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Guida Vini d'Italia del Gambero Rosso 2018. I migliori vini d’Italia e la grande degustazione

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Il conto alla rovescia è finito: la guida Vini d'Italia è uscita e la presentiamo a tutti gli appassionati con una super degustazione: oltre 400 etichette in assaggio, per un evento imperdibile.

Alcuni dei vini premiati dalla Guida Vini d’Italia 2018 sono acquistabili su Tannico.it, l’enoteca online partner di Gambero Rosso. 

Finalmente ci siamo: il conto alla rovescia è finito e con esso le anticipazioni che per più di un mese hanno accompagnato l'arrivo della guida Vini d'Italia 2018. Di cui tiriamo le somme ora, all'uscita dell'edizione numero 31 e all'alba della grande degustazione dei premiati con i Tre Bicchieri che si tiene a Roma, il primo di una serie di eventi, ben 50 in Italia e all'estero, che toccherà 30 città in tutto il mondo. A Roma, allo Sheraton, domenica 22 ottobre, ci saranno in assaggio oltre 400 etichette, tutte premiate con i Tre Bicchieri. Le tappe successive? Saranno Napoli,il 24 ottobre a Palazzo Caracciolo, e Torino, il 29 all'AC hotel Marriott, organizzato dalla Città del gusto Torino.

 

Il libro di storia della vitivinicoltura. Volume 31

Nel 1988 la prima edizione, all'epoca di un evocativo verde bottiglia, conteneva molte meno referenze di ora. Segno tangibile del progresso della nostra vitivinicoltura in questi tre decenni. Un'evoluzione che abbiamo testimoniato e, ci piace pensarlo, anche stimolato, come può farlo un costruttivo esercizio della critica. Perché in questi anni di lavoro serrato abbiamo valutato vini, elaborato cronache enologiche, individuato tendenze, gusti e cambiamenti, tentando anche una previsione sul futuro. Facciamo un riscontro su come è cambiata la guida, questo tomo che ci ostiniamo a voler stampare convinti che sia ancora uno strumento fondamentale nelle mani degli addetti ai lavori e degli appassionati, e che sia fondamentale proprio nella sua versione cartacea: è, a ben vedere, il 31esimo volume del grande libro di storia della vitivinicoltura italiana.

 

Numeri a confronto

Nel mettere a paragone il primo e l'ultimo tomo (348 contro 1008 pagine), un dato salta immediatamente all'occhio:il numero dei vini presenti. Circa 1400 etichette di 465 cantine nel 1988, un ventaglio estremamente ridotto se lo mettiamo a confronto con quello attuale: sono infatti saliti a 22mila i vini e a 2485 le aziende oggi in guida. Rappresentano il meglio della produzione italiana. E il meglio del meglio conquista i Tre Bicchieri. Quest'anno sono ben 436 etichette con il massimo della valutazione, nel 1988 appena 32. Quel che è rimasto invariato, in questi anni, è la testa della classifica: oggi come ieri il Piemonte è in cima, seguito da presso dalla Toscana. I numeri però sono molto diversi: 10 e 8 nel 1988, 77 e 76 quest'anno.

Ci piace sottolineare una presenza sempre più rilevante di vini biologici e biodinamici: 99. A testimonianza di una sensibilità crescente verso l'ambiente e la sostenibilità a tutto tondo: non solo nel metodo di coltivazione delle uve e di produzione di vini, ma anche nell'approccio complessivo delle aziende. Non sono rari i casi, infatti, di cantine costruite riducendo al massimo l'impatto ambientale e secondo criteri di ecosostenibilità. Riscontriamo inoltre un'attitudine a intendere l'ambiente in senso olistico: non solo quello naturale, ma anche quello culturale e sociale, verso cui si moltiplica l'impegno di moltissime realtà. Per questo abbiamo voluto inserire un nuovo titolo tra i Premi Speciali, quello al Progetto Solidale, assegnato a Elisabetta Fagiuoli della cantina toscana Montenidoli per il suo progetto di casa di accoglienza.

 

Il panorama enologico italiano

Anni di assaggi e riflessioni sul vino e tutto quanto gli gira intorno, ci consegnano -oggi - l'immagine sempre più centrata, quella di un patrimonio che fa della territorialità il suo punto di partenza, incardinando concetti come identità, piacevolezza e imprevedibilità per giungere a tratteggiare un panorama ampio e diversificato di prodotti, ognuno con una propria storia da raccontare e con un proprio posto da occupare. Un esempio su tutti, quello dei vini di qualità al di sotto dei 15 euro che oggi sono 110, e solo lo scorso anno 88. Del resto aumentano le aziende, soprattutto di piccole e medie dimensioni, con l'effetto positivo di ripopolamento delle campagne e un impatto positivo sul tessuto sociale anche in aree non centrali. In termini meramente numerici parliamo di una crescita del valore della produzione di vino e uva da vino che dagli oltre 3.000 milioni di euro del 2005 arriva ai quasi 5.000 attuali. Di questo, e di molto altro parla la nostra guida.

 

Grande degustazione Tre Bicchieri | Roma | Sheraton Rome Hotel, viale del Pattinaggio, 100 | il 22 ottobre, dalle 16 alle 20 | biglietto 60 euro | Per acquistare l’evento www.gamberorosso.it/it/store/tre-bicchieri-2018/by,created_on

 

a cura di Antonella De Santis

 

Alcuni dei vini premiati dalla Guida Vini d’Italia 2018 sono acquistabili su Tannico.it, l’enoteca online partner di Gambero Rosso. 


www.tannico.it


Nelle sale “Finché c'è Prosecco c'è speranza”. La presentazione alla Festa del Cinema di Roma

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Sarà presentato alla Festa del Cinema di Roma il giallo vitivinicolo con protagonisti l'attore Battiston e le bollicine più famose d'Italia. Tra i cammei enogastronomici, l'Osteria senz'oste e la Cantina Masi. E intanto la Francia risponde con il film Ritorno in Borgogna. 

La presentazione a Roma

Che il Prosecco sia ormai un trend key del mercato è chiaro a tutti. Il punto, però, è che ormai non si parla solo del mercato del vino, ma anche di quello cinematografico. Uscirà, infatti, il 31 ottobre il film Finché c'è Prosecco c'è speranza, con Giuseppe Battiston, Teco Celio e Liz Solari, per la regia di Antonio Padovan (distribuzione Parthénos). Alla Festa del Cinema di Roma (26 ottobre – 5 novembre) lo si potrà vedere in anteprima all'interno della rassegna Alice Kino Panorama Italia.

 

Un giallo in chiave vitivinicola

A fare da sfondo alla vicenda, tratta dall'omonimo giallo di Fulvio Ervas (edizione Marcos Y Marcos), ci sono le colline venete, mentre al suo interno si muove tutto un mondo singolare e curioso, fatto di bottai, osti e confraternite di saggi bevitori. In poche parole, il mondo del conte Desiderio Ancillotto (interpretato da Rade Serbedzija), grande vignaiolo che si è tolto la vita, inscenando un improvviso e teatrale suicidio. Ma si sarà davvero trattato di suicidio? E chi sarà il responsabile di tutta una serie di omicidi, le cui tracce sembrerebbero portare proprio al Conte? A indagare su questi casi viene chiamato l'ispettore Stucky (Battiston), che, nella cantina del nobile vignaiolo, scoprirà, tra vetro e sughero, alcol e lieviti addormentati, una realtà che, invece, a dormire non ci pensa per niente e, al contrario, rivendica il suo diritto al futuro.

Il commento del regista

"Dopo aver passato un terzo della mia vita a New York" dice  Padovan "l'ispettore Stucky è venuto a prendermi e mi ha riportato alla mia terra: un piccolo arcipelago di dolci rilievi trapuntati di vigne, che si sta trasformando velocemente in un frenetico luna park eno-finanziario: Proseccolandia. Finché c'è Prosecco c'è speranza vuole essere un giallo, ma al tempo stesso un modo per puntare la lente d’ingrandimento su una realtà geografica poco esplorata dal cinema italiano. È un’indagine impregnata di riflessioni sul futuro che vogliamo. Un inno all’andare piano, assaporando la vita. Un ritratto di un territorio ingarbugliato tra progresso e tradizione, tra eccellenze  e vergogne. Una lettera d’amore".

I cammei vitivinicoli

In un film che parla di vino, non potevano mancare riferimenti filmici alla realtà vitivinicola del nostro Paese. Per la villa del conte Ancillotto sono stati scelti i vigneti della Famiglia Dalla Libera di Conegliano Valdobbiadene. Ma non sono gli unici filari finiti sul grande schermo. Ci sono pure quelli di Angelo Bortolin, storico nome della viticoltura regionale, impegnato nella produzione di Prosecco Docg. La cantina del film è, invece, quella del ristorante Da Gigetto di Miane (Treviso): 1600 etichette di vini che riposano a 18 metri di profondità, attorno a un pozzo con acqua sorgiva. La lista dei ristoranti continua, poi, con Ca' del Poggio di San Pietro di Feletto, località famosa, oltre che per la produzione di Prosecco, anche per il Muro di Ca’ del Poggio. Altra tappa enogastronomica del film è a Valdobbiadene, in cima alle colline di Cartizze, dove all'interno di un vecchio casolare si trova l'Osteria senz'oste, ormai nota alle cronache culinarie nazionali e internazionali, grazie all'idea del suo proprietario, Cesare De Stefani, l'oste che non c'è. Ovvero, colui che rifornisce la dispensa di cibo (salumi, pane, formaggi e dolcetti) e bottiglie di Prosecco e Cartizze, e poi va via, mettendo l'osteria a disposizione degli ospiti, che pagheranno, si faranno lo scontrino da soli e poi lasceranno il posto ai nuovi venuti. Una scommessa sulla fiducia nel prossimo che si è meritata un giro anche sul grande schermo.

Cammeo di colore, anche, per i cavalieri della Confraternita del Prosecco – tutti di porpora vestiti - associazione nata nell'immediato dopoguerra per evitare l'abbandono dei vigneti da parte dei viticoltori della Docg (ipotesi oggi senz'altro ampiamente scongiurata) con tangibili sostegni materiali e morali.

Citazione d'onore, infine, per la cantina veneta Masi e per il suo premio Civiltà del Vino: nel film è proprio il conte Ancillotto ad apporre la sua firma sulla storica Botte di Amarone, ormai diventata famosa in tutto il mondo. Per una strana coincidenza, proprio qualche anno fa (nel 2011), il protagonista del film – Battiston – fu proprio insignito del Premio Masi Civiltà Veneta.

I precedenti enogastronomici di Battiston

Lo stesso Battiston, tra l'altro, non è nuovo a film legati alla cultura vitivinicola del nostro Paese. Nel 2013 è stato protagonista di Zoran, il mio nipote scemo(regia di Matteo Oleotto) ambientato nel suo Friuli Venezia Giulia, con vigneti, cantine, vini e osterie a fare da naturale background a tutta la vicenda. Tant'è che lo stesso attore quache anno fa aveva dichiarato che avrebbe potuto rinunciare al cinema solo per una bella vigna. Ma a giudicare dalla sua carriera, battezzata da calici di vino e premi internazionali, le due cose possono senz'altro continuare a convivere nella stessa dimensione.

 

Dalla Francia arriva Ritorno in Borgogna

E intanto, nelle sale italiane è già arrivata la risposta francese al film di Padovan. Si chiama Ritorno in Borgogna (in francese Ce Qui Nous Lie, ovvero Quello che ci lega), che porta la firma di Cédric Klapisch, lo stesso regista dell’Appartamento spagnolo. È la storia di tre fratelli - Jean (Pio Marmai), Juliette (Ana Girardot) e Jeremie (Francois Civil) - che si ritrovano eredi del vigneto del padre e che provano a ricostruire rapporti e cantina. Ma è anche l'incontro tra le nuove generazioni, un po' nomadi e un po' globali, e il mondo della tradizione francese che richiama i più giovani alla loro radici.

Che siano bollicine italiane o rosso di Borgogna, l'annata vitivinicola di sicuro non sembra soffrire di mancanza di prodotto. Per lo meno non al cinema.

 

a cura di Loredana Sottile

 

 

 

 

 

Premio Internazionale di Architettura e Design Bar Ristoranti Hotel d'Autore 2017. I vincitori

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Un premio, alla terza edizione, che valorizza la capacità di progettare spazi originali, creativi, in sinergia con il contesto paesaggistico per la ristorazione e l'ospitalità. Sul palco progettisti e committenti, per la cerimonia di premiazione ospitata da Host, a Milano, il 24 ottobre. Ecco i vincitori. 

Il premio agli spazi più originali. Al ristorante e in hotel

Architettura e design alleati nella progettazione di spazi destinati alla ristorazione e all'ospitalità. E un premio internazionale che riconosce gli esiti più originali del lavoro di architetti e designer al servizio delle esigenze di ambienti pensati per essere condivisi con gli altri, nel segno dell'innovazione e della coerenza con il contesto paesaggistico e la storia del luogo. Anche quest'anno, alla sua terza edizione, il Premio Internazionale di Architettura e Design Bar/Ristoranti/Hotel d'autore ha raccolto un gran numero di adesioni, dall'Italia e dall'estero (ma sempre per progetti a firma italiana, come da bando pubblicato la primavera scorsa): 177, in totale, i lavori esaminati dalla giuria, tra nuove opere e ristrutturazioni di qualità, purché completate negli ultimi tre anni.  Con l'idea di incentivare l'attenzione e gli investimenti dei privati in tal senso, sottolineando il ruolo dell'artigianalità e del disegno industriale nella realizzazione di uno spazio d'autore a 360 gradi. Il premio – bandito dall’Istituto Nazionale di Architettura – IN/ARCH, Gambero Rosso, FederlegnoArredo, Università degli Studi Roma Tre, Artribune, Archilovers, con HostMilano e il patrocinio di ADI – Associazione per il disegno Industriale, si avvale del parere di una giuria di esperti, composta da Renato Arrigo, Paolo Desideri, Paolo Cuccia, Massimiliano Tonelli, Ferdinando Napoli, Simona Greco, Patrizia Di Costanzo, Andrea Margaritelli. E martedì 24 ottobre, a Milano, in concomitanza con la fiera dell'ospitalità Host, si svolgerà la cerimonia di premiazione dei vincitori dell'edizione 2017. Già resi noti i nomi dei premiati, che spaziano dall'Alto Adige alla Spagna, al Sud Italia.

 

I vincitori dell'edizione 2017

Si aggiudicano il premio per l'Opera realizzata 5 importanti realtà di ristorazione e hotellerie, a cominciare dal ristorante Dopolavoro del JW Marriot Hotel sull'isola delle Rose, a Venezia, progettato dallo studio di Matteo Thun. Nutrita la presenza di studi altoatesini, che festeggiano per la premiazione dell'Oberholz Mountain Hut (studio PPA Peter Pichler Architecture) e dell'Alter Schlachthof Brixen di Bressanone, progettato da Imoya design&architecture. Mentre si scende all'altro capo della Penisola per scoprire l'Alba Palace Hotel di Favara (Agrigento) di Architrend, premiato per la capacità di coniugare la conservazione e la valorizzazione dell'edificio storico ottocentesco con le esigenze della struttura d'ospitalità a 4 stelle aperta da soli 6 mesi nel centro storico del paese siciliano (con l'inserto di materiali in lamiera d'acciaio a movimentare la facciata). Ultimo premiato del quintetto, il ristorante Alkimia di Barcellona, progettato da External Reference per lo chef patron Jordi Vilà, che firma la cucina mediterranea dell'insegna di ronda Sant Antoni.

A loro si aggiungono i protagonisti delle 5 menzioni speciali, che quest'anno la giuria ha deciso di assegnare visto l'alto numero di progetti di qualità: n'orma a Chiaramonte Gulfi (Ragusa), Buhelwirt in Valle Aurina, l'Hotel Pfosl di Nova Ponente (Bolzano), La Petrilleria di Roma, la Libreria con cucina Brac, a Firenze.

Per il design il premio è stato assegnato al Casa Maki Sushi Bar di Pescara e al progetto Walking di Filippo Bombace; mentre una menzione speciale va alla Lampada da parete di Applico (di Luciano Fazi).

La cerimonia si terrà alle 11.30 di martedì 24 ottobre nell'area Exihs di Host, padiglione 11 della Fiera Milano. E i riconoscimenti, come di consueto, spetteranno non solo ai progettisti, ma anche ai committenti dell'opera. Si premia l'originalità, e chi sa valorizzarla. 

 

a cura di Livia Montagnoli

Olio di oliva, annata in ripresa dopo un 2016 disastroso. Produzione stimata a 320.000 tonnellate: +75%

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L'Ismea certifica la risalita dell'Italia, ma il raccolto è tra più scarsi degli ultimi dieci anni. Positivi i dati a livello mondiale, coi consumi vicini ai 3 milioni di tonnellate. Intanto, in Puglia, via libera del Mipaaf al reimpianto degli ulivi colpiti da Xylella. 

Olio italiano. Produzione in ripresa

Torna a salire la produzione di olio di oliva italiano dopo un 2016 archiviato come la peggiore campagna degli ultimi decenni. Le prime stime dell'Ismea parlano di 320 mila tonnellate prodotte, in aumento del 75% sull'anno precedente quando furono prodotte appena 182 mila tonnellate. Anche l'annata 2017 è stata condizionata da un inverno particolarmente rigido, dalle gelate primaverili e dalla siccità estiva, al punto che nonostante il rimbalzo positivo si attesterà al terzo posto tra le peggiori annate dell'ultimo decennio, ben al di sotto della produzione media che si aggira sulle 500mila tonnellate annue e non distante dalla seconda annata peggiore, la 2014, con le sue 222mila tonnellate. Insomma, anche nel 2017 siamo ben lontani dai volumi cosiddetti di piena carica.

 

L'affare Xylella. Gli ultimi aggiornamenti

Le buone notizie arrivano da Bruxelles e, in particolare, dal Comitato fitosanitario permanente, che ha accolto le richieste avanzate dall'Italia in merito alla possibilità di reimpiantare gli ulivi nelle zone colpite dalla Xylella fastidiosa. Pertanto, l'olivicoltura del Salento tira un sospiro di sollievo. La Puglia, lo ricordiamo, è la regione da cui arriva la metà dell'olio di oliva raccolto a livello nazionale. Il resto arriva prevalentemente da Calabria (15%), Sicilia (9%) Campania (5,4%), Lazio (4,6%) e Toscana (4,2%). Nel dettaglio, le nuove disposizioni relative all'emergenza fitosanitaria prevedono il reimpianto delle specie ospiti nella zona infetta, a esclusione degli ultimi 20 km più a nord, la possibilità di non abbattere gli ulivi monumentali non contaminati che si trovano nei cento metri da una pianta infetta, la libera movimentazione dalla zona considerata infetta delle tre varietà di vite risultate non suscettibili (Negramaro, Primitivo e Cabernet Sauvignon).

