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Chef in vacanza. 5 (+3) ristoranti in Estremo Oriente secondo Eugenio Boer

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In Estremo Oriente con Eugenio Boer, alla scoperta delle migliori tavole di Bangkok, Bali, Singapore. Un tour tra cucine di diverse ispirazioni e di stili eterogenei.

Eugenio Boer

È l'olandese di Milano, anche se nei Paesi Bassi è stato solo fino a 7 anni d'età. Un padre appassionato di grandi ristoranti e una nonna che dà l'imprinting casalingo, e un interesse per la cucina, non solo goduta ma anche praticata, che si manifesta già in età scolare. Tant'è che fa le prime esperienze nei ristorati nemmeno adolescente, nei pomeriggi dopo la scuola. Oggi Eugenio Boer, piedi ben piantati nelle sue radici siculo-liguri-olandesi) e nelle molte esperienze che hanno accompagnato nel suo percorso (Alberto Rizzo dell'Osteria dei Vespri, Kolja Kleeberg di Vau a Berlino, Gaetano Trovato di Arnolfo, Norbert Niderkofler del St. Hubertus su tutti) è una delle voci più interessanti della Milano gastronomica, con il suo Essenza. Un posto in cui mette in scena la sua vicenda, personale e professionale, senza falsi pudori. Lavora con la memoria e lo dice apertamente, come cita apertamente maestri ed esperienze in quei piatti che sono, prima di tutto, buoni. Godibili, immediati, seppur mai banali. Con quel mix eterogeneo di suggestioni e input diversi che trova senza fatica una sua armonia. Insomma: una cucina in cui la complessità non è un limite, ma un valore.

Essenza | Milano | via Marghera, 34 | tel. 02.4986865 | www.essenzaristorante.it

Il viaggio

Il viaggio di quest’anno è stato in Asia, non tutta ovviamente, ma è stato comunque un giro particolarmente ricco. Un viaggio mano nella mano (e nel piatto!) con la mia compagna Federica, un suo “regalo”, in quanto lei aveva già visitato in passato questa parte dell’Asia, per cui la scoperta è stata ancora più interessante. Prima tappa Bangkok, proseguendo poi in Indonesia e infine a Singapore.

Inutile dire che i luoghi ci hanno lasciato a bocca aperta, figli di una cultura così diversa ma penetrante e affascinante, ma la cosa che più mi ha colpito, è stata la grande cura nella proposta dei ristoranti di alta cucina. Non ci hanno infatti solo ampiamente soddisfatto, ma hanno superato le mie aspettative sotto ogni punto di vista, dal cibo, alla proposta vini, alla grandissima accoglienza e servizio in sala, sino alla bellezza delle singole location.

Sceglierne 4 era impossibile e infatti ne segnalo 5, e anche così non è stato facile. Se dovessi parlare poi della proposta street food avrei bisogno di scrivere un libro: i colori e i profumi delle innumerevoli proposte prét-à-porter incontrate per le strade di queste nazioni meriterebbero tempo per essere raccontate nel dettaglio e con dovizia di particolari.

Bangkok

Ogni porta a Bangkok, e non solo, si apre quando si è amici dei coniugi Manuela Fissore e Thomas Barker. A loro dobbiamo molta parte delle nostre esperienze gastronomiche di questa vacanza.

Restaurant Sühring a Bangkok

Restaurant Sühring

Appena entrati in questa villa del 1970 ci si sente subito a casa. I ragazzi di sala, capitanati dal sommelier francese Benoit Bigot, ti fanno accomodare in una delle tre sale del ristorante: il “Wintergarten” è una stanza di vetro in mezzo al verde, un vero e proprio giardino d’inverno, che permette di vivere un'esperienza meravigliosa circondati da una vegetazione rigogliosa (che in una sera piovosa come quella che abbiamo trovato noi, ci ha incollati pieni di felicità in quella parte della casa). C’è poi la “Wohnzimmer”, la sala da pranzo, e infine la “Kuche”, la cucina dove si ha la possibilità di cenare davanti al passe e agli chef Thomas e Mathias. Due chef, due CV di tutto rispetto “directly from” Germania, con esperienze in Olanda, passando per l’Italia di Heinz Beck a Roma (e la loro bravissima brigata).

Ovviamente io e la mia dolce metà non potevamo che optare per il menu degustazione più lungo, e, una volta scelta la bottiglia di vino che ci avrebbe accompagnato per la cena insieme al bravissimo Benoit, è iniziata la successione inebriante di piatti di cucina gastronomica tedesca. D’altronde a BKK cosa volevi mangiare se non cucina tedesca? Scherzi a parte, è stata una cena sensazionale: gusti nitidi, tecniche perfettamente eseguite, abbinamenti di sapori precisissimi, tempistica, insomma non vogliamo rovinarvi la sorpresa… andateci!!!

Restaurant Sühring| Thailandia | Bangkok | Chongnonsi, Yannawa | No.10, Yen Akat Soi 3 | teel. +66 2-287-1799 | www.restaurantsuhring.com

 

Sala del ristorante Gaggan a Bangkok

Gaggan

Partendo dal presupposto che Gaggan Anand è N°1 nell’Asia’s 50 Best Restaurant e N°7 nella World 50 Best Restaurant potremmo anche non raccontare nulla, ma non lo faremo. Avendo avuto modo di conoscerlo, durante l’evento Le Strade della Mozzarella di quest’anno, e avendomi colpito per il suo esplosivo buon umore (e per una curiosità che neanche un bambino avrebbe), avevo preannunciato il mio arrivo a Bangkok e ovviamente nel suo ristorante.

All’arrivo alla meta ahimé non ho avuto il piacere di incontrarlo nuovamente, in quanto lui e la sua famiglia erano partiti per la Finlandia lo stesso giorno in cui noi eravamo arrivati a Bangkok. In ogni caso tutto è stato perfetto, dall’accoglienza dell’immenso - in tutti i sensi - Vladimir Kojic, sommelier di rara bravura, alla sala organizzata come un orologio svizzero, ai bravissimi ragazzi dello Chef Table (nel soppalco di questa villa in stile coloniale con il soffitto di vetro). Il ristorante si trova in una piccola via di Lumphini, quartiere residenziale di BKK che già dal nome fa simpatia, come il menù degustazione raccolto in una sequenza di 25 emojis che esprimono al massimo la Moderna Cucina Indiana secondo il loro profeta Gaggan Anand.

Gaggan | Thailandia | Bangkok | Lumphini | No.68/1 Soi Lngsuan, Ploenchit Road | tel. +66 2-652-1700 | www.eatatgaggan.com

N.B.: se andate a BKK non potete non andare a mangiare Thai quindi dovete andare da Bo.lan (24 Soi Sukhumvit 53, Klongtonnua, Wattana Bangkok +66 2-22-60-2962 www.bolan.co.th) e nella loro trattoria Err-Urban Rustic Thai (394/35 Maha Rat Rd, Khwaeng Phra Borom Maha Ratchawang, Khet Phra Nakhon, Krung Thep Maha Nakhon 10200, Bangkok +66 2-622-2291 www.errbkk.com) qui troverete i gusti della Thailandia nudi e crudi con prodotti organici selezionati con un’enorme cura, e se non vi piace lo spicy state alla larga!!! Poi se avete voglia di una serata internazionale con gusti da tutto il mondo in un contesto industrial con cocktail incredibili e piatti pazzeschi non potete non andare a trovare lo chef Cameron Barker al Quince (45 Sukhumvit Rd, Khlong Toei Nuea, Khet Watthana, Krung Thep Maha Nakhon 10110, Bagkok +66 2-662-4478 www.quincebangkok.com).

 

Indonesia-Ubud

Locavore Restaurant in Indonesia-Ubud

Locavore Restaurant

Questi tre ragazzi: Eelke – olandese - Ray e Adi – indonesiani - hanno monopolizzato una via della ridente cittadina di Ubud con un’offerta trasversale mirata all’eccellenza e all’utilizzo di tutti prodotti esclusivamente dell’isola, bio e di piccolissime realtà che credono in un progetto comune di valorizzazione del territorio. E in questo caso il monopolio è sicuramente un’accezione più che positiva. Ci sono: un cocktail bardi altissimo livello, il Night Rooster, dove abbiamo bevuto un drink memorabile prima di cena, il bistrot To Go (l’unico che non abbiamo provato), il Delil, una salumeria dove abbiamo mangiato un'ottima coppa e un prosciutto crudo degno di nota (tutto prodotto con maiali locali di una piccola azienda agricola) e il Nusantara, che in javanese antico significa arcipelago, dove esprimono appunto la cucina tipica indonesiana e dove noi felicemente e immancabilmente ci siamo concessi una cena. Rapporto qualità prezzo spaventoso, un’identità fortissima e una voglia di far bene che andrebbe esportata in pillole.

Locavore Restaurant | Indonesia | Bali | Kapupaten Gianyar | Jalan Dewisita No.10, Ubud | tel. +62 3-619-777-33 | www.locavore.co.id

 

Singapore

Particolare del ristorante André a Singapore

André

La serata che abbiamo trascorso da André Chiang è stata davvero incredibile, sotto ogni profilo possibile e immaginabile. Il ristorante si trova in una palazzina di tre piani in chiaro stile coloniale, incastonata nello skyline di Singapore, come un gioiello senza tempo. La cucina di Chiang si esprime al meglio nel suo percorso di degustazione chiamatoOcthaphilosophy. Questo concetto gioca sulle otto parole chiave per lo chef nel suo processo creativo e rappresentano al meglio la sua cucina. Unico, Puro, Consistenza, Memoria, Salato, Sud, Artigianale e Territorio. Credetemi, un’emozione dietro l’altra, accompagnata da un’eleganza nel proporle davvero unica, un viaggio attraverso concetti estremamente personali che evidenziano la formazione francese e la transizione asiatica di Chiang. Lo chef nato a Taiwan, trasferitosi giovanissimo in Francia, ha lavorato accanto a giganti del calibro dei gemelli Pourcel, Barbot, Gagnaire, Robuchon e Troisgros per poi, a 30 anni, ritornare in Asia e riscoprire le sue radici. Il risultato di questa equazione? Venite qui per trovarlo, no?

Restaurant André | Singapore | 41 Bukit Pasoh Road | tel. +65 6534-8880 | www.restaurantandre.com

 

Sala del ristorante Odette a Singapore

Odette

Come gestire un Qui Pro Quo? Chiedere a Steve Mason, il Restaurant Manager, e tutto lo staff di Odette! Per farvela breve avevamo il tavolo gentilmente prenotato dai sopracitati amici e gemelli Sühring, per la sera del 25 agosto, ma, non si sa come, la prenotazione risultava per il 25 settembre (magari potessimo ritornarci!!!). Magicamente Steve, in linea diretta con chef Julien, ha “creato” un tavolo in cucina (tutto per noi) e “les jeux sont faits”. Tutti, dal primo all’ultimo, sorridenti e fantastici, come i piatti dello chef Julien Royer, servitici in cucina da una brigata giovanissima e super entusiasta capitanata dal sous-chef Adam Wan. Cucina francese eseguita perfettamente e con grandissima personalità e modernità, un incalzare di gusti familiari ma declinati con grande classe. Se l’intento è quello di dare la sicurezza dei gusti di casa - Odette è il nome della nonna dello chef - in chiave moderna, dato che il ristorante è dentro alla National Gallery, ci sono riusciti alla grande, oltretutto approfittatene per fare una visita: è davvero bella.

Odette | Singapore | 1 Saint Andrew’s Road 01/04 | National Gallery | tel. +65 6385-0498 | www.odetterestaurant.com

 

a cura di Antonella De Santis

 

 

European Beer Star 2017. Tutte le medaglie per la birra italiana. Festeggia Birra Perugia, c'è anche Birra del Borgo

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La competizione annuale si è svolta a Monaco: a confronto oltre 2000 birre da 46 Paesi del mondo, e un buon risultato per l'Italia, che con 15 medaglie è terza nella classifica per nazioni, dopo Germania e Stati Uniti. Tutti i risultati, dalla doppietta di Birra Perugia all'oro per l'Enkir di Leonardo Di Vincenzo. 

Da 14 anni, l'European Beer Star racconta lo stato dell'arte della birra europea (e non solo). La competizione, che si tiene ogni anno in Germania, è di quelle che gli esperti del settore tengono in grande considerazione, e per questo è così prestigioso aggiudicarsi un riconoscimento da riportare a casa con merito. Tenendo presente che la partecipazione è aperta tanto a realtà artigianali che a gruppi industriali, infatti, i risultati sanciti dalla giuria di qualità forniscono sempre valide indicazioni per constatare l'ottimo stato di salute del comparto craft beer in Europa. E in Italia. Quest'anno, alla cerimonia di Monaco, erano presenti più di 2000 birrifici da 46 Paesi del mondo – una partecipazione in crescita del 2,2% rispetto all'edizione precedente – e i premi sono arrivati per 21 di loro. L'Italia, che nel 2016 aveva sbancato con ben 17 medaglie (il miglior risultato di sempre), registra 15 piazzamenti sul podio – 7 ori, 4 argenti e 4 bronzi - che evidenziano la vivacità del settore brassicolo nazionale, con pro e contro di sorta.

 

La birra artigianale in Italia

Se da un lato è importante rilevare come molte delle realtà artigianali maturate negli ultimi anni siano oggi sempre più a fuoco – e quindi quanto riescano ad alimentare un mercato di appassionati che sta uscendo dalla sua nicchia di consumo – dall'altro cresce la pressione dei grandi investitori stranieri, che ha già fatto “vittime” eccellenti sulla scena della craft beer italiana (Birra del Borgo prima, Birrificio del Ducato e Birradamare più di recente), con coda di polemiche dure a morire. Il rischio, per chi il settore della birra artigianale l'ha visto nascere e diventare grande, è che l'industria delle multinazionali posso spegnere il fermento della cultura craft – in Italia e all'estero, perché il fenomeno è globale – per controllarne ogni segmento, dall'approvigionamento delle materie prime alla produzione, alla distribuzione sul mercato (si legga, a tal proposito, l'interessante riflessione di Andrea Turco su Cronache di Birra).

 

L'Italia all'EBS 2017

Ma gli ultimi risultati dell'European Beer Star 2017 – come sempre organizzato per categorie e stili birrari – offrono un momento di respiro per festeggiare quanto di buono c'è nella Penisola della birra di qualità. La soddisfazione più grande, nello specifico, arriva dalle conferme: quest'anno, come nel 2016, Birrificio Perugia porta a casa due ori per Isterica (categoria sour beer) e Calibro 7 (Pale Ale New Style). Con le stesse etichette, il birrificio umbro nato nel 2013 per rinnovare la fama della storica Fabbrica Birra Perugia (fondata nel 1875, e poi passata alla produzione industriale alla fine degli anni Venti, prima di uscire dal mercato), aveva sbancato il botteghino l'anno scorso. E quanto la realtà che conta tra i suoi soci Antonio Boco (pure collaboratore del Gambero Rosso per la guida Vini d'Italia) sia solida e ambiziosa, lo dimostra anchela recente apertura dello spazio con cucina Società Anonima. Ma il Centro Italia festeggia un gran numero di riconoscimenti, a partire dall'ennesimo piazzamento dei ragazzi di MC77, da una Macerata che nell'ultimo anno ha dovuto fare i conti con le fratture del terremoto: per loro un oro per la Fleur Sofronia (tra le birre speziate, prima anche nel 2016) e un argento per la Witbier San Lorenzo. In Toscana, invece, esultano il Piccolo Birrificio Clandestino di Livorno e il Birrifico del Forte di Pietrasanta, oro per entrambi in diverse categorie. Mentre l'unica realtà che emerge a Sud è la calabrese 'A Magara di Nocera Terinese (CZ), bronzo con la porter Magarìa. Il resto della partita si gioca al Nord, tra storiche realtà come il birrificio lombardo Hammer di Villa d'Adda – oro nella categoria Ipa New Style con la Wave Runner – e il novarese Croce di Malto – argento con la Dubbel Magnus – e attori meno conosciuti, dal friulano Foglie d'erba alla piemontese Birra d'Elvo. Due medaglie, invece, finiscono a Bolzano città, con il microbirrificio Batzen premiato nelle categorie Kellerbier Dunkel (argento) e cereali alternativi (bronzo con la Whiskey Porter).

 

Oro per Birra del Borgo. Sul podio Enkir

Proprio nella categoria “miglior birra prodotta con cereali alternativi” festeggia Birra del Borgo, oro per una produzione consolidata come l'Enkir. Per i puristi del settore, è bene considerare la diversa collocazione del birrificio di Borgorose sul mercato, dopo l'acquisizione di Ab Inbev che fece tanto scalpore. Ma il riconoscimento è una conferma alla qualità del lavoro di Leonardo Di Vincenzo, che sugli stili alternativi e le sperimentazioni con le materie prime ha sempre scommesso. Una medaglia importante, per il birrificio reatino, era già arrivata nel 2014, a premiare con l'oro la Ipa Reale Extra.

 

Tutti i premiati italiani

 

Birrificio Perugia (Pontenuovo di Torgiano, PG)

Oro per Isterica (sour beer)

Oro per Calibro 7 (Pale Ale New Style)

 

MC77 (Serrapetrona, MC)

Oro per Fleur Sofronia (Birre speziate e piccanti)

Argento per San Lorenzo (Witbier)

 

Piccolo Birrificio Clandestino (Livorno)

Oro per S.Julienbach (Sour beer invecchiate in legno)

 

Birrificio del Forte (Pietrasanta, LU)

Oro per 2 Cilindri (Porter)

 

'A Magara (Nocera Terinese, CZ)

Bronzo per Magarìa (Porter)

 

Birra Elvo (Graglia, TO)

Argento per Elvo Schwarz (Schwarzbier)

 

Croce di Malto (Trecate, NO)

Argento per Magnus (Dubbel)

 

Foglie d'Erba (Forni di Sopra, UD)

Bronzo per Springtime Bitter (Pale Ale)

 

Hammer (Villa d'Adda, BG)

Oro per Wave Runner (India Pale Ale New Style)

 

Batzen (Bolzano)

Argento per Dunkel (Kellerbier Dunkel)

Bronzo per Whiskey Porter (cereali alternativi)

 

Birra del Borgo (Borgorose, RI)

Oro per Enkir (cereali alternativi)

 

Birrificio del Ducato

Bronzo per Mademoiselle (Amber Lager)

 

a cura di Livia Montagnoli

Pub a Torino. I 10 (+2) da non perdere

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Ci si va per le molte spine o per la scelta di bottiglie, per l'atmosfera grunge o per gli arredi vecchia Londra, per le patatine buonissime o per il gusto di passare dal produttore al consumatore in presa diretta. Sono i pub del cuore. Questi i nostri preferiti di Torino. Secondo voi quale manca?

