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Munchies arriva in Italia. L'esordio della piattaforma di Vice dedicata al cibo

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Vezzi, tendenze, storia e storie, aneddoti, curiosità e inchieste su politiche alimentari, fenomeni di costume, innovazione alimentare. Tutto questo è Munchies, vertical digitale sul food che Vice battezzava nel 2014. Ora arriva la piattaforma italiana.   

Munchies. Gli esordi

Nel 2014, cavalcando l'onda della prepotente mediatizzazione dell'esperienza gastronomica, Vice teneva a battesimo Munchies, piattaforma online dedicata al cibo e alle sue storie. Prerogativa del sito e del canale video direttamente collegato sarebbero stati un linguaggio fresco, e moderno, e la possibilità di spostare la comunicazione verso una prospettiva più scanzonata e trasversale (in maniera analoga al processo di ideazione e confezionamento del magazine Lucky Peach, la cui fortunata e lunga parentesi si è appena conclusa, almeno per il momento). Nasceva così un contenitore che dava voce ai protagonisti del settore, davanti e dietro alle telecamere, fotografando spaccati di vita reale, retroscena della ristorazione, tendenze, fenomeni di costume. E al contempo le problematiche di un settore complesso nelle sue interazioni col sistema politico, economico, sociale del mondo. I mezzi per raccontarlo, tutti quelli a disposizione: articoli di approfondimento, editoriali, news, ricette, eventi, guide. Video, soprattutto, come peculiarità distintiva del linguaggio firmato Vice. Oggi Munchies è presente nel mondo con sette edizioni nazionali: dopo gli Stati Uniti sono arrivate le piattaforme dedicate a Danimarca, Francia, Germania, Olanda, Spagna e Regno Unito. E da qualche ora, come annunciato da Elia Blei, alla guida di Vice Media, anche l'Italia può contare sul proprio distaccamento.

 

Munchies Italia

Munchies Italia, come i suoi predecessori, sarà un vertical sul food onnicomprensivo e capillare, dedicato tanto al mondo patinato di chef e cucine d'autore quanto alla riscoperta di vecchie tradizioni locali. Con focus sulle politiche alimentari, l'innovazione tecnologica e le food start up, le storie di sala e cucina, l'imprenditoria della ristorazione e la cucina casalinga, con l'intento di coinvolgere (e rivolgersi) ai creatori di cibo e insieme ai suoi consumatori. Tra le prime iniziative, già disponibile online, la Guida di Munchies al Caffè, una rubrica settimanale realizzata in collaborazione con Lavazza, per parlare della storia del caffè, delle sue applicazioni in cucina e della sua produzione. Si comincia, in puro stile Munchies, dall'excursus storico sulla cultura del caffè, con Il Papa che ha cristianizzato la bevanda del diavolo. “E adesso, parliamo anche di cibo” annuncia trionfante il claim della nuova piattaforma (“il sito che vorrai vedere quando sei in fame chimica, e non solo”, chiosa la redazione di Vice), che già offre i primi contenuti tagliati sull'orizzonte geografico italiano, dall'inchiesta scanzonata su cosa sconvolge gli stranieri che approcciano il cibo in Italia alla guida per dummies su come mangiare le ostriche. Perché Munchies Italia? “Non poteva mancare un'edizione nel Paese che sul cibo scassa (e spacca) di più”. Tra i contenuti proposti, non solo articoli originali, ma anche (molte) traduzioni di news, inchieste e approfondimenti pubblicati sulle altre piattaforme internazionali. Nel mondo dell'editoria gastronomica online c'è un attore – di peso – in più.

 

https://munchies.vice.com/it

 

a cura di Livia Montagnoli

 


ASpasso, il food truck di Romagna che scommette sui passatelli. L'idea di Simone Salvani, dalle Giare allo street food

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Architetto per molti anni, poi la svolta in cucina. Simone Silvani ha scelto di puntare sulla passione di una vita, e farne un lavoro, a bordo di un food truck. Prima però qualche mese al fianco di Gianluca Gorini. E ora il tour della Romagna per raccontare l'arte dei passatelli. A modo suo. 

In cucina per passione

Architetto di professione, cuoco per passione. Non è il profilo del prossimo concorrente pronto a cimentarsi con MasterChef. Simone Silvani, piuttosto, la sua attitudine alla cucina ha deciso di metterla a frutto in modo concreto, rimboccandosi le maniche per farne una professione. Il substrato ha aiutato, specie i suoi dati anagrafici, che alla voce luogo di nascita recitano San Piero in Bagno di Romagna, mitologica terra di confine tra Romagna e Toscana, a ridosso dell'Appennino Centrale provvido di materie prime, e del mar Adriatico, bacino altrettanto felice per l'approvvigionamento di ingredienti e prodotti tipici. Fatto sta che, dopo 13 anni di libera professione, Simone ha deciso che qualcosa, nella sua vita, sarebbe cambiato. Due gli obiettivi: fare della cucina un mestiere, però senza improvvisarsi cuoco dall'oggi al domani; e raccontare a una platea quanto più possibile ampia, ed eterogenea, la propria terra, e la storia della cultura gastronomica romagnola. Alla prima pratica, Simone si è approcciato nel modo migliore: 6 mesi alle Giare di Montiano, ormai più di un anno fa, quando a guidare la cucina c'era ancora Gianluca Gorini. E il sodalizio si è rivelato proficuo: “Io e Gianluca siamo amici, con lui ho imparato molto. Ed è maturato un aiuto reciproco molto divertente: a lui ho consigliato le colleghe che hanno curato il progetto architettonico dal nuovo ristorante di Gianluca, quando qualche mese fa si trattò di ripensare la locanda del Gambero Rosso (oggi Da Gorini, in attività da qualche settimana). Lui invece, durante il mio apprendistato dispensava consigli, insieme abbiamo perfezionato il concept di cucina che oggi ho intrapreso”.

ASpasso. Passatelli da passeggio

Nello specifico, ASpasso, come si chiama la nuova attività battezzata prima dell'estate, circa quattro mesi fa, è un food truck specializzato in passatelli. Non il solito street food da grandi numeri e sagre del cibo di strada senza arte né parte. “Volevo portare in giro il meglio della Romagna scommettendo su un prodotto insolito, almeno nel contesto di strada. Solitamente i passatelli si consumano sulle tavole di famiglia, o in trattoria. Perché non lavorarci su per proporli in chiave pop, senza sminuire tradizione e ingredienti del territorio?”. Detto fatto, il truck di Simone – che arriva da Roma, e nella vita precedente era uno di quegli odiatissimi camioncini che si aggiravano come avvoltoi intorno al Colosseo, in cerca di qualche turista da spennare – è stato restaurato su misura, e ha cominciato il suo tour per la Romagna (almeno per ora, in attesa di esportare il format), proponendo i suoi passatelli ripensati secondo estro dello chef: “La tradizione non doveva essere schiacciante, anche perché, diciamoci la verità, la tradizione vera e propria si fa in casa, e ognuno ce l'ha in tasca”. I passatelli, del resto, sono una piatto povero e molto apprezzato della cucina romagnola, “io propongo la mia versione, alcuni piacciono, altri meno, ma mi piace lavorare con una certa libertà. Il processo creativo è affine alla mia esperienza di architetto: elaboro il progetto, prendo contatto con i fornitori, li gestisco, segue la fase creativa, porto a casa il risultato. Mi dà molta carica”.

E i clienti apprezzano molto: per ora il truck lavora soprattutto in occasione di eventi, “selezionati con cura, perché vogliamo lavorare sulla qualità, e non sui grandi numeri: 300-400 porzioni a settimana, con impasto preparato in laboratorio e pronto da utilizzare sottovuoto, per evitare che si sfaldi in torchiatura sul truck”.

La Romagna su ruote

Il servizio deve essere veloce, per evitare lunghe file e disservizi, nulla è lasciato al caso, dalla grafica del progetto – “che curo personalmente” - all'organizzazione sul truck, con una gestione intelligente del prodotto e delle forniture: “In due ore, nei momenti di punta, riusciamo a servire anche 150 porzioni”. 7-8 euro a piatto, 9 per le ricette più ambiziose, “solo passatelli asciutti, il brodo servito in strada non mi soddisfa come resa, anche se esistono dei precedenti”. Tra i must i passatelli cacio e pepi con il formaggio di fossa di Sogliano, “siamo riusciti a venderli benissimo anche quest'estate, con 42 gradi, e restano una delle nostre proposte fisse, anche con l'aggiunta a piacere di zest di limone candito”. Poi preparazioni di carattere, “come il ragù bianco di salsiccia di mora romagnola con brunoise di verdure”. Olio a crudo, utilizzo contenuto dei grassi, equilibri di gusto facilmente comprensibili, “perché siamo sempre un food truck, le idee devono essere curate, ma dirette e gustose”.

In aggiunta anche qualche panino con pane toscano - “che è la tradizione che mi appartiene da San Piero di Romagna” - e farciture insolite, come la tagliata di manzo con scalogno brasato; o la piadina fritta con squacquerone e rucola. Prossimo appuntamento, la Festa della Centrale del latte di Cesena, “con cui inizieremo presto una collaborazione”. Senza limiti per il futuro: “Il food truck mi piace, come il contatto con la gente. Ma non è la tappa definitiva, abbiamo già avuto contatti inaspettati. Per ora ci divertiamo”.  

www.facebook.com/aspassofood/

 

a cura di Livia Montagnoli

Cambiamento climatico. Vitigni autoctoni e ricerca scientifica possono essere una soluzione?

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Il progressivo cambiamento climatico è un dato di fatto con cui inevitabilmente dobbiamo fare i conti? Ne parliamo con Attilio Scienza, Professore Ordinario di Viticoltura presso l'Università degli Studi di Milano.

Negli ultimi decenni si è registrato non solo un innalzamento delle temperature medie, ma anche un incremento di fenomeni meteorologici estremi: primavere precoci, gelate tardive, estati fredde e piovose o al contrario molto calde e siccitose, violenti temporali estivi con piogge intense e grandine. Una serie di eventi che sta mettendo a dura prova la viticoltura. L’annata 2017 è un esempio paradigmatico di questa situazione, cosi come lo sono state, per caratteristiche opposte, la 2014 e la 2015.

Ne parliamo con Attilio Scienza, Professore Ordinario di Viticoltura presso l'Università degli Studi di Milano, cercando di fare il punto della situazione e di comprendere se i vitigni autoctoni stanno dimostrando una miglior capacità di adattamento al nuovo scenario climatico.

Parliamo di cambiamento climatico: quali sono le responsabilità dell'uomo e quali le possibilità di intervento?

Il contributo dell’uomo nel cambiamento climatico su scala globale è oggetto di discussioni molto spesso ideologiche. Se le modifiche ai valori della CO2 possono essere in parte attribuite alle attività umane e quindi essere oggetto di modellizzazioni per prevederne le conseguenze sugli incrementi delle temperature, queste sono inefficaci per la stima delle precipitazioni che hanno andamenti imprevedibili. Quindi in futuro il problema sarà soprattutto legato alla disponibilità d’acqua sia nell’entità, che nella distribuzione delle piogge.

Le situazioni climatiche estreme stanno mettendo a dura prova la viticoltura. È colpa solo del clima o anche dell’uomo, che non sempre ha scelto i vitigni più adatti alle caratteristiche pedoclimatiche dei vari territori?

La storia della viticoltura europea è una storia di adattamento ai cambiamenti climatici che si sono susseguiti fin dagli albori della nascita dell’agricoltura. Per correttezza metodologica però, come afferma Luigi Mariani (agronomo, ricercatore e docente di Agronomia, ndr), “non è possibile andare oltre al dato scientifico e passare disinvoltamente dall’analisi dei fatti a previsioni e modelli dai contenuti più ideologici che scientifici. La storia della terra insegna che la ciclicità rappresenta una costante cosmologica, tesi che gli 'esperti' rifiutano in nome di una visione lineare e progressiva del tutto discutibile”. D’altro canto l’atteggiamento dell’opinione pubblica è oggi orientato più alla rimozione di quella piccola responsabilità che è imputabile alle attività umane, che non nella soluzione del problema.

Allora, cercando un approccio meno ideologico?

Quello che conta è che l’accelerazione del riscaldamento è evidente e quindi bisogna trovare delle soluzioni per mitigarne gli effetti. La lotta del viticoltore contro la “dittatura del clima” in ogni tempo si è sviluppata nelle fasi iniziali con la delocalizzazione della coltivazione delle vite, come ad esempio è avvenuto con la scomparsa della viticoltura dalle vallate alpine e dalle regioni del Nord Europa dopo l’optimum climatico medievale (periodo di inusuale clima caldo, ndr). Il cambiamento varietale ha dato il maggior contributo adattativo, con la scelta di varietà capaci di superare le crisi climatiche, spesso portando vitigni da altre zone.

Ci faccia qualche esempio.

L’introduzione dello chardonnay e del gouais in Champagne in sostituzione del pinot nero e di altre varietà originarie, è avvenuta durante la “piccola glaciazione“ dal XIV al XVIII sec. Così nel Veneto molte varietà tardive furono abbandonate in occasione della grande gelata del 1709 e alla ripresa delle condizioni climatiche favorevoli, la forte richiesta di vino favorì la coltivazione dei vitigni più produttivi a discapito di quelli più qualitativi. La storia si ripete, come si può notare nella Heathcote australiana, dove al posto dei vitigni provenienti dalle regioni continentali europee, si stanno introducendo varietà dell’Italia centro meridionale, quali il montepulciano, il nero d’Avola, il sagrantino e l’aglianico.

È solo questione di scelta di varietà idonee?

No. Anche le scelte di tecnica colturale come l’adozione di forme d’allevamento con diversa architettura dell’apparato fogliare o le sistemazioni dei suoli più favorevoli all’intercettazione dell’energia solare, che hanno modellato rive di fiumi e laghi europei, hanno offerto contributi importanti, anche se non decisivi nel contrastare degli effetti negativi del clima.

È possibile dare un profilo alle crisi climatiche in Italia?

Se in passato le crisi climatiche erano soprattutto caratterizzate dalle basse temperature nel periodo invernale e da ridotte disponibilità energetiche durante il periodo vegetativo, quelle attuali si manifestano con eccessi termici, alte radiazioni UV-B e disponibilità idriche irregolari e imprevedibili.

Quali sono le conseguenze delle attuali crisi climatiche?

Le conseguenze sulla fisiologia della vite sono molto evidenti come dimostrano gli effetti della carenza idrica (la riduzione della piovosità negli ultimi 100 anni è stata del 5% con una maggiore concentrazione in alcuni periodi), lo sfasamento delle fasi fenologiche (anticipazione dei tempi di vendemmia, ma soprattutto per i processi di accumulo che avvengono in coincidenza di temperature elevate), gli effetti ossidativi sull’attività fotosintetica, l’alterata sintesi dei composti secondari (polifenoli e aromi) che sono alla base della qualità del vino. Non trascurabili sono anche le interazioni con il ciclo dei parassiti animali e vegetali e con le caratteristiche fisico-chimiche e microbiologiche del suolo, spesso sottovalutate. Questo renderà sempre più difficile una gestione dei vigneti con un regime biologico.

Se guardiamo all’Italia, quali sono i vitigni più danneggiati dal cambiamento climatico?

I vitigni precoci (in genere provenienti da ambienti più freddi d’Europa e dalle viticolture atlantiche) e le uve destinate alla produzione di basi spumante, modelli viticoli che sono stati introdotti in Italia in un periodo climatico abbastanza freddo e per soddisfare esigenze del mercato. La viticoltura centro meridionale ha per diversi motivi selezionato vitigni più tardivi e quindi meno soggetti ai fenomeni di anticipazione fenologica.

I vitigni autoctoni, che si sono sviluppati attraverso secoli d’interazione con un territorio, possono avere una maggiore resistenza naturale a situazioni climatiche difficili?

Non si può parlare di acquisizioni di resistenza in conseguenza dell’esposizione della vite a condizioni climatiche sfavorevoli, come nel caso dell’uomo con le vaccinazioni nei confronti di una malattia, piuttosto di valorizzazione da parte dell’uomo - selezionatore, del risultato di mutazioni spontanee che si sono accumulate nelle varietà nel corso delle generazioni e che si sono manifestate in occasione di fenomeni climatici estremi, o per effetto delle manifestazioni epigenetiche ereditarie più frequenti nella vite sottoposta a stress.

Rientrano in questo campo anche gli incroci spontanei?

Anche loro hanno avuto un ruolo importante, soprattutto nei casi d’introgressione genica tra individui provenienti da zone geograficamente molto lontane (vedi l’incontro di viti paradomesticate dell’Europa continentale con varietà provenienti dall’Est in epoca medioevale). Anche in questo caso l’uomo ha avuto un ruolo decisivo nella selezione degli individui con migliori doti di adattamento, ma si rivela fondamentale nella scelta varietale la cultura di quelle popolazioni, in funzione del tipo di vino da ottenere.

Si può dire sia un fenomeno abbastanza recente...

