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Garage Nardini a Bassano del Grappa. La più antica distilleria d'Italia apre un ristorante

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Garage Nardini nasce negli spazi di Nardini Alto, uno degli storici locali di distillazione della famiglia veneta che da sette generazioni produce grappa, esportandola nel mondo. Cucina di territorio e miscelazione è la formula scelta per il ristorante, che affianca l'attività della celebre Grapperia sul Ponte Vecchio.

La storia della distilleria Nardini

Nel 1779, all'ingresso del suggestivo Ponte Vecchio di Bassano del Grappa cominciava la storia di quella che oggi è considerata la più antica distilleria italiana. E sfatiamo subito un falso mito: il nome del più celebre distillato italiano, ottenuto dalle vinacce fermentate e peculiare proprio della regione in cui sorge la bella cittadina del vicentino, nulla ha a che spartire con il vicino monte Grappa. L'etimo, piuttosto, si fa risalire a una corruzione del termine graspa, da graspo, che in dialetto veneto significa tralcio d'uva. Tuttavia, la grappa Nardini è nata proprio a Bassano, dall'idea imprenditoriale di Bortolo Nardini, e da oltre due secoli mantiene quella conduzione familiare (oggi siamo alla settima generazione) che ne fa un caso raro nel mondo dell'imprenditoria italiana. All'epoca, Bortolo era un distillatore esperto, in arrivo dalla Val di Cembra: a Bassano decise di fondare la prima distilleria con grapperia annessa, per diffondere la cultura dell'acquavite di vinaccia. Ma solo diversi decenni più tardi, nel 1860, alla tradizionale distillazione a fuoco diretto si sostituisce un sistema di produzione a vapore, in alambicchi a ciclo discontinuo. E l'attività continua pure durante la Grande Guerra, quando il grappino di conforto diventa un rito da condividere per scacciare ansie e brutti pensieri di uno dei periodi più bui della storia del Novecento. La richiesta cresce, negli anni Venti la distilleria si trasferisce fuori dalle mura della città, mentre il toponimo di Bassano si trasforma, da Bassano Veneto a Bassano del Grappa. E la fama della grappa Nardini si rinsalda sempre di più, facendo del suo legame con il territorio e la cultura locale un valore aggiunto: nel 1948, Alcide de Gasperi stappa una bottiglia Nardini per inaugurare il restauro del Ponte Vecchio, danneggiato dai bombardamenti della guerra.

Grappa da sette generazioni

Seguono ancora le grappe invecchiate, la richiesta crescente dei mercati esteri, il nuovo stabilimento inaugurato negli anni Sessanta, quello in attività ancora oggi. Si prosegue sul versante della ricerca e della sperimentazione tecnologica. E del mecenatismo: dal rapporto con il mondo dell'arte, nel 2004 nasce lo spazio Bolle, progettato da Fuksas in occasione dei 225 anni dell'azienda. Ma è la Grapperia Nardini, sul ponte di Bassano, a preservare la memoria storica del brand; il locale affacciato sul Brenta mantiene gli arredi dell'epoca ed è segnalato tra i locali storici d'Italia. A turisti e appassionati in visita offre la possibilità di prendere un aperitivo in uno spazio fermo nel tempo, circondati dalle bottiglie della maison: “Aperitivo Nardini o Mezzo e Mezzo (mezzo di Rosso, mezzo di Rabarbaro, ndr)?” è la domanda più tipica che barman e camerieri rivolgono agli avventori. Ma se è vero che per sopravvivere al tempo la capacità di leggere alla storia alla luce del presente è fondamentale, l'ultimo passo di Nardini guarda proprio in questa direzione. Dove fino a qualche mese fa c'era il Nardini Alto, sede della seconda distilleria e poi bar aperto al pubblico, in piazzale Generale Giardino, da qualche giorno ha inaugurato il primo ristorante nella storia della famiglia Nardini.

Garage Nardini. Cucina e miscelazione

Garage Nardini, come recita l'insegna, è frutto di una ristrutturazione del locale storico, che si era resa necessaria. Da qui l'idea di ripensare lo spazio in forma nuova: cucina gourmet e miscelazione, come suggeriscono le ultime tendenze di mercato. Nel caso specifico, sull'universo della mixology Nardini ha scelto di spingere già da qualche tempo, mentre per l'offerta gastronomica si tratta di un debutto assoluto. Garage Nardini proporrà una cucina territoriale, dell'entroterra veneto con prodotti locali, e qualche incursione lagunare; a concertarla il giovane Simone Brizzolari, chef di formazione italiana e internazionale, che ha militato pure in diverse sedi della catena di Nobu, da Milano a Londra. Carta agile, spunciotti veneti per l'aperitivo e poi quattro proposte per categoria; e cantina altrettanto snella, con una selezione di produttori locali, vini piemontesi e toscani. Poi ci sono i cocktail, tradizionali e creativi, a base di grappa e liquori della casa (il bar è aperto con orario continuato, da mattina a notte inoltrata, 9.30-1; mentre il ristorante lavora a pranzo e cena). E l'intramontabile grappino di fine pasto. Piacerà la novità agli affezionati della distilleria? In casa Nardini già si pianifica di aprire anche una locanda.

Garage Nardini | Bassano del Grappa (VI) | piazzale Generale Giardino, 6 | tel. 0424 521073 | www.nardini.it

 

a cura di Livia Montagnoli


L'Heur du Cocktail. La ristampa di design del ricettario di miscelazione che racconta gli anni Venti a Parigi

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224 ricette per 24 ore alla scoperta dell'universo dei cocktail, nella Parigi degli anni Venti. Nel 1927 usciva in Francia il primo ricettario di miscelazione dedicato a un pubblico amatoriale, con il contributo di artisti, poeti, registi. Specchio di un'epoca un po' folle, dopo 90 anni il testo è stato ristampato da Corps Reviver. Ecco perché merita. 

A ogni ora il suo cocktail. Il ricettario per amatori dalla Parigi anni Venti

La versione originale, oggi, la trovate in vendita online, sul sito di qualche collezionista o casa d'aste, a cifre che superano ampiamente le mille sterline. La data e il prestigio dell'opera giustificano la quotazione: L'Heure du Coktail è il ricettario dedicato all'arte della miscelazione edito nel 1927 dalla Paris Societe Mutuelle. 224 ricette raccolte all'epoca dai giornalisti Marcel Requien Lucien Farnoux-Reynaud, non tanto per i professionisti del mestiere, ma ammiccando al pubblico femminile - la dedica iniziale è a Balbine, musa rappresentativa della spirito dell'epoca nella Ville Lumiere, libero, gioioso, spensierato e un po' folle - che negli anni Venti frequentava abitualmente caffè e night parigini. Pionieristica la decisione di rivolgersi al grande pubblico, con una materia fino ad allora appannaggio degli addetti ai lavori: nel 1889, Emile Lefeuvre pubblicava Méthode pour composer soi-même les boissons américaines, anglaises, italiennes, capostipite dei ricettari di miscelazione, pensato però come manuale per professionisti. Peculiare anche la scelta di suddividere i cocktail in fasce orarie tematiche, per scandire un'ideale giornata di bevute, secondo il grado alcolico e la pertinenza dei drink alle differenti occasioni per provarli: “L'iniziazione di Balbine ai cocktail in 24 ore e 224 ricette nei ruggenti anni Venti”, recita il sottotitolo dell'opera.

Ricette d'autore. Registi, poeti, scrittori: tutti pazzi per i cocktail

E proprio dal fatto che in quegli anni la Parigi bene respirasse l'allure di un mix di artisti, intellettuali, scrittori, che intorno al bancone si ritrovavano ogni giorno, dipende il valore aggiunto dell'opera: insieme alle proposte dei più celebri bartender di allora, infatti, convivono le ricette e i drink preferiti di registi, giornalisti, poeti e scrittori. Mentre per le illustrazioni l'editore si avvalse del contributo di due artisti parecchio quotati dell'epoca, Andrè Haguet e Serge. Ulteriore curiosità per cultori della miscelazione all'italiana: tra le pagine, uno dei primi riferimenti scritti alla ricetta del Negroni (inventata all'inizio degli anni Venti a Firenze, dal Conte Camillo Negroni, al Caffè Giacosa, che tra qualche giorno chiuderà i battenti), ribattezzata nel testo The Mussolini (nella riedizione del '29 diventerà Campari Mixte). E tra i contributi, ricette di Jean Cocteau, Marcel L'Herbier, Pierre Benoit, Regis Gignoux, Jane Renouardt.

La ristampa moderna. Con le pagine che cambiano colore

Novant'anni dopo, la piccola casa editrice indipendente Corps Reviver si appella alla modernità dell'opera per giustificare la prima ristampa contemporanea del ricettario: una pubblicazione per amatori, com'è proprio del target cui si rivolge Corps Reviver, che può vantare una riuscita e suggestiva riprogettazione grafica. Da qualche mese, The Cocktail Hour (edito in versione bilingue, francese e inglese) è disponibile online al costo di 25 euro, con le illustrazioni di Tony Brook e il progetto grafico di Spin, studio di design londinese, che ha ripensato la copertina, il font e le illustrazioni, sottolineando la scansione temporale del ricettario con diverse sfumature di colore, abbinate ai diversi momenti della giornata. Si parte dalle pagine più chiare e rassicuranti delle prime luci dell'alba, per arrivare al rosso intenso del rintocco della mezzanotte.

 

The Cocktail Hour | Corps Reviver, 2017 | 256 pagine | https://corpsreviver.com/products/lheure-du-cocktail-the-cocktail-hour

 

a cura di Livia Montagnoli

Dove mangiare a Scanno. Viaggio nella cucina della Valle del Sagittario

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Nella provincia di L'Aquila, nel cuore verde d'Italia, la Valle del Sagittario richiama da sempre turisti da ogni dove per le sue bellezze paesaggistiche. Fra i borghi che costeggiano la vallata, Scanno, la Città dei fotografi, è una meta imperdibile per gli amanti della natura e del buon cibo.

La Valle del Sagittario: natura incontaminata e paesaggi mozzafiato

Raccontare l'Abruzzo con le sue tradizioni antiche, i suoi sapori e profumi significa parlare di una regione multiforme, unita ma frammentata nelle usanze, nei dialetti, e anche nella tavola. Un territorio che trova proprio nella varietà di territori e borghi, la sua forza. Ad accomunare ogni provincia è la natura, quella più integra dell'Abruzzo silenzioso, che rimane nell'ombra ma riesce a stupire chi lo scopre per la prima volta. Nella provincia di L'Aquila, a cominciare da Anversa degli Abruzzi, inizia un percorso unico fra gole tortuose, montagne dalla maestosità mozzafiato, boschi e foreste rigogliose. Sono le gole del Sagittario, un'area naturale protetta attraversata dall'omonimo fiume che dà vita alla Valle del Sagittario.

 

gole del Sagittario

Gole del Sagittario

Le gole del Sagittario: da Villalago a Scanno

A segnare l'inizio delle gole è la diga di San Domenico, nei pressi di Villalago, con l'eremo dedicato al santo patrono protettore del paese, uno dei Borghi Più Belli d'Italia. Il sentiero del Sagittario è una rete intricata di contrasti cromatici, sfumature e chiaroscuri, giocati sul verde della fitta vegetazione e l'azzurro del cielo, le vette – spesso innevate – che si specchiano nell'acqua e le rocce che spuntano solenni e immobili. A sorvegliare la vallata dall'alto, Villalago, con le case arroccate che spuntano dietro l'ultima curva delle gole, una destinazione imperdibile per gli amanti della natura.

 

Villalago, vista gole del Sagittario

Villalago, vista gole

Proseguendo lungo il lago di Scanno, si arriva al borgo omonimo, la Città dei fotografi, dove nel corso del Novecento Hilde Lotz-Bauer, Henri Cartier-Bresson, Mario Giacomelli e molti altri si sono fermati per catturarne il fascino.

Scanno: un borgo senza tempo

Non esiste un modo univoco per descrivere Scanno, un altro dei Borghi Più Belli d'Italia, che racchiude secoli di storia e tradizioni. Un luogo senza tempo, che si perde fra sentieri che conducono a tratti di natura incontaminata, ricco di vicoli tortuosi, botteghe antiche e chiese. La prima, la chiesa della Madonna del Lago, lungo il versante occidentale del colle, è un edificio dei primi del Settecento che si affaccia sul lago. In pieno centro storico c'è la chiesa della Madonna della Valle, detta anche dell'Assunta, risalente al XII secolo ma restaurata più volte, a seguito dei diversi terremoti che hanno scosso il paese. C'è poi Chiesa di San Liborio, sulla statale in direzione Passo Godi – Villetta Barrea, mete di riferimento per gli amanti della montagna.

La visita all'Eremo di Sant'Egidio, sull'omonimo colle, assicura una passeggiata suggestiva: è un punto verde fra Scanno e il lago, dominato dalla chiesa in stile romanico costruita nel '600 e dedicata al santo cui si riconosce il miracolo di aver liberato il paese dalla peste del 1656. Non distante dall'Eremo si trova il Sentiero del Cuore, che porta all'unico punto da cui si ammira la forma a cuore del lago, formatosi a seguito di una frana del monte Genzana.

 

Sentiero del Cuore, Scanno

Sentiero del Cuore

Il borgo vanta diversi itinerari, a cominciare dalla Strada dei fotografi, inaugurata nel '99, una discesa stretta e tortuosa che dal centro si apre su uno dei punti panoramici più belli della zona. Vagate perciò fra le viuzze strette, le scalinate ripide, le stradine lastricate, soffermandovi negli scorci più caratteristici.

 

Scanno, uno degli scorci del borgo

Scanno

Le tradizioni: l'attività agro-pastorale, la tessitura e l'oreficeria

Scanno vanta tradizioni secolari che gli hanno garantito visibilità anche al di fuori della Valle. Prima tra tutte, la pastorizia con la lavorazione della lana, la concia delle pelli e la produzione casearia. La tessitura a Scanno gioca un ruolo fondamentale: non è raro incontrare per i vicoli signore vestite con abiti d'epoca, con gonne a balze, grembiuli e colletti bianchi in tombolo, una delle più antiche tradizioni del luogo. Tipici di Scanno anche i gioielli, realizzati a mano dalle oreficerie del borgo, gestite da famiglie che da generazioni si tramandano i segreti dell'arte orafa.

I formaggi: Gregorio Rotolo e l'agriturismo biologico

Fiore all'occhiello della produzione casearia locale è il Bio Agriturismo Valle Scannese a Le Prata, realtà a conduzione familiare gestita da Gregorio Rotolo. Circa 1500 pecore, 40 vacche e 100 capre pascolano liberamente fra le tenute dell'azienda a regime biologico aperta nel 1970 dal padre di Gregorio. La produzione è di circa 25 diversi formaggi, dalla ricotta a scorza nera, “che abbiamo rielaborato più volte inserendo un'erborinatura all'interno” alle tante variazioni di pecorino, fra cui il Gregoriano, formaggio tenero, felice combinazione fra latte crudo delle pecore e produzione a “coagulazione lattica”, senza uso di caglio, ma solo di fermenti lattici naturali del latte o inoculati dal casaro.

 

Bio Agriturismo Valle Scannese

Bio Agriturismo Valle Scannese

I ristoranti: cucina casalinga e sapori di una volta

La tradizione gastronomica scannese ha una matrice pastorale: è una cucina antica, senza fronzoli, schietta e accogliente come la gente del luogo, avvolgente come i monti che punteggiano la valle. Passeggiando per il borgo è impossibile resistere all'aroma di ragù che si spande nell'aria: sono diversi oggi i locali dove le tradizioni si traducono in piatti golosi, dall'aperitivo - sfizioso ma poco impegnativo - de La Fonte, enoteca con cucina dove assaggiare piatti semplici e prodotti d'eccezione, dai latticini e i salumi di Gregorio all'extravergine dell'azienda Marina Palusci, in provincia di Pescara. Da accompagnare a una selezione di etichette nazionali che spazia dai vini biologici a quelli convenzionali, dalle bollicine alle eccellenze locali. Per una cena tipica, Il Vecchio Mulino propone il canonico antipasto, ricco e variegato, primi piatti caserecci e di buona fattura, secondi di carne (da allevamenti locali) e dolci fatti in casa, accompagnati da liquori e amari artigianali, genziana in primis.

