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Tre Bicchieri. Parla Anselmo Chiarli di Chiarli 1860

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Chiarli è sinonimo di Lambrusco: lo produce da 150 anni ed è il responsabile primo della sua rinascita in termini di qualità e apprezzamento del pubblico.

La storia del Lambrusco è legata in modo indissolubile a quella della famiglia Chiarli. Quando, era il 1860, Cleto Chiarli ha deciso che era giunto il momento di produrre in prima persona il vino poi venduto in mescita nella sua osteria di Modena. Erano altri tempi, ma già allora Cleto aveva capito l'importanza di imbottigliare quel suo vino. Nel tempo aveva messo a punto tecniche di rifermentazione in bottiglia, oggi tornate all'attenzione degli appassionati che non si accontentano più di un vino di facile beva, ma che cercano, e sanno apprezzarne, complessità e personalità. Caratteristiche, queste, impensabili solo fino a qualche anno fa.

Oggi il panorama del vino-simbolo emiliano è variegato, un mosaico di prodotti che sanno interpretare il territorio nelle sue diverse zone e accontentare pala​ti diversi. In questa evoluzione, quella stessa cantina, con l'erede di Cleto, Anselmo Chiarli, continua a essere in prima linea con vini che continuano a conquistare riconoscimenti. Superbo il Sorbara del Fondatore '16, Tre Bicchieri 2018: secco eppur non privo di morbidezza, minerale, elegante, vitale, profumato

 

Lei è alla guida di un'azienda storica: ci racconta le molte vite del Lambrusco?

Il Lambrusco è uno dei vini storici italiani, presenti negli elenchi ufficiali nei nostri ministeri - anche in relazione alla vendita all'estero – già negli anni '60-'70. La nostra azienda produce Lambrusco da 150 anni, è la testimone principale di questa storia che ha avuto uno sviluppo lineare nei decenni, fino al dopoguerra. È sempre stato un prodotto tipicamente di territorio, legato a un consumo locale, ma per le sue caratteristiche di vino spumante, doveva necessariamente essere in bottiglia. Questo ne faceva un prodotto che poteva viaggiare con maggiore facilità rispetto ad altri. Cosa che ne ha sostenuto la vendita all'estero.

 

Dal punto di vista delle caratteristiche tecniche, invece?

Risale agli anni '50 l'introduzione del metodo charmat che ha segnato un'importante evoluzione tecnica per il Lambrusco. Una novità che ha permesso di fare vini più modulati, di cercare risultati diversi e ottenere – secondo i casi - vini secchi, amabili o dolci. È stata una nuova era, che ha portato a vini più fini, fruttati, con maggiore facilità a collocarsi sui mercati, soprattutto quelli esteri. L'exploit più grande c'è stato negli anni '70-'80 e più avanti, quando è stata proposta una versione atipica, dolce, che ha avuto un grande successo. E così è andato avanti per un po'.

 

E poi cosa è accaduto?

I produttori hanno sentito la necessità di tornare alle origini, anche se – a essere onesti - la tipologia classica ha continuato sempre a essere prodotta. Sono emersi, però, la voglia e l'orgoglio di riportare il Lambrusco ai suoi caratteri più veri. Dato poi che non si parla di un vitigno ma di una famiglia di vitigni, il percorso non è stato semplice, ci sono voluti tempo e investimenti, ma è iniziata una nuova era, che in realtà è un ritorno al classico. Oggi il Lambrusco, pur con caratteristiche diverse secondo il vitigno da cui proviene, è un vino secco, molto più interessante.

 

Veniamo ai giorni nostri

Un momento importante ha coinciso con la costruzione della nostra cantina aziendale nel 2000. Da allora abbiamo avuto grandi risultati in termini di qualità, un risultato sostenuto anche da premi e riconoscimenti di guide e addetti ai lavori; e in questo senso i Tre Bicchieri hanno consentito al Lambrusco di fare passi da gigante. Anche altri produttori si sono inseriti sulla stessa lunghezza d'onda e ora la produzione di Lambrusco di qualità è patrimonio anche di aziende medie e piccole.

 

L'immagine che se ne ha non è sempre all'altezza della qualità, però

È vero, il Lambrusco è stato un po' bistrattato, anche perché il giudizio dei consumatori era tarato sui prodotti che mediamente si trovavano sul mercato. Ora la percezione è cambiata molto, in senso positivo. Del resto ormai si trovano molte referenze di Lambrusco sugli scaffali, e non solo prodotti di primo prezzo, ma anche di fascia più alta, ma sempre con un costo sostenibile.

 

Molti territori italiani sono profondamente legati a un vitigno, ma il vincolo tra lambrusco ed Emilia sembra ancora più indissolubile. Secondo lei perché?

Il Lambrusco è un autoctono vero, legato al territorio, che è cresciuto e si è evoluto anche con il cibo prodotto in zona. È un vino leggero, dall'acidità elevata, che si abbina al cibo locale, grasso ricco, a partire dai grandi salumi, per arrivare alle pastasciutte e ai ragù. Localmente si beve Lambrusco anche per questo motivo.

 

Invece fuori dall'Emilia come va?

Fuori dalla zona il Lambrusco ancora soffre di un certo pregiudizio, ma molti stanno capendo, ora, la sua qualità, siamo all'inizio di un processo che sarà lungo. Certe cose hanno bisogno di tempo. Il nostro non è un vino da scoprire, non è una novità, non gode dell'interesse legato alla scoperta: è un vino che è già conosciuto, ma conosciuto male. La vera novità è che si può trovare a prezzi accessibili e più facilmente di qualità.

 

La qualità del Lambrusco negli ultimi 10 anni è cresciuta in maniera esponenziale. Ma le uve (così come anche il vino) fanno ancora fatica a crescere di prezzo. Come mai?

Il motivo è semplice: qui c'è una produzione elevata, sia come ettari vitati che come resa. Che nel caso del Lambrusco non significa scarsa qualità, al contrario: da noi qualità e quantità vanno di pari passo. Quest'anno, però, ne vedremo delle belle: con la produzione scarsa e il mercato che è esploso.

 

Come vanno le vendite di Lambrusco all'estero?

Sono a macchia di leopardo, in alcuni mercati c'è un po' di stagnazione, soprattutto quelli più maturi, per esempio la vecchia Europa, ma essendo un vino classico una certa presenza è comunque assicurata, magari solo un po' contratta rispetto a momenti in cui andava più di moda. In altri mercati sta evolvendo molto bene, per esempio i nuovi mercati come i paesi dell'est Europa, fino alla Russia e in tutte quelle zone in cui il Lambrusco gioca le sue carte proprio per le sue caratteristiche, apprezzate da chi si apre ora al consumo del vino.

 

Qual è il futuro del Lambrusco?

Sarà determinato dai giovani di oggi che diventeranno i nostri consumatori di domani. Bisogna interpretare le loro esigenze, che sicuramente andranno in direzione di una maggiore raffinatezza rispetto al passato, a partire dalla qualità del vino, ma considerando anche tutto quel che c'è intorno, come marketing e immagine. Occorre farlo conoscendo i mercati. Non sarà facile perché la competizione è enorme, e non parlo solo di quella interna ma quella dei mercati mondiali. Bisogna confrontarsi con essi avendo ben chiaro che non siamo gli unici produttori di vino al mondo.

 

Per quanto riguarda le caratteristiche del vino, il suo stile?

Sicuramente sta ritornando nel suo stile originario, ed è sempre più apprezzato per quel che deve essere: un vino con caratteristiche proprie della sua zona di origine. È lunga la strada ma alla fine proporre delle tipologie classiche paga, perché si consolidano magari più lentamente, ma non sono mode passeggere.


Chiarli 1860 | Modena | via Manin, 15 | tel. 059 3163311 | https://www.chiarli.it/showPage.php?template=istituzionale&id=1

a cura di Antonella De Santis e William Pregentelli

 


Continua l'anno Francia-Colombia. A Parigi l'evento che ha unito le due cucine

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Il 2017 è l'anno Francia-Colombia: 12 mesi all'insegna della condivisione per rafforzare l'unione ormai consolidata fra le due nazioni. Tra le varie iniziative, non poteva mancare quella gastronomica, realizzata a Parigi in un antico mercato coperto.

Année France-Colombie

25 gennaio 2015. Juan Manuel Santos, presidente della Colombia, e François Hollande, allora presidente della Francia, firmano l'accordo per istituire ufficialmente l'anno Francia-Colombia, fissato per il 2017. Un patto pensato per rafforzare le reciproche relazioni già in espansione e consolidare l'immagine dello stato sudamericano in Francia e, viceversa, la percezione del Paese transalpino in Colombia. In un anno (il 2015) in cui, più che mai, la Colombia ha intrapreso una trasformazione radicale e un'accelerazione repentina del processo di pace con i FARC, organizzazione guerriglia comunista nata nella prima metà degli anni '60. L'intesa prevedeva due diverse stagioni: la partecipazione della Francia in Colombia nella prima metà del 2017, con manifestazioni, congressi, eventi e iniziative create su misura, e quella della Colombia in Francia nella seconda metà dell'anno. Per una copertura totale dei diversi settori più sviluppati dei due Paesi, e il coinvolgimento da parte delle comunità e aziende locali ospitanti.

L'unione a tavola

Un progetto dall'ampio respiro, dunque, che abbraccia diversi ambiti che costituiscono l'identità culturale di una nazione. E che, proprio per questo motivo, non poteva di certo escludere la parte enogastronomica, tassello fondamentale del carattere di una popolazione, specialmente per due Paesi che vantano una tradizione così antica e ricca, fondata su ricette storiche e un'ampia biodiversità agroalimentare. Nel piano della Francia non poteva mancare, dunque, una rassegna culinaria che unisse le usanze e i consumi delle due parti. Si è conclusa da poco più di una settimana la Food Temple, manifestazione gastronomica organizzata dalla catena di hotel di lusso Relais & Châteaux, in scena il 23 e il 24 settembre. Una due giorni all'insegna del gusto, per celebrare uno stile di vita sano, l'alimentazione consapevole e la dieta salutare. Con il contributo dei farmer's market, mercati a filiera corta gestiti dai contadini stessi, in arrivo direttamente dal Sud America. Profumi e sapori che si mescolano, aromi speziati e salse di ogni tipo, per un connubio fra prodotti e ricette francesi e il gusto della cucina colombiana. Fra laboratori, attività e degustazioni, alla scoperta delle specialità delle due nazioni, e del modo più originale e creativo per coniugare i prodotti di queste terre così distanti. Soprattutto, un evento pensato per valorizzare il concetto di ospitalità, che proprio nella tavola trova la sua espressione migliore, grazie al contributo degli chef di fama internazionale. Matthias Alet (St James, Parigi), Olivier Barbarin, (Chateau d’Audrieu, Calvados), Christelle Brua (Le Pré Catalan, Paris), Thomas Debouzy (Hostellerie de la Briqueterie, Vinay), Julien Dumas (Lucas Carton, Paris) e molti altri i protagonisti dell'evento.

Il mercato

A ospitare il festival, il Carreau du Temple, storico mercato della città situato nel quartiere residenziale del III arrondissement. Costruito nei primi anni '50, lo spazio nacque in principio come mercatino di abbigliamento, ed è stato completamente rivoluzionato nel 2014, con l'intenzione di creare un'area polifunzionale in grado di accogliere attività di diverso genere, dagli eventi sportivi a quelli culturali, dai festival musicali ai congressi. Oggi, si presenta come uno spazio eclettico di 6.500 metri quadri, disponibile per feste private e progetti specifici. All'interno, resta sempre fisso il mercato coperto di 2.300 metri quadri, una struttura imponente in vetro e metallo dai tratti essenziali e i volumi netti, che attualmente rappresenta uno degli edifici industriali più iconici della capitale nel distretto Haut-Marais. Qui, artisti di ogni provenienza si danno il cambio per le loro performance, ma il locale viene impiegato anche per proiezioni cinematografiche, manifestazioni, conferenze e spettacoli.

www.carreaudutemple.eu/

a cura di Michela Becchi

Anteprima Tre Bicchieri 2018. Marche

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L'anticipazione dei premiati della nuova guida Vini d'Italia 2018 oggi ci porta a scoprire i migliori vini delle Marche.

Gli assaggi delle Marche hanno restituito ancora una volta un registro plurale di vitigni e territori su cui operano un pulviscolo di aziende. Un tessuto produttivo che sovente ha il taglio dell'impresa familiare e che non sconfina quasi mai nei grandi volumi. Se da un lato questa sfaccettatura ha tutto il fascino dei piccoli numeri, dall'altro tocca il nervo scoperto della ridotta visibilità e della conseguente minor valorizzazione delle uve. Molto lavoro è stato fatto dai due consorzi preposti ma occorre trovare una maggiore coesione tra le aziende e una sintesi più efficace dei tanti interessi - non solo economici - in ballo. Al di là di queste problematiche strutturali la qualità proposta è confortante, specie per il comparto dei vini bianchi.

I Castelli di Jesi e Matelica viaggiano con il solito passo spedito: i tanti attori protagonisti, una molteplicità di stili e una proposta qualitativa costantemente livellata verso l'alto, creano le condizioni per evitare situazioni cristallizzate, immutabili. In questo contesto salta agli occhi il nome della famiglia Vicari, citati per la prima volta tra i premiati così come non siamo stupiti che sia il cadetto di casa Bucci, il Verdicchio Classico, a sottrarre gli onori alla famosa Riserva Villa Bucci. Dopo la pausa di uno o più anni tornano con autorevolezza al massimo riconoscimento nomi di un certo blasone come Garofoli, Borgo Paglianetto e Leo Felici, mentre Roberto Venturi dimostra come la sua stella non fosse destinata a brillare per un singolo episodio. La stessa Umani Ronchi primeggia con un Verdicchio dopo l'exploit del Conero Riserva dello scorso anno. Pievalta, Poderi Mattioli, Marotti Campi, Belisario, Tenuta di Tavignano, La Monacesca, Fazi Battaglia e Bisci si confermano dando encomiabile costanza e personalità ai propri vini.

La situazione nel Piceno, l'altro grande polo produttivo regionale, è più articolata. Qui è il Pecorino a tener banco sulla scena bianchista. Nonostante la recente fondazione, Tenuta Spinelli passa oramai per una veterana grazie ai cinque Tre Bicchieri consecutivi. A essa si affiancano due debuttanti: la piccola realtà artigiana di Maria Letizia Allevi e la promettente Tenuta Santori, entrambe figlie del più autentico genius loci. Il montepulciano trova gloria sia quando è vinificato in purezza (come nell'Offida Rosso di Emanuele Dianetti) sia nei vini de Le Caniette e Velenosi, dove è proposto nel tradizionale blend con il sangiovese.

Altri distretti non riescono ancora a esprimersi ai vertici qualitativi ma diamo testimonianza del fatto che si sta lavorando alacremente sugli autoctoni. L'intento è creare un binomio inscindibile tra vitigno e territorio, unica risposta efficace alla globalizzazione imposta dalla straripante diffusione delle cultivar internazionali. Ma, si sa, per questo occorrono tempo, investimenti e un impegno costante.

 

I vini delle Marche premiati con Tre Bicchieri

 

Castelli di Jesi Verdicchio Cl. Lauro Ris. ’15 - Poderi Mattioli

Castelli di Jesi Verdicchio Cl. Salmariano Ris. ’14 - Marotti Campi

Castelli di Jesi Verdicchio Cl. San Paolo Ris. ’15 - Pievalta

Castelli di Jesi Verdicchio Cl. San Sisto Ris. ’15 - Fazi Battaglia

Castelli di Jesi Verdicchio Cl. V. Il Cantico della Figura Ris. ’13 - Andrea Felici

Offida Pecorino ’16 - Tenuta Santori

Offida Pecorino Artemisia ’16 - Tenuta Spinelli

Offida Pecorino Mida ’16 - Maria Letizia Allevi

Offida Rosso Vignagiulia ’14 - Emanuele Dianetti

Piceno Sup. Morellone ’12 - Le Caniette

Rosso Piceno Sup. Roggio del Filare ’14 - Velenosi

Verdicchio dei Castelli di Jesi Cl. Sup. ’16 - Bucci

Verdicchio dei Castelli di Jesi Cl. Sup. Insolito del Pozzo Buono ’15 - Vicari

Verdicchio dei Castelli di Jesi Cl. Sup. Misco ’16 - Tenuta di Tavignano

Verdicchio dei Castelli di Jesi Cl. Sup. Podium ’15 - Gioacchino Garofoli

Verdicchio dei Castelli di Jesi Cl. Sup. Qudì ’15 - Roberto Venturi

Verdicchio dei Castelli di Jesi Cl. Sup. V. V. ’15 - Umani Ronchi

Verdicchio di Matelica Cambrugiano Ris. ’14 - Belisario

Verdicchio di Matelica Mirum Ris. ’15 - La Monacesca

Verdicchio di Matelica Petrara ’16 - Borgo Paglianetto

Verdicchio di Matelica Vign. Fogliano ’15 - Bisci

 

 

Gli altri premi Tre Bicchieri della guida Vini d'Italia 2018

Grande degustazione Tre Bicchieri 2018 | Sheraton Rome Hotel | 22 ottobre 2017

Prosciutto di Parma IG. In Giappone il riconoscimento dell'indicazione geografica. Ecco perché è importante

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Segna la fine di un iter iniziato 17 anni fa, e il principio di un nuovo modo di promuovere il made in Italy nel mondo. Il Prosciutto di Parma conquista l'indicazione geografica in Giappone, all'insegna della tutela delle specialità agroalimentari anche all'estero.

