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L'olio a Gourmet Food Festival. Degustazioni guidate e un bar dedicato

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Sono molte le parole che si possono usare quando si parla di olio extravergine di oliva, e altrettante le nozioni da sapere. A Gourmet Food Festival cercheremo di fare chiarezza. 

Prenotati a L'arte dell'assaggio. L'olio extravergine di oliva sabato 18 novembre dalle 10.30 alle 11.30 

 

Fruttato, strippaggio, amaro, piccante, acidità… Sono alcune delle parole che si usano quando si parla di olio. Impiegarle nel modo più corretto mentre si assaggia un extravergine non è un’operazione che possono fare solo gli assaggiatori più esperti, ma è qualcosa di approcciabile anche dal grande pubblico, come lo è la comprensione di questo prodotto fondamentale nella nostra alimentazione. In un periodo come quello che stiamo vivendo, poi, in cui si discute sempre più di materia prima e di qualità, e in cui gli amanti dell’extravergine di pregio stanno crescendo, diventa necessario avvicinarsi con serietà al nostro oro verde e apprendere le nozioni basilari per riconoscerne il valore. L’Olive Oil Bar di Gourmet Food Festival al Lingotto di Torino sarà l’occasione giusta per capirci qualcosa di più e assaggiare il meglio della produzione italiana.

Come scegliere un extravergine

Grazie ai professionisti che di questo settore hanno fatto la loro ragione di vita, e sempre di più anche ad alcuni chef illuminati, il grande pubblico sta cominciando a capire che la scelta dell’olio (o meglio ancora degli oli) non è una cosa secondaria, ma un momento cruciale per la cucina, anche quella domestica. Ma come trovare quello giusto? Il primo passo, prima ancora che saper come selezionare un fruttato intenso o uno più delicato, è apprendere la tecnica dell’assaggio, che consente di individuare i pregi intrinseci che un buon extravergine possiede.

Il passaggio successivo è effettuare una analisi comparativa, in modo da individuare quale prodotto va maggiormente incontro al proprio gusto, e qual è il giusto abbinamento con i piatti. Quest’ultimo aspetto si avvale di un metodo non dissimile a quello usato nel food and wine pairing: ogni pietanza chiede un accostamento con oli con determinate caratteristiche che legano, per assonanza o contrasto, in prima battuta con l’ingrediente base della ricetta.

Ma si può apprendere tutto ciò in un semplice incontro all’interno di una fiera? La risposta è sì. Certo non si diventa professionisti del settore in poche ore, ma l’esperienza di Gourmet Expo Forum dello scorso anno (edizione riservata agli addetti ai lavori del mondo della gastronomia) ha consentito di tracciare una via per avvicinare gli utenti e sollecitare una maggiore sensibilità nei confronti di questo alimento così importante per la cucina italiana, per troppo tempo passato in secondo piano.

L’annata 2017/2018

Quella che ci troviamo ad affrontare quest’anno è una campagna olearia sicuramente migliore della precedente, ma che ha posto gli olivicoltori italiani davanti a una serie di problematiche. Scampato, fortunatamente, il rischio di attacchi di mosca delle scorse annate, in molte zone si è dovuto però affrontare il problema della siccità, che ha spinto (e sta tuttora spingendo) sempre più produttori a optare per sistemi di irrigazione che a lungo andare potrebbero rivelarsi provvidenziali, soprattutto se le prospettive climatiche rimanessero simili a quelle dell’estate appena trascorsa.

Parliamo di un’annata con una produzione a macchia di leopardo e con differenze quantitative importanti anche a distanza di pochi chilometri da un uliveto all’altro, come conseguenza delle differenze microclimatiche che insistono nelle nostre regioni e che quest’anno hanno pesato in modo rilevante. Parlando di numeri, le previsioni per questa annata si attestano intorno alle 250.000 tonnellate di olio prodotto, ma in questo periodo di inizio campagna olearia si parla di quantità approssimative che possono variare nel corso dei prossimi mesi.

Come dicevamo la sostanziale assenza di mosca olearia ci consegnerà un prodotto qualitativamente migliore rispetto agli anni passati e l’unica cosa alla quale i produttori dovranno prestare attenzione è la lavorazione, per cercare di attenuare i sentori più legnosi che possono scaturire da drupe che hanno subito eccessivamente il calore estivo.

L’extravergine tra edonismo e salute

La scelta di replicare l’esperienza di uno spazio come l’Olive Oil Bar, all'interno di Gourmet Food Festival al Lingotto di Torino, è dettata dall'esigenza di mantenere viva l’attenzione su un mondo che ogni anno vede crescere numeri e investimenti sia per quanto riguarda la produzione di oro verde sia per quanto riguarda la ricerca tecnologica e quella medico-scientifica. Infatti quello che noi italiani (così come tutti i popoli del Mediterraneo) abbiamo sempre considerato come un semplice condimento, è un ingrediente indispensabile per chiunque voglia vivere anche una piccola esperienza edonistica da buongustaio, ma soprattutto si è rivelato come una potente fonte di antiossidanti in grado di prevenire alcune forme tumorali tra le più diffuse del nostro tempo.

Per questo, mai come in questo periodo, è importante non abbassare la guardia sulla comunicazione e, in generale, su qualsiasi forma di valorizzazione dell’extravergine italiano di qualità, anche per evitare fenomeni di cattiva informazione sempre in agguato quando si parla di materie prime oggetto di una decisa crescita di attenzione rispetto al passato.

Senza contare che gli italiani, in fatto comprensione del prodotto e di interesse per le differenze in termini di sapore e caratteristiche organolettiche dell’olio di oliva, dovrebbero essere i leader mondiali in quanto nella nostra Penisola insistono 1/3 delle varietà presenti in tutto il mondo (circa 500 su 1.500 totali). Un tesoro ancora non del tutto valorizzato: fino a ora abbiamo viaggiato su una Ferrari con il motore di una Panda, ma ora abbiamo strumenti e possibilità per aggiungere potenza a questo incredibile motore.

L’Olive Oil Bar e l’apertura al pubblico

L’esperienza dell’edizione 2016, dove l’ingresso era riservato ai soli addetti al settore, ha permesso di capire tutte le potenzialità di uno spazio di approfondimento e degustazione legato esclusivamente all’olio di oliva di qualità. Il risultato finale è stato più che incoraggiante: in soli 3 giorni centinaia di professionisti si sono avvicinati al mondo dell’extravergine, manifestando interesse per le molte varietà, curiosità per i diversi impieghi in cucina, ma soprattutto voglia di capire in profondità il valore di questo prodotto. La sfida di quest’anno è di proporre lo stesso format coinvolgendo il grande pubblico che fino a oggi (nonostante la crescente attenzione) tende soprattutto a comprare nella grande distribuzione senza prendere in considerazione l’acquisto direttamente dal produttore, nelle oleoteche o sui siti web specializzati. Perché le persone non usano questi canali di acquisto? Molto probabilmente perché non conoscono davvero l'extravergine, e non hanno idea del livello dei prodotti che vengono venduti in questi canali, ma soprattutto perché non si rendono conto degli innumerevoli vantaggi in piacere e salute che andrebbero a guadagnare. L’obiettivo dell’Olive Oil Bar è proprio questo: sensibilizzare, degustare, far conoscere.

 

Le degustazioni e gli assaggi guidati verranno seguiti da Indra Galbo, vice curatore della guida Oli d’Italia.

Gourmet Food Festival | Torino | Lingotto Fiere, via Nizza, 294 | dal 17 al 19 novembre 2017, venerdì dalle 17 alle 23, sabato dalle 10 alle 23, domenica dalle 10 alle 20 | www.gourmetfoodfestival.it

Per info sugli altri appuntamenti: http://www.gamberorosso.it/it/gourmet-food-festival

 

 

 


La crisi di Melegatti. Senza accordo lo storico pandoro veronese salterà il Natale

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L'allarme è conclamato da un paio di settimane, proprio quando la produzione dovrebbe entrare nel vivo, in vista delle feste natalizie. Ma l'origine della crisi risiede nell'investimento poco oculato che ha portato all'apertura di un nuovo stabilimento, lo scorso febbraio. E la faida tra azionisti non aiuta. Intanto i lavoratori sono a casa, e la storica ditta dolciaria rischia il fallimento. 

Il pandoro Melegatti. Le origini

Il Pandoro Originale dal 1894, recita lo slogan di casa Melegatti. E le foto d'epoca dell'album di famiglia non fanno che confermare la longevità di un'attività che ha attraversato la storia dell'industria dolciaria italiana, dal primo brevetto ricevuto da Domenico Melegatti per aver inventato il nome, la forma e la ricetta del pandoro (era il 14 ottobre 1894) all'internazionalizzazione della produzione. Di fatto, il guizzo del fondatore del laboratorio veneto, all'epoca, fu quello di reinventare una tradizione veronese legata alla vigilia di Natale, quando le donne si riunivano per impastare insieme il cosiddetto “levà”: farina, latte e lievito, che l'intuizione di Melegatti arricchiva con burro e uova. Dieci ore di lievitazione, ed ecco pronto “il pan de oro”, come la leggenda vuole fosse additato con sorpresa da un garzone di bottega, davanti alla prima fetta illuminata da un raggio di sole. Licenze poetiche sfumate dal tempo, e molto marginali nei giorni in cui, sui due stabilimenti di Verona imperversa la tempesta; la crisi aziendale, per dir la verità, è affare ben più prolungato nel tempo, ma nell'ultimo anno la situazione si è ulteriormente aggravata, fino all'allarme lanciato dagli operai di Melegatti qualche giorno fa, dopo molte settimane senza stipendio.

 

La crisi dell'azienda

Il bilancio delle “vittime” parla di 90 lavoratori in cassa integrazione dallo scorso 5 ottobre, e il rischio che la produzione si interrompa proprio nel periodo più importante dell'anno per un'azienda che produce pandori è alto. Ecco spiegati i titoli allarmanti degli ultimi giorni, che paventano un Natale senza pandoro Melegatti. Fuor di allarmismo, comunque, la situazione resta preoccupante. Specie considerando la storicità del marchio. Solo all'inizio del 2017 Melegatti inaugurava un nuovo stabilimento a San Martino Buon Albergo, deputato alla produzione di croissant, eppure all'inizio dell'autunno il bilancio della ditta dolciaria parla chiaro: arretrati non pagati, bollette inevase, stop forzato della produzione, lavoratori stagionali (quasi trecento) lasciati a casa. E dipendenti costretti a ritrovarsi in prefettura, per reclamare quanto gli spetta. Proprio l'apertura del nuovo stabilimento, affrontata forse con leggerezza, potrebbe essere causa della situazione attuale: per saldare i debiti (10 milioni di investimento, a fronte di un fatturato annuale di 70 milioni), infatti, la proprietà è stata costretta, negli ultimi mesi, a rinviare i pagamenti di dipendenti e fornitori delle materie prime. Il passo verso la chiusura per fallimento potrebbe essere brevissimo.

 

Scontro ai vertici. Come salvare Melegatti?

E i sindacati già auspicano l'arrivo di un nuovo acquirente, o di un finanziatore, che risollevi le sorti aziendali. Mentre l'assenza al tavolo delle trattative dell'attuale presidente di Melegatti, Emanuela Perazzoli, fa propendere per l'approdo della vicenda in Parlamento, perché il governo possa intervenire su una questione di rilievo nazionale: nella provincia di Verona, anche grazie a Melegatti, il settore dei dolci da ricorrenza vale quasi un miliardo di euro, e dà lavoro a molte famiglie. Una soluzione, però, potrebbe esistere già all'interno dell'azienda: Michele Turco, azionista di minoranza di Melegatti, si è detto pronto a un aumento di capitale, che salverebbe la ditta, la produzione e i lavoratori. Ora si attende il consenso degli azionisti di maggioranza - la famiglia Ronca - finora ostili, pure per incomprensioni che oppongono le due famiglie da decenni. Lo scontro definitivo, in occasione del prossimo consiglio d'amministrazione, è fissato per il 30 ottobre. Poi, forse, sapremo se il pandoro Melegatti arriverà in tavola il prossimo Natale.

 

a cura di Livia Montagnoli

A Torino nasce il ristorante solidale di Just Eat. Il food delivery contro lo spreco alimentare

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Anche Just Eat, colosso delle consegne a domicilio, si impegna nella lotta allo spreco. E lo fa riunendo una serie di ristoranti che hanno scelto di ridistribuire le eccedenze alimentari e trasformare gli avanzi in pietanze gourmet. A Torino arriva il Ristorante Solidale.

Just Eat

Continua a far parlare di sé Just Eat, piattaforma leder nella consegna a domicilio presente in Italia dal 2011, che ha intrapreso un piano di espansione che sembra inarrestabile. Dal lancio di UberEats, servizio di consegne a domicilio per chi non può o non vuole recarsi al ristorante nato in collaborazione con il colosso dei trasporti californiano Uberal Food Tech Accelerator, acceleratore di start up del settore food, all'entrata in borsa a Londra: Just Eat è costantemente al centro della scena del food tech contemporaneo. Con progetti innovativi, idee originali e mosse commerciali scaltre, che consentono all'azienda di crescere di anno in anno e ampliare il proprio raggio d'azione, che attualmente conta un giro di affari di 17.4 milioni di utenti e oltre 68.500 ristoranti partner.

Il progetto

E ora è il momento del Ristorante Solidale, progetto di food delivery già anticipato alla fine del 2016, impegnato nella lotta allo spreco alimentare attraverso la ridistribuzione di eccedenze alimentari presso le comunità più disagiate. Realizzato in collaborazione con i suoi Ristoranti Partner, Ponyzero, società di servizi specializzata nella distribuzione urbana ecologica, e Patrocinato dalla Città di Torino con il supporto di Caritas Diocesana, l'organismo pastorale della Diocesi di Torino, il Ristorante Solidale è stato presentato ufficialmente lo scorso 12 ottobre, nella sede istituzionale di Palazzo Civico. Partita a Milano con la prima consegna lo scorso febbraio, l'iniziativa si propone di continuare sul territorio torinese la propria missione di sensibilizzazione dei cittadini. “Ristorante Solidale è un’idea che può inserirsi perfettamente nel contesto della nostra città, dato che la perdurante crisi economica ha impoverito le famiglie, impedendo a molti addirittura di mangiare sufficientemente”, ha commentato Alberto Sacco, Assessore al Commercio e Turismo della Città di Torino (che nei giorni scorsi ha rivelato anche l'arrivo del Refettorio di Massimo Bottura in città).“La difficile situazione che stiamo vivendo può almeno aumentare la nostra consapevolezza circa i benefici che i nostri concittadini possono trarre dall’evitare gli sprechi alimentari”.

Gli obiettivi

Con Ristorante Solidale Just Eat mettein comunicazione chi prepara il cibo con chi ne ha più bisogno. L'impegno dei Ristoranti Partner è infatti quello di preparare, per una serie di appuntamenti già fissati, piatti con avanzi di prodotti freschi, pane, alimenti integri non utilizzati, oltre a donazioni dirette cucinate per l’occasione, pronte per essere ritirate con il supporto logistico di Ponyzero.“L’iniziativa proposta da Just Eat si pone come occasione per togliere la povertà dall’angolo buio del disinteresse, per ridonare dignità a chi vive in povertà, per suscitare un interesse non buonistico ma fraterno”, ha spiegato Pierluigi Dovis, Direttore di Caritas Diocesana Torino. E aggiunge:“Le azioni proposte non sono la soluzione del problema alimentare, ma contribuiscono a creare comunità attive e coscienti, cosa che sta nella linea della nostra Costituzione .

I ristoranti

Sono 11 in tutto le realtà che hanno deciso di aderire al progetto: Kombu, m2p pasta & pizza, Piadineria Cuslè, Boccadillo, Rizzelli la vera pasta italiana, Crushi e Crushimi, T-Bone Station, Mister Rooster, Hamburgerie di Eataly, Flower Burger e Taco Bang. Insieme per sostenere le famiglie con piatti di pasta, riso, piadine, hamburger, panini, piatti di carne, verdure e pane. Sono loro i protagonisti dell'iniziativa, “insieme ai quali vogliamo valorizzare il ruolo del cibo nella vita delle persone, rendendo i singoli maggiormente consapevoli della sua importanza”, ha aggiunto DanieleContini, Country Manager di Just Eat in Italia.

