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Oli d'Italia 2017. Miglior fruttato intenso: Olio Intini di Alberobello

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Frantoiani da 4 generazioni, la famiglia Intini rappresenta una delle migliori espressioni dell'extravergine pugliese di qualità. Storia e sviluppo dell'azienda.

Il premio

Ci sono le note erbacee e poi quelle balsamiche, i sentori di frutta e le nuance più vegetali. Ci sono l'amaro, il piccante, e c'è tutta una trama aromatica complessa e sofisticata nel profilo di un olio extravergine di oliva di qualità. Caratteristiche imprescindibili, che possono presentarsi in quantità e proporzioni differenti a seconda della tipologia di oliva, di lavorazione, del periodo di raccolta e dell'annata. Abbiamo il privilegio di poter scegliere fra oli di diversa intensità, con un fruttato (insieme delle caratteristiche organolettiche percepibili all'olfatto) più o meno delicato, dettaglio che ci permette di abbinare in tanti modi l'oro verde ai piatti, sperimentando con i sapori per assonanza o per contrasto. Fra i fruttati intensi più eleganti ed equilibrati della scorsa campagna olearia è stato il monocultivar di coratina di Olio Intini a distinguersi per carattere ed esuberanza nella guida Oli d’Italia 2017.

Le origini

Nel campo dell'extravergine Pietro Intini non ha bisogno di molte presentazioni: la sua profonda conoscenza delle cultivar pugliesi gli ha permesso nel tempo di diventare un punto di riferimento per l'olivicoltura di qualità nella zona di Bari, e non solo. “La mia famiglia si occupa di olio da sempre, ma è stato grazie all'intraprendenza di mio nonno, che da operaio è divenuto titolare dell'azienda negli anni '50, che abbiamo potuto creare una nostra linea produttiva”. L'altra svolta avviene negli anni '70, con l'inserimento di un impianto continuo con frangitore a coni, e poi ancora nel '94, con il trasferimento del frantoio dal centro storico dei trulli di Alberobello alla periferia del paese. “Nei primi anni del 2000, poi, dopo una serie di esperienze di studio in Italia e all'estero, ho deciso di tornare nella mia terra e prendere in mano le redini dell'attività”. Rivoluzionandola completamente. “Mi sono focalizzato molto sulla ricerca del prodotto, installando due diverse linee di lavorazione nel 2003 e poi, nel 2011, apportando altre modifiche all'impianto con le ultime tecnologie che ancora oggi contraddistinguono il nostro lavoro”.

I prodotti

Circa 2000 piante distribuite in 7 ettari di terreno che si snodano fra Alberobello e la Valle d'Itria compongono il ricco patrimonio agricolo dell'azienda. “A queste poi si aggiungono altri 15 ettari con 4500 piante in affitto e di proprietà di nostri giovani collaboratori”, per un totale di 22 ettari e 6500 piante, e una produzione media di 200 quintali di olio l'anno. Otto le etichette principali: il monocultivar di cima di Mola, il monocultivar di olivastra, il monocultivar di coratina, il monocultivar di coratina bio, l'Affiorato, blend di peranzana e coratina, il Denocciolato, e due prodotti base, il Classico e il Fruttato, “questi ultimi disponibili anche in lattina”.

Le piante

Potature, concimazioni, trinciature “o in altre casi arature leggere”:queste le cure da tenere in campo per assicurare una corretta pratica agronomica in grado di far sviluppare al meglio albero e frutto. “Generalmente potiamo ogni due anni, e facciamo qualche trattamento per prevenire malattie dovute perlopiù ai tagli della potatura e all'attacco della mosca olearia”. La raccolta, quest'amo, è cominciata a inizio ottobre, e l'annata si prospetta buona, “dalle quantità medie ma di qualità eccellente”. Prima cultivar a maturare è la cima di Mola, “che è anche la più resistente”, seguita dall'olivastra, “che si è perfettamente adattata alle fredde condizioni meteorologiche della zona”. Il patrimonio varietale pugliese è immenso, specialmente quello della Bassa Murgia e dei Trulli di Alberobello, “dove le forti escursioni termiche tra il giorno e la notte, unite a un terreno di natura calcareo-argillosa, donano oli di grande struttura e dalla carica fenolica fuori dalla norma”. Una realtà olivicola sfaccettata e multiforme, “così frammentata da regalarci una selezione variegata di cultivar diverse, ciascuna con le sue peculiarità”.

La cima di Mola

Ma se la coratina è stata l'oliva meglio lavorata dello scorso anno, fiore all'occhiello dell'azienda e prodotto più caratteristico resta la cima di Mola, “la nostra cultivar del cuore, punta di diamante e simbolo di una dura battaglia in nome della biodiversità”. Una varietà autoctona della Murgia pugliese, che ha iniziato a diffondersi nel territorio agli inizi del Novecento. “La raccolta è esclusivamente manuale, processo costoso per il quale questa tipologia ha subìto negli anni un lento declassamento a favore di cultivar meno difficili.” La cima di Mola ha lasciato così il posto a varietà più comuni e di largo utilizzo, diventando un'oliva da olio in via d'estinzione. Questo, almeno, finché la famiglia Intini non ha deciso di recuperarla, “sfidando tutte le difficoltà insite in ogni fase del suo processo produttivo, dalla reperibilità alla raccolta fino alla bassa percentuale di resa, e in generale gli alti costi di produzione”. Il risultato, però, paga: “L'olio di cima di Mola è un prodotto di carattere che si distingue per l'alto contenuto di polifenoli, che negli ultimi 3 anni ha superato i 1000 mg/kg”.

Il frantoio

Tutte le cultivar passano poi in frantoio, dove coesistono quattro sistemi di frangitura, con due linee di lavorazione a due fasi firmate Mori e Pieralisi, e diversi metodi di gramolazione: “Mi diverto a giocare con i macchinari a seconda delle annate,della qualità di oliva e del livello di maturazione: un leccino già invaiato, per esempio, richiederà tempi di gramolazione ridotti e una velocità di frangitura adeguata, in grado di esaltare le componenti di amaro e piccante”. L'olio viene filtrato immediatamente, e conservato in cisterne di acciaio inox in ambienti sotto azoto. “Per l'imbottigliamento, ci affidiamo a una linea di ultima tecnologia, che garantisce tempi di conservazione prolungati e maggiormente controllati grazie all'utilizzo di piccole quantità di gas inerte in ogni bottiglia”.

La vendita e la comunicazione

Gli oli Intini si trovano nelle botteghe artigianali e nei negozi specializzati, nelle enoteche ma anche nei ristoranti d'autore. In crescita il commercio con l'estero, “dove siamo maggiormente presenti, soprattutto in Oriente e nel Nord Europa”. Perché, purtroppo, nonostante la profonda cultura legata all'oro verde, l'Italia è ancora indietro in fatto di consapevolezza dei consumatori: “Gli italiani sono poco attenti, anche se gradualmente il panorama sta cambiando, grazie al lavoro delle associazioni di categoria, gruppi di appassionati ed esperti del settore impegnati nella comunicazione della qualità dell'olio”. L'azienda, dal canto suo, organizza degustazioni e corsi di assaggio, “fondamentalie; qui siamo tutti assaggiatori professionisti”, tour guidati e visite in frantoio. Per cercare di avvicinare il pubblico al settore olivicolo, anche grazie alla recente campagna di comunicazione “Non è tutto olio quello che luccica”, “volta ad aiutare i consumatori attraverso cinque immagini semplici ed efficaci che si propongono di sfatare i luoghi comuni sull'extravergine”.

Progetti per il futuro

Nel frattempo, continua l'ampliamento degli uliveti: “abbiamo dato vita a circa 400 piante di una nuova cultivar sconosciuta”, e il lavoro di ricerca e perfezionamento dei prodotti. Perché essere un olivicoltore significa “aprire nuove strade, far tesoro della tradizione e superarla con lo studio dell'agronomia, delle tecniche di produzione e della chimica”. Anche in questo caso, la cima di Mola torna come esempio: “Si tratta di una cultivar da tutelare e tramandare, ma da trattare in maniera diversa, con conoscenze moderne e tecniche che i nostri nonni non potevano avere”. Il compito di un bravo olivicoltore? “Salvaguardare territori e biodiversità, facendosi custodi della natura”.

Olio Intini | Alberobello (BA) | c.da Popoleto | tel. 08 04325983 | www.oliointini.it

a cura di Michela Becchi

Guida Oli d'Italia 2017. Ecco tutti i premi speciali

Oli d'Italia 2017. Azienda dell'anno: Agrestis di Buccheri

Oli d'Italia 2017. Frantoio dell'anno: Nicolangelo Marsicani di Morigerati

Oli d'Italia 2017. Miglior monocultivar: Doria di Cassano Allo Ionio

Oli d'Italia 2017. Olivicoltore dell'anno: Frantoio Franci di Castel del Piano

Oli d'Italia 2017. Miglior Dop: Trappeto di Caprafico di Casoli

Oli d'Italia 2017. Miglior olio biologico: Marfuga di Campello sul Clitunno

Oli d'Italia 2017. Miglior monocultivar: Sebastiana Fisicaro Oleificio Galioto di Ferla

Oli d'Italia 2017. Miglior blend: Fattoria Ambrosio di Salento

Oli d'Italia 2017. Miglior performance territoriale: Accademia Olearia di Alghero

Oli d'Italia 2017. Miglior olio biologico: Viola di Foligno

Oli d'Italia 2017. Olivicoltore dell'anno: Fonte di Foiano di Castagneto Carducci

Oli d'Italia 2017. Miglior rapporto qualità/prezzo: Doganieri Miyazaki di Castiglione in Teverina

Oli d'Italia 2017. Miglior blend: Tenuta Zuppini di Torricella Sicura

Oli d'Italia 2017. Miglior olio Igp: Centonze di Castelvetrano

Oli d'Italia 2017. Miglior fruttato medio: Tenute Librandi Pasquale di Vaccarizzo Albanese

Oli d'Italia 2017. Miglior olio Dop: Paolo Bonomelli Boutique Olive Farm di Torri del Benaco 

Olio extravergine di oliva. Glossario essenziale per conoscere l'oro verde


Merano Wine Festival 2017. Alla scoperta dei vini migliori in Alto Adige

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Biodinamici, estremi, in acciaio, anfora o barrique. Bollicine francesi, grandi etichette italiane, storiche cantine e nuove realtà. E poi produttori ospiti dal mondo, dall'Argentina al Sudafrica, al Giappone. Tutti insieme per il Merano Wine Festival negli spazi del Kurhaus della località altoatesina.

L'evento

Sembra ieri che insieme con due amici avevo pensato di trasformare la città di Merano nel “salotto buono europeo della raffinatezza” in cui passato, presente e futuro del vino e della gastronomia trovano spazio per il confronto, la conoscenza, l’incontro”. A parlare è Helmut Köcher, che nel 1992 ha presentato per la prima volta al mondo enologico il Merano Wine Festival, l'esclusiva kermesse che ormai da più di vent'anni si ripete nell'autunno della rinomata località termale altoatesina, aprendo una finestra di respiro internazionale sullo stato della produzione vinicola d'Italia e del mondo. A distanza di 26 anni, la rassegna continua a riunire i migliori produttori, racconta le tendenze del momento, attrae addetti ai lavori, stampa di settore e tanti appassionati che si ritrovano per degustare grandi etichette nel salone liberty del Kurhaus.

Il programma

Quest'anno l'appuntamento nella cittadina di Merano è dal 10 al 14 novembre, e si apre con il consueto approfondimento del Merano Wine Forum sul futuro del vino. Ma il programma della manifestazione è ricco di seminari e laboratori diversi, per una cinque giorni all'insegna del gusto, con la partecipazione di oltre 450 case vitivinicole d'eccellenza, italiane e straniere, quasi 200 artigiani del gusto e 15 chef professionisti: l’espressione del meglio che il nostro Paese ha da offrire, selezionata da The Wine Hunter Award. Nella Chef Arena, la Cooking Farm ospiterà i cuochi per un confronto diretto su ingredienti, lavorazione e realizzazione dei piatti della tradizione. All’interno delle varie masterclass avranno luogo, poi, una serie di degustazioni guidate di eccellenze enologiche nazionali ed internazionali, con lo scopo di creare cultura e sapere. E ancora, il settore più in crescita degli ultimi anni, quello dei vini biologici, biodinamici, naturali, “orange” e PIWI (vitigni resistenti alle malattie), avrà uno spazio dedicato proprio nella giornata di apertura.

Prodotti in assaggio

Fra le tante cantine, trovano spazio anche le birre artigianali, presentate da 15 birrifici italiani, le specialità gastronomiche regionali, i distillati, i liquori, e tutti quei prodotti di nicchia che rendono il patrimonio alimentare italiano unico nel suo genere. Il lunedì è il giorno dedicato alle novità, alle etichette che si sono distinte per qualità e peculiarità durante le selezioni, per la prima volta in assaggio nel Pavillon des Fleurs. Non mancherà, inoltre, l'area riservata a Bordeaux, per raccontare la storia del vino francese, una cultura che si tramanda immutabile da decenni, e che verrà rappresentata da 13 storici Châteaux, che proporranno agli ospiti i loro prodotti più prestigiosi. Chiude il festival la Catwalk Champagne, una “sfilata” di alcune fra le migliori Maisons de Champagne, per concludere al meglio una grande festa del vino di qualità.

La guida

Novità assoluta di questa edizione è la guida online The WineHunter Award, ovvero la personale selezione di Helmuth Köcher, che spiega: “Grazie a questo strumento condividiamo per la prima volta con i tantissimi utenti del nostro sito l'immenso lavoro di scoperta e selezione che abbiamo realizzato”. Oltre 4mila vini provenienti da tutta Italia sono stati sottoposti al giudizio critico di Köcher e altri colleghi, che hanno assegnato l'Award solamente a 2mila delle bottiglie in assaggio. Tre i riconoscimenti principali: l'Award Rosso, il Gold e il Platinum, il premio più ambito, che sarà assegnato a 25 realtà durante la cerimonia di presentazione al Merano Wine Festival.

Merano Wine Festival | Merano | dal 10 al 14 novembre 2017 | www.meranowinefestival.com/merano-winefestival/il-festival/

a cura di Michela Becchi

Tagliatella al Mercato della Darsena di Milano. Il nuovo progetto di Giuseppe Zen, aspettando il baccalà

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La Macelleria Popolare, il Panificio Italiano, (R)esistenza casearia: la factory di Giuseppe Zen al mercato di piazza XXIV maggio è corazzata e vincente. Presto offrirà un’alternativa in più, per mangiare di qualità con pochi euro: la pasta all’uovo e i sughi di Tagliatella. 

Giuseppe Zen al mercato della Darsena

Una ne fa, cento ne pensa, si potrebbe affermare di Giuseppe Zen senza timore di smentita. Tutto giusto, come sa bene chi conosce l’entusiasmo con cui uno dei più celebri volti dell’artigianato gastronomico meneghino affronta il suo mestiere. Se non fosse per una precisazione doverosa: Giuseppe Zen le buone idee non si limita ad averle, le mette in pratica. E così, ferma restando la solidità del quartier generale di Lorenteggio – dove Mangiari di Strada attira un gran numero di cultori delle ricette popolari della tradizione italiana – negli ultimi anni, Zen ha eletto il mercato di piazza XXIV Maggio, in Darsena, suo parco giochi di riferimento per fare cultura gastronomica a uso e consumo di un pubblico numeroso ed eterogeneo. Che ogni giorno arriva a curiosare tra i banchi della struttura coperta anche per merito suo, e della Macelleria Popolare. Entrare all’ora di pranzo al mercato, non a caso, significa imbattersi negli astanti che affollano il box dedicato alle carni ovine e bovine, uno spaccio con cucina che offre l’opportunità di imparare tra un pane cà meusa e una stigghiola, una lingua in salsa verde e una coda alla vaccinara. “Un’attività da 13 al Superenalotto” racconta Zen confermando i sospetti che Macelleria Popolare vada alla grande. Un’azienda sana, che col tempo ha finito per fornire nuova linfa, e possibilità di reinvestire gli utili in progetti altrettanto efficaci, nati proprio per valorizzare l’idea di un mercato gastronomico sostenibile, che sa divertire, informare, fare da mangiare con qualità.

Il pane e il formaggio a latte crudo. Come vanno gli affari

Da questa consapevolezza, un anno e mezzo fa nasceva il Panificio Italiano, il più piccolo laboratorio di panificazione naturale del mondo: solo 13 metri quadri per sviluppare la filiera del pane, dalle farine selezionate sul territorio nazionale alle procedure di impasto, all’infornata, “per una produzione giornaliera che supera gli 80 chili solo il sabato, quando facendo i salti mortali riusciamo ad arrivare a 100”. In “bottega” c’è Giovanni, che si muove con abilità calcolata al millimetro, e da qualche settimana sta sperimentando una nuova ricetta, per fare il pane con la cariosside del grano, “un pane curativo, detox, ancestrale”, “il pane di Aronne” come piace chiamarlo a Giuseppe Zen. Certo, l’onestà non gli ha mai fatto difetto, il panificio è una bella scommessa vinta, ma economicamente non sostenibile, almeno non a guardare gli incassi della singola attività: “Un atto di mecenatismo gastronomico puro”, lo definisce lui. Ben diversa, invece, e inaspettata, la sorte di R(esistenza) Casearia, che all’inizio dell’autunno 2016 arrivava a rinsaldare la factory di Giuseppe Zen all’interno del mercato. Un’altra sfida andata a segno, che a distanza di un anno sta portando grandi risultati e belle soddisfazioni: “Facciamo fatica a crederci, ma la nostra selezione di formaggi, esclusivamente a latte crudo, sta andando alla grande. Ci sono giorni della settimana in cui lavoriamo senza sosta, con un prodotto di fascia alta che certamente non è economico: parliamo di formaggi che si vendono tra i 24 e gli 80 euro al chilo, che pubblico possono attirare? Gli estimatori del genere in primis, ma anche chi ha voglia di conoscere. E il nostro bellissimo banco sta funzionando. Ne sono felice, siamo artigiani, ma non avevamo mai fatto i commercianti, e la sfida mi piace sempre di più”.

Tagliatella

Se l’appetito vien mangiando, allora, perché non provarci ancora? Tra un mese – settimana più, settimana meno, probabilmente a ridosso del Natale – al mercato esordirà Tagliatella, un’idea nell’idea che sfrutta lo spazio già ridottissimo del panificio: “Tagliatella è un’idea semplicissima: un bollitore a sei spazi, una pasta incredibile, i nostri sughi di carne e vegetali. Un progetto succinto, ma straordinario per la qualità del prodotto che offriamo”. Il tempo di mettere a punto un bollitore che non rubi troppo spazio nel piccolo box, e la lavagna di Tagliatella comincerà ad attirare clienti in cerca di un buon piatto di pasta… In bicchiere. La pasta è quella di Filotea, una pasta all’uovo artigianale prodotta nelle Marche, che Zen sostiene con molta passione: “I ragazzi sono bravissimi, le tagliatelle cuociono in un minuto. È la pasta all’uovo più buona che si possa immaginare, subito dopo quella che ognuno fa a casa propria”. I sughi, invece, due diversi ogni giorno, arriveranno dalla macelleria e da Resistenza Casearia (dove tra le proposte del giorno spesso è già disponibile un primo buonissimo, la cacio e pepe con formaggio di capra): “Avremo diverse interpretazioni di ragù, quello alla bolognese, il ragù in bianco di pecora, il ‘raù’ napoletano caro a Eduardo De Filippo. E poi una proposta vegetale, o con i formaggi di Resistenza”. Prezzi popolari, dai 6.50 euro agli 8-9 euro, un bicchierone da passeggio, e il pranzo è servito. L’idea in più è quella di un carrello semovente che garantirà spazio di manovra, “ora che finalmente il Comune ci ha concesso l’autorizzazione per sistemare tavoli e panche all’esterno, con vista sulla Darsena”.

E il baccalà

E pure il 2018 potrebbe riservare sorprese: “Ci piacerebbe allargarci ancora, e le condizioni ci sarebbero”. Il limite da superare, inaspettatamente, è la mancanza di “manodopera” qualificata: “Possiamo avere belle idee e ottimi prodotti, ma non abbiamo persone che ci seguono: da quasi un anno cerco una persona da affiancare a Paola per lavorare con i formaggi, non riesco a trovare qualcuno che abbia voglia di lavorare sul serio, di impegnarsi anche 10-12 ore al giorno, se necessario. Da me devono fare i cuochi in tutto, sapere da dove arrivano i prodotti, andare a conoscerli”. Superato l’ostacolo, il prossimo progetto in cantiere potrebbe riguardare da vicino il baccalà, alla maniera di Giuseppe Zen: “Possibile che a Milano si faccia fatica a trovare un posto serio dedicato al baccalà? È un prodotto che amo, e io ho sempre amato lanciarmi in idee che sulla carta sono un po’ folli”. Visti i risultati, come biasimarlo?

