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Morta Judith Jones. Chi era la donna che ha “scoperto” Anna Frank e Julia Child

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Oltre 50 anni nell'editoria, con una passione per la cucina francese scoperta negli anni Cinquanta a Parigi, e una carriera di successo nella pubblicazione di best seller gastronomici. Nel 1961 la scoperta di Julia Child, esordiente col ricettario che sarebbe diventato un best seller. Ma prima c'era stato Il Diario di Anna Frank. 

Judith Jones. Addio all'imperatrice dell'editoria gastronomica

Oggi parleremmo banalmente di abile talent scout, ma semplificare così la storia di Judith Jones, e la sua capacità di orientare il gusto dei lettori americani finirebbe per togliere ogni briciolo di poesia al racconto della sua vita. Che fino a un paio di giorni fa, quando si è spenta all'età di 93 anni provata dalle complicazioni dell'Alzeimher, è stata una vita intensa, ricca di soddisfazioni e lavoro appassionato, tra le pagine di molti best seller dell'editoria gastronomica statunitense. “Addio all'imperatrice dei libri di cucina” titola la stampa americana in ricordo di Judith, classe 1924, che per oltre 50 anni ha lavorato a scovare manoscritti di letteratura gastronomica di scrittori esordienti e ricettari d'autore (alcuni, più di recente, li aveva anche firmati personalmente). Nel 1957 era entrata nella redazione dell'editore newyorkese Alfred A. Knopf, come assistente alle traduzioni di classici della letterature francese. Quello che sarebbe successo nei decenni a venire, forse, neanche lei lo immaginava. Certo è che al suo ritiro nel 2011, Judith Jones è andata in pensione lasciandosi alle spalle la carica di vice presidente della casa editrice. Prima di riprendere a seguire con ordine la linea del tempo, però, un rapido excursus ci porta nella Parigi degli anni Cinquanta, dove Judith si trovò in missione per l'editore Doubleday.

Da Anna Frank a Julia Child

Lì, tra una pila di libri dimenticati e scartati dall'editore, un giorno aveva scoperto il Diario di Anna Frank, già pubblicato in tedesco; colpita dalla copertina, come raccontò diversi anni dopo, cominciò a leggerlo, tutto d'un fiato. Quel libro doveva arrivare ai lettori americani, pensò: troppo importante il messaggio che conteneva, struggente la lettura, potenzialmente spendibile sul mercato editoriale statunitense. “Uno di quei testi fondamentali, che non sarà mai dimenticato”, diceva. Ecco perché subito si attivò per la sua pubblicazione. E per fortuna l'ebbe vinta. Da un caso letterario a un altro, circa dieci anni dopo, tornata a New York ed entrata in forze presso l'Alfred Knopf, si ritrovò a sfogliare un corposo manoscritto di 800 pagine, un ricettario di cucina francese spiegata agli americani, a firma Julia Child, Simone Beck, Louisette Bertholle. Era il celebre Mastering the Art of French Cooking, o meglio quello che mai avrebbe dato la notorietà a Ms. Child se proprio Judith si fosse presa la briga di credere in un testo rifiutato da molti altri editori. Da quel momento, la vita delle due donne sarebbe radicalmente cambiata (un'idea di come andarono le cose la ricostruisce il film Julie and Julia, 2009): per Julia Child si schiudevano le porte della televisione, con la fortunata serie The French Chef, mentre il suo libro si diffondeva a macchia d'olio, tra ristampe dell'originale edito nel 1961 e un secondo volume pubblicato nel 1970; mentre la carriera di Judith Jones si orientava decisamente sul comparto dell'editoria gastronomica, con un lavoro di scouting e selezione capillare che nel 2006 gli è valso il premio alla carriera della James Beard Foundation.

 

La passione per la cucina francese

Perché il manuale di Child e compagne l'avesse colpita così tanto, a distanza di decenni non è più un mistero. Fu lei stessa a rivelarlo qualche anno fa: “Era il ricettario che avevo sempre sognato, speigava come e perché seguire passo dopo passo lo svolgimento della ricetta”. Con approfondimenti sulle tecniche, le attrezzature e gli utensili più adatti, gli eventuali ingredienti da sostituire, “e tutti gli accorgimenti per rimediare agli errori”. Anche questo non suonerà nuovo per chi ha amato il film con Meyl Streep/Julia Child diventato un cult del genere. Nei decenni a venire Judith Jones si sarebbe dimostrata un editore straordinaria, creativa, eclettica, appassionata e curiosa di scoprire nuove storie; particolarmente affascinata dalla cucina francese, che praticava nella sua cucina di Manhattan, e nella casa di campagna in Vermont. Tra gli autori pubblicati, James Beard, Lidia Bastianich, Jacques Pepin; mentre con suo marito, conosciuto a Parigi nel 1948, ha scritto tre libri, due sul pane, il terzo sulla cucina del New England. Del 2009, dopo la comparsa del marito, è il best seller The Pleasures of Cooking for One. E negli anni tanti sono stati i contributi per le riviste Vogue, Saveur e Gourmet. “Il cibo ha cominciato a essere materia degna di rispetto nel mondo editoriale grazie a lei”, conferma ricordandola Ruth Reichl, celebre penna dell'editoria gastronomica.

Finora però nessuno ha ancora pensato di fare un film sulla sua vita. Chissà se ora qualcuno penserà di trarne una sceneggiatura accattivante quanto quella di Julie and Julia.

 

a cura di Livia Montagnoli

Foto di apertura Chester Higgins Jr. (New York Times)


Torna Calici di Stelle. Tutti gli appuntamenti per bere bene sotto il cielo d'estate

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Fino al 14 agosto è di scena Calici di Stelle: 200mila bottiglie pronte per essere stappate sotto un cielo che promette condizioni ideali per vedere le Lacrime di San Lorenzo. Previsti presidi dell’Unione Astrofili Italiani nelle vigne e nelle Città del vino. 

Agosto, è tempo di alzare gli occhi al cielo. Fino al 14 del mese in 500 comuni e cantine del vino è di scena Calici di Stelle – la rassegna organizzata dal Movimento turismo del vino (Mtv) in collaborazione con Città del vino – che quest'anno, secondo le stime, coinvolgerà 1 milione di enoappassionati, 200mila bottiglie pronte per essere stappate e alcune migliaia di stelle cadenti previste nei prossimi 10 giorni. “Calici di Stelle piace perché è un evento dove il vino non è vissuto in modo elitario ma popolare” è il commento del presidente del Movimento Turismo del Vino Carlo Pietrasanta “nel senso più ricco del termine. Il vino è infatti compagno della festa e dello spirito culturale dei territori italiani; non ne è il protagonista”.

Quest’anno” sottolinea il presidente di Città del Vino, Floriano Zambon le Città del Vino hanno deciso di dedicare Calici di Stelle a un progetto di solidarietà per il comune di Matelica, danneggiato dal sisma dello scorso ottobre, ma questo non metterà in ombra l’obiettivo principale della più grande manifestazione enoturistica dell’estate: promuovere la qualità della vita, l’educazione al bere consapevole e le tante bellezze dei nostri territori”.

 

I principali eventi

Sarà un'edizione molto musicale: a Ortona (Chieti), il Castello Aragonese a picco sul mare sarà invaso il 5 agosto da 30 cantine insieme alle note swing degli anni ‘30, ’40 e ’50. A Taranto, nei giardini di Piazza Garibaldi, sarà la Traviata ad accompagnare il 10 agosto il brindisi sotto le stelle di 70 aziende socie Mtv. Dal mare passiamo alla montagna, con due vette su tutte: il terrazzo chic dell’Hotel de la Poste di Cortina (12 agosto), con 100 etichette provenienti da tutta Italia, e i 1800 metri di altitudine del rifugio Patascoss di Madonna di Campiglio (10 agosto), presidio più alto di questa 21esima edizione di Calici di Stelle. Ma si farà festa anche in città, ad esempio a Milano con il mega-banco d'assaggio del 9 agosto lungo i Navigli, così come nei luoghi simbolo del vino: il 10 agosto a Barolo nella terrazza del Castello, dove ha sede il Museo del Vino WiMu, e a Montefalco per un percorso suddiviso in quattro tappe, ciascuna nei pressi delle quattro taverne dei quartieri simbolo del borgo: Sant'Agostino, San Bartolomeo, San Fortunato e San Francesco.

 

Tutti a guardar le stelle

Buone notizie, infine, per gli amanti della volta celeste. Dall'Unione Astrofili Italiani (partner di Calici di Stelle) fanno sapere che le prossime settimane saranno ideali per l'osservazione del cielo: “Sarà un anno positivo per vedere le Perseidi, nome scientifico delle note lacrime di San Lorenzo” spiega il responsabile della divulgazione Paolo Volpini “grazie soprattutto a un’intensa attività dello sciame di meteore e a una Luna più ‘timida’ nei giorni clou di Calici di stelle, che recherà un disturbo minimo. La luna sarà, infatti, piena il 7 agosto, e nelle notti più attese (10-12 agosto) sorgerà man mano più tardi, riducendo il disturbo causato dalla sua luminosità: per diverse ore avremo cieli bui, ideali per osservare il maggior numero di stelle cadenti, che si prevedono essere molte decine ogni ora, a partire dalla tarda serata”. Ma non solo. I numerosi ‘presidi’ dell’Unione astrofili italiani, ai diversi eventi organizzati nei comuni del vino e tra le vigne delle aziende del Movimento turismo del vino, consentiranno l’osservazione di altri ‘oggetti spaziali’, come Giove e Saturno, visibili a occhio nudo, o gli anelli di Saturno e le 4 lune principali del gigantesco Giove visibili con i telescopi messi a disposizione dall'Associazione. Buona osservazione.

Per info sul fenomeno astronomico: divulgazione.uai.it/index.php/Calici_di_stelle.

 

Calici di Stelle | 3-14 agosto | Cantine e Comuni del Vino | www.movimentoturismovino.it; www.cittadelvino.it

 

a cura di Loredana Sottile

 

 

Gli incendi sul Vesuvio mettono a rischio la produzione di miele in Campania

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Spente le fiamme, si contano i danni. L'incendio che ha distrutto parte del Parco Nazionale del Vesuvio il mese scorso ha messo a dura prova il settore agroalimentare, in particolare la produzione di miele. Morte 50 milioni di api e 100 nuclei di produzione, ma gli apicoltori campani non demordono.

I danni dell'incendio. La strage di api

Un rogo a Torre del Greco che ha mandato in fumo 10milametri quadri di Parco Nazionale: l'incendio che ha coinvolto il territorio del Vesuvio lo scorso 14 luglio ha avuto – e sta ancora avendo – significative ripercussioni sull'ecosistema circostante. E il comparto agroalimentare non fa eccezione, anzi: fra le vittime più colpite dalle fiamme ci sono proprio i campi agricoli, dai frutteti agli orti. A risentire in maniera cospicua delle conseguenze dell'incendio sono state le aziende apistiche della zona, in particolare la Fattoria Biagino di Napoli, uno dei maggiori produttori locali di miele, che ha visto andare in fumo quasi 100 nuclei di riproduzione, cassette su cui gli apicoltori lavoravano da decenni per una ricerca sulla genetica degli insetti. Sono 50 milioni in tutto le api morte a causa del rogo sul Vesuvio, che ha coinvolto anche le zone di Licola e Agnano, dove ad andare in fumo è stata la riserva naturale Cratere degli Astroni, un'oasi verde ricca di flora e fauna, fra sentieri, colline e specchi d'acqua. Un numero destinato a crescere a causa degli effetti del fumo sugli sciami sopravvissuti. Aumentano così gli ostacoli che il settore del miele si ritrova ad affrontare, un comparto che, come sottolinea la Coldiretti, “è già fortemente messo in crisi dalla siccità”. Le api, infatti, come abbiamo potuto tristemente constatare con alcuni fra i migliori produttori italiani, da tempo soffrono la mancanza di pioggia. Il clima arido con scarse precipitazioni ha ridotto notevolmente la disponibilità dei fiori, senza considerare i danni causati dall'escursione termica fra il giorno e la notte, che brucia i petali rendendo la pianta improduttiva.

Conseguenze a lungo termine

La soluzione? Al momento, sembra non esserci. Secondo la Coldiretti, per ricostruire i boschi andati a fuoco ci vorranno almeno 15 anni, e per ogni ettaro di macchia mediterranea bruciato muoiono circa 400animali tra mammiferi, uccelli e rettili. Tante le varietà vegetali danneggiate, dai boschi di querce a quelli di faggio, dai castagneti alle erbe aromatiche fino ad arrivare ai funghi. “Nelle foreste andate a fuoco”, continua la Coldiretti, “saranno impedite tutte le attività umane tradizionali del bosco come la raccolta della legna, dei tartufi e dei piccoli frutti, ma anche quelle di natura hobbistica come i funghi, che coinvolgono a settembre decine di migliaia di appassionati”. Le conseguenze dell'incendio sono, dunque, destinate a perdurare nel tempo, per le api in primis. Gli esperti del Conaproa, il consorzio nazionale dei produttori apistici, calcolano una perdita ulteriore di almeno il 20% di insetti.

Un danno enorme per la biodiversità”, spiega Salvatore Loffreda, direttore di Coldiretti Napoli e Campania, e aggiunge: “Non si è persa solo la produzione di miele e polline di quest’anno, bruciata insieme alle arnie, ma una così drastica riduzione di api mette in seria difficoltà anche quella del prossimo anno”. La tragedia ha visto un impegno straordinario di uomini e mezzi: tanti i volontari che hanno lottato tra le fiamme per salvare le api, patrimonio dell’umanità e non solo: gli insetti possono anche essere utili nella ricostruzione del disastro ambientale. Un esempio? Si potrebbero utilizzare, come suggerisce Coldiretti, gli sciami per il monitoraggio ambientale del Parco nazionale del Vesuvio tramite il Conaproa, così come già avvenuto nel casertano in collaborazione con la Facoltà di agraria di Portici.

a cura di Michela Becchi

Mangiare cocktail. Esperimento a La Terrazza di Modica con Accursio Craparo e Mattia Cilia

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Estate, Sicilia, Modica. Sono le coordinate per godersi un buon cocktail nella nuovaTerrazza di Accursio Craparo, che ha da poco inaugurato proprio di fronte al suo ristorante. 

Ci deve aver preso gusto Accursio Craparo, che dopo aver aperto a giugno Accursio Radici, ha inaugurato pochi giorni fa Accursio La Terrazza, un cocktail bar, per aperitivi e after dinner, laddove un tempo c'era il dehors del suo ristorante gourmet. Ora anche a Modica si beve bene sulla scia di quanto già fatto poco distante, a Ragusa, da Ciccio Sultano che in primavera, in collaborazione con Velier e insieme a Peppe Cannistrà, ha inaugurato la sua idea di “Cucina Alcolica” con piatti e cocktail che condividono in qualche modo la stessa ricetta.

Accursio La Terrazza

Nel cuore barocco di Modica Bassa, proprio sul corso della città e ai piedi della scalinata del Duomo di San Pietro, Accursio ha dedicato un intero spazio al bere miscelato. È Accursio La Terrazza, con tutte le carte in regola per diventare un punto di riferimento per gli amanti del genere. “La Terrazza è la concretizzazione di un’idea che ci accompagna da tempo, grazie alla collaborazione ormai consolidata con Mattia Cilia” - racconta Accursio - “Se già da più di un anno i cocktail pensati insieme a Mattia accompagnano la carta del ristorante, per spezzare le regole del vino nell’accompagnamento del pasto, ora con La Terrazza vogliamo renderli protagonisti”. Il maestro d'orchestra è il ventisettenne ragusano Mattia Cilia, Presidente della Mixology's Living Room Academy di Ragusa, con alle spalle esperienze londinesi, una su tutte quella al Milk & Honey con Sasha Petraske, e newyokesi, che gli hanno permesso di conoscere il suo mentore Fabio Raffaelli, bartender e barmanager che ha lavorato al fianco di big come Gordon Ramsay, Ferran Adrià o Joe Bastianich.