La lotta allo spreco

Un progetto innovativo già rodato a Milano, dove sono stati serviti 900 pasti caldi in oltre 286 consegne solidali, “aiutando ogni volta circa 60 persone di 4 comunità”. Numeri positivi, “che ci permettono di guardare con ottimismo al futuro del progetto e alla sua diffusione”. Perché quello della lotta allo spreco è un tema quanto mai attuale: da un’indagine condotta da Just Eat emerge infatti che l’83% dei ristoranti produce un surplus di cibo (26% più di una volta alla settimana e il 50% una volta alla settimana), un trend negativo che evidenzia la necessità di sviluppare azioni concrete per gestire la problematica. Un argomento caro anche al partner del progetto, PonyZero, come ha specificato MarcoActis, Co-founder e CEOdell'azienda: “È untema che avvertiamo come estremamente urgente, secondo i principi di efficienza e sostenibilità. Proprio la parola sostenibilità credo che oggi sia il minimo comun denominatore, in quanto rappresenta un approccio più che un mestiere. Sostenibilità è la strada che riduce gli sprechi e li trasforma in risorse. Il nostro mestiere è percorrerla inquinando il meno possibile e siamo qui per questo a dare il nostro contributo".

www.ristorantesolidale.it/

a cura di Michela Becchi

Cena Tre Forchette 2018. L’appuntamento alle porte, i numeri della nuova edizione di Ristoranti d’Italia

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Aspettando il 23 ottobre, quando sarà l’hotel Sheraton di Roma a ospitare la presentazione della guida del Gambero Rosso dedicata alla migliore ristorazione nazionale, anticipiamo i numeri dell’edizione 2018, ricca di belle novità. Intanto si scaldano i motori per la grande cena “in punta di forchetta” di lunedì sera. Ecco come partecipare. 

Ristoranti d’Italia. Edizione 2018

L’appuntamento con la presentazione della guida Ristoranti d’Italia 2018 si avvicina. Lunedì 23 ottobre, finalmente tutte le ultime novità della ristorazione nazionale saranno protagoniste allo Sheraton Hotel di Roma, dove la cerimonia di premiazione inizierà alle 18, per proseguire, in serata, con una spettacolare cena “in punta di forchetta”, dalle 20.30. Prima però ecco qualche numero dell’edizione 2018, che com’è consuetudine per la guida, presenta una fotografia capillare del panorama gastronomico della Penisola, segnalando gli indirizzi che valgono il viaggio, quelli che raccontano lo stato dell’arte della ristorazione italiana, dalle trattorie storiche alle cucine più moderne, ai guizzi d’autore, alle grandi tavole. Cominciando dalle novità, quest’anno sono 250 i nuovi indirizzi, con oltre 100 pagine in più da sfogliare (ora sono 832) ricche di spunti per mangiare fuori senza farsi cogliere impreparati. E tutti in positivo sono pure i numeri di premiati e protagonisti, con 38 Tre Forchette – quest’anno il computo dei ristoranti più blasonati in guida sale di ben 9 unità – e 25 Tre Gamberi (7 in più dello scorso anno), a premiare l’eccellenza della cucina tradizionale italiana. E poi 11 Tre Bottiglie, 3 Tre boccali, 3 Tre Mappamondi, riconoscimento assegnato ai migliori ristoranti etnici. Premiati anche i bistrot, e quella cucina informale (ma curata e originale) che si presta a ogni momento della giornata, con un approccio moderno e fresco alla ristorazione di qualità: 3 sono le insegne Tre Cocotte che l’edizione 2018 porta in sorte. 22, invece, le tavole segnalate per l’ottimo rapporto qualità/prezzo, e 19 i Premi Speciali assegnati ai protagonisti del settore. Così la guida, che raccoglie ed elabora, tra gli altri, gli stimoli delle guide cittadine presentate nei mesi scorsi (Milano e Roma), offre un valido vademecum per orientarsi su un orizzonte gastronomico sempre più affollato e diversificato, anticipando al tempo stesso le tendenze del prossimo anno, grazie al lavoro di moltissimi collaboratori presenti sul territorio. Quest’anno, in aggiunta, Ristoranti d’Italia presenterà prima di ogni capitolo regionale un focus su Le Grandi Cantine della Regione: una lista agile e facile da consultare, per avere sempre sott’occhio le aziende vinicole che rappresentano il territorio locale.

 

La cena Tre Forchette

Anche la Cena Tre Forchette si conferma un evento da non perdere: dieci grandi cuochi in punta di forchetta, per dieci piatti da scoprire in assoluta libertà, personalizzando il proprio percorso tra le isole allestite da ognuno dei grandi protagonisti della ristorazione italiana chiamato a intervenire. In abbinamento 37 etichette Tre Bicchieri della guida Vini d’Italia (protagonista il giorno prima, domenica 22 ottobre, con la premiazione dell’Auditorium Massimo la mattina, e poi con la grande degustazione, sempre allo Sheraton, dalle 16) e, novità, sei birre artigianali selezionate nella Penisola. La carta di vini e birre è già disponibile sul sito del Gambero Rosso, alla pagina dedicata sullo store della piattaforma online, che consente di acquistare il biglietto per partecipare alla serata (per la prima volta anche alla cerimonia di presentazione, che apre le porte al pubblico pagante). Per scoprire piatti e protagonisti della cena, invece, non resta che partecipare. Ormai manca poco!

 

Acquista la Cena Tre Forchette 2018

I Ristoranti d'Italia 2018 de L'Espresso. La presentazione alla Leopolda, i premiati

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Festeggia 40 anni di storia la guida che L'Espresso dedica alla ristorazione nazionale. Esordio per il riconoscimento dei Cappelli d'Oro, ai “nuovi classici”. Al vertice, con 5 Cappelli, si confermano in cinque: Bottura, Alajmo, Romito, Crippa e Uliassi. Giovane dell'anno Davide Caranchini, di Materia, a Cernobbio. 

I Ristoranti d'Italia de L'Espresso. La quarantesima edizione

40 anni di I Ristoranti d'Italia della guida L'Espresso, e una copertina oro per festeggiarli. L'edizione 2018 è stata presentata stamattina a Firenze, negli spazi della Stazione Leopolda, che da qualche anno, in collaborazione con Pitti Immagine, ospitano il doppio appuntamento con la cerimonia di premiazione de I Ristoranti d'Italia e I Vini d'Italia. Il primo numero, datato 1978, usciva presso l'editore Carlo Caracciolo per raccontare la ristorazione nazionale di allora, quando Gualtiero Marchesi prospettava per la prima volta i benefici della nouvelle cuisine, imprimendo una decisa rivoluzione al modo di fare cucina nei grandi ristoranti d'Italia (conquistando subito il punteggio più alto 17/20, parimerito con Cantarelli, il San Domenico di Imola, La Locanda dell'Angelo di Paracucchi, da Guido della famiglia Alciati). La storia degli anni a seguire è quella di un'evoluzione costante che si affida alla solidità di insegne prestigiose e grandi talenti, come all'esordio di giovani e allievi brillanti. Nel mezzo ci sono l'Enoteca Pinchiorri, l'Antica Osteria del Ponte, Don Alfonso, Il Luogo di Aimo e Nadia, Dal Pescatore, Gianfranco Vissani, Fulvio Pierangelini, e poi i protagonisti della nuova era, Bottura, Uliassi, Oldani, Scabin, Cracco, Alajmo, Beck, Crippa, Romito. Nel frattempo l'assetto della guida cambia: il 2016 vede il riconoscimento del punteggio massimo 20/20 all'Osteria Francescana, il 2017 la rivoluzione dei Cappelli, da 1 a 5, che sostituiscono i punteggi (un anno fa Enzo Vizzari, curatore della guida, ci spiegava le motivazioni della svolta).

 

Cappelli d'Oro, ristoranti in vetta e premi speciali

Il 2018, invece, segna l'esordio dei Cappelli d'Oro, assegnati ai ristoranti cosiddetti “nuovi classici”, quelli che hanno costruito la storia della cucina italiana degli ultimi decenni, in un viaggio tra grandi tavole che spazia da Nord a Sud, 10 in tutto: Caino, Le Colline Ciociare, Dal Pescatore, Don Alfonso, Enoteca Pinchiorri, Lorenzo, Marchesi alla Scala, Miramonti l'Altro, San Domenico, Vissani. Duemila i locali recensiti da oltre 90 collaboratori (700 insegne in guida vantano almeno 1 Cappello), Lombardia in testa, con Milano grande polo catalizzatore, e ampliando l'orizzonte tanto Nord, dal Piemonte al Veneto, oltre alla Campania, che si conferma tra le regioni più prolifiche. Annunciati lo scorso agosto, i premi speciali vanno a Davide Caranchini (Materia, Cernobbio) Giovane dell'anno, Gaia Giordano (Spazio, Milano) Cuoca dell'anno, Osteria Francescana per il Pranzo dell'anno (ma anche per il servizio in sala), Vincenzo Donatiello, uomo di sala da Piazza Duomo, come Maitre dell'anno, Gennaro Battiloro, della pizzeria La Kambusa, premiato per la pizza, Diego Rossi sul palco per Trippa, per il Premio Trattoria, condiviso con Officina del Gusto (Lucca) e Damiani e Rossi (Porto San Giorgio). Tra gli altri premiati, anche L'Osteria Arborina di Andrea Ribaldone e i Bros Floriano Pellegrino e Isabella Potì, per la Performance dell'anno; Il Portico di Paolo Lopriore e Due Camini di Domenico Schingaro come Novità dell'anno; il miglior piatto dell'anno, invece, è quello di Alessandro Dal Degan, della Tana Gourmet di Asiago. Ma la presentazione della Leopolda rivela soprattutto i ristoranti premiati con 5, 4 e 3 Cappelli (132 i 2 Cappelli, 457 le insegne premiate con 1 Cappello). Tutti confermati i nomi in vetta, con il quintetto di testa inalterato. Questo l'elenco:

 

Cinque cappelli:

  • Casadonna Reale Castel di Sangro (AQ)

  • Le Calandre Rubano (PD)

  • Osteria Francescana Modena

  • Piazza Duomo Alba (CN)

  • Uliassi Senigallia (AN)


Quattro Cappelli:

  • Casa Perbellini Verona

  • Da Vittorio Brusaporto (BG)

  • Danì Maison Ischia (NA)

  • Del Cambio Torino

  • Duomo Ragusa Ibla (RG)

  • Hisa Franko Kobarid - Caporetto (Slovenia)

  • Hotel Rome Cavalieri - La Pergola Roma

  • Hotel Rosa Alpina St. Hubertus Badia (BZ)

  • Il Pagliaccio Roma

  • Krèsios Telese Terme (BN)

  • La Madia Licata (AG)

  • La Peca Lonigo (VI)

  • Lido 84 Gardone Riviera (BS)

  • Mandarin Oriental Milan - Seta Milano

  • Taverna Estia Brusciano (NA)

  • Villa Crespi Orta San Giulio (NO)


Tre cappelli

  • Acquerello Fagnano Olona (VA)

  • Agli Amici Udine

  • Antica Corona Reale - Da Renzo Cervere (CN)

  • Antica Osteria Cera Campagna Lupia (VE)

  • Aqua Crua Barbarano Vicentino (VI)

  • Auener Hof Terra Sarentino (BZ)

  • Berton Milano

  • Borgo Egnazia Due Camini Fasano (BR)

  • Borgo Santo Pietro - Meo Modo Chiusdino (SI)

  • Bracali Massa Marittima (GR)

  • Bros Lecce

  • Combal.Zero Rivoli (TO)

  • Contraste Milano

  • Cracco Milano

  • D’O Cornaredo (MI)

  • El Coq - Garibaldi Vicenza

  • Enrico Bartolini - Mudec Milano

  • Grancaffè & Ristorante Quadri Venezia

  • Hotel Cinzia - Christian e Manuel Vercelli

  • Hotel Four Seasons Il Palagio Firenze

  • Hotel Palazzo Avino - Rossellinis Ravello (SA)

  • Hotel Principe - Lux Lucis Forte dei Marmi (LU)

  • Hotel Villa Trieste - Aga San Vito di Cadore (BL)

  • Il Luogo di Aimo e Nadia Milano

  • Inkiostro Parma

  • La Tana Gourmet Asiago (VI)

  • La Trota dal ‘63 Rivodutri (RI)

  • Laite Sappada (BL)

  • L’Argine a Vencò Dolegna del Collio (GO)

  • Lume Milano

  • Madonnina del Pescatore Senigallia (AN)

  • Osteria Arborina La Morra (CN)

  • Paolo & Barbara Sanremo (IM)

  • Pascucci Al Porticciolo Fiumicino (RM)

  • Ristorante Angelo Sabatelli Putignano (BA)

  • Ristorante Perbellini Isola Rizza (VR)

  • San Domenico Palace Hotel - Principe Cerami

  • Taormina (ME)

  • S’Apposentu di Casa Puddu Siddi (VS)

  • Torre del Saracino Vico Equense (NA)

  • Undicesimo Vineria Treviso

  • Villa Feltrinelli Gargnano (BS)

 

a cura di Livia Montagnoli

Trippa. Intervista a Diego Rossi: Così ho conquistato i Tre Gamberi a Milano

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Con quello stile che attinge a piene mani dalle trattorie di una volta, Trippa ha cambiato il panorama della ristorazione milanese. Ecco perché.

Rognoni, coda, fegatini, midollo, pajata. Un menu che gira vorticosamente sulla cucina povera, tra frattaglie, piatti popolari e grandi materie prime. Arredi che paiono usciti direttamente da un'istantanea degli anni '50 che più che vintage si potrebbero chiamare vecchi, ma con quell'allure familiare che fa sentire subito bene. Niente fronzoli, tanta sostanza, altrettanti sorrisi e voglia di divertirsi: una formula magica che ha conquistato Milano, tra curiosità ed entusiasmo. Lo stesso che ha suscitato la partecipazione al mitico Omnivore di Parigi lasciando dietro di sé una lunga scia di brusii ammirati. È Trippa, la trattoria di Diego Rossi e Pietro Caroli. Tre (meritatissimi) Gamberi per la guida di Milano 2018 del Gambero Rosso.

Foto scherzosa di Diego Rossi

 

Siamo una trattoria storica dal 2015” scherza Diego Rossi, ma nel raccontarla in questo modo centra perfettamente l'anima di Trippa, quella sua creatura che ha scosso, in pochi mesi, il panorama della ristorazione milanese e non solo. Perché, a ben vedere, l'onda lunga di Trippa è arrivata anche fuori dal capoluogo meneghino.

Lui è Diego Rossi, il pasionario del quinto quarto che – hachimaki d'ordinanza - ha sdoganato la cucina dei tempi che furono senza inciampare nel ritratto imbalsamato di una tradizione antica, ma rinnovandola come fa chi sa. Diego, infatti, non è l'outsider che sembrerebbe a uno sguardo distratto. Alle spalle parecchie esperienze, da quel primo L'Oste scuro di Verona, all'ultimo, Villa Berghofe di Redagno. In mezzo la Locanda della Tamerici, il St Hubertus, la Locanda Margon e le Antiche Contrade. Una ristorazione d'alto rango con un debole per l'alta quota, parrebbe. Fino a qualche anno fa, quando approda a Milano. “Non conoscevo praticamente nessuno, se non Pietro Caroli: lavorava in una multinazionale, ma aveva una seconda vita da foodblogger e mi seguiva con interesse sin dai tempi di Cuneo”.

