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Vendemmia 2017. Dramma siccità anche in Francia: è l'annata più scarsa dal ‘45

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Col diffuso cambiamento climatico che sta determinando una tropicalizzazione del bacino Mediterraneo ormai è tempo di fare i conti. E la viticoltura studia le mosse per i prossimi anni, segnata da un'annata tra le più scarse di sempre. In Italia la produzione va giù, ma anche la Francia fa i conti con il caldo che ha distrutto molti vigneti. E la raccolta è sempre più precoce. 

Vino e siccità

In Italia a lanciare l'allarme ci ha pensato Assoenologi, stimando una delle vendemmie più scarse degli ultimi 60 anni. La colpa, come sottolinea l'associazione presieduta da Riccardo Cotarella, è principalmente della siccità che ha imperversato sulla Penisola per tutta l'estate, una delle più calde e asciutte di sempre. Una condizione climatica particolarmente sfavorevole per l'agricoltura tout court, che per contro, nel caso specifico, potrebbe giovare all'uva raccolta in vigna, indenne da muffe e marcescenze e quindi destinata a produrre vino di qualità, se ben lavorata in cantina. Resta il fatto che, in molte regioni d'Italia, la vendemmia 2017 restituirà quantita di mosto/vino ben sotto la soglia dell'anno passato. Alla Francia non va meglio, e certo non è il caso di scomodare il detto mal comune mezzo gaudio. Anche tra le vigne d'Oltralpe, infatti, il mix di gelate primaverili (qualcuno ricorderà le foto spettacolari dei fuochi accesi tra i filari per scongiurare le gelate notturne) e siccità estiva è stato letale per molte prestigiose regioni vinicole. E così la vendemmia francese 2017 sarà la più scarsa che si ricorda dal 1945. L'equazione tra clima secco e qualità delle uve, però, anche in questo caso potrebbe far tornare i conti, prefigurando un'ottima riuscita per i vini da invecchiamento.

 

La vendemmia 2017 in Francia

In percentuale, secondo il ministro dell'Agricoltura francese, si produrrà il 18% di ettolitri di vino rispetto al 2016 (già particolarmente scarsa per le avverse condizioni climatiche di un anno funestato da grandine, gelate e piogge torrenziali). E il problema è generalizzato, diffuso tra le vigne di Bordeaux come in Alsazia e nella Loira, mentre nel Sud Est del Paese la raccolta è cominciata con due settimane di anticipo. Del resto, come qualche settimana fa raccontava il professor Attilio Scienza a Cronache di Gusto, nei prossimi anni (e decenni) il cambiamento climatico influenzerà inevitabilmente il modo di produrre vino in Italia come nel resto d'Europa. E particolarmente il bacino Mediterraneo risentirà della tropicalizzazione in atto. Come rispondere? La ricerca, in questo senso, può essere d'aiuto al lavoro in vigna, segnalando, per esempio, varietà resistenti a climi tropicali.

Fa storia a sé, invece, la regione della Champagne: alla fine di luglio il Comitè Interprofessionel du vin de Champagne (che riunisce i migliori produttori della regione) si diceva fiducioso per un'annata da record, sotto il profilo quantitativo e qualitativo: il grande caldo si è fatto sentire anche nel Nord della Francia, distruggendo il 23% dei vigneti, ma i grappoli risparmiati dalla siccità sono molto più grandi del normale, e la produzione per ettaro sarà molto più elevata. Il tasso d'umidità ridotto ai minimi termini dovrebbe fare il resto, garantendo uve non trattate e vini di qualità.

Ma ormai è certo che nei prossimi anni produttori ed enologi dovranno studiare e adattarsi al quadro che cambia: la primavera scorsa uno studio dell'università di Harvard pubblicato sulla rivista Natural Climate Change confermava una tendenza in atto dagli anni Ottanta ad oggi, con una significativa impennata negli ultimi anni, con vendemmie sempre più precoci determinate dal surriscaldamento globale. Non ci sono più le mezze stagioni


Come funziona Foody, la startup che collega turisti e persone del territorio

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Quello del turismo enogastronomico è un panorama in continuo fermento, che vede costantemente la nascita di startup innovative dedicate alla condivisione del cibo. L’ultimo progetto si chiama Foody, ed è una piattaforma pensata per far vivere ai viaggiatori un’esperienza culinaria a 360 gradi.

La piattaforma

Il principio di base è quello di creare una rete fra chi ama cucinare e chi ama mangiare, a cambiare però è il taglio, più indirizzato al turismo. Foody è una startup nata a Genova per idea di due giovani amanti della buona tavola, Elena Bisio e Michele Arleo. Attiva già da due mesi, Foody si propone di rispondere alla sempre crescente tendenza del turismo enogastronomico, consentendo a tutti gli utenti di scoprire le tradizioni culinarie delle varie città. “Oggi il cibo sta diventando uno degli ingredienti principali nella scelta della meta, e mi piace paragonare Foody all’amico del posto che ti prende per mano e ti accompagna alla scoperta della sua città e dei suoi piatti preferiti”, ha commentato Elena. Ogni visitatore che sceglie di affidarsi alla startup, potrà quindi scoprire gusti e tradizioni tipiche con l'aiuto delle persone del luogo.

Come funziona

Eat local with local è lo slogan chiaro ed efficiente di Foody, che si impegna a far vivere a ogni turista un’esperienza diretta a 360 gradi. Un’idea creativa che ha avuto origine nel capoluogo ligure, ma che ha tutte le carte in regola per diffondersi anche nelle altre città italiane. Ma come funziona? Una volta scelta la località desiderata, il viaggiatore può visualizzare le varie esperienze enogastronomiche offerte dai Local Host presenti nella zona, e selezionare quelle che preferisce. Se interessato, l'utente manderà poi una richiesta di prenotazione per l’esperienza e procederà con il pagamento in modo sicuro tramite il sito. Preparare il pesto alla genovese con il mortaio, fare un food tour di Napoli su una vespa d'epoca, andare a caccia di tartufi nel bosco, prendere parte alla vendemmia: sono solo alcune delle attività, di diversa durata (da un paio d'ore a più giorni), disponibili su Foody.

L’obiettivo

Una piattaforma che mette in comunicazione i viaggiatori con gli abitanti del luogo, cuochi, massaie, contadini, pescatori o anche semplici appassionati di cucina, all’insegna della condivisione e del senso di convivialità che da sempre rappresenta la tavola degli italiani. Ma non solo: l’innovativa startup è riuscita a coniugare con successo il turismo gastronomico e il sempre più diffuso fenomeno della sharing economy, nuovo modello economico che si propone di far fronte alla crisi promuovendo forme di consumo più consapevoli, risparmiando e condividendo esperienze uniche con un gruppo di persone. L’attrattività del patrimonio enogastronomico italiano, poi, nei confronti degli stranieri negli ultimi anni sta vivendo un notevole aumento: secondo il recente rapporto dell’Enit nel 2015 sono stati oltre 920mila i viaggiatori stranieri che hanno visitato l’Italia per una vacanza enogastronomica, in crescita del 5,9% rispetto al 2014 e dell’11,6% rispetto al 2012. Prenderà piede anche altrove?

a cura di Michela Becchi

Parla chef Ciccio Sultano. Ecco come cambierò tutto nei prossimi due anni

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Video intervista al grande chef siciliano che per la prima volta fa entrare le telecamere dentro ai nuovi locali che sta restaurando accanto al suo ristorante Il Duomo. E l'occasione è buona per parlare di evoluzione a tutto tondo. 

Rivoluzione Ciccio Sultano

Molto di quello che c'era da dire, anzi praticamente tutto, lo abbiamo detto in un articolo di qualche tempo fa. Stiamo parlando di Ciccio Sultano, di Ragusa e del suo ristorante Duomo. E dei grandi cambiamenti che tra il 2018 e il 2019 interesseranno questa che è la principale tavola di ricerca di Sicilia, e una delle più significative d'Italia.

Ci sono i cambiamenti propri del Duomo, il nuovo volto del ristorante che verrà: arredi, colori, complementi, sedute, sala, luci. E cucine. Perché Sultano oggi fa i miracoli in una cucina davvero troppo stretta rispetto agli standard di questa alta ristorazione.

E poi ci sono i nuovi spazi, che si aggiungono al ristorante di via Capitano Bocchieri. Uno spazio-salotto, sempre nel palazzo nobiliare dove ha sede il ristorante, ma qualche metro più in là, proprio in direzione della cupola del Duomo. 

In cantiere. I nuovi spazi del Duomo

Vi avevamo anticipato tutto a giugno, ma qui per la prima volta siamo entrati con le nostre telecamere dentro agli spazi del cantiere, e per la prima volta Ciccio Sultano li racconta in una video intervista. Il nuovo locale, adiacente al Duomo, avrà una sua cucina di produzione, si presterà anche per piccoli banchetti, avrà uno spazio esterno dove fumare, e una vocazione quasi da bar ("d'altronde io dal bar vengo" dice Sultano ricordando i primi anni di carriera a Vittoria "e mettermi dietro all'american bar a fare cocktail è qualcosa che mi diverte"), ma sarà anche luogo di incontro, e spazio dove attendere che il proprio tavolo si liberi al ristorante. O salotto dove rilassarmi dopo cena, con un distillato o una tisana. E, ma con moderazione, uno spazio aperto anche ai non-ospiti del ristorante. Il tutto collocato all'interno di un network di offerta gastronomica che spazia così dall'altissima ristorazione gourmet del Duomo fino all'offerta informale de I Banchi (supervisionata dal giovane Peppe Cannistrà), bistrot contemporaneo a tutta golosità dove è possibile passare anche per un trancio di pizza o un arancino al volo, sempre però ad altissimo livello di qualità e con quella peculiare atmosfera di casa che è lo stile distintivo della ditta Sultano.

 

Duomo | Ragusa Ibla | via Capitano Bocchieri, 31 | tel. 0932 651265 | www.cicciosultano.it

 

a cura di Massimiliano Tonelli

 

Chef in vacanza. 4 ristoranti a Stoccolma e Copenhagen secondo Ciro Scamardella

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Dove vanno in vacanza gli chef? E dove vanno a mangiare quando sono all'estero? Sono davvero in vacanza oppure fanno fatica a staccare e in realtà vanno fuori per aggiornarsi dai loro colleghi oltreconfine? Lo abbiamo chiesto ai molti cuochi che, in questo periodo dell'anno, fanno ritorno dalle loro ferie.

Ciro Scamardella

Iniziamo a da Ciro Scamardella, chef in forza nella brigata di Roy Caceres, al ristorante Metamorfosi di Roma. Vincitore del concorso Chef Emergente 2016 e nuovo protagonista sugli schermi di Gambero Rosso Channel, con il programma Ciro a Mammà.

Ciro scamardella

In questo programma Ciro, 28 anni di Bacoli, porta nelle case l'incontro tra la sua cucina, quella di un professionista della ristorazione, e quella della mamma Regina, con un'evidente prevalenza di quest'ultima. Del resto l'interesse di Ciro per il cibo nasce proprio in casa, nell'amore distillato da mamma Regina per la buona tavola e la capacità di trasmettere valori e affetti attraverso di essa. Poi, da questo primo imprinting, ci sono stati l'alberghiero, la Città del gusto di Napoli, e poi ancora gli stage con Paolo Barrale, Antonino Cannavacciuolo, Gennaro Esposito. Fino ad approdare a Roma da Anthony Genovese del Pagliaccio prima e da Roy Caceres poi, ma non prima di un passaggio in Spagna, da Martin Berasategui.

Metamorfosi | Roma | via G. Antonelli, 30 | tel. 06 807 6839 | http://www.metamorfosiroma.it/menu/

 

Il viaggio

Il viaggio è nato per approfondire il panorama gastronomico di alcuni paesi del nord” racconta Ciro. Tre le città toccate:Stoccolma, Copenaghen ed Amsterdam. “Senza dubbio le città che hanno una proposta interessante e da cui potremmo apprendere tanto per tipologia, formula di servizio e attenzione e rispetto per la materia, sono Stoccolma e Copenaghen” continua “lì ho visitato diversi ristoranti, tra tutti ne ho scelti 4, che meritano assolutamente il viaggio”. Due ristoranti per Stoccolma e due per Copenaghen, dunque, anche se nella capitale Danese sceglierne solo due è stato difficile. Per quanto riguarda la Venezia del Nord olandese, invece, lo chef ha girato soprattutto per i mercati.

 

Stoccolma

Ekstedt

Ekstedt

Si entra al ristorante e sembra di essere tornati indietro nel tempo, il messaggio sul menu è chiaro “non usiamo piastre elettriche, non usiamo gas, ma solo calore naturale. Abbiamo scelto questo modo di preparare il nostro cibo come tributo al vecchio modo di cucinare”. Nel locale volutamente buio, la visione del fuoco vivo della cucina rimanda a un caverna, e non esiste altro calore se non quello sprigionato dalla legna che arde, un maestoso blocco di marmo funge da una parte da tavolo dello chef, dall'altra da pass per completare i piatti. È una cucina che non ha bisogno di fronzoli, solo materia prima proveniente dalla Svezia e almeno 10 tipi di legna di alberi differenti per la cucina. Le preparazioni possono essere anche solo affumicature forzate come per la Mucca da latte, al fieno, cavolo bruciato e scorzanera dove la carne viene steccata e messa su una brace composta da solo fieno fumante per pochi minuti. Una preparazione che mi ha colpito è quella delle ostriche: in un colino di metallo all’estremità di un'asta, mantenuto nella brace fino a diventare ustionante, fonde un pezzo di grasso di manzo, questa sorta di “lava” calda viene fatta colare sull’ostrica poi completata con burro alle alghe, mela verde e nasturzio. Tutto, compresi i piatti, sono scaldati nel forno a legna. Gli strumenti di cucina sono appesi al muro come in un’officina. Da bere, come in tutti gli altri ristoranti, 2 proposte: una di vini rigorosamente bio e l’altra di succhi ed estratti.

Ekstedt | Svezia | Stoccolma | Humlegardsgatan, 17 | tel. +46 8 6111210 | www.ekstedt.nu

 

Oaxen

Oaxen

Ci si arriva attraverso una stradina che porta su una banchina di un porto dove si trova questa grossa struttura gialla, che sembra un capannone per il rimessaggio nautico. Invece dentro c'è la sala del bistrot Oaxen Slip: tipico arredamento svedese con barchette attaccate al soffitto, completamente affacciato sul mare. Da qui, come da un ingresso segreto, si accede al ristorante Oaxen Krog. All'interno si ha subito una visione della cucina, e poi della sala in legno dove si percepisce una minuziosa attenzione ai particolari, poi confermata nei piatti. Mi spiegano che il locale prima si trovava su un'isola più distante dal centro di Stoccolma, e che dopo il trasferimento gli è stata assegnata la prima Stella Michelin e dopo poco la seconda. Dove c'era il vecchio ristorante ora c’è una fattoria gestita dai cuochi, e tutto quel che è vegetale nel menù proviene da lì.

Oaxen è indicato come uno dei primi ristoranti a fare cucina nordica in chiave moderna, molto sperimentale, basti vedere la salsa di soia o di miso prodotti dalla fermentazione delle patate. È evidente che c’è un continuo studio: la cucina è molto equilibrata, i sapori estremamente nordici, con pochi elementi nei piatti. Quello che mi ha segnato di più è stato Cavolo fresco arrostito, miso di patate, nocciole, misticanza selvatica e crema di topinambur sottaceto, dove la padronanza della tecnica e la materia prima di altissimo livello danno un piatto completamente vegetale che è il punto più alto nel menu. Si servono 2 tipi di burro prodotti nella fattoria di proprietà, insieme a 2 diversi pani, uno con un grano svedese antico che hanno recuperato, e un altro nero, il tipico pane di segale, reso più soffice aggiungendo della birra all’impasto. A fine pasto questo pane, con relativa ricetta, viene donato come ricordo, insieme a un elegantissimo astuccio con la piccola pasticceria.

Oaxen | Svezia | Stoccolma | Beckholmsbron 26 | tel. +46 8 55153105| http://oaxen.com/

 

Copenaghen

 

Amass

Sono stato a una serata con Eli Kaimeh, lo chef del Per Sé di New York dove anche Mattew Orlando (oggi alla guida della cucina di Amass) è stato lo chef di cucina. Appena si entra si fatica a credere che sia un ristorante: tetto altissimo e una sola sala enorme con graffiti sulle pareti e pilastri di muro vivo, mentre fuori dal ristorante, in vecchi vasi di legno, ci sono le erbe e qualche verdura utilizzate dalla cucina, e tutto intorno c'è un cantiere nautico. E il bello è proprio in questo gioco di contrasti: un ambiente che non promette nulla di buono o di rassicurante ospita una cucina estremamente elegante, fine, con picchi di gusti nordici equilibrati da altrettanti picchi dettati da esperienze classiche francesi. Il menu è uguale per tutti senza possibilità di scegliere alla carta. Da qualche anno lo chef ha installato una cella frigorifera solo per la frollatura della carne, come si può ben notare nella Tartare di manzo frollata 145 giorni, cozze affumicate, crema di tuorlo d’uovo, sambuco e rafano, uno dei piatti più interessanti insieme al Sorbetto di fragole con olio di salvia. La cucina è aperta e affaccia sulla sala e, ricordando lo stile del Noma, i cuochi spesso servono e spiegano i piatti. Tanta sperimentazione, molte fermentazioni, di cui una che mi ha colpito molto è quella che si ritrova nel Pane di patate fermentate con crema di burro e cipollina: acido, sapido ma allo stesso tempo così dolce e rassicurante che vien voglia di mangiarsene almeno due. Si nota la collaborazione con uno studio a pochi chilometri dal centro dove si sperimenta sulle distillazioni e fermentazioni.

