cina | Pechino  |Four Seasons | 48 Liangmaqiao Rd, SanYuan Qiao, Chaoyang Qu,| tel. +86 10 5695 8888| https://www.fourseasons.com/beijing/dining/restaurants/mio/

Opera Bombana, Cina | Pechino | 9 Dongdaqiao Rd, Chaoyang Qu,| tel. +86 10 5690 7177| http://www.operabombana.com/bombana/

Mercante | Cina | Pechino |  Fangzhuanchang Hutong, Dongcheng Qu| tel. +86 10 8402 5098 | http://www.thegoodfoodgroup.asia/

Cèpe | Cina | Pechino | Ritz Carlton | 1 Jin Cheng Fang Street East, Financial Street | tel. +86 10 66016666 | http://www.ritzcarlton.com/en/hotels/china/beijing-financial-street/dining/cepe

Gaia | Hong Kong | 181 Queen's Road Central, Sheung Wan| tel. +852 2167 8200| http://www.gaiagroup.com.hk/gaia

Tosca| Hong Kong | Level 102, International Commerce Ctr. | 1 Austin Road West Kowloon | tel. + 852 2263 2270 | http://www.ritzcarlton.com/en/hotels/china/hong-kong/dining/tosca

8 ½ Otto e Mezzo Bombana | Hong Kong | Shop 202, Landmark Alexandra, 18 Chater Road, Central, Hong Kong.tel. +852 2537 8859 | http://www.ottoemezzobombana.com/hong-kong/en/homepage/

Grissini | Hong Kong | Grand Hyatt | 2nd Floor, Grand Hyatt Hong Kong, 1 Harbour Road, Wan Chai | tel. +852 2584 7722| http://www.hongkong.grand.hyattrestaurants.com/default-en.html

Giando | Hong Kong |  9 Star Street Shop 1, G/F Tower 1 Starcrest, Wan Chai| tel.. +852 2511 8912| http://www.giandorestaurant.com/

Operatta | Hong Kong | Shop 112 - Level 1, One Pacific Place, 88 Queensway, Admiralty| tel. +852 2115 8080| http://www.operetta.hk/

 

Primo 1 | Cina | Shanghai | No.168 Hubin Road - Shanghai | tel. +86 21 6315 0127 | http://www.jackygroup.com/

Da Marco | Cina | Shanghai | 103 East Zhu An Bang Road | tel.+86 21 6210 4495 | http://www.damarco.com.cn/

Va Bene | Cina | Shanghai | Huangpu Qu, XinTianDi| 2nd Floor, House 7, North Block, Xintiandi, Lane181, Taicang Road | tel. +86 21 6311 2211| http://www.vabeneshanghai.com/

Luogo di Takeuchi | Osaka | tel. +81 6-6451-0151| https://www.facebook.com/pg/il-luogo-di-TAKEUCHI-285600274784006/about/

 

a cura di Lorenzo Ruggeri

 

 

Birra e cucina d'autore con Chef Bizzarri per Birra del Borgo. Con la pizza dei maestri per Grani&Luppoli

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La birra, quella buona e originale, rivendica la sua dignità, libera di giocare fuori da schemi imposti. E per il secondo anno Chef Bizzarri valorizza le etichette della collana Bizzarre di Birra del Borgo, con un tour che parte da Roma, tocca Parigi, Londra e Bruxelles, e approda a Milano. Nel Nord Italia, invece, si ragiona sul connubio pizza d'autore e birra artigianale.  

Le Bizzarre di Birra del Borgo

Dietro all'appellativo Bizzarre, le collezione ideata da Birra del Borgo per per sperimentarsi con sfide insolite, si nascondono 12 sfumature di gusto, una per ogni mese dell'anno. 12 birre in tiratura limitata che fanno ricorso a ingredienti inconsueti o processi di lavorazione molto particolari. Il valoro aggiunto è la creatività di Leonardo Di Vincenzo e dei suoi mastri birrai, che anche dopo l'acquisizione da parte della multinazionale Ab Inbev, non hanno perso la voglia di divertirsi con luppoli e malti, tra una cotta alle ostriche e  una fermentazione in anfora. Di fatto una nuova idea di birra che non conosce limiti, e trova terreno fertile in un panorama brassicolo sempre più diversificato e qualificato, che attrae un pubblico trasversale e curioso. Così anche l'ambizione di stabilire un legame con la cucina d'autore è più che giustificata dalla voglia di mettersi in gioco, azzardando abbinamenti nuovi sulla tavola. E Chef Bizzarri, alla sua seconda edizione, è il naturale traguardo di un approccio al mestiere che è molto simile a quello di un cuoco: la scelta delle materie prime, la formulazione di una ricetta originale, l'importanza di competenza tecnica e creatività. La rassegna di incontri con cuochi e ristoratori che hanno accettato la sfida quest'anno oltrepassa i confini nazionali – e più avanti vedremo il programma – partendo però da Roma, che nel 2016 ha tenuto a battesimo l'iniziativa.

 

Gli Chef Bizzarri. Anche all'estero

Gli chef coinvolti studieranno per l'occasione un menu in abbinamento alle etichette Bizzarre del birrificio laziale – la prima, nel 2009, è stata l'Equilibrista, italian grape ale di acidità spiccata, poi sono arrivate, in ordine sparso, la Fragus alla fragole e la Rubus con i lamponi, l'Etrusca fermentata in anfora e la Vecchia Tripel affinata in botte da brandy – all'insegna dell'accoppiata “imperfetta”. Birra e cucina di qualità, dunque, come filo conduttore di 5 serate una diversa dall'altra. Il 23 novembre si gioca in casa, all'Osteria di Birra del Borgo, patron Gabriele Bonci e ospite d'onore Salvatore Tassa da Le Colline Ciociare di Acuto. Un paio di giorni più tardi, si parte per l'estero, direzione Parigi: il 25 novembre sarà la cucina di Sebastian Myers a confrontarsi con le Bizzarre. Lo chef è alla guida del temporary restaurant Fulgurances, uno spazio di cucina contemporanea mutevole, che vede l'avvicendarsi dei cuochi in carica ogni 6 mesi. Senza sosta, il 29 novembre, ancora una tappa, a Londra. Nella capitale inglese Birra del Borgo sarà protagonista da CUB, format metropolitano che tiene insieme l'anima da cocktail bar sostenuta da Mr Lyan e la cucina di Doug McMaster. La pausa natalizia interromperà per qualche settimana il tour, pronto a ripartire da Bruxelles, il 10 gennaio. Ancora un ristorante creativo, Humphrey, ancora una cena insolita, con la cucina di Yannick Van Aeken, già sous chef al Noma di Copenaghen, che nella capitale belga ha portato un'idea molto particolare di cucina filippina. Chiusura con stile a Milano, il 24 gennaio 2018, ospiti di Diego Rossi e Pietro Caroli da Trippa, pluripremiata trattoria contemporanea della città. Tutti uniti nel ripensare il ruolo della birra in cucina, conferendogli una dignità che spesso le è negata.

Grani&Luppoli. Birra e pizza artigianale

Obiettivo comune all'iniziativa Grani&Luppoli, che la birra la riporta sul terreno che le è più congeniale (almeno secondo l'uso consolidato), quello della pizza. L'ambizione in più, però, sta nel sottolineare il valore aggiunto dell'artigianalità, tanto nel mondo della birra, che in quello della pizza. La rassegna, quindi, fa incontrare artigiani della pizza e della birra, nello specifico alcune tra le migliori pizzerie del Nord Italia con le etichette di birrifici artigianali d'Europa. Ai maestri pizzaioli il compito di ideare ricette d'autore per esaltare l'abbinamento. Ogni tappa prevede la presentazione di birre inedite o sperimentali, e la presenza del mastro birraio e del pizzaiolo protagonista. I primi due appuntamenti, il 28 novembre e il 6 dicembre, avranno luogo alla pizzeria Grigoris di Lello Ravagnan (Venezia, Due Spicchi) e alla pizzeria La Cascina dei Sapori di Antonio Pappalardo (Rezzano, BS), rispettivamente con le birre di Birrificio Italiano e Fyne Ales (craft beer scozzese).

 

Chef Bizzarri a Roma | L'Osteria di Birra del Borgo, via Silla, 26a | tel. 06 83762316 | www.birradelborgo.it

 

a cura di Livia Montagnoli

Edit apre a Torino. Il videoracconto del polo gastronomico con Renato Bosco, Pietro Leemann e Costardi Bros

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Uno spazio imponente per un polo gastronomico ambizioso, che sotto il tetto di un’ex fabbrica di Barriera di Milano riunirà 5 anime diverse, destinate a lavorare in sinergia. Tante le personalità coinvolte, tra bakery, brew pub con cucina, cocktail bar, ristorante gastronomico. Ce lo raccontano i protagonisti, alla vigilia dell’inaugurazione. Una delle più attese a Torino. 

Un progetto visionario

Faraonico e visionario”. È così che Christian Costardi descrive il progetto Edit, a poche ore dalla partenza. E non è detto che sia un’esagerazione. Certo, dietro al suo entusiasmo c’è la consapevolezza di un sogno professionale che si realizza, una volontà maturata in anni di gavetta (e successi) in provincia, a Vercelli, insieme all’altra metà dei Costardi Bros, come li chiamano tutti, suo fratello Manuel. Nel grande spazio di Barriera di Milano recuperato grazie all’investimento di Marco Brignone – questo sì faraonico, 12 milioni di euro per due anni di lavori, a partire dall’ottobre 2015 - Christian e Manuel gestiranno il ristorante Edit by Costardi Bros. Non una semplice consulenza – “non c’ho mai creduto”, ribadisce sicuro Christian – ma la prima prova cittadina dei fratelli, che sfrutteranno a proprio vantaggio la possibilità di dividersi, “io a Torino, praticamente ogni giorno, Manuel al nostro ristorante, perché da solo è in grado di seguire tutto il lavoro di cucina, proprio come me”. All’inizio, la difficoltà più grande sarà proprio la necessità di lavorare separati, “mio fratello mi mancherà”, ma la posta in gioco vale l’impresa, “e la vicinanza con Vercelli, a mezz’ora di macchina da qui, ci permetterà di muoverci con una certa agilità: qui apriremo solo per cena, Manuel spesso sarà con noi per curare la pasticceria, che avrà un ruolo importante nella nostra proposta”.

5 anime per Edit. Brew pub e bakery con caffetteria

Se riavvolgiamo il nastro, il ristorante dei fratelli Costardi è solo una delle molteplici esperienze racchiuse dal contenitore Edit, che in 2500 metri quadri su due livelli recupera un’ex fabbrica di cavi elettrici alle porte di Torino rimasta chiusa per più di 50 anni. Per ripensare lo spazio è stato interpellato uno studio torinese, La Matilde, che al progetto ha conferito una personalità caratteristica che tiene conto della storia del luogo: “Barriera di Milano è una zona della città che sta rinascendo intorno al Lab” racconta il giovanissimo Giovanni Rastrelli, Ad di Edit a 26 anni in arrivo dall’incubatore del Politecnico di Torino, che il progetto l’ha visto nascere e oggi lo guarda orgoglioso e impaziente di cominciare. Sulle sue potenzialità non ha dubbi, conscio dalla capacità attrattiva di uno spazio polifunzionale – a pochi metri dal museo Fico e non distante dal quartiere Aurora – “che potrebbe aggregare il gran numero di studenti che frequentano l’area: Torino in fondo è una città universitaria, anche se non sa d’esserlo”. Il cavallo di battaglia, in questa direzione, è certamente l’area brew pub con cucina del piano terra, una delle 5 anime di Edit, “un birrificio urbano con impianto a disposizione degli home brewer, che conta 19 spine a una selezione di birre da tutto il mondo in lattina e bottiglia”, con l’idea di offrire uno spazio di condivisione dinamico e confortevole, da frequentare in ogni momento della giornata.

