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A Wong, cucina cinese d’autore a Londra. Intervista con lo chef Andrew Wong

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Neanche 5 anni fa, nella capitale britannica lo chef Andrew Wong apriva le porte del suo ristorante, con l’obiettivo di portare a Londra il gusto autentico della tradizione cinese. Oggi, vanta una Stella Michelin e una clientela di fiducia che continua a rimanere incantata dalle sue preparazioni. Tutta la storia.

Pimlico

Quando si parla di Regency, quello stile di stampo neoclassico che prende ispirazione dalle architetture georgiane, non esiste un esempio più fulgido di Pimlico, area londinese non lontano da Victoria Station. Una zona curata, celebre per i suoi giardini e i vicoli pittoreschi, le case in mattone dalle facciate bianche, ma di certo non conosciuta per la sua ristorazione. Un luogo di uffici, di hotel, catene di ristoranti e franchising, che fino a qualche anno fa non aveva mai puntato molto sulla gastronomia. Oggi, però, il panorama sta cambiando, e in una città cosmopolita e frenetica come Londra, diversi quartieri stanno sviluppando una loro ristorazione d’autore che nasce dalla contaminazione di culture e tradizioni differenti. Fra i primi a scommettere su Pimlico, nel 2013, fu Andrew Wong.

 

Andrew Wong

Lo chef

Classe ’82, cinese di origini ma inglese di adozione, Andrew trascorre tutta la sua gioventù a Londra, iniziando a lavorare nel ristorante di famiglia, un locale di cucina cinese tradizionale ricavato negli stessi spazi in cui oggi c’è A. Wong, il suo ristorante recentemente insignito con una Stella Michelin. Nato con l’idea di “celebrare la cucina cinese in tutte le sue declinazioni. Si tratta di una tradizione gastronomica variegata: ogni zona ha le sue ricette, e il mio obiettivo è quello di coniugare il meglio di ogni borgo e confine, prendendo ispirazione dalle diverse città”. Una tavola autentica, dai sapori netti, eleganti nella loro essenzialità: “Uso le ricette antiche come punto di partenza, e poi le alleggerisco, togliendo salse o mettendo qualche spezia in meno, in modo da mantenere il gusto originario del prodotto, pur avendo reinterpretato il piatto in chiave più moderna e fresca”. Uno studioso, Andrew, un ragazzo che ha da sempre vissuto fra i fornelli di casa e del ristorante, ma che per specializzarsi nella cucina della sua terra d’origine è volato fino a Hong Kong, dove ha appreso le tecniche base e le modalità di impiego dei tanti ingredienti locali.

 

A. Wong

La cucina

Ho molti ricordi d’infanzia legati al cibo. Uno fra tutti è quello di mia nonna in cucina, intenta a preparare melanzane ripiene e zuppe di ogni tipo. Riesco ancora a sentire il profumo”. Ed è proprio quell’odore, quella trama aromatica densa e intricata, che lo chef vuole riproporre nel suo locale. Dove si servono piatti di tradizione cinese, sì, ma con tanti ingredienti acquistati in Inghilterra: “Londra è un mercato vasto. Compro molto ai mercati di Chinatown, ma se servono ingredienti più particolari e difficili da trovare, allora li ordino anche da fuori”.

 

A. Wong

Il menu cambia a seconda della creatività di Andrew, non particolarmente legato alla stagionalità: “La diversità della cucina cinese mi consente di sperimentare con più prodotti, per cui non è difficile trovare un piatto adatto a uno specifico momento dell’anno. Ovviamente, poi, ci sono delle regole; non mi sognerei mai di servire delle fragole a novembre, per esempio!”. Ad accompagnare le specialità della casa, una carta dei vini dal respiro internazionale, contenuta ma cucita su misura: “Non abbiamo un sommelier professionista, piuttosto ci piace scegliere l’abbinamento ideale insieme ai clienti, che spesso ci danno consigli preziosi. È un percorso di crescita che stiamo facendo insieme, e ci piace l’atmosfera di convivialità che si crea in questi momenti”. Ma un buon vino adatto a una zuppa cinese quale può essere? “A me piace molto il riesling”.

La crescita

Cresce il quartiere, “mai stato un polo gastronomico, ma ora può fare affidamento su una schiera di giovani professionisti sempre più determinati”, e continuano a raccogliere l’entusiasmo del pubblico anche i dim sum, “credo che Londra sia una delle città dove la cucina cinese è riuscita a svilupparsi meglio, in maniera più autentica e sincera”. E cresce, di pari passo, anche il successo di A. Wong: “Il locale ha ingranato bene fin dall’inizio, e ha subìto un’evoluzione continua negli anni. Quando inizi un’attività devi avere le idee ben chiare, ma è solo col tempo che cominci a creare un tuo stile, molto anche grazie ai clienti, che diventano consumatori sempre più consapevoli”. Fondamentale è, infatti, il servizio: “Dobbiamo cercare di far capire agli ospiti cosa stanno mangiando, perché quel piatto è stato elaborato in quel modo, e che storia c’è dietro ogni ricetta. È un racconto fondamentale che consente di crea il giusto legame di fiducia con ogni commensale”.

 

A. Wong

Il design

Un ristorante essenziale nella cucina come negli arredi, minimal e giocati sui toni più freddi del bianco. Ancora per poco. “A dicembre ristruttureremo l’interno ristorante: ci siamo evoluti, e così deve fare anche lo spazio che ci ospita”. Un locale che, attualmente, Andrew definisce “funzionale” e che deve invece diventare “più caldo e accogliente”. 60 posti a sedere, 30 persone nel team fra sala e cucina, e un bar annesso ma separato dall’ala ristorazione, che vive in armonia con il resto del locale. “Io lo chiamo Hidden City Bar”, ovvero “bar nascosto della città”, “perché è completamente distaccato dal ristorante, pur essendo nella stessa struttura. Si trova al piano inferiore, dove c’è un’atmosfera diversa, più rilassata e informale, un bar dove i clienti possono rilassarsi dopo cena, sorseggiando un distillato, godendosi il dessert, ma anche un luogo perfetto per cominciare la serata, fra cocktail e aperitivi”.

 

A Wong, bar

Progetti per il futuro

Nuovo look, stessa filosofia, “cercando di concentrarci di più sull’abbinamento cibo/vino”, per un ristorante dinamico che non smette di stupire grazie all’umiltà di chi ne tiene le redini, un professionista capace e sicuro che non rinuncia a mettersi in discussione. E che pensa già alla prossima mossa: “Ho intenzione di aprire un secondo locale attorno alla metà del 2018, più incentrato sul cibo da strada cinese. Spesso si conoscono solo le ricette più famose, ignorandone altre più antiche e interessanti”.

A.Wong | Londra | 70, Wilton Road | awong.co.uk/

a cura di Michela Becchi


Peppe Guida: 8 piatti (+1) per raccontare la mia cucina

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La cucina secondo Peppe Guida: semplicità, sapore, prodotto. Lo chef dell'Antica Osteria Nonna Rosa di Vico Equense si racconta attraverso alcuni piatti straordinari.

Lui è il più interessante interprete della pasta secca. Quello che trasforma in piatti di alta cucina gli ingredienti più semplici, senza trucco e senza inganno. Niente elaborazioni da laboratorio chimico, solo prodotto e quel che si suol chiamare “manico”. Ovvero abilità, esperienza, sensibilità. Parliamo di Peppe Guida dell'Antica Osteria Nonna Rosa di Vico Equense, che qui ci illustra alcuni dei suoi piatti più famosi. Non quello che ormai si può a buon titolo considerare il suo signature dish, gli spaghettini all'acqua di limone e provolone del monaco, che ci siamo già fatti raccontare. Sono 8 ricette, spiegate in prima persona dallo chef, e corredate da suggerimenti e piccole digressioni. Ma sempre a partire dall'ingrediente base: la pasta. Protagonista di ben 5 degli 8 piatti che vi proponiamo.

Peppe guida

La Legge di Purezza della Pasta: 50 anni

C’è chi espone in etichetta, su alcune birre chiare prodotte in Germania, la totale aderenza della bionda alla Legge di Purezza emanata da Guglielmo IV di Baviera nel 1516 che prevede l’uso esclusivo di malto di orzo, acqua e luppolo. Anche in Italia abbiamo una Legge di Purezza della pasta (la n. 580 del 1967) che prevede l’uso esclusivo di semola (o semolato) di grano duro e acqua. Perché nessuno espone con orgoglio in etichetta la conformità a tale decreto di purezza della pasta made in Italy che compie quest’anno i suoi primi 50 anni? È il prodotto made in Italy che più di tutti identifica la tradizione gastronomica italiana amata nel mondo – e anche uno dei più imitati all’estero – e che i ristoratori italiani e gli chef migliori prendono un po’ sottogamba, anche se un recente sondaggio di Aidepi (Associazione delle Industrie del Dolce e della Pasta Italiane) commissionato a Doxa conferma che il 99% degli italiani mangiano la pasta e che quasi la metà (45%) la consuma ogni giorno. “Da sempre in Italia la pasta si ottiene a partire dalla semola di grano duro, l'unica ad avere quella tenacità che permette di tenere la cottura e di restare sempre al dente. Da 50 anni chiunque in Italia produca pasta destinata al mercato nazionale si impegna ad usare impasti preparati esclusivamente con semole (o semole integrali) di grano duro ed acqua, senza ricorrere ad alcun additivo. Altrove non è così”commenta Riccardo Felicetti, presidente dei Pastai di Aidepi. E mentre in Germania una nuova norma introduce per la birra l’uso di frumento e di zucchero di canna non permessi dall’editto di 500 anni fa, in Italia il grano duro resta sempre protagonista assoluto.

 

Peppe Guida. spaghetto soffiatoSpaghetto soffiato

Spaghetto soffiato

Ora sto lavorando sulla pasta soffiata. Riduci la pasta a semola e la cuoci con salsa di aglio dolce. La scoli e la stendi su silpat e la fai seccare per 15 ore a 45 gradi. Quindi la spezzi a mano e la friggitrice in olio di arachidi a 210 gradi. Prende forme bellissime... In 5 secondi soffia”. È uno dei benvenuto di Nonna Rosa.

 

Susci napoletano

 

1) Susci napoletano (spaghettone spezzato con crudo di mare)

Preparazione fresca e veloce che fa il verso a Oriente presentando però i sapori-bandiera della Penisola Sorrentina: vermicello (o spaghettone) e pesce appena pescato. La nota esotica è data dal pepe di Kampot (prodotto in Cambogia) che rimanda a preziose sfumature agrumate a chiudere il cerchio di un terroir dove gli agrumi danno aromi quotidiani.

Si fa cuocere la pasta frantumata in un fumetto leggero di teste e lische di merluzzo, si scola e si condisce con un soffritto delicato di aglio, olio e peperoncino” spiega Peppe “Si riempie con la pasta un ¼ di coppa Martini e sopra si dispongono fettine sottili di crudo di ricciola e tonno (in genere uso la pancia) e gamberi crudi sgusciati. Si finisce con qualche goccia di extravergine e un giro di mulinello di pepe di Kampot”.

 

Il segreto

Sembra facile, ma in realtà non è semplicissimo ridurre in pezzettini (tipo cous cous o orzo) il vermicello. Per non massacrarsi le mani, si avvolgono una ventina di fili di pasta in un canovaccio, si chiudono a caramella le due estremità e si scorre l'involucro per la lunghezza contro uno spigolo vivo del tavolo di cucina, facendo pressione ai due lati dell'involucro. Gli spaghettoni si frantumano in piccoli pezzi e sono pronti per essere bolliti.

Sfumatura di _zucchine_cozze_e_algheSfumatura di zucchine cozze e alghe

 

2) Sfumature di zucchine, cozze e alghe

Questa è una preparazione che utilizza gli scarti della raccolta delle zucchine nell'orto. Un piatto povero che, come tutta la cucina di Beppe, unisce mare e orto dando una parte da protagonista al mondo vegetale. Non è un caso se, a inizio del secolo scorso, i napoletani erano chiamati mangiatori di foglie, a indicare la grande familiarità culinaria con i prodotti della terra. “Il piatto” spiega Peppe “nasce dal continuo parlare e confrontarmi con mia madre:ci raccontava spesso come si preparavano le zuppe o i condimenti per le paste corte con i gambi delle zucchine. Così ho riflettuto su come utilizzare tutta la pianta”.

Protagonista di questo piatto è la zuppa di foglia e stelo di zucchina che si unisce alla sapidità iodata dell'alga che richiama il mare nella sua essenza, mentre le cozze ne esprimono la consistenza. Per le alghe: si fa sudare in olio in padella il cipollotto a listarelle, si aggiunge un pizzico di zucchero di canna, un filo di salsa di soia e una goccia di aceto. Quando il cipollotto è ammorbidito, si aggiungono le alghe e si fa stufare per 5 minuti aggiungendo un goccio di acqua se serve. Per la zuppa di zucchine: si sfibra il gambo che rimane attaccato alla pianta della zucchina (come si fa per sfilare il sedano), si taglia a pezzetti e si fa stufare in un po' di olio di oliva, cipollotti e aglio, si bagna con un po' di acqua e si porta a cottura; raggiunta la densità voluta, si frulla e si passa al setaccio. Le cozze, pulite, si fanno aprire in tegame all'impepata, in bianco.

Il piatto: in una fondina, si sistema mezzo cucchiaio di alghe, sopra va un po' di buccia di zucchina cruda tritata, si condisce con sale, pepe, olio e una spolverata di buccia di agrumi. Si dispongono le cozze sgusciate e si copre con la zuppa di gambi di zucchina. Guarnire con fiori di zucchina alla piastra e polvere di alici salate.

Ca'ramenCa_Ramen

 

3) Ca_Ramen

Da buon campano, amo tutto ciò che è zuppa. E adoro i ramen. Il nome di questo piatto vuole sottolineare come sia tutto a chilometro pressoché zero: 'Ca' sta per casa!” sorride il cuoco di Vico Equense “perché questa è una prova di ramen nata qui. Tempo fa andai a Milano e volli fare una full immersion nel mondo del ramen: entrai nel ristorante Osaka – uno dei migliori giapponesi in città – e ordinai i 5 ramen che erano in carta. Buoni, ma non da impazzire. L'idea del ramen mi ha riempito la testa per giorni e quando sono rientrato avevo già in mente come farne uno mio, che fosse di qui. Eccolo...”

 

Nel fondo della ciotola da ramen va un trito leggero di cipollotto e aglio; sopra del tonno marinato in sale, zucchero ed erbe aromatiche e affumicato in casa con legno di ciliegio. Sopra ancora, delle ciliege disossate (preferibile la varietà Ferrovia: grosse, scure e consistenti), si spolvera con della buccia verde cruda tritata di zucchina, e ancora sopra dei noodle di calamaro (tagliato a lamelle, scottato per 20secondi a 90° e intrecciato). Il tutto va irrorato con l'acqua delle cozze (filtrata) in cui sono state in infusione (a 55°) foglie di cavolo rosso per 7-8 minuti (finché non diventi celeste) allungata con del fumetto leggero di teste e lische di merluzzo.

Lumachine ai formaggiLumachine ai formaggi dolci

 

4) Lumachine ai formaggi dolci con zuppa fredda di san Marzano e olio al basilico

È la versione estiva di una rielaborazione dell'idea che sta a dietro a un piatto tradizionalissimo a Sorrento: la pasta al forno della domenica in cui si usano i formaggi dolci come ricotta e parmigiano, fiordilatte e caciocavallo. Io la ripropongo esaltando la freschezza degli ingredienti, senza il passaggio in forno”.

Si cuoce la pasta in acqua bollente salata, si scola e si farciscono le lumachine con un mix di ricotta, fiordilatte e caciocavallo aiutandosi con un sac-a-poche. Si prepara la zuppa: si fanno a pezzi i San Marzano e si condiscono a insalata, si lasciano riposare per qualche minuto, quindi si frullano e poi si passano al setaccio. Questa zuppa fredda va sul fondo del piatto, sopra si dispongono le lumachine ripiene e si condisce con gocce di olio al basilico realizzato scottando le foglie in acqua salata e subito passate in acqua e ghiaccio, quindi frullate con olio extravergine di oliva. Se si vuole un fluido più sottile, si passa al setaccio.

Orzo_di_semola_ai_pomodori_Orzo di semola ai pomodori

 

5) Orzo di semola ai pomodori, mascarpone, basilico e zenzero

Per questo piatto al momento utilizzo l'orzo di semola prodotto dal pastificio Di Martino... Per il Pastificio dei Campi abbiamo messo a punto una trafila in bronzo ad hoc e il formato che vedrà a breve la luce si chiamerà Semi di Annurca, perché forma e dimensione richiamano proprio i semi della nostra mela”. Peppe Guida introduce così uno dei piatti più golosi e particolari della sua cucina. “Pomodori, termine usato al plurale nel nome della ricetta” sorride lui “deriva dal fatto che protagonista qui sono i pomodori di scarto, quelli che la pianta non riesce a portare a maturazione: si usano tutti insieme per farci una salsa, la classica passata, che si conserva in bottiglia. In questa salsa si risotta la pasta dopo averla scottata leggermente in acqua bollente. Sul fondo del piatto si dispone un piccolo pesto di basilico e zenzero, sopra la pasta risottata e si condisce con un pomodorino giallo, uno nero e uno rosso, un pezzo di pomodoro cuore di bue e uno di San Marzano (passati sottovuoto per 3-4 minuti con un pizzico di sale e a 60°: devono solo intiepidire). Guarnire con gocce di mascarpone e foglie di basilico.

 

vermicelli_al_verde_su_verdeVermicelli al verde su verde

6) Vermicelli con cuore di bue acerbo, cacio e pepe

Anche questo è un piatto povero, nato da ingredienti di recupero. “Sì, utilizzo i cuore di bue verdi, quelli che non riescono a maturare sulla pianta. E ci faccio un gioco che a me piace molto tra l'acerbo del frutto e la dolcezza del formaggio” racconta Peppe “Tradizionalmente gli ultimi pomodori si fanno maturare lontano dalla pianta e poi si sbollentano in acqua e aceto e si conservano sottolio. Ed è tradizionale, in estate, anche la pasta fredda con i pomodori a insalata. Io unisco le due usanze: estraggo il succo di pomodoro acerbo, lo unisco a un leggerissimo soffritto di aglio e olio e ci finisco di risottare la pasta sbollentata in acqua per metà cottura: attenzione al sale, usatene pochissimo, perché la pasta viene poi mantecata in un buon pecorino romano. Io la servo con un filo di extravergine a crudo e un leggero brodo di pepe nero di Kampot”.