Sì: in passato la circolazione varietale era molto più limitata che non ora, un vitigno selezionato in un luogo generalmente non veniva spostato altrove anche perché il rapporto con il territorio di appartenenza era allora molto stretto ed era inconcepibile che si potesse modificare con lo spostamento del vitigno. I vitigni hanno iniziato a diventare internazionali (vedi cabernet, merlot, pinot, chardonnay, etc) con la ricostruzione postfillosserica e con la Francia assurta a nazione guida in Europa nell’800.

Si può ipotizzare anche una “memoria genetica” nel DNA dei vitigni autoctoni, che li possa aiutare a sopravvivere alle avversità climatiche?

Ogni individuo vivente ha una memoria genetica rappresentata dalle modifiche che il suo DNA ha subito con l’incrocio e con le mutazioni. I principi dell’evoluzionismo darwiniano ci insegnano che in natura la selezione degli individui avviene in funzione del grado di adattamento che quell’organismo ha nei confronti delle caratteristiche ambientali, per effetto del suo patrimonio genetico. Chi non riesce a superare queste difficoltà, viene eliminato e si riproduce solo chi ha un elevato grado di adattamento.

Entrando nello specifico della vite.

La vite è una liana che ha evoluto il suo DNA in condizioni estreme, a partire dall’Eocene (circa 50 milioni di anni fa), ma le origini dei suoi taxa più primitivi sono molto più lontane. Ha superato i rigori delle glaciazioni del Quaternario così come ha resistito ai lunghi periodi di caldo e siccità delle regioni equatoriali. Questo gli ha consentito di accumulare nel suo DNA numerosi geni di resistenza, che sono attualmente inespressi perché la selezione antropica si è orientata verso caratteri morfologici interessanti per la produzione e la qualità, rinunciando a scelte più drastiche nei confronti di caratteristiche adattative migliori nei confronti dell’ambiente perché con la domesticazione e le tecniche ha in un certo senso protetto queste piante da eventi climatici estremi.

Secondo questo ragionamento, è inutile parlare di vini naturali.

Direi di sì: naturale è solo ciò che è spontaneo. I nostri vitigni sono come degli iceberg di cui vediamo solo la punta, quale espressione dei processi di selezione avvenuti in un preciso momento climatico, ma che nascondono in virtù delle loro elevata eterozigosi, un numero enorme di geni inespressi che sono portatori di caratteri di resistenza non solo alle condizioni climatiche più sfavorevoli ma anche alle malattie crittogamiche.

Questi geni inespressi possono essere una grande risorsa per la ricerca scientifica?

La biomimetica può a questo proposito rivelarsi uno strumento diagnostico formidabile di conoscenza per comprendere come attraverso i processi evolutivi, che sono alla base dei nostri vitigni, si siano formati quei geni nelle diverse varietà, necessari per sviluppare programmi di miglioramento genetico, per la creazione tramite l’incrocio di vitigni e portinnesti adattati ai climi caldi e siccitosi, utilizzando specie e varietà provenienti da ambienti meridionali.

Ci sono già dei risultati tangibili in tal senso?

Sì e sono molto promettenti, come dimostrano alcune varietà ottenute in California e nel sud della Francia a partire dagli anni ’50, incrociando vitigni meridionali con vitigni atlantici, ma allora lo scopo dei selezionatori non era quello di trovare vitigni meglio adattati al cambiamento climatico, ma piuttosto di creare delle varietà con un profilo qualitativo più vicino ai gusti del consumatore di allora, molto attratto dal modello sensoriale francese.

Spostandoci dal piano qualitativo a quello della resistenza (alle malattie crittogamiche e alle condizioni climatiche sfavorevoli)?

Per poter far esprimere questi geni che sono nascosti nel DNA sono necessari interventi di miglioramento genetico. Le applicazioni delle scienze “omiche” (classe di discipline legate alla biologia molecolare e alla genetica, ndr) consentono di ottenere nuovi genotipi (vitigni e portinnesti) più performanti in tempi più ridotti rispetto al passato, non solo nei confronti della resistenza alle malattie crittogamiche ma anche per il controllo degli stress abiotici. L’impatto degli effetti che il cambiamento climatico avrà sulle tecniche produttive e sui comportamenti del consumatore, sarà paragonabile a quello che è avvenuto 150 anni fa con l’arrivo della fillossera. Allora la salvezza della viticoltura europea passò attraverso i risultati del miglioramento genetico. Ci aspetta quindi da parte della ricerca ma soprattutto dei produttori, una vera rivoluzione culturale sulla quale possiamo riflettere senza pregiudizi per trovare una risposta convincente a tutti i dubbi che ci poniamo quotidianamente e che rimangono talvolta irrisolti.

Il caso fillossera ha creato un precedente, anche per quel che riguarda le ipotetiche soluzioni?

Certo, infatti si sta rivelando determinante anche il contributo del portinnesto nelle sue interazioni con il suolo. Ricerche recenti hanno individuato nelle radici il ”cervello“ della vite. Il portinnesto con la sua capacità di superare gli stress legati soprattutto alla mancanza d’acqua, contribuisce per oltre il 40% ai risultati produttivi di un vigneto.

Quali sono i portainnesti più idonei ad affrontare gli effetti dei cambiamenti climatici?

Sono quelli che riescono a sviluppare un apparato radicale a due strati, uno più superficiale con funzioni trofiche e uno profondo maggiormente efficiente nell’assorbimento dell’acqua in profondità. L’opportunità di sviluppare nuovi portinnesti per la viticoltura italiana è stata evidenziata dal successo della sperimentazione che ha portato alla creazione e omologazione dei portinnesti della serie M da parte dell’Università di Milano e diffusi dalla società Winegraft attraverso i vivai VCR. I nuovi portinnesti presentano una elevata tolleranza agli stress osmotici (carenza idrica ed eccesso di sale nel terreno, un'altra grave e spesso sottovalutata conseguenza del riscaldamento climatico), un fabbisogno di elementi minerali ridotto (potassio in particolare, il cui eccesso nella vite è alla base dello squilibrio acido-base dei mosti), consentendo quindi produzioni di qualità con un basso impatto ambientale e con minori costi di produzione .

Il futuro è quindi in un maggior rispetto per la storia di ogni territorio, con l’intento di privilegiare la coltivazione dei vitigni autoctoni?

Il rischio è che con la delocalizzazione della viticoltura, i vitigni autoctoni inadatti al superamento del cambio climatico, saranno i primi a farne le spese e l’attenzione del produttore e del consumatore si concentreranno su pochi vitigni dotati di grande plasticità nei confronti dell’ambiente. Questo provocherà una grande erosione genetica, analogamente a quanto era successo in passato, in casi simili (vedi piccola glaciazione), solo con il miglioramento genetico possiamo contrastare questo processo, creando una nuova generazione di vitigni “autoctoni” partendo dalla semantica della parola autoctono, che significa “di quel luogo”. Così sono nati i nostri 1000 vitigni antichi italiani.

Non crede che potrebbe essere anche una carta vincente a livello d’identità e riconoscibilità del vino italiano nel mondo? In fondo le nostre eccellenze nascono da questa visione produttiva legata alla tradizione.

La storia non è altro che il presente che prende coscienza del passato“. Lo scriveva Jean-Paul Sartre. L’Italia è in preda a un incantesimo ideologico che esalta il passato dal quale siamo fortunatamente usciti grazie alla sofferenza e al lavoro delle generazioni che ci hanno preceduto. Si vuol far credere che si possa costruire una prospettiva economica alla nostra viticoltura sulla nostalgia e sull’esoterismo. La tradizione perché sia fonte di progresso deve essere costantemente tradita, con un “tradimento fedele”, che mantenga ciò che è valido ma che abbandoni ciò che impedisce di migliorare le nostre condizioni di produzione e di sviluppo. La ricchezza di un Paese e il suo benessere dipendono da molte circostanze ma due sono imprescindibili: la libertà individuale e lo sviluppo scientifico. Investire nella scienza e scommettere sull’innovazione, significa pensare per il futuro.

Qual è il futuro auspicabile?

Il futuro è il miglioramento genetico e l’applicazione della space economy. Vannevar Bush, un maestro del pensiero scientifico occidentale, pubblicò nel 1945, all’uscita dalla Seconda Guerra Mondiale, il “Manifesto per la rinascita di una nazione”, con questo sottotitolo: “La scienza può contribuire al benessere della nazione solo all’interno di un lavoro di squadra. Ma senza il progresso scientifico nessun risultato in altre direzioni, per quanto grande, potrà mai assicurarci la salute, la prosperità e la sicurezza necessarie a una nazione del mondo moderno”.

Un messaggio da condividere per dare nuovo impulso alla ricerca viti-enologica italiana, per trasformare tutti assieme, un problema in un’opportunità. I vitigni ottenuti per incrocio rappresentano i nuovi vitigni autoctoni del futuro, sono il risultato degli stessi processi selettivi fatti migliaia di anni fa, le differenze sono rappresentate dalla diversa consapevolezza degli uomini nei confronti della realtà che ci circonda e dagli strumenti per ottenerli. Purtroppo il grande impedimento all’innovazione e al progresso sono i vincoli imposti della norme delle Denominazioni che rappresentano una corazza invalicabile al cambiamento.

a cura di Alessio Turazza

I lavori di Lee Ji-Hee e Watanabe Monoaware, due artisti della carta amanti del cibo

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Anelli di cipolla realizzati con gli A4, pizze tonde di carta costruite a partire dall'antica arte degli origami, e poi ancora hamburger di velina, cartoncino e cellulosa. Lee Ji-Hee e Watanabe Monoaware sono due artisti orientali che amano sperimentare con il cibo.

L'arte di carta

Due artisti poco chiacchierati che da anni si dedicano a un'attività insolita, quella delle creazioni in carta, un materiale facilmente accessibile che si presta alle trasformazioni più disparate, sempre più utilizzato negli ultimi anni da professionisti in ogni parte del mondo. C'è chi la intaglia, chi la utilizza per creare sculture a tutti gli effetti, chi la impiega nella costruzione di oggetti di arredamento o di design. C'è Lee Ji-Hee, designer 45enne di origini koreane che in tempi recenti ha deciso di proporre spicchi di pizza al formaggio, patatine e altri cibi sfiziosi fatti con materiali in cellulosa. E c'è Watanabe Monoaware, giapponese di nascita e finlandese di adozione che allestisce set e scenari in cartoncino, velina e cartone. E la lista dei nomi continua, ma qui abbiamo voluto raccogliere gli scatti migliori delle opere di questi due professionisti orientali amanti del gusto, che hanno fatto del cibo e della tavola l'elemento centrale delle loro crezioni.

{gallery}Carta{/gallery}

Lee Ji-Hee

Quando guardo un foglio di carta, penso immediatamente all'oggetto che realizzerò”, racconta Lee Ji-Hee. Elementi ispirati al mondo della cucina e dell'enogastronomia, dai cocktail ai panini, dalle coppe di fragole con panna ai milkshake. Creazioni realizzate con un'attenzione minuziosa ai dettagli, impreziosite da colori accesi e brillanti. “Dimensioni e colori dipendono dal tipo di materiale usato, ma solitamente amo usare i colori più sfavillanti”. Per un lavoro straordinario e fuori dal comune, che non ha tardato a far parlare di sé. Lee ha, infatti, un gran seguito anche e soprattutto sui social network, Instagram in primis, dove posta le foto delle sue opere finite e quelle ancora in corso.

Watanabe Monoaware

Più discreta è invece l'arte di Watanabe, meno conosciuta e assente da qualsiasi social network, ma che sarà a breve in Italia per la Bologna Design Week, dal 26 al 30 settembre 2017. Una rassegna dedicata alla creatività in tutte le sue forme, che riserva uno spazio speciale per il cibo con la Food Art Week, all'interno dello spazio Zoo, dove il 27 settembre Watanabe presenterà per la prima volta Recipe, un ricettario di carta 3d che ha come protagonisti ingredienti e materie prime in cartone tridimensionali e colorati.

a cura di Michela Becchi

Taste of Roma 2017. Foto e impressioni dalla festa della cucina d’autore della Capitale

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Fino al 24 settembre, l’Auditorium Parco della Musica ospita la sesta edizione di Taste of Roma, e 15 chef pronti a raccontarsi attraverso i piatti che più li rappresentano, proposti a piccoli prezzi. Ecco cosa succede tra gli stand dei Giardini Pensili: le nostre prime impressioni, le foto della festa.

La festa dell’alta cucina

Entra nel vivo all’Auditorium Parco della Musica di Roma il festival della cucina d’autore giunto alla sua sesta edizione. E se è vero che formula che vince non si cambia, quest’anno chi si aggira tra i Giardini Pensili, mappa alla mano, alla scoperta delle proposte degli chef, apprezzerà una disposizione più ariosa, e spazi più rilassati. Un maggior numero di sedute a disposizione, file che scorrono senza intoppi: Taste of Roma, i suoi chef e le brigate che si muovono nelle cucine montate dietro agli stand, sembrano aver raggiunto l’assetto più funzionale per accontentare la grande folla di persone che esplora curiosa sorseggiando un calice di vino, mentre cerca con lo sguardo di intravedere Heinz Beck, o scovare Cristina Bowerman. Del resto, per 4 giorni, gli chef più apprezzati della Capitale giocano il ruolo delle star della situazione: nelle postazioni attrezzate i corsi di cucina si avvicendano uno via l’altro, da qualche parte l’altoparlante annuncia l’inizio di un laboratorio da non perdere. Intorno la gente assaggia, molti chef si divertono a servire “al pass”, chiamando i numeri a gran voce. L’atmosfera è quella della festa, i piatti da assaggiare, quest’anno sono moltissimi.

Assaggi di Taste

Ogni cucina propone 4 alternative, le file più lunghe, come prevedibile, si accalcano davanti alla stand della Pergola, dove Heinz Beck propone un Cremoso di mozzarella con crudo di gambero rosso, infuso di melone e prosciutto crudo Ruliano, una Tartare di ricciola con caviale Calvisius su cetriolo e mela, gli Spaghetti tiepidi ai frutti di mare su spuma di prezzemolo e rughetta con bottarga di muggine, oltre al dolce, una Variazione di cocco, banana e lime.

Il cremoso di mozzarella con crudo di gambero rosso di Heinz Beck

Tanti hanno scelto di inserire in menu la pasta, con esiti molto diversi: ci sono i generosi Spaghetti Mancini alle telline di Lele Usai, del Tino, e la Pappardella con astice in salmì di Alessandro Narducci (Acquolina), che gioca a spiazzare le aspettative trattando il pregiato crostaceo come se fosse selvaggina da marinare. Poi il Superspaghettone Verrigni Tutti Frutti, con pomodori affumicati, salsa harissa, gelato di pomodoro di Giulio Terrinoni (Per me), una proposta ben riuscita. Per Francesco Apreda (Imago all’Hassler, che festeggia anche a Taste i suo dieci anni di attività) due variazioni sul primo piatto davvero convincenti – il Risotto alla marinara, cozze e black lime e i Cappellotti doppio umami -  come del resto l’intero menu proposto dal fuoriclasse campano, sempre uno tra i più brillanti di Taste, grazie pure all’affinità con Dario Nuti. Anche stavolta il pastry chef stupisce con un dolce che potrebbe tranquillamente conquistare la palma di miglior piatto: Black stone, ciliegie e sesamo nero. Scenografico, goloso, alla perfetta temperatura di servizio (e non sempre, tra gli stand, è così). Accanto a loro c’è Roy Caceres: lo chef di Metamorfosi, come sempre, porta a Taste un menu carico di suggestioni esotiche, lasciandosi ispirare dalle cucine del mondo, dal Napoli-Messico A/R con emulsione di gamberi e chicaron di grano allo Yuzu, mandorle e camomilla. Anche il tema del viaggio, d’altronde, è un comune denominatore: Gigi Nastri (Stazione di Posta, Eit) propone il suo riuscito Vitello tonnato dopo un viaggio in Giappone (efficace l’idea del brodo di soia), Lele Usai i Dim sum alla ‘nduja di tonno, Cristina Bowerman il Pulled pork con salsa di prugne al miso rosso e sanguinaccio (ma anche un italianissimo piatto di Ravioli del plin ripieni di amatriciana e guanciale croccante).

La manifestazione, che scommette sulla possibilità di avvicinare il grande pubblico alla cucina d’autore – tutti i piatti sono proposti a un prezzo tra i 6 e i 10 “sesterzi” – proseguirà fino a domani sera, quando Taste saluterà Roma dandole appuntamento per il prossimo anno. Intanto ecco qualche scatto “rubato” tra gli stand dell’Auditorium.

 

Taste of Roma | Auditorium Parco della Musica | fino al 24 settembre | www.tasteofroma.it

 

a cura di Livia Montagnoli

Foto di Lucilla Loiotile

 

 

Hard Rock scommette sul cibo. La rivoluzione “gourmet” parte dall'Hard Rock Cafè di Firenze

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Attenzione ai prodotti locali, selezione degli ingredienti e proposte più accattivanti per arricchire l'offerta gastronomica dei Cafè del gruppo. Hard Rock ripensa la sua strategia di ristorazione, con il progetto Test Kitchen, che in Italia parte da Firenze. Ecco cosa cambia.  