 

Scamorza al forno, Vecchio Mulino

Il Vecchio Mulino, scamorza al forno

Altro indirizzo valido per la cucina tipica è La Porta, dove le verdure vengono dall'orto del proprietario e i piatti riprendono i sapori della tradizione, fra zuppe di legumi, ravioli e pasta fatta in casa. Ma mangiare bene a Scanno non è difficile: tante le insegne valide, da La Baita, romantico locale di montagna interamente in legno, con un focus sulla carne, a Lo Sgabello, con l'ampio spazio esterno che affaccia sulle montagne (imperdibili gli gnocchi con verdure), dall'agriturismo Da Gregorio a Il Ranch, perfetto per le famiglie con bambini, immerso nel verde e con maneggio annesso, una cucina rustica fatta di prodotti freschi e di stagione, antipasti misti, carni alla brace e primi piatti gustosi.

 

Il Ranch

Il Ranch

La pasticceria: biscotti secchi e pan dell'orso

Interessante è poi la proposta sul fronte pasticceria, con classici regionali come le ferratelle (chiamate anche pizzelle o neole), alle specialità locali come i mostaccioli. Dal 1990, la Biscotteria artigianale di Liliana Rosati incanta abitanti e turisti con dolci fatti in casa realizzati come vuole la tradizione. Quasi nascosta, la Biscotteria occupa uno spazio stretto, con un bancone microscopico e un altrettanto piccolo laboratorio a vista ma è l'odore di burro, mandorle e mosto cotto a richiamare i più golosi. A mandare avanti la bottega oggi è Ilario Notarmuzi: “Abbiamo sette tipologie di dolci, da sempre gli stessi, e sono certo che fra 20 anni l'offerta rimarrà immutata”. Perché il loro segreto è proprio l'attaccamento con la storia del luogo e i profumi di casa. Ci sono i mostaccioli, a base di mosto cotto e mandorle, gli amaretti bianchi o al cacao, il biscotto di prato, i tarallucci al vino, i biscotti al latte e le mandorle ratterrate.

 

Pan Dell'Orso

Caffè Pasticceria Pan dell'Orso

Imperdibile una tappa al Pan dell'Orso, bar/pasticceria all'ingresso del borgo gestito da Angelo Di Masso e aperto, nella piazza principale, dal nonno Peppino che vendeva mostaccioli fatti in casa dalla moglie. Sarà il figlio Liborio, specializzatosi nell'arte della pasticceria a Rimini, ad ampliare la produzione. Oggi il laboratorio si è trasferito, ma il gusto delle specialità è lo stesso, la materia prima scrupolosamente selezionata da Angelo, dal burro di latteria alle farine rimacinate a pietra di piccoli mulini regionali, dalle confetture fatte in casa al miele dell'azienda Iacovanelli. Fiore all'occhiello è il pan dell'orso, inventato da Liborio, “Abbiamo iniziato a commercializzarlo negli anni '70, e da allora non abbiamo più smesso”.

GLI INDIRIZZI

Dove mangiare

Il Vecchio Mulino | Scanno | via Mario Silla, 50 | tel. 0864 747219 | www.facebook.com/Trattoria-Pizzeria-Il-Vecchio-Mulino-164847260192667/

La Porta | Scanno | via Ciorla, 31 | tel. 0864 747280 | www.facebook.com/pages/Ristorante-La-Porta-Scanno/164120520330296

La Baita | Scanno | via Pescara | tel. 0864 747826 | www.labaitadiscanno.it/

Il Ranch | Scanno | località Le Prata | tel. 338 2428597 | www.ilranchscanno.it/

Lo Sgabello | Scanno | via dei Pescatori, 45 | tel. 0864 747476 | www.losgabelloscanno.it/

Bio Agriturismo Valle Scannese | Scanno | località Valle Scannese | tel. 0864 576043 | www.vallescannese.com

La Fonte | Scanno | via Fontana Sarracco, 3 | tel. 0864 747390

Pan dell'Orso | Scanno | viale del Lago, 20 | tel. 0864 74475 | www.dimassoscanno.net/

Dove comprare

Biscotteria Artigianale di Liliana Rosati | Scanno | via Mario Silla, 47 | tel. 0864 747709

Cocco Attività Storica | Scanno | largo C. Bergia, 1 | tel. 0864 74363

Macelleria L'Olmo | Scanno | Largo dell'Olmo, 1 | tel. 0864 74438 | www.facebook.com/Macelleria-LOlmo-1513302652263196/

Bio Agriturismo Valle Scannese | Scanno | località Valle Scannese | tel. 0864 576043 | www.vallescannese.com

Dove dormire

Park Hotel | Scanno | viale della Riviera, 6 | tel. 348 2889062 | www.parkhotelscanno.it/

Grotta dei Colombi | Scanno | viale dei Caduti, 64 | tel. 0864 74393 | www.grottadeicolombi.it

Hotel Miramonti | Scanno | via Domenico di Rienzo, 32 | tel. 0864 74369 | www.albergomiramontiscanno.it

a cura di Michela Becchi

Il nuovo master in FoodTech di Gambero Rosso con il Politecnico di Torino

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Nuove opportunità per chi vuole lavorare nel settore del food. A Torino nasce il nuovo master di in FoodTech, da febbraio 2018. Accordo tra Gambero Rosso Academy e il Politecnico.

Torino. Un nuovo master dedicato al FoodTech

Presentata oggi, a Torino, la prima edizione del Master di primo livello in FoodTech, frutto di una collaborazione tra Gambero Rosso Academy e Politecnico di Torino. L'obiettivo è quello di formare professionisti esperti del mondo del cibo, con competenze specifiche nei settori dell'innovazione e dell'imprenditorialità. Un percorso in lingua inglese, aperto alla partecipazione internazionale, che avrà inizio a febbraio 2018, focalizzandosi sull'apporto delle nuove tecnologie al rinnovamento della filiera tradizionale del cibo, dal campo alla tavola; con lezioni dinamiche di business development e innovation management, accanto a nozioni di marketing e approfondimenti sul settore food. E con il contributo aggiunto di I3P (incubatore di imprese innovative del Politecnico) e di Startupbootcamp FoodTech (acceleratore internazionale di food startup, con sede a Roma, che conta tra i soci fondatori Gambero Rosso). Sotto la supervisione degli incubatori, gli iscritti potranno mettere in pratica le conoscenze apprese, sviluppando progetti imprenditoriali propri, o affiancando imprese partner in progetti dedicati. Con l'idea di lanciare progetti di business innovativi per l'industria alimentare.

Tecnologia e innovazione alimentare. L'obiettivo del futuro

Soddisfazione da entrambe le parti: “Proporre un corso così innovativo in uno dei settori più qualificanti del Made in Italy, quello del cibo, e farlo in collaborazione con una realtà di primo piano come Gambero Rosso Academy, arricchisce sicuramente la nostra offerta formativa e potrà portare interessanti occasioni di formazione e lavoro, anche nell’ottica della multidisciplinarietà che caratterizza sempre più non solo la nostra attività di ricerca, ma anche la formazione permanente”, così suggella la partnership Carlo Rafele, Direttore della Scuola di Master e Formazione Permanente del Politecnico. Gli fa eco Paolo Cuccia, Presidente di Gambero Rosso:“Siamo entusiasti della collaborazione con il Politecnico di Torino per il lancio di questo master, unico nel panorama italiano. Il settore agroalimentare ha bisogno di figure specializzate in grado di affrontare e gestire le richieste di un mercato che guarda sempre di più alle tecnologie e alla digitalizzazione”. In bocca al lupo ai nuovi iscritti.

 

Per info e iscrizioni al nuovo Master in FoodTech https://didattica.polito.it/master/foodtech/2018

 

 

Bere di qualità a Milano. La wild mixology del Wood*Ing Bar e i vini vivi di Champagne Socialist

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Due progetti diversi, ma affini per passione, competenza e ricerca di chi li ha creati. A Porta Venezia Champagne Socialist ha già aperto le porte, ora l'attesa è per il primo bar endemico del mondo di Valeria Mosca, dalla fine di luglio a Isola, con una formula miscelazione e cucina molto particolare. 

La wild mixology. Le origini

Chi ha avuto modo di scoprire le attività del Wood*ing Lab, ospite del laboratorio di Seregno, in Brianza, o al seguito di Valeria Margherita Mosca durante le perlustrazioni di territori vicini e lontani, insospettabili dispensatori di risorse edibili – il cosiddetto cibo selvatico che il foraging ha eletto prezioso veicolo di riscoperta della natura, atto critico e culturale che fa bene al pianeta e all'organismo – aspetta da tempo una bella novità milanese, annunciata alla fine del 2016. Proprio l'autunno scorso, i ricercatori del team condotto con passione da Valeria si erano messi in gioco con una nuova sfida, esito di un lungo percorso di sperimentazione sulla wild mixology, la miscelazione applicata alle regole del foraging, e viceversa. Se ne discute approfonditamente nel libro edito da Mondadori, Wild Mixology, di cui abbiamo già avuto modo di parlare: un ricettario narrato, con il contributo di Enrico Vignoli e le foto di Marco Varoli, per accendere i riflettori su una forma di miscelazione alternativa, ingredienti naturali ed endemici – fiori, foglie, radici, licheni, bacche, corteccia – fermentazioni, accostamenti originali e inconsueti, per una drink list inedita, ispirata al bere sostenibile e intelligente. Allora, era l'inverno scorso, già si paventava la possibilità di dotare il progetto di uno spazio fisico, aperto al pubblico, dove ritrovarsi per condividere la ricerca con amatori, curiosi e professionisti del settore. Del resto al quartier generale di Seregno già da tempo si organizzano serate formative, degustazioni di cibo e cocktail che raccontano la filosofia del Wood*ing Lab, dai fondamenti alimurgici alla reintepretazione più scanzonata e accattivante (ma comunque fondata su principi scientifici solidi) del tema.

Valeria Margherita Mosca con la raccolta del foraging

Un bar endemico a Milano. Cos'è

La vera sorpresa, però, sarà ritrovare tutto questo a Milano, quartiere Isola, al Wood*Ing Bar di via Garigliano, civico 8. E chi non resiste alla curiosità di provare con mano, non dovrà neppure attendere l'11 settembre prossimo, quand'è prevista l'inaugurazione ufficiale del locale. Tra un paio di settimane, entro la fine di luglio, infatti, l'insegna apre in soft opening, “per un periodo necessario di rodaggio”. Il lavoro di ideazione del format e la ristrutturazione degli spazi (“siamo in un vecchio edificio, di cui abbiamo cercato di preservare l'atmosfera un po' decadente, che è parte del suo fascino”) hanno richiesto diversi mesi. Ora il cantiere è quasi agli sgoccioli, e il Wood*Ing Bar comincia a rispecchiare l'idea di Valeria, che qualche mese fa, in occasione del Fuorisalone del Cibo, aveva dato un assaggio al pubblico milanese con il temporary restaurant dello Spazio Marras Milano: “L'allestimento di Isola riprende quel tema, suggerendo l'idea di una natura rigogliosa che circonda chi ci viene a trovare, grazie a un'installazione molto suggestiva a soffitto”. In sala tre grandi tavoli sociali, “realizzati a partire da lastre di cedro del Libano, come il bancone, che non sarà riconoscibile per le caratteristiche tipiche di un cocktail bar: nessuna bottigliera, niente che lo identifichi immediatamente. Un bar non bar”. Non a caso l'offerta fonde senza soluzione di continuità miscelazione e proposta gastronomica, con il desiderio di offrire un servizio competente (“da alta ristorazione, non caotico, preparato”) e tante piccole attenzioni al cliente che si approccia per la prima volta all'idea di tavola “wild”.

un cocktail del Wooding Bar di Milano

Wood*Ing Bar. La drink list e la proposta gastronomica

Si apre alle 18, e fino alle 2 si può mangiare e bere, al banco o al tavolo (30 coperti, su prenotazione, per assecondare un servizio rilassato, che punterà molto sulla coccola e sulla comunicazione del format, “facciamo anche formazione!”). Dalla drink list 12 cocktail in stile Wood*ing, “da ingredienti selvatici e preparazioni in arrivo dal laboratorio, tante fermentazioni, poi mixati dal barman al bancone”: una proposta insolita e stagionale (persino con drink pop-up disponibili solo per tre giorni) che è la più peculiare del “primo bar endemico del mondo”, affiancata però da 12 classici rivisitati per chi vuole restare sul sicuro, come il Dirty Vodka Martini con ciliegia fermentata, con distillati a marchio Wood*ing già in produzione conto terzi, con ricette e ingredienti del laboratorio. Prima di ordinare, il benvenuto con acqua aromatizzata all'abete, chips di foglie al forno e piccoli sfizi; e in abbinamento una carta di sides, piccole creazioni in arrivo dalla food list, che però saranno disponibili anche in porzione normale, per una cena endemica ideata e preparata da Valeria, e dalla sous chef Vanessa Gualtieri. Una proposta gourmet, quindi, in grado di soddisfare chi ama le esperienze gastronomiche insolite, ma pure una clientela meno avvezza, con una politica di prezzo calibrata su esigenze diverse: “La drink list spazia dagli 8 euro per i cocktail più semplici a cifre che salgono contestualmente agli ingredienti utilizzati, alcuni molto pregiati, come l'ocean truffle, un'alga marina dal sentore di tartufo bianco, in arrivo dalle isole Faroe”. Per mangiare, invece, si va dai 6 euro di un side d'accompagnamento ai 16 del piatto più caro. E tra qualche mese potrebbero arrivare anche due percorsi degustazione. Oltre al dehors su strada, “nel nostro stile: una casetta in legno aperta tutto l'anno”.

il bancone di Champagne Socialist a Milano

Champagne Socialist. Vini vivi a Porta Venezia

Ma chi vuole bere di qualità a Milano, da quest'estate può contare anche su un'altra bella novità. Dietro al progetto c'è il team ormai collaudato, e più che noto agli amanti della miscelazione, di The Botanical Club (a Isola e Tortona, con un progetto focalizzato sul gin di propria produzione), che giusto qualche mese fa regalava alla città Ideal, un nuovo angolo d'autore per vivere la notte lontano dalla movida più chiassosa, meglio se sorseggiando un buon Martini. Ma Alessandro Longhin e Davide Martelli sembrano averci preso gusto, e da qualche giorno li trovate pure in via Lecco, per presentare l'ultimo nato in famiglia: Champagne Socialist. L'insegna fa il verso a quella posa radical chic che è un luogo comune quando si parla di certi ambienti enologici. Il locale di Porta Venezia, però, affronta lo stereotipo con ironia e apre le porte a un pubblico eterogeneo che voglia approfondire la conoscenza dei vini naturali, senza spocchia o preclusioni di sorta. E con lo spirito di convivialità che i ragazzi hanno mutuato da locali affini per filosofia a prodotti selezionati, in altre parti del mondo, da New York a Londra, a Barcellona (dove il modello di riferimento è quello del Bar Brutal). Una sorta di movimento trasversale, fatto in buona parte da giovani appassionati della materia, che Champagne Socialist vuole portare a Milano. In pratica una selezione di oltre 400 etichette da produttori, anche piccolissimi, che non utilizzano sofisticazioni in cantina e credono nei vini vivi.

 

E si mangia in scatola

Si beve al bancone o seduti al tavolo, circondati da bottigliere a parete. E l'idea in più è quella di proporre una carta di prodotti in scatola di pregio – conserve di pesce e simili, in arrivo soprattutto dal Portogallo e dalla Galizia – da abbinare al vino, in forma di montaditos, dai 4 ai 6 euro. Un locale accessibile che vuole coniugare l'attenzione del servizio con una certa “brutalità”, che allude, nel pensiero dei ragazzi, all'approccio genuino e un po' folle alla vinificazione di tanti artigiani italiani e non conosciuti durante le ricognizioni in cantina. Per ora le etichette arrivano da Italia, Francia e Austria, proposte a prezzi moderati, alcune anche alla spina. Più tre proposte Socialist a rotazione, vendute sotto i 10 euro a bottiglia, prodotte in collaborazione con giovani vignaioli che amano sperimentare.

