Quantcast
Channel: Gambero Rosso
Viewing all 5335 articles
Browse latest View live

Bere bene in Salento. I cocktail di Quanto Basta raddoppiano con Cubi a Maglie

$
0
0

Quando 4 anni fa aprivano il loro street bar a Lecce, Diego Melorio e Andrea Carlucci sapevano di lanciarsi in un sfida. La miscelazione in Salento, all’epoca, era concetto quasi esoterico. E Lecce poco disposta a comprendere un cocktail bar senza cucina. E invece di strada Quanto Basta ne ha fatta eccome. E da poco ha raddoppiato a Maglie. 

Quanto Basta. Una sfida, nel centro di Lecce

Via Paladini, 17. Lecce. Meno di 300 metri a piedi dalla celebre Cattedrale dell'Assunta, tra le attrazioni più visitate del capoluogo salentino. In numeri e date, questa storia, potrebbe riassumersi così: 37 metri quadri, come lo spazio calpestabile ridottissimo di Quanto Basta, street bar ideato, “su misura”, da Diego Melorio Andrea Carlucci; 4 anni, come le candeline che il prossimo 29 agosto sanciranno l'ennesimo traguardo della sfida intrapresa alla fine dell'estate 2013. E diversi anni in più di totale disinteresse a carico del piccolo spazio commerciale lasciato abbandonato a se stesso fin quando Diego e Andrea non hanno intravisto le sue potenzialità: “Quando l'abbiamo scelto, il locale era sfitto da 13 anni, sebbene in zona centralissima, nel quartiere della movida”. Il motivo è semplice: cosa farsene di uno spazio così che non permetteva di aprire una cucina, né tanto meno la realizzazione di un bel bancone con mostra? “Negli ultimi anni la scena gastronomica di Lecce è molto cambiata, per non parlare di quella della miscelazione. Quando abbiamo aperto noi era impensabile servire solo da bere, anche solo concepire un cocktail bar dove a giocare da protagonista fosse la drink list. Niente frigoriferi per vino o birra, nessun bancone per snack e proposte veloci. Neppure una cucina di supporto per preparare un rustico, o un piatto del giorno. Impensabile in città, figurarsi in pieno centro”. Diego e Andrea c'hanno creduto che qualcosa di nuovo potesse servire a smuovere le acque: un'attitudine diversa, uno spazio che di quel barocco leccese celebrato nel mondo non condividesse gli eccessi e lo sfarzo ampolloso, ma solo il calore di un'accoglienza che punta prima di tutto al piacere dell'ospite. Quanto basta, e nulla più.

 

Quanto Basta. La poesia del bar

Due anni dopo, nel 2015, Bargiornale li celebrava come miglior bar d'Italia a insindacabile giudizio del web, chiamato a esprimersi per assegnare i BarAwards. Una consacrazione sulla scena nazionale della miscelazione frutto di un lavoro fatto a testa bassa, che ancor prima di puntare alla definizione di ricette e creazioni per stupire, guardava a costruire un mood unico, e per questo tanto apprezzato da clienti abituali e avventori di passaggio, pur in uno spazio che tutto sembrava fuorché confortevole. E invece doveva diventarlo. A distanza di due anni ancora, la scommessa può dirsi vinta con punteggio pieno: se la scena della movida cittadina è gradualmente cambiata, un po’ è anche merito loro, come è vero sul versante della ristorazione per i Bros. Andrea questa cosa ci tiene a sottolinearla, senza presunzione, felice che oggi, in città e nel Salento ci si possa confrontare con attori diversi: “Quattro anni fa non si trovava un solo Bloody Mary o un Old Fashioned in città. Il jigger era un oggetto sconosciuto, oggi anche nel piccolo bar di provincia c’è un barman che lo usa”. Non è cosa di poco conto, perché si tratta di importare una nuova cultura del bere, più consapevole, e piacevole allo stesso tempo. “Noi dal canto nostro siamo in crescita esponenziale, e questo ci lusinga e ci continua a sorprendere. La gente non viene solo per i drink, ma per l’atmosfera. Da noi sta bene, non si sente giudicata se ordina semplicemente un gin tonic. Non basta fermarsi alla drink list, la poesia del bar risiede in un insieme di elementi ben più complessi”. E infatti, oggi che da Quanto Basta si alternano in 6, Diego e Andrea, che comunque restano il fulcro dell’attività (persino le postazioni dietro al piccolo bancone sono disegnate su misura per loro, le hanno progettate personalmente), non sono indispensabili: “L’idea era quella di creare un gruppo affiatato. Il cliente non deve accorgersi che non ci siamo. Entra da noi e vuole stare bene, chiunque trovi a servirlo”.

I cocktail

La formula Quanto Basta, nello specifico, prevede una serie di cocktail veloci da riprodurre, “perché non si deve creare fila al bancone”, ben eseguiti, molti ingredienti in bottiglia, i classici della miscelazione proposti a regola d’arte. E poi il taglio sartoriale, per i clienti più curiosi: “Il bar sta diventando un laboratorio, ma è necessario tenere di vista l’equilibrio. Largo ai twist, e alle sperimentazioni, ma solo per chi ha voglia di ascoltare e scoprire qualcosa di particolare. Se vuoi un gin tonic, devo darti il miglior gin tonic. Il mix perfetto è quello che unisce accoglienza, tranquillità e divertimento: bandita la noia”. Sui twist su richiesta, per dir la verità, Diego e Andrea, che in fondo un po’ alchimisti lo sono, non lesinano. Il Castello, per esempio, è tra i signature che hanno riscontrato maggior successo: si parte dal Tommy’s Margarita, nel bicchiere finiscono mezcal, sciroppo d’agave, lime, due tipi di tabasco e menta. L’altra qualità che non sembra far difetto a questi ragazzi è la voglia di sperimentare sempre cose nuove, condividere una progettualità che abbraccia diverse sfaccettature dell’ospitalità e della miscelazione.

 

Cubi a Maglie

Così, alla metà di maggio, è nato Cubi, locale gemello di Quanto Basta, a Maglie. Perché aprire un cocktail bar in una cittadina di 15mila abitanti, quando già Lecce è stata una sfida? “Maglie è 30 chilometri più a Sud di Lecce, nel centro del Salento, facilmente raggiungibile da molte località della regione. E commercialmente è molto attiva, anche se la sera si spegne. È difficile trovare un buon bar per bere qualcosa. Tutte queste cose insieme ci hanno spinto a provare”. I soci coinvolti nel progetto sono tre (Francesco Coluccia, Stefano Leo, Mirco Rizzolomini), Diego e Andrea hanno passato loro il know how, curato la supervisione, voluto il gemellaggio: “Ci siamo trovati un’estate per un progetto insieme, ci siamo piaciuti, abbiamo deciso di avviare la start up. Chiaro che Cubi dovrà crescere per la sua strada, la filosofia però è condivisa col Quanto Basta”. Lo spazio è più grande, una settantina di metri, di cui 10 impiegati per il laboratorio: tra qualche tempo questo permetterà di far uscire qualche accompagnamento per i drink, “nulla di troppo elaborato però, il cibo non deve prendere il sopravvento”. Essere nella zona pedonale garantisce anche qualche tavolo all’aperto. All’interno, dietro al banco, due postazioni. L’atmosfera è sempre quella rilassata del QB, i clienti stanno già premiando il coraggio: “Ora per provare i nostri drink non è più necessario arrivare fino a Lecce”. Altri progetti per il futuro potrebbero concretizzarsi presto, “purché sia qualcosa di ancora nuovo, diverso, perché ci piace pensare oltre”.

Per il momento ci si concentra sul parterre degli ospiti che arriveranno a festeggiare il quarto compleanno di Quanto Basta; gli anni passati hanno visto avvicendarsi tante glorie della miscelazione romana – “ci sentiamo molto in sintonia con Roma e con i suoi bartender” -  e chissà che anche stavolta non si guardi in quella direzione. Per chi volesse scoprirlo di persona l’appuntamento è per il 29 agosto. Nel centro di Lecce.

 

Quanto Basta | Lecce | via Paladini, 17 | dalle 20 alle 2

Cubi | Maglie (LE) | via San Giuseppe, 12 | dalle 19 alle 2

 

a cura di Livia Montagnoli


Agrifiction. Un produttore di miele s'inventa il Truman Show delle api

$
0
0

Giorgio Poeta è un'istituzione nel settore apistico nazionale: fra progetti innovativi ed esperimenti golosi, il giovane apicoltore si aggiudica l'Oscar Green 2017 della Coldiretti per la categoria Impresa 2.Terra, con il suo originale documentario sulle api.

Giorgio Poeta

Classe '84, figlio di agricoltori e una laurea in agraria: Giorgio Poeta ha cominciato per caso a interessarsi al settore dell'apicoltura, dopo aver ricevuto un insolito regalo da suo padre. “Dopo il diploma, mio papà è tornato a casa con due arnie che gli erano state donate da un amico. Non sapeva cosa farsene e così ho iniziate a curarle io”. Quell'episodio fa nascere la passione per il miele, tanto da spingerlo a iscriversi alla facoltà di agraria all'Università di Ancona. Frequenta poi un corso base di apicoltura, e a 26 anni inizia a lavorare i terreni di famiglia a Fabriano, creando una delle aziende migliori d'Italia. Tante le specialità della casa, ma a rendere famoso Giorgio è stato il miele di acacia invecchiato in barrique, il Carato, “un'idea nata nel 2011 durante una cena con degli amici viticoltori che parlavano di far invecchiare il Verdicchio nelle botti. È stato allora che ho pensato: perché non provarci anche con il miele?”. Un esperimento che gli fece guadagnare, nel 2011, il suo primo Oscar Green. C'è poi il miele d'acacia con infusione di anice stellato e anche l'"idromiele", “sia classico che barricato”, un blend di tre mieli unifloreali – acacia, atachys e girasole – che viene fatto fermentare con acqua di sorgente e lievito per circa 9 mesi.

Il progetto

Un apicoltore intraprendente forte di una mentalità imprenditoriale, che anno dopo anno continua a raccogliere l'entusiasmo degli appassionati con i suoi progetti innovativi. L'ultima iniziativa gli è valsa il riconoscimento Oscar Green 2017 della Coldiretti per la categoria Impresa 2.Terra, premio dedicato alle attività agroalimentari impegnate nell'arricchimento del territorio. L'idea di Giorgio parte proprio dalla voglia di tutelare e promuovere la sua zona, attraverso una serie di video promossi sul canale web tramite i social media, e focalizzati sul lavoro svolto dalle api all'interno di un'arnia. Si chiama Agrifiction, e si propone come una sorta di reality show dell'agricoltura, un progetto di due puntate che ha avuto come protagoniste due diverse aziende marchigiane. Un documentario alla scoperta dell'origine di un prodotto tanto consumato quanto poco conosciuto come il miele, un lavoro di informazione e formazione del pubblico che pone l'accento sul ruolo fondamentale delle api, insetti da salvaguardare e tutelare. Uno studio approfondito che ha come obiettivo quello di diffondere il più possibile la cultura del miele di qualità fra i consumatori, ricerca che conferma nuovamente Giorgio come uno dei professionisti più preparati e impegnati in campo agronomico. Il futuro dell'apicoltore? “A strisce gialle e nere. Stiamo crescendo ogni anno e di progetti ne abbiamo tanti. Ho scritto la mia storia e spero di proseguire. Insieme alle api. Perché quando parlo al plurale parlo di me e di loro”.

Giorgio Poeta | Fabriano (AN) | via Dante 71 e | tel. 0732 041982 |www.giorgiopoeta.it

a cura di Michela Becchi

In Valle d'Aosta si produce l'unico lardo Dop d'Europa. E la Festa del Lard d'Arnad lo celebra

$
0
0

Dal 24 al 27 agosto, come ogni anno alla fine dell'estate, il Lard d'Arnad richiama migliaia di visitatori tra le montagne della Valle d'Aosta, dove la lavorazione tradizionale del lardo è preservata dagli artigiani locali. Come la Maison Bertolin, che quest'anno festeggia 60 anni di attività. 

La famiglia Bertolin e il lardo d'Arnad. 60 anni di storia

Sessant'anni di attività e una tradizione preziosa da preservare, tra le montagne della Val d'Aosta, senza rinunciare ad aggiornarsi sulle più efficaci strategie di comunicazione. La primavera scorsa, la Maison Bertolin di Arnad si aggiudicava a Cibus il premio Salumi&Consumi 2017, per la migliore campagna di comunicazione per la valorizzazione del prodotto tipico. Che nel caso specifico di un'impresa che si appresta a spegnere le sue prime 60 candeline con una grande festa di piazza il prossimo 1 ottobre, è il pregiato lardo d'Arnad Dop, di cui la famiglia Bertolin si è fatta portabandiera nel mondo.  Nel 1957, il presidio di famiglia nasceva come semplice macelleria di montagna per iniziativa di Guido Bertolin; oggi, con la seconda e terza generazione, la Maison si è trasformata in un moderno stabilimento in località Champagnolaz, ma il suo legame con il territorio e la tradizione, la selezione della materia prima e il controllo della qualità, sono rimasti invariati. E alimentano una specializzazione che non si limita al prodotto di punta, tramandando specialità norcine della Vallée, dalla motzetta al teteun, al salame cotto di capra Lo Boc (l'ultimo arrivato è il Franbon, un prosciutto crudo stagionato al genepy raccolto in alta quota). Per scoprirlo, chi arriva in pellegrinaggio gastronomico fino al salumificio artigianale di Champagnolaz può ripercorrere le diverse fasi di lavorazione della carne dalle vetrate che corrono lungo tutto il perimetro dello stabilimento: una trasparenza che non si limita  all'etichetta, per diventare invece motivo di attrazione e scoperta condivisa di antiche tecniche di lavorazione di salumi e insaccati. Gli stessi che affollano il banco e gli scaffali della boutique adiacente, lo Scrigno dei Sapori, che mette in mostra tutte le specialità regionali artigianali (si può anche prenotare una degustazione in bottega).