10 pub + 2, per un totale di 12 locali che vale davvero la pena di provare nel capoluogo piemontese. Per l'atmosfera, la scelta delle birre, la selezione originale, la bellezza del giardino o la bontà delle patatine fritte. 12 indirizzi da segnare in agenda e testare il prima possibile.

La facciata di Open Baladin a Torino

Open Baladin - Petit Baladin

I locali sono due…ma il cappello che li copre è lo stesso, quello della più famosa birra artigianale piemontese, la Baladin, che produce birra dal 1986 ed è ormai un marchio diffuso a livello nazionale, e non solo. Il primo a vedere la luce è stato il Petit Baladin, un piccolo locale in cui l’atmosfera vintage la fa da padrona, nel cuore di San Salvario, il quartiere più alternativo della città a due passi da piazza Saluzzo. Il menù, già ottimo alla carta, dà il suo meglio con le “proposte del giorno”. Da provare le patate fritte, anzi, le ‘fatate’ (fatte a mo’ di chips), uno dei must targati Baladin. Il fratello ‘maggiore’ (ma lo è solo per dimensioni) è l’Open Baladin, una struttura più moderna che ha da poco compiuto i tre anni di attività, posta nel centro del piazzale Valdo Fusi. Il locale è nato recuperando una struttura inutilizzata dopo l’Olimpiade invernale del 2006, la cosiddetta ‘Casa Canada’, allora sede della delegazione canadese. L’idea di avere un luogo in cui diffondere una vera e propria cultura della birra artigianale risulta evidente dall’ampia scelta di etichette, alla spina e in bottiglia. Se si ama la tranquillità, meglio non andarci la sera nei weekend.

Petit Baladin | Torino | via Saluzzo, 21 | www.baladin.it/it/i-locali/petit-baladin-torino

Open Baladin | Torino | piazzale Valdo Fusi | www.baladin.it/it/i-locali/open-baladin-torino

 

Le spine del Birrificio Torino a Torino

Birrificio Torino

In una parte della città defilata dal centro - si trova nella zona Aurora, appena oltrepassata la Dora – è un birrificio (e non solo un pub) che presenta un’ottima scelta di birre artigianali prodotte in loco. L’Originale, una doppio malto bionda stile helles bock, corposa ed intensa, è la più bevuta; l’Aurora è una american IPA con sentori di agrumi e passion fruit davvero dissetante; la Masca è una scura, robust porter, prodotta con aggiunta di chicchi di caffè in fase di fermentazione. E ancora la Chellerina, la Rufus, la Clara, l’Augusta e la Speziata. Molto belle le caldaie in rame che si trovano proprio all’interno della sala principale, dietro il bancone. Interessante la possibilità di fare un tour guidato al birrificio con degustazione e cena compresa, mentre spesso si trova musica dal vivo, anche durante la settimana.

Birrificio Torino | Torino | via Parma, 30 | www.birrificiotorino.com

 

Roar Roads

In pieno centro, a due passi da via Po, questo ristopub propone un ambiente semplice, con tavoli di legno, un lungo bancone e la possibilità di cenare all’esterno. Il menù è classico, senza troppe pretese. Ma il punto forte del locale sono le birre alla spina, in particolare ci piace per le due birre corse più note: la Pietra, ambrata fatta con malto di farina di castagna, che le regala una nota amarognola con retrogusto di castagne arrosto, e la Colomba, una birra a bassa fermentazione, non filtrata, dal gusto fresco con note di corbezzolo, mirto, zenzero.

Roar Roads | Torino | via Carlo Alberto, 3 | tel. 011 8120171

 

L’Angolo DiVino

Ha aperto da pochi mesi – lo dimostra il fatto che, ancora, non c’è l’insegna – e a dispetto del nome qui a fare la parte del leone non è il vino, bensì la birra: un’eccellente birra italiana, la Theresianer, proposta in 6 diverse spillature. Dalla lager alla rossa doppio malto alla scura, anche se la migliore, è senza dubbio la IPA. L’aperitivo, servito dalle 18, è basato su prodotti tipici della Germania, che si possono anche acquistare, come anche il vino e la birra. Aperto dal martedì al sabato dalle 17 alle 21, questo piccolo locale sta trovando il proprio spazio nella proposta cittadina.

L’Angolo DiVino | Torino | via Ormea, 122 | info@langolodivino.torino.it

 

Birreria Petrarca

Questo locale è un vero e proprio pezzo di storia dei ritrovi di Torino: lo potremmo definire “l’ultimo giapponese” della San Salvario che fu, il luogo ideale in cui passare una serata birra&panino in un ambiente semplice e cordiale dove non ci sono divanetti, ma dure panche di legno. Prima di essere della birreria questi vecchi muri già ospitavano una “piola”. Oggi le etichette belghe sono il fulcro della proposta: Affligem, Duvel, Chimay, Westmalle, ma la scelta alla spina e in bottiglia è comunque ampia. Buone le focacce e ottimi i panini, con prezzi davvero onesti.

Birreria Petrarca | Torino | via F. Petrarca, 7/bis | tel. 011 650 8696

 

Six Nations Murphy’s Pub a Torino

Six Nations Murphy’s Pub

Quando si vuole vedere una partita di rugby, questo è il posto giusto, come suggerisce il nome, ispirato al torneo europeo “Sei Nazioni” di Rugby. Diverse sale interne, più o meno grandi, e un dehors, anch’esso con maxi-schermo dove rugby o calcio non mancano mai. I piatti si ispirano alla tradizione irlandese e anglosassone, e la selezione di birre conta oltre 60 etichette. Si possono trovare anche molti superalcolici, fra i quali decine di buoni whisky.

Six Nations Murphy’s Pub | Torino | corso Vittorio Emanuele II, 28

 

Le alette di pollo di Officine Ferroviarie a Torino

Officine Ferroviarie

Locale molto ampio su più piani, con una bella terrazza che dà direttamente sulla ferrovia, a pochi passi dalla stazione di Porta Nuova. E infatti sono molti i richiami ferroviari all’interno di questo spazio, a metà fra un lounge bar e una birreria, spesso molto affollato. Il menu è quello di un pub americano, con alette di pollo fritte e fish&chips degni di nota, così come le quattro birre artigianali.

Officine Ferroviarie | Torino | corso Germano Sommeiller, 12

 

Il dehors del Birrificio La Piazza a Torino

Birrificio La Piazza

Un solo nome per due locali diversi, accomunati dal fatto che, entrambi, rappresentano al meglio l’idea di beer garden in città. Il Brewpub, attivo dal 2007, si trova nella corte interna dell’ex conceria Fiorio, interamente ristrutturata e sede del progetto “Piazza dei Mestieri”, dove è possibile ascoltare musica dal vivo, assistere a spettacoli di cabaret o partecipare a laboratori e degustazioni.

Nel 2014 apre in via dei Mille un altro piccolo locale, aperto tutti i giorni dalle 12.30, con una caratteristica unica: il dehors si trova all’interno dei Giardini Balbo. Il cibo è discreto mentre le birre sono davvero ottime, in particolare la IPA e la Pils.

Birrificio La Piazza | Torino | via Durandi, 13 | tel. 011 19709642 - brewpub@piazzadeimestieri.it

via dei Mille, 20 | tel. 011 0203308 | viadeimilleventi@gmail.com

 

La sala del John Lennon’s Pub a Torino

John Lennon’s Pub

È l’atmosfera il punto forte di questo locale: due piani con carta da parati alle pareti, e arredi tipici degli storici pub inglesi, come le poltrone in legno con schienale in pelle. Al bancone, di fronte all’ingresso, ci sono ben 9 spine, in genere non inglesi, a dispetto dello stile del locale. Molto buoni anche i cocktail, mentre il menu è classico e senza troppe pretese. Il servizio è cortese.

Torino | corso Agnelli,160 | www.pubjohnlennontorino.com

 

Piper Pub

In una zona un po' periferica, un locale enorme, con centinaia di etichette di birre da ogni parte del mondo: è questa la caratteristica principale di questa birreria, meno interessante invece la proposta di cucina (e il servizio non si può considerare proprio rapido). Concentratevi dunque sul bere, e prendetevi tempo per consultare la carta, un vero e proprio libretto che farà la gioia degli appassionati. Lo stile è spartano: all’interno ci si siede su panche di legno in un'atmosfera che ricorda un po’ quella dei grandi tendoni dell’Oktoberfest, ma c'è anche un piccolo spazio esterno; spesso ci si deve mettere in coda, soprattutto nel weekend, ma anche quello rientra nello spirito del posto.

Piper Pub | Torino | via del Ridotto, 22 | www.piperpubtorino.it

 

a cura di Marco Cambiaghi

Il Rum è Servito, sesta edizione. La cena a Salerno, alla tavola di Emozionando

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Seconda tappa per il tour di Ron Zacapa, appena partito per onorare la sesta edizione dell'iniziativa che valorizza la cultura del rum attraverso l'esperienza gastronomica. Il 28 settembre, protagonista in tavola è la cucina di Nando Melileo. Ecco il menu. 

Ron Zacapa, il tour. Che prosegue incessante, attraversando in lungo e in largo la Penisola per raccontare la cultura del rum di qualità, di cui l'azienda guatemalteca si è fatta ambasciatrice nel mondo. Da qualche anno, siamo alla sesta edizione, Gambero Rosso e Ron Zacapa organizzano la rassegna Il Rum è Servito: un ciclo di cene presso alcuni tra più apprezzati ristoranti d'Italia (segnalati sulla guida ristoranti del Gambero Rosso), per sperimentare l'abbinamento a tutto pasto con il distillato sudamericano. E la complicità degli chef, messi alla prova per scovare il pairing perfetto, per concordanza o contrasto, è fondamentale per la buona riuscita delle serate. Un'esperienza gastronomica insolita, che finora si è rivelata vincente. E allora si prosegue, fino al mese di dicembre, con le tappe di un itinerario che toccherà grandi città e piccole località di provincia, purché la tavola sia quella di uno chef disposto a sfoderare tutta la sua creatività.

 

La seconda cena. Emozionando

È il caso di Nando Melileo, alla guida della cucina di Emozionando, a Salerno. Un nome, una missione, quella di emozionare l'ospite che siede alla tavola di Villa Setharè, con una proposta orientata alla valorizzazione delle materie prime del territorio: tanto pescato del Tirreno, i formaggi del Cilento, maiale nero calabrese e pasta di Gragnano, con buona padronanza delle cotture e originalità. Per l'appuntamento con Zacapa, il 28 settembre, lo chef campano metterà in scena un menu degustazione da quattro portate, in abbinamento con le tre varianti della gamma Ron Zacapa: Ron Zacapa 23 (morbido e sorprendentemente dolce, dai chiari sentori di frutta tropicale, vaniglia e mandorle), Ron Zacapa Edicion Negra - Solera Gran Reserva (ampio e complesso ma allo stesso tempo equilibrato) e Ron Zacapa XO (estremamente equilibrato, dai sentori di tabacco, caramello e cannella). È richiesta la prenotazione, direttamente ai recapiti del ristorante. Ecco il menu della serata:

 

Sfogliatella aperta al fior di ricotta di bufala crudo di gambero e valeriana

Zacapa 23

 

Riso Carnaroli mantecato al cacio, pepe e crudo di seppia e il suo zimino

Zacapa Edicion Negra

 

Mozzarella caduta a mare

Zacapa Edicion Negra 

 

Mousse al cioccolato fondente con croccantino alla nocciola e variazione al passion fruit

Zacapa X.O.

 

 

Emozionando | Salerno | via Montestella di Ogliara, traversa di fronte al civico 21 | tel. 089 2854945 / info@emozionandosalerno.it | www.emozionandosalerno.it

Per scoprire tutti i partecipanti all'iniziativa www.gamberorosso.it/it/ilrumeservito

 

 

Guida Pizzerie d'Italia 2018 del Gambero Rosso. Elenco dei migliori e dei premiati

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12 nuovi ingressi nei Tre Spicchi, 3 nelle Tre Rotelle. La scalata dei giovanissimi e le nuove imprese degli storici capiscuola. Sono solo alcune delle novità emerse dalla nuova guida Pizzerie d'Italia 2018 del Gambero Rosso.

Partiamo dai numeri e riavvolgiamo il nastro. La nostra avventura tra spicchi e rotelle inizia nel 2013 con qualche grande artigiano da raccontare, un vuoto generazionale da colmare e dei numeri non proprio confortanti. Soltanto 25 i Tre Spicchi sparsi per tutto lo Stivale, per non parlare delle Tre Rotelle, solo 5. E un'emergenza urlata su tutto il territorio: i giovani non vogliono fare i pizzaioli! Da allora il panorama è totalmente cambiato. I pizzaioli iniziano a fare ricerca su tecniche, stili e prodotti, emancipandosi da una condizione gregaria rispetto l'alta cucina. La pizza rimane sì un cibo popolare, semplice, ma finalmente risale il podio del gradimento e del prestigio. Arriviamo così alla quinta edizione di Pizzerie d'Italia, che regala una fotografia del mondo pizza completamente diversa.

 

I risultati della Guida Pizzerie d'Italia 2018: i Pizzaioli Emergenti

Riprendiamo a fare i conti: 54 Tre Spicchi e 10 Tre Rotelle. Un raddoppio secco che meglio di qualsiasi altra cosa racconta la crescita qualitativa del prodotto alimentare simbolo dell'Italia per eccellenza. E poi l'entusiasmo pulsante di un comparto che continua la sua ascesa all'impazzata, che si legge nell'aspetto forse più interessante emerso dalla nuova edizione della guida Pizzerie d'Italia: i giovani pizzaioli ci sono. La squadra degli under 30 della pizza cresce a vista d'occhio, riempie le pagine della nostra guida, le classifiche di altri canali specializzati con risultati entusiasmanti, talvolta sorprendenti. Dal Nord  al Sud, con un exploit incredibile in Campania. Basti pensare a nomi come Diego Vitagliano (nuovo ingresso in guida con ben 2 Spicchi), Isabella De Cham, Ciccio Vitiello, Salvatore Lioniello, Angelo Rumolo. O alla brava Roberta Esposito della Contrada di Aversa, premiata insieme aStefano Vola di Vola Bontà per Tutti (Santo Stefano Belbo), come Pizzaioli Emergenti. Storie diverse, di gavette più o meno lunghe, di talenti innati, di maestri idolatrati. Minimo comune denominatore quella vocazione agricola, territoriale, che virtuosamente oggi investe il mondo dell'arte bianca, giovani in primis.

 

I nuovi Tre Spicchi e le conferme

Non toccano i trenta anche molti dei professionisti premiati per la prima volta quest'anno con i Tre Spicchi: Marco Manzi di Giotto di Firenze (27 anni), Ciro Oliva di Concettina ai Tre Santi a Napoli (25 anni), Alberto Morello di Gigi Pipa di Este (29 anni), Andrea Pechini dell’Agriturismo il Casaletto di Viterbo (26 anni), Gianluigi Di Vincenzo di Giangi’s Pizza di Arielli (27 anni). E i grandi maestri? Non hanno battuto in ritirata. Anzi. Franco Pepe conquista un nuovo Tre Spicchi con La Filiale a l’Albereta in Franciacorta, portando per la prima volta la pizza in uno dei luoghi simbolo della cucina italiana. Simone Padoan si aggiudica una delle pizze dell’anno, Enzo Coccia triplica con 'O Sfizio d''a Notizia, proprio come Gabriele Bonci con la sua Pizzarium a Lucca. Sembra proprio che la pizza stia vivendo il suo momento d'oro. Ecco tutti i premi.

 

a cura di Sara Bonamini

 

Pizzerie d’Italia del Gambero Rosso 2018 | pp  384 | euro 8,90 | La guida è acquistabile in edicola, libreria e on line.