 

Wood*Ing Bar | Milano | via Garigliano, 8 | dalla fine di luglio, dalle 18 alle 2 | www.wood-ing.org

Champagne Socialist | Milano | via Lecco, 1 | tel. 02 2047295 | www.champagnesocialist.it

 

a cura di Livia Montagnoli

Foto di copertina di Marco Varoli  (www.marco-varoli.com/)

Botteghe del formaggio: 6 indirizzi per gli acquisti gastronomici a Bologna

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Il Parmigiano reggiano su tutti, ma anche pecorini, erborinati, prodotti d’alpeggio fino alle mozzarelle campane e alle burrate pugliesi: sono le botteghe del formaggio di Bologna, ve ne raccontiamo sei dove fare acquisti di qualità.

Gastronomie in attività dagli inizi del secolo e negozi più giovani, che propongono prelibatezze locali, ma anche formaggi da altri territori e qualche chicca dall’estero. Le botteghe di Bologna sono un vero paradiso per i buongustai: non solo specialità casearie ma anche salumi, olio, pane e dolci. Ecco 6 indirizzi affidabili per i vostri acquisti gastronomici in città.

 

Al regno della forma

Per trovare questo piccolo negozio situato nel pieno centro di Bologna, vi basterà annusare l’aria: è talmente intenso l’odore delle forme di Parmigiano reggiano, prodotto da cui prende il nome la bottega, da inebriare i dintorni. Anche la lunga coda di bolognesi in attesa, però, è un buon indizio. Aperto dal 1923 e da sempre gestito dalla famiglia Fornari. “Siamo alla terza generazione di bottegai”, spiega Errol Fornari, che ha preso in mano l’attività l’anno scorso, “È stato mio nonno ad avviare la gastronomia, puntando sulla qualità e su una clientela locale”. Oggi, però, la bottega fa proseliti anche fra turisti e visitatori occasionali.

Naturalmente, questo è il regno del Parmigiano, esposto in vari gradi di stagionatura, dai 2 ai 5 anni: è uno dei prodotti più richiesti, soprattutto dai bolognesi. Ma qui si possono assaggiare anche mozzarelle, ricotte, caprini freschi, pecorini di vario tipo e stagionatura, caciocavalli, provoloni. Vanno a ruba il Piave e Asiago dell’azienda veneta Lattebusche e il Gorgonzola di Patrucco (Novara). “Oltre al Parmigiano, il Gorgonzola è richiesto quasi in tutte le stagioni dell’anno, con un calo fisiologico nel periodo più caldo, poi vengono mozzarelle e caprini”. Completa l'offerta qualche chicca dall’estero come Gruyere ed Emmenthaler dalla Svizzera e qualche caprino francese, “ma preferiamo sempre valorizzare piccole aziende o consorzi italiani”.

Oltre ai formaggi in negozio si trovano sempre i tortellini realizzati a mano da un pastificio locale, salumi come la mortadella di Alcisa e Villani o il salame di Poggioli, marmellate, conserve e qualche dolce locale.

Al regno della forma | Bologna | via Oberdan, 45a | tel. 051233609

 

Antica Formaggeria Zaratini

È una delle gastronomie storiche di Bologna, aperta da oltre 50 anni nei pressi della Basilica di Santo Stefano. Oggi è gestita dal Roberto Sabattino, che seleziona oltre 200 tipologie di formaggi da diverse regioni d’Italia, rifornendo spesso anche i ristoranti bolognesi. Qui si possono assaggiare ricotte, fior di latte e burrate pugliesi, Mozzarelle di bufala campana che arrivano in giornata, ma anche prodotti più stagionati come le tome piemontesi, il pecorino di fossa, il Castelmagno, il Caciocavallo podolico, il Bitto, il Montasio e l’Asiago. Diversi i caprini, dai più freschi ai semi stagionati come il testun al barolo o il mezzano. Nel reparto estero, che varia molto secondo le stagioni, troviamo Stilton, Morbier, Brie de Meaux a latte crudo e Rocquefort. Una sezione speciale comprende marmellate e confetture da abbinare ai formaggi: se non sapete come orientarvi, chiedete pure a Roberto, che elargisce ben volentieri consigli.

Qui, però, potrete anche trovare tartufo bianco di prima qualità (solo nei mesi di ottobre, novembre e dicembre), salumi tradizionali emiliani, preparazioni ittiche come i filetti di tonno sott’olio o quelli di baccalà, miele, tortellini bolognesi fatti a mano, olio extravergine e aceto balsamico di Modena. Inoltre, ogni giorno arriva in negozio il pane fresco pugliese fatto a Laterza.

Antica Formaggeria Zaratini | Bologna | via Guerrazzi, 10 | tel. 051 220544 | www.facebook.com/anticaformaggeria.zaratini

 

Formaggeria Barbieri 1968

Una formaggeria avviata, come recita il nome, nel 1968 dai fratelli Bruno e Paolo Barbieri all'interno del Mercato delle Erbe di via Ugo Bassi, oggi sono i coniugi Alberto Barbieri e Linda Halova a portare avanti l’attività di famiglia.“Cerchiamo di fornire un’ampia varietà ai clienti”racconta Linda “abbiamo formaggi più freschi come le Mozzarelle di bufala campana, i fior di latte e le burrate pugliesi, o la Dozza, mozzarella prodotta da caseificio della casa circondariale di Bologna, ma anche più stagionati come la selezione di Parmigiano: dal 16 mesi a quello di montagna maturato 24 e 36 mesi, fino al Vacche rosse di 48 mesi”. Qui potrete trovare anche ricotte fresche di latte bovino e caprino, pecorini stagionati e semi stagionati, da quelli toscani affinati in grotta o sulla paglia a quelli sardi, fino al primo sale a latte crudo proveniente dalla Sicilia. E ancora erborinati, tome piemontesi, specialità come il Bitto o la Fontina, il Puzzone di Moena.

 

Formaggeria Barbieri 1968, negozio di BolognaFormaggeria Barbieri 1968

 

Nella sezione estera è immancabile il Roquefort, ma anche la feta greca barricata, insieme a un discreto assortimento dalla Svizzeria, con la buché raclette- vaccino a pasta semi dura proveniente dal canton Vallese- il Gruyere, l’Emmenthaler e lo Sbrinz, prodotto vaccino a pasta friabile originario di alcuni distretti della zona dell'Oberland Bernese e considerato il formaggio più antico d’Europa.

Per quanto riguarda il resto dell’offerta, anche in questo caso cerchiamo di selezionare le produzioni di qualità del territorio circostante, come marmellate, composte, mostarde e vini da abbinare ai formaggi, i tortellini realizzati secondo la tradizione bolognese. Inoltre abbiamo dei salumi artigianali di nostra produzione”. I coniugi Barbieri, inoltre, sono si impegnano a diffondere la cultura del buon formaggio e organizzano spesso degustazioni, lezioni e laboratori didattici sulla produzione casearia o su come creare i migliori abbinamenti a tavola.

Formaggeria Barbieri 1968 | Bologna | Mercato Delle Erbe | via Ugo Bassi, 25 | tel. 051 221234 | www.facebook.com/formaggeriabarbieri

 

La baita vecchia malga

Una bottega che ha la sua storica attività - avviata da Rino Chiari nel 1969 - in pieno centro, ma è presente anche all’aeroporto Guglielmo Marconi con il ristorante Vecchia Malga, e conta diversi punti vendita in città. “Per molto tempo l’attività si è strutturata sull’importazione di formaggi freschissimi provenienti da varie zone di produzione, poi distribuiti ai migliori negozi al dettaglio di Bologna” raccontano Gabriele Chiari, attuale gestore insieme al fratello Stefano. “Dal 2000 abbiamo iniziato noi stessi a fare vendita al dettaglio e il successo è stato immediato. Dietro il nostro lavoro c’è un’attenta ricerca e selezione di specialità da piccole realtà della zona, ma non solo”.

 

La Baita Vecchia Malga, formaggeria di BolognaLa Baita Vecchia Malga

 

Qui potrete assaggiare da formaggi freschi come stracchini, ricotte, mozzarelle e giuncate, agli stagionati Dop come Pecorino, Parmigiano, Fontina e Castelmagno. “Il prodotto più particolare è Sua Maestà il Nero, un formaggio di montagna con processo di produzione brevettato da noi. Deve il suo nome alla tipica colorazione della crosta ottenuta secondo un’antica tradizione montanara risalente a otto secoli fa”. Dopo un primo periodo di stagionatura (16 mesi), la crosta viene infatti “cappata” - ovvero ricoperta con un misto di olio e fuliggine - cosa che conferisce al prodotto il particolare colore nero: “Lo facciamo esclusivamente con latte proveniente da allevamenti locali e controllati, dove le mucche sono nutrite con solo foraggio del luogo: questo per garantire le caratteristiche aromatiche tipiche della zona collinare di Bologna”.

In bottega anche qualche prelibatezza estera, come il Reblochon di Savoia (vaccino a latte crudo e pasta pressata prodotto sulle Alpi), Camembert, Tête de moine, Rocquefort e varie tipologie di brie.

E adesso i Chiari si preparano a spedire non solo sul territorio italiano ma anche oltreconfine: “Da ottobre prossimo, avvieremo il nostro sito di e-commerce, in modo da mandare i prodotti più adatti anche ai clienti lontani, che magari passano da Bologna per qualche giorno ma vorrebbero far assaggiare ai loro cari quello che vendiamo”.

La baita vecchia malga | Bologna | via Pescherie vecchie, 3a | tel. 051 223940 | www.vecchiamalganegozi.it

La baita vecchia malga | Bologna | Zola Predosa | via Roma 55a | tel. 051/223832 | www.vecchiamalganegozi.it

La baita vecchia malga | Bologna | via Mazzini, 93 | tel. 051/346508 | www.vecchiamalganegozi.it

La baita vecchia malga | Bologna | aeroporto Guglielmo Marconi | via Triumvirato, 84 | tel. 051/6472198 | www.vecchiamalganegozi.it

 

L’angolo della freschezza

Oltre 150 tipologie di formaggi diversi per L’angolo della freschezza, attività avviata nel 1991 da Valerio Guermandi, che oggi ha passato il testimone al figlio Roberto. “Abbiamo appena riaperto dopo un periodo di ristrutturazione del locale”racconta“per noi è importante che la qualità dei prodotti sia subito suggerita anche dall’aspetto della bottega”. E non potrebbe essere altrimenti, grazie al bancone-vetrina lungo quasi 15 metri.

Tante le denominazioni presenti in negozio, come la Robiola di Roccaverano, il Bitto e l’Asiago della Latterie Friulane, il Parmigiano reggiano stagionato 36 mesi e il Vacche rosse,“tutto rigorosamente al taglio e non preconfezionato in sottovuoto, che facciamo al massimo espresso e solo su specifica richiesta del cliente”. Ma qui troverete anche ricotte e squacqueroni, la vézzena di Malga - uno dei formaggi più antichi del Trentino, prodotto esclusivamente con il latte vaccino estivo delle malghe dell'Altopiano di Vézzena - i pecorini di fossa di Renato Brancaleoni e Vittorio Beltrami, burrate e mozzarelle fresche che arrivano dalla Campania. Ampia la sezione erborinati, a partire dal nostro Gorgonzola fino ai blu di capra e pecora dalla Svizzera, lo scozzese Shropshire e il francese Roquefort. Ma, più in generale, la sezione estera non delude: Stilton, Brie de Meaux a latte crudo, Gruyère affinato in grotta, Tête de moine. “Da settembre a maggio” precisa Roberto “abbiamo oltre 30 formaggi francesi come il Morbier a latte crudo o il Comtè stagionato 20 mesi, ma anche prodotti di realtà molto più piccole e quasi sconosciute”.

 

L'angolo della freschezza, formaggeria di BolognaL'angolo della freschezza

In bottega si trovano sempre la pasta di Benedetto Cavalieri e di Felicetti, le prelibatezze emiliane de La dispensa di Amerigo, salumi in tranci, salami, stronghini, ciccioli e coppa di testa della Natural Salumi di Argenta, i prodotti della Cascina San Cassiano.“Inoltre, abbiamo una vera passione gli aceti, in primis quello che viene da Modena, e per le composte, quasi sempre selezionate da produttori locali”.

L’angolo della freschezza | Bologna | via Cadriano, 27/2 | tel. 051 500284 | www.langolodellafreschezza.eu

 

Salumeria Simoni

Una salumeria storica di Bologna, che ha sempre ospitato le migliori specialità casearie della zona, e non solo. Oggi la Salumeria Simoni conta un punto vendita a due passi da piazza Maggiore, ma anche un laboratorio a via delle Pescherie vecchie, sempre in pieno centro, dove si tengono le degustazioni. Naturalmente questo è il regno della Mortadella bolognese, e di altri salumi locali come il salame rosa e quello gentile, i ciccioli secchi e i campagnoli, la coppa di Testa, il cotechino e la passita, una salsiccia prodotta in Romagna sia in versione nostrana (più fresca) che piccante.

 

Salumeria Simoni, gastronomia di BolognaSalumeria Simoni

Ma anche i formaggi trovano ampia visibilità nel grande bancone all’interno della bottega: primi fra tutti il Parmigiano, stagionato 18 mesi ma anche 36. Tanti vaccini come l’Asiago (fresco e mezzano), la Fontina valdostana, il Gorgonzola classico e quello malghese di Angelo Croce, il Castelmagno, il Puzzone di Moena, il caciocavallo, le scamorze e le burrate dalla Puglia, lo Squacquerone di Romagna. Ma è vasto anche l’assortimento di pecorini (Romano, Sardo, di Pienza, di fossa di Sogliano al Rubicone, il senese e lo stagionato in foglie di noce) e poi ancora il cacioricotta, il primo sale siciliano, il marzolino toscano, i caprini freschi.

Anche qui un occhio di riguardo per l’aceto balsamico, prodotto dai Simoni nella zona di Modena, e presente in bottega in tante versioni, dai 3 ai 30 anni di invecchiamento. E ancora, via libera alla gastronomia: dal vitello tonnato alle cotolette alla valdostana, dal pollo ripieno all’insalata di riso, passando per le alici marinate, il baccalà fritto e i carciofi alla giudia. Da poco, inoltre, Simoni ha aperto un punto vendita con annesso laboratorio di pasta fresca, soprattutto tortellini e tortelloni, che vende direttamente o nei punti vendita del centro storico.

Salumeria Simoni | Bologna | via Drapperie, 5/2a | tel. 051 231880 | www.salumeriasimoni.it

Salumeria Simoni - Laboratorio | Bologna | via Pescherie Vecchie, 3/b | tel. 051 231843 | www.salumeriasimoni.it

 

 

a cura di Francesca Fiore

 

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Contaminazioni di Pizza: a Pietrasanta 6 fra i migliori pizzaioli per beneficenza

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Una sera a cena con 6 fra i pizzaioli migliori d’Italia, riuniti davanti allo stesso forno per una buona causa: è Contaminazioni di Pizza, il primo evento pensato e realizzato dall’associazione Pizza & Peace, previsto alla pizzeria Apogeo di Pietrasanta il 31 luglio prossimo.

Pizza&Peace, per la diffusione della pizza di qualità

Quattro pizzaioli toscani che hanno deciso di fare rete e costruire un progetto formativo intorno ad un mondo - quello della pizza - che negli ultimi anni sta vivendo un momento di crescita molto proficuo. Loro sono Paolo Pannacci dello Spela di Greve in Chianti (Firenze), Massimo Giovannini di Apogeo, Pietrasanta (Lucca), Graziano Monogrammi da La Divina Pizza di Firenze e Giovanni Santarpia dell’omonima pizzeria sempre a Firenze: qualche tempo fa hanno deciso di fondare Pizza&Peace, associazione no profit che mira alla collaborazione aperta fra colleghi e, al tempo stesso, esprime una sensibilità verso i meno fortunati, abbracciando cause di beneficenza e mettendo in piedi anche aste in maniera diretta. Una di queste aste avverrà in occasione di Contaminazioni di Pizza, il primo format dell’associazione, che andrà in scena il 31 luglio nella pizzeria di Giovannini, a Pietrasanta, provincia di Lucca.

 

I protagonisti di Contaminazioni di Pizza

Naturalmente i primi pizzaioli a sperimentare il format saranno proprio loro, i fondatori dell’associazione e padroni di casa, che hanno invitato due giganti del settore come Renato Bosco (Saporè, Verona) e Franco Pepe (Pepe in Grani,Caserta). Durante la serata, dopo l’apertura con l’antipasto di fritti, i grandi maestri della pizza italiana si alterneranno al forno: i due ospiti prepareranno una pizza ciascuno ideata per l’occasione, mentre i padroni di casa si esibiranno in due pizze a otto mani. Al termine della cena, un’asta di beneficenza con bottiglie offerte da Ferrari e Ruffino: il ricavato della serata sarà devoluto a Tutte giù per Terra, un’associazione creata da Francesca Martinengo allo scopo di raccogliere fondi per la ricerca sulle malattie rare e di informare su molte patologie ancora poco conosciute. Il costo della serata è di 60 euro: sono solo 130 i commensali ammessi alla serata e la prenotazione è obbligatoria.