 

Il Lard d'Arnad

Il lardo locale, però, ha una storia a sé, tra i rituali legati alla macellazione del maiale da tempi antichissimi: il grasso è dolce, morbido e scioglievole, la parte magra più sapida e consistente. Prima di arrivare in tavola, la maturazione in salamoia si protrae per almeno 3 mesi dentro i doils in legno di castagno o rovere, in strati sovrapposti di lardo alternato a sale, erbe del territorio (di rosmarino, per esempio, solo la Maison Bertolin ne produce sette quintali ogni anno, e tutta la fase di pulitura viene eseguita a mano) e spezie. In casa si produce anche il cosiddetto arnaiot, una variante alle erbe che per disciplinare non rientra nella stessa denominazione (che vincola all'utilizzo di spallotti di maiale di provenienza certificata da 5 regioni del Nord: Valle d'Aosta, Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna e Veneto). Dal 24 al 27 agosto, come tradizione vuole (siamo alla XLVIII edizione), la specialità della valle sarà protagonista della Festa del Lard di Arnad, la “Féhta dou Lar”, che ogni richiama migliaia di appassionati e turisti , specie per l'ultima serata in programma, quando i produttori allestiscono nella radura della Keya i caratteristici chalet in legno con una mostra dei prodotti tipici del territorio.

 

La Festa del Lard d'Arnad

Ma è nel corso di tutta la rassegna che la Maison Bertolin si presta a celebrare gli onori di casa con il laboratorio del gusto dedicato a Rinaldo Bertolin; in collaborazione con Slow Food, ogni sera, da giovedì a sabato, si avvicenderanno in cucina tre chef chiamati a valorizzare le caratteristiche del lardo d'Arnad in modo originale, con l'elaborazione di tre menu inediti, ma comunque ispirati alle ricette della tradizione locale. Mentre il “ristorante” della festa sarà aperto per pranzo e cena (sabato con orario continuato) per proporre piatti e prodotti del luogo “a la moda d'Arnà”: la minestra de Gri con l'orzo, le verdure e un po' di lardo ad ammorbidirne il gusto, la polenta concia arricchita con fontina e toma (ma tutti la chiamano “la grasa”, facile capire perché), il bollito con i suoi bagnetti. O anche solo un buon piatto di lardo d'Arnad con miele e castagne lessate. E sabato 26 agosto, folclore nel folclore, si ripete pure la Battaille des chevres in notturna, con la capre di razza valdostana autoctona chiamate al confronto. Chi vincerà?

 

Maison Bertolin | loc. Champagnolaz, 10 (Arnad, AO) | www.bertolin.com

a cura di Livia Montagnoli

 

Le ricette di Laura Ravaioli in Israele. Il pesce alla mediterranea

$
0
0

Sono le annotazioni prese durante il cammino da Gerusalemme a Tel Aviv, con impressioni, incontri e cucina, che tracciano i contorni e i confini della diversità culturale tipica di Israele. Sono gli appunti di viaggio di Laura Ravaioli.

Un diario di viaggio in sei puntate alla scoperta della tradizione gastronomica israeliana, ovvero un incontro di storie, di pietanze, prodotti, paesaggi e tradizioni diverse. È quello che racconta Laura Ravaioli nel suo nuovo programma Appunti di viaggio. Laura Ravaioli in Israele, in onda tutti i martedì su Gambero Rosso Channel alle ore 21:30. Durante la quinta puntata la chef arriva ad Akko, nota in italiano come Acri, San Giovanni d'Acri o Tolemaide.

Uri Buri

Laura Ravaioli arriva ad Akko, e qui conosce Uri Buri

Passeggiare per le strade di Akko con Uri Buri è una vera e propria esperienza: lui è un personaggio straordinario, che diventa difficile definire in poche parole. Ha un ristorante conosciuto in tutto il mondo per la semplice ma sofisticata qualità della sua cucina. Ed è conosciuto anche come Effendi, dal nome del suo piccolo e meraviglioso albergo, un vero gioiello dove la tradizione si incontra con la modernità. Con lui visito il mercato arabo di Akko, per Uri una sorta di salotto dove conosce tutti ed è conosciuto da tutti. Dopo i saluti di rito, mi mostra la bellezza e la bontà dei prodotti in vendita, per poi goderci un aperitivo a base di felafel seduti proprio in mezzo al mercato. Mi sono sentita la regina di Akko! La ricetta che ci propone Uri Buri è all’insegna della bontà e della semplicità, tanto che il suo nome è semplicemente “Pesce alla mediterranea”. Ovviamente tutto si basa sulla qualità e la freschezza del pescato locale, e su una cottura ridotta al minimo.

Pesce alla mediterranea

Ingredienti

2 tranci di spigola con la pelle

1 presa di sale grosso

8 cucchiai di olio extravergine di oliva

2 filetti di acciuga sottolio

2 cucchiai di aglio tagliato sottilissimo

2 peperoncini verdi freschi

1 limone il succo

Coriandolo fresco spezzettato

I tranci di pesce vengono scottati alla griglia con del sale grosso dalla parte della pelle (se non avete la griglia, a casa può andare bene anche una padella antiaderente dal fondo molto spesso). La cottura è minima: non appena la polpa accenna a cambiare colore e il trancio scivola sulla superficie della piastra, grazie alla crosticina che si è formata, lo si gira un attimo dalla parte della polpa. Intanto in un padellino mettere l’olio con i filetti di acciuga, far scaldare bene e quando frigge aggiungere il resto degli ingredienti. Non appena il pesce è pronto trasferirlo nella salsa, farlo insaporire per pochi istanti, togliere dal fuoco e aggiungere infine il coriandolo. Con un cucchiaio versare la salsa sul pesce e servirlo nel suo stesso recipiente di cottura accompagnato da tanto pane per raccogliere la saporita salsa.

 

a cura di Laura Ravaioli

 

Questi e altri piatti della tradizione ebraica, Laura Ravaioli ce li racconta in Appunti di viaggio. Laura Ravaioli in Israele. In onda tutti i martedì su Gambero Rosso Channel alle ore 21:30, a partire dal 18 luglio 2017

 

Appunti di viaggio. Laura Ravaioli in Israele

Il pane dello Shabbat

Injera, il pane dell’Etiopia

Le borekitas, deliziosi fagottini dolci

I sinya, sfiziosi bocconcini di carne ricoperti di salsa tahina  

 

Bonci apre a Chicago. Foto in anteprima dal nuovo locale Usa. “Sono emozionato”

$
0
0

Materie prime ricercate, impasti d'eccezione, una pizza unica nel suo genere. Questo e molto altro è Gabriele Bonci, il Michelangelo della pizza che ha rivoluzionato il panorama capitolino, italiano e che considerato  come un mito negli Stati Uniti. Ecco alcune foto in esclusiva del locale che apre oggi a  Chicago, il primo per Bonci fuori dall’Italia.

L'apertura a Chicago

Gabriele Bonci con i suoi punti vendita nella Capitale e a Lucca è da anni il pizzaiolo più noto, amato e innovatore. Sia perché ha stravolto il concetto stesso di pizza a taglio (ma presto si misurerà anche con altri formati), sia perché ha creato una filosofia tutta sua che è diventata ispirazione per centinaia di professionisti, imprenditori o aspiranti pizzaioli. Dopo diversi progetti d'avanguardia messi a punto a Roma e ora anche a Lucca, Bonci ha superato i confini nazionali aprendo un locale a Chicago, portando così nell'Illinois il gusto della vera pizza a taglio alla romana, e soprattutto un nuovo concetto di arte bianca. "Quello che mi aspetto da questo progetto è far diventare il mio credo un marketing, una missione e, di conseguenza, una visione”, così ci raccontava la sua idea lo scorso inverno, con l'entusiasmo e la consapevolezza di un vero professionista. Il locale apre i battenti oggi, 14 agosto 2017, e per il pizzaiolo questa inaugurazione rappresenta la concretizzazione di un sogno: "Sono molto emozionato e orgoglioso, perché ritengo che questo non sia solo un grande risultato per me, ma anche un trampolino di lancio per tutti coloro che vogliono esportare il format della pizza in teglia alla romana nel mondo”.   

La società

Ad affiancarlo in questa avventura, due soci d'eccezione, Rick Tasman e Chakib Touhami, entrambi nel settore della ristorazione da sempre, oggi alle prese con la nuova società Bonci USA. "Non siamo noi a scegliere, semplicemente cerchiamo di facilitare il suo ingresso negli Stati Uniti, ma è lui ad avere l'ultima parola ed è lui a dover approvare tutto", questi gli accordi della Bonci USA, che a Chicago ripropone una formula simile a quella della pizzeria in via della Meloria, ma non identica.

I prodotti e il locale

Sangamon Street, zona West Loop. Qui, in uno spazio di 130 metri quadri, un team tutto stellestrisce sarà intento a preparare pizze in stile Bonci con materie prime italiane e americane. Piccole farms che lavorano in regime biologico o biodinamico (qui si dice “organic”), produttori con un occhio di riguardo alla salute dei consumatori e del territorio: questi i principi che indirizzano le scelte di Bonci, esperto selezionatore che nei suoi locali ha scelto di proporre solo il meglio di ogni ingrediente. Uno spazio con pochi posti a sedere, caratterizzato da uno stile pulito ed essenziale, tutto giocato sul bianco e marrone, colori che da tempo contraddistinguono il marchio Bonci nel mondo della pizza. Un'inaugurazione che rappresenta solo il punto di partenza di un progetto ben più ampio, che prevede l'apertura di tanti diversi punti vendita negli Stati Uniti e non solo.

Intanto, direttamente da Chicago, ecco una serie di foto in esclusiva dalla neonata pizzeria.

{gallery}Bonci Usa{/gallery}

Come riconoscere le carni bianche di qualità. E la ricetta pollo e peperoni di Max Mariola

$
0
0

In occasione di Ferragosto a Roma lo si prepara con i peperoni. Ma come riconoscere un buon pollo sui banconi di una macelleria o di un supermercato? Ecco qualche consiglio pratico.

Nel corso di Gourmet Food Festival parleremo di carni, di come riconoscere quelle di qualità sui banconi di una macelleria o di un supermercato, di quali scegliere e di come cucinarle. Ma in occasione di Ferragosto vi anticipiamo qualcosa sul pollo, regalandovi la ricetta (di Max Mariola) che lo vede protagonista insieme ai peperoni.

Le carni bianche

Le carni bianche si definiscono tali in base al colore che assumono dopo la macellazione. Questa codifica affonda le radici in un’antica teoria nutrizionale che suddivideva gli alimenti in base al colore per favorire la buona salute. Si credeva che gli umori del corpo, distinti per colore, dovessero, per trovarsi in equilibrio, essere contrastati con alimenti di colore opposto. Di qui la distinzione in carni bianche, rosse e nere in uso ancora oggi. In realtà è la quantità del pigmento rosso mioglobina a determinare il colore delle carni. Fanno parte di questa categoria: pollo, tacchino, coniglio, oca, agnello e capretto, maiale, vitello e vitellone. Più leggere e digeribili delle rosse, queste carni sono spesso protagoniste delle diete, ma si adattano bene anche a ricette sfiziose ed economiche, pensiamo per esempio al pollo con i peperoni (gustatevi il video). Prima di passare alla ricetta, però, vediamo qualche consiglio per l'acquisto del vostro pollo.

Il pollo e le diverse classificazioni

Sono trascorsi 6000 anni da quando il pollo fu addomesticato nella Valle dell’Indo in Asia meridionale. In Grecia nel V secolo era diffuso come animale da cortile, complice la facilità dell’allevamento e dell’alimentazione: si ciba dei resti della cucina e di quanto trova sull’aia. Inizialmente veniva allevato per le uova e il piumaggio; solo nel XVIII secolo arriva sulle tavole diventando pietanza simbolo delle famiglie ricche. Nel dopoguerra conquista le famiglie italiane imponendosi soprattutto nella cottura arrosto accompagnato dalle patate, come piatto della domenica. Con l’affermarsi dell’allevamento industriale, il consumo di carne di pollo è cresciuto in tutto il mondo. A farne le spese è stata la qualità della carne in commercio, ottenuta da animali cresciuti troppo in fretta. Con il termine “pollo” si intendono sia i maschi che le femmine della specie Gallus gallus domesticus allevati per usi alimentari o per la produzione di uova. Il maschio riproduttore è più propriamente chiamato gallo, la femmina (l'esemplare da uova), gallina.

A seconda dell'età e del peso il pollo viene definito:

pollastro, fino a 3-4 mesi e 600 g. In genere il pollastro è allevato in libertà nell’aia;

pollo di grano, fino a 1 anno e 1 kg;

pollo e pollastra, fino a maturità e 1,5 kg circa;

galletto, maschio giovane di circa 6 mesi,fino a 650 g;

gallo ruspante, al massimo di 10 mesi;

cappone, maschio castrato all'età circa di due mesi che arriva fino a circa 2,5 kg, macellato a 6-7 mesi di vita.

gallo

Prima di acquistare, leggete l'etichetta

La prima importantissima regola che si deve seguire nell’acquisto della carne è affidarsi a un venditore di fiducia. Che tenga aggiornato il cliente sulla provenienza dei suoi prodotti, che, perché no, gli permetta di visitare direttamente luoghi e modalità di allevamento degli animali. Tuttavia, non sempre è possibile fare la spesa dal macellaio e, soprattutto per questioni di tempo, capita molto spesso di acquistare carne al supermercato. In questo caso è importante leggere attentamente l'etichetta adesiva che si trova sulla confezione. Oltre al taglio, al peso e alla data di scadenza occorre soffermarsi sulla provenienza, che sia certa e certificata prima di tutto. Vi facciamo un esempio pratico: quando sull’etichetta c'è la scritta “Origine Italia” significa che gli animali sono nati, allevati e macellati nel nostro paese. Quando, invece, si trova la frase allevato in Italia e macellato in Italia vuol dire che l’animale è nato all’estero e poi è stato trasportato nel nostro paese per essere allevato e macellato. Gli allevamenti che indicano nome, indirizzo e località dell'azienda (quelli che ci mettono la faccia, per intenderci) sono da preferire a tutti gli altri. In questo modo consentono al consumatore di rivolgersi direttamente alla fonte per qualsiasi dubbio, reclamo o semplicemente curiosità. Detto questo, vediamo qualche dritta per un acquisto oculato.