 

Mercato della Darsena | Milano | piazza XXIV maggio

 

a cura di Livia Montagnoli

Rigò a Londra e la cucina di Gonzalo Luzarraga. Nel ristorante Novità 2017 per Top Italian Restaurants

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La squadra è italiana, come i capitali che sostengono il progetto. Ma Rigò non è un ristorante italiano come molti immaginano le tavole tricolore all'estero. Dietro c'è la personalità cosmopolita di Gonzalo Luzarraga, solide radici piemontesi ed esperienze di cucina in tutto il mondo. 

Bando alle etichette

Rigò è un'impresa italiana a Londra. Una tavola fine dining aperta appena tre mesi fa, eppure già meritevole di appuntarsi sul petto le tre forchette tricolore del Gambero Rosso, nuova apertura 2017 sulla guida Top Italian Restaurants, che censisce l'eccellenza dei ristoranti italiani nel mondo. Ma quell'etichetta di cui tanti scelgono di ammantarsi, lo scudo dell'autentica cucina italiana, Gonzalo Luzarraga ha scelto di metterla da parte. Lui che da una vita gira il mondo in cerca di suggestioni gastronomiche, mamma italiana (di Cuneo) e una profonda conoscenza del territorio piemontese dove è nato e cresciuto anche se il cognome tradisce origini latine, alle etichette di tendenza proprio non presta attenzione. Anzi, quasi le considera un limite alla libertà creativa di uno chef, alla possibilità di fare ricerca sul territorio, valorizzare storie e prodotti senza rigidi paletti campanilistici. Il risultato è un approccio assolutamente personale alle tradizioni gastronomiche respirate sin da bambino, un gusto affinato tra esperienze di vita personale che l'hanno portato a scoprire anche angoli remoti del mondo – dal Sudafrica “nero” alle regioni meno conosciute della Russia – e tappe formative di un Grand Tour d'eccellenza, tra Alain Ducasse e Walter Eynard, la Cina, il Giappone, le Maldive.

Rigò a Londra

All'esordio londinese, con il socio Francesco Ferretti, è arrivato dopo un impatto piuttosto straniante con la città: “Fino a qualche anno fa non amavo Londra, la vivevo da viaggiatore veloce, ne coglievo solo gli aspetti più superficiali. Poi mi è capitato di collaborare con un collega alla start up di un ristorante italiano qui in città, sono rimasto per 6-7 mesi. Ho finalmente compreso che qui c'è molta sostanza, anche se pochi, fatta eccezione per i grandi nomi, sono quelli che utilizzano a pieno la grande varietà di prodotti locali”. Pochi quelli che si spingono nelle campagne inglesi alla ricerca di un rapporto umano con i produttori, “un aspetto al quale noi italiani siamo molto inclini, e sorprendentemente ho ritrovato anche qui: Londra non è una città fredda.” Lui alla selezione della materia prima ha sempre riposto molta attenzione. E da quando è partita la nuova avventura londinese ha girato molto per scovare “chi produce con l'anima”: la domenica, nel giorno di chiusura, esce a scoprire il buono che lo circonda. Ci sono i raccoglitori di funghi e muschio della Scozia, l'allevamento di agnelli da latte “di straordinaria qualità”, i produttori di ortaggi della periferia londinese. Un lavoro sulle materie prime britanniche che non fanno neppure i ristoranti tradizionali, in affiancamento alla continua ricerca sull’Italia naturalmente. Insomma, “volevo aprire a Parigi, ora sono felicissimo di averlo fatto a Londra”. Dietro c'è anche una valutazione imprenditoriale oculata dei margini di profitto che offre la capitale inglese, “non è un caso che tutti scelgano di provarci qui, David Munoz per esempio sta per raddoppiare col suo StreetXo. Ma è necessario comprendere bene le dinamiche del lavoro: qui i ritmi sono diversi, turni del personale più corti, orari di apertura ridotti, servizi da ottimizzare. Questo permette di mantenere la concentrazione, lavorare con precisione. E chi fa qualità ha ottimi margini di profitto”.

Pluma di cinta senese, ostrica, capesante, pastinaca

Una proposta originale

Da Rigò sono 7 in cucina, con rotazioni frequenti; 30 i coperti in sala, gestita con competenza dal giovane Federico Dadone, sommelier d'esperienza che per la cantina ha lavorato su molti piccoli produttori biodinamici, italiani e del mondo, per mettere insieme una carta originale quanto la cucina, con una buona ossatura di rough wine e le etichette più classiche e preziose a fare da corollario: “Lavoriamo molto bene sul pairing, e di questo siamo molto contenti”. Il merito è certamente di come gira tutta la squadra: a pochi mesi dall'esordio la critica locale è già generosa con l'insegna di Fulham, e la clientela non manca. All'inizio erano soprattutto italiani e francesi, ora si contano presenze internazionali da tutto il mondo, “e tra i londinesi abbiamo già diversi clienti abituali”. Tutti curiosi di scoprire la cucina di Gonzalo, che le ultime esperienze in Italia le ha avute a Le Clivie di Piobesi d'Alba e al Marachella di Cherasco.

L'idea gastronomica che mette in campo oggi, a suo parere, non necessariamente avrebbe successo in Italia: “Faccio un discorso molto personale, nelle ossa c'è l'italianità, poi la tecnica, le basi apprese da Ducasse, e tutto il meglio assorbito nel mondo”. In Russia, per esempio, ha imparato a ripensare ingredienti di contorno, dandogli nuova dignità, come le patate. In menu presenta anche un piatto di midollo di bue e caviale, “che in Italia non avrei mai pensato di proporre”.

Mortadella, topinambur, tartufo bianco

L'idea è quella di approcciarsi alla trasformazione degli ingredienti con la massima libertà: “La passione per le fermentazioni arriva dai Paesi del Nord, degli asiatici mi affascina il modo di trattare i prodotti italiani, del Giappone la padronanza dell'umami, delle Maldive la rivisitazione di una cucina indiana più gentile con le spezie”. Senza dimenticare le origini: “Il 40% dei prodotti che usiamo al ristorante arrivano dall'Italia, dai pomodori del Piennolo ai carciofi di Albenga, all'aglio di Vessalico, al riso Acquerello”.

Contro gli stereotipi

Si sceglie alla carta – breve, 5 antipasti e 5 main course, due di pasta, come i Cappellacci con cipolla fermentata e Parmigiano Reggiano 36 mesi – o il percorso degustazione di 6 portate, che racconta il viaggio di Gonzalo dall'infanzia agli ultimi ricordi, come Noci e caviale, dal piatto tradizionale del Mar Nero scoperto in vacanza dai genitori della sua fidanzata, sulla tavola di Rigò con noci fermentate e caviale di aringa. Anche per i dolci, esperienze meditate: la Creme brulée con castagne, porcini e sesamo nero, Cachi e amazake (un miglio fermentato giapponese), la Foresta Nera con cioccolato bio Original Beans e ciliege selvatiche scozzesi. In alternativa i formaggi piemontesi di Franco Parola. Il rischio maggiore? “Quando dici che sei italiano, molti pretendono lo stereotipo dell'Italia. Perché un cinese può cucinare italiano e io non posso proporre qualcosa di mio?”. Il discorso, per Gonzalo, vale anche per l'Italia, “dove non è facile proporre un discorso che esca dagli schemi, un ristorante come il mio potrebbe funzionare a Milano, forse a Torino”. Chi ci riesce bene? “Mi piace molto Yoji Tokuyoshi, è uno che ha avuto il coraggio di applicare l'estetica giapponese alla cucina italiana. E poi Max Poggi a Bologna, anche lui sta lavorando con qualità fuori dai percorsi battuti, in un contesto molto tradizionalista. A Milano c'è anche Eugenio Boer, che fa cose molto interessanti”. A Londra, invece, dove gli piace mangiare? “Sono un fan di Isaac McHale al The Clove Club. Nella sua cucina vedo molta della sensibilità italiana per la valorizzazione dei prodotti locali. Mi piace anche il britalish di Luca, un'idea dello stesso team. E poi The Kitchen Table al Bubble Dog. Per mangiare italiano, invece, la pizza di Matteo Aloe, da Radio Alice. E la carne del Macellaio. O la cucina italiana dell'Harry's Bar, peccato sia solo per i soci”.

 

Rigò | Londra | 277, New King's Road | www.rigolondon.com

 

a cura di Livia Montagnoli

Foto di Roberto Savio (roberto_savio photography)

Trovare personale di sala nei ristoranti è sempre più un'impresa. Alcuni casi

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Orari impossibili, improvvisazione, lavoro nero e pretese assurde: è davvero emergenza sala? Ne abbiamo parlato con alcuni chef e ristoratori e ci siamo fatti raccontare qualche aneddoto.

Nei colloqui si sente di tutto, per questo Giuseppe Iannotti (Kresios di Telese Terme) anticipa tutti e la mette giù dura: “Li faccio sedere e parlo io” spiega “gli dico: che vuoi fare da grande? E poi inizio: sai che tutti i giorni rossi si lavora? E anche tutti i prefestivi, si entra alle 10.30 la mattina e se riusciamo stacchiamo” e aggiunge: “si riposa, se non ci sono impegni, la domenica sera e il lunedì. Altrimenti si lavora. Se ce la fai benvenuto al Kresios”. Prende il toro per le corna, per evitare perdite di tempo.

Perché il gran carrozzone del cibo attrae con forza centripeta gli indecisi e quelli che seguono il pifferaio magico delle comparsate tv e delle copertine dei giornali, storditi dalle luci di una ribalta meramente virtuale. E se in cucina si capisce facilmente chi ha capacità e motivazione e il personale non manca, non altrettanto si può dire per la sala. Dove ancora (anno 2017, con il comparto ristorazione che impiega oltre 370mila persone secondo il rapporto Fipe sull'anno 2016) fare il cameriere viene considerato da molti un ripiego, magari temporaneo, oppure una strada d'accesso secondaria al luccicante mondo dell'alta cucina. “La prima domanda che fanno è lo stipendio” dice Mario Sansone patrondi Marzapane a Roma “Chiedono quanto mi dai, senza parlare di mansioni e competenze, forse pensano di diventare milionari da un momento all'altro e che il ristorante sia il paese dei balocchi”.

 

Mal comune...

I problemi ci sono” ammette Giancarlo Morelli del Pomiroeu di Seregno. “Il personale è fondamentale per ogni imprenditore, e il personale di sala è un vero valore aggiunto, un lavoro pieno di bellezza e complessità”. Ma ancora poco seduttivo. “4 mesi di recruiting: trovare quattro persone è stato difficilissimo” dice Mario Sansone “quest'estate abbiamo rischiato di ritardare l'apertura al teatro dell'Opera per mancanza di personale in sala”. Sembra impossibile, in un'Italia che lamenta una drammatica emergenza lavorativa. “E invece il lavoro c'è”. Non c'è chi lo vuole fare? “Il problema è la mentalità di questi ragazzi, ci parli e ti chiedi che faranno nella vita e dove andranno”. Ma è così ovunque o alcune città sono più complicate di altre? Lo abbiamo chiesto a Giancarlo Morelli che tra il suo primo ristorante a Seregno, i locali a Milano (il Giancarlo Morelli e il Bulk nell'hotel Viu, e la Trattoria Trombetta) e quello – stagionale - in Costa Smeralda occupa – solo in sala - 45 persone tra fissi e stagionali. “No, tutto considerato, non c'è differenza tra un posto e l'altro, ci sono le stesse difficoltà e le stesse possibilità ovunque”. Però aggiunge: “Se paghi la professionalità trovi le persone che vanno bene, ci sono delle cose che i ristoratori devono mettere a fuoco: che si deve fare il giusto per chi fa bene il suo lavoro”. Perché qualcuno bravo c'è, contesissimo: “parlerei anche dei ragazzi virtuosi” aggiunge infatti Iannotti “quelli che credono nel progetto, sono loro stessi il progetto”. Trovarli non è semplice: ancora pochipensano – prima di cominciare - che la ristorazione comporta lavoro nei festivi, fatica fisica, stress e regole: “alcuni arrivano conciati come per un rave” racconta Sansone “in un ristorante di un certo tipo bisogna avere un aspetto adeguato”. Lo scopriranno presto, dopo il primo contatto scritto, quello del curriculum.

 

Letture imprevedibili: i curriculum

Ho letto di tutto nei curriculum” dice Iannotti “da cerco lavoro come aiuto chef a come posso fare per diventare un maître”, come se per coprire un ruolo, in un ristorante, non occorresse fare un percorso come in altre professioni ma ci si arrivasse per decisione dall'alto. Spulciando qua e là: “Ho visto tutte le puntate di Master Chef e vorrei entrare in una cucina come la sua”; “ho esperienze nel settore della ristorazione” a fronte di un curriculum con soli corsi di massaggio ayurvedico, c'è anche chi gioca la carta della sincerità: “se cercate gente con esperienza lasciate stare, non ho mai fatto nulla”.

Dall'invio del curriculum al lavoro ci passa almeno un colloquio. E già in questa occasione molte altre cose si chiariscono: tra quelli che non si presentano all'appuntamento senza neanche avvisare o arrivano due ore dopo, sempre senza preavvisi, e chi polemizza già al primo incontro c'è una bella varietà di tipi da inquadrare.

 

Questioni di fede

Le prime battute sono spesso emblematiche. Si parla di religione: “Non lavoro di venerdì perché sono testimone di Geova” (Iannotti), fede calcistica “sono abbonato alla A.S. Roma e la domenica non posso proprio” con tanto di opzione nel caso in cui la “magica” giocasse il sabato sera: “Un permesso?” (FabioSpada con Cristina Bowerman da Glass Hosteria e Romeo a Roma), mobilità “devo finire entro mezzanotte perché vengo con i mezzi pubblici” (Sansone). Passando, ovviamente, alle sempreverdi questioni di cuore: “il sabato e la domenica li vorrei di riposo perché la mia compagna non lavora e vorrei stare con lei”. C'è chi al primo giorno di lavoro si presenta con il piano ferie in mano e chi chiede “dato che sono a dieta e vorrei dimagrire, posso mangiare solo queste cose” e via con la lista consegnata prontamente in cucina. Chi annuncia una possibile assenza domenicale per un possibile lutto in famiglia, “tutto in forse e tutto possibile” dice Iannotti, e tutto poco credibile. “Vengono e dopo due giorni di prova, quando vedono che si lavora sodo, inventano le peggiori scuse” dice Sansone. “Sarò fortunato, ma chi viene a proporsi da noi di solito ha voglia di lavorare, in tanti anni non mi sono mai capitate richieste come di non lavorare di sabato” è l'esperienza di Giancarlo Morelli. Dovesse succedere? “Significa che ho sbagliato io a fare il colloquio e gli consiglierei vivamente di smettere subito di fare questo lavoro”. Ci pensa un po' e aggiunge: “Poi è ovvio che si fanno i turni e a volte si ha il week end libero e si possono chiedere permessi. Non è mica una galera”.

 

Esperienze eterogenee e formazione

Ci terrei a far presente che sono stato segretario giovanile di un noto partito politico”esordio disarmante per un candidato a un posto di cameriere a Roma, che ha poi spiegato il motivo di tale informazione: “Glielo dico solo per farle capire che sono una persona abituata alla disciplina, all'ordine, al comando”. Certo, magari èuna notizia da tenere a mente, ma cosa serve davvero in sala? “Persone che abbiamo aspirazioni e siano motivate” dice Morelli “con voglia di crescere, l'attitudine a migliorare e a mettersi in gioco, non cerco uno che mi dica che sa già tutto”. Voglia di lavorare, passione e curiosità per questo mondo sono le qualità necessarie per Mario Sansone che spiega: “In sale tipo la nostra si fanno belle esperienze, si conoscono persone interessanti di diverse nazionalità, si servono e si conoscono vini e prodotti importati” e aggiunge “Se sei curioso il lavoro di cameriere può dare tanto”.

Le esperienze precedenti contano? “Ogni locale è a sé, capita di leggere di gente che ha fatto 4 avviamenti di ristoranti a Londra o che è stata responsabile di sala a New York, poi rivela un sacco di lacune” spiega Morelli. Fino ad arrivare a chi sulla carta ha tantissima esperienza, poi alla prova concreta non sa fare nulla. “Una volta uno stagista mi ha chiesto, al pass, quale fosse la trota e quale il risotto” racconta Iannotti, gli fa eco Sansone “arrivano con curriculum che sembrano campioni del mondo, poi non sanno portare due piatti né aprire una bottiglia”. Al punto che Giancarlo Morelli ha preso una decisione netta: “ho deciso di fare io la formazione: da come vogliamo che si risponda al cliente a come ci si presenta a come si svolgono alcune mansioni, partiamo da zero”. Dunque sceglie giovani appena usciti dagli studi o che hanno appena deciso di cambiare vita “perché capita anche questo,oggi il mondo della sala è cambiato: servono persone colte che sappiano non solo di cibo e vino ma anche di merceologia degli alimenti e di altri argomenti. Devono saper parlare e rispondere a diverse questioni, senza contare che anche i clienti sono molto più preparati. Dunque la cultura generale serve”. Chissà quanto vale davvero un buon curriculum?

 

Costi, spese e nero intorno

In genere vedi subito chi è capace e ha voglia e chi no, ma c'è chi ha bisogno di un po' più di tempo per ambientarsi” spiega Sansone “Noi facciamo due o tre giorni di prova retribuita e poi, se vanno bene, facciamo una proposta”. Quali sono i contratti? “A partire da quasi 1200 euro netti al mese con 14 mensilità, più le mance che in locali come il nostro possono essere anche consistenti”. Per alcuni è troppo poco. Perché nella ristorazione c'è tantissimo sommerso “una giornata di lavoro, in nero, può arrivare anche a 80 euro al giorno, a volte anche di più” continua. Quanti preferiscono 1000 euro in nero lavorando 3 giorni a settimana invece che 1200 per tutti i giorni ma in regola? Ma a voi quanto costa un dipendente? “1200 euro per 14 mensilità, più una per il Tfr, che con tasse e contribui fa circa 36mila euro l'anno”. Una lotta impari tra chi con il lavoro nero inquina il mercato e chi fa le cose in regola, pagando tasse e contributi, e che si trova di fronte lo sguardo miope di chi dice “tanto in pensione non ci andrò mai”, e preferisce prendere 20 o 30 euro più al giorno, senza assicurazione, senza tutele e pensando solo al presente. È ignoranza, di fondo, perché “così, mettendo subito i soldi in tasca, guadagna molto di meno” aggiunge Morelli. “se noi tutti fossimo compatti contro il lavoro nero le cose cambierebbero”. Invece chi fa il furbo c'è e il mercato è spaccato. “Ma poi, un bravo imprenditore non mette a rischio un'azienda con possibili conseguenze anche legali per una cosa del genere” fa, e aggiunge “anche nel lavoro a chiamata c'è modo di regolamentare. Togliendo i voucher si è fatto un grande passo indietro: invece di aumentare i controlli, come si era iniziato a fare, sono stati eliminati degli strumenti utili”.

 

Bulk di Giancarlo Morelli | Milano | Hotel Viu | via Aristotile Fioravanti, 6 | tel. 02 80010917 | www.hotelviumilan.com

Giancarlo Morelli | Milano | Hotel Viu | via Aristotile Fioravanti, 6 | tel. 02 80010918 | www.hotelviumilan.com

Glass Hostaria | Roma | v.lo del Cinque, 58 | tel. 06 58335903 | www.glass-restaurant.it

Kresios | Telese Terme (BN) | via San Giovanni, 59 | tel. 0824 940723 | www.kresios.com

Marzapane | Roma | via Velletri, 39 | tel. 06 64781692 | www.marzapaneroma.com

Pomiroeu Giancarlo Morelli | Seregno (MB) | via G. Garibaldi, 37 | tel. 0362 237973 | www.pomiroeu.it

Il Ristorante di Marzapane all'Opera (Stagionale) | Roma | Teatro dell'Opera, piazza Beniamino Gigli, 7 | tel. 06 48160504 | www.marzapaneroma.com

Romeo chef & baker | Roma | piazza dell'Emporio, 28 | tel. 06 32110120 | romeo.roma.it

Trattoria Trombetta di Giancarlo Morelli | Milano | largo Bellintani, 1 | tel 02.35941975 | http://www.trattoriatrombetta.eu/

Phi Beach (Stagionale) di Giancarlo Morelli | Arzachena (OT) | Località Forte Cappellini | Baja Sardinia | tel. 348 6455320 | www.phibeach.com

 

 

a cura di Antonella De Santis

 

 

In viaggio. Boemia. La porta del Paradiso

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Tra castelli, parchi archeologici, birra, gioielli e salumi tipici: viaggio in Boemia. Il paradiso a un'ora da Praga.

Il paradiso esiste ed è in Repubblica Ceca, a un’ora d’auto da Praga. È un paradiso Unesco di rocce e spuntoni, un paesaggio da fiaba che l’autunno tinge di fulvo, rosso e giallo. Si chiama, e non per caso, Paradiso Boemo (Český Ráj): non solo per la natura e l’arte, ma anche per le sue chicche gastronomiche, dolci e salate.