Il riconoscimento

Un traguardo unico per un'eccellenza made in Italy. Il prosciutto di Parma, uno dei salumi più rappresentativi dell'Italia nel mondo, diventa una specialità riconosciuta anche nella terra del Sol Levante, dove può vantare il marchio IG, Indicazione Geografica. “Siamo orgogliosi di questo risultato che premia gli sforzi dei nostri produttori e che conferma l'indubbia qualità del Prosciutto di Parma, un prodotto che richiede tempo, fatica e che segue delle rigide regole imposte dal disciplinare”, ha dichiarato Stefano Fanti, direttore del Consorzio del Prosciutto di Parma. E aggiunge: “Il nostro prodotto diventerà ancora più riconoscibile sul mercato nipponico per i nostri consumatori, grazie all'applicazione del logo della IG giapponese in etichetta”. Una novità che consentirà di “diffondere il concetto di DOP, e ci aiuterà a raccontare sempre meglio le caratteristiche lo rendono unico al mondo”. Un passo significativo nella promozione e tutela delle specialità gastronomiche della Penisola, “che ci auguriamo possa aprire la strada ad altri prodotti italiani ed europei a indicazione geografica per l'ottenimento della registrazione tramite l'Accordo bilaterale UE-Giappone”. Perché poter tutelare efficacemente la denominazione e il marchio di un determinato prodotto“è un punto di partenza imprescindibile per crescere in qualsiasi mercato”,ampliando il proprio target e la abbracciando una fetta di clientela più ampia e variegata.

Il percorso

Non è un caso che sia proprio il prosciutto la prima eccellenza italiana a essere riconosciuta nel paese del Sol Levante. Con circa 107mila prosciutti (per un valore totale di 11 milioni) il Giappone è, infatti, il primo mercato asiatico in termini di esportazioni, e il secondo, dopo gli Stati Uniti, al di fuori dell'Unione Europea. L'iter per la tutela della specialità parmense in terra nipponica era cominciato molto tempo fa, ben 17 anni or sono. Registrato nel 2000 col marchio “Corona Ducale”, bisognerà attendere il 2006 affinché, per la prima volta, il prodotto sia classificato come Regionally Based Collective Trademark, nuovo sistema di registrazione introdotto in Giappone nell'aprile del 2006 per garantire la tutela del cibo locale. E ora arriva il riconoscimento più ambito, l'IG.

Il Consorzio

A diffondere la notizia il Consorzio di tutela, presente da oltre 20 anni sul territorio, da sempre impegnato nella valorizzazione di questo salume tipico del made in Italy. Fra le ultime iniziative, il progetto triennale finanziato dall'Unione Europea, che mira a diffondere la conoscenza di due eccellenze DOP, Prosciutto di Parma e Grana Padano, tra operatori del settore e consumatori finali, attraverso la partecipazione a fiere e manifestazioni dedicate, oltre alle collaborazioni con i ristoratori. Ora, il Consorzio accoglie con entusiasmo le ultime novità dalla terra del Sol Levante, promettendo di continuare a puntare sempre di più sull'export, e auspicando di ottenere presto altri riconoscimenti simili.


a cura di Michela Becchi

Che Pizza! a Milano. Al Superstudio Più 16 maestri per 32 assaggi d'autore

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La seconda edizione del festival milanese dedicato alla pizza d'autore scommette su 16 pizzaioli in arrivo dall'Italia per rappresentare una Penisola della pizza sempre più diversificata e creativa. Due giorni di assaggi no stop e tante masterclass per approfondire.  

La pizza regina dei festival

Nel marasma di eventi enogastronomici che affollano i weekend cittadini, una soluzione decisamente efficace per macinare grandi numeri sembra essere la scelta di un tema unico e univoco, da indagare in tutti i suoi aspetti nell'arco di una 48 ore di assaggi serrati. Il format offre innanzitutto la possibilità di riunire in uno spazio atto allo scopo un gran numero di professionisti del mestiere, i migliori sulla scena nazionale. Assicurandosi così un alto tasso di spettacolarizzazione della rassegna, e un pubblico trasversale. Bando alle rivalità di settore, dunque, perché l'unione fa la forza, degli organizzatori, certo, ma pure dei singoli attori, che si regalano una vetrina importante. Altrettanto garantito sarà il buon esito dell'iniziativa se il tema in questione è capace di per sé di moltiplicare le folle. E la pizza gioca da regina incontrastata. Dopo il buon esito di Sweet of Milano a Palazzo delle Stelline – perché anche la pasticceria d'autore è sempre garanzia di successo – Italian Gourmet replica così l'appuntamento con Che Pizza!, festival che riunisce i grandi pizzaioli della Penisola nel capoluogo lombardo, per un fine settimana di assaggi e approfondimenti sul tema. Anche la seconda edizione, in scena il 7 e l'8 ottobre, dalle 12 alle 23, prenderà luogo al Superstudio Più di via Tortona, con un parterre di ospiti davvero nutrito: 16 maestri pizzaioli, in arrivo da tutta Italia, per 32 versioni originali di pizza, in tutte le sue declinazioni, dalla napoletana alla pizza in teglia, alla fritta della tradizione campana, alla pizza a degustazione.

Renato Bosco, pizza in pala

 

Che Pizza! a Milano

L'idea è proprio quella di porre l'accento sulle infinite possibilità della pizza, che oggi , in modo crescente, travalica regole rigide e paletti imposti dalla tradizione, prestandosi invece alla sperimentazione e alla creatività. Allestito per l'occasione con forni e attrezzi del mestiere, il Superstudio si trasformerà in una fucina laboratorio della pizza open space, con i pizzaioli chiamati a sfornare pizze sul momento, davanti agli occhi degli “spettatori”. E mentre l'area degustazione sarà presa d'assalto dai più golosi, lo spazio dedicato agli approfondimenti proporrà 20 masterclass gratuiti con i maestri pizzaioli, oltre ai laboratori “mani in pasta” dedicati ai più piccoli. Milano, del resto, si è dimostrata particolarmente ricettiva nei confronti della pizza, e oggi offre molte possibilità di livello, che esplorano stili diversi (proprio nelle prossime ore inaugura in via Vigevano il secondo locale di Berberè). Ma Che Pizza! porterà in città anche volti meno noti ai milanesi: i campani Antonino Esposito, Antonio Fusco, Ciro Oliva, Romualdo Rizzuti (di stanza a Firenze, con Oliva nuovo Tre Spicchi sulla guida Pizzerie d'Italia 2018), Renato Bosco da Verona, Gianni e Giulia Dodaj dalla focacceria Fantasy di San Donà di Piave, Denis Lovatel, dalla provincia di Belluno, con la sua pizza vegetariana nata in collaborazione con Pietro Leemann. E poi i nomi che giocano in casa, Simone Lombardi da Dry, Gino Sorbillo che a Milano ormai gestisce un vero impero della pizza, Roberto Ghisolfi di Primacotta. Oltre ai pizzaioli dell'hinterland Teodoro Chiancone da Inzago, Pasquale Moro da Robecco sul Naviglio; e i lombardi Cristian Marasco (Lecco) e Valerio Torre (Varese).

La pizza fritta di Gino Sorbillo

Le pizza è buona perché è varia

Le pizze proposte spazieranno dalla tradizione di una pizza fritta alla moda di Zia Esterina - ricotta di bufala, provola misto latte di bufala del Matese (affumicata con paglia), ciccioli di maiale, pomodoro San Marzano e pepe nero del Thalassery – alla pizza senza lieviti di Renato Bosco, che al Superstudio porterà anche la sua versione di pizza in pala, con guacamole, finocchiona e germogli. E poi arrotolati di pizza e frusta Sorrentina (la firma Antonino Esposito di Acqu'e Sale), la Classica napoletana di Antonio Fusco e la creativa con lingua di vitello, salsa allo sgombro e bagnetto rosso di Dry. Tris di fritti per Ciro Oliva e pizza con gateau di patate e tartufo per Romualdo Rizzuti. Spazio anche all'orgoglio territoriale con la pizza gourmet dell'Est Ticino.

Denis Lovatel, Una Porta per il Paradiso

La “moneta” di scambio sarà il pomodorino, e il biglietto di ingresso (10 euro, sotto i 12 non si paga) dà diritto a una porzione di pizza (1 pomodorino, dal valore di 5 euro), oltre alla partecipazione ai laboratori, fino a esaurimento posti. Tra le masterclass da no perdere, sabato Renato Bosco presenta “il signor lievito” e Romualdo Rizzuti “l'oro di Napoli”, la sua pizza fritta (replica Ciro Oliva nella giornata di domenica). Ma si parlerà anche di biga e montanare, impasti e tecniche di cottura della pizza in pala, fibre, digeribilità e pizze gluten free. In parallelo i laboratori per i più piccoli, dai 6 ai 12 anni, per giocare con gli impasti, preparare una merenda golosa a base di pizza al cioccolato, o le pizzette “mostruose” a tema halloween.

 

I protagonisti e le pizze in assaggio

RENATO BOSCO, Saporè, San Martino Albergo (VR)

Pizza senza lieviti aggiunti con pelato di pomodoro, burrata alla pugliese, oliva taggiasca, capocollo napoletano Levoni

Pizza in pala con guacamole, finocchiona Levoni e germoglio di Venacress

TEODORO CHIANCONE, Made in Italy, Inzago (MI)

Pizza rossa con filetto di maialino, caciocavallo, castagna

Pizza con pomodorino caramellato, burrata, basilico, olio

GIANNI E GIULIA DODAJ, Pizzeria Focacceria Fantasy, San Donà di Piave (VE)

Arrotolato di pizza farcito con speck cotto alla brace, stracciatella pugliese con pistacchio biologico tostato

Arrotolato vegano con formaggio vegano bio artigianale e verdure di stagione e frutta secca tostata

Pizza in teglia margherita con pomodoro biologico ristretto e stracciatella pugliese, basilico

ANTONINO ESPOSITO, Acqu’ e Sale – Pizza & Cucina, Sorrento (NA)

Frusta sorrentina con fior di latte e pomodoro basilico

Frusta con fior di latte limone IGP e noci di Sorrento

ANTONIO FUSCO, Ristorante del Pino, Cercola (NA)

La classica napoletana con ricotta romana, provola affumicata di Sorrento, ciccioli di maiale napoletani e pepe nero

Pizza con fior di latte di Sorrento, pomodorino del Piennolo giallo del Vesuvio, basilico fresco, pecorino romano

ROBERTO GHISOLFI, Primacotta, Milano

Cuore di pizza con burrata zucca funghi chiodini riccioli di Auricchio stagionato ed erba cipollina fresca.

Cuore di focaccia romana aromatizzata al finocchietto selvatico con burrata e cotto porchettato

SIMONE LOMBARDI, Pizzeria Dry, Milano

Pizza con lingua di vitello, salsa allo sgombro, bagnetto rosso

Pizza con verdure marinate, yogurt salato, crema di acciughe e limone

DENIS LOVATEL, Pizzeria Ezio, Alano di Piave (BL)

Viaggio in Puglia pizza bianca con fiordilatte, stracciatella, mugnuli (erbette selvatiche pugliesi), granella di mandorle tostate, capocollo di Martina Franca

Una porta per il paradiso (pizza vegetariana nata dalla collaborazione con lo Chef Pietro Leemann) pizza bianca con fiordilatte, crema di crescenza, sfere di carota al sesamo, pesto di crescione, verdure nobili cotte di stagione, menta e finocchietto

CRISTIAN MARASCO, Grotta Azzurra, Merate (LC)

Italia mondiale con pomodoro San Marzano, burrata pugliese, pomodorino ciliegino rucola selvatica e scaglie di parmigiano

Non lo so con fior di latte di agerola, antico pomodoro napoletano, filetti di alice di Cetara, colatura di alici, origano, basilico e aglio

PASQUALE MORO, La Casa della Pizza, Robecco sul Naviglio (MI)

Margherita con pomodoro San Marzano, mozzarella di bufala, basilico, olio extravergine d'oliva

Pizza gourmet dell'est Ticino con prodotti stagionali delle nostre campagne

CIRO OLIVA, Pizzeria Concettina ai Tre Santi, Napoli

Pizza fritta con ricotta provola pepe e zeste limone

Pizza fritta con ricotta provola cicoli e pomodoro

Pizza fritta con ricotta provola pepe, zeste di arancia, ricciola affumicata e alghe di mare disidratate

Foto di Paolo Tresoldi

GIOVANNI PATARINI, consulente

Pizza rossa con pomodoro sardo, stracciatella, pesto ligure

Focaccia bianca ripiena di mozzarella fiordilatte e funghi, farcita con prosciutto crudo
(realizzata con una percentuale di farina di semi di canapa sativa)

ROMUALDO RIZZUTI, Le Follie di Romualdo, Firenze

La mia Napoli con pomodoro San Marzano, bufala, capperi di Pantelleria, acciughe di Sciacca, basilico e origano selvatico

Pizza con gateau di patate e tartufo

EZIO ROCCHI, consulente

Focaccia farcita

GINO SORBILLO, Pizzeria Gino Sorbillo, Napoli e Milano

L'antica pizza fritta di zia Esterina Sorbillo ricotta di bufala, provola misto latte di bufala del Matese (affumicata con paglia), ciccioli di maiale, pomodoro San Marzano e pepe nero del Thalassery

Pizza fritta bianca al salame di Faicchio ricotta di bufala, provola misto latte di bufala del Matese (affumicata con paglia), salame di Faicchio, pomodoro San Marzano e pepe nero del Thalassery

VALERIO TORRE, Torretta Pizza, Azzate (VA)

Rustica con friarielli, nduja, burrata

Scottata di sale con crema di finocchi, gocce di crema di peperoni, insalatina, noci pecan tostate, pomodorino confit, ceviche di alici alla mela verde scottato su piastra di sale

 

ChePizza! | Milano | Superstudio Più, via Tortona 27 | il 7 e l'8 ottobre | www.chepizza.italiangourmet.it

 

 a cura di Livia Montagnoli

In apertura Pizza con gateau di patate e tartufo di Romualdo RIzzuti (foto di Luca Managlia)

Il Rum è Servito, sesta edizione. Il Ron Zacapa incontra la cucina di Daniele Usai al Tino di Fiumicino

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Giovedì 12 ottobre, la terza cena del tour Zacapa approda sul litorale laziale, alla tavola di Lele Usai, che per la serata presenterà diversi piatti del nuvo menu autunnale. Una cucina di mare che non ha paura di osare, con suggestioni esotiche che ben si combinano con le sfumature del distillato guatemalteco. Ecco il menu. 

Terzo fermata per la giostra di Ron Zacapa, che tra qualche giorno farà tappa sul litorale laziale, a Fiumicino, per incontrare la cucina di Daniele Usai. Lo chef del Tino è il terzo protagonista della sesta edizione del tour Il Rum è Servito, che da qualche settimana è tornato a portare in giro per l'Italia la cultura del rum e del bere di qualità. L'idea è semplice, e vincente, come dimostra il successo delle precedenti edizioni: valorizzare il distillato guatemalteco a tavola, proponendo agli ospiti l'insolito abbinamento a tutto pasto con tre varianti della gamma Zacapa: Ron Zacapa 23 – gusto morbido e sentori di frutta tropicale e vaniglia – Ron Zacapa 23 Etiqueta Negra – più intenso, con note di cioccolato e spezie – Ron Zacapa XO – aroma di tabacco, caramello e cannella. L'accostamento con le portate di un menu degustazione speciale, studiato dallo chef, si svilupperà per contrasto o concordanza con le note aromatiche del rum, e i commensali potranno apprezzare ogni sfumatura e profumo del distillato di canna da zucchero, nel corso di un'esperienza gastronomica fuori dal comune.

Giovedì 12 ottobre la cena Zacapa va in scena in via Monte Cadria, nella bella sala vetrata con vista sul canale di Scafa e sulle barche ormeggiate proprio a pochi metri dal ristorante. Daniele, insieme al barman del Tino Simone, sarà padrone di casa premuroso e presenterà agli ospiti una cucina di mare che non teme l'azzardo, con materia prima freschissima, suggestioni esotiche e grande tecnica al servizio dei prodotti in arrivo dal litorale. Divertissement nel divertissement, il Ron Zacapa sarà proposto anche in versione miscelata, in accompagnamento ai finger di benvenuto e al dessert. Questo il menu della serata:

 

 

Fingers food di benvenuto

Cocktail a base Zacapa 23 yo

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"Il grande Rosso" con insalata di alghe marine (crudi di rosso di mazara, sorbetto fatto con le sue teste, insalata di alghe acidule)

Ricciola affumicata, cipolla rossa, amaranto e dragoncello

Zacapa 23 yo

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Gnocchi al mandarino con trippe di baccala e spinaci

Risotto con carciofi alla "matticella", vongole e mani di Budda

Zacapa Edicion Negra

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Satay di pescespada, riso e foglie (spiedino di spada marinato in composta di arachidi e spezie)

Zacapa XO

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Cannoli al cioccolato e caramello "inside out" con melograno

Cocktail a base Zacapa Edicion Negra

 

Si prenota direttamente ai recapiti del ristorante.