Alla birreria la proposta di cucina annovera il menu vegano studiato da Pietro Leemann – che cura anche piatti e dolci dell’area bakery con caffetteria, primo biglietto da visita dello spazio – e le pizze di Renato Bosco, il suo celeberrimo crunch, il doppio crunch e l’aria di pane. Si mangia al tavolo sociale di 25 metri e nelle aree comuni che circondano lo scenografico bancone del pub, con impianto a vista. È questa, insieme alla caffetteria di Lavazza (unico vero partner del progetto), la zona più metropolitana di Edit, “quella che ci aspettiamo faccia più numeri”, con uno scontrino medio piuttosto contenuto. D’altronde è anche lo spazio che vivrà più a lungo durante la giornata: la caffetteria è la prima ad aprire, alle 7 del mattino, e l’ultima a chiudere, alle 2 della notte. 7 su 7, come l’intera macchina Edit.

Il cocktail bar

Al primo piano (creato dal nulla, con una soletta a spezzare i 10 metri dall’altezza dell’ex fabbrica), invece, si vive la sera, dall’aperitivo al dopocena, tra cocktail bar e ristorante gastronomico. Il bar, operativo dalle 18.30 con la sua bella atmosfera retrò (le poltroncine rosse, gli specchi che incorniciano il banco, i divanetti porpora e viola), sarà il regno di Salvatore Romano, volto del Barz8, esperienza di miscelazione sartoriale molto apprezzata in città. E anche il cocktail bar di Edit punterà su una proposta taylor made, tagliata su misura per le esigenze del cliente, con una carta base suddivisa in 5 sezioni tematiche da 8 drink ciascuna. Un numero, l’8, che ricorre simbolicamente come filo conduttore del bar, dal numero di referenze – 888 distillati a disposizione dei barman – ai prezzi sulla drink list, “dagli 8 agli 888 euro per il cocktail più caro di tutti”.

Racchiuso tra la cantina e l’area privè (un cubo di vetro sospeso in prossimità della scenografica installazione luminosa che accompagna la risalita al primo piano), il bar divide lo spazio con il ristorante dei Costardi, e in sinergia lavorerà su una proposta di abbinamento cibo/cocktail, oltre che sull’elaborazione di piatti studiati per abbattere le barriere (un po’ l’obiettivo dell’intero progetto, “un polo gastronomico che viva della sinergia tra i diversi attori protagonisti, e della condivisione di idee con il pubblico”, direbbe Rastrelli).

Edit by Costardi Bros

Al ristorante si arriva per sperimentare un’esperienza ancora diversa, “un’idea di alta cucina a costi accessibili”, in una dimensione giocosa che privilegia specialmente la dimensione del banco, con 22 coperti tutt’intorno alla cucina a vista, per vivere del rapporto diretto con la brigata (7 i ragazzi che lavorano insieme a Christian, altrettanti in sala). Quattro i menu degustazione, uno dedicato al banco, dove non si mangia alla carta, ma seguendo un percorso studiato sul continuo dialogo con la cucina, “sicuramente l’esperienza più divertente di Edit by Costardi Bros”. Ma si mangia anche in sala, al tavolo sociale e sui divanetti attigui alla cucina. E alla carta: “Sarà possibile anche scegliere solo un piatto, ci piacerebbe per esempio che chi mangia al piano di sotto salisse a fine serata per prendere un dolce da noi”. Christian ci crede moltissimo: “Noi siamo sempre stati a Vercelli e abbiamo deciso di arrivare qui perché avevamo voglia di nuovi stimoli e nuovi percorsi. Crediamo nella possibilità di condividere le nostre conoscenze e coesistere, e la nostra volontà è quella di essere come a casa nostra. L’idea di cucina resta la stessa, ma con materie prime meno costose rispetto al gastronomico, per restare accessibili”. Non mancherà il riso – col signature ribattezzato Edit, un risotto Carnaroli con crema di Grana padano, riduzione alla birra e polvere di caffè – e poi il Tonnato con vitello marinato, e “un bel gioco sullo sgombro, la trota, il salmone. Lavoreremo molto sugli ingredienti e sulla possibilità di giocarci”. I prezzi? Il menu degustazione più ambizioso sarà proposto a 58 euro.

I numeri

L’ultima anima di Edit, quella più nascosta, ce la racconta ancora una volta Giovanni Rastrelli, orgoglioso di presentare le Edit Kitchens, “5 cucine professionali che nascono come incubatore gastronomico”, attrezzate di tutto punto e disponibili per chi vuole affittarle, come laboratorio, spazio di confronto, area eventi, con una bella sala da 150 metri quadri di pertinenza. Un progetto imponente (salendo più su si arriva pure alla terrazza con vista sulla città, riservata agli eventi), come i numeri che ne raccontano la storia sin qui, ancor prima dal taglio del nastro, previsto per il 24 novembre: “380 coperti complessivi, un numero di chilometri di cavi elettrici pari alla distanza tra Torino  e Lecce, 550 bottiglie di vini, 888 referenze al cocktail bar, 6048 led per l’installazione luminosa sulle scale, 8 cucine in totale, 55 dipendenti per cominciare, 80 metri in lunghezza e 13 in larghezza per 2500 metri quadri di superficie”.

 

Edit | Torino | via Cigna 96/17 | dal 24 novembre 2017

 

a cura di Livia Montagnoli

Riprese di Saverio De Luca, montaggio di Francesca Naccarato

Michelin Spagna e Portogallo 2018. Trionfano Angel León e Jordi Cruz, e Barcellona continua a crescere

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Si vociferava già da giorni di una terza Stella per Angel León, così come si sperava ancora una volta la tripletta per il Mugaritz. Fra riscatti e delusioni, il panorama gastronomico iberico si presenta ancora una volta vivo e in continua evoluzione. Con 2 nuovi Tre Stelle 17 new entry.

Nessuna novità per Aduriz

E anche quest’anno il Mugaritz resta fermo a quota due. È una situazione che si ripete da qualche tempo, deludendo il pubblico più affezionato allo chef basco, tra i più apprezzati esponenti dell’avanguardia gastronomica spagnola. Ma il disappunto di tanti estimatori di Andoni Luis Aduriz resta in sordina di fronte alla novità più significativa di questa annata Michelin Spagna. L'edizione 2018 della guida, presentata qualche ora fa a Tenerife, ha infatti due vincitori indiscussi, quelli che tutti aspettavano da giorni: Angel León (Aponiente) e Jordi Cruz (ABaC), decimo e undicesimo ristorante tristellato del Paese.

León sale a quota tre

Gli appassionati gastronomi lo chiamano El chef del Mar, e non è difficile intuirne il motivo: classe ‘77, León ha fatto della sua cucina a base di mare e pesci (quelli poveri e molto spesso sconosciuti) il suo marchio di fabbrica. Dopo le esperienze alla Taberna del Alabardero di Siviglia, Le Chapon Fin in Francia, la Casa del Templedi Toledo, lo chef apre il suo primo ristorante a Puerto de Santamaría, Aponiente, che trasferisce poi, alla fine del 2015, a Molino de Mareas, davanti all'oceano da cui prende ispirazione e materia prima, con un approccio sorprendente e radicale che espande il significato di cucina di mare, così come viene abitualmente (e universalmente) inteso. Una cucina ittica giocata sui toni iodati, quella di Aponiente, che finalmente fa il suo ingresso nell’olimpo dei tristellati iberici.

Tre macaron anche per Cruz, e Barcellona torna a brillare

Resta ben saldo sulle sue 8 stelle totali Martin Berasategui, protagonista assoluto della scorsa edizione con il riconoscimento peril ristorante che il suo gruppo – nella persona dello chef Paolo Casagrande, italiano di Conegliano Veneto, da tempo alla corte dello chef – gestisce all'interno dell'hotel Condes di Barcellona, Lasarte (già due stelle, dal 2010). Un successo per lo chef-imprenditore, ma soprattutto per la città, che per la prima volta poteva festeggiare il massimo riconoscimento della Rossa. E che ora torna ancora una volta al centro della scena, grazie al lavoro di un cuoco d’eccezione, Jordi Cruz, da sempre promessa del firmamento culinario spagnolo, a cominciare da quella prima Stella ricevuta all’Estany Clar de Cercs di Barcellona nel 2002, a soli 24 anni. Da quel giorno, i riflettori della ristorazione cittadina sono stati tutti puntati su di lui, attendendo con trepidazione il momento per poter festeggiare finalmente i tre macaron.

Bistellati e prime Stelle

C’è movimento anche fra la cerchia dei bistellati, che fanno posto a 4 nuove insegne, fra cui l’innovativo Disfrutar e l’elegante Dos Cielos di Barcellona, e il Coque di Madrid. E ancora nel capoluogo della Catalogna, nel quartiere Parallel, Enigma, ultima creatura di Albert Adrià che fa il suo debutto in guida con una Stella. Conquistano poi la prima Stella Audrey's Restaurant di Calpe, El Rodat di Xàbia, il giapponese Kiro Sushi di Logroño, e La Candela Restó di Madrid, per un totale di 17 nuovi indirizzi insigniti con un macaron. Due nuove stelle anche per il Portogallo, entrambe nella zona di Faro, Gusto e Vista Restaurante, che confermano il crescente fermento gastronomico del Paese. Un’edizione generosa, che registra ancora una volta l’evoluzione di un’offerta sempre più diversificata e valida, soprattutto in Catalogna e nella regione di Valencia. Per la promozione di Aduriz se ne parlerà - speriamo – il prossimo anno, così come della svolta per il Nerua di Josean Alija, ristorante d’eccellenza all’interno del museo Guggenheim di Bilbao ancora (ingiustamente) fermo a quota uno.

Le novità

Tre Stelle (Spagna)

Aponiente, El Puerto de Santa María

ABaC, Barcelona

Due Stelle (Spagna)

Maralba, Almansa

Disfrutar, Barcelona

Dos Cielos, Barcelona

Cabaña Buenavista, El Palmar

Una Stella (Spagna)

Alevante, Cádiz

Bardal, Ronda

Restaurante NUB, La Laguna

La Bicicleta, Hoznayo

El Doncel de Siguenza, Guadalajara

Trigo, Valladolid

Caelis, Barcelona

Castell Peralada, Peralada

Enigma, Barcelona

CEBO, Madrid

La Candela Restó, Madrid

Amelia, Donostia-San Sebastián

Eneko, Larrabetzu

Kiro Sushi, Logroño

Audrey's Restaurant, Calpe

El Rodat, Xàbia

Sucede, Valencia

Una Stella (Portogallo)

Gusto, Almancil de Faro

Vista Restaurante, Faro

a cura di Michela Becchi

Dog’s Bistrot, il servizio a domicilio di alimenti naturali per cani

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Monoporzioni in grado di soddisfare l’apporto nutrizionale corrispondente a un pasto, a base di prodotti freschi e naturali, da ordinare comodamente online. È l’ennesimo servizio di food delivery, sì, ma stavolta pensato per gli amici a quattro zampe.

L’idea

Il meccanismo è sempre lo stesso: si osserva il sito, si leggono etichette e prezzi dei vari prodotti a disposizione, si sceglie, si ordina, si paga, e poi si attende con ansia il pasto in casa o in ufficio. A cambiare però è il target. L’ultima novità da Milano si chiama Dog’s Bistrot ed è un progetto di food delivery per la prima volta interamente dedicato ai cani. “Siamo innamorati dei nostri cani e vogliamo alimentarli nel miglior modo possibile”, spiega Francesco Mondadori, giovane ideatore del servizio a domicilio insieme a Ludovica Bonini e Federico Muzio. E aggiunge: “La nostra missione è fornire cibo fresco e di qualità in modo che i nostri cani possano essere molto più felici ma soprattutto più sani”. Alimenti naturali, biologici, attenti alla salute, nutrienti, leggeri, facilmente digeribili: caratteristiche sulle quali le startup gastronomiche e i progetti di food tech hanno sempre puntato negli ultimi anni, per fare leva sulla sensibilità dei consumatori, ma che stavolta vengono sfruttate per una dimensione diversa, insolita, in grado di toccare molto da vicino una grande fetta di mercato che è diventata più consapevole e attenta anche in fatto di dieta per i propri animali domestici.