Hard Rock e la nuova strategia gastronomica

“È il mio corpo che cambia” cantava Piero Pelù qualche anno fa e, trattandosi di musica e cibo, potrebbe diventare il leit motiv di quanto succede all’Hard Rock di Firenze, il locale di una delle dodici città, solo tre in Europa,  dove la struttura è presente, che sono state inserite nel programma “Test Kitchen”, ovvero un cambiamento radicale della proposta gastronomica della catena, con la  cucina trasformata dall’ingresso di fornitori di prodotti locali e ricette che strizzano l’occhio a una tradizione “locale”, rivista secondo la moda attuale. La multinazionale, di proprietà della “Seminole Tribe of Florida” ha sede in 75 Paesi diversi, con 178 Cafè, 24 hotel e 10 casinò, e un programma di aperture future considerevole, quindi una società in piena salute che guarda al futuro puntando molto sulla componente gastronomica della propria offerta. Hard Rock è uno dei brand più conosciuti al mondo, grazie al legame con la musica, con la più grande collezione di cimeli musicali esistente al mondo, esposta completamente al pubblico: uno degli elementi maggiormente redditizi è il merchandising di moda e di oggetti relativi alla musica e alla tavola. Ora però, si prova a fare di più, diversificando l'offerta. David Pellow, vice president of Cafe Operations in Europe per Hard Rock International, così racconta il nuovo progetto: “Il programma “Test Kitchen” mette sotto i riflettori produttori e fornitori locali in tutte le città, permettendo ai nostri classici piatti di arricchirsi con i tipici sapori del territorio”. E aggiunge” La scelta di introdurre questi nuovi elementi qualitativi nasce da una richiesta del consumatore sempre più evidente. Questo test per noi è molto importante e abbiamo scelto Firenze perché la riteniamo una città perfetta per capire i gusti dei consumatori internazionali e locali.  Hard Rock investe sui prodotti migliorando l’offerta senza far pagare niente in più ai consumatori”.

 

Prodotti locali e attitudine gourmet. Cos'è il Test Kitchen

Scorrendo il menu, si notano piatti che strizzano l’occhio alla moda più diffusa, come per esempio la “Tagliata”, che è poi l’entrecote alla griglia, servita su insalata di stagione, glassata con aceto balsamico (sic!) e accompagnata da verdure grigliate, scelte dai produttori di zona. Anche il Burger, definito “Legendary” cambia nome e pelle: diventa “Flocal”, con il pane ai cereali, cipolle rosse stufate al vino Chianti, formaggio Galaverna del Mugello, rigatino toscano e misticanza di campo, con insalata di pomodoro Costoluto Fiorentino. La “Caprese Salad” è preparata con mozzarella di bufala toscana e sempre il pomodoro costoluto, con una salsa al basilico a coprire. Nel “Tagliere toscano”, la selezione di salumi è del nuovo fornitore Antica Macelleria Falorni, mentre quella dei formaggi è dell’azienda mugellana Fattoria Palagiaccio. Infine, non poteva mancare come dolce il Tiramisù, in questo caso il mascarpone è toscano e la base è preparata con savoiardi imbevuti al caffè. Sul lato bevande, da notare l’ingresso di una piccola realtà di birra artigianale, il Birrifcio Fiorentino, mentre sul lato vino, da citare aziende come MaremmAlta e la Mormoraia. Anche nel settore bar, non manca una novità: il nuovo cocktail FLORENTINI, preparato con vodka senza glutine, Chianti Classico messo in infusione con tè ai frutti rossi, more e lamponi freschi, il tutto servito in un piccolo orcio di terracotta, per richiamare una tradizione di lavorazione artigianale fiorentina. Il progetto “Test Kitchen” non poteva dimenticare l’attività di sostegno alle associazioni e, sempre nella logica del concetto locale, a Firenze è stata scelta, con un contributo di 5000 dollari,  l’associazione “Dynamo Camp Onlus”, che offre sostegno ai bambini affetti da gravi patologie nel periodo post ospedalizzazione. 

 

Hard Rock Cafè | Firenze | via dei Brunelleschi, 1 | www.hardrock.com/cafes/florence/it/

 

a cura di Leonardo Romanelli

Tre Bicchieri 2018. Parla Tino Demuro di Cantine Surrau

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Il vermentino di Gallura è uno dei bianchi italiani più conosciuti e apprezzati in tutto il mondo. Immerso fra le vallate soleggiate di Porto Cervo, il produttore Tino Demuro ha fatto della qualità di questo vitigno (e non solo) il suo marchio di fabbrica.

Nella parte più orientale della Gallura, a pochi chilometri dalla frenetica Porto Cervo, in uno spazio unico dal design contemporaneo e l'architettura funzionale, l'azienda vitivinicola Cantine Surrau rappresenta da anni una delle punte di diamante per la produzione di Vermentino. Una cantina sui generis, dallo stile fresco e moderno che coniuga armoniosamente la tecnologia più avanzata alla natura circostante. A coadiuvare il lavoro in campo e in cantina, Tino Demuro, produttore appassionato con un occhio di riguardo per l'accoglienza del cliente, resa perfetta grazie allo spazio ricettivo ricavato all'interno della struttura per ospitare degustazioni, incontri e seminari.

Tanti i vini convincenti dell'azienda, a partire dallo Sciala, sapido, fresco e lunghissimo; e poi il Cannonau Riserva Sincaru ’14, elegante, setoso e profondo, dalla trama aromatica intrigante che gli è valsa i Tre Bicchieri, massimo riconoscimento della guida Vini d'Italia.

La vostra è un'azienda giovane, ma è già un punto di riferimento per la vitivinicoltura sarda. Quali sono le tappe che hanno scandito il vostro successo?

L'iniziale scelta di puntare su un vitigno autoctono come il vermentino di Gallura e il cannonau di Sardegna. Abbiamo cominciato con la produzione di 5-6mila bottiglie e poi abbiamo continuato a crescere progressivamente negli anni, in maniera graduale ma costante. E soprattutto tenendo sempre conto della qualità del prodotto, che è il nostro obiettivo primario. Non ci sono stati dei momenti chiave che hanno determinato il successo della cantina, piuttosto un impegno fermo e assiduo nel tempo.

Che effetto fa tornare a ricevere un premio su un rosso dopo aver accumulato una sfilza di Tre Bicchieri col vostro Vermentino Sciala?

Un premio simile non può che gratificarci: è sempre un onore, per noi, essere apprezzati dalle diverse giurie nazionali e straniere. Ricevere un premio per un rosso ci rende doppiamente orgogliosi, perché ci ripaga di tanti sforzi e sacrifici, e conferma il nostro buon lavoro.

Tutti conoscono il valore qualitativo del vermentino in Gallura, ma voi avete dimostrato che può essere anche terra di rossi. Èuna scommessa sulla quale punterete?

Sì, è uno dei nostri obiettivi. Vediamo, soprattutto nel cannonau, un grande potenziale di crescita, e speriamo di poter continuare a dimostrare l'alta qualità di questo vitigno. Più in generale, la produzione di rossi (non solo autoctoni) qui in Gallura sta iniziando a far parlare di sé. Noi, per esempio, coltiviamo anche vitigni internazionali come il cabernet sauvignon e il syrah che, se lavorati a dovere, possono dare origine a vini eccezionali.

Com'è percepito il vino sardo nel mondo? È conosciuto o c'è ancora bisogno di lavorare sulla promozione?

La Sardegna vitivinicola sta seguendo sempre di più le orme della Sicilia, che negli anni ha saputo valorizzare al meglio la sua ricchezza enologica. Stiamo facendo passi da gigante dal punto di vista qualitativo, ma bisogna continuare a puntare sulla comunicazione, perché un buon prodotto presentato male difficilmente avrà successo. E la promozione può avvenire in diversi modi: noi siamo in una zona molto turistica, per cui puntiamo tanto sull'accoglienza, aprendo le porte della nostra cantina a visite guidate, tour ed eventi.

A proposito della cantina. Com'è strutturata?

Abbiamo cercato di creare un connubio fra le tecnologie più avanzate, il design d'avanguardia e lo stile più classico del passato. La struttura è una combinazione di elementi diversi, dalle pietre di granito tipiche della Sardegna ai materiali contemporanei più essenziali come acciaio e vetro. In questo modo, i turisti sono più invogliati a venirci a visitare, soprattutto in estate: rappresentiamo una sorta di alternativa al mare quando il clima non è favorevole.

Quanto è importante il rapporto turismo-vino in una regione come la vostra?

È fondamentale, per questo aderiamo con piacere a tutte le manifestazioni più rilevanti del settore. La clientela oggi è ben diversa rispetto al passato: i consumatori sono più attenti, esigenti, e per molti di loro il vino rappresenta una vera passione, che approfondiscono attraverso uno studio intenso e corsi di formazione. Proprio per questo motivo, le aziende moderne devono essere in grado di rispondere alle diverse richieste di mercato, soprattutto durante la stagione turistica, organizzando feste, tour e simili.

Cantine Surrau | Arzachena | Porto Cervo Arzachena Km 1 | 0789 82933 | www.vignesurrau.it

a cura di Michela Becchi

Tre Bicchieri 2018. Parla Diego Bosoni di Cantine Lunae Bosoni

Tre Bicchieri 2018. Parla Marco Bertelegni, enologo dell'Azienda Agricola Monsupello

La focaccia e i suoi derivati. 7 specialità della Basilicata e la ricetta della strazzata

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Incastonata fra le montagne e il mare, la Basilicata ha una tradizione gastronomica lunga, varia e ricca di sfumature. E il settore dell'arte bianca non fa eccezione, fra pani tipici e gustose focacce. Le ricette e la loro storia. 

Da secoli il pane è considerato sacro a Matera: eredi di un’antichissima tradizione, i panettieri della città dei Sassi fino agli anni ‘50 erano soliti marchiare il prodotto con un timbro in legno raffigurante i simboli della famiglia, per distinguerlo dopo la panificazione collettiva. Una specialità di umili origini che ha fatto il giro dell'Italia e del mondo, ma oltre alla celebre pagnotta a forma di Murgia materana, in Basilicata si contano diverse focacce, pizze e schiacciate tipiche. Qui, ne abbiamo radunate 7, più la ricetta dell'antica strazzata fornita dal Forno Sorelle Palese di Potenza, da anni punto di riferimento per il mangiare di strada di qualità nella regione.

Focaccia di semola di grano duro

Da Matera a Potenza, protagonista della maggior parte dei panifici locali è la semola di grano duro. Dal tipico colore giallo ambrato e la gronulometria più accentuata, la farina si presta a molte preparazioni da forno del Sud Italia. La più classica delle focacce lucane è infatti a base di semola, acqua e lievito, pochi ingredienti che danno vita a un impasto compatto e morbido, dall'alveolatura stretta e omogenea. Solitamente viene preparata nella tradizionale forma a ciambella, e accompagnata da salumi e formaggi tipici del territorio, ma può essere anche gustata in purezza come merenda o sfizioso aperitivo.

Focaccia al miele

Non mancano, poi, le focacce dolci, come quella al miele, antica ricetta di umili origini nata nelle campagne. Come nelle migliori tradizioni contadine, la preparazione prevede l'utilizzo di pochi e semplici ingredienti, tutti facilmente reperibili: farina, miele, lievito, acqua, burro e un pizzico di origano. Il risultato è una schiacciata bassa e morbida, dall'aroma inconfondibile e il gusto bilanciato.

Fucuazza cu la prmmarora

Una delle specialità da forno più note della regione, caratteristica della cucina lucana ma che riflette anche le influenze dei territori vicini, Calabria e Puglia in primis. Come si intuisce dal nome dialettale, la fucuazza cu la prmmarora è un pane basso e croccante, condito con olio extravergine di oliva, origano e salsa di pomodoro. Cotta in forno a legna, la focaccia è lievitata naturalmente con pasta madre e ha origini antiche che si perdono nella notte dei tempi. Oggi, non è difficile trovarla anche nella versione bianca senza pomodoro, oppure insaporita con verdure e formaggi, anche se la più richiesta rimane comunque la classica.

Friselle

Un impasto dorato cotto due volte e, una volta pronto, inumidito leggermente con dell'acqua e condito con olio extravergine di oliva, origano e sale, talvolta anche con i pomodori. Le friselle sono una ricetta storica condivisa con la Puglia e la Campania, a base di farina di grano duro, acqua, sale e lievito, solitamente consumate come pasto unico. In passato ne esistevano due diverse versioni: quella di grano duro, riservata alle tavole più benestanti e alle occasioni speciali, e quella a base di orzo oppure miscele di orzo e grano, preparate dalle famiglie meno abbienti.

Friselle dolci

Ne esiste anche una variante dolce, soprattutto nel territorio di Acerenza, in provincia di Potenza, ma anche in alcuni comuni in provincia di Matera, dove spesso se ne produce anche una versione più rustica con la farina di semola. Si tratta di friselle a tutti gli effetti, ma con aggiunta di zucchero e mandorle all’impasto, che conferiscono al prodotto un aroma intenso. Si preparano con farina 00, zucchero, burro, uova, mandorle tritate grossolanamente, lievito o ammoniaca per dolci, buccia di limone, un pizzico di sale.

Strazzata

Insieme alla fucuazza, è la focaccia lucana per antonomasia: la strazzata, tipica soprattutto della zona di Avigliano, in provincia di Potenza, è una ciambella salata a base di farina di grano tenero e semola di grano duro, acqua, lievito, sale e una dose generosa di pepe, spezia protagonista della ricetta che rende la focaccia ancora più saporita. Il nome deriva dal dialetto strazzare, ovvero stracciare, per via del modo in cui la ciambella viene comunemente divisa a mano in piccole porzioni. A impreziosire il pane, tutti i prodotti tipici del territorio, dai formaggi (caciocavallo, casieddu, canestrato di Moliterno) ai salumi, dalla salsiccia di cinghiale alla più celebre lucanica, realizzata a partire dalla spalla del maiale e condita con finocchietto selvatico. Non può mancare, poi, la versione con i peperoni cruschi, fra gli ingredienti più conosciuti della cucina lucana, una specie particolare di peperoni (Capsicum annuum dolc) fatta essiccare e poi passata in forno.

Torta di pasqua lucana

Nelle regioni italiane, specialmente in quelle centro-meridionali, non è Pasqua senza una torta salata. Ogni zona ha la sua ricetta, che differisce per ingredienti, dosi e metodo di preparazione, ma in ogni caso la torta pasquale prevede una farcia ricca e saporita. In Basilicata, in occasione della festa si prepara un guscio di pasta sottile a base di farina, burro e uova, ripieno degli ingredienti più disparati che, come sempre, variano di borgo in borgo e di famiglia in famiglia. C'è chi utilizza la salsiccia lucanica, chi il pecorino di Filiano, formaggio a pasta dura fatto con latte di pecore di razza Gentile di Lucania e stagionato almeno 180 giorni nelle tradizionali grotte di tufo locali, chi preferisce la ventresca di Rionero, salume prodotto della lavorazione della pancetta di maiale, e chi opta invece per una farcitura vegetariana. Fondamentale in qualsiasi caso, però, è l'abbondanza del condimento.

La ricetta: la strazzata del Forno Sorelle Palese, Potenza

Ingredienti

1000 g. di semola di grano duro

700 g. di acqua 

20 g. di 

200 g. di lievito madre

15 g. di pepe

Impastare la farina con acqua, lievito madre e sale, e lasciar lievitare per un'ora. Formare un panetto e far lievitare ancora un'ora in un canovaccio a temperatura ambiente. Riprendere l'impasto e formare nuovamente un panetto, e lasciar lievitare per un'altra ora. Schiacciare il panetto formano un buco al centro e lasciar lievitare ancora per un'ora e mezza circa. Cuocere in forno a legna a 300 gradi per 15 minuti. Una volta pronta, strappare con le mani e farcire con provolone e prosciutto crudo. 

a cura di Michela Becchi

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LSDM 2018 e il Manifesto del cuoco italiano moderno. Inno al benessere in tavola, con lo zampino di Ancel Keys

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Ripartirà dalla Dieta Mediterranea la prossima edizione del congresso gastronomico LSDM, in programma per il 23 e 24 maggio 2018. A Barbara Guerra e Albert Saper il compito di definire obiettivi e richieste per i partecipanti che vorranno onorare la manifestazione. Per loro un decalogo sui “doveri” del cuoco moderno. 