Pizzerie d'Italia 2018 del Gambero Rosso: ecco tutti i premi


I TRE SPICCHI

PIZZA NAPOLETANA

 
PIEMONTE
Perbacco - La Morra (CN)
 
LOMBARDIA
La Filiale a L'Albereta - Erbusco (BS)
Montegrigna By Tric Trac - Legnano (MI)
Enosteria Lipen - Triuggio (MB)
 
TOSCANA
‘O Scugnizzo - Arezzo
Le Follie di Romualdo - Firenze
Giotto - Firenze
Santarpia - Firenze
Kambusa - Massarosa (LU)
 
 
MARCHE
Mamma Rosa - Ortezzano (FM)
 
 
CAMPANIA
Morsi & Rimorsi - Aversa (CE)
Pepe In Grani - Caiazzo (CE)
I Masanielli - Caserta
50 Kalò - Napoli
Da Attilio alla Pignasecca - Napoli
La Notizia - Napoli (sede di via M. da Caravaggio, 94a)
La Notizia - Napoli (sede di via M. da Caravaggio, 53)
O’ Pizzaiuolo Guglielmo Vuolo Eccellenze Campane - Napoli
Oliva - Da Concettina ai Tre Santi - Napoli
Sorbillo - Napoli
Starita - Napoli
Villa Giovanna - Ottaviano (NA)
Era Ora - Palma Campania (NA)
Pizzeria Salvo da Tre Generazioni - San Giorgio a Cremano (NA)

BASILICATA
Fandango - Filiano (PZ)
 
I TRE SPICCHI 

PIZZA ALL’ITALIANA

PIEMONTE
Libery Pizza & Artigianal Beer - Torino
 
EMILIA ROMAGNA
Piccola Piedigrotta - Reggio Emilia
 
LAZIO
La Gatta Mangiona - Roma
Pro Loco Dol - Roma
Pro Loco Pinciano - Roma
Sforno - Roma
Tonda - Roma
 
ABRUZZO
Giangi’s Pizza - Arielli (CH)
La Sorgente - Guardiagrele [CH]

SICILIA
La Braciera - Palermo
 
SARDEGNA
Framento - Cagliari
 
 
I TRE SPICCHI 

PIZZA A DEGUSTAZIONE

PIEMONTE
Gusto Madre - Alba (CN)
Gusto Divino - Saluzzo (CN)
Terra, Grani, Esplorazioni - San Mauro Torinese (TO)
 
LOMBARDIA
Sirani - Bagnolo Mella [BS]
Dry Cocktails & Pizza - Milano
 
VENETO
Ottocento Simply Food - Bassano del Grappa (VI)
Gigi Pipa - Este (PD)
I Tigli - San Bonifacio (VR)
Saporè Pizza e Cucina - San Martino Buon Albergo (VR)
 
FRIULI VENEZIA GIULIA
Mediterraneo - Brugnera (PN)
 
EMILIA ROMAGNA
Berberè - Castel Maggiore (BO)
 
TOSCANA
La Divina Pizza - Firenze
Lo Spela - Greve in Chianti (FI)
Apogeo Giovannini - Pietrasanta (LU)
 
LAZIO
In Fucina - Roma
Agriturismo il Casaletto - VIterbo
 
ABRUZZO
Percorsi di Gusto - L'Aquila
 
SICILIA
Piano B - SIracusa



LE TRE ROTELLE
 

VENETO
Saporè Asporto - San Martino Buon Albergo (VR)

TOSCANA
Menchetti - Arezzo
Pizzarium - Lucca

LAZIO
Pizzeria Sancho - Fiumicino (RM)
Panificio Bonci - Roma
Pizzarium - Roma

CAMPANIA
Masardona - Napoli
‘O Sfizio d’ ‘a Notizia - Napoli
 
CALABRIA
Pizzamore - Acri (CS)

SARDEGNA
Pizzeria Bosco - Tempio Pausania (Olbia Tempio)
 

I PREMI SPECIALI
 
La migliore carta dei vini e delle birre
Gusto Madre - Alba (CN)

I maestri dell'impasto
Romualdo Rizzuti - Le Follie di Romualdo - Firenze
Gianfranco Iervolino – Morsi & Rimorsi - Aversa (CE)
 
I Pizzaioli emergenti
Stefano Vola - Bontà per Tutti - Santo Stefano Belbo (CN)
Roberta Esposito - La Contrada  - Aversa (CE)
 
La Migliore pizzeria Gluten free
Mezzometro Pizza a Senigallia - Senigallia (AN)
 
 
LE PIZZE DELL'ANNO
 
Pizza a degustazione
 
I Tigli - San Bonifacio (VR)
Galletto
base croccante alla romana con spinaci selvatici al lime, emulsione di pomodoro leggermente piccante e la carne sfilacciata a mano del galletto arrostito nel forno a legna 
 
Pizza all'italiana
 
Framento - Cagliari
L’Immuginazione
muggine, pecorino, pomodori passiti e menta
 
Pizza napoletana
 
Pizzeria Salvo da Tre Generazioni - San Giorgio a Cremano (NA)
Paparuolo ’Mbuttunato
crema di peperone giallo, fiodilatte, bufala affumicata, provolone stagionato, peperoni marinati, prezzemolo, capperi croccanti, olive nere e pane croccante
 
 
Pizza a taglio
 
Forno Brisa - Bologna
spalla cruda di Cinta Senese e salsa verde
 

Pizza dolce

Pepe in Grani - Caiazzo (CE)
Crisommola
albicocca del Vesuvio, ricotta di bufala profumata al limone, nocciole tritate e menta

Un nuovo inizio per Lavazza. A Milano, il primo flagship store della torrefazione torinese

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Un'area dedicata al caffè filtro e ai metodi di estrazione alternativi, il bancone per i classici espressi e cappuccini, il reparto dolci, cocktail, aperitivi e anche un'ala tostatura. In un spazio dal design moderno e accattivante, curato nei minimi dettagli. È il primo di una lunga serie di flagship store targati Lavazza, inaugurato da poche ore a Milano.

La novità

Siamo nell'area pedonale del cuore di Milano, appena fuori dalla Galleria, in piazza San Fedele. In pieno centro di una città che negli ultimi anni è diventata “riferimento per l'Italia nel mondo” una famiglia del settore del caffè ha scelto di aprire un bar innovativo e originale. E non una qualunque. Fondata nel 1895 a Torino, Lavazza non ha bisogno di tante presentazioni: oggi in mano alla quarta generazione, l'azienda ha contribuito negli anni a scrivere (insieme a illy e altri grandi marchi) la storia dell'espresso in Italia, facendo conoscere la tazzina in tutto il mondo. Con circa 3mila persone e un fatturato poco sotto i 2 miliardi di euro solo nel 2016, l'impresa ha scelto di investire denaro ed energie in un progetto molto diverso dal solito, inusuale per una torrefazione così antica, che potrebbe segnare l'inizio di una nuova linea aziendale, moderna ma che non rinuncia ai punti fermi del passato (e del resto, è indicativo il progetto ambizioso che cresce da mesi a Torino, nel quartier generale di Lavazza in costruzione, su progetto di Cino Zucchi: la cosiddetta Nuvola, che dal 2018 ospiterà anche il ristorante Condividere studiato con Ferran Adrià). Ha aperto i battenti il 19 settembre, il primo flagship store di Lavazza nel mondo, uno spazio ampio dedicato all'oro nero in tutte le sue declinazioni.

{gallery}Lavazza Flagship Store{/gallery}

Il bar: spazi e design

L'apertura a Milano è parte integrante di una strategia più ampia di respiro internazionale, che ha l'obiettivo di rinnovare l'immagine del brand, segnando la prima tappa di un percorso che prevede la nascita di nuovi store nei principali mercati chiave per l'azienda”, ha commentato Giuseppe Lavazza, vice presidente della torrefazione. Un'iniziativa, dunque, che si propone di far vivere al pubblico “il meglio del mondo del caffè Lavazza”, ha aggiunto l'altro vice presidente Marco Lavazza. E così, la caffetteria meneghina si suddivide in area espresso, caffè filtro, angolo tostatura e macinatura, e Coffee Design, bancone dedicato ai cocktail, i drink al caffè e le proposte gastronomiche più sfiziose. A curare gli arredi, JHP, studio di design internazionale che nel nuovo bar coniuga lo stile italiano più classico di Lavazza e linee dal carattere moderno ed essenziale, tutto incentrato ancora una volta sul caffè, soggetto scelto per il suggestivo chandelier a cascata di luce composto da oltre 600 pendenti a forma di chicchi illuminati al centro del bar. Per gli interni, invece, è stato l'illustratore e giornalista gastronomico Gianluca Biscalchin a dare vita alle installazioni alle pareti che richiamano la celebre Carmencita del Carosello in un ambiente contemporaneo, immerso nel verde delle piantagioni.

Il caffè: la miscela della casa e il filtro

Come nella prima drogheria Lavazza in via San Tommaso, 10 a Torino, anche nell'area Fresh Roasted il caffè crudo sarà trasformato direttamente sotto gli occhi dei clienti, che possono scegliere di gustare o acquistare le selezioni delle migliori origini e miscele in diverse quantità. Dedicato alla città che ospita il flagship store, il blend della casa qui sarà il San Fedele, miscela di tre origini (Etiopia, Guatemala ed El Salvador), creata appositamente per il pubblico meneghino. Ma non l'unica: ““L'azienda è alla ricerca continua di nuovi prodotti, caffè particolari e dal gusto autentico”, spiega Gloria Bagdadli, global head of marketing retailing di Lavazza. E aggiunge:“La linea che offriamo qui rappresenta la nostra fascia premium, una selezione di microlotti scelti accuratamente dalla famiglia Lavazza in persona, per una carta di singole origini che cambieranno a rotazione”. Ma nel bar è possibile gustare anche un buon v60, chemex, aeropress, cold brew e altre tipologie di bevande realizzate con sistemi di estrazione in filtro. ““Il flagship si vuole proporre come punto di incontro fra l'originale drogheria del fondatore di Lavazza e il gusto contemporaneo. C'è l'atmosfera della bottega artigianale ma arredata in maniera moderna e con un'offerta ampia e variegata, che va incontro alle diverse esigenze”.

I cocktail e l'offerta gastronomica

Caviale di caffè, realizzato con uno speciale macchinario in grado di addensare l'espresso, una linea di Coffeetail, cocktail alcolici e analcolici a base di caffè, pop corn al caffè e patatine al tartufo aromatizzate con polvere di caffè. Sono alcune delle proposte enogastronomiche presenti all'interno dello store, nell'area Coffee Design guidata da un team giovane che da anni lavora per mettere a punto ricette speciali che prevedano un utilizzo intelligente dell'oro nero in cucina. Ci sarà, così, il Coffeetail numero 10, “in onore del numero civico dell'indirizzo della sede storica”, un drink scomposto a base di sciroppo di amarena, caffè freddo preparato con sistema cold brew e ghiaccio, “una bevanda analcolica che il consumatore può prepararsi da solo, interagendo così direttamente con il barista e gli altri clienti seduti lungo il bancone”, spiegano i giovani baristi di Lavazza. Non mancheranno, però, cocktail più comuni, proposte sfiziose per l'aperitivo che non contemplano il caffè, oltre a lieviti e dolci per la prima colazione, “alcune fatte in casa, altre realizzate su nostra ricetta da pasticceri esterni”.

Gli altri flagship store e il futuro dell'azienda

Un bar di livello, con buoni macchinari, un team preparato e formato a dovere, uno spazio curato nei minimi dettagli e un'offerta differenziata in continua evoluzione. Una tipologia di locale che dovrebbe rappresentare, nel 2017, l'unico modo possibile di concepire la caffetteria, restituendo valore alla qualità dei chicchi, al lavoro in piantagione, conferendo professionalità alla figura del barista e riacquistando meriti e competenze che hanno reso famoso il gusto del caffè italiano in tutto il mondo. E a farlo non sono più solamente i giovani baristi più audaci, ma anche un'azienda di oltre 100 anni che, nonostante i tanti successi, continua a migliorarsi e a mettersi in discussione. Un percorso di sviluppo già iniziato anni fa con l'introduzione di prodotti più particolari per qualità e ricerca, come il Kafa Forest Coffee, la linea Tierra, e un'attenzione generale sempre più alta al mondo degli specialty e dell'oro nero più pregiato. Senza però dimenticare le proprie origini. “Abbiamo impiegato molto tempo per scegliere la sede giusta”, spiega Gloria,“e in questa piazza abbiamo finalmente trovato il perfetto punto di congiunzione tra la storia di Lavazza, il passato della torrefazione, e il cuore della modernità di Milano”. E questo è solo il punto di partenza:“Milano sarà l'unica sede italiana, ma abbiamo in mente di aprire altri flagship store a livello internazionale, Nord Europa e Stati Uniti in primis, ma non solo”. Intanto, non ci resta che auspicare che questo nuovo modello di caffetteria in pieno centro città possa incuriosire italiani e turisti verso un diverso modo di bere caffè.

Lavazza Flagship Store | Milano | Piazza San Fedele, 2 | https://www.lavazza.it/it/chi-siamo/stores/

a cura di Michela Becchi

Danilo Ciavattini apre il suo nuovo ristorante nel centro storico di Viterbo

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Si chiamerà semplicemente Danilo Ciavattini Ristorante, e sarà una tavola gourmet in piena regola, dove si potrà mangiare a prezzi contenuti proprio nel centro della cittadina laziale. 

Danilo Ciavattini riparte da Viterbo

Inseguiva questo sogno da quando ha cominciato a lavorare in cucina e ora ce l'ha fatta: Danilo Ciavattini, dopo la fortunata esperienza che l'ha visto alla guida della brigata a Villa Laetitia, che gli è valsa il massimo riconoscimento delle Tre Forchette sulla guida Ristoranti d'Italia di Gambero Rosso, ha aperto a Viterbo. Nel suo passato l'esperienza della vita, con Salvatore Tassa, alle Colline Ciociare dal 2004 al 2008, poi l'arrivo da Pipero, fino al 2009, quando il più celebre maitre romano otteneva i primi riconoscimenti ad Albano Laziale, prima di traslocare nella Capitale. E ancora una serie di passaggi importanti, gli attestati di stima della critica, fino all'approdo a Villa Laetitia, nella primavera 2011. Un lungo percorso, culminato all'inizio del 2016. Ora, la nuova sfida.

A pochi passi da piazza della Fontana Grande, in via delle Fabbriche 20/22, aprirà a breve il Danilo Ciavattini Ristorante. Due sale raccolte, per una trentina di coperti circa. Tavoli con apparecchiatura sobria ed elegante, ben distanziati tra loro in un ambiente accogliente. Due i degustazione, rispettivamente da 60 e 35 euro, e in menu i piatti della tradizione viterbese al costo di 10 euro. Più di cento le etichette nella carta dei vini che vanno dalla Tuscia di Sergio Mottura alla Francia più blasonata, senza dimenticare il Piemonte e altre zone dell'eccellenza vitivinicola nazionale.

Non bisogna mai dimenticare che l'alta cucina può rivolgersi anche ai piatti della tradizione. Sono gli ingredienti e i loro produttori a raccontare la storia del luogo in cui ci troviamo, e qui a Viterbo di storia ce n'è davvero tanta” ci ha raccontato lo chef. “Sono cresciuto in questi luoghi, li conosco come le mie tasche e apprezzo moltissimo la variegata gamma della sua offerta. Per questo motivo l'ho voluta inserire in carta a un prezzo accessibile a tutti, perché certi piatti sono ingiustamente relegati nel dimenticatoio. Ma anche un'acquacotta o una pignattaccia possono essere gourmet se ben eseguite”.

Tra sala e cucina

Sarà lo chef a prendere le ordinazioni, per poi entrare in cucina dove, con l'aiuto di un solo secondo, realizzerà i piatti. Una persona si occuperà del servizio e una si dividerà tra accoglienza e cassa. “Questo ristorante è il coronamento di un sogno. È l'obiettivo che ho inseguito sin dagli inizi e che ho potuto realizzare solo grazie a una lunga gavetta. Non ti dimenticare” – ride – “da che scuola provengo (quella di Salvatore Tassa, ndr). Lì la sala era, ed è tutt'ora, tenuta in grandissima considerazione. Così sarà da me. Non sarò invadente, perché il piatto va mangiato caldo, ma un briciolo di spiegazione ci sarà. Sarò io stesso, una volta conosciuto chi è al tavolo, a sapermi regolare. Ho strutturato così la mia offerta: piatti ricercati per i curiosi, confortevoli per chi venga al mio ristorante in cerca di relax”.

Danilo Ciavattini Ristorante | Viterbo | via delle Fabbriche, 20-22 | www.danilociavattini.com 

 

a cura di Saverio De Luca

Mattia Barbieri dell'Enoteca Centrale di Mestrino. La storia di talento

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Dopo le esperienze da Alajmo e Marchesi, vola a Londra all'Harry's Bar e ancora a Cannes a La Palme d'Or. Ma non ancora venticinquenne decide di tornare nel suo paese d'origine. È Mattia Barbieri, classe 1980, poco abituato ai riflettori e vincitore di un'impresa non da poco: aprire a Mestrino, 13 anni fa, il bistrot Enoteca Centrale al posto del bar centrale. 

Ciao Mattia vorremmo farti un'intervista. “Bene!”. Quando possiamo farla? “Anche subito”. Niente attese, nessun ufficio stampa, zero pretese di voler vedere l'intervista prima della pubblicazione. Lui è un cuoco, non una star, lui cucina e basta. Come Mattia tanti altri cuochi, giovani e non, sparsi nella Penisola, che molto spesso non vengono valorizzati dalla stampa di settore. Nostra culpa. Cerchiamo quanto meno di rimediare.

La gavetta di Mattia Barbieri. Da Alajmo a Marchesi

Nemmeno maggiorenne era già nella cucina delle Calandre, con un allora ventitreenne Alajmo, affiancato da mamma Rita. “Sono passati vent'anni da quello stage durato poco più di un anno, era il 1997, ma ho chiaramente impresso nella memoria il talento fuori misura di un giovanissimo Massimiliano, e la mano classica e al tempo stesso avanguardista di mamma Rita, che già all'epoca, per esempio, nel suo famoso risotto coi fegatini ci aggiungeva una punta di salsa di soia: impensabile all'epoca”. Dopo la gavetta “calandrina”, Mattia punta alle cucine dei grandi alberghi, dall'Hotel del Golfo all'Isola d'Elba al Grand Hotel Principe di Piemonte, per farsi le ossa prima di andare sotto le fauci, si fa per dire, di Gualtiero Marchesi. In quel che fu (forse) l'annata più divertente e irriverente della scuola Marchesi: in cucina nel '99 c'erano Paolo Lopriore ed Enrico Crippa. “Un periodo in cui genio e sregolatezza del primo, erano compensati dalla disciplina più concreta dell'altro. I due, assieme, erano meravigliosi. Mi ricordo di Crippa che al mattino arrivava prima di tutti, iniziava a preparare le basi con metodo e disciplina. E di un Lopriore che arrivava quando arrivava, tirando fuori dal cilindro uno dei suoi colpi di genio. Una volta è entrato in cucina trafelato e con un mazzo di cavolfiori in mano. Eravamo tutti in attesa della sua intuizione. Così fu: si mise a tagliarli a lamelle e poi li mise dritti in forno per un giorno intero. Una volta essiccati li usò per accompagnare il caviale con una grattugiata di scorza di limone. Erano gli anni '90, oggi possono sembrare cose viste e riviste, allora era fantascienza”.