Le_Old_e_Young_Ladies_come_sono_chiamate_le_due_torri_dei_resti_del_Castello_di_TroskyLe Old e Young Ladies: le due torri dei resti del Castello di Trosky

Il paradiso di Český Ráj

Punteggiato di parchi geologici, borghi medievali e misteriosi castelli questo sorprendente territorio è un piccolo regno della cucina ceca, quella più tradizionale, genuina e di sostanza, fatta di salumi originali, stufati di carne, verdure, dolci e grandi birre.

Dopo una notte nel maniero da favola di Zámecký Hrubá Skála la mattina ci troviamo avvolti nelle nebbie. Ma siamo alle porte del Paradiso, quello Boemo.

Il tempo di una colazione con i dolci di casa e un caffè lungo e lento. Appena mettiamo il naso fuori, ci ritroviamo in un paesaggio inconsueto, fatto di grandi rocce nude che emergono dal bosco: siamo nel cuore del Český Ráj. Qui la natura ci invita lungo sentieri che affondano sotto le rocce per risalire su radure panoramiche tra parchi geologici spettacolari, una scoperta da fare in mezza mattinata e a cellulare rigorosamente spento (anche se è comunque arduo avere campo!).

 

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Escursioni tra castelli e parchi archeologici

Le formazioni rocciose di Hruboskalsko sono uno dei 16 gruppi rocciosi tipici della regione turistica di Český Ráj. Immerso nell’incantevole paesaggio il castello (zámeck) Hrubá Skála è un ottimo punto di partenza per esplorare il territorio percorrendo i sentieri segnalati.

Le rovine del Castello di Trosky, offrono la vista delle due torri sopravvissute, poggiate su due pinnacoli rocciosi dalla forma fiabesca e chiamate “la vecchia e la giovane signora”. Kost Hrad ,il Castello di Kost, si è invece conservato in tutta la sua imponenza: sorse a partire dal XIV secolo su una delle tante rocche di questa regione e offre una bella mostra di arredi d’epoca.

Prachovske Skaly è un bellissimo parco geologico: perfetto per passeggiate romantiche o sportive con splendida vista su picchi di sabbia arenaria e roccia vulcanica.

Zámeck Sychrov è un castello aperto ai visitatori: acquistato nel 1820 dalla nobile famiglia bretone dei Rohan è stato da loro ampliato in stile neogotico e arricchito dal magnifico parco. 

Esterni del castello _Zmecky_Hrub_SklaEsterni del castello Zmecky Hrub Skla

Uno dei luoghi turistici di Jičín è la Loggia di Wallenstein, piccolo edificio in stile neoclassico-razionalistacircondato da un elegante giardino che Albrecht Wenzel Eusebius von Wallenstein, militare e politico tedesco di origine boema, vissuto tra il 1583 e il 1634, fece realizzare insieme ad altre opere, come la lunga – quasi 2 km – passeggiata alberata rettilinea che collega il complesso con il centro cittadino. La Loggia, oggi sottoposta a restauro come il bel cortile, ospita eventi culturali e artistici, concerti, mostre di arte e fotografia.

 

Il paradiso di salumi

Anche Uzenářstvi U Bejrů nel villaggio di Kněžmos è un nome difficile da pronunciare, però è bene scriverlo in agenda perché è anche questo un paradiso (anche se più piccolo): quello della norcineria ceca, arte praticata da Jaroslav Bejr, un pacioso signore che ci fa assaggiare le sue specialità in vendita nel piccolo negozio.

Il norcinio Jaroslav Bejril norcino Jaroslav Bejr

La produzione, cominciata nel 1997, consiste in specialità di manzo e suino: salsicce affumicate bonbon, tantissimi tipi di würstel (anche sottaceto con cipolla e peperoni, gli Utopenec) e i pezzetti di carne di maiale cotta in forno 15 ore (Rilettes), Da provare anche la carne “affumicata e secca”, una ricetta ceca che combina, appunto, le due tecniche di essiccazione e affumicatura.

 

_Tlacenka_versione_leggera_e_al_sangue_pi_scura__Norcineria_Reznictv_a_uzenarstvi_U_Krejcaru_nel_villaggio_di_PencinTlacenka versione leggera e al sangue, più scura. Norcineria Uzenářstvi U Bejrů nel villaggio di Kněžmo

E una sorta di coppa suina chiamata Tlačenka, in due versioni (la scura mescolata con sangue, e la chiara più leggera nel sapore: la Svètlá) “La Tlačenka è una specialità realizzata con diverse parti dell’animale mescolate tra loro e bollite 4 ore, poi pressate in un contenitore cilindrico” spiega il signor Bejr “La carne con la sua gelatina si taglia a fette. Come si mangia? Naturalmente si accompagna con il nostro pane e le nostre birre!”. Detto fatto. 

 

Paradiso_Boemo_-_105_Ceste_di_pane_nel_negozio_Mikula_Ceste di pane di Mikula Bakery

Il pane con semi di sesamo, cannella, formaggio (o gocce di cioccolato) lo compriamo al Mikula Bakery nel centro di Turnov, grazioso paese con una piazza che neanche a dirlo si chiama Český ráj Náměstí (piazza del Paradiso Boemo, appunto) con il suo vecchio municipio del XVI secolo, rifatto più volte, e palazzi art decò.

 

prossciutto cottoProsciutto cotto a forma di maialino

Anche la macelleria Kreicar, dell’omonima famiglia, nel villaggio di Pěnčín, produce con lavorazione artigianale da oltre 20 anni il meglio della salumeria ceca: salsicce affumicate o di suino e sangue, di colore scuro, würstel, la Tlačenka e la Svètlá. Una vera curiosità è il prosciutto “cotto” a forma di maialino. Comprano la carne da allevatori di fiducia della regione e vendono i salumi direttamente e attraverso una rete di negozi locali.

 

Mescita_di_birra_scura_nel_ristorante_bistrot_Plaudit_a_Turnov.MMescita di birra scura nel ristorante bistrot Plaudit a Turnov

La birra anche nel piatto

Per la birra c’è l’imbarazzo della scelta. La prima tappa è alla Pivovar Nová Paka (Pivo vuol dire birra) aperta dal 1872: passata per le gestioni collettive del periodo comunista, oggi un’azienda privata. Dopo una fresca bionda continuiamo la visita tra le cisterne in rame, seguendo le spiegazioni della bella Zuzana Nováková, l’export manager: “Italiani? Allora la potete assaggiare solo qui” sorride “Noi esportiamo solo in Cina, Israele, Giappone e Stati Uniti, così solo se venite a trovarci potete bere una delle nostre 8 etichette ammirando il paesaggio”.

 

Guance di maiale marinate cotte a bassa temperatura, con crema di patate schiacciate del ristorante Ábelův Mlýn HostinecGuance di maiale marinate cotte a bassa temperatura, con crema di patate schiacciate del ristorante Ábelův Mlýn Hostinec

La tappa seguente è al ristorante rurale Ábelův Mlýn Hostinec, accogliente taverna con molto legno e qualche elemento di design contemporaneo in un ex mulino del ‘600. Lo chef Josef Samal, 36 anni e varie esperienze a Praga, ci introduce ai piaceri della cucina ceca. “Usiamo prevalentemente ingredienti locali e serviamo carne di manzo wet aged, maturata in busta sottovuoto per un mese: è una speciale frollatura” spiega “Poi, facciamo piatti come l’antipasto di fegato d’anatra arrosto con mandorle e vino bianco; oppure le guance di maiale marinate cotte a bassa temperatura, con crema di patate schiacciate. E sulle nostre tavole la birra prevale sul vino con etichette di grandi e piccoli birrifici Boemi».

collo di manzo cotto in birra scura con verdure arrosto e crema di patate schiacciate. Ristorante Garnet

Anche al Garnet tornano gli aromi di malti e luppoli: “L’uso della birra è comune nella cucina ceca, soprattutto per la cottura e la marinatura della carne” ci dice il sous chef del ristorante, Martin SoucékIn particolare, quella scura dona ai piatti sia note amare che dolciastre, come in nel collo di manzo cotto in birra scura con verdure arrosto e crema di patate schiacciate”. E nella terra che si chiamava con il nome del Paradiso, mai pasto fu più beatamente soave.

 

Collana_in_moldaviteCollana in moldavite del negozio Granát

 

Turnov, tempio dei granati

Un avviso per chi desidera indossare gioielli o regalarli: nella piazza centrale di Turnov c’è il negozio della Granát, azienda specializzata nell’estrazione in miniera e nella lavorazione del granato, pietra dura ricavata da un gruppo di minerali nesosilicati e che si presenta in vari colori (dal viola al rosa, dall'arancione al giallo, o rosso scurissimo). L’azienda lavora anche la moldavite, una sostanza vetrosa naturale color verde bottiglia trasparente, formatasi 15 milioni d’anni fa con la caduta di un enorme meteorite in una zona tra la Boemia e la Moravia sud-occidentale nell’area del fiume Vltava. Fondata nel 1953 come cooperativa pubblica, oggi la Granát (divenuta privata) è leader nel settore e impiega 250 dipendenti. Le sue creazioni sono in vendita anche nei negozi di Praga.
 

Piazza_Valdistejnske_Namesti_a_Jicin.Piazza Valdistejnske Namesti a Jicin

 

gli indirizzi

MANGIARE

 

Ábelův Mlýn Hostinec Dolánky u Turnova 7 Turnov tel. +420 (0)776 565 992 www.abeluvmlyn.cz Accogliente taverna gourmet di campagna con la cucina ceca dello chef Josef Samal.

Divá Bára | Husova 39  Jičín tel. +420 (0)493 524 887 www.divabara.cz | Piacevole risto-pub: grandi piatti di carne e birre Pilsner Urquell.

Kavárna Mikula | Na Sboře 2271 | Turnov www.prazirnamikula.cz Moderno e originale caffetteria con una parete dedicata alla tostatura del caffè e una bella vetrina di dolci.

Restaurant Plaudit | Bezručova 698  Turnov tel. +420 (0)481 311 288 | www.plaudit.eu | Bistrot con birrificio e cucina genuina a base di zuppe, carne di maiale o manzo.

Garnet | Sychrov Sychrov tel. +420 (0)271 090 832 |www.hotelsychrov.cz Il ristorante dell’hotel Sychrov propone piatti della cucina ceca rielaborati con un tocco di modernità dagli chef Jaroslav Jirout e Martin Soucék.

ZámeckýHrubá Skála | Hrubá Skála 1 Turnov | tel. +420 (0)481 659 111 | www.hrubaskala.cz Cucina boema e internazionale nel ristorante del castello trasformato in albergo.

 

DORMIRE

 

Hotel Jičín | Havliěkova 21 Jičín tel. +420 (0)493 544 250 |www.hoteljicin.cz Doppia e colazione da 1.701czk (65 euro) | Accogliente 3 stelle superiorcon 16 camere appena fuori la piazza principale dietro la torre medievale

Hotel Sychrov | Sychrov |Sychrov |tel. +420 (0)271 090 832 www.hotelsychrov.cz | Doppia e colazione da 2.128 czk (80 euro) | Bel 4 stelle in stile moderno con ristorante e centro benessere

Sedmi horky | Sedmihorky 72 | Turnov | tel. +420 (0)481 389 162 | www.campsedmihorky.cz | Bungalow spartani da 15 a 45 euro a seconda della stagione, all’interno del campeggio nel cuore del Paradiso Boemo.

Zámecky Hrubá Skála| Hrubá Skála 1 |Turnov | tel. +420/481.659111 | www.hrubaskala.cz | Doppia e colazione da 1.645 czk (62 euro)| Il 4 stelle della catena EA Hotelsin un castello tra i boschi ricostruito in epoca rinascimentale, elegante con vista.

 

COMPRARE

 

Galanterie Jitka | Valdštejnovo náměstí 36 Jičín tel +420/(0)602.717224 www.galajita.cz Lun-ven 9-12 e 13-17; sab 8,30-12 | lane e filati artigianali della signora Jitka Šimonová.

Keramika Mago | Atelier e negozio Cidlina 7 |Železnice oppure Valdštejnovo náměstí 4 | Staré Město | Jičín | tel. +420 (0)603 866 791 |www.fler.cz/mago Ceramica artigianale decorata a mano dell’artista Eva Skobliková e dal marito Luděk.

Lida Vondrová |Snehov 689 | Malá Skála tel +420 (0)603 492 920 | Su appuntamento | Oli essenziali, maschere di bellezza e saponi aromatizzati preparati con erbe e fiori coltivati dall’erborista Lida.

Mikula Bakery Skalova ulica 69 |Turnov Fornito panificio con prodotti tipici dolci e salati

Pivovar Nová Paka | Pivovarská 400 Nová Paka tel. +420 (0)493 721 025 | www.novopackepivo.cz | Birrificio che offre degustazioni e cibo veloce e informale

Regionální produkty Českého ráje| Skalova ulica 91 |Turnov | tel. +420 (0)60 608 0712 |www.regionalniprodukt.cz| Negozio di prodotti alimentari regionali certificati

Granát | Námesti Českého ráje 4 |Turnov |tel. +420 (0)481 323 598 www.granat.cz | www.granat-shop.cz Il negozio dell'azienda specializzata nell’estrazione in miniera e nella lavorazione del granato

Uzenářstvi u Bejrů | U Fary 14 |Kněžmos tel. +420 (0)326 784 023 | salsicce, salumi e insaccati tipici.

Řeznictví a uzenářství U Krejcarů | Pěnčín 11 (u Turnova) Pěnčín tel. +420 (0)485 177 263 | Salumi tipici

 

VISITARE

Rovine del Castello di Trosky www.hrad-trosky.eu

Kost Hrad www.kost-hrad.cz

Prachovske Skaly www.prachovskeskaly.cz

Zámeck Sychrov www.zamek-sychrov.cz

Loggia di Wallenstein www.valdstejnskalodzie.cz

 

INFO

 

Info Turistiche Jičín | Valdštejnovo náměstí 1 tel. +420 (0)493 534 390 www.jicin.org

Ente Turismo Paradiso Boemo www.cesky-raj.info

Turismo Repubblica Ceca | www.czechtourism.com

Voli | da Fiumicino e Malpensa con Czech Airlines www.csa.cz | da Milano con EasyJet www.easyjet.com

 

 

a cura di Massimiliano Rella

foto Massimiliano Rella

 

Dove comprare il tè a Bologna: 4 negozi seri e specializzati

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Il fermento gastronomico di Bologna non è più una novità. Fra ristoranti innovativi, format originali e caffetterie d'autore, nel capoluogo emiliano trova spazio anche il tè di qualità. Ecco 4 botteghe imperdibili per gli amanti della bevanda.

Ormai è assodato: il tè sta lentamente diventando anche in Italia prodotto di tendenza fra baristi attenti, ristoratori e consumatori. Nelle piccole località come nelle grandi città, Bologna in primis, dove lo scorso anno è nato il primo festival pensato per promuovere e valorizzare storia, tradizione, rituale e cultura del tè, In Tè Bologna Festival, in scena a Palazzo de' Toschi, a piazza Minghetti, e organizzato da AdeMaThè, Associazione Italiana Degustatori e Maestri di Tè, insieme a Confcommercio Ascom e Banca di Bologna, con il patrocinio del Comune. Nel capoluogo emiliano, dunque, non possono mancare degli indirizzi validi per acquistare infusi pregiati: qui, ne abbiamo radunati 4 sparsi in diversi angoli della città.

Acqua Calda per il Tè

Il nome è la traduzione di Chan no yu, antica cerimonia giapponese del tè, e racchiude in sé il fascino complesso di tradizioni millenarie, terre lontane, riti antichi in cui ogni gesto richiede concentrazione ed evoca armonia. Il negozio esiste da 6 anni, ma è da gennaio 2016 che Federica Bondi, appassionata di gastronomia ed ex dipendente, ha deciso di rilevarlo, lanciandosi in una nuova avventura focalizzata sì sul tè, ma che comprende anche prodotti alimentari artigianali di qualità. “La selezione più ampia è quella degli infusi e delle tisane, ma abbiamo anche panettoni, biscotti, confetture, conserve e mieli di piccole realtà italiane di ricerca”. Una vasta area è dedicata anche all'oggettistica, fra ceramiche francesi e inglesi e le kokeshi, bambole tradizionali giapponesi tipiche del Tohoku, regione a nord dell'isola di Honshu. Per coinvolgere il pubblico, Federica organizza serate a tema, “la prossima sarà sui fiori eduli”, e poi offre in assaggio un tè diverso ogni mattina, e un infuso il pomeriggio, “in abbinamento a biscotti artigianali, marmellate o altri prodotti che riprendano le note aromatiche della bevanda”.

Acqua Calda per il Tè | Bologna | via Sigonio, 13 a | tel. 051 442763 | www.acquacaldaperilte.it

La Pentola del Tè

“Emozioni da condividere” è lo slogan del locale, una bottega aperta 4 anni fa grazie all'impegno di Marina Catuogno, grande bevitrice di tè che ha scelto di trasformare la sua passione in lavoro. “Il mio percorso inizia come consumatrice. Ho sempre prediletto i tè in foglia e, una volta scoperte le tante sfumature della bevanda, ho iniziato ad approfondire l'argomento attraverso studi e ricerche”. Una donna da sempre a contatto con erbe e spezie, Marina, che per diverso tempo ha lavorato nelle erboristerie, “sono sempre stata affascinata dalle proprietà benefiche dei prodotti naturali”. Comincia, dunque, a vendere tè, organizzare degustazioni, fino ad arrivare, nel 2016, a creare un format innovativo pensato per catturare l'attenzione dei più giovani: si chiama “A Spasso con Tè”, ed è un'iniziativa lanciata lo scorso ottobre per rendere anche il tè un prodotto da asporto, da degustare a passeggio in bicchieri biodegradabili. “L'idea è piaciuta molto, soprattutto ai ragazzi, che hanno cominciato a incuriosirsi di più al prodotto”. I visitatori possono scegliere fra 150 miscele tra tisane, infusi, tè in purezza e aromatizzati, “tutti disponibili per il take away”, oppure da acquistare per la casa. Non mancano, poi, gli zuccheri, i sali, le spezie, le gelatine di vino, e gli accessori legati al rituale del tè, dalle teiere alle ceramiche artigianali.

La Pentola del Tè | Bologna | via Caduti di Cefalonia, 4 c | tel. 051 8495220 | www.lapentoladelte.it

Mondo di Eutèpia

Nel cuore della città, un luogo che coniuga sala da tè ed erboristeria dove immergersi fra profumi e aromi avvolgenti, da quelli delle erbe officinali ai tè, dagli infusi alle spezie. I prodotti sono tutti biologici, se non biodinamici, molti dei quali confezionati a marchio Eutèpia, gioco di parole dal greco eutopianato per indicare il “luogo buono”, dove poter rallentare e godersi un po' di relax sorseggiando una bevanda calda di pregio. A creare questo ambiente sui generis, Katrin, erborista diplomata, e Daniela, esperta e appassionata di tè. La filosofia alla base del negozio è originale, proprio come l'offerta: le due proprietarie, infatti, applicano i principi della conoscenza ayurvedica all'erboristeria, e soprattutto all'universo del tè. Sul fronte gastronomico, il locale propone piatti vegetariani e vegani dalla colazione all'aperitivo, oltre ai dolci fatti in casa e ai panini.

Il Mondo di Eutèpia | Bologna | via Testoni, 5 d | tel. 051 0935590 | mondodieutepia.com

StregaTe

Sono sempre stata un'amante del tè, e un'instancabile viaggiatrice. Ogni volta che in un Paese straniero vedevo un negozio specializzato rimanevo estasiata”, racconta Debora, titolare di StregaTe, prima bottega ad aprire in via Porta Nova, in pieno centro cittadino. “A un certo punto della mia vita professionale mi sono ritrovata di fronte a un bivio, e ho scelto di cambiare, aprendo una mia attività”. Un tempio del tè di qualità che il prossimo 30 novembre compierà 15 anni, e che fin da subito ha raccolto l'entusiasmo della clientela locale. Qui si trovano tè provenienti da tutto il mondo, dal Giappone alla Cina, dall'India al Ceylon, ma anche da Paesi produttori più piccoli, “come il Sud Corea, il Vietnam, il Nepal”. Niente bustine, ma solo tè sfusi venduti a peso: bianchi, neri, verdi, aromatizzati, oolong, ma anche tisane e infusi di frutta. Oltre a una selezione gastronomica di pasticceria secca, cioccolato, mieli, confetture, “tutti i prodotti di nicchia ideali per accompagnare la bevanda, a colazione o merenda”. Spazio anche alle spezie, dal pepe nero alle bacche di ginepro, dal coriandolo ai semi di senape, senza dimenticare le tante tipologie di sale. Consigli per preparare il tè a casa? “Ogni foglia richiede tempi e temperature specifiche. Non posso dare delle indicazioni generali, ma su ogni confezione viene apposta un'etichetta con i parametri esatti”.