L'arrivo a Milano

Arriva a Milano e quel contatto si stringe fino a diventare un'amicizia. Diego continua a lavorare, fa consulenze in giro. “Dopo un po' mi sono detto che non volevo più ascoltare nessuno. Non volevo essere subordinato a qualcun altro”. Così nasce l'idea di un posto tutto suo. Inizia a cercare dei soci, le proposte non mancano ma nessuna si concretizza. Perché a parole è facile, ma all'atto pratico è tutta un'altra cosa. “L'unico che è rimasto è stato Pietro, intenzionato com'era a cambiare vita”. Uno con un piglio da economista “laureato alla Bocconi” che crede nell'idea di Diego, “l'ha abbracciata in pieno e anche arricchita con un sacco di proposte”. Persino il nome – Trippa - è di Pietro. “Dentro Trippa ci siamo alla pari”. Così prende forma il progetto, con i giri in banca e tutto il resto, e quel gruzzoletto provvidenziale lasciato dal nonno di Diego, “che all'inizio mi ero rifiutato di usare. Ci siamo indebitati comunque, ma un po' meno, e abbiamo aperto Trippa”. Ma in ritardo, con i lavori che durano il doppio del previsto “anche perché bisognava fare tutto, mancava persino la canna fumaria”. Poi finalmente arriva il momento di tirar su le serrande, “nel lontano 20 giugno 2015”.

A quel punto però è già successo qualcosa, ben prima che una sola pentola fosse sul fuoco: “Già ci conoscevano: avevamo 2mila like sulla pagina Facebook già due mesi prima di aprire”. Diego girava per ristoranti, “per vedere cosa offriva Milano”. E ogni volta che poteva raccontava il suo progetto. “Ne parlavo con tutti, appena ne avevo l'occasione”. L'attesa cresceva e insieme le aspettative. “La cosa vincente è stata che poi le abbiamo rispettate praticamente tutte quante”. Funziona per quello, spiega, “e perché siamo persone sincere, se dici qualcosa di vero, ci credi, hai passione e competenze, poi anche la gente ci crede”.

Broccolo fiolaro e guanciale di Trippa a MilanoBroccolo fiolaro e guanciale

La cucina di casa

Sono partiti così, senza una vera comunicazione, come in un soft opening continuato. Come è andata? “Dal primo giorno mai avuto una sedia libera”. Con un'unica eccezione: un tavolo vuoto, a Natale del primo anno. “Ma abbiamo capito il problema: c'era il menu fisso e il menu da noi non funziona. Qui la gente vuole essere libera; Trippa è libertà”. Che poi è la stessa con cui si muove Diego: “se ho solo tre porzioni, faccio quelle” con una proposta del giorno che gira veloce acconto alla carta in continuo movimento. “Un po' come a casa”. E la sensazione di essere in una casa è sottolineata anche dalle foto vintage alle pareti, “tutte originali della nostra famiglia”. A completare un arredo che più d'antan non si può, in cui tutto – dalle piastrelle alle pareti ai bicchieri usati – sembra uscita da un film degli anni '50. E quel servizio scanzonato e familiare, ma non per questo poco professionale.

Il ritorno della trattoria

Ho aperto Trippa perché non sapevo dove andare a mangiare. Era quello di cui avevo bisogno io”. Dice. E se gli chiedi di spiegare cosa intende, risponde mangiare cose semplici, di qualità, vere. “Secondo me è un momento in cui la gente è stufa della cosiddetta cucina gourmet, che poi a ben guardare significa usare prodotti di qualità, e cuocerli al meglio rispettandoli, ma poi spesso il cuoco ci mette troppo il proprio ego”. Poi ci ripensa e fa “ce lo metto anche io, perché ne ho tanto, ma senza disturbare il cliente” e puntualizza “in fondo decido io cosa si mangia, ma le persone non si sentono sopraffatte”. Un modo per rispettare il cliente, che non deve sentirsi costretto dal menu “e da sofisticazioni mie”. Significa fare un passo indietro, e dare spazio a un pensiero che guida un nuovo movimento: “è la ripresa di un concetto semplice e più popolare di ristorazione, il nostro, ma non siamo i soli”. Chi ci metti dentro? “Penso al Consorzio di Torino che c'è ormai da 10 anni, il Punto a Lucca, Mazzo o Retrobottega di Roma, o a un posto come Essenziale a Firenze. Ma sono in tanti”. Voi però avete fatto più rumore... “forse perché siamo a Milano, o magari perché l'abbiamo comunicata bene questa idea di ritorno alla trattoria” continua “loro forse non hanno una connotazione così forte e dichiarata, quindi sono stati recepiti come locali diversi, più vicini al bistrot”. Trippa no, non puoi che chiamarlo trattoria, complice quell'ammiccare ai locali semplici di una volta, senza ricercatezze di design, ma con un'attitudine low fi in piena controtendenza che è piaciuta tanto.

Risotto allo zafferano di Trippa a Milano

Il ruolo della cucina gourmet

Li mette tutti insieme, Diego, i suoi colleghi, nonostante le differenze: “gente giovane che si è stufata dei gourmet, che ci ha lavorato e ha capito che la strada è un'altra, e la percorre ognuno con un proprio stile”. Gente con un'anima molto rock, che poi lui si diverte a invitare per cucinare insieme. Non cene a 4 mani, ma un'ospitata, come la chiama lui. C'è appena stato Simone Cipriani, ci saranno altri.

Prima di Trippa non si era notato, ma dopo le analogie sono parse evidenti. Proprio per la capacità che ha avuto di comunicare il suo progetto. Che all'inizio ha fatto scalpore, e subito dopo ha fatto scuola. “Sarebbe quasi da fare un manifesto, ma non sono bravo a farli”. Ma allora l'alta cucina che fine fa? “I ristoranti di alto livello aiutano gli altri, perché migliorano anche gli altri. Lì ho imparato non tanto sui prodotti, ma metodo e tecniche”. Sono molti, oggi, che vorrebbero fare qualcosa di simile, secondo Diego, fuori dalle gabbie dell'alta ristorazione. “E molti sarebbero più bravi se facessero un genere più vero e meno sofisticato”.

Uovo tra bruscandoli, rosolacci e tartufo di trippa a MilanoUovo tra bruscandoli, rosolacci e tartufo

La cucina

Quando ho trovato la pajata, che a Milano forse abbiamo solo io e Giuseppe Zen, o i testicoli di gallo, per me è stato un evento” racconta, e poi continua “o il tamaro o le anguille come le volevo io, piccoline da fare alla griglia”. Ma non hai mai pensato: 'forse questo è troppo, non andrà mai?' “Mah, in realtà è veramente raro che qualcosa non funzioni. Per esempio la trippa fritta la prende anche chi di solito non mangia trippa: anche perché pare un calamaro” e così un sacco di frattaglie apprezzate anche da chi abitualmente non le ama. “Forse perché gli ingredienti molto molto freschi; la maggior parte delle persone ha una bassa conoscenza di queste materie prime” e i preconcetti sono forti, “per esempio che la pajata non abbia un buon odore. Quindi quando provano questi piatti sono sorpresi”. I clienti sono contenti e arrivano persino vegani e vegetariani “forse perché il locale è diventato così di moda che anche chi non sopporta questi cibi vuol poter dire che è stato da noi”. O forse perché in fondo ci sono un sacco di verdure in carta. Se gli chiedi qual è il piatto che centra di più quel che è Trippa risponde il vitello tonnato “perché mette insieme tutti i nostri principi: è un piatto della tradizione, rivisitato in maniera corretta, senza sconvolgerlo, è alleggerito ma senza togliere niente. La tecnica c'è, ma è al servizio della tradizione, non c'è nessun ingrediente in più o in meno”. Ma poi ci ripensa e aggiunge la terrina di fegatini di pollo e il rognone trifolato e hai la sensazione che stia per dirli tutti, uno a uno. Perché sono i piatti che voleva lui, preparati come li voleva lui, con le materie prime che cercava lui. Ma dove trovarle a Milano?

I fornitori

Pian pianino li abbiamo consolidati” racconta. Qualcuno lo aveva già, come Marco Martino per la carne, eredità della sua esperienza a Cuneo. Con altri ha stretto un rapporto solo di recente. “Per esempio lo stoccafisso giusto l'ho trovato solo ora”. La ricerca è fondamentale: “in Langa non fai pesce di mare, a Milano sì”. Lo stesso vale per le verdure (lui si fornisce al Frutteto Casagrande, “Raffaele mi dice che rompipalle così siamo solo due a Milano”): devi trovare quelle giuste, non è mica come in campagna che hai i contadini a un passo, “a Milano intorno hai cemento”. Bisogna andare a trovare i produttori, “un sacco di produttori: per me quella che impiega multifornitori non è una cucina di ricerca, al massimo è ricercata”. E tu come fai? “Ho fornitori da tutta Italia. Quasi uno per ogni cosa”. Per alcuni ingredienti fa più fatica: deve insistere e farseli fare apposta, prodotti di nicchia che pochi conoscono o che hanno un mercato solo locale. “Ora è più facile, ma all'inizio era complicato, soprattutto per alcune cose”. Anche perché non è certo uno che si accontenta Diego Rossi: “O mi stai dietro o stai a casa tua. Magari acquisto meno di un altro, ma con competenza. Dunque fino a che non trovo uno come dico io non mi fermo”.

Un imperativo che pare racchiudere l'intera vicenda di Trippa: il locale che voleva non c'era e allora se l'è fatto lui, come diceva lui.

 

Trippa | Milano | via Giorgio Vasari, 3 | tel. 327 6687908 | www.trippamilano.it

a cura di Antonella De Santis

foto di apertura: Paolo Zuf

I premi speciali. I vini dell'Anno

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Quali sono i migliori vini d'Italia? Ecco un focus sulle etichette che hanno conquistato il premio come Bollicina dell'Anno, Bianco dell'Anno, Rosso dell'Anno, Dolce dell'Anno e Miglior Rapporto Qualità Prezzo. 

Siamo arrivati al top della classifica, per la guida Vini d'Italia 2018, ovvero i vini che hanno meritato, a nostro avviso, il titolo di migliore d'Italia. Ognuno per la sua categoria: bollicine, bianchi, rossi, dolci, cui si aggiunge quello con il migliore rapporto qualità prezzo. Ve li raccontiamo qui.

Bollicina dell’Anno

È un vino che abbiamo conosciuto quando se ne producevano appena 4mila bottiglie, a metà degli anni '90. Ci venne presentato come un Metodo Classico prodotto da un enologo un po' matto, Piero Cane, all'epoca impiegato in una grande maison. Si chiama Marcalberto, come la fusione dei nomi dei figli, Marco e Alberto. Dopo 25 anni le bottiglie sono diventate 30mila, frutto di 5 ettari di vigne, tra Calosso, Loazzolo e Santo Stefano Belbo, e i figli sono entrati anche loro in azienda, al seguito di quella passione un po' matta che ha portato alla nascita di questo vino. Di cui ci piace lo stile, la pulizia, la struttura, la nitidezza, l’equilibrio e la mineralità, doti che ritroviamo sia nel Pas Dosé Blanc de Blancs, sia nel Rosé, come pure nel Sansannée e addirittura nel Nature Senza Solfiti. Ma il Marcalberto Extra Brut Millesimo2Mila12 ha una marcia in più: un bel colore paglierino scarico e brillante, e un perlage di rarefatta eleganza, frutto di ben 40 mesi di maturazione sui lieviti. Il profumo è complesso e vitale, sulle note di piccoli frutti rossi e di mela golden si innestano delicate componenti boisé e d’agrume sul finale. La bocca è profonda, sapida e fruttata, l’effervescenza cremosa e la sua vibrante freschezza l’accompagna in un finale lungo, speziato e complesso, da innamorarsene. È buonissimo, ma ha anche il sapore di una bella storia di famiglia, di una sfida vinta. E per noi è la Bollicina dell’Anno.

Marcalberto Extra Brut Millesimo2Mila12 - Marcalberto | Santo Stefano Belbo (CN) | via Porta Sottana, 9 | tel. 0141 844 022 | www.marcalberto.it

Rosso dell’Anno

La storia (travagliata) della famiglia Pelizzati Perego nel panorama enologico della Valtellina bisogna andarla a scovare indietro nel tempo, fino al 1860, anche se è solo nel 1984 che Arturo Perego ritrovò la forza di ripartire da 10 ettari di vigna. Appena un quinto rispetto al patrimonio venduto una decina d'anni prima. Erano gli anni delle prime barrique e dei vini sempre più densi. Una moda che non contagiò Arturo, che tenne dritta la barra sulla tradizione. Anche per quanto riguarda il tempo necessario al vino perché sia pronto a entrare in commercio. Oggi sono i suoi eredi, la quinta generazione, a portare avanti l'attività di famiglia con lo stesso stile, la fedeltà alla tradizione e all'ambiente, e qualche ettaro in più tra Sassella, Grumello e Inferno. La filosofia generale è improntata al massimo rispetto dell’annata e delle sue potenzialità, con etichette di punta che escono 3 o 4 volte ogni 10 anni, quando si possono effettuare macerazioni tra i 40 e i 120 giorni per vini dalla longevità pluridecennale. Il tempo è un punto chiave: maturazione di 3 o 4 anni in botti vecchie e lungo affinamento in bottiglia prima della commercializzazione. Il Rocce Rosse, alla sua prima uscita – il 1984 – entrò in commercio 6 anni dopo la vendemmia. Ed è proprio il Rocce Rosse Riserva '07 che conquista il podio come miglior Rosso dell'Anno. 18mila bottiglie, una macerazione di 41 giorni seguita da 4 anni in botti da 50 ettolitri, quindi cemento e, infine, bottiglie. Ha colore granato medio, appena evoluto e brillante, aromi intensi e complessi in cui note di tabacco e fuliggine si uniscono a richiami di prugna, catrame e liquirizia. La bocca è aggraziata ma possente e persistente, con ricca polpa e grande freschezza esaltata da tannini fitti e profondi: un’esaltante versione di nebbiolo di montagna.

Valtellina Sup. Sassella Rocce Rosse Riserva ’07 | Ar.Pe.Pe. | Sondrio | Via del Buon Consiglio, 4 | tel. 0342 214120 | www.arpepe.com

Bianco dell’Anno

Erano impiegati in altri settori, Rosanna Petrozziello, il marito Giancarlo e il fratello Piersabino Favati, ma l'eredità di un vigneto di famiglia li ha messi di fronte all'ipotesi di un'altra vita: quella con mani e il cuore nella terra. Quella dell'Irpinia, zona Atripalda. Un posto in cui, anche in una vendemmia come la 2017, la raccolta è cominciata a fine settembre. In questo territorio si appassionano al lavoro in vigna, cui aggiungono quello in cantina. È il 1999 quando cominciano a vinificare in proprio, con quel Fiano Pietramara frutto di un vigneto di 5 ettari dall'esposizione ideale. L'alba del nuovo millennio li sorprende a cambiare vita, e trasferirsi in campagna. È qui che nasce il Bianco dell'Anno. Nonostante la 2016 sia stata un'annata complicata in Irpinia, tra gelo e grandine, le uve – seppur molto ridotte in termini quantitativi – sono state ottime. E il Fiano Pietramara è un portento: vulcanico, intenso, con una traccia fumé (presente già 15 anni fa) e sempre più centrato; ha profumi cangianti e soffusi di grano, paglia e menta. La bocca è scattante e ritmata, con un crescendo finale di classe cristallina.

Fiano di Avellino Pietramara ’16 | I Favati | Cesinali (AV) | piazza di Donato Barone, 41 | tel. 0825 666898www.cantineifavati.it

Dolce dell’Anno

Ripartire dalla Malvasia e dal suo potenziale. Quello di un vino più elegante e fresco che muscolare. È questo lo spirito che muove il lavoro di Nino Caravaglio. Un obiettivo, il suo, che richiede grande attenzione in fase di vendemmia per portare in cantina uve mature, ma con un’acidità che permanga anche dopo l'appassimento sui graticci, evitando eccessive gradazioni alcoliche e residui zuccherini troppo alti. La storia di Nino Caravaglio, vignaiolo autentico e solare, comincia nel 1992, con un solo ettaro di vigna che vinificava praticamente nel salone di casa. Ora gli ettari sono un po’ più di 15 in 40 particelle differenti – 5 anche a Stromboli - tutti coltivati in regime di agricoltura biologica. La Malvasia delle Lipari Passito ’16 è un vino di rara eleganza, ha un profilo olfattivo ricco e complesso, dove si riconoscono agrumi canditi, albicocca, pesca, erbe officinali, fiori di lavanda, su un fondo minerale iodato. In bocca è un capolavoro di equilibrio tra il frutto dolce ma turgido, l’alcol e una fresca vena acida che amplifica la piacevolezza di beva accompagnandola per il lunghissimo e fresco finale.