Le esperienze all'estero

Dopo una delle esperienze più invidiate di sempre, Mattia prosegue per la sua strada e va all'estero. Lavora due anni all'Harry's Bar di Londra, al fianco di Alberico Penati, “ai secondi mi sono fatto una cultura di rôtissoire e jus (ndr. girarrosto e succhi di cottura alla francese), la cucina aveva un'impronta francese, anche se alleggerita dalla mano elegante di Alberico”. Dopodiché è volato a Cannes a La Palme d'Or, il celeberrimo ristorante dell'Hotel Martinez guidato dallo chef alsaziano Christian Willer. “Qui per accedere ho dovuto retrocedere di ruolo: per due anni ho fatto lo chef de partie al pesce, una delle partite più dure quando si tratta di cucina francese. All'epoca il sous chef Christian Sinicropi (Nel 2007 ha preso il posto di Willer, ndr), era fresco di “studi” da Alain Ducasse, quindi con un'impostazione che più classica non si può, con cotture minime e centrifugati a dominare ogni portata”. Arriviamo così al 2004. Mattia non ha nemmeno 25 anni, ma un bagaglio di esperienze da adulto. Ancora non sa che di lì a poco dovrà scontrarsi con una tragedia familiare, che lo farà crescere non solo dal punto di vista professionale. “I miei hanno avuto un incidente gravissimo, in seguito al quale mia mamma è rimasta paralizzata e mio papà ne è uscito a pezzi. Non ce l'avrei mai fatta a stargli lontano, sono figlio unico”. Così torna a Mestrino, il suo paese d'origine, per starli vicino. “Sono stati anni durissimi, non lo nego”. Ma non si dà per vinto.

Il ritorno in Italia, a Mestrino, per aprire l'Enoteca Centrale

Quello stesso anno, il 2004, ho comprato quello che era il vecchio bar centrale del paese, dove gli anziani giocano a carte per intenderci, e ne ho fatto un locale gourmet”. Per comprendere la situazione: Mestrino è un paesino della provincia di Padova che conta poco più di 11mila anime. Una sfida, che per molti allora sembrò un suicidio, resa ancora più difficile dalle proposte in carta. Già, perché Mattia non è sceso a compromessi con dei semplici e canonici bigoli al ragù, ma ha voluto fare le cose di testa sua. Insomma 13 anni fa (a Me-stri-no!) proponeva foie gras e Champagne. “Ho semplicemente fatto ciò che amavo, trasmettendo il mio entusiasmo a chiunque entrava. Niente marketing né strategie, solo il racconto di quel che voleva essere il mio progetto”. Il progetto in questione ha un nome: Enoteca Centrale. Un bistrot accolto fin da subito con entusiasmo da tutti, mestrini e non, giovani e anziani, proprio quelli che giocavano a carte lì dentro. “Ha giocato un ruolo fondamentale essere un ragazzo del paese, non lo nego. Il fatto di non essere un 'forastiero' è stato un lasciapassare per la fiducia di tutti”. A corredo, la filosofia che ricorda un po' quella del bar centrale, approdo sicuro già dal mattino per fare colazione e punto di riferimento per il resto della giornata, con possibilità di fermarsi per un aperitivo, un pranzo o una cena.

 

{gallery}I piatti di Mattia Barbieri{/gallery}

 

Carta dei vini e menu

Il menu cambia ogni giorno (e ogni giorno lo pubblicano nella pagina Facebook) e varia a seconda della stagione, dell'estro e di quel che offre il mercato o i piccoli produttori della zona, anche se Mattia non rinnega il distributore per ostriche, Pata Negra o foie gras. Si può scegliere dall'antipasto di salumi e formaggi, con Parmigiano del Caseificio Gennari stagionato 36 mesi e salami del parmense (lo strolghino di culatello, il gentile o la mariola), alla vellutata di zucca violina con finferli, coulommiers (formaggio a pasta molle con crosta fiorita), brunoise di sedano croccante, crostini e olio extravergine del Garda dell'Olearia Caldera. Dal roast beef di manzo cotto in crosta di sale e servito all'inglese con purè di patate di Rotzo, tipiche dell'altopiano di Asiago, e succo di cottura al rosmarino; al calzone di carpaccio di manzo farcito con ortaggi, mimosa d'uovo e porcini. La carta dei vini conta un migliaio di etichette, tra francesi e italiane. “Prediligo i grandi classici” – Mattia va in controcorrente anche su questo – “ovvero le cantine e quei produttori che si sono costruiti nel tempo un nome solido. Non sono un tipo da colpo di fulmine, mi innamoro solo dopo aver provato un vino per due, tre annate consecutive. Adoro la solidità e la costanza, che permette al produttore in questione di sopperire alle difficoltà date dalla natura. Mi piace attendere che le cose passino di moda”. La solidità, la troviamo anche nella gestione del lavoro: il suo team, 11 ragazzi, tutti dai 35 ai 40 anni, suddivisi tra sala e cucina, è composto da persone con esperienza. Progetti futuri? “Rilancio con un progetto presente: ho elaborato una linea di prodotti, Le delizie di Mattia, come sughi, giardiniere o conserve. Ora mi sto lanciando nel mercato cinese grazie al passaparola di clienti affezionati”. E ha ancora 37 anni. Un giovane uomo che ci racconta cosa può succedere in provincia quando hai la mente aperta, una visione solida e una esperienza a supportarti.

 

Enoteca Centrale | Mestrino (PD) | via IV Novembre, 59 | tel. 049 9004947 | www.enotecacentrale.it

 

a cura di Annalisa Zordan

 


Startupbootcamp FoodTech, seconda edizione. 9 food start up dall'Italia e dal mondo che avranno successo

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Tra qualche settimana, a Roma, si apre il secondo ciclo di incubazione promosso dal prestigioso acceleratore di food innovation. Sono nove le realtà coinvolte (due per l'Italia), tutte in grado di offrire soluzioni all'avanguardia per il futuro del sistema alimentare. Scopriamole. 

I numeri di Startupbootcamp FoodTec

Startupbootcamp FoodTech, un anno dopo. Concluso il primo ciclo di incubazione, che da novembre 2016 (e per tre mesi) ha accompagnato 10 promettenti food start up in un percorso di perfezionamento del concept, così da risultare più attraenti agli occhi degli investitori, tra qualche settimana - nella sede romana di San Giovanni - si aprirà la seconda edizione del programma di accelerazione. A tracciare un bilancio dell'esperienza dell'ultimo anno, il primo di attività per il distaccamento italiano del celebre acceleratore internazionale di start up, il direttore Peter Kruger, Ceo del programma: “In poco meno di un anno dal primo ciclo di accelerazione, Startupbootcamp FoodTech ha ampliato il proprio raggio d'azione. Non solo è cresciuto il numero di application (+12,96%), ma anche il numero di Paesi da cui sono pervenute le domande (15 in più rispetto al 2016)”. In concreto, sono 755 le application ricevute nei mesi scorsi per candidarsi al programma, da 70 Paesi del mondo, con l'Italia a guidare le candidature (21%), seguita sul podio da Stati Uniti e India. Solo 18 profili, però, hanno avuto accesso ai Selection Days appena conclusi, garantendosi la possibilità di confrontarsi con oltre 70 partner e mentor qualificati, che hanno decretato il verdetto finale.

 

I protagonisti del secondo ciclo

Dal prossimo 16 ottobre al 25 gennaio 2018, saranno nove le start up partecipanti al percorso di accelerazione (con la collaborazione di Gambero Rosso, Lventure Group, Monini, Cisco, M3Investimenti, Orienta), le vincitrici di una selezione che ha visto “sfidarsi” progetti di qualità superiore rispetto alla prima edizione, a testimoniare il prestigio raggiunto dall'incubatore nel suo primo anno di attività. A vario titolo coinvolte nel business della food innovation – dall'agricoltura di precisione all'acquaponica, dai cibi sostitutivi alla food discovery – le realtà selezionate potranno contare sul capitale investito da Startupbootcamp, sugli spazi di lavoro messi a disposizione per i prossimi 6 mesi e sulla rete di contatti condivisi dall'acceleratore. Ecco i protagonisti della seconda edizione del programma, e i loro ambiti di interesse. Su nove start up, solo due arrivano dall'Italia.

 

MyFoody (Milano): è molto attuale la sfida dall'app ideata nel capoluogo lombardo per combattere lo spreco alimentare nella grande distribuzione. Gli utenti iscritti, tramite sistema di geolocalizzazione, possono individuare prodotti in scadenza e a prezzo ridotto prima che le eccedenze dei supermercati finiscano nella spazzatura.

 

Orthoponics (Bologna): Dall'Emilia un'idea per coltivare in casa il proprio orto, tramite pareti verticali e tecnologia dell'acquaponica, che permette di ridurre lo spreco d'acqua.

 

Cricket One (Vietnam): La provenienza geografica del team è una spia importante per identificare il core business della start up di Ho Chi Minh, che ha perfezionato un sistema a basso impatto ambientale per favorire la diffusione degli allevamenti intensivi di grilli, fonte sostenibile di proteine animali.

 

GreenBanana (Olanda): Siamo a L'Aia, ma l'ingrediente principale dei prodotti da forno commercializzati dalla start up olandese arriva dall'Uganda. Le banane verdi africane, insieme a legumi e farine vegetali, sono alla base della linea di specialità gluten free, che garantisce anche il giusto compenso ai piccoli produttori di banane ugandesi, offrendogli uno sbocco sicuro sul mercato europeo.

 

OrganizEat (Israele): Un ricettario virtuale, potremmo definirlo, riassumendo l'idea del team di Tel Aviv. Ma il progetto nasconde una tecnologia all'avanguardia, che permette di organizzare le proprie ricette preferite tramite un'app sempre consultabile.

 

Serket (Olanda): Singolare l'idea in arrivo da Amsterdam, che sfrutta l'innovazione tecnologica per offrire agli allevatori di suini un software per il riconoscimento facciale che monitora singolarmente i maiali in azienda. Il vantaggio? Tenere sempre sotto controllo lo stato di salute dei capi, per intervenire tempestivamente e pianificare tecniche di allevamento personalizzate.

 

Trysome (Stati Uniti): La piattaforma alimentare ideata a Brooklyn è un mercato virtuale dove si incontrano produttori e consumatori di cibo biologico e naturale. Un marketplace etico che può contare sui feedback degli utenti per privilegiare le realtà più meritevoli e offrire prezzi competitivi a chi acquista.

 

UNAsmart (Stati Uniti): Da Rochester un accessorio pensato per il mercato statunitense, dove il consumo di caffè in strada e negli spazi pubblici è molto elevato. UNAsmart è un coffee maker portatile e ricaricabile, che si prefigge di ridurre lo spreco di materiali per la produzione di tazze in plastica e cartone.

 

Winture (Germania): a Berlino, l'attenzione di Winture si è concentrata sul diritto all'acqua potabile. Anche nelle zone più disagiate dell'Africa e del Sud America, dove grazie a un sistema di desalinizzazione dell'acqua alimentato a energia solare.

 

www.startupbootcamp.org/accelerator/foodtech-rome/

 

a cura di Livia Montagnoli

Chef in vacanza. 5 (+4) ristoranti in Estremo Oriente secondo Eugenio Boer

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In Estremo Oriente con Eugenio Boer, alla scoperta delle migliori tavole di Bangkok, Bali, Singapore. Un tour tra cucine di diverse ispirazioni e di stili eterogenei.

Ritratto di Eugenio Boer

Eugenio Boer

È l'olandese di Milano, anche se nei Paesi Bassi è stato solo fino a 7 anni d'età. Un padre appassionato di grandi ristoranti e una nonna che dà l'imprinting casalingo, e un interesse per la cucina, non solo goduta ma anche praticata, che si manifesta già in età scolare. Tant'è che fa le prime esperienze nei ristorati nemmeno adolescente, nei pomeriggi dopo la scuola. Oggi Eugenio Boer, piedi ben piantati nelle sue radici siculo-liguri-olandesi) e nelle molte esperienze che hanno accompagnato nel suo percorso (Alberto Rizzo dell'Osteria dei Vespri, Kolja Kleeberg di Vau a Berlino, Gaetano Trovato di Arnolfo, Norbert Niderkofler del St. Hubertus su tutti) è una delle voci più interessanti della Milano gastronomica, con il suo Essenza. Un posto in cui mette in scena la sua vicenda, personale e professionale, senza falsi pudori. Lavora con la memoria e lo dice apertamente, come cita apertamente maestri ed esperienze in quei piatti che sono, prima di tutto, buoni. Godibili, immediati, seppur mai banali. Con quel mix eterogeneo di suggestioni e input diversi che trova senza fatica una sua armonia. Insomma: una cucina in cui la complessità non è un limite, ma un valore.

Essenza | Milano | via Marghera, 34 | tel. 02.4986865 | www.essenzaristorante.it

Il viaggio

Il viaggio di quest’anno è stato in Asia, non tutta ovviamente, ma è stato comunque un giro particolarmente ricco. Un viaggio mano nella mano (e nel piatto!) con la mia compagna Federica, un suo “regalo”, in quanto lei aveva già visitato in passato questa parte dell’Asia, per cui la scoperta è stata ancora più interessante. Prima tappa Bangkok, proseguendo poi in Indonesia e infine a Singapore.

Inutile dire che i luoghi ci hanno lasciato a bocca aperta, figli di una cultura così diversa ma penetrante e affascinante, ma la cosa che più mi ha colpito, è stata la grande cura nella proposta dei ristoranti di alta cucina. Non ci hanno infatti solo ampiamente soddisfatto, ma hanno superato le mie aspettative sotto ogni punto di vista, dal cibo, alla proposta vini, alla grandissima accoglienza e servizio in sala, sino alla bellezza delle singole location.

Sceglierne 4 era impossibile e infatti ne segnalo 5, e anche così non è stato facile. Se dovessi parlare poi della proposta street food avrei bisogno di scrivere un libro: i colori e i profumi delle innumerevoli proposte prét-à-porter incontrate per le strade di queste nazioni meriterebbero tempo per essere raccontate nel dettaglio e con dovizia di particolari.

Bangkok

Ogni porta a Bangkok, e non solo, si apre quando si è amici dei coniugi Manuela Fissore e Thomas Barker. A loro dobbiamo molta parte delle nostre esperienze gastronomiche di questa vacanza.

Restaurant Sühring a Bangkok

Restaurant Sühring

Appena entrati in questa villa del 1970 ci si sente subito a casa. I ragazzi di sala, capitanati dal sommelier francese Benoit Bigot, ti fanno accomodare in una delle tre sale del ristorante: il “Wintergarten” è una stanza di vetro in mezzo al verde, un vero e proprio giardino d’inverno, che permette di vivere un'esperienza meravigliosa circondati da una vegetazione rigogliosa (che in una sera piovosa come quella che abbiamo trovato noi, ci ha incollati pieni di felicità in quella parte della casa). C’è poi la “Wohnzimmer”, la sala da pranzo, e infine la “Kuche”, la cucina dove si ha la possibilità di cenare davanti al passe e agli chef Thomas e Mathias. Due chef, due CV di tutto rispetto “directly from” Germania, con esperienze in Olanda, passando per l’Italia di Heinz Beck a Roma (e la loro bravissima brigata).

Ovviamente io e la mia dolce metà non potevamo che optare per il menu degustazione più lungo, e, una volta scelta la bottiglia di vino che ci avrebbe accompagnato per la cena insieme al bravissimo Benoit, è iniziata la successione inebriante di piatti di cucina gastronomica tedesca. D’altronde a BKK cosa volevi mangiare se non cucina tedesca? Scherzi a parte, è stata una cena sensazionale: gusti nitidi, tecniche perfettamente eseguite, abbinamenti di sapori precisissimi, tempistica, insomma non vogliamo rovinarvi la sorpresa… andateci!!!

Restaurant Sühring| Thailandia | Bangkok | Chongnonsi, Yannawa | No.10, Yen Akat Soi 3 | teel. +66 2-287-1799 | www.restaurantsuhring.com

 

Sala del ristorante Gaggan a Bangkok

Gaggan

Partendo dal presupposto che Gaggan Anand è N°1 nell’Asia’s 50 Best Restaurant e N°7 nella World 50 Best Restaurant potremmo anche non raccontare nulla, ma non lo faremo. Avendo avuto modo di conoscerlo, durante l’evento Le Strade della Mozzarella di quest’anno, e avendomi colpito per il suo esplosivo buon umore (e per una curiosità che neanche un bambino avrebbe), avevo preannunciato il mio arrivo a Bangkok e ovviamente nel suo ristorante.

All’arrivo alla meta ahimé non ho avuto il piacere di incontrarlo nuovamente, in quanto lui e la sua famiglia erano partiti per la Finlandia lo stesso giorno in cui noi eravamo arrivati a Bangkok. In ogni caso tutto è stato perfetto, dall’accoglienza dell’immenso - in tutti i sensi - Vladimir Kojic, sommelier di rara bravura, alla sala organizzata come un orologio svizzero, ai bravissimi ragazzi dello Chef Table (nel soppalco di questa villa in stile coloniale con il soffitto di vetro). Il ristorante si trova in una piccola via di Lumphini, quartiere residenziale di BKK che già dal nome fa simpatia, come il menù degustazione raccolto in una sequenza di 25 emojis che esprimono al massimo la Moderna Cucina Indiana secondo il loro profeta Gaggan Anand.

Gaggan | Thailandia | Bangkok | Lumphini | No.68/1 Soi Lngsuan, Ploenchit Road | tel. +66 2-652-1700 | www.eatatgaggan.com

N.B.: se andate a BKK non potete non andare a mangiare Thai quindi dovete andare da Bo.lan (24 Soi Sukhumvit 53, Klongtonnua, Wattana Bangkok +66 2-22-60-2962 www.bolan.co.th) e nella loro trattoria Err-Urban Rustic Thai (394/35 Maha Rat Rd, Khwaeng Phra Borom Maha Ratchawang, Khet Phra Nakhon, Krung Thep Maha Nakhon 10200, Bangkok +66 2-622-2291 www.errbkk.com) qui troverete i gusti della Thailandia nudi e crudi con prodotti organici selezionati con un’enorme cura, e se non vi piace lo spicy state alla larga!!! Poi se avete voglia di una serata internazionale con gusti da tutto il mondo in un contesto industrial con cocktail incredibili e piatti pazzeschi non potete non andare a trovare lo chef Cameron Barker al Quince (45 Sukhumvit Rd, Khlong Toei Nuea, Khet Watthana, Krung Thep Maha Nakhon 10110, Bagkok +66 2-662-4478 www.quincebangkok.com).