 

Il prezzo dell'olio

Il mercato sta registrando gli effetti della scarsa disponibilità di materia prima. I prezzi alla produzione dell'olio extavergine di oliva si mantengono sostenuti, intorno ai 5,50 euro al chilo, dopo aver toccato i 6 euro/kg la scorsa primavera. A causa della scarsa produzione del 2016 le esportazioni hanno subito dei contraccolpi, registrando un calo di quasi il 20% nei primi quattro mesi del 2017, con introiti a 489 milioni di euro, in diminuzione del 10 per cento rispetto a un anno prima. L'Italia è una grande esportatrice di olio (1,61 miliardi di euro nel 2016, un terzo negli Usa) ma anche una grande importatrice di materia prima dall'estero. Nel 2016, abbiamo acquistato olio di oliva e sansa per 1,79 miliardi di euro, con 572 mila tonnellate importate.

La filiera italiana è composta da 825mila aziende agricole che coltivano una superficie di un milione di ettari (20% a biologico), con 4.500 frantoi attivi. Il fatturato dell'industria olearia è di 3,2 miliardi di euro, pari al 2,4% del fatturato totale dell'industria agroalimentare nazionale. Sono 350 le cultivar espressione dei diversi territori. Secondo l'Ismea, sulle 825mila aziende attive, solo il 37% risulta essere in grado di sostenere la competitività del mercato interno e internazionale.

A livello mondiale, l'Italia copre mediamente il 15% della produzione. Il nostro Paese è anche primo importatore d'olio d'oliva e secondo esportatore con il 20% delle quote, dopo la Spagna che ne detiene il 60%. Sul lato della domanda, il consumo globale di olio d'oliva è stimato in ripresa a settembre con 2,88 milioni di tonnellate (fonte Ismea su dati Coi). Per quanto riguarda la produzione 2017, si stima una ripresa a 2,85 milioni di tonnellate con livelli medi rispetto al decennio.

 

Il podio dei Paesi produttori 2017

Spagna 1.150 mila t. (-10,4%)

Italia 320 mila t. (+75,8%)

Grecia 300 mila t. (+53,8%)

 

a cura di Gianluca Atzeni

Nura Food Truck. Dal Kerala la cucina itinerante indiana conquista Firenze

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Un sodalizio sull’asse Italia-India, l’idea di presentare i sapori autentici del Sud di un Paese che ha moltissime cucine regionali, e spesso, nel mondo, risente di stereotipi poco rappresentativi. Nasce così l’esperienza del food truck di Tiziano Vitali e Basheerkutty Mansoor. 

La cucina etnica in Italia. L’India

Si fa un gran parlare di come, in Italia, la cucina etnica sia spesso una interpretazione edulcorata (e bistrattata) dell’originale. Vuoi per la necessità di adeguare sapori distanti dal nostro gusto al palato nazionale, o per la propensione di molti ristoratori a virare sulla cucina fusion – che in molti casi dà esiti interessanti – le insegne autenticamente legate alla cultura gastronomica di Paesi lontani sono perle rare da scoprire. E se Milano, da sempre, è ricettacolo privilegiato di queste esperienze, diversa è la situazione quando si scende giù per lo Stivale, pur con eccezioni che riguardano principalmente la cucina giapponese, di recente protagonista di una delle tendenze più virali nel settore della ristorazione contemporanea: il ramen bar. A voler spostare l’orizzonte verso altre culture del continente asiatico, la cucina indiana resta per molti aspetti ancora un mistero. In molti casi ripetuta su binari assai tradizionali, quella dell’India è una cucina complessa come le molteplici regioni che compongono il grande stato. E solo da pochi giorni, a Milano, per raccontarne un pezzetto – con molti piatti ispirati alle ricette del Nord del Paese, le più popolari nel mondo -  è arrivata Ritu Dalmia, chef star e donna imprenditrice con diversi ristoranti all’attivo, all’esordio fuori dai confini indiani. La chef, che molto amo l’Italia e in India ha provato a portare la nostra cultura gastronomica, ha scelto il Belpaese, e Milano, per raccontarsi attraverso una cucina moderna e contaminata, quella di Cittamani, che prende spunto dall’India di oggi (perché, appunto, non di sola tradizione si vive, come hanno spiegato recentemente sul palco di Gastronomika gli chef ospiti dell’ultima edizione del congresso basco). Non un’interpretazione pedissequa della cucina nazionale, dunque, ma certo una proposta interessante perché giocata sulla qualità dell’offerta, contro gli stereotipi di pollo tandoori e vindaloo mal eseguiti.

Nura Food Truck. L’India su ruote

Il caso più curioso degli ultimi mesi, però, arriva dalla Toscana, dove alle porte di Firenze (Pontassieve) si è costituito un insolito sodalizio, nel nome della valorizzazione della cucina indiana… Su ruote. Nura Food Truck è frutto dell’incontro tra Tiziano Vitali, 31 anni di Firenze, e Basheerkutty Mansoor, 36 anni, indiano del Kerala, nel sud del Paese. L’idea dei due, a bordo di un truck che si fa notare, è quella di raccontare la cucina della regione natale di Mansoor attraverso uno street food di cucina indiana quanto più possibile rispettoso delle tradizioni locali, con attenzione alla qualità e alla freschezza delle materie prime, a cominciare dagli ingredienti più tipici del Kerala: la menta, lo zenzero, gli anacardi, le foglie di curry, il cocco. E tante spezie bilanciate nel rispetto di principi ayurvedici che presiedono a molte delle ricette indiane, tante vegetariane o vegane, e senza glutine, con largo utilizzo di farine alternative, di riso, ceci, farro.

La cucina del Kerala

Sul truck, lo chef è Mansoor, in arrivo da esperienze importanti, nelle cucine di hotel e resort, e diverse presenze al Teatro del Sale di Fabio Picchi. Il progetto è stato curato nel dettaglio, per il logo – che in aramaico significa luce – è stato coinvolto il designer svizzero Davis Gastaldon, l’estetica è volutamente minimal per scacciare la macchietta dell’India sgargiante a tutti i costi, tutta sari colorati e coreografie di Bollywood. E anche la cucina abbandona i sapori più ruffiani, per giocare sulle sfumature di una cultura gastronomica, quella del Sud, molto influenzata dal mare, e dal clima tropicale, con combinazioni più fresche e delicate, e moltissimi ingredienti vegetali. “Annulla ogni rimando al passato” recita il sito dei ragazzi di Nura “sei di fronte a una dinamica del tutto nuova”. Molte delle preparazioni sono realizzate al Nura Lab, dove si organizzano anche corsi di cucina e si lavora per evadere le richieste dei catering. Poi tutto viene terminato sul truck, spesso in giro per le strade di Firenze, in abbinamento a birre indiane, vini bio, centrifughe di frutta fresca e spezie. Ma cosa propone, solitamente, il menu del giorno? Biryani di verdure - riso basmati con anacardi, menta e ananas, e poi verdure di stagione, uvetta, cannella, cardamomo, legato tradizionalmente ai pranzi di nozze – gamberoni con latte di cocco e curry leaves, patate con garam masala e spezie del Kerala, Channa masala, una preparazione molto elaborata a base di ceci, semi di mostarda e peperoncino. E certo, anche l’immancabile chicken tikka, cotto in forno tandoor e servito in bocconcini con julienne di cavolo cappuccio, carote, cipolla e pomodoro al lime. Da accompagnare con un pappadam, la schiacciatina croccante di farina di ceci. La carne è italiana e no Ogm, le verdure arrivano da produttori locali di fiducia, le ricette, invece, chiedono di viaggiare con l’immaginazione. Fino all’altro capo del mondo.

 

www.nurafood.it 

 

a cura di Livia Montagnoli

Tè e caffè a Gourmet Food Festival. I consigli degli esperti per preparare una bevanda perfetta

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Non c'è colazione o merenda in Italia, specialmente nei mesi più freddi, che non preveda una tazza di caffè o tè. Le due bevande, infatti, sono fra le più apprezzate in tutto lo Stivale, e non solo. Durante Gourmet Food Festival, un esperto del settore guiderà gli ospiti alla scoperta di questi prodotti.

Il caffè in Italia

L'espresso in Italia è molto più di una bevanda. È un rito, un momento di convivialità e un appuntamento che si ripete più volte al giorno e che porta con sé una storia antica. Se parliamo di espresso, dobbiamo andare nella Torino di fine Ottocento per trovare la prima macchina brevettata da Angelo Moriondo nel 1884, ma occorre aspettare i primi del Novecento perché questa bevanda si diffonda lungo tutto lo Stivale. Da allora, l'evoluzione dei macchinari e delle tecniche ha portato a uno sviluppo sempre maggiore e, soprattutto, alla creazione di un vero mito, quello del caffè all'italiana, che ha fatto il giro del mondo imponendosi come una delle specialità made in Italy più celebri a livello internazionale e come icona di un certo stile di vita. E non solo: a diventare icona di gusto e stile sono stati negli anni i bar italiani, luoghi di ritrovo e punti di incontro fra amici, coppie, colleghi. Spazi unici dove scambiare battute veloci con chi è dietro e di fronte al bancone. Perché quello del barista è un ruolo che non ha eguali nella vita cittadina: è il confidente, un amico, una persona che ogni mattina accoglie concittadini e turisti, strappando loro un sorriso. Così importante che abbiamo deciso di dedicargli una guida.

… E il tè

Non c'è sfida: l'espresso è la bevanda preferita degli italiani, ma non l'unica. Iniziano infatti a farsi sempre più strada, nei bar specializzati, i tè di qualità, gli infusi e le tisane pregiate. Prodotti ancora poco conosciuti al grande pubblico, di cui ancora non si parla abbastanza, ma che trovano spazio all'interno di fiere e manifestazioni del settore, grazie al grande appeal che cominciano ad avere sul pubblico italiano. Si tratta di specialità che arrivano, proprio come il caffè, da terre lontane, frutto del lavoro di produttori che con cura si occupano di coltivare e poi selezionare le foglie migliori. Il tè è una delle bevande più antiche della terra, che vanta una storia di oltre 5mila anni, le cui origini sono circondate da leggende popolari dei Paesi produttori. È, al pari del “nostro” caffè, una bevanda che rappresenta uno stile di vita e porta con sé una grande cultura. Non è un caso, infatti, che entrambe suscitino l'interesse della nuova generazione di baristi.

Le analogie

Giovani baristi legati alle caffetterie d'avanguardia sono oggi sempre più impegnati nella ricerca dei tè e caffè migliori, e nelle estrazioni alternative delle bevande. Entrambi i prodotti, infatti, possono essere lavorati in modi diversi, a seconda del gusto e dell'esigenza del cliente. Il caffè non è solo espresso, ma può essere declinato in tante sfumature ricche di gusto, come il caffè filtro, bevanda limpida e dalla trama aromatica complessa, che può essere preparata con diversi strumenti, dal v60 al chemex, dall'aeropress al cold brew, il sistema di estrazione a freddo. Lavorazioni che richiedono tempi e temperature specifiche, massima concentrazione e precisione da parte di chi le prepara. E così, allo sesso modo, anche il tè non è sempre uguale a se stesso: può risultare più o meno aromatico, più o meno astringente a seconda dei tempi di infusione, della qualità dell'acqua, del residuo fisso, e della temperatura. Due prodotti, quindi, che possono dare origine a bevande diverse a seconda di piccole accortezze che il barista segue durante la loro preparazione. Accade anche, sempre più spesso, che gli appassionati di caffè utilizzino i metodi di estrazione del caffè filtro per infusi e tisane, come vi abbiamo già raccontato qui.

Quando la bevanda è speciale

Per celebrare questi prodotti, il 19 novembre Gourmet Food Festival riserva un seminario interamente dedicato all'argomento, Caffè e tè, quando la bevanda è speciale, un appuntamento per tutti gli amanti delle due bevande, durante il quale esperti del settore sveleranno al pubblico i segreti per realizzare tè e caffè d'autore in casa propria. E quale metodo più casalingo della moka per preparare il primo caffè del mattino? Brevettata nel 1933 sulle rive del Lago d'Orta, a Omegna, da Alfonso Bialetti, la macchina è composta da 4 elementi in alluminio o acciaio: la caldaia o bollitore, in cui viene inserita l'acqua, il filtro metallico, il bricco superiore, dotato di un ulteriore filtro, e la valvola di sicurezza che previene un aumento eccessivo della pressione nella caldaia. Ma siamo sicuri di saperla utilizzare nella maniera corretta? A far luce sull'argomento, Giulio Panciatici di Orso Laboratorio Caffè, caffetteria d'eccezione nel quartiere San Salvario di Torino tutta dedicata caffè specialty, chicchi altamente selezionati e tostati a puntino per esprimere al meglio tutte le sfumature del caffè.

Nello stesso appuntamento si parlerà anche di tè: per scoprire le origini della pianta del tè, la sua coltivazione, e soprattutto i trucchi del mestiere per valorizzare al meglio questa eccellenza. Dal tempo di infusione alla scelta del sistema estrattivo, si mostrerà agli ospiti il modo migliore per estrarre gusto e profumi del tè, nonché la maniera più adeguata per servirlo.

Gli obiettivi

Nel forum di Torino, dunque, ci si propone di fare chiarezza anche sulle bevande più amate e consumate a tutte le latitudini, due specialità che da sempre accompagnano nella giornata popolazioni diverse, portando con loro secoli di storia, tradizioni, cultura. Un seminario per (ri)scoprire il fascino del tè del pomeriggio, dell'appuntamento al bar per un caffè, del senso di convivialità e della liturgia che contraddistingue la consumazione di queste bevande speciali, fra miti e rituali, mode e tendenze contemporanee. E un'occasione per riscoprirle più simili di quanto sembrino.

La lista della spesa. Caffè e tè, quando la bevanda è speciale | Gourmet Food Festival | 19 novembre 2017, dalle 15.00 alle 16.00 | www.gamberorosso.it/it/store/eventi/caff%C3%A8-e-t%C3%A8,-quando-la-bevanda-%C3%A8-speciale-detail

Gourmet Food Festival | Torino | Lingotto Fiere, via Nizza, 294 | dal 17 al 19 novembre 2017, venerdì dalle 17 alle 23, sabato dalle 10 alle 23, domenica dalle 10 alle 20 | www.gourmetfoodfestival.it

Per info sugli altri appuntamenti: www.gamberorosso.it/it/gourmet-food-festival

a cura di Michela Becchi

U Turun. Dalla Val di Vara il crowdfunding per finanziare il torrone dell'antica tradizione ligure

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L'idea arriva da un piccolo paese della Val di Vara, nello spezzino. E a farsene promotore è il giovane chef Cosimo Bunicelli, che guida la cucina dell'agrigourmet di famiglia, a Calice al Cornoviglio. Ecco come e perché partecipare alla raccolta fondi. 

La Liguria di Cosimo Bunicelli

Al confine tra Liguria e Toscana, nel silenzio della Val di Vara che sorprende ancor di più per la sua vicinanza con l'andirivieni delle Cinque Terre, l'Agriturismo Intatto è una realtà nascosta ai più. E il nome dice già tanto. Una casa con qualche ettaro di terra tutto intorno, ripensata qualche anno fa per diventare luogo d'ospitalità, buon cibo, occasione per riscoprire il piacere di un'accoglienza semplice, ma non per questo meno curata. In cucina, forte della possibilità di lavorare davvero farm to table, c'è il giovane Cosimo Bunicelli, sguardo curioso sulla tradizione e i prodotti locali, aggiornati però nel segno di competenze tecniche affinate sui libri, da autodidatta. Il progetto Agrigourmet Intatto, non caso, è nato proprio con lui, nel 2012, con l'idea di raccontare l'identità del territorio senza estremismi. E nel tempo il discorso è cresciuto con l'esperienza sul campo: una buona risposta del pubblico, la partecipazione a diverse competizioni per giovani chef, dal Premio Moretti Grand Cru nel 2015 alla doppia partecipazione al San Pellegrino Young Chef, nel 2015 e 2016, con la speranza che la visibilità del singolo possa diventare vetrina per rilanciare l'intera area della Val di Vara, piuttosto svantaggiata sotto il profilo turistico, e agricolo. E con lo stesso obiettivo, dalla piccola frazione di Calice al Cornoviglio, ora Cosimo ci prova con un progetto che riscopre una ricetta della tradizione dolciaria ligure per farne un brand di promozione territoriale. Goloso, divertente, e finanziato tramite crowdfunding.

 

Il torrone ligure. Un crowdfunding per produrlo

Su Kickstarter la campagna di raccolta fondi sarà aperta ancora per il prossimo mese: 30mila euro è il budget necessario per finanziare l'apertura di un laboratorio che possa supportare la produzione, ora che la ricetta è stata finalmente perfezionata, dopo oltre un anno di ricerche. Il marchio, in dialetto ligure, è intuitivo: U Turun, il torrone. Rigorosamente fondente, ma in 5 varianti sviluppate a partire dalla cosiddetta cubaita, antenato del torrone contemporaneo, che in Liguria, dicono i testi antichi, si produceva con uova e nocciole, provenienti certamente dal Piemonte o autoctone, oltre a miele e zucchero. Il risultato? Un dolce a pasta molto morbida, che Bunicelli ha replicato con una tecnica che ottimizza la lavorazione degli albumi per preservarne la morbidezza.

Nella ricetta dello chef anche il miele di castagno, prodotto proprio a Calice al Cornoviglio, più amaro, che bilancia il gusto finale. Le uova sono prodotte dall'azienda di famiglia, da galline allevate a terra e alimentate con prodotti naturali; le nocciole, invece, arrivano dal Piemonte (la Tonda Gentile delle Langhe Igp). I gusti, oltre al classico con nocciole e miele di castagno, mele e pasta frolla, nocciole e frutti rossi, pinoli e miele d'erica, habanero e fondente. E anche il packaging è frutto di uno studio approfondito, dal formato in busta per la ristorazione al cofanetto regalo. Si può partecipare alla campagna con una sottoscrizione minima di 10 euro, ma donando 600 euro ci si assicura una fornitura di ben 15 chili di torrone, che sarà pronto per arrivare in tavola entro il prossimo Natale. Questo è l'auspicio della famiglia Bunicelli. L'alternativa? Concedersi il tempo per raggiungere l'Agriturismo Intatto, e lì assaggiarlo alla fine del pasto, insieme a qualche biscotto all'olio d'oliva appena sfornato.

 

www.kickstarter.com/projects/339094667/u-turun-worlds-first-fondant-nougat/description

 

Vitigni autoctoni. Alla scoperta dell'uva vespaiola

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La vespaiola è un'uva autoctona con cui si produce il Torcolato, un vino passito che deve il suo nome all'uso di annodare e torcere i grappoli per l'appassimento.

Storia e territorio

L’uva vespaiola è una varietà a bacca bianca autoctona del vicentino, in particolare della zona collinare compresa tra i fiumi Astico e Brenta, che oggi corrisponde all’area della denominazione Breganze Doc. Un territorio in cui la vite è presente da tempi remoti, che risalgono almeno all’epoca degli antichi romani. Durante la dominazione della Serenissima, la zona di Breganze era già famosa per la produzione di vini dolci, particolarmente apprezzati sulle tavole di Venezia. Un’antica tradizione, che grazie ai vignaioli del territorio, si è tramandata fino ai giorni nostri. La consacrazione ufficiale è arrivata nel 1969, quando i vini di Breganze sono stati insigniti del riconoscimento della Denominazione d’Origine Controllata. Oggi la vespaiola è coltivata prevalentemente per realizzare il famoso Torcolato, un passito che rappresenta un’eccellenza del nostro patrimonio enologico. Tuttavia nell’ambito della riscoperta e della valorizzazione dei vitigni autoctoni vinificati in purezza, viene sempre più spesso proposta anche nella versione secca con risultati interessanti.