Amass | Danimarca | Copenaghen | Refshalevej 153 | tel. +45 43 584330| http://amassrestaurant.com/

relae

Relae

Dopo aver letto il suo libro (Relae. Un libro di idee ed. Giunti) ammetto che avevo delle aspettative molto alte, per la sua filosofia di cucina e il modo di lavorare, soprattutto con proteine vegetali, e solo poche, pochissime animali. Da circa un anno Puglisi ha preso un terreno a 45 minuti di auto da Copenaghen, dove coltiva e alleva ciò che magistralmente trasforma al ristorante. La mattina parte della brigata è impegnata a lavorare la terra, nel pomeriggio torna al ristorante con i prodotti, e solo allora si inizia a preparare, “oggi mangerete del pomodoro tigrato su una crema di formaggio di capra (di nostra produzione) in una cartelletta con polvere di pomodoro, ma magari domani pomodori belli cosi non ci saranno e allora cambieremo tipologia” ci spiegano. Le origini italiane dello chef sono evidenti, e lui ci tiene a evidenziarle subito, fin da quando serve il pane con dell'olio siculo. Un pane eccezionale che può competere con quello di qualsiasi forno italiano che si rispetti: crosta spessa, mollica con alveoli spaziali e un gusto acido-sapido che fa chiedere almeno due volte il bis.

L'ambiente è accogliente e il servizio informale, con posti al bancone da dove osservare i cuochi che assemblano o completano i piatti. Anche qui nessuna possibilità di scegliere alla carta ma solo 2 menu, uno più piccolo e uno più grande. Dove 10 portate su 13 sono vegetariane, piatti minimal costruiti su non più di 3 ingredienti che però a ogni boccone esplodono in bocca. Come Cetriolo, origano e mandorla: cubi di cetriolo conditi con succo di cetriolo, spray di limone, olio all’origano e neve di formaggio di mandorla completato con polvere di cetriolo, o Cipolla, finocchio e uva spina: un brodo di scarti di finocchio arrostiti e non, cipolla appena sbollentata, fiori di finocchietto e uva spina fermentata. Sono piatti che stupiscono per semplicità, basati su forti intuizioni e lavoro sugli ingredienti; quasi si fatica ad accettare una chiave di lettura così elementare, ma c'è un equilibrio tra gli ingredienti sconvolgente e tutto ciò che viene detto lo si ritrova nel piatto.

Raele | Danimarca | Copenaghen | Jægersborggade, 41 | tel. +45 36 966609| http://www.restaurant-relae.dk/

 

a cura di Antonella De Santis

foto di copertina www.visitdenmark.it

 
 

Pazari i Ri. Al nuovo mercato di Tirana si compra e si mangia a tutte le ore

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In piazza Avni Rustemi, nel centro della capitale albanese, il “nuovo” mercato esiste dal 1931. Ma solo qualche mese fa una riqualificazione ambiziosa ha rinnovato il volto della struttura (prima davvero fatiscente) e della piazza che la ospita. Con ristoranti e caffè aperti tutto il giorno, una moderna copertura in vetro e acciaio, facciate colorate e ampi spazi pedonali.  

Quando la riqualificazione urbana parte dal mercato. Il nostro viaggio alla ricerca dei mercati gastronomici più meritevoli d'Europa e del mondo, che in passato ci ha portato più volte fuori dall'Italia, ma – per fortuna con frequenza crescente – ha fatto tappa anche in diverse città d'Italia, stavolta approda al di là dell'Adriatico, in Albania, per scoprire come da qualche mese il tradizionale mercato centrale di Tirana si sia trasformato in centro gastronomico e turistico all'avanguardia. L'investimento è stato ingente, 6,5 milioni di euro, ma oggi il volto di piazza Avni Rustemi, ripensato nell'ambito di una più ampia ristrutturazione urbanistica che ha coinvolto gli edifici circostanti e piazza Skanderberg, racconta di una capitale che non ha paura della modernità, e si candida a diventare meta turistica d'eccellenza, al pari di altri gioielli balcanici.

Pazari i Ri. Un po' di storia

In piazza Avni Rustemi, il più vivace mercato cittadino esiste dall'inizio degli anni Trenta, quando re Zog decise di dare una sistemazione più coerente a mercanti e artigiani che commerciavano nell'area, animando il vecchio bazar. Ma bisogna aspettare il 1940 (all’epoca Tirana era provincia italiana) perché il “mercato nuovo” di Tirana – Pazari i Ri – assuma l'aspetto che conserverà per molti decenni a venire, sino alla ristrutturazione voluta dal sindaco Erion Veliaj, attualmente alla guida di una città che pullula di cantieri – si dice siano un centinaio – e vuole decisamente intraprendere un nuovo corso. All'epoca, per ripensare l'area, l'amministrazione chiama un team di architetti italiani; tra loro Florestano Di Fausto, Armando Brasini e Gherardo Bosio, largamente attivi nella riprogettazione di molti edifici pubblici di Tirana nella prima metà del Novecento. Da allora, Pazari i Ri è stato il cuore pulsante dell'attività commerciale cittadina, centro di raccolta di contadini in arrivo dalle campagne circostanti, ritrovo degli abitanti di Tirana, tra distese di spezie e venditori di pollame, frutta locale, erbe spontanee e specialità da forno, e quell'aria da bazar orientale che portava traccia di tempi (dominazioni e regimi) lontani.

La riqualificazione del mercato

Nel 2016, però, l'amministrazione cittadina commissiona il rinnovamento stilistico e architettonico del mercato: al posto del vecchio complesso, una moderna struttura in vetro e acciaio aperta sui lati, con copertura asimmetrica che ricorda i tetti delle case tradizionali di Tirana, progettata da Atelier 4. E un ordine nuovo, che ripensa banchi e infrastrutture nel rispetto di norme igieniche al passo con i tempi, e regala nuovo respiro alle attività del mercato, non più concentrato solo sulla vendita, ma pure sulla somministrazione e l'intrattenimento. Del resto, dal mese di marzo, quando il nuovo Pazari i Ri è stato ufficialmente inaugurato, tra i banchi del mercato è sempre più frequente vedere anche turisti in visita, che nei bar e punti ristoro sorti a corredo della piazza trovano modo di scoprire le specialità della cucina tradizionale albanese. Il Markata e Peshkut, per esempio, fa della cucina di mercato il proprio punto di forza: il pesce si sceglie sui banchi, e viene cucinato al momento; si mangia seduti all'interno, o godendo dei tavolini colorati sistemati sulla piazza pedonale, a pochi metri dai banchi.

Ma sono molte le panetterie, i caffè e i locali aperti fino a tarda sera, oltre alle rosticcerie che propongono versioni locali del kebab e street food a base di carne alla brace, come i cevapcici, le polpette speziate della cucina balcanica, o la luganika, la salsiccia locale. La pedonalizzazione dell'area, invece, è funzionale all'organizzazione di eventi e attività che avranno il compito di far vivere il mercato per tutta la giornata, sera compresa. Oggi sono oltre 300 i concessionari che hanno trovato spazio nella nuova struttura, 135 i commercianti di frutta e verdura, riuniti sotto la nuova tettoia, 25 i banchi specializzati in carne e pesce, nel restaurato mercato del pesce ottomano. Uno spazio è stato riservato all'artigianato tradizionale. Il modello che molti hanno voluto scomodare, anche in questo caso, è quello della Boqueria di Barcellona. Di certo, le facciate colorate dei palazzi che circondano il mercato, in un'alternanza di motivi decorativi tradizionali, e i tavolini affollati di gente a tutte le ore rendono decisamente merito all'operazione di rilancio.

 

Pazari i Ri | Tirana | Avni Rustemi

a cura di Livia Montagnoli

Il miglior blend della guida Oli d'Italia 2017: Tenuta Zuppini di Torricella Sicura

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Miglior blend per la guida Oli d'Italia del Gambero Rosso, miglior olio al mondo secondo il concorso Il Magnifico, e la lista continua: l'olio di Tenuta Zuppini, in provincia di Teramo, è un'eccellenza dell'olivicoltura italiana riconosciuta a livello internazionale. A realizzarlo, uno dei più giovani produttori del Paese, un ragazzo di soli 27 anni.

Il ritorno all'agricoltura

Spirito di sacrificio, attitudine all'innovazione, la ricerca, la sperimentazione, comprensione del valore del prodotto e rispetto del territorio. Sono queste le caratteristiche che chi lavora nell'agroalimentare deve possedere per avere risultati d'eccezione che possano arricchire l'ampio panorama agroalimentare nazionale. Ci sono aziende storiche, a gestione familiare, tramandate di generazione in generazione. E poi ci sono le realtà nuove, che prendono ispirazione dal passato, ma guardano dritte al futuro. Come Tenuta Zuppini a Torricella Sicura, in provincia di Teramo, azienda olivicola gestita dal ventisettene Rino Matone, che ha dato alla sua impresa un'impronta fresca e moderna, conquistando diversi premi di rilevanza internazionale, incluso quello come miglior blend nella guida Oli d’Italia del Gambero Rosso. Lui è la dimostrazione che il crescente ritorno dei più giovani alla terra può contribuire in maniera sostanziale alla promozione e tutela del made in Italy di qualità, se sostenuto anche dalle vecchie generazioni.

Le origini

Nasce ufficialmente nel 2008 Tenuta Zuppini, ma è negli ultimi anni che Rino ha compiuto un'evoluzione e migliorato il suo approccio all'extravergine, creando prodotti sempre più ricercati. "Sono autodidatta, ho studiato molto per giungere a questo traguardo. Ho visitato tante aziende, girato per diverse regioni d'Italia alla scoperta di tradizioni e tecniche nuove, e ho cercato di fare tesoro di ogni consiglio, ogni viaggio". Uno studio intenso che lo ha portato, oggi, ad avere un'azienda olivicola sui generis: uno spazio polifunzionale, ancor prima che un frantoio, interamente dedicato alla cultura dell'olio buono, con sala degustazione, stanze adibite a incontri e seminari con clienti anche stranieri, e naturalmente un impianto di ultima tecnologia. "I miei nonni erano agricoltori, mio padre non ha continuato la tradizione di famiglia. Io l'ho ripresa e rivoluzionata". Un frantoio 2.0, come lo definisce affettuosamente Rino, un'azienda moderna "dove il concetto di lavoro contadino così come lo avevamo sempre conosciuto non vale più".

La produzione

Sono Rino, la sorella, la fidanzata e un operaio fisso a mandare avanti la produzione di circa 45/50 quintali di olio l'anno. Con 6 ettari di terreno e 1500 ulivi, Rino non si ritiene ancora del tutto soddisfatto: "sto prendendo in affitto altri appezzamenti di terra adiacenti, il mio obiettivo è arrivare a 100 quintali di extravergine l'anno". Perché se la qualità del prodotto è fondamentale per valorizzare il made in Italy nel mondo, altrettanto vero è che i grandi numeri permettono di raggiungere una più ampia fetta di mercato e assicurare maggiore stabilità all'azienda. Due le etichette prodotte, per il momento: il Veneranda 19, blend di varietà autoctone, e il Colle Profico, monocultivar di dritta.

Le piante

Le piante sono tutte a coltivazione convenzionale, "ma si tratta di un'agricoltura non invasiva". I terreni Zuppini, infatti, si trovano a 430 m. sul livello del mare, "in una zona non particolarmente favorevole per la mosca". Pochi trattamenti, dunque, e solo se necessari: "la scorsa annata, 2016/2017, è stata particolarmente ostica, per cui è stato necessario intervenire. Altrimenti, lascio fare alla natura il suo corso". La prossima campagna olearia, invece, promette bene, "ci sono i presupposti per una grandissima annata", a patto che arrivi un po' d'acqua: "in alcune aree in particolare il frutto è raggrinzito, disidratato. La siccità di giugno e luglio è stata eccessiva per le piante, che ora necessitano di pioggia".

Le cultivar

Tortiglione, castiglionese, dritta, frantoio, pendolino, leccino, moraiolo, ascolana tenera: sono solo alcune delle cultivar presenti in azienda con cui Rino realizza i suoi oli.Varietà diverse che maturano in tempi differenti e che presentano caratteristiche uniche. Qualche esempio? "Il leccino è molto resistente alla neve e al freddo, è perfetto per questa zona. Il tortiglione è una pianta dal tronco forte, con grande vigoria, in grado di adattarsi anche ai terreni più poveri". E la dritta? "Se lavorata correttamente, restituisce caratteristiche olfattive particolari, di mandorla verde, erba tagliata e sentori lievi di foglia di pomodoro. E poi ha una carica fenolica molto elevata". La raccolta inizia la prima settimana di ottobre, con la castiglionese e il leccino, "prime varietà a maturare", e prosegue poi con tutte le altre fino a fine mese.

Il frantoio

Fiore all'occhiello di Tenuta Zuppini è il blend, che si è aggiudicato anche il titolo di Miglior Olio al Mondo 2017 secondo il concorso oleario Il Magnifico. Per produrlo, Rino si affida a un impianto a due fasi della Toscana Enologica Mori, "personalizzato secondo alcune mie richieste specifiche", con gramole verticali: "ogni fase della lavorazione viene controllata scrupolosamente, e prima di ottenere il prodotto finito passiamo attraverso numerosi esperimenti". Matone molisce ogni cultivar (7 in tutto) singolarmente, "in modo da mantenerne il più possibile intatte caratteristiche e proprietà aromatiche".

Riunire le cultivar in un blend non è semplice, richiede tempo e precisione, e per questo l'olivicoltore impiega diverse settimane per arrivare al risultato finale: "Provo continuamente a combinare percentuali diverse fra loro, fino a che non ottengo un olio equilibrato e dal carattere deciso". Fondamentale in questa fase è l'assaggio: "Nessun produttore può puntare in alto se non è in grado di assaggiare. L'analisi sensoriale è ciò che determina la qualità dell'olio, e per questo ogni professionista dovrebbe imparare a degustare correttamente il proprio prodotto".

La vendita

Oli di livello, apprezzati in Italia ma anche all'estero: "sto vendendo molto nei mercati del Nord Europa, in particolare in Germania, Francia, Svizzera e Austria, attraverso degli importatori. E poi anche in Giappone, dove voglio intensificare la vendita". Ma l'olio di Tenuta Zuppini è acquistabile anche nel Belpaese, presso oleoteche e negozi specializzati, ma soprattutto è disponibile in tanti ristoranti, "soprattutto nel Centro-Nord Italia”, come Unico Milano e Tano Passami l'Olio, sempre a Milano. "Tengo molto al tema della ristorazione, un settore che, mi auguro, possa comprendere al più presto il ruolo fondamentale dell'extravergine di qualità".

La comunicazione

A facilitare le vendite all'estero sono stati soprattutto i premi vinti ai vari concorsi, "fondamentali per far conoscere il mio prodotto al di fuori dei confini nazionali". E non solo: "Le gare sono ottime occasioni di confronto con gli altri colleghi, e offrono l'opportunità di raccontare e promuovere al meglio i principi dell'olio extravergine di oliva. Servono, inoltre, a far avvicinare i più giovani a questo settore, molto spesso trainato dalle vecchie generazioni".

Quello della comunicazione è un tema caldo nella scena olivicola italiana, da affrontare con impegno, a cui Rino dedica molta attenzione. "Realizzare oli eccellenti è inutile, se non si è poi in grado di raccontarli. Perché un consumatore dovrebbe scegliere un prodotto più costoso senza sapere il lavoro che c'è dietro?". Serve il tempo, dunque, di trasmettere, raccontare, comunicare: "Non stiamo parlando di semplice spremute di frutta, qui. Abbiamo a che fare con oli futuristici, d'avanguardia, e questi sono dettagli che vanno spiegati". Rino lo fa attraverso il suo sito web e le pagine social, con il suo modo irriverente, deciso e ottimistico, come si addice a un professionista della sua età. Ma tutto questo non basta: "Bisogna fare rete fra noi produttori. Non sono un fautore del cambio generazionale assoluto, ma credo fermamente che i produttori di ieri e quelli di oggi debbano lavorare fianco a fianco per imparare gli uni dagli altri". E creare così una via comune, da percorrere insieme, verso l'unico obiettivo che conta: formare consumatori consapevoli.

Tenuta Zuppini | Torricella Sicura (TE) | via dei Quercioni, 13 | 337 2303586 | /www.tenutazuppini.com/it/

a cura di Michela Becchi

Guida Oli d'Italia 2017. Ecco tutti i premi speciali

Oli d'Italia 2017. Azienda dell'anno: Agrestis di Buccheri

Oli d'Italia 2017. Frantoio dell'anno: Nicolangelo Marsicani di Morigerati

Oli d'Italia 2017. Miglior monocultivar: Doria di Cassano Allo Ionio

Oli d'Italia 2017. Olivicoltore dell'anno: Frantoio Franci di Castel del Piano

Oli d'Italia 2017. Miglior Dop: Trappeto di Caprafico di Casoli

Oli d'Italia 2017. Miglior olio biologico: Marfuga di Campello sul Clitunno

Oli d'Italia 2017. Miglior monocultivar: Sebastiana Fisicaro Oleificio Galioto di Ferla

Oli d'Italia 2017. Miglior blend: Fattoria Ambrosio di Salento

Oli d'Italia 2017. Miglior performance territoriale: Accademia Olearia di Alghero

Oli d'Italia 2017. Miglior olio biologico: Viola di Foligno

Oli d'Italia 2017. Olivicoltore dell'anno: Fonte di Foiano di Castagneto Carducci 

Oli d'Italia 2017. Miglior rapporto qualità/prezzo: Doganieri Miyazaki di Castiglione in Teverina

Olio extravergine di oliva. Glossario essenziale per conoscere l'oro verde

Senza Glutine, con gusto. Marcello Ferrarini torna su Gambero Rosso Channel con la cucina per celiaci

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Originale, fantasiosa e di gusto. Salubre e per tutti... Manca solo il glutine! La cucina di Marcello Ferrarini torna sul piccolo schermo, con la quarta serie del fortunato format di Gambero Rosso Channel. Tante ricette gluten free per condividere la tavola in libertà, perché essere celiaci non significa rinunciare al gusto.  

Marcello Ferrarini, ambasciatore del gluten free

Se è vero che non c'è due senza tre, chi l'ha detto che poi bisogna fermarsi? La risposta arriva su Gambero Rosso Channel a partire dal 2 settembre, quando Marcello Ferrarini sarà ancora una volta protagonista di Senza Glutine, con gusto, format di successo dedicato alla cucina senza glutine, ormai arrivato alla quarta serie. Il punto di forza del programma, indubbiamente, sta nella formazione dello chef emiliano, figlio d'arte, con una lunga esperienza alle spalle. A 30 anni, Ferrarini scopre di essere celiaco. E il suo approccio alla cucina cambia, sempre in cerca di nuove soluzioni per combinare ingredienti e tecniche che non riducano una ricetta per intolleranti al glutine in una proposta punitiva. Del resto in Italia il numero di celiaci accertati aumenta ogni anno – anche perché c'è più consapevolezza – e altrettante sono le persone ancora ignare di essere affette o aver sviluppato in tarda età la patologia. Che invece non va sottovalutata.