La storia insegna. La Dieta Mediterranea

Si torna indietro, per guardare avanti. O meglio, si pesca a piene mani nel Dna di una cultura alimentare che più di 50 anni fa balzava agli onori delle cronache come modello virtuoso ed elisir di lunga vita. La storia che oggi conoscono tutti è quella della folgorazione di Ancel Keys per la dieta degli abitanti di Pioppi, nel Cilento, dove il medico statunitense teorizzò i benefici del modello alimentare mediterraneo, quello condiviso dall’Italia con Grecia, Marocco, Spagna. E proprio a Pioppi, che a distanza di decenni vanta uno dei centri di ricerca sull’alimentazione più all’avanguardia del mondo, Keys si stabilì per lavorare sulla materia, pubblicando tre testi fondamentali per sancire interazioni e ripercussioni della Dieta Mediterranea sulla salute dell’uomo. L’esperienza di Keys, lungi dall’essere confinata al solo ambito medico, generò interesse nel mondo della cucina professionale, e ancora oggi ispira appelli accorati al recupero di regole alimentari antichissime, eppure ancora efficaci. Del resto la storia della cucina moderna è scandita da momenti di riflessione che chiedono di eliminare il superfluo a vantaggio del benessere di chi mangia, pensiamo al manifesto della Nouvelle Cuisine e alla rivoluzione trasversale che ha generato, a partire dagli anni Settanta. E più di recente alla crescente sensibilizzazione dei cuochi verso tematiche come la digeribilità, la leggerezza a tavola, la proposta di pasti bilanciati anche al ristorante, perché quello che è nel piatto non sia solo buono, e bello, ma anche sano. E di più, sostenibile, per l’organismo e per l’ambiente.

Il cuoco moderno

Un’evoluzione questa, che attribuisce al cuoco meriti e responsabilità: “Pensiamo che il ruolo del cuoco sia sempre più centrale, come artigiano di gioia e pedagogo dei propri clienti”, scrivono Barbara Guerra e Albert Sapere nell’introduzione al manifesto che anticipa il tema di LSDM 2018. Dopo un anno ricco di appuntamenti, per celebrare il decimo anniversario del congresso gastronomico nato a Paestum, la manifestazione, che col tempo ha finito per rappresentare proprio la cultura alimentare del Sud e le sue infinite potenzialità, scopre con largo anticipo le sue carte, fissando l’appuntamento con gli chef per il 23 e 24 maggio 2018. E sin d’ora riflette sul cammino percorso fin qui, dispensando ai partecipanti della prossima edizione una traccia di quel che sarà LSDM 2018, impegnata ad attualizzare gli studi di Ancel Keys attraverso la valorizzazione degli ingredienti cardine della dieta mediterranea: Il mondo vegetale, i legumi, l’olio extravergine d’oliva, la pasta secca, i pomodori, la mozzarella di bufala campana, il pescato locale. Non un così repentino cambio di prospettiva, per dir la verità, dal momento che LSDM da sempre si è fatto ambasciatore nel mondo delle eccellenze gastronomiche del Mezzogiorno. Però la riflessione si approfondisce, la richiesta si fa più mirata: il cuoco, investito di un nuovo ruolo sociale, è chiamato ad attualizzare il modello alimentare secondo le esigenze del mondo moderno. Solo così onorerà il mestiere che ha scelto, nel rispetto del benessere a tavola dei propri ospiti, la sostenibilità delle produzioni impiegate nei piatti, la valorizzazione del mondo vegetale, di un modello di alimentazione e di conseguenza di ristorazione sostenibile”.

Queste le richieste al cuoco italiano moderno avanzate dagli organizzatori di LSDM, che a supporto di chi vorrà partecipare stilano un manifesto in 10 punti, che sintetizza la riflessione sul concetto di modernità a tavola. Nulla di nuovo sotto questo cielo, sembra gridare il decalogo, perché la rivoluzione vera consiste nel guardarsi intorno, raccogliendo gli stimoli del territorio e convogliandoli a vantaggio delle esigenze del cliente.

Il Manifesto del cuoco italiano moderno

  1. Proporre frutta e verdura, sia nella parte salata che in quella dolce, rispettando la stagionalità degli ingredienti;
  2. Preferire l’olio extravergine d’oliva come grasso principale;
  3. Non far mancare la pasta secca, segno distintivo dell’italianità nel mondo;
  4. Utilizzare sempre di più le proteine vegetali – come i legumi – contribuendo al recupero delle varietà tradizionali presenti largamente in tutta Italia;
  5. Preferire i prodotti da agricoltura e allevamenti sostenibili scegliendo tra quelli provenienti da filiera trasparente;
  6. Valorizzare i piccoli artigiani locali, avendo però cura di preferire sempre il chilometro buono al chilometro zero;
  7. Rispettare la territorialità e le tradizioni gastronomiche locali;
  8. Porre attenzione ai disturbi alimentari dei propri ospiti e, in generale, proporre piatti equilibrati dal punto di vista nutrizionale;
  9. Usare la tecnologia in cucina, non come fine, ma come strumento per migliorare le tradizioni;
  10.  Aprirsi al confronto con i colleghi a livello internazionale e favorire le contaminazioni interdisciplinari.

Siete d'accordo su tutto? Aggiungereste dei punti? Ne togliereste alcuni magari fin troppo scontati? 

 

a cura di Livia Montagnoli

Foto di Donato Gasparro

Anteprima Tre Bicchieri 2018. Lazio

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L'anticipazione dei premiati della nuova guida Vini d'Italia 2018 oggi ci porta a scoprire i migliori vini del Lazio

Un proverbio di origine latina recita "nessuna nuova, buona nuova". Forse non sempre è così. Prendiamo la situazione della produzione vinicola del Lazio. Da un paio d'anni non individuiamo delle vere novità di qualità. Sicuramente sarà colpa nostra, che non riusciamo a scovare le pepite ancora nascoste, ma forse il problema è anche della produzione vitivinicola regionale, che non sembra riuscire a trovare nuovo slancio.

In questo contesto è interessante vedere in che direzione si muove il movimento bianchista, circa i due terzi della produzione regionale. La zona numericamente più importante è quella dei Castelli Romani e soprattutto del Frascati, dove nonostante la volontà dichiarata di migliorare la qualità, i risultati sono per ora poco significativi. Torna a conquistare i Tre Bicchieri l'Eremo Tuscolano di Mario Masini, che ci sembra stia mantenendo la promessa di diventare un riferimento stilistico per la denominazione; per il resto non solo non abbiamo visto nuovi Frascati di alto livello, ma anche aziende importanti e conosciute non sono riuscite a dare la dovuta continuità qualitativa alle loro etichette. Nel Sud della regione torna in primo piano l'isola di Ponza con la sua Biancolella, ormai una presenza fissa alle nostre finali con i vini delle aziende Migliaccio e Casale del Giglio, che torna ai Tre Bicchieri con il suo Faro della Guardia, mentre, anche senza ottenere allori, i vini da bellone stanno confermando un notevole potenziale. Al nord è sempre più protagonista il Grechetto: nonostante non siano arrivati altri riconoscimenti oltre a quello assegnato al Poggio della Costa di Sergio Mottura - un'azienda che costituisce il vero esempio da seguire per far crescere il distretto vinicolo della Tuscia - sempre più cantine fanno sentire la loro voce, proponendo dei Grechetto di grande qualità e riconoscibilità territoriale.

Sul fronte dei rossi, continuiamo ad attendere la sperata esplosione del Cesanese, che sia del Piglio, di Affile o di Olevano Romano. Quest'anno nessun Tre Bicchieri per questo vitigno e per i suoi territori, i cui produttori di qualità restano quelli di qualche anno fa con, almeno apparentemente, gli stessi problemi: la difficoltà di trovare la quadra tra autenticità e piacevolezza, quella di dare lustro a una reputazione ancora poco brillante e la produzione limitata di alcune interessanti etichette. Vedremo la strada che prenderanno queste denominazioni nei prossimi anni. Una strada originale e per ora solitaria la sta invece tracciando Emanuele Pangrazi con i suoi Habemus, Tre Bicchieri confermati per l'Etichetta Bianca, tra le poche graditissime novità di questi ultimi anni. Per chiudere con i premiati, le aziende che anno dopo anno si confermano ai vertici: la Falesco, che oggi divenuta Falesco - Famiglia Cotarella, con il sempiterno Montiano, Poggio Le Volpi, quest'anno con il Baccarossa, e la Tenuta di Fiorano, che conferma la qualità assoluta del Fiorano Rosso.

 

Baccarossa 2015 - Poggio Le Volpi
Biancolella Faro della Guardia 2016 - Casale del Giglio
Fiorano Rosso 2012 - Tenuta di Fiorano
Frascati Sup. Eremo Tuscolano 2016 - Valle Vermiglia
Habemus 2015 - San Giovenale
Montiano 2015 Falesco - Famiglia Cotarella
Poggio della Costa 2016 - Sergio Mottura

 

Gli altri premi Tre Bicchieri della guida Vini d'Italia 2018

Osterie d’Italia 2018. Alla ricerca dell’identità della vera cucina tradizionale

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La guida di Slow Food premia da più di 30 anni la cucina semplice delle tavole autentiche e originali scovate in tutta la Penisola, assegnando la Chiocciola alle insegne che meritano per servizio, cucina, atmosfera, ospitalità dell’oste. Tutti i premiati dell’edizione 2018. 

L’osteria oggi

Sul concetto di osteria, un’etichetta che molti, in tempi di revival, tendono a rivendicare per sé e per la propria attività, Slow Food e la sua storica guida alla ristorazione italiana riflettono da molti anni. Nell’era in cui il ritorno alla tavola delle origini è diventato vanto da esibire al motto di “si stava meglio quando si stava peggio”, il rischio di incappare in una superficiale variazione sul tema è sempre più alto. E tanto più necessario dirimere il contenzioso tra apparenza e sostanza, sgombrando il campo dalle imitazioni. Perché, e la longevità della guida Osterie d’Italia di Slow Food (da oltre 30 anni in libreria) lo dimostra, di osterie autentiche, che valgono il viaggio, l’Italia è piena per davvero. “Ma come vorremmo che fosse la cucina delle osterie d’Italia?” si chiedono allora i curatori della guida Eugenio Signoroni Marco Bolasco? Tradizione e territorio, feticci onnipresenti nella moderna narrazione del cibo, rischiano di non essere più sufficienti, o perlomeno non così dirimenti per sciogliere il dilemma. Ecco perché, seguendo il ragionamento dell’introduzione a Osterie d’Italia 2018, lo snodo essenziale diventa l’identità, che poi è espressione della personalità unica e irripetibile di ciascuno degli osti e delle insegne segnalate tra le pagine, e specialmente di tutte quelle tavole che per accoglienza premurosa, servizio puntuale, cucina semplice ma non per questo priva di originalità possono vantare la Chiocciola di Slow Food.

Cucine in cerca d’identità

Parlano, non a caso, di “cucina italiana che non cerca di uniformarsi in un unico stile” Bolasco e Signoroni, che “sottolinea le differenze e non si piega alle mode”, “equilibrata” ma “sempre riconoscibile”. E così si prosegue sulla strada tracciata un anno fa, quando in guida esordiva la politica del “giusto prezzo”, privilegiando il criterio identitario senza rinunciare alla gratificazione del buon rapporto qualità/prezzo, e però accantonando la scure del tetto di spesa imposto per regalare una lettura di più ampio respiro, e nuove sfumature che raccontassero gli esiti molteplici delle buone tavole tradizionali d’Italia. Insomma, come ogni anno, la guida si rinnova, senza tradire il suo spirito, con l’idea di segnalare “i migliori indirizzi in cui trovare la cucina di tradizione e il cibo buono, pulito e giusto”, senza preclusioni di sorta, perché le osterie di un tempo possono convivere con quelle moderne, purché siano luoghi dove non solo si mangia bene, ma si sta bene. Oltre duemila locali visitati in tutta la Penisola per selezionarne 1616, i più meritevoli di rappresentare il sussidiario del mangiarbere all’italiana.

Osterie d’Italia 2018 | a cura di Marco Bolasco ed Eugenio Signoroni | Slow Food Editore | 896 pp.| 22 euro

 

a cura di Livia Montagnoli

 

Tutte le Chiocciole 2018, divise per regione

VALLE D’AOSTA

LA VRILLE
Verrayes (AO)

 

PIEMONTE

OSTERIA DEL VICOLETTO
Alba (CN)

OSTERIA DELL’ARCO
Alba (CN)

LOCANDA DELL’OLMO
Bosco Marengo (AL)

BATTAGLINO
Bra (CN)

BOCCONDIVINO
Bra (CN)

VIOLETTA
Calamandrana (AT)

IL MORO
Capriata d´Orba (AL)

MADONNA DELLA NEVE
Cessole (AT)

LA TORRE
Cherasco (CN)

LOCANDA DELL’ARCO
Cissone (CN)

RISTORANTE DEL MERCATO DA MAURIZIO
Cravanzana (CN)

LA SPERANZA
Farigliano (CN)

CANTINA DEI CACCIATORI
Monteu Roero (CN)

OSTERIA ALPINO
Paesana (CN)

CORONA DI FERRO
Saluzzo (CN)

OSTERIA DELLA PACE
Sambuco (CN)

DEL BELBO DA BARDON
San Marzano Oliveto (AT)

LA COCCINELLA
Serravalle Langhe (CN)

IMPERO
Sizzano (NO)

ANTICHE SERE
Torino

CONSORZIO
Torino

 

LIGURIA

CIAN DE BIÀ
Badalucco (IM)

MAGIARGÈ VINI E CUCINA
Bordighera (IM)

MSE TUTTA
Calizzano (SV)

ARMANDA
Castelnuovo Magra (SP)

A VIASSA
Dolceacqua (IM)

DA Ö COLLA
Genova

OSTAIA DA U SANTU
Genova

LA MOLINELLA
Isolabona (IM)

LA BRINCA
Ne (GE)

DA FIORELLA
Ortonovo (SP)

U GIANCU
Rapallo (GE)

GLI AMICI
Varese Ligure (SP)

 

LOMBARDIA

AL PONTE
Acquanegra sul Chiese (MN)

LE FRISE
Artogne (BS)

ALTAVILLA
Bianzone (SO)

DENTELLA
Bracca (BG)

LA MADIA
Brione (BS)

LOCANDA DEGLI ARTISTI
Cappella de´ Picenardi (CR)

HOSTARIA VIOLA
Castiglione delle Stiviere (MN)

IL GABBIANO
Corte de´ Cortesi con Cignone (CR)

LOCANDA DELLE GRAZIE
Curtatone (MN)

CAFFÈ LA CREPA
Isola Dovarese (CR)

MIRTA
Milano

RATANÀ
Milano

TRIPPA
Milano

PRATO GAIO
Montecalvo Versiggia (PV)

OSTERIA DEL CROTTO
Morbegno (SO)

GUALLINA
Mortara (PV)

BURLIGO
Palazzago (BG)

OSTERIA DELLA VILLETTA
Palazzolo sull´Oglio (BS)

TRATTORIA DELL’ALBA
Piadena (CR)

LE CASELLE
San Giacomo delle Segnate (MN)

LAGO SCURO
Stagno Lombardo (CR)

LAMARTA
Treviso Bresciano (BS)

 

TRENTINO

LOCANDA DELLE TRE CHIAVI
Isera (TN)

BOIVIN
Levico Terme (TN)

OSTERIA STORICA MORELLI
Pergine Valsugana (TN)

CANT DEL GAL
Primiero San Martino di Castrozza (TN)

NERINA
Romeno (TN)

ALTO ADIGE SÜDTIROL

KÜRBISHOF
Anterivo-Altrei (BZ)

ALTER FAUSTHOF
Fiè allo Sciliar-Voels am Schlern (BZ)

SIGNATERHOF
Renon-Ritten (BZ)

LAMM MITTERWIRT
San Martino in Passiria
Sankt Martin in Passeier (BZ)

WALDRUHE
Sesto-Sexten (BZ)

DURNWALD
Valle di Casies-Gsies (BZ)

 

VENETO

ALLA ROSA
Adria (RO)

ZAMBONI
Arcugnano (VI)

LOCANDA BAGGIO
Asolo (TV)

ALLE CODOLE
Canale d´Agordo (BL)

PIRONETOMOSCA
Castelfranco Veneto (TV)

AL PORTICO
Cona (VE)

DAI MAZZERI
Follina (TV)

ENOTECA DELLA VALPOLICELLA
Fumane (VR)

ISETTA
Grancona (VI)

AL PONTE
Lusia (RO)

MADONNETTA
Marostica (VI)

IL SOGNO
Mirano (VE)

DA PAETO
Pianiga (Ve)

ARCADIA
Porto Tolle (RO)

LOCANDA SOLAGNA
Quero Vas (BL)

AL FORNO
Refrontolo (TV)

ANTICA TRATTORIA DA NICOLA
San Donà di Piave (VE)

ZOLIN
Sandrigo (VI)

ANTICA TRATTORIA AL BOSCO
Saonara (PD)

SAN SIRO
Seren del Grappa (BL)

DALLA LIBERA
Sernaglia della Battaglia (TV)

DA DORO
Solagna (VI)

LA TAVOLOZZA
Torreglia (PD)

IL BASILISCO
Treviso

OSTARIA DA MARIANO
Venezia

AL BERSAGLIERE
Verona

 

FRIULI VENEZA GIULIA

AI CACCIATORI
Cavasso Nuovo (PN)

BORGO POSCOLLE
Cavazzo Carnico (UD)

BORGO COLMELLO
Farra d´Isonzo (GO)

ROSENBAR
Gorizia

AI CIODI
Grado (GO)

IVANA & SECONDO
Pinzano al Tagliamento (PN)

DEVETAK
Savogna d´Isonzo
Sovodnje ob Soci (GO)