Come riconoscere un pollo di qualità sui banconi di una macelleria o di un supermercato

Sicuramente la prima cosa da guardare è la conformazione della bestia: un petto non troppo largo, molto profondo e lungo, è indice di qualità della carne. Mentre un petto molto gonfio e largo è il segnale che ci si trova di fronte a un pollo allevato intensivamente. Poi è importante osservarne le carni: devono essere sode ed elastiche al tatto (purtroppo questa è una verifica che si potrà fare solo dopo), di colore roseo. La pelle non deve risultare umida e appiccicosa, le ossa del petto flessibili solo nella parte inferiore. Gli addetti del settore, poi, consigliano di dare uno sguardo anche alla testa dell’animale (che dovrebbe essere tagliata solo al momento della vendita): pelle soda e non troppo staccata dalla struttura ossea, occhi non affossati. Infine c'è la pezzatura: un pollo ruspante pesa intorno ai 2 kg (il peso ovviamente dipende dall’età, ne peserà 1,2 kg all’età di sei mesi, per esempio), come già detto presenta un aspetto più snello e sodo e il grasso della sua carne è giallognolo. Mentre i migliori polli d’allevamento che si possono trovare in commercio hanno un’età compresa tra i tre e i quattro mesi per un peso che oscilla da 1,2 a 1,4 kg.

Privilegiate l'animale che pascola all'esterno

Demonizzare allevamenti e produzioni industriali sarebbe un errore, soprattutto se ci si riferisce ad aziende che rendono il processo produttivo trasparente e ripercorribile al cliente. Tuttavia, preferire carni di animali provenienti da allevamenti all’aria aperta, liberi di muoversi e alimentati con cibi sani, rimane una scelta di qualità, che prima di tutto premia il lavoro faticoso di chi segue determinati principi: mantenimento delle biodiversità, per esempio, alimentazione sana, benessere dell’animale e allevamento allo stato brado. Sono sempre più numerosi gli allevatori che hanno scelto di recuperare l’allevamento di razze antiche, di selezionare le migliori (soprattutto dal punto di vista gastronomico), cercando di lavorare al meglio. A cominciare dal luogo destinato all’allevamento: lontano dai centri abitati, dal traffico e dall’inquinamento, luoghi in cui arrivi acqua “buona” e si respiri aria pulita. Per continuare con l'alimentazione degli animali con materie prime di qualità, che rendono la carne più ricca da un punto di vista nutritivo: la vita all’aria aperta e l’allevamento allo stato brado consente di ottenere carni più ricche di omega 3 e di collagene, e decisamente più saporite, che quasi riportano ai profumi della campagna.

Il pollo con i peperoni di Max Mariola

 

Gourmet Food Festival | Torino | Lingotto Fiere, via Nizza, 294 | dal 17 al 19 novembre 2017, venerdì dalle 17 alle 23, sabato dalle 10 alle 23, domenica dalle 10 alle 20 | www.gourmetfoodfestival.it

Questo articolo è tratto dal volume “Carne” dei Manuali di cucina del Gambero Rosso.

 

a cura di Annalisa Zordan

 

Gourmet Food Festival 2017

Il pesce: conoscerlo e saperlo cucinare grazie ai consigli di Gianfranco Pascucci

Pasta secca e come sceglierla grazie ai consigli di Peppe Guida

 

Idee creative. Il tagliere con la ricetta dell'amatriciana per aiutare Amatrice

$
0
0

The cutting board for Amatrice, l'hanno ribattezzato in inglese i suoi inventori, Daniele Baglioni e Diego Savalli. Cos'è? Un tagliere circolare in legno, inciso a laser per indicare ingredienti e quantità per l'amatriciana perfetta a chi voglia cimentarsi con il piatto simbolo di Amatrice. E aiutare la ricostruzione.  

Obiettivo ricostruire

24 agosto 2016. L'orologio segna le 3.36 quando Amatrice è bruscamente svegliata da una scossa fortissima. Magnitudo 6.0 sulla scala Ricther. Come la cittadina circondata dalla quiete dei Monti della Laga, anche tanti altri centri abitati dell'Italia Centrale al confine tra Lazio, Abruzzo, Umbria e Marche continuano a pagare lo scotto di quella notte, e i terremoti delle settimane successive. È passato quasi un anno da quel giorno, le difficoltà non sono mai mancate, la ricostruzione arranca. Ma i segnali di speranza alleviano l'attesa che un giorno, non troppo lontano, tutto possa ricominciare a girare per il verso giusto, pur nell'impossibilità di rimuovere il ricordo di una tragedia. Ci si muove a piccoli passi, dicevamo, con l'aiuto di tutti. Da una settimana sono operativi i primi ristoranti del villaggio del cibo Amate Amatrice, mentre le iniziative di solidarietà continuano a imperversare nella Penisola. E ognuno può dare il suo contributo, come dimostra la storia di Daniele Baglioni e Diego Savalli, due creativi romani che insieme hanno concretizzato un'idea, ispirati dal piatto che, suo malgrado, è diventato il simbolo del sisma: la pasta all'amatriciana.

Se è vero che il valore aggiunto di una tavola imbandita è quello di mettere tutti d'accordo, favorendo lo scambio e la condivisione, e scacciando per un po' i brutti pensieri, l'amatriciana celebrata in tutti i ristoranti della zona prima del terremoto si è vestita nell'ultimo anno da musa di solidarietà ed emblema di una comunità molto legata alla tradizione rurale e ai prodotti del suo territorio.

Il tagliere per l'amatriciana

E allora perché non approfittare per divulgare la ricetta autentica (che, come sempre al cospetto dei piatti nazional popolari, infiamma dibattiti accesissimi) in modo originale, pratico, simpatico e solidale? La risposta si chiama The cutting board for Amatrice: un oggetto di design a primo impatto, un tagliere per non dimenticare Amatrice nelle intenzioni di chi l'ha creato. In legno, di forma circolare, 27 centimetri di diametro, bello da collezionare e utilizzare, il tagliere dei due creativi romani nasconde una particolarità: la ricetta dell'amatriciana incisa in modo figurato, con ingredienti – guanciale, san Marzano, pecorino, peperoncino, pasta - e quantità corrette per realizzarla; per ogni ingrediente una porzione di tagliere da ricalcare. Il ricavato delle vendite, online sul sito del progetto, è devoluto in beneficenza per la ricostruzione di Amatrice, e dal 15 giugno, quando l'idea è stata lanciata allo IED di Roma, le richieste hanno già raggiunto quota 300, “un bel traguardo per un oggetto artigianale, considerando pure le tante email di supporto ricevute”, racconta Daniele. Il Comune di Amatrice, intanto, ha concesso il patrocinio all'iniziativa, e beneficerà direttamente degli incassi. Venduto in confezione regalo, il tagliere si acquista a 29 euro (con le spese di spedizione, in Italia, si arriva a 37). Il formato più giusto per gustare una buona amatriciana, a detta dei ragazzi, è lo spaghetto. Siamo tutti d'accordo?

www.thecuttingboardforamatrice.com

 

a cura di Livia Montagnoli

Insetti da mangiare. La Svizzera dà via libera a polpette e burger di larve e cavallette

$
0
0

Grilli, cavallette, larve della farina. Sono gli insetti considerati commestibili in Svizzera, dove una nuova legge si impegna a regolamentare il consumo di questi nuovi prodotti. Dal 21 agosto 2017, sugli scaffali dei supermercati Coop della Confederazione, arrivano gli alimenti a base di farine proteiche.

L'entomofagia e il regolamento europeo

Sono stati definiti novel food e, secondo il vecchio regolamento del Parlamento europeo, si tratta di “tutti quegli alimenti, ingredienti e tecniche di produzione alimentari per i quali non è dimostrabile un consumo significativo” (CE 2558/97). Una categoria che comprende gli insetti, ma anche ingredienti costituiti a partire da microrganismi, funghi e alghe e tutti quei prodotti che sono stati sottoposti a un processo di produzione generalmente non utilizzato. Un regolamento vecchio di vent'anni, recentemente sottoposto a un rinnovo che, a partire dal 1 gennaio 2018, potrà portare sulle tavole italiane insetti e alimenti a base di farine proteiche (da grilli e cavallette). A patto che l'Efsa – Agenzia Europea per la Sicurezza alimentare – riconosca la qualità del prodotto, ammettendolo tra i novel food.

La cultura degli insetti a tavola

Per quanto possa sembrare strano, l'entomafogia è all'ordine del giorno, anche nei paesi occidentali. Di insetti si vive, e su questo aspetto bisogna iniziare a riflettere in una prospettiva di alimentazione sostenibile. Questa dieta, infatti, non è (solo) una moda o una provocazione da chef, al contrario: ci sono aree del mondo in cui è radicata e praticata abitualmente (secondo la FAO interessa circa 2 miliardi di persone) come le comunità rurali del Sudamerica, dell'Indonesia e della Cina, l'Angola o la Nuova Guinea. Popolazioni che non si nutrono di insetti come conseguenza della povertà, ma che li consumano perché parte della loro cultura, da secoli. Si tratta di alimenti complessi, che impongono la tutela del territorio in cui nascono e implicano, nella forma di consumo originaria, un rapporto intimo e profondo con l'ambiente circostante, portatore di dignità, consapevolezza, cultura.

La nuova legge in Svizzera

Tempo, dunque, di abbandonare i preconcetti e le barriere culturali, anche in Europa. A guadagnarsi il primato in questo campo è la Svizzera, dove dal prossimo lunedì 21 agosto 2017, sarà possibile acquistare i primi prodotti a base di insetti, dai burger alle polpette. Ad accogliere l'iniziativa, i supermercati Coop, seconda catena della grande distribuzione all'interno della Confederazione. Un passo fondamentale nella cultura gastronomica internazionale, compiuto con un ritardo di quattro mesi rispetto alle previsioni iniziali, causa problemi di importazione.

Tutto ha inizio lo scorso 16 dicembre, con il via libera dall'Ufficio federale della sicurezza alimentare e di veterinaria, che ha coinvolto Coop e la start up Essento nella creazione di piatti a base di insetti per far partire la commercializzazione. Il secondo step risale allo scorso 1 maggio, con l'autorizzazione del consumo di tre tipologie di insetti (grilli, cavallette e larve della farina) a una condizione: tutti gli insetti devono provenire dalla quarta generazione per essere considerati commestibili dagli esseri umani. Attualmente, dunque, grilli e cavallette vengono importati secondo norme rigorose: gli allevamenti devono essere preventivamente controllati dalle autorità competenti del paese esportatore, e devono adeguarsi a norme igieniche severe e scrupolose.

I prodotti

Larve della farina, verdure, spezie: sono questi gli ingredienti alla base delle polpette e dei burger prodotte dalla start up Essento, a breve in vendita nei supermercati. "Gli hamburger di insetti e le polpette di tarme della farina saranno i primi prodotti che si troveranno in sette punti vendita Coop nelle principali città svizzere. Il rivenditore ha comunicato che l'offerta verrà poi estesa ad altri punti vendita entro la fine dell'anno", ha dichiarato lo Sportello dei diritti in una nota. Una legge destinata a ridelineare il concetto di alimentazione e dieta sostenibile, che ci auguriamo possa, quanto prima, coinvolgere anche il settore della ristorazione, regolamentando l'utilizzo in cucina dei novel food con criterio e giudizio.

a cura di Michela Becchi


Miniguida di Siena. Dove mangiare nella città del Palio

$
0
0

Tutta racchiusa fra le sue mura medievali, Siena offre ai visitatori uno scenario che rapisce, grazie alla sue splendide architetture, alle molte opere d’arte che custodisce in palazzi e chiese, alle botteghe d’artigianato e gastronomia. Per la rubrica sulle città italiane oggi vi portiamo nella città del Palio, con i migliori indirizzi per mangiare, bere e prendere un ottimo caffè in città.

La città opera d’arte

Un’opera d’arte unica, che non ha paragone nel nostro mondo occidentale. Un solo animale completo, con testa, cuore, arterie, zampe, di cui rimane lo scheletro quasi intatto, depositato su tre colli” (Bernard Berenson). La similitudine con l’opera d’arte è la descrizione più calzante per Siena: una città scrigno racchiusa nelle sue mura medievali, da sempre centro di importanti scambi politici e finanziari ma anche crocevia di letterati e artisti. Patrimonio dell’Unesco dal 1995, è conosciuta in tutto il mondo per Il Palio, la giostra equestre che si svolge tuttora due volte l’anno. Ma Siena è molto di più dei suoi monumenti storici: una città dinamica che vive di importanti eventi culturali, botteghe d’artigianato ed eventi gastronomici.

Cosa vedere a Siena

Le sue origini sono etrusche, ma è nel periodo medievale che Siena trova la sua identità. La sua strategica posizione sulla via Francigena e la tradizionale abilità nel gestire il denaro (il Monte dei Paschi di Siena, nato nel 1472 come monte di pietà, è la banca più longeva al mondo) le permisero di diventare un centro commerciale fiorente, in particolare nell’XI e XII secolo. La contesa del potere con Firenze, che vide la definitiva capitolazione di Siena intorno al 1500, ha limitato l’espansione del suo centro storico: ancora oggi la zona pedonale del centro si può comodamente visitare in una giornata, godendo di una vista mozzafiato che va dalle mura medievali e alle sue torri.

 

Siena, piazza del Campo

Piazza del Campo, Fonte Gaia e Torre Mangia

Il centro storico è a misura d’uomo, visitabile a piedi anche grazie alla pedonalizzazione. Per un tour alla scoperta della città è d'obbligo partire da Piazza del Campo, con la sua celebre forma a conchiglia, dove due volte l’anno si svolge il Palio, la celebre sfida a cavallo tra le 17 contrade; per convenzione, questo territorio è franco, cioè non appartiene a nessuna delle contrade cittadine. La piazza, in origine uno spazio per allestire i mercati, è una delle più grandi creazioni dell’urbanistica medievale. Qui sorgono, oltre al Palazzo Comunale, la Fonte Gaia, fontana monumentale risalente al 1346 e la Torre del Mangia, terza torre antica più alta (88 metri) dopo quella di Cremona e quella di Bologna: con i suoi 400 gradini è interamente visitabile e offre una splendida vista sulla città. Costruita nel 1338, prende il nome da Giovanni di Balduccio, uno dei primi campanari, chiamato mangiaguadagni per la sua tendenza a sperperare il denaro nelle osterie.

 

Il Duomo di SienaIl Duomo di Siena

L’arte fra Duomo, Pinacoteca e Fortezza Medicea

Sono numerose le botteghe d’artigianato e gastronomia che troverete spostandovi sulle vie laterali verso Piazza del Duomo, dove c’è la Cattedrale metropolitana di Santa Maria Assunta, una delle chiese più significative del romano-gotico italiano. Ricoperta di marmo bianco all’esterno, racchiude una serie di preziose opere di Donatello, Michelangelo, Pinturicchio e Nicola Pisano. Per gli appassionati d’arte consigliamo anche una visita alla Pinacoteca Nazionale, nei Palazzi Brigidi e Buonsignori, dove sono custoditi capolavori di Duccio di Buoninsegna, Simone Martini, Lorenzetti, Sassetta e Francesco di Giorgio.