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Gluten free, ma con gusto

Sul piccolo schermo, lo chef si propone di portare una cucina gluten free gustosa, da condividere anche con chi non è celiaco; raccontata dal punto di vista di chi con la celiachia ci convive ogni giorno, ai fornelli e nella vita. Niente ghettizzazioni di sorta, dunque, ma il piacere di ritrovarsi a tavola con gli altri commensali, certi che gusto, originalità e divertimento non mancheranno. Nella quarta serie, Senza glutine, con gusto,proporrà anche tanti utili consigli ai ristoratori, approfondendo le novità in arrivo dal mondo gluten freee suggerendo pietanze adatte per tutte le occasioni, che – puntata dopo puntata – comporranno un ricettario ideale del senza glutine. Unʼidea di cucina che ha fatto di necessità virtù, come spesso accade anche nella vita, e della creatività la sua arma vincente per realizzare “piatti che abbiano sapori, idee e consistenze che si sposino bene, ricette semplici, belle, colorate e buone per tutti”.Partendo come sempre dalla selezione delle materie prime, regola numero uno per la riuscita di un buon piatto, anche senza glutine, ma con gusto! Dal 2 settembre, il programma sarà in onda ogni sabato e domenica, alle 18, sul canale 412 di Sky.
 

Senza Glutine, con gusto | Gambero Rosso Channel | Canale 412 di Sky | dal 2 settembre 2017, sabato e domenica alle 18


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Taglio dei prezzi per Whole Foods. Amazon punta ad abbassare i costi dei prodotti freschi

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È inarrestabile la crescita di Amazon, colosso statunitense che ha da poco acquisito la catena di supermercati Whole Foods, specializzata in biologico. L'ideatore Jeff Bezos ha annunciato di voler abbassare i prezzi dei prodotti freschi, rendendoli così accessibili a tutti. Nella grande distribuzione rischia di scatenarsi una guerra

L'abbassamento dei prezzi

Abbasseremo i prezzi di Whole Foods senza compromettere la qualità dei prodotti”. Questo l'annuncio da parte di Jaff Wilke, responsabile di Amazon Worldwide Consumer, che sta facendo scalpore nel settore della grande distribuzione internazionale. Una nuova politica dei prezzi, a cominciare da questa settimana, dopo l'ufficializzazione dell'acquisizione di Whole Foods, una notizia che preannuncia lotte intestine fra le imprese del settore, che si trovano a dover far fronte a una guerra dei prezzi a tutti gli effetti. Uova, pollo, mele, avocado, burro di arachidi, salmoni e tanti altri prodotti saranno disponibili sugli scaffali dei 460 negozi della catena dedicata al biologico a prezzi inferiori. Altri ribassi, è già stato preannunciato, arriveranno in futuro.

Whole Foods: lo sviluppo e la crisi

Acquistata per 13,7 milioni di dollari, Whole Foods è una catena che ha fatto storia nel mondo della grande distribuzione, nata con tutte le migliori intenzioni: prodotti naturali, sani, attenti alle esigenze alimentari, e diverse campagne di responsabilità sociale all'attivo. Dettagli che oggi, nell’era del salutismo a tutti i costi, possono sembrare scontati, ma non nel '76, quando John Mackey ha iniziato in Texas la sua guerra al junk food. Nonostante abbia saputo anticipare di decenni una tendenza ormai radicata nella nostra società, l'impresa non è stata immune a una profonda crisi economica. A sanarla, ci ha pensato Jeff Bezos, che in Whole Foods crede fino in fondo, poiché “offre i migliori prodotti organici e naturali, rende divertente mangiare in modo salutare, sta facendo un ottimo lavoro e vogliamo che continui”.

La reazione degli altri supermercati

La fama di Whole Foods è sempre stata infatti quella di un supermercato esclusivo, caro e poco accessibile alla clientela di massa. Non c'è da stupirsi, dunque, che Bezos abbia ora intenzione di rendere i prodotti targati Whole Foods più fruibili. La catena texana è stata fra le principali a risentire del calo dei consumi in Gran Bretagna, dove la sua presenza è limitata rispetto a quella di giganti come Tesco (in calo dell'1.8%) e Sainsbury (in calo dell'1%). E sono proprio i grandi nomi della gdo internazionale a dover far fronte, ora, a una guerra a suon di sconti e offerte. Tesco, Sainsbury, Mark&Spencer nel Regno Unito, e ancora Kroger, Costco e SuperValu: tutti supermercati storici che hanno perso undici miliardi di dollari, in termini di capitalizzazione di Borsa. Affronta invece la sfida a testa alta Walmart, con ben 5.330 sedi distribuite negli Stati Uniti, e altre nuove in procinto di aprire.

I progetti di Amazon

Nel frattempo, Amazon sperimenta con AmazonFresh Pickup, nuovo format di e-commerce che si propone come compromesso fra lo shopping online e quello tradizionale, un sistema che consente ai consumatori di fare la spesa online e ritirarla dopo soli 15 minuti, evitando le code. E poi ancora AmazonGo, tecnologia d'avanguardia che permette di evitare la fila alla cassa grazie all'addebito sulla carta di credito tramite smartphone. Modelli di tencologia e delivery intelligenti e futuristici che, stando alle dichiarazioni di Bezos, verranno presto applicati anche ai punti vendita Whole Foods. Intanto, i supermercati biologici possono godere del programma fedeltà Amazon Prime, sistema che ha rivoluzionato il mondo delle consegne a domicilio, accorciando i tempi ed effettuando il delivery in un solo giorno.

a cura di Michela Becchi


Pomodoro. Ecco le 20 varietà da passata

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C'è un mondo ricchissimo oltre al San Marzano, e non si tratta solo di ciliegino o pomodori a grappolo, ma anche di moltissime altre varietà che hanno caratteristiche organolettiche e rese molto diverse. Ecco le 20 più comuni.

Estate, tempo di pomodori e di passate, quelle da fare in casa per portare con sé, per tutto l'inverno, il sapore del sole e della terra. Un tempo era un appuntamento fisso praticamente in tutte le case, oggi è una consuetudine che sta tornando in auge, complici la passione per il buon cibo e un ritorno all'autoproduzione. Ma recuperare le tradizioni non significa, necessariamente, rimanervi ancorati rigidamente. Per esempio, per la passata si possono inventare ricette originali con erbe aromatiche e spezie, oppure si può sperimentare con varietà meno comuni di pomodoro. Perché, anche se il San Marzano fa la parte del leone, l'Italia conta moltissime tipologie di pomodoro. Spesso si tratta di prodotti locali praticamente sconosciuti fuori dalle zone in cui vengono coltivati. Noi abbiamo selezionato i 20 più adatti a diventare salsa.

Le varietà

Antico pomodoro di Napoli

È l'ecotipo Smec 20, riconosciuto da Slow Food come ilclone più vicino al San Marzano, coltivato nell’Agro Sarnese-Nocerino, dal 2000 Presidio Slow Food.

Camone

Pomodoro insalataro liscio e tondeggiante, piuttosto piccolo, con “spalla” verde e sfumatura rosso-arancio nella parte inferiore, polpa carnosa, consistenza croccante. Non è una varietà antica ma un ibrido coltivato in serra, soprattutto in Sardegna, sul mercato da dicembre a giugno.

Ciliegino

Piccolo e tondo, noto anche come cherry, è uno dei pomodori più apprezzati per la dolcezza e la succosità. Coltivato soprattutto in Sicilia, sia in campo che in serra, in vendita tutto l’anno.

Corbarino

Pomodorino appena allungato di colore rosso carico, carnoso e dalsapore intenso agrodolce, coltivato in aridocoltura nei terreni vulcanici dei Monti Lattari, in particolare nella zona di Corbara, Salerno. A rischio d'estinzione, è stato recuperato negli ultimi anni e oggi rappresenta un'eccellenza campana. Da consumo fresco, da conserve e da serbo, intrecciando irametti dei grappoli di pomodorini, da usare durante l'inverno.

Cuore di bue

Pomodoro da insalatacostoluto, grosso e irregolare, con buccia liscia e sottile, polpa carnosa, povera di acqua e con pochi semi, sapore ricco, dolce e poco acido.

Datterino

Deve il nome alla forma, piccola e allungata, e al sapore dolcissimo e intenso che ricorda il dattero. Ha polpa consistente, buccia sottile, pochi semi, capacità di conservarsi a lungo.

Fiaschetto
Pomodorino dolce e succoso, di forma ovale con la tipica codina e buccia sottile. Èuna storica varietà pugliese con la quale da sempre a fine estate si faceva la passata. Il fiaschetto di Torre Guaceto, piccola enclave del Brindisino baciata da un ecosistema favorevole, è oggitutelato da un Presidio Slow Food.

Marinda
Pomodoro costoluto di dimensioni medio-grandi e dalla forma appiattita, con “spalla” verde, ha profumo fresco, gusto intenso molto dolce, sapido e persistente, polpa soda e croccante. È un pomodoro invernale, della nostalgia dell'estate: si raccoglie tra il tardo autunno e la primavera. Viene coltivato soprattutto in Sicilia.

Pera d'Abruzzo

Pomodoro autoctono abruzzese, molto rustico, di forma grande e costoluta, con gusto dolce e vellutato,polpa abbondante e pochisemi. Da poco è stato salvato dall'estinzione grazie un lavoro di recupero del seme "sanificato" realizzato dall'assessorato all'Agricoltura della Regione Abruzzo in collaborazione con il CRA. La nuova varietà è stata denominata Saab-Cra (Sapore Antico Abruzzo).

Pizzutello

Pomodorino dolce-acidulo, ovale e con la caratteristica puntina nella parte inferiore, da cui il nome. È coltivato nella zona del Vesuvio in aridocoltura e in Sicilia.

Pomodoro di PachinoPomodoro di Pachino

Pomodoro di Pachino

Non “Pachino”, ma di Pachino, paesone del Siracusano che ha legato il suo nome a questo pomodoro diffuso ormai ovunque. Ma solo quello proveniente dalla zona intorno al piccolo centro della Sicilia sud-orientale è Igp. Quattro le tipologie: costoluto, ciliegino, tondo liscio e a grappolo.

Pomodoro di Villa Literno

Varietà tonda convenzionale, da salsa, coltivata sulla creta in aridocoltura nella zona di Villa Literno, nel basso Casertano. È in corso la richiesta di Igp per la passata di questo pomodoro trasformato secondo le tradizioni delle famiglie liternesi.

Pomodoro giallo

Erano gialli i primi pomodori che gli europei videro nel XVI secolo: il nome, “pomo d'oro”, lo conferma. Ne esistono diverse varietà, piccoli e medi, tondi e allungati, a lampadina tipo mini San Marzano, varietà bionde di ciliegino, di datterino, di pomodorino del piennolo. Vengono coltivati ovunque, in particolare nel sud Italia. Hanno sapore delicato, dolce e poco acido. Adatti alla cucina di pesce.

Pomodoro siccagno

Non una sola varietà ma diverse.Prende il nome dal tipo di coltivazione: neanche una goccia d'acqua. È molto concentrato nella consistenza, nel sapore e nella dolcezza. Straordinario quello ottenuto da cultivar autoctone siciliane e in montagna.

Prunill

Antica varietà autoctona pugliese, un piccolo pomodoro leggermente oblungo simile alla susina selvatica (da cui il nome), dal gradevole sapore asprigno. Non ha bisogno d'acqua. Dà il meglio di sé trasformato in passata.

Regina

Pomodoro autoctono pugliese, da serbo e adatto a crescere in aridocoltura, coltivato nell’alto Salento in terreni salmastri lungo la costa adriatica tra Fasano e Ostuni. Di forma rotonda, ha sapore dolce-acidulo e buccia spessa. Deve il nome alla forma del picciolo, che crescendo diventa una sorta di coroncina verde. Il pomodoro Regina di Torre Canne è un Presidio Slow Food.

Pomodoro Riccio di ParmaPomodoro Riccio di Parma

Riccio di Parma

Antica varietà autoctona che ha fatto grande l'industria conserviera parmigiana. La coltivazione, quasi abbandonata negli anni '50-'60, è stata ripresa grazie a un progetto di recupero della biodiversità rurale emiliana. Ha forma grande, tondeggiante e leggermente depressa, costolature irregolari, buccia molto sottile color rosso scarlatto, polpa carnosa, sapore dolce e delicato.

Roma
Pomodoro lungo, corrispettivo ibrido del San Marzano, di cui condivide la destinazione. È la varietà preferita dall'industria grazie alla buccia dura, che lo rende più resistente a malattie e attacchi di parassiti, e al fatto di essere adatto alla conservazione, alla raccolta e alla lavorazione meccanizzate.

San Marzano
Forma a lampadina allungata, pelle sottile, due fossette laterali, una codina appuntita alla base, polpa delicata, gusto rotondo con un'amabile nota aspra, è il re dei pomodori, sinonimo di pummarola. Suo habitat la Valle del Sarno, alle falde del Vesuvio, tra Napoli e Salerno. È tutelato da un Consorzio che riconosce solo le varietà San Marzano 2, kiros e le linee migliorate, le uniche si possono fregiare della Dop “pomodoro San Marzano dell'Agro Sarnese-Nocerino” (ma solo per il pelato).

Torpedino

Pomodoro piccolo e allungato appartenente alla categoria dei mini San Marzano, figlio di un progetto legato alla piana di Fondi e prossimo a diventare il primo pomodoro a marchio del Lazio. È una tipologia a doppia attitudine, da insalata quando è verde, da sughi freschi e conserve quando viene raccolto rosso a piena maturazione.

a cura di Mara Nocilla

Articolo uscito sul mensile di Luglio 2017 del Gambero Rosso. Abbonati nello store

Botanico a Pescara. Pizza, cocktail e fish bar nel centro della città

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Il modello è già collaudato, ma una vera novità per una città ancora un poco conservatrice come Pescara. E a un mese dall'apertura registra ogni sera il tutto esaurito. Merito della pizza di Antonio Santone, ma pure dei cocktail in abbinamento e dell'ambiente piacevole, con giardino segreto, nella zona della movida cittadina. Ce lo racconta l'ideatore Valerio D'Amico. 

Pizza, cocktail e sushi

Prendi pizza e sushi, due generi nazionalpopolari (sì, anche il sushi!) che non tramontano mai. E mettili insieme per accontentare un pubblico trasversale. Vista così, l'operazione di Botanico – che giusto un mese fa apriva in via Piave, nel cuore di Pescara – potrebbe facilmente indurre in errore. Siamo di fronte all'ennesimo all you can eat di qualità scadente, senza arte né parte? Tutt'altro. Perché se pizza e sushi li interpreti con originalità, magari presentando pure un'originale carta dei cocktail aggiornata sulle più recenti tendenze della miscelazione, le aspettative cominciano a crescere. E la sfida di Botanico, nel centro di una città ancora restia a sfoderare un po' di coraggio imprenditoriale per valorizzare con piglio moderno i prodotti di una regione tanto prolifica come è l'Abruzzo, merita una segnalazione. In altre città, quelle che oggi consideriamo capitali gastronomiche a tutti gli effetti, per esempio, il binomio pizza e cocktail è stato sperimentato e collaudato anni fa. L'esempio milanese di Dry, fresco di raddoppio, valga per tutti. A Pescara, invece, l'idea di Valerio D'Amico, e la serietà con cui ha scelto di metterla in opera, sono una piacevole novità.

Botanico, nel centro di Pescara

E infatti, dal giorno dell'inaugurazione, ogni sera il locale a due passi dalla movida di piazza Muzii è sempre pieno: “Già lavoriamo con il doppio turno, dalle 19 fino al dopocena, pur avendo una settantina di coperti, tra banco del bar, sala, veranda e dehors”, conferma soddisfatto Valerio. Per ora, la fase di rodaggio ha sconsigliato di mettere troppa carne al fuoco, e il servizio di fish bar si attiverà solo tra qualche settimana, con un bancone dedicato al sushi bar, per proposte di crudi di mare, tartare e una carta più propriamente dedicata alla specialità giapponese (del resto Valerio viene dall'esperienza del ristorante Hiroshima Mon Amour, di cui era socio), eseguita nel rispetto della tradizione, ma con creatività. E ottime materie prime. Intanto, a far parlare di sé è la pizza, tonda al piatto: una grande varietà di farine alternative, lunghe lievitazioni, cottura in forno a legna, ingredienti selezionati a corredo.

Il merito è di Antonio Santone, pizzaiolo titolare di una nota attività di Francavilla: in città tutti lo conoscono col suo soprannome, Hombre. L'italo-argentino con la passione per la pizza conserva un approccio piuttosto tradizionale alla materia, ma si diverte pure a sperimentare farine alternative, dal farro alla saragolla, alla farina di riso rosa.

Le pizze, gli ingredienti

Vezzi da maestro pizzaiolo che da Botanico hanno trovato respiro: Santone, che è pure socio del nuovo locale, è davanti al forno 2 o 3 volte alla settimana. Gli altri giorni si fa affidamento su un team di giovani pizzaioli, ma agli impasti provvede sempre il maestro. Molti degli ingredienti per la farcitura arrivano dal territorio regionale, altri sono selezionati con attenzione tra le eccellenze italiane ed estere. Il discorso vale anche per gli sfizi che arrivano in tavola per l'aperitivo, o prima della pizza: burratina con alici del Cantabrico, prosciutto crudo di mangalica Jolanda de Colò, i formaggi di Gregorio Rotolo da Scanno, salumi locali. In abbinamento alla pizza, cocktail studiati per il pairing o proposte sartoriali del giovane barman pescarese, che non ha paura di sperimentare. Ma anche birre artigianali, bottiglia o spina, e una selezione di vini abruzzesi, italiani, francesi. Bollicine italiane e champagne. Lo spazio, un ex negozio di scarpe, è stato ripensato nel minimo dettaglio, “ci siamo ispirati alla Miami anni Sessanta, luci al neon rosa, piante tropicali nel giardino segreto”, e poi marmo giallo per il bancone del bar, dettagli di design, “uno spazio ben diverso dallo stereotipo della pizzeria: due tavolini e una verniciata alle pareti proprio non ci piaceva come idea”. Presto aprirà anche uno spazio al piano superiore, 30-35 coperti in tutto. Un passo alla volta.