Mattia Cilia di Accursio La Terrazza a ModicaMattia Cilia

La carta dei drink:  Lost&Found, Modern Classic, Signature e Liquid Kitchen

Quattrocento libri dopo (sì ne ha letti davvero così tanti!) è ritornato alle origine, prima al FudOff di Catania e oggi alla Terrazza, dove propone un menu diviso in quattro tipologie: “Con i drink della categoria Lost&Found volevamo far capire da dove arriva la mixology, quindi si tratta di drink dimenticati o poco diffusi, come l' Aviation o il Corpse Reviver. Ci siamo poi mossi sui cocktail diventati famosi negli ultimi 20 anni, quando un gruppo di bartender angloamericani ha preso le redini della miscelazione riportandola alla ribalta. Il più rappresentativo della categoria Modern Classic è assolutamente l' Espresso Martini”. Poi ci sono i Signature drink e quelli che richiamano la cucina di Accursio e più in generale quella italiana, ovvero i Liquid Kitchen. “Abbiamo pensato a un percorso a tappe per diffondere la cultura della miscelazione, dapprima partendo dalle basi (e da quel che è stato), per poi passare a drink più ricercati, i nostri Signature, dove spesso utilizziamo sciroppi, bitter ed estratti fatti da noi. E infine arrivare a cocktail estrosi, che reinterpretano la cucina in forma liquida, come per esempio l'Ostrica Tonic (ndr. di cui ci dà la ricetta) o Pasta al pomodoro, fatto con un distillato russo che sa di pane e acqua di pomodoro”. Tutti drink da accompagnare con la selezione di street tapas, o per dirla in italiano arancine, sfincioni, caponate, panzerotti dell'adiacente Accursio Radici. Vediamo 4 ricette di altrettanti cocktail.

Bamboo, un drink di Accursio La Terrazza a Modica

Bamboo cocktail -  Lost&Found

40 ml di sherry fino

40 ml di vermouth dry

2 dash (2 gocci) di bitter orange

1 scorza di limone per la decorazione

Inserire tutti gli ingredienti in un mixing glass, aggiunge ghiaccio e mescolare per circa 15/20 secondi. Raggiunta la diluizione desiderata e la corretta temperatura, versare in una coppetta da cocktail ben ghiacciata. Decorare con una scorza di limone tagliata.

Floradora, un drink di Accursio La Terrazza a Modica

Florodora - Modern Classic

50 ml di Bobby's Schiedam gin

2 lamponi

15 ml di succo di limone

15 ml di zucchero

5 ml di centrifugato di zenzero

Top di soda limone e zenzero

1 fetta di limone e 1 lampone per la decorazione

Inserire tutti gli ingredienti in uno shaker, ad eccezione della soda, e shakerare vigorosamente. Filtrare con un double strain in un tumbler alto, colmare con ghiaccio a cubi e completare con la soda. Decorare con una fetta di lime e un lampone.

Zahara - Signature

50 ml di Campari

10 ml di marsala secco

20 ml di succo di limone

15 ml di zucchero

3 dash (gocci) di bitter alla zagara (fiori degli agrumi) homemade

Top di spuma bionda polara

1 pezzo di ghiaccio cristallino irregolare

1 scorza di limone e una

Inserire tutti gli ingredienti in uno shaker, ad eccezione della spuma, shakerare vigorosamente e filtrare con un double strain in un calice à stelo alto. Colmare con la spuma. Completare aggiungendo 1 pezzo di ghiaccio cristallino irregolare all'interno. Decorare con la scorza di limone e sul bordo una crusta di cioccolato di Modica al sale a rifinire il tutto.

Ostrica Tonic #2 - Liquid Kitchen

45 ml di gin Edinburgh Seaside

10 ml di Italicus rosolio di bergamotto

Top di acqua tonica all'africa

1 scorza di limone disidratato e fucus (un'alga) tostato per la decorazione

Inserire tutti gli ingredienti direttamente in un tumbler alto ben raffreddato e colmare con ghiaccio a cubi. Decora con una scorza di limone disidratato e fucus tostato.

 

Accursio La Terrazza | Modica | corso Umberto 116/118 | aperto tutti i giorni a partire dalle 19.00

  

a cura di Annalisa Zordan

 

Novità dagli States. April Bloomfield e Daniel Boulud chiudono, David Chang apre a Los Angeles

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Daniel Boulud è il nume tutelare della cucina francese a New York, e in città gestisce un vero e proprio impero della ristorazione. Tra qualche giorno però la sua brasserie DBGB chiude i battenti, per calo d'incassi. Stessa sorte per Salvation Burger. Mentre David Chang guarda a Los Angeles, dove entro l'anno aprirà North Spring. 

L'impero di Daniel Boulud

Quando, nell'autunno 2014, l'esclusivo ristorante Daniel perse la terza stella, della delusione di Daniel Boulud si fece un gran parlare. E invece, nonostante la Michelin continui a classificare la rinomata tavola di Manhattan nel novero dei bistellati di New York, il maestro francese è rimasto saldo nel gruppo degli chef più stimati in città. Ma la dedizione alla causa dell'alta cucina non gli ha impedito negli anni di diversificare l'attività, un po' come è abitudine di molti grandi chef d'oltreoceano, che al talento del cuoco uniscono un ottimo fiuto imprenditoriale. E la voglia di rischiare su una piazza tutt'altro che clemente. Ci hanno provato recentemente Daniel Humm e Will Guidara con Made Nice, il messicano Enrique Olvera con le colazioni di Atla, il redivivo Wilye Dufresne con la ciambelleria Du's. Mentre veterano del genere è David Chang, miniera di idee e prolifico inventore di format di ristorazione informale. Boulud, dal canto suo, nel 2011 battezzava l'insegna Epicerie Boulud, un po' boulangerie francese, un po' coffee shop, inaugurato al Lincoln Center, e replicato in Greenwich street, nella food hall dell'hotel The Plaza, e presto al World Trade Center Oculus (dove dall'anno scorso Eataly è uno dei fiori all'occhiello dell'offerta gastronomica). Ma sono molti i progetti che oggi fanno capo all'impero della ristorazione Boulud, dal Bar Boulud all'adiacente Boulud Sud dedicato alla cucina del Mediterraneo, al Cafè Boulud dell'Upper East Side, che condivide la scena con il Bar Pleiades, specializzato nel bere miscelato. E ancora il Db Bistro Moderne, esemplato sull'idea di un bistrot parigino dal piglio contemporaneo, celebre per i suoi Db burger.

 

La chiusura di DBGB. La crisi della brasserie

Il DBGB Kitchen and Bar, invece, nasceva otto anni fa sulla Bowery, celebre corridoio di cesura tra Chinatown, Little Italy e il Lower East Side, a Manhattan. L'insegna coniuga la cucina di una brasserie francese con l'atmosfera informale di una taverna americana, con cucina a vista: in tavola arrivano salsicce, hamburger, frutti di mare, costolette d'agnello, pietanze rustiche da bistrot francese; in abbinamento un'ampia selezione di birre. Mentre la zona bar all'aperto funziona nella bella stagione per brunch del weekend e cene informali durante la settimana. Questo fino all'11 agosto, quando il DBGB chiuderà per sempre i battenti. Il motivo? Gli incassi non sono più all'altezza delle aspettative, specie nei giorni infrasettimanali. Resterà invece in attività l'insegna gemella aperta a Washington, dove arriverà lo chef Nicholas Tang. Ma l'intenzione è quella di riaprire al più presto anche l'avanposto newyorkese, in uno spazio più appropriato alle necessità. Ma certo pesa nella decisione anche la volontà di concentrarsi sul progetto ambizioso che vedrà protagonista lo chef all'interno del grattacielo in costruzione One Vanderbilt, che sta sorgendo proprio accanto al Grand Central: un grande ristorante da 150 coperti pronto entro il 2020, al secondo piano dell'edificio destinato a diventare una delle più alte office tower in città.

 

David Chag apre a Los Angeles

E mentre da New York si segnala anche la chiusura di Salvation Burger – l'insegna specializzata in hamburger by April Bloomfield all'interno dell'hotel Pod 51, Midtown, aperta a febbraio 2016 e coinvolta qualche mese dopo in un brutto incendio – da Los Angeles arrivano interessanti indiscrezioni. Proprio il team Bloomfield – Friedman starebbe maturando progetti in città, ma la metropoli californiana piace molto anche a David Chang, che il prossimo inverno aprirà un nuovo ristorante tra Chinatown e Koreatown (“dove il cibo è straordinario” ammette Chang). Il tredicesimo del gruppo Momofuku nato nel 2004, il primo a LA, dove presto aprirà anche il Milk Bar di Christina Tosi. Da più di un anno Chang progetta l'esordio sulla West Coast, “uno spazio inaspettato” lo definisce lui, in stretta sinergia con i farmer's market della città, per offire qualcosa di “nuovo e delizioso”, ancora work in progress. North Spring si chiamerà. E la curiosità è già tanta.  

 

a cura di Livia Montagnoli

Corsi di cucina gratis per studenti fuori sede. L'idea dell'Università di Padova

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Una sessantina gli studenti più fortunati, che potranno frequentare lezioni teoriche e pratiche di spesa consapevole, riuso degli scarti, cucina di base, dalla preparazione dei sughi alle ricette per dessert sani, golosi e facili da preparare. Ma l'iniziativa dell'ateneo padovano andrà pure in diretta streaming. 

La dieta dello studente fuori sede. Come migliorarla

L'Italia sarà pure il Paese della buona tavola, ma il destino dello studente fuori sede, con poca voglia di arrangiare una cena al ritorno dall'università e scarsi mezzi economici a disposizione, resta invariato di generazione in generazione. E la leggenda che lo vede seduto davanti a un pasto frugale , messo insieme alla bell'e meglio tra un sugo pronto e una scatoletta di tonno, sognando la lasagna della mamma, è dura a morire. Anche nell'Italia del giorno d'oggi, dove tutti si improvvisano masterchef e tanti cominciano a scoprire i benefici di un consumo consapevole, più attenti a quello che comprano e portano in tavola. Ma non basta, devono aver pensato all'università di Padova, che, in collaborazione con Ascom e Supermercati Alì, ha deciso di far leva sulla curiosità dei ragazzi per presentare loro il primo corso universitario di educazione alimentare. Una possibilità di riscatto per chi ai vent'anni è arrivato senza mai accendere un fornello, e avrebbe tanto bisogno di imparare le basi della corretta alimentazione. Compresa un'infarinatura sulla sicurezza alimentare e qualche buon consiglio per conservare nel modo giusto il cibo, limitando lo spreco e scongiurando le intossicazioni. Dal prossimo anno accademico del Bo, il progetto prenderà forma articolandosi in quattro edizioni, ciascuna della durata di una settimana, proponendo agli studenti un percorso teorico e pratico, con prova ai fornelli e valutazione finale.

 

I corsi di cucina dell'università di Padova

Un corso accelerato di cucina per principianti che potrà accogliere fino a 64 iscritti ai diversi corsi di laurea dell'ateneo padovano. Per loro cinque appuntamenti serali di tre ore ciascuno, con un programma formativo che alterna lezioni frontali di gestione della dispensa ed economia domestica agli incontri con il medico nutrizionista, per fare il punto sulle proprie abitudini alimentari, e studiare insieme la dieta più giusta. Spazio anche ai laboratori di cucina, per la preparazione di sughi, piatti unici, ricette veloci e pratiche da replicare, qualche suggerimento in più per stupire gli amici e invogliare i ragazzi ad avvicinarsi ai fornelli. Lezione di pasticceria compresa. Quattro i criteri da privilegiare: una cucina sana, veloce, economica, che privilegia i prodotti del territorio. Alla fine ogni partecipante riceverà un attestato di frequenza, ma tutti potranno beneficiare delle lezioni tramite la diretta streaming sui canali dell'università. Ascom invece metterà a disposizione gli spazi e le attrezzature (alle cucine dell'Accademia Arti e Mestieri), mentre la catena Alì fornirà alimenti e prodotti utilizzati a lezione. All'ateneo il compito di facilitare gli spostamenti, con un servizio di navetta gratuito fino alle aule, e fornire agli allievi divise e cappelli.

Grazie al sodalizio con Ascom e Alì, comunque, l'investimento si aggirerà intorno ai 20mila euro, e se dovesse produrre buoni risultati potrebbe diventare un appuntamento fisso nel calendario dei corsi dell'ateneo. E un'iniziativa da copiare per molte università d'Italia, contro lo strapotere di pizza e domicilio, cibi precotti e kebab.

 

a cura di Livia Montagnoli

Non solo bottarga. Mangiare il muggine in 6 ricette d'autore

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Il cefalo non è sinonimo solo di bottarga. È ottimo anche marinato, cotto alla brace, in crosta di sale, semplicemente al forno con le patate o trasformato in farcia per dei tortelli. Ecco 6 ricette - alcune da replicare a casa, altre un po' meno - che lo vedono protagonista. Anche perché sempre di più gli chef stanno tornando ad utilizzarlo.

Di etica e sostenibilità in cucina si parla sempre più spesso. Ma quali possono essere gli esempi concreti, e quindi che fanno davvero la differenza, di un piatto sostenibile? Sicuramente l'uso degli scarti (pensiamo alla Cucina circolare di Igles Corelli, che a dire il vero va ben oltre l'uso degli scarti), la riduzione dell’impatto ambientale, il sostegno alle realtà virtuose. Ma anche l'utilizzo di materie prime che sono di per sé sostenibili. È partito da questo assunto Gianfranco Pascucci quando ha iniziato l'avventura con l'oasi del lago di Burano di Orbetello. Un progetto volto a rendere questi spazi un luogo di incontro e conoscenza, dove alla natura libera si affianca la conoscenza di un pesce che attualmente è ancora legato a un retaggio storico difficile da superare. Parliamo del cefalo o muggine “un tempo trattato dai pescatori come il colera perché, adattandosi a ogni habitat, era il pesce che stava presso le foci fluviali e in zone portuali, con conseguenze gravi sul sapore della sua carne: a volte capitava sapesse addirittura di petrolio. Così nessuno volevo comprarlo e di conseguenza era venduto a pochi euro al chilo. Eppure è un pesce eccezionale, con una carne consistente che si presta a diverse preparazioni”. E noi ve lo possiamo confermare, avendo avuto il privilegio di assaggiarlo. Ma quanti chef lo utilizzano nei loro menu? Dopo una piccola indagine, tra le migliori tavole di mare d'Italia, ecco sei ricette d'autore da provare a casa. Prima, però, conosciamo meglio il cefalo.

Il cefalo

Il termine si usa genericamente per indicare i pesci della famiglia dei mugilidi, per questo chiamati anche “muggini”. Si tratta di esemplari (la lunghezza varia dai 30 ai 70 cm) dal corpo affusolato di colore bianco argento, coperto di fitte squame spesso difficili da eliminare. Vivono sia in mare aperto, sia presso le foci fluviali che in zone portuali, cosa che influenza notevolmente la qualità delle loro carni. In Italia si pescano tutto l’anno, in particolare nei mesi di gennaio, febbraio e agosto. Sono cinque le specie riconoscibili nei nostri mari; di queste, il cefalo volpina è sicuramente il più pregiato sia per la bontà delle carni, sia in quanto dalle ovaie si ricavano le bottarghe migliori. Si riconosce da una sottile membrana adiposa sull’occhio (l’occhio velato in questo caso è segno di freschezza), vive in zone lagunari o dove l’acqua dolce si mescola al mare, e si pesca soprattutto in autunno e in primavera. Molto apprezzati in cucina sono anche il cefalo dorato o lotregano, piccolo e contraddistinto da una macchia gialla ai lati della testa, e il cefalo bosega. Di modesto valore commerciale invece sono i cefali calamita everzelata. In linea generale le carni dei mugilidi sono buone, abbastanza sode e di relativa grassezza: tuttavia un pesce che ha vissuto in un ambiente sabbioso o portuale tenderà ad avere un sapore nettamente più sgradevole. Di tutte le specie, il dorato è quello che maggiormente predilige il mare aperto e dunque ha più possibilità di fornire carni saporite, mentre il volpina, che viene spesso allevato, offre più garanzie al consumatore grazie al controllo sulle acque. In cucina gli esemplari più grandi si possono cuocere in tutti i modi in cui si preparano l'orata, la spigola o il dentice: sono ottimi al forno, in umido con erbe aromatiche, fritti, al sale o alla griglia. I cefali di dimensioni più piccole sono invece ingredienti importanti di molte zuppe di pesce della tradizione regionale italiana, come i brodetti adriatici o la cassòla sarda.

La bottarga di muggine o cefalo

La Bottarga

Detta anche caviale del Mediterraneo, è una preparazione artigianale a base di uova di cefalo (detto anche muggine) salate, pressate e stagionate per circa 5 mesi. All’aspetto è simile a un salame a sezione quadrata, di colore nocciola o ambrato, consistente ma non asciutto. L’area d'elezione per la produzione di bottarga è la Sardegna, in particolare la zona di Cabras, dove i cefali abbondano negli stagni salmastri. La lavorazione artigianale ha radici antiche: pare fossero i Fenici i primi ad averla brevettata, anche se la diffusione nel bacino del Mediterraneo si deve soprattutto all'opera dei mercanti arabi: il nome deriva dall'arabo bùtarikh, che significa appunto “uova di pesce salate”. I prodotti migliori si ottengono dal cefalo volpina, ma viene confezionata anche a partire da uova di altri pesci, come il tonno e il merluzzo, anche se la qualità è decisamente inferiore. Caso a parte, la rara bottarga di spigola, tanto delicata quanto difficile da reperire. Vediamo ora le ricette con il cefalo, quello fresco e che nuota in acque limpide. A cominciare da quella di Gianfranco Pascucci, che ci ha ispirato nella stesura dell'articolo, per continuare con quelle di cinque grandi interpreti del mare e della laguna: Moreno Cedroni, Lionello Cera, Marco Claroni, Setafano Deidda Romano Franceschini.

