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D'O. Il nuovo Tre Forchette di Davide Oldani a Cornaredo

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Dalla trattoria di rango a un nuovo locale che eleva il concept Pop e lo trasforma in un approccio sempre più etico, centrato, evoluto, di grande cucina accessibile: è la nuova era di Davide Oldani, freschissimo Tre Forchette per la guida Milano del Gambero Rosso.

È il creatore della cucina Pop, quella formula di alta cucina popolare altamente accessibile. Aperta a tutti e che esonda dal limite specifico del cibo per aprirsi a un approccio complessivo all'alimentazione e allo stile di vita. Perché Davide Oldani non ha mai esitato: per lui il cibo è uno degli elementi chiave del benessere, insieme all'attività fisica (e qui pesa il suo passato da sportivo) e a tutte quelle attenzioni che permettono di vivere meglio, si tratti di accorgimenti legati al comfort, o della necessità di recuperare una dimensione più ludica e leggera, fino ad abbracciare un atteggiamento sempre più etico e responsabile. Sono tutte riflessioni che incrociano quelle relative alla cucina, da questa assorbiti con forza centripeta e poi rielaborate in una formula di sintesi estrema che ha valso, allo chef di Cornaredo, le Tre Forchette per la guida Milano 2018 del Gambero Rosso.

Oldani, lo sport e la cucina

C'è stato un momento che le due carriere – quella in cucina e quella sul campo da gioco - parevano viaggiare su binari paralleli, col calcio che ambiva a traguardi professionali. Poi però il cibo ha preso il sopravvento: “il coinvolgimento della cucina era più forte” con quella pretesa di studio continuo, di sacrifici che rubano ore e attenzione e le concentrano tutte intorno a quell'idea di ristorazione che negli anni Oldani è andato formando. E se pure la passione è stata determinante, gli stimoli continuano ancora oggi a essere linfa indispensabile, e implicano uno sguardo aperto su quanto accade anche lontano dai fuochi. Perché Oldani è così, e parlare di lui solo come cuoco forse non basta.

Gli inizi

L'alberghiero prima, gli stage d'alto rango poi: Alain Ducasse, Albert Roux, Pierre Hermé e, immancabile, Gualtiero Marchesi, della cui schiera di pupilli di talento è esponente di spicco. Italia, Francia e Gran Bretagna, dove incontra – allora giovanissimo – un altro giovanissimo ex calciatore che avrebbe fatto parecchio parlare di sé: un Gordon Ramsey che non immaginava ancora platee televisive e successi planetari.

A un certo punto Oldani decide che è ora di tornare, investe i soldi guadagnati nelle cucine di mezza Europa nella sua Cornaredo, a una ventina di chilometri da Milano. E lì comincia la sua avventura di alchimista impegnato a costruire la sua personale idea di cucina, fatta di tecnica, creatività, attenzione ai costi, valorizzazione delle materie prime più umili, emancipata rielaborazione della tradizione.

Il D'O e il grande pubblico

Si sparge la voce e Cornaredo, in pochi anni, entra di diritto nelle traiettorie dei globetrotter gourmet, ma anche di chi dalla cucina d'autore è tentato ma un po' intimorito. Lo confermano le liste d'attesa chilometriche per provare quei piatti da cucina d'alto lignaggio realizzati – e 14 anni fa era una vera rivoluzione – con materie prime povere. Organizzando un sistema che conteneva food cost e spese varie (no Bancomat o carta di credito, no amuse bouche o predessert, pane il minimo indispensabile) per arrivare ai clienti a prezzi che non si erano mai visti, col picco degli 11 euro e 50 per il pranzo infrasettimanale. La notizia passa veloce e le richieste fioccano, e la lista d'attesa si fa, di anno in anno, più lunga. Nel 2013, a 10 anni dall'apertura, per le prenotazioni ci si muove con 6 mesi di anticipo, quando non, direttamente, da un anno all'altro, quasi l'attesa fosse un elemento del rituale pagano necessario per avvicinare quella cucina. Tutti in coda per quella famosa cipolla caramellata (foto in apertura) che diventa uno dei piatti iconici di quel periodo e che ognuno vuole provare.