Malvasia delle Lipari Passito ’16 - Caravaglio | Malfa | Isola di Salina (ME) | via Provinciale, 33 | tel. 339 8115953 – 338 2076030 | www.caravaglio.it

Miglior Rapporto Qualità Prezzo

Un vino che nasce da un progetto concreto, le cui prospettive sono state ben individuate e altrettanto ben perseguite e che oggi si muove in una direzione precisa verso la qualità e l'aderenza al territorio. Operativa sin dalla fine degli anni '50, oggi la cooperativa sociale Rocche Malatestiane conta 500 vignaioli che lavorano circa 800 ettari di vigne. Un panorama vasto di terre dominate dal sangiovese. E il sangiovese è la carta vincente: da lui, nel 2011, parte un progetto di riqualificazione della cantina; la quadra di tutto la troviamo proprio in queste uve e questo vino, un Sangiovese Superiore dedicato a Sigismondo Pandolfo Malatesta, prodotto con uve provenienti dall’entroterra di Rimini, Riccione e Coriano, terroir caratterizzato da prime colline con suoli ricchi di argille grigie e brune, piuttosto profondi. Il 2016 è molto interessante, per qualità assoluta e per stile. Ha profumi lineari e nitidi, finemente ricamati su note di frutti di bosco, anguria e arancia mentre la bocca è linfatica, succosa e fresca. Di grande beva, per giunta, il che non guasta affatto. Conquista il premio come Miglior Rapporto Qualità Prezzo.

Romagna Sangiovese Superiore Sigismondo ’16 | Rocche Malatestiane | Rimini | via Emilia, 104 | tel. 0541 743079 | lerocchemalatestiane.it

 

G7 Agricoltura a Bergamo. L'impegno delle potenze mondiali nell'agroalimentare in 5 punti

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Si è concluso il 15 ottobre scorso il G7 dell'Agricoltura a Bergamo, con un summit di 5 punti fondamentali in campo agroalimentare su cui i Paesi aderenti dovranno impegnarsi d'ora in avanti. Lotta allo spreco alimentare, battaglia contro la fame, tutela dei consumatori. Tutte le priorità del Ministro Martina.

L'impegno contro la fame

5 priorità individuate dai ministri e dai rappresentanti di Italia, Francia, Germania, Giappone, Canada, Regno Unito, Stati Uniti, Unione Europea, Fao, con il commissario europeo per l'Agricoltura Phil Hogan. 5 punti da sviluppare in ambito agroalimentare nei prossimi anni, per combattere la fame, lo spreco alimentare e tutelare i prodotti agricoli attraverso politiche concrete. Con l'adozione unanime della “Dichiarazione di Bergamo”, nella città lombarda si è concluso lo scorso 15 ottobre il G7 dell'Agricoltura, presidiato dal ministro alle politiche agricole alimentari e forestali, MaurizioMartina. “Cinquecento milioni di persone fuori dalla fame entro il 2030 attraverso impegni concreti dei 7 Paesi”. Questo il contributo del ministro, che sottolinea ancora una volta il ruolo della cooperazione agricola, “decisiva per raggiungere questo traguardo, poiché la maggioranza delle persone che soffrono la fame vive in aree rurali”. La fame, infatti, è “una questione prima di tutto agricola. Per questo abbiamo deciso di aumentare gli sforzi per favorire la produttività sostenibile in particolare in Africa, attraverso la condivisione di buone pratiche per aumentare la resilienza e accompagnare lo sviluppo di comunità locali”.

Il G7 aperto

Affrontato anche il tema della difesa dei redditi degli agricoltori davanti alle crisi dovute al cambiamento climatico, problematica affidata alla Fao.Ma non solo: “Ci sono temi”,prosegue Martina, “sui quali dovremo aumentare ancora gli sforzi, come la protezione dei suoli e la biodiversità, la maggiore trasparenza nella formazione del prezzo del cibo e la riduzione radicale dello spreco alimentare. Su questi fronti serve più consapevolezza, ognuno deve sentire forte la propria responsabilità”.E proprio per coinvolgere ogni cittadino, facendolo sentire partecipe in prima persona al piano d'azione, il ministro ha voluto un G7 aperto, “con una settimana dedicata alla città di Bergamo e decine di appuntamenti sul tema del diritto al cibo, in continuità col lavoro che l'Italia ha fatto con Expo Milano”. Non solo i rappresentanti delle nazioni, dunque, ma anche giovani, organizzazioni non governative, agricoltori, istituzioni e associazioni hanno fornito spunti interessanti per il lavoro di confronto con altri ministri. “Da Bergamo rilanciamo ancora la sfida per garantire davvero il diritto al cibo per ogni essere umano a qualunque latitudine”.

Gli impegni della Dichiarazione di Bergamo

5, dunque, i punti su cui insistere:

La tutela del reddito dei produttori dalle crisi climatico-ambientali, con un occhio di riguardo particolare verso i coltivatori più piccoli. Un compito affidato alla FAO, che dovrà studiare un programma di azioni concrete e individuare una definizione unitaria di evento catastrofico, attualmente mancante.

La cooperazione agricola con l'Africa, con uno sviluppo delle partnership nella ricerca, e il seguente trasferimento di conoscenze e tecnologie in continente africano, al momento la zona prioritaria di intervento con il 20% della popolazione che soffre di povertà alimentare.

La trasparenza nei prezzi del cibo: i Paesi G7 si impegnano a migliorare la definizione dei costi in difesa degli agricoltori, in particolare di fronte alle crisi di mercato e alla volatilità dei prezzi a cui stiamo assistendo negli ultimi anni. In particolare, la FAO si occuperà di fornire ai produttori gli strumenti necessari per la creazione dei prezzi, tenendo in considerazione le previsioni sull'andamento dei mercati.

La lotta allo spreco, uno dei temi più caldi del settore, su cui Martina continua a porre l'accento cercando la collaborazione degli altri ministri. In tutti i Paesi, vanno incentivate le azioni e rafforzate le norme per ridurre le eccedenze alimentari, che coinvolgono oggi un terzo della produzione mondiale.

La tracciabilità per i sistemi produttivi territoriali, con l'adozione di politiche efficaci studiate per promuovere e valorizzare il legame con la terra d'origine, facendo chiarezza sulla filiera e tutelando il consumatore dalle frodi alimentari.

a cura di Michela Becchi


La Vendemmia tra moda, vino e cibo. Da Milano alla prima edizione nella Capitale

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Nata nel quadrilatero del Montenapoleone District, l'iniziativa milanese approda a Roma per la prima volta, dopo il successo di pubblico che ha premiato la seconda edizione meneghina, appena conclusa. L'obiettivo? Valorizzare il made in Italy facendo sistema, con un occhio di riguardo al vino. 

La Vendemmia a Montenapoleone

Un evento di successo che cresce costantemente in contenuti e interesse, “La Vendemmia” del Montenapoleone District ha ancora una volta mostrato come quello tra moda e vino sia un connubio particolarmente azzeccato e per la prima volta sposterà il proprio format anche nella Capitale in via Condotti e piazza di Spagna dal 16 al 22 Ottobre.

Sono state un centinaio le boutique milanesi coinvolte, un numero ben più corposo rispetto alle 35 della prima edizione, un’occasione inusuale per vivere questi spazi in modo rilassante ed approfittarne per fare shopping con un buon bicchiere di vino o bollicine. Le vie del quadrilatero, chiuse per l’occasione al traffico, sono state sommerse di migliaia di milanesi e turisti, un’ulteriore testimonianza di come possa essere promosso il Made in Italy in modo intelligente e sostenibile, facendo sistema.

Anche il programma si è rivelato particolarmente ricco, e e articolato in diversi momenti, dal Wine Tasting organizzato dal Comitato Grand Cru d’Italia a Palazzo Serbelloni, alle svariate Wine Experience all’interno degli hotel cinque stelle lusso, ai menu ad hoc dei ristoranti più rinomati del centro.

 

L'asta benefica del vino

Inoltre è stata organizzata un’asta benefica “Italian Masters” da Christie’s a Palazzo Bovara, un’asta capace di raccogliere oltre 20mila euro che saranno devoluti alla Onlus Dinamo Camp. Ci si poteva aggiudicare non soltanto bottiglie speciali per annata e formato ma anche esperienze uniche, come soggiorni nelle strutture private delle cantine, abbinati a degustazioni seguite direttamente dalla proprietà, oppure cene presso ristoranti stellati legati alla cantina, o ancora visite personalizzate nei musei realizzati da alcuni soci del Comitato, una scelta per valorizzare i territori di produzione ed entrare in contatto con i luoghi d’origine del vino e con chi lo produce.

Fino al 26 Novembre sarà poi possibile partecipare ad alcuni appuntamenti particolari della 87esima Fiera Internazionale del Tartufo Bianco di Alba, come la “caccia al tartufo” nei boschi, insieme a una guida esperta del territorio e a al suo cane.

 

La Vendemmia a Roma

In questi giorni, e fino a domenica 22 ottobre, si replica a Roma con il patrocinio del Comitato Grand Cru d’Italia e di ASDI Dimore Storiche d’Italia, un evento promosso ed organizzato insieme alle Associazioni Piazza di Spagna Trinità dei Monti e via Condotti. Particolarmente interessante la possibilità di visite guidate in palazzi storici usualmente chiusi al pubblico, associati alle Dimore Storiche. La Vendemmia di Roma, com'è stata ribattezzata, coinvolgerà 60 boutique, ognuna offrirà un calice di vino a romani e turisti in giro per shopping; e diversi sono anche gli hotel del centro coinvolti, dal D.O.M. all'Hotel De Russie, al St. Regis. Più 24 ristoranti aderenti all'iniziativa, che fino al 21 ottobre proporranno un menu dedicato (35 euro per il pranzo, 60 per la cena).

 

a cura di Paolo Pojano

Dove comprare il tè a Milano: 6 negozi seri e specializzati

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Residuo fisso dell'acqua, temperatura, tempi di infusione. Sono tanti i parametri da tenere sotto controllo per la riuscita di un buon tè. Così come tanti sono i modi di prepararlo e degustarlo. Ne abbiamo parlato con 6 commercianti milanesi impegnati nella selezione e nellavendita di questo prodotto.

Se quello del caffè è un rituale sacro per gli italiani, meno storico ma altrettanto apprezzato è quello del tè, prodotto sempre più amato grazie anche all'aumento di sale da tè, locali e negozi specializzati dedicati a questa bevanda. Sono sempre più evidenti, infatti, l'entusiasmo e la curiosità degli italiani nei confronti del tè di qualità: nel 2015, Euromonitor rilevava un giro d'affari di 355 milioni di euro, con un incremento del 3% a valore, e del 2% a volumi, nettamente superiore a quello medio delle bevande non alcoliche. Come vi abbiamo già raccontato qui, giovani baristi e caffetterie d'avanguardia sono sempre più impegnate nella ricerca degli infusi più pregiati, in bustina ma soprattutto in foglie, e nelle estrazioni alternative della bevanda. Per questi motivi, abbiamo deciso di iniziare un viaggio fra le botteghe italiane dedite alla vendita di tè, partendo da Milano. Ma prima, uno sguardo al settore con l'aiuto di un'esperta.

Lo scenario del tè in Italia

Il panorama del tè è in ascesa, lo conferma Liana Bertolazzi dell'associazione InTè, organizzazione nata a Bologna con lo scopo di diffondere la cultura del tè di qualità. “Si tratta di un prodotto ancora poco conosciuto ma che ha un grande appeal sugli italiani. Un po' per il suo lato estetico, legato soprattutto alle attrezzature utilizzate, dalle teiere alle tazze, un po' per il fascino del rituale e per il modo di servirlo. In Italia l'estetica ha sempre avuto un gran valore anche in cucina, per cui, secondo me, il tè ha ampi margini di crescita”. Senza dimenticare che stiamo parlando di una delle bevande più consumate al mondo: “Qualcuno obietta che, non essendo produttori diretti, non possiamo farci portavoce della qualità del prodotto. Ma in fin dei conti non siamo neanche coltivatori di caffè o cacao, eppure abbiamo fatto di queste specialità alcuni dei nostri marchi di fabbrica”. E non finisce qui: alta attenzione anche da parte degli chef, “che iniziano a utilizzare le foglie di tè in cucina, in piatti dolci e salati”, destando così l'attenzione dei consumatori.

L'Essenza del The

È il 2001 quando, in zona Vittorio Emanuele, apre i battenti il primo negozio specializzato della città. Una bottega che oggi conta più di 250 qualità di tè naturali sfuse e provenienti dai migliori giardini (India, Cina, Formosa, Giappone, Ceylon, Africa), oltre a 60 miscele di tè (bianchi, verdi, neri, oolong), anche aromatizzati, tisane, infusi alla frutta e specialità varie come il rooibos, il mate, il lapacho, i vegetable teas e il bouquet di tè. Per un totale di più di 300 prodotti diversi. “È un mondo in fermento, vero, ma temo che attualmente stiamo assistendo a un calo della qualità media. Il settore comincia a essere saturo per la tanta offerta online, e proprio sul web spesso si trovano informazioni errate o imprecise”, spiega la titolare. La clientela italiana è, quindi, ancora poco addentro all'argomento: “Spesso le persone non capiscono che anche il tè, essendo una pianta, ha una sua stagionalità. Non sempre tutti i raccolti sono disponibili”. Il modo migliore per imparare a riconoscere un tè di qualità da uno cattivo? “Basta essere curiosi. Molti clienti vengono qui, passano un'ora fra assaggi e spiegazioni e poi cominciano a informarsi, leggere sull'argomento. Non è sempre necessario seguire un corso, alle volte bastano serietà e pazienza”.

 

L'Essenza del Thè

L'Essenza del The | Milano | via Cerva, 12 | tel. 02 45481483 | www.essenzadelthe.it

Kusmi Tea

Circa un centinaio di miscele, fra tè verdi, neri e infusi provenienti da Cina, India e Ceylon. Il negozio meneghino è nato alla fine del 2012, ma Kusmi Tea è un marchio del 1867 che, proprio in occasione del 150esimo anniversario, ha deciso di lanciare un nuovo prodotto sul mercato: un tè bianco con petali di rosa e lamponi, creato in collaborazione con lo chef Alain Ducasse. A guidare la bottega di Milano, Naomi Traina, appassionata di tè che ogni anno, in occasione del Natale, propone una confezione diversa per un prodotto speciale di stagione. “L'azienda è anche proprietaria del marchio Lov Organic, gamma complementare di Kusmi Tea che racconta il nostro amore per la natura, l'ambiente e l'agricoltura biologica”. Per cercare di avvicinare i consumatori a questo mondo, Naomi organizza degustazioni con il tè del momento, “a seconda del raccolto”. E dispensa consigli su come preparare la bevanda in casa nel modo migliore. Qualche indicazione? “Innanzitutto, occorre scegliere una materia prima ricercata. E poi, bisogna avere l'attrezzatura giusta, un bollitore professionale e i vari strumenti necessari a seconda della tipologia di tè scelta”. Fondamentali sono poi la temperatura e la qualità dell'acqua: “Consigliamo sempre di optare per un'acqua con residuo fisso basso, come la Sant'Anna o la Lauretana. E poi ogni foglia ha bisogno di tempi e gradi precisi. Assaggiando lo stesso tè realizzato con la stessa acqua a una diversa temperatura si possono notare differenze sostanziali di gusto, aromi e profumi”.

 

Kusmi tea

Kusmi Tea | Milano | via Fiori Chiari, 24 | it.kusmitea.com/

L'Arte di Offrire il Thè

In zona Venezia, 15 anni fa Francesca Natali (autrice, tra l'altro, di diversi volumi sull'argomento) ha deciso di creare uno spazio tutto suo interamente dedicato ai tè più pregiati, sua grande passione da sempre. Nel 2011, la bottega passa in mano a Roberto Merluti, ex dipendente che sceglie di proseguire con la stessa cura e attenzione il percorso iniziato da Francesca. “Col tempo il negozio si è un po' trasformato. Sono un ex antiquario, per cui ho inserito all'interno anche oggettistica orientale e mediorientale, teiere e set particolari, antichi e dipinti a mano”. E poi anche tessuti, materiali preziosi e tazze originali. “Il cuore dell'attività, però, rimane sempre il tè, disponibile in oltre 250 sfumature diverse”. Niente corsi o degustazioni, “ma ogni anno, nel periodo natalizio, offriamo in assaggio il raccolto del momento”.