 

Brodo leggero di pepe nero

Peppe utilizza il pepe cambogiano di Kampot, che ha una bella spinta aromatica e richiama note agrumate. Ma si può fare con qualsiasi pepe, secondo il gusto. Per mezzo litro di acqua serve un cucchiaino di bacche di pepe (di Kampot) schiacciate: si chiude tutto in un sacchetto sottovuoto e si fa andare a 65° per 6 ore (in forno a vapore o in acqua); si filtra ed è pronto il brodo.

 

zuppa di pesce azzurro e limone

 

7) Zuppa di pesce azzurro e limone, patate e camomilla

È uno dei piatto storici di Nonna Rosa” sorride Peppe “e mi accompagna fin dalla nascita dell'Osteria. Oggi è l'antipasto in assoluto più richiesto nei banchetti e nei matrimoni che organizziamo. Hai presenta quando arriva qualcuno e ti chiede: vorrei una cosa leggere leggera, ho problemi di pancia... Beh, ho voluto dare un po' di sostanza al merluzzo e alle patate bollite della nostra infanzia” racconta, e poi continua con la spiegazione “Alla base c'è una patata bollita, schiacciata a forchetta e condita con olio di oliva. Sopra, la polpa di pesce azzurro cotta in un brodo di lische e teste di merluzzo, erbe e verdure, a 60° per 5-6 minuti, fuori dalla fiamma. Si condisce con emulsione di olio, succo di limone e menta. E si guarnisce con cuori di scarola riccia cruda e una spolverata di polvere di camomilla: si mangia con cucchiaio, pescando dal fondo... Tutti mi dicono che questo piatto li riporta al pesce bollito della mamma!”

 

Linguine_cozze_crude_e_bergamottoLinguine cozze crude e bergamotto

8) Linguine, battuto di cozze crude, limone e bergamotto

Mare e terra, profumi che si incontrano... Cozze, iodio, limone, agrumi: la sintesi degli aromi che questa terra regala e in cui la Penisola Sorrentina si riconosce. Un piatto-bandiera.

Si aprono le cozze a crudo e si fa scolare la loro acqua che si raccoglie e si tiene da parte” spiega il cuoco “In un tegame in cui entrino per lunghezza le linguine, si fanno sudare aglio e peperoncino, quindi si aggiunge l'acqua delle cozze e un po' di fumetto leggero di teste e lische di merluzzo. Si fanno bollire le linguine in acqua leggermente salata e si portano a metà cottura, quindi si passano nel tegame e si fanno risottare fino a cottura. Quando le linguine sono ben legate con la salsetta formata dal loro amido, aggiungo le cozze crude battute a coltello e si finisce la mantecatura. Si serve adagiando la pasta nel piatto sopra a una strisciata di maionese al limone. Si spolvera con polvere di bergamotto”.

 

Maionese di limone e polvere di bergamotto

Per la maionese, si inforna il limone a 160° per un'ora e mezza circa, se ne ricava la scorza che si monta al mixer con olio, quindi si regola di sale. Per la polvere di bergamotto, invece, si inforna l'agrume e si lascia bruciare finché la scorza non diventi tutta nera. Si spacca il bergamotto e si toglie polpa che si fa asciugare nell'essicatore e poi si frulla e si passa al setaccio: la polvere è pronta. Si può usare per condire frutti di mare e crostacei. O anche per dare una nota diversa a una semplicissima pasta in bianco all'olio extravergine di oliva.

 

Antica Osteria Nonna Rosa | Vico Equense (NA) | Pietrapiano, via privata Bonea, 4 | tel. 081 8799055 | www.osterianonnarosa.it

 

a cura di Stefano Polacchi

foto Francesco Vignali

Agroalimentare. Export verso il record dei 40 miliardi di euro nel 2017

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L'Italia migliora ma è ancora lontana dalle più alte posizioni della classifica. I dati stimati da Nomisma sui primi sette mesi del 2017 per l'export agroalimentare italiano. 

I 40 miliardi di euro non sembrano più un miraggio. Entro fine anno, l'Italia dovrebbe oltrepassare questo limite, grazie a un export agroalimentare che aumenta del 6%, trascinato da vino, salumi e formaggi, che si apprestano a chiudere il 2017 con incrementi tra i sette e i nove punti percentuali. Secondo le stime Nomisma agrifood monitor, il contributo maggiore a questo nuovo record nell'export agroalimentare arriverà proprio dai tre comparti simbolo del made in Italy. Un ulteriore progresso che si inquadra in un 2017 all'insegna della crescita economica per le imprese del settore, se si considera anche l'andamento positivo delle vendite alimentari sul mercato interno nel periodo gennaio-settembre (+1,1%).

Nel dettaglio, se si guarda più da vicino ai mercati esteri, le vendite italiane in quelli extra-Ue viaggiano a tassi di crescita più elevati, malgrado rappresentino poco più di un terzo delle vendite totali. A crescere in doppia cifra sono Russia e Cina, che tuttavia contano per circa il 2% sul totale italiano esportato. Ancora poco. Stabile l'export del periodo gennaio-luglio 2017 verso i principali clienti: Usa-Canada e Paesi europei.

Dalla produzione agricola alla distribuzione, al dettaglio e alla ristorazione, il valore aggiunto dell'intera filiera agroalimentare italiana, è stimato da Nomisma agrifood monitor in 130 miliardi di euro, pari al 9% del prodotto interno lordo italiano, con 3,2 milioni di occupati (13% del totale) e 1,3 milioni di imprese coinvolte. "Il valore aggiunto della filiera agroalimentare italiana" fa notare il reponsabile dell'area agroalimentare di Nomisma, Denis Pantini, "è cresciuto del 16%, contro un calo di oltre l'1% registrato dal settore manifatturiero e un recupero del 2% del totale economia, avvenuto in maniera significativa solamente a partire dal 2015".

Il resto del mondo

C'è da essere soddisfatti nonostante, nella speciale classifica dei top exporter, l'Italia non occupi posizioni di testa. Fanno meglio Usa, Olanda, Germania, Cina, Brasile e Francia. I motivi sono legati alla frammentazione del comparto agroalimentare italiano, con le imprese medio-grandi (con oltre cinquanta addetti) che costituiscono appena il 2% del totale, rispetto a Paesi come la Germania in cui questa percentuale è del 10%. L'attuale tessuto economico italiano, così com'è strutturato, condiziona la propensione all'export: 23% dell'Italia rispetto al 33% della Germania. Insomma, con 40 miliardi di euro, l'Italia migliora ma resta ancora lontana dai 59 miliardi della Francia e dai 73 miliardi della Germania. A questo occorre aggiungere che più del 60% dell'export italiano agroalimentare è appannaggio di quattro regioni (Veneto, Lombardia, Emilia Romagna e Piemonte), con il Sud che vale meno del 20%. Differenziale che "rischia di allargarsi ulteriormente anche in un 2017 favorevole ai prodotti del Made in Italy". Se, infatti, il Nord Italia è cresciuto di oltre il 7% nel primo semestre, il Mezzogiorno non è riuscito a raggiungere il 2 per cento.

 

a cura di Gianluca Atzeni

Elementi Tour 2017. A Milano vince la pizza cilentana di Paolo De Simone

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Un bravo pizzaiolo sa riconoscere la pizza ad occhi chiusi. E infatti una delle prove del contest Elementi, era proprio a prova “alla cieca” sull'impasto, per identificarne, farina, idratazione, lavorazione.

Trentasei pizzaioli da tutta Italia e un vincitore, Paolo De Simone della pizzeria Da Zero di Agropoli e Vallo della Lucania, che lunedì 13 novembre, nei bei locali di Cinema Teatro Trieste a Milano, si è conquistato il primo posto al contest Elementi Tour 2017 a suon di assaggi, degustazioni e blind test.

Due prove piuttosto tecniche e un'ultima performance, valutata con estrema concentrazione da una giuria ben equipaggiata, composta da gente che nella vita va avanti a pizza e qualcos'altro: Luciana Squadrilli, Barbara Guerra, Sara Bonamini (che scrive questo articolo), Renato Bosco e lo chef Edoardo Fumagalli, giovane cuoco del ristorante la Locanda del Notaio di Pellio Intelvi, vincitore delle selezioni italiane del premio internazionale S. Pellegrino Young Chef.

Farine e mulini in primo piano

La competizione che si è conclusa ieri sera a Milano è stata ideata e voluta dal Mulino Vigevano con il supporto di Così Com’è (linea di pomodori di alta qualità), nemmeno 12 ore prima di un grande evento firmato da un'altra azienda produttrice di farine in Italia: Pizza Up del Mulino Quaglia. Conferme che per i mulini italiani è un momento di grande fermento e risveglio. Sponsorizzazioni (libri, guide gastronomiche, eventi, pizzaioli, competizioni, trasmissioni tv), comunicazione spinta. Robe che a pensarle 10 anni fa saremmo stati tacciati di stregoneria. Origine, lavorazione e tipologia dell'ingrediente base poco interessavano, si trattava di grano e non si andava oltre. Farina come materia prima? È un'attenzione e un privilegio della comunicazione degli ultimi tre anni o poco più.

Oggi il mondo dell'arte mugnaia ha aperto nuove strade e opportunità, per le stesse aziende, per gli artigiani, che forse non sempre ne abbracciano il progetto con un credo consapevole, ma ben ne apprezzano i risultati. Così è tutto un fiorire di distintivi sulle giacche dei pizzaioli italiani, che più o meno responsabili ne diventano testimonial e garanti.

Insomma, qualcosa è cambiato: il prodotto pizza vive un momento di crescita e di inarrestabile rinascita. Che al di là del marketing e dei numeri, tanto rumore stia effettivamente funzionando? Senza trarre conclusioni ci limitiamo ad accogliere di buon grado i risultati culturali che tale fermento produce: circolazione delle idee, sensibilizzazione sui temi dell'alimentazione sana e conoscenza delle materie prime di qualità.

Momenti di incontro, di confronto, quindi, che portano a una crescita complessiva dei singoli professionisti e della comunicazione di settore.

La competizione

Ma veniamo ai contenuti della competizione. I trentasei concorrenti (pizzaioli piuttosto preparati provenienti da tutta Italia) accompagnati e presentati dalla brava Tania Mauri, hanno iniziato con un test alla cieca sull’impasto crudo: ne dovevano riconoscere tipologia di lavorazione, forza della farina e percentuale di idratazione. Poi ancora un assaggio dell’impasto cotto per riconoscerne la farina impiegata e, insieme, la degustazione dei principali prodotti legati alla pizza: pomodoro e mozzarella.

 

 

L’ultima prova ha visto i 10 pizzaioli rimasti impegnati nella composizione di un topping da abbinare a uno dei tre impasti messi a loro disposizione dal team tecnico di Mulino Vigevano: integrale, multicereali e di tipo 0.

Lo chef Edoardo Fumagalli ha selezionato 24 ingredienti e ai concorrenti è stata data la possibilità di combinarli al meglio, cercando di rendere la tonda personale, equilibrata e piacevole. Alla giuria il compito di valutare non solo il risultato finale della pizza, ma anche la tecnica di stesura, la cottura, la capacità di lasciare il banco di lavoro in ordine e pulito.

Il risultato

I dieci finalisti hanno realizzato un buon prodotto, senza però sorprendere nella preparazione dei condimenti. Buona in media la stesura, ben seguita la cottura, mentre c’è ancora molto da lavorare su ciò che va a finire sulla pizza. Dal taglio degli ingredienti, all’abbinamento basato sulle proprietà organolettiche del prodotto, al bilanciamento delle componenti su ogni singola pizza, spicchio dopo spicchio.

 

I vincitori

Non si è perso in inutili orpelli il vincitore Paolo De Simone della pizzeria Da Zero di Agropoli e Vallo della Lucania (da marzo anche a Milano) che con una lavorazione attenta dell’impasto, un utilizzo sapiente del forno ha conferito al disco maggior leggerezza. A condire: fiordilatte, ‘nduja di Spilinga, pomodorino giallo, pecorino romano e basilico. Per uno spicchio ben sostenuto, scioglievole verso il centro, deciso ed equilibrato nella scelta del topping. Paolo non è andato lontano, ha scelto degli ingredienti che lo facessero sentire a casa, certo senza rischiare troppo, ma con la garanzia di fare bene. Per noi non un nome nuovo, entrato direttamente con Due Spicchi nella guida Pizzerie d'Italia 2018 del Gambero Rosso. Nel locale di Vallo della Lucania lavorano con un blend di farine, anche in versione integrale, che include anche un grano coltivato in proprio non lontano dalla pizzeria, e altri di mulini locali. Lunghe maturazioni regalano piacevolezza e leggerezza. Territorio e presìdi Slow Food anche nei condimenti, come abbiamo avuto modo di constatare anche a Milano.

Al secondo posto Giuseppe Riontino della pizzeria Canneto Beach 2 di Margerita di Savoia, un giovane pizzaiolo da tenere d’occhio e terzo classificato Corrado Romano che ha conquistato Renato Bosco per la sua particolare e delicata tecnica di stesura.

Che il mondo della pizza ne giovi tutto.

 

a cura di Sara Bonamini

 

 

 

 

 

I 14 migliori indirizzi di Francia su Le Fooding 2018. Miglior tavola a Bidart, per l'Italia la pizza di Graziella

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L'edizione 2018 di Le Fooding, la prima dopo il matrimonio con Michelin, premia le migliori insegne dell'anno e offre un vademecum di 800 indirizzi gastronomici “di genere” per orientarsi tra Parigi e la Francia. Ecco i 14 premiati. Miglior tavola Elements, sulla costa atlantica. 

Nuova vita per Le Fooding

Ottocento ristoranti “di genere” a Parigi, e in Francia. Numeri e dichiarazione d'intenti della più celebre guida gastronomica indipendente francese, che quest'anno si presenta all'appuntamento annuale con la premiazione delle tavole più meritevoli con gli occhi puntati addosso, dopo l'accordo sottoscritto a settembre con la Michelin. Il sodalizio tra Alexandre Cammas, che il progetto Le Fooding l'ha ideato e cresciuto a partire dal 2000, e il più celebre editore gastronomico del mondo, aveva fatto storcere il naso a molti: nata nell'alveo di una certa ristorazione sperimentale, anticonformista e understatement, l'esperienza di Cammas ha finito per dare voce al fermento ristorativo parigino (e francese) più fresco, anticonvenzionale e alternativo alle insegne blasonate premiate invece dalla Rossa. Ha conquistato il suo zoccolo duro di lettori, orientando progressivamente le scelte di consumatori in cerca di consigli per tutte le tasche, tavole conviviali e locali ideali per mangiare da soli, offrendo un campionario di etichette estremamente personali e insolite. Così che, alla fine dell'estate, l'annuncio della partnership con il “nemico” ha fatto temere per il peggio, nonostante le rassicurazioni addotte da entrambe le parti, motivate a crescere insieme, mantenendo però la propria autonomia d'azione. Il 9 novembre, la pubblicazione della guida annuale (la raccolta cartacea delle recensioni disponibili tutto l'anno sul sito del gruppo, arricchita da contenuti e premi speciali) ha rassicurato gli animi. Del resto, Cammas era stato chiaro, l'accordo con Michelin garantirà al piccolo editore – dal 2008 in crescita costante, con 100mila copie vendute in Francia e un bel traffico online – nuove possibilità sul mercato internazionale, agevolando la pubblicazione della guida all'estero.

Le Fooding 2018

E allora perché non continuare a scommettere sulla propria identità? L'edizione 2018 della guida “più cool del mondo” si presenta a Parigi durante la cerimonia di premiazione al Folies et au Bouillon Pigalle, portando sul palco i 14 indirizzi “più rock”. Tra le pagine, però, celebra l'intera ristorazione francese, con classifiche sulle migliori novità dell'anno e focus su bar d'autore e ospitalità, oltre allo speciale sugli chef stranieri in cerca del “sogno francese”: molti, lo sappiamo bene, sono anche italiani. Non a caso, un anno fa, l'edizione 2017 della guida incoronava Giovanni Passerini miglior chef di Francia, a qualche mese dall'inaugurazione del nuovo ristorante in rue Traversière, oggi affermata e apprezzata tavola cittadina. Quest'anno, invece, si gioca in casa, con un palmares di nomi che celebra giovani realtà parigine, indirizzi consolidati in provincia e curiose chicche per feticisti gastronomici. La miglior tavola dell'anno, per esempio, bisogna andare a cercarla a Bidart, sui Pirenei Atlantici francesi. Elements è piccoli prezzi, prodotti locali, niente glutine, zuccheri aggiunti, formaggi e prodotti caseari. In cucina l'estro di Anthony Orjollet. Il premio Fooding d'amour (assegnato agli indirizzi del cuore), spetta parimerito a tre insegne: Le Comptoir à manger di Strasburgo, Otonali a Saint-Malo, Vivant a Parigi, il bistrot moderno di Pierre Touitou, 22 anni per 25 commensali da servire ogni sera. Ex-aequo anche per il premio “sophistroquet”, alle proposte gastronomiche più raffinate: a spartirselo, Ima (Rennes) e Eels, neobistrot fresco d'esordio dello chef Adrien Ferrand. Tra i riconoscimenti, anche il titolo alla miglior pizza, che si ferma a Parigi, Da Graziella, pizzeria napoletana tradizionale del X Arrondissement, inaugurata poco meno di un anno fa da Graziella Buontempo, con il supporto di Arnaud Lacombe. Ancora premi, per il Miglior bar d'autore – Combat a Parigi – e persino per la miglior pita greca: la più buona si mangia a Saint-Ouen, da Yaya.