Contaminazioni di Pizza | Pizzeria L’Apogeo | Pietrasanta (LU) | via Pisanica, 136 | tel. 0584 793394 | www.pizzeriaapogeo.it

 

a cura di Francesca Fiore

Master in Food&Wine Communication. Un project work in Romagna per gli studenti Iulm

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Agli studenti del master in Food&Wine Communication di Gambero Rosso e Iulm la possibilità di approfondire la conoscenza del territorio romagnolo, con un project work dedicato al marketing territoriale. 

Il project work in Romagna per gli studenti Iulm

Buone nuove dall'universo della formazione targata Gambero Rosso, che si avvale di collaborazioni prestigiose in diverse città d'Italia. Dal presidio della Città del gusto Romagna all'interno della Fiera Cesena (inaugurata alla fine del 2016) nasce una nuova opportunità per gli studenti del Master universitario di primo livello in Food&Wine Communication di Gambero Rosso e Iulm Libera Università di Lingue e Comunicazione, che da sei anni collaborano per formare i futuri manager del marketing e della comunicazione enogastronomica, con molteplici sbocchi professionali, dall'addetto stampa all'esperto di marketing di uno dei settori trainanti dell'economia italiana.

Da questa edizione del Master, infatti, gli studenti saranno coinvolti nello sviluppo di un project work per lo sviluppo del marketing enogastronomico territoriale finalizzato ad analizzare le potenzialità del territorio romagnolo.

Presentato a Cesena qualche ora fa, in occasione della conferenza stampa presso la Città del gusto Romagna, il project work permetterà ai ragazzi di entrare in contatto diretto con le aziende e le istituzioni della regione, per approfondire la conoscenza di un territorio estremamente vocato; al termine del percorso di studi, il risultato del lavoro sarà presentato alle principali autorità istituzionali ed economiche, perché possano avvelersi di spunti e idee innovative emerse in fase di analisi territoriale.

 

Per info e iscrizioni al Master in Food&Wine Communication di Gambero Rosso-Iulm http://bit.ly/MasterFoodWine

 

 

 


50 Top Pizza. La nuova guida online che allinea le migliori pizzerie d’Italia. Campione Franco Pepe

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A cura di Luciano Pignataro, Barbare Guerra, Albert Sapere, la guida edita da Formamentis è una classifica online delle migliori pizzerie d’Italia, 500 in tutto, stilata su giudizio anonimo di 100 ispettori. A Napoli si è tenuta la cerimonia di premiazione: sul podio, tutto campano, Pepe, Sorbillo e i fratelli Salvo. Quinto Padoan, primo per la Capitale Giancarlo Casa. Per le donne solo Marzia Buzzanca, e la pizzaiola dell’anno Isabella De Cham. 

50 Top Pizza. Come funziona la guida

100 ispettori, in forma anonima, chiamati a valutare la qualità del cibo, del servizio, la carta dei vini e delle birre, la ricerca in cucina e la piacevolezza dello spazio. Criteri che chiamano in causa le migliori guide gastronomiche, applicati, per una volta, esclusivamente alla pizza, così da “mappare per la prima volta, un prodotto cardine della nostra tradizione culinaria, diventato ormai un must dentro e fuori dai confini nazionali con continue aperture di nuovi locali e soprattutto con l’affermarsi di una presenza sempre più qualificata anche all’estero”. Sono queste le parole di presentazione della guida online 50 Top Pizza presentata qualche ora fa a Castel dell’Ovo, Napoli, davanti a una platea che riuniva i più grandi pizzaioli d’Italia. Un modo per dare “il giusto riconoscimento ai migliori maestri del settore che ogni giorno nelle loro rispettive pizzerie lavorano sodo per coniugare qualità, creatività e ricercatezza, senza tralasciare le tradizione le regole d’oro, dall’impasto alle materie prima, che contraddistinguono questo autentico simbolo del made in Italy”, continuano i curatori Luciano Pignataro, Barbara Guerra e Albert Sapere (ma ricordiamo che Gambero Rosso pubblica da diversi anni una guida dedicata alla pizza, selezionando sul territorio nazionale le migliori Pizzerie d’Italia, suddivise per categorie). Il progetto è stato concertato con la supervisione di Formamentis, e nei mesi passati ha destato curiosità con il countdown dalla posizione 500 alla 51, di una guida che si configura in tutto e per tutto come classifica di merito, fino all’Olimpo delle best 50, svelate in ordine crescente durante la cerimonia partenopea, che ha assegnato anche diversi premi speciali. Il 30 giugno scorso, invece, era stata la volta della sezione internazionale, con una selezione delle migliori pizzerie all’estero premiate sul palco di New York. E ieri, per la categoria miglior pizzeria in stile napoletano all’estero, il premio è andato a Ober Mamma, Parigi.

Il podio campano. Franco Pepe in vetta

Ma a catalizzare i flash ci ha pensato Franco Pepe, maestro indiscusso della pizza, che incassa l’ennesimo riconoscimento, conquistando la vetta della classifica con la sua Pepe in Grani, a Caiazzo. La medaglia d’oro, quindi, finisce sì in Campania, ma nella provincia di Caserta, da dove arriva pure il Miglior Pizzaiolo 2017, Francesco Martucci, de I Masanielli (sesto in classifica). E anche il resto del podio parla campano, rivendicando il ruolo di Napoli e della sua tradizione di lungo corso: secondo e terzo sono, rispettivamente, Gino Sorbillo ai Tribunali e i fratelli Salvo, Francesco e Salvatore, dal loro quartier generale di San Giorgio a Cremano. Quarto piazzamento, subito fuori dal podio, per il maestro Enzo Coccia, che della storia della pizza di qualità a Napoli è uno dei padri fondatori, e infatti si aggiudica il Premio alla carriera. Bisogna raggiungere il quinto in classifica per trovare il primo rappresentante della pizza a degustazione, non a caso Simone Padoan, tra i pionieri di una nuova ricerca sul prodotto che al Nord ha dato il là a una prolifica scuola fondata sulla sperimentazione in chiave gourmet (poco distante per concezione e latitudine da I Tigli, che offrono il Miglior servizio di sala, è Renato Bosco: il suo Saporè è decimo).

Le migliori pizze della Capitale

Da Roma, invece, un bel nono piazzamento per Giancarlo Casa e la pizza de La Gatta Mangiona, prima tra le insegne capitoline, che annoverano pure Pizzarium (per Gabriele Bonci il 27esimo posto e il premio alla Pizza dell’anno con mozzarella di bufala campana a crudo, funghi prataioli e prosciutto crudo) e ben 4 indirizzi di Stefano Callegari: Sforno al 16, Tonda al 32, Pizzeria Sud del Mercato Centrale di Firenze al 41, Sbanco al 46. Da Roma anche la pizza a degustazione di In Fucina, con Edoardo Papa che si piazza 21esima. Poco più sotto, l’unica donna in classifica: un bel 26esimo posto premia il coraggio e il talento di Marzia Buzzanca, con Percorsi di gusto a L’Aquila. Ma il premio Miglior pizzaiola 2017 spetta a una giovane promessa del settore, Isabella De Cham, madrina della pizza fritta da 1947 a Napoli.

Napoli e il resto d’Italia

Tra i maestri di Napoli entrano in classifica pure Ciro Salvo (50 Kalò al numero 8), Da Michele (11), Starita (15), Guglielmo Vuolo (17), La Masardona (18), Vincenzo Esposito (24). Bel piazzamento anche per il giovane e rampante Ciro Oliva: Concettina ai Tre Santi è settima, e ottiene il premio per Miglior servizio d’asporto. E, in trasferta, Giovanni Santarpia, la pizza napoletana di Firenze al numero 14. Fuori dalla Campania segnaliamo ‘O Fiore mio (12), Dry (13 e premio per il Miglior Comfort) Pomodoro & Basilico (25), Berberè (29), Apogeo (36), Ranzani13 (37), Marghe (47). Mentre tra i premi speciali, il Giovane dell’anno è Ciccio Vitiello (Casa Vitiello, Caserta), e la pizzeria Novità dell’anno è Morsi & Rimorsi di Gianfranco Iervolino, ad Aversa.

 

La Top 50 e i Premi Speciali

1. Pepe in Grani - Caiazzo 

2.Gino Sorbillo ai Tribunali - Napoli | Migliore Comunicazione Web

3.Francesco&Salvatore Salvo - San Giorgio a Cremano | Miglior Carta dei Vini 

4.Pizzeria La Notizia 94 - Napoli | Premio alla Carriera a Enzo Coccia

5.I Tigli - San Bonifacio | Premio Zonin Miglior servizio di sala

6.I Masanielli - Caserta | Miglior Pizzaiolo dell’anno a Francesco Martucci

7.Concettina ai Tre Santi - Napoli | Miglior Asporto

8.50 Kalò - Napoli

9.La Gatta Mangiona - Roma | Miglior Carta delle Birre

10.Saporè - San Martino Buon Allegro 

11.L’Antica Pizzeria Da Michele - Napoli

12.‘O Fiore Mio – Faenza

13.Dry - Milano | Premio Antonello Colonna Open Miglior Comfort e Benessere Complessivo

14.Sanrarpia - Firenze 

15.Pizzeria Starita e Materdei - Napoli

16.Sforno - Roma 

17.Guglielmo Vuolo a Eccellenze Campane - Napoli 

18.La Masardona - Napoli | Premio Electrolux Miglior proposte dei Fritti

19.La Sorgente - Guardiagrele

20.La Kambusa - Mssarosa

21.In Fucina - Roma 

22.Pizzeria Da Attilio - Napoli

23.Piccola Piedigrotta - Reggio Emilia

24.Carmnella - Napoli 

25.Pomodoro & Basilico - San Mauro Torinese

26.Percorsi di Gusto - L’Aquila

27.Pizzarium - Roma | Pizza dell’anno (Pizza Mozzarella di Bufala Campana a Crudo, Funghi Prataioli e Prosciutto crudo)

28.Il Vecchio Gazebo - Molfetta

29.Berberè - Castelmaggiore | Miglior carta degli Oli Extra Vergine d’Oliva

30.Pizzeria Da Albert - Trento

31.Casa Vitiello - Napoli | Giovane dell’anno a Ciccio Vitiello

32.Tonda - Roma | Valorizzazione del Made in Italy

33.Korallo Pizza & Drink - Trento

34.La Braciera - Palermo

35.La Divina Pizza - Firenze

36.Pizzeria Apogeo - Pietrasanta

37.Ranzani 13 - Bologna

38.Lievito Madre al Duomo - Milano

39.Ristorante Pizzeria Le Parule - Ercolano

40.Mistral dal 1959 - Palermo

41.La Pizzeria Sud - Firenze

42.Pizzeria Montegrigna Tric Trac - Legnano

43.10 Diego Vitagliano Pizzeria - Pozzuoli

44.La Campagnola - Bitritto

45.Carlo Sammarco Pizzeria 2.0 - Aversa

46.Sbanco - Roma 

47.Marghe - Milano

48.Lievito Madre al Mare - Napoli

49.Fandango Racconti di Grani - Filiano | Premio Caputo Sostenibilità Ambientale

50.Pizzeria Di Matteo - Napoli | Premio Pastificio Di Martino Frittatina di pasta dell’anno

 

Premio Fornaio d’Italia - Antico Forno
Premio Consorzio Mozzarella Pizzaiola dell’anno - Isabella De Cham (1947 Pizza Frtta)
Miglior Pizzeria Napoletana fuori dall’Italia - Ober Mamma (Parigi)

 

www.50toppizza.com

 

a cura di Livia Montagnoli

 

Il vino biologico made in Italy? Il più autentico

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Cresce l'export vitivinicolo del vino biologico, anche se è ancora una nicchia. Quali i maggiori Paesi di destinazione? La fotografia di Ice, Winemonitor e Federbio per il Vino Bio Day. Ottimismo delle cantine sul futuro, ma attenzione al greenwashing

Vino biologico: il mercato interno e l'export

Il consumo di vino biologico sta gradualmente crescendo sia in Italia sia all'estero. Se nel nostro Paese le vendite nel 2016 sono state pari a 275 milioni di euro (+34% rispetto al 2015), il nostro export ha raggiunto i 192 milioni di euro (+ 40% rispetto al 2015), confermando un trend ormai in atto da diversi anni. È questo lo scenario presentato durante Vino Bio Day, organizzato da Ice-Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, Wine Monitor Nomisma e da Federbio.

Il vino biologico, pur essendo percentualmente una piccola parte dell'export complessivo italiano (3,4%), continua nella sua corsa (si è passati dall’1,9% del 2014 al 2,6% nel 2015), anche grazie a una forte propensione all'export delle aziende produttrici. Secondo Wine Monitor, nel 2016, il 79% delle aziende che producono vini biologici ha esportato principalmente nei Paesi Ue (66% sul fatturato export di vino biologico) con in testa la Germania (33% del fatturato estero realizzato nel 2016) a cui seguono gli Stati Uniti (12%). Gli atouts delle aziende, secondo la ricerca, sono principalmente la qualità (30%) dei propri vini bio, un marchio aziendale apprezzato insieme all’affidabilità (17%) e, infine, la tracciabilità del prodotto (14%).

 

Perché c'è chi non exporta?

Interessante anche la risposta delle aziende italiane che attualmente non esportano. Ben l'85% dichiara di non avere a disposizione gli strumenti per commercializzare all'estero, di non avere adeguate risorse finanziarie (27%) e di non avere i volumi necessari (23%). E ci sono anche aziende che, oltre alle ridotte dimensioni, non hanno interesse ad andare all'estero (8%) o sulle quali l'estero non nutre interesse (8%).Tra gli ostacoli di sistema che frenano l'export, troviamo i vincoli doganali e tariffari (27%), la necessità di un maggiore coordinamento tra le diverse istituzioni a livello nazionale e locale sulla promozione dei vini a marchio bio italiani all’estero (23%) e la mancanza di un’adeguata capacità di promozione dell’azienda dei propri vini (19%).

 

Il futuro dell'export: verso quali paesi si punta?

Quanto al futuro, i produttori di vini biologici italiani individuano come area più interessante per l’export il Nord America, con gli Stati Uniti indicati dal 28% delle imprese e il Canada dal 14%. Rimangono alte le aspettative sui 28 Paesi dell’Ue (il 19% delle imprese li individua come mercati promettenti), mentre i mercati asiatici vengono visti come meritevoli di attenzioni, ma in misura minore rispetto ad altri contesti: Giappone e Cina, secondo l'indagine di Wine Monitor, vengono segnalati come mercati promettenti rispettivamente dal 9% e dal 6% delle imprese, così come altri Paesi asiatici, indicati dal 6% degli intervistati.

 

Regno Unito e Germania: cosa succede in questi mercati di riferimento

Nel Regno Unito e in Germania, fondamentali per il nostro export vinicolo - rispettivamente il 22% del vino importato nel primo è italiano, il 36% nel secondo - l’interesse per il vino bio è confermato anche dall’opinione e dalle preferenze del consumatore: la quota di consumatori che negli ultimi 12 mesi ha bevuto almeno una volta un vino biologico è del 12% in Germania e del 9% in Uk (dove è molto più alta la quota di chi lo consuma fuori casa: il 34% dei wine user bio rispetto al 18% in Germania). Le tre caratteristiche principali del vino biologico percepite dai consumatori sono le stesse in Germania e nel Regno Unito, anche se l’ordine di importanza con cui vengono indicate è diverso per i due Paesi: naturalità (21% Uk, 18% Germania), alta qualità(20% Uk, 25% Germania) e rispetto dell’ambiente(19% Uk, 18% Germania).