 

Il Tino | Fiumicino (RM) | via Monte Cadria, 127 | tel. 06 5622778 | www.ristoranteiltino.com

Prodotti del mese. Ottobre, la zucca e i tortelli della famiglia Santini del Pescatore di Canneto sull'Oglio

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Dolce, leggera, versatile. Trasformista, si abbina a spezie, formaggi, salumi e altre verdure. Perfetta per primi piatti, contorni e perfino per dolci. È la zucca, la regina dell'autunno.

Entrati ormai a pieno titolo nell'autunno, iniziano a comparire sui banchi del mercato prodotti tipici di questa stagione. Uno su tutti? La zucca. Un ortaggio versatile che si presta a diverse preparazioni sia salate che dolci, uno scrigno di proprietà benefiche e gastronomiche, capace di soddisfare gusti e appetiti diversi. Complice anche la grande varietà di tipologie presenti sul mercato.

 

Appartenente alla famiglia delle cucurbitacee al pari di zucchine, cetrioli, meloni e cocomeri, la zucca è un prodotto tipicamente autunnale, che si raccoglie tra settembre e novembre, con un anticipo per le varietà estive. In realtà, infatti, con il termine zucca si indicano i frutti di diverse cucurbitacee - Cucurbita maximaCucurbita moschata e Cucurbita pepo (da cui si producono le zucche estive), cui si aggiunge la zucca ornamentale – da queste derivano poi molte varietà coltivate, che differiscono per forma, dimensioni, colore e sfumature di sapore. Tutte, però, sono ricche di sostanze antiossidanti, sali minerali e beta-carotene, e povere di calorie.

 

Varietà

Le varietà più diffuse, in Italia, sono la mantovana, dalla polpa dura e dal sapore dolciastro, quella di Napoli (allungata, con polpa giallo-arancio brillante, adatta per zuppe e minestroni), l’Americana (rotonda, con costolature molto evidenti) la marina di Chioggia, grande (fino a 5 chili di peso), tondeggiante, con buccia bitorzoluta grigio-verde, peduncolo grosso e polpa soda di colore giallo carico tendente all’arancione; adatta per le paste ripiene. Si coltiva su terreni sabbiosi altrimenti inutilizzati (che la pianta protegge dai venti estivi) e orti litoranei ricchi di salsedine, elemento che influisce sul gusto finale, da qui l'aggettivo “marina”. Ci sono poi la lagenaria, la piena di Chioggia, quella di Val di Chiana gialla grossa, la genovese, la cucuzzella d’Italia, la Hokkaido anche detta Potimarron. Oltre alla zucca propriamente detta esistono anche altre cucurbitacee simili di cui si fa uso in cucina. Tra le varietà comuni all'estero c'è la zucca turbante turco, che ricorda nella forma un grosso fungo rovesciato, e si coltiva nelle Antille e in altri paesi tropicali. Si trova in due varierà, differenti per pezzatura, ha polpa soda con un sapore leggermente moscato e si consuma cruda o cotta in una specie di peperonata - specialità della cucina delle Antille – oppure se ne fa una confettura, quando è ancora verde.

Foglie

In Sicilia si chiamano tenerume, in Campania talli: sono le potature laterali delle piante di zucca (e zucchina), un vero cult per gli appassionati, tanto buone quanto introvabili (anche se ora nei mercati si assiste a un revival grazie alla buona volontà dei contadini). Vanno pulite cercando di togliere solo i filamenti dai gambi e dalle foglie più tenere, ed eliminando i gambi più duri (da tenere, invece, eventuali infiorescenze e boccioli). Si usa sbollentarle prima di utilizzarle in minestre, con pasta e riso. Sono squisite anche in padella, saltate con pomodori freschi ma se ne possono fare quiche, frittate e sformati al forno.

 

Semi

Si prestano a essere serviti con l'aperitivo o per arricchire il muesli della colazione, o ancora per dare una spinta in più a torte rustiche o altri piatti. Tostati e salati costituiscono uno degli snack più cari alla tradizione laziale ed emiliana. Possono essere lasciati seccare per qualche giorno, poi spellati e mangiati crudi o leggermente tostati (senza sale o altre aggiunte) o cotti in forno. La varietà Cucurbita stiriana produce semi verdi dal guscio talmente morbido che non occorre spellarli. Vengono sfruttati da secoli nella medicina popolare grazie alle loro proprietà benefiche, inoltre da essi si ottiene un olio usato in cosmesi e cucina tradizionale.

 

Fiori

I fiori di zucca devono avere il calice gonfio, di un bell’arancione brillante, con i bordi dei petali distesi. Per usarli occorre aprire il calice dei fiori, eliminare il pistillo, raschiare le parti spinose, poi sciacquare velocemente sotto acqua corrente e asciugare su carta da cucina. Si fanno fritti, ripieni (di ricotta, di mozzarella e alici, per esempio), oppure si usano per insaporire primi piatti o torte rustiche. Sono molto delicati: conservateli in frigorifero nello scomparto della frutta e verdura e consumateli entro 1-2 giorni dall’acquisto.

 

Acquisto

All'acquisto la zucca deve essere integra, sana, della giusta consistenza, succosa, con un bel colore vivo. Se la si compra a pezzi bisogna fare attenzione che la parte tagliata ed esposta all’aria non sia troppo asciutta e che il frutto sia ben sodo, senza punti cedevoli; i semi devono essere umidi e scivolosi. Se, invece, si compra una zucca intera, bisogna “sentirla”, dandogli dei leggeri colpettini: se è buona e ben matura deve emettere un suono sordo. Il picciolo, poi, deve essere morbido e ben ancorato, la buccia deve essere pulita, senza traccia di incrostazioni o di muffa.

 

Conservazione

Le zucche intere possono essere conservate per tutto il periodo invernale in ambiente buio, fresco e asciutto. La tradizione vuole che si mangino entro Carnevale. I pezzi di zucca cruda si conservano in frigorifero, nel reparto delle verdure, avvolte dentro la pellicola trasparente e vanno consumati nel giro di pochi giorni, poiché si disidratano con facilità. Tolta la buccia e tagliata a dadini, eventualmente scottati per qualche minuto in acqua bollente, la zucca si può congelare e utilizzare normalmente, come fosse fresca.

 

Uso in cucina

Versatile come pochi altri prodotti, la zucca si consuma sia cruda che cotta, in minestre, vellutate, risotti, paste secche o fresche (anche come ripieno, come nel caso dei tortelli mantovani con gli amaretti o i cappellacci di Ferrara), ma si può aggiungere anche nell'impasto di gnocchi o di pane. Cotta al forno o fritta, al vapore, in tegame, alla griglia, è ottima assoluta ma si presta a intingoli o marinate, in pietanze dal sapore più delicato o, al contrario, in ricette decise, come il saòr veneziano con la cipolla. Ma gli abbinamenti sono molti: dal classico rosmarino, alle spezie come pepe nero, cannella, noce moscata o curry, dai salumi, come guanciale, pancetta o speck, ai formaggi, dalle alici sott'olio e sotto sale, alla frutta secca. Perfetta in abbinata a secondi di carne o pesce (anche crostacei), è protagonista anche di molti dolci. Prima di usarla occorre ripulire la polpa dai semi (non buttateli!) e dai filamenti e poi procedere alla preparazione del piatto, prendendo spunto dalle molte tradizioni regionali, o affidandosi alla propria fantasia. Uno dei piatti più famosi sono i succitati tortelli ripieni di zucca. E proprio con questa ricetta vogliamo celebrare l'autunno. Ma non una qualsiasi: quella del ristorante Dal Pescatore di Canneto sull'Oglio. Dove la famiglia Santini rinnova, servizio dopo servizio, il rito dei tortelli di zucca.

 

Dal Pescatore

Sono una delle grandi famiglie della ristorazione italiana, i Santini. Esponenti di una nobile tradizione locale che va in scena, da quasi 100 anni, nel bel ristorante di Canneto sull'Oglio. Oggi è Giovanni, figlio di Antonio e Nadia (migliore chef donna al mondo, per la classifica 50 Best nel 2013, innortalata anche nel film A la recherche des femes chefs), a continuare la storia di famiglia. E che storia! Quella di un posto entrato, quasi sottovoce, nell'Olimpo dell'alta ristorazione, per via quella cura precisa e amorevole di ogni dettaglio, dentro e fuori la cucina. Un riferimento assoluto, con uno stile profondamente radicato in questo angolo di Italia e nella vicenda personale di chi lo abita. Non è un caso se all'estero (e non solo) Canneto sull'Oglio viene considerato come una delle tappe imperdibili dell'alta gastronomia italiana.

Nadia e Giovanni SantiniNadia e Giovanni Santini

Quella dei Santini (Tre Forchette del Gambero Rosso e Tre Stelle Michelin) è una cucina emozionante che non cerca di stupire, ma consolida, stagione dopo stagione, la sua grandezza. E lo fa nella ricerca della perfezione, pur nel solco di una tradizione che sa rinnovarsi senza scossoni. Lo testimoniano i (giustamente) famosi tortelli di zucca: ricetta antica ma che registra un continuo affinamento degli elementi e della cottura. Sono uno dei piatti iconici del locale, realizzati espressi ancora oggi, con un lavoro certosino e domestico che segna un filo rosso tra la cucina di casa e l'alta ristorazione. Un legame che si incontra sempre più raramente. Privativo perpetrare la tradizione? Assolutamente no: “siamo riconosciuti per uno stile, non posso ignorare quel che è stato fatto prima” diceva sul palco di Identità Golose LINK lo scorso marzo Giovanni Santini. Spiegando: “ci sono cose che vanno al di là di noi stessi”.

 

 

I tortelli

Ogni giorno a Canneto sull'Oglio si preparano a mano i tortelli di zucca “è un lavoro che riconcilia con se stessi”, dice Giovanni celebrando quell'operatività manuale che accompagna e bilancia l'aspetto più creativo del suo lavoro. “Ci chiedono spesso se non ci siamo stancati a fare i tortelli tutti i giorni. Mai e poi mai ci stancheremo, siamo felici di farli: è un piatto storico della nostra tradizione e della nostra cultura gastronomica”. Presenti da sempre in menu, è solo nel dopoguerra che i tortelli hanno conquistato un posto stabile alla tavola dei Santini, diventandone, anno dopo anno, uno dei piatti simbolo, pur nella loro semplicità. Il passaggio più delicato per i tortelli è controllare l'umidità e la consistenza del ripieno:“c'è chi lo fa seccare al forno e chi usa altri metodi, la cosa più pratica e meno stressante per la zucca, per me, è di metterla in un sacco di lino e strizzarla, così da far uscire l'acqua in eccesso e concentrare quello che diventerà il ripieno dei tortelli”. Fondamentale anche che le zucche abbiano il giusto grado di maturazione “devono essere di colore arancione e uniforme. Purtroppo lo si può vedere solo dopo che la si apre”. Ma c'è un modo per controllare anche senza aprirla: “la zucca deve essere pesante, se è leggera ha quasi certamente con gusto volatile e non persistente” spiega ancora, e aggiunge “nella varietà che abbiamo noi devono avere una rugginosità con una tonalità un po' aranciata all'esterno, deve essere rugosa e no lucida e avere profonde insenature e il picciolo ben secco. A proposito di varietà: “noi per i tortelli usiamo la zucca americana. Ma anche la Delica va bene” spiega Giovanni, che solo pochi mesi fa denunciava progressiva diminuzione della disponibilità di alcune materie prime, come la zucca, per via dei cambiamenti di gusti e di abitudini o della poca redditività di certi prodotti

La ricetta: I tortelli di zucca del ristorante Dal Pescatore

Nel mantovano e nel cremonese è il piatto tipico della vigilia di Natale: è impensabile per i mantovani una vigilia di Natale senza tortelli di zucca. La forma e la composizione cambiano da paese a paese: ogni nonna, ogni mamma, si sente depositaria della vera ricetta. È un piatto di grande legame con la memoria dell’infanzia - certo e solo per chi li ha sempre mangiati. Il miglior complimento possibile: “Sono buoni come quelli che faceva la mia mamma”.

 

Ingredienti (per 4 persone)

g 150 zucca cotta e passata al setaccio
g 20 amaretti tritati (un tempo si usavano i semi di pesca o albicocca conservati dall’estate)
g 50 mostarda di frutta senapata
g 20 parmigiano-reggiano grattugiato
pepe, sale, noce moscata, chiodi di garofano e cannella 

per la pasta 
1 uovo intero + 1 tuorlo (60 g + 30 g),
g 100 farina bianca 00
1 pizzico di sale

per il condimento
g 50 burro
g 20 parmigiano-reggiano grattugiato

Esecuzione

Prendere una fetta di zucca da 300 g circa e fatela cuocere in acqua leggermente salata e zuccherata (per compensare la perdita di zucchero nella cottura) per 30 minuti o finché vedete che è morbida come una patata lessata. Toglietela, privatela della buccia e passatela al setaccio.

Unite il purè di zucca così ottenuto agli amaretti, alla mostarda tritata, al parmigiano-reggiano grattugiato e a tutte le spezie. Dopo l’unione di tutti gli ingredienti lasciate riposare il composto al freddo finché preparerete la pasta.

 

Preparate la pasta: mettete a fontana la farina e aggiungete l'uovo intero + il tuorlo, lavorate bene fino a ottenere un impasto omogeneo e poroso, stendete la pasta con l’aiuto di una macchina o col matterello e ricavatene dei grandi quadrati di 8 cm di lato.

Porre al centro un po’ di ripieno (circa 6-8 g) e chiudere a caramella, in diagonale, facendo combaciare le due punte in diagonale, ripiegando ancora e schiacciando bene attorno al ripieno.

Buttare in acqua bollente e cuocere 5 minuti.

 

Condire con burro e parmigiano-reggiano grattugiato.

 

Dal Pescatore | Canneto sull'Oglio (MN) | loc. Runate, 17 | tel. 0376 723001 | www.dalpescatore.com

 

a cura di Antonella De Santis e Sara Bonamini

Meet in Cucina. Nelle Marche la prima edizione del congresso gastronomico sulla cucina regionale

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Dopo tre edizioni in Abruzzo, e più di 2mila presenze, Meet in Cucina arriva nelle Marche. Stesso format, diversa location per l'evento gastronomico finalizzato a valorizzare la cucina e i prodotti agroalimentari regionali. Il programma e i protagonisti.

Meet in Cucina

Una testimonianza della forza di questi luoghi, pronti a rimettersi in moto. Così commentavamo lo scorso gennaio la terza edizione di Meet in Cucina, congresso gastronomico ideato dal giornalista Massimo Di Cintio, e dedicato alla cucina regionale. Con l'apporto di grandi chef del territorio, il contributo degli operatori del settore, fra degustazioni, assaggi e convegni, negli ultimi tre anni la manifestazione ha fatto luce sull'antica tradizione gastronomica abruzzesee, ancora di più, sul suo potenziale di sviluppo, sul percorso intrapreso e quello ancora da compiere. Un progetto pensato per (ri)scoprire una terra rigogliosa, ma ancora poco chiacchierata, e per comprendere a fondo quel binomio indissolubile fra cibo e territorio, affrontando i temi che ne conseguono: sostenibilità ambientale, trasparenza della filiera, il ritorno dei giovani alla terra. L'ultima edizione si è conclusa con oltre 2mila presenze, e l'entusiasmo del pubblico, degli addetti ai lavori e della stampa specializzata. In autunno l'evento si ripete, ma questa volta nelle Marche, a Senigallia, presso il Teatro della Fenice, dove il prossimo 9 ottobre chef e addetti ai lavori si riuniranno per fare il punto sulla cucina regionale.

I protagonisti

Promosso in collaborazione con l'Unione Regionale Cuochi Marche, Meet in Cucina accende ora i riflettori sulla ristorazione regionale marchigiana e sulle sue eccellenze agroalimentari, con l'obiettivo di stimolare in maniera diffusa il concetto di qualità della proposta gastronomica, e anche dell'accoglienza, attraverso il lavoro dei cuochi relatori. Moreno Cedroni, Mauro Uliassi, Danilo Bei, Stefano Ciotti, Enrico Recanati, Michele Biagiola, Lucio Pompili: questi i protagonisti della manifestazione,personaggi che hanno contribuito a rafforzare l'immagine della cucina locale nel resto d'Italia e nel mondo. Ma non solo: direttamente da Gargnano, in provincia di Brescia, ospite d'onore di Meet sarà Stefano Baiocco, marchigiano doc alla guida del ristorante Villa Feltrinelli.