 

I premi Le Fooding 2018

 

Miglior tavola: Elements, Bidart

Miglior bar a delices: Le Bar des Pres, Parigi

Miglior Pizza : Da Graziella, Parigi

Fooding d'amour:

Le Comptoir a manger, Strasburgo

Otonali, Saint-Malo

Vivant, Parigi

Miglior Sophistroquet:

Eels, Parigi

Ima, Rennes

Miglior ritrovo: Le Rocher de la Vierge, Tolosa

Miglior pita greca: Yaya, Saint-Ouen

Miglior rifugio gastronomico: Chez Lanchois, Sete

Miglior ospitalità di charme: Les Roches Rouges, St. Raphael

Miglior decor: Les grand verres, Parigi

Miglior bar d'autore: Combat, Parigi

 

a cura di Livia Montagnoli

I Maestri del Panettone a Milano, la Tenzone del Panettone a Parma. Il Natale è vicino

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Maestri pasticceri e panificatori da tutta Italia, tanti panettoni in assaggio, rigorosamente artigianali. Degustazioni, premi, incontri e riflessioni sul tema. Succede a Milano e Parma, il prossimo weekend. I nomi dei protagonisti. 

I Maestri del Panettone a Milano

La maratona dei panettoni è ai blocchi di partenza. Quando manca poco più di un mese a Natale, i laboratori di tanti maestri pasticceri e panificatori d'Italia lavorano già a pieno regime per assicurare la fornitura di panettoni delle feste. E le manifestazioni a tema, puntuali, si moltiplicano da Nord a Sud della Penisola, coniugando momenti di degustazione e incontro con i protagonisti, i sopra citati maestri artigiani, per l'appunto. All'esordio sulla scena milanese, che per tradizione è la piazza più prolifica di eventi sul tema, I Maestri del Panettone è la rassegna organizzata da Italian Gourmet al Museo della Scienza e della Tecnologia Leonardo Da Vinci, che per l'occasione mette a disposizione il nuovo spazio de Le Cavallerizze. Il 18 e 19 novembre, dalle 10 alle 18, 25 maestri del lievito in arrivo dall'Italia si ritroveranno in città per presentare i dolci tradizionali e le ultime novità in materia di grandi lievitati delle feste, allinenando oltre 100 variazioni sul tema. Tutti sono firmatari della Carta dei Maestri del Panettone, documento programmatico che in cinque punti sancisce i principi fondamentali del panettone autentico, dalla scelta degli ingredienti alla lievitazione, alla cottura (fondamentale l'ultimo punto, a sancire l'artigianalità della lavorazione: “il nostro panettone è fresco, e non dura per sempre”).

 

Il panettone artigianale

Ogni prodotto in assaggio (e vendita) sarà dunque privo di conservanti, semilavorati e aromi artificiali, realizzato con materie prime di alta qualità e lievitato secondo ricetta tradizionale per 72 ore. Durante il giorno il pubblico potrà prendere parte a sessioni di degustazione guidata, e tutti i panettoni saranno disponibili al prezzo calmierato di 26 euro al chilo. Con tanto di “esemplari” in edizione limitata (solo 300 pezzi) venduti in confezione regalo autografata dai maestri. Tra le attività collaterali, laboratori mani in pasta per bambini, lezioni di impasto per adulti in compagnia di Ezio Marinato ed Ezio Rocchi, masterclass per riconoscere un panettone artigianale. E una fabbrica del panettone pop up che mostrerà i segreti di un laboratorio di pasticceria artigianale, con sei stazioni operative dedicate alle diverse fasi di produzione del dolce natalizio (rinfresco del lievito, primo impasto, secondo impasto, formatura, cottura e raffreddamento), e mini tour guidati ogni mezz'ora. Ma chi sono i protagonisti della festa? Tra i grandi nomi della pasticceria italiana, Sal De Riso col suo panettone al limoncello, Luigi Biasetto con la variante noci Pecan e vaniglia del Madagascar, Alfonso Pepe e il goloso panettone ai fichi bianchi. E poi Paolo Sacchetti, Renato Bosco, Salvatore Gabbiano, Claudio Gatti, Denis Dianin, Pasquale Marigliano, Vincenzo Tiri, Attilio Servi e molti altri. Ognuno di loro presenterà 4 proposte diverse – tante anche le ricette classiche - più una versione a tiratura limitata. 7 euro il biglietto d'ingresso, gratuito sotto i 12 anni.

La Tenzone del Panettone

Contemporaneamente, sabato 18 e domenica 19 novembre, va in scena una manifestazione collaudata (è la VI edizione) dedicata agli addetti ai lavori. La Tenzone del panettone è una sfida all'ultimo morso, che ogni anno porta a Parma i migliori panettoni della tradizione dolciaria artigianale. Compito della rassegna, promossa da Massimo Gelati e Vittorio Brandonisio, eleggere il Panettone artigianale dell'anno, con il gran finale della domenica, quando una giuria di 50 esperti valuterà i finalisti, fino a premiarne uno, il migliore. Altissima la partecipazione di candidati accreditati, dai veterani del settore (Gabbiano, Dianin, Galla, Servi) ai talenti più giovani (Tortora, Tramontano), alle donne che tengono alto il nome della pasticceria al femminile. Tutt'intorno degustazioni, incontri, show cooking. Nel 2016 il premio è andato al panettone in vasocottura di Denis Dianin. Chissà che quest'anno non torni a trionfare un prodotto tradizionale.

 

I Maestri del Panettone | Milano | Museo della Scienza e della Tecnologia | il 18 e 19 novembre, dalle 10 alle 18 | www.imaestridelpanettone.com

La Tenzone del Panettone | Parma | Circolo il Castellazzo | il 18 e 19 novembre | www.tenzonedelpanettone.it

 

a cura di Livia Montagnoli

Voci dal Master. Dove mangiano gli chef quando sono all'estero

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È la prima prova degli allievi del Master in Giornalismo e Comunicazione d'Impresa dell'Enogastronomia del Gambero Rosso. Sono usciti dalle aule per incontrare i nostri grandi chef.

L'occasione è stata la presentazione della guida Ristoranti d'Italia 2018. Per gli studenti del Master in Giornalismo e Comunicazione d'Impresa dell'Enogastronomia del Gambero Rosso è stata la loro prima prova scritta. E gli abbiamo chiesto di farsi raccontare, dagli chef premiati nella guida, quali sono i loro ristoranti del cuore all'estero.

Secondo voi come se la sono cavata?

Emanuele Scarello

Michela ed Emanuele Scarello

 

Emanuele Scarello

Agli Amici dal 1887 | Udine

a cura di Francesca Carlini

 

Chef il suo si può definire un ristorante di confine tra Italia e Slovenia, ma dove preferisce mangiare quando è all’estero?

Se viaggio per lavoro cerco sempre di trovare il tempo di godermi una tavola importante, dove tutto è pensato per farmi stare bene: il pranzo o la cena diventano un’occasione per conoscere uno chef talentuoso e per concedermi una pausa di assoluto piacere. Uno dei pranzi più emozionanti in questo senso è stato Eleven Madison a NY. Quando viaggio sono curioso, assaggio di tutto, mi piacciono il rigore francese e la fantasia spagnola, adoro la capacità di valorizzare gli ingredienti dei nuovi cuochi sudamericani.

 

Secondo lei quali ristoranti nostrani sono degni di nota?

Amo la cucina italiana, un caleidoscopio di biodiversità, fantasia e interpretazioni. Preferisco sempre i ristoranti familiari, quelli dove appena entri ti senti bene accolto: sono i luoghi dove percepisci subito che il fare cucina e il fare ospitalità sono, in fondo, la stessa cosa. Quando sono in vacanza preferisco le destinazioni di mare. Amo le tavole dove si valorizza la materia prima locale, magari in modo semplice e immediato, l’importante che sia onesto e genuino. Un posto del cuore è sicuramente Marina a Cittanova.

 

Agli Amici dal 1887 | Udine | via Liguria, 252 | tel. 0432 565411 | www.agliamici.it

Eleven Madison Park | USA | New York | 11, Madison Ave | tel. +1 212 8890905 | www.elevenmadisonpark.com

 

Crtistoforo Trapani

Cristoforo Trapani

Magnolia dell’Hotel Byron | Forte dei Marmi

a cura di Lucia Savasta

 

Un giovane chef come te di sicuro ama viaggiare e sperimentare nuovi sapori, dove preferisci mangiare quando ti trovi all’estero?

Amo Francia, e con essa la sua cucina è sicuramente la mia preferita. Appena ne ho la possibilità non perdo occasione per concedermi un Tre Stelle francese. È una cucina che ha carattere, gusto, quando cucina un francese è sempre arte.

 

Se ti chiedessi quali sono gli chef stranieri che stimi maggiormente o i ristoranti esteri che vorresti sperimentare?

Vorrei vivere un’esperienza gastronomica a Lima, in Perù dallo chef Virgilio Martinez del ristorante Central, o da Gastòn Acurio, al suo Astrid y Gaston. In Thailandia da Gaggan Anand. E, anche se è italiano, lo Chef Pino Lavarra del Tosca del Ritz- Carlton di Hong Kong. Vorrei anche poter fare un viaggio gastronomico in Africa.

 

Magnolia | Hotel Byron | Forte dei Marmi (LU) | v.le A. Morin, 46| tel. 0584 787052 | http://www.hotelbyron.net/it/ristorante-la-magnolia-forte-dei-marmi/

Central | Perù | Lima  | Santa Isabel, 376, Miraflores | tel. +51 1 2428515 | www.centralrestaurante.com.pe

Astrid y Gaston | Perù | Lima | Av. Paz Soldán, 290 San Isidro | tel. +51 1 4422777 | http://www.astridygaston.com/

Gaggan | Thailandia | Bangkok | Lumphini | No.68/1, Soi Lngsuan, Ploenchit Road | tel. +66 2 6521700 | www.eatatgaggan.com

Tosca | Ritz- Carlton | Cina | Hong Kong | Level 102, International Commerce Ctr. | 1 Austin Road West | Kowloon| tel. +852 2263 2270 | http://www.ritzcarlton.com/en/hotels/china/hong-kong/dining/tosca

 

Igles corelli

Igles Corelli

Atman | Lamporecchio (PT)

a cura di Nicoletta De Rose

 

Quali sono i ristoranti che meritano la sua più sincera approvazione al di là dei confini del bel paese?

Il The Fat Duck di Londra, il Bo Innovation di Hong Kong, e il mai fuori moda ristorante de l’Hotel de Paris, Le Louis XV di Monaco.

 

Sembra avere le idee molto chiare: quali le motivazioni?

Mi affascinano la meticolosità rinomatamente scientifica del genio di Heston Blumenthal (The Fat Duck), l’eclettismo innovativo che guida gli estremismi stilistici di Alvin Leung, non a caso soprannominato “The Demon Chef” (Bo Innovation), e la lirica classicista di stampo mediterraneo di Alain Ducasse (Le Louis XV).

 

E per quanto riguarda i ristoranti italiani all’estero, qual è, a suo parere, il più valido che ha avuto modo di sperimentare di recente?

Ho avuto modo di godere di una magnifica esperienza gastronomica a Mosca, firmata Nino Graziano. Il ristorante si chiama Semifreddo, sua opera seconda che segue le orme dell’acclamato Mulinazzo siciliano. Nino è un maestro che sa come farsi avanti con eleganza e autenticità, e lo ha dimostrato più volte, a partire dall'esser stato il primo a fregiarsi in Sicilia dell’assegnazione di ben Due Stelle Michelin, per poi chiudere coraggiosamente bottega spostandosi fuori dall’Italia, fino al suo approdo in Russia, dove è riuscito ad imporsi come tesoriere di una cucina che sa essere espressione di un serio made in Italy.

 

I suoi evergreen, invece? Quali sono i ristoranti italiani in cui torna più volentieri?

Ho un debole per la cucina di Mario Batali, indubbiamente. Il suo è un talento che metterebbe d’accordo guelfi e ghibellini, a mio parere. Perciò, sarò onesto: ogni locale che porta la sua firma rappresenta per me una garanzia.

 

Atman a Villa Rospigliosi | Lamporecchio (PT) | via Borghetto 1, Loc. Spicchio – 51035 | tel 0572.1903678 | http://www.atmanavillarospigliosi.it

The Fat Duck | GB | Bray | High street | tel. +44 1628 580 333 | www.thefatduck.co.uk

Bo Innovation | Cina | Hong Kong | 60, Johnston Rd | tel. +852 28508371 | www.boinnovation.com

Le Louis XV | Monaco | Hotel De Paris | Place du Casino | tel. +377 98068864 www.alain-ducasse.com

Semifreddo-Mulinazzo | Russia | Mosca | Rossolimo str. 2 | tel. +7 4997664646 | http://semifreddo.ru

Babbo | USA | New York | 110 Waverly Pl | tel. +1 2127770303 | www.babbonyc.com

 

Francesco Apreda

Francesco Apreda

Imàgo dell’Hotel Hassler | Roma

a cura di Valeria Roberto

 

Con il suo lavoro ha girato il mondo. Quando si trova all’estero, in quali ristoranti preferisce mangiare e quali crede siano degni di nota?

Di ogni città alla quale sono legato ho i miei ristoranti, quelli in cui ritorno sempre. Ho vissuto a Londra per cinque anni e la mia tappa fissa è il ristorante Margot di Maurizio Morelli. Un altro luogo è sicuramente l’India. Qui invece, sono tanti i posti in cui mi piace andare a mangiare, ma per lo più sono tutti sconosciuti. Uno che potreste conoscere è Blue Frog a Mumbai dello Chef Rahul Akerkar - 28° degli Asia's 50 Best Restaurants 2013 – oppure, sempre dello stesso chef, Indigo. E poi c’è Tokyo, da cui manco da moltissimi anni, ma in particolare ricordo Acqua Pazza, dove lo chef proponeva una cucina italiana con prodotti giapponesi, un po’ quello che faccio ora io all’Imàgo.

 

Dopo quasi dieci anni che ha vissuto all’estero, ha riportato qualcosa dal suo viaggio nella sua cucina?

Assolutamente. Uno dei piatti principali del mio menù: le capesante, è nato proprio a Tokyo. Qui ogni mese presentavo un menù degustazione, sempre con prodotti italiani e l’ultimo che feci si chiamò i “Colori di Napoli nei piatti”. Mi inventai questa capasanta ripiena di mozzarella di bufala con tartufo nero. Quest’anno dopo dieci anni di ristorante Imàgo ho ripreso i piatti più importanti, tra cui la capasanta, dandogli un input diverso, al posto della classica impanatura alla milanese, ho usato il poa, lamelle di riso indiano essiccato che assieme al panko si aprono e sembrano diventare delle squame. Anche in questo piatto c’è stata evoluzione, mi piace prendere questi piatti storici e dargli uno stimolo diverso, ma senza cambiare quello che è il suo contenuto iniziale, la sua veridicità e il suo sapore.

 

Imàgo all'Hotel Hassler |Roma | p.zza Trinità dei Monti, 6 | tel.06.69934726 | www.imagorestaurant.com

Margot | GB | Londra | 45 Great Queen St | tel. +44 20 3409 4777| http://www.margotrestaurant.com/menu#menu--504252

Blue Frog | India | Mumbai | D 2, Mathuradas Mills Compound, Lower Pare | tel. +91 22 40332300

Acqua Pazza | Giappone | Tokyo | 5-17-10 Eastwest B1F | 150-0012 Shibuya | tel. +81 3 54475501 | http://www.acquapazza.co.jp/

 

Valeria Piccini

Valeria Piccini

Da Caino | Montemerano (GR)

a cura di Damiano Del Bianco

 

Quale cucina, oltre a quella italiana, ritiene interessante e degna di nota?

Premetto che è un po’ che non vado all’estero. Le cucine che conosco meglio sono quelle europee, in particolare quella spagnola e quella francese. Sono stata anche in America ma non sono rimasta particolarmente colpita, forse perché non sono stata da nessun grande.

 

C’è qualche ristorante in Spagna e in Francia che ricorda meglio di altri?

Ricordo con piacere una cena al Mugaritz di Luis Andoni, ma si parla davvero di tanti anni fa. Lui nel tempo è cresciuto molto e mi piacerebbe tornarci, spero presto.

 

Che differenza ha trovato con la cucina italiana?

Sicuramente dietro la cucina spagnola c’è un grande studio, ma non per questo i cuochi italiani sono da meno, anzi. Non voglio sottovalutare la cucina italiana che negli ultimi anni ha fatto dei grandissimi passi avanti: i giovani cuochi stanno studiando e crescendo molto in fretta, stanno lavorando sulla tecnica, sulla materia prima e su tutto quello che ci serve per fare una cucina d’eccellenza.

 

C’è qualche prodotto straniero che invidia alla cucina estera e che vorrebbe avere in Italia?

No, anche perché ormai in Italia si trova qualsiasi cosa. Inoltre nel nostro Paese abbiamo tanti prodotti locali e della tradizione che vanno valorizzati nel miglior modo possibile; ed è quello che stiamo cercando di fare noi, lavorando sulla materia prima del territorio. Poi se qualcuno preferisce lavorare su prodotti stranieri nessun problema, anche se credo che il meglio che si possa fare è valorizzare le nostre eccellenze.

 

C’è qualche ristorante all’estero dove vorrebbe andare?

Si, mi piacerebbe provare la cucina del ristorante Alinea di Grant Achatz a Chicago e l’Eleven Madison Park di Daniel Humm a New York. Magari per il mio compleanno riusciremo ad andarci, anche se è un po’ lontano.

 

La cucina orientale non la incuriosice?

Non più di tanto, ho assaggiato qualcosa ma non sono mai stata in Asia quindi non la conosco

abbastanza per poterla giudicare.

 

Da Caino | Montemerano (GR) | via della Chiesa, 4 | tel. 0564 602817 | http://www.dacaino.com/

Mugaritz | Spagna | Paesi Baschi | Guipúzcoa | Errenteria | Aldura Aldea, 20 | tel. +34 943 522455 www.mugaritz.com/

Alinea | Usa | Chicago | North Halsted Street, 1723 | tel. +1 312 8670110 | www.alinearestaurant.com

Eleven Madison Park | Usa | New York | Madison Avenue, 11 | tel. +1 212 8890905 | www.elevenmadisonpark.

 

Ciccio Sultano

Ciccio Sultano

Duomo | Ragusa Ibla

a cura di Simona Celona

 

Dove preferisce mangiare quando si trova all’estero?