 

Cosa orienta l'acquisto

Nel Regno Unito, secondo i dati Global Snapshot Nielsen le vendite di vino bio nella gdo nel 2016 si attestano a 21 milioni di euro, con uno share del biologico dello 0,4% sul totale dei vini venduti. La crescita sul totale dei vini venduti nell’ultimo anno è significativa e si attesta intorno al +24% a fronte di un lieve decremento del vino in generale, - 0,1%. Dall’analisi delle vendite della gdo deriva un altro elemento positivo per il vino bio: in Uk un quarto delle bottiglie bio vendute è italiano. Il Survey di Wine Monitor inoltre mette in luce che come per l’Italia, la preferenza sul vino bio ricade soprattutto su rossi e bianchi fermi in entrambi i mercati, segue in Uk il rosso frizzante e in Germania il bianco frizzante. In entrambi i mercati i vini bio vengono acquistati principalmente in iper e supermercati (38% in Uk, 33% in Germania) e, mentre in Germania il Paese d'origineè il principale driver di scelta (per il 36% degli intervistati), mentre in Uk è il marchio aziendale il fattore propulsivo per l’acquisto di vino biologico (21% dei consumatori).

Per quanto riguarda la spesa in vino biologico, in Uk il consumatore spende in media per una bottiglia da 0,750 l intorno a 14,7 euro, in Germania 8 euro. Oltre l’80% dei consumatori di vino bio d’Oltremanica ha dichiarato di pagare in media tra le 6 e le 15 sterline per una bottiglia di vino biologico, mentre i consumatori di vino biologico tedesco dichiarano in maggioranza (54%) di pagare tra i 5 e i 10 euro per una bottiglia. A frenare l'acquisto di vini biologici sono la mancata conoscenza del prodotto/l’assenza di informazioni (28% Uk, 26% Germania), seguita dal prezzo (25% Uk, 18% Germania), dalle caratteristiche organolettiche (il 16% dei consumatori inglesi e il 17% dei tedeschi non percepisce differenze rispetto ai vini convenzionali). Il quarto motivo dichiarato è la mancanza della versione bio del vino preferito (8% Uk e Germania).

 

Il valore percepito dei vini bio e il potenziale ancora inespresso

Secondo i consumatori (42% in Uk e 40% in Germania), i vini bio made in Italy hanno qualità mediamente superiore rispetto ai vini bio di altri Paesi e in entrambi i mercati, nel pensare al vino biologico italiano, il 19% indica alta qualità, mentre un ulteriore 15% premia l'autenticità. Infine, l’84% dei consumatori di vino è interessato ad acquistare un vino biologico made in Italy se lo trovasse presso i ristoranti o i negozi abituali. Una disponibilità che dovrebbe essere sfruttata anche attraverso l'uso dei social, visto che il 20% di chi beve vino bio in Uk si informa su Fb e sui network aziendali, il 20% frequenta siti internet e-commerce di vino, un ulteriore 19% direttamente presso il punto vendita. Diverso il comportamento dei consumatori tedeschi che si affidano di più al consiglio del negoziante (39%).

 

Il futuro secondo le aziende

L'indagine di Wine Monitor, infine, registra l'ottimismo delle aziende per il futuro: un quarto prevede un forte aumento di fatturato nei prossimi tre anni (maggiore del +10%), mentre quasi 6 imprese su 10 prevedono di registrare aumenti più ridotti, compresi tra il +2% e il +10%. La restante parte delle imprese non prevede significative variazioni di fatturato. Nel complesso, l’81% delle imprese esportatrici di vino biologico stima fatturati in crescita nel prossimo triennio. Un'ottima prospettiva, ma il settore, per mantenere alta la credibilità, dovrà vigilare con attenzione sul greenwashing, un fenomeno sempre più diffuso. Darsi una credibilità ambientale, va di moda.

 

a cura di Andrea Gabbrielli

 

Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 20 luglio

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Mangiare all'aperto a Bologna estate 2017. 10 ristoranti da provare

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Bologna è la città dei portici, ma anche dei dehors, di graziosi cortili o di giardini esterni. Ecco 10 indirizzi selezionati tra i locali più nuovi (aperti o rinnovati negli ultimi anni) dove mangiare all'aria aperta. 

Il nostro tour alla ricerca degli indirizzi più nuovi in cui mangiare all'aperto fa tappa a Bologna. Così, dopo RomaNapoli e Milano, approdiamo in una delle città più movimentate degli ultimi tempi dal punto di vista ristorativo, per segnalarvi 10 indirizzi per mangiare en plein air.

Il dehors di Agricola e Vitale, in Piazza Santo Stefano

Agricola e Vitale

In una delle piazze più belle di Bologna, quella di Santo Stefano, ha da poco aperto i battenti questa osteria in quel che fu lo spazio di un antiquario e un salotto culturale. Il proprietario Alfio Forni è venuto dalla campagna di Varignana, dove ha gestito un agriturismo per 17 anni, per diffondere il verbo del cibo stagionale e, dove possibile, bio. Certo, la location aiuta nell'intento di offrire una pausa di piacere: dai tavolini del dehors si può ammirare tutto il complesso delle Sette Chiese. La gestione è affidata a Davide Gaetani (volto noto della ristorazione bolognese con l'Enoteca Solferino) e la cucina è sotto le redini dello chef siciliano Fabio Righi (di scuola Marchesi). Nel menu, che cambia settimanalmente, potete trovare piatti di influenza sicula e bolognese, con tocchi interregionali. Qualche esempio? Spaghettoni di melanzane e briciole di pane; tagliatelle al ragù; ziti con la cicoria; caponata siciliana e salsa di mandorle tostate; crostini di baccalà mantecato con fichi caramellati e lime. O ancora tartare o tagliata di manzo; polpo alla piastra con patate alla curcuma e rivisitazione della Pesca Melba. Da accompagnare con vini di piccoli produttori che Alfio ha conosciuto durante i suoi trascorsi in campagna.

Agricola e Vitale | Bologna | via S. Stefano 13/A | tel. 051 236650 | www.facebook.com/pg/Agricola-e-Vitale

Piatto vegano di Botanica Lab a Bologna

Botanica Lab

Arrivato in città sul finire del 2016, questo locale si ispira ai dettami del guru Matthew Kenney, proponendo una cucina crudista e plant based. Artefice del progetto, Anna Artesiani, ex pasticcera crudista che ha deciso di dedicarsi a un'offerta a tutto tondo. Cucina a vista, arredamento minimal e pochi tavolini all'aperto, per un menu che tenta di sfidare le icone pietanze bolognesi, tortellini e mortadella in primis. In tavola, a seconda della stagione, vellutata di verdure; tortino di batata, ricotta di macadamia, pistacchi e porri confit; spaghetti di rapa rossa, asparagi marinati e crema di anacardi; spaghetti di zucca con funghi e granola aromatizzata al timo. E ancora fungo portobello ripieno di sedano rapa marinato e salsa agrodolce; ravioli di sfoglia di pomodoro, ricotta di macadamia e pesto di rucola; mezzelune verdi ai carciofi e pesto mediterraneo; tempeh croccante con verdure. Non perdetevi i dolci raw, dalla cheesecake alla vaniglia e more ai tartufi di cioccolato. Per chi vuole approfondire, si organizzano anche corsi di cucina, ovviamente vegana e plant based.

Botanica Lab | Bologna | via Battibecco, 4/c | www.botanicalab.com

Il dehors di Bottega Portici a Bologna

Bottega Portici

Dall'esperienza vincente di Bottega Portici a via Indipendenza, il Gruppo Imperial (alla guida dell'hotel I Portici e del ristorante omonimo annesso) ha tratto spunto per lanciarsi in una nuova sfida. E dopo l'acquisizione di Palazzo Bega, ha inaugurato Bottega Portici: una vetrina sulla storia e sulla cultura gastronomica bolognese. A cominciare dai tortellini in brodo, da consumare sulla terrazza con vista o nel bicchierone pret à porter. Ma in Bottega l'offerta è varia. Nell’angolo caffetteria, Caffè & Co., si possono infatti gustare le brioche, i krapfen o le torte di Gino Fabbri insieme alle miscele di Manuel Terzi. E poi c'è la proposta della cucina, che ovviamente insiste sulla pasta: tagliatelle al ragù, gnocchi al pomodoro, tortellini in brodo e tortelloni burro e salvia. Durante l'estate 2017 non perdete gli appuntamenti “Pasta d'Autore”, dove special guest preparano la loro pasta fresca, come Peter Brunel (Ristorante Borgo San Jacopo, Firenze) con i suoi Bottoni di cinghiale in-cinta, Aurora Mazzucchelli (Ristorante Marconi, Sasso Marconi) con i Tortelli di Parmigiano Reggiano alla lavanda, noce moscata e mandorle o Giuseppe Aversa (Ristorante Il Buco, Sorrento) e gli Scialatielli alla sorrentina.

Bottega Portici | Bologna | piazza di Porta Ravegnana, 2 | www.bottegaportici.it

Il dehors di Camera con Vista a Bologna

Camera con Vista

Atmosfera curata, ma informale, e un affaccio in piazza Santo Stefano anche per Camera con Vista, il bistrot che ha da poco aperto all'interno dello storico palazzo Isolani creando un ambiente suggestivo, con mobili in arrivo da tutta Europa - disponibili anche per la vendita - un bel banco in marmo screziato e teche in legno per ospitare la mostra di bottiglie e distillati. Non a caso questo bel locale è diventato in poco tempo meta per gli appassionati di drink fatti come si deve. La cucina, aperta a pranzo e a cena, propone un menu gourmet e molto curato, anche nella presentazione, tra millefoglie di mortadella; raviolo aperto con funghi e crema di parmigiano; tagliatelle al limone con prosciutto crudo; tartare su gazpacho o suprema di pollo. Da gustare nei tavolini all'aperto, affacciati sulla bella piazza chiamata da tutti “delle Sette Chiese”.

Camera con Vista | Bologna | via Santo Stefano, 14 | tel. 051224268 | www.cameraconvista.it

Il dehors di Fourghetti a Bologna

Fourghetti

È il bistrot di Bruno Barbieri, aperto con l'intento di creare un luogo fuori dal tempo, nel quale si possano dimenticare (forget it) i problemi e i pensieri che appesantiscono la vita di tutti i giorni. Aperto dove un tempo c'era una trattoria storica (Sterlino), Fourghetti ha cercato di mantenere la “bolognesità” sia nell'atmosfera che nel menu. Con l'aggiunta di quattro camere e una suite uso locanda per ribadire il desiderio di scommettere sull'ospitalità a tutto tondo. Nel bel dehors è inoltre possibile pranzare o cenare all'aria aperta. Per il pranzo ci si limita a poche proposte, dai passatelli con piselli e guanciale croccante, ai tortelloni di erbe e ricotta con scalogno ripassato, pomodori confit e Parmigiano Reggiano. Dal medaglione di agnello con speck di Sauris e budino di sedano rapa, allo spiedo di pesce spada arrostito con cous cous alle spezie. A cena, piatti più elaborati con crème caramel di gallinella di mare e intingolo di pomodoro, capperi e acciughe; tortellini ripassati nella fonduta di Parmigiano Reggiano al profumo di noce moscata; garganelli all’uovo con pesto di basilico, insalata di vongole veraci e peperoncino. O ancora, quaglia in cartoccio con prosciutto e pecorino, peperoni marinati al profumo di origano selvatico, patate alla lionese; filetto di maiale al forno con tortino di melanzane, intingolo di pomodori secchi, sedano e finocchio o cocotte di astice selvaggio con pesche acerbe e verdure marinate all’aceto di fiori di sambuco.

Fourghetti | Bologna | via Augusto Murri, 71 | tel. 051 391847 | www.fourghetti.com

Il dehors di Massimiliano Poggi a Castel Maggiore

Massimiliano Poggi

Traslocare dalla periferia di città (con Al Cambio) alla campagna bolognese senza alterare lo spirito, e allo stesso tempo riscoprendo una verve creativa più libera e incontaminata, non è semplice. Ma sembra che Massimiliano Poggi ci sia riuscito. Così, dopo il rodaggio e importanti lavori di ristrutturazione dello spazio, una casa di campagna dell’800, il nucleo operativo di Poggi è sbocciato ritrovando una seconda giovinezza, senza però snaturare l'impronta tradizionale della cucina dello chef bolognese. Da qui la possibilità di scegliere tra tre menu: Omaggio alla Romagna, Tradizione e La campagna oggi. Nel primo, ovviamente, cappelletti in brodo o piada squaquerone e rucola; nel secondo tortelli in brodo o burro e oro, coda di rospo alla vaccinara o stinco al forno. E nel terzo, frittatina di verdure, piccione al carbone, lumache nel verde o Artusi 495 (terrina di anguilla spinata, fritta in farina di semola, salsa di soffritto e brodo di pomodoro verde). Da mangiare anche all'aperto, sotto le stelle e circondati dai profumi della campagna.

Massimiliano Poggi | Castel Maggiore (BO) | tel. 051 704217 | www.mpoggi.it

Il dehors di Osteria Bartolini a Bologna

Osteria Bartolini

Il nome della famiglia Bartolini sulla Riviera romagnola è sinonimo di cucina di mare. E da poco meno di un anno lo è anche per i bolognesi, che ora possono contare su una vera osteria di pesce: l'Osteria Bartolini. Il Palazzo Dondini Ghiselli, egregiamente ristrutturato, ospita 120 coperti suddivisi tra il pian terreno, il cortile all'aperto ombreggiato da un platano secolare, la sala del piano superiore. Il tutto allestito in maniera essenziale, consegnando un'atmosfera informale: tovagliette di carta, tavoli in legno, e senza possibilità di prenotare, come consuetudine delle vecchie osterie. A tavola si va sul classico: gran fritto di pesce adriatico, crocchette di patate e baccalà, tagliatelle al ragù bianco di pesce, immancabili spaghetti alle vongole, sardoncini (alici) saltati in tegame, gamberi e sale di Cervia. Una semplicità voluta cui fanno da contraltare le creazioni del Laboratorio, con sorbetti di frutta fresca, gelati artigianali, meringata con crema inglese, cremoso alle nocciole, per chiudere in dolcezza il pasto. Da bere una carta di bollicine, vini dell'Emilia Romagna, qualche etichetta extra regionale, anche alla mescita, dall'ottimo rapporto qualità prezzo.

Osteria Bartolini | Bologna | piazza Malpighi, 16 | tel. 051 262192 | www.osteriabartolinibologna.com

Il dehors di Stix Spiedini & Co a Bologna

Stix Spiedini & Co

Da un’idea di Lara Balboni, che ha chiamato ai fornelli lochef dell'Antica trattoria del Reno Vincenzo Vottero, è nato un locale interamente dedicato agli spiedini. Con un menu di respiro internazionale, ma attento anche al territorio, e una posizione centralissima (siamo sempre in via Santo Stefano), Stix Spiedini & Co declina lo spiedino in mille modi. C'è quello della nonna con salsiccia, pane in cassetta, pancetta stesa, costoline di maiale, peperoni; quello di manzo alternato alle patate, aglio e rosmarino o lo spiedino dell'Adriatico con seppie, gamberi e pane. Non mancano le varianti vegetariane, esotiche, dolci e a tema. Pensiamo ai primi piatti, con i consueti tortellini, lasagne o tagliatelle al ragù. Da gustare nel dehors estivo, in uno degli angoli più suggestivi della città.

Stix Spiedini & Co | Bologna | via Santo Stefano, 8 | tel. 051 0285526 | www.spiedinistix.com

Il bel dehors di Vetro alle Serre dei Giardini Margherita a Bologna

Vetro alle Serre

Vetro è lo spazio di pausa e ristoro dedicato a chi vive le Serre dei giardini Margherita come spazio di lavoro o di cultura. Un luogo nato da un progetto di riqualificazione solo tre anni fa, e divenuto ben presto uno dei punti di incontro più frequentati dai giovani. 650 metri quadrati di coworking, spazi per esposizioni, eventi, uffici e ovviamente il bistrot, che da aprile dello scorso anno apre tutto l'anno e tutti i giorni. Qui ci si viene per una colazione veloce, ma anche slow durante il weekend (provate i loro lievitati, fatti nel laboratorio interno), per il pranzo, la merenda, l'aperitivo, da godere nello spazio esterno, senza obbligo di prenotazione. Da provare le piadine, le cui farciture e impasti variano ogni settimana, e nelle quali non mancano mai le verdure dell'orto, nato sull’area di quelli che un tempo erano i vivai ornamentali dei Giardini Margherita, e che oggi dialoga direttamente con la cucina: una parte dei suoi prodotti, siano ortaggi di antiche varietà o di recente introduzione, verdure dimenticate o, più semplicemente, spontanee, arrivano sui piatti del ristorante. Come il tortino di spinaci e carote, con carciofi al tegame al profumo di timo; i troccoli con cipolla caramellata e peperoncino; il burger con burrata, zucchine alla scapece e pomodorini confit con contorno di asparagi alla senape in grani o gli involtini di pasta fillo con melanzane affumicate.