Il programma

Com'è l'attuale panorama della ristorazione regionale? In che direzione si sta muovendo? Quali sono le risorse su cui fare affidamento? Quali i punti deboli da migliorare? A queste e altre domande risponderanno gli esperti durante il festival, suddiviso in due zone principali, l'Area Congresso e l'Area Partner Espositori. Nella prima, sul palco del teatro, si svolgeranno le relazioni tecniche degli 8 cuochi marchigiani che negli ultimi anni hanno sviluppato progetti di ricerca e altre attività connesse, e che rappresentano una fonte di ispirazione e di aggiornamento professionale. Nell'Area Espositori, invece, verranno disposte le postazioni delle aziende partecipanti, che in questo spazio potranno incontrare il pubblico e far conoscere i propri prodotti, attraverso uno scambio e un confronto diretto fra consumatori e produttori. Cuore pulsante del congresso però, restano i convegni, i forum, i seminari dei cuochi relatori, professionisti che hanno apportato dei miglioramenti significativi nella gestione della cucina, e soprattutto nell'ideazione e nella realizzazione delle ricette.

Meet in Cucina | Senigallia (AN) | 9 ottobre 2017 | www.meetincucina.it/

a cura di Michela Becchi


I vigneti storici e le città. Venezia

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Cominciamo oggi a raccontarvi dei vigneti cittadini. Preziose eredità ampelografiche, testimonianze di tempi andati che, negli ultimi anni, sono stati oggetti di studio e operazioni di recupero. Cominciamo da Venezia, con i suoi due vigneti urbani.

Venezia e il vino, una storia millenaria

Venezia ha avuto per secoli un ruolo di primo piano nella storia del vino e ancora oggi la città ne conserva la memoria. La sua natura lagunare, sospesa tra l’acqua e la terra, ne ha sempre caratterizzato un duplice sviluppo, sia verso l’orizzonte del mare aperto, che verso l’entroterra. Città senza terra e senza vigneti, Venezia è diventata nel corso dei secoli crocevia dei più importanti commerci legati al vino. La sua flotta riforniva le più importanti città dell’epoca con i più pregiati vini del Mediterraneo. Allo stesso modo, i possedimenti sulla terraferma, producevano vini di minor valore, ma utili per il consumo interno e le attività commerciali.

Dal XIII secolo, dopo la conquista di Costantinopoli con la IV Crociata (1202-1204), Venezia cominciò una decisa espansione verso Oriente, con il controllo delle isole Greche, dalle vicine Ionie fino alla lontana Creta e al Dodecaneso. Complice la “piccola glaciazione”, che a partire dal 1300 rese per alcuni secoli il clima dell’Europa continentale molto freddo, la coltivazione della vite arretrò progressivamente verso latitudini più basse e il controllo del commercio dei vini provenienti dalla Grecia si rivelò fondamentale. Il porto di Monemvasia, sulle coste del Peloponneso, divenne così importante da donare il proprio nome al vino Malvasia. Grazie al dominio marittimo, la Malvasia greca arrivò a Venezia per diventare in breve tempo il vino più richiesto e costoso. Gli esercizi commerciali che vendevano i pregiati vini greci erano denominati Malvasie e ancora oggi passeggiando per Venezia s’incontrano ricordi di un’antica toponomastica legata al vino: Calle de la Malvasia, Calle de la Malvasia Vecia, Ponte de la Malvasia, Calle Malvasia. In città è rimasta viva anche la tradizione dei bàcari e dei magazen, osterie e rivendite in cui si servivano vini al calice con piccoli spuntini, la famosa ombra con un cicheto. Una consuetudine che si è conservata senza soluzione di continuità fino ai giorni nostri, con le più moderne osterie o enoteche.

Consorzio_Vini_Venezia

 

I vigneti storici cittadini

Nasce dal desiderio di ridare vita all’antico patrimonio ampelografico della Serenissima, l’idea di recuperare le varietà di vitis vinifera presenti negli orti, nei broli, nei giardini, nei conventi e nelle isole della laguna, per cercare di ricostruire una vera e propria “banca genetica” dei vitigni storici di Venezia. Dal 2010, il Consorzio Vini Venezia ha intrapreso un lavoro di ricerca, in collaborazione con il professor Attilio Scienza, con le Università di Milano e Padova e con il CRA-VIT di Conegliano, per portare alla luce l’identità genetica delle viti presenti in terra veneziana. Sono stati analizzati circa cento esemplari, individuando una trentina di varietà, di cui tre risultano ancora sconosciute.

Il risultato finale del lavoro è oggi visibile in due vigneti: il primo si trova a due passi dalla Stazione Santa Lucia, all’interno del brolo del Convento dei Carmelitani Scalzi e l’altro sull’isola di Torcello, nella tenuta Baslini. Il materiale genetico utilizzato per i due vigneti proviene dai campi catalogo dell’Università di Milano e dal CRA-VIT di Conegliano e le piante sono state prodotte dai Vivai Cooperativi di Rauscedo e dal Vivaio Poletto di Orsago TV.

Convento_Carmelitani_Scalzi_-_Venezia_3Vigneto del Convento dei Carmelitani Scalzi a Venezia

Il Vigneto del Convento dei Carmelitani Scalzi

Nel brolo del Convento dei Carmelitani Scalzi, sono stati piantati nel 2015 17 filari con sesto d’impianto 100x120 a guyot. I vitigni presenti sono: malvasia di Candia, malvasia di Candia aromatica, recantina Forner, malvasia del Chianti, malvasia di Asolo, malvasia nera di Lecce, malvasia di Sitges, incrocio Manzoni 2.15, incrocio Manzoni 13.0.25, bianchetta, grapariol, raboso del Piave, verduzzo trevigiano, fiano, vermentino, dorona, terra promessa, voskeat e arenì (due varietà armene), glera e moscato. Inoltre, nel vecchio pergolato che ricopre i viali del brolo, sono presenti malvasie, merlot, cabernet, glera, marzemino e terra promessa, varietà ancora sconosciute e varietà resistenti di uva da mensa. Con la vendemmia 2017 comincerà la produzione di due vini: un blend di uve bianche (600/700 bottiglie) e un blend di uve rosse (200/300) bottiglie. Un centinaio di queste bottiglie dovrebbero essere destinate a Vino da Messa per il Convento.

 

Il Vigneto di Torcello

Sull’isola di Torcello sono stati piantati nel 2014 16 filari, intervallati con alberi da frutto, con sesto d’impianto 100x120 e forma d’allevamento a cordone speronato. Le varietà presenti a Torcello sono: malvasia nera di Lecce, malvasia di Sitges, malvasia di Candia, malvasia di Candia aromatica, recantina, dorona, raboso, grapariol, marzemino, verduzzo, bianchetta, turchetta, in più ci sono dei filari con alcune viti di friulano, glera, luviana, moscato giallo e altri cloni trovati nei giardini e vigneti di Venezia, che hanno dimostrato un habitus particolare o anomalo rispetto alle solite caratteristiche varietali.

Dal 2017 la vigna di Torcello dovrebbe produrre circa 300 bottiglie di vino bianco e 200 di rosso.

 

I vini di Venezia tra passato e futuro

Oggi nel territorio dell’entroterra veneziano sono presenti numerose denominazioni che fanno capo al Consorzio Vini Venezia, Malanotte Docg e Lison Docg, dedicate esclusivamente alla valorizzazione dei vitigni autoctoni del territorio raboso e friulano; Lison-Pramaggiore Doc, Piave Doc e Venezia Doc, che producono vini bianchi e rossi sia con vitigni autoctoni che internazionali. Tutta l’area è stata investita dalla moda del Prosecco e del Pinot Grigio, che stanno portando a vere monoculture estensive. Certamente una scelta spinta da valide ragioni commerciali, ma che rischia di far perdere identità al territorio. Le regioni vinicole storicamente più famose hanno creato le loro fortune grazie al connubio tra terroir e vitigni autoctoni. Non è un caso che i vini qualitativamente più interessanti continuino a essere quelli prodotti con il raboso nelle denominazioni Piave Doc, Malanotte Docg o Friularo Docg e tra i bianchi quelli prodotti con il friulano e soprattutto con il vitigno incrocio Manzoni 6.0.13, creato negli anni ’30 presso la Scuola Enologica di Conegliano dal professor Luigi Manzoni, incrociando due nobili varietà come il riesling renano e il pinot bianco. Speriamo che i guadagni del Prosecco e del Pinot Grigio consentano alle aziende di continuare e tener viva la tradizione di questi vini, con l’intento di elevarne sempre di più il livello qualitativo e la notorietà a livello italiano ed estero.

 

a cura di Alessio Turazza

foto: Edoardo Legnaro

 

Food on the Edge in Irlanda. Enrico Crippa al simposio che chiama gli chef all'azione

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Due giorni e 50 relatori in rappresentanza della comunità internazionale di chef impegnati a migliorare il futuro con il proprio contributo in cucina. A Galway va in scena la terza edizione del simposio gastronomico che spinge gli chef “al limite”. Per l'Italia Crippa e Isa Mazzocchi. 

Il simposio di Galway. Perché

L'anno scorso, uno dei messaggi simbolo del simposio gastronomico di Galway è stato quello di Massimo Bottura. “No more excuses” è lo slogan che abbiamo imparato a conoscere a proposito di chef che vogliono darsi da fare, e portare il proprio contributo al miglioramento delle condizioni sociali, ambientali, umane del Pianeta. Il mantra del progetto Food for Soul, recentemente premiato a New York sul palco del Global Gastronomy Awards della White Guide. E uno degli esiti più dirompenti di una prospettiva etica largamente condivisa dagli chef invitati a partecipare al simposio Food on the Edge, in quell'angolo incontaminato di Irlanda celebre per le sue scogliere a picco sull'Atlantico. La rassegna, a cadenza annuale, è nata nel 2015 per iniziativa di JP McMahon, e sin dalla prima edizione gioca a scombinare il concetto di limite, riferimento letterale al ciglio delle scogliere, e – ben più importante – alla possibilità di guardare il mondo da una prospettiva diversa, spingendosi oltre i confini precostituiti e le certezze di una vita ordinaria. I relatori di Food on the Edge, un gruppo nutrito di chef e personalità del settore gastronomico, l'idea di prendere dal proprio mestiere solo i riconoscimenti e i privilegi che la celebrità può garantire l'hanno accantonata da tempo. E sul palco portare storie di vita esemplari, esempi concreti di come l'evoluzione gastronomica possa portare risultati importanti in termini di sviluppo sociale, sostenibilità ambientale e pratica etica. Anche l'Italia, fin qui, ha detto la sua: con Niko Romito e Davide Scabin nel 2015, Massimo Bottura e Antonia Klugmann un anno fa. Tra pochi giorni, il 9 e 10 ottobre, la platea del Black Box Theatre è pronta a gremirsi di spettatori (il simposio è aperto al pubblico, ma il prezzo è quello che ci si aspetta da una rassegna a uso e consumo degli addetti ai lavori: 425 euro per le due giornate, Closing Party compreso).

 

La chiamata all'azione. I protagonisti

Ogni chef prenderà la parola per 15 minuti, nel rispetto del Manifesto di Food on the Edge – che inneggia alla condivisione, alla responsabilità, alla valorizzazione delle comunità e delle risorse locali, all'innovazione e al saper guardare in prospettiva – e intorno al tema della terza edizione: Azione e reazione. Una chiamata alle armi (la famosa “chiamata all'azione” del solito Massimo Bottura) che chiede di accantonare teorie e belle parole, privilegiando invece il racconto della realtà. E la condivisione di qualcosa che sta già succedendo, come reazione alle sfide di ogni giorno. Più di 50 gli interventi in programma, molti i volti noti coinvolti, da Magnus Nilsson ad Ana Ros, da Rodolfo Guzman Quique Dacosta. E poi Isaac McHale, Kamilla Seidler, Daniel Burns, Matt Orlando, Bertrand Grebaut, Sven Elverfeld, Mitch Lienhard... Per l'Italia? Enrico Crippa e Isa Mazzocchi. Piuttosto criptico il titolo scelto dallo chef di Piazza Duomo, tra i primi a salire sul palco, con lo speech Movimento; il secondo giorno, invece, sarà la volta di Isa Mazzocchi, “con i piedi per terra”, come recita il titolo scelto dalla chef de La Palta di Bilegno, in provincia di Piacenza, sicuramente meno avvezza ai palcoscenici internazionali, eppure cuoca sicura in cucina, tra istinto, razionalità, tecnica al servizio del territorio (Due Forchette per il Gambero Rosso).

In previsione anche la tavola rotonda sulle prospettive del sistema alimentare e il focus sulla cucina finlandese. Intanto McMahon lancia in questi giorni la campagna per introdurre l'educazione alimentare tra le materie di insegnamento della scuola primaria irlandese. Anche questa è una storia di azione (e reazione).

 

Food on the Edge | Galway, Irlanda | il 9 e 10 ottobre 2017 | https://foodontheedge.ie/

 

a cura di Livia Montagnoli

Guida Bar d'Italia 2018 del Gambero Rosso. Premio illy Bar dell'Anno a 300mila Lounge. Ecco tutti i premiati.

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Più di 1300 indirizzi diversi per una guida sfaccettata e poliedrica, proprio come la tipologia di locale preso in esame. Giunta alla sua 18esima edizione, la guida Bar d'Italia 2018 ha decretato gli indirizzi migliori della Penisola, registrando una crescita esponenziale di questo settore. Tutti i premiati.

18 anni di guida Bar. 18 anni scanditi da una serie continua e crescente di evoluzioni, trasformazioni che hanno segnato questa tipologia di attività, diventate a tutti gli effetti locali polifunzionali, che nel tempo hanno saputo rinnovarsi, cambiando pelle più volte ma mantenendo intatta la loro anima originale, quella di di riferimento cittadino e punto di ritrovo del quartiere. Con un approccio diverso, però, in grado di rispondere alle molte esigenze della clientela nei vari momenti della giornata. Così, il bar assolve al compito della caffetteria la mattina, con una proposta sempre più ampia e differenziata di caffè, cappuccini e bevande calde, lieviti assortiti e dolci per la prima colazione. Si passa poi alla pausa pranzo, con offerte gastronomiche sfiziose, leggere, da consumare velocemente prima di tornare in ufficio, ma senza rinunciare al gusto: pietanze calde e fredde, insalate, panini gourmet, ma anche piatti espressi semplici e nutrienti. Il pomeriggio torna ancora caffetteria, ma anche sala da tè e pasticceria (talvolta anche gelateria), per convertirsi poi la sera in cocktail bar, tra aperitivi d'eccezione e drink d'autore, realizzati secondo i dettami della mixology contemporanea, con distillati di prima scelta e materie prime di qualità.

 

L'inarrestabile crescita dell'oro nero

Fra pasticcini, torte, pizzette, gelati, club sandwich e cocktail, però, il protagonista assoluto resta lui, il caffè. La bevanda che ha fatto la storia dei bar italiani nel mondo e che, da qualche anno a questa parte, si sta riappropriando del suo ruolo, grazie al lavoro di baristi e giovani torrefattori sempre più impegnati nella diffusione della cultura dell'oro nero di qualità. Ricercatori a tutti gli effetti che lavorano produzioni di microlotti speciali, chicchi di alta qualità in grado di offrire una gamma sempre più ampia di aromi e profumi, e conferire un gusto ricco di sfumature all'amata bevanda. Continua la crescita delle caffetterie specialty, fenomeno che abbiamo già avuto modo di registrare più volte, e aumenta il numero di bar che propongono anche altri metodi di estrazione alternativi all'espresso, che fanno conoscere il caffè filtro al pubblico e valorizzano al meglio la classica tazzina.

 

I cocktail e il ruolo dell'aperitivo

Dal tardo pomeriggio in poi, però, a fare la parte del leone sono i cocktail, dai grandi classici alle invenzioni più creative, frutto della fantasia di bartender appassionati, instancabili sperimentatori che giocano con gusti e aromi, equilibri e contrasti, realizzando nuovi mix originali. E lo fanno in locali d'avanguardia, curati negli arredi così come nell'offerta. Come il lounge di Piano35 di Torino, il ristorante più alto d’Italia, nel grattacielo Intesa Sanpaolo realizzato da Renzo Piano, o ancora Quanto Basta a Lecce, che ha recentemente fatto il bis con Cubi a Maglie, La Punta Expendio de Agave di Roma, che propone cucina e cocktail bar d'ispirazione messicana. Sono alcuni dei 9 migliori cocktail bar dell'anno, quei locali che si sono distinti per qualità dell'offerta e selezione di spirits. Da consumare dopo cena, o prima, all'aperitivo, uno dei momenti simbolo del nostro paese, un rito tutto italiano che, proprio per questo, da anni viene valorizzato con un premio speciale in collaborazione con Sanbittèr. Per questa edizione, è Sambirano di Reggio Emilia ad aggiudicarsi la medaglia d'oro.