Gianfranco Pascucci - Pascucci al Porticciolo

Un’evoluzione durata anni, costata impegno e fatica, ha portato lo chef Gianfranco Pascucci a trasformare il ristorante dell’albergo di famiglia in una meta per appassionati gourmet. Una cucina che riesce a essere sorprendente e creativa, esaltando le risorse del litorale senza mai snaturarle: il tocco dello chef è sempre evidente, anche nella ricerca di prodotti inusuali, per l'appunto come il cefalo. Ai lettori del Gambero Rosso regala la ricetta del suo Muggine marinato e carciofi (che potrete apprezzare a Torino, durante Gourmet Food Festival nell'appuntamento “La lista della spesa. Il pesce, ci vuole occhio”).

Muggine marinato e carciofi (foto di apertura)

Per il muggine marinato

100 g di sale fino

1 scorza di limone

2 rametti di timo

Pepe

1 foglia di salvia

Scorza di arance amare

1 filetto di muggine dell'Oasi di Burano

Unire tutti gli ingredienti e marinare il filetto di muggine per 15 minuti nel composto di sale aromatico.

Per l’idrolato di agrumi

6 limoni non trattati

3 rametti di rosmarino (la parte alta vicino ai fiori)

2 foglie di salvia

1 bacca di ginepro rosso

20 g di alga wakame conservata nel sale

Ghiacciare nell’azoto la scorza degli agrumi e il rosmarino, tritare e inserire con il ginepro in un distillatore, fino a ottenere un idrolato contenente anche oli essenziali.

Per la salsa di radici e erbe

300 g di finocchi

10 g di prezzemolo

120 g di olio extravergine d’oliva

120 g di soia

120 g di succo di limoni

60 g di zenzero

1 spicchio d’aglio

Frullare tutti gli ingredienti, poi passare al colino fine. Emulsionare.

Per la salsa verde

200 g di prezzemolo

1/2 spicchio di aglio

10 g di capperi

1 acciuga

20 g di pane grattato

100 g di olio extravergine d’oliva

10 foglie di sedano

10 g di aceto

Frullare tutto con un cucchiaio di ghiaccio. Passare al passino fine. Eventualmente addensare.

Per la salsa di sole

1 g di pistilli di zafferano

30 g di brodo dashi

1 cucchiaino di polvere di kuzu

Tostare i pistilli di zafferano, unirli al brodo tiepido e lasciare infondere per due ore. Addensare con la polvere di Kuzu.

Per la parte vegetale

2 carciofi romaneschi tagliati sottili e fritti in olio a 16°C, poi essiccati per una notte a 70°C

3 lamelle di radici fermentate (a seconda della reperibilità)

4 punte di asparagina appena scottate al vapore

Fiori eduli (margherite, fiori di broccoletto, elicriso, a seconda della reperibilità)

2 capperi dissalati

Esecuzione e finitura del piatto

Scottare il filetto di muggine facendo colare acqua bollente sul lato della pelle. Arrostire brevemente il muggine, sempre dal lato della pelle, su carboni caldi avendo cura di vaporizzare di tanto in tanto l’idrolato di agrumi in modo da creare un fumo molto aromatico. Togliere la pelle e condirla con i capperi, la salsa di radici, erbe e un po' di alga. Tagliare sottile la carne di muggine, condirla con olio e qualche goccia di limone. Disporre nel piatto prima la pelle con i capperi, poi il filetto in carpaccio e le radici. Adagiare i carciofi croccanti sopra il filetto, decorare con asparagi e fiori eduli. Guarnire alternando in modo equilibrato le tre salse.

 

Moreno Cedroni - Clandestino Susci Bar

Ha anticipato mode gastronomiche e concept restaurant, inventato formule innovative che hanno segnato la strada di un'avanguardia ristorativa per la sua capacità di macinare sempre nuove idee. Lui è Moreno Cedroni, che con i suoi Madonnina del Pescatore, Clandestino susci bar e Anikò salumeria ittica, è diventato il punto di riferimento per chiunque voglia provare una cucina principalmente di mare, fatta di cuore, passione e tradizione, in un mix di fantasia e classe. Venendo a noi, la ricetta che ci svela arriva direttamente dal menu 2017del Clandestino. Quest'anno il menu è dedicato alle corti rinascimentali. Per quel che riguarda il cefalo, mi sono ispirato alla Corte dei Malatesta, una nobile famiglia italiana dalla quale ci sono giunti dei ricettari molto interessanti. Spulciando un po' tra i documenti, tra cappelletti alla cortgiana e funghi ripieni, mi è caduto l'occhio sul cefalo, che loro proponevano lesso e accompagnato da una salsa bianca, che poi ho capito essere di mandorle. Ne è uscito un piatto complesso, dalla texture unica, di cui vado fiero: Cefalo marinato con miele e soia, salsa di mandorle, arancia candita, melissa e macadamia”. Un piatto che si rifà alla cucina rinascimentale, ma è anche un frammento di ricordo dell'infanzia dello chef: “Il cefalo è tipico del nostro mare, era il pesce che quando si tiravano su le reti, saltava e scappava. Mia mamma lo preparava spesso, anche se a volte sapeva di fango o addirittura di petrolio (forse lo pescavano vicino alla raffineria). Per ovviare a questo, lo apriva, gli ci metteva delle molliche di pane sopra e lo riponeva in frigo per due giorni...il sapore cambiava radicalmente!”.

Piatto con il cefalo di Moreno Cedroni

Cefalo marinato in soia miele e caffè, salsa di mandorle, arancia candita, macadamia verza e cappuccio

Per il cefalo e la marinatura

500 g di cefalo

75 g di soia

75 g di miele millefiori

50 g di caffè tierra

50 g di arancia candita

Sfilettare il cefalo, ricavarne 2 filetti senza spine, fare delle incisioni per far penetrare la marinatura. Frullare insieme miele e soia in egual dosi e aggiungere il 15% di caffè della moka. Mettere i filetti di cefalo in un contenitore, versarci lo stesso peso di marinata e far prendere la marinatura nel sottovuoto, azionandolo per 3 volte. Poi asciugare leggermente i filetti e fare delle fettine sottili. Tagliare l’arancia candita a piccoli cubetti. Mettere 30 g di fette di cefalo sopra della carta da forno, a forma circolare con sopra un paio di grammi di arancia candita

Per la salsa di mandorle

100 g di mandorle senza pelle

20 g di mandorle amare

20 g di latte

30 g di olio extravergine

5g di pane

2 g di aceto di xerez

1 g di aglio

1 g di sale

1 g di peperoncino

1 lime

Frullare i due tipi di mandorle con acqua e latte, la mollica del pane, l'olio, l’aceto di xeres, l’aglio sbollentato, del sale del peperoncino e del succo di lime, passarla al setaccio.

Per la verza e cavolo cappuccio

50 g di verza

50 g di cavolo cappuccio viola

Soia

Olio extravergine

5 g di zenzero

Pulirli, privare le foglie della parte dura, tagliare delle piccole strisce di circa un centimetro d’altezza, cuocerle al dente in acqua salata, raffreddarle e condirle con una salsa preparata con soia, zenzero e olio extravergine.

Per la parte finale

20 g di macadamia

5 g di melissa

Esecuzione e finitura del piatto

Tagliare la macadamia e la melissa in pezzi di media grandezza. Alla base de piatto versare la salsa di mandorle, sopra le fettine di cefalo con i dadini di arancia candita, poi la macadamia e la melissa, le strisce di verza e cappuccio, e per finire mezzo cucchiaio di marinatura soia, miele e caffè e della polvere di caffè.

 

Lionello Cera - Antica Osteria da Cera

Ogni volta che si mette piede in questa raffinata “osteria”, tempio del pesce a livello nazionale, è sempre una garanzia. Qui c’è tutto: la qualità massima del prodotto, la fantasia nel piatto e le impeccabili cotture. Poi c'è la fantastica famiglia Cera, a cominciare da Lionello, l’appassionato genio di questa squadra. A lui abbiamo chiesto com'è la carne del cefalo. “È un pesce che rappresenta molto le valli e la laguna dove vivo. Le sue carni sono ottime, dal sapore molto deciso, che io poi arrotondo con note di erbe e agrumi (lo uso nel suo periodo migliore: l'inverno). E in più è un pesce che si presta a molteplici preparazioni: marinato, al forno o semplicemente bollito”. A noi lo chef svela la ricetta dei Tortelli di cefalo e salsa di vongole.

I tortelli con il cefalo di Lionello Cera

Tortelli di cefalo e salsa di vongole

Per la pasta fresca

200 g di tuorli

200 g di semola

200 g di farina

Impastare tutto assieme creando una palla, mettere per 2 ore sotto un canovaccio, tirare la pasta e tagliare a quadrati da 6cm. Farcire e chiudere a tortello.

Per il ripieno di cefalo

200 g di cefalo pulito

10 g di semi di finocchio

5 cl di olio extravergine di oliva

150 g di salsa di pomodoro

Salvia, alloro, timo, menta

Buccia grattugiata di limone

100 g di pomodori canditi

90 g di pinoli tostati e pestati grossolanamente

Maggiorana e origano secco

40 g di prezzemolo

40 g di capperi

10 foglie di basilico fresco

40 g di pan grattato

100 g di pecorino grattugiato

170 g di ricotta

1 aglio a spicchi

1 litro di acqua di mare

200 g di ghiaccio a cubetti

Pulire i cefali, metterli in acqua di mare, ghiaccio, erbette aromatiche e vino, e lasciarli riposare per 2 ore. Toglierli dall’acqua, asciugarli, condirli con olio, erbe aromatiche, sale, pepe, aglio e buccia di limone. Metterli in una placca con carta da forno e cuocere in forno a 205° C per 4 – 5 minuti. Spinare e tenere da parte le spine. Fare un soffritto con l’ olio, il cipollotto, le erbe aromatiche, i semi di finocchio. Unire il pomodoro e le lische, e sfumare con il vino bianco. Lasciare evaporare, passare al setaccio fine, ridurre con un po' d’ olio nel fuoco. Alla polpa di cefalo unire il resto degli ingredienti e il ristretto di spine, amalgamando bene

Esecuzione e finitura del piatto

Cuocere in acqua salata per 2 minuti i tortelli, scolarli in un vassoio con un filo d’ olio, ottimi da accompagnare con una salsa di vongole.

 

Marco Claroni – L'Osteria dell'Orologio

L'Osteria dell'Orologio è uno dei locali più piacevoli e originali del litorale romano, grazie alla mano esperta e garbata di Marco Claroni, che propone una cucina di ricerca estremamente godibile, che molto scommette sulla materia prima eccellente selezionata ogni giorno. Con un occhio di riguardo per il pesce povero, proprio come il cefalo. “Noi lavoriamo il cefalo dorato pescatoal largo. La cosa fondamentale è che non subisca stress (altrimenti la carne diventa flaccida o stopposa). Se pescato seguendo tutti i crismi, si presta a tutte le preparazioni, sia cotte che crude. In ogni caso il risultato è una carne solida, saporita e con note erbacee”.

Cefalo in crosta di Marco Claroni

Cefalo in crosta di sale con impepata di cozze e brodo di limoni arrosto

Per il brodo di limoni arrosto

4 limoni

1 l di acqua

1 kg di cozze

2 spicchi di aglio

Pepe nero

Cuocere in forno per 40 minuti i limoni avvolti nella stagnola. Una volta cotti, tagliarli a metà e privarli della parte bianca. Mettere in infusione la polpa e la buccia in un litro di acqua per 1 ora. Aprire le cozze in tegame coprendole di acqua, con aglio e pepe, prendere il brodo delle cozze e unirlo al brodo di limone, nella stessa quantità. Ridurlo della metà.

Per la maionese di baccalà

Olio extravergine di oliva

1 mazzetto di prezzemolo

Pelle di baccalà q.b.

Olio di semi

Sbollentare la pelle di baccalà con il prezzemolo, scolarla e montarla con olio di semi. Cuocere in forno per 15 minuti a 180° C.

Per il cefalo

1 cefalo da 1 kg sfilettato

500 g di sale grosso

500 g di sale fino

Albume di 1 uovo

Foglie di limone

Timo limonato

Basilico

Foglie di sedano

2 fette di pane alle olive

Scottare il filetto di cefalo dalla parte della pelle, avvolgerlo con le foglie di sedano, le foglie di limone, il basilico e il timo limonato. In seguito chiuderlo nella meringa salata.

Esecuzione e finitura del piatto

Sfornare, rompere la crosta di sale, estrarre il filetto e porlo sulla fetta di pane alle olive, aggiungere la maionese di baccalà, le cozze, foglie di prezzemolo, pepe e bagnare con il brodo di limoni.

 

Stefano Deidda - Dal Corsaro

Fondato negli anni '60 dal nonno Filippo, Dal Corsaro oggi è sotto la guida di Stefano Deidda, che è riuscito a dare un’impronta innovativa e molto personale al locale, grazie anche alle importanti esperienze avute, a partire da Antonino Cannavacciuolo fino ad arrivare a Martin Barasategui in Spagna. La sua cucina è tecnica e creativa al tempo stesso,con moderne riletture di ingredienti del territorio. Uno di questi è per l'appunto il cefalo: “È un pesce che trova il suo habitat ideale nelle lagune sarde e pertanto, storicamente, il suo consumo appartiene alla cultura gastronomica del territorio”, anche se ai più è conosciuto per via della bottarga. “Più che di pesce povero, preferisco parlare di pesce sostenibile e non sovrasfruttato”. La ricetta che propone non è classica: “La mia è una cucina che racconta il territorio attraverso i suoi prodotti e la sua biodiversità, senza però rimanere imbrigliata nella reinterpretazione della cucina tradizionale. La ricetta con il cefalo vuole mettere in risalto le caratteristiche organolettiche del pescato riportando alla mente consistenze, sapori e profumi che ricordano lavorazioni arcaiche, ma senza rinnegare le tecniche moderne di lavorazione”.

Muggine affumicato con colatura di pomodoro e neve di ravanello di Stefano Deidda

Muggine affumicato con colatura di pomodoro e neve di ravanello

Per il muggine marinato e affumicato

1kg di muggine pulito e affumicato

1litro di acqua

80 g di sale

80 g di zucchero

Pulire il muggine, sfilettare e preparare una salamoia con acqua, sale e zucchero. Immergere i filetti per circa 25 minuti (questo permette di mettere in risalto sia la compattezza che i profumi di mare della carne). Affumicare il pesce con un apposito affumicatore per due ore circa. Mettere i filetti in busta sottovuoto e cucinare a 52° C per 25 minuti. Abbattere in positivo.

Per la colatura di pomodoro

2kg di pomodori datterini

3 peperoni

4 scalogni

3 coste di sedano

1 mazzo di basilico

xantana clear

Mixare sedano, pomodoro, scalogno, basilico e peperone, lasciando una texture grossolana. Mettere a scolare il composto in un colino ad imbuto su una stamina (tessuto a trama molto fine). Recuperare il liquido, aggiustare di sale, aggiungere xantana clear e aspirare l’aria con la macchina sottovuoto.

Per la neve di ravanello

500 g di ravanello

150 g di acqua

100 g di zucchero

1 cassetta di erbe selvatiche

Fiori eduli

Olio extravergine di oliva

Preparare la neve di ravanello mescolando l’estrazione di ravanello, l’acqua e lo zucchero. Abbattere in negativo e raschiare il contenuto in modo da ottenere una neve fine. Conservare in congelatore.

Esecuzione e finitura del piatto

Il muggine viene servito freddo insieme alla colatura di pomodoro e alla neve di ravanello.