Vetro alle Serre | Bologna | via Castiglione, 134 | tel. 370 3336439 | vetro.kilowatt.bo.it

Aperitivo nel dehors di ViVo - Vincenzo Vottero Taste Lab a Bologna

ViVo - Vincenzo Vottero Taste Lab

Lo chef Vincenzo Vottero non è nuovo alle novità (passateci il gioco di parole). Questa volta siamo in piazza di Porta Saragozza, all'ex Biavati, con un locale che riprende il suo nome: ViVo, Vincenzo Vottero Taste Lab. Insieme a lui tutto lo staff di cucina e di sala dell'Antica trattoria, e il socio Ugo Nazzarro. Qui unisce una cucina di ricerca, una miscelazione che scommette su tecniche all'avanguardia per l'abbinamento con i piatti e una linea di panificazione e pasticceria di alto livello. Tra le proposte, a seconda della stagione, passatelli con cozze, peperoni al bbq, semi di girasole e ostriche Fine Binic; ravioli di formaggio di fossa ed estratto di salvia, con cime di catalogna, saba (mosto cotto), anacardi bruciati al limone e bitter Dibaldo; tortellini con crema di fiori di zucca, tartufo nero e crumbles di Parmigiano Reggiano. E ancora ricciola con crema di nocciole e tartufo nero estivo; faraona marinata, carote viola, porri, aceto di mele o tagliata di totano, speck di Sauris e rosmarino, limone e radicchio trevigiano alla liquirizia. In estate il consiglio spassionato è di mangiare all'aperto, nel bel giardino all'inglese.

ViVo, Vincenzo Vottero Taste Lab | Bologna | piazza di Porta Saragozza, 6 | tel. 051 334568 | www.vivoristorantebologna.it

 

a cura di Annalisa Zordan

 

Mangiare all'aperto a Roma nell'estate 2017. 17 consigli da provare

Mangiare all'aperto a Napoli nell'estate 2017. 11 consigli da provare

Mangiare all'aperto a Milano nell'estate 2017. 11 consigli da provare

 

 

Estate allo Scalo all'ex Mercato Metropolitano di Milano. A Porta Genova ancora street food

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L'operazione vede la collaborazione del Comune con Confcommercio, e riaprirà al pubblico i 5mila metri quadri dello scalo ferroviario di Porta Genova, che durante Expo 2015 avevano battezzato l'esordio del Mercato Metropolitano. Ecco cosa si mangerà allo Scalo, che apre oggi. 

Il Mercato Metropolitano. Riassunto delle puntate precedenti

Del Mercato Metropolitano, quello originale che inaugurava il format poi replicato altrove (a Torino e Londra), abbiamo seguito le vicissitudini sin dall'inizio. Era la fine di aprile 2015, vigilia di Expo. E l'ex deposito ferroviario di Porta Genova si trasformava, sotto la supervisione di Andrea Rasca, ideatore del progetto, in uno spazio conviviale dedicato all'intera filiera alimentare, dal mercato ortofrutticolo ai banchi di trasformazione, a ristorantini e spazi all'aperto per consumare un pasto veloce, o trascorrere una serata estiva in compagnia, non lontano dai Navigli. E infatti, grazie pure all'adesione di note insegne meneghine, l'accoglienza del pubblico, nei primi mesi, fu calorosa: 2 milioni e mezzo di visitatori e 8 milioni di fatturato alla fine dell'estate. Corsi di cucina, degustazioni, attività per bambini e fiere gastronomiche animavano il calendario degli appuntamenti, l'area accessibile da via Valenza, completamente ristrutturata, sembrava finalmente aver trovato nuova collocazione. Poi, a settembre 2015, l'addio di Rasca, la procedura fallimentare con debiti per un milione di euro, il pignoramento e la chiusura obbligata dello spazio. Da allora, oltre un anno fa, il cancello di via Valenza 2 è rimasto serrato, l'area dello scalo di Porta Genova senza destinazione (ma di qualche giorno fa è l'approvazione definitiva del mirabolante progetto di riqualificazione che trasformerà gli scali ferroviari dismessi della città nei prossimi anni: un miliardo di euro di investimento per un'operazione che si protrarrà almeno fino al 2030, tra Porta Genova, Lambrate, Greco e Porta Romana).

Estate allo Scalo. Lo street food a Porta Genova

E invece, a sorpresa, da oggi l'ex Mercato Metropolitano si rifà il look per l'estate: si chiamerà semplicemente Allo Scalo, e resterà in attività dal 21 luglio al 14 ottobre, dalle 17 all'una di notte (dalle 11.30 nel weekend), come contenitore di eventi e intrattenimento per chi trascorrerà le settimane più calde in città. Non un'attitudine prettamente gastronomica, dunque – con campi sportivi, movie theatre sponsorizzato da Sky, parco giochi per bambini, spazio lettura con Il Libraccio – ma il cibo non mancherà, affidato alla proposta di un'ampia area food truck. Cinquemila metri quadri in tutto che tornano a disposizione di Milano per iniziativa congiunta del Comune e di Confcommercio, ribattezzata Estate allo Scalo, con l'idea di anticipare ciò che saranno gli ex scali ferroviari tra qualche anno. Per l'aspetto che più ci interessa, oltre allo stand della gelateria Il Rigoletto che organizzerà tutti i pomeriggi una scuola di gelato per bambini, sono diversi gli operatori di cibo di strada coinvolti, con una formazione che cambierà mensilmente. Aprono i giochi, tra gli altri, il truck di Mystic Burger dalla Brianza, i supplì dell'Apecesare, Tigellabella, Il Cannolo, God Save the Food (nella versione itinerante del format con diverse sedi stabili in città), Bobson, la Focaracceria Umbra, le lasagne di Sorry Mama, lo street food cinematografico di Spy Food. Molte proposte regionali, a fronte di un'unica alternativa etnica, il food truck di Asian Street.

Ricordiamo però che le cucine su ruote di Porta Genova non saranno l'unica alternativa per gli amanti dello street food che passeranno l'estate in città: da qualche giorno, Palazzo Marino ha pubblicato l'esito del bando che assegna la licenza di somministrazione nel centro di Milano a 50 tra apette e food truck. Qualche nome ve l'abbiamo già svelato.

 

Estate allo Scalo | Milano | via Valenza, 2 | dal 21 luglio al 14 ottobre 2017

 

a cura di Livia Montagnoli

Mense scolastiche. La nuova proposta di legge che fa discutere: in ballo il diritto al panino

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Nelle prossime settimane il ddl 2037 sarà al vaglio della Commissioni Agricoltura e Istruzione in Senato, decidendo le sorti del servizio di refezione scolastica, inquadrato come parte integrante delle attività formative ed educative della scuola. Ma i genitori insorgono: e il diritto al panino? 

I precedenti. La conquista del diritto al panino

Diritto al panino sì o no? La polemica che ha infiammato genitori e istituti scolastici per dirimere l'annosa gestione del servizio di ristorazione nelle scuole italiane, si riaccende un anno dopo la sentenza della Corte d'Appello di Torino, che ammetteva la possibilità di rinunciare alla mensa, fornendo i bambini di un pasto fai-da-te, da consumare in loco. Da quel momento, nel capoluogo piemontese, circa 6mila alunni – sui 40mila che frequentano la scuola dell'obbligo in città – si sono avvalsi del pranzo al sacco, e, sebbene in numero esiguo, anche i genitori di altre città d'Italia hanno colto l'opportunità per risparmiare sul servizio a pagamento in mensa, particolarmente esoso a Ferrara, Ravenna, e (ironia della sorte) Torino, che guidano la classifica delle mense più care della Penisola. Del resto, da qualunque prospettiva si guardi la cosa, il problema che coinvolge circa 5 milioni di studenti che mangiano a scuola finora ha sempre finito per scontentare qualcuno. In primis i diritti interessati, i bambini.

 

Petizioni e richieste sulla qualità dell'offerta

Non sono rari i casi di petizioni, sondaggi, ispezioni in cucina (molte avviate dalla Rete nazionale delle commissioni mensa, anche su base regionale o cittadina) che periodicamente chiedono di migliorare la qualità dei prodotti utilizzati e la varietà della proposta, spingendosi a volte al limite della ragionevolezza; qualche settimana fa, per esempio, mille genitori hanno depositato a Palazzo Vecchio una petizione per modificare il menu delle mense fiorentine, sulla base del gradimento dei propri figli. In poche parole, basta zuppa di cipolle, tortino di verdure, vellutata di zucca e quinoa, cecina, seppie in zimino, per scongiurare il rischio che i bimbi restino digiuni davanti a pietanze sgradite, e che il cibo vada sprecato. Largo invece a pasta con il tonno, carne rossa, bastoncini di pesce, platessa dorata, schiacciata, pane bianco. Un criterio quantomeno discutibile, per non dire diseducativo. Stessa situazione, peraltro, a Bologna, dove una ricerca di Ribò sul gradimento del servizio di refezione ha evidenziato che solo un alunno su tre finisce tutto quello che c'è nel piatto: in particolar modo, i bambini scartano regolarmente le verdure di contorno, e preferirebbero, invece, lasagne, hamburger, patatine, kebab, gelato e macedonia. Ma anche tortellini in brodo o al ragù, pasta alla carbonara e cibo cinese.

 

Ddl 2037. Articolo 5: la mensa è formativa

Molto più rincuorante la proposta del Governo, che alla fine di maggio, con il ministro Martina, ha presentato un emendamento alla manovra economica per sostenere la certificazione delle mense scolastiche che servono prodotti biologici, prevedendo al contempo un fondo che riduca la spesa a carico delle famiglie.Ma, per tornare al presente, in queste settimane al vaglio del Senato c’è il Ddl 2037, in materia di servizi di ristorazione collettiva; dopo gli emendamenti della Commissione Agricoltura, dopo l’estate, la legge passerà all’Istruzione, per poi approdare in Aula. L’iter, dunque, è ancora lungo (e la legislatura forse non altrettanto), ma come detto non manca di creare burrasca. Il passaggio discusso è contenuto nell’articolo 5, quando il testo si sofferma sul ruolo educativo della mensa: “I servizi di ristorazione scolastica sono parte integrante delle attività formative ed educative erogate dalle istituzioni scolastiche". E quindi obbligatori? Tra i genitori più agguerriti c’è chi teme che lo Stato stia cercando un nuovo sistema per fare cassa, minacciando a propria volta di correre ai ripari rifiutando per i bambini il tempo pieno, così che possano tornare a casa per pranzo. Chi invece questa legge l’ha presentata, la senatrice PD Angelica Saggese, difende il ddl, rivolto sì a individuare l’offerta più vantaggiosa per la concessione dell’appalto, ma comunque indirizzato “ad aumentare il livello del servizio, migliorando ciò che si mangia”. Rilanciando pure il valore egualitario della mensa, classificabile come servizio pubblico essenziale che la scuola non può sottrarsi dal fornire.

 

Gli impegni del Governo. Sicurezza, qualità, costi

Visioni opposte, quindi, che hanno finito per mettere in ombra le altre proposte più meritorie contenute nel testo. Come per esempio l’obbligo per il Governo di rimediare alla mancanza di spazi idonei al servizio di refezione in molte scuole italiane, o l’impegno a sottoscrivere accordi con istituti alberghieri per le gestione del servizio, che, secondo le nuove linee guida, non dovrebbe costare più di 5 euro a pasto. E ancora, la predisposizione di locali adeguati alla preparazione dei pasti in loco, la previsione della celiachia tra le patologie alimentari, la partecipazione dei genitori nelle commissioni mensa finora appannaggio del personale scolastico. L’idea di fondo è quella di ricostruire il rapporto di fiducia tra scuola e famiglie che sembra essersi incrinato, lavorando su costi, qualità, sicurezza e prevenzione. Ci riuscirà la nuova proposta di legge?

 

a cura di Livia Montagnoli

Libri sul cibo per l'estate. Mozzarella in carrozza. Ricette d'artista

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Mario Airò, Michelangelo Pistoletto, Emilio Isgrò, Mimmo Jodice, Alessandro Piangiamore: oltre alla loro attitudine artistica, questi personaggi – e molti altri - condividono la passione per la cucina. Ci spiega tutto Silvia Macchetto, che ha riunito le ricette di 40 artisti italiani in un volume originale e divertente.

L'autrice

Consulente nel campo della comunicazione delle arti e della cultura da oltre quindici anni per istituzioni pubbliche e private, Silvia Macchetto ha avuto nella vita il privilegio di conoscere tanti artisti. Originaria di Biella, classe '75, l'autrice vanta nel suo curriculum diverse collaborazioni per fiere artistiche, musei, gallerie, produzioni cinematografiche, oltre a tante esperienze all'estero, a cominciare dal lavoro presso l'Istituto Italiano di Cultura a Sidney nel 2002. Creativa e dedita al suo lavoro, la Macchetto ha nel tempo stretto rapporti solidi e duraturi con diversi personaggi del mondo dell'arte: da questi legami profondi, nasce l'idea divertente e insolita di creare un libro di ricette d'artista, raccogliendo le varie esperienze dei professionisti ai fornelli.

 

Il libro

Si chiama Mozzarella in carrozza. Ricette d'Artista, ed è un ricettario sui generis, giocato sulla sfera emotiva - fra salti nel passato e sperimentazioni artistiche – e sulla memoria sensoriale dei profumi di casa, i ricordi dei pranzi in famiglia e delle prime cene romantiche.

Una raccolta inedita che raduna i piatti di 40 diversi artisti, da Luca Trevisani a Marisa Merz, da Hilario Isola a Moira Ricci, da Alberto Garutti a Michelangelo Pistoletto, e molti altri ancora, con testi di Silvia Evangelisti, Anna Musini e Francesco Tramontano. “Si narra che un tempo una mozzarella viaggiò attraverso l’Italia su una carrozza nera. Furono necessarie alcune soste per interventi agli ingranaggi del mezzo [...] e intanto l’abitacolo si popolava di caratteri degni di un banchetto da re. Al suo servizio, un cavaliere fatto di pasta si faceva beffe di chi si imponeva un digiuno forzato, arricciandosi i capelli di fili di pasta”. Comincia così la prefazione di Silvia, che per il titolo del suo libro si è ispirata all'omonima opera di Gino De Dominicis, uno dei protagonisti dell'arte italiana del secondo dopoguerra. L'autrice continua, fra aneddoti storici e leggende, in un racconto verosimile, stimolante e suggestivo: “Il cavaliere narrò di aver incontrato a Firenze il conte Negroni che mescolava bacche di ginepro e alcol per una bevanda, a lui intitolata, che inebriava sensi e induceva al peccato”.

 

Il menu surreale

Oniriche sono, poi, anche le ricette stesse, tutte corredate da commenti e appunti dei vari artisti: “Ricette di un menu surreale, con accenti metafisici e declinazioni informali, pensate da viaggiatori incontratisi per caso con il loro bagaglio carico di minuziose ricerche e affilate differenze tra le pagine di questo libro”. Un viaggio gastronomico nelle vite e nei pensieri degli artisti, nella loro quotidianità fatta di sapori, pasti condivisi e bocconi veloci gustati frettolosamente, comfort food e ricette storiche tramandate da generazioni. Una (ri)scoperta dei piatti di una volta, dei rituali che accompagnavano la preparazione del pranzo nel passato, dei proverbi legati alla tavola, le usanze e le abitudini. Niente dosi precise o spiegazioni puntuali: il volume è una bacheca dei ricordi, prima ancora di un ricettario, che attraverso gli aneddoti di vita personale di ognuno richiama la memoria collettiva di un intero Paese. Ma il volume non raccoglie solo ricette della tradizione: ci sono anche i cocktail, gli antipasti più leggeri, e naturalmente i dolci, per una collezione ampia e variegata di sapori e profumi.