 

La guida

La guida Bar d'Italia, oggi, è un vademecum per i buongustai alla ricerca delle insegne più valide della Penisola, un contenitore di oltre 1300 indirizzi: format diversi, con formule studiate ad hoc e cucite su misura, capaci di intrecciare con disinvoltura proposte differenti. Non è semplice esaminare questo settore in pieno fermento, che (fortunatamente) continua a raccogliere l'interesse di giovani imprenditori, grandi cuochi e appassionati che scelgono di intraprendere questa strada. E l'attenzione che suscita la guida ci dimostra l'esigenza, sempre più sentita, di monitorare e valutare il settore. Perché, dopo 18 edizioni, quello dei Chicchi (premio per la qualità del caffè) e delle Tazzine (giudizio complessivo del locale che comprende anche l'offerta gastronomica) è diventato un riconoscimento ambitissimo al pari di Forchette, Cappelli e Stelle per i ristoranti. Cui si aggiungono riconoscimenti speciali per le migliori colazioni d'Italia e per le Stelle, insegne che per almeno dieci anni consecutivi hanno conquistato tre Tazzine & tre Chicchi.

 

Il Bar dell'Anno

30 i bar finalisti che concorrono al contest promosso da illy, storico partner della guida, nonché attore fondamentale nella divulgazione della cultura del caffè in Italia e nel mondo, per la premiazione del miglior Bar dell'Anno, scelto ogni edizione da una giuria di esperti del settore, composta quest'anno dai giornalisti Donatella Bianchi (Rai), Federico De Cesare Viola (Sole 24 ore), Carlotta Garancini (Corriere della Sera), Licia Granello (La Repubblica), Alessandra Moneti (Ansa) e Beniamino Pagliaro (La Stampa) e annunciato durante la presentazione delle guida. Il vincitore è 300mila Lounge di Lecce premiato per "l'innovativa visione imprenditoriale, la qualità dell'offerta complessiva anche della mixology, ricerca della materia prima e sensibilità ai temi sociali e di sostenibilità ambientale. A distanza di 5 anni dall’ultima vittoria si conferma vincente la sua idea di bar a 360°". Menzione speciale va a Hackert di Caserta per l'eclettismo, la qualità offerta e il coraggio imprenditoriale in un contesto difficile e disagiato.

 

 

a cura di Michela Becchi

 

Bar d’Italia del Gambero Rosso 2018 | pp.  | euro 10,00 | La guida è acquistabile in edicola, libreria e on line


Ecco l’elenco completo dei bar premiati 

 

Tre Tazzine&Tre Chicchi 2018

 

Piemonte

Canterino - Biella
Converso - Bra [CN]
Relais Cuba Chocolat  Restaurant-Cafè - Cuneo
Baratti & Milano - Torino
Caffè Mulassano - Torino


Liguria

Douce - Genova
Murena Suite - Genova


Lombardia

La Pasqualina - Almenno San Bartolomeo [BG]
Sirani - Bagnolo Mella  [BS]
Bedussi - Brescia
Colzani - Cassago Brianza  [LC]
Viennoiserie Gian - Castiglione delle Stiviere (MN)
Pasticceria Roberto - Erbusco [BS]
Pavé - Milano
Marelet - Treviglio [BG]
Morlacchi - Zanica [BG]

 

Veneto

Il Chiosco - Lonigo [VI]
Biasetto - Padova
Amo - Venezia
Bar Dandolo dell’Hotel Danieli - Venezia
Gabbiano  del Belmond Hotel Cipriani - Venezia
Gran Caffè Quadri - Venezia
Garibaldi - Vicenza

 

Friuli Venezia Giulia

Caffetteria Torinese - Palmanova [UD]
Vatta  - Trieste

 

Emilia Romagna

Gino Fabbri Pasticcere - Bologna
Staccoli Caffè - Cattolica (RN)
Bar Roma - Novellara [RE]
Dolce Salato - Pianoro (BO)
Lievita - Riccione [RN]
Nuova Pasticceria Lady - San Secondo Parmense [PR]


Toscana

Tuttobene - Campi Bisenzio [FI]
Atrium Bar & Lounge del Four Seasons Hotel Firenze - Firenze
Winter Garden Bar del St.Regis Florence - Firenze


Marche

Il Picchio - Loreto [AN]

 

Lazio

Cristalli di Zucchero - Roma
Stravinskij Bar dell’Hotel De Russie - Roma

 
Abruzzo

Caprice - Pescara

 

Campania

Hackert - Caserta
Sal De Riso Costa d'Amalfi - Minori [SA] 

 

Puglia

300mila Lounge - Lecce
Pino Ladisa - Valenzano [BA]

 

Sicilia

Sciampagna - Marineo [PA]
Irrera - Messina
Caffè Sicilia - Noto [SR]
Antico Caffè Spinnato - Palermo
Di Pasquale - Ragusa

 

Tre Tazzine&Tre Chicchi - Finalisti Bar dell'Anno 2018

 

Piemonte

Canterino - Biella
Relais Cuba Chocolat  Restaurant-Cafè - Cuneo

 

Liguria

Douce - Genova
 

Lombardia

La Pasqualina - Almenno San Bartolomeo [BG]
Bedussi - Brescia
Viennoiserie Gian - Castiglione delle Stiviere (MN)
Pasticceria Roberto - Erbusco [BS]
Pavé - Milano
Marelet - Treviglio [BG]
Morlacchi - Zanica [BG]

 

Veneto

Il Chiosco - Lonigo [VI]
Amo - [VE] 
Garibaldi [VI]

 

Friuli Venezia Giulia

Caffetteria Torinese - Palmanova [UD]
Vatta  - Trieste

 

Emilia Romagna

Gino Fabbri Pasticcere - Bologna
Staccoli Caffè - Cattolica (RN)
Bar Roma - Novellara [RE]
Dolce Salato - Pianoro (BO)
Lievita - Riccione [RN]
Nuova Pasticceria Lady - San Secondo Parmense [PR]

 

Marche

Il Picchio - Loreto [AN]

 

Lazio

Cristalli di Zucchero - Roma
 

Campania

Hackert - [CE]
Sal De Riso Costa d'Amalfi - Minori [SA] 

 

Puglia

300mila Lounge - Lecce
Pino Ladisa - Valenzano [BA]

 

Sicilia

Sciampagna - Marineo [PA]
Irrera - Messina

 

I migliori cocktail bar d’Italia

 
Piemonte 
Piano 35 - Torino
 
Lombardia 
Mag Cafè - Milano
 
Veneto 
Il Mercante - Venezia
 
Emilia Romagna 
Nu Lounge Bar - Bologna
 
Toscana 
 Locale - Firenze
 
Lazio 
La Punta Expendio de Agave - Roma
 
Campania 
L’Antiquario - Napoli
 
Puglia
Quanto Basta - Lecce
 
Sicilia
Close - Palermo

 

Le Stelle

I locali che per almeno dieci anni consecutivi hanno conquistato Tre tazzine & Tre chicchi

 

Piemonte

Converso - Bra (CN)
Baratti & Milano - Torino
Caffè Mulassano - Torino
Caffè Platti -  Torino


Liguria

Murena Suite -  Genova

 

Lombardia

Sirani - Bagnolo Mella [BS]
Zilioli - Brescia
Colzani - Cassago Brianza [LC] 

 

Veneto

Biasetto - Padova
Bar Dandolo dell’Hotel Danieli - Venezia

 

Toscana

Tuttobene - Campi Bisenzio [FI]
 


Lazio

Stravinskij Bar dell’Hotel De Russie - Roma

 

Abruzzo

Caprice - Pescara

  

Sicilia

Caffè Sicilia - Noto [SR]
Antico Caffè Spinnato - Palermo
Di Pasquale - Ragusa

 

Premio Sanbittèr&Gambero Rosso

aperitivo dell’anno

Sambirano - Reggio Emilia

Chiude Le Cirque di New York. L'affitto è troppo alto e la storica tavola della famiglia Maccioni deve traslocare

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All'inizio dell'anno la bancarotta per debiti che sfiorano il milione di dollari, negli ultimi giorni la tempesta di polemiche seguite alla cena di raccolta fondi del presidente Trump. Non sono bei tempi per una delle insegne più longeve e prestigiose di New York, fondata da Sirio Maccioni nel 1974. Ora Le Cirque pensa seriamente al trasloco. Il quarto nella sua storia. 

Le Cirque nella storia della ristorazione newyorkese

Negli ultimi giorni Le Cirque è stato uno dei ristoranti più discussi di New York. Pietra dello scandalo, l'esclusiva cena di raccolta fondi per sostenere le politiche di Donald Trump. E, per di più, organizzata proprio dal Presidente, tra gli inquilini della Casa Bianca più invisi di sempre nella storia degli Stati Uniti d'America. Le reazioni di sdegno – persino gli insulti a mezzo social – non si sono fatte attendere: da un minimo di 35mila a un quarto di milione di dollari la cifra richiesta ai “benefattori” per prendere parte all'evento, tra un vassoio di vol au vent con escargot e un piatto di involtini di black cod; e cliccatissimo il selfie ricordo che Mario Maccioni ha scattato con Mr. Trump, che del resto è assiduo frequentatore della storica tavola dell'Upper East Side, come alcuni dei suoi illustri predecessori, da Nixon a Carter. Come lui, e tanti altri protagonisti del jet set newyorkese (da Al Pacino al Nobel Henry Kissinger, a Robert De Niro e Bill Clinton), sono numerosi i commensali passati al ristorante in più di 40 anni di attività, che dell'insegna fondata dal toscano Sirio Maccioni hanno fatto una meta leggendaria dell'alta ristorazione cittadina.

Le origini. Sirio Maccioni e la formula per il successo

Italianissimo nello spirito, Le Cirque ha attraversato quasi cinquant'anni di storia facendosi ambasciatore di una tavola sfarzosa, dove l'etichetta conta (come il dress code) e la cucina parla francese, nella sua accezione più classica e opulenta. Maccioni arrivò a New York nel 1974, con l'intraprendenza del selfmade man e il fiuto di un imprenditore con il pallino per la buona tavola, talent scout di tanti astri della ristorazione internazionale, Daniel Boulud in testa. Mantenendo però un legame forte con l'Italia, che sarebbe cresciuto con gli anni, di pari passo con l'opportunità di importare prodotti di qualità dalla Penisola, all'inizio difficilmente reperibili.

La famiglia Maccioni – oggi in prima linea ci sono i figli di Sirio, Mario, Marco e Mauro – attraversa così da protagonista gli ultimi decenni della ristorazione internazionale, con il trasloco alla Bloomberg Tower nel 2006, l'inaugurazione di Circo (alter ego italiano dell'insegna francese) e aperture che si moltiplicano da Las Vegas a Mumbai sotto l'insegna Osteria del Circo, fino a raggiungere fatturati annuali da 50 milioni di euro. E tanti sono gli chef, noti e meno noti, che si sono avvicendati in cucina, come il toscano Matteo Boglione, il primo italiano nella storia di Le Cirque, rientrato qualche mese fa in Italia per prendere la guida del nuovo Bar e Cucina, nel centro di Firenze.

Dalla bancarotta alla chiusura. Trasloco in vista?

Ben diversa, però, è la storia degli ultimi mesi (dopo svariate vicissitudini poco incoraggianti, dalla brutta recensione del New York Times alla causa per mancato pagamento delle mance): la scorsa primavera la società dichiarava bancarotta, ribadendo però la ferma intenzione di mantenere il ristorante in attività. Di qualche giorno fa, invece, sono le previsioni meno ottimiste di Mauro Maccioni, che alla storica insegna dà ancora qualche mese di vita, non oltre il veglione dell'ultimo dell'anno, quando Le Cirque dovrebbe “presumibilmente” approntare l'ultimo servizio, causa impossibilità di sostenere le spese d'affitto. Una presunzione piuttosto concreta, considerando che la famiglia Maccioni sarebbe già in cerca di un locale più piccolo ed economico per ripensare l'attività. Nulla di impossibile, certo, solo il quarto trasloco nella storia del ristorante, che della sua longevità ha fatto un vanto: in origine fu il Mayfair Hotel, poi – dal 1997 – il Palace Hotel, fino all'indirizzo corrente, al 151 dell'East 58th Street. E i figli di Sirio assicurano che, dopo qualche mese di stop, nel 2018 Le Cirque rinascerà in un nuovo spazio, non distante da Madison Avenue. La motivazione è ancora forte: “Guidare Le Cirque è l'unica cosa che so fare”, ha dichiarato Mauro al New York Times. Seguiranno sviluppi. Presumibilmente.

 

Le Cirque | New York | 151, 58th Street | www.lecirque.com

 

a cura di Livia Montagnoli 

Promozione del territorio. L'esempio (ottimo) del Canton Ticino e la cucina dei grotti

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Una strategia integrata che punta tutto su sinergia, incentivi e investimenti. Accessibilità e valorizzazione delle risorse culturali, paesaggistiche ed enogastronomiche nel futuro del Canton Ticino. 

Il sistema turistico integrato

Agevolare per incentivare: se si dovesse riassumere con due parole la strategia che il Canton Ticino ha messo in campo per promuovere il turismo sul proprio territorio, sarebbe esattamente questa la formula. D'altra parte i paradigmi su cui si basa sono semplici e chiari. Primo: per promuovere un territorio è indispensabile facilitarne l'accesso. Secondo: una volta sul posto, bisogna semplificare gli spostamenti. Terzo: è indispensabile agevolare la fruibilità ai luoghi di interesse artistico, culturale, storico, paesaggistico e, perché no, enogastronomico.

Ed è esattamente quello che sta facendo il più italiano tra i 26 Cantoni che compongono la Svizzera. L’apertura di una linea aerea diretta Fiumicino – Lugano (che sarà Capitale dell'enogastronomia Svizzera 2018, con la creazione di nuovi percorsi turistici e gastronomici) permette di diminuire notevolmente i tempi di viaggio, atterrando, dopo poco più di un'ora dal decollo, nel piccolo aeroporto che si trova a pochi minuti dal centro di Lugano. Una volta giunti nella struttura ricettiva sarà la reception a consegnare, insieme alle chiavi della stanza, un ticket valido per tutto il periodo della permanenza che oltre alla libera circolazione su tutti i mezzi di trasporto pubblico del Cantone, garantisce a chi pernotta in un albergo, in un ostello della gioventù o in un campeggio, agevolazioni sugli impianti di risalita, la navigazione e le principali attrattive turistiche. L'idea, per arrivare preparati all'appuntamento del prossimo anno, è quella di creare nuovi percorsi enogastronomici sfruttando sentieri già esistenti, pensati prevalentemente per essere vissuti a piedi o in bici, ma percorribili anche a cavallo. E a supporto, una rete di strutture bike friendly per la sosta e il noleggio di mountain bike. Oltre a una guida gastronomica che raccoglierà i migliori indirizzi del Ticino.

Insomma, la strategia di promozione del Canton Ticino ha tutte le carte in regola per diventare un esempio virtuoso e, soprattutto, replicabile.

L'enogastronomia del Canton Ticino. I grotti

Attraversata dal fiume che le ha dato il nome, e che arrivava ad alimentare alcuni dei navigli di Milano, questa area alpina si incunea in Italia portando con sé i confini della Svizzera. Si tratta di un punto di passaggio che nella storia è stato attraversato da così tanti mercanti ed eserciti da meritarsi l’appellativo di “porta nelle Alpi”.

Il concetto di accoglienza si fonda quindi su forti radici culturali che hanno permesso ai segni di un fiorente passato di rimanere inalterati fino ai giorni nostri. Si parla di ‘grotti’, castelli, natura incontaminata e tanta arte. I ristoranti tipici del Cantone si chiamano ‘grotti’ proprio per le loro peculiarità. Anticamente erano punti di ristoro scavati nella roccia o all’interno dei bastioni dei castelli. Oggi sono attività moderne con un’offerta rispettosa della tradizione. In carta si trovano i piatti tipici come polenta, ossobuco, brasati, risotti e maialino in tutte le salse. Formaggi d’alpeggio a latte crudo e salumi per tutti i gusti. Particolarmente suggestivo, tra questi, il Grotto di San Michele. Oltre alla terrazza panoramica sul complesso dei castelli di Bellinzona e situato proprio sulla salita al più imponente di essi – Castelgrande – vanta anche una particolarità: si tratta di un ristorante – scuola, in cui organizzazione e servizio è a opera dei giovani allievi della scuola alberghiera. Il posto ideale per rifocillarsi dopo la lunga passeggiata che unisce il complesso di mura e castelli, attraversando lo storico mercato nel centro di Bellinzona.

Non manca l’offerta gastronomica più ricercata del pluripremiato Frank Oerthle, chef del ristorante Arté al lago, costola gourmet del Grand Hotel Villa Castagnola di Lugano. E molto altro ancora.

Una menzione speciale è da dedicare ai vini del territorio. La viticultura in queste zone riguarda principalmente il merlot. Declinato nelle versioni bianco, rosso e rosè, ha da quest’anno guadagnato un posto nella Guida Vini d’Italia 2018. Delle 22 mila etichette presenti, 115 provengono da circa trenta aziende ticinesi e a due di esse è stato conferito il massimo riconoscimento dei Tre Bicchieri.