StregaTe | Bologna | via Porta Nova, 7a | tel. 051 222564 | www.stregate.it/web/contatti/

a cura di Michela Becchi

Dove comprare il tè a Milano: 6 negozi seri e specializzati

Dove comprare il tè a Bolzano e Merano: 3 negozi seri e specializzati 

Il Rum è Servito, sesta edizione. Ron Zacapa protagonista a Mondello, da Villa Clelia

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Ancora una cena per valorizzare l'abbinamento a tutto pasto con Ron Zacapa. E per il tour del Rum è Servito scende in campo lo chef Fabio De Luca, che coniuga tradizione e creatività nei suoi piatti di stampo siciliano. Il menu di Villa Clelia.

Il treno deIl rum è servito continua il suo tour itinerante tra i migliori ristoranti della Penisola. L'insolito abbinamento a tutto pasto, infatti, sta conquistando un numero crescente di estimatori, anche grazie all'iniziativa che da qualche stagione a questa parte si muove su e giù per l'Italia per trasmettere i valori di quella cultura della distillazione di qualità di cui Zacapa si fa ambasciatore nel mondo. Agli chef coinvolti il compito di studiare l'abbinamento perfetto, per affinità o contrasto, e stupire i commensali con effetti speciali, perché il rum non sia solo una piacevole conclusione di serata, ma un compagno di cui godere a tavola, esaltato dal confronto con il cibo nel piatto. Il prossimo 16 novembre sarà Fabio De Luca del ristorante Villa Clelia di Mondello a sperimentare con il Ron Zacapa 23, l'Edicion Negra e la Gran Reserva Especial X.O, prodotti di nicchia che accompagneranno la sua cucina estroversa, fatta dei sapori più autentici dell'Isola, reinterpretati con approccio originale e moderno.

 

Battuta di scottona siciliana, con pane nero di Castelvetrano e finto tuorlo di "piacentinu" ennese.

Ron Zacapa 23

Ravioloni alle castagne raguttino di agnello affumicato e lardo dei nebrodi.

Ron Zacapa Edicion Negra

Filetto di maialino nero, in dolce cottura con cipolla di Giarratana, fichi caramellati e polvere di senape

Ron Zacapa Edicion Negra

Tortino caldo di pere, gelato alla ricotta e crumble alla cannella.

Ron Zacapa Gran Reserva Especial X.O.

 

Le prenotazioni per la serata si effettuano ai recapiti del ristorante.

 

Il Rum è Servito | Villa Clelia | Mondello (PA) | via Carbone, 26 | il 16 novembre 2017 | www.facebook.com/Villa-Clelia-364082346952399/

 


Garage Italia Customs. Lapo Elkann e Carlo Cracco a Milano: il menu ispirato alla famiglia Agnelli

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Dopo tre anni di ristrutturazione, la storica stazione di servizio Agip progettata da Mario Bacciocchi negli anni Cinquanta riapre al pubblico su progetto di Michele De Lucchi. E si prepara a ospitare il quartier generale di Lapo Elkann a Milano, con la collaborazione di Carlo Cracco, che gestirà caffè e ristorante di piazzale Accursio. Ma cosa si mangia? 

Garage Italia nella storica stazione Agip Supercortemaggiore

Per la Milano che aspetta pazientemente di ritrovare Carlo Cracco nella sua nuova, attesissima casa in Galleria – senza ombra di dubbio il progetto più ambizioso del 2017 gastronomico meneghino, per investimento, prestigio dello spazio e concezione del format – l'inaugurazione di Garage Italia arriva a stemperare l'attesa, seppur catalogata tra le invenzioni bizzarre del rampollo più discusso di casa Agnelli. C'è lo zampino di Lapo Elkann, infatti, dietro alla decisione di restaurare la storica ex stazione Agip Supercortemaggiore di piazzale Accursio, una suggestiva struttura degli anni Cinquanta (voluta da Enrico Mattei come prototipo della stazione di servizio e realizzata da Mario Bacciocchi), per farne un hub creativo per la customizzazione di auto, bici, scooter, barche, e mezzi di trasporto extralusso. A firmare il cantiere, tre anni di lavoro, una vecchia conoscenza di Lapo, l'architetto Michele De Lucchi, che ha ripensato 1700 metri quadri su due piani – più un piano interrato di servizio – con l'idea di realizzare uno spazio di condivisione aperto alla città, dalle 9.30 del mattino alle 2 di notte. E in quest'ottica si configura l'intervento di Carlo Cracco, partner del progetto in qualità di supervisore del ristorante e del bar di Garage Italia.

 

Il sodalizio tra Lapo Elkann e Carlo Cracco

All'evento inaugurale dello spazio, lo chef si è unito al coro di entusiasmo condiviso dalle parti in causa, tutte orgogliose del risultato raggiunto (compreso un Lapo Elkann tutto di giallo vestito): “È stato bellissimo e stimolante lavorare su questo progetto. Garage Italia è un contenitore magico in cui convivono il divertimento, la creatività, la buona cucina, la passione, il sogno”. All'insegna del made in Italy, com'era prevedibile nell'ambito di un progetto che esalta il saper fare nazionale:“Garage Italia Customs è l’evoluzione contemporanea dell’eccellenza artigianale italiana di una volta e del desiderio di possedere qualcosa di unico” recita il sito ufficiale inneggiando alla cultura del tailor made. E con una proposta “semplice, accessibile”, incentrata sulla qualità della materia prima, “che prende spunto dalla ricchezza delle ricette italiane e regionali”. Tutto come da copione, insomma. Ma con la bella opportunità di sperimentare una cucina firmata da Carlo Cracco in un contesto più informale rispetto a quello cui sono abituati gli avventori del ristorante di via Hugo. In forma non dissimile da quanto avviene da Carlo e Camilla in Segheria, ma con qualche accortezza in più.

 

Il ristorante e le ricette di casa Agnelli

Il ristorante trova posto al piano superiore dell'ex stazione di servizio, e potrà contare su uno spazio esterno in terrazza (con tanto di priveè), evidenziata da basso dalle luci in neon che riprendono l'estetica anni Cinquanta. Al centro della sala, vetrata su tre lati, campeggia pure una postazione bar piuttosto singolare, una cocktail station che recupera la carrozzeria di una Ferrari bianca 250 Gto; e sul soffitto le linee sinuose di una pista giocattolo, con modellini di Formula 1. Volendo, ci si accomoda su sedili che replicano quelli di Ferrari d'annata, o sul divano ispirato alla Ferrari dell'Avvocato Agnelli. Si lavora a pranzo, per il light lunch, poi per l'aperitivo, e a cena, sotto le direttive dello chef Gabriele Faggionato, classe 1987, che al ristorante rappresenterà Carlo Cracco, dopo aver lavorato con lui in brigata. Dal menu, a forma di contagiri, nomi e suggestioni che omaggiano la storia della famiglia Agnelli: il risotto dell'Avvocato con burro affumicato, scampi e bisque al cognac, le Tagliatelle Millemiglia con sugo di coda, il Giardino di donna Marella. E poi dessert esotici come la Parigi-Dakar, una tatin di mele con datteri e tè verde, il Triangolo delle Bermuda con frutta tropicale e panna cotta al latte di cocco, per ricordare come il made in Italy riesca a interagire col mondo. Per una cena, il prezzo medio si aggira sui 60-70 euro. Al piano strada, invece, il caffè bistrot aperto 7 su 7, già dalla colazione. Sopra il bancone, rosso fiammante, una scenografica installazione di modellini automobilistici sospesi. Per un pranzo veloce, snack salati, hamburger, insalate. “Abbiamo voluto lavorare sul bello e sul buono”, chiosa Lapo Elkann. Apertura al pubblico dal 9 novembre.

 

Garage Italia Customs | Milano | piazzale Accursio, 86 | dal 9 novembre | www.garageitaliacustoms.com

 

a cura di Livia Montagnoli

Libri. L'ingrediente segreto di Terry Giacomello

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Da Michel Bras a Ferran Adrià, da Andoni Luis Aduriz fino a Redzepi e Alex Atala: l'avventura di Terry Giacomello nell'alta ristorazione ha radici internazionali. Da cui nasce una cucina a tutta tecnica oggi racchiusa in un libro, che sceglie di giocare tutto sulla frutta secca.

Elisir di lunga vita, si dice della frutta secca, soprattutto di quella a guscio. Più raramente se ne valorizza il ruolo gastronomico. A colmare questo vuoto è il volume a firma di Terry Giacomello, chef del ristorante Inkiostro di Parma, 2 Forchette nella guida Ristoranti d'Italia 2018 del Gambero Rosso.

Terry GiacomelloTerry Giacomello

Terry Giacomello

Giacomello, friulano cosmopolita, ha all'attivo esperienze di rango. A partire da una – fondamentale - in quella fucina di sperimentazione e visionarietà che è stato El Bulli, dove è rimasto per quasi 4 anni, raggiunta non prima dell'inevitabile tappa oltralpe, che per lui ha i nomi di Marc Vayrat e Michel Bras. Ci sono stati altri approdi, poi, tutti nel segno della ricerca spinta: il Mugaritz di Andoni Luis Aduriz, il Noma di Redzepi, il Dom di Alex Atala in Brasile. Un grande slam di mostri sacri prima di tornare in Italia: a Milano, alla corte di Sergio Mei al Four Season, e poi a Parma dove ha preso in mano e reso suo quel ristorante della famiglia Poli che era legato alla firma di un altro chef, Franco Madama. Un nuovo stile, una nuova brigata, un nuovo corso. E ora che sono passati due anni da quell'insediamento, la nuova linea è chiara a tutti. Dalla sua cucina scientifica è arrivata un'accelerazione decisa, con tanto di collaborazione con un docente diChimica e Fisica dell’alimentazione all’Università di Parma e la creazione di un orto di erbe aromatiche. Due facce della stesa cucina. Una cucina che guarda dritto al futuro, con quei piatti che paiono arrivare spesso da un altro pianeta, tecnica chiara e dritta. Ma con i piedi ben piantati nella terra, che è quella generosa emiliana. Di cui traduce prodotti tipici e preparazioni tradizionali alla luce di una volata a tutto gas verso l'innovazione: il prosciutto diventa un brodo che trasformato prende le sembianze di mezze maniche, il parmigiano è una crema e così via, a cambiare di stato e di consistenza i grandi sapori iconici del parmense. E dargli un volto nuovo.

L'Ingrediente segreto

Il libro

Dall'antipasto al dessert: 40 ricette che impiegano la frutta secca. Quella a guscio come mandorle, noci o nocciole, ma non solo: albicocche, datteri, prugne (queste ultime nel classico abbinamento con il filetto di maiale rinvigorito da spezie forti), fichi (nel risotto al gorgonzola che trova nuovo brio nell'olio al coriandolo e cumino). 17 prodotti descritti uno a uno in un capitolo della prefazione firmata da Alberto Capatti. Dalla loro provenienza alla coltivazione, alle principali caratteristiche organolettiche e nutrizionali (per esempio è utile sapere che 5 noci forniscono il quantitativo giornaliero di acidi grassi essenziali per gli adulti), fino a tracciare il profilo di questi che possono essere considerati a buon diritto superfood ante litteram, avendo rappresentato, per molto tempo, la fonte di sostentamento per molte popolazioni, senza dimenticare il ruolo che hanno avuto nelle cucine più importanti sin dal 1500. Un'evoluzione raccontata, anch'essa, nelle prime pagine del bel volume edito da Bibliotheca Culinaria.

 

Datteri-Filetto-pesce-spadaDatteri e filetto di pesce spada

L'alto valore energetico e il concentrato di vitamine non devono però far dimenticare il potenziale gastronomico di questi prodotti, troppo spesso ingiustamente relegati al ruolo di snack o fine pasto. Versatili, ricchi di sapori e consistenze diverse, sono ingredienti capaci di cambiare il volto a un piatto, ma anche di essere loro stessi protagonisti di alcune ricette. Quelle di Terry Giacomello – ben 40 a coprire ogni tipo di pietanza e combinati con ogni genere di prodotti - giocano con abbinamenti e tecniche innovative, seguendo il filo della sua cucina e valirizzando al massimo questi tesori alimentari.

 

 

La ricetta

Ravioli Terry Giacomello

Ravioli con praliné salato di mandorle, siero di pecorino, latte cagliato ed essenza alle radici di rabarbaro

 

Ingredienti per 4 persone

Ripieno

50 g. di mandorle pelate

250 ml. di olio di semi di girasole

250 g. di ricotta vaccina

30 g. di mascarpone

5 g. di sale di Cervia

 

Pasta all’uovo

250 g. di farina 00

75 g. di farina di semola

125 g. di tuorlo d’uovo

2 uova intere

 

Latte cagliato

300 ml. di latte fresco

20 ml. di panna fresca

12 ml. di siero di yogurt

1,5 g. di caglio

 

Essenza alle radici di rabarbaro

30 g. di radici di rabarbaro

60 ml. di olio di semi di girasole

 

Siero di pecorino

300 g. di pecorino sardo stagionato

300 ml. di acqua

8 g. di farina di manioca

 

Finitura

vene cress


Preparazione
 

Per il ripieno: friggere le mandorle nell’olio di semi, scolarle e passarle al thermomix fino a ottenere una pasta. Aggiungere tutti gli altri ingredienti e mescolare bene fino ad ottenere una farcia liscia e omogenea. Trasferirla in una tasca da pasticciere e far riposare per 2 ore in frigorifero.

Per la pasta all’uovo: impastare gli ingredienti su una spianatoia, avvolgere l’impasto in pellicola alimentare (oppure sigillarlo in un sacchetto per il condizionamento sottovuoto) e lasciare riposare in frigorifero per 4 ore. Trascorso questo tempo, stendere la pasta in una sfoglia sottile e cospargere di farina.
Ricavare dei quadrati da 6 cm di lato, disporre la farcia sulla sfoglia e chiudere a forma di tortello.
Cuocere i tortelli in acqua bollente salata per circa 3 minuti, scolare, trasferire in padella e saltare con una emulsione di acqua e olio.

Per il latte cagliato: mescolare tutti gli ingredienti e cuocere a vapore a 38 °C per 3 ore. Il latte cagliato dovrebbe avere la consistenza molto densa.

Per l'essenza alle radici di rabarbaro: pulire le radici di rabarbaro e tagliarle a pezzettini, trasferirle in un sacchetto per il condizionamento sottovuoto insieme all’olio, estrarre l’aria, sigillare e cuocere in forno a vapore per 3 ore a 70 °C. Fare raffreddare e lasciar riposare in frigorifero per 6 ore. Filtrare all’etamina.

Per il siero di Pecorino: tagliare a pezzetti il Pecorino e trasferire in una pentola con l’acqua. Far sciogliere il formaggio e lasciare in infusione per circa 2 ore. Filtrare e legare con farina di manioca.

Disporre i ravioli al centro di un piatto fondo. Aggiungere prima il latte cagliato a pezzi di circa 4 cm di diametro e poi il siero di Pecorino. Terminare con qualche goccia di essenza alle radici di rabarbaro e guarnire con foglie di vene cress.

 

L'ingrediente segreto | Terry Giacomello | Bibliotheca Culinaria | pp. 96 | 22,50 euro

L'Inkiostro | Parma | via San Leonardo, 124 | tel. 0521 776047 | www.ristoranteinkiostro.it

 

a cura di Antonella De Santis

Appunti di degustazione. Amari. Antichi, contemporanei elisir

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Alla scoperta degli amari. Gli spirits che stano tornando di moda, anche grazie all'uso nei cocktail.

L’Italia è il paese che ne produce di più e che se li è inventati, fin dalla fine del Moedioevo. Parliamo degli Amari, categoria degli spirit che ha segnato un po’ il passo e che sta tornando a essere invece di tendenza, specialmente nella mixology. Si riscoprono essenze de erbe e formule antiche che stimolano le sensibilità contemporanee.

Le regole dell’accoglienza made in Italy prevedono che se ne offra poco, a un ospite, ma sempre. E poco conta se si è fuori dall’orario dei pasti. È l’amaro, compagno fedele del caffè a fine pasto: uno dei prodotti più rappresentativi del tricolore italiano. Riesce ad esprimere i valori storicamente e spiritualmente più significativi e duraturi di un'intera nazione: creatività, ricchezza, buongusto, calore, convivialità. Il nostro è il paese produttore con il più alto numero di amari nel mondo e numerose sono le tipologie da scovare tra le diverse regioni, nessuna esclusa.

eRBE PER L'AMARO bRAULIOErbe e spezie impieegate nell'amaro Braulio

Dall'uso farmaceutico a quello edonistico

È la parola Al-Kimiya a racchiudere il segreto della loro origine: il termine indica il movimento di pensiero arabo medievale del ‘700 da cui nacquero le prime infusioni alcoliche di erbe per scopo curativo. Ma la produzione del primo amaro risale addirittura al lontano 1300 e fino al 1500 le preparazioni realizzate erano tutte esclusivamente ad uso farmacologico.

Il famoso elixir, che ancora spesso sentiamo nominare, un tempo curava davvero le malattie e per questo gli era riconosciuta la capacità di allungare la vita. Gli amari furono per questo adottati dagli uomini di chiesa contro vaiolo, malaria e altre affezioni; solo con l’arrivo delle spezie indiane e sudamericane ci fu una svolta di tipo gustativo.

Con il Rinascimento nacquero anche gli amari dedicati alla piacevolezza: la loro veste affabile conquistò prima la corte di Caterina de Medici e poi, da metà ’800, definitivamente i salotti aristocratici diventando un prodotto del sapere popolare mai più dimenticato.

Se gli amari realizzati da monaci e farmacisti erano davvero amari perché la fitoterapeutica di certo non si preoccupava della piacevolezza, l’amaro inteso come liquore digestivo è sì amaro, ma le volontà del mercato hanno portato le aziende produttrici a modificare le storiche ricette sulla base dell’evoluzione del gusto. Arrivarono quindi gli amari “dolci”, anzi aromatici.

 

Gli amari oggi

L’Italia oggi detiene il primato di questa tipologia di spirit ed è in grado di soddisfare il gusto di tutti: da chi è rimasto fedele alla corte dei Medici, a chi predilige lo stile medicinale, fino a chi ama bere il suo amaro preferito in miscelazione. A questo proposito Michele Di Carlo, storico barman e presidente del CCC (Classic Cocktail Club), conferma che da qualche tempo si assiste al rifiorire dell'utilizzo delle erbe officinali come ingredienti aromatizzanti di drink di ogni tipologia e i professionisti della miscelazione utilizzano l'ampio panorama degli amari storici che soddisfano più che egregiamente qualsiasi tipo di esigenza: “La tendenza a riutilizzare gli amari nella preparazione di cocktail e long drink speziati ha riportato in auge l'utilizzo di marchi storici della liquoreria italiana e alla riscoperta di tante piccole produzioni locali che racchiudono segreti officinali antichi. Una tendenza che vede coinvolti anche i bartender italiani dei cocktail bar negli hotel più prestigiosi del mondo”.

 

le degustazioni

 

Gli amari artigianali

 

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Barathier

Non potremmo vivere altrove”, affermava fiero il bisnonno di Enrico Bernard, l’attuale produttore di questi autentici liquori piemontesi che portano il nome di famiglia. Nel punto di incontro tra due valli alpine, la Germanasca e la Chisone, viene prodotto il Barathier, un grande classico immutato da inizio Novecento. Barathier è il cognome di una famiglia nobile francese dell’Occitania, proprio al di là delle Alpi. Radici, spezie e fiori delle vette piemontesi macerati a freddo in acqua e zucchero per diversi mesi, sono gli ingredienti di base. Semplicità e territorio per un amaro da 20 gradi alcolici realizzato con acqua di sorgente alpina, che profuma d’alta quota e che in bocca sprigiona tutta le delicatezza e freschezza delle erbe spontanee come l’artemisia.

Bernard | Pomaretto (TO) | via Carlo Alberto, 20 | tel. 012 181 227 | bernard-produttoreliquori.it

 

Benefort

Il Benefort proviene dalle montagne della Valle d’Aosta: è un vero amaro vecchio stile, speciale, complesso e forse anche – per qualcuno – ostico. Lo ha creato Armando Calvetti, fondatore della distilleria Alpe, all’inizio degli anni ’70, la ricetta è immutata nel tempo e prevede oltre venti tipi di fiori, radici ed erbe alpine. Tra tutte spicca l’assenzio romano che in dialetto valdostano è chiamato Benefort. È un amaro duro, i 38 gradi alcolici sono ben avvertibili; al naso risulta un po’ aggressivo, in bocca si rivela per quello che è: un amaro orgoglioso dai profumi ben delineati come l’assenzio e il rabarbaro protagonisti sì, ma mai eccessivi.

Alpe | Hone (AO) | via Stazione, 28 | tel. 0125 803 145 | www.alpevda.it

 

Formidabile

Ha appena un anno di vita il nuovo amaro artigianale della capitale. Armando Bomba si è allontanato dalla tradizione nel campo amari e ha scritto una ricetta le cui percentuali di concentrazione degli estratti sono ben più alte. Ed è stato premiato perché erbe, cortecce, fiori, radici e scorze di frutti selezionati, si sono unite per dare un amaro autentico e interessante. China rossa, rabarbaro cinese, rosa moscata, anice stellato, bardana – tra le altre – creano il profilo organolettico di Formidabile: i profumi sono di prato fresco e noce moscata, in bocca richiama la scorza d’arancia e l’agrume in generale, entra dolce ma durante l’assaggio la trama verte sul rabarbaro e sul fruttato molto persistente. Per evidenziare la naturalità della materia prima vegetale che cambia da raccolto a raccolto annualmente, Formidabile riporta l’annata in etichetta.