Come funziona

Packaging familiare, contenitori convenzionali, gli stessi che abbiamo visto più volte durante la pausa pranzo, ma che ora saranno destinati ai nostri amici a quattro zampe. Con un linguaggio immediato e diretto, Dog’s Bistrot si propone come food delivery a tutti gli effetti, con tanto di porzioni singole per ogni pasto. All’insegna del gusto e della salute. A sviluppare i menu, infatti, un team specializzato di nutrizionisti, capitanato da Barbara Tonini, esperta di nutrizione canina che ha studiato un modo ingegnoso per consentire alla squadra di far arrivare ogni settimana cibo fresco e porzionato per ogni cane. Che, stando a quanto riportato dalla Tonini, ne trarrà giovamento anche a livello umorale: “Il passaggio al cibo naturale agirà positivamente sul carattere del cane, e aiuterà a prevenire malattie associate a una cattiva alimentazione”. Un progetto che, come spesso accade, tiene in considerazione anche le tematiche più calde del settore, come quella dello spreco alimentare: “Le porzioni sono studiate per un singolo pasto per evitare gli avanzi che spesso si verificano con l’umido industriale”. E non finisce qui: “Tutte le nostre ricette sono preparate con pochi ingredienti, scelti con cura e sostanzialmente del territorio”.

Il linguaggio

Un’iniziativa rivoluzionaria, ma che gioca su dettagli semplici e ordinari, entrati ormai da tempo a far parte dell’immaginario collettivo degli appassionati gastronomi. Concetti come la territorialità, la trasparenza della filiera, l’agricoltura biologica e naturale, e la tracciabilità dei prodotti fanno parte di un linguaggio convenzionale e affabile, sul quale la stragrande maggioranza dei consumatori fa affidamento da anni. Perché, gusto a parte, è la sicurezza alimentare la caratteristica sulla quale il pubblico più si sofferma, durante la spesa, il pasto al ristorante o la scelta della cena a domicilio. Non solo: Dog’s Bistrot scommette anche su un universo già conosciuto, un terreno già battuto come quello del delivery, da anni ormai divenuto parte integrante della nostra quotidianità. Soluzioni sicure, certificate, di gusto, veloci e consegnate direttamente in casa, per far felice cane e padrone. Il format prenderà piede?

Intanto a Brescia…

Se per la consegna a domicilio possiamo ancora nutrire qualche speranza, altrettanto non si può dire per la tanto chiacchierata pasticceria DoggyeBag di Brescia, inaugurata pochi giorni fa in corso Zanardelli, non lontano dal Teatro Grande, e divenuta da subito oggetto di polemiche sui social. L’azienda, in realtà, esiste già da anni, ed è nata come realtà di produzione di alimenti per cani ispirati alla tradizione italiana, dal “candoro” al “canettone”, passando per i “biscotondi”. Tutte le ricette sono “equilibrate dal punto di vista nutrizionale, e contengono le vitamine e i minerali essenziali di cui il cane ha bisogno in tutte le fasi della vita”, hanno spiegato i proprietari. Un progetto che spiana la strada a un dibattito complesso, che ha già incendiato gli animi del grande pubblico, e che sembra destinato, considerato il gran fermento nel campo, a continuare ancora a lungo.

Il Pagliaccio. Il nuovo Tre Forchette di Roma

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Un italiano nato in Francia che ama l'Oriente e l'incontro di culture, una sala che viaggia di pari passo con la cucina e una cantina che custodisce grandissime etichette, ma accoglie cocktail, infusi e altre bevande eretiche. Sono gli ingredienti del Pagliaccio di Roma, nuovo Tre Forchette del Gambero Rosso.

Quando arriva, dopo il Rossellinis di Ravello e Le Petite Nice di Marsiglia (e tanti locali nel Far East, tra Thailandia, Malesia, Singapore, Cina), viene accolto come un enfant prodige, ma non basta perché il progetto che lo aveva portato a Roma vada nel verso giusto. “Una brutta esperienza”la definisce Anthony Genovese, raccontando di un panorama cittadino all'epoca poco entusiasmante e di una delusione cocente. “Avevo poco più di 30 anni, ero arrogante, mi sentivo arrivato, maturo”. Decide di correre in proprio, di concerto con Marion Lichtle, pastry chef di rango che ha sempre brillato con la sua raffinata linea dei dolci. Il primo aprile 2003 alzano la serranda a via dei Banchi Vecchi. Ricominciare da capo non è facile: “è stato un urto violento: non avevo soldi. Ora che non lavoravo per una grossa compagnia non potevo più fare come volevo”. Deve tenere un profilo basso: “era praticamente una trattoria con sedie in paglia”, 3 persone in cucina e 2 in sala (ora sono 10 più gli stagisti in cucina e 6 in sala per 28 coperti). Al suo ingresso nella nostra guida (edizione 2004) segnalavamo la cantina, mini anche se con etichette di pregio, a testimonianza di una strada tutta in salita. E non solo per questioni economiche. I piatti erano più semplici e di impatto, ma venivano guardati con perplessità: “mi davano del cinese o dell'indiano”. Noi stessi, in guida, lamentavamo la presenza di aromi che – dicevamo – coprivano la materia prima. Di quel periodo è il galletto alle spezie con purea di patate e fichi: “ricordo che venne Moreno Cedroni. Riparlammo anni dopo di quella cena e di quel galletto che – disse - gli era molto piaciuto. Per me fu una gioia”.

Marionn Litchle, Anthony Genovese, Daniele Montano

Gli inizi

È stato come attraversare il deserto” racconta lo chef italo-francese. Roma non capiva quella cucina che mescolava esperienze e sapori; il confronto era durissimo. “Tutte queste difficoltà mi hanno fatto diventare la persona che sono adesso” riflette “discreta ed esigente con se stessa e con gli altri, ma soprattutto umile”. Per anni ha mandato giù bocconi amari “ho fatto molta fatica, e la mia cucina ne risentiva”. La voglia di dimostrare a tutti costi quel che sapeva fare non era una buona alleata: “volevo strafare ma spesso il piatto non corrispondeva alle aspettative”. Il Genovese uscito da quel periodo è un uomo libero da tutto questo. Oggi dice di sé che è un gran lavoratore, non un artista. Continua a essere un outsider: in una Roma spesso piaciona è un uomo schivo, di poche parole, ma oggi la Città Eterna lo accoglie senza riserve “credo di essere molto più capito adesso”.

2006-2007

Nella guida del 2006 conquista le Due Forchette e la prima Stella, e noi registriamo l'inizio di una scalata ai vertici della ristorazione capitolina che continuerà fino ai giorni nostri. Il Pagliaccio attira l'attenzione con quella cucina personalissima, che emerge per la tecnica, l'uso sapiente di spezie ed erbe e i frequenti omaggi all'Oriente. Scrivevamo di come lo chef riuscisse a coniugare con equilibrio i frutti delle sue numerose esperienze con tradizioni e materie prime italiane e romane con un risultato originale e sempre più convincente. Ma, nella quotidianità, ancora le cose sono difficili “ricordo una cena del Gambero Rosso in cui avevo fatto uno spaghetto con polpette di agnello che piacque molto. Ma io non volevo essere identificato con quella cucina”. Lui parla un'altra lingua, con cose come l'insalata di astice quasi crudo con ananas e fagottini di riso o la scaloppa di fegato grasso in "bollito" su una zuppetta di erbe di campo. Al 2007 c'è una ristrutturazione, la prima di molte.

Il pagliaccio

2008-2009

La zuppetta di burrata e ostrica marinata con granita di mela verde e fiori di camomilla è uno dei piatti del 2008, quando noi sottolineavamo come Genovese, ormai quarantenne, avesse interiorizzato ed elaborato il suo percorso in una sintesi vitale e feconda, mettendo a fuoco una propria precisa cifra stilistica. A questa cucina, nel 2009, vengono assegnate le Due Stelle. “Non ce lo aspettavamo” racconta Anthony “è stato un fulmine a ciel sereno”. Con gli onori crescono anche le responsabilità: “la cucina doveva essere meno di getto, sapevo che serviva più riflessione”. C'è, allora, un cambiamento importante che riguarda il modo di lavorare, non solo quello di cucinare: “mi sono aperto tantissimo con i miei collaboratori”. Aggiunge, nelle sue ricette, un nuovo ingrediente: il confronto, e una nuova tranquillità nel relazionarsi con gli altri. Meno chiuso, la sua cucina guadagna in equilibrio e piacevolezza.

Pagliaccio kebab di agnelloKebab di agnello con insalata di cipolle di Tropea pomodoro verde e caprino

 

2010-2011

La seconda ristrutturazione, che anche noi auspicavamo nella guida Ristoranti d'Italia 2010, arriva nel 2011. Di quegli anni sono la tartare di gamberi rossi in un croccante al sesamo con spuma di yogurt e mascarpone e bisque con mirto e crema di riso che definivamo difficile a dirsi ma facilissima e buonissima da mangiare, il kebab di agnello con insalata cipolle di Tropea pomodoro verde e caprino, e i tortelli di maiale con acqua di mozzarella. Ognuno, scrivevamo, era un piccolo capolavoro di tecnica, creatività e profonda conoscenza della cucina internazionale oltre che italiana, che metteva a segno una fusion colta e dai sapori piacevoli e comprensibili. Cui si aggiungeva la (sempre) splendida pasticceria di Marion Lichtle. La cantina è ormai ampia e di altissimo livello anche se le poche opzioni easy e di scelta al calice ne penalizzano la valutazione complessiva, nel team dal 2010 ci sono Gennaro Buono cone capo sommelier e Matteo Zappile prima come assistente poi nel 2012 al posto di Gennaro Buono. Per noi è un ristorante Tre Forchette. Ma questo traguardo durerà poco. 

 

 

Ravioli di sola seppia, involucro, farcia e brodo  con i ricci. Anthony GenoveseRavioli di sola seppia, involucro, ripieno, brodo con ricci

2012-2014

Arrivano piatti come gli spaghetti con lenticchie e ricci di mare “che stiamo riproponendo adesso in un'altra versione”; e il piccione, “che per me non è solo un piatto ma un prodotto emblematico”, che negli anni ha visto diverse versioni, spesso in più cotture; nella guida 2012 lo segnalavamo laccato in agrodolce, servito in due fasi con riso Venere e more. C'è poi, sempre in questi mesi, anche l'animella in carrozza con mozzarella e acciughe con crema al limone. Nel 2013 Il Pagliaccio compie i suoi (primi) 10 anni di vita e li festeggia con un restyling importante e un bel volume monografico dal titolo Ten, in cui – tra parole, illustrazioni e fotografie – si raccontano alcuni dei piatti simbolo del ristorante. Nel 2013 inizia la ristrutturazione della carta dei vini, da 930 etichette si passa 1200 con l'introduzione di infusi e cocktail in abbinamento ai degustazione: nasce l’emotional paring.

 

2015-2017

Anno dopo anno Il Pagliaccio si impone come uno dei ristoranti più raffinati di Roma, tanto che nella guida 2015 ricordiamo i tempi in cui era un moderno bistrot di lusso con una cucina stupefacente e un servizio che strabiliava, per evidenziare come ormai molta acqua fosse passata sotto i ponti. La cucina, sempre intrisa di sapori, profumi, esperienze impastati a grande tecnica, ha perso qualcuno dei colpi da geniaccio di Anthony che talvolta facevano tremare, in positivo ma anche in negativo. Ma il tempo è galantuomo, e gli anni hanno regalato allo chef la maturità per governare le sue molte ispirazioni, anche quelle che, a sorpresa, volgono lo sguardo sulla tradizione come nel caso di tortelli di ossobuco con crema di zafferano, agrumi e cipolle rosse (del 2016). Si punta alla perfezione attraverso il bilanciamento impeccabile negli incredibili equilibrismi. Senza che questo, però, sfoci nel freddo virtuosismo.

Il menu di fine 2017 ospita cose come rombo marinato con foglie di artemisia ed emulsione di olio di cipolla, mandorle e radici, con la tartelletta fatta con la barba del rombo, spirulina, e midollo. Qui c'è gusto e piacere, attenzione nel piatto quanto nel bicchiere, con la sala che viaggia di pari passo. Sul bere si spinge in avanti con una proposta agile e imprevedibile, con cocktail, estratti e infusi pregiati ad affiancare chicche introvabili e grandissime etichette, in sintonia con una cucina che si fa sempre più moderna e centrata. L'accoglienza vola altissima, il Pagliaccio è un organismo unico che unisce tutto: Oriente e Occidente, sala e cantina (con Matteo Zappile – oggi restaurant manager dopo Daniele Montano e Gennaro Buono - e il nuovo sommelier Luca Belleggia), cucina e pasticceria, dove da quasi un anno il francese Thierry Tostivint- “un amico, lo conosco da più di 20 anni, dai tempi di Pinchiorri” opera al posto di Marion, comunque sempre presente al Pagliaccio.