 

Botanico | Pescara | via Piave, 66 | dalle 19 a tarda sera | www.facebook.com/BotanicoPescara/

 

a cura di Livia Montagnoli

Il Nutella Cafè conquista Chicago, e presto anche il mondo. Intanto Ferrero scommette sui prodotti su misura

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Tra le aziende dell'industria alimentare più floride d'Italia, Ferrero ha superato quest'anno la soglia dei 10 miliardi di fatturato. E ora guarda avanti, scommettendo sull'innovazione, con prodotti tagliati sull'esigenza del consumatore. Intanto il Nutella Cafè è un successo. 

Il futuro di Ferrero. Obiettivo: crescere

Sui prodotti storici, quelli concepiti dal genio di Michele Ferrero, l'azienda dolciaria di Alba ha costruito la sua fortuna. Oggi, l'ultracinquantenne Nutella è un brand conosciuto in tutto il mondo, e con lei crescono anche Rocher (che di anni ne ha 35), Kinder, Tic Tac. Pure in mercati ancora poco ricettivi, come quello asiatico, dove un gran numero di potenziali clienti comincia ad apprezzare snack e cioccolatini Ferrero. E il fatturato non mente: oltre 10 miliardi di euro previsti nel 2017. Ma sul biennio in corso, il colosso dolciario che si appropinqua al passaggio di consegne - dal 1 settembre sarà presidente Giovanni Ferrero, attuale ad; al suo posto Lapo Civiletti – ha deciso di scommettere soprattutto in termini di innovazione. E questo perché valorizzare la storia dell'azienda è importante, ma per monetizzare il patrimonio ereditato dal passato è necessario anticipare le esigenze e i desideri del pubblico. Così, la strategia che si intensificherà nei prossimi mesi prevede di operare su molteplici linee guida, dalla razionalizzazione delle risorse alla personalizzazione del prodotto, al rafforzamento internazionale del brand. Qualche evidenza, per dir la verità, già l'abbiamo segnalata nei mesi scorsi. Dalla metà di giugno, a Singapore, è operativo il primo Innovation Center di Ferrero al di fuori dei confini nazionali (l'altro si trova ad Alba), che proprio sulla collaborazione con startup all'avanguardia e un valido centro di ricerca scommette per sviluppare nuovi prodotti attenti ai bisogni del consumatore, pure su mercati molto diversi dal nostro.

 

Innovazione tecnologica e sviluppo prodotti. Su misura

Nella stessa direzione procederà, dall'inizio di settembre, la nuova divisione Open Innovation, frutto della riorganizzazione interna dei vertici aziendali: a guidarla sarà Aldo Uva, e il suo ruolo, come spiega al Corriere della Sera, sarà quello di affiancare la divisione Ricerca&Sviluppo, che da decenni sforna prodotti vincenti. Leggermente differente l'approccio del nuovo strumento, che si proporrà di intercettare le startup più significative in termini di innovazione sul prodotto, tramite tecnologie rivoluzionarie e focus sui prodotti del futuro. E certo Singapore sarà una base importante per la quantità e la qualità di stimoli in arrivo dal Singapore Economic Development Board. Mentre nei prossimi mesi aprirà un nuovo centro Ferrero nel campus Cornell tech di New York, anche se il centro operativo e di controllo resta saldamente ad Alba, dove tutto è cominciato. Tra gli obiettivi più ambiziosi, Ferrero ha scelto di orientare la sua ricerca verso la diversificazione del prodotto, sin quasi alla personalizzazione delle sue referenze di punta, spesso sulla graticola per l'alto contenuto calorico. Ecco perché, spiega Uva al Corriere, la ricerca si concentrerà sull'impatto metabolico del cibo sul nostro organismo: analisi dell'indice glicemico, fattori che favoriscono o inibiscono l'assimilazione delle calorie, cibi “tagliati” su misura per chi li consuma. Anche perché rinunciare alla Nutella, per molti, sembra davvero impensabile.

 

Il successo del Nutella Cafè

Dalla fine di maggio scorso, il Nutella Cafè inaugurato a Chicago fa registrare ogni giorno code di un'ora per assicurarsi un tavolo o curiosare tra gli snack a tema dello store (a proposito di lunghe code e novità per mangiare italiano a Chicago, anche la pizza di Bonci, a pochi giorni dall'apertura, sta riscontrando grande successo). Il format - la prima volta di un ristorante a tema Nutella, con menu completo, dall'antipasto al dolce - è destinato a moltiplicarsi velocemente, per conquistare il mercato Usa, finora poco presidiato, a vantaggio dei big americani del settore, Hershey e Mars. E presto arriverà in tutto il mondo. Innovare è una priorità, ma quando hai tra le mani un'icona senza tempo come Nutella, non puoi certo metterla da parte.  

 

a cura di Livia Montagnoli

Bollicine da vitigni autoctoni. Gli spumanti Metodo Classico della Liguria

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Bollicine? Sì grazie. Aumentano sempre più gli appassionati di vini spumantizzati, possibilmente Metodo Classico, e aumentano le etichette presenti sul mercato, anche eretiche, realizzate a partire da vitigni autoctoni, queste sono quelle della Liguria.

Aumentano le nuove etichette di bollicine. E non solo dai classici vitigni internazionali tradizionalmente impiegati per il Metodo Classico, ma anche da autoctoni che per loro caratteristiche si prestano particolarmente alla spumantizzazione. Iniziamo con i vitigni a bacca rossa di Valle d'Aosta e Piemonte.

Continuiamo il nostro tour alla scoperta del Metodo Classico prodotto con uve autoctone occupandoci della Liguria. Una stretta lingua di terra che s’inarca tra la costa del Mediterraneo e i primi rilievi dell’Appennino. Vero limes tra il mare e i monti, due elementi che ne segnano l’identità territoriale e quel suo carattere un po’ schivo e diffidente. Un’aspra e rocciosa terra di confine che ha una storia antichissima, testimoniata anche dai ritrovamenti preistorici nelle grotte di Toirano e presso i Balzi Rossi di Ventimiglia. E proprio questa sua natura geografica così particolare ha segnato il destino della viticoltura.

 

Il territorio e le vigne

La vigna è coltivata su ripidi terrazzamenti, che si affacciano direttamente sul mare o sui versanti delle strette valli interne. Pochi ettari strappati alla montagna che richiedono fatica e duro lavoro. Una situazione che ha favorito la conservazione di una viticoltura artigianale ed eroica, legata alle secolari tradizioni del territorio. In questo contesto si è tramandata la coltivazione delle varietà autoctone o comunque di uve presenti da molto tempo nel territorio, senza concessioni alla moda dei vitigni internazionali.

Ancora oggi la Liguria può contare su un interessante patrimonio di vitigni autoctoni o di antichi cloni locali di uve alloctone: albarola, bosco, pollera nera, bianchetta genovese, scimixa, rollo, lumassina, massarda, rossese di Dolceacqua, ormeasco, pigato, vermentino e granaccia ligure. Una ricchezza ampelografica che si sta rivelando una vera carta vincente nel processo di valorizzazione delle tipicità territoriali. Pur essendo una terra che produce soprattutto vini secchi o passiti, basti ricordare il famoso Sciacchetrà delle Cinque Terre, non manca qualche etichetta interessante di Metodo Classico. Spesso bottiglie particolari e insolite, soprattutto per quanto riguarda le tecniche d’affinamento.

bottiglie di metodo classico da vitigni autoctoni della liguria

Il pigato

Il pigato è il vitigno a bacca bianca più coltivato lungo la riviera di ponente, soprattutto nella zona compresa tra Albenga e Imperia. In nome deriva dall’espressione dialettale “pigau”, che indica la puntinatura color ruggine presente sulla buccia degli acini maturi. Le analisi genetiche hanno messo in luce che il pigato possiede lo stesso DNA del vermentino e della favorita. Le tre uve sono solo dei diversi cloni di un unico vitigno, particolarmente adatto ai climi caldi e ventilati del mediterraneo. Il vino ha un bouquet con note floreali, fruttate e sentori di erbe aromatiche. È armonioso, equilibrato, con un’acidità moderata e un finale leggermente ammandorlato. In termini puramente tecnici non presenta un’attitudine spiccata alla spumantizzazione, che predilige uve aromaticamente piuttosto neutre e capaci di dare vini base con alti livelli d’acidità. Tuttavia una raccolta anticipata e la scelta di vigne coltivate nelle zone più fresche, consentono di produrre alcuni spumanti di buona qualità.

È il caso del Metodo Classico Pigato Millesimato di VisAmoris. Un vino che nasce da vigne coltivate nell’entroterra d’Imperia, a pochi chilometri dal mare, su terreni di natura prevalentemente argillosa. Le uve sono vendemmiate con 2 o 3 settimane d’anticipo, la fermentazione avviene in vecchie barrique e il vino base matura poi in acciaio per qualche mese sulle fecce fini prima del tirage. Uno spumante con eleganti note floreali, d’agrumi ed erbe aromatiche. Il sorso è fresco e sapido, con frutto maturo e succoso. L’affinamento minimo sui lieviti è di 36 mesi e il dosaggio 4/5 grammi litro. In arrivo anche una versione Riserva, con affinamento sui lieviti di oltre 60 mesi, che si annuncia molto interessante.

 

Durin e le Grotte di Toirano

Sempre per restare nell’ambito del pigato, segnaliamo gli spumanti Metodo Classico prodotti dalla Cantina Durin, che hanno la particolarità d’essere affinati nelle grotte preistoriche di Toirano. Un ambiente perfetto per la conservazione del vino, con temperatura costante di circa 15 °C, umidità del 90%, assenza di luce, rumore e vibrazioni. L’etichetta Bàsura (strega) prende il nome proprio da una delle sale più belle e famose del complesso delle grotte preistoriche. Il Bàsura Riunda Pas Dosé Millesimato ha un bouquet nitido e secco, con note di frutta fresca, pain grillé e leggeri sentori tostati. Il sorso è ricco e persistente, con finale sapido. L’affinamento minimo sui lieviti è di 60 mesi. Il Bàsura Obscusa Pas Dosé Millesimato nasce da vini base parzialmente affinati in barrique e riposa sui lieviti circa 36 mesi prima del dégorgement. È caratterizzato da note evolute, con sentori di crosta di pane, vaniglia e mandorla tostata. Al palato ha una buona complessità, sostenuta da una giusta freschezza.

 

Dalle grotte preistoriche ai fondali marini: Abissi di Bisson

Dall’affinamento nelle grotte preistoriche di Toirano, passiamo ai fondali marini della Baia del Silenzio di Sestri Levante. Una decina d’anni fa Pierluigi Lugano della Cantina Bisson ha gettato le basi per un progetto di un Metodo Classico decisamente insolito. Partendo dall’amore per il mare e dai ricordi di ritrovamenti in antichi galeoni di bottiglie ancora perfettamente conservate, ha deciso di affinare il Metodo Classico in fondo al mare. A una profondità di 60 metri c’è una temperatura costante di 15 °C, che insieme alla penombra e a una contropressione naturale, offrono un ambiente stabile per la conservazione del vino.

Le vigne sono coltivate in località Trigoro, vicino a Sestri Levante e le uve vengono vendemmiate con un anticipo di un paio di settimane. Dopo il tirage, le bottiglie sono accatastate in gabbie d’acciaio e depositate sul fondo del mare. Quando tornano in superficie, il vetro è incrostato di conchiglie e sedimenti, che sono lasciati a testimonianza della vita sul fondale. Etichette naturali, uniche e irripetibili, che donano un fascino particolare a questo spumante degli abissi.

Il Portofino Metodo Classico Abissi di Bisson è prodotto con un blend di bianchetta genovese, vermentino e pigato, che varia a secondo delle annate. Il vino si affina sul fondale marino per circa 18 mesi, segue il remuage in cantina e la sboccatura. Attacco fresco e salino per uno spumante dal bouquet secco, con sentori di erbe aromatiche e suggestioni salmastre. La bocca è di buona ricchezza, con frutto maturo e chiusura sapida. Il Portofino Metodo Classico Abissi Pas Dosé Riserva nasce da un blend di bianchetta genovese, vermentino e scimixain percentuali che variano a seconda dell’annata. Dopo un affinamento sul fondale marino di almeno 26 e successivi 10 mesi di sosta in cantina, si procede alla sboccatura. Un Metodo Classico di buona complessità, che esprime note iodate, di macchia mediterranea e frutta fresca. Buona la struttura, con sorso limpido e sapido.

 

La bianchetta genovese

La bianchetta genovese è un vitigno autoctono dell’entroterra di Genova e della Val Polcevera. È una varietà dalla buona produttività, con grappoli di media grandezza e acini piuttosto piccoli con una buccia sottile dal colore giallo pallido. Proprio dal colore dei grappoli pare derivi il nome del vitigno, chiamato in ligure “gianchetta”. La bianchetta genovese ama le esposizioni collinari fresche e ventilate, proprio a ridosso della costa. Solitamente era vinificata con altre uve del territorio, ma alcuni produttori ne realizzano versioni in purezza mettendone in luce il carattere fine ed elegante. Grazie alla delicatezza degli aromi e al grado alcolico contenuto, la bianchetta genovese si rivela anche un vitigno con una buona propensione naturale per la produzione di Metodo Classico.

LoSpumante Metodo Classico Dosaggio Zero Baia delle Favole di Cantine Bregante nasce da un vigneto coltivato sui terreni misti di scisti e argilla delle colline che si affacciano sulla baia di Sestri Levante, a un’altitudine di circa 120 metri. La vendemmia avviene con un paio di settimane d’anticipo, con rese che non superano i 50/60 quintali per ettaro. Il vino riposa sui lieviti per circa 18 mesi prima del dégorgement e viene poi commercializzato senza dosaggio, per conservare la intatta la sua purezza espressiva. Il profilo olfattivo è delicato con note agrumate, cenni di rosmarino ed erbe officinali. Il sorso è secco e rinfrescante con vivace vena acida e chiusura citrina. Un Metodo Classico semplice e diretto, adatto per un aperitivo, da gustare con una focaccia o con un piatto di pansotti alle erbe.

 

Tra le altre etichette presenti sul mercato ricordiamo Il Metodo Classico Pigato Dosaggio Zero di La Vecchia Cantina, Il Metodo Classico Pigato della Cantina Deperi e il Metodo Classico Ormeasco Brut Due luglio della Tenuta Maffone.

 

 

a cura di Alessio Turazza

 

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Chef che fanno bene al pianeta. Alex Atala convoca in Brasile il simposio di cuochi Fruto

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Il più celebre chef brasiliano è certamente un imprenditore navigato, ma tramite la fondazione Atà si è sempre preoccupato di sostenibilità e valorizzazione delle cultura gastronomica locale. Il prossimo gennaio sarà padrone di casa al primo simposio gastronomico indetto in Brasile per combattere la fame nel mondo. 

Alex Atala. L’imprenditore

Qualche mese fa, all’inizio della primavera, ha aperto il suo terzo ristorante in città. Niente creazioni sopra le righe e menu degustazione, ma un format accessibile, ambiente informale, tavola conviviale e cucina per tutte le ore, sulla spinta di quell’esigenza di “normalità” che sta accomunando da qualche tempo alcuni tra i più grandi protagonisti della cucina internazionale. Bio, come si chiama l’ultimo esperimento di Alex Atala, condivide con la tavola rinomata del D.O.M. l’interesse per la cucina naturale, salutare (con tanto di salad bar), sostenibile e di territorio. Ma i prezzi accontentano tutte le tasche, e le prime recensioni non possono che lodarne l’intraprendenza. A San Paolo, la sua città e il quartier generale dei molteplici progetti che Atala riesce a tenere insieme, poco più di un anno fa aveva inaugurato pure un ristorante con macelleria tutto dedicato alla carne e alle cotture alla brace, Acougue Central, per rendere omaggio a una tradizione culinaria molto radicata in Brasile.

L’impegno etico

E intanto procede spedita l’attività di sensibilizzazione di Atà, progetto incentrato sulla valorizzazione di produttori, prodotti e culture gastronomiche del Paese, concretizzatosi al Mercado de Pinheiros: qui, un anno fa, ha preso vita la pizzeria Napoli Centrale, sotto la supervisione di Gil Guimaraes. E da settembre il menu comprenderà pure le pizze create in collaborazione con gli chef, Alex Atala in prima linea (ma citiamo anche Rodrigo Oliveira, che al mercatogestisce il caffè Mocotò). Sua la proposta che per tutto il mese di settembre sarà presentata agli avventori del mercato: pizza con crudo, spinaci, germogli di senape, ananas, pomodoro (diciamolo: alla nostra latitudine l’abbinamento è quanto meno azzardato, ma l’estro dello chef non si discute!). Nel frattempo, però, lo chef brasiliano più conosciuto nel mondo si dedica strenuamente alla comunicazione, e pensa in grande per ospitare il primo simposio gastronomico made in Brasil dedicato alla sostenibilità. Nel Paese sono molti gli chef di fama sensibili allo spreco alimentare, tanti protagonisti sui palchi internazionali per portare il buon esempio che cerca di scardinare un sistema afflitto da grandi diseguaglianze sociali. Si pensi a David Hertz, a capo del progetto Gastromotiva e partner in crime di Massimo Botturaper la realizzazione del refettorio di Rio; o a Rafa Costa e Silva, dal Lasai di Rio de Janeiro, ascoltato in occasione della prima edizione di Care’s, in Alta Badia, sul palco degli chef etici.

