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A Caldes Sapori di Malga e l'asta dei formaggi, con Massimo Bottura e Philippe Lèveillè

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Lunedì 4 settembre torna in Trentino Sapori di Malga, con l'insolita asta che vede come protagonisti i formaggi di malga. Quest'anno ospiti d'onore gli chef Massimo Bottura e Philippe Lèveillè.  

C'è poco altro, nel settore gastronomico, che sia specchio fedele del territorio come i formaggi. Naturalmente parliamo di quelli con una storia e una personalità, il cui sapore dipende da una miriade di fattori: dalla specie, dalla razza, dalla lavorazione, dal tipo di alimentazione dell'animale o dall'ambiente in cui vive. Sono i formaggi di malga. Che sono protagonisti di Sapori di Malga, manifestazione organizzata nel suggestivo Castel Caldes in Val di Sole il 4 settembre. Un evento volto a valorizzare le malghe, ovvero i tradizionali soggiorni estivi delle vacche, che, durante i mesi più caldi dell’anno, vengono portate in alta quota.

Una malga in Trentino

Le malghe

Ancora oggi centri di produzione casearia montana, le malghe sono anche il fulcro di una ricchezza di paesaggio difficile da trovare altrove, con prati e pascoli fioriti in ogni stagione, di differenti tipologie di erbe e fiori, che conferiscono al latte aromi irripetibili. Ovvio, non siamo più di fronte alle centinaia di malghe che arricchivano le montagne nei decenni scorsi, ma il Trentino conserva ancora gelosamente la tradizione delle malghe da formaggio, per cui è stato creato il marchio Sapori di Malga, che differenzia i formaggi prodotti con latte d’alpeggio dagli altri. Tali prodotti hanno peculiarità specifiche in ogni zona, soprattutto per le tecniche di lavorazione: il Vezzena, ad esempio, prodotto sugli Altopiani di Lavarone, Folgaria e Vezzena, è a pasta semicotta e ha medie e lunghe stagionature; nelle valli di Fiemme e di Fassa si producono formaggi a crosta lavata, come il Cuor di Fassa o il Puzzone di Moena; nella Val del Chiese è tipica la Spressa delle Giudicarie, un formaggio più magro; mentre in Val di Sole troviamo il Casolèt, a pasta morbida, fatto con latte intero di una sola mungitura, in forme piccole. Durante l'evento del 4 settembre si ha la possibilità di conoscerli e assaggiarli, e di portarsi a casa quelli più pregiati partecipando all'asta Sapori di Malga. Che per il terzo anno consecutivo anima gli spazi del rinnovato castello medievale, Castel Caldes.

Massimo Bottura

L'asta Sapori di Malga

Protagonisti dell’asta, con tanto di qualificato banditore della prestigiosa Casa d’asta Von Morenberg di Trento a gestire lo speciale processo di compravendita al rialzo, venticinque formaggi, prodotti da altrettante malghe delle Valli di Sole, Peio e Rabbi e da altre vallate trentine, con una stagionatura che va da uno a dieci anni. E qui, oltre all'ottima materia prima, entra in scena il ruolo dell'affinatore, ovvero colui che attraverso una microflora specifica e una scelta oculata degli spazi, consegna prodotti unici e diversi l'uno dall'altro, quasi a tiratura limitata. Quest'anno parteciperanno all'asta due grandi chef: Massimo Bottura e il bretone Philippe Lèveillè, del ristorante Miramonti l'Altro a Concesio (nuovo Tre Forchette nella guida Guida Milano 2018). Il primo portavoce nel mondo del Parmigiano Reggiano, il secondo talmente sostenitore del burro, quello di malga ovviamente, da scriverci addirittura un libro: “La mia vita al burro”. I due si contenderanno i formaggi migliori insieme a chiunque voglia partecipare all'asta.

 

Sapori di malga | Castel Caldes | Caldes (TN) | via Novembre| lunedì 4 settembre alle ore 18 | Per partecipare all'asta è obbligatoria la prenotazione: tel. 0463 901280

 

a cura di Annalisa Zordan

 

 


Festival enogastronomici di settembre: 11 appuntamenti da non perdere

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Dai formaggi al cous cous, dal sake ai dolci, nel mese di settembre tornano alcune delle manifestazioni più attese dai golosi di tutta Italia. I festival più interessanti da Nord a Sud della Penisola.

Settembre. Il rientro dalle vacanze si apre con una serie di eventi e iniziative a tutto gusto, che coinvolgono diverse città italiane, da Milano a Cosenza, passando per Bologna, Parma e Roma. Tanti i festival enogastronomici da appuntare in agenda, pensati per gli amanti della buona tavola ma anche del bere bene. Dai latticini ai prodotti biologici, dai distillati al pesce, senza dimenticare le spezie e i piatti gourmet, ecco tutti i protagonisti delle manifestazioni settembrine.

Cheese (Bra)

Per gli appassionati di formaggio, un programma fitto di appuntamenti all'insegna del gusto per celebrare i primi 20 anni di Cheese, la maggiore manifestazione italiana dedicata ai latticini. Spettacoli, concerti, film, laboratori, forum e workshop per i più piccoli andranno in scena a Bra, in provincia di Cuneo, dal 14 al 18 settembre, grazie alla collaborazione fra Slow Food e la Città di Bra. Non mancheranno, naturalmente, assaggi e degustazioni guidate alla scoperta delle tante sfumature e forme del latte. Castelmagno d'alpeggio, Pallone di Gravina, Raviggiolo dell'Appennino Tosco-Romagnolo, ma anche eccellenze straniere, come lo Stichelton o lo Sbrinz saranno disponibili ai banchi d'assaggio.

Cheese 2017 | Bra (CN) | dal 14 al 18 settembre 2017 | cheese.slowfood.it/

Taste of Roma (Roma)

15 ristoranti coinvolti, fra nomi storici della città e new entry, 4 giorni e 60 portate. Sono i numeri del Taste of Roma, l'evento dedicato all'alta cucina capitolina giunto ormai alla sua sesta edizione. Da Adriano Baldassare a Cristina Bowerman, da Luigi Nastri a Daniele Usai, da Francesco Apreda a Heinz Beck, sono tanti i protagonisti della manifestazione più attesa dai buongustai romani, che porteranno con loro alcuni dei piatti presenti nei menu dei loro ristoranti, in versione monoporzione. Piccoli assaggi a prezzi contenuti, questa la formula vincente del Taste, che anno dopo anno continua a raccogliere l'entusiasmo del pubblico, sempre più attento alla qualità delle materie prime, e curioso di provare piatti ricercati. Laboratori, workshop, area kids e degustazioni vanno a comporre il ricco programma dell'edizione 2017.

Taste of Roma | Roma | dal 21 al 24 settembre 2017 | www.tasteofroma.it/

Cous Cous Fest (San Vito lo Capo)

L’appuntamento con il Cous Cous Fest, tra gli eventi gastronomici più celebri nel mondo, porta con sé ogni anno grandi aspettative e buon cibo, ma anche un gigantesco carrozzone folcloristico che trasfigura la quiete di San Vito lo Capo, in provincia di Trapani. Un tempo borgo silenzioso di pescatori trapanesi, oggi il paese è una delle mete turistiche più gettonate di tutta la regione, che ancora una volta si trasforma, dal 15 al 24 settembre, in un villaggio gastronomico a tutti gli effetti. Tante le varianti del piatto simbolo della manifestazione che saranno proposte dagli chef locali, e altrettanti gli showcooking dei volti noti della ristorazione italiana. Ospite d'eccezione, la food blogger Sonia Peronaci (fondatrice ed ex proprietaria di Giallo Zafferano), che porterà in scena la sua interpretazione del cous cous.

Cous Cous Fest | San Vito lo Capo (TP) | dal 15 al 24 settembre 2017 | www.couscousfest.it/

Milano Sake Festival (Milano)

Tra cibo e vino, c’è spazio anche per il sake. E per questo Milano si prepara a ospitare per il terzo anno consecutivo, dal 30 settembre al 1 ottobre, il festival dedicato al celebre distillato giapponese. Organizzata dall’associazione culturale La Via del Sake (con il patrocinio del Comune di Milano e del Consolato Italiano del Giappone), la manifestazione vedrà la partecipazione di produttori, importatori e distributori giapponesi di sake che introdurranno i visitatori alla degustazione di oltre trenta etichette del famoso vino fermentato di riso. Durante la rassegna sarà possibile acquistare i sake in degustazione presso lo shop interno, ma anche approfondire le tradizioni gastronomiche della terra del Sol Levante attraverso la proiezione di film, le conferenze dedicate alla produzione e alla storia del sake, e i dibattiti con esperti del settore.

Milano Sakè Festival | Milano | dal 30 settembre al 1 ottobre 2017 | aviadelsake.it/sake-festival/

Sana (Bologna)

Cresce il sistema alimentare biologico italiano, e aumenta di pari passo il numero dei visitatori del Sana, festival ormai consolidato dedicato ai prodotti naturali e biologici, dal cibo ai cosmetici. Un'occasione unica per ricevere tutti gli aggiornamenti in termini di trend di mercato, consumi e vendite. Cambiano, infatti, le scelte dei consumatori, sempre più consapevoli e orientati a una dieta sana, basata su prodotti controllati e a filiera certa, e continua a crescere anche la schiera di persone che sceglie di intraprendere uno stile di vita diverso, come quello del vegetarianismo. Fra seminari, forum e convegni, dall'8 all'11 settembre Bologna diventa una città green a tutti gli effetti, attenta al territorio e all'ambiente. Prodotti a parte, durante la manifestazione verranno presentate anche tutte le iniziative dedicate al recupero dei terreni e alla salvaguardia dell'ecosistema, come l'adozione a distanza di un albero da frutto.

Sana | Bologna | dall'8 all'11 settembre 2017 | http://www.sana.it

Rural Festival (Lesignano de' Bagni – Gaiole in Chianti)

Doppia location per una delle manifestazioni più attese dell'anno, Rural Festival, evento all'insegna della biodiversità, in scena dapprima nella campagna parmense e poi tra le colline del Chianti senese. Un festival che raduna agricoltori e allevatori della fertile Food Valley parmense al Parco Barboj, nella fattoria dell'azienda Rosa dell'Angelo, dal 2 al 3 settembre, e che torna il 16 e 17 a Gaiole in Chianti, nella provincia senese, dove nella piazza principale del paese allevatori e produttori si impegnano a promuovere quell'economia sana e sostenibile che fa leva sul recupero di antiche tradizioni e sulla tutela dei valori contadini. Una festa all'aria aperta per scoprire una quarantina di aziende custodi di antiche razze animali e varietà ortofrutticole disseminate tra le campagne emiliane e quelle senesi, che segna il successo crescente della famiglia Rural.

Rural Festival | Lesignano de' Bagni (PR) – Gaiole in Chianti (SI) | 2-3 settembre 2017; 16-17 settembre 2017 | www.rural.it/

Sweety of Milano (Milano)

Due giorni per sperimentare l'eccellenza del settore artigianale dolciario italiano, che si mette in mostra con i suoi protagonisti migliori. Carta dei dolci ricchissima, masterclass golose, incontri a tu per tu con maestri del calibro di Gino Fabbri, Iginio Massari, Sal De Riso: questo e molto altro è Sweety of Milano, manifestazione in scena il 16 e 17 settembre a Palazzo delle Stelline. Davide Comaschi, Andrea Besuschio, Luigi Biasetto, Vincenzo Tiri, Maurizio Santin: sono solo alcuni dei protagonisti del festival più dolce del capoluogo meneghino, impegnati in laboratori e workshop per i più piccoli. A Palazzo ognuno gestirà il proprio stand di degustazione e vendita, ma il calendario prevede anche una serie di masterclass destinate al pubblico, che cercherà di carpire tecniche e segreti del mestiere dai maestri che si avvicenderanno sul palco.

Sweety of Milano | Milano | 16-17 settembre 2017 | sweety.italiangourmet.it/

Mutina Boica (Modena)

Un'iniziativa originale giunta alla nona edizione, che si propone di far rivivere ai visitatori l'atmosfera di un'antica taverna romana. Come? Con la ricostruzione a cura di Crono organizzazione eventi, in collaborazione con i Musei Civici di Modena. Dal 1 al 10 settembre 2017 torna Mutina Boica, festival dedicato alla cultura gastronomica dell'epoca romana, con battaglie campali e giochi equestri. A ospitare la manifestazione, l'area del Parco Ferrari, e il Novi Ark di Modena, dove sarà possibile gustare antipasti, piatti principali e dessert tipici dell'antica Roma. Spettacoli, conferenze, concerti, laboratori animeranno la taverna per tutta la durata del festival, fra ricette del tempo, stand gastronomici e un mercatino artigianale a tema storico.

Mutina Boica | Modena | dal 1 al 10 settembre 2017 | www.facebook.com/mutinaboica/

Festival del baccalà (manifestazione itinerante)

Baccalà alla vicentina con polenta, bigoli al torcio di Limena con il baccalà, gnocchi di Posino al baccalà: sono solo alcuni dei piatti tradizionali a base di baccalà in degustazione all'ottava edizione del festival dedicato a un'antica tradizione gastronomica veneta. Dal 3 al 4 settembre, il baccalà diventa protagonista di una manifestazione gastronomica itinerante che abbraccia diverse località delle province venete, alla scoperta delle ricette più innovative e creative a base di merluzzo essiccato o salato. Cuore pulsante dell'evento è il Trofeo Tagliapietra, contest culinario che premia ogni anno la versione del baccalà migliore proposta dagli chef in gara. La posta in gioco è alta: il cuoco vincitore riceverà, infatti, un viaggio per due persone in Norvegia, alle isole Lofoten, patria dello stoccafisso.

Festival del baccalà | 3-4 settembre 2017 | www.festivaldelbaccala.it/

Peperoncino Festival (Diamante)

Venticinquesima edizione per il Peperoncino Festival di Diamante, in provincia di Cosenza, che ogni anno fa luce su uno dei prodotti di punta dell'agroalimentare calabrese. “Arte, cultura e gastronomia in salsa piccante” è lo slogan dell'evento, che si propone di raccontare usi e costumi di una popolazione che ha trovato nel peperoncino un “sovrano democratico e popolare”, in grado di mettere tutti d'accordo. Tante le iniziative all'interno del programma: showcooking, street food, degustazioni, e la ormai celebre gara fra vignettisti. Non mancherà, inoltre, la competizione fra mangiatori di peperoncino, che premierà il più temerario fra gli amanti del piccante.