Davide Oldani. Foto Sebastiano RossiDavide Oldani. Foto Sebastiano Rossi

Filosofia Pop

Merito della filosofia Pop di cui Oldani è mentore. Pop non significa solo popolare, in termini di prezzo, ma riguarda una visione più complessa che ha sviluppato in 10 punti. Un decalogo che fa riferimento tanto ai costi che, scrive, devono essere corretti (punto 3) quanto al design, che – nel caso della cucina - significa oggetti gradevoli esteticamente, capaci di valorizzare il contenuto oltre che essere funzionali (punto 2) ma Oldani va oltre e ragiona anche sui marchi, che devono essere immediatamente riconoscibili (il marketing e la comunicazione come alleati del suo progetto). Passa dall'attenzione al benessere della persona, alla riduzione degli sprechi (fate la spesa a stomaco pieno, richiama al punto 9), mette sullo stesso piano materie prime lussuose e umili, invita a stimolare curiosità, sfruttare le possibilità date dagli errori, a cercare l'equilibrio dei contrasti. Faro, quest'ultimo, nell'elaborazione dei piatti e nella convinta reinterpretazione della grande tradizione italiana.

Il sistema D'O, dentro e fuori Cornaredo

Il suo progetto, quella sintesi di tecnica di cucina, design e organizzazione aziendale, funziona bene. Al punto da diventare un case history per l'università di Harvard, dove Oldani tiene una lezione per spiegare quel suo modo di fare impresa, percepito come un modello replicabile anche in altri settori. È solo la prima di una serie di divagazioni dentro-fuori la cucina. Sempre a partire da quell'angolo di Lombardia così distante dal glamour della Milano da bere e da mangiare. Certo, i riconoscimenti da parte della stampa specializzata e delle guide, arrivati prestissimo, fanno la loro parte, accendendo un faro su D'O. Ma poi c'è stata la risposta di un pubblico sempre più fedele che vuole vivere l'esperienza Pop.

La stessa che Oldani ha sapientemente distillato nei suoi libri. 8, dal 2008: a seguire i contorni di quel suo approccio fatto di cucina, etica, sport, lavoro di squadra. Del D'O, in cui riveste il doppio ruolo di giocatore e allenatore, si sa che tutti devono fare tutto, dal lavare per terra al seguire la cucina. Ma non basta: c'è l'impegno all'alberghiero di Cornaredo con l'obiettivo di dare ai ragazzi delle regole di cucina ma soprattutto di vita e di sport “noi cuochi abbiamo una responsabilità verso i giovani”; c'è l'interesse per il design e la progettazione di mobili e oggetti per la tavola, che nel tempo diventano strumento necessario a realizzare la sua visione olistica di ristorante. Oldani non si ferma e recupera la vecchia passione, quella per lo sport: è Food & Sport Ambassador del Coni. Così sono arrivate anche le Olimpiadi, giocate, però, dietro ai fornelli di Casa Italia a Rio. E intanto la sua visione si fa sempre più chiara. Sport, alimentazione, salute sono in triangolazione. L'obiettivo comune è il benessere degli ospiti, e per questo il design rappresenta un supporto fondamentale.

Un angolo del nuovo D'O. Foto di Sebastiano RossiUn angolo del nuovo D'O. Foto di Sebastiano Rossi

Il nuovo D'O

Firmato dall'architetto Piero Lissoni, il nuovo D'O è l'evoluzione del vecchio: una versione aggiornata, matura, con un'eleganza naturale in armonia con l'ambiente circostante che si intravede dalle ampie finestre, con il legno di olmo che richiama l'albero che domina la piazza. Il nuovo locale segna il passaggio dal vecchio format di trattoria gourmet a ristorante, senza però alterare i prezzi. Lo si vede dai piatti che raccolgono e rilanciano la sfida del vecchio D'O, giocano la carta della raffinatezza, lanciano richiami ludici. Complici anche spazi più comodi in cucina e in sala (ma i coperti rimangono gli stessi) e tempi meno stringenti.

Un angolo del nuovo D'O. Foto di Sebastiano RossiUn angolo del nuovo D'O. Foto di Sebastiano Rossi

La cucina etica

La cucina di Oldani, quella tutti contrasti e armonie, oggi sposa il design che sposa l'etica, quella del lavoro, quella dello sport e anche con quell'idea di bene comune, di ospitalità intesa come accoglienza, condivisione, cura. Perché “dopo Expo la mia idea della cucina Pop si è evoluta” spiega “è diventata più moderna e ambiziosa, l'aspetto della nutrizione è ancora più centrale, la ricerca è un punto fermo di un approccio etico” racconta, ma poi aggiunge: “ma senza tralasciare gli aspetti Pop”. Convivialità è una parola in cui credere e investire, in un progetto che si distende intorno alla piazza di Cornaredo: “la piazza che entra nella casa e viceversa”. È una sintesi di italianità.