 

Romano Franceschini - Romano

Romano Franceschini ha superato con grande disinvoltura la boa dei cinquant’anni di attività (era il fatidico anno 1966). Al suo fianco, come mezzo secolo fa, la moglie Franca Checchi e il figlio Roberto, eccelso sommelier. Una famiglia che ha dedicato tutto al locale e ai clienti, crescendo anno dopo anno, cambiando senza darlo a vedere. In questo momento, non potete trovare il cefalo in carta, ma lo chef ci assicura che spesso lo usa. “Mentre la bottargaconosce un successo sempre maggiore in Italia e all’estero, il cefalo rimane spesso invenduto sui banchetti del molo. Colpa di quelle carni che, alle volte, hanno ungusto “fangoso”: sì perché il cefalo frequenta spesso le foci dei fiumi, risalendone il tratto iniziale e accasandosi anche in laghie lagune, capace com’è di tollerare condizioni di salinità assai diverse. È di casa anche nei porti, sopportando anche acque piuttosto inquinate. Ma non tutti i cefali si comportano così: quelli pescati inmare apertopresentano carni di ottima qualità, che poco hanno da invidiare a quelle del branzino, a un costoperò decisamente più basso. Dunque: l’importante è scegliere la specie giustae assicurarsi che sia stato pescato inmare aperto”. A questo punto, anche una ricetta semplice come cefalo patate e rosmarino, diventa perfetta.

Cefalo al forno con patate e rosmarino

Cefalo di 1,5 kg (altrimenti farsi tagliare dal pescivendolo 8 belle trance)

4 patate per un totale di 800 g

1 rametto di rosmarino fresco

1spicchio di aglio

100 g di olio extra vergine di oliva

1bicchiere di vino bianco

Sale e pepe q.b.

Brodo di pesce

Pulire, eviscerare e squamare accuratamente il cefalo, quindi sfilettarlo e dividerlo in otto trance. Pelare e tagliare le patate a spicchi piccoli. In una teglia da forno, mettere l’olio extravergine di oliva, uno spicchio di aglio vestito, le patate, e aggiungere un po’ di sale e di pepe. Far rosolare il tutto in forno a 200° C per circa 20 minuti, aggiungendo a metà cottura il vino bianco e un mestolo di brodo di pesce. Aggiungere le 8 trance di cefalo, aggiustare di sale e di pepe, e unire gli aghi di un rametto di rosmarino, continuando la cottura in forno per altri 10 minuti circa. Servire caldo in piatti individuali .

 

a cura di Annalisa Zordan

foto di apertura: Andrea Di Lorenzo

 

Pascucci al Porticciolo | Fiumicino (RM) | viale Traiano, 85 | tel. 06 65029204 | www.pascuccialporticciolo.com

Clandestino Susci Bar | Ancona | Baia di Portonovo | tel. 071 801422 | www.morenocedroni.it

Antica Osteria da Cera | Campagna Lupia (VE) | via Marghera, 24 | tel. 041 5185009 | www.osteriacera.it

L'Osteria dell'Orologio | Fiumicino (RM) | via Torre Clementina, 114 | tel. 06 6505251 | osteriadellorologio.net

Dal Corsaro | Cagliari | viale Regina Margherita, 28 | tel. 070 664318 | www.stefanodeidda.it

Romano | Viareggio (LU) | via G. Mazzini, 120 | tel. 0584 31382 | www.romanoristorante.it

Ocm e promozione del vino all'estero. È corsa contro il tempo per valorizzare l'export

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Il Mipaaf ha approvato il decreto, ma servono ancora i tempi tecnici per arrivare al bando vero e proprio e consentire, così, alle Regioni di procedere.Le associazioni di categoria: "Adesso situazione sbloccata, guardiamo avanti".  

Promozione e pubblicità per il vino. Le decisioni del Mipaaf

La scorsa settimana il Mipaaf ha reso noto che il decreto sulle modalità attuative dell’Ocm Vino, è stato approvato in sede di Consiglio dei Ministri (CdM). L’approvazione, evidenzia il Mipaaf in una nota “è avvenuta con deliberazione motivata, per la mancata intesa raggiunta in Conferenza Stato Regioni, dove la sola Lombardia aveva votato contro”. Il decreto riguarda l’assegnazione dei fondi Ue - 102 milioni gestiti a livello nazionale e regionale - per la promozione del vino nei Paesi terzi nel 2017/2018. “Diamo così un quadro normativo più chiaro ai produttori che vogliono investire nella promozione sui mercati extraeuropei" ha dichiarato il ministro delle politiche agricole, Maurizio Martina "è uno strumento importante per rilanciare le esportazioni dei nostri vini, in un contesto che vede una concorrenza sempre più agguerrita. Dobbiamo riuscire a comunicare sempre meglio il patrimonio di varietà e qualità che rende uniche e distintive le nostre esperienze vitivinicole”.

Come si legge nel testo, le azioni di comunicazione e promozione ammesse, da attuare in uno o più Paesi terzi, riguardano le pubbliche relazioni, la promozione e la pubblicità; la partecipazione
a manifestazioni, fiere ed esposizioni di importanza internazionale; le campagne di informazione, sulle denominazioni di origine, le indicazioni geografiche e la produzione biologica ed infine,
gli studi per valutare i risultati delle azioni di informazione e promozione. La promozione potrà riguardare i vini Dop, Igp oltre a vini spumanti di qualità; vini spumanti di qualità aromatici;
vini con l’indicazione della varietà.

 

Spazio ai bandi di competenza regionale

"La filiera in questi mesi ha spinto per la formulazione di un decreto" è il commento del direttore di Federvini, Ottavio Cagiano "Infatti, la scelta era tra l'immobilismo, con tutti i problemi che ne conseguono, oppure la navigazione a vista ma con un decreto. Adesso almeno si creano le condizioni per sbloccare i bandi di competenza regionale permettendo alle aziende di iniziare a programmare". Di fatto, è partita una lotta contro il tempo per recuperare i ritardi accumulati. Agosto, mese festivo per antonomasia, non aiuterà affatto, considerando che ci sarà pure la definitiva prova del fuoco dei registri telematici di cantina sottoposti al primo vero stress test nazionale con le vendemmie in corso. Secondo Paolo Castelletti, segretario generale dell'Unione Italiana Vini "Non tutte le colpe dei ritardi possono essere accollate al Ministero, bensì grandi responsabilità sono nel meccanismo farraginoso della Conferenza Stato Regioni. Se non sarà riformato, è probabile che anche in futuro si potrebbero creare le medesime condizioni di stallo e di litigiosità con l'Amministrazione. Comunque il decreto sblocca situazione e permette di guardare avanti in una situazione in cui occorre agire, perché le esportazioni stanno perdendo colpi".

Ora, il prossimo passo, a seguito dell'approvazione in CdM, è la registazione del decreto presso la Corte dei Conti – tempi tecnici previsti circa 20-30 giorni – a cui seguirà la pubblicazione dell’avviso di gara, che il Mipaaf appronterà anche alla luce dei nuovi regolamenti sull'Ocm Vino (Reg. n° 1149 e 1150/2016 operativi dal 1 luglio 2016), oggetto di una comunicazione Ue recentemente inviata al Ministero.Inoltre, sempre a giorni è attesa la sentenza del Tar del Lazio sui 12 ricorsi (erano 13 ma uno è stato rigettato) relativi alle graduatorie del bando Ocm Vino Promozione 2016-2017 che, nel caso di accoglimento totale o solo parziale, potrebbe rimettere in discussione il decreto dello scorso 7 luglio che aveva rimodulato i 13.2 milioni di euro ancora non assegnati, ad altre voci del Pns vitivinicolo, proprio a causa dei 12 ricorsi presentati.

 

I tavoli con la filiera

La Regione Veneto ha già convocato una riunione per la parte di sua competenza, mentre giunge notizia di altre Regioni che stanno indicendo tavoli con la filiera, per predisporre sin d'ora, terminati tutti passaggi burocratici necessari, i bandi.

Al di là dello stato di incertezza continuo, che ormai dura da più di un anno sui fondi per la promozione del vino nei Paesi terzi, è possibile ipotizzare che nella migliore delle ipotesi – stante i tempi burocratici di Agea e quelli necessari alla formalizzazione dei contratti di assegnazione dei fondi agli aventi diritto – i nuovi programmi di promozione, non potranno essere operativi se non tra qualche mese. Stante le difficoltà del mercato domestico, l'export – seppur in presenza di qualche defaillance su alcuni mercati - continua ad essere una strada obbligata per gran parte delle aziende. Sulla strada della nostra competitività, però, pesano – e peseranno – i ritardi e i maggiori costi che le nostre cantine hanno dovuto sostenere per avviare le campagne di promozione. Non è il momento di lasciare spazio né ai francesi né agli spagnoli né a nessun altro, su molti mercati internazionali. Per questo il freno a mano tirato sull'utilizzo dei fondi per la promozione, non sarà senza conseguenze. Quando tra un paio d'anni si faranno i conti dell'export italiano, si vedrà.

 

a cura di Andrea Gabbrielli


Morto a 88 anni Christian Millau. Fondò guide gastronomiche e codificò la Nouvelle Cuisine

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Se ne va all’età di 88 anni il padre delle guide ai ristoranti Gault Millau, fra i pionieri del movimento della nouvelle cuisine negli anni ’70. Un autore “impertinente e indipendente”, lo ha definito la nota della casa editrice delle guide, che ha dato l’annuncio del decesso di Christian Millau. 

Christian Millau

Prodotti freschi e di qualità, attenzione alla cottura, semplificazione di sughi e salse, ricerca estetica nell’impiattamento, recupero del sapore fondamentale degli alimenti. Era questo il credo diffuso fra chef e gastronomi degli anni ’70, una filosofia rivoluzionaria basata sulla leggerezza e il ritorno all’autenticità degli ingredienti e l’identità di ogni sapore. A crederci per primi, Henri Gault e Christian Millau, giornalisti francesi divenuti celebri nel mondo con le loro guide gastronomiche, promotori della nouvelle cuisine e palati d’eccezione. Una coppia lavorativa che ha saputo mantenere integro il marchio delle guide, nonostante i due fondatori si siano da tempo ufficialmente divisi.

Trapela da poche ore la notizia della morte di Christian Millau, risalente allo scorso 6 agosto 2017. A darne l’annuncio, la casa editrice delle guide, che non aggiunge alcun dettaglio sulla morte del gastronomo, ma lo definisce un autore “impertinente e indipendente”.

La scoperta della nouvelle cuisine

Due caratteristiche comuni alle persone visionarie come Millau, e tutti quelli che come lui hanno contribuito alla nascita della cucina contemporanea così come oggi la conosciamo, un professionista che prima di tutti era riuscito a individuare in un concetto diverso di cucina le fondamenta per un nuovo approccio al cibo e all’atto di mangiare, i cui principi base perdurano ancora oggi. Classe ’29, Millau ha vissuto sulla propria pelle cambiamenti ed evoluzioni del panorama della ristorazione mondiale, prendendone parte in prima persona, assaggiando piatti di tutto il mondo, sperimentando sapori e gusti da ogni dove pur mantenendo sempre un profondo attaccamento alla cucina francese. Senza dimenticare mai le regole fondamentali della sua nouvelle cuisine: “Questi comandamenti della nouvelle cuisine furono un vero big bang a quel tempo”, ha dichiarato Comede Cherisey, direttore generale della guida. E aggiunge: “Era tutto molto tradizionale, non c’era la stessa enfasi sul lato artistico della cucina a cui siamo abituati oggi. Le salse erano dense, le carni – prevalentemente di selvaggina – pesanti”. Una tavola opulenta, sontuosa, non più al passo con i tempi, ma intimamente radicata negli usi e costumi dei francesi. Per modificare le abitudini dei nostri cugini d’oltralpe, occorreva una mentalità nuova, un pensiero fresco e dinamico in grado di guardare oltre. Come quello di Millau, che ha “completamente rivoluzionato il mondo della gastronomia supportando chef scoperti da lui stesso come Joel Robuchon”, lo stesso che sarebbe stato poi definito dalla guida Gault Millau dell’89 come “chef del secolo”.

La prima guida e gli altri libri

È il 1969 quando viene stampata la prima edizione della guida ai ristoranti francesi Gault Millau, venduta in 100mila copie. Distribuita in 12 paesi, la lista di locali recensiti con i celebri Toques, i caratteristici cappelli bianchi da chef, è seconda in Francia solo alla Michelin, da sempre un punto fermo a livello internazionale. Ma Millau non si è dedicato solamente alla guida: il gastronomo è autore di best seller e libri di successo sulla cucina francese, come Dining in France e La France à la carte. Il mondo della critica gastronomica perde così una delle figure più rappresentative degli ultimi anni, depositario della memoria culinaria di un Paese che ha fatto scuola nella cucina a livello internazionale. Per ricordarlo, ci affidiamo alle parole del suo principale rivale in campo professionale, Gilles Pudlowski, della guida francese Pudlo, fra i primi a rendere omaggio a Millau: “Christian Millau non è morto, è eterno. Caro Christian, cosa sarei senza di te?”.

a cura di Michela Becchi

foto di copertina di BALTEL/SIPA

Le ricette di Laura Ravaioli in Israele. I sinya, sfiziosi bocconcini di carne ricoperti di salsa tahina

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Ricette e prodotti tipici di Israele sono gli ingredienti delle sei puntate del nuovo programma in onda su Gambero Rosso Channel che vede come protagonista Laura Ravaioli. Questa sera la vedremo alle prese con i sinya, dei deliziosi bocconcini di carne ricoperti di salsa tahina. 

Un diario di viaggio in sei puntate su Gambero Rosso Channel, dove Laura Ravaioli scopre la cucina israeliana entrando nelle cucine degli chef e delle casalinghe locali. Il programma si chiama Appunti di viaggio. Laura Ravaioli in Israele e va in onda tutti i martedì alle ore 21:30. Durante la quarta puntata vedremo la chef alle prese con una ricetta semplice, ma dal risultato accattivante: i sinya, dei bocconcini di carne, tipici della cucina drusa.

I drusi

Anche se la leggenda vuole che i drusi siano i discendenti di Jetro, il suocero di Mosé; in realtà con questo termine si indicano gli appartenenti a un gruppo etnoreligioso costituito dai seguaci di una religione monoteista di derivazione musulmana sciita. Una dottrina perseguitata al Cairo, perché ritenuta eretica, che ha spinto i drusi a rifugiarsi sulle montagne tra la Siria e il Libano, così come in Israele, nelle Alture del Golan, in Cisgiordania e in Giordania.

I sinya, sfiziosi bocconcini di carne ricoperti di salsa tahina

I sinya, ricetta drusa

Una ricetta semplice, ma dal risultato accattivante. È quella dei deliziosi bocconi di carne, ben rosolata e croccante, fuori, e morbida e profumata, dentro. Il tutto reso avvolgente dalla deliziosa glassatura di tahina.

Ingredienti

1 kg di carne di agnello macinata, grassa e magra

1 cipolla bianca

1 patata di media grandezza

Il succo di 1 limone

1 cucchiaio di farina

4 cucchiai di olio extravergine di oliva

½ cucchiaio di sale

Pepe nero

Semi di cumino in polvere

Semi di cardamomo in polvere

Per la salsa tahina

6 cucchiai di thaina, crema di sesamo 100%

Acqua e ghiaccio q.b.

Il succo di 1 limone

Sale q.b.

Preparazione dei sinya, sfiziosi bocconcini di carne ricoperti di salsa tahina

Mettere la carne su di una placca da forno, aggiungere una cipolla e una patata grattugiata, il succo di limone, la farina e insaporite con sale, pepe nero, semi di cumino e cardamomo in polvere. Impastare tutto con le mani fino a ottenere un composto omogeneo. Stenderlo sulla placca da forno dandogli uno spessore uniforme. Con la mano messa di taglio segnare la carne con delle linee, così da formare 12 rettangoli, in porzioni uguali. Condire con olio abbondante. Mettere in forno ben caldo a 200° C e lasciare cuocere per una ventina di minuti, fino a che non sarà croccante e dorata in superficie, ma morbida e succosa all’interno.

Nel frattempo in un bricchetto d’acciaio mescolare bene la thaina e unire progressivamente, sempre mescolando, acqua gelata fino a ottenere una salsa molto densa e cremosa, condire con sale e succo di limone.

Togliere la carne dal forno, inclinare la teglia ed eliminare il grasso in eccesso. Ricoprire il tutto con la salsa di thaina. Dividere la carne secondo i segni fatti in precedenza, sistemare i 12 rettangoli in un piatto di portata e servirla subito.

 

a cura di Laura Ravaioli

 

Questi e altri piatti della tradizione ebraica, Laura Ravaioli ce li racconta in Appunti di viaggio. Laura Ravaioli in Israele. In onda tutti i martedì su Gambero Rosso Channel alle ore 21:30, a partire dal 18 luglio 2017

 

Appunti di viaggio. Laura Ravaioli in Israele

Il pane dello Shabbat

Injera, il pane dell’Etiopia

Le borekitas, deliziosi fagottini dolci

 

Il cioccolato toscano Amedei torna italiano. Ferrarelle lo rileva dai cinesi

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Nel 2015 i cinesi avevano comprato il 75% della società, nata nel 1990 per iniziativa della maitre chocolatier Cecilia Tessieri, tra le poche donne specialiste del settore. In quasi 30 anni la piccola azienda ha garantito qualità nella selezione e lavorazione del cacao; ora punta a crescere, sotto l’egida di Ferrarelle. 