 

Le ricette

E così, troviamo la Panzanella Toscana di Moira Ricci, il Gattò di patate di Emilio Sgrò, i Capelli d'angelo con olio e parmigiano di Ettore Spalletti e la Genovese di Mimmo Jodice. Accanto a ogni piatto, storie e fotografie: “Questa ricetta è diventata il comfort food della mia famiglia da ormai diversi anni. La ricetta originale trovata nel New York Times mi era servita da guida indicativa ma in realtà ho sempre cucinato un po' a spanne sena mai seguire istruzioni metodicamente e mai pesando o dosando accuratamente i vari ingredienti”, racconta per esempio Francesco Simeti nella sua spiegazione della Zucchini Pasta. O ancora: “A casa mia era sempre e solo mia madre a cucinare e le sue assenze da casa erano rarissime […] Per la maggior parte delle volte, e delle pietanze, mia madre lasciava predisposto tutto, a eccezione della pasta. E pressoché ogni volta mio padre ci preparava gli spaghetti con aglio olio peperoncino e acciughe”, spiega Mario Airò nella sua ricetta Profumo del Sud. Il volume continua così, fra spaccati di vita quotidiana e piatti gustosi che ripercorrono tradizioni gastronomiche dal Nord al Sud Italia.

 

La ricetta: La Genovese di Mimmo Jodice

La Genovese è un rito, un piatto che si prepara quando c'è tutta la famiglia riunita e solo per gli amici che ami. Intorno al nome ci sono molte leggende: un cuoco genovese in un'osteria del porto, che preparava un piatto di carne e cipolle? O quella più romantica dove si parla di un certo Monsù, cuoco di Genese, e da qui Genovese? Certo è che la preparava mia madre, la mia nonna, mia zia”.

 

Ingredienti

cipolle rosa o ramate

gamboncello o muscolo di spalla

ziti spezzati a mano o paccheri

1 bicchiere di vino bianco

sale

olio EVO

3 o 4 foglie di alloro

parmigiano a piacere

 

Gli ingredienti sono importanti: le cipolle non devono essere quelle bianche ma quelle rosa o ramate. Come carne uso solo il gamboncello o muscolo, quello di spalla, quarto anteriore. Come pasta preferisco gli ziti spezzati a mano; buoni i pezzettini che si creano da questa operazione, servono ad amalgamare il sugo. Vanno bene anche i paccheri, i rigatoni, le penne. Inizio: in una pentola larga, non troppo alta, metto olio d'oliva e, quando è caldo, il gamboncello tagliato a pezzi. Lo faccio rosolare e quando è diventato biondo, metto un bicchiere di vino bianco. Intanto ho tagliato le cipolle a fettine e, quando il vino è evaporato, metto il sale e le cipolle. Copro il tutto e lascio cuocere a fuoco lento. Lento, lentissimo e bisogna girare spesso e sorvegliare. Tre ore di cottura, più o meno. La cipolla sarà diventata cremosa e la forchetta affonderà bene e lieve nella carne. Importante quasi alla fine mettere tre, quattro foglie di alloro; danno un buon profumo e aiutano la digestione. Cuocere la pasta in acqua abbondante, cottura al dente o come si preferisce. Colarla, rimetterla nella pentola e condirla con una parte del sugo. Mescolarla e versarla in un bel contenitore largo e metterci il resto del sugo. Il formaggio deve essere a parte. La carne va servita a parte con vari contorni.

 

Mozzarella in carrozza. Ricette d'artista – Silvia Macchetto | ed. Produzioni Nero | Euro 20,00

 

a cura di Michela Becchi

 

Libri sul cibo per l'estate. Bee Happy. Storie di alveari, mieli e apiculture

Libri sul cibo per l'estate. Lima, Cucina dal Perù www.gamberorosso.it/it/food/1045546-libri-sul-cibo-per-l-estate-lima-cucina-dal-peru

 


 

Una “piazza” romana nel cuore di New York per Danny Meyer. Arrivano Caffè Marchio e Vini e fritti

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Il più grande imprenditore della ristorazione newyorkese scommette ancora sulla sua passione per l'Italia e la cultura gastronomica italiana. Dopo Maialino e la pizzeria Marta, arrivano Caffè Marchio e Vini e fritti: bar all'italiana e tavola che celebra il rito dell'aperitivo. Aspettando Martina all'East Village. 

Danny Meyer e l'Italia. L'imprenditore newyorkese che ama Roma

Che uno dei più grandi ristoratori americani di sempre ami tanto la Capitale, e la sua cucina, non è un dettaglio da poco. Non se consideriamo che una delle sue scommesse sulla piazza gastronomica newyorkese, Danny Meyer ha scelto di chiamarla Maialino (dal 2009 al Gramercy Park Hotel, ancora viva e vegeta), traendo spunto in tutto e per tutto dal modello della trattoria romana, dall'atmosfera rilassata al cibo nel piatto. Del resto, come Meyer ci ha raccontato tempo fa in occasione di una visita presso la residenza dell'ambasciatore americano a Roma, il colpo di fulmine per l'Italia e la sua cultura dell'ospitalità è scattato molti anni fa, quando appena ventenne lavorava come guida turistica per la compagnia di suo padre. Poi gli studi di politica internazionale, ancora a Roma, e diversi viaggi di “aggiornamento” in città. Oggi, a quasi 60 anni, l'imprenditore è a capo dell'Union Square Hospitality Group, impero della ristorazione che vanta un gran numero di insegne nella Grande Mela – a rafforzare la voce italian style, dopo Maialino è arrivata anche la pizzeria Marta – da quell'Union Square Cafè fondato nel 1985 (dalla fine del 2016 nella suanuova sede) alla catena di “fine casual food”, come la definisce lui, più popolare in città, Shake Shack, nata nel 2001 all'interno di Madison Square Park. La passione per Roma, però, non l'ha mai persa. Come la voglia di lanciarsi in sfide sempre nuove, anche ora che il suo curriculum potrebbe infondergli un senso di profondo appagamento.

 

La “piazza” romana tra i grattacieli di New York

E con la prossima impresa raddoppia la posta in gioco: caffetteria da un lato, fritti alla romana, bollicine e aperitivi dall'altro. Il primo progetto, Caffè Marchio, aprirà al pubblico già alla metà di agosto, la seconda insegna, Vini e Fritti, sarà operativa dal mese di settembre, come riferisce il New York Times. Entrambi nascono come costole della pizzeria Marta, al piano strada di quello che oggi si chiama The Redbury New York e tre anni fa, quando la pizzeria ha aperto battenti, era il Martha Washington Hotel, distretto di Flatiron. L'idea di Meyer, insomma, è quella di ricreare una “piazza” gastronomica che dalla convivialità italiana prenda spunto per presentare cibo semplice, di qualità, all'uso romano, come la pizza proposta da Marta, bassa e croccante. A supervisionare l'offerta lo chef Joe Tarasco, già alla guida della pizzeria, che sarà collegata ai nuovi spazi da un lungo corridoio che attraversa l'hotel. Da Caffè Marchio si potrà consumare un caffè al banco (dalla torrefazione Joe Coffee, tra gli investimenti recenti dell'USHG), solo un'opzione, senza troppi fronzoli: un blend di robusta dal gusto profondo. Ma pure in versione shakerata, con ghiaccio, granita. Cornetti, lieviti e dolci saranno a cura di Jessica Weiss, pastry chef di Maialino e Marta, mentre per il salato si sceglierà tra una selezione di panini.

Ma l'anima più godereccia della piazza sarà il wine bar Vini e Fritti, che celebrerà il rito dell'aperitivo con zucchine pastellate, fiori di zucca alla romana, fritto misto, frutti di mare, vino e bollicine, da consumare su sgabelli alti o al bancone del bar, solo 15 posti in tutto.

Con un altro coniglio nel cilindro per i newyorkesi che amano il made in Italy: la pizzeria satellite Martina, guidata da Nick Anderer, che aprirà tra qualche settimana all'East Village per servire pizza (alla romana, come si intuisce dalla colorita grafica che anticipa l'arrivo del sito web), polpette, crocchette di patate, gelato e vino. Qualcuno a New York già parla di un'alternativa in stile Danny Meyer al made in Italy di Eataly. Di sicuro lui si diverte molto. Sarà il segreto del suo successo?

 

a cura di Livia Montagnoli


Bake in space, il progetto per portare il pane fresco in orbita

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Dopo l'introduzione di insalate e riso integrale, nello spazio arriva anche il pane fresco, realizzato mediante un forno e un impasto speciale, studiato per non creare briciole. Tutti i dettagli. 

Mangiare in orbita

Dell'alimentazione nello spazio avevamo già parlato: la dieta per gli astronauti è ferrea e limitata, ma la selezione di pietanze disponibili a bordo sta iniziando ad aumentare. Il cibo, infatti, gioca un ruolo fondamentale per il fabbisogno alimentare in un ambiente di micro gravità, oltre che  per una serena e pacifica convivenza. Ma a differenza di quanto succedeva negli anni '80, gli astronauti non si nutrono più solo di pillole e barrette: il panorama sta cambiando, e comprende ora riso integrale, pollo, lasagna, insalate e dolci. A integrazione del cibo fornito dalla NASA, ci sono quindi degli alimenti extra, i cosiddetti Bonus Food, una sorta di integrazione studiata in maniera personalizzata per ogni astronauta, che può esprimere le proprie preferenze gastronomiche ed esigenze alimentari.

 

Il progetto

Nel menu dei 'freschi' è già possibile, dunque, trovare l'insalata coltivata a bordo (il primo raccolto risale all'agosto del 2015) e il caffè espresso preparato con una macchinetta 'made in Italy', a cui si andrà – sperabilmente – presto ad aggiungere anche il pane, realizzato su misura da un team di ricercatori. Il forno è pressoché lo stesso, a cambiare invece è l'impasto, pensato ad hoc per evitare eventuali rischi per i passeggeri a bordo. Bake in space è l'ultima novità in campo tecnologico che permetterà – se otterrà le certificazioni necessarie per la missione – agli astronauti di produrre pane fresco anche nello spazio. Si tratta, infatti, di un forno speciale, dove poter cuocere un impasto ideato per non creare briciole fluttuanti in assenza di gravità. A lavorare al progetto, una squadra di scienziati e ingegneri aerospaziali, in collaborazione con OHB System AG, una delle principali realtà indipendenti specializzate in missioni spaziali e impegnata nella costruzione del forno. A testare il prodotto invece, i ricercatori e gli studenti di ZARM, centro di tecnologia dello spazio applicata e microgravità.

 

Gli esperimenti

A godere del pane fresco saranno i professionisti della missione dell'Agenzia Spaziale Europea Horizons, guidata dal tedesco Alexander Gerst. Le prime prove avverranno nel 2018 e, se l'esperimento dovesse andare a buon fine, la lista dei cibi già disponibili da gustare in orbita potrebbe aumentare notevolmente. La criticità maggiore del pane riguarda le molliche, che potrebbero disperdersi nell'aria ed essere accidentalmente respirate dagli astronauti, oppure ancora danneggiare la strumentazione di bordo. Finora, infatti, gli unici prodotti da forno ammessi erano le tortillas. “Se l'esperimento Bake in space otterrà tutte le certificazioni per la missione verrà portato a bordo della Iss, e sarà molto interessante per la fornitura di cibi freschi nelle missioni a lunga durata, come per esempio nel viaggio verso Marte”, ha commentato Volker Schmid, responsabile di Horizons per la Dlr.

 

bakein.space/

a cura di Michela Becchi

 

Bando in Puglia per avvicinare i giovani all'agricoltura. Finanziamenti per gli under 40

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Via libera a uno dei piani di sviluppo più attesi dalla Regione Puglia: il Pacchetto Giovani, dedicato all'inserimento degli under 40 nel settore agricolo, ha aperto ufficialmente le domande, da presentare entro ottobre 2017. 

Il progetto

Rientra nel programma di Sviluppo rurale 2014-2020 della Puglia, il portale telematico da poco reso attivo che garantisce ai giovani di presentare un piano aziendale per richiedere i finanziamenti del Pacchetto Giovani. Si tratta, nello specifico, di un bando dedicato al primo insediamento in agricoltura degli under 40, con l'obiettivo di assistere gli aspiranti contadini nel processo di avviamento delle imprese agricole innovative e sostenibili. Online dallo scorso 18 luglio, il bando si impegna a favorire il ricambio generazionale con una dotazione finanziaria complessiva di 40 milioni di euro. Ma come funziona esattamente?  L’erogazione del premio di primo insediamento sarà effettuata in tre rate e distribuita diversamente a seconda delle esigenze: per i giovani che si insediano in un’azienda preesistente il sostegno è compreso tra i 40mila (zone ordinarie) e i 45mila euro (zone svantaggiate e aree C e D); per i giovani, invece, che costituiscono ex novo un’impresa agricola il contributo è di 50mila (zone ordinarie) o 55mila euro (zone svantaggiate ed aree C e D).

 

L'obiettivo

Con questa prima operazione, si punta al coinvolgimento di “centinaia di ragazze e ragazzi pugliesi che metteranno a sistema idee innovative in favore del nostro territorio e del comparto agricolo”, ha evidenziato il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano. E aggiunge: “Abbiamo accumulato ritardi fisiologici ma recupereremo grazie a un sistema informatico celere e trasparente per descrivere, così come da bando, la proposta progettuale. Abbiamo il più alto numero di aziende agricole in Italia, pari al 17,4% delle imprese agricole presenti sul territorio nazionale, ma possiamo e dobbiamo crescere ed evolverci, soprattutto in termini di qualità e di posizionamento in Italia e all'estero". L'obiettivo? “Dare un nuovo impulso occupazionale, consentendo, altresì, ricambio generazionale, con un’agricoltura tecnologica e sostenibile da un punto di vista economico e ambientale”, spiega l'assessore regionale alle Risorse agroalimentari Leonardo di Gioia.

 

Il settore agricolo pugliese

È già possibile presentare le domande di sostegno previste dal bando, fino a l prossimo ottobre, attraverso il portale dedicato (pma.regione.puglia.it/), “che consentirà di espletare tutte le procedure previste e offrire alle startup giovanili tutto il sostegno per mettersi al lavoro”. Un progetto significativo, che potrebbe apportare ampi miglioramenti a uno dei settori cruciali dell'economia pugliese, da sempre molto attivo ma attualmente carente di “idee innovative, giovani formati e competitivi in grado di far crescere la nostra regione e dare slancio e valore a un settore considerato da sempre tradizionale”. Le aziende agricole pugliesi, infatti, sono molto numerose, “ma possiamo e dobbiamo crescere ed evolverci, soprattutto in termini di qualità e di posizionamento in Italia e all'estero”.

a cura di Michela Becchi

La focaccia e i suoi derivati: 8 specialità dalla Campania e la ricetta del tortano

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Preparazioni sostanziose, che un tempo avevano il compito di sfamare contadini, oggi diventate appetitosi street food o golose pietanze da gustare anche in pizzeria. Sono le focacce campane: ve ne raccontiamo 8 con la ricetta del tortano.

Ciccioli, uova, pepe, sugna: sono gli ingredienti delle focacce campane, prelibatezze le cui origini affondano nel tempo ma che, grazie al lavoro di pizzaioli e cuochi, sono diventate pietanze moderne. Ve ne raccontiamo 8, con la ricetta del tortano di Capatosta, pizzeria di Recale, premiata dall’edizione 2017 della guida Pizzerie d’Italia con Uno Spicchio.

 

Casatiello, tipica focaccia ripiena napoletana - foto di La voce di NapoliCasatiello - foto di La voce di Napoli

Casatiello e tortano

Iniziamo due focacce dalle lunghe lievitazioni, abbastanza celebri anche al di fuori del confini regionali: casatiello e tortano.

Il casatiello è per eccellenza uno dei prodotti tipici della Pasqua, immancabile sulle tavole campane della Settimana Santa, ma anche nel menu dei pic nic di Pasquetta.

Il suo nome deriva dalla parolacas’, che in dialetto napoletano vuol dire cacio: ha origini sono molto antiche, ma le prime tracce della sua diffusione nell’area partenopea risalgono al 1600 circa. La versione originale era una pasta di pane arricchita da formaggio, strutto, ciccioli (qui chiamati cicoli), salumi, uova sode e abbondante pepe: per questo nel napoletano è spesso chiamato casatiello ‘nzogna e pepe.

Al di fuori della regione, non molti conoscono la sua versione dolce, diffusa soprattutto a Caserta, ma anche a Monte di Procida e nell’area di Nola. Gli ingredienti sono farina, lievito, strutto e zucchero: l’impasto è poi arricchito con diversi prodotti, secondo la zona in cui è preparato, come acqua di fiori d’arancio, canditi, aromi di vario tipo, scorze di agrumi. Infine, la superficie è ricoperta dal naspro (una glassa ottenuta mescolando lo zucchero a velo con albume e gocce di succo di limone) e decorata con i diavulilli, cioè i confettini di zucchero.