DA AFRO
Spilimbergo (PN)

SALE E PEPE
Stregna-Srednje (UD)

DA ALVISE
Sutrio (UD)

STELLA D’ORO
Verzegnis (UD)

 

EMILIA-ROMAGNA

OSTERIA BOTTEGA
Bologna

TRATTORIA DI VIA SERRA
Bologna

LA LANTERNA DI DIOGENE
Bomporto (MO)

CAMPANINI
Busseto (PR)

LOCANDA MARIELLA
Calestano (PR)

LAGHI
Campogalliano (MO)

LA BAITA
Faenza (RA)

ENTRÀ
Finale Emilia (MO)

LA CAMPANARA
Galeata (FC)

ANTICA LOCANDA DEL FALCO
Gazzola (PC)

OSTERIA DEL VICOLO NUOVO DA ROSA E AMBRA
Imola (BO)

ANTICA TRATTORIA CATTIVELLI
Monticelli d´Ongina (PC)

OSTERIA DI RUBBIARA
Nonantola (MO)

AI DUE PLATANI
Parma

ANTICHI SAPORI
Parma

SANTO STEFANO
Piacenza

OSTRERIA PAVESI
Podenzano (PC)

OSTERIA DEI FRATI
Roncofreddo (FC)

AMERIGO DAL 1934

Valsamoggia (BO)

TRATTORIA DEL BORGO
Valsamoggia (BO)

 

TOSCANA

AIUOLE
Arcidosso (GR)

LA LINA
Bagnone (MS)

IL TIRABUSCIÒ

Bibbiena (AR)

DA GHIGO
Campiglia Marittima (LI)

I DIAVOLETTI
Capannori (LU)

PASTA E VINO
Cascina (PI)

ANTICA FATTORIA DEL GROTTAIONE
Castel del Piano (GR)

LA TAVERNA DEL PIAN DELLE MURA

Castiglione d´Orcia (SI)

IL GRILLO È BUONCANTORE
Chiusi (SI)

LA SOLITA ZUPPA
Chiusi (SI)

OSTERIA DEL TEATRO
Cortona (AR)

DA BURDE
Firenze

IL CIBREO TRATTORIA
Firenze

MANGIANDO MANGIANDO
Greve in Chianti (FI)

IL MECENATE
Lucca

LA TANA DEI BRILLI
Massa Marittima (GR)

DA ROBERTO TAVERNA IN MONTISI
Montalcino (SI)

L’OSTE DISPENSA
Orbetello (GR)

LA TANA DEGLI ORSI
Pratovecchio Stia (AR)

LE PANZANELLE
Radda in Chianti (SI)

CACIOSTERIA DEI DUE PONTI
Sambuca Pistoiese (PT)

ANTICO RISTORO LE COLOMBAIE
San Miniato (PI)

DA GAGLIANO
Sarteano (SI)

IL CANTO DEL MAGGIO
Terranuova Bracciolini (AR)

LA BOTTE PIENA
Torrita di Siena (SI)

IL CONTE MATTO
Trequanda (SI)

 

UMBRIA

L’ACQUARIO
Castiglione del Lago (PG)

LA MINIERA DI GALPARINO
Città di Castello (PG)

PIERMARINI
Ferentillo (TR)

STELLA
Perugia

LA LOCANDA DI COLLE OMBROSO
Porano (TR)

BACIAFEMMINE
Scheggino (PG)

MARCHE

AGRA MATER
Colmurano (MC)

DA MARIA
Fano (PU)

GALLO ROSSO
Filottrano (AN)

OSTERIA DELL’ARCO
Magliano di Tenna (FM)

PONTEROSA
Morrovalle (MC)

OPHIS
Offida (AP)

VINO E CIBO
Senigallia (AN)

COQUUS FORNACIS
Serra de´ Conti (AN)

 

LAZIO

LO STUZZICHINO
Campodimele (LT)

OSTERIA DEL TEMPO PERSO
Casalvieri (FR)

ZARAZÀ
Frascati (RM)

L’OSTE DELLA BON’ORA
Grottaferrata (RM)

TAVERNA MARI
Grottaferrata (RM)

A CASA DI ASSUNTA
Isola di Ponza (LT)

SORA MARIA E ARCANGELO
Olevano Romano (RM)

LA POLLEDRARA
Paliano (FR)

OSTERIA DEL VICOLO FATATO
Piglio (FR)

DA ARMANDO AL PANTHEON
Roma

DA CESARE
Roma

GRAPPOLO D’ORO
Roma

OSTERIA DEL BORGO
Roma

OSTERIA DEL VELODROMO VECCHIO
Roma

PRO LOCO D.O.L.
Roma

TREDICI GRADI
Viterbo

 

ABRUZZO

PERVOGLIA
Castellalto (TE)

ZENOBI
Colonnella (TE)

LA BILANCIA
Loreto Aprutino (PE)

BORGO SPOLTINO
Mosciano Sant´Angelo (TE)

SAPORI DI CAMPAGNA
Ofena (AQ)

TAVERNA DE LI CALDORA
Pacentro (AQ)

TAVERNA 58
Pescara

FONT’ARTANA
Picciano (PE)

VECCHIA MARINA
Roseto degli Abruzzi (TE)

LA CORTE
Spoltore (PE)

 

MOLISE

LA GROTTA DA CONCETTA
Campobasso

OSTERIA DENTRO LE MURA
Termoli (CB)

 

PUGLIA

L’ARATRO
Alberobello (BA)

LE MACARE
Alezio (LE)

ANTICHI SAPORI
Andria

PERBACCO
Bari

CASALE FERROVIA
Carovigno (BR)

CIBUS
Ceglie Messapica (BR)

‘U VULESCE
Cerignola (FG)

LA CUCCAGNA
Crispiano (TA)

MASSERIA BARBERA
Minervino Murge (BT)

MEDIOEVO
Monte Sant´Angelo (FG)

L’ANTICA LOCANDA
Noci (BA)

PEPPE ZULLO
Orsara di Puglia (FG)

LA PIAZZA
Poggiardo (LE)

BOTTEGHE ANTICHE
Putignano (BA)

LA COSTA
San Nicandro Garganico (FG)

LA FOSSA DEL GRANO
San Severo (FG)

LA LOCANDA DI NONNA MENA
San Vito dei Normanni (BR)

LILITH MASSERIA COPERTINI
Vernole (LE)

 

CAMPANIA

LA PIGNATA
Ariano Irpino (AV)

VALLEVERDE ZI’ PASQUALINA
Atripalda (AV)

NUNZIA
Benevento

TRE SORELLE
Casal Velino (SA)

GLI SCACCHI
Caserta

LA PERGOLA
Gesualdo (AV)

FENESTA VERDE
Giugliano in Campania (NA)

IL FOCOLARE
Isola d’Ischia (NA)

LO STUZZICHINO
Massa Lubrense (NA)

DI PIETRO
Melito Irpino (AV)

UMBERTO
Napoli

FAMIGLIA PRINCIPE 1968
Nocera Superiore (SA)

OSTERIA DEL GALLO E DELLA VOLPE
Ospedaletto d´Alpinolo (AV)

ANGIOLINA
Pisciotta (SA)

PERBACCO
Pisciotta (SA)

ABRAXAS
Pozzuoli (NA)

LA RIPA
Rocca San Felice (AV)

‘E CURTI
Sant´Anastasia (NA)

‘O ROMANO
Sarno (SA)

LA PIAZZETTA
Valle dell´Angelo (SA)

LA CHIOCCIA D’ORO
Vallo della Lucania (SA)

IL CELLAIO DI DON GENNARO
Vico Equense (NA)

 

BASILICATA

PEZZOLLA
Accettura (MT)

GAGLIARDI
Avigliano (PZ)

AL BECCO DELLA CIVETTA
Castelmezzano (PZ)

DA PEPPE
Rotonda (PZ)

LA MANGIATOIA
Rotondella (MT)

LUNA ROSSA
Terranova di Pollino (PZ)

 

CALABRIA

PECORA NERA
Albi (CZ)

IL TIPICO CALABRESE
Cardeto (RC)

L’AQUILA D’ORO
Cirò (KR)

LA TAVERNA DEI BRIGANTI
Cotronei (KR)

LA COLLINETTA
Martone (RC)

CALABRIALCUBO
Nocera Terinese (CZ)

IL VECCHIO CASTAGNO
Serrastretta (CZ)

 

SICILIA

GENTE DI MARE
Aci Castello (CT)

TERRACOTTA
Agrigento

U LOCALE
Buccheri (SR)

GIARDINO DI VENERE
Castelbuono (PA)

NANGALARRUNI
Castelbuono (PA)

DA BERNARDO
Isole Pelagie (AG)

4 ARCHI
Milo (CT)

LA RUSTICANA
Modica (RG)

ANDREA
Palazzolo Acreide (SR)

TRATTORIA DEL GALLO
Palazzolo Acreide (SR)

AI CASCINARI
Palermo

DA SALVATORE
Petralia Soprana (PA)

U SULICCE’NTI
Rosolini (SR)

DA LUCIANA
San Piero Patti (ME)

AL RITROVO
San Vito Lo Capo (TP)

ACQUARIUS
Santo Stefano Quisquina (AG)

FRATELLI BORRELLO
Sinagra (ME)

TISCHI TOSCHI
Taormina (ME)

CANTINA SICILIANA
Trapani

CAUPONA TAVERNA DI SICILIA
Trapani

 

SARDEGNA

SU CARDULEU
Abbasanta (OR)

LA LOCANDA DEI BUONI E CATTIVI
Cagliari

SU TZILLERI E SU DOGE
Cagliari

SANTA RUGHE
Gavoi (NU)

SU RECREU
Ittiri (SS)

IL PORTICO
Nuoro

IL RIFUGIO
Nuoro

ANTICA DIMORA DEL GRUCCIONE
Santu Lussurgiu (OR)

SAS BENAS
Santu Lussurgiu (OR)

 

Gourmet Food Festival. L'evoluzione dei salumi, dalla rivincita dei grassi a quelli fatti con i suini neri

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Durante Gourmet Food Festival (Torino Lingotto Fiere, dal 17 al 19 novembre 2017) parleremo anche di salumi. Qui le anticipazioni dei tre appuntamenti golosi, dove saranno coinvolti chef, pizzaioli, volti di Gambero Rosso Channel e nutrizionisti.

Un'anticipazione dei tre appuntamenti di Gourmet Food Festival, che vedranno protagonisti i salumi, da quelli più grassi (pensiamo per esempio al lardo) a quelli preparati con i suini neri. Agenda alla mano, prendete nota.

Il taglio a coltello del prosciutto crudo

I salumi tornano a essere “grassi”

Salumi sempre più magri. È quello che il consumatore medio ad un certo punto ha iniziato a chiedere. Ma una volta non era così. Il grasso nelle sue unte declinazioni era ingrediente fondamentale per cucinare, pagato meglio di un prosciutto. Il niveo strato adiposo e la marezzatura abbondante erano ricercati: un valore aggiunto nei salumi. Poi, dopo il boom economico, la demonizzazione, complici le diete e le indicazioni nutrizionistiche. Oggi viviamo con gioia il revival dei grassi, sdoganati da salumi “bianchi” gourmet – primo fra tutti il lardo di Colonnata – e grazie alle nuove frontiere della ricerca. Di questa classe-non classe salumiera trasversale che accomuna tutte le carni trasformate si parlerà nel primo del tris di incontri dedicati ai salumi (“L'arte dell'assaggio. Grasso che cola”, venerdì 17 novembre, ore 17.00-18.00). La nutrizionista Alessandra Mallarino ci aiuterà a fare chiarezza sulle differenze tra lardo, strutto e sugna, tra un grasso di prosciutto, di guanciale o di pancetta, sull'importanza dell'alimentazione, dello stile di vita e del DNA del suino, sulle linee guida di una sana alimentazione. “Negli anni non sono solo cambiati i gusti e i consumi degli italiani, sono cambiati anche la composizione dei grassi dei salumi, il modo di allevare e di alimentare gli animali destinati alle trasformazioni norcine, è cambiato l'export”, anticipa alcuni dei temi caldi del convegno la dottoressa Mallarino. La conversazione si arricchirà del contributo di uno chef e di un pizzaiolo, scelti tra i più bei nomi della ristorazione, che ci diranno la loro sull'uso dei salumi in cucina. Durante il convegno, tra consigli nutrizionali per fasce di età, ricette al volo, abbinamenti giusti nel tagliere e nel piatto, verranno assaggiati salumi con tutte le percentuali di grasso, dalla bresaola al lardo, di famosi artigiani della salumeria italiana.

I salumi di suini neri

Il secondo appuntamento è focalizzato sui salumi di suini neri (“L'arte dell'assaggio. I salumi di suino nero”,sabato 18 novembre, ore 17.30-18.30), i maiali autoctoni dal mantello scuro che fino all'inizio del '900 grufolavano nelle campagne e nei boschi del nostro territorio. Sono loro che hanno fatto grande la salumeria italiana. Parliamo di cinta senese, mora romagnola, nero di Parma, casertana, sarda, apulo-calabrese, nero siciliano. Negli anni '50 sono stati mandati in pensione dalle razze “migliorate”, i maiali della globalizzazione di colore rosa (large white, berkshire...), più magri e selezionati per vivere al chiuso, crescere in fretta e fare carne. Nel giro di pochi decenni hanno sostituito i nostri maiali neri, non adatti a vivere in allevamenti chiusi e intensivi, dalla crescita lenta e ricoperti da uno spesso strato di grasso, passato di moda con le nuove abitudini alimentari. Alla soglia dell'estinzione, 30-35 anni fa è cominciato il recupero del nostro patrimonio suinicolo attraverso un lungo lavoro di ricerca, ancora in atto. La razza pioniera, la prima recuperata, è la cinta senese. “L'abbiamo ripresa per i capelli, la stavamo perdendo”, racconta Daniele Baruffaldi, neo Presidente del Consorzio di tutela della cinta senese. “Nel 1980 avevamo solo 20 scrofe e due verri. Da lì è partito il progetto di recupero selezionando i piccoli alla nascita e mandando in riproduzione solo quelli che avevano i tratti originali: la nostra immagine guida è stata l'Allegoria del Buongoverno, l'affresco dipinto nel 1340 da Ambrogio Lorenzetti, dove è raffigurato il nostro maiale rustico con la bella fascia bianca al centro. Oggi abbiamo 1000 riproduttori iscritti al libro genealogico dell'Anas (Associazione Nazionale Allevatori Suini, ndr),60-70 allevatori e, dopo lunghe battaglie con Bruxelles, una meravigliosa Dop per la carne di cinta senese, con i quali produciamo i salumi tipici toscani: prosciutti, gote, rigatini... E abbiamo costruito un disciplinare che, oltre a dimostrare la storicità di questo animale, prevede un allevamento rigorosamente all'aperto e in libertà, senza crescita forzata, che consente al maiale di consumare quel grasso in eccesso, causa della sua estinzione”. Il recupero delle antiche razze suine non è solo amore per la biodiversità. Ci spiega le ragioni di questa scelta Massimo Spigaroli, che nell'Antica Corte Pallavicina a Polesine Zibello, nella Bassa Parmense, produce il celebrato culatello di Zibello e salumi di suino bianco e di nero di Parma stagionati nelle coreografiche cantine sotto Po, in degustazione nel corso del convegno.“I maiali neri hanno carni ricche di sapore per genetica, perché vivono allo stato semi-brado e si nutrono con quello che trovano in natura: tuberi, radici, ghiande, castagne, piante aromatiche... Carni mature, di colore rosso rubino intenso, con una minore quantità di acqua, che consente una trasformazione senza conservanti. Carni più grasse rispetto a quelle del suino convenzionale ma ricche di grassi “buoni”, insaturi, simili a quelli dell'olio d'oliva”.

Pancetta arrotolata

L'appuntamento dedicato alla pancetta

Chiude la tripletta dei convegni l'incontro sulla pancetta (“L'arte dell'assaggio. Metti pancetta!”, domenica 19 novembre, ore 15 -16), salume emergente e ritrovato della tradizione. Dopo il nobile lardo, ormai cult dei taglieri gourmet, e più recentemente l'opulenta coppa (il capocollo del sud Italia), oggi è la pancetta a scalare la hit del gradimento, salume amato e amabile, pop e raffinato, versatile in cucina e in tavola, con la dolcezza del grasso che incontra la sapidità tenue delle sbavature di magro, e con un grasso particolarmente dolce, morbido e avvolgente. A tenere banco nell'incontro dedicato a un salume così conviviale, che sprizza gioia di vivere già nel nome, ci saranno Max Mariola, chef televisivo su Gambero Rosso Channel e protagonista di un altro appuntamento (“Quando il cibo fa spettacolo. I panini di Max Mariola”, domenica 19 novembre, ore 12– 13) e Stefano “Vito” Bicocchi, attore con la passione della cucina, anche lui protagonista di un altro appuntamento torinese: “Quando il cibo fa spettacolo. I tortellini di Vito”, domenica 19 novembre, ore 12– 13. Non a caso Vito sta giusto preparando una pièce teatrale su Pellegrino Artusi, “L'Artusi bollito d'amore”, a Bologna tra la fine di dicembre e l'inizio di gennaio 2018. “Sono un dilettante competente, non sono cuoco”, scherza, “la cucina mi strappa al palcoscenico e al set, ci pensa l'agente a richiamarmi al dovere. Ma nei momenti liberi, quando finisco le prove, mi rilasso in cucina, spadello e, ahimè, mangio! Della pancetta mi piace tutto: il profumo, il gusto, il grasso che si scioglie in bocca. Cosa ci faccio? Ci condisco gli gnocchetti di zucca, ci ricopro la faraona, ci lardello gli arrosti, la mangio cruda”. E allora che la degustazione cominci...