 

Caratteristiche

Le origini del vitigno restano ancora misteriose, ma si è ambientato perfettamente sui dolci rilievi collinari di Breganze, caratterizzati da suoli d‘antica origine vulcanica. La pianta produce grappoli piuttosto piccoli, con acini di medie dimensioni dalla buccia giallo-verde con riflessi dorati di buona consistenza, che favorisce la pratica dell’appassimento. È una varietà dal buon corredo aromatico, con un'alta acidità anche quando raggiunge la piena maturazione, tradizionalmente utilizzata per la produzione del vino passito Torcolato. Dopo la vendemmia, le uve sono fatte appassire appese in un fruttaio per alcuni mesi, perché possano disidratarsi e concentrare zuccheri e aromi. In questo periodo le uve sono conservate “torcendo”, cioè annodando, i grappoli e proprio da quest’antica usanza deriva il nome del vino. Segue poi la pigiatura e la lenta fase di fermentazione. Il Torcolato viene poi invecchiato in botti o barriques per un periodo che può arrivare fino a 4 o 5 anni. Dopo 2 anni d’affinamento può fregiarsi della menzione Riserva.

Il Torcolato ha un colore dorato e il bouquet esprime seducenti note di frutta candita, uva passa e miele d’agrumi. Il sorso è morbido, avvolgente e persistente, con un perfetto bilanciamento tra dolcezza e acidità. Trova i migliori abbinamenti con la pasticceria secca o con un tagliere di formaggi di media o lunga stagionatura. Non mancano le versioni vinificate in bianco secco, che regalano vini dal profilo delicatamente fruttato, marcati da una vibrante acidità. Un vino perfetto da abbinare al baccalà alla vicentina.

 

Produttori

Tra i produttori più importanti del territorio dobbiamo sicuramente citare Maculan, che con la vespaiola produce tre diverse etichette, tutte di eccellente livello. Il Breganze Vespaiolo,un bianco secco di vivace freschezza, il Breganze Torcolato,passito che seduce per l’equilibrio e gli aromi suadenti e il Breganze Acininobili, passito prodotto con una selezione manuale dei soli acini attaccati dalla Botrytis Cinerea, caratterizzato da note muffate che ricordano gli aromi dei Sauternes francesi.

Tra le altre etichette ricordiamo il Breganze Vespaiolo Vignasilan e il Breganze Torcolato Sarson dei Vignaioli Contrà Soarda, il Breganze Torcolato della Cantina Beato Bartolomeo da Breganze e il Breganze Torcolato Le vigne di Roberto.

 

a cura di Alessio Turazza

foto: Maculan
 

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Ristoranti d'Italia 2018 del Gambero Rosso. Premi e classifiche

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Giovani leoni e grandi vecchi, format innovativi e trattorie di tradizione. Nella guida Ristoranti d'Italia 2018 del Gambero Rosso uno spaccato della scena ristorativa nazionale.

Partiamo dai numeri: l'edizione numero 28 della guida Ristoranti d'Italia include 38 Tre Forchette e 25 Tre Gamberi, senza contare Boccali, Bottiglie, Mappamondi e Cocotte. A comporre un quadro che, mai come quest'anno, si presenta vivace, articolato, maturo. E la quota-premi (la più alta da quando è nata la guida) lo testimonia. Un record di cui vogliamo indagare motivi e tracciare le direttive. Un elemento su tutti, però, si può segnalare, prima di ogni analisi dettagliata: la spinta verso una maggiore concretezza che dirige cuochi giovani e vecchi a lasciare gradualmente sterili esercizi di stile per spingersi alla ricerca di sapori. Con un debole, neanche troppo nascosto, per la cucina di tradizione. Quella delle mamme e delle nonne, per intenderci.

 

La tradizione

Una delle evidenze che hanno segnato i mesi appena trascorsi, è la rinascita delle trattorie. E non solo nelle formule modaiole di neo-qualcosa (neo osteria, neo trattoria e via discorrendo tra neologismi e parole composte) ma nel ritorno - spesso divertito - ai vecchi locali di una volta e alla cucina dei tempi che furono. Con arredi d'antan che parrebbero stare lì da qualche decennio, o in versioni rinnovate ma pienamente partecipi di uno stile a tutta tipicità, con proposte che, ognuna con le sue specifiche, attingono a piene mani dai ricettari di famiglia, cucina di recupero e prodotti poveri in testa. A sancire un fruttifero incontro tra cucina alta e bassa. Perché molti degli autori di questi locali sono giovani di belle esperienze e ancor più belle speranze che hanno scelto la loro strada, ma non perdono di vista quanto appreso nelle cucine altolocate in fatto di materie prime, tecniche, creatività. E il numero dei Tre Gamberi assegnati quest'anno (massimo riconoscimento per le trattorie) è aumentato di pari passo con la presenza di buone insegne, storiche o appena nate.

 

Il territorio

Conseguenza diretta di questa riappropriazione delle proprie radici, è il prepotente rientro - al centro della scena - del territorio, con il suo carico di materie prime e tradizioni, cultura e costumi alimentari. Il tutto distillato in una cucina che si sposta verso il centro del gusto. Non stupisce, allora, di incontrare anche in locali di un certo blasone un elenco di tipicità locali, pietanze che raccontano minuti angoli d'Italia, spesso tradizioni familiari.

 

I grandi vecchi

Le grandi tavole sono sempre più grandi. Parliamo di quelle insegne in cui è nata la nuova cucina italiana, che hanno saputo creare una via tutta nostrana all'alta ristorazione pur sulla base di quanto accadeva all'estero. Maison storiche che hanno ampiamente superato il giro di boa dei vent'anni, talvolta anche la soglia degli -anta, ma anche nuovi indirizzi di mostri sacri della storia gastronomica italiana. Pensiamo a Caino di Valeria Piccini o Atman di Igles Corelli. Ma un felice rinnovamento ci regala nuove emozioni anche in quelle tavole in cui c'è stato un ricambio generazionale. Luoghi che, ben lontani dall'essere cristallizzati nel loro passato seppur glorioso, stupiscono per la capacità di evolvere senza tradire la propria storia, come l'Enoteca Pinchiorri, Agli Amici dal 1887 o Don Alfonso.

 

I giovani e i giovanissimi

Quanti sono gli under-qualcosa che si sono lanciati in avventure imprenditoriali dopo una gavetta in giro per il mondo? Molti. Magari inventando formule ristorative snelle per concentrare tutte le loro energie nella cucina e riscrivere così le regole del gioco. È un fenomeno di cui abbiamo iniziato a seguire le orme già qualche stagione fa e che ora esce allo scoperto. La Toscana è forse tra le regioni più rappresentative di questo orientamento con esperienze diverse, spesso originali, tutte di grande livello. Ma anche Lombardia e Abruzzo non scherzano. Complici maestri in grado di formare generazioni di giovani, che - perfetti esponenti della generazione Erasmus – concluso il loro viaggio di formazione in giro per il mondo, tornano a casa per mettere a frutto quanto appreso.

 

La generazione di mezzo

Non sono i giovanissimi, non sono i grandi vecchi. Sono “gli altri”, quella generazione che, in altri ambienti, paga lo scotto di essere cresciuta al confine tra due epoche di cambiamento che valgono come ere geologiche. Invece, quando si parla di ristorazione e di cuochi, il discorso cambia. Perché in questo grande contenitore troviamo personalità come Massimiliano Alajmo, Massimo Bottura, Enrico Crippa, Davide Oldani, Emanuele Scarello, Ciccio Sultano, Mauro Uliassi. A loro, talvolta autodidatti di rango, è demandato il compito di fare da ponte fra grandi vecchi e nuove generazioni, ma soprattutto di far maturare quella nuova cucina italiana, che forse non ha più neanche bisogno di quell'aggettivo a indicare la nuova era. Un obiettivo perfettamente centrato.

 

Una storia a sé

Lo abbiamo seguito sin dagli esordi e oggi, per noi, Niko Romito rappresenta il meglio della ristorazione italiana. Una storia a sé: grande cuoco, grande imprenditore, grande maestro. Sta ridisegnando il profilo di questa professione, traducendo l'esperienza dell'alta cucina in mille applicazioni, tutte di grande intelligenza: IN-Intelligenza Nutriziionale, il progetto di ristorazione collettiva ospedaliera di forte rilevanza sociale, scuola di formazione, ristorante gourmet, easy dining, street food, e le ultime aperture internazionali con il Bulgari hotel mediante le quali porta la vera cucina italiana nel mondo. Per noi in cima alla nostra guida.

 

Guida Ristoranti d'Italia 2018 Gambero Rosso | Prezzo: 22€ | disponibile in edicola e libreria | clicca qui per acquistare la guida online

 

I premi della Guida


TRE FORCHETTE

Il punteggio è espresso in centesimi.

96
Reale
- Castel di Sangro (AQ)


95
Osteria Francescana - Modena
La Pergola dell’Hotel Rome Cavalieri - Roma


94
Piazza Duomo - Alba (CN)
Villa Crespi - Orta San Giulio (NO)
Le Calandre - Rubano (PD)
Don Alfonso 1890 - Sant’Agata sui Due Golfi (NA)
Torre del Saracino - Vico Equense [NA]

 

93
Uliassi - Senigallia (AN)
Enoteca Pinchiorri - Firenze


92
St. Hubertus dell’Hotel Rosa Alpina - San Cassiano/Sankt Kassian [BZ]
Laite - Sappada (BL)
Seta del Mandarin Oriental Milano - Milano
La Trota - Rivodutri (RI)
La Siriola La Siriola dell’Hotel Ciasa Salares - San Cassiano/Sankt Kassian (BZ)
Lorenzo - Forte dei Marmi (LU)
Dal Pescatore - Canneto sull’Oglio (MN)
Da Vittorio - Brusaporto (BG)

 

91
La Madia - Licata [AG]
Berton - Milano
Taverna Estia - Brusciano (NA)
Duomo - Ragusa
La Madonnina del Pescatore - Senigallia (AN)
Ilario Vinciguerra Restaurant - Gallarate (VA)
Casa Vissani - Baschi (TR)
 

90
Le Colline Ciociare - Acuto [FR]
Il Pagliaccio - Roma
Atman a Villa Rospigliosi - Lamporecchio [PT]
Enrico Bartolini Mudec Restaurant - Milano 
D’O - Cornaredo [MI]                                   
Pascucci al Porticciolo - Fiumicino [RM]
S’Apposentu di Casa Puddu - Siddi [VS]
Agli Amici dal 1887- Udine 
Imàgo dell’Hotel Hassler - Roma
Miramonti l’Altro - Concesio [BS]
Da Caino - Montemerano [GR]
Quattro Passi - Massa Lubrense [NA] 
Romano - Viareggio (LU)

 

TRE GAMBERI
 
Angiolina - Pisciotta [SA]
Antica Osteria del Mirasole con Locanda - San Giovanni in Persiceto (BO)
Antichi Sapori - Andria (BT)
All’Osteria Bottega - Bologna
La Brinca - Ne [GE]
Ai Cacciatori - Cavasso Nuovo [PN]
Il Capanno - Spoleto (PG)
Consorzio - Torino
Al Convento - Cetara [SA]
Caffè La Crepa - Isola Dovarese [CR]
Futura Osteria - Monteriggioni [SI]
La Locanda delle Grazie - Curtatone [MN] 
Locanda Mariella - Calestano (PR)
La Locandiera - Bernalda [MT]
La Madia - Brione [BS]
Masseria Barbera - Minervino Murge [BT]
Nerodiseppia - Trieste
Osteria Ophis - Offida [AP]
Osteria del Treno - Milano
Pretzhof - Val di Vizze/Pfitsch [BZ]
Sora Maria e Arcangelo - Olevano Romano [RM]
Tischi Toschi - Taormina [ME]
Trippa - Milano
Vecchia Marina - Roseto degli Abruzzi [TE]
Osteria della Villetta dal 1900 - Palazzolo sull’Oglio [BS] 
 
 
TRE BOTTIGLIE


La Baita - Faenza [RA]
Le Case della Saracca - Monforte d’Alba [CN]
Damini Macelleria & Affini - Arzignano [VI]
Del Gatto - Anzio [RM]
Al Donizetti - Bergamo
Enoteca Fiorentina - Firenze
Enoteca Marcucci - Pietrasanta [LU]
Oste della Mal’ora - Terni
Roscioli - Roma
Trimani Il Wine Bar - Roma

 
TRE BOCCALI
 
Casa Baladin - Piozzo [CN]
Open Baladin - Roma
L’Osteria di Birra del Borgo - Roma                

 

TRE MAPPAMONDI

Casaramen - Milano
Iyo - Milano
Wicky’s Wicuisine Seafood - Milano

 
TRE COCOTTE
 
Donatella Bistrot - Oviglio [AL]
Lanzani Bottega & Bistrot - Brescia
Caffè Propaganda - Roma                

 

PREMI SPECIALI

 

Cuoco Emergente Gambero Rosso e Acqua Panna/San Pellegrino

Andrea Leali | CasaLeali - Puegnago sul Garda (BS)


La novità dell'anno
Signore te ne ringrazi
- Montecosaro (MC)

Il ristoratore dell'anno
Stefan Wieser   
- La Siriola dell’Hotel Ciasa Salares - San Cassiano/Sankt Kassian [BZ]


Miglior comunicazione digitale
Le Calandre
- Rubano [PD] 


Servizio di sala
Lido 84
- Gardone Riviera (BS)

Servizio di sala in albergo
L'Olòivo del Capri Palace
- Capri (NA)


Premio Gambero Rosso e Franciacorta Animante Barone Pizzini

Terra e ambiente

"Quando la sostenibilità è forma e sostanza. Valorizzazione del territorio e dei suoi prodotti attraverso una cucina nel pieno rispetto della terra, dell’ambiente e dell’uomo”.
 
NORD
Carlo Magno - Collebeato [BS]
 
CENTRO
Andreina - Loreto [AN]
 
SUD
Don Alfonso 1890 - Sant’Agata  sui Due Golfi [NA]
 

Premio Gambero Rosso e Pastificio dei Campi - Ristorante con la miglior proposta di piatti di pasta

La Magnolia dell'Hotel Byron - Forte dei Marmi (LU)



Premio Gambero Rosso e Molini Spigadoro - Miglior pane in tavola

Capofaro Malvasia Resort - Salina [ME]
 
 

Premio Gambero Rosso e Nuova Castelli - Ristorante che valorizza i grandi prodotti caseari Dop italiani
Zur Rose
- Appiano/Eppan (BZ)
 


Premio Gambero Rosso e La Bella Estate Vite Colte - Il pastry chef dell'anno
Luca Lacalamita - Enoteca Pinchiorri - Firenze
 
 

Premio Gambero Rosso e IBeer - Ristorante con la miglior proposta di abbinamento cibo/birra

Votavota - Marina di Ragusa (RG)



Premio Gambero Rosso e Ferzo Wines - Miglior rapporto qualità/prezzo

La Clusaz - Gignod [AO] 
Da Fausto - Cavatore [AL] 
Stefano Paganini alla Corte degli Alfieri - Magliano Alfieri [CN] 
La Torre - Spilimbergo [PN] 
Vite - Coriano [RN]
Quel Fantastico Giovedì - Ferrara
In Vernice  - Livorno      
Salefino - Siena                
Almare - Fano [PU]  
Nana Piccolo Bistrò - Senigallia [AN] 
Satricvm - Latina              
Zunica 1880 - Civitella del Tronto [TE] 
Borgo Spoltino - Mosciano Sant’Angelo [TE]               
Il Papavero - Eboli [SA]
Megaron - Paternopoli [AV]
Il Foro dei Baroni - Puglianello [BN] 
Osteria Arbustico - Valva  [SA]  
La Strega - Palagianello [TA] 
Biafora - San Giovanni in Fiore [CS]
Pomodoro - Scicli [RG] 
Su Carduleu - Abbasanta [OR]
Lucitta - Tortolì [OG] 
 
 
a cura di Antonella De Santis
 

La storia di Combi, da coffee truck a caffetteria specialty a Porto

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Hanno iniziato con un furgoncino attrezzato di macchine espresso e strumenti per il caffè filtro, un bar itinerante che vagava per le vie di Porto con l'obiettivo di far conoscere il gusto dell'oro nero di qualità. Oggi, i ragazzi di Combi sono proprietari di una caffetteria d'eccezione, indirizzo imperdibile per gli amanti della tazzina. Tutta la storia.

La cultura del caffè in Portogallo

Se l'Italia è rimasta a lungo legata alle sue radici, quando si parla di caffè spesso anche gli altri popoli di origini latine fanno fatica ad abbandonare le proprie tradizioni. Come il Portogallo, per esempio, un Paese che ha dimostrato sempre più negli anni di saper valorizzare al meglio la sua ricca cultura gastronomica, ma che non ha vissuto un grande sviluppo sul fronte caffeicolo. Almeno fino a qualche tempo fa. Negli ultimi 5 anni, infatti, il panorama dei bar in Portogallo ha iniziato a muovere i primi passi verso uno standard qualitativo più alto, grazie alla nascita di piccole torrefazioni di ricerca e di caffetterie dedicate, che scelgono di provare un nuovo approccio alla bevanda, pur mantenendo saldo lo spirito della tradizione, l'identità portoghese e il calore e l'accoglienza che contraddistinguono le attività di ristorazione locale.

I proprietari

Da poco più di un mese a questa parte, un nuovo nome si è aggiunto alla lista degli indirizzi validi della città. È Combi, bar/torrefazione creato dai giovani Gonçalo Cardoso, João Vilar e Francisco Cardoso, tre appassionati viaggiatori che per motivi professionali e personali hanno trascorso diversi anni a Londra e New York, due metropoli che hanno assistito a una vera rivoluzione del caffè grazie alla Third Wave Coffee già 10 anni fa. “Dopo un lungo periodo all'estero, siamo tutti tornati a Porto, e ci siamo resi conto della bassa qualità che c'era nei bar portoghesi. L'idea di Combi nasce per una nostra esigenza da consumatori amanti del caffè: sentivamo la mancanza degli specialty, e più in generale di una tazzina di buon livello, per cui abbiamo deciso di creare noi stessi un luogo dedicato all'oro nero”. Ma prima ci sono stati gli anni di formazione, con i corsi della Sca (Specialty Coffee Association) di tostatura e caffetteria: “Dopo aver preso le certificazioni, abbiamo continuato a studiare e assaggiare caffè da tutto il mondo”.

 

Combi

Il truck

E poi, nel 2015, è nato Combi Coffee Truck, un bar su ruote, creato agli arbori della tendenza dello street food in Portogallo: “Avevamo un budget limitato, e non potevamo permetterci un nostro locale. I furgoncini di street food avevano appena iniziato a diffondersi qui a Porto, e così abbiamo pensato di cavalcare l'onda e lanciarci in questa avventura, realizzando caffè di qualità attraverso un format insolito e originale”.