Formidabile Liquori & Affini Srl | Roma | via Castelplanio, 74 | tel. 06 4566 5945 | www.amaroformidabile.com

 

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Kaiserforst

Gianluigi Valentini è molto conosciuto tra i bartender per l’impronta moderna che ha dato ai suoi prodotti. Il Kaiserforst èun classico della tradizione trentina, ma al passo con i tempi. Ricetta artigianale alpina in cui tra infusione e distillazione vengono utilizzati ben 47 botanical: in primis chiodi di garofano, menta, anice stellato, liquirizia, china. Rispetto al passato sono state aggiunte radici di zenzero e cardamomo e il grado alcolico è stato abbassato a 32°. Il Kaiserfost affina sei mesi nelle barrique di quercia francese utilizzate per il brandy Valentini. Emergono decise le erbe protagoniste; lo zenzero si avverte nel finale e la gradazione non troppo pronunciata lascia una piacevole freschezza in bocca.

Distillerie Valentini 1872 | Tassullo (TN) | via di San Vigilio, 43 | tel. 0463 450 022 | www.myvalentini.com

 

Mandragola

Un amaro prodotto dalla Torino Distillati con ricettaad hoc fornita dal distributore Compagnia dei Caraibi. La sua produzione comincia agli inizi degli anni ’80 del secolo scorso, sulla base di una ricetta che deriva da antichi manoscritti datati 1873 e provenienti da un farmacista della Valchiusella in provincia di Torino. La Mandragola è nata come “stomachina”, quindi come prodotto dal carattere digestivo. Otto erbe: alloro, menta, salvia, arancia amara, rosmarino, cannella, chiodi di garofano, melissa. I 45 gradi alcolici si sentono tutti ma con la pazienza il bicchiere ha modo di far emergere una moltitudine di sensazioni che inizialmente non si percepiscono. Fieno appena tagliato e genziana sono alcuni dei sentori all’olfatto. In bocca è piacevole scoprire l’evoluzione che parte dall’arancia e arriva al rosmarino, poi continua verso il finale con cenni di liquirizia. Nel catalogo della Compagnia c’è anche l’amaro Jefferson che parla calabrese con bergamotto di Roccella Ionica, arancia di Bisignano, rosmarino di Montalto Uffugo e origano della Palombara.

Compagnia dei Caraibi | Vidracco (TO) | via G. Marconi, 8 | tel. 0125 791 104 | www.compagniadeicaraibi.com

 

Amaro Palènt

Palènt ha del poetico. L’autore è Matteo Laugero, classe 1931, nato nella piccola borgata da cui prende il nome l’amaro, arroccata a oltre 1.600 metri di altitudine nel comune dell’alta Val Maria. Tra le nuvole, Matteo continua a vivere con il figlio Dario e la compagna Viginia: non c’è nessun altro, sono loro gli unici a godere della magia di questa sorta di eremo tra le montagne. Qui ha trovato habitat l’artigianalità vera: genepy, achillea, genziana, rabarbaro, lavanda, rose, radici e frutti spontanei, vengono raccolti a mano lungo le diverse coste della montagna. I Laugero sono diventati un po’ i custodi di questa zona e delle loro ricette. Nell’amaro le botaniche sono infuse a freddo in alcol di frumento biologico. Al naso regala un’esplosione aromatica di piccoli frutti come ciliegie, more, lamponi e mirtilli, con un genepy che accompagna la bevuta dall’inizio alla fine. Unico nel suo genere.

Palènt | Macra (CN) | B.ta Palent | Tel. 0171 900 400 | www.palent.it

 

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Pratum

L’unico amaro prodotto senza ricetta è di Bonaventura Maschio. È la natura che decide, o meglio decide Andrea Maschio che sceglie uno dei prati stabili del Friuli (su cui non si può intervenire in alcun modo) in base alle sue caratteristiche. Quello dei prati stabili è un concetto particolarmente virtuoso e da qui lo storico distillatore ha modo di adoperare achillea, timo serpillo, centaurea minore, mentuccia selvatica, piantaggine, caglio zolfino e cardo. Sette erbe selezionate ricavate dallo sfalcio stagionale del prato che distinguono Pratum. Prodotto neilaboratori della Liquoreria Friulana, è estremamente naturale e riconoscibile, dalla fine trama olfattiva che richiama i fiori di campo, la salvia, il miele, il timo. In bocca è armonico tra le sensazioni mentolate, l’amaro dell’achillea e la camomilla che ammorbidisce e persiste. Ottimo in miscelazione.

Distilleria Bonaventura Maschio | Gaiarine (TV) | s.da delle Pere, 1 | tel. 0434 756 611 | www.primeuve.com

 

Quintessentia

Chi non ha almeno una volta nella vita avuto in mano una bottiglia Nonino? Il legame con la grappa resta forte anche nell’amaro, infatti il Quintessentia deriva dall’unione tra il vecchio amaro di famiglia ottenuto con le erbe provenienti da prati e boschi delle Alpi Carniche, e la ÙE (acquavite d’uva monovitigno) invecchiata in barriques. Il colore è aranciato chiaro, al naso ha una combinazione di agrumi freschi e maturi tra cui è facilmente percepibile la buccia d’arancia, il cardamomo e una decisa nota di camomilla. In bocca è delicato; il corpo è scarno, ma sicuramente la scelta produttiva è stata fatta in direzione di un utilizzo anche e soprattutto nella miscelazione. Infatti impiegato nel cocktail si esalta e dà il meglio di sé.

Nonino| Percoto (UD) | via Aquileia, 104 | tel. 0432 676 331 | www.grappanonino.it

 

Toccasana

Il Toccasana ha un unico papà, Teodoro Negro. Appassionato ed esperto, fin da giovanissimo decise di trascorrere del tempo nel monastero dei Padri Scolopi di Carcare e poi di diplomarsi in erboristeria all'Università di Pavia nel 1940. Un vero amore insomma, che lo porta nel 1970 ad avere pronta la miscela per il suo amaro delle Langhe. Di impronta tradizionale, è ottenuto dalla macerazione a freddo di 37 erbe, fiori, bacche, radici coltivate e selvatiche. Il naso è austero, verticale, severo ma bilanciato, in cui la genziana la fa da padrona. In bocca ci si aspetta una continuità con il profilo aromatico e invece si ammorbidisce e diventa più delicato esprimendosi con note di basilico e salvia.

Teodoro Negro 
| Cossano Belbo (CN) | via Statale, 3 | tel. 0141 83789 | www.toccasanaamaro.it

 

{gallery}AMARI4{/gallery}

 

Amaro Toro

Giunta al duecentesimo compleanno, la famiglia Toro continua a produrre come ha sempre fatto l’etichetta che l’ha resa famosa: l’inimitabile Centerba, infuso di erbe antisettiche e digestive raccolte sulle montagne abruzzesi che circondano lo stabilimento. Qui, però, è stata messa a punto anche la ricetta di questo amaro a base di rabarbaro, genziana ed erbe d’alta quota. Le note di menta sono presenti lungo l’intera bevuta, a comporre un naso ricco e un sorso pieno. Compare anche la Centerba, utilizzata in produzione per aromatizzare e corredare un naso già ampio di liquirizia, camomilla, anice… aromi che decorano un amaro molto rotondo e intenso. In chiusura le note persistenti di rabarbaro.

Enrico Toro Distilleria | Tocco da Casauria (PE) | via Tiburtina Valeria, 18 | tel. 085 880 279 | www.liquoritoro.it

 

Amaro Tosolini

Partendo dalla tradizione friulana legata alla sacra grappa, i Tosolini creano un liquore dal corredo aromatico equilibrato e con un amaro ben dosato. La miscela è di 15 varietà di erbe mediterranee macerate con acquavite d’uva in tini di frassino e poi distillate in alambicchi: tra loro il finocchio marino, la salicornia, il limonio e il prezioso santonego raccolto a mano nella Laguna. L’utilizzo dell’acqua pura delle Alpi friulane e il riposo nelle botti contribuiscono a caratterizzarne il profilo gustativo. Il naso è ampio e verte soprattutto verso l’anice stellato e i chiodi di
garofano. È amabile e si lascia bere, accessibile ai più; la menta in bocca lo rende morbidissimo, ma poco profondo. Il tratto distintivo è comunque la sua armonica semplicità.

Bepi Tosolini | Povoletto (UD) | via della Roggia, 20 | tel. 0432 664 144 | www.bepitosolini.it

 

Vaca Mora

Quanta storia dietro questo amaro… Da quando la Vaca Mora, il trenino a vapore che passava da Schiavon, alla fine dell’800 si fermava dove allora al posto delle distillerie Poli sorgeva l’Osteria al Cappello di Giobatta Poli. Tra i valevoli prodotti (attuali) della famiglia c’è anche l’amaro di stile medicinale in cui è avvertibile l’infusione in grappa dei botanici soprattutto a inizio sorso. La ricetta prevede l’utilizzo di sedici erbe e piante aromatiche dalle proprietà digestive: melissa, luppolo, china, assenzio, calamano, arancia amara, cardamomo, arancia rossa, cannella, coriandolo, menta piperita, isoppo, camomilla, giaggiolo, angelica, macis arillo. È mentolato e balsamico, lungo e persistente. Con un pizzico di attenzione in più è possibile rintracciare sentori evoluti di cuoio e carruba.

Poli Distillerie | | Schiavon (VI) | via Marconi, 46 | tel. 0444 665 007 | www.poligrappa.com

 

Virgilio

L’amaro è dedicato a Virgilio Pallini, presidente dell’azienda, e ha appena un anno di vita pur essendo frutto di una ricetta messa a punto dopo la fondazione, nel 1875, periodo in cui il quartier generale era ad Antrodoco (il trasferimento a Roma avvenne solo negli anni '20). Tradizione e innovazione a braccetto con ingredienti amaricanti mantenuti segreti. All’assaggio il naso è intenso e le note di rabarbaro, assenzio e di achillea predominano. In bocca è particolarmente dolce e sul finale si avverte la piacevole e fresca sensazione balsamica. A tratti l’alcol viene fuori in maniera aggressiva ma rimane un amaro semplice da bere e di stampo moderno.

Pallini | Roma (RM) | via Tiburtina, 1314 | tel. 06 419 0344 | www.pallini.com

 

Gli amari più diffusi

 

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Amaro Averna

Furono i monaci benedettini dell’Abbazia di Santo Spirito a Caltanissetta, nel 1868, a mettere a punto la ricetta di questo amaro che era ed è tuttora segreta. Tra le varie storie legate alla sua realizzazione, la più avvalorata racconta che la ricetta fu data in regalo da Fra’ Girolamo a Salvatore Averna che se ne innamorò e cominciò a produrlo nel casale di famiglia a Xiboli (dove tuttora vengono selezionate e conservate le erbe utilizzate). Siamo in Sicilia e dunque gli oli essenziali di agrumi (arancia e limone) e di melograno sono dichiarati con orgoglio. In degustazione non è arduo scorgere anche le note di alcuni botanici tra cui menta, liquirizia e frutta secca. Il resto dell’assaggio è molto equilibrato con un tenore dolce equilibrato.

Averna (Campari) | Caltanissetta (CL) | via Xiboli, 345 | tel. 0934 72111 | www.amaroaverna.com

 

Braulio

Nonostante fino agli ’70 fosse venduto quasi esclusivamente nell’originaria farmacia della famiglia Peloni a Bormio, l’amaro Braulio ha guadagnato il favore di molti arrivando a essere una delle etichette onnipresenti. L’amaro nasce in onore al Monte Braulio da cui arrivavano bacche, piante e radici necessarie per la ricetta. Dopo un secolo e mezzo le erbe dichiarate continuano a rimanere sempre e soltanto quattro perché le altre restano segrete: genziana, ginepro, assenzio e achillea moscata. Il Braulio riposa nelle tradizionali botti di rovere di Slavonia e dal 2000 viene prodotta la Riserva che i cinque anni di legno caratterizzano per morbidezza e rotondità, freschezza e speziatura.

Cantine Peloni (Campari) | Bormio (SO) | via Roma, 27 | tel. 0342 904 785 | www.amarobraulio.it

 

Fernet Branca e Branca Menta

Il famoso Fernet, amato tanto in Italia quanto Oltreoceano, ha un successo planetario. Milano gli dà i natali nel 1845 e tuttora conserva le 27 erbe selezionate che compongono la sua identità gusto-olfattiva e che provengono da quattro continenti, a dimostrazione della sua internazionalità: Aloe dal Sud Africa, Rabarbaro dalla Cina, Genziana francese, Galanga dall'India o dallo Sri Lanka, Camomilla dall'Europa e dall'Argentina. All’inizio era venduto direttamente da Bernardino Branca e fino agli anni ’40 veniva riconosciuto come “amaro stomachino” contro i mali. La definizione del suo carattere avviene nell’anno in cui riposa in botti di rovere nelle grandi cantine della città meneghina: riconoscibile per il tratto di incenso, cannella, rosa canina e anche un leggero zafferano. Negli anni ’60 arriva il cugino Branca Menta, composto come il Fernet da erbe e spezie, ma arricchito dall’olio essenziale della menta piperita piemontese che lo rende unico per l’esplosione balsamica e la fresca e lunga persistenza (da bere ghiacciato).

Fratelli Branca Distillerie | Milano | via Resegone, 2 | tel. 02 85131 | www.fernetbranca.com

 

Amaro Lucano

Chi non lo ha mai bevuto avrà di certo ascoltato almeno una volta nella vita la celebre frase dello spot pubblicitario "cosa vuoi di più dalla vita? Un Lucano!". È una bella storia quella dell’amaro Lucano che nasce per mano del Cavalier Pasquale Vena nel 1894 nel retrobottega del suo biscottificio a Pisticci. Fu lì che il suo estro si destò e portò il Cavaliere a creare la miscela di erbe, con una trentina di ingredienti tra cui aloe, achillea, sambuco e diversi oli essenziali come quello di cannella. Già nel 1900 divenne fornitore ufficiale della Reale Casa Savoia e da lì in avanti l’inarrestabile successo. Oggi l’azienda è alla quarta generazione che lo produce. Per i 120 anni di storia è stato prodotto l’Anniversario: di gradazione alcolica maggiore (da 28° a 34°), vi si esaltano alcune botaniche che danno una bevuta appagante. Le note amaricanti della genziana, contrapposte a quelle del sambuco e della salvia, ne fanno un amaro gustoso ed equilibrato.

Lucano 1894 | Pisticci Scalo (MT) | v.le Cav. P. Vena | tel. 083 54691 | www.amarolucano.it

 

Amaro Montenegro

A differenza di quanto alcuni pensano, uno degli amari più bevuti in Italia, l’amaro Montenegro, ha origini italiane e continua a battere bandiera tricolore a distanza di oltre un secolo. Fu infatti Stanislao Cobianchi a crearlo nel 1885 e a battezzarlo con questo nome in onore di Elena Petrovich Niegos, Principessa del Montenegro e futura Regina d’Italia. Pare fosse gradito anche al vate Gabriele D’Annunzio, amante del bello e del buono, che in uno dei suoi scritti lo definì “liquore delle virtudi”. Il Montenegro conserva i tipici sentori di scorze d’arance dolci e amare che lo caratterizzano. In bocca è morbido, scorrevole, con una chiusura leggermente amaricante. Le botaniche utilizzate e la gradazione alcolica contenuta lo rendono di facile beva.

Montenegro srl | Zola Predosa (BO) | via E. Fermi, 4 | tel. 051 617 0411 | www.montenegro.it

 

a cura di Giovanni Angelucci

 

Perpetual a Roma, ristorazione differente. Un oggetto gastronomico misterioso si affaccia sulla piazza capitolina

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Apre al pubblico la prossima settimana il nuovo, ambizioso progetto gastronomico incastonato nella deliziosa piazza Iside, tra Via Merulana e Via Labicana. La mente è lo chef Cezar Predescu, che ha riunito una squadra di giovani in arrivo da esperienze blasonate all'estero. Ma ciò che stupisce, per ora, è l'investimento sugli spazi. 

Perpetual, ristorazione differente. Il sottotesto è volitivo quanto misterioso. Il grande spazio che si appresta a inaugurare in piazza Iside – gioiellino urbanistico romano che meriterebbe una generosa riqualificazione – è certo frutto di un investimento significativo. E non fa nulla per nasconderlo. Un'ambiziosa astronave gastronomica (“A cosa puntiamo nelle guide? A entrare nei 50 Best ristoranti del mondo della Guida San Pellegrino” ci confessa con tutta la naturalezza del mondo lo chef) atterrata nel cuore della città, che si annuncia dall'esterno con l'infilata di porte vetrate affacciate su strada, a rivelare scorci raffinati di un progetto curato nei minimi dettagli. Grafica pulita, interior design d'autore che mette a sistema materiali di pregio e disegna atmosfere di calibrata intimità, con il fondamentale contributo dell'illuminazione firmata Davide Groppi. Il light designer piacentino è il primo dei nomi noti coinvolti nella ristrutturazione del locale da 750 metri quadri articolati su tre piani (l'ultimo riservato allo staff, con il laboratorio di ricerca gastronomica e gli ambienti di servizio), che ha richiesto un anno e mezzo di lavoro per ottenere il risultato auspicato. Una trasformazione completa negli spazi di un ex negozio di illuminazione, dove ha preso forma il progetto che Cezar Predescu maturava da 6 anni.

 

Cucina corale

Lui, chef rumeno da 20 anni in Italia, già consulente tecnico di un grande gruppo italiano di servizi per la ristorazione specializzato nell'allestimento di cucine professionali (dagli ospedali ai grandi ristoranti passando ovviamente per le fiere), è la mente di un'idea di ristorazione che si propone di scardinare le gerarchie e i protagonismi, puntando sul ruolo della squadra. Non è escluso, ma è difficile averne conferma in maniera chiara, che proprio il grande gruppo di ristorazione e le aziende con le quali questo gruppo collabora (si veda la mastodontica cucina Baron in bella vista, ma vale anche per i forni Lainox) abbia in qualche modo partecipato all’investimento, magari con l’idea di utilizzare l’astronave come ristorante-scuola per chef-dimostratori e cuochi impegnati nelle fiere o nelle consulenze. E proprio sulla forza del gruppo si vorrebbe scommettere per raccontare a Roma un approccio alla cucina “differente”: la costruzione della brigata, che a pieno regime conta di radunare oltre 30 elementi provenienti da tutto il mondo, dunque, ha puntato a raggiungere un equilibrio che finisce per assorbire il ruolo dell'head chef, fino all'idea di renderlo invisibile o intercambiabile. Privilegiando invece una proposta corale, nell'elaborazione dei piatti come nella loro realizzazione. Si parla di ragazzi arrivati da esperienze e stage in ristoranti blasonati (ricorre il nome del Mugaritz), e giovani leve maturate in seno alla scuola bresciana di Cast Alimenti. Chef Predescu ci mette la faccia, insieme a sua moglie, pastry chef e responsabile della linea di pasticceria e panificazione.

Quello che più stupisce, e colpisce sin dall'ingresso, è lo spiegamento di mezzi che accomuna la definizione degli arredi e l'allestimento della cucina (con laboratorio per la produzione di pasta dedicato a vista), attrezzata di tutto punto e disegnata su misura per favorire l'interazione di una brigata numerosa.

La proposta gastronomica e lo spazio

Del resto, la proposta gastronomica vorrebbe puntare sulla padronanza delle tecniche di cottura e trasformazione della materia prima per interpretare in modo originale ricette piuttosto consuete della tradizione italiana: il baccalà in 4 cotture (carpaccio, mantecato, tempura e pelle croccante), lo spaghetto Mancini con ricci e pecorino, il maialino (cotto a bassa temperatura) con mayo di caffè e bieta, l'agnello con carciofi, cagliata e patate. Un menu breve (5+5+5, e 4 dessert) con prezzi importanti – dai 22 dell'antipasto ai 32 dei secondi – cui presto si aggiungerà un percorso degustazione, a 70 euro. E una proposta di wine e beer pairing (ma suscita qualche perplessità la decisione di puntare solo su Leffe che però, come San Pellegrino, è raccontata come un partner del progettone). Sulla cucina – che chef Predescu definisce “di grande tecnica e prodotto, attenta all'equilibrio della sapidità e alla digeribilità, comunque riconoscibile nel piatto” – per il momento è il caso di sospendere il giudizio. Tanto più che pure la formula scelta, solo 30 coperti a sera senza rotazione, ci risulta non del tutto comprensibile.

Lo spazio, peraltro, garantirebbe un servizio ben più importante, per numeri e ambizioni: al pian terreno, dopo la zona bar (con suggestivo bancone in legno fossile del Kazakistan), colpisce l'eleganza della sala che si è scelto di riservare al servizio del pranzo, più informale, e dell'aperitivo (dalle 17 alle 19, tra qualche settimana; anche se il team pianifica già l’apertura di un bar al civico a fianco). Il ristorante “gourmet”, invece, trova spazio al primo piano, preceduto da un salottino con seconda zona bar.