Peperoncino Festival | Diamante (CS) | dal 6 al 10 settembre 2017 | www.peperoncinofestival.org/peperoncino/il-festival/

Festa della Pasta (Gragnano)

È il prodotto simbolo del made in Italy per antonomasia, il protagonista di questa manifestazione in scena dall'8 al 10 settembre 2017 a Gragnano. Festa della Pasta è un evento organizzato dal Consorzio Pasta di Gragnano IGP e presentato da Giuseppe Di Martino e Maurizio Cortese, Presidente e Direttore del Consorzio. Un festival che celebra la pasta in tutte le sue forme, grazie al contributo di chef di alta cucina, che prepareranno piatti d'autore con i diversi formati. Ogni cuoco porterà in tavola, inoltre, un tema da affrontare in ambito alimentare. Lo chef Peppe Guida del ristorante Antica Osteria Nonna Rosa, per esempio, si impegnerà a rielaborare la pasta, focalizzando la sua attenzione sulla tematica sempre più attuale dello spreco alimentare. Fra laboratori, spettacoli e showcooking, la festa renderà omaggio all'eccellenza italiana più conosciuta, diffusa e amata in tutto il mondo.

Festa della Pasta | Gragnano | 8-10 settembre 2017

 

La rivoluzione del tè nei bar italiani. E legami col mondo del caffè specialty

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Cresce la cultura del caffè di qualità in Italia, e di pari passo aumenta anche la consapevolezza dei consumatori su tè, tisane, infusi. I numeri lo confermano: le vendite del tè aumentano, dal classico English Breakfast via via fino al matcha. Ecco come i bar italiani lavorano questi prodotti.

Il consumo di caffè in Italia

Non è ancora tempo per parlare di un Rinascimento del caffè a tutti gli effetti, ma come abbiamo avuto modo di appurare nel corso degli ultimi due anni, il settore dell'oro nero è in crescita. Scuole di formazione per baristi, nuove caffetterie contemporanee dedicate ai caffè specialty e più in generale a chicchi di qualità, e soprattutto giovani professionisti sempre più impegnati nella diffusione di un messaggio semplice ma al contempo complesso, specialmente in un panorama come quello italiano: la cultura del buon caffè. Il paese simbolo della tazzina, infatti, dopo un (lungo) periodo di stallo, ha cominciato finalmente a restituire valore a uno dei prodotti più consumati a tutte le latitudini, grazie al prezioso lavoro che gli esperti di settore e le associazioni (Sca, Aicaf, Iiac e molte altre ancora) stanno operando attraverso i corsi, gli eventi, i festival, i laboratori e le sessioni di assaggio. Ma non finisce qui.

Dal caffè al tè: radiografia di un prodotto in crescita

Se quello del caffè è un rituale sacro per gli italiani, meno storico ma altrettanto apprezzato è quello del tè, prodotto sempre più amato grazie anche all'aumento di sale da tè, locali e negozi specializzati dedicati a questa bevanda. Sono sempre più evidenti, infatti, l'entusiasmo e la curiosità degli italiani nei confronti del tè di qualità: nel 2015, Euromonitor rilevava un giro d'affari di 355 milioni di euro, con un incremento del 3% a valore, e del 2% a volumi, nettamente superiore a quello medio delle bevande non alcoliche. Numeri positivi, aumentati ancora di più negli ultimi due anni. Non ci sono dubbi sulla crescita di questo settore, e lo dimostrano attività come quella, storica, di Babingtons a Roma, sala da tè ai piedi della scalinata di piazza di Spagna da poco rinnovata, che con il rito della merenda inglese dopo anni di stasi, torna a conquistare il palato di romani e turisti.

Tè e caffè: somiglianze

Non è un caso, quindi, che tanti appassionati di caffè abbiano deciso di inserire nei loro bar anche una selezione di tè di prima scelta. Questi due prodotti, infatti, si somigliano molto più di quanto si possa immaginare: “Il tè mi ricorda molto il caffè filtro. È una bevanda da meditazione, da gustare con calma; fra tempo di infusione e servizio, il cliente impiega almeno 10/15 minuti per consumarla”, spiega Davide Roveto, responsabile di Caffè Cognetti di Bari, bar di livello focalizzato principalmente sull'oro nero, ma che non rinuncia a un'offerta curata di tè e infusi. “Ho iniziato il percorso sul tè un anno fa, studiando e approfondendo la materia, e mi sono reso conto di quante sfumature aromatiche si possano trovare in una tazza”. Profumi che variano a seconda della tipologia, provenienza, e anche del metodo di estrazione, proprio come nel caffè: “Il tempo di infusione, la scelta del sistema estrattivo, la temperatura dell'acqua e il residuo fisso influiscono sul profilo aromatico della tazza”.

… E differenze

Differenza sostanziale fra questi due prodotti, però, risiede nel modo in cui vengono percepiti dal pubblico italiano. “I consumatori sembrano molto più disposti a spendere per una buona tazza di tè, che per un espresso di qualità”, spiega Davide. Perché al contrario del caffè, il tè, frutto di terre lontane e distanti culturalmente dal nostro Paese, non ha segnato la storia della tradizione gastronomica italiana, entrando a far parte dei prodotti simbolo del made in Italy. L'espresso, invece, fa da sempre la parte del leone dietro i banconi dei bar, “una bevanda che, purtroppo, la maggior parte delle persone sottovaluta, dandola per scontata”.

Le tipologie: boom del tè verde

Tante le varianti di tè disponibili, e che stanno prendendo sempre più piede: “Uno dei più richiesti negli ultimi tempi è il tè verde”, racconta Mauro Bandirali, titolare della Gelateria Bandirali di Crema, locale con un'attenzione particolare all'oro nero e al tè. “Abbiamo tante tipologie di tè, ma è quello verde ad andare per la maggiore, soprattutto per le sue proprietà nutraceutiche”, come la sua funzione antibatterica, il bilanciamento del livello degli zuccheri nel sangue, e molte altre ancora. C'è, infatti, chi con il tè verde ha deciso di sperimentare. MatteoBellidella caffetteria Bar.ista di Faenza, per esempio, che si è inventato il latte matcha, ovvero una bevanda a base di latte caldo e tè verde, “una delle più apprezzate”. Il barista romagnolo ci svela, inoltre, un aspetto interessante del tè verde: “Se di qualità, quello confezionato può essere riutilizzato ed estratto fino a tre volte, e il gusto ne guadagna”.

Gli strumenti: le teiere

Ma come si prepara una buona tazza di tè? C'è chi sceglie di affidarsi ai metodi più tradizionali, come le teiere in ghisa, e chi invece opta per la french press, strumento solitamente utilizzato nel mondo del caffè. “Occorre, innanzitutto, preriscaldare la teiera, per ottenere una temperatura corretta che non superi mai i 90°C”, spiega Mauro. “E poi servono i boiler, bollitori con termostato incorporato”. Davide, invece, utilizza la teiera della nota marca Hario con colino interno, “in grado di tenere più a lungo l'infusione”.

La french press

Ma è la french press il sistema più in voga fra i baristi professionisti, metodo di estrazione con filtro (stantuffo) a rete metallica, utilizzato di norma per il caffè. “Mi piacciono le infusioni alla maniera orientale, con più tè e meno acqua, meno lunghe (circa 20/25 secondi) ma cadenzate e ripetute. Con la french press è fondamentale porre attenzione alle tempistiche, per evitare di estrarre note amare e astringenti, proprio come nel caffè”, spiega Mauro Lussignoli di Estratto, caffetteria di qualità di Brescia. Per preparare il tè con la french press bisogna, inoltre, fare attenzione a non versare l'acqua direttamente sulle foglie, “che potrebbero spezzarsi, perdendo gli aromi”.

Gli altri strumenti: steampunk, v60, aeropress

Anche gli altri strumenti dell'universo del caffè possono essere adattati al tè. Francesco Sanapo, patron di Ditta Artigianale a Firenze, ha scelto di usare lo steampunk, una macchina a infusione dell'azienda Alpha Dominche. “Bisogna porre, come per il caffè, la massima attenzione all'acqua. Io prediligo un'acqua con una durezza pari a circa 110 ppm”. Ma non finisce qui: “Fondamentali sono anche le proporzioni fra tè e acqua, che cambiano a seconda della varietà”. Ci sono poi i classici v60 e aeropress, fra i più comuni metodi di estrazione per il caffè filtro: a utilizzarli, è Maurizio Valli del Bugan Coffee Lab di Bergamo, appassionato di oro nero che ha scelto di frequentare un corso sul tè per poter proporre nel suo locale una buona selezione di infusi. “Il tempo di estrazione è più lungo, rispetto al caffè, ma la procedura è la stessa”. Ovvero misurazione della materia prima, dell'acqua, controllo delle temperature, tempi, e movimenti fermi e sicuri in fase di estrazione.

Il tè freddo

Anche il tè freddo ha uno suo pubblico e anche in questo caso, i baristi più all'avanguardia hanno scelto di prepararlo in casa, senza ricorrere a quelli confezionati. Con il sistema del cold drip, metodo di estrazione a freddo che richiede tempi molto lunghi. “Mi piace molto utilizzare il cold drip con i tè aromatizzati, come quello al bergamotto, oppure dei jasmine tea”, commenta Davide. La macerazione? “Dura circa 12 ore, ma il risultato vale l'attesa”. Roveto sperimenta, anche con la french press, “che può essere utilizzata anche a freddo”. Matteo, invece, prova un abbinamento di tè e caffè freddo:Nella parte superiore della macchina,al posto dell'acqua c'è un infuso a freddo di tè Darjeeling First Flush Bland, e nella parte sottostante il caffè, macinato leggermente più grossolano del normale. Il risultato è una fusione di due aromi di grande classe che in bocca esprimono un'ampia complessità aromatica”.

La selezione: le aziende estere

Baristi che vengono dal settore caffeicolo, ma che mantengono alto lo standard di qualità su tutti i prodotti, assicurando un'offerta di livello a 360 gradi. Per il caffè, la scelta è semplice: alcuni di questi professionisti sono anche torrefattori, altri selezionano le micro roastery migliori della Penisola. Ma per il tè? Il lavoro di ricerca si fa più intenso, spesso superando i confini nazionali. “Apprezzo molto i tè dell'azienda americana Harney & Sons”, racconta Andrea Cremone, proprietario – insieme al fratello Matteo Caruso– del bar Tazze Pazze Caffetteria Gourmet di Genova, che però si affida anche all'italiana Peter's tea House. Spopola, poi, l'azienda tedesca Alveus, specializzata in tè biologici, scelta da Davide e da Matteo Belli. Quest'ultimo, in particolare, li acquista in foglie per confezionarli in casa, “con delle bustine artigianali fatte da noi”. Li importa direttamente dall'estero LuigiPaternosterdi Pierre Caffè (Gravina in Puglia, Bari), “non ho una carta dei tè fissa, amo cambiare e sperimentare con più aromi, soprattutto con quelli orientali”.

… E quelle italiane

Non mancano, però, aziende di qualità anche in Italia. “Mi affido ciecamente a Gabriella Lombardi, esperta di tè e proprietaria del Cha Tea Atelier di Milano. Acquisto solo da lei, che ha un'offerta ampia e di livello”, racconta Lussignoli.E poi La Via del Tè di Firenze, punto di riferimento per Ditta Artigianale e Bugan Coffee Lab. C'è anche La Teiera Eclettica a Milano, sala da tè e negozio dove è possibile seguire corsi di formazione: “Con le lezioni ci siamo appassionati sempre di più”, racconta Bandirali, “e abbiamo cercato di ampliare la nostra selezione”. Oggi, il bar offre i prodotti Mariage Frères, maison parigina di tè di ricerca nata nel 1854.

Bandirali | Crema | via XX settembre, 58 | tel. 037 250180 | www.facebook.com/CaffetteriaGelateriaPasticceria/

Bar.ista Bar & Shop | Faenza | corso Garibaldi, 33 a | www.facebook.com/Bar.istafaenza/

Bugan Coffee Lab | Bergamo | via G. Quarenghi, 32 | tel. 347 8704719 | www.facebook.com/Bugan-Coffee-Lab

Caffè Cognetti | Bari | via Salvatore Cognetti 17/19 | tel. 080 5247578 | www.facebook.com/caffecognetti1997/?pnref=lhc

Ditta Artigianale | Firenze | via de' Neri, 32 R | tel. 0552741541 | www.dittaartigianale.it/it/catalogo.aspx

Ditta Artigianale Oltrarno | Firenze | via dello Sprone, 3 | www.facebook.com/pages/Ditta-Artigianale-Oltrarno

Estratto | Brescia | corso Martiri della Libertà, 36 | tel. 328 7586601 | www.facebook.com/estrattocoffee

Pierre Café | Gravina in Puglia (BA) | piazza Cavour, 26 | tel. 080 3253541, 334 1089937 | www.pierrecafe.com/

Tazze Pazze Caffetteria Gourmet | Genova | piazza Cinque Lampadi, 69 r | tel. 320 0774683 | www.facebook.com/TAZZEPAZZE

a cura di Michela Becchi

Il Prosecco fa male ai denti, dice il Guardian. Una strategia per sopravvivere alla Brexit? L'ironia del Times

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La provocazione è arrivata dal Guardian, impegnato a ricordare 7 validi motivi per non bere Prosecco. Perché anche se gli inglesi apprezzano molto le bollicine italiane, “il Prosecco fa male ai denti”. Fake news, replica Martina. Il Times prova a rimediare alla gaffe, ironizzando sul campanilismo inglese. 

7 validi motivi per non bere Prosecco. La provocazione del Guardian

Nell'estate delle polemiche, c'è spazio anche per la curiosa boutade del Guardian (ripresa dal Daily Mail), che negli ultimi giorni ha scatenato la bagarre tra Italia e Gran Bretagna, alimentando un botta e risposta a cavallo della Manica che non ha risparmiato neppure il ministro Maurizio Martina. La pietra dello scandalo è l'articolo che il quotidiano inglese ha diffuso online perorando 7 buoni motivi per smettere di bere Prosecco, specialità vinicola made in Italy particolarmente apprezzata nel regno dei Windsor. “Save your teeth” titolava a caratteri cubitali il Guardian mettendo in guardia gli amanti delle bollicine del Nord Est dal mix di alcol, zucchero e anidride carbonica che “buca i denti, lacera lo smalto e danneggia le gengive”. E così, dopo aver ricordato che solo nel 2016 gli inglesi hanno consumato 40 milioni di litri di Prosecco, Zoe Williams, autrice dell'immotivata invettiva, procedeva con l'elencare le altre buone ragioni per non abbassare la guardia, rivolgendosi in particolar modo alle donne che ci tengono al proprio sorriso. Un insieme di considerazioni volutamente ironico (potete leggerle qui), bisogna ammetterlo, se non fosse che per avvalorare la sua tesi, l'incauta giornalista ha scomodato pure il dottor Mervyn Druian, del London Centre for Cosmetic Dentistry, ammantando il discorso di una pretesa scientificità.