Sono davvero tante le opere d’arte e le architetture religiose da ammirare a Siena - tra cui il Santuario e la Chiesa di Santa Caterina, la Chiesa di San Domenico e la Chiesa di Santa Maria dei Servi - così come gli splendidi palazzi storici (ben 34, considerando anche il Palazzo Comunale). Per concludere la passeggiata alla scoperta di Siena vi consigliamo di visitare anche la Fortezza Medicea, nella parte occidentale della città: un forte eretto tra il 1561 e il 1563, su ordine del duca di Firenze Cosimo I de' Medici, in prossimità del quartiere di San Prospero.

Cosa mangiare a Siena

Siena ha una lunga tradizione gastronomica dovuta alla sua posizione sulla via Francigena, lungo la quale nacquero, soprattutto nel periodo medievale, molti punti di ospitalità e osterie a supporto dei pellegrini. Il patrimonio culinario locale è tuttora considerato dai senesi un collante sociale forte e viene celebrato in una serie di eventi gastronomici, come la Settimana gastronomica organizzata dalla Contrada della Tartuca a giugno o la Sagra del Braciere della Contrada Selva a fine agosto.

 

Fegatelli alla brace, foto di Braciami ancoraFegatelli alla brace, foto di Braciami ancora

Tra gli antipasti della cucina senese troviamo i crostini neri (con milza di vitello, fegatini di pollo, vino, acciughe e capperi), i crostini bianchi (con burro, formaggio e tartufo bianco), i crostini agliatie quelli ai funghi. Tra i primi piatti i pici e le pappardelle, solitamente conditi con ragù di lepre o di cinghiale, ma anche con sughi con carne di maiale o funghi. Non mancano le zuppe come la ribollita, qui chiamata zuppa di fagioli, preparata con cavolo nero, fagioli e verdure varie e servita sul pane raffermo, o la zuppa frantoiana (fette di pane abbrustolito servite con un fondo di fagioli cannellini e pomodoro). Sono molto diffusi piatti comuni anche al resto della regione come la panzanella, la pappa al pomodoro, i fagioli all’uccelletto. I fagioli si fanno anche al fiasco, cioè messi dentro a un fiasco di vino con aglio, olio, salvia e altri aromi, e cotti direttamente sulle braci (oppure a bagnomaria).

Salame di cinta senese, foto di Bottega del buogustaioSalame di cinta senese, foto di Bottega del buogustaio

Tanti i secondi di carne, come gli arrosti misti, i fegatelli (fegati di maiale a pezzi avvolti nella rete e cotti in casseruola), il costoleccio (costine di maiale alla griglia), ma anche le chiocciole alla senese, sfumate con il vino e cotte in abbondante passata di pomodoro, la cacciagione (principalmente cinghiale, lepre e fagiano) sia in umido che alla griglia, la trippa alla senese (striscioline di trippa in un sugo di pomodoro piccante).

Fra i salumi i più celebri sono quelli di Cinta senese: salami, prosciutti, lonze, lardi, guanciali, pancette e la finocchiona, un insaccato bagnato nel vino in cui spicca l’aroma dei semi di finocchio. Sul versante formaggi tanti i pecorini, come quello di Pienza nelle sue diverse stagionature, il pecorino delle Colline senesi, il pecorino di San Gimignano, il Pecorino di Montalcino, ma anche altre tipologie come il marzolino senese (con latte di pecora delle razze provenienti dalla zona delle Crete Senesi, a sud est della città) e ottimi caprini.

Panpepato di SienaPanpepato di Siena

Infine, il capitolo dolci, dove ricette di stampo medievale si mescolano con ricette più moderne: il panforte (o panpepato) in diverse versioni (bianco, al cioccolato o fiorito) biscotti che vi abbiamo già raccontato come ricciarelli, cavallucci, i berriquoli, la schiacciata di Pasqua, le frittelle di San Giuseppe.

 

CONSIGLI DALLA GUIDA RISTORANTI D’ITALIA 2017

Contrada del Castel Monastero resort

Due le opzioni per chi cena al Castel Monastero: il ristorante gourmet Contrada, con una cucina aperta alle sperimentazioni dello chef, e La Cantina, trattoria con una proposta più semplice e tipica. Ai fornelli c’è sempre Stylianos Sakalis, chef che riesce a fondere la sua cultura d’origine QUALE? con le esperienze fatte nelle cucine italiane, ottenendo un risultato unico. Piatti leggeri e invitanti, dove la materia prima è arricchita da un uso sapiente di spezie ed erbe aromatiche. La cantina è ampia e offre etichette originali, che si abbinano perfettamente ai due menu proposti. Due Forchette nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

Osteria Le Logge

Locale arredato con mobili d’epoca e con una suggestiva cantina sotterranea da visitare. La cucina, visibile dalla strada, alterna piatti della tradizione locale a proposte più sperimentali, con suggestioni che evadono dai confini regionali e talvolta anche nazionali. Il menu ruota quasi completamente intorno alla carne, ma non mancano delle proposte di pesce originali. Ottimi i dolci della casa. La carta dei vini parte da quelli dell’azienda di proprietà (Le Chiuse di Sotto) per allargare lo sguardo alle migliori etichette italiane e d’oltralpe. Una Forchetta nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

PorriOne

A due passi da piazza del Campo, un locale lontano dalle logiche turistiche. L’ambiente è rustico ma elegante, l’accoglienza informale e allegra. Due i menu degustazione, uno è dedicato alle pietanze di mare cucinate in maniera classica, mentre l’altro dà spazio alla fantasia e alla voglia di giocare dello chef. Sapori decisi ma mai eccessivi, eleganze di forme e linee, abilità nel maneggiare la materia prima. Carta dei vini monumentale, con referenze per ogni regione dello Stivale e una notevole scelta al calice. Due Forchette nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

SaleFino

Un locale lontano dai circuiti turistici, sia per l’ambiente che per la proposta gastronomica. Il menu non è suddiviso per portate ma è un lungo elenco di pietanze ibride, quasi tutte centrate su carni e verdure, più qualche buona proposta di pesce. La formula del pranzo è leggera, con piatti adatti anche a un consumo veloce e poco impegnativo, mentre a cena la proposta viene ampliata con piatti più creativi ed elaborati. Cantina ben fornita, anche per quanto riguarda la mescita. Una Forchetta nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

Sbarbacipolla (Colle Val d’Elsa)

È l’orto il protagonista assoluto della proposta gastronomica di Sbarbacipolla, una bio osteria nel cuore di Colle Val d’Elsa, a 24 chilometri da Siena. Lo “Sbarbamenu” privilegia verdure e legumi, ha una chiara vocazione vegetariana e la capacità di sorprendere il cliente attraverso il gioco e l’ironia. Per coloro che amano la carne ci sono comunque pietanze interessanti, tutte legate alla produzione territoriale e alla tradizione senese. Ottima la selezione di formaggi locali con mostarde e marmellate. Carta dei vini bio con referenze locali e regionali. Due Gamberi nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

 

CONSIGLI DALLA GUIDA PIZZERIE D’ITALIA

Chicco (Colle Val d’Elsa)

In un territorio dove la pizza è bassa e croccante, Stefano Canosci ha il merito di aver diffuso e fatto apprezzare un prodotto dall’impasto più alto, ma anche più soffice e digeribile. La farina utilizzata è un mix di 7 diversi prodotti selezionati, la lunga lievitazione e la cottura in forno a legna fanno il resto. Oltre al menu classico, ogni settimana una proposta creativa che varia anche secondo la stagione. Carta dei vini e delle birre essenziali, con proposte in degustazione a rotazione settimanale. Due Spicchi nell’edizione 2017 della guida Pizzerie d’Italia.

Menchetti

La famiglia Menchetti è un riferimento sicuro per chi vuole gustare pane e pizza di alta qualità. Una storia imprenditoriale iniziata più di 60 anni fa che con rigore e passione li ha portati ad avere ben 5 punti vendita in diverse regioni d’Italia. Questo di Siena, situato all’interno del Consorzio agrario locale, propone pizza a taglio, pane fresco in diverse tipologie, prodotti da forno. La pizza, servita alla pala, è croccante e ben alveolata, con farciture tendenzialmente tradizionali. Buoni anche i dolci da forno. Da bere birre del territorio. Due Rotelle nell’edizione 2017 della guida Pizzerie d’Italia.

CONSIGLI DALLA GUIDA STREET FOOD 2017

Antica salumeria Salvini

Uno spirito verace e tanta passione per questa salumeria artigianale a Siena, attiva dal 1931. Lavora principalmente carni di Cinta senese e di Grigio toscano, da cui ricava salami, coppe, spallette, capocolli e prosciutti di elevatissima qualità. Qui potete comprare i prodotti che preferite, oppure sedervi ai tavoli godendo delle proposte dell’oste, Alessandro Ciofi, esperto nel mettere insieme le sue specialità con quelle dei produttori locali di formaggi, sottoli, miele e conserve. Per chiudere in bellezza, un bicchiere di vin santo accompagnato da croccanti cantucci.

Il Vinaio

Prodotti biologici e attenzione per la tutela del territorio sono le parole chiave di questa osteria-bottega. Formaggi a latte crudo, salumi e insaccati di produttori locali, conserve e sottoli, mostarde e marmellate di elevata qualità. Ma se non siete ancora convinti chiedete un panino: dalla cucina, la signora Sandrina saprà stupirvi. La cantina, ricca e variegata, spazia da nord a sud Italia e comprende anche un buon vino della casa.

CONSIGLI DALLA GUIDA PASTICCERI& PASTICCERIE 2017

Peccati di gola

La storia della famiglia Betti è alla base del successo di questa pasticceria, considerata una delle migliori insegne della città. La proposta punta sui dolci della tradizione toscana, senza tralasciare sperimentazioni contemporanee, che rivelano la creatività delle leve più giovani di pasticceri. Sul banco in bella mostra mignon, bignè, tartellette alla frutta, bicchierini e “cubotti” dai mille colori. Interessanti le torte, sempre più moderne e accattivanti. Due Torte nell’edizione 2017 della guida Pasticceri&Pasticcerie.

CONSIGLI DALLA GUIDA BAR D’ITALIA 2017

Caffè Fiorella

Un locale sempre affollato proprio sopra piazza del Campo, che sforna colazioni a ripetizione ma sempre preparate in maniera impeccabile. Qui si viene per gustare un ottimo caffè, proveniente dall’omonima torrefazione di Francesco Martini, proposto in diverse varianti come il Fine Italian blend (80% arabica, 20% robusta). Ma spiccano anche i cornetti farciti in vario modo, le brioches fragranti, i budini di riso in vari formati. Interessante anche la proposta salata, con croissant, torte e focacce ripiene. Tre Chicchi e una Tazzina nell’edizione 2017 della guida Bar d’Italia.

Corsini

Spazio luminoso a due passi dal centro di Siena. A colazione caffè 100% arabica intensi e ben estratti, accompagnati da brioches e cornetti sempre appena sfornati. Ma non mancano torte della tradizione e moderne, mignon, cioccolatini. A pranzo la focaccia ripiena, ciaccina (pizza bianca senese), ma anche tramezzini, snack salati e panini. Interessante la merenda, con tante varietà di tè e biscottini di tutti i tipi. Due Chicchi e Due Tazzine nell’edizione 2017 della guida Bar d’Italia.

 

indirizzi

Antica salumeria Salvini | Siena | strada statale 73 Ponente, 46 | tel. 0577 394399 | www.anticasalumeriasalvini.com

Caffè Fiorella | Siena | via di Città, 13 | tel. 349 101 9855 | www.caffefiorella.it

Chicco | Colle Val d’Elsa (SI) | via Giuseppe Garibaldi, 35/37 | tel. 0577 921776 | www.chiccocolle.it

Contrada del Castel Monastero resort | Siena | Loc. Monastero D'Ombrone, 19 | tel. 0577 570570 | www.castelmonastero.com

Corsini | Siena | via A Diaz,4-14 | tel. 0577 221881

Menichetti | Siena | via Giuseppe Pianigiani, 5 | tel. 0575 350682 | www.menchetti.it

Il Vinaio | Siena | via Camollia, 167 | tel. 0577 49615 | www.facebook.com/osteria.ilvinaio/?hc_location=ufi

Osteria Le Logge | Siena | via del Porrione, 33 | tel. 0577 48013 | www.facebook.com/Osterialelogge

Peccati di gola | Siena | via Piccolomini, 43 | tel. 0577 283155 | www.pasticceria-peccatidigola.it

PorriOne | Siena |  via del Porrione, 28 | tel. 0577 221442 | www.porrionecucinaevino.it

Salefino | Siena | via degli Umiliati, 1 | tel. 0577 287224 | www.salefino-siena.com

Sbarbacipolla | Colle Val d’Elsa |  piazza Bartolomeo Scala, 11 | tel. 0577 926701 | www.biosteria-sbarbacipolla.it





 

a cura di Francesca Fiore

 

Leggi anche Miniguida di Cagliari

Leggi anche Miniguida di Siracusa

Leggi anche Miniguida di Genova

Leggi anche Miniguida di Lucca

Leggi anche Miniguida di Ferrara


 

Muore a 28 anni Raffaele Casale. Era chef delle Lampare al Fortino a Trani

$
0
0

È stato un incidente in moto nella notte tra 15 e 16 agosto a uccidere Raffaele Casale, chef de le Lampare al Fortino di Trani. 

Le Lampare al Fortino

Erano stati i patron Antonio e Pasqua Del Curatolo, artefici anche dell'importante restauro della ex basilica di epoca romanica che ospita il locale, a chiamarlo in Puglia, quasi due anni fa andando ad arricchire il panorama gastronomico pugliese in anticipo rispetto le recenti aperture (di cui vi avevamo raccontato qualche mese fa poco prima dell'apertura del nuovo locale di Angelo Sabatelli), in quello che era il suo primo incarico da titolare alla guida di un ristorante. Una prova che aveva accolto con l'entusiasmo e la caparbietà di chi, prima di ogni dimostrazione di virtuosismo, sa che c'è una tappa fondamentale da fare: la conoscenza del territorio e delle sue materie prime. Strumenti fondamentali nell'elaborazione di una precisa identità gastronomica, semplice e diretta, che fa del gusto il suo faro guida. Così era per Raffaele.