Amedei è di nuovo italiano

La buona notizia è che il cioccolato Amedei, da oggi, è di nuovo italiano. Ed è l’interessamento di Ferrarelle a segnare un’inversione di tendenza rispetto al processo che negli ultimi anni ha visto sempre più aziende dell’industria alimentare made in Italy affidarsi a grandi proprietà e capitali stranieri per crescere all’estero. Nel 2015 la stessa sorte era toccata pure al cioccolato di Pontedera, quando il marchio nato nel 1990 per iniziativa della famiglia Tessieri era passato di mano a un fondo cinese con base a Singapore, l’Octopus Europe Limited, che aveva acquisito fondi per il 75% della società. La discesa di Ferrarelle in campo, invece, riunisce la società nelle mani di un unico soggetto – il celebre brand dell’acqua campana, riportato a sua volta in Italia nel 2005, con l’acquisizione da Danone – rilevando non solo le quote cinesi, ma pure buona parte di quelle finora rimaste appannaggio di Cecilia Tessieri, fondatrice di Amedei e lei stessa maitre chocolatier, che mantiene un simbolico 1% della proprietà. Questo soprattutto per dare un segnale chiaro all’esterno: la qualità del cioccolato Amedeinon si tocca, e Cecilia Tessieri resterà in azienda a garanzia di continuità.

La crescita con Ferrarelle

Dal canto suo, Ferrarelle si è detta intenzionata a riportare in auge una realtà che, pur fiore all’occhiello dell’industria cioccolatiera italiana, negli ultimi anni ha visto una contrazione del fatturato, stabilizzando i suoi ricavi sui 3 milioni di euro. Ora invece il gruppo, che oggi impiega 30 dipendenti, potrebbe incrementare la propria capacità industriale con un riposizionamento più efficace nel canale horeca – per alberghi e ristorazione – ma soprattutto con nuovo slancio verso mercati alternativi. E un’internazionalizzazione più efficace del marchio è un altro traguardo possibile, dal momento che attualmente Amedei già esporta il 40% della sua produzione. Il presidente di Ferrarelle, Carlo Pontecorvo, parla di una sfida che “aggiungerà valore nel rispetto della tradizione”, applicando però quelle strategie commerciali che hanno portato l’acqua campana a farsi conoscere in Italia e nel mondo. E ora l’auspicio è che davvero un marchio di così grande prestigio nel comparto del cioccolato italiano – nel 2005 e 2006, per due anni consecutivi ha portato a casa il riconoscimento di cioccolato migliore del mondo assegnato a Londra - possa incentivare il suo giro d’affari senza perdere in qualità.

Un polo del made in Italy di qualità

Il progetto di Pontecorvo, come trapela dalle prime indiscrezioni, potrebbe portare Ferrarelle ad acquisire in futuro una serie di brand blasonati dell’alimentare italiano, così da farsi cassa di risonanza di piccole aziende con prodotti di qualità, che assicurino margini di crescita nel medio termine, se incentivate da investimenti importanti. Una sorta di scouting cui ci hanno abituato i grandi colossi dell’industria straniera, che invece nell’ottica di Pontecorvo finirebbe per dar vita a un polo del made in Italy attento a qualità e marchio. E qualcuno ricorda che Ferrarelle, dal 2011, ha creato quella Masseria delle Sorgenti che oggi produce miele, olio extravergine, nocciole su 160 ettari di terreno all’interno del Parco Sorgenti Ferrarelle, a Riardo, destinandoli alla vendita online. Insomma, la campagna acquisti potrebbe essere appena cominciata.

 

a cura di Livia Montagnoli

Nasce il cibo sintetico: alimento a base di energia elettrica per sconfiggere la fame

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Il cibo del futuro nasce dall'energia rinnovabile. È l'elettricità la fonte primaria per realizzare la polvere proteica che potrebbe rappresentare una soluzione alla fame nel mondo, una sorta di cibo sintetico con alto valore nutrizionale realizzato con acqua e pochi altri elementi. Lo studio di un gruppo di scienziati finlandesi.

Il progetto

Gli esperti di settore ne stanno discutendo già da tempo: quello del cibo sintetico, ottenuto dall'energia elettrica, è un tema caldo in ambito alimentare che ha coinvolto negli ultimi anni diversi gruppi di ricercatori e scienziati. Un progetto ambizioso che fa parte dell'esperimento Food From Electricity (Cibo dall'elettricità), che ha come obiettivo ultimo quello di fornire delle soluzioni possibili alla scarsità di alimenti in diverse zone del pianeta. Un sogno che sembra potersi finalmente concretizzare grazie all'intenso lavoro di studio di una squadra di ricercatori finlandesi dell'Università di tecnologia Lappeenrata, in collaborazione con il VTT Tecnhical Research Centre. Sono infatti in arrivo buone nuove dal paese scandinavo: il team di scienziati è riuscito a creare un lotto di proteine semplici con un quantitativo energetico sufficiente per essere servito come pasto a un essere umano, grazie a un sistema alimentato con l'energia rinnovabile. In che modo? Acqua, energia elettrica, diossido di carbonio e microbi: questi gli “ingredienti” del cibo sintetico, una polvere formata per oltre il 50% da proteine e per circa il 25% da carboidrati, con il resto delle proprietà nutrizionali spartito tra grassi e acidi nucleici.

La ricerca

Ma come si realizza il cibo sintetico? I diversi elementi sono stati inseriti e mescolati all'interno di un bioreattore (un apparecchio adatto alla crescita di organismi biologici), e successivamente sottoposti a elletrolisi, ovvero una serie di trasformazioni chimiche messe in moto dall'elettricità. Per realizzare un solo grammo di questa polvere, gli scienziati hanno dovuto lavorare con costanza e attenzione maniacale per ben due settimane. Lo studio, infatti, non è ancora concluso, e il prossimo passo riguarda proprio l'ottimizzazione del sistema, che deve accelerare tempi e funzionamento. Il prodotto deve essere ancora ultimato, e per farlo occorreranno diversi anni, almeno 10, "un lasso di tempo realistico per raggiungere la portata commerciale dell'invenzione, sia a causa dell'evoluzione tecnologica che di quella legislativa", ha specificato Juha-Pekka Pitkanen del VTT. Una volta messa a punto l'invenzione però, i benefici di questa scoperta saranno molteplici:"La macchina per produrre cibo sintetico dall'energia elettrica può essere trasportata nel deserto o in altre aree in cui si soffre la fame perché funziona in qualsiasi condizione ambientale". Lo scopo finale? Mettere a punto un processo di produzione di cibo che sia 10 volte più efficiente rispetto alla fotosintesi, che non occupi appezzamenti di suolo, non sottragga risorse agricole e acqua da destinare agli allevamenti e aiuti a combattere la fame nel mondo. La polvere proteica, infatti, potrebbe rappresentare non solo un valido sostituto alle pietanze comuni nei Paesi più poveri, ma anche una soluzione intelligente all'impatto ambientale che gli allevamenti hanno sul territorio. E non finisce qui: gli scienziati, infatti, si sono posti come obiettivo anche quello di realizzare reattori domestici, “con cui il consumatore possa produrre proteine in casa”.

a cura di Michela Becchi

Come si mangia in crociera. Top 5 dei piatti più ordinati a bordo

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Mangiare sulle navi da crociera offre la possibilità di provare sapori e gusti da tutto il mondo, fra piatti esotici e grandi classici della cucina mediterranea. La celebre compagnia MSC Crociere ha stilato una lista dei 5 trend dell'estate 2017.

Mangiare in crociera

Buffet, menu fissi, piatti alla carta: le cucine delle navi da crociera sono diverse, con una proposta ampia e variegata in grado di rispondere alle esigenze di tutti. Con passeggeri a bordo di tutte le nazionalità, gli chef delle navi hanno dovuto negli anni adeguarsi a gusti e tradizioni culinarie dei diversi Paesi, trovando una soluzione adeguata per ogni cliente. “A bordo delle navi MSC Crociere viaggiano oltre 80 nazionalità diverse e dobbiamo soddisfare i gusti e le preferenze di tutti”, spiega Paolo Tarantino, Corporate Chef di MSC Crociere. “Ad affascinare sempre di più”, continua, “c'è la cucina orientale, mentre è sempre più richiesta la proposta vegan. Spopola, invece, la cucina della nostra tradizione italiana”.

La cucina di bordo

Rispetto a quella casalinga, la cucina di bordo implica alcuni vincoli determinanti, legati in primis alle tecniche di preparazione, che devono garantire un’attenzione particolare al tema della sicurezza alimentare. La differenza principale, però, è legata ai volumi: “Nelle cucine di bordo un piatto deve essere riprodotto per una media di 2.500 persone in 50 minuti. Questo significa che un piatto che a casa o al ristorante prevede una media di 12 passaggi, a bordo deve essere impiattato in soli 3 passaggi - 5 per i piatti di gala”.

La nuova offerta

Trovano spazio a bordo anche i menu Wellness, pensati per i salutisti alla ricerca di un'estate all'insegna del relax e del benessere, con un occhio di riguardo per la forma fisica. Non mancano, poi, le offerte Gluten free, ideate per far fronte al sempre più diffuso problema della celiachia e dell'intolleranza al glutine, e quelle dedicate ai più piccoli, con ricette succulente valutate dai nutrizionisti dell'Osservatorio Chicco e cucite su misura per ogni fascia di età. Sono poi diverse le collaborazioni di MSC Crociere per aggiungere ai menu un tocco da maestro: da Roy Yamaguchia Carlo Cracco, da Jean-Philippe Maurya Jereme Leung, professionisti di fama internazionale hanno apportato il loro prezioso contributo per rendere ancora più allettante l'offerta.

I trend dell'estate

Fra i trend dell'estate 2017, in cima al podio troviamo il pollo teriyaki, spiedini di pollo insaporito con un mix di ingredienti tipicamente giapponesi come la salsa di soia, il mirin e il vino di riso. Segue in corsa la paella de marsicos, secondo piatto più gettonato dai passeggeri, in versione classica o valenciana, mentre al terzo posto c'è il seitan, il sostituto vegano della carne, un glutine molto proteico estratto dal grano. Quarta ricetta più in voga è il ceviche di pesce bianco, con cipolla rossa, limone e coriandolo su un coulis di peperoni, e in quinta posizione le caserecce al branzino.

La ricetta: Caserecce al branzino

Ingredienti

400 g. di farina 00

6 uova fresche

2 branzini freschi

1 acciuga sottolio

2 zucchine

1 dl. di vino bianco

2 cucchiai di latte

prezzemolo q.b.

sale q.b.

pepe q.b.

olio extravergine d'oliva q.b.

pane in cassetta q.b.

1 Limone di Sorrento

Per il sughetto di branzino

Tagliare finemente le zucchine e rosolarle in una padella con un filo di extravergine. Aggiungere il branzino sfilettato, privato della pelle e delle lische, e lasciarlo cuocere per qualche minuto spezzettandolo con un cucchiaio (meglio se di legno). Sfumare con vino bianco, aggiungere l’acciuga e il latte. Salare e pepare a piacere, aggiungere un pizzico di scorza di limone grattugiata e poco prezzemolo tritato finemente. La salsa deve essere pronta in 12 minuti e il sughetto deve risultare abbastanza liquido.

Per la pasta

Disporre la farina a fontana sopra una tavola di legno, e aggiungere un pizzico di sale. Impastare la farina con le uova dal centro verso l’esterno, senza creare grumi. Inserire l’impasto nel torchio e tagliare la lunghezza desiderata.

Per il pane aromatico

Sminuzzare il pane in cassetta (solo la parte bianca) con la maggiorana, la scorza di limone grattugiata e un filo d’olio. In una padella antiaderente, tostare le briciole di pane fresco in poco olio extra vergine di oliva e mescolare fin quando le briciole non saranno dorate.

Cucinare la pasta in abbondante acqua salata, scolarla e saltarla insieme al sugo di branzino, aggiungendo poca acqua di cottura. A fuoco spento aggiungere la panura aromatizzata e un filo di olio extravergine di oliva. Impiattare le casarecce con un’ultima spolverizzata di panure.

a cura di Michela Becchi

Il Museo del Brunello, alla scoperta della storia di Montalcino

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Dietro un grande vino c'è sempre un grande territorio. Una visita al Museo della Comunità di Montalcino e del Brunello, è la chiave di volta per capire i tanti aspetti che hanno contribuito al suo successo. Centinaia di oggetti, fotografie, lettere, pannelli, da scorrere con attenzione.

Il museo del Brunello

Non è la solita accozzaglia di vetusti attrezzi agricoli, sistemati alla rinfusa nella sala d'ingresso di una cantina, perché il Museo della Comunità di Montalcino e del Brunello è un vero e proprio percorso che illustra tutti gli aspetti (storici, economici, sociali, culturali, ecc. ) che hanno permesso la nascita, e lo sviluppo, del più famoso rosso toscano e italiano.

In oltre 1500 metri quadri di esposizione sono centinaia gli oggetti, i vestiti, gli attrezzi, le fotografie, i pannelli, i documenti, i filmati, che si possono visitare da soli o meglio se accompagnati da una guida, per comprendere il terroir montalcinese nell'arco della sua storia. L'idea del Museo nasce da Stefano Cinelli Colombini, discendente di un'antica famiglia montalcinese e titolare della Fattoria dei Barbi che ha messo a disposizione gli spazi. Sono stati oltre 400 i montalcinesi che hanno contribuito all'arricchimento delle varie sale con oggetti e ricordi di famiglia.

Immagine del Museo del Brunello di Montalcino

La storia

Nulla è stato tralasciato a partire dal ruolo della città di Montalcino, la sua importanza strategica e politica, gli assedi di cui è stata protagonista. Una storia che apparentemente subisce una cesura quando con il trattato di pace di Cateau-Cambrésis tra Francia e Spagna, Montalcino, sede della Repubblica di Siena e ultimo libero comune italiano, dovette capitolare il 31 luglio 1559. Ma la città, pur perdendo la sua autonomia, continuerà la sua vicenda nell'ambito del Granducato di Toscana prima e dell'Italia unitaria poi. In questo lungo arco di tempo Montalcino non ha mai smesso di confrontarsi con le sfide del progresso e di un'evoluzione della comunità: dalla creazione della società di Mutuo Soccorso (1862), all'assistenza medica gratuita (1908) per i poveri del Comune, al passaggio della linea ferroviaria (1865), alla luce elettrica ottenuta da una centrale a vapore (1902). Un percorso che si interseca con la storia economica e produttiva di Montalcino, anch'essa minuziosamente ricostruita: per molti secoli, dal 1350 sino al 1840, l'attività principale nel comune fu la concia delle pelli e la produzione di scarpe, seguita dalla lavorazione della lana, dalla falegnameria e dalla lavorazione del ferro. In epoca più recente la produzione di carbone - per uso industriale e domestico – fu un'attività assai diffusa. Però l'agricoltura e la viticoltura da sempre hanno svolto un ruolo di primo piano.

 

Montalcino: il lungo percorso di un vino

Grazie a Francesco Redi, scienziato e poeta alla corte dei Medici, il Moscadello di Montalcino già dal 1685 gode di una grande fama, immortalato nei versi di Bacco in Toscana mentre il più prestigioso vino rosso italiano ha una storia più complessa. Le numerose ricerche svolte nel corso degli anni giungono tutte alla stessa conclusione: il Brunello ha molti padri e non ha una data di nascita certa. Nel racconto Giovanni Moglio da Montalcino, lo storico A. E. Brigidi, citando un manoscritto di Marcantonio Rivaccini della metà del 1500, scrive di “Renai e la Martoccia i 2 vigneti per il miglior Brunello di Montalcino”. Se questa è da considerarsi come una delle prime citazioni del Brunello, c'è da dire che i vigneti dal 1800 fino al 1930 non sono mai stati meno di 2.000 ettari, con punte fino a 4.000.

 

Foto del Museo del Brunello con i pannelli sui pionieri di questo vino

I padri del Brunello

Nell'Ottocento Clemente Santi, Tito Costanti, Camillo Galassi, Giuseppe Anghirelli, Riccardo Paccagnini, Raffaello Padelletti, Ferruccio Biondi Santi, furono alcuni dei pionieri della sua nascita e nel museo la vita e le opere di ognuno sono ampiamente illustrate. Ma se la loro generazione è considerata "l'inventrice" del Brunello, quella di Tancredi Biondi Santi e Giovanni Colombini fu la quella che riuscì a farlo conoscere nel mondo, provocando una vera rivoluzione nel campo dell'enologia internazionale.