 

Le reazioni. Fake news

Prontissima la risposta del ministro Maurizio Martina, che ha sfoderato un po' di sano sarcasmo: “Caro Guardian, dì la verità: il Prosecco fa sorridere anche gli inglesi. Stop fake news grazie”. Meno diplomatico Luca Zaia, presidente del Veneto, a cui il consiglio spassionato del quotidiano non è proprio piaciuto, mentre all'ironia ha fatto ricorso pure Debora Serracchiani, presidente del Friuli Venezia Giulia, nel tentativo di spegnere la polemica: “Credo che dopo la Brexit in Gran Bretagna ci sia bisogno di aiutare i cittadini a tornare a sorridere: assunto a dosi moderate, il nostro prosecco fa miracoli”. Coldiretti invece rubrica l'operazione come “un tentativo maldestro di attaccare strumentalmente un prodotto naturale”, anziché puntare il dito sulle bevande zuccherate e gasate più diffuse. Sta di fatto che l'inconsistenza dell'attacco frontale al Prosecco - mentre il Consorzio di Tutela della Docg Valdobbiadene si consola annunciando le previsioni per una vendemmia che preannuncia un'ottima annata, in barba alla siccità – ha finito per mettere tutti d'accordo. Pure gli inglesi.

 

Antisecco. La risposta del Times

A rimediare alla gaffe ci pensa il Times, con l'editoriale titolato Antisecco e una buona dose di quel british humor che non risparmia la stoccata a usi e costumi dei propri connazionali. Ecco allora che denigrare il Prosecco e le altre eccellenze italiane e straniere potrebbe rivelarsi un'arma efficace per prepararsi ad affrontare la Brexit, a sostegno delle aziende di casa propria. Partendo da questo sarcastico assunto il Times sviluppa la sua tesi, chiamando in ballo anche Puccini e Verdi, “che certo non possono competere con Cliff Richard”. E l'alta sartoria milanese o l'arte della pizza, e le bellezze di Venezia, Firenze, Siena e Roma. Persino il genio di Leonardo e Michelangelo. In un tripudio di glorie e prodotti d'eccellenza made in Italy che il Times schernisce facendo il verso al campanilismo britannico, tra le righe di un articolo di lucida e brillante sagacia. Un'elegante strategia per chiudere la vicenda. O dobbiamo aspettarci nuove risposte?

 

a cura di Livia Montagnoli

La Cannavacciuolo Bakery apre le porte a Novara. Dal pane di San Gaudenzio al babà al rum

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L'inaugurazione ufficiale si è fatta attendere per tutta l'estate, ma dal 30 agosto la nuova pasticceria firmata Antonino Cannavacciuolo ha aperto i battenti, nell'ex laboratorio Recalchi. In vendita brioche e croissant, veneziane, crostate, millefoglie e dolci al cucchiaio. Presto babà e cioccolatini. A guidarla Kabir Godi. 

Cannavacciuolo a Novara. Dal bistrot alla pasticceria

Prima l'annuncio, alla fine della primavera scorsa: dopo il rilancio dell'offerta ristorativa del Teatro Coccia, Antonino Cannavacciuolo tornava a investire a Novara. Il gruppo guidato dallo chef di Villa Crespi insieme a sua moglie Cinzia Primatesta, infatti, rilevava la storica pasticceria Recalchi, chiusa a marzo dopo quasi settant'anni di attività. Una scommessa incentivata dal buon riscontro di pubblico e critica del Cafè e Bistrot del teatro, che nel frattempo ha raddoppiato a Torino, alla Gran Madre, dove dalla fine di luglio è operativo l'attesissimo Cannavacciuolo Bistrot. Tra le mura del laboratorio di via Giotto, non molto distante dal Coccia (350 metri appena), negli anni Cinquanta nasceva uno dei dolci più apprezzati della tradizione locale, il pane di San Gaudenzio, in omaggio al patrono della città. Poi un'attività lunga e felice, e, più di recente, tempi sempre più difficili per tenere in piedi la bottega storica.

I dolci della Cannavacciuolo Bakery

Da qualche giorno, al suo posto, ha inaugurato ufficialmente la Cannavacciuolo Bakery, una pasticceria di impostazione moderna di cui avevamo parlato con Kabir Godi, già pastry chef a Villa Crespi, e ora alla guida della nuova attività. Una prima fase di rodaggio, in realtà, già c'era stata all'inizio di giugno, qualche settimana di apertura per prendere le misure nel nuovo spazio, e studiare le potenzialità della bottega dolciaria, pensata per offrire un riferimento goloso e d'autore alla città, ma pure come centro di produzione per i dolci proposti al bar del Bistrot, brioche, krantz, croissant vegani, torte e dolci al cucchiaio, per colazione e merenda. E poi cioccolatini, praline, macaron, babà al rum, oltre alla linea di pasticceria classica, dai mignon alla biscotteria, alle monoporzioni, con aperture in omaggio alla tradizione locale, pane di San Gaudenzio compreso.

La chiusura estiva, come ci raccontava Godi, ha agevolato la ristrutturazione del locale, che ora offre accesso diretto sul vicino parco dell'Allea San Luca, meglio noto in città come Parco dei Bambini. E dal 30 agosto il banco della Cannavacciuolo Bakery invita ad assaggiare tante proposte diverse (alcune presto disponibili online, sullo store e-commerce del sito dello chef): croissant e brioche, semplici o con farcitura alla crema, marmellata di albicocche o fragole, gianduia; varianti vegan all’arancia amara o integrali alla mandorla. Veneziane, kranz, pasticceria fresca, mignon, torte intere e monoporzione. Dalla fine di settembre anche cioccolatini, cremini, macaron e babà al rum. In attesa di una piccola produzione salata: focacce e pizza fritta. Intanto ecco qualche foto dei dolci in vendita in pasticceria. Già in programma una gita a Novara?

Cannavacciuolo Bakery | Novara | via Giotto, 2 | tel. 0321 626964 | 9-13/15-19.30 (nel weekend dalle 9.30. Sabato orario continuato, domenica e lunedì solo la mattina)

 

a cura di Livia Montagnoli

Bologna “città dei taglieri”. Il boom del cibo ora preoccupa: come stanno le cose?

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I recenti dati della Camera di Commercio parlano chiaro, e d'altronde gli ultimi 5 anni sono stati una continua proliferazione di ristoranti, attività di somministrazione, caffetterie e minimarket. Ma la qualità spesso latita, per accontentare il turismo low cost. Ora l'assessore Lepore corre a ripari, intanto si accende il dibattito: il cibo può fare cultura? E come? 

Il boom del cibo

Bologna la Grassa (ma, non dimentichiamo, anche la Dotta). Cosa significa, oggi, per il capoluogo emiliano custodire una delle tradizioni gastronomiche più antiche e celebri d'Italia e nel mondo? A chiederselo sono in molti, ristoratori, cariche istituzionali, bolognesi atterriti dalla considerazione che sotto i loro occhi, nell'ultimo decennio, molte attività storiche hanno serrato i battenti, ma per contro – mal comune che imperversa tra le grandi città della Penisola – anche l'infilata di portici e tracciati medievali all'ombra delle Due Torri sia seriamente minacciata dall'industria del cibo. Quella che sull'offerta gastronomica diffusa, insistente, disponibile a tutte le ore conta per accontentare un numero di turisti in crescita. Del resto, i dati della Camera di Commercio allineati dal Corriere di Bologna raccontano pro e contro di una moltiplicazione di insegne di somministrazione che rischia di sfuggire di mano: oltre il 30% di ristoranti in più negli ultimi 5 anni, di cui una cinquantina, considerando anche le attività di ristorazione mobile, aperti negli ultimi sei mesi; e ancora, oltre 500 i minimarket e i negozi di alimentari, che in 5 anni sono pressoché raddoppiati in centro città. Ancor più evidente la rincorsa delle caffetterie, con un picco di crescita al 233% considerando lo stesso arco temporale.

 

Bologna come destinazione gastronomica. Pro e contro

In termini di crescita economica della città, questo significa che l'aumento del turismo ha avuto ricadute positive sul dato occupazionale, offrendo nuova spinta all'iniziativa imprenditoriale. Ma, e il campanello d'allarme l'ha suonato per prima l'assessore alla Cultura Bruna Gambarelli, il rischio che Bologna si trasformi nella “città dei taglieri” è dietro l'angolo. Cosa significa? Il fenomeno è già noto in città d'arte ad alto coefficiente turistico, Firenze e Venezia in prima fila, dove la spina nel fianco più insidiosa per le amministrazioni comunali è diventata propria la proliferazione indiscriminata di insegne di somministrazione e vendita di cibo di dubbia qualità. Proclami, dibattiti e sollecitazioni dell'opinione pubblica hanno portato al giro di vite: delibere per bloccare le licenze, decaloghi per premiare la qualità a discapito dell'improvvisazione che impera nel settore, controlli più serrati. Almeno sulla carta. Ma pure qualche cieca presa di posizione giustificata da pregiudizi di facciata. Certo, è innegabile che il boom del cibo possa cannibalizzare gli altri settori merceologici – soprattuto le decantate botteghe storiche – come il fatto che l'aumento della concorrenza non necessariamente invogli a giocare a rialzo. Anzi, la guerra dei prezzi finisce spesso col tagliare fuori chi vuole fare qualità.

 

Stop alle licenze, limiti al commercio scadente

E allora anche Bologna corre ai ripari, e comincia a ripensare la politica delle concessioni, regolare la proliferazione di dehors, rivendicare l'identità di certe zone storiche della città. Nei giorni scorsi si è pronunciato pure il Soprintendente alle Belle Arti Luigi Malnati, che chiede a gran voce di restituire un posto di rilievo alla cultura e al sistema dell'arte di cui Bologna non fa difetto. Non solo tagliatelle, dunque, ma questo, ci sentiamo di dire, dovrebbe essere un fatto scontato, anche se pure Mauro Felicori, oggi felicemente impegnato nel rilancio della Reggia di Caserta e bolognese doc, nei giorni scorsi ha messo in allarme sul rischio di fare della cultura solo un bene di consumo, che non porta crescita creativa e produttiva. Le soluzioni per regolare il fenomeno, però, quelle vere, dove stanno? L'ultima parola arriva dall'assessore al marketing Matteo Lepore (lo stesso che negli ultimi anni ha incentivato il rinnovamento del mercato delle Erbe): la speculazione si combatte con regole certe per favorire artigianato e botteghe storiche, a scapito di fast food e attività di dubbia utilità. Negli ultimi 5 anni “Bologna è diventata una destinazione”, continua l'assessore sul Corriere della Sera, e fare marcia indietro non avrebbe senso. Il turismo bisogna saperlo gestire, e indirizzare per il meglio. Quindi entro l'anno sarà approvato un regolamento che limita gli investimenti commerciali di bassa qualità, sulla scorta del regolamento Unesco. Poi arriveranno i fondi per le attività storiche.

 

Massimiliano Poggi: ci vuole la volontà

Bologna la Grassa, insomma, non deve (non può) trasformarsi in un cliché turistico, sul modello di un parco divertimenti del cibo a-critico che molti temono di ritrovare da Fico (ma è presto per dirlo, aspettiamo novembre). Ma la differenza possono farla anche i ristoratori. A incoraggiarli, sulla questione dice la sua Massimiliano Poggi, memoria storica della ristorazione cittadina e lanciatissimo all'ex Sole di Trebbo – oggi semplicemente Max Poggi - che l'anno scorso ha rilanciato dimostrando quel coraggio imprenditoriale che tanti hanno dimenticato per percorrere strade più semplici. Con le dovute eccezioni, però, perché di investimenti seri negli ultimi anni a Bologna se ne sono visti molti, pensiamo alla Bottega I Portici, al recente trasloco di Vincenzo Vottero, al progetto di Brisa, alla pizza di Matteo Aloe o di Michele Leo; e diverse insegne continuano ancora a tenere alto il nome dell'identità gastronomica locale. Ma la possibilità di tornare in corsa giocando a rialzo, sostiene Poggi, ai ristoratori bolognesi non manca. Basta volerlo. Il turismo low cost esiste in tutte le città, inutile (e controproducente?) contrastarlo, perché non investire per attirare pure un pubblico in cerca di tradizioni, competenza e personalità? Un piatto di tortellini ben fatto e un buon bicchiere di vino chi potrebbe rifiutarli?

 

a cura di Livia Montagnoli

Libri sul cibo per l'estate. Omicidi all'acqua pazza

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Ambientato nella suggestiva atmosfera della Costiera Amalfitana, Omicidi all'acqua pazza è un insolito giallo che ha come protagonisti chef e cibo. A inventare il racconto, il giornalista Umberto Cutolo.

L'autore

Un giornalista con il pallino per la cucina e le tradizioni gastronomiche italiane: Umberto Cutolo, romano, classe '46, ha trascorso più di 50 anni fra le scrivanie delle principali redazioni nazionali, arrivando a dirigere l'AdnKronos, l'ufficio stampa dei ministeri del Mezzogiorno e dei Trasporti, e i mensili dell'ACI, L'Automobile e HP Trasporti. Dopo diversi racconti, una biografia e un saggio storico-politico, il giornalista è riuscito finalmente a dedicarsi a uno dei temi che più lo appassionano: il cibo e il suo stretto legame con il territorio.

Il libro

È il racconto di un lembo di terra affacciato sul mare, di una cucina, del valore dei cuochi. Pubblicato da Clichy, Omicidi all'acqua pazza è un "thriller enogastronomico" ambientato sulla Costiera Amalfitana che rivendica il ruolo originario degli chef, lontano dall'idea contemporanea di volti televisivi e celebrità popolari. È anche un ritratto ironico e pungente del tipico turista (italiano e straniero) in vacanza sulla Costiera, fra usi e costumi locali, e soprattutto prodotti e piatti tipici. Il volume rappresenta il punto di partenza per una trilogia, I delitti della Costiera, tutta incentrata sul mondo del cibo (il titolo del prossimo romanzo sarà La scapece assassina). La forma scelta è quella della sceneggiatura, con dialoghi e discorsi diretti, efficaci e lineari, che si snoda principalmente sul luogo del delitto, il Fiordo di Furore, e la cucina a vista sulla sala d'albergo.

La trama

Densa e ben articolata, la trama avanzafra colpi di scena fino all'inaspettato finale, resa fruibile da unlinguaggio semplice, immediato, divertente e molto coinvolgente. Tutto ha inizio direttamente sulla scena del crimine, con la morte di una donna, trovata impiccata al ponte che scavalca il Fiordo di Furore, in uno dei siti più incontaminati della Costiera. Il marito della donna, con il quale era stata stata vista litigare la sera precedente al vicino Hotel Furore, è scomparso nella notte, ed è per questo ricercato dai carabinieri come principale indiziato. Il sospettato più plausibile, secondo le forze dell'ordine, ma non per Omero Sgueglia, cuoco dell'albergo e voce narrante del racconto, che chiede al maresciallo Di Salvo di ampliare il ventaglio degli indiziati. Dopo un crescendo di effetti sorpresa, la soluzione arriva, come nella migliore tradizione dei romanzi di genere, solamente all'ultima pagina.

Il ruolo dello chef

Un groviglio di personaggi particolari, dialoghi e immagini della Costiera Amalfitana delineano il perimetro della storia, ma la vera protagonista dell'intero racconto è la cucina del luogo, con tutte le sue sfaccettature. In particolare, Cutolo si sofferma sul ruolo del cuoco, un professionista insolito, annoiato dal continuo afflusso di turisti, e soprattutto dalla sempre più diffusa immagine dello chef alla moda. Attraverso Omero, capace osservatore, il lettore viene a conoscenza delle altre figure: il cuoco, infatti, ama fantasticare sulla vita dei commensali, cercare di indovinarne provenienza, età, situazioni sentimentali.