Fruto. Il simposio di Alex Atala

L’idea di Atala, invece, si chiamerà Fruto. Sottotitolo: le possibilità di nutrire il pianeta. E si concretizzerà a San Paolo all’inizio del 2018, nel mese di gennaio. Il piano all’origine è sempre lo stesso, cercare di porre un limite, attraverso il contributo di una cucina più attenta, consapevole, intelligente e democratica, alla piaga della fame nel mondo, specie in vista della crescita esponenziale della popolazione mondiale. Per organizzare il simposio, sulla scorta di esempi quali MAD di Renè Redzepi (ma abbiamo ricordato anche Care’s di Norbert Niederkofler, per l’Italia), Atala sarà affiancato dallo chef Felipe Ribenboim e potrà contare sul supporto della fondazione Atà. Sul palco si parlerà di scienza, sostenibilità e gastronomia, per una platea ristretta di 300 persone. Ma tutta la manifestazione sarà disponibile in streaming sul web. E già si fanno i nomi dei primi relatori coinvolti: il documentarista francese Celine Costeau, l’antropologo Mark Emil Hermansen dal Nordic FoodLab, uno sciamano della tribù sudamericana Yanomami, e poi ecologisti, scienziati, persino un surfista professionista, Jon Rose, fondatore del progetto Waves of Water per portare acqua potabile a chi non ce l’ha. Chiaramente ci saranno anche gli chef, insieme a produttori, e rappresentanti dell’industria alimentare. Ma di show cooking e presentazioni spettacolari sul palco non si parla, perché gli sforzi saranno concentrati sulla ricerca di soluzioni condivise con il mondo scientifico, per tracciare nuove strategie di produzione e distribuzione delle risorse alimentari. Appuntamento il 26 e 27 gennaio prossimi per saperne di più.

 

a cura di Livia Montagnoli

Tutto quello che è necessario sapere sulla farina e sul grano spiegato bene

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Frolle, pane, dolci lievitati, pizza, pasta fresca: esiste davvero la farina perfetta per ogni preparazione? Rispondono gli esperti durante Gourmet Food Festival, a Torino Lingotto Fiere dal 17 al 19 novembre 2017. Nel frattempo ecco le diverse classificazioni, dalla farina 00 all'integrale, dalla farina forte alla debole.

Le farine in cucina sono tra gli ingredienti più utilizzati in cucina, eppure il livello di conoscenza delle stesse è decisamente basso. Durante Gourmet Food Festival (Torino Lingotto Fiere, il 18 novembre 2017), cercheremo di fare chiarezza insieme agli esperti e addetti del settore. Ecco qualche anticipazione dell'incontro Le farine, è questione di grani.

Le farine: grano tenero e grano duro (o semola)

La farina è il prodotto della macinazione dei cereali o di altri vegetali. Il termine deriva dal latino far, farro, un cereale affine al frumento molto diffuso nell’Italia dell’epoca preromana e romana. Oggi il cereale più coltivato in Italia e uno dei più diffusi nel mondo è il frumento o grano. Le due varietà principali sono il Triticum vulgare o aestivum (grano tenero coltivata in Italia settentrionale) e il Triticum turgidum durum (grano duro o semola coltivato nelle regioni centromeridionali). Il grano tenero è caratterizzato da un granello a frattura farinosa che, dopo la macinazione, restituisce farine dai granuli sottili e tondeggianti, più adatti per la panificazione, dalla pasticceria alla pizza, al pane. Il grano duro ha un tipo di frattura vitrea che si ritrova nella consistenza spigolosa dei grossi granuli delle semole, perfette per la produzione della pasta secca (ma anche negli impasti del pane, come per esempio quello di Altamura). Noi parleremo principalmente del primo, affrontando in primis la composizione del chicco.

Il chicco di grano: guscio, endosperma e germe

Il chicco di grano o cariosside è formato da tre zone distinte: guscio, endosperma e germe. La parte periferica, il guscio, rappresenta circa il 12-18% ed è ricca di fibre, sali minerali e vitamine; la zona centrale, l'endosperma, ricca di amido, costituisce l'80-85% del chicco; infine, nella parte apicale c’è il prezioso germe che è l'organo riproduttivo del grano oltre che la parte più ricca di proteine. Le proporzioni in cui sono presenti amidi, proteine solubili, proteine insolubili, grassi e sali minerali determinano la qualità della farina, mentre i numeri accanto al nome (0, 00, 1, 2, integrale) corrispondono al suo grado di raffinazione. Ma vediamo con ordine tutti i processi che portano al prodotto finale.

La trebbiatura

I processi di trasformazione e molitura

Il processo di trasformazione del grano in farina inizia con la mietitura (taglio della pianta) quando a giugno il chicco è pronto per essere raccolto. Contestualmente si effettua la trebbiatura per separare i chicchi dalla paglia e dalla pula. Operazioni svolte in genere contemporaneamente con la mietitrebbia. Il processo di macinazione vero e proprio inizia con una bagnatura (condizionamento) che aumenta l’umidità del chicco; per un minimo di 24 fino a un massimo di 48 ore, in relazione alla forza del grano raccolto. Successivamente i cereali vengono convogliati verso il mulino, che inizia a spogliare il chicco della parte esterna. O tramite un sistema di coppie di cilindri metallici che ruotano in senso opposto l'uno all'altro (mulino a cilindri). Oppure tramite la molitura a pietra, in cui il chicco viene sfarinato con il passaggio attraverso una coppia di pietre naturali che girano lentamente così da non surriscaldare il prodotto e ottenere farine di notevole pregio, non impoverite di vitamine e proteine.

Il processo di raffinazione (abburattamento) e le diverse tipologie di farine

Successivamente alla macinazione si procede con la raffinazione, cioè l’allontanamento della crusca dalla farina: l’operazione si chiama abburattamento. In relazione al grado di abburattamento, cioè alla percentuale di residuo di minerali e crusca presenti nel chicco macinato, le farine di grano tenero sono classificate per legge (decreto n.187 del 9 febbraio 2001) in 5 tipologie in base. C'è la farina 00, il fior di farina, bianchissima e priva di crusca con un abburattamento del 50%, la farina 0 che ha un abburattamento del 72%, la semintegrale di tipo 1 dell’80%, la semintegrale di tipo 2 dell’85%. Infine la farina integrale che è sottoposta soltanto a una prima fase di macinazione e ha un tasso di abburattamento del 100%, quindi contiene integralmente la cariosside macinata. È la farina più ricca di fibre in assoluto, ma anche la più pericolosa in quanto sulla parte esterna della cariosside possono trovarsi residui di trattamenti antiparassitari che passerebbero integralmente nella farina. Per questo, soprattutto quando si sceglie una farina integrale, è importante che sia un prodotto biologico o coltivato con metodi naturali. Tra l'altro la legge non fa distinzione tra farina realmente integrale e quella raffinata con aggiunta di crusca (quindi senza germe di grano, la parte più preziosa del chicco), ma si può benissimo sopperire al problema privilegiando le farine integrali ottenute con mulino a pietra, ovvero farine che non vengono bruciate e in cui gli oligoelementi del germe sono assorbiti, mantenendo le proprietà nutritive, il gusto e il patrimonio aromatico.

La forza della farina (W), la tenacità (P) e l'estendibilità (L)

Le farine si distinguono anche per la loro forza. La forza della farina (indicata con la lettera W) è la sua capacità di assorbire i liquidi durante l’impasto e trattenere l’anidride carbonica durante la lievitazione. Il valore della forza si definisce in laboratorio tramite uno strumento chiamato “alveografo di Chopin”, ed è definito come la resistenza alla pressione della farina impastata. Con lo stesso strumento si determinano altri due indici importanti: P, che misura la tenacità, cioè la resistenza della farina impastata allo stiramento; e L che misura l’estensibilità dell’impasto prima della rottura. Molto spesso però sono tre valori indicati quasi esclusivamente sui sacchi destinati ai professionisti del settore.

Il glutine

Tornando alla forza, il suo valore dipende dal contenuto di proteine, in particolar modo da quello delle gliadina e glutenina che, insieme, compongono il glutine. Spieghiamo meglio: nella fase dell’impasto il glutine forma una sorta di reticolo (maglia glutinica), il cui compito è mantenere all’interno della massa gli amidi e i gas: da qui le bolle di lievitazione e la struttura spugnosa di un pane ben lievitato. Una maglia glutinica tenace, tipica di una farina classificata come forte (con un indice W tra i 250 e i 350), assicura agli impasti una maggiore resistenza alla lavorazione e alla lievitazione. La farina manitoba è una campionessa del culturismo cerealicolo perché ricca di proteine e glutine, con W che arriva a sfiorare 480. Al contrario, una struttura glutinica meno serrata, tipica di una farina debole (con un indice W tra i 90 a i180), permette all’amido di liberarsi più facilmente. Dal glutine dipende dunque la struttura di pani e pizze.

Patrick Ricci. Ph Luca AppiottiPatrick Ricci - foto di Luca Appiotti

 

Le farine adatte per la pizza

L'universo farine è variegato, ma basta sapere le differenze per avere dei risultati soddisfacenti in termini di pane, focacce, torte, biscotti. Venendo alla pizza, il dibattito potrebbe protrarsi all'infinito. La farina più impiegata è sicuramente la 00 di grano tenero, anche se sempre più spesso ci imbattiamo in pizzaioli che sperimentano con prodotti diversi, dalle farine integrali macinate a pietra a quelle speciali, come farro o kamut. Uno di questi è Patrick Ricci, della pizzeria Pomodoro & Basilico a San Mauro Torinese. “Oggi impiego farine che acquisto direttamente dai contadini e che faccio molire appositamente per la mia pizzeria. Tutto nasce dalla ricerca dei grani autoctoni, dai siciliani Valbona e Maiorca al grano Saraggolla, dal campano Romanella al grano Bologna, dal Soisson al grano Del Miracolo. Perché un pizzaiolo che non conosce le varie tipologie è come uno scrittore che ignora l'alfabeto”. Una volta selezionati, li studia, li mixa e li lavora come si deve, “affinché mi diano l'impasto che mi sono prefissato. Quindi, se il grano è debole, come per esempio il Solina lo mescolo a un grano più forte e gli do un'ulteriore spinta con la lavorazione, attraverso delle pieghe di rinforzo, e con la cottura”. Ovviamente per far ciò bisogna conoscere le materie prime di partenza e le regole della panificazione, senza lasciare nulla al caso o senza sopperire alle mode. “Se invece dovessi fare la pizza a casa, sicuramente userei una farina integrale e debole”. Perché? Vi aspettiamo a Gourmet Food Festival.

 

Pomodoro & Basilico | San Mauro Torinese (TO) | via Martiri della Libertà, 103 | tel. 011 8973883 | www.pomodoroebasilico.org

 

Gourmet Food Festival | Torino | Lingotto Fiere, via Nizza, 294 | dal 17 al 19 novembre 2017, venerdì dalle 17 alle 23, sabato dalle 10 alle 23, domenica dalle 10 alle 20 | www.gourmetfoodfestival.it

 

Questo articolo è tratto dal volume Pane & pizza della collana Le Guide Pratiche del Gambero Rosso.

 

a cura di Annalisa Zordan

 

Gourmet Food Festival 2017

Il pesce: conoscerlo e saperlo cucinare grazie ai consigli di Gianfranco Pascucci

Pasta secca e come sceglierla grazie ai consigli di Peppe Guida

Come riconoscere le carni bianche di qualità. E la ricetta del pollo con i peperoni di Max Mariola

Amatricianae. 33 chef per Amatrice e la ricostruzione, nel libro di Alma omaggio alla ricetta

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Ci sono i fedelissimi creativi e gli alternativi ispirati; chi si dedica all’amatriciana da passeggio e chi alla sua versione dolce. Poi risotti, salse amatriciane d’autore e interpretazioni vegetariane. Ma tutti – 33 grandi chef riuniti da Alma – rendono omaggio a un piatto culto del ricettario italiano, e alla storia della sua città. Che vuole rinascere, e conta sull’aiuto di tutti. Il ricavato per la ricostruzione. 

Amatricianae. Il libro

Amatrice, un anno dopo. In libreria. Sugli scaffali, il grido di speranza della cittadina laziale distrutta dal sisma ci finisce grazie al piatto che più la rappresenta, l'amatriciana, simbolo di quel legame con il territorio e le tradizioni pastorali che neanche il terremoto è riuscito a spezzare. Da un piatto di amatriciana hanno ricominciato a lottare i ristoratori che da qualche settimana animano il nuovo Villaggio del cibo realizzato con l'aiuto di tutti, su progetto di Stefano Boeri. Con un piatto di amatriciana si sono confrontati 33 grandi chef riuniti dalla Casa Editrice Plan, realtà marchigiana che il sisma l’ha vissuto da vicino. Ma la richiesta di aiuto ha raggiunto anche l'Alma, promotrice dell’iniziativa insieme all’editore: l'accademia di cucina di Colorno, che ha supervisionato il progetto, ha partecipato alla pubblicazione pure con il contributo di alcuni docenti della scuola. Nasce così Amatricianae, presto disponibile in libreria e sugli store online, un ricettario che valorizza la ricetta tradizionale attraverso l'interpretazione degli chef che hanno scelto di mettersi in gioco. E per una volta – siamo felici di sottolinearlo - senza scatenare polemiche di sorta sulla personalizzazione di un piatto di culto della tavola italiana (tutelato dal marchio d'origine della De.Co., che codifica la Salsa Amatriciana, bianca e rossa), in passato penalizzato da eccessivi campanilismi. Lo dimostra il fatto che il Comune di Amatrice ha collaborato attivamente al progetto: nella prefazione, il Sindaco Sergio Pirozzi ci mette la firma, il ricavato delle vendite sarà devoluto per finanziare progetti di ricostruzione a Configno, frazione di Amatrice duramente colpita. Il lavoro corale fa bene al risultato finale, un ricettario non banale di variazioni sul tema, che piacerà agli amanti dell'amatriciana. La storia della ricetta originale, del resto, è lunga, complessa e discussa.

 

Amatriciana per tutti i gusti

E i capitoli del libro aiutano nell'orientamento tra differenti scuole di pensiero: ci sono i fedelissimi creativi, gli alternativi ispirati, la white amatriciana e le proposte to go (dal taco all'arancino), l'amatriciana di fiume, nell'orto e in insalata, e persino quella dolce, con gli spaghetti fritti e il guanciale caramellato, o un rigatone che diventa cannolo, per essere farcito di ricotta e pecorino. Ma il progetto, più che un semplice ricettario, è “un percorso originale tra la storia, le caratteristiche e le curiosità dell’amatriciana”, come ricorda Enzo Malanca, Presidente di Alma, nell’introduzione al testo. E i saggi dei docenti puntellano una struttura narrativa che è soprattutto arricchimento culturale. “Gli ingredienti sono le parole con cui il territorio narra se stesso”, sostiene Davide Mondin (esperto di certificazioni e prodotti tipici) esaminando il profilo degli ingredienti; “il cibo è inscritto nel territorio da cui proviene”, gli fa eco Fabio Amadei, nell’affrontare il tema del rapporto tra cibo e territorio. Ma come ricorda Luca Govoni, che approfondisce il contesto storico della ricetta, il cibo è anche frutto di scambi e contaminazioni, e per questo manifestazione identitaria influenzata dal tempo e dallo spazio. A questo proposito, la dissertazione giocosa ma ben circostanziata di Andrea Grignaffini sull'annoso dilemma della cipolla (cipolla sì o cipolla no?) conduce il lettore a ritroso sul percorso che l’amatriciana compie quando dai pascoli dei Monti della Laga arriva nelle confortevoli case borghesi di città, all’inizio dell’Ottocento. È la nascita della matricianaromana, che sì, può permettersi il lusso di contemplare la cipolla. Ma da Roma arriva pure il contributo di Luigi Salvi, il cuoco ristoratore che da Configno è partito tanti anni fa per insegnare ai romani come si fa l’amatriciana. Al progetto regala le sue ricette, la bianca e la rossa e un'intervista carica di suggestioni e spaccati di vita vissuta tra i tavoli della Trattoria delle corse, su via Appia Nuova. Poi c’è la poesia di Aldo Fabrizi, che all’amatriciana dedica un notissimo “componimento d’amore”.

 

L’omaggio degli chef

E, per tornare ai giorni nostri, l’omaggio del maestro Gualtiero Marchesi, che inaugura il ricettario con Insieme, sposando riso e pasta in un’interpretazione d’autore che sa mantenersi in equilibrio tra tradizione e rielaborazione creativa (la ricetta la trovate sotto). Ognuno ci mette del suo, anche i più fedeli alla ricetta, come Massimo Bottura, che aggiunge aceto balsamico e Parmigiano Reggiano, o DavideScabin, che l’amatriciana la fa in pentola a pressione. Poi c’è l’eleganza dell’amatriciana bianca di Enrico Crippa, e le varianti ripiene di Ernesto Iaccarino, Stefano Deidda, Angelo Sabatelli, che nella farcia del suo raviolo ammette il foie gras. Tra i più creativi, Carlo Cracco, con i suoi spaghetti al tuorlo d’uovo marinato, Stefano Ciotti, con le cipolle in tempura in salsa di pecorino e guanciale, Antonia Klugmann, e il Risotto affumicato pomodoro e guanciale. Ma la pasta sparisce anche dalla ricetta di Paolo Lopriore, per cui l’amatriciana è una salsa, che insaporisce una costoletta di vitello. Curiose anche la versione col pesce di Moreno Cedroni, che fa spazio allo storione, e l’omaggio vegetale di Pietro Leemann, con “Un pensiero per Amatrice”. E per finire i dolci, con Loretta Fanella ispirata dalla suggestione dei luoghi, a cui dedica il suo Fior di Ciliegio. Gli abbinamenti con i vini li ha studiati Pierluigi Gorgoni, le foto sono di Arturo Delle Donne, mentre in copertina c’è l’evocativa serigrafia del maestro Ugo Nespolo. In edizione bilingue (italiano e inglese), il libro si fa sfogliare con calma, diverte e fa riflettere. E racconta una bella pagina della cucina italiana. Noi vi proponiamo tre ricette tratte da Amatricianae, ma prima l’elenco di tutti i partecipanti, in ordine alfabetico:

Paolo Barrale; Massimo Bottura; Moreno Cedroni; Stefano Ciotti; Bruno Cossio; Accursio Craparo; Enrico Crippa; Stefano Deidda; Loretta Fanellla; Fabio Giacopelli; Herbert Hintner; Ernesto Iaccarino; Antonia Klugmann; Pietro Leemann; Paolo Lopriore; Gualtiero Marchesi; Isa Mazzocchi; Alessandro Miocchi; Enrico Nativi; Davide Oldani; Giuseppe Pellegrino; Giancarlo Perbellini; Valeria Piccini; Niko Romito; Angelo Sabatelli; Luigi Salvi; Davide Scabin; Maurizio e Sandro Serva; Filippo Sinisgalli; Massimo Spigaroli; Luciano Tona; Fulvio Vailati; Gianfranco Vissani.