Chiariamo subito che mangiare all’estero significa per me già andare al ristorante a Milano o a Roma. Ma se vogliamo parlare dell’estero che intendono tutti ho avuto il piacere di assaggiare la cucina di Luca Fantin, chef presso Bulgari Ginza Tower di Tokyo; quella del mio conterraneo Nino Graziano, con i suoi 16 ristoranti in Russia tra cui il Semifreddo Mulinazzo; i tre 8½ di Umberto Bombana a Hong Kong Shangai e Macau e infine Enrique Olvera, chef e proprietario del Pujol di Città del Messico.

 

Quale tra i quattro ristoranti citati ritiene degno di maggiore nota?

Noi abbiamo un grande fardello che è quello della tradizione, una tradizione che per diventare un pregio dobbiamo tradire ma anche tradurre e Luca Fantin lo fa a pieno: si confronta e pensa italiano non dimenticandosi di trovarsi all’estero. Il risultato? Una cucina “italiana” con tutte le materie prime nipponiche senza tradire però il Carnaroli, il Grana e l’extravergine.

 

Lascerebbe la sua Sicilia per lavorare all’estero?

Presto mi vedrete al fianco di Bombana dietro le sue cucine tra Shangai e Macau, ma la mia Terra non la lascio, non l’ho mai lasciata neanche quando sono stato all’estero per lunghi periodi di lavoro. Anche nel mio Duomo posso confrontarmi con persone che vengono da tutto il mondo.

 

Cosa significa per lei andare a cena?

Andare a cena è un evento che giustifica l’uscire di casa. Ecco perché i miei piatti devono fare divertire. A chi viene a mangiare nel mio ristorante devo offrire una esperienza simile a quella del cinema o del teatro.

 

Un aggettivo per definire i suoi piatti?

Generosi. Una caratteristica peculiare di noi siciliani. Un aspetto di cui vado molto orgoglioso; una generosità anche nel dare me stesso.

 

Il Duomo | Ragusa | via Capitano Bocchieri, 31 | tel. 093 2651265 | www.cicciosultano.it

Bulgari Ginza Tower | Giappone | Tokyo | Ginza Tower 2-7-12 Ginza, Chuo-ku | tel +81 3 6362 0555 | https://www.bulgarihotels.com/it_IT/tokyo-osaka-restaurants/tokyo/il-ristorante

Semifreddo-Mulinazzo | Russia | Mosca | Rossolimo str. 2 | tel. +7 4997664646 | http://semifreddo.ru

81⁄2 | Cina | Hong Kong | Shop 202, Landmark Alexandra | 18 Chater Road, Central, | tel. +852 25378859| http://www.ottoemezzobombana.com

81⁄2 | Cina | Shangai | 6F, 169 Yuanmingyuan Road| tel. + 86 21 60872890 | http://www.ottoemezzobombana.com/shanghai/

81⁄2 | Cina | Macau | 1031, 1/F, Galaxy Macau™ | tel. +853 8886 2169 | http://www.ottoemezzobombana.com/

Pujol | Messico | Città del Messico | Polanco | Calle Tennyson 133, Polanco IV Sección | tel.  +52 55 45 4111 | https://www.pujol.com.mx/

 

Luca Lacalamita

Enoteca Pinchiorri | Firenze | Patry chef dell'anno

a cura di Paola Guerrieri

 

Cosa pensa della cucina italiana all'estero?

Il mio primo approccio con la cucina italiana all'estero è avvenuto a Londra, dove ho lavorato dopo il diploma. Lì ho notato che c'è molta attenzione verso la materia prima, importata direttamente dall'Italia per garantire massima qualità. Basti pensare che spesso c'è una sorta di corsa all'ingrediente che purtroppo non si trova nemmeno in Italia.

 

Quale ristorante al di fuori dell'Italia crede sia degno di nota?

Personalmente ho provato 8 1/2 Otto e Mezzo Bombana ad Hong Kong e l'ho ritenuta un'esperienza gastronomica di alto livello.

 

Ci sono altri Paesi, a suo avviso, dove ricercare buona cucina italiana?

A oggi penso che si possa trovare una buona cucina italiana a Londra ed anche a Parigi. La Francia, in effetti, non è da disdegnare visto che tantissimi giovani talenti si sono trasferiti lì per rappresentare la tradizione italiana. Mi viene in mente Giovanni Passerini che ha fatto della pasta un suo punto di forza.

 

Enoteca Pinchiorri | Firenze | via Ghibellina | tel. 055 242757 | http://enotecapinchiorri.it/

81⁄2 | Cina | Hong Kong | Shop 202, Landmark Alexandra | 18 Chater Road, Central, | tel. +852 25378859 http://www.ottoemezzobombana.com

Passerini Restaurant & Co | Francia | Parigi | 65, rue Traversière| tel. +33 1 43 42 27 56 | http://passerini.paris/

 

Philippe Léveillé

Miramonti L'Altro | Concesio (BS)

a cura di Elisabetta Gnani

 

Quando sale su un aereo e supera le Alpi sa già in quale ristorante si recherà non appena atterrato?

Mai; a meno che non sia invitato da un amico. Non mi piace fare programmi in tal senso.

 

Tra un ristorante che conosce e uno che non conosce quale sceglie?

Il secondo. Selezionare un Tre Stelle Michelin è molto facile; è come costruire una carta dei vini utilizzando solo grandi etichette. Io, quando viaggio, preferisco immergermi nelle piccole realtà e affidarmi totalmente all'intuito. Credo che questo sia l'aspetto geniale del nostro mestiere che non può prescindere dalla ricerca.

 

Il suo consiglio?

Affidatevi alla curiosità. La scorsa estate, tanto per fare un esempio, sono stato in Bretagna con alcuni amici. In quell'occasione ho scoperto un ristorantino di cui non avevo mai sentito parlare e che ho scelto solo perché colpito dai colori del portone d'ingresso. Era particolare. Mi sono lasciato sedurre e ho fatto bene perché i piatti che abbiamo mangiato erano incredibili.

 

Dunque preferisce emanciparsi dai fantasmi dell'abitudine?

Si perché solo in questa maniera mi espongo a nuove possibilità. Ultimamente vado spesso in Asia. Adoro camminare da solo e scovare elementi in grado di rapirmi. A volte mi capita di entrare in posti molto brutti; del resto brutto non significa non buono. Cosa importante: non ho allergie e questo mi rende libero.

 

I suoi piatti prendono spunto da queste esperienze?

La maggior parte

 

Tipo?

Volevo essere un pomodoro. La tartare di gamberi rossi ha un lieve significato asiatico. Il lemongrass e lo zenzero hanno una pennellata delle mie esperienze ad Hong Kong

 

Cosa si aspetta quando entra in un ristorante?

Essere coccolato

 

Miramonti l'altro | Concesio (BS) | via Crosette, 34 | tel. 030 2751063 | www.miramontilaltro.it

 

Michele Biagiola

Michele Biagiola

Signore te ne ringrazi |Montecosaro (MC) | La novità dell'anno

a cura di Elena Spisni

 

Agli inizi della sua carriera ha svolto tre tirocini in Francia. In che modo queste esperienze all’estero hanno influenzato l’elaborazione della sua attuale idea di cucina?

Io fondamentalmente mi sento un autodidatta. I tirocini mi hanno fornito le tecniche che mi hanno permesso di sviluppare il mio concetto di cucina. Sono strutture che formano sulla base però delle proprie idee e origini. Imparando più tecniche possibili si riesce ad ottenere una trasformazione che magari si ha già in mente ma non si riesce ad attuare”.

 

Quando si reca all’estero, quali paesi predilige in termini di ristorazione e offerta enogastronomica?

Per quanto riguarda la ristorazione internazionale Londra. Per la ristorazione radicata la Francia. Poi per il modello, i ritmi che si vivono all’interno della cucina la Spagna. Tuttavia, pur avendo girato molti paesi, penso che in ogni cucina ci sia, anzi, ci debba essere la personalizzazione.

Purtroppo sta avvenendo un processo di globalizzazione anche ai fornelli ed io a questo fatto non mi voglio arrendere.

 

Quali sono per lei i ristoranti degni di nota?

Ogni zona del mondo ha le sue peculiarità e ci si deve concentrare su quelle, senza quantificarle. I nomi di ristoranti da citare sarebbero tanti e non me la sento di privilegiarne uno piuttosto che un altro. Mi concentro sulla cucina locale del paese senza osservare quale tra tutti dia più soddisfazioni.

 

Signore te ne ringrazi |Montecosaro (MC) | Via Bruscantini, 1 | tel. 0733 222273 | http://www.signoreteneringrazi.it/

 

 

Pasquale e Gaetano Torrente da Fico. La video intervista doppia agli artigiani del cuoppo

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Aprirà ufficialmente le porte al pubblico oggi, mercoledì 15 novembre (alle 16.30), l'attesissima Fabbrica Italiana Contadina di Oscar Farinetti. E nello sconfinato parco del cibo nato dal nulla alle porte di Bologna ci sono anche i Torrente's: padre a figlio al servizio del cibo artigianale. E fritto.   

Pasquale e Gaetano Torrente, e la cuopperia concepita a Cetara - “la prima cuopperia al mondo” ribadisce orgoglioso papà Pasquale - pronta a conquistare la Pianura Padana. Sugli obiettivi e gli scenari possibili che accompagnano l'apertura di Fico – Eataly World abbiamo scritto in occasione della presentazione alla stampa, qualche giorno fa. Oggi il grande parco del cibo ideato da Oscar Farinetti con il sostegno di Coop apre ufficialmente le porte al pubblico. E per i primi visitatori della Fabbrica Italiana Contadina, forse sopraffatti da cotanto bombardamento di contenuti, messaggi (promozionali e non), prodotti ed esperienze sensoriali, stringere tra le mani un cuoppo croccante, appena fritto dal team dei Torrente's, potrebbe rivelarsi una rassicurante parentesi golosa. Quello che si dice comfort food, anche se Pasquale rifugge il ricorso a espressioni che non rappresentano a pieno l'italianità: “Qui valorizziamo l'Italia, e in questo senso Fico è proprio fico”.

L'aveva detto lui, a Oscar Farinetti, quando 5 anni fa gli propose per la prima volta il progetto (come racconta con la sua enfasi colorita nella nostra video intervista). La cuopperia d'asporto – ma si può anche consumare al tavolo – è, del resto, una delle poche realtà autenticamente artigianali del parco, progettata da Costa Group in stretta collaborazione con i Torrente, “per portare personalità in un non posto che deve diventare posto. I nostri colori, i piatti in ceramica vietrese, la grafica curata nel dettaglio”. Il sogno di una vita che finisce per incarnare “un'idea di politica concreta, dare lavoro alla gente e proporre buon cibo a prezzi accessibili”.

Quello che succederà nella friggitoria di Fico lo racconta meglio Gaetano, diviso tra Roma e Bologna per dirigere i lavori: “A Cetara nel cuoppo serviamo solo pesce azzurro. Qui proporremo la frittatina di pasta, la pizza fritta, il calzone, la montanara”. E poi polpette patate e baccalà e fritto di paranza, sarde e alici con la provola. Con il pescato dell'Adriatico – dalla pescheria di Fico, fresco tutte le mattine – e una sorpresa in fase di studio, le tagliatelle fritte in omaggio alla tradizione bolognese: “La pasta ripassata esiste da sempre, non stiamo inventando nulla”, racconta Pasquale. Un buon fritto d'autore è già una garanzia che vale il viaggio.


Dove comprare il tè a Firenze: 3 negozi seri e specializzati

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La Via del Tè è marchio noto in tutto lo Stivale, presente in diversi bar e caffetterie d'autore, oltre a essere scelto da chef e ristoratori per i loro locali. Ma nel capoluogo fiorentino ci sono altri 2 indirizzi dedicati ai tè pregiati da appuntare in agenda.

La Via del Tè

Alfredo Carrai è un grande appassionato di tè che crede fermamente nel potenziale di questa bevanda. Così tanto che, da giovanissimo, sceglie di intraprendere una strada poco battuta, accettando una sfida rischiosa, quella di far conoscere agli italiani il mondo del tè. L'azienda nasce nel '61, e si sviluppa sempre di più negli anni grazie allo studio continuo di Alfredo, che approfondisce l'argomento attraverso i suoi viaggi in Cina, in India, e nei vari Paesi produttori alla ricerca dei tè bianchi o delle foglie pregiate dello Yunnan e di Darjeeling. Un percorso lungo e intenso, quello dalle prime confezioni a marchio SNAKE (poi modificato in SNAK) alle importazioni dei tè nelle confezioni dei paesi d'origine, che ha portato, negli anni '80, alla creazione del brand La Via del Tè, scelto in omaggio alla tradizione giapponese del Chano-yu, che trova nel Chado - "la via del tè" appunto - il suo fondamento. A distanza di più di cinquant’anni, l’azienda familiare – in cui ognuno dei figli guida un settore - è animata dalla stessa passione degli inizi. A rendere celebre la realtà negli anni, le miscele, che coniugano fra loro diverse origini, dalla Cina al Giappone, dall'India allo Sri Lanka. “La consapevolezza dei consumatori sta aumentando, e lo vediamo anche e soprattutto dalla crescita delle vendite online. Per un paese di bevitori di caffè come l'Italia, è una grande conquista”, spiega Lucrezia de Bernart, responsabile marketing dell'azienda.

 

La via del tè

La Via del Tè | Firenze | piazza Lorenzo Ghiberti, 22/23r | tel. 055 2344967 | www.laviadelte.it/

Mago Merlino Tea House

Più di 40 anni nel settore, con l'intento di proporre sempre i tè più pregiati e ricercati. Da Mago Merlino non si fanno compere, ma si viene per degustare e provare l'antico rituale del tè, godendosi un momento in pieno relax fra pasticcini secchi e bevande di qualità in un ambiente curato nel dettaglio e dallo stile insolito. La regia è quella di Rocco Iacopini, poliedrico proprietario del locale che nel 1977 ha deciso di aprire un luogo interamente dedicato agli infusi, con una selezione che include prodotti biologici e convenzionali, “dai tè classici alle miscele più particolari”. Ad accogliere gli ospiti, la sala dei cuscini, arredata con tappeti e tessuti esotici, e oggetti di design che si rifanno allo stile dell'estremo Oriente. Musica di sottofondo, luce soffusa e colori caldi accompagnano il momento del tè, una pausa all'insegna del relax ma anche della convivialità. A intrattenere i commensali è sempre Rocco, appassionato di astrologia che si diletta anche nella lettura della mano (e dei fondi dei tè, ça va sans dire). Fra le specialità della casa, il Pu'Ehr, varietà di tè nero tipica dell'Asia prodotta con una fermentazione naturale che avviene conservando le foglie sotto terra per lunghi periodi. Da non perdere l'Aperitea, momento di degustazione pensato per abbinare la bevanda a piatti vegetariani.

 

Mago Merlino

Mago Merlino Tea House | Firenze | via dei pilastri, 31 r | tel. 05 5242970 | www.facebook.com/magomerlinoteahouseflorence/

Oro Nero

Una bottega incentrata su tè e cioccolato, nata dalla volontà di due sorelle, Elisabetta e Lucia Bellini, cresciute fra i profumi di queste specialità. “Abbiamo aperto 7 anni fa, con l'obiettivo di diffondere la cultura di questi prodotti a noi molto cari. Il tè è legato a nostra madre, che da sempre ci ha abituate a pasteggiare con la bevanda calda, mentre il cioccolato ci ricorda la nonna, che ha lavorato per oltre 20 anni per l'azienda Giocosa”. Una buona selezione di tè biologici, “in attesa di quelli biodinamici dalla Thailandia”, per un totale di circa 150 tè sfusi, più altre linee in bustina. Non possono mancare, poi, tutti gli accessori, dalle tazze alle teiere, “consiglio sempre ai clienti di acquistare una buona teiera in ghisa, che può essere appoggiata sulla fiamma diretta e mantiene bene il calore. Oppure una in terracotta; non serve molto altro per preparare una bevanda discreta a casa”. Tè bianco, matcha, verde, biologico, dal Giappone e dalla Cina, e poi cioccolato Amedei, Domori, Valrhona, e biscotti secchi. “Quello che cerchiamo di offrire ai clienti è uno sguardo nuovo sul mondo del tè. Spesso gli italiani collegano il consumo di tè al periodo di malattia, invece si tratta di una bevanda dal gusto pieno e aromatico, da assaporare in tanti momenti diversi della giornata”.

 

Oro Nero

Oro Nero | Firenze | Piazza Pitti, 1 r | tel. 05 52302473 | oronero-firenze.blogspot.it/

a cura di Michela Becchi

Dove comprare il tè a Milano: 6 negozi seri e specializzati

Dove comprare il tè a Bolzano e Merano: 3 negozi seri e specializzati

Dove comprare il tè a Bologna: 4 negozi seri e specializzati 

Vincenzo Mercurio: ecco il mio segreto per il Fiano

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Dei suoi vini non vuole che si riconosca che sono i suoi, ma solo la nitidezza di una fotografia fedele del terroir e delle persone che lo hanno creato. Ecco chi è Vincenzo Mercurio, l'enologo autore del Bianco dell'Anno.

La prima vendemmia sul Vesuvio, nel 1997, a sancire il legame con quel territorio e la sua famiglia, il nonno contadino e il ricordo di quelle vendemmie alle falde del vulcano. “Avevo un desiderio profondo di respirare quell'aria e lavorare su quella terra nera, applicando un po' di conoscenze sulle emozioni dei ricordi di infanzia”dice Vincenzo Mercurio enologo e wine maker.

Nel suo percorso, la laurea in Scienze e Tecnologie Alimentari con il professor Luigi Moio studiando gli aromi del vino con un focus sui maggiori autoctoni campani. Poi l'anno che l'ha segnato dal punto di vista scientifico e umano, in Borgogna, con il prof. Yves Le Fur dove affronta gli aromi dello chardonnay e le tecniche di studio sensoriali e analitiche, e dove frequenta il Dno (diplome national d'oenologue). Poi il rientro in Campania, per la specializzazione in Scienze Viticole ed Enologiche e per applicare quanto appreso in Francia da noi, in un'Italia all'epoca – era il 2001 - ancora molto indietro. Entra in Mastroberardino, dove rimane 6 anni “lì ho fatto una bella crescita” dice, e aggiunge “di ogni mia tappa ricordo soprattutto l'aspetto umano e culturale, il contatto con le persone che mi hanno trasmesso la filosofia di vita del viticoltore, dal contadino al grande imprenditore”.