Sullo stesso piano, dietro una parete scorrevole, c'è il laboratorio di pasticceria, “separato dalla cucina per rispettare le temperature e poi se qui apriamo tutto questa diventa una sala per corsi”. Il progetto di allestimento di tavoli, sedie, mise en place è stato supervisionato da Simone Subitoni (la firma della sala de Le Calandre degli Alajmo a Rubano, giusto per dire), in stretta collaborazione con Davide Groppi. Tutto, dalle posate alle sedie, attinge a piene mani dal mondo del design italiano di alto bordo. Resta però da capire dove vuole andare a parare quest'oggetto misterioso, probabilmente non sostenibile stand alone senza il sostegno di partner importanti. A quale clientela spera di rivolgersi, che riconoscimenti gastronomici insegue. E che tipo di evoluzione avrà sulla piazza romana. Con un po’ di curiosità, lo scopriremo presto (?).

 

Perpetual | Roma | piazza Iside, 5 | dal 13 novembre | www.perpetualrome.it

 

a cura di Livia Montagnoli e Massimiliano Tonelli

Golosaria 2017. A Milano l'evento dedicato alle eccellenze italiane

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Punta a valorizzare tutte i prodotti del made in Italy e insieme quel circuito di professionisti appassionati che si impegnano nella promozione del cibo e vino di qualità. Fra show cooking, dibattiti, forum e lezioni di cucina, dall'11 al 13 novembre, torna a Milano Golosaria, in una veste sempre più dinamica.

L'evento

Oltre il buono: è questo il tema della dodicesima edizione di Golosaria, la rassegna ideata dal giornalista Paolo Massobrio che accoglierà, dall'11 al 13 novembre negli spazi del MiCo Milano Congressi, gli artigiani del gusto e le loro creazioni. Fra talk show, seminari, forum, dibattiti e degustazioni, il capoluogo meneghino si trasforma ancora una volta nella capitale del buon cibo per una tre giorni di showcooking e laboratori. A inaugurare il festival, sarà proprio il talk show dedicato al tema centrale dell'evento, “Oltre il buono” alimenta il futuro, condotto da Paolo Massobrio con Elisabetta Soglio, giornalista e direttrice di Buone Notizie del Corriere della Sera. Un concetto che punta ancora una volta sulla qualità delle materie prime italiane, e che si propone di sottolineare sempre di più l'importanza del ricco patrimonio agroalimentare che caratterizza il made in Italy nel mondo. Un'idea che sarà declinata dai 300 espositori presenti al festival, dai cuochi ai mixologist, dai pasticceri ai gelatieri. Non mancheranno, poi, vini e birre artigianali, ma anche l'olio extravergine di oliva e lo street food, formula ormai immancabile in tutte le manifestazioni di settore.

Il programma

Tanti gli appuntamenti imperdibili del festival, ciascuno dei quali si focalizzerà su un ingrediente specifico. Fra le novità di questa edizione, la presenza di Assopiemonte con il forum “L'unione fa la forza”, che racconterà le origini della robiola, prodotto di antica pastorizia condiviso dai comuni di Roccaverano e Murazzano, un tempo offerto come dono agli ospiti nelle case contadine. Ma si parlerà anche di toma, castelmagno, bra, raschera e tante altre specialità che caratterizzano la tradizione casearia piemontese, tutte offerte sotto forma di cibo da strada, soluzione già sperimentata nelle edizioni primaverili di Golosaria Monferrato. Buone nuove anche sul fronte della mixology, un tema sempre più caro agli amanti del gusto, che durante l'evento sarà affrontato attraverso un forum dedicato ai cocktail e, naturalmente, a tutti gli amari, liquori, distillati e vermouth che ne sono alla base. Si partirà sabato 11, con i classici dell'aperitivo, Negroni e Americano, riproposti dal barman Edoardo Vola con i prodotti Gamondi. A seguire, la miscelazione con grappa ed erbe, a cura di Alessandro Carucci e con i prodotti di Berta Distillerie, e per concludere un affondo su uno dei miti italiani: l'amaro, attraverso tre grandi prodotti (Stilla Visconti, Peruzzo, San Giuseppe) che diventeranno protagonisti di drink d'autore.

Spazio, poi, alle lievitazioni, con il debutto dell'Atelier dell'arte bianca, dove gli esperti di Petra racconteranno in 5 appuntamenti la rivoluzione che si è innescata nell'ambito della panificazione e soprattutto della pasticceria e della pizza negli ultimi anni. Golosaria sarà anche il palco dove celebrare, con un raduno dei pizzaioli che hanno abbracciato questa filosofia, l'anniversario del Manifesto della pizza italiana contemporanea siglato nel 2012 a Vighizzolo d'Este. Fra le novità dell'anno, imperdibile la premiazione delle botteghe selezionate da Il Golosario per Bell'Italia, evento nell'evento che annuncia una nuova iniziativa editoriale: Il Golosario allegato a Bell’Italia da febbraio 2018 per tre numeri, con tre volumi, dedicati soprattutto ai negozi specializzati che offrono da mangiare.

I protagonisti

Degustazioni e forum a parte, cuore pulsante della manifestazione è la cucina di strada: a proporre le specialità più disparate, 16 diverse insegne, che porteranno al MiCo ricette tipiche da Nord a Sud Italia. Fra conferme e novità, ecco tutte le realtà che hanno scelto di aderire al festival:

Agrimacelleria Fratelli Micco

Antica Trattoria di Redecesio

Ape Cesare

Assopiemonte Dop & Igp

Bracevia a tutta pecora

Envision Sardinian street food

Farinel on the road

Frisce e mange

La cucina delle Langhe

La pasta fresca di Raimondo Mendolia

Lupi di mare street food

Manuelina

Riso Goio 1929 Dop

Sicatt à porter

Sciatu Mio

Terre Normanne Soc. Coop.

Golosaria | Milano | dall'11 al 13 novembre 2017 | www.golosaria.it/mila2017

a cura di Michela Becchi

Cucina liquida. I grandi cocktail e gli abbinamenti (im)possibili a Gourmet Food Festival

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Cocktail così elaborati da essere paragonabili ai piatti d'alta ristorazione. Per questo la chiamano cucina liquida. Ve ne parliamo al Lingotto di Torino, al Gourmet Food Festival, con Carlotta Linzalata e Mirko Turconi e Massimo D'Addezio

Cambia la ristorazione, i menu si articolano su lunghe sequenze di assaggi e l'abbinamento gioca la sua carta da protagonista: la centralità del vino viene scardinata a favore di pairing sartoriali, che introducono cocktail complessi, comprimari dei piatti. Al contempo il bar si trasforma in cucina, con preparazioni che portano il drink al centro della scena. Al Gourmet Food Festival si confronteranno due diversi punti di vista, quello del cuoco (Marcello Trentini del Magorabin di Torino) e quello del mixologist (Massimo D'Addezio del Chorus Cafè di Roma), facendo convogliare cucina e miscelazione in un incontro da capogiro.

Mirko TurconiMirko Turconi

Il mondo dell'abbinamento tra cibo e bevande, in paesi come il nostro, in cui la cultura enologica è molto radicata, è da sempre ancorato al concetto classico di affinità tra vino e piatto. A intaccare la preponderanza di rossi, bianchi e bollicine prima è venuta la birra, poi, con la forte influenza del mondo anglosassone, i cocktail, grazie anche all'età dell'oro che vede finalmente la miscelazione di qualità salire agli onori delle cronache anche in Italia. E ai drink, al bar come al ristorante, i nuovi barman applicano sempre più spesso tecniche e strumenti normalmente associati alla cucina contemporanea - li chiamano "barchef" - come sifoni, fermentazioni, cotture sottovuoto e abbattitori, insieme a ingredienti che siamo abituati a trovare dappertutto tranne che in un bicchiere, dalle uova alla bottarga, dai fiori alle verdure. Proprio in un nuovo locale torinese, il Piano 35, ristorante e lounge bar, Carlotta Linzalata e Mirko Turconi (che animeranno la Sala Beverage, l'area Mixology del GFF 2017 insieme a Massimo D'Addezio) propongono zuppe vegetali nella carta dei drink. A Turconi il compito di declinare il vermouth nell'appuntamento di venerdì 17 alle ore 20, mentre Carlotta Linzalata seguirà l'appuntamento di sabato 18 alle 20.

Carlotta Linzalata

 

La voglia di sperimentare che investe i professionisti del cocktail trova sponda nel cambiamento dell'alta cucina internazionale, sempre meno incentrata sull'idea classica di piatto: i menu degustazione, firma dei grandi ristoranti, sono ormai sequenze fitte e senza soluzione di continuità di bocconi, in un crescendo di assaggi che, se accompagnati singolarmente da un vino in abbinamento, come da canonico wine pairing, darebbero luogo a una vertigine alcolica poco "conveniente" nella fruibilità complessiva del pasto.

Da qui la necessità di moderare il tenore di alcol nelle bevande, introducendo nella proposta di sala drink, estratti e infusi modellati sui desiderata degli ospiti e, soprattutto, sulla composizione del piatto, per controllare nel dettaglio la riuscita dell'esperienza gustativa.

In Spagna per riassumere la tendenza che vede la parte liquida del pasto come vera e propria estensione dei piatti è stata coniata l'espressione "cucina liquida", definita dallo chef David Munoz sul palco del congresso Madrid Fusion come "una danza a due tra piatto e drink”. E format come il The Aviary del pluripremiato Grant Achatz mettono i cocktail “cucinati” al centro di un servizio da grande ristorante a Chicago come a New York.

 

MagorabinMarcello Trentini e Simona Beltrami

Il cuoco e le nuove frontiere del pairing

Al Magorabin di Marcello Trentini e Simona Beltrami cucina e sala hanno sempre giocato una partita armonica, lavorando in simbiosi anche sull'evoluzione della questione abbinamento. In primis una cantina di tutto rispetto, circa 800 etichette che inneggiano soprattutto al Piemonte e alla vicina Francia. Ma a crescere, nel tempo, oltre al volume delle bottiglie, è stata anche la consapevolezza di dover sostenere le tante portate dei percorsi degustazione con pairing ben congegnati, che non facessero alzare eccessivamente l'asticella del tasso alcolico negli ospiti, ma al contempo potessero accompagnare nel modo migliore sapori molto diversi tra loro.

Simona, in sala, segue il percoso gastronomico, alternando vini, drink o analcolici a seconda del piatto servito, “come il coppiere nell'antica Roma, che aveva il compito di diluire e dosare i vini per permettere che la festa andasse avanti per ore, senza che si scadesse nell'ubriachezza di alcuni commensali”, racconta Marcello. Così, insieme all'abbinamento enologico (“chi vuole godersi in santa pace una bottiglia solitamente pasteggia senza problemi con un solo vino o poco più”), ecco l'introduzione, già anni fa, precorrendo la moda odierna, di cocktail, infusi e bevande in grado di prolungare, contrastare, incrementare la potenza gustativa del cibo, magari strizzando l'occhio alla tradizione piemontese, con un aperitivo, o all'amato Oriente, con un tè aromatizzato.

I giochi possibili sono infiniti: così se il risotto Torino-Milano (zafferano e vermouth) si sposa in tavola al classico cocktail Milano-Torino (vermouth rosso, Campari, arancia), un cuoco visionario come Trentini può anche partire proprio dalla concezione di un piatto nella forma di drink. È il caso dell'Ostrica liquida alla gricia, shot/snack che il Mago presenterà al pubblico di Gourmet Food Festival: gel di scalogni arrostiti alla base del bicchiere, acqua di ostriche rosa degli stagni di Tortolì - scelte per la loro dolcezza e per la pienezza del mollusco – e, a finire, qualche goccia di grasso fuso di guanciale. Divertimento assicurato.

Massimo D'AddezioMassimo D'Addezio

L'ottica del barman

Rovescia il punto di vista Massimo D'Addezio: mixologist di fama, giramondo e patron dei locali capitolini Co.So. e Chorus Café, al contrario di molti suoi colleghi è da sempre scettico sulla funzionalità dell'abbinamento cibo-cocktail, fiero difensore dell'autosufficienza dei miscelati nella degustazione. Effettivamente Massimo cura la preparazione dei drink con la consapevolezza del cuoco, partendo dalla selezione attenta delle materie prime e dall'autoproduzione di basi, aromi ed estratti. Oltre all'esercizio di una creatività che, dai "twist on classic", le rivisitazioni dei classici, percorre ispirazioni di viaggio, citazioni letterarie, tradizioni gastronomiche e omaggi all'epica di liquori e distillati.

Strenuo difensore della qualità nel bicchiere e del bere responsabilmente, ama servire cocktail incisivi e riconoscibili, composti da pochi ingredienti in equilibrio perfetto. Al GFF di Torino la sua personalissima idea di “cucina liquida” si concretizzerà in uno dei signature drink di Co.So., il Carbonara Sour: geniale interpretazione, in chiave tutta romanesca, del classico Whisky Sour,preparato con albume d'uovo, pepe nero, limone e una vodka aromatizzata al guanciale tramite il “fat washing”, tecnica che permette di rilasciare il gusto del grasso in un alcolico senza ritrovare il grasso nel risultato finale.

Proprio Massimo D'Addezio e Marcello Trentini metteranno a confronto i loro due punti di vista nell'incontro di domenica 19 alle 15, dal titolo La cucina liquida con Massimo D'Addezio e Marcello Trentini.

Il Gourmet Food Festival sarà anche l'occasione per la presentazione in anteprima del primo libro di D'Addezio, Spirits, ispirato alla trasmissione Spirits, i maestri del cocktail in onda su Gambero Rosso Sky 412 . Il volume racconta in stile scanzonato miti e aneddoti da bar - dagli ombrellini colorati del Tiki alla storia del conte Smirnoff - corredati da 60 ricette di drink classici e creativi a prova d'appassionato, con le raffinate immagini di Francesco Vignali.

Mondi differenti si incontreranno e dialogheranno ancora nell'ultima giornata del Gourmet Food Festival con due nomi d'eccellenza della ristorazione di Torino: Matteo Baronetto, chef del Cambio, e Patrick Ricci, patron e pizzaiolo del Pomodoro & Basilico di San Mauro Torinese, delizieranno il pubblico con un confronto d'autore, utilizzando gli stessi ingredienti per comporre, rispettivamente, un piatto e il topping di una pizza, evidenziando le differenze tra le due arti.

 

Gourmet Food Festival | Torino | Lingotto Fiere, via Nizza, 294 | dal 17 al 19 novembre 2017, venerdì dalle 17 alle 23, sabato dalle 10 alle 23, domenica dalle 10 alle 20 | www.gourmetfoodfestival.it

Per info sugli altri appuntamenti: www.gamberorosso.it/it/gourmet-food-festival

 

a cura di Pina Sozio

 

 

 

 

Morto Antonio Carluccio. Il primo ambasciatore della cucina italiana a Londra, dai Carluccio’s Cafè alla tv

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Era arrivato in Inghilterra nel 1975, cominciando come distributore di vini. Poi si era appassionato alla cucina, e nel 1989 aveva rilevato il Neal Street Restaurant di Covent Garden, trasformandolo in un tempio della ristorazione italiana. Qui, 25 anni fa, cominciò la sua carriera Jamie Oliver, che ora piange la scomparsa del maestro. 

Da Vietri sul Mare a Londra. Con la passione per il cibo

Oltre 20 libri pubblicati, una carriera trascorsa in televisione per raccontare agli inglesi il legame degli italiani con la buona tavola. E poi il primo ristorante, a Londra, il Neal Street Restaurant di Covent Garden, da cui la celeberrima catena Carluccio’s, con locali aperti in tutta la Gran Bretagna, ha preso le mosse. Antonio Carluccio, 80 anni, è scomparso qualche ora fa, cadendo in casa. Originario di Vietri sul Mare, era arrivato in Inghilterra nel 1975, dopo aver girato l’Europa in cerca di fortuna, come dipendente dell’Olivetti prima, agente finanziario e immobiliare poi, distributore di vini italiani in Germania. Proprio con l’arrivo a Londra, alla metà degli anni Settanta, la sua passione per il vino gli aveva permesso di avvicinare il mondo della ristorazione italiana, mentre cominciava a cimentarsi dietro ai fornelli da amatore, prima di scoprire che della cucina avrebbe potuto fare un mestiere nel 1981, in occasione della competizione annuale del Sunday Time Cook of the Year. Nel 1989 rilevò niente meno che da Terence Conran il Neal Street Restaurant (di cui era diventato manager qualche anno prima), che avrebbe chiuso definitivamente solo nel 2007. Un banco di prova importante per Carluccio, che in cucina portò la sua italianità e la passione per i funghi, diventando a tutti gli effetti il più famoso ambasciatore del made in Italy enogastronomico in Inghilterra, prima di tanti altri. Non a caso, fra i suoi discepoli, oggi le cronache ricordano l’alunnato di Jamie Oliver, che – seppur con interpretazioni estremamente personali – alla cucina italiana deve il suo successo nella ristorazione mondiale. Ben prima di lui, però, era toccato ad Antonio Carluccio conquistare riflettori e palcoscenici mediatici – nel 2011 la consacrazione con la trasmissione televisiva in onda sulla Bbc, Two greedy italians, insieme all’amico Gennaro Contaldo, prodotta proprio da Oliver - e una prolifica attività editoriale, con 22 libri pubblicati, tra cui l’autobiografia del 2012.

I Carluccio’s Cafè e la cucina italiana a Londra

Parallelamente, dall’inizio degli anni Novanta, con l’esordio del primo Carluccio’s Cafè, prendeva forma quel gruppo di ristorazione informale incentrato sull’offerta di buona gastronomia italiana che avrebbe assicurato ad Antonio e sua moglie molti successi. All’epoca, l’idea fu pionieristica: al servizio al tavolo, presto si aggiunse un corner di rosticceria e una piccola bottega per la vendita al dettaglio di prodotti made in Italy. Di Caffè Carluccio, dal 1999 quando si costituì la società, ne aprirono moltissimi, alcuni oggi sono ancora in attività, ma la famiglia ha venduto il brand a una società di Dubai nel 2010, per 90 milioni di sterline. Famosissimo e molto stimato nel mondo anglosassone (nel 2007 ha ricevuto dalla Regina l’Ordine dell’impero britannico), la stampa inglese lo ricorda come Godfather della cucina italiana (con un appellativo non proprio esaltante, ma gli stereotipi sono duri a morire...): una ricerca dell’Osservatorio della Stampa Estera, pubblicata nel 2016, lo attesta come secondo italiano più apprezzato e influente in Inghilterra. Sulla sua pagina Facebook, Jamie Oliver ricorda il maestro “con grande tristezza”, tratteggiando il suo profilo “in piedi sull’uscio del ristorante, col sigaro in bocca, un buon calice e la sua incredibile chioma argentata” ai tempi del ristorante di Covent Garden, “dove fu il mio primo boss, 25 anni fa”. “È stato un incredibile ambasciatore del cibo che ci mancherà” continua Oliver “una voce carismatica nel divulgare le specialità italiane. Viva Antonio Carluccio”. Sotto le sue parole, la copertina di uno dei primi lavori dello chef, Passion for Pasta, immortalato sorridente e bonario alle prese con una forma di parmigiano ricolma di pasta al pomodoro. L’immagine dell’Italia che ama i piaceri della tavola. 

 

a cura di Livia Montagnoli


Polyphemos. L'Enoformaggeria flegrea che apre a Pozzuoli: vini e formaggi tra Campania e Francia

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Da un'idea di Valeria Vanacore apre a Pozzuoli un'enoteca dalla doppia anima, che coniuga la passione per i vini di qualità alla ricerca di formaggi selezionati tra la Campania e la Francia. E l'offerta già propone tante rarità per appassionati. 

L'Enoformaggeria flegrea

Roquefort, camembert, comtè, foie gras. E insieme ricotta infornata, toma di bufala e caciocavallo. Un gemellaggio insolito tra Francia e Campania che si gioca intorno a un tavolo. Dove non te l'aspetti. Polyphemos, l'enoformaggeria flegrea ideata da Valeria Vanacore, è una piccola bottega studiata su misura nel cuore di Pozzuoli, dove l'atmosfera, a saper cogliere gli umori del luogo, è ancora quella di un tranquillo borgo di tradizione marinara affacciato sul litorale del Golfo. Pozzuoli, come i Comuni limitrofi che punteggiano l'hinterland partenopeo, fa parte dell'area dei Campi Flegrei, una zona vulcanica ricca di spunti turistici, storia, arte, archeologia, cultura del buon vivere. Eppure, per una giovane imprenditrice con passione e talento da vendere, aprire un'attività ai piedi dello storico Rione Terra, in un contesto potenzialmente vocato alla bellezza e al turismo, rappresenta una sfida che tanti ritengono folle: “Tu sei pazza, è stata la reazione di molti al pensiero di un territorio ancora poco aperto alle novità” racconta con una risata Valeria a pochi giorni dall'apertura al pubblico di quella che è la sua prima incursione nel settore commerciale, e a tutti gli effetti una ditta individuale. Lei, originaria di Bacoli, si è formata nel campo dei Beni culturali, poi ha intrapreso un master in comunicazione gastronomica del Gambero Rosso, mentre prendeva il diploma da sommelier e l'attestato di maestro assaggiatore di formaggi, prima di trasferirsi per qualche tempo in Francia, a Bordeaux, con la voglia di tornare presto a Napoli per concretizzare il suo progetto.