Un successo tra alti bassi, però. Infatti gli effetti della fillossera prima e della Seconda guerra mondiale con il passaggio del fronte poi, furono particolarmente pesanti per Montalcino e il suo territorio: divenne uno dei comuni più poveri d’Italia e perse circa il 70% della sua popolazione. Solo alcuni produttori fra i quali Colombini e Biondi Santi continuarono a imbottigliare il Brunello ma tante aziende sparirono e con loro, memorie e documenti che oggi sarebbero preziosi.

 

La crisi degli anni '60

Nel 1960 la prosperità di inizio secolo sembrava un lontano ricordo: strade sterrate, poderi diroccati, carri trainati da bovi e ancora visibili gli effetti sulle piante di olivo della terribile gelata del 1956. Con l’apertura dell’Autostrada del Sole (1958-1964), il conseguente crollo dei traffici stradali sulla vicina Cassia e l'abolizione (1964) della mezzadria, il mondo montalcinese va in stallo e anche le attività artigianali cessano quasi del tutto. In questa situazione drammatica, il Sindaco Ilio Raffaelli e alcuni imprenditori grandi e piccoli del territorio, compresero che bisognava puntare sulla valorizzazione dei prodotti agroalimentari di qualità e nel turismo. Alla fine emerse chiaramente che l’unica risorsa su cui si sarebbe potuto costruire il rilancio di Montalcino era il Brunello.

Solo nel 1966 con il ricoscimento della Doc – diventerà Docg nel 1980 - la storia del vino e della città riprende slancio anche se l’anno dopo, solo 21 aziende presentarono la denuncia di produzione (circa 2000 ettolitri), una quantità davvero esigua per un vino di così grande nome. Nel 1967 sarà la volta della costituzione del Consorzio del Vino Brunello di Montalcino grazie a 21 pionieri (oggi sono 230 i viticoltori, vinificatori e imbottigliatori, associati al Consorzio). Nel frattempo, il 28 aprile 1969, presso l’Ambasciata italiana a Londra, in occasione di una cena in onore della Regina Elisabetta e del Presidente Giuseppe Saragat, fu servito il Brunello di Montalcino Riserva 1955 Biondi Santi, che già allora era considerato il migliore vino italiano.

 

Gli anni '70 e l'arrivo degli americani

Negli anni Settanta numerosi imprenditori lombardi acquistano, spesso a prezzi molto convenienti, poderi abbandonati ed ampie estensioni di terreno. Insomma la nuova economia del Brunello, seppur in sordina, inizia ma ci vorrà molto tempo per farla decollare. Sono anche gli anni in cui la moda e la cucina italiana conquistano il mondo. Il Brunello diventa uno dei simboli del nuovo boom economico e come tale non può mancare sulle tavole dei migliori ristoranti di New York e di Los Angeles.

Nel 1978, l’arrivo degli americani della Banfi, un investimento che non ha paragoni nel mondo del vino per la vastità del progetto e per volume dell’investimento - circa 200 milioni di euro di oggi - contribuisce non poco ad accelerare la rinascita. Di investitori ne arriveranno molti e saranno in tanti, montalcinesi e non, i protagonisti dell'attuale straordinario successo.

La storia recente è cronaca di questi giorni, con i cambi di proprietà, l'ingresso di gruppi internazionali, l'ottimo risultato dei vini in ogni guida, la presenzza sui mercati e le tavole più importanti. Un presente che non può scindersi dal suo passato, recente e remoto, che queso museo contribuisce a far conoscere. Perché il Brunello non è solo un grande vino ma una grande storia da conoscere.

 

Museo della Comunità di Montalcino e del Brunello |Montalcino (SI) | Località Podernovi, 170 | Strada Consorziale dei Barbi| tel. 0577.846104 e 0577.841111, cellulari: 340.7412324 e 345.3068069 | https://www.fattoriadeibarbi.it/museo-del-brunello/

a cura di Andrea Gabbrielli

 

Storie di imprenditoria nella ristorazione. L'esempio di Casa del Nonno 13 a Salerno

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L'imprenditoria della ristorazione è un tema significativo e quanto mai attuale: oltre a una cucina di qualità e un servizio attento, i ristoratori devono essere anche in grado di concepire progetti innovativi e duraturi nel tempo. Il caso della famiglia Angrisani in provincia di Salerno, e dei loro tre locali.

I progetti gastronomici di 13

La novità era già nell'aria da tempo: Casa del Nonno 13 a Mercato San Severino, in provincia di Salerno, rappresenta un progetto gastronomico ampio e articolato, guidato da Antonio Angrisani, attualmente alle prese con tre diverse declinazioni dello stesso marchio: 13 Salumeria & Cucina, Osteria e Casa del Nonno 13, che può godere ora anche di uno spazio esterno curato nei dettagli. Ma procediamo con ordine. Tutto ha inizio con Casa del Nonno 13, il ristorante nel palazzo di famiglia a Mercato San Severino: cucina innovativa ed elegante, basata sulla profonda tradizione contadina dell'agro nocerino sarnese. Un alto livello qualitativo mantenuto anche da Alberto Annarumma, chef che ha preso in gestione la cucina a partire dallo scorso dicembre 2016. Nel 2013 nasce invece a Salerno 13 Salumeria & Cucina, una bottega dove poter fare la spesa e sedersi al tavolo per gustare taglieri di prodotti di nicchia e cucina casereccia a base di materie prime locali a cura di Giovanni Mellone. È stata poi la volta dell'Osteria, nata nel 2016 negli spazi dei cellai del palazzo, un antro nell'antro dove le ricette di una volta vengono realizzate secondo tradizione dalla cuoca Assunta Rispoli.

13 rappresenta quindi un concept unico, declinato in tre diverse modalità di fruizione, con format e livelli diversificati, ma con un obiettivo comune: promuovere le eccellenze del territorio, dal pomodoro San Marzano al vino.“Il ristorante e le sue recenti evoluzioni raccontano la storia della mia famiglia”, commenta Angrisani, che rappresenta da sempre la proprietà del gruppo. E aggiunge: “Con tutta la squadra che lavora ai ristoranti proviamo a selezionare costantemente il meglio dei prodotti disponibili sul mercato e a offrire esperienze appaganti a tutte le fasce di clienti.Serviamo il pomodoro San Marzano dagli orti di nostra proprietà, la cipolla ramata di Montoro, il cipollotto dell’agro nocerino-sarnese, le carni e la pasta che gli chef delle tre attività valorizzano nei piatti”.

Casa del Nonno 13, il nuovo spazio esterno

Novità dell'estate 2017 è l'apertura della corte esterna e dei giardini di Casa del Nonno 13, primo passo di un progetto ben più ampio che prevede la realizzazione di stanze per l'accoglienza e di una scuola di cucina in altri spazi del palazzo. Con l'occasione dell'inaugurazione dello spazio esterno, i tre locali firmati 13 presentano anche nuovi orari di apertura e qualche cambiamento nel numero dei coperti. L'Osteria resta aperta ogni giorno, dal lunedì alla domenica, sia a pranzo che a cena, diventando così un punto di riferimento a tutte le ore per turisti e abitanti del luogo in cerca di un pasto casalingo di qualità. La Salumeria, in pieno centro, conquista la piazza e un maggior numero di coperti lasciando invariata l'offerta di successo che prevede un pranzo fisso a 13 euro e cena alla carta. Casa del Nonno 13 rimane aperto solo per cena tutti i giorni tranne il martedì, con l'eccezione dell'apertura straordinaria del sabato anche a pranzo.

Casa del Nonno 13 | S. Eustachio Mercato San Severino (SA) | Corso Caracciolo, 13 | tel. 08 9894399| www.casadelnonno13.it/

Osteria 13 | S. Eustachio Mercato San Severino (SA) | Corso Caracciolo, 13 | tel. 08 9894399| www.casadelnonno13.it/osteria/

13 Salumeria & Cucina | S. Eustachio Mercato San Severino (SA) | CorsoGaribaldi, 214 | tel. 08 99951350 | www.facebook.com/13salumeriaecucina/

a cura di Michela Becchi


Turku. Alla scoperta delle nuove destinazioni gastronomiche della Finlandia

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La Finlandia regala grandi sorprese, non solo dal punto di vista paesaggistico ma anche a livello gastronomico. Ecco gli indirizzi dove mangiare, dormire e comprare a Turku. 

A Turku, dopo la sauna, l’ultima passione finlandese è tutta per la cucina. Neanche il tempo di svernare – qui da novembre a maggio il freddo picchia duro – che sul fiume Aura la movida in salsa finnica comincia a rimettersi in moto dopo il letargo. E tra luglio e agosto anche la passione gastronomica e la convivialità si risvegliano lungo il fiume.

Tagliere di aringhe con olive e rosmarino, aringhe in salsa di mirtilli e ribes nero, pastrami del ristorante bistrot L’Escale, a Nagu, nell’arcipelago finlandese Tagliere di aringhe con olive e rosmarino, aringhe in salsa di mirtilli e ribes nero, pastrami del ristorante bistrot L’Escale, a Nagu, nell’arcipelago finlandese

Gli eventi a Turku durante l'estate 2017

Man mano che si avvicina l’estate decine e decine di teste bionde fanno la spola sulla passeggiata, siedono ai tavolini all’aperto e prendono il sole sulle panchine. Il clou della stagione si concentra tra luglio e agosto, quando la cittadina della Finlandia occidentale si ritrova seduta attorno a una lunga tavola: per l’esattezza 700 tavoli in fila apparecchiati sul lungofiume. Ognuno porta cibo e bevande per il piacere di stare insieme. È la Cena Sotto le Stelle di Turku, in programma il 26 agosto. Provatela a immaginare lungo l’Arno o il Tevere…Poi c’è Ristorante per un Giorno: per due volte, tra primavera ed estate, chiunque può cucinare i suoi piatti preferiti e invitare a casa perfetti sconosciuti. E per i gourmet c’è il Food Walk, un percorso di 5 piatti in 5 tappe a scelta tra 10 ristoranti in tre 3 giorni: prezzo dell’abbonamento 44euro. “L’abbiamo lanciato nel 2012 e sta andando bene”. Spiega Olga Henriksson di Visit Turku, l’ente pubblico del turismo. “Incontra il nuovo interesse per la gastronomia di qualità, che ormai ha preso piede. Per molti è un simpatico regalo per parenti e amici. Inoltre quest’anno la Finlandia festeggia i 100 anni dall’Indipendenza così il programma di eventi è più ricco di sempre”.

Vitello di Honkilahti con cavoli di stagione e pelle di pollo. Piatto del ristorante Kaskis, di TurkuVitello di Honkilahti con cavoli di stagione e pelle di pollo. Piatto del ristorante Kaskis, di Turku

Il panorama gastronomico finlandese sorprende

Una decina d’anni fa non c’erano ristoranti con chef importanti e i turisti non erano esigenti sul cibo. Il fenomeno è cresciuto un po’ alla volta”. Racconta la giornalista gastronomica Heli Nieminen, che ha scritto il libro di ricette Turku on a Plate, 10 ristoranti gourmet sul fiume Aura. “Da noi i prezzi sono più abbordabili, così anche da Helsinki vengono in tanti a gustare la nostra cucina. Il risultato? C’è tanto orgoglio sull’impiego degli ingredienti locali, le relazioni con i produttori sono diventate buone e i giovani chef condividono esperienze vivendo la competizione in modo sano”. Un’altra manifestazione in questa cittadina di appena 180mila abitanti è il Food & Fun Festival che si tiene a fine estate, una rassegna gastronomica alla quinta edizione organizzata da Pekka e Jouni Kuru, padre e figlio, ex ristoratori. Dal 27 settembre al 1° ottobre chef e bartender finlandesi di Turku, colleghi islandesi di Reykjavik e qualche altro cuoco internazionale, si contendono la scena tra i fornelli con un pizzico di creatività. Mentre a pranzo e cena, nei migliori ristoranti e bar, vengono proposti menu gourmet a prezzo blindato e cocktail di territorio. La manifestazione coinvolge anche due ospedali, la prigione, le scuole e gli asili. Il cibo educa e a quanto pare rieduca.

Salmone salato con patate affumicate, maionese di cetriolo e salsa di cetriolo. Piatto del ristorante Ludu di TurkuSalmone con patate affumicate, maionese di cetriolo e salsa di cetriolo. Piatto del ristorante Ludu di Turku

Gli indirizzi più interessanti di Turku

All’ombra della Cattedrale luterana, la chiesa più grande di Finlandia, o lungo il fiume Aura – dove anche l’arte contemporanea si fa spazio – la cucina è la nuova passione da coltivare. Come afferma lo chef Jarno Seppä del ristorante Smör (che significa burro): “Negli ultimi anni è cresciuta la qualità, però a differenza di voi mediterranei noi utilizziamo poche spezie, cercando d’esaltare la purezza degli ingredienti che qui sono in prevalenza bacche e pesci di mare o d’acqua dolce, come luccioperca e lavarello”.

Aperti tra il 2013 e il 2014 anche il Ludu e il Kaskis si sono posizionati tra i migliori ristoranti di Turku, già in lizza nel Food&Fun Festival. La formula vincente del Ludu è l’alleanza tra Jonas Sippo, 41 anni, cameriere e bartender, e Tomi Rosenberg, chef ed ex compagno di scuola. “Lavoriamo insieme su nuove idee e spesso fantastichiamo, così mia moglie, che tiene la contabilità, ci riporta alla concretezza dei conti!”. Scherza Sippo, mentre ci gustiamo un delicato salmone salato con patate affumicate, salsa e maionese di cetriolo. Al Kaskis, invece, l’unione che fa la forza è tra i due chef Erik Mansikkae Simo Raisio, la cui idea è di preparare in casa il più possibile, dal buonissimo pane di segale, grano, malto e sciroppo di zucchero, alle erbe e alle verdure dell’orto, da loro stessi coltivato fuori città.

Un’altra tendenza di Turku”. Aggiunge Sami Piirainen, bartender del locale The Cow, dove andiamo per un drink di fine serata. “È di aver recuperato erbe e bacche della foresta anche nei cocktail, di pari passo con l’evoluzione della cucina”. Il Gin tonic Napue con mirtilli rossi, rosmarino e succo di lampone è solo il primo giro, ma già convince senza esitazione.

Tortino di crema e glassa di sea backthorn (olivella spinosa) al Mercato Coperto (Kauppahalli) di TurkuTortino di crema e glassa di sea backthorn (olivella spinosa) al Mercato Coperto di Turku

Kauppahalli, il mercato coperto

Oltre agli indirizzi gastronomici, il consiglio è di far visita a Kauppahalli, il mercato coperto di Turku, che occupa una bella costruzione liberty del 1896, una struttura in ferro rivestita di mattoncini scuri. Al suo interno una cinquantina di banchi, caffè e ristoranti offrono buoni prodotti locali, dal pane nero di segale in tante varianti, a deliziosi dolci; dal pesce fresco in salsa finlandese – marinato, affumicato, etc – fino alla carne, anche di cervo, alce o renna. Per i più golosi sosta consigliata alla pasticceria Piece of Cake per gustare le specialità artigianali di Katia Nurmi, come le paste con crema di fragole o il tortino di crema e glassa di olivella spinosa, una bacca gialla dei boschi finnici. C’è anche l’angolo-museo sui prodotti agroalimentari finlandesi.

Kauppahalli | Turku | Eerikinkatu, 16 | tel. +358 (0)2 262 4126 | www.kauppahalli.fi

Il museo dell'Artigianato, un antico borgo rurale

Nel 1827 un incendio distrusse quasi due-terzi di Turku ma fu risparmiato il quartiere “del monastero”, oggi trasformato in Museo dell’Artigianato, un complesso rurale con caratteristiche case in legno, cortili e giardini interni. Vuote per decenni, le costruzioni recuperate raccontano ciascuna un antico mestiere: la casa della filatura, quella degli orologi, del pane, della sartoria, della rilegatura e altre.

Museo dell’Artigianato | Turku | Vartiovuorenkatu, 2 | tel. +358 (0)2 262 0350 | www.museumcentreturku.fi

Frutti di bosco appena raccolti. In basso da sx a dx green gooshberry (uva crispa), ribes rosso, mirtilli, ribes nero e rosso, nome, saskatoon (bacca d’origine canadese). Azienda Tackork, a NaguFrutti di bosco appena raccolti: green gooshberry (uva crispa), ribes rosso, mirtilli, ribes nero e rosso, saskatoon (bacca d’origine canadese). Azienda Tackork, a Nagu

Succhi naturali, una spremuta di bosco

Oltre a chef e barman, c'è un nutrito gruppo di originali cercatori e trasformatori di frutti di bosco. La piccola azienda Tackork Bär, specializzata nella raccolta e vendita di frutti di bosco, bacche, funghi e nella produzione di marmellate, succhi e torte fatte in casa, è nata da una prova di coraggio della proprietaria, Margot Wikström. Questa simpatica signora qualche anno fa ha mollato il posto in banca per dedicarsi alla terra, nel villaggio di Nagu, nell’arcipelago di Turku. I prodotti si possono comprare nei mercatini locali oppure a qualsiasi ora del giorno e della notte nel punto vendita aziendale. I soldi – incredibile – si lasciano in una cassettina, sulla fiducia.