Il cuoco

Un uomo deciso, introverso, schietto, con una personalità marcata che si riflette anche nella sua cucina: Omero respinge qualsiasi abbellimento del piatto, il lato estetico del cibo, le ultime tendenze, rifiuta persino di farsi chiamare "chef". Perché lui è un cuoco di altri tempi, un ragazzo cresciuto con un padre troppo esigente e autoritario, che ha trovato fra i fornelli la sua unica valvola di sfogo. Un giovane che si approccia al cibo in maniera intima, senza riserve, con spirito goliardico e voracità. Niente fronzoli, ma solo sostanza: la sua tavola è essenziale e priva di qualsiasi tipo di orpello, dritta al sapore e dal gusto inconfondibile.

Il territorio

Ruolo determinante nella struttura della storia lo gioca anche il territorio. Un luogo incantevole, ricco di scorci mozzafiato e paesaggi integri, immerso nella natura più incontaminata, fra acqua e roccia. E soprattutto una terra rigogliosa, dove il cibo porta con sé tradizioni e leggende antiche, usanze e rituali. Qui, come nella maggior parte delle zone del Sud, il senso di convivialità e ospitalità la fanno da padroni: il carattere di ogni personaggio, infatti, emerge proprio attorno alla tavola, punto di ritrovo dell'albergo. Il lettore si ritrova così a percorrere sentieri e spiagge, angoli magici dove la cultura popolare locale, le credenze e i racconti del passato si intrecciano fra loro sciogliendo la tensione dell'indagine, senza però scostare mai l'attenzione dal punto centrale della storia.

Omicidi all'acqua pazza | Umberto Cutolo | ed. Clichy | Euro 14,45

a cura di Michela Becchi

Libri sul cibo per l'estate. Bee Happy. Storie di alveari, mieli e apiculture

Libri sul cibo per l'estate. Lima, Cucina dal Perù

Libri sul cibo per l'estate. Mozzarella in carrozza. Ricette d'artista

Novità al Chelsea Market di New York. Una nuova food hall per il mercato più visitato in città

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Con 6 milioni di visitatori l'anno, il mercato coperto giusto a nord del Meatpacking District è il più visitato in città. Nato alla fine degli anni Novanta nell'ex fabbrica di biscotti Oreo, oggi allinea produttori locali e ristorantini etnici. L'ultima novità si chiama Chelsea Local, ed il nuovo grocery store del piano interrato, per fare la spesa di qualità. 

Chelsea Market. Il mercato gastronomico di New York

Come early, stay late. È il motto del celeberrimo Chelsea Market di New York, aperto sette giorni su sette nell'omonimo quartiere di Chelsea, 9th avenue, tra la 15th e la 16th. Una food court d'eccellenza, come tante se ne incontrano oggi nella metropoli americana (non ultimo il complesso del Grand Central Terminal, rinnovato un paio di anni fa, oppure i due Eataly), ricavata negli ex locali di una fabbrica di biscotti Oreo, e oggi Mecca gastronomica per chi visita la città. Al mercato di Chelsea si guarda, si compra, si consuma un aperitivo in compagnia, si pranza tra banchi e panetterie, piccole enoteche e caffetterie; dall'anno scorso, tra i box allineati nel grande loft, si è fatta spazio anche la prima pizzeria e rosticceria siciliana del mercato, Filaga. Ma tante sono le specialità di street food e le proposte etniche che strizzano l'occhio ai numerosi turisti (si stimano 6 milioni di visitatori ogni anno, tra indigeni e stranieri), in un connubio ancora piuttosto riuscito tra mercato di quartiere e atmosfere da piazza gastronomica di respiro globale. Eppure il mercato a cui oggi nessuno sembrerebbe più disposto a rinunciare è nato solo 15 anni fa, seppur in un distretto votato storicamente al commercio di generi alimentari.

Mangiare al mercato

Oggi conta una cinquantina di attività, la maggior parte a tema gastronomico: oyster bar, macellerie bio, bakery e laboratori che sfornano donut a tutte le ore, ristorantini messicani, indiani, marocchini, sushi bar, hamburgerie, lobster e ramen bar, caffetterie. Per l'Italia, oltre a Filaga, la gastronomia Buon Italia, l'Arte del Gelato e un corner con cucina del Pastificio Rana. Dalle 7 del mattino alle 21 (si chiude un'ora prima la domenica). La novità dell'autunno 2017 è l'apertura di un nuovo spazio, The Chelsea Local, che qualche giorno fa ha inaugurato al piano interrato della struttura: ora, la scala al centro del mercato conduce direttamente in una confortevole area dedicata prevalentemente agli acquisti, un grocery store progettato tenendo conto di varietà e qualità dell'offerta, con prodotti freschi e confezionati, dall'olio d'oliva a funghi ed erbe aromatiche, dalla carne grass fed alla selezione di formaggi americani e stranieri.

 

The Chelsea Local

La riorganizzazione degli spazi ha portato con sé qualche trasloco – i prodotti di Buon Italia ora sono al livello -1 – e la possibilità di raddoppiare per alcune storiche attività del piano superiore, come la macelleria Dickson's Farmstand, che gli animali li fa pascolare liberamente nelle fattorie di famiglia sul territorio locale, e al mercato propone un'ampia scelta di specialità da rosticceria, polli arrosto, pastrami, hot dog. Arrivano al piano inferiore anche i formaggi selezionati da Saxelby Cheesemongers, le salse piccanti di Heatonist, latte, burro e yogurt di Ronnybrook. Ma presto, nel seminterrato, (ri)aprirà i battenti la storico folk club con cucina Folk City – già al Greenwich Village e chiuso definitivamente nel 1987 - che tra gli anni Settanta e Ottanta ospitò i grandi protagonisti della musica americana. In menu insalate e crostini con fegatini di pollo, sandwich e finger food american style, per rievocare il passato di un locale mitico della città.

 

Chelsea Market | New York | 75 9thAvenue | dalle 7 alle 21 | www.chelseamarket.com

 

a cura di Livia Montagnoli


Mangiare in albergo a New York. Al Pod Hotel di Times Square arrivano i cocktail tiki

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Dopo l'addio di April Bloomfield, la catena dei Pod Hotels conquista un nuovo indirizzo a prova di buongustaio. È il tiki bar della panineria Parm, parte del Major Food Group di New York, un locale d'avanguardia all'interno dell'hotel di Times Square.

I Pod Hotels

Il viaggio è un diritto, non un lusso. È questo il credo alla base della catena dei Pod Hotels, alberghi dal design accattivante, curati con gusto ma accessibili a tutti, distribuiti fra New York, Washington DC e Brooklyn. Niente fronzoli, nessun eccesso, zero costi aggiuntivi superflui: gli alberghi Pod mantengono linee essenziali e minimal, riducendo al massimo il costo del soggiorno, senza rinunciare al senso estetico. Tante le offerte che rendono allettante l'alloggio ai Pod: con la formula Flex your spend, per esempio, è possibile prenotare una camera senza alcun costo e disdire fino a 24 ore dal check-in, oppure ancora iscrivendosi al gruppo Pod Perks si può godere di sconti speciali e offerte dell'ultimo minuto. I vantaggi dei Pod Hotels, inoltre, non si limitano all'alloggio, ma coinvolgono l'intera permanenza, fra tour guidati dei più bei vicinati della zona e sconti esclusivi per gli spettacoli di Broadway.

Le collaborazioni: April Bloomfield chiude il Salvation Burger

Alberghi innovativi, moderni, che hanno segnato la storia dell'hotellerie statunitense contemporanea, e che da sempre pongono un'attenzione particolare alla tavola, con collaborazioni uniche e partner d'eccezione. Come quella con April Bloomfiel e Ken Friedman, per esempio, il Salvation Burger, insegna specializzata in hamburger aperta a febbraio 2016 all'interno dell'hotel Pod51, Midtown, e coinvolta qualche mese dopo in un brutto incendio. Riaperto a dicembre 2016, il locale non è riuscito a riprendersi dalla profonda crisi in cui era sprofondato in seguito all'incidente, e ha chiuso definitivamente i battenti lo scorso 22 luglio 2017, a soli 7 mesi dalla riapertura. Ma non è ancora detta l'ultima parola. Il duo, infatti, ha dichiarato in una nota di non arrendersi fino in fondo: “Non sarà l'ultima volta in cui sentirete parlare del Salvation Burger. Crediamo nello spirito del locale e speriamo di trovare un giorno una nuova casa per il nostro progetto, quando sarà il momento giusto". Niente paura, comunque, per lo staff del ristorante, che è stato trasferito nelle altre attività firmate Friedman, come il White Gold, macelleria con cucina nell'Upper West Side, il Salvation Taco, locale di stampo messicano, e The Spotted Pig, ristorante italo/inglese del West Village.

Il nuovo tiki bar

Intanto, le avventure gastronomiche per i Pod Hotels continuano. Nasce ora un nuovo tiki bar all'interno dell'albergo di Times Square, grazie al lavoro del Major Food Group, gruppo di ristorazione newyorkese fondato da Mario Carbone, Rich Torrisi e Jeff Zalaznick, da sempre impegnato nel settore dell'hospitality. Un'insegna che porta la firma di Parm, gruppo di paninerie di proprietà di Major Food Group che propone sandwich di qualità con materie prime selezionate e stagionali. Ma non solo cibo: cocktail d'autore in perfetto stile tiki, dal gusto tropicale ed esotico, possono essere gustati al terzo piano dell'albergo, mentre per il reparto gastronomia ci si può accomodare ai tavolini del piano terra o, durante la bella stagione, nell'ampio spazio esterno affacciato sulla piazza più caratteristica di Manhattan.

a cura di Michela Becchi

La focaccia e i suoi derivati. 8 specialità del Molise e la ricetta della focaccia di patate

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Pizza di mais con la minestra, krese, fiadone, pizza scimia. Sono solo alcune delle focacce tipiche della tradizione molisana, semplici e ricche di gusto. Vi presentiamo le eccellenze dell'arte bianca del Molise, e una ricetta d'autore dal forno Di Riscio Euro di Belmonte del Sannio, in provincia di Isernia. 

Terra di formaggi, salumi, sapori autentici. Quella del Molise è una cucina robusta e ricca, che vanta una grande varietà di prodotti. Nella tradizione gastronomica regionale, non possono mancare pani e focacce tipici, a base di mais Agostinello (varietà anticarecuperata da qualche anno), farina di grano tenero, patate e molto altro ancora. Ecco tutte (o quasi) le focacce del Molise. Più una ricetta dal forno Di Riscio Euro, vincitore del premio regionale per la guida Street Food 2016 del Gambero Rosso, e da tempo uno dei punti di riferimento per l'arte bianca in Molise.

Fiadone

Una delle ricette più antiche della tradizione dell'appennino italiano: il fiadone appartiene alla cultura gastronomica abruzzese e molisana, ed è solitamente preparato in occasione delle festività pasquali. Si tratta di una sfoglia a base di farina, uova, olio, vino bianco e ripiena di formaggio, nella versione più classica, tipica delle aree litoranee. Ma non è raro trovarlo anche nella variante dolce, con uvetta e canditi, più diffusa nell'entroterra. Per quanto riguarda il formaggio, si utilizza il Pecorino o la ricotta, che vengono amalgamati con uova e spezie e racchiusi nella sfoglia dalla forma tonda.

Focaccia di patate

Ci sono i forni impegnati nel recupero delle tradizioni più antiche, le pizzerie di qualità specializzate, i panificatori professionisti intenti a rivisitare le ricette del passato. Ma come sempre, le specialità più comuni sono quelle più semplici, preparate in casa, a base di pochi ingredienti. Oltre alla celebre focaccia di mais, una delle pizze più diffuse fra le famiglie molisane è quella di patate, realizzata a partire da un impasto a base di farina, lievito, acqua e patate lesse. Un mix di ingredienti che accomuna la maggior parte delle regioni del Centro-Sud, ma che in ogni luogo trova la sua personale interpretazione. In Molise, a insaporire il pane ci pensano due materie prime povere ma ricche di gusto, la cipolla e il pomodoro fresco. E proprio questa ricetta ci siamo fatti dare dal forno Di Riscio Euro di Belmonte del Sannio, in provincia di Isernia.

Krese

A San Felice del Molise, in provincia di Campobasso, la focaccia più comune è di tradizione slava. Agli inizi del Cinquecento, infatti, il borgo venne occupato da una colonia proveniente dalla Dalmazia, dove ancora oggi è molto diffusa questo tipo di preparazione, semplice e gustosa. Si chiama krese ed è una schiacciata preparata solitamente in occasione della festa di San Giuseppe, condita con cipolle fritte e alici. Una pizza bassa e croccante, da assaporare per merenda o come sfizioso antipasto.

Pizza assettata

“Assettata” perché senza lievito, e quindi seduta. È questa la caratteristica principale della focaccia aromatizzata con semi di finocchio e peperoncino, una schiacciata, più che una pizza, a base di farina, acqua e olio extravergine di oliva. Anche in questo caso, è con i formaggi locali l'abbinamento vincente, in particolare con il caciocavallo, prodotto dalle antiche origini realizzato fin dai tempi della Magna Grecia nel territorio dei comuni di Agnone, Capracotta e Vastogirardi, in provincia di Isernia. Molto comune anche l'accostamento con la stracciata, latticino a pasta filata prodotto con latte vaccino, dal colore bianco candido e il sapore dolce e delicato, in perfetto contrasto con la piccantezza e l'aromaticità della pizza.

Pizza con i cicoli

Ricavati dallo strutto animale, i ciccioli (cicoli, in dialetto) sono i protagonisti di una delle focacce più apprezzate in tutta la regione. Quello della preparazione dei ciccioli è ancora oggi un rituale molto diffuso fra le campagne molisane, che comincia dalla macellazione dell'animale e finisce con l'essiccatura di pezzetti sul fuoco. Come nelle migliori tradizioni contadine, le dosi e i procedimenti per questa pizza variano di paese in paese, e da famiglia a famiglia. L'impasto è soffice e interamente ricoperto dai ciccioli, unico goloso condimento di questa ricetta. Una volta pronta, la focaccia viene solitamente consumata in abbinamento a salumi e formaggi.

Pizza di mais

La più tradizionale delle focacce molisane, un pane di umili origine, in principio cotto “sotto la coppa”, ovvero un coperchio di ferro ricoperto da carboni ardenti. Insaporita con verdure e bollito di maiale, la pizza di mais può essere gustata anche in purezza, accompagnata da salumi e formaggi del territorio, oppure ancora nella sua variante più celebre, quella con la minestra. Ovvero una zuppa a base di brodo di verdure e quinto quarto di maiale, con l'aggiunta delle parti più morbide della pizza, spesso impreziosita con i ciccioli.