 

a cura di Saverio De Luca

 

 

 

Tre Bicchieri. Parla Emanuele Dianetti della cantina Dianetti

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Il Piceno e la sua biodiversità spiegati da Emanuele Dienetti, produttore di Carassai, che ci racconta la sua storia

Il suo vino è tutto qui, in quest'area attraversata dal Menocchia, un rivolo d'acqua che solca una valle intensamente vitata, sul limitare nord della denominazione Offida, con giaciture più fresche della media del Piceno dove le uve possono maturare perfettamente. Dichiara di conoscere alla perfezione ogni centimetro e ogni dettaglio del microclima della sua terra, ogni particolarità dei suoi vigneti, ogni minimo slancio delle sue uve, Emanuele Dianetti. È lui, col sostegno di sua madre Giuliana e di Michele Quagliarini, che da questo ambiente ricava vini di spiccata identità territoriale: sfrutta la grande acidità di uve pecorino preservandone i tratti agrumati in botti di acciaio; esalta il carattere fruttato del montepulciano armonizzandone l'enorme massa tannica in barrique. È così che nella cantina di Carassai si dà vita a uno stile ricercato, perfettamente agganciato allo spirito dei tempi. L'esordiente Michelangelo Bordò '14 ha profumi ben definiti di lampone e una docile trama tannica. Il Pecorino Vignagiulia '16 rimanda al limone candito e ha un sorso dinamico e salino. Il capolavoro, che ha conquistato i Tre Bicchieri, resta l'Offida Rosso Vignagiulia '14, da montepulciano in purezza, dal limpido disegno aromatico e dalla bocca pura, reattiva, perfettamente amalgamata.

 

Come concili il tuo lavoro in banca con la tua anima contadina?

Diciamo che a livello organizzativo ora, dopo alcuni anni, sono a regime. Non è stato facile e non è facile. Ho la fortuna di avere mia madre: è lei la vignaiola, fa questo mestiere da una vita, da quando aveva 15 anni. Io mi occupo della potatura invernale, il sabato e la domenica e i 2/3 delle ferie li passo in campagna e in cantina. Poi mi dedico all'aspetto commerciale e promozionale, con le fiere e tutto il resto.

 

Come sei arrivato a produrre vino praticamente da autodidatta?

Mio padre non faceva vino, mio nonno sì. Ma all'epoca era diverso: si vendeva a damigiane grandi. A un certo punto ho pensato: “ma questa bell'uva e questa bella zona devono essere valorizzate, non possono finire dentro a un contenitore grande”. E così ho cominciato a studiare, sui libri e accanto alle persone. Da autodidatta, è vero. Sono una spugna, penso che si debba imparare prendendo da soli la conoscenza di chi si ha vicino. Ho chiesto consigli e fatto le domande giuste alle persone che conosco, ho letto e fatto ricerche e tanti esperimenti. Il mondo dell'enologia mi ha appassionato.

 

Ma c'è stato anche il corso da sommelier

Sì, circa 15 anni fa, intorno al 2001-2002, poi ho iniziato ad approfondire l'aspetto agronomico. Conosco la mia terra profondamente: venti, piogge, esposizione. Il microclima e ogni aspetto legato all'uva. Prima ho dovuto capire come vinificare, ho fatto tanti tentativi, per esempio sul montepulciano, che ho vinificato in un sacco di modi. Poi ho definito il mio stile. Così ora c'è Vignagiulia. Ora faccio diradamento, inerbimento, microparcellizzazione. Secondo i casi.

 

Quest'anno?

È stata un'annata molto calda, non abbiamo defogliato come al solito per tenere coperta l'uva per ripararla dal caldo. In ogni caso la pianta ha un suo equilibrio vegeto-produttivo, anche se la pianta produce meno, si autogestisce.

 

Fai microvinificazioni. In che modo?

Su un mezzo ettaro vado a microvinificare in modo separato. Per esempio in tempi diversi, secondo maturazione, come ho fatto nel 2013-2014. Dal 2015 a quest'anno non ho dovuto diversificare secondo il livello di maturazione delle uve, ma l'ho comunque fatto in funzione delle esposizioni, per dirla in soldoni: sopra casa e sotto casa. Vinificare separatamente mi serve per capire quali legni utilizzare, perché non tutto il vino passa nello stesso. Le tre vasche vanno in legni diversi secondo la tipologia di vino che ho, e questo vale anche se le differenze sono minime.

 

Spiegaci i motivi di questa scelta

È un esercizio che mi dà statistiche e dati su cui possiamo ragionare per capire, tra due o tre anni, quali sono le evoluzioni che ha dato una particella.

 

La tua è una realtà piccola, anche abbastanza nuova, ma sei già al secondo Tre Bicchieri. Cosa significa per un vignaiolo come te raggiungere e confermare questo riconoscimento?

I Tre Bicchieri sono importanti, sia per il riconoscimento, che per la visibilità che danno. La riconferma, poi, aumenta la confidenza intorno a noi.

 

Come ci siete riusciti?

La piccola dimensione, e la possibilità di dedicare la massima attenzione al più piccolo particolare, lo consentono. Seguo tutto in prima persona in modo metodico e disciplinato, dedicando attenzione e molto, molto tempo. La mia vigna la conosco benissimo, so quel che mi può dare. La riconferma la devo, credo, al fatto che si fa davvero attenzione ai minimi dettagli, in funzione del vino che uno ha in testa. Io produco l'idea che ho del mio vino, e sono soddisfatto quando il risultato è come lo avevo pensato.

 

Vendi anche all'estero?
Sì, perfino in Cina... io li definisco colpi di fortuna, perché non ho ancora canali stabili. Ora ho un distributore in Italia. Una cosa importante, perché è importante l'aspetto commerciale: insomma anche se mi impegno a fare il vino al meglio, se non c'è un distributore capace di posizionarlo bene, è tutte inutile. Date le nostre dimensioni, poi, non possiamo stare dappertutto, ma dobbiamo essere presenti in un certo tipo di locali e su una certa fascia di prezzo. Il vino deve essere valorizzato.

 

È difficile comunicare al di fuori dei confini nazionali il territorio piceno?

Il Piceno è un territorio molto ricco, spiegarlo all'estero non è facile. Ma i nostri clienti sono soprattutto persone che sono già venute nel Piceno, magari in vacanza, e hanno visto la ricchezza del territorio, le colline, i microclimi, le differenti esposizioni e suoli. Nel Piceno c'è davvero una grande biodiversità, è un territorio con tante sfaccettature, che cambia radicalmente anche nell'arco di 5 chilometri. Chi ci è venuto lo sa. Per questo sono avvantaggiato.

 

E in italia?

Forse è quasi più difficile, perché l'Italia è tutta meravigliosa. Il Piceno è solo una delle molte zone belle, e lo stanno scoprendo ora.

 

Ci sono nuovi progetti in vista?

Sì, ma sono in funzione della capacità di strutturarci come azienda, tutto passa per investimenti importanti da valutare. Abbiamo 5 ettari, ma per ora ne vinifichiamo solo 2.

 

Dianetti vini | Carassai (AP) | C.da Vallerosa, 25 | tel. 338 3928439 | http://www.dianettivini.it/

 

a cura di Antonella De Santis e William Pregentelli

 

 

Classifica delle migliori patatine fritte in busta

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Per l'aperitivo, lo snack, lo sfizio da sgranocchiare davanti la tv: le patatine fritte sono una tentazione irresistibile. Ma quali sono le migliori?

Strano che il Gambero Rosso si occupi di quello che è un junk food per definizione, prodotto da consumo compulsivo, fonte di grassi saturi e di radicali liberi. Saranno in molti a domandarselo. Ma alzi la mano, anche il più fedele integralista dell'alimentazione, il salutista più fanatico nemico del cibo spazzatura, che non abbia sgranocchiato patatine fritte confezionate per accompagnare un cocktail, un calice di vino fresco o uno spumeggiante boccale di birra. Impossibile resistere alle croccanti e sottili fette di patate, regine dell'aperitivo insieme a noccioline americane e olive. Tanto vale, allora, dedicare alle chips, le crisps degli inglesi, una classifica che guida nella scelta delle migliori, o delle meno peggio. Le degustazioni servono anche a questo.

patatine fritte

L'evoluzione del comparto

A maggior ragione se consideriamo che questo settore di snack salati recentemente gode di un miglioramento qualitativo, talvolta perseguito attraverso pubblicità ingannevole (artigianalità e proprietà salutistiche presunte) che un paio d'anni fa è costata ad alcune aziende multe salate da parte dell'Antitrust. Nella giungla dei gusti “emotion” (tra gli altri cacio e pepe e barbecue) ci siamo orientati, invece, sulle patatine classiche. Non le rustiche, più spesse e con il taglio ondulato, non quelle a fiammifero, tantomeno le Cipster o altri snack a base di patate. No, quelle lisce e arricciate, acquistate in negozi e gdo, anche nel settore biologico. Oltre 40 i prodotti in lizza: ne sono stati salvati appena una decina, alcuni entrati in classifica raggiungendo appena la sufficienza. Marchi diversi, di cui molti realizzati da aziende che producono anche per terzi e a private label. Perché il mercato delle patatine, un giro d'affari di miliardi di euro e in continua crescita, è dominato da un duopolio che copre più del 50% dei consumi: San Carlo/Unichips (che possiede anche il brand Pai) e Amica Chips (che dedica una bella fetta della produzione a marchio del distributore). Due/tre gli ingredienti: patate, olio (in genere di semi di girasole) e sale, ma non in tutti i prodotti. Sui dettagli però è un mistero. Patate di quale varietà e provenienza? Solo in un paio di casi sono indicati. Stesso discorso per l'olio: come è ottenuto, quante volte è stato usato? Non è dato saperlo.

 

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Radici & tuberi

Le chiamano Veg, sono mix di radici e tuberi, e rappresentano la nicchia delle chips, snack del momento, compagne di aperitivi, spezzafame e finger food alternativi e con velleità gourmet. Il nome più che un programma è piuttosto una trovata di marketing che fa tris d'assi con bio-organic e gluten free. Come se le patatine fritte che si trovano in commercio fossero fatte con ingredienti di origine animale! Ma tant'è.

Tyrrells, Hand Cooked English Crisps, www.tyrrellscrisps.co.uk, le propone in 5 gusti (nella madrepatria, in Inghilterra), principalmente in 3 declinazioni (in Italia): con barbabietola, pastinaca e patate (busta verde scuro; abbastanza buone), barbabietola, pastinaca e carote (busta verde chiaro), patate dolci, carote e patate (busta rossa), con prezzi che oscillano a seconda della confezione (100-150 grammi) e del supermercato o negozio tra i 2,39 e i 4,90 euro.

Poi ci sono le Veg Chips dell'azienda inglese Kettle, www.kettlechips.eu(ma prodotte nei Paesi Bassi), anche al gusto honey & black pepper (100 grammi, 2,50 euro); amate dai consumatori “evoluti”, ma non ci hanno convinto.

Molto diffusa sul mercato l'Ortolana Alfredo's prodotta da Amica Chips, www.amicachips.it, colosso mantovano leader nel settore delle patatine fritte confezionate, un dolce e sfizioso mix croccante di ortaggi dal cromatismo autunnale a base di barbabietola, pastinaca e patata dolce, prodotto “in EU” (100 grammi intorno ai 2,80 euro).

 

patatine fritte. un momento della degustazione

La Classifica

 

I prezzi sono quelli medi al dettaglio. Tranne le prime classificate, le altre aziende sono in ordine alfabetico

 

{gallery}patatine{/gallery}

 

1° Classificato

Lay's - PepsiCo Foods | Classiche e Mediterranee

Le chips prime classificate parlano americano: sono le Lay's, marchio della multinazionale statunitense PepsiCo, una delle più grandi società mondiali di snack, nata nel 1965 dalla fusione di Frito-Lay, specializzata in patatine disidratate e merendine, con Pepsi-Cola Company. Ma non è tutto, tenetevi forte: il brand di patatine più venduto al mondo è sbarcato in Italia nel 2014 con la complicità della Ferrero di Alba (quella della Nutella), che distribuisce le Lay's sul territorio nazionale.

Due le chips assaggiate, classiche “base” e Mediterranee, entrambe molto buone: dipende dal gusto personale. Le prime, in busta gialla, fritte in olio di mais e spolverate di sale, piuttosto piccole, color oro vivace e credibile, cotte in modo omogeneo, sorprendono per l'odore pulito, privo di “retropuzzette”. E conquistano con lo spessore sottile, la piacevole croccantezza, il sapore caratteristico, gli aromi che richiamano in modo netto e centrato la materia prima e un olio corretto, la sapidità perfetta, i ricordi di pinolo e frutta secca. Soddisfa anche l'orecchio con il suo crok godurioso. Le Mediterranee, in busta beige tipo pane, fritte in olio di oliva 100% e condite con sale, sono una novità 2016. Piccole, di un bel colore dorato solare e omogeneo (peccato le rotture), emanano un gradevole odore di patata fritta e di olio abbastanza preciso. Rispetto alla sorella “base” è più ruffiana: più spessa, tosta e croccante, più saporita, quantunque di una sapidità perfetta.

Classiche 145 g prezzo 1,42/1,69 euro.
Mediterranee 150 g prezzo 1,49/1,79 euro

Lay's - PepsiCo Foods | Milano | via Tiziano, 32 | tel. 02 434381 - 800 13234
| www.pepsico.co.it

 

Rapporto qualità/prezzo

Conad | Classiche

Anche Conad (acronimo di Consorzio Nazionale Dettaglianti) ha le “sue” patatine fritte, prodotte e confezionate a marchio da Pata. Le Classiche (con olio di semi di girasole e sale), confezionate in buste bianche, hanno un aspetto appetitoso: fette grandi e abbastanza integre color oro antico chiaro e omogeneo, leggermente unte. L'odore richiama l'olio di frittura ma anche la materia prima, dettaglio tutt'altro che scontato. La bocca rimane soddisfatta: croccantezza tenace, sapidità al giusto grado, sapore e aromi caratteristici coerenti alla materia prima, elemento grasso abbastanza pulito.

400 g prezzo 1,75 euro

Conad | Bologna | via Michelino, 59 | tel. 051 508111 | www.conad.it

 

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Eldorada - Amica Chips | Come una volta!

Nata nel 1990, di proprietà della famiglia Moratti, è un'azienda leader nel settore delle patatine fritte, famosa per spot pubblicitari ammiccanti tra i quali quello, censurato, con l'attore porno Rocco Siffredi. Produce a proprio marchio e a private label per player della grande distribuzione un ampio assortimento di chips, tra le quali Eldorada e Alfredo's si posizionano nella fascia più alta. Entra in classifica con Eldorada Come una volta!, “più spessa e gustosa, -30% di grassi in meno rispetto alle patatine fritte classiche” (così in etichetta), con frittura in olio di girasole e aggiunta di sale. Così alla vista: dimensione più piccola che media, faccia color oro carico, cotta e un po' unta, con alcune rotture. L'odore è quasi latitante, e quel poco che si avverte è di olio non preciso. Migliora in bocca: sapore delicatissimo, note di amido che richiamano la patata fresca, untuosità non eccessiva, consistenza croccante, sale molto dosato, sentore di olio senza difetti evidenti, contrariamente a quello che il naso annunciava.

130 g prezzo 0,98 euro

Eldorada - Amica Chips | Castiglione delle Stiviere (MN) | via dell’Industria, 57 | tel. 0376 946611 
| www.amicachips.it

 

Esselunga - Chips gusto classico

Una delle più importanti catene italiane della gdo, con più di 150 supermarket presenti nel centro nord, da poco anche nella capitale, vende a marchio patatine fritte confezionate prodotte da Amica Chips. Il plus delle Chips gusto classico (con olio di semi di girasole e sale) è l'aspetto: grandi, sottili e belle integre, di una tonalità dorata accesa perfettamente uniforme. Anche al naso e al palato non sono male: odori delicati che mettono in evidenza un olio non precisissimo forse, ma complessivamente passabile, sapidità alta però nei limiti di un prodotto nato per essere saporito e invitare a bere, una croccantezza sottile molto piacevole, una componente grassa importante che però non copre il tubero. Traccia amidosa leggermente stucchevole.

180 g prezzo 0,98 euro

Esselunga| Pioltello (MI) | loc. Limito via Giambologna, 1 | tel. 02 92931 | www.esselunga.it

 

Le Contadine - Ica Foods | Patatine stile fatte a mano

Le Contadine è uno dei marchi di chips, pane e dolci di Ica Foods, storica azienda romana che ha il suo peso nel mercato di patatine e snack (gli altri marchi: Crik Crok e Puff), con 4 stabilimenti di produzione e una buona penetrazione nel settore dei locali. Entrano in classifica le sue patatine “stile fatte a mano”, fritte in olio extravergine d'oliva 100% e insaporite con sale. Confezionate in busta color carta pane con grafica vagamente rural, sono le classiche chips industriali: dorate, di media grandezza e abbastanza integre, un po' oliose (alcune orlate di verde), odore di olio non precisissimo, sapidità presente ma non eccessiva, sapore e aromi che richiamano il dorato tubero. Dettaglio non scontato, per questo raggiunge la sufficienza. 