Nel 2007 inizia la sua attività: “consulente in enologia e wine maker”. Parte in Campania ma si sposta presto in tutta Italia, con una dichiarata tensione verso il nuovo: si tratti di vitigni, terroir, culture gastronomiche, territori. “Mi piace incontrare persone e storie” dice “entrare nel territorio, impregnarmi dei suoi umori e delle tradizioni per trasferirli nel vino. Come una cartolina in grado di raccontare un paesaggio, così può essere in vino, se fatto con sensibilità”. Lavora su vitigni diversi, spesso rari “come il coda di pecora di Il Verro” talvolta vinificati da una sola azienda al mondo. “È meno facile” spiega “perché non ci sono pubblicazioni, protocolli o consigli cui fare riferimento”. Il bio, per lui, è una filosofia di vita, “è il mio modo di rapportarmi con l'ambiente”. Lo impone a modo suo, dolcemente:“ci sono riuscito con il 95% delle aziende, sto lavorando sul restante 5%”. Anche per ridurre i rischi cui è sottoposto chi con certi prodotti chimici ci lavora a stretto contatto, in vigna, magari del tutto ignaro dei pericoli.

le ali di mercurio - vincenzo mercurio

Oggi segue diverse aziende soprattutto al sud. Solo per fare qualche nome: Cantine Leonardo, Favati, Tenuta Sarno, Villa Diamante, Bambinuto, Cantine di Marzo (Tre Bicchieri per il Greco di Tufo) Stefania Barbot, De Gaeta, Fattoria La rivolta (Tre Bicchieri per la Falanghina del Sannio Taburno), Antiche Cantine Migliaccio, Masseria Falvo, Tenuta Parco dei Monaci, Masseria Faraona, Claudio Cipressi, Sant'Elena, Bosco dei Medici, Raffaele Palma. Ma la sua attività è molto più ad ampio raggio rispetto alla realizzazione di vini.

 

Con Le ali di Mercurio unisci al lavoro prettamente tecnico dell'enologo ad aspetti di comunicazione e marketing. È una tua vocazione o la figura dell'enologo sta cambiando in questo momento?

L'enologo deve fare l'enologo. Io faccio anche altro per una mia attitudine, perché vedendo alcune aziende che fanno cose straordinarie ma non si riescono ad affacciare sul mercato in un certo modo, mi è venuto spontaneo creare io l'occasione e le circostanze per le quali questo possa avvenire.

 

Spiegaci come è nata questa idea

Molti amici che hanno piccole aziende mi chiedevano di andare insieme alle fiere perché da soli non si sarebbero organizzati. Era il 2014, l'anno successivo è nato Le ali di Mercurio. Che è una specie di salotto virtuale - e non solo - per le cantine. Qui si incontrano, organizzano insieme degli eventi o dei viaggi studio in Francia o in Italia, condividono opinioni, discutono. È un luogo in cui crescere e far nascere nuovi progetti. L'idea del nome è di Ornella Tondini di Cupano, a Montalcino.

 

C'è anche una sorta di blog

Sì, lì raccolgo gli articoli sulle varie aziende, perché alcune non hanno siti aggiornati e neanche una rassegna stampa. Così ho pensato di farlo io. O meglio noi, perché ho chiesto a un mio collaboratore di seguire questa attività: io non posso, mi perderei, e preferisco perdermi tra vigna e cantina.

 

Quanti siete?

Tra 4 e 6 persone nel periodo vendemmiale, ma è un gruppo articolato, abbiamo collaboratori esterni, convenzioni con 2 università da cui arrivano degli stagisti, mentre io collaboro con il professore Moschetti della facoltà di Enologia a Marsala. Non sono un solista. Mi piace lavorare in gruppo, condividere il lavoro, e mi piace anche l'idea di poter dare lavoro e creare delle sinergie nel territorio: il territorio si deve nutrire della passione delle persone e dell'economia che si riesce a creare lì.

 

Non è finito qui, tu hai anche un'Accademia per enologi. Raccontaci come nasce

Osservando le aziende: anche nei grandi progetti, con investimenti consistenti, chi passa più tempo accanto al vino è il cantiniere, anche se magari c'è un enologo, del personale specializzato, un consulente. Mentre le piccole realtà spesso hanno personale che non ha studi specifici ma fa un po' tutto. Ho pensato proprio a queste figure e al fatto che potevano avere una formazione maggiore.

 

Quindi a chi si rivolgono i tuoi corsi?

Ai cantinieri, ai piccoli produttori, soprattutto quei vigneron che spesso sono persone che hanno cambiato vita e hanno bisogno di una formazione sul campo. Ma anche a chi ha alle spalle studi specifici ma non ha esperienza pratica. Si sono iscritti giovani che lavorano in cantina e vogliono approfondire, sommelier presi dalla smania di saperne cosa c'è dietro alla bottiglia, e due ragazzi che ambiscono a lavorare in una azienda vitivinicola e desiderano aumentare la loro formazione.

 

Spiegaci in che modo funzionano i corsi

Sono corsi teorici e pratici, in cui mostriamo e analizziamo il lavoro in cantina in ogni sua fase, evidenziando i punti critici, e quali sono i mezzi per controllare la qualità del lavoro. Nei corsi assaggiamo mosti e vini mettendone il luce le qualità o la perdita di qualità organolettiche, e tutte le operazioni, corrette o meno, da cui queste dipendono.

 

Per esempio?

Cose come errori di lavaggio, di controllo della temperatura, scelta dei tappi, alterazioni delle ossidazioni. Assaggiamo i vini e cerchiamo di individuare gli elementi chiave del loro processo di vinificazione. Poi studiamo due casi estremi, il migliore e il peggiore dell'anno.

 

In che modo si riesce a fare vini diversi a partire dallo stesso vitigno, magari in cantine vicinissime l'una all'altra?

È la prova del 9. Significa esprimere quello il terroir: suolo, vitigno e persone. Si ha lo stesso vitigno, ma cambiano persone e territori. In Campania, ma questo accade in molte parti di Italia, abbiamo suoli diversi anche a distanza di 100 metri. Basti pensare alle terre del Fiano, che tra i bianchi è uno dei vini che mi calza meglio come trama, cultura e fascino della componente aromatica. Ma questo vale per ogni vino.

 

A proposito di Fiano: l'anno scorso avete vinto i Tre Bicchieri con tre cantine: Tenuta Sarno, Villa Diamante e Favati. Mentre quest'anno quello de i Favati è stato il Miglior Bianco dell'Anno per la guida Vini d'Italia del Gambero Rosso. Come ci sei riuscito?

Per me è stato un riconoscimento alla capacità che ha il territorio e il nostro lavoro di produrre dei vini totalmente diversi, altrimenti non sarebbero stati considerati degni di stare sullo stesso banco di assaggio. Vini che derivano da suoli che hanno grandissime differenze dal punto di vista geochimico: si va dai 300 metri con esposizione nord a Candida su suolo ciottoloso calcareo, a Montefredane che ha un suolo con un'influenza più vulcanica, poi i terreni de i Favati (ad Atripalda) con una componente argillosa sabbiosa diversa, che deriva da un terreno alluvionale. Questo fa tanto, ma fa tanto anche l'approccio con le persone.

 

Spiegaci meglio

Il vino lo fanno gli uomini e le donne, entrare in una storia fatta di territorio e di persone, interpretarla nel vino, è la cosa più stimolante del mio lavoro. Per questo preferisco sempre far parte di un progetto preesistente, e che ci sia una bella idea che posso contribuire a realizzare.

 

Cosa intendi?

Poco prima di morire Antoine Gaita di Villa Diamante convinse la moglie Diamante a continuare a fare vino, le disse di chiamare me, che l'avrei potuta aiutare a portare avanti il loro progetto. Ero senza parole. Mi chiese con le lacrime agli occhi se avremmo potuto mantenere lo stile di Antoine. Antoine era un carattere forte, un vigneron che sperimentava molto, faceva vini a modo suo, che hanno lasciato una traccia profonda, e un segno nel cuore di moltissimi. Entrare nella sua cantina garage dopo che lui ci aveva lasciato è stato emozionante. Oggi Villa Diamante continua a fare dei vini che incarnano al 100% lo stile di Antoine. Non è la mia idea di vino, ma la sua.

 

Non vuoi che si riconosca che un vino è tuo?

No. Il desiderio più forte è che il mio vino – o meglio il nostro - sia riconoscibile per la capacità di riportare una storia e un territorio, che qualcuno riconosca un vino alla cieca perché restituisce una fotografia nitida delle caratteristiche del territorio e della cantina. Il mio sogno è che qualcuno possa dire che un ritratto così nitido, pulito e riconoscibile e quella componente emozionale potrebbero essere le mie.

 

Torniamo al Fiano: quale è il tuo segreto?

Seguirlo con dedizione. È un vitigno sensibile, risente delle attenzioni di chi gli sta intorno, non è come gli aromatici – malvasia, gewurztraminer o chardonnay – che dominano e se ne fregano anche degli errori di chi lo lavora. Col Fiano è più facile sbagliare, subisce gli umori delle persone, assorbe energia e tensione umana, per questo bisogna stargli dietro, assaggiarlo almeno 50 volte in un anno. Ogni operazione la decido accanto al vino, non esiste un protocollo, assaggio continuamente, dall'uva all'imbottigliamento.

 

La sensazione è che in Campania i grandi rossi, per esempio Taurasi, siano un po' indietro rispetto ai bianchi. Quale è la tua opinione?

Ci sono grandi margini di miglioramento. Assaggiando si incontra una bella percentuale di vini fatti bene (e non parlo dei miei, ovviamente) ma ce ne sono altrettanti che lasciano delle perplessità: macerazioni lunghissime con uve non perfettamente mature, un uso eccessivo di legni nuovi, vini potenti ma non eleganti; alcuni, invece, facevano fanno e faranno grandi rossi, ma sono pochi, non fanno numero.

 

Quale è la tua formula?

In molte aziende che sto seguendo abbiamo cominciato un percorso diverso rispetto al Taurasi, passando per la doc Campi Taurasini, per arrivare dopo due o tre anni di maturità al Taurasi. Sono convinto che sia una logica che può funzionare.

 

Come sta andando il vino campano nel mondo?

Dal 2012-2013 c'è un'esplosione di interesse per i vini del sud. Noi facciamo Vinitaly e ProWein e riscontriamo un crescente interesse degli importatori verso questi vini. Rappresentano valide alternative a vini più blasonati e costosi: il mercato si è accorto che esistono prodotti meno conosciuti ma di grande interesse qualitativo, culturale, e con un buon rapporto qualità prezzo.

 

Rispetto a quando sei stato in Francia, secondo te in cosa l'Italia è migliorata e in cosa è ancora indietro?

Dal 2001 a oggi, in Italia sono cambiate tante cose. Innanzitutto si parla di vino, mentre 15 anni fa, oltre al Gambero Rosso, non c'era quasi nulla. Oggi sono moltiplicati eventi, blog, degustazioni; forse anche troppo, ma è una fase: si passa per una saturazione e una sovraesposizione mediatica, per poi raccogliere le cose migliori. La qualità media è in crescita.

 

Le cose da migliorare, invece?

Manca aggregazione, alcuni consorzi sono uniti ma in molte zone l'unità non c'è. Perdiamo energia a farci guerra o bisticciare, non solo nel vino ma in tutti i settori. Eliminato quello, il resto viene da sé: se si ha un prodotto di qualità e un senso di appartenenza al territorio Italia si va più veloce.

 

http://www.lealidimercurio.it/

http://www.lealidimercurio.it/vincenzomercuriowinemaker/

 

a cura di Antonella De Santis

 

 

Gourmet Food Festival. Al Lingotto di Torino per imparare, fare, assaggiare con tanti chef e artigiani del gusto

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Tre giorni da non perdere, a Torino, per tutti gli appassionati che si avvicinano al mondo del cibo con curiosità, e voglia di imparare. Tanti assaggi, ma anche momenti di approfondimento con i professionisti del settore, per un weekend che celebra la festa del buon gusto. 

I numeri di Gourmet Food Festival

Il weekend alle porte, per la città di Torino, porta con sé un esordio nel segno dell'engastronomia di qualità. Raccontata con parole semplici e competenti, proposta in assaggio con il supporto di impeccabili professionisti del settore, spiegata bene per condividere con un pubblico di tutte le età – e le passioni più varie – una grande festa del cibo. Con quella leggerezza che nulla toglie all'impegno profuso per offrire un programma di approfondimenti quanto più diversificato, accattivante, educativo e goloso possibile. Tre giorni di fiera, 51 appuntamenti, 15 momenti dedicati all'assaggio, una settantina di relatori tra chef, pasticceri, barman, panificatori, pizzaioli, nutrizionisti, artigiani (temi e protagonisti sulla sezione dedicata). È questo l'universo di Gourmet Food Festival che prenderà forma al Lingotto Fiere di Torino, dal 17 al 19 novembre. Un progetto promosso da GL Events Italia, con la complicità del Gambero Rosso, che alla manifestazione garantirà l'autorevolezza maturata sul campo in oltre 30 anni di attività, e all'interno del festival – dotato di un ricco parterre di espositori, piccoli artigiani e belle realtà dell'agroalimentare italiano – metterà il proprio know how al servizio degli appuntamenti dell'Agorà.

 

Cos'è Gourmet Food Festival. Come orientarsi

Una piazza per ritrovarsi nel girone dei golosi, vero fulcro della manifestazione, pensata proprio per coinvolgere amatori e appassionati in un contesto, come quello di Torino, particolarmente recettivo alle sollecitazioni dell'universo enogastronomico, con una lunga tradizione alle spalle e lo spirito giusto per ospitare le migliori realtà agroalimentari della Penisola, e tanti volti noti del settore. All'Agorà ci si orienta sulla scorta di 4 aree tematiche, quattro spicchi che si dividono il cuore del Padiglione 1 del Lingotto: L'Appetito vien mangiando. Dal mercato alla cucina; Qui si lievita. Pane, pizza e fantasia; La dolce vita. Dal croissant al caffè; Bevi bene, bevi meglio. Ogni tema sarà sviluppato su binari che corrono paralleli, tra lezioni di spesa consapevole – con i consigli per gli acquisti di chi in cucina ci lavora ogni giorno – laboratori di cucina per mettere le mani in pasta, degustazioni guidate, contest. Prospettive diverse di uno stesso approccio alle storie e ai prodotti dell'enogastronomia italiana, che scommette su tre momenti di condivisione: imparare, fare, assaggiare. Per superare la prova di cottura della pasta con i consigli diPeppe Guidae “cucinare” con Carlo Cracco, che al Lingotto apre le danze venerdì pomeriggio con i suoi consigli per gli acquisti per realizzare il risotto perfetto. Ammirare Gino Sorbilloall'opera con la pizza fritta (e poi assaggiarla!) e scoprire il pesce – conoscerlo e saperlo cucinare – con Gianfranco Pascucci e Beppe Gallina.

 

Perché partecipare?

Ma le curiosità gastronomiche da approfondire sono potenzialmente sconfinate e tutte conducono a rintracciare l'origine di prodotti e tradizioni radicati nella cultura alimentare italiana: il pane come bene quotidiano e la storia di grani e farine, l'abbinamento tra formaggi e mieli e l'universo dell'olio extravergine d'oliva (mai visto un Olive Oil Bar?), i lievitati del mattino e il cioccolato, i dolci della tradizione regionale, il (i) caffè, il tè. Altrettanto variegata l'offerta per gli amanti del buon bere, tra degustazioni alla cieca di grandi vini italiani, focus su distillati e miscelazione e una Wine Cup per mettere alla prova le proprie conoscenze sul vino.

 

Il Gambero Rosso presenta...

Per chi vuole trascorrere un pomeriggio all'insegna del buon vino, domenica il festival ospita la presentazione della guida Berebene 2018del Gambero Rosso: i migliori assaggi italiani sotto i 13 euro a scaffale. Seguirà la grande degustazione aperta al pubblico. Tra le anteprime da non perdere, domenica 19 (dalle 16 alle 17) la presentazione del libro di Massimo D'Addezio, noto barman capitolino e volto di Gambero Rosso Channel, che con la complicità dello chef Marcello Trentini (Magorabin) anticipa qualche ricetta del suo primo lavoro editoriale (Spirits. Le ricette segrete di un barman semiserio, edito da Gambero Rosso). E poi c'è il nuovo (rinnovato) mensile del Gambero Rosso, da scoprire in fiera presso lo stand dedicato: per tutti i visitatori, una promozione speciale sull'abbonamento annuale (proposto a 25 euro) e una copia omaggio del numero di novembre. Un'occasione unica per trascorrere una giornata (o più) in compagnia dei protagonisti del settore, per imparare mangiando, divertirsi con le mani in pasta, tornare a casa con qualche nuova scoperta da mettere in dispensa. E tante buone idee da mettere in pratica. Insieme è più divertente.

 

Puoi acquistare il biglietto online (intero giornaliero 10 euro, abbonamento per 2 o 3 giorni a 17 o 24 euro) o in fiera, al botteghino del Lingotto.

 

Gourmet Food Festival | Torino | Lingotto Fiere, Padiglione 1, via Nizza 294 | dal 17 al 19 novembre 2017 | Per tutte le informazioni visita il sito di Gourmet Food Festival, con il programma dettagliato e le info per prenotare gli eventi a pagamento (fino a esaurimento posti)

 

a cura di Livia Montagnoli

Michelin Germania 2018. Un nuovo Tre Stelle a Monaco di Baviera: la cucina francese di Atelier

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Un nuovo tristellato e 4 nuove insegne che conquistano i due macaron. Oltre a 29 ristoranti che per la prima volta appuntano una stella sul petto. Compresa la trattoria italiana Ai Pero di Andernach. Ma festeggia soprattutto Monaco di Baviera, con l'alta ristorazione d'hotel di Atelier. 