Anche Tove e il marito tedesco Gunnar Bornemann hanno lasciato il loro impiego fisso per dedicarsi alla terra, nella zona di Pargas. Entrambi grafici pubblicitari, ma stanchi di lavorare a pieno ritmo, hanno acquistato una pressa mobile su un camioncino per fare succhi di frutta a domicilio, fondando la Bornemanns Musteri. Di frutteto in frutteto, i due pressano mele, fragole, ribes, mirtilli, lamponi e altre bacche dell’arcipelago di Turku. Oltre che a domicilio per i coltivatori, ricevono le famiglie con poche cassette di frutta per trasformarle in deliziosi succhi. Un’altra bella scoperta, proprio gente curiosa quassù a nord. E anche questa è Turku, la città e la provincia che aveva deciso di sfidare Helsinki.

Tackork Bär | Nagu | Tackorkvägen, 31 | tel. +358 (0)40 7350 593 | www.tackork.fi

Bornemanns Musteri | Pargas - Kirjala | Kårlaxvägen, 234 | tel. +358 (0)40 7188361 | www.bornemannsmusteri.com

 

GLI INDIRIZZI

mangiare

Kaskis | Turku | Kaskenkatu, 6 | tel. +358 (0)44 7230 200 | www.kaskis.fi | Cucina raffinata moderna e rivisitata, principalmente d’ispirazione locale con materie prime stagionali.

Ludu | Turku | Linnankatu, 17 | tel. +358 (0)20 734 0311 | www.ludu.fi | Tra i migliori ristoranti della città per la buona cucina internazionale con influenze nordiche.

Panimo Ravintola Koulu | Turku | Eerikinkatu, 18 | tel. +358 (0)2 274 757 | www.panimoravintolakoulu.fi | Birrificio con pub, ristorante e brasserie. Anche piatti che usano la birra come ingrediente.

Smör | Turku | Läntinen Rantakatu, 3 | tel. +358 (0)40 7614 666 | www.smor.fi | Bel ristorante in un seminterrato sul lungofiume Aura e tavolini all’esterno. Ricette moderne scandinave e un tocco ispanico.

Tiirikkala | Linnankatu 3 | Turku | tel. +358/041.4406367 | www.tiirikkala.fi/eng | Aperti lun-dom 11-22; ven-sab 11-02 con live music | Cocktails 9€, birre 6,50-9,50€ | Nuovo locale con terrazza sul lungofiume Aura, ideale per un caffè, una birra o un cocktail. Anche insalate e panini.

Köpmans | Nauvo | Rantapolku, 3 | tel. +358 (0)41 502 0290 | www.kopmans.fi | Neo-bistrot in stile scandinavo, con banco di pane e dolci. Piatti locali rivisitati e alleggeriti e specialità internazionali.

L’Escale | Nagu | Nauvon Rantal, 4 | tel. +358 (0)40 7441 744 | www.lescale.fi | Bel ristorante affacciato sul porticciolo di Nagu, ritrovo di gourmet per una buona cucina scandinava dal tocco francese.

 

dopocena

Cafe Qwensei | Turku | Läntinen Rantakatu, 13b | tel. +358 (0)50 3950 021 | www.cafeqwensel.fi | Accogliente caffè in un ex magazzino in legno verniciato di rosso. Tavolini in cortile e curiosi orticelli in piccole serre di legno con lucernario.

E. Ekblom | Turku | Läntinen Rantakatu, 3 | tel. +358 (0)2 536 9445 | www.eekblom.fi | Bar moderno e originale sul lungofiume per birre, liquori di menta piperita, sidro e cocktails con bacche e frutti di bosco della Lapponia.

The Cow | Turku | Aurakati, 3 | tel. +358 (0)44 0250 090 | www.thecow.fi | Ottimo bar per birre artigianali, distillati, vodka di cetriolo e ai frutti di bosco e cocktail fatti con prodotti finlandesi.

 

dormire

Radisson Blu Marina Palace Hotel | Turku | Linnankatu, 32 | tel +358 () 20 1234 710 |

www.radissonblu.com/en/hotel-turku

B&B Vastergard | Gyttjavägen, 29 | Nagu | tel. +358 (0)40 586 1317 | www.vastergard.fi

Villa Rainer | Kirjala | Skråbbontie, 244 | tel. +358 (0)400 449 671 | www.villarainer.fi

 

comprare

Art Bank | Pargas - Paranainen | Kauppiaskatu, 24 | Köpmansgatan | tel. +358 (0)400 524 177 |

www.artbank.fi | La più grande collezione privata di opere di Salvador Dalì in Finlandia e una galleria dedicata all’arte del ‘900, con opere di Chagall, Mirò, Lucio Fontana, Picasso e arte contemporanea finlandese.

Artek | Turku | Iso-Heikkiläntie, 6 | tel +358 (0)20 7432 530 | www.artek.fi | Design finlandese di arredi e oggettistica per la casa.

Sisustuksen Koodi | Turku | Linnankatu, 6 | tel. +358 (0)20 7940 880 | www.sisustuksenkoodi.fiArredi e accessori per la casa.

Sylvi Salonen | Turku | Linnankatu, 14 | tel. +358 (0)20 7660 830 | www.sylvisalonen.fi | Negozio di artigianato e design finlandese in gran parte autoprodotto con arredi e oggetti per la casa.

 

info

Traghetti | www.turku.fi

Ente Turismo Arcipelago | www.visitarchipelago.com

Ente Turismo | www.visitturku.fi

In Italia | www.visitfinland.com

 

testo e foto a cura di Massimiliano Rella

A Ceglie Messapica il Food Festival di Puglia a difesa della biodiversità

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Tre giorni tra vicoli e piazze della cittadina pugliese, in compagnia di chef, produttori, esperti di alimentazione e cultura gastronomica per parlare di biodiversità e responsabilità alimentare, divertirsi e mangiare in strada fino a tarda notte. Il programma del Ceglie Food Festival 2017. 

Ceglie Messapica. Città d’arte e della gastronomia

È il Salento che inevitabilmente, ogni estate, va in overbooking perché è difficile resistere al richiamo di spiagge mozzafiato, masserie e muretti a secco che punteggiano l’orizzonte, cittadine che in inverno contano un manciata d’abitanti, ma per l’alta stagione si trasformano in macchine perfette dell’ospitalità. Ed è certo la volontà di agevolare il turismo il segreto del rilancio economico che nell’ultimo decennio ha favorito l’ascesa del Salento (e oggi della Puglia tutta) tra le mete più apprezzate per le vacanze di italiani e turisti in arrivo da tutto il mondo. Fin quasi, dicevamo, a creare quel corto circuito di presenze che trasforma le più celebri località costiere del tacco d’Italia per tutto il mese di agosto. Poi però c’è la Puglia che non perde mai la sua identità, quella che è frutto dell’attaccamento alla terra, delle tradizioni popolari che si tramandano da generazioni. A Ceglie Messapica, Comune della provincia di Brindisi e centro di riferimento della Valle d’Itria (al confine con il Salento) il Food Festival va in scena da 9 anni. Del resto la cittadina circondata da trulli, masserie, oliveti e grotte carsiche vanta il riconoscimento di città d’arte e della gastronomia, e una fondazione antica che la rende particolarmente suggestiva, con la Torre Normanna che svetta sul castello ducale e ciò che si conserva delle mura di età medievale che cingevano l’abitato. In paese la densità di tavole meritevoli è altissima. Intorno un gran numero di masserie, che dalla fine degli anni Novanta sono state riconvertite, dopo attento restauro, in strutture ricettive, ma conservano ancora il legame con il territorio rurale che le circonda, e l’attività contadina che ferve nella piana.

 

Biodiversità è consapevolezza

E il Ceglie Food Festival, sin dalle origini, celebra proprio il passaggio dalla terra al piatto; ogni anno un tema diverso, da approfondire in piazza, per una festa che coinvolge il grande pubblico, ma vuole essere momento di riflessione sulla cultura alimentare, e dove sta andando. L’edizione 2017, dall’11 al 13 agosto, segna un nuovo inizio – una sorta di anno zero -  e al motto di “meno cooking show e più storie” si concentrerà sulla biodiversità: l’uomo e il patrimonio che è chiamato a custodire, protagonisti nella Piazza della Biodiversità, largo Ognissanti così ribattezzato per l’occasione, con la supervisione di Angelo Giordano e Valerio Tanzarella. Dalle 20 in poi, e fino a tarda notte, la tre giorni mangereccia di Ceglie si snoda pure tra food truck, street food internazionale e produttori locali, con un percorso espositivo che conta 40 stand di chi la biodiversità la porta in tavola, la partecipazione di tanti ospiti e il gemellaggio con realtà affini perché custodi di un patrimonio gastronomico che resiste alle difficoltà, come la cucina itinerante di Daniele Bonanni, in arrivo da Amatrice, che il suo viaggio su e giù per l’Italia l’ha intrapreso circa un anno fa, dopo aver perso tutto (la famiglia e il suo ristorante Ma-Tru) nel terremoto che ha colpito la sua terra.

Tipicità e contaminazioni

Di belle storie in piazza, una accanto all’altra, però, ce ne saranno tante, come quella dei ragazzi dell’Orto dei Noè, che proprio a Ceglie è stato tenuto a battesimo qualche anno fa, in contrada Conca di Scrivo; una realtà nata per la conservazione e l’orto-terapia che custodisce più di 400 gemme rare messe a coltura e altrimenti destinate all’estinzione, proprio grazie al lavoro di Angelo Giordano e Valerio Tanzarella, che al Food Festival di quest’anno daranno una decisa impronta sostenibile, per una valorizzazione della tavola che guarda al futuro, forte del patrimonio che ci ha tramandato la storia: contadini e custodi di una biodiversità militante. Mentre da Conversano arriveranno i prodotti di CanaPuglia e Claudio Natile, che la sua sfida l’ha concentrata sulla coltivazione della canapa industriale a uso alimentare. Protagonisti dei cooking show in piazza del Plebiscito Antonella Ricci e Vinod Sookar – dal Fornello di Ricci a fare gli onori di casa – Felice Sgarra, Stefano di Gennaro, Palma d’Onofrio, Antimo Savese, Victoire Gouloubi. Tra i moderatori Federico Quaranta e Andy Luotto. E poi le masterclass sul vino e sulla birra artigianale e l’immancabile bombetta di capocollo di maiale, che è un concentrato di territorialità. Perché Ceglie Food Festival è Puglia. Tra tipicità e contaminazioni.

http://www.cegliefoodfestival.it

Ceglie Food Festival | Ceglie Messapica (BR) | dall’11 al 13 agosto 2017 | www.cegliefoodfestival.it

 

a cura di Livia Montagnoli

Birra, frutta, gelati? Ecco cosa comprano gli italiani al supermercato d'estate

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Nielsen analizza i consumi degli italiani al supermercato in una delle estati più calde degli ultimi anni. E a giugno il carrello si riempie di birra, tonno sott'olio, mozzarella, frutta e verdura. Ma guardando i dati su base regionale i risultati cambiano. 

Cosa finisce nel carrello d'estate. L'indagine Nielsen

Partiamo da un dato banale: d'estate fa caldo, e si cucina meno. La voglia di stare ai fornelli e infornare una teglia di lasagne, quando il termometro segna temperature che si avvicinano ai 40 gradi, passa anche alla cuoca (amatoriale) più incallita. Quanto quest'ineluttabile desiderio di capresi e gazpacho influisca sui consumi degli italiani l'ha fotografato un'indagine Nielsen relativa agli acquisti di cibo in Gdo nel mese di giugno 2017. La classifica che ne deriva, realizzata da Italiani.coop sulla base dei dati raccolti, non è certo inaspettata, ma curiosa per stabilire priorità, gusti e primati dell'Italia a tavola. Di cosa potrà mai abbondare il carrello dell'italiano medio che si aggira tra gli scaffali del supermercato cercando un po' di refrigerio nell'aria condizionata che simula temperature da Circolo polare Artico? Birra, di certo, per un giro d'affari di 156 milioni di euro (il 10,5% in più sul 2016), purché sia beverina, e non superi i 6 gradi. E poi acqua e tè freddo. Ma pure tonno sott'olio in scatola, che conquista il terzo gradino del podio, con 108 milioni di spesa e una crescita delle vendite del 10%; e mozzarella, per un valore di 84 milioni di euro. In top ten anche prosciutto crudo, olio extravergine, e gelati. Di gelato (purtroppo non solo quello degli artigiani che tengono alta la tradizione nazionale, i nomi li trovate sulla guida Gelaterie d'Italia del Gambero Rosso) gli italiani si confermano grandi consumatori: quasi 200 milioni di euro sono destinati all'acquisto di vaschette multigusto, coni e gelati confezionati.

 

Consumi. Vola l'ortofrutta

E se tutto il comparto alimentare fa registrare una crescita dei consumi rispetto allo stesso periodo del 2016, è soprattutto il comparto ortofrutticolo, seppur fuori dalla top ten dei più acquistati, a cantare vittoria. Il consumo di frutta e verdura cresce del 3%, e genera un giro d'affari di 358 milioni di euro, ben 10 milioni in pù rispetto all'anno scorso: “Acquisti mai così rilevanti per il comparto da almeno 17 anni”, prendendo però in considerazione il lungo periodo, cioè i primi 4 mesi del 2017. E con picchi che spettano alle insalate in busta, ma soprattutto alla frutta esotica, avocado, mango, papaya, con conseguente preoccupazione per il frutteto italiano, che – secondo dati Coldiretti – si è ridotto di un terzo negli ultimi 15 anni, con la scomparsa di oltre 140mila ettari di piante. Voce fuori dal coro l'uva varietà Italia, che nel mese di giugno fa segnare un +80% negli acquisti degli italiani. Un po' in tutta la Penisola, poi, l'estate è sinonimo di pic nic e giornate in spiaggia col pranzo al sacco. Ne risentono i consumi: milioni di euro della spesa estiva finiscono in riso e condimenti già pronti.

 

L'Italia delle 1000 tavole. I primati regionali

L'indagine di Italiani.coop, però, è scesa nel dettaglio, fotografando Le 1000 tavole italiane secondo i dati Ref (Ricerche su dati Istat). A ogni regione il suo primato su base annuale: la Sicilia conduce il consumo di pollame, il Lazio quello di latte intero e banane, in Lombardia prediligono i formaggi. E si profilano anche gusti ricalcati su specificità territoriali e tradizioni culinarie radicate nella cultura regionale: al Trentino il primato per consumo di yogurt, in Puglia il podio della carne di cavallo, in Campania vince il pomodoro in scatola (ma pure i biscotti sono molto apprezzati), in Abruzzo pecora e agnello. Chi consuma più caffè? I sardi. E olio d'oliva? La Liguria. Mentre pane e grissini vanno forte in Piemonte. E l'Emilia Romagna si conferma tavola di buongustai, con abbondanza di salumi e vino.

 

Tutti i dati sulle 1000 Tavole degli italiani

Sostenibilità e grandi numeri reggono insieme? La storia dei vini Banfi a Montalcino

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Parliamo di Montalcino, di un’annata che si preannuncia come una delle più siccitose mai affrontate, dell'azienda vinicola Banfi, che dal 2015 ha intrapreso un percorso volto alla sostenibilità, nonostante i grandi numeri. Intervista al Direttore Generale Enrico Viglierchio.

Il caldo di un’estate iniziata ormai da mesi, la campagna intorno a Montalcino con le sue vigne in attesa che le piogge possano ridar sollievo ad un’annata che si preannuncia come una delle più siccitose mai affrontate. A parlare di Montalcino e del concetto di sostenibilità, ben più ampio di quello che ci si aspetterebbe, c’è Enrico Viglierchio, Direttore Generale di Banfi, grande azienda ilcinese nata nel 1978 grazie alla famiglia Mariani e oggi una delle più importanti del comprensorio.

 

Le tematiche sulla sostenibilità sono ormai sempre più al centro di dibattiti, spesso accesi nel mondo del vino, produttori compresi. In cosa si traduce per un’azienda con numeri importanti come Banfi, con produzioni anche al di fuori di Montalcino, questo concetto?