 

Combi Coffee Truck

La torrefazione

La creatività, come spesso accade, paga, e l'attività ha ingranato bene fin dall'inizio. Così, i tre soci hanno potuto migliorare l'offerta creando un bar a tutti gli effetti, inaugurato lo scorso 1 settembre. “L'obiettivo è quello di far percepire ai consumatori il valore della bevanda. Vogliamo offrire al pubblico un'esperienza a 360 gradi dove il gusto, gli aromi, la densità, l'atmosfera e il servizio siano di prima qualità”. La materia prima è tostata in casa, in una sala a vista annessa alla caffetteria: “Attualmente abbiamo diversi micro-lotti, fra cui un San Marcos, Guatemala, ultimo arrivato in carta. Per il nostro blend usiamo Brasile, Guatemala e Colombia, e abbiamo intenzione di mantenere questa miscela ancora per un po'”. I chicchi Combi Coffee sono tutti specialty, 100% arabica, e possono essere acquistati in grani in sacchetti da 500 grammi.

 

Combi

Il bar

Fra i metodi di estrazione è ancora l'espresso a dominare la scena: “I consumatori portoghesi sono molto simili a quelli italiani. Sono attaccati alle tradizioni, e abituati a un caffè nero corposo, denso, dal sapore deciso, con una grande percentuale di robusta, amaro e con uno strato spesso di crema”. Ma il gusto può cambiare grazie al lavoro di baristi attenti e motivati. Espresso a parte, infatti, da Combi si può ordinare anche un v60, un aeropress, una french press o un flat white, “il secondo prodotto più richiesto”. A breve, i consumatori potranno partecipare alle degustazioni aperte al pubblico in programma per questo inverno: “Finora abbiamo organizzato delle sessioni di assaggio solo per noi, ma abbiamo intenzione di far conoscere anche ai nostri clienti le tante sfumature del caffè”. Utilizzando anche prodotti di torrefazioni diverse, “preferiamo non svelare i nomi, ma ci sono diverse realtà europee che lavorano molto bene e che stimiamo particolarmente”. Ad accompagnare l'offerta, poi, torte al caffè e lieviti freschi, “che acquistiamo ogni giorno dai migliori forni locali”, oltre all'açai, “un frutto tropicale brasiliano che abbiamo scoperto da poco, e che serviamo con yogurt greco e granola: la colazione preferita dei nostri clienti”.

Combi | Porto | Morgado de Mateus nº29 | tel. 0035 1929 444 939 | www.facebook.com/combicoffeept/

a cura di Michela Becchi

Foodopolis alla Festa del Cinema di Roma. Che presenta Doc Wine Travel Food con Gambero Rosso

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Il 26 ottobre, nella Capitale, si apre la dodicesima edizione del festival cinematografico della città. Ma la kermesse, ospite dell'Auditorium, offre anche l'opportunità di scoprire i sapori pugliesi, con la cucina di Beppe Ciavarelli, da La Giostra di Molfetta. E tante specialità regionali in vendita e degustazione. Intanto Gambero Rosso Academy lancia la terza edizione del concorso Doc Wine Travel Food.  

La Puglia a Roma

Per la dodicesima edizione, la Festa del Cinema di Roma torna a srotolare il red carpet all'Auditorium Parco della Musica: il 26 ottobre la kermesse cinematografica della Capitale prende il via, con un calendario fitto di proiezioni aperte al pubblico, per concludersi il 5 novembre, quando saranno annunciati i nomi dei vincitori tra i film in concorso. Dopo l'esordio della scorsa edizione, quest'anno si riconferma la presenza di un corner tutto dedicato all'offerta gastronomica, a disposizione degli ospiti e del pubblico dell'Auditorium: un temporary food corner che come un anno fa racconterà i sapori della Puglia, con vecchi e nuovi protagonisti della cucina regionale, sotto la supervisione dell'agenzia Noao. Foodopolis accompagnerà tutte le proiezioni del festival, offrendo uno spazio per consumare uno spuntino veloce o rilassarsi prima e dopo il film; tra le novità, il Food Market darà pure la possibilità di acquistare a prezzi democratici i prodotti utilizzati agli stand, ma sarà la cucina a riservare le sorprese maggiori: il ristorante principale – un pop up allestito di tutto punto secondo le esigenze del format - sarà guidato da Beppe Ciavarelli, chef de La Giostra di Molfetta, che a Roma porterà la sua idea di cucina pop, divertente, ludica, a buon prezzo, valorizzando le materie prime della sua terra, dalla burrata al pane di Altamura, alle orecchiette pugliesi (e a proposito, vi suggeriamo una visita all'Orecchietteria che Lino Banfi – proprio lui! - ha appena aperto in città). Tutt'intorno ruoterà la proposta street food, con gli stand assegnati ai diversi artigiani, dall'hamburger del team di SuperSantos Burger (che quest'anno raddoppiano con l'angolo dedicato al panzerotto tradizionale, il Superotto Pugliese) alle Sorelle Orecchiette da Bari. Tra i partecipanti anche un altro nome celebre della scena gastronomica pugliese, il Salumificio Santoro, che al festival presenterà il Panino Ercolino; e poi i latticini di bufala di Mo Bufala. Presenti anche diverse cantine regionali e un grande paniere di prodotti tipici, con il patrocinio della Regione Puglia. Ma il cibo sarà presente pure sullo schermo, se non tra i film in cartellone (fatta eccezione per il giallo ambientato nelle terre del Prosecco con Giuseppe Battiston) almeno in prospettiva, grazie all'iniziativa promossa dal Gambero Rosso per valorizzare le produzioni audiovisive a tema enogastronomico.

Doc Wine Travel Food. I benefici del buon cibo (e del buon cinema)

Il concorso Doc Wine Travel Food festeggia la terza edizione ospite per la prima volta dell'area Risonanze della Festa del Cinema di Roma. E nell'ambito di un progetto più ampio promosso in collaborazione con la Fondazione Policlinico Gemelli, Gambero Rosso Academy si farà promotrice di una serie di appuntamenti collaterali al concorso, che quest'anno pone al centro dell'attenzione la salute e i benefici terapeutici del buon cibo, ma anche del buon cinema. Ecco perché la sala MediCinema del Gemelli ospiterà un ciclo di proiezioni a tema enogastronomico, mentre Gambero Rosso Academy proporrà corsi di aggiornamento rivolti a operatori del settore della ristorazione e della medicina, oltre alle cene di Cinegustologia: un divertissement a cura di Marco Lombardi, che fa dialogare la regia di grandi chef in cucina con le opere dei maestri del cinema. Per chi invece volesse partecipare al concorso Doc Wine Travel Food si aprono i termini per presentare la propria candidatura: i lavori più meritevoli saranno premiati durante l'edizione 2018 della Festa del Cinema di Roma. Intanto non resta che godersi l'appuntamento che sta per iniziare.

 

Foodopolis | Roma | Auditorium Parco della Musica | dal 26 ottobre al 5 novembre 2017 | www.romacinemafest.org

Classifica dei migliori ragù pronti

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Carne, odori, passata di pomodoro. Talvolta selvaggina, un poco di vino per sfumare. È il ragù, uno dei nostri sughi tipici. Un condimento che fa tanto pranzo della domenica. Oggi abbiamo voluto mettere alla prova i prodotti già pronti presenti in commercio. Ecco il risultato.

Come tutti i piatti che richiedono tempo, dedizione e competenza, il ragù è a rischio estinzione, o a finire in quella riserva di ricette delle grandi occasioni. Troppe materie prime da cercare e acquistare, mondare, tagliare e assemblare nella maniera e nelle quantità giuste, da cuocere lentamente buttando di tanto in tanto l'occhio al tegame. Sarebbe un peccato perdere una delle preparazioni simboliche della nostra cucina e del nostro stile di vita. Non sempre, però, si ha tempo e modo di seguire tutti i passaggi, uno dopo l'altro. Ecco allora che, all'improvvisa voglia di pasta al ragù, risponde il mercato dei sughi pronti. Non sarà certo la stessa cosa dal punto di vista del rituale domestico, ma in molti casi il risultato in termini di sapore e correttezza del prodotto non ha molto da invidiare all'originale di mammà. Un surrogato, sì, ma ricco di bontà. L'importante è scegliere un prodotto di qualità, sia in termini di materie prime che di realizzazione.

Impossibile? No. Esistono piccole aziende virtuose (e un bel tris di chef) che fanno il ragù in modo artigianale e pronto all'uso, mono-carne o di carni miste bovine e suine, partendo da materie prime selezionate, anche certificate Igp, Dop e Presidi Slow Food. Se alcuni anni fa i ragù confezionati (in genere in latte) erano solo industriali, di mediocre qualità, pieni di additivi e conservanti, reperibili soltanto al supermercato, oggi esistono prodotti di alto profilo, senza additivi, diversificati nelle ricette (bolognese, napoletano...), rigorosamente in vasi di vetro. E fatti con ingredienti di primissima qualità: carni bovine di razze pregiate (chianina, piemontese, romagnola, marchigiana, vacca rossa reggiana), di antiche razze suine rustiche allevate semibrade (cinta senese, mora romagnola, nero brado d'Aspromonte, casertana), pomodoro fresco e perfino terroir (il San Marzano Dop), olio extravergine d'oliva, condimenti freschi, sale di Cervia... Si trovano in vendita nei negozi di nicchia e a prezzi logicamente più elevati rispetto a quelli dei corrispettivi industriali, ma non c'è paragone!

Selvaggina

Chi preferisce odori pervasivi e sapori tosti li può trovare nei ragù a base di selvaggina, prodotti soprattutto dal centro Italia in su. Molto buoni quelli di cervo e di capriolo fatti home made dal Massimo (Corrà) Goloso a Coredo, Trento (www.macelleriacorra.com), partendo al 90% da cacciagione di cattura della propria zona, il resto da riserve della Toscana. Molto ampio l'assortimento di ragù di fauna selvatica realizzato da Jolanda de Colò di Palmanova in provincia di Udine (www.jolandadecolo.it): cinghiale, daino, cervo, capriolo, lepre, fagiano, oltre a quelli di anatra e oca. Altre aziende che producono ragù di selvaggina: La Dispensa di Caino del ristorante di Montemerano (www.dacaino.com), Boscovivo - Le Ricette di Caterina di Civitella in Val di Chiana (boscovivo.it), Alla Gusteria - Osteria de' Ciotti di Tavola, Prato (www.allagusteria.it), Caccia e Corte di Castelfiorentino (www.sughibuoni.it), Falorni di Greve in Chianti (www.falorni.it), Agroalimenta - Locanda La Posta di Cavour (www.agroalimenta.com, www.locandalaposta.it).

Vegan

Ce n'è anche per loro. Parliamo dei ragù meat freepreparati con materie prime vegetali. Tra i vari prodotti, abbiamo trovato corretto il ragù di tofu di Cascina San Cassiano di Alba, Cuneo (www.cascinasancassiano.com), una salsa più pallida del classico ragù di carne, con aromi orticoli che richiamano i legumi e la melanzana. E lodevole lo sforzo vegan e bio di Cereal Terra di Ciriè, Torino (www.cerealterra.it), che propone due sughi vegetali a base di seitan e di soia.

La classifica

I prezzi sono quelli medi al dettaglio

Tranne la prima classificata, le altre aziende sono in ordine alfabetico

1° classificato e Qualità/Prezzo

Cillo| Ragù della nonna

Il profumo che si sente la domenica mattina quando ci svegliamo: il profumo del ragù di mamma. È questa la sensazione, deliziosa ed emozionale, che si prova aprendo il barattolo di ragù della nonna di Sabatino Cillo - macellaio e norcino beneventano - specialità della linea “i pronti di Sabatino”. C'è già tutto lì, in quel caldo profumo di casa, di carne e odori rosolati, di pomodorocotto a lungo che abbraccia tutti gli ingredienti. Ingredienti non qualsiasi: oltre a carne di bovino adulto di razza marchigiana Igp (per lo più di scottona) e di incrocio del Sannio allevato tra Sannio e Alto Casertano, carne di suino chiaro del Sannio (salsiccia, costina e muscolo) e di casertana, sale di Trapani, olio extravergine d'oliva del territorio, passata di pomodoro San Marzano, cipolla di Montoro e bianca di Airola, spezie. L'aspetto è quello del “rraù” che piacerebbe a Eduardo, rosso intenso ma vivace, con la scelta della carne e dei tagli, a pezzi grossi, del tipico ragù napoletano. Dell'odore, verace, materno, di casa, sintesi felice di tutto quello che c'è dentro, abbiamo già parlato. Il gusto è pieno ma non stucchevole, e con una sapidità esemplare. Grazie mamma, grazie Cillo.

380 g prezzo 9,90/12,50euro

Cillo| Airola (BN) | via Lavatoio, 230 | tel. 0823 714422- 335 454723 | www.macelleriacillo.it

Boscovivo - Le Ricette di Caterina| Ragù di carne chianina

Da 35 anni Boscovivo lega il suo nome ai tartufi e alle specialità della tradizione toscana. Della linea Le Ricette di Caterina (in onore di Caterina de’ Medici, che ha esportato la cucina toscana Oltralpe) un buon ragù di carne chianina, caratteristico, corretto, piacevole. Gli ingredienti, acquistati da aziende agricole locali e toscane con controllo della filiera: carne bovina di razza chianina Igp (60%) più una piccola percentuale di carne suina, passata di pomodoro, olio extravergine d'oliva, ortaggi freschi (carota, sedano, cipolla, aglio, prezzemolo), vino, sale, spezie. L'aspetto è casereccio e un po' olioso. Il naso dolce, fresco e pulito mette in evidenzia buone materie prime e una lavorazione curata e non forzata. La dolcezza torna al palato insieme a una sapidità giusta, a sentori tipici di ragù e a note di brodo vegetale. Peccato la consistenza della carne, un po' gommosa.

180 g prezzo3,90/6,50 euro

Boscovivo - Le Ricette di Caterina | Civitella in Val di Chiana (AR) | fraz. Badia al Pino via dei Boschi, 34 | tel. 0575 410396 - 0575 410388 | www.boscovivo.it

Caccia e Corte - La Cucina di Caruso Rosalia | Ragù di cinta senese

La Cucina di Caruso Rosalia produce un ampio assortimento di condimenti della tradizione toscana, circa 40 tra ragù, salse e crostini, commercializzate con il marchio Caccia e Corte. Del tris di ragù proposti la preferenza è caduta su quello monocarne di cinta senese (35%), realizzato con la pregiata razza suina Dop proveniente da un'azienda locale. Un ragù non classico ma con una sua personalità “tosta”, coerente con il gusto toscano. Colore scuro (sembra fatto con carne di selvaggina), è dominato dalla cipolla (rossa), nel soffritto insieme a carote, sedano e prezzemolo (sempre e solo freschi),dalle spezie (alloro e pepe nero) e, in terza battuta, dal vino (rosso). Gli altri ingredienti, italiani, prevalentemente toscani e del territorio: polpa pomodoro e olio extravergine d'oliva.

 

Caccai e Corte

180 g prezzo 5,50/7 euro

Caccia e Corte - La Cucina di Caruso Rosalia | Castelfiorentino (FI) | via Vinca, 6 | tel. 0571 632866 | www.sughibuoni.it

Davide Palluda | Il Ragù

Un signor ragù quello prodotto dallo chef Davide Palluda nel proprio Laboratorio DP, poco distante dal ristorante All'Enoteca e dall'annessa Osteria, in via Roma 57, nel centro di Canale. Aperto nel 2006 insieme con la moglie Annalisa, fin dall'inizio il suo obiettivo è stato quello di mettere materie prime, tecnologia e ricerca al servizio della freschezza e del gusto inseguendo “il concetto/sogno di conservare la qualità nel tempo”. Ispirazione concretizzata nel suo “Il ragù” di carne miste (bovino e suino), con polpa di pomodoro, fondo bruno (estratto di carne di bovino e suino, sedano, carota, cipolla), soffritto di cipolla, carota e sedano, vino rosso, olio d'oliva ed extravergine, sale, rosmarino, pepe nero in polvere (e amido di mais come addensante). Si sente il tocco di uno chef di razza, dalla mano sicura, abituato a perfezionare le ricette, a equilibrare sapori e aromi. Un ragù di grande personalità, con poco pomodoro e molta carne, peraltro di ottima qualità, con i pezzi di carota visibili, profumi caratteristici e puliti, gusto equilibrato e rotondo, sapido e giustamente speziato.

180 g prezzo 6/7 euro

Davide Palluda | Canale (CN) | via Torino, 175 | tel. 0173 979958 - 0173 95857 | www.davidepalluda.it

La Dispensa di Amerigo | Ragù tradizionale alla bolognese | Ragù storico alla bolognese

Il mitico Amerigo dal 1934 è trattoria, locanda e negozio (a Savigno, via Marconi 14), e dal 1996 Dispensa a Savigno di Valsamoggia, cheproduce nelle proprie cucine un ampio ventaglio di conserve divise in 8 famiglie. In quella dedicata ai condimenti per la pasta anche un bel poker di ragù, con due prodotti che si fanno notare. Dapodio, un quasi 1° classificato,il ragù tradizionale alla bolognese,forse il più classico tra i ragù in batteria, molto rosso di pomodoro, pulito ed equilibratissimo, profumato di buono e dal gusto pieno ed elegante, figlio di eccellenti materie prime, di una ricetta ben calibrata e di una sapiente lavorazione. Ingredienti: passata e doppio concentrato di pomodoro, carne bovina (24%), carne suina (16,3%, soprattutto il saporito taglio del capocollo), prosciutto crudo (7,7%), olio extravergine di oliva, carote, cipolla dorata di Medicina, sedano, sale marino di Cervia. Molto buono anche il ragù storico alla bolognese, fatto secondo la ricetta depositata presso Camera di Commercio di Bologna, utilizzando solo carne bovina (36,3%) e un po' di pancetta suina, rispetto al ragù tradizionale con più verdura e meno pomodoro. Perfettino, con le carni macinate sottili e più chiaro del fratello tradizionale, è pure caratteristico, ben fatto, meno entusiasmante del fratello maggiore ma con un equilibrio ancora più centrato tra carne, pomodoro, odori e sale.

200 g 7,30/9,50 euro

La Dispensa di Amerigo | Valsamoggia (BO) | loc. Savigno via del Lavoro, 14b | tel. 051 6722262 | www.amerigo1934.it

La Dispensa di Caino | Sugo di cinta senese

Un ragù legato a un ristorante Tre Forchette, Da Caino di Montemerano, una delle tavole eccellenti italiane. Al comando in cucina Valeria Piccini, che trasferisce nella Dispensa la passione per il buon cibo, la costante ricerca delle migliori produzioni gastronomiche della sua zona, quanto le regala il proprio orto e l'olio extravergine d'oliva prodotto dal marito Maurizio Menichetti. Così nasce una linea di raffinatezze sotto vetro, realizzate da un'azienda specializzata (Le Bontà di Prato) ma su propria ricetta e con gli ingredienti forniti da Valeria. Il ragù della Dispensa di Caino è piuttosto chiaro, appena sporcato di pomodoro (polpa e doppio concentrato, provenienti dalla Campania e dal proprio pezzo di terra), ricco di carne, con un'alta percentuale di cinta senese Dop (60%) più bovino adulto, provenienti da macellerie toscane di fiducia, poil'olio maison, vino, odori dell'orto Piccini-Menichetti (cipolla, carota, sedano), sale, aglio, pepe. Al naso note tostate e di cipolla, al palato i classici sentori di carni rosolate e cotte nel pomodoro con i tipici condimenti, e una sapidità giusta, dettaglio non scontato per un prodotto saporito di suo e confezionato.