Il focus? “Nutrire le persone con una grande cucina a partire da prodotti di qualità” che detto così sembra semplicissimo. E invece è un pensiero complesso che non si consuma in pochi mesi, ma che necessita di tempi più lunghi: “non è un progetto veloce come quello di social”. Include l'invito a comprare e cucinare il giusto, a rispettare prodotti e stagioni, a pensare e pesare, con cautela e nella gusta misura allontanandosi da un passato di grandi abbuffate, a evitare sprechi per non avere poi scarti da reimpiegare.

La parola chiave è nutrire. Cosa ben diversa di far da mangiare. Nutrire riguarda tutto, dalla preparazione del cibo all'invito ad affrontare in modo nuovo, più aperto, il momento del pasto. Ove recuperare gesti dimenticati, la convivialità, appunto, “quella che avevamo da piccoli, quando tutto ci era permesso”. Nasce dall'esperienza personale anche il ritorno a una gestualità libera e infantile cui dà corpo nel disegnare i suoi oggetti.

 

Il tavolo con la mensola portaoggetti e la sedia con un solo bracciolo. foto Sebastiano RossiIl tavolo con la mensola portaoggetti e la sedia con un solo bracciolo. Foto Sebastiano Rossi

Gli oggetti

La sedia, più alta del normale, per una postura che non ostacoli la digestione, con un solo bracciolo, per sedersi senza spostare indietro la sedia, e una mensolina in cui riporre il cellulare. Il tavolo, di legno chiaro come gli altri arredi, con un secondo pannello in cui riporre tovagliolo, chiavi, telefono e qualunque cosa spesso finisce accanto ai piatti. Il cucchiaio con i piccoli rebbi e il lato tagliente che adempie alle funzioni delle tre posate, riduce spazi e consumi per il lavaggio. I piatti sintesi di design: da quelli che hanno, sul bordo, l'impronta in rilievo (I dish) per eliminare il rischio di un'impronta vera a propria, a quelli con il fondo in obliquo. Poi c'è la lunga ceramica di PDL acronimo che sta per piatto da leccare, ma senza esporsi alla vista degli altri commensali, tenendola dalle due sporgenze che ne facilitano la presa.

Dame e Battuta d'inizio. DDue piatti di Davide OldaniDama (foto Brambilla Serrani) e Battuta d'inizio. Due piatti di Davide Oldani

I piatti

Oldani Declina un prodotto alla ricerca di quell'armonia tra contrasti che già da tempo gli indica la strada: ci sono piatti come Pomodori, o Manzo, o ancora Cavolfiore. Ci sono i famosi risotti, come quello – dal nome zafferano e riso alla milanese D'O – portato a Expo a cantare Milano e la grande tradizione meneghina. Battuta d'inizio celebra, ancora una volta, l'incontro tra idea gastronomica e design, e tra cucina e sport. Si tratta di una sfera di erborinato ripiena di chutney di mele e pere e ricoperta da burro di cacao allo zafferano, a ricreare la pallina, posta su un piatto che riproduce le fattezze del campo da tennis e dei germogli di teff per dare la sensazione dell'erba. Gli spaghetti al cartoccio richiamano a uno dei must della Milano degli anni '80, con la foglia d'argento al posto della stagnola, in un doppio rimando al Maestro Gualtiero Marchesi e alla foglia d'oro del suo risotto alla milanese. Lo avevamo visto, qualche tempo fa sul palco di Identità Golose, spingere a fondo il pedale del rinnovamento nel ripensare la cassoeula, alleggerendo il piatto e presentandolo scomposto nelle ceramiche by Oldani, lavorando l'ingrediente tabù, il sangue, trasformato anche in meringa da abbinare a cioccolato e caviale.