 

Il Pagliaccio, la clientela, la città

Roma non è stata generosa all'inizio col Pagliaccio, e anche oggi i clienti sono in buona parte stranieri. “I romani sono difficili da capire e accontentare. In fondo preferiscono dei prodotti e una cucina conoscono bene. Ovviamente non tutti”. Il commento più frequente? “Dicono 'particolare'. E io non riesco a capire che intendono”. Per uno che dichiara di averesempre timore che il piatto non sia quello giusto, non è cosa da poco. Con gli stranieri è più semplice anche perché la clientela internazionale è cambiata“abbiamo fatto tanto per avere quella giusta: promozione, comunicazione, viaggi”. Perché l'orizzonte di un posto come il Pagliaccio è internazionale, così come lo è per la Città Eterna. “Roma è cambiata, si sta aprendo al mondo. Una città del genere appartiene al mondo e dovrebbe essere un gioiello; è un dolore enorme come viene maltrattata, basta vedere i marciapiedi di via dei Banchi Vecchi”. È critico, Genovese, ma poi cede: “la sua bellezza ti riconcilia con lei, basta una passeggiata dopo il servizio, ma” aggiunge “avrebbe bisogno di essere scossa, svegliata”. Basti pensare che la ristorazione di qualità, che pure oggi è tanta, non viene riconosciuta come un elemento di pregio cittadino. Il panorama ristorativo? “Per la cucina fusion è ancora indietro, si mangia maluccio cinese, giapponese, ma anche romano, e poi ci sono troppi posti uguali; c'è chi pensa che un ristorante sia bancomat: apri e dopo pochi mesi arrivano i soldi”. Ma non ha mai voglia di qualcosa di diverso, magari una trattoria? “L'abbiamo fatta con Secondo Tradizione dove proponiamo cose semplici” risponde. Ma poi ci pensa: “un giorno lo farò, ne sono convinto. Ma per ora basta il Pagliaccio: mai più consulenze”. E il pensiero va all'esperienza, ora conclusa, con Yugo.

Tartufo_al_cioccolato_e_arancia_saltataTartufo al cioccolato e arancia saltata

Il Pagliaccio oggi

Negli anni Genovese ha modellato gli spunti più arditi, talvolta geniali, tal altra acerbi, per consegnarci una cucina più matura, distesa nelle sue molte suggestioni, mai quieta nella ricerca di una via di collisione e armonia tra Occidente e Oriente che sa concedersi il lusso di apparenti semplicità come gli spaghetti tirati a mano con sugo di canocchie, gamberi essiccati e polvere di alga nori. Capace anche di riappropriarsi e ridisegnare sapori della tradizione: grano arso, freselle, pane di Lariano. Nell'ultima guida raccontiamo di un Anthony che ha mostrato tutto il suo valore o forse lo ha espresso con più consapevolezza, come liberato dalle sovrastrutture. Quelle che lui stesso definiva come l'esigenza di fare a tutti i costi e spesso strafare. Ora è rilassato: “Ho voglia di leggerezza” aggiunge: “la ristorazione cambia a una velocità pazzesca. Il museo è finito”.

 

Il Pagliaccio | Roma | via dei Banchi Vecchi 129/a | tel. 06 68809595 | www.ristoranteilpagliaccio.com

 

a cura di Antonella De Santis

foto Aromi Creativi

 

 

 
 

Re Panettone e Una Mole di panettoni. Il dolce del Natale protagonista a Milano, Napoli e Torino

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Si avvicinano le feste, si fa complicata la scelta del dolce giusto da portare in tavola. È l’artigianalità il segreto dei maestri pasticceri schierati a Milano, Napoli e Torino per presentare panettoni tradizionali, innovativi e salati, a prezzo calmierato. E con show cooking, lezioni, degustazioni guidate. Chi sarà il migliore? Noi del Gambero, tra l’altro, una risposta ce l’abbiamo e la troveranno tutti i fortunati che verranno in possesso del nostro mensile di dicembre, dalla prossima settimana in edicola. Lì, una classifica straordinaria…

10 anni di Re Panettone

Dieci volte Re Panettone, recita il claim 2018 della celebre manifestazione meneghina dedicata al dolce simbolo della città. Uno slogan che rivendica la longevità del format che ha fatto molti proseliti con l’aumentare della consapevolezza che un buon prodotto artigianale, specie quando si tratta di grandi lievitati (“il panettone è il dolce più difficile da realizzare”, ci rivelava appena qualche giorno fa il maestro Iginio Massari), può fare la differenza. E così anno dopo anno, con l’appropinquarsi delle festività natalizie, si moltiplicano le occasioni per scoprirlo quell’artigianato virtuoso che unisce la Penisola nel segno del panettone, re del Natale a prescindere dalla latitudine. Re Panettone, che da un paio d’anni, non a caso, ha scelto di replicare anche al Sud, parte come di consueto da Milano, con l’appuntamento che il 25 e 26 novembre porterà gli appassionati del genere nella nuova sede della Fabbrica Orobia 15, non distante dalla Fondazione Prada. Uno spazio dal fascino industriale che ben si presta ad accogliere gli ospiti di Stanislao Porzio, ideatore dell’evento dalla prima edizione, oltre 40 maestri in arrivo dalla Penisola per mettersi in gioco, con i propri panettoni. Alla vendita calmierata per il pubblico (25 euro al Kg il prezzo bloccato), infatti, si accompagna la componente agonistica della rassegna, che chiama a raccolta una giuria di esperti per assegnare il Premio al miglior panettone e al miglior lievitato innovativo, spaziando dalla ricetta tradizionale alle varianti più originali che si sono moltiplicate nel tempo. Accanto, il concorso dedicato ai panettoni casalinghi (valutati dai maestri pasticcieri), gli show cooking in compagnia dei grandi nomi della pasticceria italiana, i laboratori per i più piccoli. Una formula consolidata in grado di attirare un pubblico trasversale.

La notte bianca di Milano, la trasferta a Napoli

La novità dell’anno, che celebra il decimo anniversario di Re Panettone, è la Notte Bianca che tra il 25 e il 26 novembre animerà gli spazi della Fabbrica fino alle 2 del mattino, con aperitivi, cene e cocktail accompagnati da panettoni salati. Si replica a Napoli, il 2 e 3 dicembre, presso il Grand Hotel Parker’s, in compagnia di 25 maestri in rappresentanza del Sud Italia; anche in versione partenopea mostra mercato, prove d’artista sul palco, e il Premio Re Panettone Napoli per i prodotti più innovativi. Oltre a un wine bar per l’abbinamento con passiti, vini dolci e spumanti del Consorzio di Tutela di Vini del Sannio.

Una Mole di panettoni a Torino

Nello stesso weekend, il 2 e 3 dicembre, anche Torino anticipa l’atmosfera natalizia con Una Mole di panettoni, sesta edizione della kermesse dedicata ai protagonisti della pasticceria italiana all’Hotel Principi di Piemonte. Ingresso libero, dalle 11 alle 20, vendita a prezzo speciali dei panettoni, incontri con i pasticcieri, degustazioni guidate e tutto quello che ci si aspetta da una manifestazione tematica sui lievitati delle feste, dalla più nota ricetta del panettone alla milanese alla versione bassa alla torinese. Un contest premierà il miglior panettone tradizionale, quello più creativo, e la più riuscita variante salata. Per la serie variazioni salate, sabato alle 12 sarà allestito un originale aperitivo a base di panettone, in abbinamento al vermouth torinese Riserva Carlo Alberto, mentre il pomeriggio sarà dedicato alle pasticcerie campane alle prese col dolce in arrivo dal Nord, con Alfonso Pepe e la pasticceria De Vivo. Spazio anche a pandoro e gubana, in tema di dolci delle feste, e al gelato dei Maestri del Gusto, che sottolinea il sigillo di Torino.

Le pasticcerie di Re Panettone a Milano:

Angelo Grippa

Antono Daloiso

Antico Forno a Legna Da Carlo

Caffè Vignola

Cristalli di Zucchero

Café du Soir

Pasticceria De Vivo

Dolcevita

Forno Sammarco

Luca Riganti e Monica Zordan

Guerrino

Il forno di Scialino

Incroissanteria

Infermentum

L’ofelee

Pasticceria Lerda

Lombardi

Alessandro Marra

Ciro Malafronte

La Martesana

Opera Waiting

Sebastiano Caridi

Panificio Ascolese

Panificio Nazzareno

Beverara

Clivati

Comi

Cucchi

Davide dall’Omo

Massimo Ferrante

Mennella

Morandin

Dolce Officina di Posillipo

Ricci

Rigacci ‘48

Roberto Cantolacqua

Tenerità

 

Le pasticcerie di Una Mole di Panettoni:

1.     DE VIVO - Campania

2.     SAL DE RISO - Campania

3.     ASCOLESE - Campania

4.     CALCIANO - Basilicata

5.     FIASCONARO - Sicilia

6.     DALL’OMO - Veneto

7.     LERDA - Piemonte

8.     PANIFICIO 2000 - Puglia

9.     D’ANGELO - Sicilia

10.  ARTIGIANA - Piemonte

11.  MEMMOLO - Campania

12.  GABBIANO - Campania

13.  DI BIASE - Campania

14.  DOLCIARTE - Campania

15.  RIGACCI - Toscana

16.  PAOLO E NADIA - Piemonte

17.  OPERA - Toscana

18.  ARLEO - Liguria

19.  CAPPIELLO - Campania

20.  PAGNANI - Marche

21.  QUAGLIOTTI – Emilia Romagna

22.  PROFUMO DI LIEVITO - Lombardia

23.  BELTRAME - Veneto

24.  IL FORNO DEI VIGANO’ - Lombardia

25.  PEPE MASTRO DOLCIERE - Campania

26.  MIMOSA - Marche

27.  SARTORI - Lombardia

28.  LA GIOIA - Puglia

29.  IL FORNO – Friuli Venezia Giulia

30.  COMINO - Piemonte

31.  MIMMO MANDARADONI - Calabria

32.  VIANELLO - Veneto

33.  SERVI - Lazio

34.  PANE 2000 - Campania

35.  PLATTI - Piemonte

36.  FIORENTINA - Toscana

Re Panettone | Milano e Napoli | il 25 e 26 novembre /il 2 e 3 dicembre | www.repanettone.it

Una Mole di panettoni | Torino | Hotel Principi di Piemonte | il 2 e 3 dicembre

Bagna Cauda Day. Tre giorni per festeggiare il piatto piemontese in tutto il mondo

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Bagnacaudisti di tutto il mondo, unitevi. Il prossimo week-end è tutto per voi: si celebra il Bagna Cauda Day (che si è un po’allargato e spazia su tre giorni). Dove? Ad Asti, cuore dell’evento, e poi in tutto il Piemonte, ma anche in giro per il mondo.

La bagna cauda

Per i non indigeni, qualche dritta sul tema. La storia di quel mix ineffabile di aglio, olio e acciughe che va sotto il nome di bagna cauda (e costituisce un singolare trait-d’union fra il Piemonte e il mare, lungo le strade del sale percorse dagli anciué, gli acciugai della Val Maira che tornavano con il loro prezioso carico di acciughe sotto sale), comincia fra i vignaioli dell’Astigiano, forse nel Medioevo, come rito di convivialità per celebrare il vino nuovo, visto che la bagna cauda si sposa alla perfezione con una buona barbera. Ma potrebbe essere stato portato nelle colline piemontesi dai mercanti che avevano scoperto in Provenza l’anchoiade, salsa di acciughe, olio e aglio reinterpretata in chiave contadina. In ogni caso, un piatto rustico e popolare, da gustare con le verdure invernali: i peperoni, il cavolo, i topinambur, i cipollotti, le rape, la barbabietola rossa cotta al forno, la patata bollita…Ma soprattutto il cardo gobbo di Nizza Monferrato, star assoluta della ricetta.