 

Raffaele Casale

A 28 anni di strada ne aveva fatta Raffaele. Da quando, partito dalla provincia di Avellino, era approdato alle Lampare al Fortino a Trani (Due Forchette nella guida Ristoranti d'Italia del Gambero Rosso). Non prima di essere passato nelle cucine dei grandi: Antonino Cannavacciuolo, Moreno Cedroni e poi Gaetano Trovato. Esperienze che lo avevano preparato nella sfida di improntare una cucina territoriale in territorio che non era il suo ma che reclamava l'onore della materia prima e delle sue radici. Tutto ripensato con tecnica moderna, controllo precisissimo delle cotture, incontro di sapori, anche quelli ineludibili per un campano come lui, primi tra tutte la grande pasta e i pomodori. Fino a giungere alla sua personale cifra, tutta prodotto e pulizia, ma perfettamente allineata alle istanze di oggi, cui sono care amarezze e acidità. Una cucina capace di stare al passo di una location da capogiro, inconsueta e bellissima come l'antica chiesa sconsacrata con la sua abside e le navate davanti al golfo di Trani.

 

a cura di Antonella De Santis

Grecia: l'olio extravergine tra innovazione e legami storici. I numeri e gli assaggi

$
0
0

Con oltre un milione di ettari olivetati e circa 158 milioni di ulivi, la Grecia si attesta come il terzo produttore europeo di olio di oliva. Una breve analisi sui cambiamenti che stanno caratterizzando la produzione di extravergine in terra ellenica. 

Quando si pensa a questa splendida terra non possono non saltare agli occhi le tante similitudini e assonanze con gli altri Paesi del Mediterraneo, specialmente con quelli del lato europeo. Cibi, colture e culture qui si intrecciano da millenni e l'ulivo è stato sicuramente il protagonista  imprescindibile di questo scorrere del tempo fino a costituire, oggi, circa il 60% delle superfici coltivate di tutto il Paese. Bisogna dire che molto è cambiato da quando Zeus preferì il regalo di Atena al cavallo di Poseidone, ma in Grecia nella cultura popolare il legame con l'ulivo è rimasto ancora viscerale.

Come in Italia anche qui la realtà è molto sfaccettata con zone estremamente produttive in termini quantitativi (si pensi al Peloponneso e Creta che caratterizzano i 2/3 della produzione nazionale) e altre più particolari e piccole dove negli ultimi tempi si è cominciato a puntare tutto sulla qualità. In realtà gli ultimi decenni hanno insegnato molto ai greci in termini di qualità: con il ricambio generazionale si è passati infatti da un approccio che puntava molto sulla quantità e sulla vendita in cisterne e taniche, a quello dell'imbottigliamento con il quale si riesce a comunicare meglio il valore del prodotto all'interno e che tende a formare un pubblico di appassionati ed estimatori.

 

I NUMERI

Oggi in Grecia la produzione si attesta tra le 190-320mila tonnellate annue che vanno divise per circa 600mila produttori, una realtà molto frazionata per certi versi molto più simile all'Italia che a quella spagnola. In tutto il territorio sono presenti 2000 frantoi, mentre per quanto riguarda le certificazioni territoriali si contano 19 Dop e 11 Igp. La campagna olearia 2016/2017 è stata molto difficile con un calo del 35% rispetto allo scorso anno, ma nella prossima si prevede un incremento del 65% così da poter ritornare sui livelli di sempre.

 

GLI ASSAGGI

Per farci un'idea abbiamo assaggiato 6 oli inviati direttamente da 4 produttori. C'è da dire che ancor prima dell'assaggio va dato merito a questi produttori per la cura e lo stile delle loro bottiglie. Non è assolutamente scontato riscontrare tale cura nel packaging e nell'etichettatura e dobbiamo ammettere che i produttori greci si stanno muovendo molto bene su questa strada. Gli oli presentati provengono da zone molto diverse (Messinia, Creta, Atene, penisola Calcidica) e ci permettono quindi di illustrare una piccola panoramica generale. Parliamo di aziende ben inserite nel contesto del mercato dell'extravergine di alta qualità e vincitrici di numerosi premi nei concorsi internazionali.

 

LIÀ – Premium Edition Monocultivar Koroneiki

Cristina Stribacu e il fratello oggi dirigono l'azienda fondata dal nonno e poi consolidata dai suoi genitori con 2500 piante di Koroneiki, tipica varietà della zona. Da abile assaggiatrice professionista Cristina ha subito capito quali erano le linee guida sulle quali condurre una realtà piccola, ma esclusiva come questa: puntare sulla qualità del prodotto e sulla bellezza delle scelte estetiche e di design. Qui le olive vengono raccolte ancora verdi e molite in un impianto Alfa Laval a due fasi facendo estrema attenzione alle temperature di lavorazione.

L'olio assaggiato è il Premium Edition, un monovarietale di Koroneiki dal fruttato medio che regala sentori erbacei che rimandano alle erbe aromatiche, ma anche a un lieve sentore speziato e a una delicata banana verde. Al palato è equilibrato nell'amaro e nel piccante e conferma le note amaricanti vegetali.

 

Terra Creta – 42 Premium Blend

Una realtà giovane nata nel 2001 dall'idea di due esperti nel settore della produzione di olio di oliva e delle vendite. Parliamo infatti di un'azienda che ha iniziato la sua attività con una prospettiva di crescita immediata e una visione a lungo termine che l'ha portata già nel 2007 a un incremento delle strutture e della superficie olivetata. La produzione è interamente biologica certificata anche per quanto riguarda l'impianto oleario. L'azienda nel giro di pochi anno ha vinto molti premi per i suoi prodotti incrementando così la presenza sul mercato internazionale.

Il 42 Premium Blend è un esperimento di quest'anno e deve il suo nome al numero di varietà presenti all'interno della bottiglia. Si avete capito bene, questo è un blend composto da 42 varietà di olive tutte presenti nell'uliveto aziendale con una quantità minima di 70 piante. Cultivar greche, ma anche dal resto del mondo. L'olio al naso si presenta con un fruttato medio dal profilo prettamente vegetale che rimanda al pomodoro maturo, carciofo, un delicato radicchio e mela gialla. Al palato è coerente con i profumi e gode di un buon amaro leggermente superiore al piccante, comunque di buona intensità.

 

YANNI'S OLIVE GROVE – Monocultivar Chondroelia Chalkidiki | Monocultivar Galani Chalkidiki

Yannis Prodromou gestisce e coordina il lavoro dietro a questa azienda di Potidea che è ormai un riferimento in tutta la penisola Calcidica. L'attenzione maniacale verso ogni fase della produzione li ha portati a partecipare anche a progetti sull'agricoltura intelligente finanziati dall'Unione Europea e tesi a studiare tutte le potenzialità e le differenze tra le varietà greche. Un'ostinazione e una passione che dal campo passano anche al frantoio e alle bottiglie dal design accattivante.

Il Monocultivar Chondroelia Chalkidiki è un olio dal fruttato medio che ci regala sensazioni ammandorlate, ma anche di cardo, valeriana e muschio. Al palato torna quest'ultima nuance completata dal pinolo e da sentori vegetali. Amaro e piccante sono di media intensità con leggera prevalenza di quest'ultimo.

Il Monocultivar Galani Chalkidiki invece si presenta molto più delicato. Un fruttato leggero impeccabile dalla trama aromatica complessa e intrigante fatta di piccolissimi cenni di mandorla, pinolo e lievi nuance agrumate che rimandano al mandarino. Al palato è estremamente elegante e conferma le sensazioni olfattive. Amaro e piccante sono di lieve intensità anche se quest'ultimo prevale di poco.

 

LADOLEA – Monocultivar Megaritiki | Monocultivar Patrinia Bio

Melissi&Co, l'azienda dei fratelli Panos and Thanos Kloutsiniotis rispettivamente ingegnere chimico ed economista, è una delle realtà più significative della Corinzia. Ladolea infatti è nata così, per essere un marchio ambasciatore del prodotto più tipico di questo territorio: l'olio extravergine di oliva. Grazie alla passione e all'esperienza dei due fratelli oggi si producono oli di alta qualità che vengono commercializzati in particolari bottiglie ispirate ad anfore del 700 a.C. Chiamate Aryballos che contenevano l'olio di oliva usato dagli atleti olimpici per ungere i loro corpi prima delle gare.

Il Monocultivar Megaritiki è un fruttato medio che all'olfatto si mostra prevalentemente con note di pomodoro maturo e sensazioni vegetali. Al palato conferma i suoi toni maturi questa volta però giocati sulla frutta. Un olio che a luglio si mostra abbastanza dolce e con un amaro e piccante lievi ed equilibrati.

Il Monocultivar Patrinia Bio invece si rivela più delicato nel fruttato. All'olfatto emergono sensazioni floreali e di pinolo. Al palato si mostra con toni leggermente più vegetali che rimandano anche al ravanello. Un olio delicato perfetto con la cucina di mare.

 

a cura di Indra Galbo

 

Lià

Navarinou 18 Filiatra-Messinia

tel. 0030 6932940883

www.liaoliveoil.com  | info@liaoliveoil.com

 

Terra Creta

Kolymvari Chania 73006, Creta

tel. 0030 2824083340-41

www.erracreta.gr  | info@terracreta.gr

 

Yanni's Olive Grove

Nea Poteidaia Chalkidiki

Τel: 0030 23730-43124

www.yannisolivegrove.gr  | welcome@yannisolivegrove.gr

 

Melissi & Co.

1 Kritis Street, Neo Psychiko, Athens, Greece, 154 51

tel. 0030 2106777570

www.ladolea.gr  | info@ladolea.gr

 

 

Nuovi traguardi contro lo spreco di cibo. Le navi di Costa Crociere non sciupano più

$
0
0

A un anno dall'entrata in vigore, la Legge Gadda si conferma efficace nella semplificazione delle pratiche burocratiche che favorisce il recupero delle eccedenze alimentari. E quindi la solidarietà sociale. Tra le ultime conquiste del Banco Alimentare l'accordo con Costa Crociere e quello con lo Zooprofilattico di Torino. 

I benefici della legge Gadda

Festeggia un anno dall'approvazione pressoché unanime delle Camere la legge antispreco a firma Maria Chiara Gadda (166/2016), che ha il merito di aver riordinato le carte in materia di recupero delle eccedenze alimentari, favorendo donazioni di pubblico e privati. Un decreto quanto mai necessario per contrastare la piaga dello spreco alimentare, che grazie all'inedito sistema premiale ha raggiunto tanti risultati importanti da quando è entrato in vigore, alla metà di settembre 2016. Ai benefici della semplificazione burocratica, infatti, si è aggiunta un'efficace campagna di comunicazione, mirata a fare breccia nella coscienza collettiva. E in tutta Italia si moltiplicano lodevoli iniziative locali (da Bari l'esempio dei Frigoriferi Solidali) e progetti di ampio respiro, che al recupero delle eccedenze sposano finalità di solidarietà sociale. Due i traguardi recentemente raggiunti dal Banco Alimentare che ci piace segnalare a proposito.

 

Lotta allo spreco... A bordo di una nave da crociera

Cominciando dall'accordo con Costa Crociere, che “porta in mare la lotta allo spreco”: con il supporto della Onlus, la compagnia di navigazione ha presentato qualche settimana fa un progetto per il recupero e il riutilizzo a fini sociali delle eccedenze alimentari prodotte a bordo delle navi da crociera. Si tratta di una novità assoluta, che per ora coinvolge solo una delle navi della flotta CS, la Costa Diadema, durante lo scalo presso il porto di Savona. Di fatto l'accordo garantirà la raccolta a bordo del cibo preparato dai ristoranti dell'ammiraglia, e non servito agli ospiti; poi, il carico sarà preso in consegna dal Banco Alimentare e distribuito a un'organizzazione locale che presta assistenza ai ragazzi in difficoltà. La messa a punto del sistema di raccolta a distribuzione ha richiesto 8 mesi di perfezionamento, perché la gestione delle eccedenze potesse garantire la consegna di cibo di altissimo valore qualitativo e nutrizionale. E ora l'idea è quella di applicare il metodo ad altre realtà, coinvolgendo un numero crescente di porti italiani, come ha confermato in sede inaugurale il presidente del Banco Alimentare, Andrea Giussani. Dal canto suo, Costa Crociere si dice pronta a varare l'iniziativa su altre navi della flotta, anche grazie alla collaborazione dell'Agenzia delle Dogane e della Sanità Marittima, direttamente impegnate nelle procedure di conferimento. Nella pratica, ogni sabato la Costa Diadema entra in porto a Savona dopo una settimana di navigazione nel Mar Mediterraneo; e già nella giornata di venerdì il personale di bordo preposto si preoccupa di raccogliere i piatti ready to eat preparati dai ristoranti e mai serviti agli ospiti. Riposti in contenitori di alluminio, sigillati ed etichettati per tracciarne la provenienza, i pasti sono conservati in cella frigorifera fino allo sbarco. Poi, i volontari della Fondazione li recapitano alla Fondazione L'Ancora di Varazze, che gestisce una casa alloggio per 20 minori, ma accoglie anche rifugiati e persone in difficoltà, cui garantisce un pasto caldo. E i primi “bottini” confermano l'esigenza di reimpiegare il surplus di bordo: quasi 100 i chili di cibo sbarcati dalla Costa Diadema per essere consegnati alla struttura d'accoglienza.

 

L'accordo con lo Zooprofilattico di Torino

Del resto l'attività del Banco Alimentare, impegnato dal 1989 nel recupero di alimenti ancora integri e non scaduti da destinare a chi ne ha bisogno, oggi frutta 67mila tonnellate di cibo recuperato tra gdo, aziende, mercati e mense, ma si punta a raggiungere entro l'anno il traguardo delle 80mila tonnellate. E una grossa mano la fornirà il nuovo accordo raggiunto con l'Istituto Zooprofilattico di Torino, che garantirà il recupero di 9 quintali di prodotti alimentari ogni anno. L'Istituto, infatti, si impegna a consegnare al Banco i cosiddetti campioni gemelli destinati alle analisi di laboratorio (ogni campione ufficiale consegnato da imprese alimentari e di ristorazione consta di tre o quattro confezioni gemelle; quando non si riscontrano anomalie, però, se ne utilizza solo una): le confezioni intatte, finora rimaste inutilizzate nei depositi, saranno prese in carico dal Banco Alimentare, che si preoccuperà di distribuirle alle associazioni caritative piemontesi. Di queste il 60% sono prodotti da forno, farine e snack, ma in circuito rientreranno anche prodotti freschi e refrigerati come carne e formaggi, bevande, prodotti congelati e alimenti per la prima infanzia, che fino all'entrata in vigore della Legge Gadda erano distrutte e smaltite come rifiuti speciali. Delle procedure per la conservazione, ora, si occuperà il Ministero della Salute. E un nuovo traguardo nella lotta allo spreco può dirsi raggiunto.  