180 g prezzo 9/9,50 euro

La Dispensa di Caino | Montemerano Manciano (GR) | via della Chiesa, 4 | tel. 0564 602817 | www.dacaino.com

Falorni | Ragù di manzo

Falorni, storico produttore di salumi, dal 1806 e da 9 generazioni, entra in classifica con il ragù di manzo (in realtà di vitellone; gli altri ingredienti: passato e concentrato di pomodoro, olio extravergine di oliva, cipolla, carota, sedano e aglio freschi, vino, sale, aromi naturali), un prodotto di discreta qualità e nel complesso caratteristico. Tipico nell'aspetto e nella tonalità rosso scuro, non troppo unto, esprime al naso note speziate e aromatiche intense e tendenti al cupo. Il gusto ha una sapidità alta, la dolcezza del pomodoro e una punta amara, data forse dagli oli essenziali delle spezie e delle erbe aromatiche. La carne è di buona qualità ma poco succosa e tritata in modo disomogeneo.

350 g prezzo 8,70/13 euro

Falorni | Greve in Chianti (FI) | via di Colognole, 67 | tel. 055 854363 – 853029 | www.falorni.it

Macelleria Fracassi dal 1927 | Ragù toscano di chianina | Ragù in bianco di chianina

In zona podio anche il ragù toscano di chianina di Simone Francassi. Un ragù con un preciso stile, come tutte le specialità norcine e di macelleria di Simone, con un'altissima percentuale di carne, solo quella bovina di razza chianina Igp (85/88%), e una tracciabilità esemplare: indicati nell'etichetta sul coperchio anche i dati della carne che c'è all'interno di quello specifico vaso (numero del bovino, quando è nato, dove e da chi è stato allevato, quando e dove è stato macellato). Gli altri ingredienti: doppio concentrato e polpa di pomodoro, olio di oliva, sedano, scalogno, carote, vino, erbe aromatiche, sale, spezie. Un tipicissimo ragù all'occhio, al naso e in bocca, ricco di carne e con poco pomodoro, tanto per legare, arrotondare il gusto nella dolcezza e nell'acidità. Bella consistenza corposa e di sostanza, di media granulosità, con la giusta quantità di olio e umidità. Ottima materia prima e ricetta vincente. Un po' sapido ma è una sensazione che presto svanisce, e poi basta aggiungere poco sale nell'acqua della pasta. Molto buono anche il ragù in bianco di chianina, stessa ricetta ma senza pomodoro, un fuoriclasse rispetto alla categoria di prodotti in assaggio, pure questo fatto ad arte con ingredienti scelti, profumato di erbe aromatiche, intenso ma pulito. Prodotti su ricetta e con la carne fornita da Simone presso la Boutique Mila di Castelfranco di Sotto (PI).

 

Fracassi

180 g prezzo 10/15 euro

Macelleria Fracassi dal 1927 | Castel Focognano (AR) | loc. Rassina p.zza Mazzini, 24 | tel. 0575 591480 - 335 343186

Gerini | Ragù di carne chianina e suino nero brado

Un ragù di carni miste che unisce due eccellenze quello proposto da Gerini, realtà storica attiva sul doppio fronte delle carni fresche e dei salumi. Il ragù di chianina Igp e suino nero brado d’Aspromonte (prodotto da Lombardi di Vecchiano, Pisa, con le carni fornite da Gerini) già nel nome e nell'elenco degli ingredienti è una precisa dichiarazione di intenti e di stile. Il naso è robusto, di ragù verace e perfettamente coerente con le materie prime impiegate, tutte italiane. Si avverte l'animale, un buon animale: l'austero vitellone di razza chianina (27%), la dolcezza e la potenza del suino nero d'Aspromonte (20%). Il grassi – un 2% di lardo di suino salato e olio extravergine di oliva – sono precisi e in quantità giusta. Ci sono l'acidità e la calda dolcezza della polpa e del doppio concentrato di pomodoro (oltre a un pizzico di zucchero). C'è l'elemento vegetale fresco: cipolle, carote, sedano. Ci sono anche i sentori agrumati della buccia di limone, quelli speziati (soprattutto pepe) e di erbe officinali (prezzemolo), che completano il profilo aromatico. Tutto molto corretto, rotondo, equilibrato e registrato sui toni intensi.

180 g prezzo 6,90-9,50 euro

Gerini| Pontassieve (FI) | v.le Hanoi, 50 | tel. 055 8368559 - 055 8315207 | www.gerinispa.com

Qualità/Prezzo

San Patrignano | Ragù di mora romagnola

Altro ragù in zona podio e con controllo diretto delle carni. Lo produce la cooperativa sociale San Patrignano, la comunità fondata nel 1978 da Vincenzo Muccioli sulle prime colline alle spalle di Riccioneper il recupero di ragazzi con problemi di tossicodipendenza. Qui vengono allevati all'aperto allo stato brado i maiali di razza mora romagnola (Presidio Slow Food), alimentati in modo naturale senza forzature, mentre la trasformazione, artigianale, avviene in un laboratorio esterno (Alfero Carni di Verghereto, Forlì). Cosìnasce questo godibilissimo ragù monocarne, sapido il giusto, dolce di pomodoro (polpa e passata) e suino (39%), con un'equilibrata aromaticità di spezie e condimenti (sedano, cipolla, scalogno, carota, vino rosso, olio extravergine d’oliva, capperi, sale, pepe, rosmarino, noce moscata), pulito e piacevolmente persistente. Parla di una buona ricetta, di una lavorazione esemplare e di ottime materie prime.

180 g prezzo 4,50/7,50 euro

San Patrignano | Coriano (RN) | via San Patrignano, 53 | tel. 0541 362111 - 0541 362337 | www.spaziosanpa.com

I Sapori delle Vacche Rosse | Ragù di vacca rossa reggiana

Dici vacche rosse reggiane e la mente rimbalza come la pallina di un flipper a Luciano Catellani, figura chiave di questa antica razza bovina autoctona a rischio d'estinzione. È lui che ha contribuito alla sua rinascita e salvataggio creando un'azienda che chiude la filiera, dall'allevamento alla lavorazione di Sapori derivati: il celebrato parmigiano reggiano, burro, carni fresche e varie specialità. Tra queste anche un discreto ragù monocarne, prodotto manualmente in un laboratorio certificato in comodato d'uso (Copaf di Brisighella) con la carne e ilburro dellarossa maison, passata di pomodoro di produzione propria, sedano, cipolla e carota coltivate da un'azienda di famiglia, sale di Cervia e pepe. I presupposti della qualità ci sono tutti. Unico neo: la carne, tritata finemente e benché eccellente, non è valorizzata dalla cottura, risulta poco succulenta, più che rosolata sembra lessata. Ben visibili la carota a pezzetti e una cipolla cruda che domina le sensazioni aromatiche. Coerenti note burrose, una punta leggermente piccante, sapidità robusta e acidità appena sopra le righe.

190 g prezzo 5,50/9,50 euro

I Sapori delle Vacche Rosse | Reggio Emilia | loc. Villa Cella via Giambattista Vico, 114 - s.s 9 | tel.0522 946569 - 335 344279 | www.isaporidellevaccherosse.com

I prezzi sono quelli medi al dettaglio

Tranne la prima classificata, le altre aziende sono in ordine alfabetico

a cura di Mara Nocilla

Franco Palermo. La storia della panificazione a Roma, l'Umanesimo del Pane e il pane di Ultimo

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Una notte con Franco Palermo, icona della panificazione romana, nel laboratorio dell'associazione dei Volontari di Capitano Ultimo. Qui, con Fabrizio Franco, si sta concretizzando l'ultimo progetto del maestro. Ne approfittiamo per ripercorrere la sua storia, che è anche quella del primo forno bio della Capitale. E degli inizi di Gabriele Bonci. 

Franco Palermo

Iconico maestro panettiere, scopritore di talenti, iniziatore della panificazione bio a Roma, in tempi non sospetti. Ma pure poeta urbano, e promotore di quell'assistenzialismo professionale che oggi molti sbandierano per farsi belli. Lui, invece, ha sempre preferito restare nell'ombra, a riflettori spenti, perché è proprio quando la città si addormenta che Franco, da più di 30 anni, comincia a lavorare. Impasta, forma, inforna. All'alba il pane è pronto. Di buona mattina inizia il giro delle consegne. Il suo nome, nell'ambiente, lo conoscono tutti. E molti gli riconoscono il ruolo di padre fondatore, quasi una figura mitologica, la sua, cresciuta in seno al carattere schivo che ha preservato il suo spirito libero. Da visionario della panificazione, cultore “dell'umanesimo del pane”, come ama definire un mestiere che va ben oltre le ore trascorse in laboratorio, tutti i giorni dell'anno. Franco Palermo, per dirne una, è quello che ex abrupto sciorina a memoria la fornitura di pane che all'inizio degli anni Novanta portava al Tram Tram di San Lorenzo, all'epoca trattoria esordiente in città: “Un filone di semi di girasole, uno al sesamo, e due filoni chiari, 6 chili di pane ogni giorno. Io conservo ancora tutti gli ordini”. A ricordare lo aiuta la sua curiosità enciclopedica, il puntiglio con cui evoca dettagli che disseminano una linea del tempo lunghissima, e molto prolifica. Seppur vissuta, a partire dal 2007, da comprimario. Senza sgomitare, né pretendere di apporre sigilli. Perché la verità è che quando sono gli altri a riconoscerti il merito di aver cambiato le cose, tu puoi solo impegnarti per confermarlo, quel primato. Con un rigore non dissimile alla disciplina delle arti marziali, di cui Franco è appassionato sin da ragazzo. Un visionario, dunque, ma con tanto criterio ed esperienza dalla sua.

Il pane è come il cane

Non è tipo di tante parole Franco, incute persino un certo timore. Poi però, quando con le parole comincia a giocare, ti spiazza. La sua verità, quella maturata sul campo, puoi coglierla mentre le mani si muovono veloci sul banco, e l'impasto prende forma. Non un gesto fuori posto, non un indugio. Solo l'essenziale. Ma pure, altrettanto lampante, tra le righe di uno scioglilingua che ricorda da vicino le parole in libertà del futurismo. Ed è come interpretare un oracolo: “Il pane è come il cane” ripete divertito. Sotto il cappellino con la visiera, gli occhi si illuminano, saettano, quasi sembra sia pronto a schernirti. Ma è tutto vero, e verace: “Ilpane è come il cane: se non lo addestri, lo gestisci e lo bastoni, te se rivolta, la mollica ti mozzica l’aorta, sulla porta del forno. Che poi è la porta dell’anima, e il pane sta sulla soglia. A un certo punto c’è una chiamata: se ce la fai bene, altrimenti il pane ritorna libero”. Franco la chiamata l'ha ricevuta presto, “un giorno mi sono alzato e ho detto 'faccio il pane'. Avevo 23 anni, con un amico lavoravamo a Monteverde, appoggiandoci a un piccolo forno: noi entravamo la notte, facevamo il nostro pane, piccole quantità. Poi lo consegnavamo porta a porta, agli amici, tramite passaparola”. Ma già ai tempi del servizio militare, a Orvieto, “andavo sempre in cerca di panifici, a caccia di mulini, farine. Mi piaceva respirarne il profumo”. Nel 1989 la passione si trasforma in attività con tutti i crismi dell'impresa da grandi numeri.

Il Bio Forno del Casilino

L'insegna recita Bio Forno, è a Ponte Casilino, “subito fuori da Porta Maggiore”. Si lavora in cooperativa, Franco è il presidente. Con lui, a pieno regime, ci sono 25 persone: “La zona era buona, vendevamo parecchio pane, solo bio, di 33 tipi. Per produrre quello col riso cuocevo da me il riso biodinamico, poi impastavo con orzo, miglio, avena. Ma sfornavamo anche tanti biscotti, e la pizza, bianca, rossa, con le cipolle. O i cracker stirati a mano, col mattarello”. Così nasce il primo forno biologico della Capitale, molti, negli anni a seguire, ne trarranno ispirazione. Poi lo spazio comincia a stargli stretto, Franco coglie l'opportunità di spostarsi fuori città, “non mi sono mai piaciuti i forni angusti, e a Roma sono tutti così”. Sulla via dei Laghi, in direzione Ciampino, trasferisce il centro di produzione, in un grande casolare con tanto terreno intorno. Al Casilino resta il punto vendita, i numeri crescono: “Facevamo una media di 5-6 quintali di pane al giorno, con punte di 8-10 quintali. Siamo rimasti lì fino al 2007, in tutto l'attività panificatoria è durata 20 anni. Poi non ho più avuto un forno mio”. E così, 10 anni fa, si apre una nuova lunga parentesi (mai chiusa), che vede Franco Palermo nelle vesti di maestro e promotore di progetti che rivoluzioneranno la storia recente della panificazione romana.

Tricolore, Bonci, Santi Sebastiano e Valentino

Prima incontra Silvio Marsan (dietro all'azienda San Bartolomeo), “Gabriele (Bonci) mi portò lì, per gestire il forno di via Salvini, ai Parioli. Le cose non andarono come previsto”. Poi, alla fine del 2010, l'avvio di Tricolore, al rione Monti, geniale panetteria con ambizioni gourmet. E fucina di idee e talenti. Nel frattempo, in sottofondo, cresce il rapporto con Gabriele Bonci: “Lo conobbi nel 2003, tramite Piero Guido. La prima volta che gli ho portato il pane si è messo a piangere. Gabriele è uno che piange. Lui è una delle massime espressioni del cibo nel mondo. Perché? Basta pronunciare il suo nome, se lo fai rotondo, Bonci contiene la parola cibo”. Di nuovo, Franco paroliere. Quando deve raccontare qualcosa che gli sta a cuore, Franco Palermo sceglie di celarsi dietro la poesia. Con il pudore di chi rispetta le proprie emozioni. “Gabriele è anche quello che mi ha pagato lo stipendio pieno per un anno, mentre io già collaboravo con i volontari di Capitano Ultimo. Quanti altri lo farebbero?”. Con lui ha seguito l'avvio del forno di via Trionfale, nel 2012. E gli ha insegnato molto. Del resto, molti sono stati i suoi allievi: “Ho avuto anche persone carcerate che hanno aperto un panificio, gente che ha cambiato lavoro. C’era uno fortissimo, che adesso fa il tassista. Un abruzzese, un vero talento. C’è Kalim Mohallim, ora lavora ai Santi (Sebastiano e Valentino, ndr) con Lamin Badjie, senegalese, pure lui passato da qui. E Martina Caponetti, cresciuta con me da Tricolore, poi scelta per l'avvio dei Santi. La mandai ad Annecy, in Francia, per imparare da un grande paisan boulanger. Poi da Reginbrot, a Costanza. Credo nel valore dell'insegnamento, poi però devono continuare per la loro strada, e io percorro la mia”.

Il laboratorio dai Volontari di Capitano Ultimo

Franco lo sa, “il panettiere è un orso solitario, ci chiamano gli isolati del pane”. Eppure, ora che il lavoro con l'Associazione dei Volontari di Capitano Ultimo comincia a concretizzarsi, rivendica la necessità di fare squadra. Il progetto che sta nascendo, grazie al sodalizio con Fabrizio Franco di Pane e Tempesta, è l'inizio di una nuova sfida. Lo spazio è il laboratorio di via della Tenuta della Mistica, che Franco qualche anno fa ha ricavato nel casolare di campagna che ospita le attività formative dell'Associazione, a supporto del reinserimento sociale degli ospiti della Casa Famiglia di Ultimo. Alla periferia della città, zona Tor Sapienza, il Capitano Sergio De Caprio ha fondato una realtà che assiste gli emarginati, basata su una microeconomia di sopravvivenza. Chi arriva fin qui sa che troverà una famiglia, e potrà sdebitarsi rendendosi utile per la comunità, lavorando al ristorante della struttura, o coltivando l'orto; praticando falegnameria, erboristeria, laboratori di pasticceria e panificazione. E qui entra in gioco Franco: “Abbiamo preso il forno a Cecchina, da un laboratorio che cessava l'attività. L'abbiamo smontato, portato qui, e con 10mila euro avviato la produzione”. Ora, con l'arrivo di un nuovo forno e attrezzature reperite qua e là, il laboratorio si ingrandirà, a supporto di una produzione che si fa più cospicua, e diversificata. I clienti ci sono già: il pane di Ultimo – come probabilmente si chiamerà il marchio esordiente - arriva sulla tavola di diversi ristoranti e locali romani, La Barrique e Remigio, La Gatta Mangiona, l'Hamburgheseria di via dei Reti (“per cui abbiamo cominciato a produrre dei bun”), Bulzoni. Ma c'è anche l'accordo per la fornitura dei supermercati a marchio Maiorino Maggiorana, e il corner per la vendita diretta che nascerà da Baccano, a Pietralata. Oltre al punto vendita dell'associazione in via Ostiense.

Franco Palermo e Fabrizio Franco. Insieme

Il nuovo assetto societario, con Fabrizio Franco come referente, permetterà di stipendiare la squadra. Molti sono ragazzi africani che Palermo forma da tempo, già panettieri nei propri Paesi d'origine: “In Africa ci sono forni grandissimi, io volevo aprirne uno mio a Dakar”. Poi c'è Fabrizio, che dall'estate scorsa, ogni notte, arriva alla Mistica per produrre il suo pane, quello in vendita da Pane e Tempesta. La sua storia, negli ultimi mesi, è stata piuttosto travagliata, ma la gestazione si è rivelata proficua: “Non avevamo più i permessi per fare pane al laboratorio di Monteverde, che ora è dedicato solo alla pizza. Abbiamo pensato di chiudere, e invece Franco ci ha aperto la porta. Ora collaboriamo, insieme gestiamo meglio il lavoro. Pane e Tempesta ha assunto tutti i dipendenti del laboratorio e continuerà a produrre qui (intanto ha aperto un secondo punto vendita, Paletta, nel nuovo Auchan di Fano, tutto dedicato alla pizza, ndr)”. Il ricavato delle vendite al negozio, Fabrizio ha deciso di donarlo all'associazione: “Siamo grati di questa opportunità, respirare Franco è impagabile. Abbiamo pensato di dare alla cosa una prospettiva inconsueta: il pane che abbiamo rischiato di perdere, doniamolo. E il Capitano Ultimo ci ha accettato”. Ora quindi, che succede? Il laboratorio entrerà a pieno regime, cominciando a rifornire anche una serie di forni storici della città, con cui si è già raggiunto l'accordo, dal Panificio Marè a Maurizio Agostini, a Cuore di Grano di Orazio Albanesi: “Per loro produrremo pane su richiesta, tra le tipologie che già facciamo: semintegrale bianco, grano duro, segale, monococco, integrale, alla curcuma, pan brioche, medaglioni, di segale, con la farina del mulino della Riviera di Dronero”. Ma c'è anche l'idea di organizzare giornate di formazione, aprire lo spazio alla città.