 

Indonesia-Ubud

Locavore Restaurant in Indonesia-Ubud

Locavore Restaurant

Questi tre ragazzi: Eelke – olandese - Ray e Adi – indonesiani - hanno monopolizzato una via della ridente cittadina di Ubud con un’offerta trasversale mirata all’eccellenza e all’utilizzo di tutti prodotti esclusivamente dell’isola, bio e di piccolissime realtà che credono in un progetto comune di valorizzazione del territorio. E in questo caso il monopolio è sicuramente un’accezione più che positiva. Ci sono: un cocktail bardi altissimo livello, il Night Rooster, dove abbiamo bevuto un drink memorabile prima di cena, il bistrot To Go (l’unico che non abbiamo provato), il Delil, una salumeria dove abbiamo mangiato un'ottima coppa e un prosciutto crudo degno di nota (tutto prodotto con maiali locali di una piccola azienda agricola) e il Nusantara, che in javanese antico significa arcipelago, dove esprimono appunto la cucina tipica indonesiana e dove noi felicemente e immancabilmente ci siamo concessi una cena. Rapporto qualità prezzo spaventoso, un’identità fortissima e una voglia di far bene che andrebbe esportata in pillole.

Locavore Restaurant | Indonesia | Bali | Kapupaten Gianyar | Jalan Dewisita No.10, Ubud | tel. +62 3-619-777-33 | www.locavore.co.id

Bali

 

Luca Fantin

Ristorante Luca Fantin Bulgari Resort

Serata indimenticabile dall'amico Luca Fantin che bissa il successo di Tokyo aiutato dal bravissimo Fabrizio Crocetta. La location  da perdere la testa in quel paradiso terrestre che è Uluwatu all'interno del Bulgari Resort, non è seconda a piatti meravigliosamente equilibrati, tecniche perfette e realizzati con ingredienti locali, verdure e frutta sono presi nell'orto coltivato dallo Chef all'interno del resort. Servizio attentissimo in un contesto ripeto davvero da sogno. Un piatto porteremo nella memoria per sempre, Spaghetto Monograno Felicetti al caviale e cappesante.

Ristorante Luca Fantin Bulgari Resort | Jalan Goa Lempeh, Banjar Dinas Kangin Uluwatu | tel. +62 361847100 0 | www.bulgarihotels.com/it_IT/bali/bar-and-restaurant/il-ristorante

Singapore

Particolare del ristorante André a Singapore

André

La serata che abbiamo trascorso da André Chiang è stata davvero incredibile, sotto ogni profilo possibile e immaginabile. Il ristorante si trova in una palazzina di tre piani in chiaro stile coloniale, incastonata nello skyline di Singapore, come un gioiello senza tempo. La cucina di Chiang si esprime al meglio nel suo percorso di degustazione chiamatoOcthaphilosophy. Questo concetto gioca sulle otto parole chiave per lo chef nel suo processo creativo e rappresentano al meglio la sua cucina. Unico, Puro, Consistenza, Memoria, Salato, Sud, Artigianale e Territorio. Credetemi, un’emozione dietro l’altra, accompagnata da un’eleganza nel proporle davvero unica, un viaggio attraverso concetti estremamente personali che evidenziano la formazione francese e la transizione asiatica di Chiang. Lo chef nato a Taiwan, trasferitosi giovanissimo in Francia, ha lavorato accanto a giganti del calibro dei gemelli Pourcel, Barbot, Gagnaire, Robuchon e Troisgros per poi, a 30 anni, ritornare in Asia e riscoprire le sue radici. Il risultato di questa equazione? Venite qui per trovarlo, no?

Restaurant André | Singapore | 41 Bukit Pasoh Road | tel. +65 6534-8880 | www.restaurantandre.com

 

Sala del ristorante Odette a Singapore

Odette

Come gestire un Qui Pro Quo? Chiedere a Steve Mason, il Restaurant Manager, e tutto lo staff di Odette! Per farvela breve avevamo il tavolo gentilmente prenotato dai sopracitati amici e gemelli Sühring, per la sera del 25 agosto, ma, non si sa come, la prenotazione risultava per il 25 settembre (magari potessimo ritornarci!!!). Magicamente Steve, in linea diretta con chef Julien, ha “creato” un tavolo in cucina (tutto per noi) e “les jeux sont faits”. Tutti, dal primo all’ultimo, sorridenti e fantastici, come i piatti dello chef Julien Royer, servitici in cucina da una brigata giovanissima e super entusiasta capitanata dal sous-chef Adam Wan. Cucina francese eseguita perfettamente e con grandissima personalità e modernità, un incalzare di gusti familiari ma declinati con grande classe. Se l’intento è quello di dare la sicurezza dei gusti di casa - Odette è il nome della nonna dello chef - in chiave moderna, dato che il ristorante è dentro alla National Gallery, ci sono riusciti alla grande, oltretutto approfittatene per fare una visita: è davvero bella.

Odette | Singapore | 1 Saint Andrew’s Road 01/04 | National Gallery | tel. +65 6385-0498 | www.odetterestaurant.com

 

a cura di Antonella De Santis

 

 

Tre Bicchieri 2018. Parla Marco Bertelegni, enologo dell'Azienda Agricola Monsupello

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Sulle morbide colline in provincia di Pavia si producono ormai da anni etichette di Metodo Classico che puntano tutto sulla qualità. Tra i migliori produttori troviamo anche Monsupello, che unisce il talento enologico di questi terreni alla passione dei fratelli Boatti.  

I numeri di Monsupello la dicono lunga: l’azienda della famiglia Boatti possiede 50 ettari di vigneti sparsi nelle migliori posizioni dell’Oltrepò, e produce 280mila bottiglie l’anno. Numeri consistenti per un parco vigne, una gamma dei prodotti e una reputazione praticamente da “maison”: possiamo senza tema di smentita affermare che ormai Monsupello si colloca nell’Olimpo delle aziende spumantistiche italiane, vista la costanza nel tempo, il livello dei vini e lo stile ben definito. Il merito va a Carlo Boatti, che negli anni Cinquanta ha dato una svolta epocale alla piccola azienda agricola di famiglia con il coraggio di pensare in grande, e ai figli Carlo, Pierangelo Laura Boatti, che portano avanti egregiamente questa realtà con il contributo dell'enologo Marco Bertelegni.

Ormai entrato a far parte di questa grande famiglia, Marco ne porta avanti il lavoro non solo nel campo delle bollicine. La gamma aziendale prevede infatti anche bianchi di pregio, rossi giovani e invecchiati, oltre ai classici frizzanti d’Oltrepò. Il tutto con una media qualitativa che ha pochi eguali in Italia. Quest’anno a Monsupello spicca il Rosé, bollicina ottenuta esclusivamente da pinot nero che si distingue per un naso fine, complesso e variegato: le note di melograno e ribes si alternano con nuance di erbette aromatiche che anticipano un sorso gradevole, fresco, sapido. Tutte caratteristiche che gli sono valse i Tre Bicchieri 2018.

 

I Tre Bicchieri dell'Oltrepò continuano a crescere, ma a livello nazionale la qualità percepita del territorio rimane ancora bassa. Come spiega questo scarto?

Concordo con voi nel dire che, purtroppo, il nostro rimane un territorio dove si vende ancora molta uva e dove ci sono ancora troppi interessi da parte di chi produce grandi quantità. È come se la grande vocazione vada a discapito della reputazione. Però in questi ultimi anni le piccole e medie aziende si stanno impegnando molto sul fronte della qualità: hanno, o meglio abbiamo capito che la strada giusta è proprio questa. Ora si tratta di comunicare questa virata all'esterno.

Quali sono le azioni per rilanciare il territorio?

Sicuramente bisogna lavorare sulle cantine sociali (che rappresentano più del 50% della produzione totale), dovremmo convincerle a portar avanti produzioni di nicchia, svincolandosi dal mercato del vino sfuso.

E le piccole aziende cosa potrebbero fare in merito?

Sicuramente essere più professionali sul fronte commerciale e a livello di marketing per far girare il prodotto anche all'estero.

Non sono maturi i tempi per andare oltre la divisione tra Consorzio e Distretto del vino di qualità?

Il Consorzio è l'ente statale che deve vigilare, mentre il Distretto è stato un utile sistema per far emergere le criticità e, se vogliamo, per dare una scossa al primo. Oggi dovremmo stare tutti sotto un unico riflettore, rappresentato dal Consorzio. Che dal canto suo dovrebbe essere indipendente e dovrebbe valorizzare davvero chi punta sulla qualità, cosa che in parte sta già facendo. Fortunatamente le cose stanno cambiando...

Cambiando in che termini?

Stiamo mettendo in atto la riforma del Disciplinare con delle modifiche radicali sui metodi di produzione.

Qualche esempio concreto?

Per quel che riguarda gli spumanti, vorremmo imporre la raccolta in piccoli contenitori e un maggior affinamento sui lieviti. Per quel che riguarda gli altri vini, proporremo un calo di produzione per ettaro. Poi vogliamo puntare su un Bonarda Superiore.

Quando discuterete il nuovo Disciplinare?

A fine autunno.

La batteria di bollicine di Monsupello si segnala ogni anno per un carattere fragrante e un'acidità molto più alta dalle media. Cosa c'è dietro?

Oltre alle caratteristiche del vigneto, fondamentali, c'è tanto lavoro a livello di tecnologie di cantina. Poi non facciamo le fermentazioni malolattiche (ndr. Le fermentazioni che diminuiscono l’acidità totale).

Perché tutte le bollicine proposte continuano a non fregiarsi delle denominazioni del territorio? Non sarebbe un'occasione per far crescere tutta la zona?

Partirei dal punto di vista opposto: è la zona che non ha fatto crescere le aziende! Così Monsupello, fino a che non si sarà raggiunta una maggiore serietà (anche in termini di regolamenti), continuerà a puntare sul proprio marchio.

Vendemmia 2017. Cosa avete portato a casa?

Il 2017, tra la gelata primaverile e la siccità estiva, è stata sicuramente una delle annate più difficili degli ultimi tempi. Oltre a un calo del 15-20%, abbiamo dovuto fare i conti con un ciclo fisiologico della vite breve, quindi non si può dire che l'uva abbia caratteristiche eccellenti. Però il livello rimane comunque buono: in cantina abbiamo delle basi ormai completate molto profumate.

State lavorando a qualche cuvée nuova?

Per il momento no, stiamo ancora lavorando sulle uve. Abbiamo però prodotto lo scorso anno un Blanc de Blancs Metodo Classico che uscirà nei prossimi anni.

 

Monsupello | Torricella Verzate (PV) | via San Lazzaro, 5 | tel. 0383896043 | www.monsupello.it

 

a cura di Annalisa Zordan

 

Tre Bicchieri 2018. Parla Diego Bosoni di Cantine Lunae Bosoni

 

Sebastien Bras rinuncia alle Tre Stelle. Addio alla Michelin: dobbiamo concentrarci sull'essenziale

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Il figlio del mitico Michel Bras, alla guida del ristorante Le Suquet da 10 anni, chiede pubblicamente alla Rossa di non figurare nell'edizione 2018. E rinuncia alle Tre Stelle, che il ristorante nell'Aubrac confermava dal 1999. Dietro la scelta la voglia di concentrarsi sull'eccellenza, senza pressioni. 

Le stelle Michelin. Croce e delizia

Via le stelle, stop alle pressioni di un sistema gratificante fin quando si rispettano le regole del gioco. Che sono tante, rigorose, e mettono alla prova persino i più grandi. Anzi, quando sei all'apice del successo, non è detto che la vertigine non diventi insopportabile. Sull'universo Michelin, visto da chi con stelle e critici protetti dall'anonimato ha a che fare da diversi anni, si interroga Michelin Stars, il film di prossima uscita, in anteprima mondiale al San Sebastian Cinema Festival. Una storia, quella della Rossa, che appartiene alla leggenda della critica gastronomica, e come tale racchiude aspettative, sogni di gloria, cuori infranti, persino qualche capitolo (molto) buio, perché la pressione di cui sopra può giocare brutti scherzi (e pensiamo a Benoit Violier, tristellato francese che alla fine del 2015 si toglieva la vita). E pure un potentissimo strumento di promozione, vetrina imprescindibile per i ristoranti del gotha internazionale, per quegli chef che con orgoglio mostrano le stelle appuntate sul petto. Unica, tra le guide gastronomiche, a determinare ancora gli equilibri del mercato della ristorazione, ma lungimirante nel rinnovarsi, come dimostrano gli ultimi esiti di una campagna acquisti che in pochi mesi ha assoldato il critico Robert Parker e il gruppo editoriale francese Le Fooding (prima ancora ricordiamo l'esordio del controverso portale di prenotazioni Michelin Days). Ma allora, è mai possibile che qualcuno scelga di rifiutare una stella? Sì, e i precedenti esistono in diversi Paesi del mondo.

 

La rinuncia di Sebastien Bras

L'ultim'ora, però, scuote dall'interno il panorama della ristorazione francese, certo il più premiato dalla conterranea Michelin. Così, mentre dall'altra parte del mondo Paul Pairet – tra i veterani di quella cucina d'avanguardia francese che pure in trasferta sbanca il botteghino – festeggia le tre stelle per Ultraviolet Shangai, da Laguiole (sull'altipiano dell'Aubrac ),Sebastien Bras si chiama fuori. No, il cognome non inganna. Sebastien è figlio d'arte del maestro Michel, un'istituzione della grande cucina francese, e dal papà ha ereditato il rispetto per la storia di una tavola classica, impeccabile, che trova in sé stessa e nella capacità di dialogare proficuamente col passato la propria forza. Da parte sua, invece, questo 46enne nato in cucina, che da 10 anni dirige il ristorante Le Suquet fondato dal papà nel 1992, ci mette il rispetto estremo della materia prima, gli esiti di un naturalismo in cucina che molti ritengono illuminante nella sua semplicità. Dal 1999 l'insegna vanta le tre stelle, tra le 27 punte di diamante della ristorazione francese secondo la Rossa. A pochi mesi dall'uscita dell'edizione 2018 della guida, però Sebastien affida a un breve video su Facebook la decisione di rinunciare al riconoscimento, perché “nel silenzio e nella solitudine, si sente solo l'essenziale”. La scelta di “intraprendere un nuovo capitolo della mia vita professionale, senza stelle e concentrato solo sulla cucina” è condivisa da tutta la famiglia, papà Michel in prima linea, fa sapere Sebastien proprio dal profilo ufficiale dei Bras. “A 46 anni ho bisogno di dare un nuovo senso alla mia vita” continua nel video Sebastien “al mio percorso professionale e alla mia vita personale, ricercando solo l'essenziale”. Poi ripercorre gli anni passati, “ricchi di soddisfazioni, ma inevitabilmente anche frutto di grandi pressioni”. E allora, da oggi, largo alla libertà “di continuare serenamente, senza tensioni, con una cucina, un'ospitalità e un servizio che sono l'espressione della nostra identità, e del nostro territorio”.

 

Basta pressioni

L'obiettivo, insomma, è quello di continuare a eccellere, pronti a fare un passo indietro, “fuori dalla competizione, ma senza cambiare il nostro modo di fare le cose”. Ringraziamenti d'ordinanza per la Rossa, che dal canto suo incassa la rinuncia con una reazione altrettanto formale e per molti versi condivisibile: “Per la prima volta uno chef ci chiede di non essere incluso in guida, prendiamo la richiesta in considerazione e la rispettiamo, ma non è detto che la pratica sarà automatica, perché la guida è fatta per i clienti, e non per i ristoratori, indipendentemente dall'attribuzione delle stelle”. Insomma, Bras se vuole rilassarsi si rilassi pure e non stia a badare se passa da Tre a Due stelle...

A onor del vero, come dicevamo, la rinuncia di Bras non è la prima nella storia della guida. Tra i casi più chiacchierati citiamo quello di Alain Senderens, recentemente scomparso, quando nel 2005 si trattò di rivoluzionare il format del blasonato Lucas Carton. “Non lavorate per la guida Michelin, ma per i vostri clienti”, chiosano i vertici dell'editore. Facile a dirsi, ma quanto (e per quanti chef) è vero oggi? Certo, d'ora in avanti, sarà così per Sebastien, che di stelle, nel suo futuro, vuole vedere solo quelle “di una notte meravigliosamente stellata” da condividere con i suoi ospiti.  

 

a cura di Livia Montagnoli

Michelin Shanghai 2018. Tre stelle alla tavola pirotecnica di Paul Pairet: Ultraviolet nell’Olimpo della Rossa

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Una seconda edizione priva di colpi di scena, dopo l’esordio dell’anno scorso, che aveva visto protagonista la tavola popolare di Canton 8, tra i più economici bistellati del mondo. Quest’anno festeggia soprattutto il francese Paul Pairet, ma la prima stella premia anche Jean Georges Vongerichten. 

Michelin Shanghai 2018. Le conferme

Se a Shanghai il mercato della ristorazione è così fiorente, il merito è dell’impulso del settore dell’ospitalità di alta fascia, come della curiosità di una clientela eterogenea – in buona parte fatta di stranieri che vivono e visitano la città – invogliata a scoprire sapori nuovi ed esperienze gastronomiche sempre diverse. È quanto sostiene Michael Ellis, direttore del gruppo Michelin, nel presentare l’ultima edizione, la seconda nella storia della Rossa a Shanghai, della guida cittadina che censisce 129 indirizzi, di cui 30 stellati. Alla fine del 2016, l’editore francese esordiva nella metropoli cinese con una pubblicazione dedicata, dando seguito alla strategia di presidiare con interesse crescente e sempre più capillare le mete di tendenza del continente asiatico, come Singapore. E sebbene qualche critica fosse piovuta a sottolineare un certo scollamento degli ispettori dalla realtà – la selezione 2017, come del resto quella appena resa nota per il 2018, privilegiava le tavole più blasonate, tacendo sull’incredibile scena street e popolare di Shanghai – l’arrivo della Rossa, nell’ultimo anno, ha indubbiamente contribuito all’inclusione della città tra le mete gastronomiche da non perdere. La seconda edizione, dunque, conferma lo stato delle cose, senza particolari rivoluzioni in vetta: nella compagine dei bistellati ritroviamo Canton 8, tavola informale molto frequentata dalla famiglie locali, tra le realtà stellate più economiche censite dalla Rossa nel mondo (ma ricordiamo anche lo street food stellato di Singapore, e ancora prima la sezione dedicata al cibo di strada sulla guida di Hong Kong). Come pure Umberto Bombana, due stelle per il suo 8 ½ che replica all’interno del Rockbund il successo dell’insegna tristellata di Hong Kong.