 

a cura di Livia Montagnoli

Meduse da mangiare. Avanza la ricerca per trattare e conservare il Polmone di mare

$
0
0

Ricche di sali minerali e collagene, le meduse potrebbero finire a breve sulle nostre tavole. Continuano infatti gli studi per capire come trattare al meglio questi animali, inserendoli così nella lista dei novel food, e aumentando la varietà dei prodotti ittici a disposizione.  

Il Polmone di mare

Rhizostoma pulmo, Polmone di mare. È questo il nome della medusa non particolarmente urticante diffusa lungo tutta la costa adriatica e ionica, con dimensioni che possono raggiungere i 50-60 cm di diametro e i 10 kg di peso. La stessa tipologia che da anni è divenuta oggetto di ricerca della Federcoopesca-Confcooperative e del Centro Italiano Ricerche e Studi per la Pesca, uno studio per mettere a punto una sorta di brevetto per poter trattare in tutta sicurezza l’animale, disidratandolo e rendendolo commestibile. Il Polmone di mare potrà, infatti, essere presto consumato come un qualsiasi altro prodotto ittico anche in Italia, entrando così ufficialmente a far parte della cucina di pesce tricolore. Già consumate in Asia da secoli, le meduse sono alimenti a basso contenuto calorico, ricche di sali minerali, proteine e collagene, presenti soprattutto in Sicilia e Puglia grazie alle correnti estive che le spingono verso le coste italiane da Paesi vicini come il Libano, l’Egitto e l’Israele, dove sono da sempre molto diffuse.

Sicurezza alimentare e norme

Composte prevalentemente di acqua (fino al 95%), le meduse rappresentano una fonte alimentare leggera e digeribile, adatta a tutti: sono trascorsi già 3 anni, infatti, dall’inizio degli studi dei ricercatori per validarne la sicurezza, in attesa del via libera dell’EFSA di Parma, l’autorità europea per la sicurezza alimentare.“Nei Paesi asiatici le meduse pescate sono sottoposte a un lungo processo che prevede la disidratazione con sale d’allume, il cui utilizzo nel nostro continente deve sottostare ad alcuni controlli per legge; alcune specie sono tossiche, come la Pelagia, che è molto frequente a largo delle coste italiane: non possono essere consumate direttamente, ma potrebbero diventare commestibili dopo trattamento”. Commentava così nel 2014 la possibilità di inserire le meduse fra i cosiddetti novel food Antonella Leone, ricercatrice del Cnr-Istituto di scienze delle produzioni animali. Oggi, gli studi proseguono, e anche se i dettagli dell’indagine non possono ancora essere rivelati, l’esito sembra essere quanto mai vicino e positivo. Il via libera al consumo di meduse potrebbe infatti rappresentare “un modo per diversificare l’attività dei pescatori e trovare nuovi mercati”, spiega la Federcoopesca. Secondo un sondaggio dell’associazione, inoltre, 2 italiani su 3 si sono dichiarati disponibili e favorevoli a provare alimenti nuovi dal sapore diverso. Nel frattempo, la presenza di questi animali nei mari italiani continua a registrare numeri in forte aumento, tanto da spingere i ricercatori più accaniti a creare un’app per smartphone, “Occhio alla medusa”, in grado di mappare la presenza degli animali lungo le coste. Stando ai dati della piattaforma, in 6 anni le meduse sono passate da 300 a 3000, evidenziando una crescita del 10% solo nell’ultimo anno. Da minaccia a risorsa, la medusa sembra avere, dunque, tutte le carte in regola per diventare parte della nostra tradizione alimentare, entrando di diritto nella crescente lista dei novel food.

a cura di Michela Becchi 

Vacanze in Slovenia? La Goriška Brda e i suoi vini da scoprire

$
0
0

Alla scoperta di Goriška Brda (il Collio sloveno), con le sue viti, le colline, i suoi confini e i suoi vini, dalla ribolla gialla al sauvignonasse, dallo chardonnay al pinot grigio.

A volte i confini tracciano linee che forse possono avere un senso su una carta geopolitica, ma perdono ogni significato una volta che ci si trova sul territorio. È il caso del confine del Collio tra Italia e Slovenia. Qui non ci sono montagne o fiumi che separano gli Stati e le dolci colline del Collio/Brda si ricorrono senza soluzione di continuità. Tuttavia quel confine è stato fino a pochi decenni fa “il confine” per eccellenza, che divideva non solo l’Italia dalla Slovenia, ma soprattutto i paesi occidentali dal blocco comunista. Teatro di battaglie cruente, frutto scellerato di assurde Guerre Mondiali che hanno insanguinato e devastato questa magnifica regione.

Oggi queste splendide colline sono lo scenario di un confine ancor più invisibile e irreale. Percorrere la vecchia statale, che da Gorizia serpeggia verso la Slovenia tra le vigne e gli alberi di ciliegie, è uno straniante viaggio nel tempo. Le tracce del confine di stato si sono ormai sciolte nell’Unione Europea e il vecchio edificio della piccola Dogana, fatiscente e abbandonato, sembra un fantasma miracolosamente sopravvissuto a un lontano passato. Un passato tragico, che è ancora vivo nella memoria di questa terra. Non solo testimoniato dalla presenza di cimiteri di guerra e sacrari, ma anche dai blocchi di marmo conficcati nel terreno a segnare il confine, oggi dimenticati e nascosti dall’erba, ma che il vigneron Borut Blažič ci ha portato a vedere proprio dietro la sua abitazione. A testimonianza di chi, come tanti, si è trovato a vivere il dramma di quella linea invisibile che divide il Collio, con una casa in Slovenia e le vigne in Italia.

Il territorio, il clima e il suolo di Goriška Brda

In Goriška Brda la vite fa parte da sempre della cultura del territorio. Ancora oggi ne disegna il paesaggio con ordinati filari, che ricamano armoniose geometrie sui dolci versanti delle colline. Uno scenario di morbidi rilievi, in cui le vigne convivono con ampie zone boschive e frutteti. Il Collio è uno anche da un punto di vista dei vitigni. In Goriška Brda ritroviamo la ribolla gialla, la malvasia, il sauvignonasse - friulano o jakot che dir si voglia - il sauvignon blanc, lo chardonnay, il pinot grigio, il pinot bianco, il cabernet sauvignon, il merlot e il pinot nero. Nonostante la latitudine, il clima è mite, quasi mediterraneo. Le Alpi Giulie costituiscono una barriera naturale contro i venti freddi che scendono da nord-est e la vicinanza del mare si fa sentire con le dolci brezze. Ma la vera ricchezza di questa terra sta nel sottosuolo. Nelle stratificazioni sedimentarie di marne calcareo-argillose e arenarie d’origine oceanica, che si sono generate dal sollevamento di un antico fondale marino. La famosa ponca,una roccia friabile e tenera ricca di sostanze minerali, che le radici della vite riescono a penetrare in profondità alla ricerca di nutrimento e acqua.

Goriška Brda tra passato e futuro

In Goriška Brda la presenza di aziende che vivono del solo frutto della vite è un fenomeno abbastanza recente. La tradizione del vecchio regime comunista, infatti, prevedeva che ogni azienda agricola fosse un’entità quasi autosufficiente. Alla coltivazione della vite era affiancata la produzione di pesche e ciliegie, l’allevamento di bestiame e animali da cortile. Un modello agricolo che solo nel corso degli ultimi decenni ha cambiato volto, orientando le aziende verso la più redditizia monocultura della vite. Siamo quindi di fronte a realtà ancora giovani, alla prima vera generazione di vigneron. I risultati di questa nouvelle vagueslovena sono già molto interessanti e non potranno che migliorare in futuro. Se siete in Friuli, magari in vacanza, non perdete l’occasione di dedicare un paio di giorni a un piccolo tour oltreconfine. La Goriška Brda, oltre a ottimi vini, offre bellissimi paesaggi e borghi pittoreschi. La strada del vino attraversa un verde territorio dalla natura incontaminata. Fate una sosta a Dobrovo per una visita al castello. Sulle antiche fondamenta di un vecchio maniero è stato eretto un nuovo castello nel XVII secolo, che è tra i più belli e meglio conservati di tutto il Collio. Altra tappa da non mancare è Medana, un caratteristico borgo con una vivace vita culturale e un’ottima offerta enogastronomica. Infine, fate un salto a Šmartno, un piccolo villaggio medioevale, che ha conservato intatto il sapore del passato.

I produttori e i vini

Per quanto riguarda le cantine, sono molti i produttori interessanti che s’incontrano appena varcato il confine. C’è solo l’imbarazzo della scelta.

Marjan Simčič

Cominciamo con Marjan Simčič, che coltiva una tenuta di 18 ettari, con vigne di oltre 50 anni, a Ceglo vicino a Medana. I suoi vini sono riconosciuti tra le eccellenze della Goriška Brda. Tra i migliori assaggi della degustazione ricordiamo la Ribolla Classica '16. Un vino che esprime in modo schietto e diretto l’immediata semplicità del vitigno. Il sorso è fresco e agrumato, con finale piacevolmente sapido e minerale. Di bella stoffa il Sauvignon Blanc Selekcija '15, vino intenso e profondo, che coniuga l’aromaticità tipica della varietà con sentori complessi ed evoluti. Ottima la Ribolla Opoka '11, frutto di una macerazione sulle bucce di sei giorni, a cui segue un periodo di maturazione di circa 20 mesi in botti di rovere e un affinamento in bottiglia di un anno. Un vino che racconta nel bicchiere il terroir della Brda. Complesso, persistente, minerale e ancora attraversato da una vivissima acidità. A conferma della longevità dei vini del territorio, apriamo uno Chardonnay Opoka del 2006,che si dimostra ancora fresco e dinamico, con aromi maturi, in evoluzione verso note di miele, pain d’épices e frutta secca.

Marjan Simčič | Dobrovo | Ceglo, 3b | tel. +386 53959200 | www.simcic.si

Dolfo

Giusto a fianco alla Cantina di Marjan, facciamo visita a Marko Skočaj. L’azienda porta il nome di Dolfo Skočaj, che dopo la prima guerra mondiale comprò i primi ettari di terra. Oggi la tenuta si estende su 14 ettari e i vini di Marko sono famosi per il rigore e la nitidezza cristallina. Lo stile si riconosce subito dal Metodo Classico Spirito di Dolfo Mill. '12. Una cuvée (70% chardonnay e 30% pinot nero) dal profilo raffinato ed essenziale, con aromi d’agrumi, bocca salata e bella chiusura citrina. Interessanti per freschezza, intensità e immediata espressione varietale il Sauvignon Blanc '15e lo Skočaj (sauvignonasse)'15. Tutti e due prodotti con una macerazioni di qualche ora e affinamento solo in acciaio. Molto buono il Gredič Belo Bianco '09. Un blend di chardonnay, pinot noir, sauvignonasse, sauvignon e pinot bianco. Un vino che matura 4 anni in barrique, un paio di mesi in grandi botti e un anno in bottiglia. Il profilo è fresco e armonioso, con bouquet che spazia da note floreali, alla frutta matura, ai sentori leggermente speziati e di miele d’agrumi.

Dolfo | Dobrovo | Ceglo, 3D | tel. +386 53959166 | www.dolfo.eu

Blažič

La piccola tenuta di Borut Blažič (7 ettari) si trova proprio sul confine. La casa e la cantina in Slovenia, le vigne in Italia e in Slovenia. Una condizione particolare, che ha reso la vita difficile alle generazioni precedenti. I suoi vini sono espressione di un approccio artigianale, che lascia ancora spazio a sperimentazioni per cercare di interpretare ogni annata al meglio, senza uno standard di tempi e modi d’affinamento prestabiliti. Borut segue in cantina l’evoluzione del vino, cercando di assecondarne la natura per esaltare le migliori caratteristiche. Indimenticabile la Rebula Robida '13,frutto di una vendemmia leggermente tardiva, è stata a lungo in affinamento in barriques di rovere e botti d’acacia. Il risultato è una Ribolla di rara ricchezza e intensità espressiva, dal bouquet maturo ma ancora vibrante. Altra grande bottiglia il Sauvignon Plesivo '09, che esprime tutta la ricchezza aromatica del vitigno nel segno dell’eleganza, con profumi intensi, bocca succosa con sensazioni tropicali e nitida freschezza minerale.

Blažič | Cormons (GO) | Strada Provinciale 16 | tel. 0481 61720 | www.blazic.it

Movia

Sulla splendida terrazza di Movia, affacciata sulle vigne, ci accoglie l’esuberante calore di Aleš Kristančič. La sua famiglia coltiva queste terre fin dal 1700 e Aleš produce vini dalla forte personalità e dal carattere unico. A partire dallo spumante Puro, elaborato con un vino base (chardonnay 60%, ribolla 40%) che matura 4 anni in barriques. Il tiraggio viene effettuato con del mosto e il vino, dopo la presa di spuma e l’affinamento sui lieviti non viene sboccato. I lieviti esausti vengono espulsi solo al momento dell’apertura della bottiglia, che va conservata a testa in giù e sboccata in una glacette piena d’acqua. Uno spumante che unisce alla complessità dell’affinamento l’aroma fragrante dell’uva matura. Il vino che meglio rappresenta la Cantina Movia è il Veliko Bianco '10 (ribolla gialla 70%, sauvignon 20% e pinot grigio 10%), realizzato mischiando i mosti al momento della fermentazione, con l’intento di creare una maggior armonia tra i vitigni. Un vino complesso, con aromi d’agrumi, di frutta matura, vaniglia e sentori minerali tipici del terroir. Chiudiamo la degustazione con Lunar '13, un blend di chardonnay e ribolla. Dopo una macerazione di 8 mesi sulle bucce il vino viene imbottigliato senza alcuna filtrazione, continuando a restare in bottiglia a contatto con i lieviti. Un vino particolare, estremo, aromaticamente ricco, in cui prevalgono le note fruttate, fresche e fragranti.