Pizza scimia

Ancora una volta, una ricetta condivisa con il vicino Abruzzo. La pizza scimia è una focaccia realizzata con l'impasto avanzato del pane, olio extravergine d'oliva e semi di finocchio selvatico, poi cotto in forno a legna. L'abbinamento molisano più classico prevede l'utilizzo della Signora di Conca Casale, un salume ricco originariamente destinato alla borghesia (da cui il nome) prodotto dalle donne più anziane di Conca Casale, comune appena sopra Venafro, in provincia di Isernia. Realizzato tradizionalmente con il lombo, la spalla, più il lardo della pancetta e del dorso, oggi la sua ricetta include anche parti di controfiletto e di coscia. Un salume dal gusto pieno e rotondo, perfetto se accostato alla croccantezza e sapidità della pizza scimia.

Scrippelle fritte

Diffuse soprattutto nell'Alto Molise, e condivise anche con l'Abruzzo, le scrippelle fritte sono famose sia nella variante dolce che salata. Alla base dell'impasto, farina di grano tenero, sale, lievito e acqua. Si tratta di lunghe striscioline fritte, croccanti e dorate, da mangiare ben calde coperte di zucchero oppure di sale. Una ricetta povera, preparata solitamente durante il periodo di Natale, appartenente all'antica tradizione contadina, che rappresenta per le famiglie un momento di condivisione e convivialità. Per friggere le scrippelle, infatti, occorrono almeno due persone, una addetta al taglio e alla forma, e un'altra alla frittura.

Ricetta della focaccia di patate del forno Di Riscio Euro di Belmonte del Sannio

500 g. di farina

400 g. di patate

250 ml. di acqua

1 cubetto di lievito di birra fresco

12 pomodorini

1 cipolla

Olio extravergine d'oliva q.b.

Sale q.b.

Origano q.b.

Lessare le patate e, una volta fredde, unirle alla farina e all'acqua. Aggiungere un pizzico di sale, il lievito di birra, amalgamare l'impasto fino a ottenere un panetto liscio e omogeneo, e lasciar lievitare a temperatura ambiente per un'ora e mezza.

Stendere l'impasto in una teglia precedentemente unta con un po' di olio extravergine di oliva. Condire con la cipolla a fettine sole e i pomodorini tagliati a metà, aggiungere l'origano, un pizzico di sale e un filo d'olio. Cuocere in forno statico a 260°C per circa 25 minuti.

Di Riscio Euro | Belmonte del Sannio (IS) | via Orticelli, 2 | tel. 0865 70378

a cura di Michela Becchi

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Al via un nuovo bando dedicato ai progetti di educazione agroalimentare in Lombardia

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Inarrestabile la crescita del comparto agroalimentare italiano. Per favorire lo sviluppo del settore, però, occorre investire nella formazione dei più piccoli. In Lombardia, un nuovo bando proposto dalla Regione offre la possibilità di presentare il proprio progetto di educazione agroalimentare.

L'agroalimentare lombardo

Continuano i progetti di educazione agroalimentare, a conferma della crescita esponenziale dell'interesse di grandi e piccini verso il mondo dell'alimentazione. L'ultima iniziativa per promuovere il comparto agricolo prende forma in Lombardia, dove l'assessore all'Agricoltura Gianni Fava ha annunciato l'apertura di un bando per selezionare i migliori progetti di educazione agroalimentare. “L'agroalimentare lombardo rappresenta una delle punte di diamante dell'economia europea e si colloca al primo posto assoluto su scala nazionale”, ha dichiarato Fava. E aggiunge: “È un patrimonio che Regione Lombardia vuole trasmettere ai giovani con adeguati progetti educativi, finanziati attraverso un bando che si chiuderà il prossimo 6 ottobre”.

Il bando

I lavori più interessanti saranno, dunque, sostenuti da Ersaf (Ente Regionale per i Servizi all'Agricoltura e alle Foreste) per conto della Direzione Generale Agricoltura di Regione Lombardia, con un budget di 57mila euro. Al bando possono partecipare soggetti pubblici e privati, associazioni, fondazioni senza scopo di lucro, e gli Istituti di Cultura come le biblioteche e i musei. Tutti i progetti dovranno svolgersi sul territorio lombardo, e dovranno prestare un'attenzione particolare ai più giovani. A esaminare le proposte, una commissione di valutazione che analizzerà le domande in base a diversi criteri: i progetti dovranno essere innanzitutto incentrati sulla tutela e la promozione del territorio e dei prodotti tipici della zona, focalizzandosi sulle attività rurali locali e le imprese più giovani. E non solo: le iniziative dovranno, inoltre, favorire l'adozione da parte dei consumatori di comportamenti alimentari corretti, e promuovere l'educazione al gusto.

I temi

Focus principale dei progetti, infine, deve essere l'interdisciplinarità dell'educazione alimentare, che comprende non solo la conoscenza dei prodotti, ma anche degli aspetti storici, culturali e antropologici che ne sono alla base. Cinque, in tutto, i temi che dovranno essere sviluppati: “Cibo, cultura e identità”, “Dalla terra alla tavola”, “La scuola in campo”, “Sai cosa mangi?”, “Origine e contraffazione dei prodotti agroalimentari”.

Per iscriversi, basta presentare la domanda utilizzando il modulo online con eventuali allegati entro e non oltre le ore 12 di venerdì 23 ottobre 2017 all'indirizzo mail ersaf@pec.regione.lombardia.it

www.ersaf.lombardia.it/servizi/notizie

a cura di Michela Becchi

La settimana del vino italiano su Alibaba. Obiettivo: favorire l’export sul mercato cinese

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Culminerà con la giornata del 9/9, al secondo appuntamento dopo l’esordio del 2016, che battezzava un nuovo ponte tra milioni di acquirenti cinesi e le principali realtà vinicole del mondo. Quest’anno il focus si concentra sulle aziende italiane, che nei prossimi giorni potranno contare su una vetrina molto redditizia. 

9/9. La seconda edizione

Jiu Jiu, l’ideogramma cinese che lega le parole vino e nove. Un’assonanza che l’anno scorso, all’inizio di settembre, dava il là all’iniziativa 9/9, il Global Wine & Spirits Festival di Alibaba. Un giorno di festa, per il mercato vinicolo internazionale, celebrato sulla piattaforma del colosso cinese dell’ecommerce, che per 24 ore trasformava i suoi portali in una vetrina per la vendita di vino di ben 50 Paesi da tutto il mondo. Italia compresa, con 50 cantine e 500 etichette, seconda per numero di referenze solo alla Francia. In pratica un’iniziativa per incentivare la vendita globale di vino sul portale con numeri da capogiro: all’alba del primo festival 9/9, nel settembre 2016, Alibaba poteva contare su un fatturato annuo di 500 miliardi di dollari, raggruppando 10 milioni di aziende e un miliardo di prodotti, con 400 milioni di clienti in Cina. E proprio l’anno scorso, in Italia, inaugurava il primo ufficio europeo del gruppo, a sancire la volontà di favorire l’approdo delle aziende occidentali sul mercato asiatico. Già allora, in merito al progetto 9/9, si ventilava la possibilità di trasformarlo in appuntamento annuale. E così è stato: sabato 9 settembre 2017, i compratori online iscritti al portale potranno vivere un’altra giornata di shopping frenetico tra le etichette di punta del vino di casa nostra.

 

Una vetrina per il vino italiano

Quest’anno il focus è dedicato proprio all’Italia, che per tutta la settimana, già a partire da queste ore, potrà contare su una vetrina speciale sul principale negozio online della Cina, grazie all’accordo tra Alibaba e il ministero della Politiche Agricole italiano. L’obiettivo è quello di incentivare le importazioni di vino made in Italy, che attualmente, sul territorio cinese (dove l’80% del vino consumato continua a provenire da attività locali) conta solo il 5% degli scambi, su un mercato molto più fortunato per la Francia, che da anni ha cominciato a fare promozione dei suoi vini in Cina. E allora l’iniziativa di Alibaba acquista un valore particolare. Rispetto a un anno fa, i numeri sono cresciuti: sono 120 le aziende italiane che hanno aderito, in rappresentanza di tutta la Penisola vinicola, nessuna regione esclusa (come aprire un proprio store sulla piattaforma ce lo raccontava l’anno scorso Manfredi Minutelli). A creare un ponte ha contribuito il ministero di Maurizio Martina, in prima linea per finanziare l’ingresso del vino italiano su un mercato dalle grandi potenzialità. Per tutta la settimana che accompagna il countdown al 9/9, la piattaforma cinese proporrà ai compratori sconti significativi e offerte speciali sul vino italiano, presente con tante etichette di prestigio e realtà vinicole d’eccellenza.

 

Vino e web. Come si cresce nel mondo

Del resto, ha spiegato il manager di Alibaba per il Sud Europa Rodrigo Cipriani Foresio, il consumo cinese di alcol a tavola è ancora molto legato a specifici segmenti di mercato – come le bevande ad alta gradazione – ma il vino sto cominciando a giocare la sua parte (a tal proposito ricordiamo le riflessioni scaturite dall’ultimo World Tour del Gambero Rosso a Pechino, in attesa del prossimo appuntamento), specie con i rossi, e ora con i vini dolci, come il moscato. E a incentivare l’apprezzamento per le etichette italiane nel mondo (nel 2016 l’export di vini e spumanti italiani nel mondo è valso 5,6 miliardi di fatturato) ha sicuramente contribuito la tecnologia, con l’affermarsi di startup strategiche (la scorsa primavera è arrivata a Hong Kong anche la piattaforma dedicata Italian Artisan Wines), come Vino75, che nel 2015 ha stretto una partnership proprio con Alibaba per la distribuzione di vini italiani in Cina, e oggi ha raggiunto i 2 milioni di euro di investimenti complessivi nel settore, a testimoniare che il binomio tra web e vino offre infinite possibilità. Intanto gli acquirenti cinesi sono già pronti a godersi la settimana, tra aste online, promozioni e video live con gli esperti del settore. 

 

a cura di Livia Montagnoli

Basta demonizzare la carne rossa. Le dritte e i consigli di Fabrizio Nonis

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Spesso demonizzata, ma anche svilita da scelte errate e luoghi comuni, la carne è un universo da scoprire, dalla conoscenza delle razze, ai metodi di allevamento, ai tagli, alle frollature. Ecco qualche anticipazione su quel che succederà nel della nuova manifestazione torinese Gourmet Food Festival (Torino Lingotto Fiere, 17-19 novembre 2017).

Le carni rosse, un po' di storia

Croce e delizia per la dieta, un cibo con un forte richiamo all’istintività, simbolo di opulenza e di virilità, la carne è dal Neolitico presente nell’alimentazione umana. Da raccoglitore, a cacciatore o allevatore, le modalità di allevamento, di preparazione e di consumo della carne sono cambiate nei secoli. Nel Medioevo era considerata la portata per eccellenza dei ricchi banchetti dei nobili; spesso veniva servita ricomposta nella forma dell’animale originario con tanto di piume o pelle, oppure farcita con altri animali più piccoli nascosti nel ventre; inseparabile dalle spezie che ne profumavano le fibre coprendo l’odore forte dovuto alla mancata frollatura. La carne rossa e la cacciagione ricoprivano un ruolo fondamentale sulle tavole medievali dei più ricchi: al suo ingente consumo era associata la forza nella lotta e di conseguenza l’imposizione di un individuo all’interno del gruppo. Il grande rispetto meritato nei secoli dai trincianti (servitù addetta al taglio della carne in un banchetto) è riflesso dell’importanza di questo alimento. Si dovrà aspettare il Dopoguerra e lo sviluppo dell’industrializzazione alimentare per portare la carne rossa sulle tavole di tutti i giorni. Arriva dall’America la passione spasmodica per la bistecca che ha invaso l’Italia e l’Europa negli anni del boom economico tanto da averne rovesciato le sorti.

Carni bianche vs carni rosse

Oggi la carne rossa è, a torto o a ragione, tacciata di insalubrità per via di un consumo eccessivo; alimento da limitare nelle diete a vantaggio di quelli che erano sempre stati i suoi cugini poveri: pesce, verdure e pane. Ma le carni rosse continuano a essere le preferite dagli appassionati del genere grazie al loro sapore più intenso rispetto alle bianche. Le carni rosse si distinguono dalle bianche anche per una concentrazione maggiore di proteine e di ferro. Muscoli, dunque, a formare il tessuto connettivo fornendo preziose proteine, ma anche grasso, sali minerali (ferro) e, nelle carni equine, zuccheri. Fanno parte della categoria delle rosse, il bovino adulto, il cavallo, ovini e caprini adulti e la selvaggina da penna (fagiano, pernice, beccaccia, quaglia, piccione, anatra, anatra...). Ogni animale ha una storia, un metodo di allevamento e di macellazione che ne caratterizza diversamente il sapore delle carni e l’impiego in cucina. Affronteremo la questione nel corso della nuova manifestazione torinese Gourmet Food Festival, durante l'incontro “La lista della spesa. La carne, diamoci un taglio” in compagnia di Fabrizio Nonis, meglio noto come Bekér. Prima un focus sulle carni di bovino adulto, che è anche il più consumato, per arrivare preparati a Torino.

Il bovino adulto

L’allevamento di bovini in Europa risale a oltre 8500 anni fa, complici la mansuetudine di questi animali, la loro capacità di adattamento e la buona resa in carne o latte. La forza e la resistenza dei bovini li ha per secoli tenuti lontani dalla cucina a fronte del loro impiego nel lavoro dei campi. Gli Egizi furono i primi grandi allevatori di buoi da soma, e ne mangiavano le carni solo a fine carriera. I Romani volevano buoi e manzi come animali principi da sacrificare agli dei; per questo ne proibirono con severe leggi il consumo alimentare fino al II secolo a.C., quando si cominciò a poter macellare i bovini vecchi e inadatti al lavoro. Le loro carni, frollate per breve tempo, erano molto dure; questo spiega perché venissero cotte nel latte e fatte bollire più di una volta prima di essere mangiate. La durezza delle carni fece sviluppare tecniche di preparazione diverse che prevedevano la loro trasformazione in battuti triturati al mortaio. Da qui alle polpette e agli straccetti il passo fu breve.

Le specie appartenenti alla categoria del bovino adulto

I bovini sono animali erbivori; vitello e manzo sono le due tipologie di bovino adulto presenti in commercio. Mentre il vitello si considera una carne bianca, rientrano nella categoria del bovino adulto il manzo, il bue, il toro, la vacca e il bufalo.

Il manzo è il maschio castrato fino ai 4 anni di età o femmina fino ai 3, che non abbia mai partorito.

Il bue è il maschio castrato da 4 anni e mezzo in su; in passato era molto diffuso come bestia da lavoro ma oggi questo uso è quasi completamente scomparso. Le sue carni hanno una maggiore concentrazione di grasso, e quindi in cottura garantiscono una buona succosità.

Il toro è il maschio non castrato dai 2 anni in su; s’impiega a scopi riproduttivi.

La vacca o mucca è la femmina, generalmente da latte, dai 3 ai 3 anni e mezzo in su, o che abbia già partorito. Le razze bovine si suddividono in base al loro utilizzo: da latte, da carne o da latte e carne. Le razze da carne italiane più pregiate sono la Chianina, la Marchigiana, la Romagnola, la Maremmana e la Piemontese.