Il vino

Nell'enoformaggeria ha messo tutte le cose che le piacciono di più, e la sua competenza. Senza timore di fare una scelta di campo, e accostare mondi (geografici) diversi tra loro. Partendo dall'abbinamento consolidato tra vini e formaggi, Valeria ha costruito l'offerta di un'enoteca per esperti e appassionati del luogo, che ambisce a diventare anche polo d'attrazione per gli stranieri, numerosi, che visitano la cittadina. Presto dovrebbe arrivare anche la licenza di somministrazione, anche se lo spazio è davvero ridotto, 34 metri quadri su due livelli: la vetrina dei formaggi all'ingresso, le bottiglie a scaffale tutt'intorno, i vini da invecchiamento, coricati, al piano superiore, dove troverà spazio anche un tavolo conviviale, da 12 posti, dedicato alle degustazioni.

Per la selezione dei prodotti la scelta è ricaduta su distributori di qualità (come Il Tagliere di Padova per quel che riguarda una serie di prodotti francesi che non potevano mancare, il foie gras, l'aceto di Champagne, cioccolato di alta gamma), ma pure, e soprattutto, sull'esperienza maturata sul campo, “nel corso di moltissime incursioni tra l'Italia e la Francia per degustare, scoprire, curiosare da vicino”. Il risultato, per ora, è una cantina da 200 etichette – campane, nazionali, francesi, tedesche – con molte chicche, produzioni biologiche, curiosità enologiche in arrivo da vignaioli indipendenti, come le Bolle bandite di Gatti, “vinificato nell'area del Prosecco, ma fuori dal disciplinare”. Poi le bollicine, una selezione di champagne, i Franciacorta, e gli spumanti trentini, ma pure quelli campani. Per una fascia di prezzo che accontenta tutti, con bottiglie da 5-6 euro e picchi da 150-180 euro. Più un'originale proposta di vino sfuso di qualità: “Voglio che tutti possano bere buon vino, ho lavorato per selezionare uno sfuso di vigna alta, qui in Campania. Il prezzo è un po' più alto, ma comunque competitivo”.

I formaggi

Affrontare l'offerta casearia presenta altrettante sorprese: il catalogo è stagionale, propone formaggi di malga, rarità, “e una selezione di burri francesi di cui vado particolarmente fiera: qui sono praticamente introvabili”. Per gli amanti del genere, c'è di che festeggiare, tra burro demisel e burro alle alghe (in arrivo dalla Bretagna del maestro Jean-Yves Bordier), erborinati e croste fiorite, “e una specialità a pasta molle dell'Occitania, l'Occitane, riconoscibile dalla croce disegnata sulla copertura di cenere”.

La tradizione campana, invece, è rappresentata dal Caseificio Aurora di Sant'Egidio del Monte Albino, in provincia di Salerno, e dall'Azienda Agricola Francesco Savoia di Roccabascerana, in provincia di Avellino. Dal primo arrivano prodotti particolari come i formaggi affinati nella liquirizia e le tome da latte di vacche Jersey e bufala; il secondo invece fornisce specialità più legate alla tradizione regionale, caciocavallo, ricotta infornata, caciotte. Niente formaggi freschi o latticini, “qui non siamo storicamente legati al fresco, c'è la cultura dei formaggi stagionati, dei formaggi di fossa che si conservavano a lungo”. Per acquisti ricercati anche alici del Cantabrico, mostarde e distillati, dalle grappe italiane all'Armagnac, ai whisky torbati giapponesi. Apertura ufficiale venerdì 10 novembre.

 

Polyphemos | Pozzuoli (Na) | via Mazzini, 10 | dal 10 novembre, 9.30-13.30/16.30-20

 

a cura di Livia Montagnoli

Trattoria Pennestri di Roma. Fenomenologia di un successo

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Sembra sbucata dal nulla, la Trattoria Pennestri. Eppure è uno degli indirizzi di cui si sente più parlare negli ultimi mesi, per lo meno a Roma. Outsider (ma non troppo) della scena capitolina. Analisi di un successo.

I primi a essere stupiti siamo noi”. A parlare è la sommelier Valeria Payero, insieme a Tommaso Pennestri creatori della Trattoria Pennestri, 52 coperti per 6 persone all'opera nel quartiere Ostiense a due passi dalla Piramide Cestia e per un pelo fuori dal delirio di nuovi locali nati nel fazzoletto di strade che separano Eataly dal Porto Fluviale. Il locale che, nato in sordina l'11 aprile, sta cambiando le coordinate capitoline, entrando a pieno titolo tra gli indirizzi del cuore di molti, specie di quelli che mappano con attenzione (e golosità) le nuove aperture in tema di tradizione, di neo-osterie, di ristorazione più schietta che intellettuale.

E di questo successo, non urlato, ma quieto e costante, vogliamo venirne a capo.

Valeria Payero e Tommaso Pennestri

Valeria Payero e Tommaso Pennestri  
 
Abbiamo lavorato insieme per 4 anni, lui in cucina e io in sala” fa Valeria “all'Osteria dell'Ingegno”. Un posto magari sconosciuto ai non romani, ma che 20 anni fa ha portato un nuovo stile di ristorazione in città: garbato, disinvolto, con una formula per l'epoca innovativa, con vini al bicchiere, taglieri, ma anche piatti cucinati. Qualcosa di più di una vineria, qualcosa di diverso da un ristorante. Lavorando insieme hanno intuito un percorso comune. “Continuavamo ad avere questa idea, di far rivivere la trattoria tradizionale” ci pensa e aggiunge “anche se non siamo di Roma, quindi questa tradizione non ci appartiene”. Argentina lei – da 25 anni in Italia – di madre danese e padre italiano lui, con un imprinting gastronomico tutto contaminazioni e fusion casalinghi, l'eco francofono dell'esperienza da Bruno Borghesi al glorioso San Souci, e 2 anni alla corte niente meno che di Alfonso Iaccarino. “Non mi ritengo un cuoco tradizionale” dice. 

 

Trattoria Pennestri

 

Il locale giusto

Più di un anno a cercare il locale adatto, e a ragionare sul progetto fino a metterne a fuoco i dettagli più minuti. Poi trovano quello giusto: “Grande, 90 metri quadrati, con una pianta che si prestava a ospitare una trattoria. E poi con una porta... quegli infissi di legno scuro, perfetti per quel che volevamo fare noi”. Lo vedono e sentenziano: è lui. Anche per la zona in cui si trova: “che sta cambiando molto ma che ha ancora una vita di quartiere. C'è un contesto vivo, in fermento, con una sua storia, ci sono mercati, le vecchie trattorie e i nuovi locali che portano qualità, movimento, attenzione. È un'area che si sta riqualificando, in una zona strategica”. Su queste considerazioni partono i lavori.

Coratella d’agnello, buccia di limone e ricotta salataCoratella d’agnello, buccia di limone e ricotta salata

Il progetto

Come nasce un progetto che funziona? “Abbiamo cercato di tirare fuori da questo posto la sua anima, la trattoria insomma! Abbiamo cambiato colori, pavimenti, messo qualche mobile vecchio. Non troppi, perché non volevamo fosse una cosa forzata”. Avete chiamato un architetto? “Sì, ma solo una settimana prima di cominciare i lavori per armonizzare alcune cose, come la luce. Avevamo paura di sbagliare”. Non hanno lasciato fare a lui ma hanno fatto il modo che lui facesse bene quel che volevano loro: “avevamo la nostra idea su come dovesse venire”. Anche se in corso d'opera ci sono stati dei cambiamenti, partivano da un'idea molto chiara “Ci piace così: colori chiari, caldi, un posto accogliente, materico” aggiunge “un posto facile”.

 

Gnocchetti acqua e farina, crema di scampi e stracciatellaGnocchetti acqua e farina, crema di scampi e stracciatella

 

Il menu

Ma fare i posti facili non è cosa da poco. Anzi, forse è ancor più difficile di allestire voli pindarici. Loro, Valeria e Tommaso, ci hanno ragionato su tanto “ore a chiacchierare su come dovesse essere, dalla sala alla cantina, al menu”. Una carta corta, snella, che cambia veloce con i piatti del giorno che spingono, così come la mescita che, al contrario di quanto spesso accade, è il luogo della sperimentazione. “Ci piace azzardare, lo facciamo soprattutto nella proposta del giorno”. Via a quinto quarto, cavallo, pesce, secondo quanto offrono i vicini mercati, a dare uno sguardo nuovo a grandi piatti di tradizione. “Trattoria sì, ma contemporanea, alleggerita in alcune preparazioni. Anche contaminata, ma senza esagerazioni”. Con molto studio, ma che non si vede. “Amo la cucina romana” dice Tommaso “ma ne ho una visione più distaccata, mi prendo la libertà di alleggerire i fondi, rivedere i sughi. Mi piace ritoccare le ricette, più che negli ingredienti principali, in quelli di contorno: capperi, aglio o un'erba” e aggiunge “la base della cucina italiana è intoccabile. La parte creativa è un gioco leggero”. Gioco, una parola chiave. Gioco sono gli gnocchetti acqua e farina alla crema di scampi e stracciatella, “ho cercato di riprendere la ricetta kitsch ma golosa degli anni '80 e riproporla in modo corretto”. Sondano il terreno; partono in modo soft dopo qualche settimana capiscono che possono spingere di più e vanno. Ma a Roma c'era bisogno di un'altra trattoria? “Più che altro c'è voglia di cose semplici” risponde Valeria “e noi abbiamo voluto aprire un posto in cui si mangi bene e si stia bene”. Il successo sempre a Roma e sempre nel 2017 di Santo Palato (tutte esperienze probabilmente in qualche modo figlie del milanese Trippa di Diego Rossi come anche i Pennestri ci confesseranno in seguito) la dice lunga su quanto questo bisogno sia sentito dalla clientela.

 

Baccalà indivie_e_patate_al_forno_salsa_alle_aliciBaccalà indivie e patate al forno e salsa alle alici

 

Quel che ti fa tornare

Nei ristoranti in fondo tutti cercano la stessa cosa: stare bene, divertirsi. “Una buona cucina, una proposta cibo e vini che incuriosisca e non annoi, familiarità”. Perché sono questi elementi che ti fanno tornare. “Quante volte mangi bene in un posto ma poi te lo dimentichi e non ci torni?” La formula segreta? “Servizio, sala e accoglienza devono andare di pari passo con la cucina. Il contesto deve essere accogliente, informale ma professionale, con quelle accortezze che fanno stare bene” come cambiare le posate. “Volevamo un posto in cui le persone hanno voglia di fermarsi a chiacchierare con noi dopo aver finito di mangiare. Non è mica un pensiero nuovo” sorride “il punto era trasformare questo pensiero concretamente”. Come ci riuscite? “Devi sempre tenere in mente cosa vuoi che le persone trovino e come vuoi che le persone escano dal tuo locale, noi vogliamo che siano state bene” ci pensa e aggiunge: “lo so, è l'obiettivo di tutti”.

Incalza Tommaso: “Amiamo questo lavoro e anche questo dobbiamo comunicarlo, ma non in modo esasperato: deve arrivare una parte giocosa e infantile, anche imprecisa dello stare a tavola” quella delle trattorie, appunto, senza la perfezione ossessiva di certo ristoranti di alto lignaggio: “adoro le imperfezioni se fatte seriamente”. Leggerezza è un'altra parola chiave, riguarda i piatti, ma anche come vengono proposti, senza appesantire con il pedigree di ogni ingrediente: “mi piace pensare che sia il cliente a decidere il livello. Se non gliene frega nulla degli ingredienti e dei nomi può tranquillamente cenare senza dover sapere per forza tutto” e aggiunge: “il bello è far scattare l'emozione. Magari per una misticanza che riporta indietro nel tempo”.

 

PENNESTRI_-_Pasta_e_fagioli_cicoria_e_peperoncino_affumicato_Alberto-Blasetti

Pasta e fagioli 

E poi quello che ti fa tornare sono i piatti. Alcuni assaggi già fanno parlare mezza città: in primis la pasta e fagioli, con le erbe al posto giusto, il peperoncino affumicato a dare spinta e quel ciuffo di cicoria al centro. Assai confortevole anche l’hummus di fave e finocchietto con briciole croccanti a rendere il tutto più divertente. Si sale molto poi con la coratella, ricotta salata e buccia di limone e moltissimo col petto d’anatra mele, aceto e ginepro: piatto di livello. Sulla trippa menta&pecorino, invece, la ricerca della leggerezza penalizza un poco la godibilità complessiva.

 

Valeria_PayeroValeria Payero

La cantina: una scelta coerente

60 vini o poco più, con un 30% di etichette laziali e il resto che si muove su e giù dall'Italia con una proposta che sa incuriosire, con l'idea di aprire presto a qualche chicca oltre confine “la cucina è di contaminazione, anche la cantina vorrei fosse aperta” racconta Valeria “ho fatto molta ricerca, è una carta che secondo me funziona”. Ci sono vini naturali (il 30%, di più in mescita) senza ossessioni “non credo che il vino debba essere per forza bio. Il vino deve essere buono, se bio anche meglio. Ma è giusto che ci sia rispetto del territorio e sia fatto in modo corretto”. La mescita è il luogo delle sperimentazioni, più orientata agli autoctoni e ai naturali, “cose poco conosciute, interessanti e fatte bene” spesso non in carta.

 

Petto d’anatra all’aceto, mele e gineproPetto d’anatra all’aceto, mele e ginepro

La comunicazione

Ma vi siete guardati intorno prima di aprire per sapere cosa stava succedendo in giro? “Abbiamo studiato moltissimi posti: Trippa era quello più vicino a ciò che volevamo fare: una trattoria nuova, contemporanea, divertente; loro sono bravissimi, hanno un menu geniale, pazzo, divertente, ma non solo” aggiunge Valeria“la loro forza sta nella comunicazione”. Ormai argomento ineludibile, la comunicazione. Voi come vi siete mossi? “Ci siamo rivolti a dei ragazzi per logo e font” racconta “sapevamo cosa volevamo, dal tipo di carta dei menu, la grammatura, i colori, come doveva essere presentata a tutto il resto”. Un paio di settimane prima dell'apertura c'è stato qualche post su Facebook: “non volevamo iniziare pompando troppo, la comunicazione è partita da settembre dopo qualche mese di rodaggio: dovevamo tararci un po' in questo nuovo contesto e capire come muoverci”. Perché nonostante gli anni di esperienza questa è la loro prima volta da imprenditori “cambia l'approccio in tutto; per noi è una cosa nuova, faticosa”. Oggi c'è anche un'agenzia. Che tipo di lavoro sta facendo con voi? “Dato che l'ambiente è molto familiare, la comunicazione non può basarsi sulla descrizione di un piatto, deve arrivare la parte umana, intrattenere e divertire” spiega “l'idea è che sia un messaggio snello, non pesante. Abbiamo un programma mensile dei post che verranno pubblicati” e aggiunge“controlliamo tutto: è la nostra immagine, dobbiamo badarci e difenderla noi. E anche se la maggior parte delle cose va da sola, ci devi stare appresso anche perché la nostra non è una macchina finita, ma qualcosa che si sta modellando di giorno in giorno”. Idee chiare, anche in questo caso: “il difficile è trovare qualcuno che sappia capire cosa abbiamo in testa” aggiunge Tommaso. Contenti di come sta andando? “Siamo stupiti e un po' intimoriti che la cosa cresca troppo, già lo ha fatto in modo più veloce di quanto ci saremmo aspettati” risponde Valeria “le persone arrivano con aspettative alte, dobbiamo esserne all'altezza. Stiamo alzando un po' il tiro, dobbiamo correggere i punti deboli velocemente” continua “è stimolante, gratificante, ma anche moto impegnativo. È giusto che sia così, senza questo stimolo e timore non vai avanti”.

 

Parola chiave: rispetto

Perché secondo voi piacete tanto? “Probabilmente l'idea che avevamo in mente funziona e abbiamo trovato il modo giusto di tradurla” risponde Valeria. Ma forse non è solo questo: “l'approccio che abbiamo alla vita è molto sincero, e lo è anche verso i clienti, speriamo che questo arrivi al di là della proposta che facciamo. Bisogna essere puliti e diretti nei confronti di chi entra e decide di mangiare, e affidarsi a noi senza conoscerci” e aggiunge “Bisogna avere rispetto”.

 

Trattoria Pennestri | Roma | via Giovanni da Empoli, 5 | tel. 06. 5742418 | www.trattoriapennestri.it

 

a cura di Antonella De Santis

foto di Alberto Blasetti
 

Vàzzapp': a Foggia la rete di agricoltori all'insegna della condivisione

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Una rete che aggrega 350 agricoltori per gestire le relazioni tra gli addetti ai lavori e fare comunità. Accade in Puglia, nella provincia di Foggia, da ormai 3 anni con il progetto Vàzzapp', hub virtuale per favorire il confronto fra giovani ed esperti contadini del luogo.

L'hub

La condivisione virtuale di idee, iniziative e proposte è ormai una realtà assodata da tempo anche nel campo agroalimentare, dove sempre più progetti passano anche attraverso la rete. Sulla scia di questo modus operandi nasce Vàzapp', il primo hub rurale in Puglia che ha da poco compiuto 3 anni di vita, e che si propone come luogo di formazione e creazione di relazioni nel mondo agricolo, con lo scopo di migliorare sempre di più il settore. Una comunità di giovani professionisti, ricercatori, comunicatori e creativi, che intende rilanciare il mondo agroalimentare attraverso un percorso di innovazione sociale, e favorendo lo sviluppo di attività imprenditoriali. “Perché è la terra il luogo più fertile per coltivare i sogni”.

Gli ideatori

Vàzzapp' non gestisce terreni ma l'immateriale, ovvero le relazioni. Una condizione essenziale per crescere è la cooperazione, lo scambio: perché un terreno isolato non fa bene a nessuno”. A parlare è Giuseppe Savino, 36enne nato a San Giovanni Rotondo, co-fondatore di Vàzzapp', insieme a don Michele de Paolis.Siamo a pochi chilometri da Foggia, fra vigneti, distese di pomodoro, frutteti e campi di ulivi. Un terreno tanto generoso quanto ostico, che per tempo ha rischiato di essere abbandonato per sempre, ma non oggi: “Vediamo giovani che non fanno più le valigie, ma che preparano posti letto per accogliere amici da tutto il mondo. Crediamo in questo futuro che già vive nel nostro presente, e nei cuori di molte persone che amano la Puglia”. E a dirlo è proprio un agricoltore, una persona cresciuta in mezzo alla campagna che per primo tocca con mano i prodotti che si impegna a tutelare: “In famiglia siamo ormai alla quinta generazione di contadini. Siamo quei figli che i padri hanno mandato a studiare, ma che poi sono tornati più forti nella loro terra”.

Le cene contadine

Tante le iniziative ideate da Giuseppe e dagli altri collaboratori, a cominciare dal Ciucciotto Day, una giornata informativa sulla “confusione sessuale” nei vigneti, pensata per diffondere le ultime risorse biotecnologiche, ma anche per sperimentare con gli erogatori di ferormone nel vigneto attraverso il lavoro diretto sul campo, seguito da un pranzo in vigna e l'analisi del prodotto. Un momento di approfondimento che punta alla progettazione di un’agricoltura rispettosa dell’ambiente circostante, della salute dei consumatori e degli operatori attraverso l’uso sostenibile degli “agrofarmaci”. Fra le novità dell'anno, le cene itineranti: 20 masserie, 20 giovani agricoltori, questa la formula di #contadinner 20 20 20, un progetto che alla sua prima edizione mette attorno alla stessa tavola 400 giovani contadini per ascoltarli, scambiare esperienze di vita, progetti e conoscenze. Un format motivazionale e aggregativo, che si conclude con la sottoscrizione alla “Carta del giovane contadino”, un documento condiviso che raccoglie e dà voce alle istanze degli agricoltori.

I racconti e la startup

Altro ambito, altra idea: Fuori dalla Cassetta è un forum in cui si raccontano storie di vita, di giovani che sono rimasti e degli altri che sono tornati, tutto all'interno dell'anfiteatro del grano di Vàzzapp', un luogo pieno di suggestioni creato per accogliere oltre 250 persone all’aperto, uno spazio destinato ad ospitare cene, convegni, rappresentazioni teatrali e concerti. Un progetto a più mani che racchiude, dunque, l'amore smisurato per una terra ricca di opportunità, storia, bellezza, che ha portato alla creazione di una startup volta a costruire una serie di anfiteatri dal nome We Are in Paglia: giovani agricoltori comprimeranno la paglia per farne delle balle, gli architetti progetteranno l’anfiteatro in base alle diverse esigenze, un gruppo di ingegneri lo certificherà, esperti del suono sapranno come collocare la strumentazione audio.

vazapp.it

a cura di Michela Becchi

Le 6 migliori pizzerie napoletane di Milano e dintorni

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C'è chi sostiene che Milano stia rapidamente diventando un polo della pizza d'autore che attira l'interesse di tanti maestri; sicuramente, l'afflusso dei professionisti dell'arte bianca campani continua ad aumentare. Ecco dove mangiare le migliori pizze nel capoluogo meneghino.