Tre stelle a Paul Pairet

Ma il computo della “terra di mezzo” scende di un’unità rispetto al 2017, e questa è la novità degna di nota: alla due stelle conquistate l’anno scorso, Ultraviolet di Paul Pairet aggiunge la terza, salendo sul gradino più alto del podio in compagnia del ristorante tradizionale T’ang Court, unico, finora, a poter vantare il massimo riconoscimento per la sua moderna cucina cantonese, all’interno del Langham Hotel. Lo chef francese, dal 2012 presente in città, ha scommesso su un approccio pirotecnico, che gli ospiti dell’unico tavolo da 10 coperti nello scrigno segreto allestito da Pairet, possono sperimentare ogni sera per 400 dollari ciascuno. L’esclusività dell’esperienza, favorita da effetti multimediali, suoni e luci che sollecitano i sensi, è frutto di un certo atteggiamento guascone dello chef, che sulla sua personalità frizzante ha costruito un percorso d’avanguardia “di altissimo livello, offrendo un autentico viaggio gastronomico”, spiega Ellis nella motivazione che accompagna le Tre Stelle. Dal canto suo, Pairet – che l’anno scorso ha triplicato gli sforzi in città con il format Chop Chop Club– si dice felice, ma ancora incredulo per l’apprezzamento dimostrato dagli ispettori a un format così insolito.

Le nuove prime stelle

Sappiamo però che la guida punta legittimamente e comprensibilmente ad affermare il sistema-Francia è molto generosa con i connazionali francesi (intanto in Francia incassa il “rifiuto” di Sebastien Bras) che hanno intrapreso la strada dell’internazionalizzazione della cucina nazionale: tra le conferme a due stelle non manca l’Atelier di Joel Robuchon, mentre tre i nuovi stellati (5 in tutto) entra Jean Georges, l’alta cucina francese di Jean Georges Vongericthen a Shanghai. Con lui festeggiano la prima stella Bo Shanghai dello chef Alvin Leung (tre stelle a Hong Kong), Yong Fu, il vegetariano Wujie e Taian Table. Dinamismo, dunque, e grande potenziale gastronomico, premesse che in buona parte restano inespresse di fronte a un metro di giudizio ancora piuttosto convenzionale.

 

Tre stelle

T'ang Court

Ultraviolet by Paul Pairet

 

Due stelle

8 1/2 Otto de Mezzo Bombana

L’Atelier de Joel Robuchon

Canton 8

Yi Long Court

Yongfoo Elite

Imperial Treasure Restaurant

 

Una stella

Jean Georges

Bo Shanghai

Yong Fu

Wujie

Taian Table

Sir Elly’s

Da Dong

Madam Goose Xinzhuang

Phenix eatery & bar

Fu He Hui

Seventh Son Restaurant

Jin Xuan Chinese Restaurant

Kanpai Classic

Lao Zheng Xing Restaurant

Lei Garden

Shang-High

La Famille

Jade Mansion

Rong Chinese Cuisine

Tai'an Table

Yong Yi Ting

 

a cura di Livia Montagnoli

Racconti a tavola. Un concorso letterario dedicato alle storie gastronomiche

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Aperte fino alla fine ottobre le iscrizioni per “Racconti a tavola”, contest per scrittori che si impegnano a raccontare storie di cibo, cucina, tradizioni, sapori e ricette.

La casa editrice

Nata nel 2008 come e-magazine culturale, Historica oggi è una casa editrice che vanta un catalogo di più di 400 titoli divisi in sei collane principali. Con un occhio di riguardo particolare per gli autori esordienti e con l’obiettivo di proporre pubblicazioni di qualità nel segno dell’indipendenza editoriale. A novembre 2010, grazie all’incontro del fondatore Francesco Giubilei con Giorgio Regnani, imprenditore modenese nel campo alimentare e grande appassionato di libri ed editoria, Historica ha iniziato a focalizzarsi sempre di più sui testi di stampo gastronomico, attraverso iniziative, progetti dedicati e una partnership che ha determinato una struttura editoriale completamente nuova.

Il cibo nei libri

Racconti che partono dalla tavola, recuperando quel familiare binomio fra cibo e letteratura, declinato in molte varianti, soprattutto negli ultimi 10 anni in cui la cucina ha assunto un ruolo significativo all'interno della sfera sociale e individuale di ciascuno di noi. Tanti gli autori e i critici che nel tempo si sono soffermati su questo argomento con approcci differenti, da Montanari a Parasecoli, da Artusi a Rabelais, e la lista è ancora lunga e in continua crescita. Un tema caro a molti, quello dell'enogastronomia, che da sempre riempie le pagine di romanzi d'autore di tutto il mondo. Spesso, però, ci si concentra talmente sul cibo e sulla tavola come protagonisti della narrazione, che ci si dimentica di altri volumi preziosi in cui la trama tratta argomenti diversi, ma con sapori e profumi della cucina a fare da sfondo, secondari certi capitoli, ma che diventano determinanti in altri passaggi.

Il concorso

Racconti fantastici, realistici, saghe, gialli, testi di avventura e di amore. L'atto del mangiare si presenta sulla carta in tutto il suo simbolismo, ed è proprio per porre l'attenzione su questa allegoria ancestrale che la casa editrice ha scelto di lanciare per la prima volta un contest dedicato alle storie che ruotano attorno al cibo. “Racconti a tavola” è una competizione che si impegna a valutare i testi inediti con evidenti riferimenti alla cucina. La partecipazione è gratuita e aperta a tutti gli autori, esordienti e non, fino al prossimo 15 ottobre 2017. I testi devono essere tutti in lingua italiana, e non devono superare le 8 cartelle dattiloscritte. Le storie selezionate dalla giuria verranno raccolte e pubblicate da Historica edizioni in un unico libro, in vendita in anteprima nazionale in occasione di “Più libri più liberi”, la fiera del libro di Roma che quest'anno si terrà dal 6 al 10 dicembre, e che sarà successivamente ordinabile online e in libreria, oltre a essere disponibile nelle principali fiere letterarie a cui partecipa la casa editrice. L’antologia sarà impreziosita, poi, da due contributi fuori concorso: il primo, a firma dello scrittore e giornalista del primo Novecento Giovannino Guareschi, ambientato durante la seconda guerra mondiale, e il secondo redatto dal saggista milanese Paolo Gulisano, esperto italiano di Tolkien, che affronterà l’argomento del cibo nel mondo degli Hobbit.

www.historicaedizioni.com

a cura di Michela Becchi

Nuova vita per il Toulà. Storia e rilancio della prima catena di alta ristorazione

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Negli anni Sessanta, l'esperienza di quello che sarebbe diventato il Toulà nasceva a Treviso, per iniziativa di Alfredo Beltrame. Alla fine degli anni Novanta, il gruppo, contava qualcosa 23 ristoranti di alta cucina italiana nel mondo. L'incredibile storia del Toulà, da Cortina a Bora Bora, e il suo rilancio. 

Toulà. La prima catena di alta ristorazione italiana in Europa

La trattativa si è chiusa a maggio scorso, senza troppo clamore, nonostante quella destinata a rinascere tra le mani del neonato Toulà Food and Dining Group sia stata per decenni una delle realtà di alta ristorazione italiana più significative nel mondo. Oltre 30 anni fa, e per un lunghissimo periodo, che attraversa gli anni d'oro dell'italian style capace, per esempio di fare scuola a Montecarlo e Tokyo, Pechino e Toronto, passando per Monaco di Baviera ed Helsinki. E Bora Bora, persino. Quella del Toulà, la prima vera catena di alta ristorazione europea alla conquista del mondo (prima di Zuma, Hakkasan, Nobu, Novikov, Cipriani anche se si fa fatica a crederlo), è assolutamente la storia di un'epoca. E gli aneddoti degni di nota, che oggi costituiscono parte del suo fascino e ne accrescono il valore sul mercato, si sprecano. Nato a Treviso nel 1961 sotto la guida di Alfredo Beltrame, il progetto, all'inizio, aveva una spiccata connotazione regionale, eppure ben orientato a valorizzarla al meglio, la cucina della tradizione, costruendogli intorno un ristorante raffinato, di grande richiamo, ambientazione liberty e spiccata personalità. Fu la fortuna del ristorante Da Alfredo (come all'epoca si chiamava l'insegna).

 

Da Treviso, nel mondo

Il modello piacque prima all'élite della città, poi cominciò a far parlare di sé per l'attitudine ricercata di quell'esperienza gastronomica e sociale che però era al contempo molto familiare. Gli strumenti per esportarlo altrove, col bollino di qualità dell'accoglienza made in Italy, c'erano tutti. L'incontro con l'avvocato Agnelli fece il resto: nel 1964 nasceva il primo Toulà (fienile in ladino) a Cortina d'Ampezzo, unico reduce in Italia, a distanza di oltre 50 anni, e oggetto del primo rilancio del brand, di cui parleremo tra poco. Poi vennero Portorotondo nel '66, Roma (a via della Lupa) nel '68, e in rapida successione Milano con Toulà Biffi alla Scala, Firenze all'Harry's Bar, Padova. All'estero prima Monaco di Baviera, poi Montecarlo, Helsinki, Toronto, Bora Bora; Pechino negli anni Ottanta, primo gruppo italiano ad aprire in Cina in società con il governo cinese (all'interno del Beijing International Hotel). Il Giappone di Toulà Tokyo e Nagoya. Fino a gestire 23 sedi in tutto il mondo. Parallelamente il marchio di rafforzava, declinando il suo prestigio nella definizione di una linea di prodotti di alta gastronomia e nel servizio di catering che esiste ancora oggi.

 

Lavorare sulla memoria. Un'icona italiana

Di volta in volta, le dinamiche della “colonizzazione” Toulà assumevano sfumature diverse, ricordi succosi di un cofanetto della memoria da custodire gelosamente, per quando si tratterà – molto presto - di costruirci intorno il rilancio internazionale. Giuseppe Ungaretti, per esempio, era assiduo frequentatore del Toulà di Roma, e come lui Ennio Flaiano; Goffredo Parise si riuniva col suo circolo a Treviso, negli anni Sessanta. Dino de Laurentis, quando si trattò di girare Hurricane a Bora Bora, “pretese” di aprire un Toulà sull'isola, per le riprese del film: “Lo chef di allora si trovò talmente bene che oggi vive sull'isola, con cinque figli”, racconta divertito Giuseppe Luchesa, che del nuovo gruppo Toulà è amministratore delegato per la società pescarese Dynamin holding, che ha comprato il marchio e il locale di Cortina la primavera scorsa. “Il Toulà divenne a tal punto ambasciatore della ristorazione italiana nel mondo” ricorda Luchesa “che quando nell'84 Beltrame morì, il Conte Giovanni Nuvoletti Perdomini, allora presidente dell'Accademia Italiana della Cucina, decise di assumerne la presidenza ad interim per un anno, così da preservarne il prestigio”. Poi c'è l'aneddoto che chiama in causa direttamente il presidente degli Stati Uniti: “Ho nel cassetto un documento che ricorda la trattativa per aprire in America, con la mediazione di De Laurentis, nella Trump Tower che stava nascendo. L'accordo saltò all'ultimo secondo, perché Beltrame si tirò indietro”.

La crisi. E il nuovo inizio

All'inizio degli anni Duemila, però, la forza del marchio andò scemando, il gruppo cominciò a perdere pezzi, conservando solo il locale di Cortina e il Toulà di Toronto, all'interno del Marriott Hotel. L'originale Da Alfredo di Treviso, invece, ha cambiato proprietà, e preso la sua strada. Ora l'obiettivo è quello di riprendere in mano la storia, ripartendo da Cortina, per ripensare la sfida Toulà adattandola alle richieste del mercato contemporaneo: “Rilevare un marchio del genere è emozionante, ma è anche una grande responsabilità. Si tratta di una realtà 'dormiente' che però piace ancora a molti investitori. Non sarà difficile trovare partner all'estero, ma prima dobbiamo ricostruire una base solida”. Cominciando proprio da Cortina: alla fine di luglio, dopo un rinnovo dei locali che ha lasciato integro il ricordo degli spazi storici (un vecchio fienile in legno, con vista mozzafiato), il Toulà Cortina ha riaperto al pubblico, sotto la nuova gestione. “Siamo ben consapevoli di non aver rilevato solo un marchio, ma una catena di ristorazione che deve riproporre il livello raggiunto in passato. Quindi attitudine all'ospitalità ricercata, grande servizio, belle tovaglie, esperienza che attrae un target affascinato dal lifestyle italiano”. In concreto, l'idea è quella di offrire una grande tavola italiana fondata sul concetto di semplicità, che peschi nella storia del Toulà - “quindi dalla sua spina dorsale veneta” - ma sappia poi declinarsi in chiave glocal.

Dalla cucina piatti iconici come la cotolette alla milanese, la parmigiana di melanzane, l'italianità a tavola, le materie prime selezionate con cura. E poi le specificità del territorio, “a Cortina, per esempio, siamo ripartiti con l'agnello dell'Alpago, e i porcini dei boschi locali”. Per il servizio si pensa in grande, “mi affascina molto il movimento guidato da Giuseppe Palmieri” (mentre uno degli ispiratori del concetto di semplicità, per Luchesa, è Fulvio Pierangelini). A gestire il gruppo di Cortina, però, c'è sempre Dario Buosi, memoria storica del Toulà.

 

Toulà rinasce. La catena riparte da Roma

Quel che è certo, però, è che la clientela vuole ricordare, rivivere il passato mitico del Toulà: “Dobbiamo creare un luogo dentro al tempo, ma anche fuori dal tempo. Solo così si diventa iconici”. La ripartenza di Cortina sta già dando buoni risultati, i clienti apprezzano, l'idea è quella di andare oltre l'esperienza regionale, aprendo lo spazio non solo al pubblico internazionale della rinomata località turistica, ma anche a chi vive sul territorio. Poi arriveranno le nuove aperture, almeno 4 nell'arco dei prossimi 3 anni. Prima Roma, nella primavera 2018: “Stiamo valutando gli spazi, abbiamo bisogno di un luogo attraente, identitario, in centro città. Qualcosa che non sia già stato un ristorante, con spazi all'esterno, giardini”. Poi si punterà su Londra, e Dubai. Venezia con una formula diversa, modulata sugli eventi cittadini. E anche da Milano potrebbe arrivare la collaborazione con un hotel importante: “L'idea di lavorare con hotellerie e partner internazionali è sicuramente nelle nostre corde”. Del resto, Toulà, il concetto di catena ce l'ha intrinseco nel Dna, basta guardare il marchio, l'anello di una catena: “Abbiamo una grande possibilità”.  

 

El Toulà | Cortina d'Ampezzo (BL) | Località Ronco, 123 | www.toula.it 

 

a cura di Livia Montagnoli


Libri sul cibo. La cucina di Afrodite di Christina Loucas

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Una tavola che coniuga prodotti di mare e di terra, in una combinazione unica di sapori e profumi diversi. È la cucina di Cipro, per l'esattezza della parte greca, che la food blogger Christina Loucas si propone di raccontare nel suo primo libro di ricette.

L'autrice

Una laurea in Legge all'Università di Oxford, anni di esperienza nel campo giuridico trascorsi fra Londra, Singapore e il Canada e poi un'improvvisa malattia affrontata a testa alta, che le ha dato la forza di cambiare vita e seguire le sue reali passioni, la gastronomia e la fotografia. ChristinaLoucas, ex avvocato, è diventata famosa negli ultimi 6 anni per il suo blog Afrodite's Kitchen, dedicato alla cucina di Cipro. Cittadina del mondo e appassionata viaggiatrice, Christina è per metà canadese e metà cipriota, e nel suo blog si impegna a raccogliere ricette e racconti dell'isola a lei cara per farli conoscere a un pubblico internazionale. Fotografa, scribacchina, e occasionalmente preparatrice di halloumi(formaggio tipico di Cipro): così si autodefinisce ironicamente nel suo blog, da tempo un punto di riferimento per tutti gli amanti della cucina mediterranea.

Il libro

Pani, prodotti da forno, zuppe, insalate, piatti di mare e di terra, salse, dessert e anche bevande. Edito recentemente da Nomos Edizioni,La Cucina di Afrodite raduna le tante esperienze gastronomiche della blogger in una raccolta di ricette classiche e rivisitate. Si comincia con le bevande, dal tè freddo alla cedrina al caffè cipriota, per passare poi alle specialità dell'arte bianca – pane alle olive, calzoni ripieni di zucca, muffin di crusca – e ancora verdure ripiene, piatti di legumi, per finire con i dolci a base di frutta secca e miele. Un volume che ripercorre storie, tradizioni, racconti di località sperdute e di ricette antiche tramandate di generazione in generazione.

La memoria sensoriale e il recupero della tradizione

Ma anche e soprattutto un viaggio sensoriale fra i ricordi d'infanzia incastonati fra il profumo dell'halloumi fatto in casa e l'odore pungente dei fichi d'India. “Crescendo, i viaggi a Cipro sono diventati sempre più sporadici”, spiega l'autrice nell'introduzione, “perché passavano sempre in secondo piano, soppiantati dall'attività frenetica e dallo stress del mio lavoro come avvocato di arbitrato internazionale a Londra”. E le rare gite all'isola confermavano sempre di più i timori di Christina: “La generazione più vecchia stava letteralmente scomparendo, con lei sparivano le ricette e le istruzioni per preparare questi cibi tradizionali. A quel punto ho capito che se volevo preservare le ricette della mia famiglia, dovevo trovare il modo di farlo da sola”.

Le ricette

La mia intenzione era quella di catturare l'essenza della tradizione culinaria cipriota in modo da renderla accessibile a una cucina moderna e internazionale”. L'obiettivo? Dare un'idea a coloro che non vivono a Cipro dell'universo culinario “piccolo ma ben definito” nascosto fra le tavole dell'isola, e al contempo far rivivere ai ciprioti emigrati i sapori di casa, attraverso una storia “fatta di parole e immagini che evocano i lontani ricordi di infanzia”. Ogni ricetta, infatti, è corredata da una fotografia scattata da Christina in persona, oltre che da note esplicative chiare e concise all'inizio di ogni capitolo, e della traduzione in greco. Così, pagina dopo pagina, l'autrice offre un'istantanea intima e personale di una cucina “umile ma allettante, caratteristica del Mediterraneo orientale, in cui si fondono sapori e ingredienti”. Una tavola piuttosto diversificata, dunque, e soprattutto una gastronomia basata sui frutti della terra come le olive, le carrube, gli agrumi, l'olio d'oliva, l'aceto di vino e tutti quei prodotti tipici della dieta mediterranea.