Il Congresso di Cardologia

Non a caso, il prossimo sabato 24 novembre, ad Asti, nel Salone degli Specchi di Palazzo Ottolenghi, si tiene il Congresso di Cardologia (con degustazione finale di gelato al cardo firmato Zanatta), che precede l’assegnazione (alle 18) del Premio “Testa d’Aj”. Quest’anno il primo premiato è Antonio Ricci di Striscia la notizia, ma ci saranno pure la donna del vino Mariuccia Borio di Costigliole d’Asti, che ha salvato un vitigno autoctono quasi scomparso, l’Uvalino , il vignettista Luigi Piccatto cheha firmato il Bavagliolone d’autore 2017 e due anciué, Battista Mario Delpui, classe 1927, storico acciugaio astigiano e il cuneese Giovanni Martino. Non staremo qui a elencarvi i 150 fra ristoranti e osterie astigiane che propongono bagna cauda per l’occasione (tutti al prezzo fisso di 25 euro, stellati compresi) classica o “addomesticata” e più leggera, compresa l’eretica senz’aglio, oltre ai locali nel resto del Piemonte e dell’Italia intera: sul sito dedicato all’evento si trovano tutti gli indirizzi e svariate curiosità, dal mercato della bagna cauda alla ricetta ufficiale.

I protagonisti

Ma ci corre l'obbligo di ricordare almeno quel manipolo di irriducibili bagnacaudisti che ha l’audacia di proporre il piatto in capo al mondo, mari tropicali compresi. Eroi duri e puri, come l’astigiano Armando che dopo anni a Londra si è trasferito in Nuova Zelanda, a Cromwell. Aurora Facciola, intraprendente fanciulla di Verbania che prepara la bagna cauda a Berlino. Fausto Guidetti, chef originario di Nichelino, cintura torinese, che ora sta in Tasmania, all’Osteria Stefano Lubiana, o Mara e Rocco che da Cavour, profondo Piemonte, sono partiti alla volta dell’Australia e hanno aperto il loro b&b Villa Cavour nel Queensland. Due casi estremi e singolari: la Trattoria Bologna di Wakayama, Giappone, con lo chef japan Seiichi Kobayashi, che dopo oltre 10 anni in Piemonte, alla “Trattoria i Bologna” di Rocchetta Tanaro, tornato a casa ha aperto la trattoria “I Bologna” e propone i piatti piemontesi più autentici accostati alla tradizione del Sol Levante e la bagna cauda del Roby Anne Lodge a Nuku’alofasull’isola di Tonga, nel cuore del Pacifico, sulla linea del cambio di data, il primo luogo al mondo a vedere sorgere un nuovo giorno.

Bagna Cauda Day

Non basta: novità dell’ultimo minuto, la notizia che anche in una villa privata a Brookline, vicino a Boston, il 25 novembre si celebra il Bagna Cauda Day, in un evento unico, con vini e menu interamente piemontesi, organizzato da HeleneSolomon, amministratore delegato della Solomon McCown &Co, per celebrare il settantesimo compleanno del marito BillStein. I due, immamorati del Piemonte, l’anno scorso hanno seguito un corso di cucina privato tenuto dal giovane chef Matteo Morra di Barolo e così Helene ha deciso di portare il Piemonte a Boston chiedendo a Matteo di creare e cucinare un menu esclusivo. E’ in partenza per un tour del Giappone anche lo chef milanese Giuseppe Zen, Mangiari di Strada, che porterà il “verbo” del Bagna Cauda Day in numerosi ristoranti per dieci giorni di enogastronomia e vini artigianali italiani, cominciando da Tokyo.

 

Bagna Cauda Day

Così sotto tutti i fusi orari ci si scambierà, allo scoccare della mezzanotte di venerdì 24 e sabato 25 il Barbera Kiss, il pericoloso bacio di mezzanotte all’aglioin un flash mob riservato a tutti i bagnacaudisti (ad Asti in piazza San Secondo al termine delle serate conviviali).

Bagna Cauda Day | dal 24 al 26 novembre 2017 | www.bagnacaudaday.it

a cura di Rosalba Graglia


Pub a Roma. I 14 (+2) da non perdere

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In qualsiasi grande città italiana, trovare un locale con delle buone birre non è più un problema e Roma non fa certo eccezione. Noi abbiamo selezionato 14 (+2) locali che, per vari motivi, vale la pena di provare. E non sono tutte birrerie...

Roma è, per gli appassionati di birra, il paese dei balocchi, i luoghi della birra sono moltissimi, tra locali con produzione interna o meno, basti pensare a posti come Stavio, Beerstrot, Brewdog, Queen Makeda e altri. Noi abbiamo ne abbiao selezionati 14 birrerie + 2, per un totale di 16 locali che secondo noi bisognerebbe assolutamente provare. Per l'atmosfera, la scelta delle spine, la selezione dei distillati, la bontà dell'offerta gastronomica. 16 indirizzi da segnare in agenda e testare il prima possibile.

28 brasserie

28 Birreria Gastronomica

Il birrificio Toccalmatto si è unito a Caulier nella sua brasserie sulla Flaminia per dare vita a 28 Birreria Gastronomica. Due piani con arredamento moderno e qualche elemento in stile industriale, un grande bancone con sgabelli, la veranda fruibile tutto l'anno, e un'ampia sala con cella frigorifera con impianto della birra alla spina a vista. Tante le proposte a scaffale e venti le birre alla mescita imbottigliate sul momento tramite growler, cui si aggiungono alcune birre ospiti e i vini di Angiolino Maule. La cucina ha chiamato in causa i migliori artigiani romani e non solo: il Caseificio Quattro Portoni per i formaggi, per la carne Roberto Liberati e Pork'n'Roll (anche per i salumi dei fratelli Roccia, che affiancano quelli di Zavoli). E poi le uova di Paolo Parisi, e il caffè di Massimo Bonini di Lady Caffè (miscele ed estrazione). In cucina Roberto Fiumi ha studiato gli abbinamenti con le birre a disposizione. Tra taglieri, assaggi di alici del Cantabrico, pata negra con pan y tomate, tartare di manzo con uovo di quaglia di Parisi, falafel e tzatziki, baccalà croccante in pastella di birra allo yuzu, chips di patate di Avezzano. E poi insalate, burger e sandwich. Dal forno pancia di maiale di Pork'n'Roll cotta a bassa temperatura e spuntature agrodolci alla brace, l'agnello di Liberati alla scottadito con patè di coratella e carciofi alla romana, le salsicce dei Roccia, la Chianina dell'azienda Le Pile.

28 Brasserie Gastronomica | Roma | via Flaminia, 525 | tel. 06 99709481

Artisan 

Birre da tutto il mondo in uno spazio che mescola elementi eterogenei, con un risultato complessivamente asciutti e informale. Due sale, la prima con il bancone e le spine che arrivano dal nord Europa e dagli Stati Uniti, anche se non mancano mai alcune delle migliori produzioni italiane, il tutto con un'attenta selezione che spesso sfocia in serate speciali con guest beer e appuntamenti vari. Alle craft beer e alla scelta in bottiglia si accompagna a una proposta di american food da gustare anche, più comodamente, nella seconda sala. Il calendario di iniziative è fitto di proposte, da quelle con i vari birrifici ai concerti di musica dal vivo. Molto interessante anche la selezione di whisky e liquori artigianali. Insomma, in un panorama di livello decisamente alto dal punto di vista dell'offerta birraria, c'è una nuova generaizone che si sta facendo strada, anche grazie a un rapporto diretto con alcuni produttori altrimenti difficili da reperire al di fuori dei circuiti più batuti.

Artisan | Via degli Aurunci, 9 | tel. 334 385 4301| https://www.facebook.com/art.isan.90/

Barleywine

Barley Wine

Ci si viene per le birre. E non birre qualsiasi: questo è uno degli indirizzi di riferimento per gli amanti delle barley wine, quello stile brassicolo di origine inglese che contraddistingue birre ad alta fermentazione, per sapore e gradazione più simili al vino. La selezione di spine e bottiglie però non si ferma alle barley. Qui passano infatti passano birrifici artigianali italiani e internazionali di gran valore, selezionati con competenza e a rotazione continua. Anche i distillati hanno voce in capitolo, e che voce! Gli amanti di gin, rum, mezcal e whisky sono nel posto giusto accomodati nei tavolini dentro e fuori il locale. La proposta di cibo è semplice, ma di qualità, dagli snack e piadine proposti nel tardo pomeriggio ai panini del menu della sera (per le farciture si sceglie tra hamburger di manzo, con vari condimenti, salsiccia di maiale, burger vegetariani, uova). Nella selezione attenzione anche ai celiaci.

Barley Wine | Roma | via dei Consoli, 115 | tel. 06 45687489 | www.barleywine.it

Be Re

Be.re.

Manuele Colonna è uno dei nomi più noti tra gli appassionati di birra capitolini. Lui è l'anima di un caposaldo come Ma che siete venuti a fa'. Insieme a Lorenzo D'Annibale e Luigi Parise ha messo a segno un colpaccio con questo ampio locale di recente apertura dominato da uno splendido bancone. Qui campeggiano decine di spine dedicate alle migliori produzioni artigianali italiane ed estere. Botticelle a caduta, tipologie a fermentazione spontanea dal Belgio, nuovi arrivi dalla Franconia e referenze dei migliori microbirrifici italiani: una serata qui è un corso accelerato sul tema, incluso il corretto servizio di ogni birra. Per la fame c'è un corner Trapizzino che assicura sostanza e gusto da vendere tra farciture come burrata e alici, parmigiana di melanzane picchiapò e le altre golosissime proposte.

Be.Re. | Roma | piazza Risorgimento, 7a | tel. 06 94421854 | www.be-re.eu

Bir & FUd

Bir & Fud

Un outsider, certo, perché parliamo di una pizzeria. Ma questo è un indirizzo storico che ha trasformato questo vicolo nel cuore di Trastevere - data la vicinanza con il Ma che siete venuti a fa' – in una meta irrinunciabile per gli amanti della buona birra. L'atmosfera informale è la cornice di una selezione improntata alla qualità, tanto nella proposta food - pizze basse, leggere e ben lievitate, sia tradizionali che più creative ma sempre con materie prime di grandissimo livello, ottimi panini, fritti, primi piatti e altre proposte più elaborate in arrivo dalla cucina, sia fredde che calde - che in quella delle birre. Nessun dubbio che questa sia la bevanda principe del locale, con le 30 spine sul bancone cui si aggiungono altre 6 dietro. La rotazione è assicurata e la carta spiega bene produttori e caratteristiche delle birre selezionate, tra le migliori artigianali in circolazione, italiane e non. Insomma un incontro tra pizzeria e birroteca di qualità, con in più un posto di riguardo per la cucina al piatto.

Bir & Fud | Roma | Via Benedetta, 23 | tel. 06 5894016 | www.birandfud.it

Bon Bock

Le Bon Bock

Da 1992 è uno dei punti di riferimento per gli appassionati di whisky e birra artigianale, che richiama una clientela affezionatissima e nuovi arrivati presto arruolati nel clan (la cui iscrizione online permette di ricevere aggiornamenti su nuove etichette e tour in programma in diverse distillerie). Tipico arredamento da pub e tipica offerta gastronomica, ben realizzata, dai würstel con crauti allo stinco di maiale al forno, ai panini, ma anche zuppe, carpacci, ostriche e il "birramisù", il tiramisù alla birra. La scelta dei distillati è imponente, con etichette da tutto il mondo e in costante aggiornamento. Blend, single malt e tutto quello che questo mondo ha da offrire sono presentati da un personale disponibile e competente che può indirizzare la scelta dei curiosi e dei conoscitori più esigenti.

Le Bon Bock | Roma | c.ne Gianicolense, 249 | tel. 06 5376806 | www.lebonbock.com

Luppolo

Luppolo 12 e e Luppolo Station

L'avventura di Gabriele Lizio Bruno e Diego Vitucci parte nel 2012 a San Lorenzo con un locale tra i primi a portare la birra artigianale nel quartiere. Il locale è un pub vero: pochi fronzoli e fiumi di birra spillati dalle 16 vie da uno staff competente e disponibile. Da qualche mese il negozio a fianco è occupato dal loro Bottle Shop, beer shop gestito dagli stessi ragazzi che amplia alla grande la già vasta offerta. Sempre Diego e Gabriele, insieme a Paolo Pustorino, Dario Vitucci e Giovanna Menicucci, sono i fautori del successo del Luppolo Station, che ormai si è imposto tra i locali brassicoli della capitale. Gli interni richiamano le sale d'aspetto delle stazioni degli anni '20 ma la scelta delle birre è attualissima; sulle 20 vie girano grandi classici del comparto, non solo italiani, vicino alle ultime novità proposte dai birrifici. Per accompagnare la birra, un bel menù in cui spiccano i succulenti hamburger.