La notte è appena iniziata, alle 3 sarà pronta la prima infornata. Il tempo delle chiacchiere è finito. Le mani riprendono a muoversi veloci, il ritmo cadenzato dal rumore dell'impasto in formatura.

Farina, polvere, farina. Impasta quanto basta. La formatura è di natura”. 

 

Associazione Volontari Capitano Ultimo - Roma - via della Tenuta della Mistica - www.volontaricapitanoultimo.it 

a cura di Livia Montagnoli

10 concetti grazie ai quali Niko Romito è il numero uno degli chef italiani

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Ecco perché Niko Romito è salito in cima alla classifica della guida Ristoranti d'Italia del Gambero Rosso

10 parole spiegano perché il Reale, oggi, è il miglior ristorante d'Italia. E perché Niko Romito è il più grande cuoco del paese. Non parleremo di cucina, ma di una filosofia che riguarda ogni ambito dell'attività dello chef abruzzese. 10 concetti alla base di un organismo che per noi rappresentano un esempio emblematico di grande cucina, grande approccio culturale, grande imprenditoria e che contribuiscono a tracciare il profilo del nuovo chef contemporaneo.

 

Formazione

È uno dei pallini di Niko Romito. Lui, l'autodidatta che ha sempre lamentato la mancanza di un'istruzione gastronomica ordinata ma ha nel Dna l'attitudine all'approfondimento, a un certo punto ha deciso di mettere a sistema i suoi studi matti e disperatissimi per definire un percorso didattico di altissimo livello. Il risultato è la Niko Romito Formazione: una quindicina di studenti l'anno e una qualità che non ha eguali. Un prestigioso centro di istruzione annesso al ristorante Reale per preparare al mondo della ristorazione e dell'alta cucina che, in più, è uno snodo fondamentale per l'organismo lavorativo messo a punto dallo chef, perché proprio la Niko Romito Formazione è il serbatoio di professionisti da cui attinge il cuoco abruzzese.

 

Territorio

C'è stato un momento, nella carriera di Niko Romito, in cui stava per volare dall'altra parte del mondo, con un buon contratto in tasca e un ristorante da dirigere in Oriente. Erano i tempi in cui il progetto che gravita intorno a Casadonna prendeva forma. Rifiutò l'offerta e decise di puntare tutto sulla sua regione, all'epoca gastronomicamente molto depressa. Da allora l'Abruzzo è fonte di ispirazione ed elemento identitario. Non solo per la cucina, che a quel territorio aspro guarda in modo obliquo, ma per l'anima che lo innerva, per quell'isolamento meditativo che alimenta tutto l'operato di Romito, in un corto circuito di energia che dall'uno va all'altro in doppia direzione. Se l'Abruzzo gastronomico oggi è in pieno sviluppo lo si deve a lui. E il Reale non potrebbe essere che lì, tra le montagne e il fiume Sangro.

 

Standardizzazione

Una parola chiave che regge il sistema Romito. Il fulcro di tutto (escluso il Reale, naturalmente, che è il laboratorio e fa partita a se) è la creazione di un protocollo di ricette e procedure di lavoro che porta alla moltiplicazione dei prodotti e al livellamento, verso l'alto, del risultato. Lungi dall'essere un fattore privativo come retoricamente molti hanno sempre pensato, la standardizzazione dei processi produttivi è quel che ha consentito a Romito di mettere a regime un organismo articolato ma sempre vincente. Un metodo “industriale” che prende avvio dall'alta cucina, quella che fa della ricerca estrema e dell'artigianalità i suoi punti di forza, e arriva fino alla ristorazione collettiva ospedaliera (Intelligenza Nutrizionale). Passando per la ristorazione pop (Spazio) e per i format iper replicabili (Bomba). Un percorso che nessuno, prima d'ora, aveva applicato in modo così lucido.

 

Tecnica

La tecnica, e con essa la tecnologia, come strumento indispensabile per giungere al risultato. Il lavoro di Niko Romito è un percorso di avvicinamento millimetrico al piatto finito, un processo originale di creatività ragionata. Parte dalla suggestione per un ingrediente, procede per incessanti prove e ripetute analisi, raggiunge nel tempo una definizione e si avvicina al risultato con andamento centripeto. Impiega diverse tecniche per estrapolare, dalla materia prima, tutte le architetture di sapore. Studia il prodotto in ogni sua sfumatura di sapore, rivelando riflessi secondari spesso impercettibili, evidenzia probabili evoluzioni e solo in seconda battuta mette a fuoco un possibile posto all'interno del menu. Un metodo che muove per tentativi registrati in modo analitico e con sempre maggiore precisione grazie a una dominazione consapevole della tecnica.

 

Imprenditoria

Dai suoi studi mai conclusi in Economia e Commercio Romito ha portato in cucina un'attitudine imprenditoriale che ha saputo coniugare numeri e qualità assoluta in ogni sua manifestazione. Il segreto sta nell'aver messo a sistema un metodo di lavoro in cui ogni cosa alimenta l'altra. Ogni informazione condivisa, ogni intuizione elaborata, ogni tecnica applicata declinandola nelle diverse espressioni. La capacità di pensare in modo omogeneo agli sviluppi di ogni sua attività è quel che lo rende così originale nel panorama nazionale. Una teoria dei vasi comunicanti che permette di spostare forza lavoro, risorse e idee da un progetto all'altro senza che venga mai meno l'attenzione massima al risultato finale di ognuna.

 

Salute

Obiettivo? Leggerezza e sapore. La filosofia gastronomica del ristorante Reale è tutta concentrata su questi due elementi, attorno ai quali ruota la ricerca gastronomica di Niko Romito. L'esclusione ormai quasi totale di grassi e zuccheri aggiunti è uno snodo fondamentale di un processo creativo che valorizza il gusto proprio delle materie prime e le loro caratteristiche nutrizionali. Ma senza ossessioni o ostentazioni salutistiche di sorta. Concentrazione, estrazione, stratificazione sono solo alcune delle tecniche impiegate per giungere all'esaltazione del prodotto. Vero protagonista dei piatti. Risultato? Un affondo nel sapore di ogni ingrediente, con un riflesso lunghissimo che prolunga il piacere di ogni piatto e riesce a stupire. Non basta. Questo approccio è alla base anche di IN-Intelligenza Nutrizionale che sta portando negli ospedali (ma può essere replicato in ogni tipo di ristorazione collettiva: scuole, caserme, uffici) cibi più gustosi e ricchi dal punto di vista nutrizionale, riducendo sprechi e ottimizzando i processi produttivi. L'impegno dell'alta cucina per diffondere cultura alimentare e benessere non è mai stato così concreto. Mai stato così capace di cambiare la qualità della vita alle masse e non più solo far godere le nicchie.

 

Completezza

Ristorante fine dining, struttura ricettiva di eccezionale bellezza, centro di formazione gastronomica: queste le diverse anime che convivono nella struttura Casadonna. Ma da questo ex monastero partono anche i progetti di easy dining, street food, ristorazione collettiva, alta cucina italiana all’estero (Bulgari Hotel). Gli impegni di Niko Romito distillano il suo pensiero gastronomico in un organismo complesso e perfettamente coerente. Lo stile rimane invariato e riconoscibilissimo in ognuna delle espressioni. La ricerca del sapore immutata, pur nelle diverse applicazioni pratiche. Il gusto essenziale, lineare, concentratissimo: vero marchio di fabbrica Romito. Tante visioni che compongono un unicum sempre più completo e difficilmente riscontrabile non solo in Italia ma nel mondo.

 

Sintesi

Quanti ingredienti in un piatto? Due, a volte tre. Raramente di più. Ma il senso della sintesi che esprime Romito nella sua cucina, quella del Reale (ma a cascata, e in misura minore, anche negli altri progetti) va oltre la capacità di elaborare piatti “apparentemente semplici” a partire da poche materie prime. La sua sintesi è principalmente culturale, concettuale: di un percorso produttivo, prima, fatto di continui passaggi e sovrapposizioni ton sur ton dei pochi ingredienti; e di un pensiero gastronomico con una identità assoluta, poi. Quello che cerca di entrare nel profondo della materia prima, scardinandone sapori primari e secondari. Studiandone evoluzioni e comportamenti in date condizioni e applicando precise temperature e pressioni. Prove su prove. Come in un laboratorio scientifico. Come un esperimento scientifico, in cui la prova di laboratorio viene sublimata in piatti dal sapore limpidissimo e preciso. Eterei per la capacità di rimanere sospesi lì, nell punto esatto del sapore.

 

Scalabilità

Un concetto che fa il paio con quelli di replicabilità e di standardizzazione che si spiega nella possibilità di declinare ogni intuizione nata e sviluppatasi all'interno del ristorante Reale nei vari progetti in un numero potenzialmente infinito di volte. Si tratti di una ricetta o del modo di servire un piatto, di un accostamento di sapori o un lavoro su una texture. Ogni elemento può confluire, nella dimensione giusta, in un altro contenitore gastronomico. La possibilità di riprodurre praticamente all'infinito un'idea di cucina, riducendo a quasi zero il margine di errore, è quel che permette di trasferire una cottura dalla cucina di Castel di Sangro, a quella di Pechino, al laboratorio gastronomico dell'ospedale Cristo Re di Roma. Scalabili potenzialmente all’infinito sono i modelli dietro ai quali sono sorti progetti come Spazio o come Bomba fino a Unforkettable.

 

Internazionalità
Il Reale può esistere solo a Castel di Sangro. Lo ha detto e ripetuto mille volte, come un mantra che celebra il suo legame con il territorio. Un vincolo strettissimo che non ha impedito allo chef di avviare progetti imprenditoriali in giro per il mondo. Sempre a partire da quell'angolo di Abruzzo. C'è Spazio, il ristorantino degli allievi della Niko Romito Formazione che sta acquisendo sempre più personalità, che dopo Rivisondoli, Milano e Roma (la cui ri-apertura è prevista tra qualche settimana) guarda oltreoceano, a New York, e poi in altre metropoli, per esempio Londra. C'è il progetto Bomba, lo street food che racchiude la memoria gastronomica di Romito (figlio di pasticceri), che andrà a toccare diverse capitali del mondo. C'è l'enciclopedia digitale della cucina italiana Unforkettable, tradotta anche in giapponese ma progettata e registrata a Casadonna. C'è, infine, la direzione dei nuovi ristoranti dei Bulgari Hotel all'estero. Pechino è già operativo, seguiranno Dubai e Shanghai. Poi chissà. Per quest'ultimo impegno Niko Romito ha ridefinito il canone dei grandi classici di ieri e di oggi della cucina italiana. Lo ha fatto portando una vena di contemporaneità alle ricette della tradizione, alleggerite e rese più moderne, scrivendo un protocollo precisissimo che include ingredienti e procedure, per assicurare costanza nel risultato in ogni parte del mondo.

 

IL SISTEMA ROMITO

 

Reale

Il ristorante gastronomico.

 

Casadonna

Il contenitore del Reale, ma anche di un resort di montagna magico e unico al mondo.

 

Niko Romito Formazione

La scuola di cucina professionale; per ora ha sede a Casadonna.

 

Spazio

Il ristorante casual dove prosegue, concretamente, la formazione dei ragazzi che frequentano la scuola.

 

Bulgari Hotels

Il seguimento di tutta la ristorazione nella catena di hotel di lusso nel mondo con un progetto di ristorante italiano tradizionale di eccellenza.

 

IN-Intelligenza Nutrizionale

Il progetto per la standardizzazione e il livellamento verso l’alto della ristorazione collettiva.

 

Unforkettable

Enciclopedia online di videoricette professionali.

 

Bomba

Non solo bombe alla crema. Bun di alta pasticceria fritti e farciti con ricette della tradizione italiana. Diventerà un format internazionale.

 

a cura di Antonella De santis e Massimiliano Tonelli

 

 

 

Latin America’s 50 Best Restaurants 2017. Dopo tre anni Virgilio Martinez cede il passo a Maido, di Micha Tsumura

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È la cucina nikkei a trionfare nell’edizione 2017 della 50 dedicata alla ristorazione di Sud e Centro America, che vede in testa una doppietta peruviana, con Maido e Central, entrambi a Lima. Terzo posto confermato per Alex Atala. Tanto Perù, Brasile, Messico. Ma si difendono Argentina e Colombia. Best Female chef Leonor Espinosa, premio in rosa anche nella pasticceria, con Saiko Izawa. 

Un nuovo re. Micha Tsumura

E alla fine la medaglia d’oro resta a Lima, Perù, ma quest’anno lo scettro passa a Maido, il ristorante nikkei di Micha Tsumura, secondo nel 2016, che fa la staffetta con Virgilio Martinez. La cerimonia di premiazione della Latin’s America 50 Best Restaurants va in scena per la prima volta a Bogotà, Colombia, e dopo tre anni sotto il regno del Central, il ristorante che Martinez conduce con sua moglie Pia Leon, celebra il podio di un nuovo pretendente. La top 50 che la competizione tra ristoranti fine dining più celebre nel mondo dedica allo scenario latinoamericano coinvolge 24 Paesi tra Sud e Centro America, e da diversi anni sottolinea il primato sul continente del Perù, prima con Gaston Acurio, poi seguendo la crescita del progetto Central. (a questo proposito, rimandiamo al numero in uscita di novembre 2017 del mensile del Gambero Rosso, nuovissimo per forma e contenuti, per un approfondimento sulla cucina peruviana, con tanto di mappa delle diverse varianti regionali, e ristoranti peruviani da tenere d'occhio in Italia).

Ora il testimone passa a Mitsuharu Tsumura, che della cultura gastronomica peruviana rappresenta un’espressione importante legata all’interazione con la cultura giapponese, dopo l’esodo sulle coste del Perù nei primi decenni del Novecento. Lo chef - imprenditore sempre più solido con due locali informali a Lima sotto l’insegna Sushi Pop, un ristorante e Macau e la guida della cucina del W Hotel a Santiago del Cile – si aggiudica la testa della classifica con la proposta nikkei del ristorante aperto nel 2009 nel distretto di Miraflores, dedicata principalmente a valorizzare i prodotti del mare.

La top 10

Lo segue sul podio il menu verticale di Virgilio Martinez, e, in terza posizione, Alex Atala con il suo D.O.M., che conferma il podio del Brasile. Segue, dopo l’ottimo piazzamento conquistato qualche mese fa nella top 50 mondiale, Pujol di Enrique Olvera, dal Messico, che scalza dal quarto posto il Boragò di Rodolfo Guzman, a Santiago del Cile, quinto in lista. Ma in top ten si conferma anche Quintonil di Jorge Vallejo (6), che garantisce a Città del Messico una doppietta tra i primi 10 (l’anno scorso fu tripletta, con il decimo posto di Biko), mentre il Brasile fa tris, con Manì e A Casa do Porco– entrambi a San Paolo - che scala la classifica dal 24esimo all’ottavo posto, e vale anche la qualifica di Miglior Pastry Chef 2017 per la giapponese Saiko Izawa (l’altra donna sotto i riflettori è Leonor Espinosa, Best Female Chef 2017, che gioca in casa, e recentemente ha portato a Bogotà anche il premio etico del Basque Culinary Center). Conferma la sua settima posizione Astrid y Gaston, storica insegna del maestro Acurio. Chiude la top 10 Tegui, che scende di una posizione, ma tiene alta la bandiera dell’Argentina e regala allo chef German Martitegui la stima dei suoi colleghi, che gli assegnano lo Chef Choice Award 2017.

Chi sale e chi scende

Bella prova anche per la macelleria con cucina Osso di Lima, dalla 27 alla 12, e per l’asado di Don Julio, da Buenos Aires, che sale in 13esima posizione dalla 21. Grande ascesa anche per Harry Sasson (Bogotà), che sale al numero 17, dalla 40, e fa la scalata più importante. La new entry dell’anno, invece, è la tavola di Alcalde, dal Messico di Guadalajara, che si piazza all’esordio al numero 36. Dal 14 al 28 scende Gustu, ristorante boliviano guidato da Kamilla Seidler, che ha recentemente annunciato il suo addio alla cucina di La Paz, ma la caduta è ancor più amara per Biko, insegna messicana degli chef baschi Mikel Alonso e Bruno Oteiza, dal 10 al 31. Al numero 35 spazio anche per un po’ d’Italia, con la cucina ispirata allo Stivale di Rosetta, insegna di Elena Reygadas a Città del Messico (ha imparato da Giorgio Locatelli). Il premio alla carriera se lo aggiudica Guillermo Gonzalez Beristain, che a Monterrey, in Messico, guida la cucina di Pangea da quasi 20 anni, ed è diventato un simbolo del riscatto della cucina messicana contemporanea nel mondo.

 

La Top 10

1 Maido, Lima (Perù)

2 Central, Lima (Perù)

3 D.O.M., San Paolo (Perù)

4 Pujol, Città del Messico (Messico)

5 Boragò, Santiago del Cile (Cile)

6 Quintonil, Città del Messico (Messico)

7 Astrid y Gaston, Lima (Perù)

8 A Casa do Porco, San Paolo (Brasile)

9 Manì, San Paolo (Brasile)

10 Tegui, Buenos Aires (Argentina)

 

La Latin America's 50 Best Restaurants 2017 (1-50) 

 

a cura di Livia Montagnoli


Vino italiano a lutto. Morti Nello Letrari e Leonardo Mustilli, piangono il Trentino e il Sannio

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A distanza di poche ore, si spengono due grandi vecchi della viticoltura italiana. Negli anni Sessanta, Nello Letrari avviava la produzione di spumante metodo classico in Trentino; una decina d'anni più tardi, nel Sannio di Sant'Agata dei Goti, Leonardo Mustilli scommetteva per primo sulla Falanghina. 

Due cantine oggi tutte al femminile. Due cantine della grande Italia vinicola. Due cantine frutto dell'intuizione di due padri fondatori del vino nazionale. A quasi 800 chilometri di distanza l'una dall'altra, Letrari nel Trentino del metodo classico, Mustilli arroccata sulle colline del Sannio, a Sant'Agata dei Goti. Oggi entrambe piangono la scomparsa di chi le ha portate alla ribalta dei riflettori internazionali. Quasi coetanei, rispettivamente classe 1931 e 1929, Nello (Leonello) Letrari e Leonardo Mustilli si sono spenti nelle ultime ore, portando con loro il ricordo di un approccio pionieristico alla viticoltura autoctona, frutto di ricerca, impegno, intuizione.