 

Gourmet Food Festival | Torino | Lingotto Fiere, via Nizza, 294 | dal 17 al 19 novembre 2017, venerdì dalle 17 alle 23, sabato dalle 10 alle 23, domenica dalle 10 alle 20 | www.gourmetfoodfestival.it

Per info sugli altri appuntamenti: www.gamberorosso.it/it/gourmet-food-festival

 

a cura di Mara Nocilla

 

Nanà Chef Away. Le gastronomie di Torino si mettono in rete: vitello tonnato e insalata russa arrivano a casa

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Una vetrina virtuale, come oggi se ne vedono tante. Scegli online, paghi, ritiri il prodotto o scegli di fartelo recapitare a casa. Ma stavolta sono le botteghe tradizionali a mettersi in rete: gastronomie, macellerie, pastifici e forni di Torino. Per promuovere la cucina tradizionale della città. 

Il gusto della gastronomia

Insalata russa, mambrè, battuta di fassone, bunet. Nessuno di questi piatti sfigurerebbe sulla tavola della domenica di una famiglia ancora legata alla tradizione regionale, in quel di Torino. Ma la cucina tradizionale, le sue preparazioni più casalinghe, quelle che raccontano il territorio, i suoi ingredienti e le abitudini alimentari della città ancora riescono a sopravvivere, tra un fast food e un bistrot all’ultimo grido, tra gli scaffali e la mostra di botteghe alimentari, drogherie e gastronomie. Alcune di queste attività alzano la saracinesca da decenni, rivendicando tempi e dinamiche del commercio tradizionale, fatto di scambi quotidiani con il cliente, che curiosa dietro al banco per portare a casa il piatto del giorno o qualche prelibatezza appena arrivata in negozio, che arriverà dritta sulla tavola del pranzo. E le gastronomie d’Italia, per questo e mille altri buoni motivi, quando sanno rinnovarsi senza rinnegare il legame con il passato, rappresentano un patrimonio culturale e sociale da tutelare. Così è successo a Torino, dove da qualche giorno è nata la rete Nanà Chef Away.

La gastronomia a domicilio. Online

Non il solito portale di food delivery, sebbene le modalità siano proprio quelle ormai divenute familiari a molti, ma un circuito dedicato alle gastronomie di Torino, che ora hanno a disposizione una vetrina virtuale per proporre le proprie specialità. Il nuovo al servizio della tradizione, si potrebbe riassumere con uno slogan efficace: l’iniziativa nasce con l’intento di promuovere le eccellenze agroalimentari del territorio e conta sul supporto di Ascom Confcommercio Torino e Provincia, che garantisce la selezione delle gastronomie accettate in rete, fornendo loro uno strumento di innovazione nell’ambito della proposta tradizionale. L’obiettivo, insomma, è quello di conquistare una fascia di pubblico nuova, specie quella più giovane abituata agli acquisti virtuali e alla praticità del digitale. Del resto, gastronomie, pastifici, macellerie, laboratori artigianali sono attività votate al commercio, e come tali perfette per testare le potenzialità dell’acquisto online. Attraverso la vetrina virtuale, le gastronomie si raccontano, condividono la propria storia, “espongono” i propri prodotti, e si mettono in gioco, forti di una professionalità acquisita in anni di contatto con il pubblico, che di fatto è l’unica componente penalizzata dal mezzo digitale: quanti amano ancora indugiare tra gli scaffali respirando i profumi della bottega, mentre scambiano due chiacchiere con il proprio negoziante di fiducia? Beh, tutto questo resta, per gli abitudinari della spesa al dettaglio. Ma proprio il nuovo mezzo a disposizione garantisce alla imprese tradizionali un po’ più di respiro per tenere in piedi attività sempre meno redditizie, offrendogli un canale di vendita complementare. Non a caso, l’idea potrebbe presto essere replicata altrove, esportata in altre città.

Nanà Chef Away. Come funziona

Per ora si procede con l’esperimento pilota. A Torino sono già una decina le attività che hanno aderito, il sistema è molto semplice, il motto - la tua gastronomia a portata di click – incoraggiante: in homepage le proposte del giorno, e l’opzione per scegliere il ritiro in negozio o la consegna a domicilio. Si selezionano indirizzo di consegna, data e ora, si procede con l’acquisto di una porzione di faraona ripiena, o di qualche fettina di carne in carpione. Per ogni pietanza la descrizione degli ingredienti, brevi note sulla preparazione e la ricetta tradizionale, il calendario con le disponibilità settimanali, la gastronomia di riferimento che offre il servizio, completa di scheda che ne racconta la storia. La navigazione, infatti, può partire anche dalla scelta della bottega; c’è la Gastronomia Rosada dal 1926, e la Gastronomia Scaiola, celebre per i suoi insaccati e gli agnolotti del sabato. Il pastificio Ferri dal 1952 che propone gnocchi alla romana e panzerotti di magro freschi, gli agnolotti del plin, il vitello tonnato e l’insalata di nervetti; e la macelleria Brezzo, che nel 1950 nacque come polleria e oggi alleva razza piemontese a Piovà Massaia. Si ordina 24 ore su 24, prenotando in anticipo l’orario di consegna desiderato, compatibilmente con le possibilità del negozio, anche di sera, dopo l’orario di chiusura; ci sono anche i prodotti su richiesta, ma, avvertono gli esercenti, nel caso specifico saranno necessarie almeno 3 ore per la preparazione espressa. I prezzi sono quelli popolari di una gastronomia: si mangia con poco, e si sceglie il gusto della storia gastronomica della città (anche via app).

 

https://www.nanachefaway.it/index.php/it/

 

a cura di Livia Montagnoli

 

Olmo di Cornaredo. Inaugura oggi il primo alberghiero con un tutor Tre Forchette: Davide Oldani

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Un istituto professionale statale con il patrocinio del Coni e un mentore d'eccezione, Davide Oldani.

Ho accettato l'impegno con l'Olmo di Cornaredo, purché anche Davide Oldani accettasse di collaborare” scherza (ma non del tutto) Luca Azzollini, preside del nuovo istituto alberghiero, gestito dall'istituto Frisi di Milano. A sottolineare, sin da subito, il peso che lo chef riveste sul territorio e si appresta a ricoprire all'Olmo. Non solo testimonial ideale, ma modello positivo, mentore e ispiratore, impegnato a tracciare le direttive didattiche dell'Istituto Professionale Statale per l'Enogastronomia e l'Ospitalità come pure in cattedra. “Oldani si è subito dimostrato disponibile e interessato” continua Azzollini “anche lui pienamente convinto del ruolo suo e di quello della scuola a Cornaredo”. E aggiunge: “se apri un alberghiero in un piccolo centro dove c'è un personaggio di questa importanza, che già si occupa molto del territorio, devi interfacciartici”. E il legame con il paesaggio si intuisce già dal nome della scuola: Olmo, come quell'albero su affaccia il nuovo D'O.

 

DO-dAVIE_oLDANICREDIT_SEBASTIANO_ROSSI_6.jpgDavide Oldani. Foto: Sebastiano Rossi

 

Non stupisce, del resto, l'attenzione dello chef nei confronti dei giovani: solo pochi giorni fa, alla finale dei San Pellegrino Young Chef diceva “nel nostro lavoro è importante nutrirsi dell'energia dei giovani” richiamando una fruttifera relazione maestro-allievo basata (anche) sull'individuazione di regole e sulla crescita lenta “il mestiere del cuoco non è un exploit” ammoniva “bisogna restare sul pezzo per molti anni, essere psicologicamente attaccati alla propria idea”.

istituto olmo

L'edificio scolastico

Un anno fa l'annuncio di Davide Oldani del suo coinvolgimento, oggi l'inaugurazione in pompa magna, alla presenza di Giuseppe Sala, Sindaco della Città Metropolitana, Roberto Maroni, Presidente della Regione, Severino Salvemini,Docente di Organizzazione Aziendale dell’Università Bocconi. Ma il progetto dell'istituto nasce ancora prima, nei primi anni 2000, poi i lavori furono interrotti e il cantiere abbandonato, e riaperto solo qualche anno fa, per impulso della nuova amministrazione comunale e del Sindaco Yuri Santagostini. “Siamo subentrati nel 2015” riprende il preside. Progettato e realizzato dalla ex Provincia oggi Città Metropolitana di Milano (costo? Quasi 6 milioni di euro), l'Olmo è un edificio all’avanguardia per sostenibilità energetica, con un impianto fotovoltaico da 15 KW e uno solare-termico da 16000 KW/ora; ospita 18 classi e ha due laboratori di cucina predisposti. Uno, con fuochi a gas, “preso con un noleggio a riscatto” (il costo è a carico della scuola, nonostante si tratti di un istituto statale) mentre il secondo, con piastre a induzione, dovrebbe arrivare grazie a un crowfounding che si aprirà a breve; “dovremmo avere delle macchine per la lavorazione del cioccolato offerte da una azienda internazionale”.

 

La didattica

L'idea è fare una didattica di carattere laboratoriale in tutte le discipline” spiega Azzollini, “per esempio non attribuiamo le aule alle classi ma alle discipline. Italiano, matematica, lingue straniere, proprio per facilitare questo approccio didattico”un po' come nei campus americani; “vogliamo dare un'istruzione di alto livello anche nelle materie non strettamente tecniche”. Attenzione speciale per le lingue, inglese e francese/tedesco, con l'idea di aggiungere il russo (“riuscirò a inserirla” aggiunge): nel mondo della ristorazione i confini sono aperti e le lingue fondamentali, che si lavori in Italia “dove si ha a che fare con una clientela internazionale” o all'estero. Non solo: “fare bene questo lavoro è un'espressione di cultura. Occorre sapere in che territorio ci si trova, conoscerne i prodotti, ma anche la storia e le tradizioni. È importante comunicarli. Per questo serve una buona cultura”.

 

La divisa, le regole, il rigore

E a rafforzare l'idea del campus, anche le divise: “per comunicare professionalità. Abbiamo insistito sul modo di comportarsi a scuola:è importante che i ragazzi capiscano che nel settore che hanno scelto il modo in cui ci si presenta è fondamentale” spiega Azzollini. Quale è stata la risposta? “Alunni e famiglie hanno compreso le nostre motivazioni. Sono bravissimi: tutti vengono in divisa e in ordine”. Attenzione, però, la divisa non è un vezzo esterofilo, ma un elemento coerente con un'idea di formazione che passi anche attraverso rigore e disciplina: “le regole sono importanti” dice Oldani “sono decisive nella vita, propria e della comunità: se le si rispettano le città sono più vivibili per tutti”. L'idea è di dare, agli studenti, strumenti per una crescita complessiva, come persone e cittadini e non solo come cuochi. Del resto Davide Oldani incarna un modello di chef contemporaneo, attento non solo al contenuto dei piatti, ma al benessere generale delle persone, con un piglio educativo che lo ha portato in prima linea a promuovere uno stile di vita sano e corretto. Innanzitutto attraverso lo sport e i valori che rappresenta.

 

Lo sport

E proprio lo sport avrà un ruolo centrale all'Olmo, non solo nelle abituali ore di attività fisica nel programma scolastico - “prese molto sul serioaggiungono - ma anche per via di quel suo legame con la cucina che, dice il preside, non è vago: “sono due attività che hanno molto in comune” spiega “alcune regole alla base dell'una lo sono anche alla base dell'altra: sono attività di squadra, dove ognuno ha un suo compito da svolgere, dove bisogna agire in sinergia con gli altri, i tempi sono fondamentali ed esistono dei ruoli da rispettare” spiega, poi aggiunge: “d'altro canto devi metterci il cervello, fare le cose che ti vengono dette, ma anche capirle”. Rincara la dose Oldani, chef che più di tutti traccia un ponte tra cucina e sport: chef di Casa Italia nelle Olimpiadi dello scorso anno, rappresentante dell'Italia dell'agroalimentare ai Giochi Olimpici di Rio, nominato dal Coni Sport & Food Ambassador: “cibo e sport sono le due risorse più importanti per il benessere delle persone; a 15 anni tutti sono interessati allo sport che rappresenta l'opportunità di nutrire correttamente i ragazzi in senso filosofico, etico e reale”. Dando così una doppia possibilità, con possibili borse di studio, anche a quei giovani che non hanno ancora le idee chiare, perché lo sport distilla valori fondamentali. “A 16 anni ero in C2 e so quali prospettive apre lo sport e quanto può essere formativo. A quell'età è importante capire che puoi far qualcosa che ti soddisfi se ci dai dentro, dobbiamo coinvolgere i ragazzi e convincerli che con l'impegno si raggiungono i risultati, purché ci sia un interesse vero e un obiettivo chiaro”. Non deve stupire allora il patrocinio del Coni “un fatto unico per un istituto scolastico statale. Ma Giuseppe Malagò ha sposato questa mia idea perché crede fortemente nei giovani”.

 

Quali opportunità

Non è possibile che da un alberghiero ogni anno escano decine di giovani futuri chef” aggiunge Azzollini“che poi magari non faranno i cuochi”perché il mondo dell'enogastronomia è fatto di molte professioni, anche se la spettacolarizzazione dell'alta cucina ha sparigliato le carte. “Tanti ragazzi pensano che o sono grandi chef oppure niente. Invece vogliamo formare anche bravi artigiani. Non tutti saranno Oldani o Cracco, ma potranno esercitare dei mestieri che racchiudono una grande cultura e saper fare, di cui c'è sempre più bisogno. Penso al macellaio, al panettiere, al selezionatore di formaggi. Chi esce dall'Olmo dovrà avere competenze anche in questi settori”. Dando così un'ulteriore possibilità una volta nel mondo del lavoro.

 

L'impresa formativa simulata

Come istituto professionale, l'Olmo si propone di avviare al modo del lavoro non solo dando una preparazione tecnica, ma ampliando il raggio di formazione. In quest'ottica, si inserisce il progetto dell'impresa formativa simulata insieme a Davide Oldani (il cui ristorante è stato oggetto di una case history ad Harvard, dove è stato chiamato a presentare la sua esperienza imprenditoriale): “portiamo l'esperienza viva di un grande ristorante”. Dalla sua lo chef di Cornaredo è tutor di tutto il progetto, una specie di mentore che spiegherà come funziona, non solo dalla parte della cucina, la gestione di un ristorante come il suo, dalla presentazione, all'accoglienza, alla capacità di esprimere in un piatto la competenza artigiana di un territorio. “Donerò la mia esperienza al preside dell'istituto, ai ragazzi, alla scuola italiana. È un impegno che mi coinvolge a livello umano: credo nei giovani, ho una bambina piccola e voglio che ci sia, ancora, la possibilità per tutti i ragazzi di un futuro nel nostro paese”.

 

Il ristorante didattico

A completamento del progetto, un ristorante didattico aperto a tutti, ogni giovedì. Ognuno potrà sedersi ai tavoli che furono del vecchio D'O e che Oldani ha donato alla scuola (“non nego l'orgoglio e l'emozione nel rivederli qui,li ho regalati perché credo profondamente nella scuola, nell'istruzione e nelle istituzioni italiane”) per assaporare a un costo simbolico (circa 8 euro a pasto) i piatti realizzati dagli allievi delle terze classi, seguiti dagli alunni dei corsi di sala. Come esempio c'è, ovviamente, il vicino D'O.

 

L'inaugurazione ufficiale

Mentre i corsi sono già cominciati da qualche settimana l'inaugurazione ufficiale del 25 settembre è l'occasione per presentare la nuova scuola e un piatto di Oldani dedicato all'istituto: "Il libro da mangiare". Di cosa si tratta? “È una sorpresa” risponde lo chef “un progetto che rappresenta il mio modo approcciare alla cultura attraverso il cibo. Dirò solo che si tratta di tre ingredienti – cotone, canapa, lino – resi commestibili con l'eleganza e l'intelligenza di un cuoco”. Il grande tema della formazione e della assoluta mancanza di personale didatticamente ben impostato subirà finalmente uno scossone in Italia? Da recuperare ci sono praterie…

 

Istituto Olmo | Cornaredo (MI) | via Matteotti, 18 | tel. 02 32329753 | http://www.iisfrisi.gov.it/

D’O | Cornaredo (MI) | loc. San Pietro all'Olmo | p.zza della Chiesa, 14 | tel. 02 9362209 | www.cucinapop.do

 

a cura di Antonella De Santis

 

Officine Italia, cucina e botteghe. Anche Auchan ci prova con la ristorazione esperienziale

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Officine Italia è un ristorante, è un bar bistrot con torrefazione, è una pasticceria artigianale, è panificazione, è un mercato di prodotti di alta qualità, Officine Italia è un mondo: l'identikit del format che esordisce a Mestre è chiaro. E racconta l'ultima idea del gruppo Gallerie Commerciali Italia (Auchan) per lanciarsi nella ristorazione. Con Ethos. 