I tagli del bovino adulto

La carne, è questione di taglio, di genere ed età

Sulla terminologia regionale adottata per definire tagli e sezioni degli animali che appartengono alla grande categoria del bovino adulto c’è davvero da perdersi: è talmente varia e diversificata che anche un macellaio, varcato il confine regionale, potrebbe avere difficoltà a comunicare quale taglio di carne intende acquistare all’allevatore. Per questioni di comodità e chiarezza, quindi, abbiamo cercato di adottare termini condivisi e riconosciuti su scala nazionale. In ogni caso, è la modalità di cottura prevista che dovrebbe guidare l’acquisto, soprattutto nella scelta del taglio. Al sangue, crudo, semicotto o ben cotto: tutto dipende dal taglio e dalla qualità della carne. Se per la suddivisione in sezioni è possibile fare un discorso unico che vale per tutte le specie appartenenti alla categoria del bovino adulto, per quanto riguarda aspetto e consistenza delle carni sarebbe opportuno sottolineare qualche piccola ma importante differenza. La carne di vacca presenta una grana più fine e un colore meno acceso di quella di bue, che invece sarà di un rosso intenso con grasso piuttosto compatto, di colore bianco avorio. Il manzo, che è un vitellone castrato e lasciato a pascolare per circa tre anni, presenta carni di colore rosso vivo avvolte da uno strato di grasso piuttosto evidente, il cui colore può variare dal bianco al giallino appena accennato. Più gli animali sono vecchi, più le loro carni assumeranno un colore bruno cupo. Quando il toro è giovane presenta carni molto simili a quelle della vacca. Se il grasso è di un colore rosa cupo vorrà dire che l’animale è stato sottoposto a ingrassamento forzato. In ogni caso le carni di bovino adulto devono essere frollate: sarà cura del macellaio prolungare tale processo per almeno due settimane. La frollatura renderà la carne più setosa e saporita.

I diversi tagli di carne: la coscia

La prima sezionatura che subisce l’animale dopo essere stato macellato e scuoiato è in due metà, definite mezzene, dalle quali si ricavano quattro quarti. Ogni mezzena è composta da coscia, schiena, che a sua volta comprende lombo e costata, e spalla. Dalla coscia, partendo dall’interno proprio sotto l’osso dell’anca, si ricava la fesa, la sottonoce, il muscolo, la noce dell’anca e la vera e propria noce, che corrisponde al globo centrale della coscia: “Questi ultimi - consiglia Fabrizio Nonis - sono indicati soprattutto per arrosti, stracotti o brasati, ma se ne possono ottenere anche delle buone bistecchine, con le quali fare per esempio degli involtini”. Ancora dalla coscia si ricava la punta di culaccio (o pezza), il girello e il controgirello, il fianchetto e infine la gamba. “La punta di culaccio è ciò che rimane della groppa dopo la separazione dalla lombata: è molto buona brasata. Anche il girello e il controgirello sono i tagli che più comunemente si usano per il brasato, ma se ne ottengono anche degli ottimi carpacci, dato che sono molto magri e dalla rotondità eccezionale. In ogni caso, questi sono tagli duttili, con un perfetto compromesso tra la parte magra, la leggera infiltrazione di grasso e una fibra molto tenera”. Dalla gamba si ricava lo squisito ossobuco; in genere, però, è quello di vitella che si utilizza nelle ricette tradizionali, come il risotto giallo con l’ossobuco o gli ossibuchi con i piselli. Il resto della carne della gamba si presta bene per la preparazione di brodi e gelatine.

La schiena

È dalla schiena che si ottengono i tagli più nobili: il filetto, la lombata e lo scamone. Il filetto presenta forma piramidale e si divide in testa di filetto, una parte meno fine, e cuore di filetto. La prima si utilizza generalmente per saporite bistecche, magari cotte al barbecue; la seconda invece è particolarmente adatta per arrosti tenerissimi. È dalla parte meno spessa del cuore di filetto che si ottengono i tournedos, gustose fettine in genere avvolte da un filo di spago alimentare in modo che mantengano anche in cottura la forma tondeggiante. La lombata si estende dalla punta dell’anca alle prime costole. “È quel taglio che, se lasciato con l'osso, ci dà le costate e le fiorentine (taglio di lombata che comprende il filetto)”. Ed è sempre dalla lombata che si ottengono le deliziose entrecôte (il termine stesso indica fette di carne che devono essere tagliate fra le due ossa della lombata), buonissime alla griglia e alla brace. Poi c'è lo scamone “che è la continuazione del filetto, la parte che si allarga all'interno della coscia a forma quasi di cuore. Anche lui fa parte dei tagli più nobili”. A completare la schiena, il giovarro il collo.

La spalla

La spalla, nel caso del bovino adulto, ha un valore commerciale tra i più bassi di tutte le sezioni. I tagli che ne derivano vengono utilizzati soprattutto per bolliti. Una volta lessate, queste carni sono perfette per ottenere le classiche polpettine di bollito, panate e fritte. La regola da seguire è questa: le parti dell’animale che hanno lavorato di più, i cui muscoli si sono sviluppati particolarmente, sono meno tenere, adatte a cotture lunghe o in umido. Tagli come lombata e il filetto, che si trovano sotto la schiena in cui la muscolatura non è molto sviluppata, sono molto più teneri, adatti anche a brevi cotture.

Il quinto quarto

Ne fanno parte tutti gli organi e le sezioni che non rientrano nei quattro quarti, i due anteriori e i due posteriori, in cui viene tradizionalmente divisa la carcassa del bovino. Si tratta delle frattaglie, contenute nella cavità toracica e addominale, della testa, del muso, delle guance, della coda, delle zampe, delle cervella e degli schienali. Polmoni, milza, fegato, cuore, reni, animelle e tutto ciò che veniva scartato dalla macellazione di vitelli e bovini adulti un tempo finiva sulle tavole delle famiglie povere o dei lavoratori del macello. Oggi, le ricette che si preparavano allora, sono tra le più gettonate.

 

Gourmet Food Festival | Torino | Lingotto Fiere, via Nizza, 294 | dal 17 al 19 novembre 2017, venerdì dalle 17 alle 23, sabato dalle 10 alle 23, domenica dalle 10 alle 20 | www.gourmetfoodfestival.it

Questo articolo è tratto dal volume “Carne” dei Manuali di cucina del Gambero Rosso.

 

a cura di Annalisa Zordan

 

Gourmet Food Festival 2017

Il pesce: conoscerlo e saperlo cucinare grazie ai consigli di Gianfranco Pascucci

Pasta secca e come sceglierla grazie ai consigli di Peppe Guida

Come riconoscere le carni bianche di qualità. E la ricetta pollo e peperoni di Max Mariola

Tutto quello che è necessario sapere sulla farina e sul grano spiegato bene, con i consigli di Patrick Ricci

 

 

 

Anteprima Tre Bicchieri 2018. Sicilia

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Iniziamo oggi le anticipazioni dei premiati batterie di assaggio per la guida Vini d'Italia 2018 del Gambero Rosso. E partiamo dal sud Italia, per la precisione dalla Sicilia. 

Con ben 22 vini premiati la Sicilia del vino si conferma come una delle regioni trainanti del nostro paese. Una regione mai come adesso in forma smagliante, capace di offrirci un panorama variegato e affascinante. Una regione in grado di confrontarsi, a testa alta, con i terroir più prestigiosi del mondo. Si tratta di vini tecnicamente ben realizzati, frutto di scelte agronomiche fatte anni fa con lungimiranza, che oggi premiano soprattutto i vini da vitigni autoctoni, e che testimoniano l’alto tasso tecnico raggiunto dagli enologi che operano nella regione, accanto agli imprenditori del vino artefici di questo successo.

Un altro aspetto che ci preme sottolineare è il successo crescente dei vini prodotti dalle strutture cooperative, che nella regione sembrano aver imboccato una strada nuova, fatta di attenzione tecnica, che le sta portando a meritati successi di critica e, più in generale, a ottime performance sul mercato interno e su quelli internazionali. È merito, in questo caso, di management sempre più professionali, composti da tecnici e responsabili commerciali sempre più preparati e... agguerriti. I loro vini stanno riscuotendo successi crescenti e riverberano un reddito importante su migliaia di famiglie che dipendono dalla terra. Questo, sia ben chiaro, senza nulla levare alle famiglie del vino, alle piccole e medie aziende che sono state le artefici della rinascita del vino siciliano negli ultimi due decenni, e che procedono spedite per la loro strada.

A nostro avviso non è estraneo al successo dell’enologia siciliana l’entusiasmo con cui i produttori hanno abbracciato la Doc Sicilia, che veleggia allegramente verso i 30 milioni di bottiglie alla fine del 2017 (erano meno di mezzo milione nel 2012!). Il sistema vinicolo regionale vi ricorre ormai in maniera massiccia, rafforzando l’immagine dei prodotti e contribuendo a fare del nome dell’isola un vero e proprio brand internazionale.

Guardando più da vicino si noterà il consolidamento del fenomeno Etna, che vede quest’anno ben 9 etichette premiate, tra Etna Doc, Sicilia Doc e Igt, a conferma del valore di questo straordinario territorio. Segnaliamo, infine, i “debuttanti” nel salotto buono dell’enologia italiana: sono la Alessandro di Camporeale, bellissima realtà familiare che ci ha dato un eccellente Catarratto Vigna di Mandranova ’16, la etnea Tornatore con un delizioso Etna Rosso ’15 e infine la cantina di Nino Caravaglio, che propone uno straordinario Malvasia delle Lipari Passito ’16. 

 
Astolfo  2015 - Assuli  
Cerasuolo di Vittoria Giambattista Valli Paris 2015 - Feudi del Pisciotto    
Contrada Sciaranuova 2015 - Passopisciaro
Etna Bianco 2016 - Planeta 
Etna Bianco Alta Mora 2016 - Cusumano
Etna Bianco Fondo Filara '16 - Cantine Nicosia
Etna Rosso 2015 - Tornatore
Etna Rosso 'A Rina 2015 - Girolamo Russo 
Etna Rosso V. Barbagalli 2014 - Pietradolce 
Etna Rosso Zottorinoto Ris. 2013 - Cottanera 
Faro 2015 - Le Casematte 
Malvasia delle Lipari Passito 2016 - Caravaglio
Mandrarossa Cavadiserpe 2016 - Cantine Settesoli
Passito di Pantelleria Ben Ryé 2015 - Donnafugata 
Quater Vitis Rosso 2014 - Firriato
Rosso del Soprano 2015 - Palari
Shymer 2014 - Baglio di Pianetto 
Sicilia Bianco Maggiore 2016 - Rallo
Sicilia Catarratto V. di Mandranova 2016 - Alessandro di Camporeale 
Sicilia Nerello Mascalese Tascante 2014 - Tasca d'Almerita 
Sicilia Saia 2015 - Feudo Maccari
Sicilia Syrah 2015 - Feudo Principi di Butera 
 

Accordo tra Michelin e Le Fooding. La Rossa acquista il 40% degli irriverenti dell'editoria gastronomica francese

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Due percorsi agli antipodi, storie e ambizioni diverse, ma un approccio comune alla critica gastronomica, che impone rigore, anonimato e imparzialità. Eppure il matrimonio tra Michelin e il gruppo di Alexandre Cammas sorprende la Francia. Ecco perché 

Le Fooding. La guida della nouvelle vague

Michelin acquisisce il 40% di Le Fooding, editore specializzato che oggi gestisce una guida, un magazine online, un sito e un'applicazione mobile. In Italia la portata della notizia giunge sfumata, l'onda d'urto attutita dall'arco alpino. Ma concettualmente l'accordo tra i due gruppi che sulla gastronomia francese e i suoi attori hanno costruito il proprio successo, in modi e tempi molto diversi, è un'operazione che nasconde qualche riflessione in più. Soprattutto perché all'alba della prima apparizione, nel 2000, il progetto di Alexandre Cammas fu subito identificato da una certa critica conservatrice come l'antiMichelin per eccellenza. Una sfida editoriale che a distanza di oltre 15 anni si è rivelata vincente, e all'epoca intercettava il fermento di una ristorazione in cerca di nuovi autori e formule da presentare a una città, Parigi, stanca di rifugiarsi esclusivamente nel gotha delle tavole stellate che all'epoca conquistavano le preferenze dei gourmet. E invece all'inizio degli anni Duemila, il sistema gastronomico francese era pronto per la rivoluzione della bistronomie: una ristorazione anticonvenzionale, quartieri desueti, spazi scomodi e senza pretese, cucina di mercato, pochi ingredienti, grande personalità. Le Fooding, maturato mentre tutto stavo cambiando, intercettava la nouvelle vague, costruendo il proprio punto di forza intorno all'atmosfera che fa la differenza e alla spontaneità di recensioni per tutte le tasche, perlustrando le insegne meno blasonate, i nuovi bistrot, le tavole dove passare una bella serata, quelle ideali per mangiare da soli e i locali perfetti per una cena tra amici, le insegne del cuore e le cucine aperte fino a tardi.

 

Il matrimonio inaspettato

E così dicendo, per una mappatura capillare, originale, indipendente che ha finito per allargarsi a tutta la Francia, e ogni anno orienta in modo crescente le preferenze dei francesi (l'ultima edizione, dedicata a L'amour a la bouche, ha premiato Giovanni Passerini come chef dell'anno). Insomma, Le Fooding ha finito per incarnare uno stile di critica gastronomica alternativa, che premia il piacere di stare a tavola, senza preoccuparsi di schemi precostituiti. Ecco perché il matrimonio con la Rossa, confermato qualche giorno fa con un comunicato del gruppo Michelin, ha suscitato qualche perplessità tra gli estimatori della prima ora. In realtà, assicura Cammas che manterrà il comando con Marine Bidaud, Le Fooding manterrà la piena autonomia. Anzi, l'operazione garantirà al marchio di tutelare la propria indipendenza, puntando all'espansione sui mercati internazionali, grazie alla forza di Michelin: dal 2008, infatti, il percorso di Fooding si è fatto più ambizioso, moltiplicando i contenuti, sviluppando un'app, organizzando eventi nelle principali capitali gastronomiche internazionali. Ma per crescere ancora servono investimenti importanti. E il sodalizio con Michelin potrà contare su valori comuni, quale l'anonimato e il rigore applicato alla pubblicazione delle recensioni: “Michelin è stato l'unico gruppo a soddisfare le nostre aspettative, offrendoci delle garanzie reali per svilupparci in modo sostenibile, e puntare all'internazionalizzazione in piena autonomia”. Nulla cambierà, dunque, rassicura Cammas. Ma non tutti sono persuasi, e l'avvicinamento tra due idee di critica gastronomica agli antipodi continuano a destare scalpore; per le Figaro, invece, Cammas (che oggi vende 100mila copie all'anno e ottiene bei numeri online) potrebbe aver trovato un sistema per crescere professionalmente senza tradire il proprio Dna. Dal canto suo la Michelin metterà a disposizione il know how per facilitare la pubblicazione all'estero della guida; in cambio beneficerà in termini di sviluppo digitale e organizzazione di eventi (che è un po' la nuova strategia del gruppo, come dimostra anche il recente accordo con Wine Advocate, di Robert Parker): “La partnership tra Michelin e Fooding mira a creare esperienze gastronomiche esclusive e diverse per i clienti, dalla scoperta di tavoli di qualità agli incontri con gli chef, dagli eventi studiati su misura alla definizione di offerte speciali. E questo, sulla scena francese, ma anche su scala internazionale”, si legge sul comunicato.