La cucina cipriota

Non particolarmente piccante, la cucina cipriota fa un abbondante uso di erbe locali, specialmente di “origano selvatico, rosmarino, menta, prezzemolo, basilico, cannella e coriandolo”. Ad arricchirsi di note speziate sono i dolci e i prodotti da forno, solitamente insaporiti con “pepe, chiodi di garofano,e di mahleb”, prodotto particolare ricavato dai semi del Prunus mahaleb, una specie di ciliegia locale. Una cucina semplice, “stagionale e contadina, che impiega diverse verdure” e limita il consumo di carne alle “celebrazioni religiosi e le grandi riunioni familiari”. Pratica ancora oggi molto diffusa fra le famiglie cipriote è quella di curare un piccolo appezzamento di terra dedicato agli ortaggi e gli ulivi, talvolta anche alle vigne. “Molte famiglie producono ancora l'olio in casa ogni anno, mentre amici e familiari si scambiano l'eccedenza dei raccolti del proprio orto”. Sempre meno persone, invece, si dedicano all'arte bianca, ma niente timore per gli amanti del genere: “Ci sono tantissimi forni in tutta l'isola, molti dei quali aperti 24 ore al giorno, orario che ho sempre apprezzato molto!”.

Una ricetta dal libro: Triangoli agli spinaci

Ingredienti

310 g. di spinaci

1 tazza abbondante di porri, tritati finemente

1 tazza e ½ di cipollotto, tritato finemente

2/3 di tazza di aneto, tritato finemente

1 uovo grande

150 g. di feta grattugiata

14 fogli di pasta fillo (34x42 cm)

½ tazza di burro fuso, per la spennellatura

1 cucchiaino di sale

¼ di cucchiaino di pepe

1/3 di tazza di olio di oliva per friggere

Preriscalda il forno a 175°C e fodera due teglie con carta da forno, Scalda l'olio d'oliva in una padella per friggere sul fornello a fuoco medio-alto. Quando l'olio è caldo aggiungi i porri, il cipollotto e l'aneto e fai saltare per 2 minuti. Aggiungi gli spinaci e continua a saltare fino a che sono appassiti. Aggiungi sale e pepe. Scola il composto di spinaci su una bacinella per circa 2 ore. In una ciotola grande sbatti leggermente l'uovo. Quindi aggiungi la feta grattugiata e il composto di spinaci raffreddato e mescola il tutto. Su una superficie piana posiziona un foglio di pasta fillo e spennella con il burro fuso. Quindi mettici sopra un altro foglia di pasta fillo. Spennella questo foglio con il burro fuso. Taglia con un coltello affilato 5 strisce uguali. Metti un cucchiaio del composto feta-spinaci su ogni striscia e piega la pasta fillo fino a creare dei piccoli triangoli. Usa un pochino di burro per “incollare” eventuali residui di pasta fillo sui bordi. Posiziona ogni triangolo sulle teglie e spennella leggermente con un po' di burro. Metti le teglie (una alla volta) nel forno e cuoci per circa 15-20 minuti fino a che i bordi del triangolo non diventano dorati.

Resa: 35 triangoli agli spinaci.

La Cucina di Afrodite, Christina Loucas | ed. Nomos Edizioni | Euro 24,90

a cura di Michela Becchi

Libri sul cibo per l'estate. Bee Happy. Storie di alveari, mieli e apiculture

Libri sul cibo per l'estate. Lima, Cucina dal Perù

Libri sul cibo per l'estate. Mozzarella in carrozza. Ricette d'artista

Libri sul cibo per l'estate. Omicidi all'acqua pazza

Libri sul cibo per l'estate. Cibi di Strada – Il Sud

Libri sul cibo per l'estate. Il balsamico della tradizione secolare 

I formaggi iblei in festa. L'antica tradizione casearia del ragusano si ritrova in piazza

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Appuntamento a Ragusa, dal 22 al 24 settembre, per un weekend alla scoperta della tradizione casearia locale, che può vantare un caciocavallo vaccino a marchio Dop, il Ragusano, e molte antiche produzioni, dal tumazzu al pecorino, alla ricotta. 

I formaggi iblei. Una tradizione antica

La provincia di Ragusa, sull'isola siciliana, è per tradizione votata al latifondo, e all'economia agricola. E oggi sono molti gli allevamenti della piana che alimentano il settore caseario, spesso con esiti ben lontani dalla qualità che meriterebbe una produzione di formaggio tanto tipica e antica. Nel frattempo, a regimentare le specialità casearie del ragusano sono arrivati i marchi di tutela, ma la certificazione d'origine non sempre è garanzia sul prodotto, e sul produttore. Anzi. Allora, per scavare nella tradizione locale, scovare le vere tipicità di un territorio che può vantare, per esempio, una razza di bovini autoctona – la razza modicana – è bene affidarsi a chi tramanda i procedimenti di lavorazione autentici, quelli più antichi (alcune “ricette” risalgono addirittura al Quattrocento, quando sui documenti d'archivio iniziano a figurare caciocavalli e tumazze, che i pastori donavano come merce di scambio ai proprietari della terra, per garantirsene lo sfruttamento). Molti di loro appartengono alla vecchia generazione: a un mestiere così faticoso, per i più giovani, è difficile appassionarsi. Per lavorare a regola d'arte le giornate trascorrono tra pascoli allo stato brado, mungitura, lavorazioni da seguire con pazienza e scrupolo. Cura degli animali e del territorio che li ospita.

 

Una vita dedicata al formaggio

Orazio Iabichino, da molti anni, ha dedicato la sua vita all'arte casearia. Nella sua azienda produce Ragusano Dop (caciocavallo di latte vaccino, dal 1996 con la certificazione della denominazione d'origine), caciocavallo – il “cosacavaddu” – e cacetti, provole, ricotta. Le mucche pascolano ogni giorno nella campagna iblea, tra oliveti e mandorleti che caratterizzano il territorio, intervallato da muretti a secco; poi si procede alla mungitura: il latte finisce sul fuoco, nel paiolo incassato nel forno alimentato a legna. Segue la fase della stagionatura, fino all'arrivo sul mercato di Ragusano e caciocavalli (freschi, semistagionati, stagionati). Anche Rosario Floridia custodisce la tradizione casearia locale, prodigo di specialità che rispettano l'eredità ragusana: le vacche di razza modicana sono allevate allo stato brado, il formaggio viene prodotto con strumenti in legno uso antico e stagionato fino a 6 mesi per la variante più stagionata (120 giorni per il semistagionato). L'azienda di Ispica (contrada Scorsone), a gestione familiare, produce anche Tumazzo, un formaggio a latte crudo, prevalentemente venduto fresco, tra le più antiche e rare produzioni del territorio. Le nuove generazioni si stanno facendo largo con lentezza, alcuni hanno ereditato l'attività di famiglia, con lo stesso scrupolo di chi li ha preceduti (è il caso della famiglia Spada). A Ragusa, la bottega di Food - Custodi dei sensi racconta ai clienti più curiosi molte di queste specialità, selezionate sul territorio da Carmelo Cilia.

 

La Festa dei Formaggi Iblei

Il 22 e 24 settembre, invece, la condotta Slow Food di Ragusa, in collaborazione con il Comune, organizza la Festa dei Formaggi Iblei: la rassegna ha l'obiettivo di valorizzare la produzione casearia locale, con i produttori chiamati ai banchi d'assaggio, per un confronto diretto con il pubblico. Più in generale, la manifestazione, che animerà il centro storico di Ragusa, porta in piazza le tipicità del territorio ibleo, e la promozione di stili di vita sani, fondati sull'alimentazione e il rispetto dei cicli naturali. E sarà via Roma ad accogliere i produttori dei Presidi Slow Food della provincia, dalla cipolla di Giarratana – grande, dolce, piacevolmente profumata – al fagiolo Cosaruciaru di Scicli, al latte di asina ragusana. Al più recente e curioso sesamo di Ispica. Poi passeggiate, tour guidati, laboratori per i più piccoli. Domenica 24, dalle 20, assaggi a base di formaggi, scacce, pane cunzatu e vino locale per tutti.

 

Festa dei Formaggi Iblei | Ragusa | dal 22 al 24 settembre 2017 | http://www.gamberorosso.it/it/sicilia-territori-del-vino-e-del-gusto

BIO*SAGRA For Kids 2017. A Fiorano 60 chef per la ricerca terapeutica infantile

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La manifestazione ospitata dall'Azienda Agricola Fattoria di Fiorano alle porte di Roma torna il 1 ottobre per aiutare la ricerca terapeutica infantile. E i protagonisti coinvolti sono sempre di più, così come le novità di questa quarta edizione. I nomi e il programma.

L'evento

Stessa formula, più adesioni. Per una manifestazione giunta ormai alla sua quarta edizione che, nella sua semplicità, ha trovato la chiave del successo. Prodotti genuini dell'orto, una cucina sana e lineare, e soprattutto un'atmosfera conviviale e familiare. All'insegna della solidarietà, ancora una volta con la raccolta fondi Onlus FKK per sostenere la ricerca del Dipartimento di Scienze Neurologiche dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, e non solo. La BIO*SAGRA torna il 1 ottobre, grazie alla generosità dei protagonisti della scena gastronomica romana, che da ormai 4 anni per un giorno si improvvisano venditori di strada negli spazi dell'Azienda Agricola Fattoria di Fiorano. Tutti i fondi raccolti (41.983 euro nel 2016) saranno destinati alla ricerca sul ruolo terapeutico della dieta chetogenica nella cura dell'epilessia infantile farmacoresistente e altri tre nuovi progetti di beneficenza.

Le novità

Sì, perché il format e lo spirito restano invariati, ma gli obiettivi da raggiungere aumentano. Si aggiungono alla lista altri tre progetti, questa volta di carattere sociale e professionale, ancora legati al mondo dell'alimentazione. “Tutti in Fattoria” della Fondazione Hopen, rivolto a giovani disabili o affetti da malattie rare, con lo scopo di formarli nell'apprendimento di mestieri specifici, “Green Bar” della Cooperativa Sociale CEAS, un nuovo punto di aggregazione e formazione per minori vittime di abusi e maltrattamenti e con disabilità, che aprirà nel parco della comunità educativa L'Albero delle Mele di Mentana, e poi ancora “Bottega dei Talenti”, della Onlus Opera Nazionale per le Città dei Ragazzi, impegnata ad assicurare le risorse alla formazione professionale a vantaggio delle fasce deboli di giovani under 20.

Ma non finisce qui: da quest'anno, infatti, è possibile acquistare il biglietto di ingresso, dei laboratori e delle ricariche online sul sito dell'evento. Il costo d'ingresso è di 15 euro, e dà diritto a una Card con 5 acini valida per l’acquisto delle consumazioni alle varie postazioni, mentre la “ricarica” di acini ha un costo di 10€. I bambini di età inferiore ai 3 anni potranno, invece, entrare gratuitamente alla manifestazione.

I protagonisti e il programma

Crescono gli obiettivi, e aumenta di pari passo il numero degli chef e dei ristoratori che scelgono di aderire al progetto. Oltre 60 personaggi noti del panorama romano e laziale, da Heinz Beck a Cristina Bowerman, da Francesco Apreda a Iside de Cesare, da Kotaro Noda a Lele Usai, e poi ancora Roy Caceres, Giulio Terrinoni, Luigi Nastri, Claudio Gargioli, Carla Trimani, Maria Paolillo, e molto altri i professionisti impegnati a deliziare il palato dei visitatori e sostenere la ricerca. Ma non solo chef: presenti anche gelatieri e pizzaioli, fornai e operatori del settore dello street food. Per un programma fitto di appuntamenti, laboratori e attività. A cominciare da quelle ludiche e didattiche pensate per i più piccoli, da svolgere insieme ai propri genitori, come la realizzazione di mosaici con legumi e pasta, la costruzione di strumenti musicali con materiali di riciclo e la realizzazione di un orto gelato con un mastro gelatiere. E poi esperimenti scientifici, giochi e momenti di condivisione curati da Il programma della Giornata di Beneficenza. Non mancheranno, inoltre, spettacoli e sorprese, musica e un teatro dei burattini.

I protagonisti

All’Oro – Riccardo Di Giacinto
Aminta – Marco Bottega
Armando al Pantheon – Claudio Gargioli
Bistrot 64 – Kotaro Noda e Giacomo Zezza
Chinappi Roma – Federico del Monte
Convivio Troiani – Angelo Troiani
Coromandel – Ornella de Felice
Ditirambo – Alessandra Bottoni
Enoteca Achilli al Parlamento – Massimo Viglietti
Enoteca Ferrara – Maria Paolillo
Essenza – Simone Nardoni
Flower Burger – Fabrizio Verga
Fonzie the Burger’s House – David e Daniel Gay
Freddo, gelato artigianale
Frutta Nuda, marmellata artigianale dalle 15:30
Glass Hostaria – Cristina Bowerman
G like Gelato, gelato artigianale dalle 15:30
Grano – Danilo Frisone
Il Sorì – Pasquale Paky Livieri
Il Tino – Lele Usai
Imago all’Hassler – Francesco Apreda
La Baia di Fregene – Benny Gili
La Barrique – Antonello Magliari
La Ciambella bar à vin con cucina – Francesca Ciucci
La Galleria di Sopra – Claudio Carfagna
La Gatta Mangiona – Giancarlo Casa
La Parolina – Iside de Cesare
La Pergola Roma – Heinz Beck
La Portineria – Gianluca Forino
La Punta Expendio de Agave con Cocina – Sarah Bugiada, aperitivo dalle 16:30
Le Bon Ton Catering – Giovanni Terracina e Dario Bascetta Greco
L’Orto di Alberico – Cesare Ansuini
L’Oste della Bon’ora – Maria Luisa Zaia
Livello1 – Mirko di Mattia
Mazzo – Francesca Barreca e Marco Baccanelli
Meglio Fresco – Maria Laura Sales
Metamorfosi – Roy Caceres
Osteria dell’Orologio – Marco Claroni
Osteria di Monteverde – Roberto Campitelli
Osteria Fernanda – Davide del Duca e Luca Carucci
Oyster Oasis – Corrado Tenace, aperitivo dalle 16:30
Panificio Bonci – Gabriele Bonci e i Bonci Boys
Pasticceria Bompiani – Walter Musco
Pasticceria De Bellis – Andrea de Bellis
Pastificio Mauro Secondi – Mauro Secondi
Per me – Giulio Terrinoni
Pomodori Verdi Fritti – Francesco Ghislandi
Prelibato – Stefano Preli
Pro Loco Dol Centocelle – Vincenzo Mancino
Red Fish – Antonio Gentile
Retrobottega – Alessandro Miocchi e Giuseppe Lo Iudice
Romeo Chef & Baker – Cristina Bowerman
Santi Sebastiano e Valentino – Valerio Coltellacci
Selezione Boccoli – Luca Boccoli, aperitivo dalle 16:30
Severance – Paola Tomasiello e Angelo de Vita
Spirito DiVino – Eliana Vigneti Catalani
Stazione di Posta – Luigi Nastri
Steccolecco, gelato artigianale dalle 15:30
Supplizio – Arcangelo Dandini
Tastevin – Michele Massaro
Tischi Toschi – Alessio Casablanca
Tordomatto – Adriano Baldassare
Trapizzino – Stefano Callegari
Trattoria Epiro – Matteo Baldi e Marco Mattana
Trattoria Santopalato – Sarah Cicolini
Trimani Wine Bar – Carla Trimani
White Ricevimenti – Lino Menichetti

BIO*SAGRA For Kids | Roma | Azienda Agricola Fattoria di Fiorano | 1 ottobre 2017 | ingresso 15 euro | www.biosagraforkids.it

a cura di Michela Becchi

Anteprima Tre Bicchieri 2018. Sardegna

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Continua a crescere la Sardegna del vino e lo fa sotto l'aspetto quantitativo ma soprattutto qualitativo. Ecco l'anticipazione dei premiati della nuova guida Vini d'Italia 2018.

È doveroso segnalare prima di tutto che quest'anno siamo arrivati a un numero record di aziende assaggiate (intorno a un centinaio) per circa 600 vini. È il risultato di un fenomeno regionale iniziato qualche anno fa. Molti giovani decidono di intraprendere la strada dell'agricoltura e della vitivinicoltura (e questo è un dato molto positivo), allo stesso modo alcuni vignaioli conferitori delle cantine sociali decidono di mettersi in proprio e iniziano a produrre le prime etichette. In tutto ciò entra in scena l'aspetto qualitativo. Sì, perché la strada intrapresa dalle nuove realtà è quella di produrre vini molto territoriali, rispettosi delle varietà tradizionali e ottenuti con procedure moderne, ma per nulla invasive e che dunque non vanno a scapito della tipicità.

Il risultato è chiaro se si osservano i numerosi vini che entrano in Guida, a prescindere dal punteggio ottenuto, a testimoniare le diverse etichette assolutamente consigliabili. Aggiungiamo inoltre che le ultime annate sono state calde ma non eccessivamente e la qualità delle uve in tante zone dell'Isola è stata ottimale. I territori sotto osservazione sono diversi e le soddisfazioni arrivano dalla Gallura per i rossi (i bianchi si sono affermati da tempo), da Usini, grande zona per Vermentino e Cagnulari, passando per il centro Sardegna con Oristano, Mandrolisai, Barbagia e Ogliastra (queste ultime grandi zone per il cannonau). Al Sud Serdiana si rivela un grande paese del vino con ben quattro aziende presenti in Guida, mentre il Sulcis è sempre una garanzia. Salgono sul gradino più alto del podio quattro Vermentino e quattro Cannonau, a confermare il prestigio delle due varietà più presenti nell'Isola: Il Tuvaoes di Cherchi e il Costarenas di Masone Mannu sono vere e proprie novità, ottime performance anche per Siddura e Pala.