Luppolo 12 | Roma | via dei Marruccini, 12 | tel. 380 348 8696

Luppolo Station | Roma | via Giuseppe Parini, 4 |tel. 06 58332681| www.luppolostation.com

 

Ma che siete

Ma che siete venuti a fa'

In uno dei quartieri capitolini più caratteristici (e turistici), un tempio del buon bere. Da anni punto di riferimento per chi non rinuncia a una buona birra spillata a dovere. Lo riconoscete dalla fila rilassata sempre presente fuori dalla porta (preparatevi a lunghe attese, soprattutto nel fine settimana). L'insegna fa riferimento al più classico degli sfottò da stadio, a dare immediatamente la misura del tipo l'atmosfera che vi si respira: birre, football e poco altro. Piccolo e spartano che più non si può, senz'altra seduta se non i pochi sgabelli al piccolo bancone, è letteralmente preso d'assalto dai molti clienti attirati da una selezione spaziale, con le spine cambiano di continuo: una rotazione che alterna etichette note a imperdibili chicche per autentici appassionati. Insomma il “Ma che” con il suo appeal da pub d'oltremanica, ha contribuito in modo determinante alla diffusione della cultura brassicola a Roma, e senza nulla concedere a tutto quello che non sia birra. Manuele Colonna negli anni ha selezionato le più interessanti realtà del mondo, e le ha portate a Roma corredandole dei suoi preziosi consigli, riuscendo a soddisfare anche i palati più esigenti.

Ma che siete venuti a fa' | Roma | via Benedetta, 25 | tel. 380 5074938 | www.football-pub.com

 

Mastro Titta

Per molti è un'istituzione, con i suoi vezzi e le caratteristiche che lo hanno reso il mito che è. Lasciata ormai la storica sede di via del Porto Fluviale, e quella di Testaccio, ora si trova in un grande locale in cui l'atmosfera è diversa da quella cui ci aveva abituati, sarà forse per la luce. Lui però, Giorgio Chioffi – aka Mastro Titta - è sempre lo stesso, con le sue magliette home made con frasi irriverenti e la provocatoria intolleranza nei confronti di chi indugia troppo nella scelta delle birre. Spine e bottiglie ci sono, soprattutto dal nordeuropa, a definire la sempre bella selezione, proprio come ci aveva abituato. La poderosa cucina da pub senza nessuna vocazione gourmet (e stavolta senza pizze), è il rifugio degli affamati dell'ultima ora (chiude alle 6 di mattina). E per finire non manca mai il classico shot, di whisky magari, quello buono, s’intende. Poco da dire: Mastro Titta o si odia o si ama.

Mastro Titta | Roma | via dei Conciatori, 11 | tel. 339 8967490 | https://www.facebook.com/mastro.titta.pub/?pnref=story

Morrison's

Potrebbe sembrare un pub di Dublino per via di quegli arredi in legno scuro, il bancone delle spine, le luci soffuse, la partita di rugby sullo schermo, l'atmosfera calda e i molti stranieri che si danno appuntamento qui sin dal pomeriggio. E anche per le birre, con l'immancabile Guinness in primo piano. Ma l'offerta non si limita alla più famosa delle stout: la scelta è valida, sia italiana che estera e l'attenzione alla spillatura massima. Da mangiare i classici da pub, ma con qualcosa in più: il pane di Roscioli e la carne della famosa macelleria Feroci. Tra gli hamburger, da provare quello con l'uovo all'occhio di bue, o il Morrison con manzo, lattuga, Cheddar, bacon e cipolla rossa caramellata all'aceto balsamico, oppure il Crudo: tartare di manzo, guacamole homemade, scaglie di parmigiano. Non mancano insalate con pollo e topping golosi, tacos di carne o di verdure, supplì, crocchette di patate o di ceci e mentuccia, taglieri di formaggi, secondi di carne. patate croccanti, fritti e ottime alette di pollo. Interessante anche la selezione di distillati (soprattutto whisky) con produzioni che arrivano da tutto il mondo.

Morrison's | Roma | via E. Q. Visconti, 88 | tel. 06 3222265 | www.morrisons.it

pen baladin

Open Baladin

È tra i primi e più famosi birrifici artigianali italiani, il primo che ha sviluppato il format dei pub d'autore, moltiplicando le sedi della sua “casa” dove birre alla spina e buon cibo vanno a braccetto. Nel tempo la creatura di Teo Musso ha conquistato forza e carisma da vendere, al punto da fare da aprifila per i gastropub, che declinano il tipico cibo da birreria in versione very very gourmet, non tanto per la creatività delle proposte, che comunque non manca, quanto per la qualità della materia prima. A Roma è approdato nel 2009, e ha subito stretto con una delle più prolifiche personalità del food capitolino, Gabriele Bonci, che ha studiato pane e panini, cose come l’Onorevole: hamburger di manzo, pesto di pistacchio, pecorino di Pienza, cotto grigliato e pomodori secchi sott’olio; o il Singin’in the rain, con peperoni grigliati, guanciale, cipolla sfumata alla birra, formaggio svizzero e tabasco; L’omaggio al Sud è con pane siciliano all’extravergine farcito con cipolle di Tropea in agrodolce, caciocavallo, insalata e maionese. Con una quarantina di spine sul lungo bancone e la parete alle spalle ricolma di bottiglie la scelta è vastissima e l'impatto, anche solo alla vista, impressionante, con una rotazione tra i migliori produttori italiani artigianali e indipendenti. Non mancano battute di Fassona, tagliate, piatti vegetariani, chips di patate (dette fatate) e crocchette (le scrocchette), pollo marinato e altre golosità.

Open Baladin | Roma | via degli Specchi, 6 | tel. 06 683 8989 | http://www.openbaladinroma.it/

Osteria Birra

Osteria di Birra del Borgo

Un po' osteria un po' birreria. Con la formula, sempre più vincente nella capitale, del gastropub, che in questo caso mette in fila un'ottima cucina italiana vera, tutta filiera certificata e alta qualità, la birra di Leonardo Di Vincenzo (che dà il nome all'insegna) e di altri produttori, le paste fatte in casa che fanno capo a Taberna Palestrina, la pizza farcita di Gabriele Bonci, che presidia anche la proposta ai fornelli, i cocktail a base di birra, frutto dell'estro dei ragazzi del Jerry Thomas. Insomma: alcuni dei nomi più (giustamente) in vista del panorama gastronomico capitolinosi incontrano in questa insegna di recente apertura. Oltre alla pizza (anche detta Trrranch, con porchetta della casa o crudo e carciofi, Margherita o ceci e mortadella) ci sono piatti come pollastra in barattolino (il tonno di cortile) con una meravigliosa giardiniera, polpette al sugo, supplì, o gallo in tegame; fettuccine con asparagi selvatici e guanciale o le orecchiette con maiale e finocchietto. Numerose referenze del marchio o quelle ospiti spillate da un impianto a 21 vie (alcune prodotte in loco con tanto di impianto e anfore per fermentazioni spontanee a vista).

Osteria di Birra del Borgo | Roma | via Silla, 26 | tel. 06 8376 2316 | http://osteria.birradelborgo.it/

 

Pork'Roll

Pork'n'Roll

Da quando hanno aperto, tre anni fa, Valentino e Gerardo Roccia hanno cambiato le coordinate degli appassionati di birra, e non solo, di mezza Roma. Un posto dalla doppia anima, da una parte il pub a vista sulla strada, con le grandi lavagne a elencare la lista delle artigianali - una decina alla spina e un centinaio in bottiglia - e dei piatti (a base di suino); ma vale anche la lunga proposta di whisky e distillati. Dall’altra, al civico accanto, una macelleria che ricorda i “fornelli” tipici pugliesi (i due sono originari del Foggiano) dove la carne prodotta da un allevamento di famiglia si compra ma si può pure farsela cucinare a vista. E la sosta vale, davvero, il viaggio. La grigliata mista è un passaggio fondamentale alla prima visita, ma provate anche costate, spiedini e tutto quel che la carta propone e il vostro appetito sostiene. Non mancano patate, insalate, focacce e altre proposte a contorno della carne di maiale, anche in versione salume.

Pork'n'Roll | Roma | via C. Caneva, 15 | tel. 06 45551271 | www.porknroll.com

Serpente

Serpente Pub

È uno dei riferimenti per gli amanti della birra di qualità a San Lorenzo, un'oasi felice tra le tante proposte mediocri che affollano il quartiere. L'insegna è lì dal 1994, e da un bel po' di anni l'attività si è orientata senza incertezze verso il mondo delle artigianali. L'atmosfera è informale, l'ambiente caratterizzato da mobili di legno scuro è senza troppi fronzoli (a parte magliette e sciarpe delle squadre di calcio di mezzo mondo), il bancone sempre affollato ha una decina di birre alla spina che cambiano con frequenza. E la scelta riempie di soddisfazione gli appassionati con tante chicche pescate qua e là per il mondo, bottiglie e whisky completano l'offerta che non concede molto per soddisfare la fame (ma qualcosa si trova sempre): qui si viene per bere bene! E le varie serate che si organizzano durante l'anno sono un plus mica da poco.

Serpente Pub | Roma | via dei Marsi, 23 | https://www.facebook.com/serpentepub.romasanlorenzo/

 

Stappo

Un locale tranquillo nel cuore del quartiere, dove approdano gli appassionati della zona alla ricerca di artigianali di qualità e di una sosta golosa. Carlo, il proprietario, è un appassionato che fa sentire tutti i suoi clienti a proprio agio e che consiglia loro la birra più adatta alle rispettive esigenze, che sia alla spina o scelta fra le tante bottiglie. Non manca qualche etichetta di vino a completare l'offerta. Piatti espressi semplici e gustosi come taglieri, crescia con affettati e formaggi, hamburger, stuzzichini, fritti e crostini saporitissimi.

Stappo | Roma | via G. F. Ingrassia, 27 | tel 06 535210 | www.stapporoma.it

 

a cura di Antonella De Santis

 

Da New York all'Abruzzo. La storia del ristorante Insight Eatery sulla Costa dei Trabocchi

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Un milanese e un abruzzese che si sono incontrati per caso anni fa nella cucina di un ristorante meneghino. E che da allora hanno continuato a lavorare fianco a fianco, volando dapprima a New York, per poi aprire, la scorsa estate, un locale tutto loro sul litorale abruzzese.

I titolari

Tante le new entry della guida Ristoranti d'Italia 2018, un'edizione che registra un fermento inarrestabile del panorama gastronomico nazionale, con format e soluzioni sempre più innovative. Fa il suo ingresso per la prima volta anche un locale di recente apertura, nato per idea di due amici e colleghi di vecchia data che hanno scelto di tornare dagli Stati Uniti in Italia per scommettere sulla ristorazione nostrana, “perché questo resta sempre il Paese più bello del mondo, in cui vale ancora la pena credere”. Due chef che hanno iniziato a cucinare fin da giovanissimi, spinti da un amore smodato per i fornelli, e guidati da un talento innato che hanno saputo coltivare nel tempo.Simone Parisotto è di Milano e ha cominciato a dilettarsi in cucina all'età di 12 anni, “per preparare da mangiare alla mia sorellina”. Da allora, non ha più abbandonato il grembiule, e dopo il diploma alla scuola alberghiere ha fatto esperienza nelle cucine della città. È proprio nel capoluogo meneghino che incontra Alessandro Caporale, abruzzese doc che fin da bambino sogna di diventare chef.