 

Cosa sta succedendo?

Un matrimonio che accontenta tutti? Lo dirà solo il tempo. Intanto la comunità gastronomica internazionale qualche domanda se la fa: come mai la Michelin, dopo anni di stasi, si è lanciata in questo attivismo? A cosa punta questa crescita per linee esterne? Perché Michelin pare molto puntare sugli eventi? Ha bisogno di brand per concretizzare proposte commerciali che con il suo brand non potrebbe mai proporre? E più in generale cosa sta succedendo nel mondo dell’editoria gastronomica? Come si stanno riposizionando i grandi nomi? Intanto il prossimo 9 novembre esce la guida Le Fooding. Novità in vista?

 

a cura di Livia Montagnoli


London Bridge e dintorni: indirizzi da provare vicino al Borough Market

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In quota al 35mo piano c’è Tīng, sul fiume c’è Sea Container, che ha sul tetto la Rumpus Room; più in là ha aperto Flatiron Square. Nel quartiere, tra i più vibranti di Londra, ci si può improvvisare a far vita da locals, quella vera, anche per pochi giorni. La mappa archi-food di London Bridge intorno al Borough Market è in continuo aggiornamento, perché tutto si muove, sempre.

London Bridge

La vocazione food di London Bridge e dintorni nasce dalla destinazione speciale dell’area dai tempi del mercato romano, poi medievale, e dalla prossimità con il Tamigi e i suoi trasporti alimentari. Borough Market ha condotto il gioco per secoli, fin quando Londra non si è accorta che la sponda sud del fiume poteva essere una risorsa urbana ed economica fondamentale per la città. Allora South Bank è diventata un riferimento per le passeggiate, il tempo libero e, ovviamente, la spesa al mercato del sabato. Con la Tate Modern, a circa 50 anni dalla fondazione del Southbank Centre, tempio indiscusso della rinascita della Great Britain, si è aggiunto un altro tassello importante per l'attrattiva culturale di questa parte della città. Con More London, inoltre, la passeggiata pedonale si allunga di oltre un km a est, e raggiunge Shad Thames.

 

Archi-food district

Ristoranti e luoghi dove mangiar bene, cibo di strada incluso, diventano le tappe imperdibili dei weekend londinesi, posti che, uniti all’alta densità di progetti urbani, d’architettura e design attraversabile, sono valsi a quest'area il nick di archi-food district. Ma prima di posti come il Sea Container, il ristorante con la sua sala a pelo d’acqua e la spettacolare Rumpus Room in terrazza; prima di Tīng, in quota al piano 35 del grattacielo più alto d’Europa, non esistevano molti posti dove godere di buon cibo e vista sulla città, con la complicità di un tavolo panoramico, spudoratamente romantico. La terrazza all’Oxo Tower ha fatto da pioniera quanto a sguardi mozzafiato sulle luci del Tamigi, ma è stata la sola, per anni, a raccontarne le bellezze. Ora, invece, la mappa è più ricca.

 

ting di londraTīng - L'amusebouche

Tīng

È a 128m in quota, al livello 35 della Shard, la scheggia in vetro firmata da Renzo Piano che ospita anche lo Shangri La. Ma non occorre esser ospiti dell'albergo, esperienza che certo non guasta, per gustare sapori e raffinatezze di questa cucina british con twist asiatici ben calibrati per stile e gusto. Il Tīng accoglie come in un living (e il nome, in cinese, significa proprio salotto), per l’eleganza discreta apprezzabile nei dettagli d’arte, nell’ambiente dai toni neutri con tocchi di legno caldo e oro. L’aura della cultura cinese è presente ovunque senza dominare.Il mix perfetto tra cucina asiatica, rivisitazioni europee e mercato locale in diretta dal mondo, si compie grazie proprio al vicino Borough Market, punto di riferimento per l’approvvigionamento di materie prime freschissime, carni, pesce, ortaggi e verdure incluse. Tra i diversi menu - essenziali, frutto di sintesi accuratissima tra i molti piatti della cucina asiatica - ce ne è uno speciale: personalizzabile, dedicato al mercato del giorno, si chiama Chef’s Market Table. Una proposta che assicura una cena gustosissima e leggera, mentre la carta dei dolci invita a una seconda degustazione da fare senza sensi di colpa, pronti a nuove scoperte. Ma al Tīng si va anche per il tè, un rituale dal servizio impeccabile, con una scelta tra più di trenta varietà, o per la prima colazione, per iniziare la giornata in modo esclusivo, con tutta Londra che si offre allo sguardo: sotto, davanti e intorno, dalla cattedrale di St. Paul fin giù ai grattacieli di Canary Wharf, una visione da far girar la testa. Il contrasto colto tra lo stile tecnologico e ultramoderno dell’edificio e il calore dell’ospitalità dal gusto antico rendono questo luogo unico, un indirizzo da aggiungere ai primi posti nell’agenda dei preferiti, non solo a Londra.

Tīng | Shangri-La Hotel | Gran Bretagna | Londra SE1 9QU | At The Shard | 31, St Thomas Street | Level 35 | tel. +44 (0)207 234 8108 | http://www.ting-shangri-la.com/

 

Sea-Containers-la terrazzaSea Containers - La terrazza estiva

Sea Container

Al SeaContainer del Mondrian tutto è ispirato all’età d’oro dei viaggi in transatlantico e un po’ quell’effetto lo fa star seduti lungo la vetrata lato Tamigi, magari al crepuscolo. Il progetto si deve a Tom Dixon, che ha creato una continuità fluida traristorante, sale relax per l’afternoon tea e il pluripremiato Dandelyan, miglior cocktail bar al mondo 2017 al Tales of the Cocktail Spirited Awards, solo uno dei moltissimi riconoscimenti ricevuti dall’inaugurazione ad oggi. 

La cucina, con un enorme forno a legna, è completamente aperta sulla sala e al centro del ristorante occupano la scena un bar ellittico e un sottomarino giallo sospeso, a ribadire il tema ‘marine’. La vista ravvicinata delle acque del Tamigi vale da sola la cena, ma il menu sarebbe attraente anche se il Sea Container non si trovasse bordo fiume. Ai fornelli c’è chef Gus Crosby, esperienze da Smith of Smithfield prima e al Launceston Place dopo, capace con le sue creazioni gastronomiche di valorizzare e sostenere i fornitori locali. Il menu, un mix britannico/americano in continua evoluzione, cambia stagionalmente e sorprende per colore, freschezza, e per l’autenticità delle incursioni mediterranee ricche di profumi fragranti. L’aperitivo al Dandelyan prima di cena a firma di Ryan Chetiyawardana è d’obbligo, come lo è, dopocena, una sosta alla terrazza al 12mo piano, alla Rumpus Room: atmosfera anni ’20, arredi a contrasto oro e prugna, e il bar in una camera interamente di vetro, tutto Tom Dixon style, per un effetto notte da capogiro.

Sea Container | Mondrian | Gran Bretagna | Londra Se1 9pd | 20 Upper Ground | tel. +44 (0)20 3747 1063 | https://www.seacontainersrestaurant.com/

 

Londra

Con i piedi per terra

Per chi ama invece immergersi nella folla rituale del venerdì pomeriggio la meta d’obbligo è Flat Iron Square, la nuova piazza food di Bankside, nata da Urban Forest, il progetto di Rogers&Partners, come al solito visionario, che conta su tre elementi: strategia, rigenerazione e successo assicurato. La food hall si distende sotto il viadotto della ferrovia di London Bridge che collega due slarghi urbani: di là Union Square, di qua il grande vuoto sul retro del vecchio teatro The Bunker, con la Menier Chocolate Factory. Rinascono così 7 archi ferroviari, con 17 diversi tipi di ristoranti e punti ristoro, tutti gestiti da piccole imprese indipendenti.

La Low-Line di Bankside ispirata per opposizione alla High-Line newyorchese, corre sotto i binari e riconnette spazi per i quali la ferrovia faceva da barriera. La passeggiata pedonale apre tratti del quartiere prima inaccessibili, collegando con una vitalità mai vista prima, due facce della stessa zona da sempre estranee. Il nuovo spazio persegue la lunga tradizione di Bankside come destinazione culturale nella capitale e sostiene la strategia di rilancio dell’imprenditoria locale in una acrobazia di connessione urbana tra le più riuscite in città.

Flat Iron Square | Gran Bretagna | Londra SE1 1TD | tel. + 44 (0)20 3179 9800 | http://www.flatironsquare.co.uk/

Better Bankside | Bankside Community Space | Gran Bretagna | Londra SE1 0FD | tel. +44 (0)20 7928 3998 | http://www.betterbankside.co.uk/buf/the-low-line

 

a cura di Emilia Antonia De Vivo

 

 

 

Deliveroo Editions e l'avvento del ghost restaurant. Cucine su misura per la consegna a domicilio

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Deliveroo ci mette lo spazio, il supporto marketing e la sua flotta di rider. Al ristorante fantasma il compito di sviluppare una proposta originale e funzionale, per la consegna a domicilio. Cavalca il trend dei ghost restaurant l'ultima idea della piattaforma di food delivery americana. Ecco a chi conviene. 

I ristoranti fantasma

Ghost restaurant, ristorante fantasma. Non è l'ultimo pop up di qualche fantasioso chef in cerca di visibilità, ma un modello di business che, partendo da Londra, potrebbe influenzare in maniera crescente l'approccio alla ristorazione. Per chi la fa, e per chi la consuma. Il fenomeno è strettamente connesso al successo dei servizi di delivery, che in tutta Europa continuano a conquistare fette di mercato e nuovi clienti, fidelizzando un pubblico sempre più eterogeneo grazie alla diversificazione di un'offerta che ora punta decisamente al rialzo. Finita l'era del cibo cinese di dubbia qualità e delle pizze di gomma a domicilio, oggi il servizio delle piattaforme online è efficiente e modulato sui gusti di una clientela gourmet. Anche in Italia il mercato di settore ha fatto grandi passi in avanti negli ultimi anni, la concorrenza ormai è agguerrita, e a più riprese abbiamo analizzato il fenomeno. E come l'avvento dello shopping online è riuscito a “smaterializzare” il concetto di negozio, favorendo l'ascesa di vetrine digitali e store virtuali, così la diffusione capillare del food delivery sta determinando l'avvento di ristoranti dedicati esclusivamente alla preparazione di cibo destinato alla consegna porta a porta. Nient'altro che laboratori di produzione che lavorano a porte chiuse, elaborano un menu, lo divulgano online sotto il cappello di un brand che ricalca l'insegna di un ristorante tradizionale, e gestiscono le consegne a domicilio tramite ordini in app (ma pure appoggiandosi alle piattaforme di delivery più celebri). Una soluzione vantaggiosa per la sostenibilità economica del ristorante fantasma, che riduce all'osso il personale e contiene i costi d'affitto, garantendo prezzi più competitivi per il consumatore.

 

Da New York a Londra

A New York, dove l'idea ha preso decisamente piede, ci ha provato negli ultimi anni David Chang, con Maple, con una variante evoluta del format, destinata all'area di Manhattan; la primavera scorsa, però, Maple – fiaccato da un food cost molto elevato - ha alzato bandiera bianca (Ando invece resiste, e si è recentemente rinnovato). E l'esperienza è stata riassorbita da Deliveroo, che, proprio intuendo le potenzialità dei ristoranti fantasma ha perfezionato il sistema Deliveroo Editions, già operativo a Londra dalla primavera scorsa, e presto disponibile anche in Francia, Australia, Singapore, Dubai, Hong Kong (entro la fine del 2017). Il servizio incontra prima di tutto le esigenze di chi vuole investire nella ristorazione senza confrontarsi con le difficoltà di un ristorante in “carne ed ossa”. In pratica, il gruppo fondato da William Shu nel 2013 (sede operativa a Londra e rete internazionale che copre 120 città in 12 Paesi) mette a disposizione cucine su misura, supporto marketing e una flotta di rider per la consegna a domicilio.

 

Deliveroo Editions. Come funziona

Il servizio è nato con l'idea di favorire le attività già avviate che vogliono provare a conquistare nuovi mercati, offrendo loro la possibilità di gestire un centro di produzione all'estero riducendo al minimo il rischio imprenditoriale. Ma la soluzione sembra destinata a prendere piede anche tra chi vuole investire nella propria città, concentrando la propria esperienza in cucina solo sul food delivery. Il concept, infatti, nasce anche con l'idea di sostenere gli chef emergenti, proponendo di fatto un nuovo ruolo di scouting per Deliveroo, orientato a favorire una selezione di progetti qualificati, in grado di sviluppare piatti ideati appositamente per il delivery (a questo proposito, sempre da Londra, vi abbiamo raccontato l'esperienza di Godo Sostanza Italiana, con la supervisione di Tommaso Arrigoni). E così il ristorante fantasma diventa anche ristorante su misura, calibrato sulle esigenze specifiche del cliente o sulla richiesta di una determinata area di grandi capitali internazionali. Senza escludere la possibilità di collaborare con chef affermati, che vogliono mettersi in gioco. In Italia l'avvento di Deliveroo Editions non è ancora pianificato, ma vista la buona risposta di Londra non tarderà ad arrivare.

 

a cura di Livia Montagnoli 

Il cibo italiano che piace all'America. Nuove food hall e mercati made in Italy che aprono negli States

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Prima è arrivato Eataly, oggi tra le infinite possibilità che mercati gastronomici e food hall offrono agli americani per mangiare con poco provando specialità in arrivo da tutto il mondo, il cibo italiano sembra giocare un ruolo importante. Da Miami a Whasington DC, a New York, ecco le prossime aperture che scommettono sul made in Italy. 