 

Amatricianae: Grandi chef italiani insieme per Amatrice | Casa Editrice Plan, 2017 | italiano e inglese | 19.90 euro

 

a cura di Livia Montagnoli

Foto di Arturo Delle Donne

 

Gualtiero Marchesi

Insieme

Ingredienti per 4 persone

Per il risotto:

240 g riso Carnaroli

20 g di cipolla tritata

10 dl vino bianco secco

50 g Parmigiano reggiano grattugiato

2 lt fondo bianco vegetale

70 g burro

sale

pepe

 

Procedimento

  • Sudare la cipolla con il burro.

  • Aggiungere il riso.

  • Tostarlo.

  • Bagnare con il vino bianco

  • Asciugare

  • Bagnare con il fondo bollente.

  • Salare

  • Portare a cottura il riso su fuoco vivo aggiungendo poco fondo alla volta.

  • Togliere dal fuoco ancora brodoso.

  • Aggiustare di sapidità

  • Mantecare con burro freddo tagliato a piccoli cubi e abbondate Parmigiano Reggiano grattugiato

  • Aggiustare di sapidità se necessario.

 

Per i rigatoni:

180 g rigatoni

100 g cipolla

200 g guanciale

250 g pomodori

Olio evo

Sale pepe

 

Procedimento

  • Sbianchire il guanciale in acqua bollente per alcuni minuti tenendo da parte una fetta sottile che verrà seccata in forno

  • Scolare il guanciale dall’acqua

  • Raffreddare

  • Tagliare a dadini di 2 cm di lato

  • Rosolare nell’olio

  • Scolare su carta

  • Soffriggere la cipolla

  • Imbiondire

  • Unire il pomodoro

  • Cuocere mescolando

  • Cuocere la pasta in abbondante acqua salata

  • Scolare al dente

  • Versare in padella

  • Insaporire nella salsa

 

Finitura e presentazione

Stendere il riso su di un piatto a girello grande. Posizionare 7 rigatoni al centro del piatto tendendo alla verticalità. Guarnire con la fetta di guanciale croccante.

 

 

Antonia Klugmann

Risotto affumicato pomodoro e guanciale

Ingredienti

200 g di riso carnaroli

500 g di pomodori datterini

500 g di pomodori ramati o San Marzano

50 g di guanciale battuto

1 cipolla

2 spicchi di aglio

pepe in grani

olio extra vergine

pecorino grattugiato

10 foglie di basilico

burro affumicato a freddo

vino bianco

polvere di alloro

 

Procedimento

Per l’amido di riso

Frullare 50 g di riso fino a polverizzarlo.

 

Per la polvere di alloro

Seccare le foglie di alloro e polverizzarle.

 

Per la salsa di pomodoro

Rosolare uno spicchio d’aglio con l’olio in casseruola. Quando l’olio è caldo, aggiungere i pomodori ramati tagliati a pezzi, aggiungere la cipolla, il pepe in grani e portare a cottura. Quando la salsa è pronta lasciare in infusione il basilico per 5 minuti. Aggiustare di sale e passare al passaverdure.

 

Per i pelati

Sbollentare pochi secondi i pomodorini. Raffreddare in acqua e ghiaccio e pelare. Inserire i pomodorini in vasi di vetro disinfettati, condirli con un filo d’olio, sale, uno spicchio di aglio e una foglia di basilico. Chiudere il vaso non ermeticamente. Cucinare a bagnomaria per 15 minuti. Lasciare raffreddare fino all’ottenimento del sottovuoto.

Rosolare il guanciale eliminando il grasso in eccesso.

 

Per il risotto

Tostare il riso con un filo di olio e sale in casseruola sfumandolo con il vino bianco. Bagnarlo con acqua calda in ebollizione, aggiungere un cucchiaio di amido di riso e cucinare per 10 minuti. Quando l’acqua sarà assorbita fermare la cottura. Con un affumicatore a freddo, affumicare il riso coperto con la pellicola per circa 5 minuti.

Rimettere il riso sul fuoco. Quando sarà ben caldo toglierlo di nuovo dal fuoco e mantecare con burro e pecorino, aggiungere un po’ di salsa di pomodoro e servire ogni porzione con un paio di pomodorini pelati, la polvere di alloro e un po’ di guanciale croccante.

 

Niko Romito

Mezze maniche all'amatriciana

Ingredienti

400g rigatoni

300g guanciale

50g cipolla

15g aceto balsamico

400g conserva di pomodoro

pecorino romano

sale grosso

peperoncino

 

Procedimento

Su un tagliere puliamo il guanciale, eliminando la cotenna e la parte con il pepe. Ricaviamo 4 fette, 2 spesse e 2 più sottili, e tagliamole a cubetti. Affettiamo sottilmente la cipolla e tritiamola. Cuociamo il guanciale separatamente eliminando il grasso. Mettiamo una padella antiaderente sul fuoco, aggiungiamo un filo di olio e la cipolla tritata. Lasciamo stufare la cipolla fino a quando diventa trasparente. Uniamo il guanciale più spesso e sfumiamo con l’aceto balsamico. Lasciamo andare 1 minuto e aggiungiamo il pomodoro. Cuociamo per circa 5 minuti. Mettiamo sul fuoco una pentola con abbondante acqua. Quando raggiunge l’ebollizione, saliamo e buttiamo la pasta. Lasciamo cuocere per il tempo necessario (circa 8 minuti), e poi scoliamo direttamente nella padella con la salsa. Cuociamo ancora in padella, lasciando che la pasta si insaporisca e mettiamo nei piatti. 

 


Viaggio in Perù. Chef, prodotti e piatti della dispensa del mondo

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Patria di una immensa varietà di vegetali, coltivati e spontanei, il Perù è uno scrigno di biodiversità. Che da qualche tempo indigeni e grandi cuochi offrono nei piatti: a Cusco e a Lima, e non solo. Un vero caleidoscopio gastronomico che il recupero delle tradizioni e la valorizzazione delle diverse culture ha portato a emergere ai vertici mondiali.

Che lo si scelga per scalare le sue imponenti Ande, per vivere l’esperienza in uno dei deserti più affascinanti del mondo, per ripercorrere il cammino degli Inca fino al maestoso Machu Picchu, ammirare le Isole Ballestas, decodificare le famose linee di Nazca a bordo di un cessna o per immergersi nella cosmopolita e all’avanguardia capitale Lima, il Perù ha il pregio (tra i tanti) di offrire una proposta e una cultura gastronomica così diffusa tale da garantire che il buon cibo sarà una costante del viaggio. E che viaggio.

perù. varietà di patate

Scrigno di biodiversità

Considerato il capofila della rivoluzione gastronomica dell’America Latina, questo sorprendente paese appaga i sensi e convince in ogni stagione, soprattutto se chi lo sceglie è alla ricerca del buono. Qui è infatti presente una biodiversità immensa. Con le sue tre regioni naturali, la costa, la sierra e la selva, contiene 84 dei 117 microclimi esistenti in natura e dà vita a circa il 10% di tutte le specie globali di piante e animali. Le 3.000 varietà di patata qui esistenti o le 800 specie di mais coltivate possono rendere meglio l’idea. Un enorme tesoro sotto molteplici forme che nel corso degli anni, a partire dal 1500, i numerosissimi immigrati spagnoli, italiani, francesi, cinesi, giapponesi, in primis, hanno fatto proprio.

La ricchezza del luogo, nel tempo, è stata modellata e interpretata dalle diverse etnie fino ad arrivare alla creazione della cosiddetta cucina fusion peruviana: risultato di differenti saperi espressi attraverso ricette e pratiche meravigliose.

Siamo benedetti da una biodiversità infinita. Il Perù dispone di centinaia di specie di peperoncino, mais, vegetali vari e diverse culture gastronomiche; abbiamo il giallo dell’ají amarillo a Lima, il rosso del peperoncino rocoto a sud, il verde del coriandolo al nord di Cuzco” spiega Gastón Acurio, lo chef che prima di chiunque altro ha dedicato vita e professione alla classificazione e all’uso gastronomico di tanta ricchezza. Di lui, il Nobel peruviano per la letteratura 2010, Mario Vargas Llosa, disse: “Viviamo in un paese con tanti limiti e difetti. Ma tra le mani di questo signore, la nostra cucina diventa una delle più ricche del mondo. Nessuno ha fatto così tanto per il Perù come Gastón Acurio”.

prù

Viaggiar per altitudini

Effettivamente è straordinario vedere e sentire sulla pelle il radicale cambiamento che avviene tra una zona e l’altra del Perù: partire dalle coste dell’oceano, attraversando il deserto, per arrivare a quota 4.000 sulle Ande, è un’esperienza emozionale, oltre che sconvolgente in più sensi. La maggior parte dei visitatori sceglie di atterrare a Lima, acclimatarsi (come qui si usa fare considerando le altezze da raggiungere), e poi iniziare la salita verso “l’espiazione”. Partire direttamente dall’alto potrebbe invece ancora di più rappresentare una sorpresa, anche dal punto di vista gastronomico.

 

Cusco

Lima e la sua grandiosa offerta culinaria possono infatti aspettare: Cusco è degna di avere la precedenza. Dichiarata Patrimonio dell'Umanità nel 1983 dall'Unesco, è la capitale dell'Impero Inca e meta imperdibile per gli esploratori. Qui, a quota 3.600, continuano a con-vivere le più antiche cucine del Perù a base di ricette e prodotti rintracciabili soltanto in questo territorio. “Alcuni dei miei piatti più profondi, quelli definibili più tradizionali, vengono da queste montagne” racconta Acurio “Ho speso e continuo a spendere molto tempo tra le comunità andine perché rappresentano una parte fondamentale della nostra cultura culinaria. Buona parte delle ricette che propongo e che uso nei miei diversi progetti hanno alla base gli ingredienti e i saperi (patrimonio immateriale di assoluto valore) di quelle comunità a cui sono particolarmente legato”.

Perù. mercato

E dove rintracciarli, questi prodotti, se non in uno dei mercati sparsi per la città? Il più identitario e fornito è il Mercado San Pedro, il luogo della vita quotidiana dei cuzqueños, il vero mercato che preserva ancora l’autentica anima andina: banchi di patate e ortaggi, tagli di vacca e maiale alternati da esposizioni di frattaglie e zampe, ma anche rane vendute vive dalla più anziana signora del mercato.

Non solo, numerosi sono gli spazi dove trovare le materie prime qui coltivate come fave, lupini, quinoa, mais blanco d’alta quota, spezie e semi di ogni tipo. Per pochi soles si può anche avere un pasto a base di zuppe di mais, i chicharrón (cotica del maiale fritta) o l’immancabile cheviche, diffuso anche nelle zone di montagna.

 

Carni e bevande locali. Dai 3mila metri in su

Qui però la dieta maggiormente contemplata è basata su alimenti molto energetici, ricette secolari nate per necessità, innanzitutto contro il clima rigido invernale. Le anziane signore cucinano ancora lo spezzatino di lama e di alpaca (difficilmente reperibile in altre regioni) e anche nei localini popolari è possibile assaggiare questa carne sotto forma di bistecca (provate l’alpaca che spesso viene preferito al lama). E poi c’è il cuy, ilporcellino d’India: ripieno e cotto in forno come vuole la tradizione o semplicemente fritto e servito con verdure stufate.

La chicha de jora (in lingua quechua aqha) era la bevanda fermentata degli Incas, a base di mais: roba per stomaci forti. Oggi si continua a bere, ma è leggermente alcolica, ha un denso color crema ed è utilizzata anche in cucina.

E ancora, su queste tavole si trovano tutti i prodotti che crescono oltre i 3.000 metri e che caratterizzano fortemente la cucina andina: la muna (menta andina) utilizzata in diverse preparazioni, la huacatay (l’erba aromatica usata per la zuppa di quinoa), i fagioli piatti e bianchi chiamati tarwi che erano la “carne” più popolare grazie al loro alto valore energetico e proteico.

 

Le picanterías

Qui, oltre che ad Arequipa (la Ciudad Blanca nel sud del Perù) che ne detiene la maternità, le strade sono disseminate di picanterías, che inizialmente si chiamavano chicherías (erano le case private in cui veniva prodotta e si vendeva la chicha); con il passare del tempo l’offerta si è arricchita di stimolanti pietanze piccanti tanto che a metà ‘800 queste osterie domestiche hanno preso il nome di picanterías. Qui la chicha viene fatta in casa e proposta con i piatti della tradizione antica: il rocoto ripieno (un peperone piccante cotto in forno, ripieno di carne tritata, spezie, formaggio, uova e latte) e il solterito de queso (insalata di cipolla, fagioli, formaggio e choclo) o il caldo blanco (brodo di carne e verdure).

 

Verso Lima e il suo vivace panorama ristorativo

Da Cusco a Lima l’unica strada percorribile è la mitica Panamericana che lungo il percorso riserva sorprese che un palato straniero neppure si immagina.

 

Cevicheria La MarCevicheria La Mar

Giunti nella capitale, tutto diventa fervore e fermento, anche a tavola. I grandi della cucina peruviana che insieme hanno dato inizio alla rivoluzione gastronomica, riscuotono ormai un successo mondiale e tutti hanno il proprio quartier generale a Lima (e nella World’s 50 Best Restaurants): Virgilio Martinez del Central a far da capofila insieme al maestro Gaston Acurio che ha messo in piedi numerosi progetti cittadini tra cui la Pachacutec School of Cuisine per aiutare i ragazzi poveri di Lima. Ci sono poi Maido del Mitsuharu Tsumura, che è una sorta di simbolo della cucina Nikkei (giappo-peruviana che ci aveva spiegato Jeric Bautista); il giovane Andrés Rodríguez (allievo di Acurio) a capo di La Mar, una delle migliori cevicherie tra le migliaia presenti in città; l’affabile Rafael Osterling con il suo ristorante internazionale; José del Castillo che con Isolina Taberna Peruana fa commuovere con i suoi veraci piatti della tradizione in una locanda da sapori veri; e il lungimirante Pedro Miguel Schiaffino che alterna classico e amazzonico nei suoi due ristoranti, Malabar e Amaz. Il tempo e il mondo hanno dato ragione a Gastón Acurio che anni fa disse: “il Perù sarà la dispensa del mondo!”.

 

Pedro Miguel Schiaffino

Pedro Miguel Schiafffino

Schiaffino e la cucina amazzonica

Pedro Miguel Schiaffino sta svolgendo un avvincente e appassionante lavoro a Lima. Accanto al ristorante di alto profilo Malabar, ha aperto, da luglio 2012, Amaz in cui si concentra esclusivamente sulla cucina amazzonica. “Quasi ogni mese vado nella foresta per “fare la spesa” dai piccoli produttori amazzonici e per scoprire continui nuovi spunti di cui quel territorio è colmo. È lì che riesco a trovare nuove idee, oltre che nuove straordinarie materie prime da utilizzare”.

 

Un piatto di amazUn piatto di Amaz

Nell’habitat amazzonico Pedro è ormai di casa: non tutti hanno accesso al cuore della selva, ma grazie ai rapporti instaurati nel tempo, oggi da Amaz è possibile provare sapori antichi e inediti. Un menu dove si naviga dalle caracoles de río (grandi e squisitelumache di fiume servite con salsa di chorizo e tapioca) al paiche (l’enorme pesce d’acqua dolce) avvolto nelle larghe foglie di bijao e cotto intero alla brace. “Non mi sono mai divertito tanto lavorando” sorride Pedro “Vado ben oltre la cucina, ricerco e sperimento, e soprattutto permetto alle persone di scoprire sapori che altrimenti difficilmente proverebbero”. Insieme a lui opera la giovane squadra della cockteleria che realizza drink amazzonici con ingredienti mai visti prima come l’atavico Shapshico con pisco Barsol, radici, cocona e camu camu.

 

Pisco SourPisco Sour

Pisco: il liquore-bandiera

Il pisco è una delle icone del Perù nel mondo. Dopo la secolare battaglia con il Cile per la paternità di questo distillato, alla fine ha vinto la bandiera rossa e bianca. Originario della regione meridionale di Ica (da cui proviene anche Melanie Asher di Macchu Pisco LINK), è un distillato di mosto di vino prodotto con otto varietà d’uva autoctone:quebranta, mollar, negra criolla, uvina, moscatel, italia, albilia e torontel. È conosciuto anche come il “brandy sud americano”, a differenza del quale però non invecchia in legno. Ancora poco utilizzato in Europa, in Perù è onnipresente soprattutto per la preparazione del noto cocktail pisco sour: base sour classica (succo di limone, ghiaccio, zucchero) con angostura, pisco puro e bianco d’uovo. Nell’azienda Tres Generaciones della famiglia Martinez Gonzales è possibile incontrare la famosa Dama del Pisco, come è conosciuta Junita: una vera e propria pasionaria di questo distillato e al capo di una delle realtà che vanta una qualità difficilmente reperibile nel paese.

 

Virgilio MartinezVirgilio Martnez. Foto di Jimena Agois

Virgilio Martínez e il Big Bang gastronomico andino

Il cuoco più acclamato del Perù stava per diventare un avvocato, ma poi la cucina ha avuto la meglio e lo ha portato nel 2010 ad aprire il suo ristorante Centràl. Nel giro di quattro anni, nel 2014 (e poi anche nel 2015), si è aggiudicato il primo posto della Latin America’s 50 Best Restaurants List e oggi è a capo della cordata dei cuochi peruviani che hanno reso così celebri i sapori andini nel mondo. “La situazione della cucina in Perù è paragonabile al caos, come quello creativo nato dal Big Bang: un meraviglioso caos di biodiversità e produttori” spiega “Lima è al centro e attorno a essa orbitano così tante informazioni e scoperte che possiamo dire si tratti di un caos pieno di opportunità in cui continuare ancora oggi a scoprire nuovi ingredienti. Il nostro cibo è frutto dell’incontro-scontro tra culture da territori meravigliosi come le Ande e l'Amazzonia: da qui proviene la più grande varietà di ingredienti, i diversi ecosistemi e microclimi. Da qui proviene la nostra filosofia di vita”.