Alla vigilia della cerimonia che assegnerà le stelle 2018 ai migliori ristoranti d'Italia, l'attenzione non può che concentrarsi, con un certo fervore campanilistico, su pronostici e dibattitti da toto-assegnazione. Nonostante siano diversi i nomi di (più che) papabili candidati all'investitura – prima stella, raddoppio o tripletta con crescente moto d'entusiasmo - che circolano con insistenza, quest'anno preferiamo commentare i risultati, più che avanzare le nostre speranze. All'appuntamento con il palco del Teatro Regio di Parma vestito a festa, del resto, non manca molto: dalle 10 del mattino, i protagonisti dell'alta ristorazione italiana si ritroveranno insieme sotto lo stesso tetto, l'aria carica di tensione, buoni propositi e belle speranze. Il tour della Rossa, però, non si ferma mai.

 

Michelin Germania 2018. Un nuovo Tre Stelle

Qualche ora fa, a Potsdam (Germania), una situazione più o meno analoga prendeva vita in occasione della presentazione della Michelin Germania 2018. Regalando belle soddisfazioni alla ristorazione tedesca, dopo un'edizione (la 2017) archiviata senza troppe sorprese. L'ultima ricognizione degli ispettori della Rossa in territorio teutonico, invece, ha portato all'incoronazione nell'Olimpo tristellato del ristorante Atelier, tavola esclusiva dell'hotel Bayerischer Hof, a Monaco di Baviera (un riconoscimento che ancora manca a Berlino, priva di insegne a 3 stelle). A festeggiare in cucina c'è il 35enne Jan Hartwig, frastornato alla notizia, “completamente inaspettata”. Lo chef conduce il ristorante da appena 3 anni, ma tanto è bastato per regalargli la più grande gioia della sua vita, “grazie a sapori che stupiscono per complessità, accostamenti intelligenti e grande sapienza tecnica”; 62 euro per il menu degustazione più costoso, da 6 portate, e un menu ispirato alla moderna cucina francese, con suggestioni dal Mediterraneo, per 35 coperti e una piccola terrazza. Ora, la Germania può contare su 11 tavole a Tre Stelle.

 

I nuovi macaron. C'è anche l'Italia

Ma anche il computo dei bistellati sale, toccando quota 39, con 4 new entry; mentre 29 tavole conquistano la prima stella: due di loro, Cookies Cream a Berlino e Seven Swans a Francoforte, propongono cucina vegetariana. Sempre a Berlino, festeggiano Tulus lotrec e Golvet, entrambe nuove entrate nella famiglia stellata. Tra le prime stelle anche una bella soddisfazione italiana, che arriva da Andernach, nella valle del Reno, dove la trattoria con enoteca Ai Pero conquista il suo primo macaron (si servono pizza, pasta e risotto, ma in cucina c'è uno chef tedesco, Frank Seyfried). Bilancio positivo, dunque, con il numero complessivo di insegne stellate che raggiunge le 300 attività (250 a quota 1 stella), contro le 292 referenze dell'anno passato (ricordiamo però che la nazione con la maggior concentrazione di stelle – chiaramente la Francia – annovera oltre 600 ristoranti degni di appuntarle sul petto). Si dice soddisfatto dal quadro generale Michael Ellis, direttore della guida, che conferma la Germania “tra le destinazioni più ambite da chi cerca tavole di alta cucina, grazie a una nuova generazione di giovani chef molto motivati a fare bene”.

 

Michelin Germania 2018. Le nuove stelle

 

Tre Stelle

Atelier, Monaco di Baviera

 

Due Stelle

Le Cerf al Wald e Schlosshotel, Friedrichsrue

Schwarzenstein Nils Henkel, Geisenheim

Keilings Restaurant, Bentheim

Courtier, Wangels

 

Una Stella

Berlino, Cookies Cream 

Berlino, GOLVET

Berlino, tulus lotrek 

Burg (Spreewald), 17 fuffzig

Grenzach-Wyhlen, Eckert

Mannheim, Emma Wolf since 1920

Mannheim, Le Corange

Tuttlingen, Anima

Ulm, SIEDEPUNKT

Kötzting, Leo's by Stephan Brandl

Monaco di Baviera, Schuhbecks Fine Dining

Monaco di Baviera, Schwarzreiter

Hilders, BjörnsOx

Kassel, Voit

Amburgo, Jellyfish

Usedom/Heringsdorf, The O'room by Tom Wickboldt

Buxtehude, N°4

Düsseldorf, Fritz's Frau Franzi 

Düsseldorf, Yoshi by Nagaya

Essen, Schloss Hugenpoet Laurushaus

Haltern am See, Ratsstuben

Colonia, WeinAmRhein

Meerbusch, Anthony's

Schmallenberg, Deimann-Hofgut

Andernach, Ai Pero

Andernach, Yoso

Kallstadt, Intense

Kirchheim an der Weinstrasse, Schwarz Gourmet

Wenigerode, Zeitwerk by Robin Pietsch 

 

a cura di Livia Montagnoli

 

Michelin Italia 2018. C'è un nuovo Tre Stelle: è Norbert Niederkofler

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Dalle 10, la cerimonia di premiazione della guida Michelin 2018, che l'Italia dell'alta ristorazione aspetta con apprensione e curiosità. Quanti nuovi stellati? Quali i protagonisti premiati dagli ispettori della Rossa? 

L'attesa

Sipario, luci. Si accendono i riflettori sul palco del Teatro Regio di Parma, che per il secondo anno consecutivo ospita la cerimonia di premiazione della guida Michelin dedicata alla ristorazione nazionale. L'anno passato, l'appuntamento arrivava a qualche mese dalla proclamazione della cittadina emiliana come Città creativa della gastronomia Unesco (“vogliamo essere la capitale del cibo” conferma oggi un orgoglioso Pizzarotti, sindaco della città). Un anno dopo, i protagonisti dell'alta cucina tricolore si ritrovano insieme nella speranza di conquistare un posto al sole nell'Olimpo degli stellati. Tanti sono i nomi, giovani e meno giovani, che inseguono un sogno in grado di spostare pubblico, con positive ricadute sul fatturato dell'attività. Perché oltre al prestigio, c'è di più. E la guida Michelin, con il suo bacino internazionale di lettori, continua a giocare la parte del leone. Si inizia alle 10, gli occhi puntati sul palco per l'apertura delle danze, affidata al direttore di cerimonie Michael Ellis, direttore della Rossa ("negli ultimi giorni sono stato in tutto il mondo, ma per me l'Italia e la cucina italiana sono il massimo" è la sua consueta captatio benevolentiae). 2600 circa i ristoranti in guida, di cui un 10% stellati (e 258 tavole segnalate per l'ottimo rapporto qualità/prezzo), anticipa il responsabile della comunicazione Italia Marco Do.

Un nuovo Tre Stelle. Il St.Hubertus del Rosa Alpina di Norbert Niederkofler

Dopo l'assegnazione dei premi speciali (Miglior servizio di Sala a Meo Modo a Borgo Santo Pietro, Qualità nel tempo Al Gambero di Calvisano, Giovane chef ad Alessio Longhini della Stube Gourmet di Asiago, che ottiene anche la prima stella) si comincia con le stelle, ma arriva alla fine la notizia che tutti aspettavano: "Siamo felici di aver trovato un nuovo Tre Stelle in Italia", annuncia Michael Ellis... E Norbert Niederkofler sale emozionato sul palco (con gli auguri di Annie Feolde "al nostro caro amico"). Il nuovo Tre Stelle italiano è il St. Hubertus del Rosa Alpina a San Cassiano (BZ): "Vorrei dire grazie a mia mamma, a mia moglie e nostro figlio Thomas. Grazie anche alla famiglia Pizzinini" dice Norbert. Poi chiama sul palco la squadra, il giovane sous chef Michele Lazzarini, il pastry chef Andrea Tortora. E tutti i giovani ragazzi con lavorano con lui in brigata a San Cassiano.

I bistellati

Tre new entry nel computo dei Due Stelle: Andrea Aprea al Vun dell'Hotel Park Hyatt di Milano, Alberto Faccani al Magnolia di Cesenatico (RN), Matteo Metullio a La Siriola dell'Hotel Ciasa Salares di San Cassiano (BZ).

 

Milano, Roma e le altre stelle

Tra le città italiane, anche quest'anno – dopo il trionfo di Enrico Bartolini nel 2017, che quest'anno prende comunque una nuova stella per Glam, a Venezia – Milano si conferma capitale gastronomica attenzionata dalla Rossa. Prima le delusioni: Claudio Sadler e Carlo Cracco perdono una stella a testa: da 2 a 1 il triste responso della guida. Arriva, finalmente, la prima stella per Matias Perdomo e il suo ambizioso Contraste. Stessa sorte, a lungo attesa, per Eugenio Boer: Essenza conquista il primo macaron. Come Trussardi Alla Scala, di Roberto Conti. Dalla Lombardia, un'altra soddisfazione per Andrea Berton, che appunta sul petto una nuova stella per Berton al Lago, all'hotel Il Sereno di Torno. Nella provincia lombarda prima stella anche per Villa Giulia di Maurizio Bufi (Brescia) e Florian Maison a San Paolo d'Argon (Bergamo). In Veneto, Francesco Brutto premiato per la cucina di Undicesimo Vineria. A Tirolo (Bolzano), festeggia invece Culinaria am Farmerkreuz.

Al Nord, soddisfazione anche nel Piemonte di Andrea Ribaldone, da qualche mese nuovamente in gioco con l'Osteria Arborina, nelle Langhe de La Morra; e per Andrea Larossa, con La Rossa, anche lui prima stella. Scendendo a Roma, dopo la pioggia di stelle della scorsa edizione, la Rossa si conferma prodiga di stelle: primi macaron per Adriano Baldassarre al Tordomatto, Fabio Ciervo a La Terrazza dell'Hotel Eden (il grande investimento sulle cucine ha ripagato degli sforzi), Riccardo Di Giacinto per All'Oro, temporanemente in standby l'anno scorso per il trasloso dell'insegna, oggi all'interno del relais The H'All Taylor Suite. Chi non festeggia è Alessandro Pipero: il trasloco di Pipero, per ora, non è premiato dalla conferma della stella. In Toscana festeggiano Cum Quibus di Alberto Sparacino, a San Gimignano, Poggio Rosso (Castelnuovo Berardenga) e Perillà (Castiglione d'Orcia): prima stella anche per loro. In Abruzzo D.One Restaurant, ristorante diffuso di Davide Pezzuto, a Roseto degli Abruzzi. A Sud prima stella per Cristoph Bob, con la cucina de Il Refettorio. E ancora il Campania, primo macaron per La Serra di Luigi Tramontano a Positano e per La Locanda del Borgo a Telese Terme. 

 

 

Tre Stelle

St. Hubertus dell'Hotel Rosa Alpina, San Cassiano (BZ)

Piazza Duomo, Alba (CN)

Le Calandre, Rubano (PD)

Da Vittorio, Brusaporto (BG)

Dal Pescatore, Canneto sull'Oglio (MN)

Osteria Francescana, Modena

Enoteca Pinchiorri, Firenze

La Pergola, Roma

Reale, Castel di Sangro (AQ)

 

I nuovi Due Stelle

Vun all'Hotel Park Hyatt, Milano

La Siriola dell'Hotel Ciasa Salares, San Cassiano (BZ)

Magnolia, Cesenatico (RN)

 

a cura di Livia Montagnoli

Ceviche in Italia. Da simbolo della cucina peruviana a icona fusion

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Patrimonio indistinto di una cucina fusion prima che peruviana, in Italia è sempre più ceviche-mania. Ma attenzione, la cucina del paese sudamericano non è tutta qui. E nel mensile del Gambero Rosso di novembre ve lo spieghiamo ampiamente.

Que viva ceviche! Sempre più diffuso e amato, il ceviche è una preparazione che si sta diffondendo al punto da non essere quasi più considerato un piatto peruviano, mada essere, oggi, un immancabile esponente di un vago concetto di fusion, ormai piatto simbolo come negli anni ’90 fu il sushi. E quando non hai più radici, significa che sei diventato di tutti.

Il ceviche è la testa d'ariete che sta facendo conoscere anche il ricco backstage di una delle cucine più premiate degli ultimi anni, tanto che nella celebre classifica internazionale The World’s 50 Best Restaurants ci sono ben tre ristoranti di Lima, due nei primi dieci. Virgilio Martinez, piccolo grande chef del Central (quinto nella classifica assoluta e primo in quella dell’America Latina) sostiene sempre che fermarsi al ceviche in Perù “è come per un turista straniero, che viaggia in Italia, accontentarsi solo di un piatto di tagliatelle alla bolognese”.

Cevche riccardo di giacintoCeviche. Madre, chef Riccardo di Giacinto

L'origine del ceviche

Frutto esso stesso di una contaminazione gastronomica e coloniale, ha origini remote: il pesce crudo, già in epoca precolombiana, veniva preparato con i succhi fermentati di frutta locale. L’arrivo dei conquistadores portò due prodotti che ne cambiarono la storia, facilitandone la preparazione e rendendola più veloce: limone e cipolla. Da questo incontro è uscita la ricetta base che ovviamente offre le sue varianti nei Paesi centro e sudamericani e persino tra una regione e l’altra del Perù: tanto pesce, succo di lime, peperoncino (i locali dicono che non c’è ceviche senza aji e loro ne vantano una varietà incredibile), pepe e un pizzico di sale. Spesso si uniscono cipolla rossa cruda, coriandolo e sedano, ma i tocchi d’autore sono innumerevoli. Quanto al pesce, freschissimo, si utilizzano branzini, sogliole, sardine, tonno ma anche polpo, capesante e crostacei. L’immediatezza della preparazione è fondamentale, la temperatura fredda anche. Il contorno classico è composto da patate dolci e mais andino. Qua è là, nel ceviche e non solo, spunta il magico leche de tigre, il latte di tigre: il succo di marinatura (quindi il lime con gli altri elementi) che bagna l’elemento principale prima di essere servito. Il leche de tigre, una volta filtrato, può diventare una bevanda dissetante e gustosa. I barman peruviani aggiungono un misurino di Pisco – il distillato nazionale – e ne fanno (parole loro) un levanta-muertos, in buona sostanza il miglior Viagra che esista al mondo.

 

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La cucina peruviana

Il ceviche non è l'unica e specialità peruviana da esportazione, tra le altre che si trovano in giro per il mondo, da Londra all'Italia, una delle più diffuse è il tiradito, simbolo di quella cucina nikkei (figlia dell’incontro sulla costa del Pacifico tra Sudamerica e Giappone) che unisce la marinatura del ceviche – senza cipolla – e la tecnica di taglio del sashimi, con lamine sottili di pesce intervallate da zenzero fresco. A dare il tocco in più arrivano il coriandolo fresco e l’immancabile rocoto (peperoncino delle Ande), mentre a volte si aggiunge salsa di olive e aglio.

Espressione della cucina criolla sono invece gli anticuchos, spiedini di carne (il top per i peruviani è il cuore di bovino) o pesci marinati in vario modo e serviti con salse dal sapore intenso. E poi ci sono i classici: la causa limena (sorta di tortino di patate), il lomo saltado (la più diffusa portata di carne) e le specialità della cucina chifa che nasce dalla contaminazione tra quella degli immigrati cinesi e dei locali.

 

Non c'è una sola cucina peruviana, ma tante cucine peruviane, frutto di continue contaminazioni avvenute a seguito di immigrazioni e conquiste da parte di altre popolazioni, ma anche dell'incredibile biodiversità di questa naizone. Ecco un glossario incompleto delle cucine peruviane

 

Cucina criolla

Nata dall’influenza delle tradizioni spagnole, vanta circa 250 dessert tradizionali come i picarones (frittelle di mais e patata dolce), il turrón e la mazamorra morada (budino di mais viola). A Tacna nacque un piatto-bandiera: il picante a la tacneña (spezzatino di interiora di manzo e patate).

 

Cucina chifa

Fusione tra la cucina peruviana e quella degli immigrati cinesi (cantonesi) che giunsero da metà del XIX secolo. I principali piatti: arroz chaufa, pollo TiPaKay, sopa wantán e il cosiddetto “aeropuerto” che è una combinazione di cucina chifa con tagliolini saltati.

 

Cucina nikkei

Nasce a seguito delle grandi migrazioni di giapponesi verso il Sudamerica a fine dell’800. Gli ingredienti del nuovo paese vengono accolti e fatti propri dagli emigranti giapponesi attraverso le proprie tecniche millenarie. Piatto principe: il ceviche.

 

Cucina amazonica

Qui la biodiversità sembra infinita. La chonta o palmito è un alimento di base per preparare insalate. Le carni sono diverse: di manzo, di pollo, di pesce, di agnello e di altre specie che vivono sulla montagna, come l’alpaca, nutriente e con pochi grassi.

 

Cucina novo-andina

È un nuovo stile culinario nato dallo studio e dalla riproposizione di piatti tradizionali preispanici, valorizzando molti ingredienti autoctoni. A questi alimenti ne vengono aggiunti altri provenienti da altri paesi, come quelli europei.

 

Cucina andina

Le Ande sono l’origine di culture millenarie e dei sapori della cucina peruviana a base di mais, la patata e vari tuberi, carne di lama, di alpaca, e di animali selvatici. Molto diffuso il cuy (porcellino d’India.

 

a cura di Maurizio Bertera

 

 

Se volete saperne di più delle molte anime della cucina peruviana e di come hanno trovato casa anche nei confini nostrani, leggete il servizio completo sul Gambero Rosso di novembre: ci sono mappe, ulteriori interviste e tante foto. Un numero tutto rinnovato che potete trovare in edicola o in versione digitale, su App Store o Play Store.

Abbonamento qui http://www.gamberorosso.it/it/store/abbonamenti

 

 

 

Mercato Mediterraneo alla Fiera di Roma. Valori condivisi per la filiera agroalimentare in mostra

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La Fiera di Roma prova ad accreditarsi come polo fieristico internazionale scommettendo sulla cultura alimentare del Mare Nostrum. Quattro giorni di expo alimentare tra incontri, assaggi, laboratori, approfondimenti tematici, scambi tra buyer in arrivo dal mondo. Una guida alla manifestazione. 