Movia | Ljubljana | Mestni trg, 2 | telefono: +386 51304590 | www.movia.si/it

Ščurek

La famiglia Ščurek coltiva circa 20 ettari nelle campagne di Plešivo. La produzione è ampia e con una qualità media elevata. Degno di nota lo Jakot Gredič '16, unsauvignonasse particolarmente intenso, con sorso ricco e persistente. Eccellente lo Stara Brajda Belo '11, prodotto da vecchie vigne con un blend di ribolla gialla, picolit, pika, tržarka e malvasia. Il vino matura in barriques e tonneaux di rovere per almeno un anno e completa poi il suo affinamento in bottiglia. Ha un profilo intenso ed elegante con aromi floreali, di frutta matura e chiusura su note sapide e minerali. Molto particolare il Kontra '08, una cuvée chardonnay e ribolla gialla. Dopo una macerazione di 10 mesi in botti di rovere, viene imbottigliato senza filtrazione. Nel calice esprime note balsamiche, di resina di pino marittimo ed eucalipto. Il sorso è ricco e ampio, con frutto appagante e leggera ruvidità tannica.

Ščurek | Medana | Plešivo, 44 | tel. + 386 53045021 | www.scurek.com

Edi Simčič

Chiudiamo il nostro breve tour con Alek Simčič, figlio di Edi, il fondatore dell’azienda. Molti gli assaggi interessanti, a partire dalla Ribolla' 14 allaMalvasia '14, che nonostante l’annata fresca e problematica, si difendono molto bene. Ottimo il Triton Lex '12, unuvaggio di chardonnay, sauvignon e ribolla gialla, di grande equilibrio e armonia. Il bouquet è profondo e complesso, con note aromatiche, sentori vegetali e sensazioni minerali. Eccellente il Sauvignon '12. Un vino che esprime fresche note aromatiche, bocca succosa di pesca bianca, cenni esotici e sentori minerali leggermente fumé. Sullo stesso livello lo Chardonnay Kozana '12, prodotto con le uve coltivate su terreni ricchi di scheletro e con roccia madre quasi affiorante. Ne esce un vino dai profumi raffinati, con aromi delicati che ricordano la frutta matura e le morbide note di pasticceria.

Edi Simčič | Dobrovo | Ceglo, 3b | tel. +386 53959200 | www.edisimcic.si

 

a cura di Alessio Turazza

Acquistare ostriche h24 dal distributore automatico? Accade in Francia, nell’Isola di Ré

$
0
0

Quello delle ostriche, in Francia, è un tema serio e molto caro ai cittadini. Apprezzate in tutto il mondo per il loro gusto unico, le ostriche possono ora essere acquistate 24 ore su 24 attraverso un distributore automatico. La storia di un allevatore dell’Isola di Ré. 

La tradizione delle ostriche in Francia

È nella Bretagna orientale, nella zona di Mont-Saint Michel, al confine con la Normandia, che si possono gustare le ostriche migliori di tutta la Francia. Indispensabili per gli ecosistemi marini, questi molluschi bivalve sono dei preziosi indicatori delle condizioni ambientali dei litorali, grazie alla loro funzione di filtro delle acque, ma non solo: le ostriche giocano un ruolo fondamentale nella tradizione gastronomica francese, in particolare quella costiera, rappresentando a tutti gli effetti una delle massime espressioni del territorio. Ogni ostrica, infatti, acquisisce aromi e gusti particolari e definiti a seconda della salinità e della temperatura dell’acqua, della forza delle correnti marine e della natura del fondale dove cresce. La varietà di molluschi è, dunque, ampia e variegata, e differisce a seconda della zona di provenienza, ma il loro gusto iodato e salino le accomuna sulle tavole di tutto il Paese.

Il distributore automatico

Non è un caso che siano proprio le ostriche, quindi, le protagoniste dell’ultima idea innovativa nata dall’originalità dei cugini d’oltralpe. Si tratta, nello specifico, di un distributore automatico di ostriche fresche, una macchinetta dove poter acquistare esclusivamente pesce di qualità, e che bandisce invece merendine e snack vari. Per accedere al distributore refrigerato, è necessario pagare con la carta, e ogni cliente può scegliere fra una selezione curata di ostriche di varie tipologie, forme e dimensioni attraverso il pannello di vetro. Come sempre in questi casi, la macchinetta resta aperta 24 ore su 24, e ha già iniziato a raccogliere l’entusiasmo del pubblico: “Se ci viene voglia di ostriche a mezzanotte, possiamo venire ad acquistarle con poche, semplici mosse; è fantastico! Tutti i prodotti sono sempre freschi”, ha commentato Christel Petinon, uno dei primi clienti che ha potuto godere di questa invenzione, in visita nell’Isola di Ré. È proprio in questa celebre località turistica della costa occidentale che ha preso il via il progetto, ideato dall’allevatore Tony Berthelot, che con le ostriche lavora da tre decenni e ha creato il suo distributore automatico per poter smaltire tutta la merce a disposizione: “Avevamo la sensazione di perdere molte vendite negli orari e giorni di chiusura”, spiega, “e nonostante il distributore abbia comportato un investimento economico notevole, stiamo rientrando di tutte le spese, per cui i nostri calcoli erano esatti”. L’idea prenderà piede altrove?

a cura di Michela Becchi


Una nuova strada per Antonello Colonna. Tutte le novità 2018 dello chef

$
0
0

Chef Antonello Colonna cambia tutto. I nuovi progetti a Roma dove l'Open del Palazzo delle Esposizioni sarà ripensato, una affascinante scoperta archeologica a Labico vicino al suo resort e il progetto di ampliare la sua impresa anche fuori dal Lazio, magari in Sicilia. Anticipazioni sul 2018 del cuoco-imprenditore per eccellenza.

Ancora nel pieno degli anni eppure sulla breccia da oltre tre decenni (ha doppiato allegramente le sessanta primavere, ma lui dice di avere semplicemente "compiuto tre volte vent'anni"), precursore dell'alta cucina a partire dal 1985, quando questa aveva protagonisti che si contavano sulle dita di una o al massimo due mani, consulente di lusso delle più grandi aziende italiane, mentore di moltissimi dei nomi più importanti della ristorazione di oggi (tra gli altri Adriano Baldassarre e Marco Martini, ma anche Alessandro Pipero, che a Labico ha mosso i primi passi della sua carriera di grande uomo di sala), cuoco della nazionale di calcio durante le notti magiche dei Mondiali del 1990 e autore dei pranzi per gli azzurri di Atlanta '96, quelli dei 13 ori. E poi l'apertura di ristoranti a New York, a Roma, negli aeroporti, la nascita nel 2012 di uno dei resort gourmet più indimenticabili d'Italia.

Il tutto a partire da quel 1985 quando decise di trasformare in qualcosa di diverso e innovativo il locale di famiglia a Labico, paesotto anonimo alle porte di Roma che da allora fino ad oggi è diventato un punto riconoscibilissimo nella mappa della ristorazione, dell'accoglienza, dell'identità della cucina italiana. Infine la tv, dopo le prime esperienze negli anni Novanta, il successo personale, le lusinghe degli autografi per strada ("perfino i Nas o quelli della Asl che vengono a farmi i controlli poi una finito voglio farsi il selfie") con un format, Hotel da Incubo, che ne esalta la passione per l'hotellerie coltivata fin dai primissimi anni di istituto alberghiero.

 

open colonnaL'Open Colonna al Palazzo delle Esposizioni

 

Con tutto questo business da gestire e da far fruttare, Antonello Colonna poteva anche darsi una calmata e puntare a crescere gradualmente, trasferire competenze al figlio Andrea, monetizzare riconoscibilità, ruolo e prestigio. E invece...

 

Una nuova strada romana

E invece ci ritroviamo a rendere conto di almeno tre significative novità che segneranno il 2018 dello chef. Partiamo da Valle Fredda, il resort, il buen retiro, il luogo dove Colonna sperimenta su suoi ospiti una filosofia di hotellerie che punta alla disponibilità totale (alle richieste dei clienti tutti i collaboratori sono obbligati a rispondere "absolutely", spiega), avvolgente ma discreta. C'è un parco, un orto sempre più significativo, frutteti e boschi, il ristorante gastronomico, una Spa, una trattoria di gran fascino che usa i vecchi tavoli del ristorante di nonno, una libreria, una bottega, spazi per eventi e mostre d'arte contemporanea, una piscina scenografica, tutta nera, sospesa sopra la campagna laziale. Molti grandi cuochi hanno provato a coniugare cucina e ospitalità, pochi ci sono riusciti appieno, pochissimi hanno mai raggiunto livelli simili.

 

antonello colonna via labicana

Resti della Via Labicana 

Ciononostante Colonna ha pensato di uscire dalla sua tenuta e di 'fertilizzare' un terreno adiacente, muovendosi come si muove un mecenate. Un tratto della storica Via Casilina è stata ritrovata, la Soprintendenza ha seguito i primi interventi di pulitura, gli archeologi hanno lavorato per mesi e il cuoco-imprenditore ha ideato e... pagato l'operazione. L'inaugurazione è avvenuta lo scorso giugno e ora l'appezzamento riqualificato che sta tutto attorno al ritrovamento romano è pronto per ospitare piccoli eventi, manifestazioni e magari lo storico progetto "Foodstock" che Antonello ha in animo da anni di realizzare, tutto il resto è raccontato nel filmato che abbiamo fatto assieme ad Antonello proprio sopra la strada.

 

 

Ma la nuova strada di Colonna non si limita ai basoli di selciato ritrovati dopo secoli sotto terra e vegetazione, un nuovo percorso riguarda sia progetti lontani da Roma, sia la trasformazione dell'enorme ristorante che lo chef gestisce nella Capitale all'interno del Palazzo delle Esposizioni.

 

open colonnaL'Open Colonna

I 10 anni dell'Open Colonna che cambia tutto

Partiamo da quest'ultimo. L'Open Colonna si appresta a chiudere per qualche tempo e a cambiare i suoi connotati. C'è da festeggiare con tutti i crismi i 10 anni dell'attività che ha cambiato profondamente tutta la "ditta Colonna" che grazie a questa grande struttura nel cuore di Roma si è trasformata in una macchina imprenditoriale di tonnellaggio ragguardevole. Dopo 10 anni di successi, si cambia. Niente più eventi privati ("semmai ne faremo solo pochissimi, molto piccoli, ma soprattutto li faremo fuori, curando il catering") che tanto disturbavano e impensierivano l'attività di ristorazione al pubblico (quante volte siete andati all'Open e lo avete trovato 'chiuso per evento privato'?), niente più distinzione tra la parte "gastronomica" e quella più easy. Una bella sfida e un bel cambiamento che potrebbe concretizzarsi in un giorno simbolico: il 14 febbraio. "Ma che avete capito" spiega lo chef "non è San Valentino, ma semmai il giorno del 1929 in cui Al Capone fece la strage contro la banda rivale che gli consegnò la leadership di New York. Così io mio voglio riconquistare Roma...". E per quella data novità anche al piano di sopra della struttura che dovrebbe mutare, con tanto di terrazzo e orto, in un cocktail bar di tutto rispetto per trasformare la teca di vetro disegnata da Paolo Desideri in una delle destinazioni serali della città anche per il sempre crescente pubblico amante del bere miscelato di qualità.

 

Valle Fredda resort

Antonello Colonna Resort a Valle Fredda. L'interno

 

Un resort in Sicilia?

Ma nel futuro prossimo di questa storia ci sono anche obiettivi cui non è possibile avvicinare una data di realizzazione. Progetti futuribili, idee, sviluppi possibili ma non ancora delineati. Come quello di raddoppiare il format e l'idea del resort di Valle Fredda (ovvero campagna, territorio, Spa, piscina, suite di lusso, servizio curatissimo, ristorazione alta e media ed eventi) altrove in Italia. L'occasione potrebbe presentarsi già alla prossima stagione estiva: un cliente di Valle Fredda, innamoratosi della struttura, si è fatto edificare nei pressi di Noto, dallo stesso studio di architetti che ha firmato il resort di Labico (Aniello / Tasca), uno spazio del tutto simile. Una specie di replica in scala.

 

antonello colonna resort a valle freddaAntonello Colonna Resort a Valle Fredda. Le camere viste dall'esterno

Per ora l'edificio, basso, lineare, minimale, immerso nel paesaggio proprio come accade a Valle Fredda, è utilizzato come casa privata; ma chi sa leggere tra le righe le intenzioni futuribili di chef Colonna non esclude l'ipotesi di una presa in gestione, per portare lo stile che contraddistingue Valle Fredda anche in una delle zone più in crescita del turismo d'élite italiano: la Sicilia sud orientale. "L'Antonello Colonna Resort sarà sempre di più" chiude il cuoco romano riferendosi alla forma architettonica "una pista di decollo per me e per tutti coloro che vogliono intraprendere una carriera di cuoco, manager o cameriere".

 

Antonello Colonna Resrt a Valle Fredda. La piscina

 

Insomma: Antonello Colonna segue una strada precisa, che va dai ritrovamenti archeologici di duemila anni fa, al futuro prossimo.

 

Antonello Colonna Resort& Spa | Labico (RM) | via di Valle Fredda, 53 | tel. 06 9510032 | http://antonellocolonna.it/resort-spa/

Open Colonna | Roma | via Milano, 9A | tel. 06 47822641 | http://antonellocolonna.it/open/

 

a cura di Massimiliano Tonelli

 
 

La CNN stila lista dei 50 (?) cibi migliori del mondo. La pizza conquista il podio

$
0
0

Tante ricette esotiche, cibi speziati dal sapore deciso e dal carattere pungente: la classifica stilata dalla CNN sui 50 cibi migliori del mondo ha decretato le preferenze del pubblico mondiale. L'Italia è presente solo con lasagne, pizza e prosciutto di Parma. Alcune riflessioni a margine.