Da New York a Rocca San Giovanni

Insieme crescono, migliorano, sperimentano. È Alessandro a proporre un giorno a Simone la prima di una serie di idee che avrebbero segnato il corso della loro carriera: “Andiamo a fare esperienza a New York”. Complici la gioventù più spensierata, la passione per il cibo e quel pizzico di incoscienza che non guasta, i due hanno fatto le valigie e sono volati negli Stati Uniti, senza una meta precisa. Un viaggio all'avventura che è durato ben 11 anni: “Ci siamo trovati bene fin da subito, e abbiamo cominciato presto a lavorare per una grande compagnia italiana, la Sant Ambroeus, una catena di ristoranti che oggi ha diverse insegne sparse per la metropoli”. Dopo oltre 10 anni, però, la nostalgia di casa inizia a farsi sentire. “Sono tornato in Italia per primo”, racconta Simone, “e, senza esserci accordati, dopo qualche tempo è tornato anche Alessandro”. Che ancora una volta gli propone un'avventura alla cieca: “Apriamo un ristorante insieme”. Una decisione presa d'istinto, che si è rivelata vincente: “Ho accettato subito, a condizione che ci fosse il mare”. La scelta della location è stata immediata: “Alessandro voleva tornare nella sua regione, per cui abbiamo optato per la Costa dei Trabocchi”, tratto di litorale che abbraccia la provincia di Chieti.

Il ristorante

Ha aperto i battenti lo scorso luglio 2017 Insight Eatery, il ristorante a contrada Vallevò, una frazione di Rocca San Giovanni, una delle località più caratteristiche della zona. “L'esperienza newyorkese la portiamo sempre con noi, per cui utilizziamo tanti ingredienti etnici”, ma la maggior parte delle materie prime sono locali, dal pesce, “che acquistiamo giornalmente da un pescatore di Vasto”, alle verdure, “di una fattoria di Fossacesia”, senza dimenticare le carni, “di un macellaio di fiducia che lavora solo prodotti abruzzesi della Maiella e altre zone dedite all'allevamento”. La pasta secca è quella di Verrigni, antico pastificio di Roseto degli Abruzzi, mentre il pane è fatto in casa, “con farine biologiche macinate a pietra”. Il menu cambia di continuo, “in quattro mesi lo abbiamo già modificato 3 volte”, assecondando il ritmo delle stagioni e adeguandosi al pescato del giorno, e si compone di ricette di carattere, dal sapore netto e l'equilibrio ricercato. C'è il pollo alla catalana con vongole veraci, paprica e salsiccia di fegato, la linguina con battuto di gamberi rossi, olive nere e peperone secco, e poi i tortellini ripieni di scampi con brodo di crostacei e cicoria. A fare la parte del leone, però, sono i crudi di pesce, “in particolare la seppia con yuzu, soia e jalapeno, la nostra specialità”. Da gustare in abbinamento a un'ampia selezione di vini, perlopiù del territorio ma non solo, “fra cui molte etichette biologiche e naturali”.

Il design

Una cucina ricercata che prende vita in un ambiente semplice ed elegante, curato nei minimi dettagli da un architetto d'eccezione, Leonardo De Carlo, lo stesso che ha sviluppato Reale, Casadonna e Spazio di Niko Romito. A ispirare il design, i trabocchi, strutture per la pesca che tracciano una linea di collegamento tra la terra e il mare, e che punteggiano tutta la costa del basso chietino. “Inizialmente volevamo aprire proprio all'interno di un trabocco, ma non è stato possibile. Dopo diverse lungaggini burocratiche durate 14 mesi, abbiamo ottenuto i permessi per aprire qui, e Leonardo è riuscito a ricreare un trabocco sulla terraferma”. Una scatola in legno di abete, lo stesso utilizzato per le palafitte, con un dehors esterno in metallo. All'interno gli arredi sono più d'impatto, prepotenti, con tavoli in cemento e lampade di design a completare il tutto, “ogni buona cucina ha bisogno di uno spazio speciale”.

Insight Eatery | Rocca San Giovanni (CH) | contrada Vallevò, 266 | tel. 329 3820346 | www.facebook.com/insighteatery/

a cura di Michela Becchi

Asti secco. “Proponiamo al mercato lo spumante che non c’era”

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Dopo anni di crisi, la Dop piemontese presenta la sua versione dry, rivolgendosi ai giovani. L'esordio sul mercato con 700 mila bottiglie prodotte in 16 cantine. Percorso costoso per le piccole aziende, ma il Consorzio è pronto a modificare il disciplinare per introdurre il metodo classico

Una sola uva, tre Docg e la volontà di distinguersi nettamente dal Prosecco, conquistando nuovi consumatori. Dopo Canelli, è stata Roma a ospitare la tappa del lancio della campagna di comunicazione promossa dal Consorzio dell'Asti. Campagna che si protrarrà fino a metà 2018 e che, per il solo 2017, ha previsto un budget totale di circa un milione di euro. Rivolta principalmente al segmento Millennials, considerati nel mondo la generazione chiave per il consumo di vino, punta a far parlare nuovamente di Asti, a recuperare il terreno perduto e a fare da stimolo per l'economia di un territorio che conta 3.700 aziende viticole, suddivise in 52 comuni tra Asti, Alessandria e Cuneo. "L'Asti secco ci darà prospettive importanti ma non vogliamo copiare nessuno", ha detto a Canelli l'assessore all'Agricoltura della Regione Piemonte, Giorgio Ferrero, ribadendo l'importanza di marcare le differenze con le bollicine del Nord-Est, allontanando gli scetticismi sulla nuova e neonata versione spumante. Con l'Asti secco, il consorzio presieduto da Romano Dogliotti ha ora a disposizione un tridente di tutto rispetto con cui tentare di far risalire il livello dei volumi lasciati sul campo negli ultimi cinque-sei anni: "Completiamo la gamma portando nel mondo degli spumanti qualcosa che non c'era", ha riferito il presidente durante la conferenza stampa a Roma.

 

Gli anni difficili della Docg

A questa Docg, estesa su 9.560 ettari a tutela Unesco, mancano all'appello circa 20 milioni di bottiglie, che pesano e non poco se raffrontate al celebratissimo record dei 107 milioni di bottiglie raggiunto nel 2011. Da lì in avanti, ci sono stati momenti difficili, con ripetuti segni meno davanti alla casella delle vendite verso mercati chiave, dovuta a una concomitanza di cause: il calo mondiale e generalizzato del consumo di vini dolci, la crisi del rublo e il crollo dell'export in Russia, la forte diminuzione delle vendite in Germania (prima destinazione per l'Asti dolce). Sono stati anni in cui abbiamo assistito ad accese polemiche in seno alla filiera tra la parte agricola e la parte industriale, sulle cause di una crisi che si è rivelata particolarmente acuta proprio nel momento in cui la spumantistica si stava rapidamente espandendo, guidata dal boom del Prosecco veneto e friulano. Una congiuntura sfavorevole che ha lasciato a Dop storiche, come Asti e Moscato d'Asti, l'amaro in bocca per un treno che non le ha incluse tra quelle vincenti.

I numeri lo dimostrano, come spiega il direttore del consorzio, Giorgio Bosticco: "Dieci anni fa si consumavano 100 milioni di bottiglie di spumante in Italia; di questi, circa 40 milioni erano dolci. Oggi, il mercato degli spumanti è cresciuto a 120 milioni, ma i vini dolci sono scesi a quota 23/25 milioni". Iniziative in giro per l'Italia come "Asti Hour" tra 2013 e 2015 oppure come "Lady Asti" in Cina, nel 2014, non sono riuscite a risollevarne a pieno le sorti.

 

La versione secca e gli allarmi del Prosecco

Questa considerazione ha spinto consorzio e produttori a tentare la carta della versione secca. Se ne parlò dapprima nel 2014, mentre nel 2015 sono state avviate le prime sperimentazioni in cantina. La modifica al disciplinare di produzione decisa nel 2016 è passata indenne in Comitato vini del Mipaaf e il decreto di etichettatura provvisoria è in vigore dagli inizi di agosto 2017. Il testo, in particolare, ha regolamentato l'uso in etichetta del termine "secco", che aveva in un primo momento allarmato il Sistema Prosecco su un possibile tentativo di usurpazione del marchio Dop. Pericolo scampato, anche se il dialogo Piemonte-Veneto non è stato dei migliori. Nel frattempo, sembra essersi fermata l'emorragia che ha colpito l'Asti dolce. Gli anni più duri come 2014 e 2015 sono alle spalle; e se il 2016 ha contenuto le perdite, il 2017 è finora stabile, mentre prosegue il buon momento del Moscato d'Asti, con vendite a volume a +10%.

 

La nuova versione punta a bar e giovani

L'Asti secco è un prodotto nuovo che, pur derivando dalle stesse uve (Moscato bianco), è diverso sia dall'Asti dolce sia dal Moscato d'Asti. È spumantizzato col metodo Martinotti e la tecnica messa a punto dal laboratorio di ricerca del consorzio di tutela ha consentito, da un punto di vista enologico, di eliminare il fastidioso retrogusto amaro, caratteristico delle uve Moscato portate a completa fermentazione. Risolto il problema, e fatte le dovute prove in cantina, l'Asti secco oggi è pronto a strizzare l'occhio alle giovani generazioni. La campagna comunicativa, affidata all'agenzia torinese Hub09, punta sul concetto di convivialità e sulla freschezza del messaggio, restituendo un'immagine moderna di questa bollicina. Il progetto strategico ruota attorno alla filosofia del "rural glam", slogan che intende veicolare insieme l'unicità di questo territorio e il fascino dell'eleganza e della sensualità.

"Oggi, chi consuma i nostri prodotti ha una certa età" ha osservato Gianni Marzagalli, manager di Campari, vice presidente del consorzio e rappresentante in cda delle case spumantiere "ma sono convinto che, grazie ai programmi a lungo termine che abbiamo messo in campo, riusciremo a riconquistare quella fascia più giovane. Sono uno strenuo sostenitore di questo prodotto nei consumi del bar, dove l'Asti non è mai entrato". L'obiettivo è certamente guadagnare spazi di mercato, come sottolinea il direttore Bosticco a Tre Bicchieri, facendo diventare l'Asti secco "lo spumante di qualità per l'aperitivo nelle nostre realtà di mescita".

 

I numeri dell'Asti secco

L'esordio dell'Asti secco è prudente. Il potenziale è di una ventina di milioni, ma per il 2017 la stima è di 600-700 mila bottiglie, che appaiono poche (meno dell'1% del totale prodotto), considerando l'enorme potenziale produttivo di un territorio che, nel 2016 (dati consortili), si è suddiviso tra i 53,6 milioni di bottiglie dell'Asti e i 31,6 milioni del Moscato d'Asti, con una propensione all'export dell'85%. "Vogliamo crescere gradualmente, non c'è l'ambizione di fare centinaia di milioni di bottiglie, e lo vogliamo fare a un prezzo consono", sottolinea Bosticco. Oggi, la forbice di prezzo dell'Asti secco proposto in grande distribuzione è compresa tra 6,49 e 6,99 euro a bottiglia; mentre in enoteca tra 8 e 8,5 euro.

 

Le aziende produttrici e l'ipotesi metodo Classico

Sedici i marchi che lo hanno etichettato: Araldica Castelvero, Arione, Matteo Soria, Bosca, Bosio, Cantina Tre Secoli, Cascina Fonda, Cuvage, Duchessa Lia, Fontanafredda, Sant'Orsola (Fratelli Martini Secondo Luigi), Tosti, Manfredi Aldo & C., Santero, Sarotto e Toso. I player più grandi stanno per ora alla finestra: il gruppo Campari e il gruppo Bacardi-Martini (prima azienda a volumi sull'Asti dolce) non sono ancora scesi in campo. Entrambi, va ricordato, da anni producono Prosecco Doc, in deroga al disciplinare.