 

L'Arte di Offrire il Thè

L'Arte di Offrire il Thè | Milano | via M. Melloni, 35 | tel. 02 715442 | www.artedelricevere.com

Teiera Eclettica

Barbara Seghieri è diventata una vera guru del tè a Milano da quando, nel 2004, ha scelto di intraprendere questa avventura in zona Venezia, con una proposta ampia e poliedrica che conta più di 250 qualità di tè, tisane e infusi da acquistare oppure gustare in loco nella sala dedicata, accompagnati da pasticceria secca dolce e salata. “La nostra sala da tè è sempre aperta al pubblico, tranne nei periodi in cui ci sono seminari o degustazioni in corso. Serviamo il tè secondo le tradizioni orientali, utilizzando tutti gli strumenti tipici della cultura cinese e giapponese. Ma” aggiunge “ci piace far preparare direttamente al cliente il suo infuso, così che possa capire in maniera pratica e immediata le varie fasi di preparazione della bevanda”. E alla Teiera Eclettica si registra un aumento di clientela, soprattutto dopo il 2015, “anno dell'Expo in cui nel Padiglione del Giappone sono state create diverse attività legate al tè, in particolare al matcha, che da quel momento ha visto una crescita esponenziale in Italia”. Barbara, quindi, è ottimista e ha una visione positiva del futuro del settore: “Il mercato del tè si sta ampliando, dalla gdo, dove si intensifica la presenza del prodotto nelle sue tante declinazioni, alle botteghe artigianali, senza dimenticare i siti di e-commerce”. Anche Barbara insiste sull'importanza dell'acqua, la qualità della materia prima, che non deve essere necessariamente sfusa: “Si trovano anche grandi tè in bustina, oggi. L'ideale, comunque, sarebbe scegliere quello in foglia, così che l'acqua possa entrare in contatto più diretto e omogeneo con la pianta”.

 

Teiera Eclettica

Teiera Eclettica | Milano | via Melzo, 30 | tel. 02 29419101 | www.teieraeclettica.it

Dammann Frères

È il punto vendita di una delle case del settore più famose al mondo. Dammann Frères nasce a Batavia (attuale Jakarta) nel 1825, anno di installazione del primo stabilimento di importazione di tè, Derode&Dammann. Ma è solo nel 1925 che i fratelli Robert e Pierre Dammann danno vita alla società così come oggi la conosciamo. Un'azienda leader del settore che ha conquistato il palato di tutti gli appassionati di tè del mondo. A Milano, nella sede di Porta Garibaldi, il grande spazio elegante e curato nei dettagli ospita tè provenienti da tutti i continenti, in particolare dalla Cina, dall'Africa, dal Giappone, dall'India e dal Nepale. Tè neri, oloong, verdi, bianchi, biologici, tutti acquistabili in purezza oppure in bouquet raffinati, con combinazioni di frutta e fiori. Non mancano, poi, infusi, tisane, dolci, biscotti, gelatine di qualità, e una collezione di tazze e teiere artigianali decorate con gusto.

 

Dammann Freres

Dammann Frères | Milano | p.zza XXV aprile, 12 | tel. 02 88521 | www.dammann.fr

Chà Tea Atelier

Un prodotto che continua a far parlare di sé, dunque, ma non sempre nel modo più corretto: “C'è un aumento della clientela, sì, ma la maggior parte dei consumatori si approcciano al tè come a una medicina. Entrano in negozio e mi chiedono le proprietà benefiche di ogni tipologia, alla ricerca del prodotto più adatto alle loro esigenze”, spiega Gabriella Lombardi, titolare di Chà Tea Atelier in zona Conchetta, negozio che prende il nome dalla dizione cinese di tè e che offre più di 130 selezioni diverse. “Ogni tè ha le sue proprietà benefiche, e sono molto contenta che vengano apprezzate, ma non voglio che si perda il lato edonistico della degustazione. Il rituale del tè è prima di tutto un piacere”. Un prodotto buono, dunque, e che fa anche bene. Per ritrovare il gusto e la gioia di sorseggiare la bevanda, Gabriella ha istituito la giornata degli assaggi, fissata per sabato, “giorno in cui dedichiamo tutto il tempo a corsi, degustazioni e incontri”.

 

Cha Tea Atelier

Chà Tea Atelier | Milano | via M. D'Oggiono, 7 | tel. 02 89415371 | www.chateaatelier.it

a cura di Michela Becchi

Host 2017. Gli appuntamenti dell'evento B2B di Milano dedicato all’ospitalità

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40esima edizione per uno dei festival B2B più celebri d'Italia, da tempo punto di riferimento per il mondo Ho.Re.Ca.. Dal 20 al 24 ottobre torna Host, evento imperdibile per tutti gli operatori del settore che trasforma ancora una volta Milano nella capitale dell'accoglienza professionale. Gli appuntamenti da non perdere.

Il settore dell'ospitalità

14 padiglioni per cinque giorni all'insegna del gusto e dell'ospitalità a Milano, che ancora una volta apre le porte agli addetti ai lavori in occasione di Host, manifestazione B2B giunta alla sua 40esima edizione. Un festival che pone l'accento su un settore in costante crescita, quello delle macchine, delle apparecchiature, degli accessori per la ristorazione, la panetteria, la pasticceria e la pasticceria. Un micro universo che, nel 2016, registrava un commercio di 45,2 miliardi di euro a livello mondiale, segnando una crescita esponenziale del comparto a tutte le latitudini. Nonostante una leggera flessione dello 0.6% nell'ultimo anno, infatti, il settore dell'accoglienza è in fermento, con previsioni che parlano di un ulteriore sviluppo per il triennio 2017-2019, del 5,4% annuo. A farla da padroni, Cina e Germania, seguite dall'Italia che, con una quota del 7,2% nel 2016, si posiziona al terzo posto per quanto riguarda l'export. Dati positivi che confermano l'importanza di radunare i principali produttori mondiali in uno spazio unico perché si confrontino, in un percorso di crescita collettiva e compatta.

I numeri di Host

È per questo che Host ha visto negli anni una crescita graduale e costante (dal 2007 il numero delle aziende partecipanti è aumentato del 41%), imponendosi come punto di riferimento per tutti gli operatori professionali che, oggi più che mai, sentono l'esigenza di seguire un mercato in evoluzione, cogliendone tutte le nuove potenzialità. Ad aumentare è soprattutto il numero di aziende estere, 843 su 2.165 espositori registrati (+7,7% rispetto al 2015).

L'evento

Seminari, convegni, laboratori, forum, dibattiti e assaggi: il programma di Host 2017 si articola in più di 500 appuntamenti pensati per interpretare l'utilizzo delle macchine più innovative, fornire dimostrazioni pratiche e presentare le tendenze del futuro. Con la partecipazione di grandi chef, esperti bartender, baristi d'eccezione, mastri pasticceri e gelatieri, che avranno la possibilità di incontrare oltre 1500 buyer da 80 Paesi di tutto il mondo. La manifestazione è organizzata in tre diverse macro aree, proprio per consentire l’integrazione tra filiere affini. Inoltre, per la prima volta, i padiglioni 10 e 14 (gelato, pasticceria, caffè) saranno legati da The Experience Gallery, un percorso esperienziale pensato per regalare un'accoglienza esclusiva con i prodotti simbolo del made in Italy.

Il caffè

Alta l’attenzione per il settore del caffè, fra macchine espresso, tostatrici, macinini e strumenti per il caffè filtro. Ma Host è anche un'occasione per le aziende per ripercorrere la propria storia e annunciare le ultime novità. Così, troviamo Moak, torrefazione di Modica, che durante la fiera allestirà una serra botanica per presentare la linea Colonial, con miscele speciali di qualità arabica, caffè biologici e fairtrade, in packaging interamente eco-sostenibile. C'è poi Caffè Corsinidi Arezzo, con uno stand ispirato agli anni '50, dove farà il suo ingresso l'ultima miscela della casa, la Riserva del Dottor Corsini, “un ritorno alle origini di quella che è la storia di un'azienda partita da tradizione familiare, e cresciuta fino a diventare uno dei portavoce del made in Italy nel mondo”, ha spiegato Patrick Hoffer, presidente della torrefazione. Non mancheranno, poi, le aziende di macchine espresso, come la San Marco, che propone la nuova Leva Luxury, macchina a leva rivestita di vetro trasparente che per la prima volta mette a nudo la preparazione di un caffè in tazzina. E ancora “C'era una volta il caffè”, viaggio nelle miscele che hanno segnato la storia della torrefazione Goppion di Treviso, e la presentazione di “Un Caffè in Veneto”, ultimo libro dell'esperto assaggiatore AndrejGodina, che analizza le caffetterie più celebri della Laguna. A rendere lo spostamento da uno stand all'altro più facile, il Bus di Lavazza, che circolerà durante la manifestazione all’interno del quartiere fieristico di Rho.

La ristorazione

La cucina in tutte le sue forme. Non può mancare un focus sul panorama della ristorazione, fra metodi di lavorazione, conservazione degli alimenti e food equipment. Con un'attenzione particolare alle abitudini degli italiani registrate da Fipe, che evidenzia la tendenza crescente a mangiare fuori casa. A promuovere la ricerca, HostMilano, insieme a Magda Antonioli Corigliano, direttrice del Master in Economia del Turismo dell'Università di Bocconi e Sara Bricchi, ricercatrice Met Bocconi. L'analisi mostra un settore evoluto, che ha portato le imprese della ristorazione a superare quota 325mila, fra ristoranti, attività di street food, bistrot e bar. Ma durante la manifestazione si parlerà anche della ristorazione di domani, dei gusti dei millennials e delle tendenze del momento. Via libera, quindi, a vending machine, supermercati in aeroporto, design del cibo, food tech, stampanti alimentari, ma anche a tutte le abitudini di consumo più diffuse negli ultimi tempi, dalla dieta vegana al salutismo esasperato, dal gluten free all'alimentazione macrobiotica.

Pasticceria e gelateria

Grazie alla partnership con Italian Gourmet, nasce Italian Gelato, la mostra-evento dedicata alla filiera al gelato e ai suoi protagonisti. Cuore pulsante dell’iniziativa (che si svolgerà all’interno del padiglione 6) l’apertura, gestione, rinnovo e comunicazione dell’impresa gelateria. Un fitto programma di talk show e dimostrazioni che vedranno il coinvolgimento dei più importanti professionisti del comparto fra incontri, degustazioni e showcooking. Non mancherà, inoltre, il reparto pasticceria, con prodotti semilavorati, ingredienti di base, confetture, cacao e i suoi derivati, amidi, farine, lieviti, surrogati, e tutte le materie prime indispensabili per dare vita a creazioni di ogni tipo nel settore dell'arte dolciaria. E, naturalmente, gli attrezzi del mestiere, dai forni alle impastatrici, dagli abbattitori alle sfogliatrici, in una rassegna completa delle soluzioni tecnologiche più innovative, nel pieno rispetto della migliore tradizione pasticcera.

Host | Milano | dal 20 al 24 ottobre 2017 | host.fieramilano.it/

a cura di Michela Becchi

La storia del pescivendolo Beppe Gallina e i suoi consigli per gli acquisti

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Beppe Gallina, pescivendolo mercataro, erede di quattro generazioni (matriarcali) di commercianti nel settore pescheria, dà qualche dritta per acquistare consapevolmente il pesce.

La Pescheria Gallina a Torino

Toglietevi dalla testa lo stereotipo del bottegaio col camice sporco o gli stivali di gomma consumati. Riscrivete l'immagine di un mestiere antico, quello del pescivendolo, che ogni giorno fa da tramite tra mare, pescatori e consumatori. Vi raccontiamo la storia di Beppe Gallina, cominciata 47 anni fa in pescheria. Quella a Porta Palazzo, della bisnonna Rosa Bosco, passata poi nella mani di nonna Luigia e infine sotto le cure di mamma Rosangela Gallina. “Entro in scena con lei, quando avevo solo 12 anni e nel tempo libero davo una mano a fare un po' tutto. Erano gli anni '80, quelli del boom economico, quando le merci cominciarono a viaggiare più facilmente. Ricordo di camion pieni di pesce fresco proveniente dai mercati di Chioggia e di Porto Garibaldi, Viareggio o San Benedetto del Tronto. E di tanti torinesi che finalmente potevano permettersi il lusso di mangiare il pesce più volte a settimana”.Belle notizie, accompagnate (purtroppo?) dall'impennata dei supermercati che spingono molti commercianti del mercato ad abbassare i prezzi, a scapito della qualità. Non la Pescheria Gallina, non Beppe. Che dopo aver presentato l'ultimatum alla mamma - “O ti ritiri e mi vendi l'attività, oppure apro un banco tutto mio e ti faccio concorrenza!” - decide di seguire la strada della qualità, indipendentemente dai prezzi.

Beppe Gallina mentre regge un polpoBeppe Gallina

La svolta indipendente di Beppe Gallina

Pian piano ho inserito prodotti più ricercati, magari perdendo un po' di clienti all'inizio, ma acquisendone di nuovi e decisamente più curiosi. Poi non nego l'enorme fortuna di aver alzato l'asticella proprio in concomitanza con il successo di Slow Food. Un treno, nel quale mi sono trovato seduto in prima classe, guidato da un Carlo Petrini che ha dato man forte a un ragazzino pazzo come il sottoscritto”. Ragazzino diventato adulto, che si è con il tempo specializzato nel pesce del mar Ligure: “Un litorale che va dalle Cinque Terre a Ventimiglia, un mare freddo, con un miglior riciclo di acqua, gli scogli, delle secche profonde. Ricco di prodotti eccezionali e frequentato da imbarcazioni piccole. In più è vicino casa, quindi quasi a Km zero!”. Il resto, è storia recente: due anni fa chiude il punto vendita storico e apre una graziosa bottega sempre adiacente a Porta Palazzo, dove oltre a vendere, cucina.

Ma vediamo - senza anticipare troppo di quello che verrà raccontato nell'appuntamento “Quando il cibo fa spettacolo. Il pesce: conoscerlo e saperlo cucinare con Beppe Gallina e Gianfranco Pascucci” - quali sono i 5 comandamenti da tener ben presente al momento dell'acquisto.

I 5 comandamenti per un acquisto consapevole

1. Guardate come è tenuto il banco, l'ambiente in generale e come si presenta il pescivendolo. Evitate dunque pescherie sporche o con montagne di pesce accatastato.

2. Focalizzatevi sugli odori: non è vero che il pesce puzza. Se l'ambiente è maleodorante c'è qualcosa che non va: o il pesce non è fresco o la pescheria non viene pulita a sufficienza.

3. Tralasciando tutti gli aspetti derivanti dal tatto (dato che un normale cliente non può mettersi a toccare i pesci esposti!) osservate il pescato e guardatene la lucentezza, che è sinonimo di freschezza.

4. Focalizzatevi poi sul colore. Specie delle branchie, che non devono aver perso del tutto il colore rosso porpora o in ogni caso non devono essere grigiastre o tendenti al giallo.

5. E infine (lo so, sono scontato): guardate l'occhio. Deve essere brillante, sporgente e blu-nero intenso. Non fidatevi se è stata staccata la testa.

Da qui in poi, la palla passa al tatto e al metodo di preparazione del pesce. Ma questo lo affronteremo a Gourmet Food Festival, davanti al piatto di muggine marinato preparato per l'occasione da Gianfranco Pascucci.

 

Gourmet Food Festival | Torino | Lingotto Fiere, via Nizza, 294 | dal 17 al 19 novembre 2017, venerdì dalle 17 alle 23, sabato dalle 10 alle 23, domenica dalle 10 alle 20 | www.gourmetfoodfestival.it

Per info sugli altri appuntamenti: http://www.gamberorosso.it/it/gourmet-food-festival

 

a cura di Annalisa Zordan

foto di apertura di Lido Vannucchi, dal libro Come è profondo il mare di Gianfranco Pascucci

Martino Ruggieri, dalla Puglia a Parigi. Una chiacchierata con il finalista italiano al Bocuse d’Or

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Classe 1986, il percorso di Ruggieri in cucina è partito dalla Puglia e non si è più fermato, prima in grandi alberghi internazionali, poi l’alunnato presso Camanini, la parentesi francese d Robuchon, di nuovo l’Italia e dal 2014, stabilmente, ancora Parigi, al fianco di Yannick Allenò. Ecco come vede l’alta cucina, e il suo futuro, mentre si prepara a rappresentare l’Italia alla finale europea del Bocuse d’Or. 