È una cucina, quella di Virgilio, in continua metamorfosi che si rigenera costantemente grazie alla varietà della terra e a ciò che offre: la corteccia di un albero, l’argilla, le patate fermentate, i frutti amazzonici, i pesci del Rio delle Amazzoni, sono solo alcuni esempi. “Delle Ande adoro utilizzare le erbe aromatiche per dare sapore, colore e consistenza” spiega lo chef.

Tra i progetti futuri il giovane cuoco ha in mente di spostare il ristorante nel quartiere centrale di Barranco dove potrà “espandere” la filosofia di tutto ciò che oggi è Centràl, e curare l’iniziativa Mater (LINK) (ambizioso progetto che mira a tutelare e diffondere la straordinaria biodiversità dei prodotti delle sue terre) che diventerà più strutturato e accessibile; poi c'è il ristorante della moglie Pia con cui vuole riuscire a trasmettere tutti i valori acquisiti durante i nove anni di lavoro spalla a spalla in Perù.

Quanto al futuro prossimo, invece, non c’è che aspettare la decima edizione di Mistura per vedere cosa chef Martínez presenterà sul palco del congresso internazionale di cucina, il prossimo anno.

 

GLI INDIRIZZI

 

Lima

 

Amaz | av. la Paz, 1079 | Miraflores | tel.+51 (0)1 2219 393 | www.amaz.com.pe | cucina amazzonica

Astrid y Gastón | av. Paz Soldán, 290 | San Isidro | tel.+51 (0)1 4422777 | www.astridygaston.com | il regno di Gastón Acurio, lo chef che ha portato nel mondo la cucina peruviana

Cafè Bisetti | Pedro de Osma 116 | Distrito de Barranco | tel.+51 (0)1 7139 565 | www.cafebisetti.com | è il miglior cafè del moderno quartiere di Barranco

Central | Santa Isabel, 376 | Miraflores | Tel.+51 (0)1 2428 515 | www.centralrestaurante.com.pe | il ristorante di Virgilio Martínez

Hotel B | Saenz Peña, 204 | Distrito de Barranco | tel.+51 (0)1 2060 800 | www.hotelb.pe | albergo, galleria d’arte, cocktail bar

Isolina Taberna Peruana | vv. San Martin, 101 | tel.+51 (0)1 2475 075 | la cucina di una volta preparata da José del Castillo

La Mar | av. La Mar, 770 | Miraflores | tel.+51 (0)1 4213 365 | www.lamarcebicheria.com | la migliore cevichería della città

Maido | calle San Martin, 399 | Miraflores | tel.+51 (0)1 4462 512 | www.maido.pe | ristorante dello chef Mitsuharu Tsumura: migliore esperienza Nikkei

Malabar | av. Camino Real, 101 | San Isidro | tel.+51 (0)1 4405 300 | www.malabar.com.pe | ristorante gourmet, ottima cucina internazionale

Rafael | calle San Martin, 300 | Miraflores | tel.+51 (0)1 2554 138 | www.rafaelosterling.pe | mangiare e bere bene nel locale di Rafael Osterling

 

Cuzco

 

Hotel Munay Wasi Inn | av. Tullumayo, 418 | tel. +51 (0)84 240283 | www.munaywasi.com | confortevole 3 stelle in città

Nuevo mundo draft bar | Portal de Confituria, 273 | tel.+51 (0)84 240 594 | www.nuevomundocerveceria.com | un interessante incontro con buona birra artigianale locale

Polleria | calle Almagro, 171 | tel.+51 (0)84 229 829 | mangiare il pollo come lo mangiano gli abitanti di Cusco

Ristornate Limo | Portal de Carnes, 236 | tel. +51084240668 | specializzato nella cucina di pesce

 

Ica

 

Cerdito al humo | Panamericana Sur, km. 402 | uno dei migliori ristoranti di strada del Sud America: si mangia uno squisito maiale affumicato (che dà nome al locale)

Tres Generaciones | Fundo Tres Esquinas | Subtanjalla | tel. +51 (0)56 403 565 | www.piscotresgeneraciones.com | produttore di Pisco

Wasipunko Agroturismo | Panamericana Sur, km. 462 | tel. +51 (0)56 9567 90111 | www.wasipunko.com | qui si mangia la migliore pachamanca nota anche come “cucina del riverbero” perché la carne speziata si cuoce su piastre di pietra preriscaldata (la migliore è la turbidite, povera di solfuri)

 

info viaggio

 

Perù Responsabile | www.peruresponsabile.it | Tour operator italo-peruviano specializzato anche in viaggi estremi

TOUR2000 | www.tour2000.it| gocentroamerica.it| specializzato in viaggi in America Latina

 

 

a cura di Giovanni Angelucci

 

La quarta edizione del Rural Festival per tornare a parlare di biodiversità agricola, tra Emilia e Toscana

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 Si comincia il prossimo weekend, con il tradizionale appuntamento al Parco Barboj, nella campagna parmense. Ma i produttori del circuito Rural torneranno per la seconda volta anche a Gaiole in Chianti, il 16 e 17 settembre. L'obiettivo è sempre lo stesso: valorizzare varietà rare e razze autoctone, mettendo in luce il lavoro dei piccoli produttori tosco-emiliani.   

 Rural. Biodiversità agricola: dal festival alla bottega

Appuntamento il 2 e 3 settembre, a Rivalta di Lesignano de' Bagni. Alle porte c'è la quarta edizione, eppure, in pochi anni, il circuito d'eccellenza agroalimentare Rural è riuscito a perfezionare uno dei più interessanti festival della biodiversità agricola. E infatti sono molti i visitatori che alla fine dell'estate si ritrovano nella parco dell'Agricola Rosa dell'Angelo per scoprire il patrimonio rurale tosco-emiliano da una prospettiva più consapevole della grande varietà di razze animali e specie vegetali antiche e ingiustamente accantonate dal sistema commerciale che conta. Dalla primavera scorsa, buona parte di questi prodotti confluiscono nella bottega inaugurata nel centro di Parma: un Rural Market sempre fornito delle specialità di stagione, tra prodotti freschi e proposte a scaffale, che è pure punto di incontro tra produttore e consumatore, e in negozio porta di frequente le storie di chi sta dietro al prodotto, grazie a un calendario di incontri a degustazioni e ingresso gratuito.

Ma a Rivalta, nelle campagne della food valley parmense, questa voglia di comunicare e valorizzare il territorio e il lavoro nei campi si trasforma in festa, al motto di “tornare indietro per andare avanti, e guardare al futuro”. Una dichiarazione d'intenti che prende forma anno dopo anno non troppo distante dal cantiere faraonico di Fico, la Fabbrica Italiana Contadina di Oscar Farinetti, che aprirà i battenti il 15 novembre (la data è stata nuovamente posticipata, e la notizia ufficializzata solo un paio di giorni fa), per raccontare l'Italia dell'agroalimentare in un parco dei divertimenti destinato a fare grandi numeri.

I formaggi del Caseificio Bertagni

Rural festival. Doppio appuntamento

I produttori di Rural, invece, continuano a mantenere un basso profilo, ma non per questo rinunciano a guardare avanti. Nel 2016 il festival ha raddoppiato le uscite, presentandosi in grande spolvero all'appuntamento di Gaiole in Chianti (Siena), dove anche quest'anno i produttori di Rural animeranno la seconda data di Rural, il 16 e 17 settembre in piazza Ricasoli e lungo il corso principale del paese. L'idea di fondo è quella di promuovere un'economia sana e sostenibile, che conta sull'esperienza di contadini, allevatori e artigiani, e tutela tradizioni antiche di un territorio molto vocato. Le aziende chiamate a partecipare provengono tutte dall'area tosco-emiliana, un territorio di confine che favorisce la biodiversità, tra boschi di querce e calanchi, frutteti e orti che custodiscono prodotti dimenticati: il pomodoro Riccio di Parma, la zucca violina, il fagiolo Zolfino, la prugne Zucchella, la patata Quarantina, l'orzo Leonessa. Rarità ortofrutticole che da sempre alimentano la tradizione gastronomica locale: dei 40 stand gastronomici allestiti nel verde, molti proporranno ricette della tavola contadina, dalla polenta di Garfagnana ai Tortel Dols con mostarda, ai fagioli al coccio, ai testaroli di farro della Lunigiana.

E poi arrosticini di pecora Cornigliese, prosciutto di maiale nero, carne di Cinta Senese, pane di grano del Miracolo e Marocca di Casola, latte fresco d'asina, formaggi del territorio, miele biologico reggiano, vino da vitigni autoctoni, olio di Olivastra Seggianese.

Una selezione di specie vegetali di varietà antiche è stata messa a dimora proprio sui terreni di Rosa dell'Angelo, e per la prima volta offriranno un catalogo completo ai visitatori del festival: gelsi, ulivi, vitigni rari, pomodori del parmense. Accanto, il parco animale di antiche razze: il maiale nero di Parma, il suino di Cinta Senese, la pecora Cornigliese, Massese e Garfagnina, il cavallo Bardigiano, l’asino Romagnolo e Amiatino, la vacca grigia Appeninica, Bardigiana, Ottonese e Bianca Valpadana, il tacchino di Parma e Piacenza, la gallina Romagnola e il pollo Valdarnese.

La pecora cornigliese di Ettore Rio

Si scopre, si assaggia, si acquista per portare a casa con sé un po' del gusto del paniere tosco-emiliano. Ingresso gratuito, dalle 10 alle 19.

 

Rural Festival | Rivalta di Lesignano de' Bagni (PR) | il 2 e 3 settembre, dalle 10 alle 19 | www.rural.it 

Rural Festival | Gaiole in Chianti (SI) | il 16 e 17 settembre, dalle 10 alle 19 

 

a cura di Livia Montagnoli

Storia e leggenda del Ritz di Londra che compie 111 anni

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111 anni di grande stile, eleganza, buon gusto e grande cucina. La storia di un mito: il Ritz di Londra

Fin dall’inaugurazione, nel maggio del 1906, è stato il ristorante delle cene regimental inglesi. Nel solo primo semestre del 1914, le feste regali furono più di 13. Centro della società londinese alla moda e della clientela più sofisticata da oltre un secolo, il Ritz condotto oggi dallo chef John Williams, guadagna una Stella Michelin per la prima volta nella storia culinaria dell’hotel, e non smette di stupire.

Il Ritz di Londra oggi fa parte della Leading Hotels of the World, Ltd. una società che e rappresenta i più prestigiosi e raffinati hotel del mondo. Nato nel 1928, oggi il gruppo conta 430 hotel e 25 uffici nelle principali città del mondo e sede principale a New York. Gli hotel vengono selezionati e valutati in base ad altissimi standard di qualità ed unicità, in base al legame speciale con il territorio e all’autenticità con cui rappresentano l’essenza del territorio in cui sono inseriti.

Il fondatore

César Ritz, svizzero di nascita, proprietario e fondatore di tutti i Ritz del mondo, voleva che l’ambiente dell’hotel riproducesse in ogni dettaglio, lusso e sfarzo di una residenza aristocratica francese, l’atmosfera che gli ospiti sognavano o che si lasciavano alle spalle, per farli sentire a casa. Il che significava circondare gli ospiti con pezzi d’arte, arredi di lusso e, sopra ogni cosa, “di tutti gli oggetti d’argento che i nobili usavano abitualmente a casa”.

Un posto per signore

Prima del Ritz le cene servite ai club esclusivi della capitale erano basate su poche pietanze piuttosto pesanti, tarate su palati maschili. Con chef Auguste Escoffier, primo luminare gastronomico della dinastia Ritz (chiamato appositamente da Parigi per l’inaugurazione) la scena cambia definitivamente. I menu vengono pensati per il pubblico femminile, con cibi più leggeri, adatti anche per signore che tengono alla linea. Del resto tutto parlava un linguaggio capace di sedurre la sensibilità femminile: dai broccati agli stucchi dipinti d’oro zecchino, dalle sete alla tappezzeria nell’intera gamma dei rosati. Perché piacere alle mogli significava assicurarsi il pubblico dei mariti più in vista della città. Secondo Lady Diana Cooper il Ritz era l'unico posto nella Londra di Edoardo VII, frequentabile da una giovane donna non sposata e non accompagnata. Sua madre, la duchessa di Rutland, glielo aveva permesso perché il Ritz “era bello, era un palazzo". Di una delle feste più memorabili si narra di braccialetti d’oro decorati con perle e rubini, omaggio per le signore invitate. Il segreto di Mr César Ritz? Sedurre le donne con il cibo, offrire pasti leggeri in cene sontuose, attraenti anche per gli occhi. Anche l’abitudine da lui introdotta di offrire Champagne alle signore prima dei pasti, era nata per predisporle al miglior relax per la serata.

La sala del Rizz di Londra e i suoi specchi

La tavola e i suoi complementi

Per le forniture degli oggetti da tavola in uso ancora oggi, furono reclutati i gioiellieri francesi Christofle & Cie, e gli esperti argentieri londinesi Goldsmiths & Silversmiths, poi confluiti in Gerrard’s, tra le gioiellerie più antiche di Londra, infine - oggi - in Asprey’s, indirizzo extralusso a Mayfair.Si contano quasi 20mila pezzi fatti a mano tra piatti, posate, brocche, caffettiere teiere e candelabri in puro stile Luigi XVII con l’aggiunta di una piccola collezione ottocento, contemporanea per l’epoca, realizzata appositamente per il Ritz di Parigi e mutuata dal Ritz di Londra. Molti degli oggetti furono disegnati personalmente dagli stessi architetti parigini progettisti dell’hotel, Mewès & Davis Architects. La serie successiva di 20mila pezzi in porcellana fu disegnata invece dalle manifatture Doulton, ceramisti storici della Casa Reale, ed è nota per la classica fascia in turchese e oro dedicata ai pasti principali, il floreale rosa per il dessert e il blu e oro per il caffè. Il set da tè era invece decorato con il blue forget-me-not-design.

Le sale

Le sale destinate all'intrattenimento sono inserite una prospettiva lunghissima, inquadrate una nell’altra, lungo la Long Gallery. Il grande asse e la vista incorniciata, creano una sorta di boulevard architettonico dove camminare, chiacchierare o sedersi in qualsiasi momento ed essere serviti. Lo spazio visivo percorre quasi tutta la lunghezza dell’edificio, attraverso il ristorante e oltre la terrazza, fino agli alberi di Green Park.

Imperdibile una sosta per il rito del cocktail al bar Rivoli. Il giovanissimo quanto pluripremiato bartender Daniel Stepien è di quelli che progettano cocktail artigianali su misura e in empatia con chi li gusterà. Lo swinging jazz di sottofondo, i soffitti a conchiglia, le pareti in radica con dettagli in oro, i pannelli in cristallo Lalique e gli arredi Art Déco ispirati alla nota carrozza Cote d’Azur dell’Orient Express: ogni dettaglio cattura e porta in un mondo diverso, nello scrigno prezioso che custodisce le storie avvicendatesi lì in un secolo, pronto ancora ad accogliere le storie che verranno.

Il tè servito nella Palm Court, con la luce bianca che filtra dal soffitto vetrato come in una serra, è un’esperienza surreale: qui tutto è giocato nei toni del giallo e crema, con specchi alle pareti, tralicci d'oro e una fontana con ninfa dorata. Ma il vero splendore è la sala ristorante, tra le più belle al mondo, che incanta con ori, broccati, velluti, enormi lampadari di cristallo e specchi, specchi ovunque.

Una sala del Rizz di Londra

Entente cordiale

Nel Ritz c’è dentro Francia e Inghilterra insieme, lo chiamavano Entente Cordiale come l'accordo stipulato ai primi del '900 tra Francia e Gran Bretagna per il riconoscimento delle sfere di influenza coloniale. In questo caso il riferimento è al design d'interni inglese espresso con l’eleganza francese, alla moda di MarieAntoinette del XVIII secolo. La sala da pranzo privata, intitolata alla regina francese, ha visto a tavola personaggi del calibro di Churchill, de Gaulle e Eisenhower: ka terrazza all’italiana conclude il boulevard interno con l’affaccio su Green Park del ristorante all’aperto e champagne bar.

Le cucine

Le cucine oggi come allora occupano l’intera superficie dell’hotel al piano inferiore. Le sale del caldo sono divise da quelle del freddo da un lungo corridoio. L’hotel ha una sua panetteria che lavora h24, una pasticceria e una sezione speciale per tutto quanto attiene la preparazione del dolce e salato per il rituale del tè. Un’ala intera è dedicata al personale, per i turni dei pasti e gli spogliatoi. La brigata in cucina conta 54 persone, in sala più di 60.

Il fascino del Ritz

Cenare al Ritz, oggi come allora, è un viaggio attraverso un lungo elenco di piatti che hanno fatto la storia. Un menu ricco, in tono con l’ambiente circostante, con adeguati vini in abbinamento e una cucina francese delle più colte in circolazione, col filetto Wellington al tartufo che da solo vale la cena. Ma la cosa più bella e sorprendente di questa cucina è la sua leggerezza, anche dopo lacrêpe suzette flambée, preparata al momento su uno speciale carrello e servita in modo teatrale con un effetto d’altri tempi. Se ne gusta un primo assaggio, giusto ‘per gradire’, e si finisce per ripulire letteralmente il piatto, senza chiedere il bis solo per decoro di circostanza. La leggerezza di queste lunghe cene così piacevoli da avere la sensazione che volino via in un tempo troppo breve, era nota già ai tempi di Nathaniel Newnham-Davis, food writer e gourmet di fine Ottocento. Newnhman definisce César Ritz come l'uomo che ha insegnato per la prima volta alla massa dei ricchi inglesi, a cenare nel lusso e comodità senza necessariamente andare a Parigi.