110 g prezzo 1,99 euro


Le Contadine - Ica Foods | Pomezia (RM) | via Pontina, km 27,650 | tel. 06 9106911 | www.icafoods.it

 

Pai | Maxi Fette

È sinonimo di patatine per chi ha vissuto il boom economico. Nata nel 1959, nel 1992 passa dalla Sme, holding alimentare della scuderia Iri, a Unichips, gruppoal quale appartiene San Carlo, rafforzando la leader di quest'ultimo nel settore delle patatine in busta. Le Maxi Fette, da patate provenienti da “agricoltura blu” (che rispetta l'ambiente), fritte in olio di palma, condite con sale iodato e confezionate in bustone trasparenti dove campeggia lo storico logo, sono invitanti chips grandi di colore dorato pallido omogeneo. Il naso è più che delicato, quasi inesistente, ma quel che si percepisce è abbastanza corretto. Il gusto è caratteristico, non eccessivamente sapido né olioso. Si avverte poco la patata ma l'olio non è aggressivo, né è percepito difettato. Appena una nota amara in chiusura.

300 g prezzo 1,64/1,99 euro

Pai | Milano 
| via Turati, 29 |
tel. 02 62651 | www.pai.it

 

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Patatas Nana | Patate fritte naturali

Patatine fritte da podio, figlie di un progetto nato e pensato in Italia ma realizzato in Spagna nel 2016. La mente è lo chef Michele Gilebbi, proprietario del Nana Piccolo Bistrò di Senigallia, che in un paese dell'Andalusia, vicino a Granada, crea in società un'industrietta per produrre chips di patate fritte artigianali di alta qualità. Ingredienti, provenienti dalla Valle del Lecrín: patate della varietà Agria irrigate con l'acqua del rio Dúrcal, che nasce sulla Sierra Nevada, puro olio di semi di girasole, sale fino marino di Cadice. Confezione elegante ed essenziale, grafica minimal giocata sul bianco e nero in uno stile optical attualizzato e alleggerito, scarse indicazioni in etichetta. Scadenza breve: solo 5 mesi. L'aspetto è da reginette di bellezza, delle Anitone delle chips: bionde, grandi, procaci, corpose, con un bel colore omogeneo. L'odore è caratteristico di patata fritta, con richiami tondi e precisi al tubero e all'olio. Sale dosatissimo. Il consiglio di Michele: gustatele spolverate di pepe nero, irrorate di succo fresco di limone o di lime oppure abbinate alle alici marinate nell'aceto.

140 g prezzo 3,8 euro

Patatas Nana | Patate fritte naturali | Senigallia (AN) | v.le Bonopera, 37 | tel. 347 9135295 - 347 8231117 | www.patatasnana.com

 

San Carlo | 1936 Antica Ricetta

La storia sembra una fiaba. Nel 1936 Francesco Vitaloni apre nel centro di Milano, vicino alla chiesa di San Carlo al Lazzaretto, una rosticceria. Sua specialità esclusiva: le patatine tagliate sottili e croccanti. A distanza di oltre 80 anni, il gruppo San Carlo/Unichips, alle redini la terza generazione della famiglia Vitaloni, è una multinazionale del settore con oltre il 30% di vendite sul territorio nazionale, 4 marchi tra chips e prodotti di forno (tra i quali Pai) e 6 stabilimenti produttivi solo in Italia. Inconfondibili le sue confezioni bianche candide sulle quali campeggiano il logo e il gusto. Entra in classifica, e in zona podio, con la nuova “1936 Antica Ricetta”, che nel nome e nella grafica stile liberty anni '30 richiama le sue origini. Le patatine, tagliate a fette sottili, cotte in olio di girasole e condite con sale marino, sono quello che ti aspetti dalle chips: invitanti, dorate, di media grandezza e integre, con un quid artigianale, alcune attaccate tra loro per bocconi che riempiono la bocca. Odori di patata fritta e di olio non pessimo. Le migliori prestazioni si incontrano al palato: sapore della materia prima in primo piano, sale ben dosato, olio non male, consistenza croccantissima.

150 g prezzo 1,87/1,95 euro

San Carlo | Milano |
via Turati, 29 |
tel. 02 62651 | www.sancarlo.it

 

Tyrrells | Naked (no salt) |

Sbarcate in Italia nel 2014, le Tyrrells sono diventate le chips di riferimento nel settore di nicchia e tra i consumatori gourmet che non vogliono rinunciare alle patatine fritte confezionate. Molti gli appeal: la (pseudo) artigianalità “hand-cooked”, la filiera chiusa garantita dalla coltivazione delle finest Herefordshire potatoes (è indicata anche la varietà: Taurus, olandese, tipica da chips) e dalla produzione in farm, il fascino esotico very english, con tanto di foto vintage, lo sterminato assortimento di gusti, i consigli per gustarle al meglio. Le Naked, nude senza sale (confezione grigia, nella foto adolescenti svestite danzanti), “meravigliose con un sandwich al cetriolo” assicura la Tyrrells, entrano con tutti e due i piedi nella classifica, ma non ai primi posti come ci saremmo aspettati da “crisps” con tali referenze. Dimensione medio/grande, qualche rottura, colore oro antico pallido, un po' unte. L'odore non è sparato e mette in evidenza un olio passabile. Lo spessore è giusto, la consistenza è croccante: uno dei suoi maggiori meriti. Il sapore non punta sulla sapidità, assente per scelta commerciale, ma sulla materia prima, centrata e precisa: il suo aroma arriva, basta saper aspettare. Una patatina molto corretta, non classica se per classica si intende sapida e che invita a bere. Ruffiana nel suo genere, ossia priva di sale, sulla scia dei prodotti light.

150 g prezzo 2,95 euro

Tyrrells | Leominster, Herefordshire, England | Tyrrells Court, Stretford Bridge | tel. +44 (0)1568 720244| www.tyrrellscrisps.co.uk

 

Vivi Wellness – Tuodì | La Semplice

Vivi Wellness è la linea dedicata agli alimenti magri, light e iposodici di Tuodì, una delle più importanti catene discount italiane. In vendita nei supermercati a marchio, la patatina La Semplice, prodotta dall'azienda mantovana Pata, mostra in bellavista i suoi plus: con sale iodato, frittura in olio di semi di girasole, -30% di grassi rispetto alle patatine Stop&Snack. Di dimensione medio-piccola, si presenta abbastanza integra e con una tonalità omogenea giallo oro antico tenue. Il naso non è precisissimo ma la bocca è classica e corrispondente al prodotto, sapida quanto basta, con una croccantezza tenace e leggermente vetrosa, gusto e aromi del tubero giovane, molto piacevole, appena un accenno di amido.

150 g prezzo 1,29 euro

Vivi Wellness – Tuodì| Roma | via Raffaele Costi, 90 | tel. 06 225841 | www.gruppotuo.it

 

I prezzi sono quelli medi al dettaglio

Tranne le prime classificate, le altre aziende sono in ordine alfabetico

 

a cura di Mara Nocilla


Local&Global. Bambini contadini cittadini del mondo alla Marcigliana

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Una domenica di amicizia, gioco, cultura contadina e scambi interculturali. L'ultimo progetto di ABC arriva alla Riserva Naturale della Marcigliana, alle porte di Roma, e porta i bambini tra i campi, per insegnargli a mangiare bene e scoprire le cucine del mondo.    

ABC. Il valore dello scambio

ABC: Bambini, Alimentazione, Culture. Al plurale, e con la lettera maiuscola. Perché a tavola è bello ritrovarsi tutti insieme, e il cibo - quello di cui si impara a scoprire l'origine, la storia di chi l'ha prodotto, le tradizioni culturali che ne scrivono l'evoluzione – può essere un potente veicolo di comunicazione, anche quando in gioco ci sono tante lingue e costumi diversi. Nasceva così, qualche tempo fa, l'Associazione ABC, progetto di Catia Sulpizi fondato sul valore della conoscenza e dello scambio, attraverso l'alimentazione. Con un destinatario preciso, i bambini e la loro capacità di guardare oltre le differenze, con una curiosità che li rende particolarmente recettivi agli stimoli. E allora perché non contribuire a fornirglieli, gli stimoli che li porteranno a scoprire l'altro attraverso il gioco. Tra laboratori di cucina e iniziative interdisciplinari – come l'ABC di Enos in collaborazione con Dominga Cotarella e l'azienda Falesco, di cui raccontavamo qualche tempo fa – ABC propone ai bambini dai 5 anni in su molte attività ludiche e didattiche. Tante li portano direttamente in campagna, a tu per tu con la terra, e i suoi prodotti. Domenica 8 ottobre sarà la volta di Bambini Contadini Cittadini del Mondo, nella Riserva Naturale della Marcigliana, alle porte di Roma.

 

Local&Global alla Marcigliana

Una giornata all'aria aperta per i bimbi e i loro genitori, tra laboratori, degustazioni, i banchi Coldiretti per l'acquisto dei prodotti del territorio, corsi pratici e teorici, un pranzo della domenica d'eccezione, con la partecipazione di Salvatore Tassa, chef delle Colline Ciociare di Acuto, e i cuochi della comunità indiana e turca. L'appuntamento è alla Tenuta Antiqua, dove i bambini si trasformeranno in contadini per un giorno, al motto di “Pensa Global, cresci Local”. Sì, perché la giornata sarà occasione per riunire tante etnie diverse – Roma, come prevedibile, è una città ad alta densità di cittadini stranieri – e raccontare il cibo nelle sue molteplici declinazioni, in giro per il mondo. Ma con i prodotti della Marcigliana e dei contadini laziali. Guardando pure alla storia, e all'evoluzione delle diverse culture gastronomiche nel tempo, con i laboratori contadini e di integrazione culturale che si protrarranno per tutta la mattina, fino alle 13, tra spezie indiane e tecniche di coltivazione cinesi. E la tavola del pranzo non smentirà il messaggio dell'iniziativa, proponendo un banchetto che spazia da pane e olio alle kofte (le polpette di origine medio-orientale). Alle 15 riprendono i laboratori, mentre gli adulti partecipano alle degustazioni organizzate da Coldiretti e Falesco. Ingresso gratuito, ma su prenotazione (tramite email). E servizio navetta gratuito da piazza della Repubblica alle 9.

 

Bambini Contadini Cittadini del Mondo | Roma | Tenuta Antiqua, Riserva Naturale della Marcigliana, via Tor San Giovanni, 301 | domenica 8 ottobre, dalle 10.30 alle 17.30 | ingresso gratuito, prenotazione prenotazioni@abcdiroma.it

Anteprima Tre Bicchieri 2018. Campania

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L'anticipazione dei premiati della nuova guida Vini d'Italia 2018 oggi ci porta a scoprire i migliori vini della Campania.

La Campania del vino è capace di toglierti il respiro, di farti ridere e poi ancora piangere pochi istanti più tardi. È un meraviglioso guazzabuglio di varietà autoctone e personaggi veri, di aziende che fanno grandissimi bianchi e dimenticabili rossi, e viceversa, di certezze che diventano dubbi. E così, dopo 700 campioni testati, ci troviamo con più domande che risposte. Di fronte un'ottima annata da Fiano di Avellino, come la 2016, che non avrà bisogno di ritocchi per invecchiare alla grande, millesimo che tira fuori dalla Falanghina del Sannio un respiro balsamico più sottile e intenso del solito. Tirando le somme, non possiamo di certo dire che la qualità media sia esattamente in crescita, con quasi il 15% dei vini che non raggiungono la soglia del bicchiere.

Ancora tanti i casi di livelli di solforosa da cavallo, mentre allarmano alcune denominazioni in rosso. Su tutte, il Taurasi sembra faticare tremendamente a uscire dal pericoloso tunnel nel quale si è cacciato, da quell'idea di potenza e concentrazione a tutti costi, con legni che sembrano peggiorare di stagione in stagione, con sensazioni sempre più polverose e sgranate, complice anche un mercato che rifugge da questi vini. Il concetto di bevibilità non è un optional, ma un passaggio obbligato. Alcuni Campi Taurasini danno buoni segnali in questa direzione, mentre noi gongoliamo con una serie di Piedirosso irriverenti e deliziosi.

Il messaggio dei Tre Bicchieri regionali è fin troppo chiaro: la Campania è una straordinaria terra da bianchi. E che bianchi! Non sono mancate vere e proprie ole in fase di assaggio. Quattro nuove aziende approdano per la prima volta al massimo punteggio: sugli scudi Mustilli, gli "inventori" della Falanghina centrano un Piedirosso d'autore, profondo e succulento; Donnachiara va a bersaglio con un Greco di Tufo ricco e completo; Cantine Di Marzo, dopo appena 370 anni di attività, fa il colpo grosso con un Greco di Tufo che è una scheggia di sale, taglia e cuce, e fa quello che deve fare un Greco: farti pensare alla tavola; in chiusura una bolla gioiosa e spensierata, da bere e ribere con gli amici, una bevuta pura e al contempo incisiva, Il Fric di Pasquale Mitrano di Casebianche, più che un vino una modalità di vita.

 

I vini della Campania premiati con Tre Bicchieri

Caiatì ’15 - Alois

Campi Flegrei Falanghina Cruna deLago ’15 - La Sibilla

Campi Flegrei Piedirosso ’16 - Agnanum

Costa d'Amalfi Furore Bianco Fiorduva ’16 - Marisa Cuomo

Falanghina del Sannio Janare Senete ’16 - La Guardiense

Falanghina del Sannio Svelato ’16 - Terre Stregate

Falanghina del Sannio Taburno ’16 - Fontanavecchia

Falanghina del Sannio Taburno ’16 - Fattoria La Rivolta

Fiano di Avellino ’16 - Colli di Lapio

Fiano di Avellino ’16 - Fonzone

Fiano di Avellino Alessandra ’12 - Di Meo

Fiano di Avellino Alimata ’15 - Villa Raiano

Fiano di Avellino Pietramara ’16 - I Favati

Fiano di Avellino V. della Congregazione ’16 - Villa Diamante

Greco di Tufo ’16 - Cantine Di Marzo

Greco di Tufo ’16 - Donnachiara

Greco di Tufo ’16 - Pietracupa

Grecomusc' ’15 - Contrade di Taurasi

Il Fric ’16 - Casebianche

Sabbie di Sopra il Bosco ’15 - Nanni Copè

Sannio Sant'Agata dei Goti Piedirosso Artus ’15 - Mustilli

Taurasi ’13 - Feudi di San Gregorio

Trentenare ’16 - San Salvatore 1988

 

Gli altri premi Tre Bicchieri della guida Vini d'Italia 2018

Grande degustazione Tre Bicchieri 2018 | Sheraton Rome Hotel | 22 ottobre 2017

 

Riapre il Farmer's Market del Circo Massimo. A gestirlo ancora Coldiretti: prodotti del Lazio e dalle aree terremotate

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Riapre dopo mesi di polemiche il più celebre mercato contadino della Capitale, chiuso l'inverno scorso in attesa di un nuovo bando di concessione. Allora lo “sfratto” di Campagna Amica fece scalpore, oggi la formazione si ripresenta invariata al via. Coldiretti festeggia. 

Gli ultimi mesi del mercato del Circo Massimo

E vissero tutti felici e contenti. Il lieto fine, a via San Teodoro 74, arriva con la riapertura del chiacchieratissimo mercato contadino del Circo Massimo, che all'inizio dell'anno chiudeva tra le polemiche, per decisione dell'amministrazione Raggi. Provvedimento più che motivato, per dir la verità, da una scadenza della concessione già prorogata più del dovuto, nel caos del passaggio di consegne del Campidoglio. E nonostante la struttura dell'ex mercato ebraico del pesce necessitasse di lavori di riqualificazione inderogabili. Lo scorso febbraio, invece, l'assessore Adriano Meloni disponeva lo stop delle attività, in vista di un nuovo bando per assegnare la concessione, nel rispetto della pluralità dell'iniziativa imprenditoriale. Dal canto suo, il Coordinamento di Campagna Amica del Lazio – che il celebre mercato l'aveva gestito sin dall'inizio ogni fine settimana, promuovendo i prodotti del territorio laziale davanti a un pubblico numeroso di romani e turisti – ribadiva l'intenzione di combattere perché il mercato tornasse quanto prima in attività, rifiutando ogni proposta di ricollocazione in strutture limitrofe. Dalla sua parte, alimentati da una campagna di raccolte firme di Coldiretti, molti clienti affezionati e fruitori abituali del Farmer's Market più celebre di Roma (uno dei primi ad aprire in città).

 

Il nuovo bando di concessione

E giù una coda di rivendicazioni e battaglie di piazza, temporaneamente sedate dalla pubblicazione del bando promesso, con oggetto la concessione dello spazio di via San Teodoro per tre anni non prorogabili, dietro pagamento di un canone annuo di 111mila euro. Chiamata valida tanto per associazioni e consorzi che per singoli imprenditori, purché in grado di assicurare la presenza nel mercato di almeno 40 operatori agricoli. Un bando manchevole in diversi passaggi, come sottolineavamo l'inverno scorso, ma pure meritevole di garantire punti in più alle aziende agricole stanziate nel perimetro cittadino, in grado di assicurare la vendita di prodotti ogm free, stagionali, da filiera certificata, al giusto prezzo e con etichettatura (se prevista) a norma di legge. Con bonus per i prodotti delle zone terremotate. Gli ultimi mesi, quelli necessari all'espletamento dell'iter burocratico e alla ristrutturazione dell'edificio, sono trascorsi per i produttori “veterani” del Circo Massimo tra i Giardini Pensili dell'Auditorium e gli altri farmer's market dislocati in città.