Il tortano è un prodotto più semplice e anche meno conosciuto, probabilmente antenato del casatiello: la differenza principale sta nell’uso delle uova sode. Nel primo, le uova sono inserite intere, da crude, direttamente sulla superficie della torta, in modo che sporgano un po’ e si cuociano insieme al casatiello, mentre nel tortano sono bollite e si mettono a spicchi all'interno dell'impasto e, in alcune zone, si eliminano dalla ricetta. Anche in questo caso una pietanza pasquale, ma non è raro trovarla anche in altri periodi dell’anno.

Ci siamo fatti regalare la ricetta del tortano da Capatosta, pizzeria di Recale, in provincia di Caserta, premiata dall’edizione 2017 della guida Pizzerie d’Italia con Uno Spicchio.

 

Ciaolone

Una preparazione della zona del Sannio beneventano, simile a una torta salata molto alta. Gli ingredienti necessari per realizzare il ciaolone sono farina, acqua, sale e lievito madre. All’interno è farcito con formaggi morbidi, uova e, più raramente, con dei salumi locali. Ha una forma semicircolare e un tipico segno in cima, che si crea naturalmente quando la torta si gonfia durante la cottura, spaccandosi in superficie.

Nella provincia di Benevento si mangia sia a colazione che a merenda: nel primo caso accompagnato da caffelatte o tè, nel secondo insieme a un buon bicchiere di vino bianco locale. È ormai una specialità molto rara, realizzata soprattutto dai forni storici e in casa

 

panuozzo - foto di Scopri SalernoPanuozzo - foto di Scopri Salerno

Panuozzo

Prodotto tipico dei Monti Lattari, soprattutto nell’area di Gragnano, dove è un sostituto della pizza. Il suo nome richiama l’idea di una grande panino ed effettivamente l’estetica del panuozzo non è molto distante da questa immagine: una sorta di sandwich allungato creato con l’impasto della pizza, aperto in orizzontale e farcito all’interno (o, più raramente, in superficie). Viene riempito con mozzarella o scamorza, pomodori, verdure grigliate, affettati e salumi di vario tipo, ma anche con acciughe o sarde. Una volta inserita la farcia è rimesso velocemente in forno per scaldare e amalgamare il tutto.

Nella sua versione attuale, sono diversi gli abbinamenti utilizzati per la farcia: uno tipico è quello con salsiccia e friarielli, ma si trova spesso anche il panuozzo con la parmigiana di melanzane, quello pancetta, provola e funghi, oppure, molto più semplicemente, pomodoro, mozzarella e basilico.

 

Pizza di farinella bacolese

Un’antica torta rustica tipica del martedì grasso: è la pizza di farinella di Bacoli, un comune della città metropolitana di Napoli, diffusa anche nella penisola sorrentina. Chiamata anche migliaccio salato opastiera dei poveri, è prima cotta sul fuoco come si fa con la polenta, poi arricchita con ciccioli, salame, pecorino grattugiato e infine messa in forno. L’ingrediente principale una volta era il miglio (da cui la somiglianza con il migliaccio, che è invece un dolce oggi fatto con il semolino), in tempi moderni sostituito dal mais, prima il bianco e poi il giallo. All’interno, ogni famiglia metteva quel che aveva nella dispensa: pezzi di provolone o scamorza, pecorino e parmigiano grattugiato, pepe, qualche rimasuglio di salame, ma anche gli spaghetti avanzati, come si fa con la frittata.

Oggi esistono diverse varianti locali della pizza di farinella: a Bacoli, ad esempio, è tradizionale quella ripiena di salumi, uvetta e pinoli, da mangiare insieme alla minestra maritata. Nell’area di Sorrento, invece, è solitamente arricchita da salsicce fresche tagliate a pezzettini e soffritte, più uva passa, cosa che regala al prodotto un sapore particolare rispetto alla versione classica, risultato dell’abbinamento dolce-salato.

 

Pizza chiena irpina - foto di Mestolo e zuppieraPizza chiena irpina - foto di Mestolo e zuppiera

Pizza chiena irpina

Ci spostiamo nell’area di Avellino per raccontare la pizza chiena, una focaccia ripiena molto sostanziosa che doveva sfamare i contadini dell’entroterra irpino. Le sue origini non sono note, quale che si sa è che la ricetta è molto antica ed era preparata prevalentemente nel periodo pasquale. Come spesso accade, era una pietanza svuota dispensa: all’interno si mettevano pezzi di salsiccia secca, pancetta o soppressata, formaggi di vario tipo, ricotta di pecora e tante uova, ingrediente disponibile presso i contadini in grandi quantità. Il tradizionale colore giallo del ripieno è dato proprio dalla presenza delle uova, che sono previste sia nell’impasto, che nella farcia: il risultato è una focaccia croccante all’esterno, che racchiude un ripieno molto soffice.

Anche in questo caso esistono parecchie varianti: una di queste è la pizza cu la ricotta, diffusa soprattutto nell'alta e media Valle del Calore: all’interno si trovano ricotta mista di pecora e vacca più salumi vari, soprattutto salsicce o soppressate.

Un’altra preparazione tipica del territorio irpino è la pizza migliazza cu li frittole, chiamata così perché originariamente fatta con il miglio, ma oggi realizzata con il frumento e ripiena di pecorino e frittole, altro nome utilizzato in Campania per indicare i ciccioli di maiale. Per tradizione si mangia insieme alla minestra maritata.

 

Pizza di scarole - foto di Grande Napoli

Pizza di scarole

 

Pizza di scarole

Prima che la pasta si diffondesse sulle tavole partenopee - cioè prima del XVIII secolo - i napoletani erano comunemente chiamati “i mangiaerbe”, soprannome che derivava dall’abbondanza di preparazioni contenenti scarola o biete. La pizza con la bieta (pizza con la jeta) è infatti l’antenata di quella di scarole, e ancora oggi in alcune zone della Campania si trovano entrambe le versioni.

Il procedimento per creare questa prelibatezza è molto semplice, con l’impasto della pizza cotto direttamente con il ripieno. In origine si usava bollire la scarola (quella liscia) e poi inserirla semplicemente all’interno della focaccia. Nelle versioni moderne invece, la scarola è cotta in padella insieme all’aglio, alle olive nere di Gaeta, ai capperi, ai pinoli, all’uva passa e alle acciughe sotto sale. È la pietanza tradizionale del cenone della vigilia di Natale, quando si deve consumare un pasto leggero, ma oggi si trova in commercio anche durante tutto l’inverno.

 

Scanata del Sannio

Un’altra specialità dalle zone del Sannio beneventano dalle origini molto antiche. Il suo nome potrebbe derivare sia dalla parola greca ìscanan, che vuol dire raffreddare, sia dalla contrazione di scanestrare, cioè estrarre dal canestro, il contenitore in vimini in cui si mette l'impasto preparato con farina, acqua, sale e lievito naturale. Lì lieviterà per almeno un’ora e mezza, questo passaggio regala alla focaccia un colore ambrato in superficie.

Si può mangiare sia calda che fredda, tagliata a quadretti e accompagnata da formaggi freschi, olive e salumi. In alcuni casi è tagliata in orizzontale e condita come si fa con il pani cunzatu siciliano. Anche questo prodotto è diventato molto raro: in genere si cucina in famiglia, ma si può trovare anche in qualche forno storico della provincia.

 

Ricetta del tortano della pizzeria Capatosta di Recale (Caserta)

 

Ingredienti

 

1,7 kg di farina 00

1 l di acqua

45 g di sale

2 g di lievito di birra

10 uova sode

300 g di prosciutto cotto

300 g di salame

300 g di cicoli napoletani (ciccioli)

300 g di formaggio non molto stagionato (piccante o dolce a piacere)

pepe

strutto

 

Procedimento

Per realizzare l’impasto iniziare mettendo l’acqua in un contenitore e aggiungendo prima il sale e poi, poco per volta, metà dose di farina. Incorporare il lievito e il resto della farina. Lasciare lievitare per 12-14 ore a temperatura ambiente, coprendo il recipiente con un canovaccio: la massa deve raddoppiare il suo volume.

A questo punto stendere l'impasto creando un disco non troppo sottile: ungerlo con lo strutto o, in alternativa, con un buon olio extravergine d’oliva. Spezzettare gli ingredienti del ripieno, inserirli al centro e arrotolare su se stessa la pasta. Ungere unruoto (la teglia con il buco al centro utilizzata di solito per i dolci) e mettere la focaccia all’interno. Spennellarla in superficie con del rosso d’uovo e infornarla a 200 gradi per circa 40 minuti, se possibile nel forno a legna. Lasciare raffreddare, tagliarla a fette e servirla.

 

Capatosta | Recale (CS) | via Guglielmo Marconi, 80 | tel. 0823 493188 | www.facebook.com/Pizzeriacapatosta

 

 

 

a cura di Francesca Fiore

 

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Cashless Challenge. La sfida di Visa: 10mila dollari ai ristoranti per eliminare pagamenti in contante

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Parte dagli Stati Uniti la sfida di Visa, che vuole favorire la transazioni elettroniche al ristorante aiutando i piccoli esercenti a convertirsi al pos. Per 50 tra ristoranti, caffè ed esercizi street food 10mila dollari in cambio del rispetto di una regola: non accettare pagamenti in contante. Funzionerebbe in Italia? 

Contanti o carta?

Contanti o carta? La domanda è così ricorrente – anche se in Italia molti sono ancora restii a farne l'uso disinvolto abituale in altri Paesi – da consolidare due opposte fazioni: i sostenitori del Pos senza remore da un lato, gli assertori del portafoglio sempre pieno in caso di necessità dall'altro. Ribaltando la prospettiva sul versante degli esercenti, una certa resistenza ad agevolare il pagamento elettronico è ancora condivisa da tante piccole attività. Negli Stati Uniti, per esempio, oltre il 60% delle transazioni inferiori ai 10 euro viene effettuata in contanti: il dato sale moltissimo se ci spostiamo in Italia. Chi invece sembra aver adottato con convinzione il sistema cashless è la Svezia, che guida la classifica dei Paesi più inclini al pagamento elettronico, anche quando si tratta di cifre contenute. Anzi, sono molti gli esercizi commerciali che accettano solo pagamenti con carta (quante volte capita di trovarsi nella situazione contraria in Italia?). L'ultima iniziativa di Visa, uno dei circuiti di transazione elettronica più diffusi nel mondo insieme a Mastercard, cerca proprio di sollecitare esercizi commerciali e consumatori all'uso più consapevole e frequente della carta.

 

Cashless Challenge. Al bando il contante al ristorante

Come? Lanciando la cosiddetta Cashless Challenge, rivolta principalmente a ristoranti, caffè ed esercizi di street food. Le regole del gioco sono semplici: a 50 attività selezionate dal circuito tra quelle ancora sprovviste di pagamenti contactless saranno offerti 10mila dollari da investire nell'upgrade della propria infrastruttura di pagamento. In cambio, però, gli esercizi dovranno garantire l'uso esclusivo del sistema cashless, accettando solo transazioni con carta o cellulare. Al bando i contanti, dunque. Chiaro il tornaconto di Visa, intenzionata ad applicare le proprie commissioni su un volume di transazioni sempre maggiore, altrettanto vero quanto sostiene Jack Forestell, responsabile Global merchant solutions di Visa, nel lanciare l'iniziativa, in vigore dal mese di agosto: “Crediamo che possa essere semplice effettuare o ricevere un pagamento ovunque si sia in qualsiasi modo, che si tratti di un cellulare, una carta o un wearable. Con il 70% del mondo (più di 5 miliardi di persone), che sarà connesso in mobilità entro il 2020, abbiamo la straordinaria opportunità di educare esercenti e consumatori sull’efficacia della soluzione cashless”.

E infatti, dopo l'imminente test americano, l'idea è quella di stanziare 500mila dollari per replicare la sfida altrove, magari anche in Paesi più conservatori, come l'Italia. E il “cashless culture movement”, come lo definisce la piattaforma Visa dedicata, potrebbe garantire nuove possibilità di guadagno al settore della ristorazione (si pensi alla semplificazione dei sistemi di pagamento e allo smaltimento rapido delle code, ma pure alle formule prepagate e ai pagamenti anticipati contro il no show), non a caso il primo a essere coinvolto nella sfida da Visa. 

 

a cura di Livia Montagnoli

Cannavacciuolo apre a sorpresa il suo Bistrot a Torino: bagno di folla

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Ha sorpreso tutti con una prima in sordina, per pochi intimi, che ha subito scatenato la curiosità di torinesi e stampa. Ma da oggi il Bistrot dello chef Antonino Cannavacciuolo a Torino apre ufficialmente al pubblico: già tutto esaurito per la prima settimana. Ecco com’è. 

Il Bistrot di Antonino Cannavacciuolo

Negli ultimi giorni aveva fatto la spola con Torino, presentandosi spesso in città per seguire gli ultimi dettagli di uno dei cantieri che più hanno destato la curiosità da quando Antonino Cannavacciuolo, un anno fa, annunciava l’intenzione di aprire a Torino. L’idea, e da oggi si vedrà se il risultato rispecchia le aspettative, era quella di ricreare a pochi metri dalla Gran Madre, un nuovo Bistrot, sul modello della fortunata esperienza di Novara, dove lo chef campano ha rilevato il vecchio Bar del teatro Coccia per farne un punto di riferimento della ristorazione casual in città. Più di recente, sempre a Novara, Cannavacciuolo ha ristrutturato anche una pasticceria storica, che oggi, guidata da Kabir Godi (sotto l’insegna di Cannavacciuolo Bakery), rifornisce il Bistrot di lieviti per la colazione e dessert più elaborati. Ma gli sforzi degli ultimi mesi si sono concentrati soprattutto nel capoluogo piemontese, per trasformare i locali di via Cosmo – ospitati in un palazzo di fine Ottocento - in uno spazio rilassato e confortevole, allestito secondo i principi del feng shui, con particolare attenzione all’acustica.

Il Bistrot di Torino. Lo spazio, il menu

Il Bistrot torinese, del resto, si snoda in più sale – una cinquantina i coperti al piano strada – e pur mantenendo l’accoglienza informale che caratterizza la formula originale (meno contenuti, invece i prezzi, con antipasti che oscillano tra i 18 e i 25 euro, secondi sui 30), non vuole lasciare nulla al caso. Fatto sta che dal primo servizio ufficiale, previsto per oggi 24 luglio, si comincia con un numero di prenotazioni ridotto (già tutto esaurito per la prima settimana), espediente necessario al rodaggio della squadra, guidata, in cucina e sala, da allievi campani dello chef. E, a sorpresa, i primi ospiti hanno sperimentato la cucina del Bistrot già ieri, durante l’inaugurazione domenicale per pochi intimi. Da oggi, invece, si comincerà a procedere per step successivi: subito operativo il dehors affacciato su via Santorre di Santarosa, in inverno aprirà al pubblico anche la sala sotterranea, in un ambiente più intimo con soffitti a volta e mattoni a vista. Moderna e super attrezzata, invece, la cucina (a vista, come la cantina), dove si lavorerà su una proposta che omaggia la Campania e la cultura mediterranea, sfruttando però anche i grandi prodotti piemontesi che Cannavacciuolo ha imparato a conoscere bene in tanti anni di Villa Crespi.

E infatti, come anticipa Scatti di Gusto, in menu (disponibile anche un degustazione a 70 euro per sei portate), la battuta di fassona piemontese affianca le melanzane con pomodoro e colatura di provola, il tonno vitellato con maionese di bottarga, il polpo alla luciana. Tra i primi lo Spaghetto di Gragnano ai sapori di mare e il Riso Carnaroli aglio, olio e bottarga, la Triglia alla pizzaiola e il Maialino da latte con mela verde e pop corn. Dolci golosi tra Nocciola, nocciola, nocciola, Cioccolato e arachidi e Cannolo di ricotta. Si apre a pranzo e cena, con aperitivo (12.30-15, 19-23), dal lunedì al sabato. Chiuso la domenica. Niente colazione, almeno per ora, a differenza della formula di Novara.

 

Cannavacciuolo Bistrot | Torino | via Umebrto Cosmo, 6 | www.cannavacciuolobistrot.it

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