Dalla cucina ai palcoscenici internazionali

Qual è la qualità che non deve mai far difetto a un giovane chef? Probabilmente l'elasticità. E la capacità di mettersi alla prova, confrontandosi con sfide apparentemente insormontabili. Prove che forgiano quel carattere che insieme al talento può fare la differenza. Così, a neanche 30 anni, di cui una decina trascorsi in grandi cucine, può capitare di ritrovarsi catapultati su palcoscenici internazionali, sotto i riflettori di un concorso prestigioso, la più celebre competizione di alta cucina nel mondo, intitolata al genio di Paul Bocuse. La sfida, nel caso specifico, richiede molta forza di volontà. Cominciando con l'accettare di mettercisi, sotto i riflettori. E per un giovane cuoco cresciuto a testa bassa cucinando, seppur parte di brigate faraoniche e contesti di lavoro pressanti, non è detto che la voglia di competere – fuori da quelle cucine che dopo anni rappresentano la comfort zone – sia in cima alla lista dei desideri. Martino Ruggieri, prima dell'estate scorsa, al Bocuse d'Or neanche pensava. Da una ventina di giorni a questa parte, invece, è il cavallo di razza della scuderia italiana che spera finalmente di ottenere quel riconoscimento mai arrivato a premiare la cucina nazionale.

Yannick Allenò. Il rapporto col maestro, la preparazione alla sfida

Lui, classe 1986, è nato a Martina Franca, e con la Puglia mantiene un legame di sangue. Ma da qualche anno lavora a Parigi, nella cucina di Yannick Allenò, al Pavillon Ledoyen, dov'è adjoint chef di uno dei cuochi più apprezzati della ristorazione francese contemporanea. Proprio Allenò, “che di concorsi nella sua vita ne ha fatti moltissimi”, ha incoraggiato Martino a partecipare, quand'era titubante per il timore di non farcela. Di non essere proprio tagliato per una prova con regole così rigide. Il cerimoniale del Bocuse d'Or, del resto, spaventerebbe anche il cuoco più navigato. “Ma Yannick mi ha spinto a provarci: è importante per la tua formazione, mi ha detto”. Poi ha partecipato attivamente all'elaborazione del concept, il canovaccio necessario per presentarsi pronti alla (prima) prova pratica, quella andata in scena ad Alba lo scorso 1 ottobre: “Era necessario capire cosa volevamo raccontare, sviluppare la nostra idea di cucina condensandola nei due piatti richiesti dal regolamento. Con Yannick, Monica (Caradonna, che lo supporta in questo percorso, ndr), e un creative designer ci siamo messi al lavoro”. Ad agosto il Pavillon ha chiuso per un mese, Martino si è trasferito in Toscana, “lì Allenò ha casa”, per provare e riprovare i suoi piatti, ospite dell'amico e collega Cristoforo Trapani, al Magnolia dell'hotel Byron. Il momento della preparazione “atletica”, infatti, non è da sottovalutare, e conta quanto il sostegno di sponsor e istituzioni, necessario per andare avanti nella gara, a livello internazionale: “Le tre settimane prima di Alba sono trascorse ogni giorno in cucina, dalle 8 del mattino, con i timer puntati per prendere le misure. È importante persino ridurre i passi degli spostamenti da uno spazio all'altro, con una meticolosità che va ben oltre il lavoro in partita in una cucina. Ogni dettaglio è fondamentale per stare dentro le 5 ore e 35 minuti di gara”. Così si procede, alternando l'allenamento: “3 giorni per la prova bianca, e poi 3 giorni di mise en place. Tutto questo, in vista della finale europea, richiederà uno sforzo maggiore, tre mesi di preparazione”.

Il Piatto di carne (Foto di Lido Vannucchi)

Una nuova sfida. All’insegna dell’italianità

E infatti già in questi giorni il team si è riunito per ricominciare a studiare la strategia, e Martino si sdoppia tra lavoro al ristorante e sviluppo dell'idea: “Stiamo lavorando a Parigi, questa è la fase più bella, quella della creazione. Dobbiamo rappresentare l'Italia senza cercare l'ispirazione da altri, proporre una cucina identificabile”. La chiave di volta è la stessa che ha portato alla vittoria italiana, davanti a una giuria di 30 chef, con un'ode alla Puglia che somma cuore, tecnica, modernità di approccio agli ingredienti (due i binari su cui si è mosso Martino, la rappresentazione di un viaggio nel piatto, dal Sud a Milano, alla Francia per la prova vegetale, e il territorio della memoria per costruire Il Trullo, concatenazione di ingredienti e sapori pugliesi in assetto scenografico). Ma Martino, che sin da giovanissimo ha lasciato casa per lavorare in grandi strutture alberghiere – da Cipriani a Villa Fiordaliso, con Riccardo Camanini – cosa pensa della sua terra? “In Puglia, fino al passato recente, è mancato quel sostegno politico che avrebbe potuto far crescere la ristorazione regionale. Ci si è mossi con ritardo, ma oggi molti stanno rientrando dopo esperienze all’estero importanti, portano con sé un nuovo approccio alla cucina, valorizzano le nostre tradizioni. Qualcosa sta cambiando”. E lui, ormai stabilmente a Parigi, pensa mai di tornare? “Non mi piace programmare la mia vita, ma non credo tornerò mai in Puglia. Forse in Italia, un giorno. Ma Parigi, per un giovane chef è il posto ideale: c’è molto fermento, tutto succede molto velocemente”.

Il Trullo (Foto di Lido Vannucchi)

La cucina francese vista con gli occhi di un italiano

Nel racconto dei suoi trascorsi parigini, il ricordo degli attentati è ancora molto vivido, “abbiamo subito un duro colpo, nelle settimane successive siamo arrivati a fare la metà dei coperti. Molti ristoranti internazionali sono praticamente morti. Ma poi ci siamo rialzati”. Dal suo punto di vista privilegiato, però, Martino, che a Parigi ha esordito nella cucina di Robuchon all’Atelier, incoraggiato da uno dei maestri che ricorda con più stima, e affetto - “con Camanini sono stato due anni, fondamentali. Fino a quando mi ha detto chiaramente: devi andare in Francia, lavorare con grandi chef. Il primo impatto è stato violento, lui mi ha molto aiutato” – oggi coglie gli aspetti più disincantati della celebratissima cucina francese. E sa intuirne le reali potenzialità: “Loro si sono resi conto che non sono più i soli a dominare il mondo della cucina. Oggi la tappa obbligata per uno chef non è più la Francia, e non si può vivere solo sull’eredità del passato. Ecco perché Allenò sta reinventando la cucina francese dall’interno”. Che significa, seguendo il filo logico di Martino, riportare la ristorazione d’Oltralpe su un piano competitivo rinnovando un sistema un po’ stanco, preso nella morsa di un movimento spagnolo molto forte: “Quando Allenò ha cominciato a capire che tutti facevano la stessa cosa, si è dato da fare per dire la sua. Oggi lavora molto sulle salse, per esempio, ma in chiave moderna. Lui è uno che rischia molto a livello di pensiero gastronomico, meno sul piano imprenditoriale: la grand table si può replicare solo in Europa, nel resto del mondo, in Oriente, propone ristoranti di impostazione più informale”.

Al Pavillon lavorano in 40, Martino è una pedina fondamentale, e certo al suo carattere, seppur ancora schivo, l’esperienza ha giovato molto, e il ragazzo ha le idee ben chiare su di sé, e su quello che può portare all’Italia nella competizione del Bocuse d’Or: “Per l’Italia avere un candidato con un curriculum importante, sostenuto da uno chef di grande caratura internazionale, è una carta vincente. Ora tocca a me lavorare, e molto, per essere all’altezza. Per la prossima sfida voglio capire nel profondo la cucina italiana, lavorare sulle osterie, per esempio, scavare tra le tavole più autentiche”. E se un giorno dovesse pensare di aprire un ristorante suo? “Sarebbe un ristorante gastronomico, mai un bistrot. Tutto quello che hai fatto nella vita devi saperlo mettere a frutto, questo è stato il mio percorso sin qui, questa è la mia personalità. E non mi piace scegliere la strada più facile”. Ed è un bene, perché darà filo da torcere ai suoi avversari europei. Poi chissà che non si possa sognare la finale mondiale di Lione 2019. 

 

a cura di Livia Montagnoli

Gordon Ramsay on Cocaine. Il documentario che denuncia l'uso della cocaina nei ristoranti

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Ancora un'esperienza televisiva per Gordon Ramsay, questa volta alle prese con una tematica ben diversa. Lo chef più temuto del Regno Unito presenta un documentario sull'uso diffuso di cocaina nel mondo della ristorazione e dell'ospitalità.

Gordon Ramsay

57 anni, 14 Stelle, 30 anni di esperienza ai fornelli, 31 ristoranti, 21 libri di cucina, 16 programmi televisivi, un film e un successo mediatico inarrestabile. Gordon Ramsay è fra i più celebri personaggi del panorama gastronomico britannico, e ora, per la prima volta, si improvvisa regista di un documentario unico nel suo genere. In Gordon Ramsay on Cocaine, realizzato per Itv, lo chef esplora e racconta l'uso di droghe, in particolare della cocaina, nel mondo della ristorazione. Un tema molto caro a Ramsay, che nel 2003 ha perso uno dei suoi migliori collaboratori, David Dempsey, proprio per un'overdose di cocaina, e che da anni si ritrova ad affrontare i problemi di tossicodipendenza del fratello.

L'incidente

Ma sono altri gli episodi che hanno segnato lo chef al punto da spingerlo ad approfondire l'argomento e mostrarlo al grande pubblico sullo schermo. Primo fra tutti, una cena di beneficenza a cui Gordon ha partecipato preparando uno dei suoi dessert più famosi, il soufflé. “Una coppia mi si è avvicinata e mi ha chiesto se potevo mescolare la cocaina allo zucchero a velo da spargere sul soufflé”, ha raccontato in un'intervista a RadioTime. “Sono scoppiato a ridere, ma mi sono rifiutato di farlo. Ho cosparso il dessert con lo zucchero e l'ho caramellizzato a dovere, così che gli ospiti non potessero capire se ci fosse o meno la droga. Ho servito il soufflé e me ne sono andato senza neanche salutare”. Ma non finisce qui. Perché una vicenda ancor più grave è accaduta proprio in uno dei suoi ristoranti, dove, lo scorso Natale, un cliente si è recato in bagno con un piatto del servizio da utilizzare per realizzare la striscia di cocaina, per poi restituirlo al cameriere, chiedendo che gli venisse cambiato. “È stato allora che mi sono chiesto quanto ancora potesse andare avanti questa faccenda”.

Il documentario

Da qui, l'idea del documentario, suddiviso in due puntate e girato dopo un'attenta indagine in tutti i suoi ristoranti sparsi per il mondo. “Avevo bisogno di capire a fondo l'universo delle droghe, le dinamiche di questo mondo. E volevo capire perché la cocaina è divenuta un'epidemia a tutti gli effetti, non solo a livello globale, ma soprattutto nel mondo della ristorazione”. 31 ristoranti visitati, dunque, per una ricerca senza sosta di eventuali tracce di cocaina nei bagni, uno studio che ha portato a risultati allarmanti. Di tutte le insegne, infatti, solo una ne era totalmente priva. 52 minuti di terrore, “sfido chiunque a non ripensare il suo rapporto con la cocaina dopo la visione di questo documentario”, per un documentario di denuncia che vuole fare luce sul “piccolo sporco segreto del settore dell'ospitalità”. Al momento, ancora nessuna risposta da parte della British Hospitaly Association o da altre organizzazioni del settore, che hanno scelto di non commentare le accuse ricevute.

Il viaggio in Colombia

Ramsay, però, non si è limitato a esaminare i locali a suo nome. Per girare il documentario, lo chef è andato direttamente all'origine della droga, in Colombia: l'80% delle 30 tonnellate di cocaina consumate annualmente nel Regno Unito arriva, infatti, proprio dal Paese sudamericano. Ramsay ha fatto visita ai laboratori di produzione nascosti nella giungla, “nel cuore dell'industria della cocaina”, per conoscere di persona i volti che si celano dietro la droga. “Uno dei coltivatori ha dichiarato di non avere idea della devastazione che questo prodotto causa nel mondo, e afferma di farlo solo per sfamare la sua famiglia”.

La messa in onda

Dopo la messa in onda su Itv ( (la prima è stata trasmessa ieri, 19 ottobre 2017, mentre la seconda andrà in onda il prossimo 26 ottobre), le puntate saranno disponibili anche sul servizio on demand del canale, Itv Hub, che questo autunno a deciso di lanciare per la prima volta una stagione dedicata alla criminalità, Crime & Punishment, all'interno della quale si inserisce anche il lavoro dello chef.

a cura di Michela Becchi

I premi speciali. Le cantine dell'anno

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Ci son diversi motivi per premiare una cantina: perché emergente, o perché capace di un approccio sostenibile meritevole di un premio, perché sta seguendo un progetto solidale o perché rappresenta, meglio di altri, un territorio nella sua interezza. Ecco i Premi Speciali della guida Vini d'Italia 2018.

Stavolta non andiamo alla scoperta dei migliori vini d'Italia, ma delle aziende e delle persone che li producono. Dei loro progetti, non solo imprenditoriali e vitivinicoli, ma anche legati alla solidarietà e all'impegno per l'ambiente. Motivi per cui, nella guida Vini d'Italia 2018, hanno meritato a nostro avviso un Premio Speciale.

 

Viticoltore dell’Anno

È uno dei vignaioli italiani più apprezzati del momento e, nel portare avanti il progetto Syrah di Cortona, Stefano Amerighi non ha preso scorciatoie: la strada intrapresa nel 2002 è stata meticolosa, appassionata e originale. Perseguita fino a creare un vino simbolo con un lavoro che, ovviamente, non può che partire dalla terra: un pezzetto a Poggiobello di Farneta, due colline distinte, esposte a sud–ovest, un tempo abbandonate. Questa è stata la base del progetto. Che poi è passato per la selezione di cloni di syrah scelti nella Valle del Rodano, e una coltivazione delle vigne da subito improntata verso la biodinamica (oggi certificata), con un'idea di sostenibilità agricola che si ritrova anche nel lavoro in cantina. Il rispetto del terroir regala vini autentici. L’uva diraspata viene lasciata a chicco intero e in parte pigiata con i piedi, prima di passare in vasche di cemento per la fermentazione spontanea, avviata dai soli lieviti indigeni. Legno e ancora cemento per l’elevage di 14 mesi, prima dell’imbottigliamento senza filtrazione. L'annata 2014 consegna un vino magnetico cui serve ancora del tempo di aprirsi. I profumi ballano e volteggiano, colpiscono per gli elementi fruttati maturi, ribes, ciliegia e mora, e poi per gli eleganti ricami speziati. La bocca è coerente, tridimensionale, sapida e rinfrescata da una bel sottofondo balsamico. Polpa e lunghezza invidiabili, sempre al servizio del sorso.