Un nuovo modello di supermercato

La parola d'ordine è customer experience, il pacchetto completo proposto al cliente in cerca di qualcosa di più, anche quando va a fare la spesa. L'obiettivo, quindi, quello di offrire ai frequentatori abituali del centro commerciale un pretesto ulteriore per trattenersi tra banchi e scaffali, affiancando al momento della spesa al supermercato una parentesi di svago all'insegna dell'esperienza enogastronomica. La sfida, non a caso, attrae negli ultimi anni tutti i principali attori della Gdo, i grandi gruppi internazionali, da Carrefour con il format Gourmet Experience h 24 a Ipercoop, che a più riprese sta formulando modelli alternativi per superare la crisi del settore: l'ultimo esempio, battezzato a Roma, l'ipermercato multisensoriale di Euroma2. Auchan, invece, da un paio d'anni sta sviluppando tramite la sua divisione immobiliare (Immochan), un progetto di ampio respiro che punta con decisione a conquistare il segmento della ristorazione.

 

Officine Italia. Auchan e Ethos insieme

Come, da oggi, è visibile a tutti i clienti dello store Auchan di Mestre, dove dopo un lungo restyling degli spazi inaugura Officine Italia, primo esemplare di “emotional food court”, come la definiscono in casa Auchan, realizzata in collaborazione con Gruppo Ethos. Il progetto unisce in uno spazio fluido e accattivante ristorazione, botteghe artigiane e vendita di eccellenze gastronomiche, strizzando l'occhio alle moderne food hall, in sinergia però con le esigenze della grande distribuzione. E quindi i concetti da valorizzare sono quelli individuati in anni di affinamento di narrazione gastronomica, dalla celebrazione della manualità alla territorialità dei prodotti, molti da agricoltura sostenibile e biologica, pur calati nel contesto che più si distacca per definizione dal mondo artigianale. Dietro c'è un'indagine di mercato che guarda ai modelli di consumo capaci di affermarsi da qui ai prossimi 15 anni, tenendo conto di quanto il cliente abituale del centro commerciale sia sempre più attratto da un'esperienza gastronomica che di per sé vale il viaggio: il 35% dei clienti, secondo i dati Auchan, si reca al centro commerciale non solo per fare shopping, e ben il 13% sceglie di entrare proprio per la ristorazione. La scommessa è quella di rispondere con nuove soluzioni, adatte al pubblico trasversale, attente alla cultura della buona tavola, e alle ultime tendenze del settore. Si comincia dal Veneto, dunque, ma in cantiere c'è già l'apertura di Fano, prima di moltiplicare il format altrove, ma sempre a gestione diretta, mai in franchising: sono 250 milioni di euro i fondi sul piatto per riqualificare le Gallerie Commerciali esistenti in Italia entro il 2019 (GCI opera in 48 centri commerciali della Penisola).

 

Cosa e dove si mangia

Al ristorante, gestito da Ethos, i menu cambiano ogni tre mesi; la cucina attinge agli ingredienti delle botteghe, propone pasta fatta in casa, piatti della tradizione regionale italiana, alternative vegetariane, carne grass fed, dessert di alta pasticceria seguiti da uno chef di linea. Poi ci sono le botteghe, che diventano laboratori artigiani: quella dello chef, con piatti da gastronomia, da consumare al tavolo o per l'asporto; quella del gelato, gestita da mastri gelatai, e la bottega del pane che presta attenzione alle farine biologiche e agli impasti da lievito madre. Il forno a legna per la pizza. Poi la bottega del caffè con le miscele della Torrefazione Libera (Ethos), gli estratti del juice bar, la birra artigianale locale, l'immancabile aperitivo a base spritz. Lungo il perimetro del ristorante, il mercato propone una selezione di prodotti di qualità (anche a marchio Officine Italia), la pasta artigianale, la biscotteria secca, conserve, salse, confetture e prodotti da dispensa, l'enoteca dei vini autoctoni e biodinamici. E si resta aperti fin oltre l'orario di chiusura del centro commerciale, mezzanotte durante la settimana, fino all'una nel weekend. Cinquanta le opportunità di lavoro in ballo.

 

Officine Italia | Centro Commerciale Porte di Mestre | Mestre | via Don Federico Tosatto, 22 | www.officineitalia.eu

 

a cura di Livia Montagnoli


Orizzonte Fari. Il bando per trasformare i fari della Sardegna in bar e ristoranti

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Sarà firmato fra pochi giorni l'accordo fra la Regione Sardegna e l'Assessorato dell'Urbanistica per dare il via al bando per giovani imprenditori. Presto, ben 10 fari sparsi per l'isola potranno essere trasformati in bar, ristoranti e punti di informazione turistica di qualità ed eco-sostenibili. 

Il progetto

La Regione possiede beni di grande valore: vogliamo metterli in grado di creare reddito e occupazione”. Ha commentato così il presidente della Regione Sardegna Francesco Pigliaru il nuovo progetto Orizzonte Fari presentato lo scorso giugno 2017 in collaborazione con l'Agenzia del Demanio, che punta al recupero di 10 strutture costiere, tra fari e torri, distribuite nelle località più note dell'isola attraverso un bando rivolto a tutti i cittadini. “Siamo ben consapevoli che giocare questa partita significa dover affrontare complessità burocratiche e contenziosi, ma non si può continuare a tenerli bloccati come è stato fatto per troppo tempo, con il risultato di vederli trasformati spesso in ruderi abbandonati”. Il faro di Punta Filetto nell’isola di Santa Maria, l’ex stazione di vedetta di Marginetto nell’arcipelago di La Maddalena, l’ex faro di Capo d’Orso a Palau, l’ex stazione segnali di Capo Sperone a Sant’Antioco, l’ex stazione semaforica di Arzachena, l’ex stazione di vedetta di Capo Figari a Golfo Aranci, l’ex stazione di Punta Falcone a Santa Teresa di Gallura, l’ex stazione semaforica di Punta Scorno e il faro di Capo Comuni a Siniscola: questi i luoghi di interesse coinvolti nell'iniziativa, che saranno presto trasformati in ristoranti e alberghi, ma anche bar, musei, osservatori naturalistici e punti di informazione turistica. “Con il coinvolgimento degli imprenditori privati e delle amministrazioni locali su cui questi beni ricadono”, ha sottolineato l’assessore dell’Urbanistica Cristiano Erriu, “valuteremo i progetti più ambiziosi che contribuiscano al rilancio economico e turistico dei territori, nel rispetto dell’ambiente e del paesaggio. Abbiamo voluto impostare un approccio unitario di questa materia, per costruire un circuito di fruizione dei paesaggi costieri in maniera integrata”.

 

Il bando

La firma definitiva dell'accordo fra Pagliaru e Erriu avverrà il prossimo mercoledì 27 settembre a Villa Devoto, giorno che segnerà l'inizio di un'operazione di recupero e promozione di un patrimonio costiero dal valore inestimabile. “Questa iniziativa è perfettamente in linea con le nostre politiche ambientali”, ha commentato l'assessora della Difesa dell'Ambiente Donatella Spano. E aggiunge: “Naturalmente i bandi selezioneranno progetti vincenti, cioè rispettosi di tutti i principi della sostenibilità sia nel restauro che nella fruizione delle aree”. Negli atti di concessione dovranno, infatti, essere contemplati “impatti ambientali minimizzati, compresa la gestione dei rifiuti, e dovranno essere definiti alti standard di qualità ambientale per la fruizione dei beni resi accessibili, specialmente in quelli situati nei parchi nazionali e nelle aree marine protette”. Chi si aggiudicherà la gara avrà in concessione l'edificio per un massimo di 50 anni; una volta scaduto il termine, il faro rientrerà nella disponibilità completa della Regione. Tutto all'insegna della

"sostenibilità ambientale”, pensata “per attrarre il turismo sostenibile".

 

Gli altri bandi

Ma non è la prima volta che l'Agenzia del Demanio s’impegna in progetti simili. Già nell'estate 2016, in sinergia con i ministeri di turno, aveva intrapreso con convinzione la strada della valorizzazione di un patrimonio abbandonato per lungo tempo a se stesso, chiedendo aiuto ai privati e stimolandone la voglia di fare impresa. E così, 20 “gioielli del mare” del litorale italiano erano stati affidati in concessione ancora una volta fino a un massimo di 50 anni. Solo qualche tempo prima, poi, prendeva vita la prima tranche di Valore Paese, progetto di rinascita dei fari (bandita a ottobre 2015), che aveva portato all'assegnazione di nove edifici, con incassi stimati oltre 6 milioni per gli affitti e altrettanti investiti dai privati per la riqualificazione delle strutture, molte destinate a confluire nel paniere del settore turistico-ricettivo, con evidenti risvolti occupazionali. Un sistema di recupero e tutela del patrimonio paesaggistico delle coste italiane che continua a raccogliere il favore del pubblico e che, ci auguriamo, possa prendere piede in un numero sempre maggiore di zone.

 

a cura di Michela Becchi

BIO*SAGRA For Kids 2017. A Roma 60 chef per la ricerca terapeutica infantile

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La manifestazione ospitata dall'Azienda Agricola Fattoria di Fiorano alle porte di Roma torna il 1 ottobre per aiutare la ricerca terapeutica infantile. E i protagonisti coinvolti sono sempre di più, così come le novità di questa quarta edizione. I nomi e il programma.

L'evento

Stessa formula, più adesioni. Per una manifestazione giunta ormai alla sua quarta edizione che, nella sua semplicità, ha trovato la chiave del successo. Prodotti genuini dell'orto, una cucina sana e lineare, e soprattutto un'atmosfera conviviale e familiare. All'insegna della solidarietà, ancora una volta con la raccolta fondi Onlus FKK per sostenere la ricerca del Dipartimento di Scienze Neurologiche dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, e non solo. La BIO*SAGRA torna il 1 ottobre, grazie alla generosità dei protagonisti della scena gastronomica romana, che da ormai 4 anni per un giorno si improvvisano venditori di strada negli spazi dell'Orto di Alberico. Tutti i fondi raccolti (41.983 euro nel 2016) saranno destinati alla ricerca sul ruolo terapeutico della dieta chetogenica nella cura dell'epilessia infantile farmacoresistente e altri tre nuovi progetti di beneficenza.

Le novità

Sì, perché il format e lo spirito restano invariati, ma gli obiettivi da raggiungere aumentano. Si aggiungono alla lista altri tre progetti, questa volta di carattere sociale e professionale, ancora legati al mondo dell'alimentazione. “Tutti in Fattoria” della Fondazione Hopen, rivolto a giovani disabili o affetti da malattie rare, con lo scopo di formarli nell'apprendimento di mestieri specifici, “Green Bar” della Cooperativa Sociale CEAS, un nuovo punto di aggregazione e formazione per minori vittime di abusi e maltrattamenti e con disabilità, che aprirà nel parco della comunità educativa L'Albero delle Mele di Mentana, e poi ancora “Bottega dei Talenti”, della Onlus Opera Nazionale per le Città dei Ragazzi, impegnata ad assicurare le risorse alla formazione professionale a vantaggio delle fasce deboli di giovani under 20.

Ma non finisce qui: da quest'anno, infatti, è possibile acquistare il biglietto di ingresso, dei laboratori e delle ricariche online sul sito dell'evento. Il costo d'ingresso è di 15 euro, e dà diritto a una Card con 5 acini valida per l’acquisto delle consumazioni alle varie postazioni, mentre la “ricarica” di acini ha un costo di 10€. I bambini di età inferiore ai 3 anni potranno, invece, entrare gratuitamente alla manifestazione.

I protagonisti e il programma

Crescono gli obiettivi, e aumenta di pari passo il numero degli chef e dei ristoratori che scelgono di aderire al progetto. Oltre 60 personaggi noti del panorama romano e laziale, da Heinz Beck a Cristina Bowerman, da Francesco Apreda a Iside de Cesare, da Kotaro Noda a Lele Usai, e poi ancora Roy Caceres, Giulio Terrinoni, Luigi Nastri, Claudio Gargioli, Carla Trimani, Maria Paolillo, e molto altri i professionisti impegnati a deliziare il palato dei visitatori e sostenere la ricerca. Ma non solo chef: presenti anche gelatieri e pizzaioli, fornai e operatori del settore dello street food. Per un programma fitto di appuntamenti, laboratori e attività. A cominciare da quelle ludiche e didattiche pensate per i più piccoli, da svolgere insieme ai propri genitori, come la realizzazione di mosaici con legumi e pasta, la costruzione di strumenti musicali con materiali di riciclo e la realizzazione di un orto gelato con un mastro gelatiere. E poi esperimenti scientifici, giochi e momenti di condivisione curati da Il programma della Giornata di Beneficenza. Non mancheranno, inoltre, spettacoli e sorprese, musica e un teatro dei burattini.

I protagonisti

All’Oro – Riccardo Di Giacinto
Aminta – Marco Bottega
Armando al Pantheon – Claudio Gargioli
Bistrot 64 – Kotaro Noda e Giacomo Zezza
Chinappi Roma – Federico del Monte
Convivio Troiani – Angelo Troiani
Coromandel – Ornella de Felice
Ditirambo – Alessandra Bottoni
Enoteca Achilli al Parlamento – Massimo Viglietti
Enoteca Ferrara – Maria Paolillo
Essenza – Simone Nardoni
Flower Burger – Fabrizio Verga
Fonzie the Burger’s House – David e Daniel Gay
Freddo, gelato artigianale
Frutta Nuda, marmellata artigianale dalle 15:30
Glass Hostaria – Cristina Bowerman
G like Gelato, gelato artigianale dalle 15:30
Grano – Danilo Frisone
Il Sorì – Pasquale Paky Livieri
Il Tino – Lele Usai
Imago all’Hassler – Francesco Apreda
La Baia di Fregene – Benny Gili
La Barrique – Antonello Magliari
La Ciambella bar à vin con cucina – Francesca Ciucci
La Galleria di Sopra – Claudio Carfagna
La Gatta Mangiona – Giancarlo Casa
La Parolina – Iside de Cesare
La Pergola Roma – Heinz Beck
La Portineria – Gianluca Forino
La Punta Expendio de Agave con Cocina – Sarah Bugiada, aperitivo dalle 16:30
Le Bon Ton Catering – Giovanni Terracina e Dario Bascetta Greco
L’Orto di Alberico – Cesare Ansuini
L’Oste della Bon’ora – Maria Luisa Zaia
Livello1 – Mirko di Mattia
Mazzo – Francesca Barreca e Marco Baccanelli
Meglio Fresco – Maria Laura Sales
Metamorfosi – Roy Caceres
Osteria dell’Orologio – Marco Claroni
Osteria di Monteverde – Roberto Campitelli
Osteria Fernanda – Davide del Duca e Luca Carucci
Oyster Oasis – Corrado Tenace, aperitivo dalle 16:30
Panificio Bonci – Gabriele Bonci e i Bonci Boys
Pasticceria Bompiani – Walter Musco
Pasticceria De Bellis – Andrea de Bellis
Pastificio Mauro Secondi – Mauro Secondi
Per me – Giulio Terrinoni
Pomodori Verdi Fritti – Francesco Ghislandi
Prelibato – Stefano Preli
Pro Loco Dol Centocelle – Vincenzo Mancino
Red Fish – Antonio Gentile
Retrobottega – Alessandro Miocchi e Giuseppe Lo Iudice
Romeo Chef & Baker – Cristina Bowerman
Santi Sebastiano e Valentino – Valerio Coltellacci
Selezione Boccoli – Luca Boccoli, aperitivo dalle 16:30
Severance – Paola Tomasiello e Angelo de Vita
Spirito DiVino – Eliana Vigneti Catalani
Stazione di Posta – Luigi Nastri
Steccolecco, gelato artigianale dalle 15:30
Supplizio – Arcangelo Dandini
Tastevin – Michele Massaro
Tischi Toschi – Alessio Casablanca
Tordomatto – Adriano Baldassare
Trapizzino – Stefano Callegari
Trattoria Epiro – Matteo Baldi e Marco Mattana
Trattoria Santopalato – Sarah Cicolini
Trimani Wine Bar – Carla Trimani
White Ricevimenti – Lino Menichetti

BIO*SAGRA For Kids | Roma | Orto di Alberico, via di Fioranello | 1 ottobre 2017 | ingresso 15 euro | www.biosagraforkids.it

a cura di Michela Becchi

Chef in vacanza. 5 ristoranti in Francia provati da Christian Milone

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Da Pinerolo a Parigi: un viaggio on the road alla scoperta delle migliori tavole del sud della Francia. Un tour a tutto gusto, guidati da Christian Milone della Trattoria Zappatori di Pinerolo.