Allargare la platea dei produttori risulta quantomai necessario ed è tra i primi obiettivi del consorzio, che quest'anno festeggia gli 85 anni. Tuttavia, il metodo Martinotti implica la dotazione di autoclavi per la presa di spuma e per le imprese più piccole lanciarsi nell'Asti secco significherebbe impegnarsi in un investimento costoso, senza un sicuro ritorno economico. Ma il cda guidato da Dogliotti, che nella sua azienda (Caudrina) per ora non produce la versione secca, ha già pronta la contromossa: un'ulteriore modifica al disciplinare, da portare a casa entro il 2018, che preveda, accanto al metodo Martinotti, anche il metodo classico

 

Il parere delle associazioni

I sindacati agricoli confidano in questa nuova avventura. Luca Brondelli di Brondello (Confagricoltura Alessandria) si dice ottimista: "Abbiamo in mano un prodotto concorrenziale su cui molte cantine hanno voglia di credere. Bisognerà sicuramente vedere come il territorio accoglierà questo Asti secco. E proprio sul territorio si dovrà concentrare il lavoro di comunicazione. Se i bar serviranno l'Asti secco invece che il Prosecco avremo fatto un passo avanti". Toni critici, invece, da un'altra grande associazione, la Produttori Moscato d'Asti, che conta oltre 3 mila soci. Il presidente Giovanni Satragno parla di "responsabilità morali" della governance consortile in questi anni e rimarca come il progetto relativo al fondo per la promozione sulla Docg sia ancora fermo al palo: "L'Asti ha bisogno di comunicare. Noi abbiamo creduto in questo progetto del secco, ma ci sarebbe voluta una campagna televisiva. Ricordo che oggi" sottolinea Satragno "la resa per ettaro a moscato è di circa 8.700 euro. In pratica, siamo sotto la soglia di sopravvivenza. E in un'annata come questa (-30% di raccolta uve: ndr) con un prezzo suggerito a 107 euro a quintale tutto si fa più difficile".

 

Ecco come si muovono le cantine

Quanto ci credono, invece, le cantine che finora fanno Asti secco? Fontanafredda, l'azienda di Serralunga d'Alba che produce anche Asti Docg, in seno al consorzio ha spinto molto per far nascere una moderna versione dell'Asti, proponendola in due tipologie diverse a seconda dei canali off trade e on trade. Come riferisce il manager Roberto Bruno, la produzione iniziale si aggira intorno a 120 mila bottiglie: "Siamo solo agli inizi del percorso. I primi riscontri a livello distributivo, dopo un mese e mezzo, sono positivi. Da un punto di vista qualitativo, abbiamo raggiunto buoni livelli, ma ci sono sensibili margini di miglioramento. L'Asti sarà l'unica bollicina al mondo a poter essere proposta nella versione dolce e in quella secca". Uno dei marchi particolarmente attivi è Duchessa Lia, brand di Cantine Capetta (16 milioni di bottiglie annue): "Prevediamo di imbottigliare 250 mila unità di Asti secco nel 2017" afferma il presidente Riccardo Capetta "abbiamo lavorato molto sull'eleganza del packaging e ritengo sia un prodotto interessante, che sta già ottenendo un buon riscontro nel pubblico femminile. E un certo interesse è dimostrato anche sul territorio sia tra i bar sia tra i ristoranti. Naturalmente, per non generare confusione con l'Asti dolce, occorrerà una giusta informazione e un corretto posizionamento a scaffale". Sulla versione secca si stanno muovendo anche importanti cooperative, come la Tre Secoli di Mombaruzzo (400 soci e altrettanti ettari a moscato): "Più etichette saranno sul mercato, più si creerà interesse verso questa nuova Docg", afferma il direttore Elio Pescarmona, ricordando, da un lato, come la crisi dell'Asti abbia sicuramente "sveltito il processo di rinnovamento", dall'altro, come l'esistenza di un "Asti asciutto" testimoni un precedente simile e soprattutto decennale: "In ogni modo, spero che l'Asti secco possa rinvigorire l'orgoglio dei produttori di essere padroni del loro territorio".

 

Progetti di comunicazione

Ma il Consorzio dell'Asti non si ferma e ha pronte diverse altre carte da giocare. Innanzitutto, ha coinvolto i venti chef stellati piemontesi che per le festività brinderanno nei loro ristoranti con l'Asti Docg. E ha annunciato il progetto la Dolce Valle, che a marzo 2018 sancirà l'alleanza tra Asti e Alba, con un programma di eventi che metteranno assieme la parte dolce del Piemonte. Si tratta di un patto tra Asti e Alba per valorizzare, in chiave turistica, le eccellenze del territorio: nocciole, torrone, cioccolato, miele, vini dolci, il distretto del panettone di Fossano. L'appuntamento è per gli ultimi due fine settimana di marzo 2018 con eventi che coinvolgeranno aziende, produzioni del territorio e consumatori.

 

a cura di Gianluca Atzeni

Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 23 novembre

 

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Il cocktail bar di David Muñoz con CircusXO a Londra (e il pollo fritto di Schmaltz)

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A un anno dall'esordio londinese con StreetXO, David Muñoz lancia il cocktail bar CircusXO, cucina liquida alla maniera del team XO. Intanto un team di chef molto noti in città ripensa l'idea di food truck e pollo fritto. 

CircusXO. La cucina liquida di StreetXO

Il primo impatto, scendendo nel seminterrato al numero 15 di Old Burlington street, Mayfair, è quello con un cocktail bar di impostazione tradizionale. Pavimento in parquet, gli sgabelli al banco, un gran numero di bottiglie affastellate a richiamare l'attenzione; l'atmosfera un po' rarefatta di un locale dove si vive di notte. Un cocktail bar londinese come se ne incontrano tanti muovendosi tra le pieghe di quella che gli addetti ai lavori riconoscono come la più dinamica capitale della miscelazione internazionale. La differenza, in questo caso, sta nella firma che aleggia sulla drink list di CircusXO, una dichiarazione di paternità evidente sin dalla scelta dell'insegna, almeno per i cultori di David Muñoz e della sua idea, provocatoria al limite dell'indisponente, di cucina. Un anno fa, lo chef spagnolo (unico tristellato a Madrid, anche a seguito dell'ultima edizione Michelin appena pubblicata) portava a Londra un format di grande successo come StreetXO, proposta contaminata di ispirazione urbana e dimensione complementare (e più economica) della formula DiverXO. Un'interpretazione di street food d'autore che ha fatto scuola – oggi sono moltissimi gli chef di alto lignaggio pronti a cimentarsi con stimoli pop, invogliati da nuove possibilità di business -e che Muñoz ha saputo spingere ai limiti per originalità della proposta e spirito dell'iniziativa, che non tradisce il suo approccio alla cucina. Nè l'idea di rompere gli schemi con ambientazioni eccessive, colori sgargianti e allestimenti sopra le righe, come conferma pure il locale di Mayfair, a immagine e somiglianza del modello madrileno.

I cocktail di David Muñoz

Da qualche settimana, però, chi vuole proseguire l'esperienza StreetXO nel dopocena, o semplicemente sperimentare l'ultima idea partorita da Muñoz in esclusiva per la capitale inglese (almeno per ora), può accomodarsi al piano di sotto, dove la proposta di miscelazione già presente in carta al ristorante trova una dimensione da protagonista che gli è più congeniale, specie tenendo conto della complessità della drink list. Accanto ai classici da cocktail bar internazionale, i twist on classics della casa conquistano la scena (range di prezzo dalle 12 alle 16 sterline) per l'originalità di ricette estremamente contaminate dal cibo e dalla suggestione di culture gastronomiche esotiche, Estremo Oriente in primis (leggere per credere gli ingredienti del Drinking Pekin Duck: mezcal, succo di lime, cetriolo, hoisin syrup e fondo d'anatra). Del resto, la “cucina liquida”, come la definisce Muñoz, è una componente importante del sistema XO, capace di mixare l'approccio alla miscelazione con le regole del mestiere da chef: “Chef's rules, barman's soul” è il motto della casa. A Mayfair il timone di comando dietro al banco è affidato al barman Nikolai Clerc, che si muove confidente tra spezie e ingredienti esotici, assecondando una tendenza molto in voga nel panorama della mixology londinese.

Schmaltz. Il truck del pollo d'autore

Sul versante gastronomico, intanto, continuano a fiorire idee che avvicinano il mondo della cucina d'autore a un pubblico trasversale, con la possibilità di ampliare gli orizzonti – economici in primis – della ristorazione convenzionale. A cimentarsi con un grande classico dello street food anglosassone, il fried chicken, ci pensano da qualche giorno gli chef riuniti sotto il cappello di Schmaltz, “non un'operazione nostalgica, ma un'idea che guarda al futuro”, precisano gli ideatori del brand. Nient'altro che un food truck di impatto (anche visivo) che si muove in città (a cominciare dal Broadgate Circle), con menu dedicato al pollo e alle sue molteplici declinazioni “da strada”, supervisionato da Angela Hartnett (scuola Gordon Ramsay) e Neil Borthwick e preparato, sul truck, da un team di chef molto conosciuti a Londra. Signature dish è il sandwich a forma di lacrima ripieno di pollo Label Rouge e ingredienti in abbinamento che cambiano secondo preferenza: la pelle croccante, una riduzione di carote, foglie di pisello, rafano, feta, salsa di funghi, maionese di parmigiano, foglie di cavolo... Ma il menu del giorno prevede pure zuppa di pollo con zampe confit e verdure di stagione, ravioli ripieni di pollo, insalate gourmet, pollo fritto. Tutto realizzato con ingredienti scelti, per un costo che non supera le 7 sterline a proposta. Il nome del truck, Schmaltz, fa riferimento al grasso chiarificato di pollo utilizzato nella cucina ebraica per friggere, ma l'idea è al contrario quella di alleggerire un'offerta solitamente associata al junk food, senza negargli il gusto del cibo di strada più tradizionale. Effetto “Michelin makeover”, lo definiscono loro, “un gruppo di cuochi stanchi dei soliti food concept”. Ancora una variazione sul tema del panino col pollo fritto, che tanto sembra stimolare l'immaginario dei grandi chef. A New York, provate quello di Fuku, da un'idea di David Chang.

 

CircusXO | Londra | Old Burlington street, 15

 

a cura di Livia Montagnoli

Il Rum è Servito, sesta edizione. Ron Zacapa protagonista a Padova, da Bistrot12

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Sarà lo chef Daniel Bertapelle a condurre i giochi il 28 novembre, quando la rassegna dedicata alla cultura del rum guatemalteco approderà a Padova, per celebrare il penultimo appuntamento della stagione. Ecco il menu della serata che esalta l'abbinamento a tutto pasto con Ron Zacapa. 

Si avvicina al termine il tour di Ron Zacapa, che per la sesta edizione dell'iniziativa Il Rum è Servito ha riproposto i suoi rum agli estimatori del genere, in occasione delle cene organizzate con la complicità del Gambero Rosso. La rassegna, che ha coinvolto alcuni dei migliori ristoranti d'Italia recensiti sulla guida dedicata alla ristorazione nazionale, ha dimostrato ancora una volta le potenzialità dell'abbinamento tra rum e cibo, prestando il fianco alla valorizzazione della cultura del rum, distillato molto apprezzato di cui spesso si ignorano origini e storia. Il gruppo guatemalteco, che da diversi anni collabora con Gambero Rosso, beneficia in questo caso della creatività di chef che non hanno paura di mettersi in gioco, presentando agli ospiti un menu studiato per l'accostamento – per concordanza o contrasto – con tre varianti della gamma Zacapa: Ron Zacapa 23 – gusto morbido e sentori di frutta tropicale e vaniglia – Ron Zacapa 23 Etiqueta Negra – più intenso, con note di cioccolato e spezie – Ron Zacapa XO – aroma di tabacco, caramello e cannella. Una sfida in cucina raccolta pure da Daniel Bertapelle, chef del Bistrot12 di Padova, che martedì 28 novembre ospiterà la penultima cena de Il Rum è Servito. L'approccio alla serata è lo stesso che informa ogni giorno la cucina del ristorante di via Sant'Andrea, materia prima selezionata, originalità nell'accostamento dei sapori, concretezza e intelligenza al servizio di una visione gastronomica concreta. Questo il menu degustazione proposto agli ospiti:

 

Carpaccio di pesce cobia

colatura di alici, kefir, polvere di trombette, tamarindo

Zacapa Gran Reserva 23

 

 

Ramen

tortellini, foie gras, mazzancolle, shitake

Zacapa Gran Reserva Edicion Negra

 

 

Agnello Merinos

zabaione salato al pecorino, alga nori, noci dell’ Amazzonia

Zacapa Gran Reserva Edicion Negra

 

 

Ananas, cocco e liquerizia calabrese

Zacapa X.O.

 

Si prenota direttamente ai recapiti del ristorante.

 

Bistrot12 | Padova | via Sant'Andrea, 12 | tel. 049 2050160 | www.bistrot12.it

 

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