La classifica

Al primo posto c'è il Massaman curry, una combinazione golosa di sapori e aromi tipica della cucina tailandese, a base di latte di cocco, riso basmati, arachidi e tutte le spezie tipiche del curry. Fra i più diffusi al mondo, il Massaman curry è, secondo la classifica delle CNN, il piatto più apprezzato a livello internazionale, seguito dalla pizza napoletana, che guadagna la medaglia d'argento, e, in terza posizione, dal cioccolato, il cibo degli dei. Seguono in corsa l'immancabile sushi giapponese, la Peking duck (anatra laccata alla pechinese), e l'hamburger. A stilare la lista delle pietanze più golose del globo sono stati i lettori della CNN, con oltre 35mila voti ripartiti su 50 diversi piatti. O almeno, questa è la presentazione dell'elenco fornita dall'ente: le ricette nominate sono in realtà 49, con un nome mancante in 22esima posizione. Ma quella del numero è solo una delle imprecisioni della classifica statunitense.

Le scelte

I voti degli utenti sono, infatti, piuttosto discutibili, almeno dal punto di vista idi chi conosce bene la cucina italiana: la tradizione gastronomica tricolore, con la sua varietà di prodotti e ricette, entra in classifica solo con tre piatti, pizza, lasagna (23esimo posto) e prosciutto di Parma (31esimo posto). E non solo: le scelte rispecchiano fortemente il gusto americano, tendente a sapori speziati ed esotici e gusti pieni e ricchi. In ultima posizione si trovano i pop corn al burro, tipici della tradizione anglosassone, seguiti dalla Masala dosa indiana e dalle patatine statunitensi. L'elenco continua fra piatti thailandesi come il Som Tam, insalata di papaya verde (46esimo posto), e sapori autentici di Singapore, fra cui spicca il riso con il pollo (45esimo posto). Non mancano tacos (43) e fajitas (26) dal Messico, e poi pane imburrato con Marmite, crema spalmabile prodotta nel Regno Unito a base di estratto di lievito, marzapane tedesco e la salsa americana per eccellenza, il ketchup. Presenti anche i French Toast, molto diffusi nei brunch e nelle colazioni americane, erroneamente segnati come originari di Hong Kong: il pane inzuppato nell'uovo è in realtà una ricetta antica, già popolare nell'Europa medioevale, specialmente in Italia, Francia, Germania e Austria, ma è comunemente considerato patrimonio degli Stati Uniti, a cui si deve l'invenzione della variante fritta.

Le nostre riflessioni

Ancora sul fronte dolce, non mancano lo sciroppo d'acero canadese, valido accompagnatore di pancake, frittelle e waffle, il croissant francese, che guadagna il 21esimo posto, le donuts americane (14esimo posto), e un generico ice cream, che si classifica fra i primi 10, assicurandosi la nona posizione. Fa discutere, a questo proposito, l'affermazione della CNN che descrive il gelato come un prodotto americano, ma occorre fare una precisazione: nonostante il terminevenga solitamente tradotto in italiano come gelato, i due prodotti sono in realtà molto diversi fra loro per cremosità, quantità di zucchero, grassi, aria incorporata e altri fattori determinanti per la qualità di un prodotto freddo. L'ice cream statunitense, infatti, ha una consistenza molto più ricca e cremosa, un sapore più tendente al grasso e di norma molto zuccherino, al contrario del gelato artigianale italiano che, se ben fatto, risulta liscio e setoso, ben areato e cremoso al punto giusto. La lista continua fra piatti vietnamiti, indiani, venezuelani, del sud-est asiatico, giapponesi e cinesi, che segnano una vittoria schiacciante della cucina esotica, una tradizione gastronomica di tutto rispetto, che va approfondita e assaggiata con cura e gusto, ma che in questo elenco ha una predominanza lampante ed eccessiva rispetto alle altre cucine del mondo. Col risultato di una classifica che, innegabilmente, tiene conto del palato di un popolo che ha basato la propria storia gastronomica sulle tante contaminazioni straniere e i molteplici influssi culturali che hanno posto le basi dell'identità di un intero Paese. Culturale e culinaria.

Per leggere l'intera classifica edition.cnn.com/travel/article/world-best-food-dishes/index.html

a cura di Michela Becchi

Ristoranti contro la fame. Un'estate a tutta solidarietà per gli chef italiani

$
0
0

Sono 30, al momento, gli chef che hanno aderito alla campagna di solidarietà dell'organizzazione umanitaria per combattere la malnutrizione in 47 Paesi del mondo. Tra gli ambasciatori di Ristoranti contro la fame, volti celebri della cucina d'autore italiana. Ecco come contribuire alla causa.

La campagna


C'è sempre occasione per dimostrarsi solidali, anche a tavola. Lo sa bene Azione contro la fame, che ha scelto di coinvolgere diversi ristoranti italiani nell'iniziativa Ristoranti contro la fame. Una campagna che ha preso le mosse in ambito internazionale a partire dal 2015, raccogliendo la solidarietà di numerosi chef di fama mondiale, e che ora è tornata in Italia per una terza edizione estiva dal 1 luglio fino al prossimo 15 settembre 2017, per due mesi e mezzo che si riveleranno importanti per combattere la malnutrizione che affligge 47 Paesi nel mondo. L'organizzazione umanitaria nata in Francia nel 1979, infatti, da decenni si impegna in prima linea per salvare la vita di bambini denutriti, fornendo alle loro famiglie accesso all'acqua pulita e combattendo le principali cause di malnutrizione. L'iniziativa, lanciata in contemporanea in Germania, Canada e Stati Uniti, permette a tutti di contribuire alla causa, semplicemente recandosi al ristorante e scegliendo di donare 2 euro in aggiunta al conto finale: la somma raccolta andrà direttamente all'associazione. Un progetto ambizioso che si ripeterà nel Bel Paese anche in autunno, dal 16 ottobre al 31 dicembre 2017.



L’edizione estiva


Ma starà anche agli chef il compito di farsi ambasciatori della campagna di beneficenza, presentando ai commensali un menu o un piatto solidale che ricordi le finalità del progetto e inviti all'apertura verso altre culture, a partire dal cibo in tavola. Tra gli chef (30 in tutto, per il momento) che hanno sposato il progetto,  Roberto Conti (Trussardi alla Scala), Tano Simonato (Tano Passami l’Olio), Cristina Bowerman (Glass),  Roberto Carcangiu (Presidente Associazione Professionale Cuochi Italiani), Sal De Riso (pasticceria Sal De Riso), Enrico Crippa (Piazza Duomo), Aurora Mazzucchelli (Marconi), Felice Lo basso (Felix Lo Basso), Giuseppe Romano (Olimpus), Claudio Sadler (Sadler), Andrea Ribaldone (I due Buoi), Elio Sironi (Ceresio 7). Ognuno di loro presenterà un piatto simbolo di questa “missione” umanitaria. Ma sono tante le insegne che hanno deciso di partecipare, indirizzi più o meno noti da Nord a Sud della Penisola, nelle grandi città e nei piccoli centri di provincia. Novità di quest’anno, il coinvolgimento dei maestri pizzaioli d’Italia: donando 0,50 euro in aggiunta per ogni margherita, ogni cliente potrà contribuire all’iniziativa. Attualmente, nessun pizzaiolo è ancora entrato in lista, ma siamo certi che il progetto non tarderà a raccogliere l’entusiasmo e la solidarietà dei professionisti dell’arte bianca.


www.ristoranticontrolafame.it/it/

a cura di Michela Becchi

Sempre più boom per gli orti urbani a New York. Una storia iniziata 45 anni fa

$
0
0

Zone completamente spopolate, aree sgombre e oasi verdi abbandonate: è il ritratto di una metropoli della fine degli anni ’70, una New York in piena crisi di disoccupazione, dove gruppi di ambientalisti hanno trovato un rimedio alternativo creando degli orti domestici affidati ai cittadini. Oggi, i community gardens sono una realtà ben consolidata e organizzata da associazioni di categorie e realtà indipendenti.

Le origini


Recuperare gli spazi verdi della città creando orti comunitari gestiti dai diversi vicinati. Un’idea che oggi sta prendendo sempre più piede ma che, negli anni ’70, in una città in piena crisi come New York, non era poi così scontata. È proprio in questa condizione di ristagno economico e sociale che nella Grande Mela nascono i primi community gardens, orti aperti a tutti e gestiti dagli abitanti dei vari quartieri, dove persone di ogni nazionalità e cultura lavorano insieme  per produrre frutta, verdura e altre specialità locali. Tutto ha inizio nel 1972 con le Seed Bombs (letteralmente, bombe di semi) dei Green Guerrillas, gruppo di ambientalisti che inizia a gettare sacchetti di terra e semi oltre le recinzioni per far germogliare l’erba e restituire nuova luce alle tante oasi verdi abbandonate. Inizia così a propagarsi la pratica della bonifica dei terreni, gestita in piena autonomia da gruppi di volontari. Una tendenza che si trasforma in poco tempo, verso la fine degli anni ’70, nel fenomeno dei community gardens, orti comunitari dove chiunque può coltivare per il consumo proprio o per la vendita.


I community gardens

 

Dei rifugi per immigrati e appassionati agricoltori che non possono permettersi un appezzamento di terra, nati dapprima nella zona di Alphabet City, nell’East Village, e diffusisi poi nel resto della metropoli. Si tratta di proprietà pubbliche a tutti gli effetti, mantenute dai cittadini e organizzate da associazioni locali, prime fra tutte GreenThumb, che conta oggi 553 community gardens affidati a oltre 20mila volontari. Un programma di salvaguardia dell’ambiente, sostegno economico per le famiglie meno abbienti, ma anche e soprattutto di inserimento sociale per i nuovi arrivati, immigrati o meno. “La maggior parte dei membri dei community gardens sono persone straniere che provengono dal mondo contadino”, ha dichiarato il direttore di GreenThumb Bill Lo Sasso. “Entrando a far parte di un community garden”, continua, “si diventa membri integranti di una rete di vicini proveniente da diversi background e culture, che possono aiutare gli ultimi arrivati a integrarsi e stabilirsi al meglio nella comunità”.


Qualche esempio

 

Fra gli orti più grandi di New York, spicca quello del Bronx, nato nel 2012 e sostenuto da Bronx Green-Up, programma pensato per fornire formazione sull’orticoltura e assistenza tecnica ai residenti del Bronx che hanno scelto di diventare agricoltori urbani. “Negli ultimi anni il programma ha lavorato molto con persone dai Caraibi, dall’America Centrale e l’Africa”, ha commentato Ursula Chance, direttrice del Green-Up. L’orto del Bronx, infatti, conta attualmente il più alto tasso di membri stranieri della città. A regolamentare gran parte degli appezzamenti oggi è anche Greenmarket, realtà fondata nel ’76 con un duplice obiettivo: promuovere l’agricoltura regionale,  offrendo alle famiglie l’opportunità di vendere i prodotti da loro coltivati direttamente ai consumatori, e assicurare a tutti i newyorkesi un accesso a materie prime locali sempre fresche. Grazie al lavoro di Greenmarket, oltre 100 community gardens sono andati ad aggiungersi alla lista in crescente aumento degli orti urbani pubblici: “Niente rappresenta meglio la quintessenza di New York come un gruppo di persone da tutto il mondo che lavorano fianco a fianco”, ha affermato il presidente Marcel Van Ooyen.


Un fenomeno che sta iniziando a prendere piede anche in Italia (fra gli ultimi nati, il Parco Cerillo a Bacoli, in provincia di Napoli) e che, se condotto con criterio e impegno, potrà portare un giorno al recupero di aree verdi abbandonate, e soprattutto a una nuova consapevolezza ambientale dei cittadini.


a cura di Michela Becchi

Alice Italian Food Academy: nasce una scuola per giovani cuochi in Kenya

$
0
0

Una scuola di cucina italiana dedicata ai ragazzi del Kenya: è l’ultimo progetto di Alice for Children in collaborazione con l’Istituto Carlo Porta di Milano. Un’accademia costruita ad hoc a Utawala, Nairobi, per garantire un futuro migliore ai giovani del luogo. 

Il progetto

Si chiama Alice Italian Food Academy e nasce in risposta alle nuove esigenze del mercato del lavoro in Kenya, sempre più orientato alla ristorazione e alla ricezione turistica. Ideata dalla Onlus Alice for Children, impegnata dal 2007 a sostegno dei bambini più disagiati e bisognosi del Kenya, insieme all’Istituto Carlo Porta di Milano, Istituto Professionale Servizi per l’Enogastronomia e l’Ospitalità Alberghiera, l’Academy rappresenta la prima scuola di cucina italiana in Kenya, con una formula studiata per offrire ai ragazzi delle baraccopoli di Nairobi nuove opportunità lavorative, grazie al supporto di esperti del settore. Un corso di specializzazione per i ragazzi diplomati nei corsi alberghieri, dove gli insegnanti (dello staff di Alice for Children e dell’Istuto Carlo Porta) forniranno agli studenti le basi e gli strumenti necessari per potersi inserire nell’ambito della ristorazione, lavorando in maniera autonoma e professionale, costruendosi così un futuro migliore.

L’Accademia

Il Kenya è infatti un Paese che vive ormai da tempo di turismo, specialmente quello italiano, molto diffuso nella zona della costa. Una cucina tricolore ben fatta può rappresentare, dunque, una soluzione ideale per i giovani più volenterosi che hanno voglia di lanciarsi nel settore dell’enogastronomia, offrendo così ai visitatori (italiani e non) un pasto tradizionale d’autore. Ma come funzionano le lezioni? Ogni anno, oltre 60 ragazzi potranno accedere al percorso didattico dell'Accademia, seguendo lezioni e laboratori tenuti da chef italiani. Al termine della formazione, pratica e teorica, gli aspiranti cuochi e gestori di sala saranno pronti per l’inserimento lavorativo nei migliori ristoranti del Kenya. Un percorso di studi articolato in tre anni e mezzo: i primi due vedranno i ragazzi impegnati nell’apprendimento dei principi base della cucina e conservazione dei cibi, mentre il terzo, di completamento, consentirà agli studenti di focalizzarsi sui principi della tradizione italiana e dei suoi prodotti tipici. Un’iniziativa su cui i professionisti stanno lavorando da ormai due anni e che verrà avviata definitivamente entro la fine del 2017, grazie anche al prezioso contributo dello sponsor Chateau D’Ax, che ha devoluto per tutto il mese dello scorso dicembre il 5% delle vendite, per sostenere la costruzione della scuola nel villaggio di Alice for Children a Utawala, Nairobi. Ad aiutare i volontari, anche RadioItalia, che da sempre accompagna Alice for Children nei suoi progetti di beneficenza.

a cura di Michela Becchi

Viewing all 5335 articles
Browse latest View live