Stefano Amerighi | Cortona (AR) | Poggiobello di Farneta | tel. 0575 648340 | http://stefanoamerighi.it/

 

Viticoltura Sostenibile

Marcello Lunelli, vicepresidente di Cantine Ferrari, parla della sua regione come di un luogo in cui non si può che fare una vitivinicoltura sostenibile. Perché, con il 70% del territorio occupato dalle montagne e il resto suddiviso tra agricoltura, industria, terziaro, città e villaggi, fare agricoltura implica una grande responsabilità ambientale. Non è un caso, infatti, che il Trentino sia tra le regioni più avanti rispetto alla salvaguardia ambientale, con l'adesione al Sistema di Qualità Nazionale di Produzione Integrata del MIPA che certifica un processo produttivo fatto di buone pratiche agronomiche e un uso sostenibile di fertilizzanti e prodotti fitosanitari. Tutta la comunità locale è coinvolta in questo impegno nei confronti dell'ambiente. Le Cantine Ferrari, in prima linea: oggi l'intera azienda è certificata bio. Ma non basta: anche i circa 600 conferitori della cantina seguono un protocollo nella viticoltura chiamato Protocollo Ferrari di Viticoltura di Montagna e Salubre. Quest'anno abbiamo premiato con i Tre Bicchieri il Trento Brut Giulio Ferrari Ris. del Fondatore 2006 – una grande annata, dal clima continentale - il 22esimo premio per questo vino tra i più importanti della produzione vinicola italiana, il simbolo dello Chardonnay di montagna, coltivato su un vigneto a 600 metri d'altitudine; che affina sui lieviti per dieci anni per poi regalare eleganti note tra l'esotico e il mallo delle noci, con un portamento regale e un finale emozionante.

Cantine Ferrari | F.lli Lunelli | Trento | http://www.ferraritrento.it/

 

Cantina Emergente

Solo 10 anni fa pensare a una cantina emergente, in Calabria, pareva fantascienza. Perché all'epoca tutto era – o meglio pareva – immobile. A dispetto della sua storia enologica millenaria e del ricco patrimonio ampelografico, uno dei maggiori in Italia. Dicevamo che all'epoca tutto pareva immobile ma non lo era, perché proprio in quegli anni Pierpaolo Greco, Damiano Mele e Michele Scrivano, decisero di prendere in gestione una piccola vigna nel comune di Lappano. Un po' una follia, vero, anche perché si occupavano di altro. Ma non si scoraggiarono e nel 2005 vinificarono per la prima volta l’Appianum. Solo qualche anno dopo pensarono alla commercializzazione. E un paio di anni dopo trovarono una cantina, un ex cinema che riadattarono. Con l'idea di continuare a fare vini come piaceva a loro, ovvero naturali, senza piegarsi al mercato che in quel periodo non era così sensibile a questi tipi di vini. Io nome scelto fu Spiriti Ebbri, per mantenere in primo piano leggerezza e immaginazione. Il loro Neostòs Bianco 2016, da uve pecorello, ha conquistato i Tre Gamberi per l’intensità del bouquet fatto di frutti e fiori bianchi, iodio, zafferano e freschi sentori di erbe mediterranee, seguite in bocca da una bella sensazione di fresca sapidità innestata nel frutto tonico e vitale, lasciando lentamente spazio a un finale profondo e lunghissimo.

Spiriti Ebbri | Spezzano Piccolo (CS) | spiritiebbri.it

 

Progetto Solidale

È un premio nuovissimo, quello al Progetto Solidale, istituito quest'anno per la prima volta e conquistato dalla cantina Montenidoli, per l'impegno di Elisabetta Fagiuoli nella Fondazione Sergio Il Patriarca Onlus, dedicata di Sergio Muratori, poeta e maestro elementare con cui ha fatto rivivere non solo il locale patrimonio di viti e olivi, ma anche quello umano, con le persone che negli anni sono transitate da Montenidoli. Di questa area, due poderi nella parte più alta accolgono una struttura dedicata all’accoglienza degli anziani, ma il progetto è ben più ampio e mira ad aggiungere anche una sede riservata ai giovani. Con l'idea di dare non solo accoglienza e sostegno, ma anche gli strumenti per un confronto tra generazioni. L'obiettivo finale è contribuire alla crescita di una società migliore, più armonica, giusta e solidale. I vini sono frutto di questo progetto: da loro, infatti, arriva l'indispensabile sostegno economico della struttura. Che per funzionare al meglio ha bisogno di essere – anche – produttiva. Oggi è un'azienda vitivinicola modello di 24 ettari. La strepitosa Vernaccia Tradizionale che ha ottenuto i Tre Bicchieri consente all’azienda utili necessari a sostenere la Fondazione.

Montenidoli | San Ginignano (SI) | tel. 0577 941565 | http://www.montenidoli.com/

 

Cantina dell’Anno

La storia della famiglia Boscaini è strettamente legata a quella della Valpolicella: risalgono al 1772 le prime testimonianze della loro presenza in zona e anche il loro impegno nel vino che, di generazione in generazione, si è evoluto stringendo un rapporto sempre più forte con il territorio; nel frattempo si consolidano anche le pratiche di cantina, pur nell'ottica di una apertura verso le nuove tecnologie. Insomma, spiega Sandro Boscaini ovvero Mister Amarone, presidente e amministratore delegato del gruppo (che include oltre a Masi anche la Serègo Alighieri, la Conti Bossi Fedrigotti in Trentino, la Bell’Ovile in Toscana, la Masi Tupungato in Argentina e lla Canevel Spumanti, specialista del Prosecco Superiore, quello di Conegliano Valdobbiadene): tradizione, non tradizionalismo. In 7 generazioni di Boscaini l'Amarone è approdato ai mercati internazionali, con una produzione complessiva di oltre 12 milioni di bottiglie, un fatturato di oltre 60 milioni di euro e una commercializzazione che raggiunge 120 paesi nel mondo. Pur con queste dimensioni l’azienda ha mantenuto il carattere di azienda familiare. Il rinnovamento negli anni è stato forte, un esempio ne sia na nascita, a metà degli anni Ottanta, del Gruppo Tecnico Masi, un team di enologi, agronomi, chimici, esperti di marketing e altri specialisti cui si devono le conoscenze a livello microbiologico sull’appassimento delle uve, il sequenziamento del DNA della corvina, la riscoperta di antiche varietà locali di pregio tra cui l’oseleta, la selezione di ceppi di lieviti autoctoni per la fermentazione dell’Amarone, l’elaborazione della speciale tecnica di appassimento che oggi utilizza la Masi, la NASA (natural appassimento super assisted). Tutte cose che ogni anno vengono presentate e messe a disposizione nel corso del Vinitaly negli ormai celebri Seminari Masi.

Oggi l’Amarone Masi è un vino antico di straordinaria modernità. Sontuoso e avvolgente, figlio del terroir, di un appassimento di razza e di una lunga maturazione nei fusti veronesi da 660 litri, perfetti per la sua evoluzione. Alla base di questo successo c’è l’intuizione dei Boscaini: esplorare le proprie radici, cercare la propria identità nella storia e nella cultura del territorio. A tal fine nascono anche il Premio Masi, il Premio Internazionale Masi Civiltà del Vino e il Grosso d’Oro Veneziano, e diverse altre iniziative, tutte volte a sostenere e diffondere la cultura del territorio. A quasi 250 anni dalla nascita della loro azienda i Boscaini, per quello che finora hanno fatto, un premio lo meritano davvero. Masi è per noi la Cantina dell’Anno.
Masi | Sant’Ambrogio di Valpolicella (VR) | masi.it

 

 


La scarpetta è pronta: Cesarina Pasta porta a San Diego le fettuccine (servite in una coppa di pizza)

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L’idea è di due ragazzi romani, che la propongono nei Farmers Market californiani. Un mix di radici italiane, ricette che vanno incontro al gusto americano, ingredienti di qualità e accortezze green

Per molti di noi, la soddisfazione più grande che un buon piatto può regalare risiede tutta nel momento finale della “scarpetta”. È da questa intuizione che Cesarina Mezzoni e Niccolò Angius, due giovani romani trasferitisi a San Diego, hanno dato vita a Cesarina Pasta. La loro idea consiste nel proporre fettuccine con vari condimenti, servite in coppe realizzate con un impasto a metà tra la focaccia e la pizza. Quell’impasto che, mentre si gusta la pasta, assorbe tutta la salsa necessaria ad assicurare una goduriosa “scarpetta”.

cesaria pasta

Pasta e pizza per un solo street food

Cesarina - 22 anni, papà italiano e mamma delle Seychelles - ha così deciso di dare una svolta professionale alla sua passione (finora sempre amatoriale e casalinga) per la cucina: è lei che si diletta ai fornelli, affiancata e supportata da Niccolò.

Le fettuccine che preparo sono vegane, quindi utilizzo solo acqua e semola di grano duro” ci spiega “a cui a volte aggiungo delle verdure disidratate in polvere come la barbabietola e il pomodoro; l’unione di due prodotti a base di carboidrati rende il piatto già piuttosto calorico e, anche per questo motivo, ho scelto di alleggerire la pasta”. Come precisa Niccolò - 27 anni e un curriculum arricchito da alcune esperienze nella ristorazione capitolina, prima come cameriere e poi come manager - “le nostre coppe, il cui prezzo va dai 9 agli 11 dollari, sono uno sfizio, uno street food da concedersi mentre si fa la spesa o semplicemente una passeggiata (il progetto, partito il 30 settembre, è itinerante e si sposterà tra i vari Farmers Market cittadini, quei mercati in cui i contadini vendono direttamente al consumatore finale, ndr);ecco perché abbiamo deciso di fare porzioni non troppo grandi, ognuna delle quali corrisponde a circa novanta grammi di fettuccine”.

cesarina pasta

Tra gli Usa e l’Italia

Novanta grammi dietro i quali c’è un’accorta selezione degli ingredienti, che si divide tra l’America e il Bel Paese: “lavoriamo solo verdure fresche locali, che acquistiamo da piccoli agricoltori del Sud della California” sottolinea Cesarina “mentre dall’Italia compriamo mozzarella, parmigiano e pomodori San Marzano”.

Veniamo dunque ai condimenti disponibili (in totale sei, ma sono già in cantiere nuove proposte come quella con il sugo delle polpette), alcuni dei quali a noi italiani potrebbero far arricciare il naso. Le varianti più inclini al gusto nostrano sono: Margherita, quella che in occasione del debutto di Cesarina Pasta ha riscosso il maggior successo, con salsa di pomodoro e basilico, mozzarella e parmigiano; Bolognese, con ragù di manzo e maiale; Genovese, con pasta rossa (al pomodoro) e pesto. Ad affiancare queste tre opzioni c’è prima di tutto la coppa Zio Alfredo, che riprende e allo stesso tempo rivisita la celebre ricetta diventata portabandiera della cucina italiana al di fuori dei confini nazionali (Cesarina non utilizza il burro ma solo la panna, a cui aggiunge bacon croccante e cialde di parmigiano). Le ultime due sono l’Organica - con la pasta verde per la presenza del tè matcha nell’impasto, la salsa alla zucca e le chips di zucchine - e l’Hawaianika (le fettuccine sono alla barbabietola, il condimento comprende vodka, ananas e bacon). E a chi in tutto ciò vede una delle tante “storpiature” del made in Italy, Niccolò risponde così: “non vogliamo costruire l’identità di questo progetto attorno al concetto di ‘italianità’; senza dubbio le nostre radici culturali e abitudini alimentari hanno avuto un ruolo fondamentale nella sua messa a punto, ma l’anima di Cesarina Pasta è allo stesso tempo americana”.

 

La scarpetta ecologica

A completare il quadro c’è l’attenzione riservata all’impatto ambientale: i tovaglioli impiegati sono di carta riciclata, mentre le posate sono realizzate con un materiale ottenuto dal mais. E soprattutto c’è il “piatto” commestibile: “l’aspetto più divertente è ritrovarsi a mangiare la coppa una volta terminate le fettuccine”, conclude Cesarina.

 

www.cesarinapasta.com | https://www.facebook.com/cesarinapasta/?fref=ts

 

a cura di Agnese Fioretti

 

 

 

Aspettando Gourmet Food Festival. 7 appuntamenti tra ristoranti ed enoteche di Torino

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Dal 17 al 19 novembre Torino ospita il Gourmet Food Festival. Ma già dalla prossima settimana iniziano gli appuntamenti della vigilia, un ciclo di incontri in enoteca e cene d’autore che coinvolge molte insegne della città. E i vini di tante cantine d’eccellenza. Il programma. 

A Torino c’è Gourmet Food Festival

Tra meno di un mese al Lingotto di Torino il sipario si alzerà ancora una volta su Gourmet, rassegna che vede collaborare Gambero Rosso e GL Events. Il 2017 però, dopo due edizioni dedicate agli addetti ai lavori, segna l'esordio di un nuovo format, il Gourmet Food Festival, che dal 17 al 19 novembre chiamerà a raccolta foodies e appassionati dell'enogastronomia di qualità, per partecipare a una grande festa dell'eccellenza alimentare, in compagnia di chef, pasticceri, pizzaioli, artigiani e volti noti del panorama enogastronomico italiano (per tutti gli approfondimenti, il programma, e per prenotare degustazioni e workshop il riferimento è il sito web della manifestazione). Ma Torino sarà teatro della festa ben prima dell'apertura dei giochi, con un ricco programma di eventi “fuori salone” che coinvolgerà la città nelle tre settimane che precedono il festival. Una vigilia animata da sette appuntamenti ospitati presso enoteche e ristoranti di Torino, sotto il cappello di Aspettando Gourmet Food Festival: cene d'autore e aperitivi in enoteca, in compagnia degli esperti della redazione vino del Gambero Rosso, per un calendario goloso che non mancherà di soddisfare i gusti dei commensali più curiosi, come degli enoappassionati in cerca del grande calice. Tutte le date sono aperte al pubblico su prenotazione, da perfezionare direttamente ai recapiti delle insegne interessate.

 

Aspettando Gourmet. 7 appuntamenti “fuori salone”

Si comincia il 27 ottobre, con la degustazione in enoteca, ospiti di Rossorubino, con i vini delle cantine Ronco Margherita e Cesti Vini: l'incontro, condotto da William Pregentelli, si snoderà tra etichette e assaggi di cucina in abbinamento, per scoprire le peculiarità dei vini delle aziende coinvolte. Una decina di giorni dopo, dal 7 novembre, la prima infilata di appuntamenti da non perdere si apre con la cena al Ristorante Carignano, A Tavola con Amarone Bertani, che chiama in causa la cucina del talentuoso Fabrizio Tesse, chef resident del Grand Hotel Sitea. La serata, con i vini Amarone Bertani in degustazione introdotti da Gianni Fabrizio, proporrà agli ospiti un menu inedito, ideato per valorizzare le caratteristiche di etichette importanti. Il giorno successivo, l'8 novembre, si riprende con il tour delle enoteche, e la tappa da Papà Noè per Bollicine in Città dell'azienda Tosti. E poi, di nuovo, il 9 novembre, una cena evento che abbina grandi vini e cucina d'autore. L'appuntamento, in questo caso, è all'ultimo piano del grattacielo Intesa Sanpaolo, progettato da Renzo Piano, ospiti di chef Fabio Macrì al ristorante Piano 35. Le etichette sono quelle di Mezzocorona, il guizzo creativo quello del giovane chef, da qualche mese alla guida del suggestivo spazio con vista su Torino. Il 10 novembre, ancora una volta per cena, l'appuntamento dedicato alla birra artigianale al Ristorante Tre Galli, per sperimentare l'abbinamento tra provolone Valpadana e birre Flea, grazie al menu ideato da Giovanni Battista Caputo. A ridosso dell'apertura del festival, il 14 novembre c'è ancora tempo per una cena da non perdere, all'Artemisia Bistrot, con la cucina creativa di Giuseppe Rambaldi (già talentuoso secondo di Davide Scabin). I vini in abbinamento sono quelli della cantina Bel Colle. Chiude, il 16 novembre, la degustazione dei vini Bertani all'ombra della Mole. E si riparte dall'inizio, con l'Enoteca Rossorubino di nuovo teatro dei giochi. Il giorno dopo, venerdì 17, tutti al Lingotto: comincia la festa di Gourmet Food Festival!

 

Consulta tutti gli appuntamenti e scopri vini e menu di Aspettando Gourmet

Il Rum è Servito, sesta edizione. A Bologna, la cena da Bruno Barbieri con Ron Zacapa

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Arriva a Bologna il tour di Ron Zacapa, che con Gambero Rosso porta in giro per l'Italia la cultura del rum guatemalteco, in abbinamento alla cucina d'autore di 10 grandi chef. Il 25 ottobre, appuntamento in via Murri, per scoprire la proposta di Fourghetti e di chef Barbieri in un'occasione molto speciale. 