Letrari e lo spumante in Trentino

Nello Letrari, nato al confine tra Veneto e Trentino, originario di Borghetto Valdadige, è considerato il padre della spumantistica trentina. La sua prima vendemmia risale al 1950, e in quasi settant'anni di attività in vigna ha perfezionato metodi collaudati, che non mancava di reinterpretare alla luce delle strategie più innovative. Fu tra i primi in Italia - negli anni Sessanta - a vinificare in piccole botti di rovere e a elaborare spumante classico. Il passaggio di consegne degli ultimi anni ha premiato la costanza di sua figlia Lucia, enologa, che oggi conduce l'azienda di Rovereto, in grado d'interpretare le tendenze del gusto giovane, con spumanti autorevoli di grande fascino (tra cui il Rosè dedicato alle quattro donne di casa, Tre Bicchieri 2018 sull'ultima edizione della guida Vini d'Italia)

Ma Leonello fu pure pioniere del taglio bordolese in Italia – con il millesimato Fojaneghe del 1961 – e qualche anno più tardi fondò Equipe 5, una delle prime cantine dedite allo spumante classico, nel rispetto di un territorio all'epoca in cerca della propria identità vinicola, per rivendicare un ruolo di peso nella viticoltura nazionale. Eppure Leonello non ha mai ostentato il suo sapere, né tanto meno il saper fare. Rispettosa di questi dettami, la tradizione di famiglia continua con slancio, ma oggi si ferma per l'addio al suo patriarca, che la sua storia l'ha raccontata qualche anno fa a Nereo Pederzolli, nel libro Viti e vini di una vita.

Mustilli e la Falanghina del Sannio

La storia di Leonardo Mustilli, invece, è intrecciata a doppio filo con l'evoluzione della viticoltura del Sannio. Papà della Falanghina, insieme a un gruppo di pionieri che nella seconda metà degli anni Settanta scelsero di scommettere su un vitigno all'epoca destinato principalmente alla distilleria, Mustilli seppe ripensare l'azienda di famiglia sul lancio commerciale della Falanghina, puntando su etichette monovitigno che valorizzassero le peculiarità dell'uva autoctona. A Sant'Agata, nel quartier generale di Palazzo Rainone (oggi trasformato in luogo d'ospitalità, con ristorante e wine bar nelle antiche cantine in tufo), la famiglia di Leonardo era arrivata dalla Costiera Amalfitana, discendente da nobile stirpe. E alla promozione della Falanghina (protagonista del libro edito nel 2005), come del territorio del Sannio, ha dedicato tutta la vita, anche a seguito del passaggio di consegne in favore di sua moglie Marilì, e delle figlie Paola e Anna Chiara, che oggi guidano l'azienda. Nel 1992, inoltre, fu il primo a scommettere sul Movimento Turismo in Campania, sostenendo l'iniziativa Cantine Aperte. Ora il mondo del vino campano, e nazionale, lo piange.

 

Addio a Pablo Harri

Ma solo qualche giorno fa, domenica 22 ottobre, un altro lutto, inaspettato, ha funestato il mondo del vino. Pablo Härri, enologo di origine svizzera ma di fatto montalcinese sin dagli anni Ottanta, si è spento a soli 58 anni. Per anni è stato in forza prima a Banfi e poi a Col d'Orcia dove insieme a Maurizio Castelli, consulente, e Giuliano Dragoni, agronomo, creò le condizioni per alcune delle migliori annate del Brunello di Montalcino Riserva Poggio al Vento, ancora oggi al top della categoria. Sempre negli anni Ottanta conobbe Claudia, poi diventata sua moglie che negli anni Novanta acquisì il Podere Pascena da cui nacque l'attuale azienda Ferrero. La cifra di Pablo Härri è stata la sobrietà e la pacatezza ma anche un innato senso dell'umorismo che rendeva "leggera" la conversazione sui più disparati argomenti. La sua visione del vino si può riassumere in queste parole "Le caratteristiche del suolo e del microclima devono essere trasmesse al vino perché ci deve essere il totale rispetto del territorio. Io odio i vini globali. Se in un vino non denuncia un legame con il territorio da cui proviene, è un vino anonimo, senza interesse".

 

a cura di Livia Montagnoli

World Pasta Day 2017. Le iniziative per la Giornata Mondiale della Pasta

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25 ottobre. Da 19 anni questo giorno rappresenta un momento speciale per gli italiani, e non solo. In occasione della Giornata Mondiale della Pasta, chef e pastai si impegnano a organizzare eventi unici per festeggiare questa specialità tricolore.  

World Pasta Day

3.2 milioni di tonnellate. È la quantità di pasta che l'Italia, leader mondiale del settore, riesce a produrre in un anno. Un prodotto che continua a conquistare il palato di tutti, italiani e stranieri, e che, come abbiamo già avuto modo di constatare grazie alla ricerca di Aidepi (Associazione delle industrie del Dolce e della Pasta Italiana), sta registrando un aumento delle vendite significativo. Quest'anno, inoltre, in occasione dei 50 anni dalla cosiddetta “legge di purezza sulla pasta” (L. 580/67), normativa che stabilisce ferrei parametri e standard qualitativi del prodotto, l'associazione ha deciso di lanciare una campagna di comunicazione focalizzata sul ruolo del pastaio. “Alcuni vogliono far credere che per fare una pasta buona servano solo materie prime eccellenti, ma c'è molto altro”, ha spiegato Mario Piccialuti, direttore di Aidepi, che aggiunge: “È importante che gli italiani riscoprano la passione, la storia e la ricerca, i test sensoriali e il laboratorio, insomma tutto l'impegno dei produttori dietro un'ottima forchettata di pasta”. Legge a parte, da 19 anni la pasta viene celebrata con una festa studiata ad hoc, il World Pasta Day, fissato per il 25 ottobre. A ospitare i festeggiamenti, quest'anno sarà San Paolo del Brasile, con un evento a cui parteciperanno 250 delegati tra pastai, istituzioni, rappresentanti della comunità scientifica, giornalisti e opinion leader del food.

Pastifici Aperti

Diverse iniziative collaterali, però, vanno in scena anche in Italia. Grazie all'iniziativa Pastifici Aperti, durante la settimana del World Pasta Day (dal 23 al 28 ottobre), tutti i pastai associati Aidepi apriranno al pubblico le porte dei loro impianti produttivi. Per il 25, inoltre, è prevista su Twitter anche una spaghettata virtuale al pomodoro, in cui esperti, chef, giornalisti, blogger e operatori del settore potranno dire la loro su questa ricetta simbolo utilizzando gli hashtag #WorldPastaDay e #Spaghetti.

Barilla World Pasta Championship

19 contendenti da 15 Paesi. Per il sesto anno consecutivo, Barilla, storica azienda di pasta italiana giunta al suo 140esimo anniversario, ha dedicato un concorso ai giovani cuochi. È il Pasta World Championship, un contest pensato per i talenti dell'Alma, conclusosi lo scorso 29 settembre a Parma, Città creativa della Gastronomia. A ogni candidato partecipante, il compito di elaborare la propria ricettascegliendo tra le diverse tipologie di pasta Barilla.La medaglia d'oro per l'edizione 2017 è andata ad Accursio Lotà, chef di origini siciliane trapiantato a San Diego, California, che ha conquistato la giuria con i suoi Spaghetti alla Carbonara di Mare: “Lavoro all'estero ma le mie origini italiane mi impongono di rispettare la tradizione della pasta, a cominciare dalla cottura al dente”.

Primo Piatto dei Campi 2018

Altra azienda, altro progetto. Pastificio dei Campi, realtà d'eccellenza di Gragnano guidata da Giuseppe Di Martino, ha lanciato nuovamente l'iniziativa ideata insieme a Le Strade della Mozzarella, in collaborazione con Luciano Pignataro WineBlog e MySocialRecipe, pensata per promuovere la dieta mediterranea. Si chiama Primo Piatto dei Campi 2018, ed è un progetto che quest'anno premio il migliore abbinamento tra la pasta di Gragnano IGP e i legumi made in Italy. Rivolto a tutti i nuovi professionisti under 35, il contest è aperto fino al 30 ottobre 2017 e potrà includere un massimo di 20 partecipanti. Tema scelto per questa edizione è “The Benevolent Bean”,con l'intento di valorizzare i benefici, la biodiversità e le tradizioni legate al mondo dei legumi. I tre piatti più interessanti saranno presentati dagli chef finalisti l’8 gennaio 2018, nella serata evento in programmaaGragnano, presso il Pastificio dei Campi, alla presenza della giuria composta da LuigiCremona, EleonoraCozzella, AnnaMorelli, BarbaraGuerrae AlbertSapere. Il vincitore sarà relatore a LSDM Paestum 2018 – undicesima edizione che si terrà al Savoy Beach Hotel il 23 e 24 Maggio – con Peppe Guida, chef dell’Antica Osteria Nonna Rosa.

a cura di Michela Becchi

Le 10 migliori pizzerie di Firenze e dintorni

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Un panorama in pieno fermento, quello dell'arte bianca fiorentina, fra nuove aperture, ritorni e raddoppi il: capoluogo toscano è oggi il rifugio ideale per qualsiasi amante della buona pizza. Le insegne migliori secondo la guida del Gambero Rosso. 

Che anche Firenze fosse destinata a diventare una città che ama la pizza non molti potevano immaginarlo fino a un paio di anni fa. Non ha ancora sviluppato uno stile che si possa definire tipicamente fiorentino, ma oggi la città toscana può fare affidamento su una serie di indirizzi solidi di ottimo livello. Ci sono i pizzaioli giovani, con un approccio più fresco e dinamico, e poi i grandi maestri dell'arte bianca, quelli che hanno segnato la storia delle lunghe lievitazioni e gli impasti d'autore. E c'è poi una schiera ben nutrita di pizzaioli napoletani, che hanno scelto la piazza fiorentina come punto focale della loro attività. Fra chi torna e chi raddoppia, chi cambia format e chi comincia a muovere i primi passi, ecco i locali migliori segnalati dalla guida Pizzerie d'Italia 2018 del Gambero Rosso.

La Divina Pizza – Firenze (Tre Spicchi)

Il locale ha aperto nel 2010, ma l'avventura di Graziano Monogrammi nel mondo della pizza comincia nel 2003, con una pizzeria nel Chianti fiorentino. Il pizzaiolo frequenta poi l'Università della Pizza, dove intraprende un percorso di approfondimento sulla lievitazione con pasta madre. Insieme alla moglie Roberta, oggi gestisce una delle migliori insegne del capoluogo toscano, con prodotti gustosi e sani. Farine di grani biologici macinati a pietra, condimenti selezionati con cura, ingredienti freschi e stagionali: sono queste le caratteristiche della pizza di Graziano, da accompagnare con una selezione di birre artigianali italiane, bibite biologiche e qualche etichetta di vini del territorio. Fra le specialità della casa, al classica Marinara e la Sapori di campagna, con gorgonzola di malga e cipolla cotta nel vino Chianti.

 

La Divina Pizza

La Divina Pizza | Firenze | via Borgo Allegri, 50r | tel. 05 52347498 | www.ladivinapizzafirenze.it

Le Follie di Romualdo – Firenze (Tre Spicchi)

Ha cominciato da giovanissimo nel ristorante di famiglia sulla costa salernitana di Camerota, per poi spostarsi a Firenze, dove si è fatto ambasciatore della cultura della pizza napoletana: Romualdo Rizzuti è un maestro dell'arte bianca, ideatore di Sud, pizzeria si successo all'interno del Mercato Centrale. Nell'estate 2017 ha presentato Le Follie di Romualdo, un locale curato nei dettagli nato negli spazi dello storico Convivium, che nel 1997 dava seguito all'attività della celebre gastronomia fiorentina all'interno di un antico casale ristrutturato del Trecento, appena fuori dal centro abitato in direzione Bagno a Ripoli, diventando meta prediletta di buongustai e appassionati dell'enogastronomia di qualità. Il menu è di stampo tradizionale, e sono le pizze rosse a farla da padrone, grazie a una salsa al pomodoro dal gusto unico, dalla Napoli con acciughe del Cantabrico alla Marinara con i Purpetielli, che rende omaggio allo chef e amico Daniele Pescatore. Imperdibile, poi, un assaggio di pizza fritta e panuozzo. Ottima anche la carta dei vini, con nomi italiani e internazionali, Champagne compresi.

 

Le follie di Romualdo

Le Follie di Romualdo | Firenze | viale Europa, 4 | tel. 05 56802482 | www.lefolliediromualdo.it

Giotto – Firenze (Tre Spicchi)

Le origini ischitane non deludono: la pizza di Marco Manzi è di chiara appartenenza partenopea, con cornicione gonfio e disco sottile, un impasto ad alta idratazione ottenuto con farine non raffinate e lievito madre solido. Dopo aver trascorso 5 anni a fianco dello chef Kotaro Noda a Roma come pasticcere, nel 2012 il pizzaiolo è tornato a Ischia per aprire una pizzeria da asporto. Un anno fa, il trasferimento a Firenze, con l'inaugurazione di Giotto, pizzeria fuori dal tumulto cittadino, dove Marco esprime tutto il suo estro. La sua passione per l'alta cucina si rivela nelle serate con gli chef, durante le quali nascono le “Pizze Stellate”, come la Est e Ovest, pensata con l'amico Kotaro Noda, con impasto alla curcuma e condita con crema di cavolo nero, provola di bufala, salame di cinta senese, foglie di cavolo croccante, parmigiano reggiano, basilico e olio extravergine d'oliva. In cucina, la mamma Maria e la fidanzata Jacklyn, intente a preparare piatti della tradizione ischitana.

 

Giotto

Giotto | Firenze | via F. Veracini, 22a | tel. 05 5332332 | www.pizzeriagiotto.it

Santarpia – Firenze (Tre Spicchi)

In principio fu Palazzo Pretorio a San Donato in Poggio, nel Chianti fiorentino, ristorante di pesce con pizzeria annessa aperto nel 2006. Nove anni dopo è stata la volta di Santarpia, pizzeria napoletana nel cuore di Firenze, ultima creatura di Giovanni Santarpia, mastro pizzaiolo che ha portato in Toscana il gusto dei sapori campani. A fare la parte del leone è la pizza fritta, disponibile nella versione classica oppure nella variante con lampredotto e salsa verde. Il menu cambia di continuo, assecondando il ritmo delle stagioni, dalla bianca con crema di asparagi, asparagi, gamberi, fiordilatte, spolverata di conciato romano e olio aromatizzato al limone a quella con fave, fiordilatte, pecorino fresco e pancetta. Non mancano, poi, le tradizionali Marinara e Margherita, entrambe anche in versione gialla, e una selezione di pizze senza glutine affidate a Simone Bonechi, da sempre braccio destro di Giovanni.

 

Santarpia

Santarpia | Firenze | largo P. Annigoni, 9c | tel. 05 5245829 | www.santarpia.biz

Lo Spela – Greve in Chianti (FI) (Tre Spicchi)

Ha iniziato come dipendente, per poi prendere il timone de Lo Spela nel 2000: dopo il percorso formativo all'Università della Pizza, Paolo Pannacci ha iniziato uno studio approfondito su farine, impasti, lievitazione e materie prime. Farine semintegrali di tipo 1 macinate a pietra per le pizze classiche, e poi canapa, farro e integrali per le gourmet. Il menu è ampio e articolato, fra calzoni e pizze ripiene, classiche e Antica Tradizione, come la Margherita e la Napoli. Nel percorso degustazione, da non perdere la focaccia cotta a vapore, con burrata pugliese e prosciutto crudo toscano, sapori ricchi che si amalgamano su una base con semi e cereali, impreziosita da una riduzione di vino Chianti. Spazio anche all'offerta vegetariana, con pizza di farina di canapa condita con ricotta di capra e verdure di stagione, e poi la Marinara con impasto integrale guarnita con triplo aglio. Per i più curiosi le pizze “Limited Edition”, creazioni originali che racchiudono il condimento all'interno.

 

Lo Spela

Lo Spela | Greve in Chianti (FI) | via Poneta, 44 | tel. 05 5850787 | www.lospela.it

Pizzeria del Caffè Italiano – Firenze (Due Spicchi)

Marinara, Margherita, Napoli. Non ci sono altre opzioni nel menù della pizzeria annessa alla storica Osteria del Caffè Italiano della famiglia Montano. Il pizzaiolo, Vincenzo D’Anetra, ha fatto della pizza verace napoletana il suo marchio di fabbrica, con un impasto ben lievitato e steso a mano, pomodori San Marzano e fiordilatte campano. Il suo cavallo di battaglia è la Marinara verace, condita sapientemente in perfetto stile partenopeo. Pizze classiche dal sapore autentico, da accompagnare a una selezione di birre artigianali e una carta dei vini ampia e ben fornita.

 

Pizzeria del Caffè Italiano

Pizzeria del Caffè italiano | Firenze | via Isole delle Stinche, 19r | tel. 055289368 | www.caffeitaliano.it

Al Fresco – Firenze (Due Spicchi)

Una pizzeria all’interno di un hotel di lusso: l'ha voluta lo chef Vito Mollica - resident al Four Season Hotel e responsabile di tutta l'offerta gastronomica dell'albergo - che ha deciso di inserire la pizza nel menu della trattoria Al Fresco. L’ambiente raffinato e il servizio di qualità contribuiscono a rendere ancora più speciale l’esperienza gastronomica, incentrata sulle pizze tonde di Marco Corona. L’impasto è a base di farine biologiche piemontesi e toscane macinate a pietra, a cui viene aggiunta quella di riso. La lunga maturazione è un passaggio fondamentale, come l'attenzione alla cottura e alle farciture. Ci sono le classiche Marinara, Margherita, Napoli, ma anche tante varianti stagionali, come quella con asparagi, fiori di zucca, stracchino e blu di capra. La specialità della casa è la Cipolla di Certaldo, con cipolla toscana, peperoni piquillo, cacioricotta e borzillo lucano (omaggio alle origini dello chef).

 

Al Fresco

Al Fresco | Firenze | b.go Pinti, 99 | tel. 05 52626401 | www.fourseasons.com/it/florence

Fuoco matto - Firenze (Due Spicchi)

La pizza è in stile napoletano, di quelle da piegare a libretto e con il cornicione alto e rigonfio, con due diverse opzioni per l’impasto: tradizionale e semintegrale. Ma Fuoco Matto è un locale poliedrico, con un’offerta a 360 gradi che spazia dalla pizza alla cucina, con un’attenzione particolare al grill e una buona selezione di birre artigianali e vini del territorio. Si comincia dagli antipasti, con un tagliere di prosciutti italiani e spagnoli di prima scelta, accompagnati da pecorino, zizzona e burrata. Per la pizza, qui vince il gusto della tradizione, con Marinara e Margherita gustose e di buona fattura. Ma ci sono anche altre proposte, per esempio la Matta con fiordilatte, filetti di San Marzano, porri, spolverata di parmigiano, basilico, olio extravergine di oliva e semi di papavero. Fra le più richieste anche la Positano, con provola affumicata, fiordilatte, ‘nduja di suino nero, fiori di zucca, filetti di San Marzano, olio extravergine d’oliva e basilico.