Tra i bianchi non ottenuti da vermentino, la particolare Cuvée di Torbato firmata Sella & Mosca è tra i vini che hanno convinto di più. I Cannonau premiati arrivano da diverse zone, a partire da Mamoiada (grande territorio per l'uva rossa) passando per la Gallura e Serdiana, al Sud. Cantina Giba è, invece, nuovamente protagonista col rosso sulcitano ottenuto da uve carignano. Concludiamo con due vini da meditazione premiati, diversissimi tra loro per varietà, territorio da cui nascono e vinificazione, ma accomunati da assoluta bontà: sia il Latinia di Santadi sia la Vernaccia di Oristano Jughissa sono tra le migliori versioni di sempre.


I vini della Sardegna premiati con Tre Bicchieri

Alghero Torbato Terre Bianche Cuvée 161 ’16 - Tenute Sella & Mosca

Cannonau di Sardegna Barrosu Franzisca Ris. ’14- Giovanni Montisci

Cannonau di Sardegna Mamuthone ’15 - Giuseppe Sedilesu

Cannonau di Sardegna Senes Ris. ’13 - Argiolas

Cannonau di Sardegna Sincaru Ris.’ 14 - Vigne Surrau

Carignano del Sulcis 6Mura ’12 - Cantina Giba

Latinia ’11 - Cantina di Santadi

Vermentino di Gallura Sup. Costarenas ’16 - Masone Mannu

Vermentino di Gallura Sup. Maìa’ 15 - Siddùra

Vermentino di Sardegna Stellato ’16 - Pala

Vermentino di Sardegna Tuvaoes ’16 - Giovanni Maria Cherchi

Vernaccia di Oristano Sup. Jughissa ’08 - Cantina Sociale della Vernaccia

 

Gli altri premi Tre Bicchieri della guida Vini d'Italia 2018

Fabio Macrì e la rivoluzione soft di Piano35 a Torino

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A pochi mesi dal cambio di guardia nella cucina più alta d'Italia, il nuovo chef di Piano35, Fabio Macrì, si appresta ad affrontare la nuova stagione con un menu tutto nuovo. 

Ai piani alti il cambio della guardia c'è stato qualche mese fa, quando Ivan Milani ha lasciato il comando della cucina di Piano35 al suo secondo, Fabio Macrì.

In cima al grattacielo Intesa Sanpaolo di Torino si celebra il rito della cucina più alta d'Italia, in quei 60 coperti immersi nella bioserra all'interno della torre tutta acciaio e cristallo firmata dallo studio Renzo Piano RPBW.

L'inaugurazione è stata un evento, non solo per il mondo della gastronomia, ma anche per quello dell'urbanistica e dell'architettura, per via dell'impatto che la struttura ha avuto, nell'ottica di una modernizzazione dello skyline di Torino. Dopo un anno, a maggio scorso, il cambio di guardia ai fornelli. Qualche mese ancora e la cucina trova il suo asseto definitivo, in continuità con lo stile precedente ma con una nuova precisa identità. Quella di FabioMacrì.

Fabio Macrì

Romano, poco più che trentenne, studi classici e una deviazione verso la cucina in età relativamente adulta, durante un grand tour in giro per il mondo dove, di necessità virtù, entra in cucina. In Australia, prima come lavapiatti – come molti giovani in cerca di un facile approdo per sbarcare il lunario all'estero – poi ai fornelli. “Mi sono appassionato” racconta. Continua il suo viaggio di formazione, stavolta nelle cucine: Francia e Inghilterra. Poi il rientro il Italia, nel 2006: “sono tornato per studiare e fare formazione”, approda alle scuole del Gambero Rosso “è stato fondamentale, anche perché partivo avvantaggiato: avevo già esperienza nel settore, e sapevo bene quel che mi aspettava”.Un passaggio studiato con cura: “arrivare in un contesto come quello del Gambero mi ha permesso di entrare nella ristorazione di alto livello. Il mio corso era con Igles Corelli, Maurizio Santin per la pasticceria, Angelo Troiani” e con Troiani continua il suo percorso, nelle cucine del Convivio, dove a quei tempi gravita anche Gaia Giordano. Dopo un paio di anni si prende una pausa dal lavoro “volevo continuare a studiare, così mi sono laureato a Pollenzo, all'Università di Scienze Gastronomiche”.

Il senso della ricerca

A quel punto ha competenze teoriche e pratiche, l'esperienza nelle cucine professionali e la conoscenza della tecnologia alimentare. Continua ad approfondire. Gli si aprono le porte di uno dei templi della ricerca gastronomica: il comparto sviluppo e ricerca del Fat Duck di Heston Blumenthal. E poi ancora in Spagna, alla Fundacion Alicia, centro ricerca catalano che mette insieme innovazione tecnologica, sperimentazione, salvaguardia del patrimonio agroalimentare, salute e benessere alimentare, un posto che vede tra i suoi numi tutelari quel geniaccio di Ferran Adrià, che ne è presidente. Il percorso di Fabio Macrì è ben chiaro, il focus sono le relazioni tra scienza e cibo. Ma senza allontanarsi dalla cucina vissuta quotidianamente.

Sala del ristorante Piano35 a Torino_Photo credits Davide Barasa

Piano35

All'inizio del 2016 si presenta l'occasione dell'apertura del grattacielo Intesa San Paolo: “Gli ultimi tre piani sono caratterizzati dalla serra bioclimatica, dove ci sono ristorante, lounge dove c'è MirkoTurconi (campione italiano Diageo Reserve World Class 2017, ndr)e spazi espositivi”. Un luogo che non ha eguali in Italia. Anche per via di quell'ingresso: le persone entrano nella hall, salgono in ascensore, 20 secondi e si trovano a 150 metri di altezza dentro una serra: “Ci piacerebbe che l'ascensore segnasse il passaggio dalla quotidianità a una situazione eccezionale”. È una sfida, lo è sempre stata: “Siamo ospitati in un contesto unico, di eccellenza, e a nostra volta vogliamo rappresentare un'eccellenza gastronomica e una vetrina per produttori e selezionatori di eccellenza”. È un obiettivo che, sin dagli esordi, Piano35 si è posto. Fabio segue il ristorante da prima dell'apertura e presidia i fornelli, come sous chef, per il primo anno. 12 mesi dopo esce Ivan Milani e Fabio Macrì gli subentra alla guida della cucina. Nel segno ella continuità, certo. Ma non solo: “ora imposteremo una linea di cucina leggermente diversa” dice. Perché dopo aver chiuso la stagione estiva senza scossoni, è il momento di concentrarsi sul futuro. L'obiettivo? “Equilibrio. Una caratteristica di tutto il progetto, e non solo della cucina” spiega Fabio. “Equilibrio nel servizio in sala, che deve essere di altissimo livello, professionale, ma conviviale e accogliente” racconta, e aggiunge “Abbiamo una squadra molto forte”. A sostenere la cucina che declina l'equilibrio nell'intersezione tra la tradizione, “che il Piemonte è fortissima” e l'innovazione. Che nel caso di Fabio è un termine che acquista un significato profondo.

Quel che rimane della ricerca

Cosa rimane di quel percorso nella ricerca gastronomica? “Il metodo, la nostra è una dinamica tipica del lavoro in ricerca e sviluppo” spiega “si va avanti per prove, e si tiene traccia di tutto, anche degli errori”. E da quel percorso si arriva al piatto. La linea? “Attualizzare un pochino la tradizione”, ça va sans dire. “Che non è un'antitesi, perché il modo migliore per mantenere viva la tradizione è rispondere alle sfide di oggi, come quelle dei nuovi stili alimentari, dettati da motivi ideologici o medici”. Un esempio? “Il plin al sugo di arrosto di verdure”. Un primo del menu vegetariano“Un piatto semplice, col ripieno di ricotta di bufala. La ricchezza la fa il sugo di verdure”, un condimento complesso, con soia, kombu, e altri ingredienti per dare umami, sapidità e profondità.

Eredità dell'esperienza con i guru della cucina molecolare? “Qualche riferimento c'è, ma non è certo cucina molecolare, questa. Anche se la comprensione scientifica di quel che accade nei processi di cucina è uno dei mezzi per arrivare a risultati migliori” e spiega “qui lo stile deve essere identitario di Piano35”. Ma poi aggiunge:“è innegabile, le esperienze che hai fatto alla fine ti segnano, anche più di quello che pensi”.

Ricerca di prodotti

Ma la ricerca perseguita da Macrì è anche quella dei prodotti, e soprattutto dei produttori. C'è il piemontese Moris “che da pochi anni alleva bufale e produce formaggi con latte di bufala nella provincia di Cuneo: anche lui fa innovazione”. Il rapporto con i fornitori è uno snodo centrale. Tra tutti quello con il Wood*ing Food Lab di Valeria Mosca, forager di rango “insieme stiamo costruendo dei piatti che si basano sull'uso di materia prima selvatica”. Per esempio Spigola, guanciale, funghi selvatici, tarassaco. “Per me il tema della biodiversità è fondamentale, e per sviluppare nuovi piatti l'apporto di Valeria è importantissimo”.

Il menu

Tre i degustazione, di cui uno vegetariano, una carta da cui attingere e una proposta per il business lunch. Ci si prepara alla stagione autunnale con un nuovo menu, più vicino all'attitudine di Fabio e al suo amore per la ricerca. Per ora si sono viste cose come la ricciola con aspic di pomodoro con erbe aromatiche e crema di zucchina alla scapece,“un piatto mediterraneo, rappresentativo di come modernizzare mantenendo un'impronta tradizionale” e si guarda ai prossimi mesi con entusiasmo, “mi piacerebbe pensare a Piano35 come a un'esperienza complessiva, in cui si passa dal lounge al ristorante e viceversa, per questo Mirko sta studiando una proposta aperitivo, e stiamo implementando il cibo al lounge”. Ecco tre ricette in anteprima.

Fabio Macrì di Piano 35 mentre cucina i Plin di ricotta di bufala al sugo d’arrosto vegetariano

Plin di ricotta di bufala al sugo d’arrosto vegetariano

Ripieno (ricetta per 3,3 kg)

3 kg di ricotta di bufala

300 g di parmigiano

Noce moscata

5 g di timo

Sale e pepe q.b.

Setacciare la ricotta di bufala e mescolare con il resto degli ingredienti.

Plin (quantità per una porzione)

30 g di impasto per pasta ripiena

70 g di ripieno di ricotta

Tirare la sfoglia e confezionare i plin.

Sugo d’arrosto vegetariano (ricetta per 2,5 kg)

2 kg di melanzane

250 g di sedano

750 g di carote

500 g di sedano rapa

300 g di funghi shiitake

1 kg di cipolla bionda

300 g di aglio

50 g di concentrato di pomodoro

100 g di alga kombu

500 g di olio extravergine di oliva

2 g di xantana

20 g di sale

10 g di pectina NH

Salsa di soia q.b.

12,5 kg di acqua

Affettare tutte le verdure sottilmente alla mandolina. Mescolare le verdure con l’olio e il concentrato di pomodoro, disporre in una teglia senza ammassarle troppo e arrostire in forno a 160 C° per 45 minuti circa, rigirandole ogni 15-20 minuti. Togliere dal forno, aggiungere l’acqua e l’alga kombu alle verdure arrosto e rimettere in forno per altri 30-40 minuti. A parte mescolare la xantana, il sale e la pectina. Togliere le verdure dal forno e filtrare il liquido di cottura in una pentola. Mettere sul fuoco e ridurre di circa la metà. Aggiustare di sapidità con la salsa di soia, aggiungere il mix di polveri e frullare con un frullatore a immersione. Passare al cinese e riservare.

Per servire: Cuocere i plin in acqua bollente salata, scolare e saltare in padella con la salsa.

Ricciola, aspic di pomodoro e zucchine alla scapece_Foto credits Davide Barasa

Ricciola, aspic di pomodoro e zucchine alla scapece

Pomodoro confit (ricetta per 2,4 kg)

1 kg di pomodori ramati

10 g di sale

5 g di pepe bianco

10 g di zucchero

Olio extravergine di oliva

Incidere i pomodori, sbianchirli, pelarli e togliere i semi (conservando la loro acqua). Condire le falde di pomodori con i restanti ingredienti. Cuocere in forno a 70° C per 2-3 ore con la parte esterna rivolta verso l’alto.

Base di acqua di pomodoro (ricetta per circa 1 kg)

1 kg di acqua di scarto pomodori

20 g di basilico

20 g di menta

30 g di pomodoro in polvere

7,5 g di agar

Sale e pepe q.b.

Portare a bollore l’acqua di pomodoro, spegnere il fuoco, aggiungere menta e basilico e lasciare in infusione per 20 minuti. Filtrare, aggiungere gli ingredienti rimanenti, portare di nuovo a bollore e filtrare di nuovo. Conservare.

Aspic di pomodoro (ricetta per 700 grammi)

200 g di pomodori confit

500 g di base di acqua di pomodoro

2 g di foglie di menta

Disporre i pomodori in una teglia 35×25 profonda 4cm, aggiungere le foglie di menta. Colare la gelatina per ottenere uno strato uniforme. Coprire con un'altra placca e raffreddare in positivo

Una volta settata la gelatina sformare e porzionare.

Crema di zucchine alla scapece (ricetta per circa 400 grammi)

600 g di zucchine

7 g di aglio

30 g di aceto di vino bianco

20 g di menta

5 g di sale

1 g di pepe

100 g di brodo vegetale

0,3 g xantana

Tagliare le zucchine alla mandolina. Pesarne 400 grammi, infarinarle e friggerle in olio caldo. Sbianchire le zucchine rimanenti, freddare in acqua e ghiaccio, scolare e asciugare. Frullare insieme tutti gli ingredienti per ottenere una crema.

Fiore di zucca in tempura (ricetta per 100 fiori)

100 g di farina di riso

100 g di amido di riso

100 g di trisol

300 g di acqua

100 fiori di zucca

Olio per friggere

Pulire i fiori di zucca eliminando il pistillo e aprendoli a libretto, spolverare con poca farina setacciata e mescolare gli altri ingredienti per ottenere una pastella liscia. Pennellare i fiori con la pastella, stesa in uno strato sottile. Friggere in olio a 120° C. Scolare su carta assorbente, salare e riservare in essiccatore

Panatura da usare con la ricciola (ricetta per 125 grammi)

100 g di panko

35 g di basilico

5 g di scorza limone essiccata

Friggere le foglie di basilico. Scolare su carta assorbente, lasciar freddare e rompere grossolanamente con le mani. Mischiare con gli ingredienti rimanenti

Per servire: Togliere la pelle dalla ricciola e passare il lato dove c’era la pelle prima nella farina, poi nell’albume e infine nella panatura. Scottare la ricciola in padella antiaderente solo dal lato della panatura. Porzionare e servire con l’aspic, la crema di zucchine e il fiore di zucca in pastella come guarnizione.

La spigola di Fabio Macri di Piano 35_photo credits Davide Barasa

Spigola, tarassaco, fichi, guanciale e funghi porcini

Spigola

2,4 kg di spigola da pulire

Fichi reidratati (ricetta per 400 grammi)

500 g di vino bianco

250 g di porto bianco

250 g di marsala

10 g di anice stellato

2 chiodi di garofano

8 g di coriandolo

100 g di aceto di fichi

250 g di fichi secchi

Unire gli alcolici in pentola e ridurre di 1/3. A parte tostare le spezie, aggiungere agli alcolici e lasciare in infusione 20 minuti. Filtrare la marinata ancora tiepida sopra ai fichi secchi, aggiungere l’aceto di fichi e lasciar reidratare per almeno una notte.

Salsa

500 g di teste e lische di spigola

200 g di fichi freschi

60 g di scalogno

2 pezzi di anice stellato

60 g di guanciale

30 g di aceto di fichi

30 g di aceto di vino bianco

180 g di jus di pollo

Sale e olio extraverginedi oliva q.b.

Tostare le ossa della spigola in casseruola, ritirare e scolare l’olio in eccesso. Nella stessa pentola aggiungere lo scalogno e il guanciale tagliati a julienne e stufare lentamente per 4-5 minuti. Aggiungere l’anice stellato e i fichi, stufare ancora per un paio di minuti, poi deglassare con gli aceti. Ridurre a secco, aggiungere nuovamente le ossa di spigola tostate, il jus di pollo e qualche mestolo di acqua calda. Lasciar sobbollire per 20 minuti, filtrare, aggiustare di sale e raffreddare rapidamente. Una volta fredda, sgrassare la salsa e confezionarla sotto vuoto. Riservare

Guanciale croccante

200 g di guanciale

Tagliare il guanciale sottile all’affettatrice. Disporre in una teglia tra due fogli di carta da forno. Sovrapporre con un’altra teglia per mantenere la forma piatta. Tostare in forno a 150° C per 10 minuti, o fino a che il guanciale non sia diventato croccante. Ritirare, freddare e riservare. Conservare per non più di 2 giorni.

Per servire: Incidere il filetto di spigola dal lato della pelle. Condire con sale e pepe. Cuocere la spigola in padella, iniziando dal lato della pelle e girando il fletto solo quando la pelle sarà ben rosolata e croccante. A parte, rigenerare i fichi in pentola con un paio di cucchiai della loro marinata. Lasciar ridurre, aggiungere metà del burro e glassare

Sempre a parte, rosolare lo spicchio d’aglio in camicia nell’olio, aggiungere il tarassaco mantenendo 3-4 delle foglie più piccole per guarnizione. Stufare rapidamente e aggiustare di sale. Eliminare l’aglio. Tagliare i funghi a metà nel senso della lunghezza, rosolarli in padella con poco olio, aggiungere lo spicchio d’aglio in camicia, il burro e nappare per portare a cottura. Aggiustare di sale e una volta cotti scolare su carta assorbente, eliminando l’aglio. Composizione del piatto: disporre un nido di tarassaco cotto, sovrapporre con il filetto di pesce. Guarnire con i fichi, i porcini e il guanciale. Finire con la salsa e le foglie di tarassaco crude.

 

Piano 35 | Torino | Grattacielo Intesa Sanpaolo, Corso Inghilterra, 3 | tel. 011 438 7800

 

a cura di Antonella De Santis

foto di Davide Barasa

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