Il Mediterraneo in Fiera

Mare Nostrum, il Mar Mediterraneo. Un bacino di dimensioni tutto sommato ridotte, sul totale della superficie terrestre coperta dal mare. Eppure strategicamente vitale per lo sviluppo di civiltà che hanno attraversato secoli di storia, a cavallo tra l'Europa, l'Africa e l'Asia, contaminandosi l'un l'altra sulle rotte di un'evoluzione culturale figlia di accordi commerciali, alleanze politiche, condivisione di idee e risorse. Questo è stato dagli albori della civiltà il Mediterraneo, un crocevia di scambi, storie, linguaggi, arte e cultura. Questo sarà, dal 23 al 26 novembre, il Mercato Mediterraneo allestito alla Fiera di Roma, alle porte della Capitale direzione aeroporto di Fiumicino. Un progetto dedicato alla filiera agroalimentare che vuole valorizzare il cibo, chi lo produce e chi lo consuma. Come, lo rivelerà la prima edizione della rassegna organizzata con il supporto del Comitato Scientifico presieduto da Alfonso Pecoraro Scanio, che mette insieme economisti, antropologi, esperti di comunicazione e turismo, e persino un alberologo. Impresa non facile, data la vastità della materia e la molteplicità di intenti. Al Mercato Mediterraneo, articolato tra due padiglioni della Fiera, si potrà acquistare, degustare, conoscere, incontrare buyer italiani e internazionali: una riproduzione in scala della realtà mediterranea, fatta di affari, storie e culture. Due i valori fondanti, l'esperienza – quella di sapori, profumi, suoni – e la sinergia, che sott'intende cooperazione tra culture e valorizzazione dei singoli territori del Mediterraneo.

 

L'expo agroalimentare

Il pubblico, che si attende numeroso, sarà il motore della manifestazione, con momenti di educazione alimentare e spettacolo per tutti, opportunità di business per gli operatori del settore, percorsi sensoriali insoliti per gli appassionati di cibo. Momenti dedicati alla scoperta di verità date per scontate. Per esempio, quante diverse forme di pane si producono nel bacino mediterraneo? 1350, differenti per occasione d'uso e valenza simbolica, molte legate a rituali religiosi. E chi ha coltivato per primo i limoni in Sicilia? L'influenza degli Arabi, quando si ricostruisce la storia della Trinacria, è costante. A loro si attribuisce anche l'invenzione del torrone, e di tante ricette rielaborate nel tempo, fino a diventare patrimonio della cucina italiana. L'expo, organizzata in 5 aree tematiche su 20mila metri quadri, proporrà percorsi tematici, workshop, showcooking, momenti di incontro con i protagonisti, laboratori, che svilupperanno le macro aree espositive: civiltà del grano (lo spazio più ampio della fiera), civiltà del mare, extravergine, contaminazioni (dalla via del cous cous alla via delle spezie, seguendo percorsi mercatali circolari), metterci la faccia, con gli interlocutori dell'area dedicata a convegni, tavole rotonde, talk. L'ambizione è quella di “colmare un vuoto del panorama fieristico” ha spiegato l'Amministratore Unico di Fiera Roma Pietro Piccinetti in conferenza stampa, facendo leva sull'appeal della cultura alimentare: “Offriamo al territorio una manifestazione che fonde affari e cultura, scambi e storie, sapori e saperi, partendo dai prodotti agroalimentari, da sempre veicolo di identità e al tempo stesso integrazione e mescolanze. Fiera Roma accende i riflettori sul Mediterraneo e la sua ricca tradizione di prodotti della terra, che è insieme cultura, salute, economia e storia. E ricandida Roma a svolgere appieno il suo ruolo di Capitale di questa area del mondo”. Il programma, bisogna ammetterlo, è davvero sconfinato, e l'aiuto dei “Virgili del gusto”, come sono state ribattezzate le guide preposte all'orientamento tra gli stand, giocherà un ruolo determinante per raccontare storia e caratteristiche dei prodotti in degustazione, o indirizzare il pubblico ai diversi percorsi tematici, tra dieta mediterranea e pizza, etnobotanica e via del sale.

 

All'organizzazione di laboratori e attività, invece, presiede Slow Food Roma. E tanti saranno pure gli appuntamenti curiosi, per imparare a realizzare una rete (un pretesto per raccontare l'importanza di salvaguardare la biodiversità marina) o degustare olio con degustatori in arrivo da tutto il mondo. Per mettere le mani in pasta, laboratori di panificazione, raccolta di erbe spontanee, gestione della pasta madre. E sul piano scientifico lectio magistralis alla scoperta di antiche civiltà, stili alimentari virtuosi, comunicazione del cibo. Dove si mangia? Nelle aree gastronomiche tematiche, che raccontano la cultura del Mediterraneo: Pane e mare è la trattoria di mare che porta in tavola la biodiversità ittica,l'Ostricaro è il corner dedicato alle ostriche (tra l'altro già allevate in Bretagna più di 2mila anni fa, da tal Sergius Orata), la Pizza, con il suo ristorante dedicato, non ha bisogno di spiegazioni ulteriori. Si chiude ogni sera con spettacoli musicali, tra taranta e sirtaki, per rappresentare la voglia di fare festa del Mediterraneo. Porte aperte dalle 10 alle 22 (domenica fino alle 20).

 

Mercato Mediterraneo | Fiera di Roma | dal 23 al 26 novembre 2017 | www.mercatomediterraneo.it

 

a cura di Livia Montagnoli

 


Oli d'Italia 2017. Miglior rapporto qualità/prezzo: Torre a Oriente di Torrecuso

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Entroterra beneventano. Qui, tra il Taburno e il Fortore, Patrizia Iannella cura i suoi ulivi con la passione di chi crede fermamente in un futuro migliore per l'olivicoltura italiana. Storia e sviluppo di Torre a Oriente.

Il premio qualità/prezzo

È uno dei temi più caldi fra gli appassionati di extravergine, quello del prezzo dell'olio. Un argomento che da tempo dà origine a dibattiti accesi e lunghe polemiche, fra addetti ai lavori e, soprattutto, fra operatori del settore e consumatori, sempre più attenti ma ancora non sufficientemente disponibili a spendere una cifra adeguata per una buona bottiglia, in grado di ripagare - almeno in parte - i sacrifici e i grandi investimenti fatti dagli olivicoltori in campo e in frantoio. Come sempre, alcune tematiche richiedono più tempo del previsto per essere chiarite del tutto e, proprio su questo aspetto, è necessario che si sviluppi una comunicazione corretta. Proprio come quello agricolo, il lavoro di comunicazione ha infatti bisogno di pazienza e costanza, apertura e dialogo. Il rapporto qualità/prezzo è forse uno dei parametri che più toccano da vicino i consumatori comuni, e proprio per questo la guida Oli d’Italia del Gambero Rosso da anni dedica un premio speciale alle aziende che riescono a gestire al meglio i costi senza rinunciare a proporre un prodotto di alto livello. Durante la scorsa campagna olearia, a vincere questo premio sono state la realtà laziale Doganieri Miyazaki e la campana Torre a Oriente. Con la proprietaria di quest'ultima abbiamo ripercorso la storia di quest'ultima, cercando di fare luce sul ruolo del prezzo.

Le origini

L'azienda nasce ufficialmente nel 2002, ma il marchio Torre a Oriente comincia a diffondersi solo nel 2006, grazie al lavoro di Patrizia Iannella, agronoma appassionata che, dopo anni di studi e approfondimenti, decide di dedicarsi alla viticoltura recuperando gli impianti già esistenti tra il Taburno e il Fortore, nell'Alto Sannio. “Nel 2013 abbiamo acquisito degli ulivi e poi altri appezzamenti per cereali e legumi”, per un totale di 25 ettari, di cui 15 destinati interamente all'olivicoltura e ai seminativi. “Sono da sempre molto legata all'agricoltura. Da bambina vedevo i miei genitori al lavoro in campo, ed ero molto incuriosita dalla crescita delle piante, la nascita delle foglie e dei frutti”. Come spesso accade, la curiosità col tempo si trasforma in passione, e la passione in ricerca, un'analisi portata avanti con attenzione, amore, all'insegna della qualità e del rispetto del territorio.

 

Patrizia Iannella

Le piante

1500 piante fra ortice, ortolana, frantoio, leccino e racioppella, tutte a coltivazione biologica, e distribuite nell'entroterra beneventano, sullo spartiacque Tirreno-Adriatico. “La maggior parte degli uliveti sono terrazzati, per cui possiamo affidarci alla raccolta meccanica solo parzialmente”. Il resto viene raccolto a mano, a cominciare dalla terza decade di ottobre, “anche se quest'anno abbiamo anticipato alla seconda, considerato il clima piuttosto asciutto senza grandi escursioni termiche fra il giorno e la notte, che ha fatto sì che l'oliva invaiasse prima”. La potatura è annuale, “necessaria per facilitare la raccolta ed eliminare i polloni”, e i trattamenti sono tutti biologici, trappole ecologiche per la mosca comprese. A garantire il mantenimento della sostanza organica del terreno, l'inerbimento del suolo, “una tecnica agronomica a basso impatto ambientale utilizzata per controllare le piante infestanti nello spazio fra gli alberi da frutto”.

L'annata in corso

Entrata ormai a pieno regime, l'annata in corso procede per il meglio, “anche se una gelata tardiva, purtroppo, ha arrecato danni in alcune zone dell'uliveto, per cui la produzione non sarà piena, poiché non potremmo raccogliere da molti alberi”. La resa, però, è complessivamente buona, “e la qualità è ottima, molto sopra le nostre aspettative: ci aspettavamo dei sentori di secco dovuti al freddo, invece il profilo aromatico è intenso ed equilibrato. C'è un amaro prepotente ma ben bilanciato”.

 

Torre a Oriente

L'ortice

Protagonista del territorio e fiore all'occhiello dell'azienda è l'ortice, oliva tipica della Campania, che qui trova la sua espressione migliore nel monocultivar Cuore d'Ortice, un fruttato intenso complesso ed elegante, con note di pomodoro accompagnate da piccoli tocchi balsamici di ortica e mentuccia, a cui si aggiungono sentori di cipresso e conifere. “L'ortice è la cultivar più delicata, presenta alternanze di produzione ed è molto sensibile al freddo, soprattutto alla grandine e alle gelate, che portano problemi di rogna”.Se ben lavorata, però, restituisce oli piacevoli, “con nuance di erba tagliata, foglia di pomodoro, cardo e carciofo”. La maggiore difficoltà nella realizzazione di un monocultivar? “Capire il giusto tempo di maturazione delle olive, e poi lavorarle in frantoio secondo i tempi e le temperature necessari in base all'annata”. L'altra etichetta Torre Oriente, invece, è un blend: il Molinara, “prodotto con tutte le altre cultivar più l'ortice”.

In frantoio: assaggio e confronto

Dopo le dovute cure in campo, da tenere tutto l'anno, si passa in frantoio, un impianto a due fasi firmato Toscana Enologica Mori, con frangitori a martelli e gramole verticali. “Solitamente, le olive non passano più di 30 minuti in gramola, a una temperatura di circa 25/27°C”. Per il blend, i frutti vengono lavorati insieme, “ma ciascun lotto di ogni giornata viene separato, per essere poi sottoposto a un'analisi dei perossidi e dell'acidità, e successivamente al panel test per l'assaggio. Solo in seguito a questi esami, decidiamo di assemblarli insieme per realizzare i vari prodotti”. Fondamentale, come sempre, è quindi l'assaggio, “che viene fatto partita per partita, molitura per molitura, dapprima da un panel test, e poi da tanti amici appassionati con cui condividiamo la prima bruschetta dell'anno, per confrontarci e scambiarci opinioni”.

La vendita

Gli oli dell'azienda si trovano perlopiù in Italia, in negozi specializzati ed enoteche, “ma stiamo avviando anche un commercio con gli Stati Uniti. Non è semplice: abbiamo richieste maggiori alla quantità di prodotto disponibile”. Perché? “Negli ultimi due anni la resa è stata minore. Se riuscissimo a fare ogni anno una produzione piena, che si aggira attorno ai 25/30 quintali l'anno, dovremmo farcela”. Tante domande anche dai ristoratori, “sta crescendo sempre di più la sensibilità degli chef all'extravergine di qualità”. E i consumatori? “Più consapevoli rispetto al passato, però la maggior parte scelgono un olio buono da usare a crudo, mentre per cucinare continuano a utilizzarne uno di qualità inferiore”.

Il prezzo dell'olio

Una tendenza positiva, perché dimostra ancora una volta l'attenzione per questo prodotto, ma solo parzialmente, perché – lo ricordiamo – l'olio extravergine di oliva buono è essenziale anche in cottura, poiché si tratta di un ingrediente al pari di tanti altri, e non solo di un grasso o un condimento. La strada è ancora lunga, ma la clientela sembra diventare sempre più conscia del ruolo fondamentale dell'oro verde, “fortunatamente le persone non si spaventano più per il prezzo, perché hanno capito che a essere sbagliato è il basso costo a cui sono stati da sempre abituati dalla Gdo. Per andare incontro ai consumatori, noi manteniamo sempre lo stesso prezzo, definito anni fa in base ai costi di produzione, senza alcuna flessione a seconda dell'annata”. E i primi risultati iniziano a intravedersi: “Il nostro prodotto di punta è il monocultivar di ortice, che è anche il più costoso”.

 

Torre a Oriente

La comunicazione

Olio a parte, l'azienda produce anche vino, “da falanghina e aglianico”, legumi, “ceci e fagioli soprattutto”, orzo e farro. Cuore pulsante dell'attività resta però l'olivicoltura, ancora poco sviluppata nel territorio: “È un ambito marginale qui nel beneventano, dove ancora poche persone sono disposte a investire, soprattutto perché c'è ancora una grande fetta di mercato che predilige l'olio da supermercato, per via del prezzo. L'ultimo decennio ha vissuto un momento poco favorevole dal punto di vista economico, e molte famiglie sono in difficoltà”. Come reagire? “Io non le critico: capisco che non tutti hanno le possibilità di acquistare oli di pregio, ma sono certa che con una maggiore formazione e comunicazione possiamo far capire a tutti che è possibile fare scelte diverse, e trovare uno spazio anche per l'olio buono nella lista della spesa”. Un ragionamento delicato e sensibile, quello di Patrizia, olivicoltrice convinta, che ha puntato fin da subito all'eccellenza, ma che non dimentica la realtà economica di tante famiglie italiane: “Alle volte anche sottrarre 10 euro per un olio per alcune persone può essere complicato”. Senza mai rinunciare a provarci, con apertura e gentilezza, evitando polemiche lunghe e accese. Nell'unico modo possibile per portare a una nuova consapevolezza: uno scambio diretto e aperto.

Nel frattempo, Patrizia continua a studiare e ad ampliare le tenute, “l'olio è un tema così vasto. Sono appassionata di alimentazione in generale, ma nessun prodotto mi ha mai emozionata così tanto”.Un consiglio per chi vuole diventare olivicoltore? “Armarsi di tanta pazienza”.

Torre a Oriente | Torrecuso (BN) | loc. Mercuri I, 19 | tel. 08 24874376 | www.torreaoriente.com

a cura di Michela Becchi

Guida Oli d'Italia 2017. Ecco tutti i premi speciali

Oli d'Italia 2017. Azienda dell'anno: Agrestis di Buccheri

Oli d'Italia 2017. Frantoio dell'anno: Nicolangelo Marsicani di Morigerati

Oli d'Italia 2017. Miglior monocultivar: Doria di Cassano Allo Ionio

Oli d'Italia 2017. Olivicoltore dell'anno: Frantoio Franci di Castel del Piano

Oli d'Italia 2017. Miglior Dop: Trappeto di Caprafico di Casoli

Oli d'Italia 2017. Miglior olio biologico: Marfuga di Campello sul Clitunno

Oli d'Italia 2017. Miglior monocultivar: Sebastiana Fisicaro Oleificio Galioto di Ferla

Oli d'Italia 2017. Miglior blend: Fattoria Ambrosio di Salento

Oli d'Italia 2017. Miglior performance territoriale: Accademia Olearia di Alghero

Oli d'Italia 2017. Miglior olio biologico: Viola di Foligno

Oli d'Italia 2017. Olivicoltore dell'anno: Fonte di Foiano di Castagneto Carducci

Oli d'Italia 2017. Miglior rapporto qualità/prezzo: Doganieri Miyazaki di Castiglione in Teverina

Oli d'Italia 2017. Miglior blend: Tenuta Zuppini di Torricella Sicura

Oli d'Italia 2017. Miglior olio Igp: Centonze di Castelvetrano

Oli d'Italia 2017. Miglior fruttato medio: Tenute Librandi Pasquale di Vaccarizzo Albanese

Oli d'Italia 2017. Miglior olio Dop: Paolo Bonomelli Boutique Olive Farm di Torri del Benaco 

Olio extravergine di oliva. Glossario essenziale per conoscere l'oro verde

L’Ingrediente della felicità, il libro. Storia e segreti del cioccolato con Clara e Gigi Padovani

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L’ultimo libro della “coppia fondente dei food writer italiani” si concentra su una passione di sempre, il cioccolato. E ne approfondisce caratteristiche organolettiche, qualità sensoriali, aneddoti e diatribe storiche. Con il supporto di una ricca bibliografia sul tema e un piacevole incedere romanzato. Per gli amanti del cioccolato, e non solo.  

Tutto sul cioccolato

Oltre 200 pagine dedicate al Cibo degli Dei dalle infinite virtù: antiossidante, stimolante ma anche rilassante quando serve, afrodisiaco, toccasana per l’umore. Un vero “Ingrediente della Felicità” come lo hanno etichettato nel loro ultimo libro - in uscita giovedì 16 novembre – Clara e Gigi Padovani, la “coppia fondente dei food writer italiani” (bella definizione coniata anni fa dal grande trovarobe di Sommariva Bosco, Tonino Strumia) che di cioccolato scrive da anni (ma pure dietro al dibattuto libro sulla storia del tiramisù, che ha riaperto la competizione sulla paternità del dolce più famoso d’Italia, tra Veneto e Friuli). Un libro dotto, fitto di citazioni e rimandi scientifici, storici e letterari che si legge come un romanzo, una guida per chi è un abitué del cioccolato, ma anche un prontuario per scoprire il cioccolato-dipendente che è in voi se ancora non lo avete fatto. Prima presentazione naturalmente a Torino, dove i Padovani vivono, domenica 19 alla Libreria Il Ponte sulla Dora di via Pisa 46, con la giornalista Silvia Rosa-Brusin, caporedattrice di Leonardo, il tg scientifico del TG3 e Margherita Oggero, che ha scritto un racconto inedito per il libro, con immacabiledegustazione finale di cioccolato & vino. Dopo di che girerà per la Penisola a fare nuovi adepti al Cibo degli Dei.