Il nostro è un percorso iniziato nel 2015 che ha avuto il primo risultato tangibile nel 2016 con la pubblicazione del primo bilancio di sostenibilità. Un documento che viene redatto secondo una procedura internazionale seguendo i principi del GRI attraverso il controllo di un revisore esterno: di fatto il bilancio di sostenibilità affianca il Bilancio economico e finanziario di un’azienda, con la possibilità e l’obiettivo di unificarli in un documento unico.

In che cosa consiste nello specifico?

Consiste nell’analizzare ogni area aziendale valutandone lo stato dell’arte per quanto riguarda i vari aspetti che la caratterizzano: dalla gestione delle risorse umane, ambientali, fino, appunto, a quelle economiche, analizzando i tre esercizi precedenti, racchiudendo al suo interno tutte quelle attività e tutti quei progetti che rientrano in un concetto di sostenibilità. Progetti che possono andare dalla riduzione di infortuni, al recupero e ricircolo dell’acqua, all’abbattimento e riduzione nell’uso di prodotti fitosanitari, oppure progetti di sostenibilità territoriale, cioè l’investimento dell’azienda a supporto del territorio.

Cosa intende per “investimento dell’azienda a supporto del territorio”?

È un vero e proprio bilancio che si compone delle risorse da cui attinge l’azienda e di quante ne “ribalta” sul territorio, sotto forma di manodopera del luogo rispetto a quella al di fuori di esso o investimenti in attività culturali e recupero ambientale. Quindi un concetto di sostenibilità più ampio rispetto a quello che si potrebbe immaginare, più vicino al significato francese piuttosto che quello italiano.

Sul tema sostenibilità, qual è la differenza tra Italia e Francia?

In Italia, anche da un punto di vista comunicativo, ne vediamo principalmente l’aspetto che è quello legato alla gestione agronomica: per il 90% delle persone la sostenibilità di un’azienda vitivinicola si riduce alla gestione della vigna e ai suoi trattamenti. I francesi non usano il termine sostenibilità, che di per sé ha un’accezione tendenzialmente negativa, ma usano il concetto di durabilità.

Cosa presuppone il concetto di durabilità?

Un sistema che ha tutti i presupposti per durare nel tempo in modo virtuoso anche nell’aspetto economico, racchiudendo in esso l’interazione del processo aziendale col territorio, inteso sia come risorse ambientali e umane. Un’azienda virtuosa e in grado di durare nel tempo deve essere autosufficiente, ovviamente basandosi su principi etici solidi ma, qualora diventasse inefficiente dal punto di vista economico, si entrerebbe in una situazione di conflitto insanabile che la farebbe entrare in un circolo vizioso di sovvenzionamenti e aiuti esterni. In sostanza, un bilancio che si fonda su principi etici ma economicamente sostenibili: questo richiede il GRI.

Nello specifico del capitolo ambientale?
Stiamo portando avanti una serie di progetti, sia per quanto riguarda il ciclo in cantina, sia per quanto riguarda la parte agricola. In cantina c’è un progetto di ottimizzazione delle risorse energetiche, volto ad abbattere sprechi e aumentare il riutilizzo di determinate risorse, tra cui l’acqua.

Uva usata dall'azienda vitivinicola Banfi

In che consiste esattamente il riutilizzo dell'acqua?

La produzione di vino utilizza tanta acqua, consideriamo che per ogni bottiglia prodotta se ne consuma 10 volte il contenuto per lavare i serbatoi, le macchine, le ceste per la raccolta, insomma tutta la filiera utilizza molta, troppa acqua. Parte del prezioso liquido quindi può essere riciclato, rendendolo addirittura potabile, anche se la normativa attualmente ne vieta l’utilizzo alimentare ma ne permette solo quello industriale: una normativa controversa visto che è consentito dissalare l’acqua del mare per renderla potabile ma non è possibile riutilizzare l’acqua di cantina. Questo progetto si concluderà nel 2017 e porterà a recuperare e a ridurre l’approvvigionamento da pozzo e/o acquedotto di un 30-35%.

Altri progetti?

Oltre all’aspetto idrico stiamo lavorando anche sulla riduzione dei consumi elettrici, trovando partnership con fornitori che sfruttano principalmente energie da fonti alternative. Il nostro percorso prevede in primis di abbattere i consumi, poi di investire internamente in fonti energetiche come il solare, che per me, ad oggi, presenta ancora dei buchi neri, soprattutto per quanto riguarda lo smaltimento dei pannelli.

Da un punto di vista agricolo, l’acqua sarà uno dei punti critici per il futuro anche in relazione alle annate a cui stiamo assistendo, passando da stagioni piovosissime a periodi di estrema siccità. Come affrontate questo problema?

Da sempre lavoriamo molto con l’irrigazione, un passo decisivo si è fatto tramite un sistema a rateo variabile: lungo i filari, e in alcuni casi nelle nostre vigne si tratta di centinaia di metri, le condizioni del terreno cambiano molto e con esso cambia anche la necessità di approvvigionamento idrico della vite. Si è studiato un sistema, che entra in funzione dopo il terzo anno di vita della pianta, in grado di dosare l’irrigazione secondo 3 livelli diversi, attraverso 3 tubi. Da un lato si riduce l’uso dell’acqua, dall’altro migliora nettamente la qualità dell’uva.

Anche le forme di allevamento incidono nella necessità d’acqua della pianta.

Sì, infatti da una decina di anni abbiamo introdotto una specie di alberello bidimensionale, una specie di “candelabro”, che ha dato ottimi risultati sul sangiovese e, più in generale, su varietà a grappolo generoso. È una forma di allevamento che lavora molto bene sui terreni molto magri/argillosi, pena in caso contrario l’esplosione della vegetazione, in quanto non c’è alcuna piegatura del cordone: questo fa sì che la pianta non abbia alcuna strozzatura dei vasi, quindi potenzialmente una longevità maggiore. Si ha una produzione limitata come numero di grappoli ma di ottima qualità, la pianta ha al tempo stesso una minor necessità di irrigazione e risulta facilmente lavorabile dal punto di vista meccanico, avendo una conformazione che consente di inserirla a fianco di altre forme di allevamento come il cordone speronato. Altro aspetto agronomico importante, rispetto al cordone speronato, è la minor incidenza di patologie del legno, come il mal dell’esca, e la facilità di rinnovamento della pianta che la rende sotto questo aspetto molto più simile al guyot da questo punto di vista.

Abbiamo parlato di risparmio d’acqua e del suo utilizzo: da fine ottobre 2015 è stata approvata la modifica del disciplinare ed è ora consentita l’irrigazione di soccorso, pratica che in casa Banfi, come spiegato, è stata sempre un cardine. Per alcuni una pratica di forzatura, per altri un modo per venire incontro a Banfi o a chi ha vigne in terreni poco vocati.

C’è un disciplinare che parla chiaro e il disciplinare è fatto dai produttori. Noi abbiamo irrigato da sempre ma a chi ci criticava ho sempre risposto: le viti noi non le facciamo morire. Con un disciplinare di produzione che pone un tetto massimo di 80 quintali a ettaro, la forzatura a tutti gli effetti non esiste, nella viticoltura moderna è solo un aiuto alle vigne nei periodi di stress idrico come questo.

Botte dell'azienda vitivinicola Banfi

Perché si è sentita l'esigenza di cambiare?

Si è sentita questa necessità dopo che molte vigne addirittura, dopo il 2012, erano morte per la siccità, anche in zone vocatissime e ad altitudini elevate. L’irrigazione si usa sugli impianti nuovi e in condizioni estreme, anche perché oggi la ricerca della qualità ci spinge a non eccedere col suo utilizzo. Certo è che oltre un certo livello di stress idrico non penso sia saggio mettere a repentaglio un intero cru o una vigna o parte di essa per un concetto che appare oggi superato: mio nonno usava l’irrigazione come pratica di forzatura ma lui se non produceva almeno 300 quintali a ettaro non era contento.

Come è andato il 2017?
È l’annata più siccitosa che abbiamo visto, simile alla 2012 e molto più asciutta della 2003 che è stata invece un’annata calda: da gennaio abbiamo avuto 180mm di precipitazioni, nella 2012 ne abbiamo avuto 250, considerando che Montalcino è una regione che varia dai 600 ai 700 mm. Per assurdo meglio la siccità del caldo, perché in annate calde come la 2003, ricca di acqua fino a luglio poi caldissima, si sono verificati blocchi totali di maturazione e fenomeni di disidratazione. Infatti molti Brunello 2003 sono vini con attacchi dolci al palato e chiusure amare legate a una non maturazione tannica. Hanno colori intensi ma non vivi, brillanti, dettati dalla pura e semplice concentrazione delle uve disidratate.

Non solo vino, una produzione quella di Banfi, che abbraccia più culture: dagli ulivi, ai frutteti, al grano. Molte di queste in regime biologico.
Ovviamente il vino, il Brunello in particolare, è il nostro traino ma penso che per il territorio bisogna effettuare un salto culturale, passando da distretto monoprodotto a distretto agroalimentare. Se si vuole mantenere la propria unicità bisognerebbe evolvere verso un sistema più complesso che è molto più difficilmente copiabile di qualunque prodotto singolo. Abbiamo per anni sottovalutato paesi come l’Australia, il Cile e altre zone emergenti pensando che non sarebbero mai stati in grado di produrre vini all’altezza dei nostri. E se domani facessero un Sangiovese all’altezza dei nostri Brunello?

Ipotizza una denominazione che comprenda più prodotti sotto un'unica DOP?

L’unicità del nostro territorio passa attraverso una serie di tasselli dove ovviamente il Brunello è il protagonista, un intreccio e una complessità che sarebbero impossibili creare altrove: dall’olio, alla pasta, ai ceci, all’orzo con l’obiettivo di mettere, perché no, sotto un unico marchio territoriale quella che è l’espressione agricola di Montalcino. In fondo è il concetto europeo delle DOP, un ombrello molto più ampio e protettivo delle DOC e delle DOCG. Più prodotti saremo in grado di legare al Brunello e più lo proteggeremo nel prossimo futuro.

Un traino, quello del Brunello, che ha portato, insieme a una serie di annate favorevoli, a un vero e proprio boom del “brand” vinicolo.
Penso sia legato alle annate ma soprattutto all’apertura di nuovi mercati che, anche in piccoli quantitativi totali, hanno creato maggior interesse. Teniamo presente che quella del Brunello tutto sommato nei numeri è una piccola denominazione, da massimo 9 milioni di bottiglie annue. La domanda crescente di questi nuovi mercati è andata ad allentare la pressione su quelli che sono i mercati storici del Brunello: oltre all’Italia, gli USA, la Germania e la Svizzera. Oltretutto la concomitanza di ottime annate, ma scarsamente produttive, ha esasperato la domanda, facendo innalzare i prezzi delle uve a livelli importanti, anche a 4-5 euro al chilogrammo. D’altronde la denominazione per dimensione è quella che è e non ha più margine di espansione, se si vuole del Brunello e dell’uva da Brunello la si deve pagare.

A questo punto possiamo aggiungere i lusinghieri giudizi della critica che pare aver intrapreso una vera e propria gara nel pubblicare prima di tutti il proprio giudizio sull’ultima annata in uscita, a nostro modo di vedere a discapito di quella che è la vera anteprima, ovvero Benvenuto Brunello. Al tempo stesso convive il paradosso delle guide (come anche Vini d’Italia del Gambero Rosso) che alla presentazione a ottobre potrebbero premiare Brunello già finiti. Come si potrebbero rendere attuali i giudizi?
Non a caso Bordeaux organizza l’en primeur. Probabilmente la direzione è quella e il disciplinare del Brunello in questo è chiarissimo ponendo come limite minimo i 2 anni di affinamento in legno: perché non fare una degustazione alla fine di questo periodo? Consideriamo che questa è la fase più delicata del Brunello, decisiva direi, quella in cui si decidono le sorti delle botti e la loro destinazione. Magari partendo da questo step di anteprima si potrebbe costruire per la critica giornalistica un percorso valutativo itinerante, indispensabile per un vino del genere: ok la vigna e l’aspetto agronomico ma non si può trascurare la cantina per un vino che vi sosta per quasi 5 anni.

Un calice di vino rosso dell'azienda Banfi


Gli assaggi della annate 2015 e 2016

Dalle parole di Viglierchio, la chiacchierata non potrebbe concludersi diversamente che in cantina, assaggiando le annate 2015 e 2016 di singoli cru di Brunello, un triangolo di vigne nell’immensa proprietà aziendale.

La 2016 mostra quel mix di freschezza acida e potenza: se per la vigna Biadaioli i tratti di acidità e distensione e un accattivante floreale di viola rendono il vino paradossalmente già leggibile, nella vigna Santa Costanza sono tratti introversi e scuri a caratterizzarlo, insieme a un tannino più deciso e un alcol più presente. Sempre introverso ma con sensazioni balsamiche più evidenti la vigna Mandrielle “sopra strada”, dalla bocca ampia e succosa, segnata da una lieve asciugatura giovanile.
Per la 2015 l’annata calda si esprime in colori più intensi e cenni fruttati più evidenti: Biadaioli cambia faccia rispetto alla 2016, mantenendo la finezza che lo contraddistingue ma in un contesto più dolce nel frutto e nella componente speziata. Sempre più intenso Santa Costanza, balsamico e dal frutto scuro incisivo e nitido, con la bocca di materia quasi masticabile. Mandrielle “sopra strada” ha invece screziature verdi e maggior chiusura olfattiva, un sorso meno dinamico e coinvolgente. Una strada quella delle singole microvinificazioni che Banfi ha intrapreso nel 2007 e che potrebbe trovare un compimento che vada oltre lo storico Poggio alle Mura.

 

castellobanfi.com

 

a cura di Alessio Pietrobattista

Dopo Ikea anche Muji si lancia nel cibo. E apre un mercato ortifrutticolo a Tokyo

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Muji è un'istituzione in Giappone nel mondo del design e dell'arredamento. La società di retail di beni di consumo presenta lo storico flagship store di Tokyo completamente rinnovato e trasformato in un mercato ortifrutticolo con caffetteria.

 

Muji, il nuovo progetto

È la zona di Yurakucho, nel quartiere d'élite Ginza, a ospitare il nuovo progetto firmato Muji a Tokyo. Fondata nel '79, Muji è una società di vendita al dettaglio che produce una vasta gamma di beni di consumo e per la casa, che conta oggi oltre 250 negozi in 24 Paesi al di fuori del Giappone, e gestisce quasi 300 punti vendita. Il nome significa “no-logo”, e racchiude in sé l'intera filosofia aziendale, basata sul minimalismo e l'essenzialità del design, la riduzione dei rifiuti e del riciclaggio. Tutto ha inizio con il flagship store della capitale giapponese, punto di partenza di un intenso studio e lavoro sul design contemporaneo che ora riapre i battenti in una nuova veste. Il negozio, infatti, si rinnova e cambia pelle, trasformandosi in un mercato, cuore pulsante della vita cittadina. Si tratta, nello specifico, di un mercato ortofrutticolo con prodotti freschi locali, tutti di stagione, articolato su due livelli. All'interno dello spazio, i visitatori potranno ammirare anche un modello in scala del Muji Hut, uno dei progetti di maggiore successo della società, una micro-casa prefabbricata in legno poggiata su una base in calcestruzzo, con interni di compensato di cipresso non trattato e pavimentazione in malta.

L'offerta

L'obiettivo? “Stimolare i consumatori a soffermarsi maggiormente sulla provenienza degli alimenti, e spingerli a ripensare il loro rapporto con il cibo”, hanno spiegato i responsabili di Muji. “Tra le necessità fondamentali della vita di tutti i giorni, dall'abbigliamento alla casa, il cibo è l'aspetto maggiormente indispensabile”. Ed è proprio su questo che Muji ha intenzione di soffermarsi, sottolineano il ruolo fondamentale di una sana alimentazione e una dieta bilanciata.Il nuovo mercato pone, infatti, l'accetto sulla trasparenza e la tracciabilità della filiera agroalimentare, offrendo solamente prodotti provenienti da aziende agricole biologiche o che limitano al massimo la quantità di pesticidi e fertilizzanti. La selezione segue il ritmo delle stagioni, e comprende ingredienti tipici di Tokyo, spesso sconosciuti al di fuori del Paese, una scelta pensata per evidenziare e promuovere la ricca biodiversità di una terra rigogliosa: “Offriremo verdure dal sapore autentico solo quando disponibili dalla natura, anche se non soddisferanno gli standard per forma e dimensione”. Ma non solo ortaggi e frutta fresca: al mercato sarà possibile gustare anche zuppe, pane appena sfornato, dolci e bevande calde, presso la caffetteria del secondo piano.

a cura di Michela Becchi

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