Milano capoluogo - se non capitale - della pizza napoletana, sia quella dei pizzaioli in arrivo dalla Campania, sia quella che per prima incontra i cocktail, coniugando l'arte bianca a quella del bere miscelato. Una città che si è imposta sempre di più negli ultimi anni come meta prediletta dei grandi nomi partenopei, Gino Sorbillo in primis, che attualmente conta cinque diverse sedi. C'è fermento sul fronte della lievitazione, fra nuove aperture, doppiette e format originali, dalla pizza gourmet a quella classica napoletana. La guida Pizzerie d'Italia del Gambero Rosso le recensisce tutte, e quest'anno ha segnalato a Milano solamente due Tre Spicchi (massimo riconoscimento) e tante insegne di livello premiate con i Due Spicchi, molte delle quali di stampo campano. È proprio su queste ultime che vogliamo focalizzarci (senza dimenticare le altre realtà d'autore che hanno scelto di adottare uno stile diverso), con un elenco delle migliori pizzerie napoletane in città, al quale va aggiunta, poi, anche Gourmand, l'ultima creatura di Sorbillo inaugurata meno di una settimana fa a pochi passi dalla Galleria, che era ancora in fase di costruzione durante la stesura della guida. Un locale distribuito su due livelli, con una 70ina di posti a sedere, e dedicato alle pizze regionali, con un'attenzione particolare alle specialità dei diversi territori, tutte cotte in forno elettrico.

Montegrigna by Tric Trac – Legnano (MI) (Tre Spicchi)

La storia di Bruno De Rosa è da esempio per tutti gli aspiranti pizzaioli: originario di Tramonti, attraverso uno studio approfondito e una ricerca costante, è riuscito a rendere la sua pizza napoletana verace un prodotto d'eccellenza. Sono ben 200 le pizze in menu da Montegrigna by Tric Trac, locale in una via defilata nei pressi del vecchio ospedale di Legnano, tutte a base di farine biologiche macinate a pietra e cotte in forno a legna dopo una lunga lievitazione. Il disco di pasta è sottile, con cornicione rigonfio, insaporito con ingredienti di prima scelta, da tutta Italia: salumi toscani, burrata, pomodorini campani, salsiccia, e tante altre specialità che conferiscono carattere e gusto alle basi, da quella integrale classica a quella al mais, senza dimenticare la segale.

Montegrigna by Tric Trac | Legnano (MI) | via Grigna, 12 | www.pizzeriamontegrigna.com

Dry Cocktails & Pizza – Milano (Tre Spicchi)

Chef, sommelier e professionista del gusto. Tutto questo è SimoneLombardi, appassionato gastronomo che nel suo Dry propone pizze d'autore accompagnate da cocktail ben miscelati, per un connubio sui generis che non smette di stupire. Dietro il bancone, GuglielmoMoriello, esperto mixologist che si destreggia fra distillati e vermouth pregiati. Le pizze, invece, sono affare di Simone, che sperimenta con farine 0 e 1 macinate a pietra e con quella semi integrale. L'impasto viene precotto al vapore e poi condito con estro e creatività. Alle classiche Marinara e Margherita (con bufala dop e fiordilatte) si possono aggiungere condimenti a piacere, dalla mortadella alla cipolla bianca stufata all'acciuga, dai capperi di Salina alle acciughe del Mar Cantabrico. Ci sono, poi, le Pizze dello Chef, più originali, che comprendono anche il Calzone con cipolle stufate, olive, burro all'acciuga e provola affumicata; e i cubotti di farina semi integrale. Un format di successo, quello del Dry, che ha consentito a Lombardi di raddoppiare l'offerta con un secondo punto in via Vittorio Veneto.

Dry Cocktails & Pizza | Milano | via Solferino, 33 | www.drymilano.it

Lievito Madre al Duomo – Milano (Due Spicchi)

È stato Gino Sorbillo, qualche anno fa, a sancire definitivamente la trasformazione di Milano in un centro di interesse per il mondo della pizza, con il suo locale a pochi passi dal Duomo, dove non si può prenotare, ma si deve fare la fila proprio come nella migliore tradizione partenopea. A preparare l'impasto, mantenendo lo standard di Sorbillo anche al nord, Salvo Gennaro, che ogni giorno è alle prese con 400 pizze diverse a lunga lievitazione e realizzate con farine biologiche. Specialità della casa è l'Antica Margherita, seguita in corsa dalla Bufala dop e dalla celebre Pizza Gialla con conciato romano, nata come omaggio a Massimo Bottura. Ad accompagnare l'offerta, birre artigianali e qualche bollicina, anche campana.

Lievito Madre al Duomo | Milano | l.go Corsia dei Servi, 11 | www.sorbillo.it

Olio a Crudo – Milano (Due Spicchi)

Il nome è un chiaro omaggio alla cultura dell'extravergine italiano e rappresenta un nuovo filone della ricerca di Sorbillo nell'ambito della pizza “moderna”, in grado di incontrare le esigenze del consumatore contemporaneo. All'angolo tra via Savona e via Montevideo, quartiere Tortona, il maestro dell'arte bianca trasferisce l'attenzione sulla selezione degli oli, aggiunti a crudo dopo l'uscita dal forno, e selezionati da una carta studiata in collaborazione con Andrea Gradassi, presidente del Consorzio Oli Umbria (Cufrol) che riunisce diversi frantoi del territorio. Tante etichette da Nord a Sud della Penisola per un'offerta unica che pone l'accento sulla qualità dell'oro verde, e sul suo ruolo centrale in cucina. Attenzione alta, naturalmente, anche alle altre materie prime, a cominciare dalle farine biologiche e macinate a pietra, per finire con i prodotti di prima scelta utilizzati per il condimento. Sette le proposte, a partire dalla Margherita e dalla Marinara "cafona" sino a quella con il culatello, tutte create a partire dalla classica base alla Sorbillo, gigantesca e morbida.

Olio a Crudo | Milano | via Montevideo, 2 | www.sorbillo.it

Antica Pizza Fritta da Zia Esterina – Milano (Due Rotelle)

Ancora un locale firmato Sorbillo, il secondo a Milano, a un passo dal Duomo. Qui si viene per assaggiare la pizza fritta (o anche il calzone), un guscio di pasta ripieno di ingredienti succulenti cotto in olio bollente di fronte al cliente, proprio come impone l'antico rituale campano. La scelta è contenuta e piuttosto tradizionale, ma anche la versione più classica potrà stupire il palato di tutti per la qualità degli ingredienti, come la bufala affumicata con paglia, il salame artigianale di Faicchio e il pomodoro San Marzano da agricoltura biologica. Un pezzo costa 3.50 euro, come a Napoli, e la soddisfazione è proporzionale alle dimensioni dello snack artigianale, che si fanno decisamente notare. Cucina a vista, per osservare i pizzaioli all'opera, piastrelle rosse con motivi geometrici a rivestire le pareti e spazi ridotti all'osso: si entra, si ordina il ripieno preferito e dopo non molto si torna a passeggiare in strada con uno dei cibi da asporto più apprezzati in tutto il mondo.

Antica pizza fritta da Zia Esterina | Milano | via Agnello, 19 | www.sorbillo.it

Starita – Milano (Due Spicchi)

In una location di tutto rispetto, in zona Arco della Pace, una delle pizzerie napoletane più famose al mondo, Starita. A fare la parte del leone qui sono le pizze tradizionali, ben lievitate e condite con i sapori e profumi della terra d'origine, che richiamano lo storico locale del rione Materdei a Napoli. Imbattibili la Marinara e la Margherita, massima espressione dell'arte bianca partenopea, ma una volta entrati da Starita non si può resistere ai celebri fritti, dalle crocchè alle frittatine di pasta, per finire con le pizzette fritte, disponibili anche nella versione dolce.

Starita | Milano | via G. Gherardini, 1 | www.pizzeriastarita.it

a cura di Michela Becchi

Pizzerie d’Italia del Gambero Rosso 2018 | pp 384 | euro 8,90 | La guida è acquistabile in edicola, libreria e on line

Guida Pizzerie d'Italia 2018 del Gambero Rosso. Elenco dei migliori e dei premiati

Le 6 migliori pizzerie di Caserta e dintorni

Indagine su un territorio: il Sannio e la sua tradizione vitivinicola

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Alla scoperta del Sannio, del suoi territorio, della storia e dei suoi patrimoni vitivinicoli.

Il caratteristico borgo di Sant’Agata de’ Goti, il castello di Guardia Sanframonti, le vigne storiche di Solopaca, il profilo severo del massiccio del Taburno. Sono le immagini che restano nella memoria visitando il Sannio. Una zona che dista solo un’ora da Napoli, ma che svela un volto della Campania inatteso e sorprendente. Siamo lontani dal caos estroverso e variopinto del capoluogo partenopeo, qui tutto sembra ricordare le antiche origini del popolo sannita, orgoglioso e mai domo e un certo rigore austero, riservato e silenzioso, forse lascito della secolare dominazione Longobarda. Risiede in questa mescolanza di cultura e storia, di contaminazioni e dominazioni, il fascino segreto di un territorio che vale la pena di scoprire.

vigneti del SannioVigneti del Sannio

Il territorio

Il Sannio è una delle aree della Campania storicamente più vocate per la coltivazione della vite. Si trova nella zona nord orientale della Regione, in provincia di Benevento. La coltivazione della vite disegna tutto il paesaggio della valle Telesina, attraversata per la sua lunghezza dal fiume Calore. La valle ha un orientamento est-ovest ed è delimitata a sud dal rilievo del Monte Taburno e a nord dai monti del Matese, entrambe aree tutelate dalla presenza di Parchi Naturali Regionali. Fin dall’antichità la viticoltura si è sviluppata sui rilievi collinari che salgono dalla piana di Telese verso i versanti delle montagne: a sud nella zona di Solopaca e Sant’Agata de’ Goti e a nord verso Castelvenere e Guardia Sanframonti.

Nonostante la vicinanza del mare, il clima è fresco e continentale con notevoli escursioni termiche tra il giorno e la notte. Il vento soffia in modo quasi costante, prevalentemente da ovest o da est, mentre le correnti fredde provenienti da nord sono frenate dei monti del Matese. Il versante della valle sale più dolcemente verso il Matese e in modo più aspro e ripido verso il Taburno. Le vigne di Solopaca si trovano in una posizione pedoclimatica molto particolare, sono esposte a nord-est e nord-ovest a un’altitudine di circa 200 metri; il sole arriva in tarda mattinata e durante il giorno ci sono oltre 15 °C di differenza di temperatura. I terreni sono prevalentemente di natura argilloso-calcarea, con presenza di silice e arenarie; nella parte pianeggiante i suoli sono soprattutto d’origine alluvionale, mentre salendo verso le pendici delle montagne, aumenta la presenza di scheletro e di sassi bianchi calcarei. Tuttavia non mancano zone in cui sono evidenti i segni di una primordiale attività vulcanica con affioramenti di banchi di tufo, come nelle aree Vitulanese, Telesina e Galdina.

 

Prima bottiglia di falanghinaPrima bottiglia di falanghina

Storia

Durante i primi secoli dell’Impero Romano, era dalla Campania che arrivavano nella Capitale i famosi vini Falerno, Faustiniano e Caleno. Una tradizione che si è poi tramandata nel corso dei secoli senza soluzione di continuità. Quando la fillossera è arrivata in Europa, il Sud Italia è stato investito con ritardo dalla calamità e tra il 1912 e il 1932, la Campania era la prima regione vitivinicola italiana. Nel periodo post fillossera, anche nel Sannio si è assistito a un rinnovamento completo degli impianti con l’introduzione di sangiovese, trebbiano toscano e malvasia di Candia aromatica; si sono così perse quasi del tutto antiche vigne di sommarello, piedirosso, sciascinoso, agostinella, cerreto, passolara di San Bartolomeo, olivella, carminiello, palombina e moscato di Baselice. Nel secondo dopoguerra, quando i viticoltori del Sannio portavano il frutto di un anno di lavoro al mercato dell’uva, i potenti commercianti partenopei li costringevano a svendere le uve per pochi soldi. Proprio per reagire a questo sfruttamento sono nate negli anni ’60 le prime Cantine Sociali, ancora oggi presenti sul territorio.

 

Vigneti del TaburnoVigneti del Taburno

Le Cooperative e i piccoli produttori

Caratteristica del tessuto produttivo del Sannio è la presenza di Cantine Sociali o di piccoli produttori, mancano invece realtà imprenditoriali di grandi dimensioni. Le 4 cantine sociali gestiscono complessivamente circa il 40% delle vigne del Sannio e rappresentano gli elementi trainanti del territorio, sia a livello di capacità produttiva e commerciale, che di immagine. La Guardiense, fondata nel 1960, è composta da 1.000 soci e gestisce 1.500 ettari; la Cantina di Solopaca è nata nel 1966, raccoglie 600 soci per un totale di 1.300 ettari; la Cantina del Taburno è stata fondata nel 1972 ha 300 soci e 600 ettari; l’ultima nata è Vigne Sannite, che ha riunito la Cantina di Castelvenere e la Cooperativa Viticoltori Sanniti. Può contare su 300 soci con un patrimonio vitato di 500 ettari. Il resto dei viticoltori gestisce tenute di dimensioni medio-piccole, si tratta spesso ex soci delle Cantine Sociali, che negli ultimi decenni hanno deciso di imbottigliare in proprio i loro vini.

Vegneti di SolopacaVigne di Solopaca

Il Sannio oggi

L’attuale scenario del Sannio si presenta con un vigneto di 10.000 ettari, 7.900 viticoltori, 100 aziende imbottigliatrici e 1.000 di ettolitri di produzione annua. Nell’area del Benevento si produce quasi il 50% di tutto il vino della regione Campania. Le denominazioni del territorio sono 4: Aglianico del Taburno, Falanghina del Sannio (con le sottozone di Guardia Sanframondi o Guardiolo, Sant’Agata dei Goti, Solopaca e Taburno), Sannio e Benevento IGT. Si tratta di una viticoltura di qualità, con vigne nelle zone collinari storicamente più vocate. Nonostante la presenza di luoghi famosi della viticoltura come Solopaca, Sant’Agata dei Goti e il Taburno, i vini del Sannio non sono conosciuti e apprezzati dal grande pubblico quanto meriterebbero. È un territorio dalle grandi potenzialità e l’attività delle Cantine Sociali, ormai orientato alla ricerca della qualità, potrebbe costituire il volano anche per i piccoli produttori, che non sempre hanno la forza commerciale per arrivare al palcoscenico nazionale.

 

Vigna BueApisVigna Bue Apis

Vitigni e Vini

Ormai da diversi decenni il Sannio ha ritrovato la sua identità storica, privilegiando la coltivazione dei vitigni autoctoni. Il vigneto attuale è composto da: aglianico (28%), falanghina (12%), sangiovese e barbera (6%), malvasia di Candia aromatica (5%), 4% greco bianco (4%) e il restante 39% da altri vitigni. Nella zona classica di Solopaca e nel Taburno sono sopravvissute alcune vigne storiche, a pergola o tendone, che rappresentano un’importante memoria della cultura vitivinicola del territorio e ancora oggi producono uve di alta qualità. La vigna di aglianico Bue Apis è un vero monumento a cielo aperto alla vite. Piantata a raggiera, può vantare viti a piede franco di circa 200 anni, allevate con potature lunghe, che ricordano la natura di liana della vite. Oggi la vigna è gestita dalla Cantina del Taburno, che ogni anno commercializza circa 5.000 bottiglie dell’etichetta Aglianico del Taburno Bue Apis.

 

FalanghinaFalanghina

La Falanghina

È il vino simbolo del Sannio. A livello nazionale il 95% della falanghina è coltivata in Campania e 80% nel beneventano. Fino agli anni ’70 era vinificata in blend con altre uve e si deve a Leonardo Mustilli, recentemente scomparso, l’intuizione di valorizzarne le potenzialità. La prima bottiglia di Falanghina in purezza è uscita proprio dalle Cantine Mustilli nel 1979. Nel 2016 sono state prodotte 5.770.924 bottiglie di Falanghina del Sannio, con un +20% rispetto al 2015. È un vitigno molto duttile, che permette la produzione di vini fermi, spumanti, vendemmie tardive e passiti. Possiede anche un buon potenziale d’invecchiamento, con evoluzioni verso interessanti aromi terziari.

 

Le migliori etichette degustate:

Falanghina del Sannio Sant’Agata dei Goti 2015 Vigna Segreta - Mustilli

Falanghina del Sannio 2016 Taburno - Nifo Sarrapochiello

Falanghina del Sannio Taburno 2016 - Fontanavecchia    

Falanghina del Sannio 2016 Svelato - Terre Stregate

Falanghina del Sannio Senete 2016 - La Guardiense

Falanghina del Sannio 2016 Fois - Cautiero

Falanghina del Sannio 2015 Kydonia - Ca’Stelle

 

Aglianico

 

L’Aglianico del Taburno

L’aglianico è il vitigno a bacca rossa più coltivato nel Sannio. Da secoli è presente sui rilievi collinari alle pendici del Monte Taburno, dove ha trovato clima e terreni adatti per esprimersi su alti livelli qualitativi. Il biotipo storicamente più diffuso è l’aglianico amaro, e anche questa diversità clonale contribuisce a donare una personalità e un carattere diversi rispetto dall’aglianico di Taurasi o del Vùlture. È un vino dal profilo piuttosto austero, secco e profondo, con trama tannica importante, acidità viva e buona complessità aromatica. Un vino strutturato, che necessita di un buon periodo d’affinamento per raggiungere la piena maturità e la giusta armonia espressiva.

 

Le migliori etichette degustate:

Sannio Aglianico 2015 Pisus - Torre del Pagus

Sannio Aglianico 2015 - Aia dei Colombi

Sannio Aglianico 2014 Patre - Vigne di Malies

Sannio Aglianico 2013 Patre - Ca’Stelle

Aglianico del Taburno Furius 2014 - Votino

Aglianico del Taburno 2014 - Nifo Sarrapochiello

Aglianico del Taburno 2013 Arces - Torre dei Chiusi

Aglianico del Taburno 2012 - Fontanavecchia

Aglianico del Taburno 2010 - Torre del Pagus

 

Gli altri vitigni

Il panorama dei vitigni del Sannio è completato da alcuni autoctoni a bacca bianca, soprattutto fiano, coda di volpe e greco e da alcune uve importate più di recente. Il sangiovese è stato piantato abbondantemente nella zona di Solopaca e ancora oggi è utilizzato in blend con l’aglianico per la produzione del Sannio Rosso Doc. Un altro vitigno a bacca nera ampiamente diffuso è la barbera, che però non ha nulla a che vedere con quella piemontese. Pare sia stata introdotta in Campania in tempi recenti insieme ad altri vitigni cosiddetti “tintori” come primitivo e tintilia. Già negli anni '30 era vinificata in purezza ed era chiamata Barbera da ex emigranti tornati nel Sannio, che avevano conosciuto la Berbera piemontese negli USA e trovavano similitudini nel colore intenso. Oggi si stanno studiando i biotipi con analisi sul DNA per scoprire le origini e le parentele

 

Le migliori etichette degustate:

Sannio Greco 2016 - Fontanavecchia

Sannio Greco 2016 Aedo - Vigne di Malies

Sannio Fiano Bio 2016 - Nifo Sarrapochiello

Sannio Coda di Volpe Jenn’emois 2016 - Ciabrelli

Sannio Piedirosso 2015 Columbinum - Votino

Sannio Barbera 2013 Rapha’ el - Ciabrelli

Sannio Solopaca Classico Rosso 2013 - Cantina di Solopaca

Essentia - Vigne Sannite

 

Prospettive future

Il momento d’oro della falanghina è senza dubbio un’opportunità da fruttare. Il Consorzio dei Vini del Sannio sta lavorando per valorizzare sempre di più la produzione e far conoscere un territorio molto interessante anche da un punto di vista paesaggistico. Il prossimo passo dovrà essere lo sviluppo dell’enoturismo, con la creazione di strutture B&B, organizzazione di degustazioni e visite alle vigne. Il Sannio dista solo 60 chilometri dalla costa campana e offre molte attrattive, dai bellissimi paesaggi vitati, ai borghi storici come Sant’Agata dei Goti e Guardia Sanframonti, all’artigianato della ceramica di Cerreto Sannita ai vicini Parchi Naturali del Matese e del Taburno. Un itinerario che potrebbe diventare un’interessante strada del vino per molti turisti che transitano da Napoli.

 

a cura di Alessio Turazza

 

 

 

 

 

 

 
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