 

Tra le pagine

A scorrere le pagine, si scoprono infiniti segreti al cacao, consigli per una perfetta degustazione sensoriale (il cioccolato si degusta anche con la vista, con l’olfatto, con il tatto e pure con l’udito - il croc quando si spezza la tavoletta - prima che con il gusto), le diatribe religiose fra Gesuiti e Domenicani, ricette, documenti inediti, una cronologia dettagliata e una ricca bibliografia…Che finisce con le ultime strofe della poesia Cioccolato di Iginio Massari, una chicca poco nota al pubblico. Insomma, un autentico viaggio goloso, dove ognuno può trovare il suo percorso “cioccolatoso”, un invito alla lettura e a scoprire/riscoprire tutto il piacere del cioccolato, ormai sdoganato definitivamente da sensi di colpa e timori dietetici. Evviva.

 

L’Ingrediente della Felicità | di Clara e Gigi Padovani | 2017 | 200 pp. | dal 19 novembre in libreria

 

a cura di Rosalba Graglia

Merano Wine Festival 2017 report. I nostri migliori assaggi

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41 etichette che ci sono particolarmente piaciute al Merano Wine Festival, la grande manifestazione che ha portato in assaggio oltre 2000 vini.

Sono trascorsi ben 26 anni dal lontano 1992, quando grazie a una felice intuizione di Helmuth Koecher nasceva il Merano Wine Festival. Entrare a far parte della Selezione The WineHunter Award ha sempre significato accedere all’élite dei produttori di riferimento, e anche oggi, che i partecipanti sono cresciuti, essere presenti a Merano vuol dire appartenere al gotha del mondo del vino. Pur abbracciando numeri importanti, non è venuto meno lo spirito iniziale di puntare solo sull’eccellenza, vero tratto distintivo rispetto ad altre manifestazioni. La presenza di una quindicina di produttori esordienti nella sezione New Entries, dimostra l’intatta curiosità verso le nuove realtà che si stanno affacciando sul palcoscenico dell’enologia italiana. Negli ultimi anni il Festival sta crescendo molto anche sotto il profilo dell’offerta gastronomica, con calendari sempre più fitti d’appuntamenti nelle aree Cooking Farm e Gourmet Arena, a conferma dell’interesse del grande pubblico per il food d’autore e lo show cooking.

 

L’edizione 2017

Grande affollamento nelle sale de Kurhaus, con stampa specializzata e semplici appassionati nei 5 giorni dell'evento, dal 10 al 14 novembre scorso. E non solo visitatori: la presenza delle aziende del settore vitivinicolo ha toccato quota 450, oltre a 200 artigiani del gusto e a una quindicina di chef di livello internazionale. Le cantine della selezione Wine Italia sono state affiancate nella sezione Wine International da produttori provenienti da Argentina, Austria, Francia, Germania, Romania, Slovenia, Spagna e Svizzera, che hanno contribuito ad allargare l’orizzonte per panorama enologico con proposte spesso interessanti. Quest’anno, poi, è stata riservata particolare attenzione ai vini istriani: la presenza di una quindicina di produttori ha confermato il buon livello della loro Malvasia. Per gli appassionati dei grandi rossi non è mancata l’occasione di degustare i migliori vini di 13 Chateaux, che fanno parte dell’Union des Grand Crus de Bordeaux. La manifestazione si è chiusa con la giornata CatWalk Champagne. Presenti oltre 40 Maison del Club Excellence con oltre 150 Champagne in degustazione.

 

Merano

 

I migliori assaggi

Difficile scegliere cosa assaggiare in una manifestazione che offre oltre 2000 vini. Una proposta tanto ampia da diventare quasi disorientante. Forse è questo l’unico rischio che corre il Merano Wine Festival, quello di diventare un palcoscenico fin troppo grande e con troppi protagonisti. Ci limitiamo a segnalare 10 bianchi e 10 rossi che ci sono particolarmente piaciuti, tra molte conferme e qualche novità.

 

Bianchi

Nella selezione Wine International le proposte più interessanti sono arrivate dai produttori tedeschi, austriaci e sloveni. Tra i riesling, ancora molto giovani e lontani dall’esprimere il meglio del loro potenziale, abbiamo apprezzato il Riesling Wehlener Sonnenuhr Alte Rebe Reserve 2014 Prum Weigut e il Riesling Schwarzer Herrgott 2014 di Bremer Weigut. Interessante il Rabenstein Grüner Veltliner DAC Weinviertel Reserve 2015 di Dürnberg con bouquet dal frutto ricco, connotato da note di pepe bianco e spezie.Tra i vini della Goriška Brda ci è piaciuta la Rebula Carolina 2013 Jakončič Winery. Una ribolla intensa, con belle note agrumate e di frutta gialla, dal finale fresco e sapido. Una conferma della qualità ormai raggiunta da anni da Marjan Simčič il Sauvignon Blanc Opoka 2015. Nasce da una vecchia vigna esposta a nord, questo bianco di grande finezza espressiva, fresco, elegante e persistente. Tra i vini altoatesini bellissima annata per il Müller-Thurgau Feldmarschall Von Fenner 2016 di Tiefenbrunner e per il Sauvignon Quarz 2016 della Cantina di Terlano. Una piacevole conferma ilVeneto Manzoni Bianco 2015 Madre di Italo Cescon, un vino biologico di grande personalità e belle prospettive d’evoluzione. Sempre per restare nel triveneto, ricordiamo un grande nome del vino friulano: Mario Schiopetto e il suo Collio 2016. Chiudiamo con un bianco calabrese ricco e complesso, il Val di Neto IGT Efeso 2016 di Librandi, prodotto con l’interessante vitigno autoctono mantonico. Tra i bianchi New Entries segnaliamo Sicilia Grillo Laluci di Baglio del Cristo di Campobello, che colpisce con le sue fresche note agrumate, iodate e saline.

Merano

I Rossi

Cominciamo dal profondo sud con l’Aglianico del Vùlture Don Anselmo 2013 di Paternostrer, un vino di austera eleganza, fresco e profondo. Non è da meno il Taurasi Riserva DOCG Vigna Grande Cerzito 2012 di Qintodecimo, un vino di grande potenza, ingentilito da raffinate note balsamiche. Bella l’annata 2011 del taglio bordolese Toscana Lupicaia del Castello del Terriccio, così come la 2015 del Toscana Altrovino di Duemani. Interessante l’interpretazione dell’annata 2014, sulle note di una raffinata freschezza, del Paleo Rosso di Macchiole.

Dal Centro Italia due etichette che si distinguono per ricercata finezza espressiva: il Torgiano Rosso Riserva Vigna Monticchio 2011 di Lungarotti e il Conero Riserva Campo San Giorgio 2012 Umani Ronchi, un insospettabile Montepulciano in stile Borgogna. L’Amarone 2012 di Secondo Marco riconcilia con questo grande vino della Valpolicella. Una versione essenziale, fresca e di piacevolissima beva. Tra i banchi d’assaggio del Piemonte la scelta è difficile, ma alla fine ci siamo lasciati sedurre dal Barolo Bricco Rocche 2013 di Ceretto. Da anni ai vertici della produzione trentina, non delude l’attesa il San Leonardo 2013 di Tenuta San Leonardo, che anche in quest’annata si dimostra uno dei migliori tagli bordolesi italiani.

Tra i rossi New Entries segnaliamo il merlot in purezza Piave Rosso di Villa 2011 di Ornella Molon.

 

Il fascino della maturità: grandi bianchi vintage

La giornata di lunedì 13 è stata dedicato alle annate vintage. Per la gioia degli appassionati, molti produttori hanno fatto uscire dalle loro cantine private etichette di millesimi rari e prestigiosi. Le proposte erano veramente molte, dagli spumanti Metodo Classico, ai bianchi e ovviamente ai numerosissimi rossi. Per andare un po’ controtendenza, ci siamo concentrati soprattutto sui vini bianchi. Anche per sfatare la falsa convinzione, ancora molto presente tra i consumatori, che l’invecchiamento sia una pratica riservata ai soli rossi.

Molti bianchi, infatti, sono piacevolmente freschi e immediati in gioventù, ma acquistano un fascino e una complessità espressiva straordinaria proprio con la maturità. Ne sono stati l’esempio ilGewürztraminer Nussbaumer 2006 di Tramin, con il suo bouquet speziato, profondo e complesso, il Müller-Thurgau Feldmarschall Von Fenner 2012 Tiefenbrunner, già orientato su eleganti note di resina e idrocarburo, lo Chardonnay Baron Salvadori 1995 di Nals Magreid che esprime suadenti note mature di frutta gialla e miele, ma è ancora sostenuto da viva freschezza. Il Gavi 2010 di Villa Sparina, che si apre con note floreali di sambuco per lasciare poi spazio ai primi sentori d’idrocarburo. Il Sauvignon Blanc Ronc di Juri 2006 di Alessio Dorigo, che abbandonate le note primarie più fruttate, s’incammina verso un’affascinante essenzialità pietrosa, austera e sapida. Interessante l’evoluzione di Le Rive 2003 di Suavia, con un bouquet che coniuga la morbidezza del miele e delle scorze candite con una nitida vena sapida. Una conferma la longevità di un grande bianco come il Soave Classico Vecchie Vigne Contrada Salvarenza 2002 di Gini. Chiudiamo con il Custoza Superiore Amedeo 2009 di Cavalchina, che regala sentori da riesling e un sorso complesso ma ancora fresco e vivace.

 

Catwalk Champagne

Anche quest’anno il Merano Wine Festival si è chiuso con una giornata dedicata allo Champagne. Buona la selezione delle maison e molte etichette interessanti in degustazione. Fin dalla prima mattina la sala principale del Kurhaus si è riempita di appassionati delle nobili bollicine francesi, che calice alla mano non si sono persi un assaggio. Anche noi non siamo stati da meno, con un’attenzione particolare ai millesimati. Abbiamo apprezzato la purezza limpida ed essenziale del Dosage Zero Grand Crus Blanc de Blancs Millésime 2012 Encry, la ricchezza espressiva dell’Extra Brut Clos de l’Abbaye Millésime 2011 Doyard, l’elegante freschezza e le raffinate note grillé dell’Extra Brut Vintage Millésime 2005 Ployez-Jacquemart. L’annata 2008 si dimostra molto interessante con vini eleganti, tesi e di vibrante freschezza, ci sono piaciuti in particolare il Blanc de Blancs Grand Cru Millésime 2008 di Nicolas Feuillatte, laCuvée Alain Thienot Millésime 2008 di Thienot e laCuvée Prestige Millésime 2008 di Bergère. Più ricchi, ampi e maturi gli Champagne del 2006. Interessanti gli assaggi del Brut Blanc de Blanc Millésime 2006 di Bruno Paillard, delBrut Millésime 2006 Charles Heidsieck e dellaCuvée Spécial Club Crand Cru Millésime 2006 Paul Bara. Il millesimo 2004 sta rivelando tutto il suo potenziale, con belle etichette come la Cuvée Louise Brut Nature Millésime 2004 Pommery e la Cuvée L’Oger Grand Cru Millésime 2004 Michel Maillard.

 

a cura di Alessio Turazza

foto: Merano Wine Festival

 

Il Rum è Servito, sesta edizione. Ron Zacapa protagonista a Catania, da QQucina Qui

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Sarà la chef Bianca Celano a condurre i giochi il 21 novembre, quando la rassegna dedicata alla cultura del rum guatemalteco approderà a Catania. Per una cena degustazione che prende spunto dai prodotti del mare e del territorio siciliano. Ecco il menu. 

Il Rum è Servito continua il suo tour, e fa tappa a Catania. La rassegna che vede collaborare Ron Zacapa e Gambero Rosso ha l'obiettivo di valorizzare la cultura del rum, proponendo l'insolito abbinamento a tutto pasto col distillato guatemalteco. Tre le varianti della gamma Zacapa presentate in degustazione ( Ron Zacapa 23 – gusto morbido e sentori di frutta tropicale e vaniglia – Ron Zacapa 23 Etiqueta Negra – più intenso, con note di cioccolato e spezie – Ron Zacapa XO – aroma di tabacco, caramello e cannella), con la complicità degli chef che hanno accettato la sfida. Cena dopo cena, il motto dell'iniziativa – The art of Slow, elogio ai piaceri della vita – si rispecchia nelle serate organizzate dai ristoranti selezionati dal Gambero Rosso tra le migliori tavole presenti sulla guida Ristoranti d'Italia. Il 21 novembre, a Catania, sarà la volta di QQucina Qui, insegna condotta con freschezza e talento da Bianca Celano, chef con determinazione e rigore da vendere. Originalità e garbo nella reinterpretazione dei prodotti isolani in un loft dai colori pastello in centro città, che anche gli ospiti della serata Zacapa avranno modo di apprezzare grazie al percorso degustazione proposto in abbinamento col rum. Ecco il menu:

 

Seppie alla vaniglia, Maccu siciliano di piselli secchi e profumo d'arrosto

Zacapa 23 yo

 

Fettucce con crema di finocchietto, bottarga di tonno, arancia candita e pane croccante

Zacapa 23 yo

 

Alalunga scottata, carciofi arrosto, salsa di ostrica

Zacapa Etiqueta Negra

 

Gelato di pecorino, gelo di pistacchio, crema di mandorla e coulis di fichi d'India

Zacapa XO

 

Si prenota direttamente ai recapiti del ristorante.

 

Il Rum è Servito da QQucina Qui | Catania | via Umberto I, 229 | il 21 novembre | tel. 0956130317 | www.qqucinaqui.it

Enrico Bartolini. Il ristorante gastronomico Cinque da Fico: la videointervista. E un nuovo bistrot a Milano

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Lo chef del Mudec dirige un gruppo di ristorazione sempre più capillare, senza perdere in efficienza e concentrazione. Ora inaugura anche all'interno di Fico, dove gestirà la cucina di Cinque, per l'Associazione Le Soste. Ce lo racconta, anticipando pure l'apertura di un nuovo bistrot, a Milano. 

Il suo lavoro, oltre al mestiere di chef che porta avanti con evidente personalità, è quello di coordinare il lavoro di una squadra in crescita costante (e coerente). Come i progetti del gruppo che sovrintende, a distanza, dal suo quartier generale del Mudec, a Milano. Enrico Bartolini, il suo ruolo di “coach” lo prende molto sul serio. L'ultima conferma che la profusione di energie e la condivisione di obiettivi porta risultati è arrivata giusto qualche ora fa, dal Teatro Regio di Parma: dopo l'exploit dell'anno scorso, anche l'edizione 2018 premia il team Bartolini, assegnando una stella al Glam di Venezia ("Siamo molto felici, ci si mette impegno, e i riconoscimenti fanno bene a tutta la squadra").

 

Intanto però, abbiamo raggiunto lo chef alle prese con l'ultimo arrivato in famiglia, il ristorante Cinque all'interno di Fico – Eataly World, ideato in collaborazione con l'Associazione Le Soste nel grande parco tematico di Oscar Farinetti, aperto al pubblico dal 15 novembre alle porte di Bologna. Scelto dall'Associazione di cui fa parte per rappresentare l'eccellenza della ristorazione italiana, per gestire la brigata di Cinque, Bartolini ha scelto un collaboratore fidato, Salvatore Amato (mentre in sala c'è Roberto Redolfi), in squadra dai tempi del Devero. Nel ristorante gastronomico della Fabbrica Italiana Contadina – l'unico di tale respiro, insieme alla tavola di mare dei fratelli Raschi, con Guido – quindi si parlerà 100% italiano, con prodotti rigorosamente nazionali, molti reperiti da fornitori coinvolti nel progetto: “Qui dentro accadono cose uniche, che stiamo scoprendo. Normalmente non abbiamo limiti nel reperire ingredienti dal mondo, ma qui vogliamo valorizzare la biodiversità italiana, essere un po' sciovinisti”. 11 tavoli in tutto, per una squadra di 12 collaboratori, pronta a lavorare 7 su 7, a pranzo e cena. Con Salvatore Amato chiamato a lavorare in piena autonomia, mentre Bartolini – chiaro nel ribadire “l'amore e la concentrazione che mettiamo in ogni insegna del gruppo” - è pronto a concentrarsi su Milano, dove sono in arrivo belle novità: “In città sto avendo un buon successo, desidero essere molto concentrato lì”. Non solo al Mudec, però, ma pure nel nuovo bistrot che si appresta ad aprire battenti nel quartiere di Brera.

 

La Locanda Pandenus in via Mercato. Un nuovo bistrot 

Si chiamerà Locanda Pandenus, di fatto un nome già noto in città, dove i nuovi partner dello chef – dietro al gruppo Pandenus c’è l’idea imprenditoriale di Filippo Lecardane – contano 4 locali, tra cui la locanda-bakery di largo La Foppa. In via Mercato, dove aprirà la nuova Locanda Pandenus, invece nascerà un bistrot aperto dal mattino - con la proposta di caffetteria al banco di Gianni Frasi (“il nostro valore aggiunto”) - che servirà pranzo e cena, con particolare attenzione per il servizio serale, dove la supervisione del menu sarà curata dalla squadra di Bartolini: “Non ci siamo mai cimentati con una proposta del genere, contiamo anche sull’esperienza dei nostri partner. Vogliamo presentare piatti pensati per il bistrot, comprensibili, buoni, che invitino a mangiare con piacere, in maniera generosa. Per questo non uso nessun aggettivo diminutivo di buono, è un progetto in cui crediamo molto, al pari degli altri”. E particolare attenzione sarà riposta anche sui cocktail. Gli ultimi lavori procedono, con l’intenzione di aprire entro i primi giorni di dicembre.

Poche settimane ancora per scoprire le carte (e ne riparleremo), con l'idea molto concreta di triplicare nel 2018 (un altro bistrot in progetto, ancora a Milano).  

 

a cura di Livia Montagnoli

(videointervista di Massimiliano Tonelli)

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