Mangiare al mercato. È boom di food hall

Food hall o mercato gastronomico, che dir si voglia. Quello che in Italia è un fenomeno non ancora giunto a piena maturità, sebbene di esempi eccellenti se ne cominci a contare più di qualcuno, negli Stati Uniti imperversa da tempo, eppure non sembra conoscere battute d'arresto. Sul punto della situazione ha ragionato recentemente il sito del Wall Street Journal, dati alla mano: nel 2016 il numero delle food hall in attività sotto la bandiera a stelle e strisce è cresciuto del 37%, ed entro il 2019 gli esperti del mercato immobiliare prevedono che il dato raddoppierà. Con quanto ne consegue in termini di costumi alimentari e ricadute economiche sul business della ristorazione nelle grandi città del Paese: a un numero crescente di avventori che amano mangiare fuori senza troppi fronzoli, confortati dalla varietà d'offerta e dai piccoli prezzi di piazze gastronomiche sempre più soddisfacenti in quanto a qualità del cibo e piacevolezza degli spazi da condividere, ha fatto seguito, per esempio, l'interessamento di grandi chef e imprenditori della ristorazione a format di fast e casual food d'autore. Nel frattempo loft e fondi al pian terreno di edifici strategici nelle principali città si sono popolati di cucine estemporanee attrezzate di tutto punto, tavoli sociali, chioschi, laboratori gastronomici e colorati box traboccanti di cibo, a tutte le ore del giorno. Tanto che oggi i detrattori del genere non possono fare a meno di rilevare l'inevitabile omologazione indotta dalla sovraesposizione del format (ma l'ultimo arrivato a New York, il DeKalb Market di Brooklyn, inaugurato alla metà di giugno con parecchio ritardo sui piani, appartiene decisamente alla schiera dei progetti più riusciti, con oltre 40 box, e il primo esperimento “in trasferta” di Katz's Deli e del suo celeberrimo pastrami. E anche lo storico Chelsea Market si rinnova).

 

Il cibo italiano che piace all'America

Trend nel trend – e questo ci riguarda più da vicino – il cibo italiano sembra trainare con forza gli investimenti nel settore. Impossibile non rilevare l'apprezzamento per prodotti e ristorantini di Eataly a New York: solo qualche giorno fa, un focus del New York Times sottolineava come la sede di Flatiron – la prima aperta in città, nel 2010, l'anno scorso è arrivato il bello spazio al World Trade Center – non solo attiri un gran numero di turisti, ma pure tanti newyorkesi che indugiano tra i banchi di frutta e verdura, e da Eataly fanno regolarmente la spesa. Le novità in cantiere sul tema made in Italy, però, coinvolgono pure altre città degli States. A Washington DC si lavora alacremente per portare a termine il cantiere dell'ambizioso Wharf Complex, un investimento da oltre 2 miliardi e mezzo di dollari, che ha richiesto 3 anni di lavori.

Washington, Miami, New York. Nel segno del made in Italy

La nuova cittadella sull'acqua ospiterà uffici, appartamenti, grandi catene alberghiere (Hilton e Hyatt), una Music Hall, tanti ristoranti, bar, locali (tra cui anche Shake Shack). Ma ci saranno anche un mercato del pesce, un'area dedicata alle ostriche, e una food hall italiana, lo Stefanelli Italian's Market; il progetto di Nicholas Stefanelli, chef della Masseria di Whasington DC, sarà pronto per la prossima primavera, e si svilupperà su tre piani, un mercato di prodotti freschi e a scaffale al primo, un ristorante con servizio ai tavoli al secondo, e una terrazza con vista per il bar. Tutto a tema tricolore.

Già alla fine dell'anno, invece, sarà inaugurata a Miami La Centrale del ristoratore Jacopo Giustiniani. La food hall italiana aprirà al Brickell City Centre a dicembre, nel quartiere finanziario del città. Anche in questo caso, lo spazio si svilupperà su tre piani, con un mercato di prodotti freschi al pian terreno, dalla carne ai formaggi made in Italy, una serie di ristorantini regionali al secondo (il modello è chiaramente quello di Eataly), un terzo piano dedicato al vino, con scuola di cucina. Mentre tornando a New York, è sempre valido il progetto di Cipriani nell'Upper West Side: il ristorante veneziano, già celebre in città, aprirà la sua prima food hall all'interno del complesso in costruzione Two Waterline Square, che ospiterà un mercato esperienziale, con una serie di ristoranti e box di street food, per sviluppare tutte le potenzialità della cucina italiana. Dopo una serie di intoppi burocratici, la data di apertura è ancora da definire.  

 

DeKalb Market | New York | Brooklyn, 445 Albee Square West | www.dekalbmarkethall.com

The Wharf Complex | Whasington DC | Hofmann Madison Waterfront | www.wharfdc.com/restaurants/stefanellis-italian-market/ | primavera 2018

La Centrale | Miami | Brickell City Centre | www.lacentralemiami.com

Cipriani nell'Upper West Side | New York | Two Waterline Square | nel 2018

 

a cura di Livia Montagnoli

Oliver Glowig e Valentino Palmisano. Chef maestro e chef allievo guardando alla Norcia post terremoto

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Un grande maestro come lo chef tedesco Oliver Glowig e i suoi allievi. Glowig li ha invitati, uno per uno per una serie di lunedì, a fare cene a quattro mani nel suo ristorante di Roma. L'ultimo ospite, Valentino Palmisano, è lo chef del Vespasia di Palazzo Seneca, a Norcia. L'hotel simbolo della ripresa umbra post-terremoto.

Si tratta di un vizio di molti settori della creatività, dalla musica al cinema, dall'arte alla letteratura. Sempre meno diffuso, in realtà, ma presente: maestri che hanno nella loro squadra dei talenti e che invece di agevolarli a spiccare il volo, li tengono sotto la propria ala protettrice. E, poi, se per caso spiccano da soli, fanno magari finta di non conoscerli, ne parlano male, dimostrano perfino un pizzico di invidia. Non è raro che tic simili siano propri anche del mondo degli chef, tipicamente composto da un leader\maestro e da una squadra di allievi e dunque indicatissimo per dinamiche di questo genere.

 

Oliver GlowigOliver Glowig

Il grande chef che valorizza i suoi ragazzi

Anche in questo senso è significativa e lancia dei segnali sani l'operazione lanciata prima dell'estate da chef Oliver Glowig. Da qualche mese, un lunedì ogni tanto, il grande cuoco tedesco già al Capri Palace e all'Aldrovandi ospita nel suo ristorante di Roma (gli altri sono nel Barhein, a Toronto e in Svizzera) uno dei suoi allievi. "Facciamo una cena a quattro mani, ognuno invita i suoi amici, i suoi clienti; e tutte le cene sono state un successo tanto che vogliamo continuare". Con Luca Boccoli che si occupa della parte enoica invitando produttori di nicchia magari provenienti dal territorio dove lo chef-allievo attualmente lavora.

 

Luca BoccoliLuca Boccoli

Ci sono stati naturalmente Domenico Iavarone del Josè di Torre del Greco, Daniele Corona di Poggio alle Volpi, Ludovico De Vivo del Capofaro Malvasia Resort e Lorenzo Cuomo del Re Maurì di Vietri.

 

"Le cose stanno andando bene, io mi diverto, per me è un onore vedere come tanti tra loro ormai sono diventati, magari partendo da me come stagisti, dei maestri a loro volta. E allora vogliamo andare avanti. Sicuramente faremo una serata-happening" spiega lo chef premiato come novità dell'anno sulla guida Roma del Gambero Rosso 2018 "in cui ci sarò io e tutti loro messi insieme. E poi vogliamo puntare molto sulla beneficenza".

 

 

La cena col cuoco che ha rilanciato Norcia dopo il terremoto

E proprio in questo quadro sta a pennello la presenza, nell'ultimo appuntamento delle cene Maestro-Allievo, di Valentino Palmisano, lo chef napoletano (ma con una ampia esperienza all'estero) a cui i proprietari del Vespasia (nel Palazzo Seneca, a Norcia) si sono affidati per la ripartenza post-terremoto. "Fare ristorazione oggi a Norcia è qualcosa di particolare", dice Palmisano mentre affetta norcinerie per l'aperitivo pre-dinner, "si è parte integrante di un network territoriale fragile. Per me questo prosciutto di Ansuini è il più buono del mondo a prescindere, solo per la storia incredibile che ha, solo per il fatto che quell'azienda ha avuto il capannone distrutto e comunque è riuscita a andare avanti".

 

Oliver Glowig e valentino PalmisanoValentino Palmisano e Oliver Glowig

 

Palazzo Seneca, la struttura ricettiva più importante a Norcia, è stato un simbolo per la ripartenza post-sisma: sia perché è stato il primo albergo a riaprire nell'area, sia perché qualche mese dopo la riapertura ha ottenuto un prestigioso premio come "Hotel dell'Anno" dal network turistico internazionale di Virtuoso. Il Palazzo, un quattro stelle con servizi e sembianze da cinque, è solo (cronologicamente parlando) l'ultima realizzazione di una famiglia, i Bianconi, che fa ristorazione e hotellerie sul territorio da oltre 150 anni: generazioni di mestiere che hanno accompagnato l'evoluzione di questa parte dell'Umbria transitando da un turismo di massa (i pellegrinaggi per San Benedetto o Santa Rita), riuscendo poi ad affiancare un ricettivo ricercatissimo, che da sempre ha puntato su un piglio gastronomico alto.

 

Una visione da albergatori di razza

Con questa ricetta i Bianconi, assieme a Palmisano, sono riusciti a dimostrare che i territori colpiti dal sisma possono ripartire a livello economico, sociale e culturale puntando proprio sulla merce più preziosa che l'Italia dovrebbe sempre puntare a vendere bene: il turismo culturale, il turismo alto, il turismo gastronomico.

Valentino PalmisanoSgombro marinato con fagiolini e taccole, ciuffi di caprino fresco e un estratto di fagiolini di Valentino Palmisano

Ma a proposito di ricette non manchiamo di menzionare i piatti che hanno cadenzato la serata in cui chef Glowig e chef Palmisano si sono incontrati e confrontati. Dopo gli affettati umbri d'ordinanza, ecco l'antipasto di Palmisano: uno sgombro marinato con fagiolini e taccole croccantissimi sul fondo, dei ciuffi di caprino fresco e un estratto di fagiolini a completare il piatto al tavolo. 

 

oliver glowigAgnello con finocchi, sfere di mela verde fresca e liquirizia di Oliver Glowig

Seguono i due piatti principali dello chef di Dusseldorf: pasta e fagioli al profumo di mare e cotiche, con la parte ittica generosa e profumatissima; e agnello con finocchi, sfere di mela verde fresca e liquirizia: un piatto perfetto per salutare l'estate e aprire la stagione autunnale. La chiusura è affidata allo chef-allievo con una iper profumata crema di grano con gelato alla ricotta di pecora, non è più di moda dirlo (per fortuna!) ma è un po' una "pastiera destrutturata". 

 

Il nuovo tavolo dello chef

Il nuovo chef table

E il futuro di Glowig a Roma?

A dispetto di chi giura nel saperlo già pronto a lasciare il Mercato Centrale, il grande chef tedesco appare più saldo che mai alla guida del bel ristorante ricavato sotto le arcate mazzoniane della Stazione Termini. Abituato a grandi alberghi di ultra lusso, Glowig sembra molto a suo agio in questo strano posto in uno scalo ferroviario: "qui ho investito e ora questa azienda è tutta mia" dice facendo riferimento alla fine della partnership a due con La Tradizione di Vico che prima co-gestiva gli spazi "e giusto oggi è arrivato questo nuovo tavolo al posto dei banchi della gastronomia: qui metto gli sgabelli e faccio uno chef table con un menù degustazione ad hoc. Oppure lo lascio per chi vuole salire prima di cena a bere un buon bicchiere". Evoluzioni di un maestro tra gli allievi del passato e i progetti per il futuro.

 

La tavola, il vino, la dispensa | Mercato Centrale | Roma | via Giovanni Giolitti, 36 | tel. 06 92939569 | http://www.mercatocentrale.it/roma/

Vespasia dell'hotel Palazzo Seneca | Norcia | via Cesare Battisti, 10 | tel. 074 3817434 | www.vespasia.com

 

a cura di Massimiliano Tonelli  

Pomì compra De Rica. In Pianura Padana si rafforza il polo del pomodoro italiano

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In controtendenza con la campagna acquisti che attira in Italia tanti investitori stranieri, la storica pummarola De Rica torna dove tutto è cominciato, nelle campagne piacentine, con l'acquisto da parte del Consorzio Calasco del Pomodoro, leader del settore. Ecco perché l'operazione è importante. 

L'accordo Pomì – De Rica

Nella vicenda Pomì – De Rica, col primo che si aggiudica il secondo attraverso una trattativa conclusa nei giorni scorsi (di cui le parti non specificano il prezzo), gli aspetti da sottolineare sono due. Anzitutto, come sempre più di rado accade, l'accordo raggiunto privilegia la territorialità e la storia del marchio piacentino, quei pomodori pelati finiti nel 2013 tra le mani di Generale Conserve S.p.A. (in Liguria, con Asdomar), che chi era bambino negli anni Sessanta ricorderà per il celebre Carosello con Titti e Silvestro, gatto maldestro. Un pezzo di storia dell'industria conserviera italiana, legata alla produzione e trasformazione del pomodoro, che beneficia, una tantum, di un'inversione di tendenza rispetto alla prepotente campagna acquisti dei colossi stranieri sul territorio nazionale. E qualcuno già interpreta lo slogan pubblicitario di un tempo, che nel 1963 sanciva la nascita del marchio su iniziativa di Luigi Tononi sotto l'egida dell'Industria Conserve Alimentari, come ammonimento preventivo al rischio di lasciarsi sfuggire un pezzo da novanta dell'imprenditoria agroalimentare made in Italy: “No, su De Rica non si può”, recitava Silvestro dopo gli estenuanti inseguimenti del canarino Warner Bros.

 

De Rica torna a Piacenza

Così il marchio nato tra le campagne piacentine scongiura il rischio di un passaggio e investitori stranieri e anzi si riavvicina a casa, con l'acquisto da parte del Consorzio Calasco del Pomodoro, meglio conosciuto per il marchio Pomì, “contro l'invasione cinese”, come titola Coldiretti tirando un sospiro di sollievo (ma, per amor di completezza, l'allarme lanciato a più riprese dall'associazione di Roberto Moncalvo è stato smentito da Anicav, che si è spesa per dimostrare che il 98,5% di passata, polpa e pelati sulle nostre tavole arriva dall'Italia). L'altro risultato degno di nota, infatti, si farà sentire sul campo grazie al costituirsi di un polo del pomodoro italiano sotto il cappello del mondo agricolo cooperativo, proprio nella Pianura Padana, dove il Consorzio conta 370 aziende associate su 7000 ettari di terreno tra le province di Cremona, Parma, Piacenza e Mantova.

 

Il polo italiano del pomodoro

Dal canto suo, con l'acquisizione di De Rica, Pomì rafforza ulteriormente la sua posizione di leadership sul mercato nazionale della coltivazione, produzione e trasformazione del pomodoro, che esporta in 60 Paesi del mondo, con un fatturato annuo di 230 milioni di euro. Tanto che non è tardato ad arrivare il plauso delle istituzioni: al ministro Martina il compito di ribadire l'importanza di un'operazione che rilancia la filiera e riapre l'urgenza di stabilire per i prodotti derivati dal pomodoro un'etichettatura obbligatoria, indicando l'origine delle materie prime (a questo proposito leggete il nostro vademecum sulla passata di pomodoro). Ora il peso del nuovo “gigante italiano del pomodoro” si farà decisamente sentire. Intanto rendiamo merito a una trattativa che rifiuta con forza la delocalizzazione imperante.  

 

a cura di Livia Montagnoli

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