Appuntamento speciale per la rassegna Il Rum è servito, che mercoledì 25 ottobre fa tappa a Bologna. L'iniziativa di Gambero Rosso e Ron Zacapa si rivela, una cena dopo l'altra, un'ottima opportunità per scoprire le qualità del rum, e la cultura del distillato guatemalteco che Zacapa porta nel mondo. Con la complicità degli chef chiamati a interpretare le diverse sfumature del rum in degustazione (tre le varianti della gamma Zacapa protagoniste: Ron Zacapa 23 – gusto morbido e sentori di frutta tropicale e vaniglia – Ron Zacapa 23 Etiqueta Negra – più intenso, con note di cioccolato e spezie – Ron Zacapa XO – aroma di tabacco, caramello e cannella), che agli ospiti propongono l'insolito abbinamento a tutto pasto, con piatti ideati per concordanza o contrasto.

 

Un gioco di cucina molto raffinato, e personale, che tra qualche giorno vedrà coinvolto Bruno Barbieri, alla guida del suo Fourghetti. L'appuntamento in via Murri porterà gli ospiti alla scoperta del bistrot polifunzionale che poco meno di un anno fa segnava il ritorno in scena del celebre chef emiliano, per una cena degustazione di tre portate giocata sui sapori della tradizione, temprata dall'interpretazione moderna firmata Barbieri. Questo il menu della serata, con il master Ambassador Zacapa Franco Gasparri a curare gli abbinamenti col rum:

 

Cartoccio di pasta croccante con ragù di melanzane, squacquerone e capperi su fondente di pomodoro piccante

Zacapa 23 yo

 

Spiedo di manzo alla brace con funghi ripassati, burrata e salsa bernese al dragoncello

Zacapa Etiqueta Negra

 

La torta al cioccolato e arachidi tostate in frullato di caffè e latte montato con gelato di vaniglia

Zacapa XO

 

Si prenota direttamente ai recapiti del ristorante.

 

Fourghetti – Bologna – via Augusto Murri, 71 – 051 391847 -  www.fourghetti.com

Top Italian Restaurants del Gambero Rosso. La guida dei migliori locali italiani all'estero

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Continua il percorso di internazionalizzazione del Gambero Rosso. Per la prima volta, arriva la guida che dà i voti ai migliori ristoranti italiani all'estero, le insegne che più di tutte portano in alto la bandiera del gusto made in Italy nel mondo. 

Gli italiani all'estero

I punteggi sono ancora quelli, Forchette, Gamberi, Spicchi e Bottiglie, simboli ormai riconosciuti a livello internazionale, e che da sempre accompagnano il nostro lavoro. Ma questa volta siamo andati alla ricerca dei migliori chef italiani all'estero, quelli che con estro e creatività trasformano e promuovono le nostre eccellenze, facendolo conoscere al pubblico straniero. Con la stessa sensibilità e lo stesso rispetto per le materie prime che contraddistinguono la tavola italiana nel mondo. Perché che si trovi a Hong Kong o Tokyo, a San Francisco o Seul, un cuoco italiano porterà sempre con sé il culto del cibo e quel senso di convivialità che hanno fatto la storia della gastronomia italiana all'estero. La guida Top Italian Restaurants del Gambero Rosso, online da fine ottobre, nasce proprio per rimarcare un’autenticità d’intenti, e riconoscere il lavoro di chi, fuori dai nostri confini, fa ricerca, dà valore al prodotto d’origine, lo abbina, lo comunica. Per valorizzare la ristorazione nostrana in terra straniera, in barba all'italian sounding. Una guida digitale in lingua inglese che si impegna a valutare e recensire i migliori locali italiani nel mondo, dagli Stati Uniti all'Australia.

La guida

Sono più di 100mila gli esercizi stimati nel mondo che si rifanno alle nostre tradizioni. 370 circa (al momento), fra ristoranti e pizzerie, sono quelli che abbiamo selezionato in guida. Un manuale per tutti gli appassionati di gastronomia che si ritrovano a viaggiare per lavoro o per passione, e che a tavola vogliono ritrovare i sapori nostrani; un volume per tutti gli italiani all'estero, che potranno sentirsi un po' a casa, ma anche e soprattutto per i buongustai stranieri, che grazie alla mappa del Gambero Rosso potranno scoprire il carattere della cucina italiana, senza necessariamente passare per la Penisola. Materie prime d'eccellenza, prodotti freschi, piatti antichi e altri più moderni, reinterpretati cercando di andare incontro al gusto del Paese ospitante: queste le caratteristiche delle insegne segnalate dalla guida, un vademecum in continuo aggiornamento e pronto ad arricchirsi sempre di nuovi indirizzi.

 

Gli chef imprenditori

Non c'è storia: i prodotti made in Italy continuano a essere fra i più richiesti a tutte le latitudini. L'export agroalimentare italiano, infatti, ha visto una crescita del 6,7% nel primo semestre del 2017, dimostrando ancora una volta la potenza inarrestabile delle materie prime del Bel Paese. Gli chef e i pizzaioli premiati nella guida sono la rappresentazione della cucina più autentica, quella in grado di trasformarsi e adattarsi alle esigenze del luogo, mantenendo salda la propria identità. I protagonisti di quest’età d’oro della ristorazione italiana all’estero sono, nella maggioranza dei casi, professionisti giovanissimi: attenti, preparati, con esperienze internazionali alle spalle, e con una creatività capace di esaltare le materie prime e incuriosire anche i palati più esigenti. E una mentalità imprenditoriale che ha permesso loro di farsi notare. “Per troppo tempo il primo settore per dimensioni e occupazione della nostra economia è stato affidato alla spontanea imprenditorialità, che è una della grandi caratteristiche italiane, ma poco assistita nell’esigenza di crescita manageriale, commerciale e comunicativa”, commenta il presidente del Gambero Rosso Paolo Cuccia.“Gambero Rosso è grato agli imprenditori e professionisti del settore, a cui conferma il supporto e la promozione”.

 

La presentazione

È il Chorus Café di Roma a ospitare oggi, 21 ottobre 2017, la cerimonia di presentazione della guida Top Italian Restaurants, a cui seguirà un pranzo d'eccezione con un menu studiato su misura dai giovani chef Alessandro Cozzolino del Grissini Grand Hyatt di Hong Kong e Antonio di Criscio di Era Ora di Copenaghen, insieme al pizzaiolo Gennaro Nasti, proprietario di Bijou. Ad accompagnare le portate, una grande cuvéè Ferrari lanciata in anteprima, e altre bottiglie italiane d'annata, proveniente dalle cantine dei migliori ristoranti internazionali.

 

I premiati

Ristorante dell'Anno – Era Ora, Copenaghen

Si trova tra i canali di Copenaghen il Ristorante dell’Anno, la più completa esperienza gastronomica che abbiamo fatto nel 2017. Tradizione e ingredienti ricercati rimessi in gioco, riattivati un cucina complessa e di straordinaria pulizia dei sapori. Il team di cucina è tutto italiano, tutti sotto i 30 anni. Qui i dettagli fanno la differenza, a cominciare dal superbo olio umbro dagli aromi pungenti e profumati, e una bellissima mano sul piccante. Senza contare la carta dei vini da 90.000 bottiglie di solo vino italiano, frutto di una passione viscerale: la creazione dei piatti, infatti, parte dall’abbinamento con il vino. Infine, il cestino del pane, prodotto nel forno proprio, che regala sensazioni d’altri tempi e luoghi, riportandoci in piccole città di provincia.

Chef dell'Anno – Alessandro Cozzolino, Hong Kong

Hong Kong, Victoria Harbour, all’interno del lussuoso Grand Hyatt Hotel. Il premio se lo aggiudica Alessandro Cozzolino, Executive Chef del ristorante Grissini. Ha iniziato giovanissimo, tra le tante esperienze in Italia, Gaetano Trovato a Siena e Nino Di Costanzo a Ischia. A soli 25 anni ha preso il pallino dello storico ristorante italiano a Hong Kong. E in due anni l’ha rivoluzionato a colpi di sapori campani, carrello delle mozzarelle, pomodorini del piennolo, cottura e mano felice, piatti incisici ed equilibrati. Ventisette anni, tanta esperienza e un talento unico. Siamo convinti che prima o poi tornerà in patria ad aprirsi il suo di locale.

Carta dei vini dell'Anno – Acquerello, San Francisco

Da Hong Kong a San Francisco. La Cantina dell’Anno va al ristorante Acquerello, aperto nel lontano Luglio del 1989 dal bolognese Giancarlo Paterlini e Suzette Gresham. A Sacramento Street c’è un carta da vini che viene voglia di portare a casa per quanto è curata e ben scritta, con tanto di data sboccature per singola cuvée. Una selezione completa, e non solo per i numeri enciclopedici, fatta con amore, con grandi classici e produttori meno noti che stuzzicano. Bellissima anche la selezione di bollicine francesi, impressionante la collezione di Barolo e vecchi millesimi anche su denominazioni meno note. In più, tanti grandi formati e servizio del vino stellare, coordinato dal figlio Gianpaolo, e ricarichi corretti visti il contesto. Suzette reinterpreta i sapori italiani con una mano deliziosa e raffinata; francese, direbbe lei sottovoce.

Pizza dell'Anno – Bijou, Parigi

L’ultima fatica di Gennaro Nasti. Ha avuto il coraggio di osare e l’ambizione di proporre qualcosa di diverso. Cucina sulla pizza e si diverte non poco. Ha preparato 6 tipi d’impasti, tranci gourmet proposti a spicchi, carta da 150 etichette di vini con tanto di sommelier. Cotture puntuali e materie prime d’eccellenza, quasi tutto rigorosamente importato dall’Italia, anche il basilico, per un’esperienza divertente che ci ricorda che la pizza è cultura, gioco e voglia di stupire.

Apertura dell'Anno – Rigò, London

Siamo a Londra, nel quartiere di Fulham. È partita sotto un’ottima stella l’avventura dello chef Gonzalo Luzarraga e il coofandotore Francesco Ferretti. Il ristorante non si vuole connotare come italiano, guarda a influenze francesi e anche orientali. Ma basta assaggiare i piatti per capire quanto ci sia di sensibilità italiana, con una straordinaria ricerca che porta nel piatto piccolissimi artigiani, soprattutto piemontesi. La carta dei vini è semplicemente brillante, con viticoltori italiani poco noti e di grandissimo valore. E anche nell’abbinamento c’è un’identità e una sensibilità tutta tricolore. Una cucina italiana che guarda il mondo e che esce, con successo, da tutte le etichette.

 

Top Italian Restaurants | Roma | 21 ottobre 2017, ore 12.00 | via della Conciliazione, 4 | www.gamberorosso.it/restaurants

 

a cura di Michela Becchi

 

 

 

 

 

La focaccia e i suoi derivati. 5 specialità del Trentino Alto Adige e una ricetta

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Il Trentino Alto Adige è una terra dai sapori decisi e inconfondibili, derivati da una tradizione gastronomica di origine remote e dalle radici eterogenee. In una cucina così articolata, trovano spazio anche pani e focacce.

Una tavola sui generis, frutto di contaminazioni culturali diverse e di una ricchezza agroalimentare preziosa. Il Trentino Alto Adige ha molto da offrire quando si tratta di cibo, dai primi piatti (canederli, spätzle, minestra d'orzo, risotto al teroldego) ai dolci (strudel, zelten, strauben), senza dimenticare i tanti formaggi e tutte le ricette a base di carne. Una tradizione gastronomica strettamente legata alla Contea del Tirolo, alla cucina austriaca e tirolese, che ha fatto dei prodotti caseari e dei salumi i suoi marchi di fabbrica. Meno sviluppata è l'arte bianca, che riserva comunque delle gustose sorprese, dal celebre brezel allo smacafam. I 5 prodotti da forno tipici della regione, e una ricetta per il pane di segale con uvetta e fichi Briciole Food and Drink, evoluzione dello storico Panificio Moderno di Rovereto, in provincia di Trento.

Brezel

Spesso associato con la cucina tedesca, il brezel in realtà è un pane di origine alsaziana diffuso in tutti i paesi germanici e nel Sud-Tirolo. Secondo la leggenda, in origine il pane veniva donato dai monaci del Sud della Francia come premio ai bambini che riuscivano a imparare a memoria i versi e le preghiere della Bibbia. Da qui il nome pretiola, ovvero ricompensa, italianizzato poi in brachiola. Attraversando le Alpi e la Germania, le brachiole divennero poi conosciute come brezel, dapprima consumate mezze crude, e poi – solo in seguito - tostate grazie all'errore di un fornaio, che si addormentò sul posto di lavoro facendole bruciare. In passato simbolo di fortuna e prosperità, oggi i brezel sono fra i prodotti da forno più consumati in tutta la regione. Interamente coperti di sale grosso, questi pani dal colore ambrato e la forma annodata sono perfetti come merenda o anche come accompagnamento per salumi e formaggi.

Corona dolce

Una focaccia semi-dolce tipica del periodo pasquale, a base di farina, zucchero, burro, uova, latte, lievito. Viene decorata, solitamente, con uova sode colorate e dipinte a mano, ed è spesso arricchita da aromi di vario genere, dalla cannella alla vaniglia, senza dimenticare le scorze di agrumi. Come spesso avviene per le preparazioni tradizionali, la ricetta di questo prodotto varia di famiglia in famiglia, e prevede lievitazioni piuttosto lunghe che la rendono un dolce leggero e arioso. L'impasto viene intrecciato dandogli la forma di ciambella, che viene posta come centrotavola e consumata a fine pasto.

Polsterzipfel

Un raviolo di pasta sfoglia ripieno di crema al formaggio e burro, cotto al forno e servito ancora caldo. Il polsterzipfel è un'antica ricetta della tradizione pastorale trentina, e rappresenta un'ottima alternativa a panini e focacce. La pasta, tirata molto sottile, è croccante e friabile, e viene solitamente farcita con il quark, morbido formaggio a latte vaccino tipico della Germania, spesso utilizzato anche in pasticceria. Non manca, però, anche la versione dolce, con confetture di mele e marmellate di agrumi, creme e frutta.

Smacafam

Farcita con lardo, pasta di luganega e luganega fresca, questa torta morbida è diffusa un po' in tutte le zone della regione. Lo smacafam (letteralmente schiaccia-fame) viene consumato come pasto unico, nato in principio in occasione del Carnevale, per soddisfare pancia e palato dei fedeli dopo il periodo di digiuno quaresimale, oggi è disponibile durante tutto l'anno. Viene spesso abbinato a formaggi e salumi del territorio, ma può essere anche gustato in purezza, o accompagnato da un'insalata di tarassaco, ideale per bilanciare il sapore pieno e ricco dell'impasto succulento.

Tirtlan

Prodotto originario della Val Pusteria, il tirtlan (o tirtlen, o tirschtlan) è composto da una sfoglia di farina di segale ripiena di ricotta, spinaci, patate o crauti. Un involucro di pasta sottile fritto in olio o strutto bollenti, anche se oggi non è raro trovarlo anche cotto al forno. Protagonista di tutte le feste popolari dei vari borghi dell'Alto Adige, questa specialità è disponibile anche nella versione dolce, con ricotta e zucchero o confetture, arricchita con semi di papavero, e rappresenta uno dei mangiari di strada più celebri della regione. Per realizzarlo, occorrono farina, sale, uova e acqua, mix di ingredienti che danno origine a un impasto elastico e soffice, da lasciar lievitare a lungo.

 

Pane di segale

Pane di segale con fichi e uvetta di Briciole Food and Drink di Rovereto

La ricetta: Pane di segale con fichi e uvetta di Briciole Food and Drink, Rovereto

50 g. di farina tipo 1

150 g. di farina di segale

160 g. di acqua

120 g. di lievito madre in crema

4 g. di sale

1.8 g. di spezie (cumino, coriandolo, finocchio)

244 g. di uvetta

244 g. di fichi

Lavare i fichi e l'uvetta con acqua calda, e lasciarli asciugare in uno scolapasta, per far defluire l'acqua in eccesso. Impastare insieme farine, acqua tiepida, lievito madre, sale e spezie. Aggiugnere la frutta secca e lasciar riposare il panetto per 90 minuti. Formare delle pagnottine da circa 500 grammi l'una e lasciar lievitare per 2 ore circa a temperatura ambiente. Cuocere in forno a 200°C per circa 35 minuti.

a cura di Michela Becchi

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