 

Tutto come prima. Campagna Amica torna al suo posto

Da oggi, però, il mercato di San Teodoro riapre le porte al pubblico. E, senza troppe sorprese, è il caso di dire: tanto rumore per nulla. Sì, perché al bando di cui sopra ha risposto un solo candidato, Campagna Amica, con la stessa formazione della precedente gestione. E tra la soddisfazione di tanti sostenitori, ogni fine settimana (dalle 8 alle 15 nel periodo invernale, fino alle 19 con orario estivo), il mercato riproporrà quel mix di tradizioni enogastronomiche locali portate avanti da contadini, allevatori e pastori affiliati a Coldiretti. All'inaugurazione, otto mesi dopo la contestata chiusura, presenziano Roberto Moncalvo David Granieri in rappresentanza di Coldiretti, e la sindaca Virginia Raggi. Da domani, invece, aggirarsi tra i banchi del rinnovato mercato significherà riscoprire i produttori regionali che negli ultimi otto anni avevano animato la struttura, oltre a una rappresentanza di produttori in arrivo dalle zone terremotate, come richiesto da bando, che si avvicenderanno nel corso dei prossimi mesi, in una sorta di gemellaggio solidale tra le aziende reatine già presenti nella formazione originale e le realtà in arrivo da Umbria, Marche e Abruzzo.

Il catalogo delle specialità laziali, invece, è, come ricorderanno i frequentatori abituali, molto nutrito: ricotta di bufala affumicata, marmellata di visciole, nocciole dei Monti Cimini, carciofi di Sezze, ceci del solco dritto di Valentano, salsicce di maiale nero dei Monti Lepini, coppa reatina e porchetta romana, tartufo di Campoli Appenino e coppiette si suino, cacio fiore di Columella, alici del Golfo di Gaeta, olio extravergine della Sabina, pan giallo, ciambelle cotte all’acqua. E molto altro ancora. Resta un dubbio: davvero, a Roma (e nel Lazio), non esistono altri imprenditori disposti a scommettere sulle eccellenze e le specificità del territorio regionale, al di fuori delle associazioni consortili tradizionali?

 

Mercato Contadino di Campagna Amica al Circo Massimo | Roma | via San Teodoro, 74 | inaugurazione il 6 ottobre, dalle 9.30 | ogni sabato e domenica dalle 8 alle 19 (fino alle 15 dal 31 ottobre)

 

a cura di Livia Montagnoli

L'epopea degli Spadone. La grande saga familiare de La Bandiera a Civitella Casanova

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Arrivarci non è facile, ma poi la vista ripaga la fatica. E pure quell'atmosfera che unisce calore familiare, cura del dettaglio e professionalità ed è il perfetto corollario di quella cucina che si rinnova di generazione in generazione, senza mai tradire lo spirito familiare.

Marcello

Ce ne sarebbe abbastanza per una web serie video se non fosse che da queste parti non c’è tempo da perdere in chiacchiere multimediali. A partire da mamma Bruna, ragazza multitasking come solo le donne. “Se ti perdi nei boschi e c’è Bruna, si mangia di sicuro”, sentenzia Marcello, pater familias che di tutto tiene le fila, su tutto veglia (e su tutto c’ha da ridire). A lui si deve l’impresa di avere portato le Due Forchette e la Stella in contrada Pastini, Civitella Casanova, Pescara. Indirizzo raccomandato da Gianni Mura che nel 1997 avvertiva: “fatevi spiegare bene la strada, è facile perdersi” tanto quanto “inevitabile perdersi, esaltarsi commuoversi” per questa cucina contadina, onesta come s’usa quasi più.

La famiglia SpadoneDa sinistra: Mattia, Alessio, Marcello, Bruna

Bruna

Tornando a Bruna. Non è femmina da rotocalchi, ha il suo gran daffare a sgomberare l’orto da coccinelle e lumache che si avventurano su cavoli, piselli e fragoline che coltiva da sé. Comparse fastidiose, certo, ma che garantiscono sulla natura integralmente bio del paniere ruspante che prende in consegna ogni giorno il figlio Mattia, uno dei due gemelli. Cuciniere di terza generazione in casa Spadone, innamorato di Paz e di Faber. È l’artista di casa, perennemente indaffarato con i suoi pensieri, capace di spingere verso un orizzonte contemporaneo questa materia verace, complice il pit stop di un anno a El Celler de Can Roca e il guizzo di cui l’ha dotato madre natura (o mamma Bruna, a seconda del punto di vista).

 

Un piatto de La Bandiera

Mattia

Cogitabondo lui, spontaneo il paniere. Dal mix di queste attitudini nasce la cucina di Mattia Spadone, frutto di riflessioni cosmiche – alla maniera degli adolescenti – applicate al microcosmo selvatico che germoglia intorno alla Bandiera ma anche nell’orto domesticato di Bruna.

Fra i signature dish dello chef in erba (letteralmente) l’Insalatina di stagione, che muta sostanza a seconda di solstizi ed equinozi. D’autunno la nota dominante è terragna: insalate a foglia larga, porcini, radicchiello e caccialepre (la grattalingua comune, ovvero l’erba che indicava ai cacciatori la via delle lepri che ne sono ghiotte). D’estate, altra pelle e altro colore con le prime comparse di basilico selvatico, la melissa e le sue sorelle, a tutta freschezza. In Primavera è un bouquet floreale di germogli e fiori di pisello, fava, tarassaco. Nel lungo e rigido inverno abruzzese l’Insalatina si fa profonda e minerale, a base di radici, rapa rossa e sedano rapa. “È il risultato di quello che trovo intorno a me, senza catalogazione e senza etichetta. Il minimo comun denominatore è un fondo di erbe aromatiche emulsionate coltivate nell’orto di Bruna, ovvero dragoncello, erba pepe, timo serpillo, borragine...”, riferito alla mamma orticola che in questo caso merita una terza persona carica di devozione.

 

Assoluto di Carciofo. La Bandiera, mattia SpadoneAssoluto di Carciofo. La Bandiera. 

La matrice vegetale detta la linea rossa dei piatti, ma naturalmente non è un dogma, solo un punto di partenza per approdare altrove, come la tradizione. Metti l’ArrostiGin, omaggio a Civitella Casanova patria degli Arrosticini; filetto di carne di pecora infilzato in uno spiedino di sanguinella aromatizzato al Gin, cotto sulla brace e servito con verze affumicate e misticanza. O l’Assoluto di carciofo, un carciofo alla giudia elevato alla terza: gli scarti dell’ortaggio-guerriero vengono riutilizzati per creare un fondo e una emulsione, alla base una marmellata di kumquat che conferisce una nota contemporanea di acidità.

La BandieraLa Bandiera

Alessio

Dettagli che Alessio, l’altro gemello in sala, conosce a memoria, 28 anni e un secondo di vita in meno del fratello omozigota. Volitivo, curioso, estroverso, battuta pronta e conoscenza profonda dei piatti, che vuol dire conoscere Mattia come un altro se stesso. Lui sta in sala come starebbe in passerella (o in un ristorante di più alto blasone) e l’anno fra i tavoli di Enoteca Pinchiorri c’entra solo di striscio: perché la grazia e la levità, l’attenzione naturale per gli altri ce le hai oppure pazienza, che a collezionare e raccontare etichette si impara.

La Bandiera

Maria

Infine c’è zia Maria, sorella di Marcello, la fata delle colazioni che – un’enormità, ma così è – non hanno nulla da invidiare a quelle del Casadonna: marmellata di fragole, muffin farciti di marmellata di prugne e pere del frutteto di casa, croissant gigante che si sfoglia in bocca fragrante, pane lievitato al miele, yogurt di masseria (come si chiamano le masserie in Abruzzo?), e ancora fragole fresche, spremuta d’arance espressa e prosciutto homemade, sempre by Marcello.

 

Nonna Anna

La saga - altrimenti che saga sarebbe? - si completa con lo spirito domestico di nonna Anna che sopravvive in ogni gesto, in ogni respiro. È la matriarca che per prima ha scommesso dove nessuno avrebbe osato, sfidando la terra che trema, i lupi e la magnifica solitudine di questi luoghi.

 

La Bandiera | Civitella Casanova (PE) | contrada Pastini, 4 | tel. 085 845219 | www.labandiera.it

 

a cura di Sonia Gioia

 

Il bar in Italia secondo illy. Il punto di vista di un grande marchio del caffè

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Da 18 anni, la guida Bar d'Italia si impegna a valorizzare le caffetterie migliori della Penisola. Ma cosa significa, oggi, creare un bar di qualità in Italia? Ne abbiamo parlato con l'amministratore delegato di illycaffè.

Per il diciottesimo anno consecutivo, la guida Bar d'Italia 2018 ha decretato i migliori indirizzi dello Stivale, luoghi dove fermarsi per una pausa gourmet di grande qualità, dalla colazione all'aperitivo. Da quel libretto di 64 pagine uscito come allegato della guida ViaggiarBene a oggi, Bar d'Italia del Gambero Rosso ha subito varie modifiche, così come l'intero settore dei bar italiani che oggi vede svettare, come Migliore Bar dell'Anno, 300mila Lounge di Lecce, locale che riunisce insieme proposte dolci e salate di pregio, e un reparto caffetteria ricercato.

Quali sono, dunque, i parametri fondamentali da valutare quando si prende in esame un bar? Ce lo siamo fatti raccontare dall'azienda che ha percorso insieme a noi questi 18 anni di ricerca, illycaffè.

Il valore dell'esperienza

Innanzitutto, la qualità del caffè. Elemento fondamentale, imprescindibile, ma che da solo basta. “Una condizione necessaria ma non sufficiente”, specifica Massimiliano Pogliani, amministratore delegato dell'azienda. Perché a fare la differenza, poi, è la somma di vari fattori: il gusto, la sperimentazione, il servizio, la cura del cliente. “Quella del bar deve essere un'esperienza memorabile, e soprattutto raccontabile. In questo modo, si genera il passaparola, da sempre la forma di pubblicità migliore che esista”. E l'esperienza, naturalmente, deve essere unica, “con tratti chiari e distintivi. Se la materia prima è buona e viene trattata con cura e rispetto, la bevanda sarà piacevole, a prescindere dalla tipologia di caffè scelta. Però per distinguersi fra i consumatori occorre offrire momenti e situazioni esclusive”.

La formazione dei baristi

L'oro nero, dunque, continua a fare la parte del leone. E per valorizzarlo al meglio, servono studio e pratica continui. Perché dietro ogni buona estrazione, ci sono altrettanti tentativi non riusciti, prove, ma soprattutto esperimenti, libri letti, calcoli, proporzioni. Perché un barista professionista è prima di tutto un ricercatore, e perché la lavorazione di prodotti artigianali richiede tecnica, esercizio, precisione. Fattori che non si possono improvvisare, proprio per questo, per assicurare tutti questi elementi, è stata creata nel '99 l'Università del Caffè di illy, scuola di formazione nata con l'obiettivo di raccontare il viaggio del chicco dalle piantagioni alla tazzina, affrontando aspetti di botanica, agronomia, chimica, fisica e spiegando, passo dopo passo, il complesso processo produttivo che porta all'espresso. Questo, alla fine degli anni '90. Cos'è successo in quasi 20 anni di storia? “I clienti sono più esigenti e i baristi stanno iniziando finalmente a capire l'importanza della formazione. Il loro ruolo è fondamentale nella riuscita di un buon espresso: rappresentano l'ultimo anello della filiera caffeicola. Ernesto Illy diceva sempre che, dal momento in cui si coglie la drupa di caffè, il prodotto può solo peggiorare. Ogni passaggio è delicato, ogni fase di lavorazione è critica, e va eseguita con la massima attenzione”. Da qui, la regola delle quattro M: macchinari, miscela, macinatura e l'ultima, la più importante, la manualità del barista, “che non garantisce costanza, proprio perché contempla il fattore umano, ma proprio per questo conferisce un valore aggiunto alla bevanda”.

Il caffè va raccontato

Come ultimo anello della filiera, il barista assolve anche il compito di divulgatore, punto di congiunzione fra il produttore e il consumatore. A lui, la responsabilità di spiegare l'origine del prodotto che serve e il lavoro che si cela dietro la tazzina. “In questo modo, il barista diventa il focus dell'esperienza, colui che racconta la qualità della materia prima”. Ed è proprio nella comunicazione che risiede la forza di un bar di ricerca: “Ci sono locali che offrono una collezione di prodotti di alta qualità, e poi quelli che propongono una serie di specialità enogastronomiche unite a esperienze indimenticabili. Questi sono i bar vincenti”. Perché, la guida ce lo conferma, il settore è in crescita, “e il progresso può continuare solo se si ha ben chiaro l'obiettivo finale: formare consumatori consapevoli, senza dimenticare di rispondere alle loro esigenze”. Informare sì, dunque, ma con pazienza, umiltà, costanza. “Le persone che vanno a fare colazione al bar devono uscire dal locale arricchite di informazioni, ma anche e soprattutto di emozioni”.

La collaborazione fra torrefazioni e bar

E per raggiungere questo obiettivo, fondamentale è “il rapporto tra aziende produttrici e baristi, che deve essere solido e duraturo nel tempo” ma non solo. “I dati parlano chiaro: i consumi fuori casa continuano ad aumentare, e per questo le torrefazioni devono investire sui locali e sulla formazione del personale”. Allo stesso modo, è tempo per i baristi di impegnarsi al massimo, partecipando a corsi, eventi, manifestazioni, convegni, “studiare deve essere una scelta, e non un obbligo. Non ci si può aspettare sempre di essere spronati; è giusto che ogni membro del settore del caffè si muova autonomamente per potenziare e incrementare le proprie capacità, attraverso un confronto continuo con i colleghi nazionali e stranieri”.

Crescita del settore: opportunità e sfida

Se quello del caffè, e più in generale dei bar, è un universo in fermento, fra nuove aperture e giovani aziende d'avanguardia, per le realtà storiche come illy il panorama attuale rappresenta un'ulteriore opportunità di crescita, ma anche una sfida: “In questo modo, siamo spronati a fare sempre meglio, a rinnovarci. Al contempo, siamo felici di pensare che il nostro percorso abbia contribuito a migliorare il settore”. Oggi, illy è un'azienda con una lunga storia, un brand solido a livello internazionale che nel tempo è riuscito a diventare per tutti un marchio di garanzia e punto di riferimento per l'espresso all'italiana. Nonostante lo straordinario successo, però, ha continuato a evolversi, mettersi in discussione e rischiare, per farlo ha scommesso su investimenti significativi e ha ampliato costantemente la propria offerta, tenendosi al passo coi tempi, pur mantenendo la propria identità. “Sarebbe impensabile proporci come l'ultima delle startup, ma lo spirito che vogliamo avere è proprio quello. Siamo un'azienda di 84 anni, con un bagaglio di esperienze solido alle spalle, ma siamo felici di sperimentare nuovi prodotti”. Parole d'ordine, dunque, flessibilità, apertura verso differenti approcci al caffè, voglia di cambiare “rimanendo fedeli a noi stessi”. Perché 84 anni sono tanti, ma non troppi. “Vogliamo fare della nostra lunga storia un punto di forza, e non di debolezza” dice, e aggiunge“Per avere una chioma folta, bisogna partire da radici salde”.

Confronto con l'estero

Nel frattempo, il caffè continua a raccogliere l'entusiasmo dei consumatori anche all'estero. Anzi, soprattutto all'estero, dove si sta sviluppando sempre di più la tendenza del caffè filtro, e di metodi di estrazione alternativi all'espresso. Per un'azienda come illy, che esporta circa il 64% del prodotto nei paesi stranieri,il confronto con le altre culture è basilare. “Siamo molto presenti negli Stati Uniti e in Asia, mercato che sta crescendo in maniera esponenziale”. Non a caso, infatti, sono sempre di più i baristi asiatici che concorrono (e spesso vincono) per il titolo di World Barista Champion nelle gare di caffetteria a livello internazionale: “I paesi orientali, fino a 10 anni fa, erano molto indietro in fatto di caffè. Hanno saltato dei passaggi interi e, in maniera repentina, hanno raggiunto il livello di nazioni dove la cultura del caffè è molto più radicata”. Abbracciando soprattutto la tendenza degli specialty coffee, “che apprezziamo e osserviamo con interesse”. Perché quello del caffè è un mondo ampio, sfaccettato, poliedrico, in cui ognuno può trovare la propria strada. “Un percorso non esclude l'altro. C'è chi preferisce i porzionati, chi la moka, chi il caffè filtro e chi ama l'espresso al bar. Sono tanti i modi di bere caffè di qualità, perché non gustarli tutti?”.

a cura di Michela Becchi

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