Non un viaggi, ma tanti piccoli tour per conoscere, in modo approfondito, il sud della Francia. Nei suoi paesaggi, ma anche nelle sue più belle espressioni gastronomiche. Che in questa parte di Francia sono moltissimi. Così i 4 suggerimenti che abbiamo chiesto sono diventati 5, con una tappa (imperdibile) anche a Parigi.

Christian Milone. trattoria zappatori

Christian Milone

C'era una volta un ragazzo pestifero che ha messo sottosopra il tranquillo ristorante di famiglia, a Pinerolo, per farne una meta gourmet con la creazione della famosa Gastronavicella, quel cubo di vetro che movimenta l'architettura primo '800 che la ospita, così come i nuovi piatti han fatto con il vecchio menu. Oggi quel ragazzo, non ancora quarantenne, conferma il suo talento ed esprime in modo sempre più centrato la sua indole dosando con sapienza le spinte creative al servizio di una tradizione – la sua – pienamente elaborata. Ardito ma mai sbilanciato, sfrontato nell'affrontare i classici regionali trasformandoli talvolta oppure replicandoli filologicamente, si rimpalla tra intuizioni argute, cura del packaging, e una cucina che preme il pedale del'acceleratore e che si alimenta di progetti in atto o ancora da compiere. Prova ne sia il Hafa Cafè, il locale di cucina torinese-marocchina a un passo dal mercato di Porta Palazzo nel capoluogo piemontese, e il progetto di un trasferimento in aperta campagna dove vivere in pieno quel pas de deux tra grandi classici e avanguardia.

Trattoria Zappatori | Pinerolo (TO) | Corso Torino, 34 | tel. 0121 374158 | http://www.trattoriazappatori.it/

Hafa Storie | Torino | Galleria Umberto I 10/13 | tel. 011/19486765 | www.hafastorie.it

 

Il viaggio

Il mio non è stato un solo viaggio, ma tanti viaggi. Non sono stato in vacanza, ma giro il sud della Francia con regolarità da diversi mesi, ogni volta provando dei ristoranti: l'inverno scorso ho deciso di recuperare il gap e allora appena posso prendo la macchina e varco il confine. Ho girato tutto quel che mi sembrava giusto girare, spingendomi (per ora) al massimo a Parigi, e provato quel che mi pareva giusto provare. Il mio dunque è un continuo viaggio di aggiornamento alla scoperta della migliore cucina francese.

 

Bras

Le Suquet

Partiamo dall'attualità: Le Suquet (salito agli onori della cronaca, recentemente, non per la sua cucina, ma per la scelta di Sebastien Bras di rinunciare alle Tre Stelle, che il ristorante fondato dal padre Michel nel 1992 detiene dal 1999). Il motivo del mio consiglio? Per l'altipiano dell'Aubrac, dove si trova il ristorante: un luogo bellissimo, incontaminato, immerso nel verde come piace a me. Per il ristorante: è incredibile, è stato costruito negli anni '90... quanto era avanti Michel Bras. E poi comunque per il cibo, si mangia molto bene, pochi fronzoli, una cucina molto piacevole un classico che non può mancare.

Le Suquet | Francia | Laguiole | Route de l’aubrac | tel. +33 5 65 51 18 20 | http://www.bras.fr/fr/

 

Pavillon Ledoyen

Pavillon Ledoyen

In questo momento per me è il migliore, quello in cui sono stato meglio da ogni punto di vista: location, servizio, cibo. Tra i francesi è quello più aperto a tutto il mondo, il posto che è uscito di più dai canoni della cucina francese, che accoglie più suggestioni da fuori. Infatti è evidente un'impronta italiana molto, molto forte. Un richiamo inconfondibile. Nonostante questo, però, è un posto che comunque ti dà tutto quello che ti aspetti da un ristorante francese. Fantastico.

Pavillon Ledoyen | Francia | Parigi | 8 Avenue Dutuit | tel. +33 1 53 05 10 00| http://www.yannick-alleno.com/fr/restaurants-reservation/alleno/restaurant-3-etoiles-paris.html

 

Troigros

Troigros

Ho trovato diversi ristoranti francesi che rivelano un'impronta italiana, tra questi anche quello anche dei fratelli Troigrois. Non posso non consigliare anche loro. Per la cucina, certo, ma anche per il coraggio che hanno avuto di spostarsi, dopo 50 anni di attività, dal centro della città in campagna. È una location nel verde, con tutti i caratteri della campagna: arrivi e le prime cose che vedi sono il pollaio, la stalla per le capre, solo dopo noti la porta del ristorante. Pensa quanto hanno sparigliato le carte e sovvertito le regole classiche di un Tre Stelle. Anche per loro la cucina è pienamente francese, ma aperta all'esterno, con influenze italiane e orientali. È un posto bellissimo, dove andare assolutamente.

Troisgros | Francia | Ouches| 728 Route de Villerest | tel. +33 04 77 71 66 97| https://www.troisgros.fr/accueil

 

Serve Vieira

Restaurant Serge Veira

A livello di tecnica, precisione, gesto per me è il numero uno: la sua serie di amuse bouche sono una spanna superiore a qualsiasi altro che abbia avuto l'occasione di mangiare. E per questo non potevo non consigliare anche il ristorante di Serve Vieira. Se poi ci aggiungi uno spazio bellissimo e un ristorante curato nei minimi particolari il gioco è fatto. Imperdibile.

Restaurant Serge Vieira | Francia | Chaudes-Aigues | Le Château du Couffour | tel. +33 4 71 20 73 85 | www.sergevieira.com

 

flocons de sel

Flocons de Sel

Bisogna assolutamente andare in alta Savoia da Emmanuel Renaut. Perché è un esempio di come si può interpretare una cucina di montagna, decontestualizzandola quasi totalmente dal luogo in cui si mangia: ma rimanendo comunque perfettamente coerente. Del resto lui è uno che la montagna la vive pienamente, e i piatti ne risentono: i prodotti che porta in tavola raccontano spesso quell'angolo di mondo. Ad appena 2 chilometri dal centro di Megève, sulle alture di Rochebrune. Una cosa da non lasciarsi fuggire? I migliori fondi francesi che ho provato quest'anno in Francia li ho mangiati da lui.

Flocons de Sel | Francia | Megève | 1775, Route du Leutaz | tel. +33 4 50 21 49 99| http://www.floconsdesel.com/fr/

 

a cura di Antonella De Santis

 

Chef in vacanza. 4 ristoranti a Stoccolma e Copenaghen secondo Ciro Scamardella

Chef in vacanza. 4 ristoranti a New York secondo il Magorabin Marcello Trentini

Chef in vacanza. 4 ristoranti in Portogallo secondo John Regefalk

Chef in vacanza. 5 (+4) ristoranti in Estremo Oriente secondo Eugenio Boer

 

 

 
 

Airbnb Experiences. Come cambia il turismo gastronomico grazie al portale di viaggio più famoso del mondo

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Non solo la camera più economica, ma pure la prenotazione al ristorante e l’esperienza “mani in pasta” per scoprire le eccellenze made in Italy, con la guida di artigiani, chef, designer. Le esperienze di Airbnb esordiscono a Milano. 

Ben oltre l’essere uno strumento di servizio, Airbnb ha finito per identificare una comunità che ama viaggiare con la curiosità di chi si muove a caccia di esperienze, cercando la complicità degli abitanti del posto. Non solo quindi una piattaforma per procacciarsi l’alloggio più conveniente, ma un’opportunità per conoscere nuove persone (almeno quando la finalità del portale non è distorta dal mero desiderio dell’host di “arricchirsi” sfruttando qualche stanza sfitta). E un’alternativa valida al circuito dell’ospitalità convenzionale, che infatti, a più riprese, lamenta la concorrenza sleale del portale. Dal canto suo, proprio come l’altro discusso fenomeno che più ha modificato la fruibilità delle grandi città di tutto il mondo - Uber – anche Airbnb ha più volte rimodulato il proprio perimetro d’azione, intuendo, per esempio, le potenzialità del cibo e dei servizi ad esso correlati.

Airbnb ti porta al ristorante

Il sistema di prenotazione online di un ristorante è banalmente il traguardo più scontato: da qualche giorno, ma solo negli Stati Uniti (nelle 16 capitali gastronomiche più interessanti del Paese, da New York a Los Angeles, a San Francisco), Airbnb offre la possibilità di prenotare in app i ristoranti affiliati al circuito Resy, indirizzando la ricerca per tipologia di cucina, orario, distanza, opzioni personalizzabili. E probabilmente il servizio è destinato a espandersi rapidamente in Europa, anche perché i dati degli ultimi report parlano chiaro: il grande merito di Airbnb è quello di aver favorito l’ascesa di un turismo meno massificato, che ama uscire dalle rotte prestabilite, e spesso si muove in esplorazione di quartieri meno centrali delle grandi città, dove ha trovato alloggio. A Roma, per esempio, si calcola che solo i viaggiatori del circuito Airbnb abbiano speso, nel 2016, 257 milioni di euro nei ristoranti della città. Un bel dato considerando l’indotto globale di 6 miliardi e mezzo distribuito in 44 destinazioni -  di cui 2,5 nelle principali città d’Europa -  e tanto più significativo se pensiamo che buona parte delle spese degli ospiti avviene nell’ambito del quartiere in cui soggiornano, offrendo nuovo slancio ad attività che per la prima volta si trovano a confronto con il turismo internazionale.

Le esperienze di Airbnb in Italia

L’equazione, a questo punto, propone una variabile in più: l’Airbnb Experience. Il progetto è nato alla fine del 2016 a Los Angeles, oggi è attivo in oltre 35 città del mondo, e in Italia già operativo a Firenze, Roma (dalla primavera 2017), Milano, dove ha esordito appena una settimana fa. Di fatto, proprio per valorizzare le potenzialità della comunità Airbnb, la piattaforma offre ai viaggiatori un’esperienza tagliata sui propri desideri, che li accompagni a una scoperta quanto più autentica possibile delle eccellenze della città. Con il made in Italy che tanti stranieri anelano di scoprire da vicino il gioco è semplice: atelier di moda, gallerie d’arte e design, ristoranti, mercati, scampagnate in vigna e sul lago, laboratori di cucina e pasticceria sono i punti cardinali delle esperienze di uno o più giorni proposte dagli host più creativi. Prenotare è altrettanto semplice: una pagina dedicata, per ciascuna città, raccoglie i pacchetti attivi, selezionabili per data e tipologia. Per ognuno l’ospite si è preoccupato di definire prezzo e programma dettagliato. A Milano, a pochi giorni dall’esordio, le offerte sono già più di 50, molte hanno a che fare con il cibo. E tra gli annunci spunta anche qualche sorpresa.

Il turismo gastronomico. Come cambia

C’è Davide Longoni, per esempio, che propone ai suoi ospiti di mettere le mani in pasta, partecipando a una lezione di panificazione all’Accademia del Panino Italiano (70 euro a persona, con assaggio). E poi le attività del Wooding Lab di Valeria Mosca, per imparare a miscelare un drink di wild mixology nel nuovo spazio di Isola. O il minicorso di gelato proposto dalla Gelateria Rigoletto. E fuori città, per 100 euro, una giornata alla Tenuta Colombara per scoprire dove viene prodotto il riso Acquerello. Ancora passeggiate alla scoperta dei mercati rionali, tour notturni della città con tappe gourmet, passeggiate tra le vigne della Valpolicella, degustazioni di vini naturali. Al termine dell’esperienza gli ospiti lasciano i propri feedback. La visibilità dello strumento è indubbiamente elevata, specie presso i viaggiatori stranieri, e a intuire le potenzialità della nuova vetrina sono già in molti. Così, dopo aver rivoluzionato il mercato dell’ospitalità, Airbnb promette di gestire in modo sempre più capillare il nostro modo di viaggiare. Turismo gastronomico compreso.

 

a cura di Livia Montagnoli

Foto dell'Accademia del Panino Italiano

Fuoco! Food Festival. Nel bosco di Buccheri 30 chef addomesticano il fuoco

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Alla seconda edizione, il festival che promuove la cultura dei Monti Iblei lancia la sfida a chef in arrivo da tutta la Sicilia e la Penisola: cucinare nel bosco, solo con fuoco, braci, griglie e cotture sotto la terra. Un ritorno alla cucina naturale per raccontare il territorio ibleo. 

Il fuoco vivo. Trasformare la materia

L'esigenza di promuovere il territorio italiano come sistema integrato e coerente di tradizioni, prodotti, storie e paesaggi le une collegate agli altri è finalmente un dato assodato in molte regioni della Penisola. Come farlo con originalità, però, è un altro paio di maniche. Fuoco! Food Festival è un'occasione insolita per scoprire un'area del siracusano che in quanto ad attrattive da offrire non teme confronti, tra Palazzolo Acreide, Buccheri e Sortino. La giornata clou dell'evento si concentra sabato 30 settembre, nel bosco di Buccheri, sui Monti Iblei. E come anticipa il nome, l'elemento che darà il là all'incontro tra cucina e territorio, chef e produttori, sarà il fuoco. L'idea è venuta un anno fa a Daniele Miccione (SiciliAmore), e quest'anno si replica. Che il fuoco sia l'elemento che l'uomo utilizza da secoli  - l'aggettivo primordiale in questo caso non sembra azzardato – per  trasformare la materia commestibile a proprio piacimento non è una novità. Michael Pollan, a tal proposito, sarebbe indubbiamente più esaustivo (uno dei tanti buoni motivi per leggere Cotto – Storia Naturale della trasformazione, o almeno guardare la miniserie Cooked prodotta da Netflix con la sua complicità). E trovare un cuoco davanti ai fornelli non stupisce proprio nessuno. Ma se il cuoco lo porti nel bosco, chiedendogli di cucinare senza attrezzature moderne, rooner e futuristici ritrovati tecnologici, all'aria aperta, nel bel mezzo di un happening gastronomico dove l'obiettivo è proprio quello di condividere idee, sudore, spensieratezza e ottimi assaggi, ecco che il gioco si fa più difficile. E l'opportunità di trascorrere una giornata fuori dal comune davvero elevata.

Fuoco! Chi partecipa

Sotto questa prospettiva, poco conta il gioco delle parti, grandi chef e piccoli produttori di turno, perché tutti i partecipanti si confrontano con qualcosa di nuovo. Però il parterre è quello delle grandi occasioni, con oltre 30 cuochi in arrivo da tutta Italia, perché esserci è una bella soddisfazione per tutti, dai rappresentanti più conosciuti della ristorazione isolana (Pino Cuttaia, Carmelo Floridia, Tony Lo Coco, Bonetta Dall'Oglio, Ninni Radicini, Giovanni Santoro; Ciccio Sultano, invece, ha preso parte alla prima edizione, quest'anno sarà presente con l'Aia Gaia) agli ospiti dall'Italia della moderna cucina d'autore (Diego Rossi, Cesare Battisti e Luca De Santi, Takeshi Iwai, Cinzia Mancini), ai pasticceri come Vincenzo Tiri. Ben rappresentata anche la compagine dei pizzaioli, con Franco Pepe e Renato Bosco, e nutrito il gruppo di artigiani/produttori, divulgatori del cibo naturale, da Giuseppe Zen a Valeria Mosca (che guiderà una passeggiata alla scoperta delle erbe selvatiche) a Giuseppe Grasso, con la sua carne da pascolo siciliana di Alleva.Bio. Ai fuochi Mattia Angius e Sebastiano Formica, che condurrà anche un laboratorio sull'addomesticamento del fuoco.

Assaggi nel bosco

Ma cosa succederà, dalle 10 alle 19, nel bosco della Contessa di Buccheri? A disposizione dei partecipanti solo braci, griglie, pietre vulcaniche, tegole, anfore, ma pure le cotture sotto terra sono ben accette. In “dispensa” i prodotti del territorio, con una rappresentanza di 30 piccoli produttori locali e 10 cantine da tutta la Sicilia a sostenere la rassegna, e allietare gli ospiti (biglietti solo su prenotazione, 50 euro per l'intera esperienza, dalla degustazione ai laboratori). Il ritmo è quello lento e scenografico insieme del crepitio del fuoco, spezzato da fiammate vive al bisogno. Sulla brace rosola il cibo, il profumo aleggia nell'aria. E quella cucina che ha finito per dipingersi impostata e poco empatica a favore di telecamera torna a essere spontanea. Intorno ci sono i paesi dei Monti Iblei che si raccontano, le chiese aperte di Buccheri, che come molti edifici dell'area di solito restano chiuse per mancanza di risorse. A Sortino, nel frattempo, il 30 settembre e 1 ottobre, piazza Quattro Canti si trasforma nel regno del miele, con la partecipazione di Vincenzo Tiri, Roberto di Pinto, Mariasole Cuomo, Mattia Angius, Adriano Iemmolo, Virgilio Valenti. L'anno scorso, partita in sordina, la manifestazione ha superato le aspettative, facendo molto parlare di sé. Quest'anno sono in vendita 100 biglietti, il ricavato finanzierà l'organizzazione di corsi sulla filiera agroalimentare per i giovani imprenditori. Fortunato chi ci sarà.

Fuoco! | Buccheri (SR) | il 30 settembre 2017 | www.fuocofoodfestival.it 

 

a cura di Livia Montagnoli

 

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