 

Antipasto nel menu del Rizz di Londra

Il menu dell'inaugurazione

L’elenco delle portate del periodo edoardiano stupisce sempre e il menu dell’inaugurazione prevedeva piatti inventati per l’occasione come il salmone in mousse di gamberi Marquise de Sevigné, e le Pèches Belles Dijonnaise. Si cominciava sempre con un consommé, le zuppe erano una specialità, le Cailles de Gourmet famosissime e la pasticceria viennese la migliore e più costosa che c’era. Edoardo VII ne chiedeva sempre fornitura fissa a Buckingham Palace ma la cosa fu considerata a lungo segreto di stato, per non urtare la sensibilità dello chef del re, per il quale nulla doveva entrare a palazzo da altre cucine.

Mangiare al Ritz oggi

Con i suoi menu, ancor oggi lo chef John Williams continua a seguire i prìncipi e le convinzioni di Auguste Escoffier. Si ispira ai piatti classici, impeccabili in esecuzione e presentazione, tanto quanto lo sono nel gusto. Il tocco contemporaneo è dato dalla scelta dei migliori prodotti britannici di qualità, seguendo il ritmo delle stagioni. Condizione imprescindibile per Williams è cucinare tutto al momento con estrema attenzione alle cotture, che devono essere leggere. Il cibo bio viene da Duchy of Cornwall che rifornisce la cucina di manzo e agnelli dalle brughiere di Cornovaglia. Al cambio di stagione anche la fornitura cambia e gli agnelli arrivano dal Wales. Le aragoste invece arrivano vive dalla Scozia del nord ovest e dalla Cornovaglia e devono essere in tavola entro 24h al massimo. I granchi sono di Norfolk, i migliori. Le uova di una fattoria del Sussex.

Lo chef

John Williams è arrivato al Ritz nel 2004, dopo 18 anni di carriera al gruppo Savoy, Claridge’s e Berkley inclusi. Ci tiene molto a ricordare la sua origine (viene da Tyneside), e la cultura trasmessagli da suo padre pescatore: lui sa bene, infatti, cosa sono un granchio fresco e la pesca dell’aragosta. Oggi è esperto di sourcing e didattica alimentare, si tratti dei benefici per la salute o del puro piacere del cibo, è presidente esecutivo dell'Accademia Reale delle Arti Culinarie e dirige una delle sale da pranzo più famose del mondo. Arrivare da Tyneside a ricevere un mandato di Royal Warrant da Sua Altezza Reale il Principe di Galles, come ristorante ufficiale per i banchetti del regno è un sogno come quelli delle favole. Non si tratta della fornitura a corte, ma della corte che lascia il Palazzo per andare a cena al Ritz.

Lo staff

Il segreto del Ritz è senz’altro nel genio del suo fondatore, ma l’anima che lo conduce è nella sua gente: 320 persone ruotano attorno a 130 ospiti per un rapporto che sfiora il 3:1. Tutto concepito per celebrare nel modo migliore il culto dell'ospitalità, quello di tradizione che pone al centro il rapporto umano. A partire dal primo momento: nessuna chiave elettronica. Così che gli ospiti chiedano in reception la loro chiave e possano scambiare un saluto con i concierge. È solo uno dei dettagli in cui l’umanità è posta al centro, ed è fatta di attenzione, calore e familiarità.

Nota d’orgoglio per il nostro paese è la percentuale altissima di personale italiano, uno stuolo di professionisti che spicca per stile e carattere, particolarmente sensibile e intuitivo, oltre che tecnicamente meritevole, emblema di scuola italiana d’eccellenza. Sono il sommelier per il tè Giandomenico Scanu, i sommelier in sala Giovanni Ferlito, i premiati primi camerieri Giuseppe Scudiero e Gabriele Tarantola e Gabriella Cugno, premio Young Pastry Chef 2015,in pasticceria. Il Ritz è innanzitutto una storia di manager, cuochi e personale di servizio, impegnati a far felici e regnanti, aristocratici, uomini di stato o semplici appassionati come noi, residenti o in viaggio a Londra da ogni parte del mondo.

 

The Ritz | Gran Bretagna | Londra | 150 Piccadilly | tel. +44 (0) 20 7493 8181 | www.theritzlondon.com

https://it.lhw.com/hotel/The-Ritz-London-London-England

 

a cura di Emilia Antonia De Vivo

 

Festival enogastronomici di settembre: 10 appuntamenti da non perdere

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Dai formaggi al cous cous, dal sake ai dolci, nel mese di settembre tornano alcune delle manifestazioni più attese dai golosi di tutta Italia. I festival più interessanti da Nord a Sud della Penisola.

Settembre. Il rientro dalle vacanze si apre con una serie di eventi e iniziative a tutto gusto, che coinvolgono diverse città italiane, da Milano a Cosenza, passando per Bologna, Parma e Roma. Tanti i festival enogastronomici da appuntare in agenda, pensati per gli amanti della buona tavola ma anche del bere bene. Dai latticini ai prodotti biologici, dai distillati al pesce, senza dimenticare le spezie e i piatti gourmet, ecco tutti i protagonisti delle manifestazioni settembrine.

Cheese (Bra)

Per gli appassionati di formaggio, un programma fitto di appuntamenti all'insegna del gusto per celebrare i primi 20 anni di Cheese, la maggiore manifestazione italiana dedicata ai latticini. Spettacoli, concerti, film, laboratori, forum e workshop per i più piccoli andranno in scena a Bra, in provincia di Cuneo, dal 14 al 18 settembre, grazie alla collaborazione fra Slow Food e la Città di Bra. Non mancheranno, naturalmente, assaggi e degustazioni guidate alla scoperta delle tante sfumature e forme del latte. Castelmagno d'alpeggio, Pallone di Gravina, Raviggiolo dell'Appennino Tosco-Romagnolo, ma anche eccellenze straniere, come lo Stichelton o lo Sbrinz saranno disponibili ai banchi d'assaggio.

Cheese 2017 | Bra (CN) | dal 14 al 18 settembre 2017 | cheese.slowfood.it/

Taste of Roma (Roma)

15 ristoranti coinvolti, fra nomi storici della città e new entry, 4 giorni e 60 portate. Sono i numeri del Taste of Roma, l'evento dedicato all'alta cucina capitolina giunto ormai alla sua sesta edizione. Da Adriano Baldassare a Cristina Bowerman, da Luigi Nastri a Daniele Usai, da Francesco Apreda a Heinz Beck, sono tanti i protagonisti della manifestazione più attesa dai buongustai romani, che porteranno con loro alcuni dei piatti presenti nei menu dei loro ristoranti, in versione monoporzione. Piccoli assaggi a prezzi contenuti, questa la formula vincente del Taste, che anno dopo anno continua a raccogliere l'entusiasmo del pubblico, sempre più attento alla qualità delle materie prime, e curioso di provare piatti ricercati. Laboratori, workshop, area kids e degustazioni vanno a comporre il ricco programma dell'edizione 2017.

Taste of Roma | Roma | dal 21 al 24 settembre 2017 | www.tasteofroma.it/

Cous Cous Fest (San Vito lo Capo)

L’appuntamento con il Cous Cous Fest, tra gli eventi gastronomici più celebri nel mondo, porta con sé ogni anno grandi aspettative e buon cibo, ma anche un gigantesco carrozzone folcloristico che trasfigura la quiete di San Vito lo Capo, in provincia di Trapani. Un tempo borgo silenzioso di pescatori trapanesi, oggi il paese è una delle mete turistiche più gettonate di tutta la regione, che ancora una volta si trasforma, dal 15 al 24 settembre, in un villaggio gastronomico a tutti gli effetti. Tante le varianti del piatto simbolo della manifestazione che saranno proposte dagli chef locali, e altrettanti gli showcooking dei volti noti della ristorazione italiana. Ospite d'eccezione, la food blogger Sonia Peronaci (fondatrice ed ex proprietaria di Giallo Zafferano), che porterà in scena la sua interpretazione del cous cous.

Cous Cous Fest | San Vito lo Capo (TP) | dal 15 al 24 settembre 2017 | www.couscousfest.it/

Milano Sake Festival (Milano)

Tra cibo e vino, c’è spazio anche per il sake. E per questo Milano si prepara a ospitare per il terzo anno consecutivo, dal 30 settembre al 1 ottobre, il festival dedicato al celebre distillato giapponese. Organizzata dall’associazione culturale La Via del Sake (con il patrocinio del Comune di Milano e del Consolato Italiano del Giappone), la manifestazione vedrà la partecipazione di produttori, importatori e distributori giapponesi di sake che introdurranno i visitatori alla degustazione di oltre trenta etichette del famoso vino fermentato di riso. Durante la rassegna sarà possibile acquistare i sake in degustazione presso lo shop interno, ma anche approfondire le tradizioni gastronomiche della terra del Sol Levante attraverso la proiezione di film, le conferenze dedicate alla produzione e alla storia del sake, e i dibattiti con esperti del settore.

Milano Sakè Festival | Milano | dal 30 settembre al 1 ottobre 2017 | aviadelsake.it/sake-festival/

Sana (Bologna)

Cresce il sistema alimentare biologico italiano, e aumenta di pari passo il numero dei visitatori del Sana, festival ormai consolidato dedicato ai prodotti naturali e biologici, dal cibo ai cosmetici. Un'occasione unica per ricevere tutti gli aggiornamenti in termini di trend di mercato, consumi e vendite. Cambiano, infatti, le scelte dei consumatori, sempre più consapevoli e orientati a una dieta sana, basata su prodotti controllati e a filiera certa, e continua a crescere anche la schiera di persone che sceglie di intraprendere uno stile di vita diverso, come quello del vegetarianismo. Fra seminari, forum e convegni, dall'8 all'11 settembre Bologna diventa una città green a tutti gli effetti, attenta al territorio e all'ambiente. Prodotti a parte, durante la manifestazione verranno presentate anche tutte le iniziative dedicate al recupero dei terreni e alla salvaguardia dell'ecosistema, come l'adozione a distanza di un albero da frutto.

Sana | Bologna | dall'8 all'11 settembre 2017 | http://www.sana.it

Rural Festival (Lesignano de' Bagni – Gaiole in Chianti)

Doppia location per una delle manifestazioni più attese dell'anno, Rural Festival, evento all'insegna della biodiversità, in scena dapprima nella campagna parmense e poi tra le colline del Chianti senese. Un festival che raduna agricoltori e allevatori della fertile Food Valley parmense al Parco Barboj, nella fattoria dell'azienda Rosa dell'Angelo, dal 2 al 3 settembre, e che torna il 16 e 17 a Gaiole in Chianti, nella provincia senese, dove nella piazza principale del paese allevatori e produttori si impegnano a promuovere quell'economia sana e sostenibile che fa leva sul recupero di antiche tradizioni e sulla tutela dei valori contadini. Una festa all'aria aperta per scoprire una quarantina di aziende custodi di antiche razze animali e varietà ortofrutticole disseminate tra le campagne emiliane e quelle senesi, che segna il successo crescente della famiglia Rural.

Rural Festival | Lesignano de' Bagni (PR) – Gaiole in Chianti (SI) | 2-3 settembre 2017; 16-17 settembre 2017 | www.rural.it/

Sweety of Milano (Milano)

Due giorni per sperimentare l'eccellenza del settore artigianale dolciario italiano, che si mette in mostra con i suoi protagonisti migliori. Carta dei dolci ricchissima, masterclass golose, incontri a tu per tu con maestri del calibro di Gino Fabbri, Iginio Massari, Sal De Riso: questo e molto altro è Sweety of Milano, manifestazione in scena il 16 e 17 settembre a Palazzo delle Stelline. Davide Comaschi, Andrea Besuschio, Luigi Biasetto, Vincenzo Tiri, Maurizio Santin: sono solo alcuni dei protagonisti del festival più dolce del capoluogo meneghino, impegnati in laboratori e workshop per i più piccoli. A Palazzo ognuno gestirà il proprio stand di degustazione e vendita, ma il calendario prevede anche una serie di masterclass destinate al pubblico, che cercherà di carpire tecniche e segreti del mestiere dai maestri che si avvicenderanno sul palco.

Sweety of Milano | Milano | 16-17 settembre 2017 | sweety.italiangourmet.it/

Mutina Boica (Modena)

Un'iniziativa originale giunta alla nona edizione, che si propone di far rivivere ai visitatori l'atmosfera di un'antica taverna romana. Come? Con la ricostruzione a cura di Crono organizzazione eventi, in collaborazione con i Musei Civici di Modena. Dal 1 al 10 settembre 2017 torna Mutina Boica, festival dedicato alla cultura gastronomica dell'epoca romana, con battaglie campali e giochi equestri. A ospitare la manifestazione, l'area del Parco Ferrari, e il Novi Ark di Modena, dove sarà possibile gustare antipasti, piatti principali e dessert tipici dell'antica Roma. Spettacoli, conferenze, concerti, laboratori animeranno la taverna per tutta la durata del festival, fra ricette del tempo, stand gastronomici e un mercatino artigianale a tema storico.

Mutina Boica | Modena | dal 1 al 10 settembre 2017 | www.facebook.com/mutinaboica/

Festival del baccalà (manifestazione itinerante)

Baccalà alla vicentina con polenta, bigoli al torcio di Limena con il baccalà, gnocchi di Posino al baccalà: sono solo alcuni dei piatti tradizionali a base di baccalà in degustazione all'ottava edizione del festival dedicato a un'antica tradizione gastronomica veneta. Dal 3 al 4 settembre, il baccalà diventa protagonista di una manifestazione gastronomica itinerante che abbraccia diverse località delle province venete, alla scoperta delle ricette più innovative e creative a base di merluzzo essiccato o salato. Cuore pulsante dell'evento è il Trofeo Tagliapietra, contest culinario che premia ogni anno la versione del baccalà migliore proposta dagli chef in gara. La posta in gioco è alta: il cuoco vincitore riceverà, infatti, un viaggio per due persone in Norvegia, alle isole Lofoten, patria dello stoccafisso.

Festival del baccalà | 3-4 settembre 2017 | www.festivaldelbaccala.it/

Peperoncino Festival (Diamante)

Venticinquesima edizione per il Peperoncino Festival di Diamante, in provincia di Cosenza, che ogni anno fa luce su uno dei prodotti di punta dell'agroalimentare calabrese. “Arte, cultura e gastronomia in salsa piccante” è lo slogan dell'evento, che si propone di raccontare usi e costumi di una popolazione che ha trovato nel peperoncino un “sovrano democratico e popolare”, in grado di mettere tutti d'accordo. Tante le iniziative all'interno del programma: showcooking, street food, degustazioni, e la ormai celebre gara fra vignettisti. Non mancherà, inoltre, la competizione fra mangiatori di peperoncino, che premierà il più temerario fra gli amanti del piccante.

Peperoncino Festival | Diamante (CS) | dal 6 al 10 settembre 2017 | www.peperoncinofestival.org/peperoncino/il-festival/

Tutti i prodotti di settembre

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Per qualcuno segna la fine delle vacanze e il rientro al lavoro, per altro, invece, l'inizio di un periodo più tranquillo. Per tutti, però, settembre è il mese in cui i prodotti più prettamente estivi lasciano il posto a quelli di passaggio verso i giorni più freddi, così come man mano cambiano le giornate, così lentamente cambiano profumi, sapori e colori dei nostri cibi.

La frutta

Questa estate torrida volge alla fine. E porta con sé i frutti più dolci, pure se si trovano ancora pesche, prugne e susine. L'uva di ogni tipo e colore, che di settimana in settimana giunge a piena maturazione nelle diverse regioni d'Italia. Italia è il nome di una delle varietà da tavola più comuni, insieme alla Regina. Ma ci sono anche Cardinal, Melissa Pizzutello. E poi ancora uva fragola e uva spina. Le angurie sono sostituite da male, pere e frutti di bosco. Se vi trovate vicino a delle macchie verdi, andateli a raccogliere. Potete poi usarli in macedonie o per fare confetture, preparaci dei culis da mettere sul gelato o per completare altri dolci. O congelarli e usarli in frullati durante l'anno. Ma i frutti di bosco sono perfetti anche per accompagnare le carni. Per i formaggi, invece, sono perfetti i fichi. Quelli in arrivo questo mesi si chiamano, appunto, settembrini. Dolcissimi, già da soli risolvono il dessert di fine pasto. Ma insieme al prosciutto trasformano la pizza bianca in una merenda irresistibile. Provate anche ad asciugarli per farne fichi secchi, o a metterli sulla griglia o in forno: vi stupiranno.

 

 

La verdura

La grande stagione di pomodori e melanzane, protagonisti sulle tavole in agosto, non è ancora finita. Fatene incetta, finché sono al massimo della bontà, per farne conserve: si tratti della passata di pomodoro (a proposito, osate anche con diverse varietà e non solo con il San Marzano). Via libera a sottoli e sottaceti. Ma, settimana dopo settimana, andranno a diminuire, lasciando il posto alle prime zucche e, nel procedere del mese, bietole, spinaci e cicorie e altre verdure in foglia. Nelle zone più fresche, confidando in un settembre più piovoso, dovrebbero arrivare i primi funghi: galletti, finferli, porcini, ovoli, chiodini e prataioli da fare fritti, al forno, trifolati, in insalata, o usati per un sugo o una zuppa. Sono il simbolo dell'autunno ormai alle porte.

 

 

Il pesce

Tra i banchi del nostro mercato virtuale non possiamo dimenticare quello del pesce. Anche su questo, come per gli altri, registriamo il passaggio tra la stagione calda e quella più rigida. Salutiamo quindi acciughe, orate, rombi, e scorfani, e accogliamo cefali, sardine, sogliole. E l'anguilla, per quanto riguarda i pesci di acqua dolce. Il pesce azzurro è forse quello che, meglio di ogni altro, identifica la nostra tradizione. Oggi parliamo di sarde: le ricette si inseguono in tutta Italia; in saor in Veneto, a beccafico in Sicilia, o come condimento nella pasta, sempre in Sicilia. Fritte dorate, sottolio, al forno, al forno alternate con pangrattato e pomodorino, le possibilità sono tantissime. Economico e salutare, è uno dei pesci considerati poveri, che invece racchiudono un tesoro inestimabile.

 

 

a cura di Antonella De Santis

 

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