 

Fuoco Matto

Fuoco Matto | Firenze | via XXVII aprile, 16 | tel. 05 5495140 | www.fuocomatto.it

Fratelli Cuore – Firenze (Due Spicchi)

I fratelli Cuore, al secolo Caprarella, non hanno solo recuperato un angolo buio della stazione di Santa Maria Novella, ma sono riusciti a offrire un servizio di qualità 24 ore su 24 con un menu ampio e dinamico, che parla di cucina italiana e toscana: dai primi di Mamma Cuore (crema di cipolle, ribollita, parmigiana) alla pizza cotta nel forno a legna, dalla carbonara all'hamburger di chianina preparata sulla griglia a carbone. La pizza dall’impasto soffice e digeribile è di stampo partenopeo, disponibile in poche e semplici varianti: Margherita, Napoli, parmigiana, cui si aggiungono gattò e calzone fritto. Il locale è riuscito a restituire dignità alla stazione fiorentina, con interni dai colori caldi e mediterranei, e un dehors esterno affacciato sulla lama di scale che taglia un lato della piazza.

 

Fratelli Cuore

Fratelli Cuore | Firenze | p.zza Stazione c/o Stazione di Santa Maria Novella | tel. 05 52670264 | www.fratellicuore.it

Berberè – Firenze (Due Spicchi)

Milano, Torino, Roma, Bologna, Castel Maggiore,  Londra. Non si ferma il successo dei fratelli Salvatore e Matteo Aloe, imprenditori della ristorazione che in pochi anni hanno moltiplicato le loro insegne in Italia e fuori, riuscendo a mantenere sempre alto lo standard di qualità. A Firenze il locale dove è possibile gustare le famose pizze a degustazione nate dalla creatività dei due fratelli si trova nel quartiere di San Frediano. L’impasto classico a lunga lievitazione è a base di farina semintegrale macinata a pietra, ma ci sono anche versioni speciali con farro, Enkir o altri cereali. Tante le ricette gourmet elaborate per farcire la base, con proposte come capperi di Salina, pomodoro fiaschetto di Torre Guaceto, fiordilatte, origano, basilico e pepe, oppure coppa estiva di mora romagnola, fiordilatte, stracciatella e olio all’arancia. Birre artigianali italiane e straniere, vini biologici e biodinamici completano l’offerta insieme alle pucce ripiene e altri cicchetti sfiziosi.

 

Berberè

Berberè | Firenze | p.zza de’ Nerli, 1 | tel. 05 52382946 | www.berberepizza.it

a cura di Michela Becchi

Pizzerie d’Italia del Gambero Rosso 2018 | pp 384 | euro 8,90 | La guida è acquistabile in edicola, libreria e on line

Guida Pizzerie d'Italia 2018 del Gambero Rosso. Elenco dei migliori e dei premiati

Le 6 migliori pizzerie di Caserta e dintorni

 

Viaggio a tappe alla scoperta della Tuscia non solo gastronomica

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Natura, storia e gastronomia. Alla scoperta della Tuscia viterbese per approfondire i legami tra un passato remoto risalente alla presenza degli Etruschi e la vita gastronomica odierna.

In questa terra ricca di storia, calpestata da genti che hanno lasciato tracce ancora oggi visibili, si percorrono antiche vie che legano borghi e bellezze naturali, con paesaggi sinceri stretti tra pianure e alture, coccolati dal fruscio del grano, circondati da chiese, castelli, da campi di girasole e boschi vergini. È proprio percorrendo i territori della Tuscia che si scoprono tradizioni culinarie ancora intatte, trasmesse nel tempo attraverso una sorta di rituale della memoria. Questo è stato possibile dal ritmo gastronomico generato da una popolazione, quella etrusca, che già 2500 anni fa metteva il cibo al centro della vita. I romani li definivano “schiavi del ventre”, il poeta Catullo racconta dell’etruscus obesus, da non associare alla moderna dimensione del superfluo, ma a uno status di ricchezza e potere.

A far da collante narrativo e gastronomico è sicuramente il rito del cibo perpetuato nel tempo, spesso in forma inconsapevole dalle popolazioni che si sono susseguite in queste terre; a tal proposito risultano pregnanti le parole dell’antropologo Ernesto de Martino: “l’ovvietà di una patria che racchiude una infinita storia di atti di domesticazione umana, di progetti comunitari impliciti, sedimentati attraverso le generazioni e la tradizione, e che dal più remoto passato umano giungono sino a noi”. Così siamo andati a rintracciare le impronte di una storia (anche) gastronomica nei paesaggi della Tuscia viterbese.

Ncropoli di TarquiniaLa necropoli di Tarquina

Tarquinia: la città dei morti

Tarquinia è la più grande città della Lega Etrusca, dove il rapporto tra uomo e cibo è perfettamente raccontato nelle necropoli conservate sotto grandi tumoli di terra, con pitture parietali e corredi funerari integri. I rinvenimenti nelle tombe monumentali, definiti come “la prima pagina della grande pittura italiana”, sono stati inseriti nel Word Heritage dell’Unesco nel 2004: si stimano più di 6.000 tombe sotterranee lungo l’ampio colle dei Monterozzi. Queste raffigurazioni rappresentano un prezioso strumento di documentazione e sono ben visibili nella tomba dei Leopardi, la meglio conservata fino ai giorni nostri, dove immagini dai colori intatti illustrano foglie di ulivo (l’olio era importantissimo per la cultura etrusca), uomini intenti a banchettare con del vino sul klinai, alcuni animali sacri e un uovo, con il suo carico simbolico di fertilità e totalità, purezza e pienezza. Si andava dunque oltre il semplice nutrimento, il cibo “immortalato” era allo stesso tempo dono e status, convivio e festa. Questo straordinario patrimonio di conoscenze può esser approfondito nel museo archeologico nazionale di Tarquinia all’interno dello stupendo palazzo Vitelleschi.

 

Lago del Pellicone Parco di VulciLago del Pellicone Parco di Vulci

 

Vulci, tra natura e storia

Un'altra tappa dell’itinerario che testimonia la presenza e l’essenza della popolazione etrusca, si trova nel parco naturalistico archeologico di Vulci: qui si possono intraprendere due percorsi di archeo trekking, uno da 2,5 km e l’altro da 3,5 km, ed è consentito l’accesso con cavalli o mountain-bike. In questa area si fondono natura e storia, immersi nel verde incontaminato della maremma tosco-laziale, tra strade con vecchi sanpietrini e residui (anche culturali) di un centro abitato che rivive attraverso i suoi resti.

Parco di Vulci

Parco di Vulci

Ci si addentra sorpassando l’antico acquedotto etrusco. L’acqua era considerata, oltre che un elemento fondamentale per l'uomo e per la coltivazione di cereali e prodotti della terra, un principio sacro che garantiva fertilità e leniva fatiche di corpo e mente (ricordiamo il complesso termale di Vulci immerso nella Maremma).

Emblematica per comprendere quanto sia radicata in questa terra la coltivazione di olivi e uve, la Domus del Criptoportico, una dimora aristocratica, chiamata così per il portico coperto sotto la struttura a pianta rettangolare: è un lungo corridoio con 18 piccole finestrelle, dove venivano stipate e conservate, in un ambiente microclimatico perfetto, vino e olio. A rinsaldare il legame con la storia di questo territorio è la presenza di mandrie di vacche maremmane che ancora popolano l'area. Si tratta di una razza antichissima allevata un tempo dagli Etruschi: veniva utilizzata soprattutto per il lavoro fisico e simboleggiava forza, abbondanza e generosità.

Castello_della_BadiaIl Castello della Badia

Vale la fatica pure il tratto successivo verso il Castello della Badia, con il suo magnifico ponte del Diavolo in pietra a schiena d’asino, chiamato in questo modo perché solo il Demonio poteva realizzarlo così alto e con una luce così ampia. All’interno del castello vi è il museo archeologico nazionale con ulteriori testimonianze, anche interattive, della società etrusca.

 

Canino: la strada dell’olio si congiunge alla storia dell’olio

Per arrivare a Canino bisogna attraversare strade fiancheggiate da boschi di olivi, con piante secolari che rubano la vista e raccontano il carattere di questo territorio, la cui storia è indissolubilmente legata al passato attraverso un filo verde. Le Dop Tuscia e Canino definiscono zona, varietà e modalità di produzione dei due oli locali. Prodotti identitari di quest'area: la capacità di interpretare al meglio l’eredità di conoscenze legate all'olivocoltura fecondate dalla popolazione etrusca si è tradotta, oggi, in un itinerario denominato Strada dell’Olio Dop di Canino, un tracciato lungo il quale scoprire risorse non solo gastronomiche, ma culturali e archeologiche.

Va ricordato il ruolo fondamentale degli Etruschi nel generare una cultura dell’olio, tratto distintivo dell’identità mediterranea - in contrapposizione a quella più nordica del burro - che ha attuato un rapporto intimo dell’uomo con il suo ambiente di riferimento. Secondo il gastrosofo Sergio Grasso sono stati gli Etruschi i primi a definire con rigore “scientifico” la coltivazione dell’ulivo, acquisendo le tecniche di potatura dai Greci e ampliandone il commercio. A corroborare l’importanza rivestita da questo prodotto nella società etrusca è il rinvenimento nei corredi tombali di vasi contenenti unguenti profumati e oli di uso alimentare.

MaremmanaMaremmana

Cosa si mangia oggi nell’Etruria meridionale?

Nella cucina locale si ritrovano espressioni gastronomiche che rivendicano la loro portata storica; preparazioni che oltre al loro valore gastronomico, si pongono come manifesto delle etno-diversità e della storia locale. Tra le ricette prolificamente conservate e giunte fino a noi, capaci di erigere un ponte generazionale secolare e di connettere il gusto d’un tempo con quello d’oggi un posto di primo piano lo occupa l’acquacotta, che preserva e racchiude sapori rustici e autentici. Si prepara con ingredienti locali: cicoria selvatica, mentuccia (pimpinella), patate, pane raffermo, olio extra vergine di oliva, aglio e peperoncino. Tra le altre ricette tipiche ancora in vita il miele fritto, la terrina di uova e cipolle e la favata.

Anche il paneappartiene in toto alla cultura gastronomica del territorio, alla base dell'alimentazione e della socialità: fino alla metà del Novecento veniva cotto nei forni a legna pubblici, oggi praticamente scomparsi. Tipico di questa zona è il pane casereccio, disponibile in due versioni.È prodotto con ingredienti semplici (farina di grano tenero, lievito naturale e pochissimo sale), di forma rotonda o allungata e appiattita, con mollica compatta e morbida. Cambia la sostanza ma non la forma nel pane giallo casereccio, realizzato da un mix di farina di grano duro e tenero, ha colore giallognolo e sapore più accentuato.

Il pane si accompagnava ai gustosi prodotti della norcineria locale. Il salame cotto di Viterbo è uno dei più importanti e antichi - citato già da Apicio nel I sec a. C. nel ricettario “De re de coquinaria” - realizzato usando grasso di gola suina e pepe nero; ci sono poi la coppa di testa della Tuscia preparata con la testa del maiale (privata di occhi, cervello e naso); la Susianella di Viterbo dalla caratteristica forma a ferro di cavallo, preparata con parti di scarto del maiale (come cuore, fegato, pancreas, pancetta, guanciale) conciati con finocchio selvatico e spezie; la salsiccia di cinghiale della Tuscia, che testimonia la diffusione in questa zona dell'animale, utilizzato principalmente per preparare salsicce di piccole dimensioni, dal sapore rustico e dal colore scuro; il prosciutto di montagna della Tuscia, realizzato da suini allevati allo stato brado nei boschi montani e preparato attraverso un antico metodo artigianale del posto.

Non mancano squisiti formaggi a latte crudo di pecora, il più famoso è – ovviamente - il Pecorino Romano Dop. Ma ci sono anche caciotte miste, fiordilatte della Tuscia, formaggi di bufala e di latte vaccino.

Si chiude con i dolci, preparati (un tempo) soprattutto durante le festività, come le pizze di Pasqua, le castagnole di Carnevale, maccheroni con le noci, biscotti a base di nocciole dei colli Cimini, di castagne e ricotta di pecora. Nel viterbese in occasione delle feste natalizie si prepara il pangiallo, un pane dolce arricchito con frutta secca, scorze di agrumi candite, cioccolaro e miele.

 

Dove mangiare

Agriturismo Poggio Nebbia | Tarquinia (VT) | Loc. Farnesina | tel 0766841268 | www.poggionebbia.it

Agriturismo Valentini | Tuscania (Vt) | tel 3357571420 - 3392715113 | www.valentibio.it

Agriristoro Fratelli Pira | Ischia di Castro (Vt) | Località le Chiuse | www.caseificioagricoloradichino.it

Azienda Agrituristica Terre di Musignano | Canino (VT) | Localita Roggi snc | tel 39 347 37 16 243 www.terredimusignano.com

Pasticceria Belle Hélène | Tarquinia (vt) | via G. Garibaldi, 12 | tel 0766 196387

 

Aziende che certificano Dop Tuscia e Canino

 

Colli Etruschi | Blera (VT) | via degli Ulivi, 2 | tel. 0761470469 | www.collietruschi.it

Laura De Parri Cerrosughero | Canino (VT) | loc. Cerrosughero | s.s. 312Km 22,600 | tel. 0761438594

Sergio delle Monache | Vetralla (VT) | s.da prov.le Norchia, 20 | tel 07611768270 | www.oliotamia.com

Coop. Olivicola di Canino | Canino (VT) | via P. Nenni, 1 | tel 0761438095 | www.olivicolacanino.it

Sciuga il Molino | Viterbo |  loc. Commenda | s.da prov.le Verentana km 9 | tel 3356740756 | www.oliodelmolino.it

 

 

 

a cura di Alessandro Ditommaso

 

 

Cultural Matera 2017. Tra i Sassi il futuro del cibo con 40 grandi chef

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Seconda edizione italiana per il festival gastronomico che vuole valorizzare la cultura alimentare tricolore nel mondo, ma dall'anno scorso ha scelto di calcare pure un palcoscenico nazionale. Alla riscoperta delle proprie radici, e ora proiettato verso il futuro del cibo. Con la partecipazione di 40 chef e moltissimi produttori made in Italy. Il programma e i protagonisti. 

Il ritorno a Matera

Quaranta chef e una cinquantina di produttori tra i Sassi di Matera, per la seconda edizione italiana di Cultural. Il festival gastronomico - nato a Parigi nel 2014 per merito di Mauro Bochicchio, con l'idea di valorizzare la cultura alimentare tricolore nel mondo - ritrova ancora una volta la strada di casa, e torna a raccontare le potenzialità gastronomiche della Penisola e dei suoi protagonisti dal palco privilegiato, e caloroso, del Mezzogiorno. Matera e l'accoglienza del Sud, dopo il fortunato esordio di un anno fa, per parlare del futuro del cibo, tema dell'edizione 2017, ospiti negli spazi dell'ex convento Le Monacelle. Sancita l'importanza di riappropriarsi delle proprie radici (leit motiv della kermesse 2016), stavolta il filo conduttore è quello che guida dalle basi della cultura contadina agli esiti più moderni della cucina contemporanea, per riflettere sugli stimoli che porteranno al futuro della ristorazione, e del sistema alimentare tout court.

 

Il futuro del cibo

La vastità del tema giustifica lo spiegamento di forze, mai numerose come quest'anno, che animeranno talk, atelier, tavole rotonde, laboratori, degustazioni di vino (nella cappella sconsacrata di Palazzo Gattini), attività per bambini, e una speciale sezione dedicata alla pizza, con i maestri pizzaioli d'Italia a giocare da mattatori. Per gli chef coinvolti, invece, il divertimento comincia con le special dinner in calendario a latere delle tre giornate di lavori, dal 28 al 30 ottobre. Tra gli appuntamenti in programma, anche il focus sulla panificazione, con dimostrazioni tecniche di lavorazione e dibattitti su tecniche di cottura, prodotti, stili, farciture. Le cene off festival, con la collaborazione di tre insegne di Matera, apriranno sabato 28 con il Gran Galà della Pizza Gourmet (5 pizzaioli, montanarine per cominciare e una selezione di birre artigianali in abbinamento), presso Le Monacelle, mentre l'Osteria dei Sassi ospiterà la prima delle special dinner con gli chef. Si replica domenica 29 alla Dimora Ulmo, in compagnia sette nomi noti della ristorazione italiana (Andrea Napolitano, Angelo Sabatelli, Angelo Rumolo, Felice Sgarra, Michele Castelli, Peppe Guida, il mastro gelatiere Simone Bonini. 120 euro il costo della serata); la cena di chiusura, invece, si terrà lunedì 30 all'Osteria San Francesco, in compagnia di Paolo Barrale, Nino Rossi, Gennaro Di Pace, Vitantonio Lombardo, Nicola Batavia, Nicola Morcinelli, Antonio Biafora, Gianfranco Iervolino. Una sessantina, in tutto, gli appuntamenti in calendario, con l'auspicio di attirare in città circa 10mila visitatori, di cui molti addetti ai lavori, ristoratori, buyer, chef.

 

I protagonisti

Lunghissimo l'elenco dei protagonisti sul palco, molti in rappresentanza della ristorazione del Sud:

Andrea Napolitano (Il Bikini, Vico Equense); Andrea Ribaldone (Osteria Arborina, La Morra); Angelo Rumolo (Grotto Pizzeria Castello, Caggiano); Angelo Sabatelli (Ristorante Angelo Sabatelli, Putignano); Antonietta Santoro (Al becco della civetta, Castelmezzano); Antonio Biafora (Hotel Biafora, San Giovanni in Fiore); Antonio Bufi ( Le Giare, Bari); Denny Imbroisi ( Ristorante Ida e Epoca, Parigi); Domingo Schingaro (I due camini, Borgo Egnazia); Fabiana Scarica (Villa Chiara Orto e Cucina, Vico Equense); Felice Sgarra (Umami, Andria); Gennaro Battiloro (Associazione verace pizza napoletana); Gennaro Di Pace (Osteria Porta del Vaglio, Saracena); Gianfranco Iervolino (Morsi & Rimorsi, Aversa); Giulio Terrinoni (Per Me Giulio Terrinoni, Roma); Julien Serri (Nonna Lucia, Francia); Leonardo Lacatena (Osteria dei Sassi, Matera); Luca Abbruzzino (ristorante Antonio Abbruzzino a Santo Janni, Catanzaro); Luigi Acciaio (pizzeria Com’era è, Moncalieri); Marco Marinelli (free lance); Michele Rotondo (Masseria Petrino, Palagianello ); Nicola Batavia (Il Birichin, Torino); Nino Rossi (Qafiz, Santa Cristina di Aspromonte); Paolo Barrale (Marennà, Sorbo Serpico); Peppe Guida (Antica Osteria Nonna Rosa, Vico Equense); Peppe Zullo (ristorante Peppe Zullo, Orsara di Puglia); Pier Daniele Seu (Mercato Centrale Roma, Roma); Pietro Zito (ristorante Antichi sapori, Montegrosso di Andria); Salvatore Gatta (Fandango, Scalera); Simone Bonini (Carapina, Firenze); Valentino Tafuri (Tre Voglie, Battipaglia); Vanni Mauro (Capperi che Pizza, Milano) Vitantonio Lombardo (Locanda Severino, Caggiano).

 

L'ingresso è gratuito, ma la prenotazione (online) obbligatoria.

 

Cultural | Matera | dal 28 al 30 ottobre 2017 | www.culturalfestival.eu

 

a cura di Livia Montagnoli

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