Patto da leccare. Foto Mauro CrespiPiatto da leccare. Foto Mauro Crespi

Le Tre Forchette

“Credo sia un grande riconoscimento, lo abbiamo molto atteso” racconta “sapevo che il primo progetto del D'O doveva ancora essere raffinato. Era solo questione di tempo: quel tempo che serviva a portare avanti il progetto con continuità senza tradire le aspettative dei nostri ospiti”. Così è arrivata la seconda stagione del D'O, a un passo dalla prima ma anni luce avanti. E chissà che le cose non cambino ancora: “la voglia di fare qualcos'altro c'è e così anche quella di continuare a crescere, ma sempre a partire da questo che è il nostro quartier generale”.

 

D’O | Cornaredo (MI) | loc. San Pietro all'Olmo | p.zza della Chiesa, 14 | tel. 02 9362209 |  www.cucinapop.do

Guida Milano 2018 Gambero Rosso | Prezzo: 10€ | pagg. 288 | disponibile in edicola e libreria |  clicca qui  per acquistare la guida online

 

a cura di Antonella De Santis

 


Collisioni festival a Barolo: non solo musica, ma un ricco programma wine&food

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Un festival “agri-rock”, che chiama a raccolta musicisti e scrittori, ma non solo: sono tanti gli appassionati di vino e buona tavola che quest’anno invaderanno Barolo per il Collisioni festival. Perché nel cuore delle Langhe non è possibile mettere da parte il patrimonio enogastronomico. Ecco i dettagli del programma food&wine di Collisioni.

Collisioni festival, non solo musica ma anche tanto cibo e vino

Tanti nomi del rock italiano e internazionale, incontri e dibattiti con scrittori e giornalisti, ma anche tanto spazio alle eccellenze enogastronomiche: è Collisioni Festival, un evento che arricchisce il suo programma ogni anno di più. Previsto dal 14 al 18 luglio a Barolo, quest’anno amplia lo spazio dedicato al cibo e al bere di qualità, con il progetto Vino&Food firmato daIan d’Agata, senior editor di Vinous, e concentrato nelle giornate del 15 e del 16 luglio. Due i momenti fondamentali del programma enogastronomico di Collisioni: il

palco Wine&Food, dove si terranno degustazioni in musica, assaggi “a fumetti” e incontri dedicati al patrimonio agricolo del territorio insieme a produttori, food blogger, giornalisti, sommelier, cuochi e pasticceri, in un dialogo interattivo con il pubblico; il progetto Vino, giunto ormai alla quinta edizione, che chiama a raccolta a Barolo dall'11 al 18 luglio 70 esperti mondiali del vino da tutto il mondo, 15 consorzi di tutela di denominazione italiane e più di 160 cantine da 16 regioni diverse.

 

Palco Wine&Food di Collisioni, il programma del 15 luglio

Si parte dal dolce, con “Sweet valley: la valle dei dolci”, previsto per sabato 15 luglio alle 12, che metterà in mostra il patrimonio dolciario della valle del Tanaro, con i pasticceri che proporranno creazioni in abbinamento alle bollicine dell’Asti Docg e del Moscato d’Asti Docg; si prosegue con l’appuntamento delle 15 “La Milano Sanremo del Gusto”, che vedrà l’attore Carlo Gabardini presentare la tappa del Campionato mondiale del pesto organizzato da Palati Fini, in cui si sfideranno anche foodblogger ed influencer, mentre dalle 17 in poi il pluripremiato barman sanremese Luca Coslovich racconterà tutti i segreti del cocktail creato ad hoc per l’incontro. Infine, Bread Religion, previsto per le 18: il percorso itinerante ideato dall’azienda Molino Quaglia per dare risalto ai sapori dei territori rivisitati in chiave street food accoglierà quest’anno sul palco wine&food di Collisioni Simone PadoanMassimiliano Prete, due tra i più affermati pizzaioli della nostra Penisola, che dialogheranno con il pubblico su farine, impasti e lievitazioni e, naturalmente, sulla versatilità di pane e pizza, due prodotti che ben si prestano a diventare gourmet. E per gli appassionati di pizza, ricordiamo che per tutta la durata del festival a deliziare i palati dei foodies ci sarà anche Luigi Acciaio con la sua “temporary gourmet pizzeria”.

Coloro che amano il vino non si annoieranno di certo, con le due “Wine marathon” della giornata: una alle 15, con un focus sulla Basilicata e sull’Aglianico del Vulture, che però ospiterà anche alcune fra le migliori aziende produttrici di Barolo e la sfida “Sommelier per un giorno”; la seconda dalle 20 in poi, con Michael Apstein, colonnista e critico di vino per WineReviewOnLine.com, che dialogherà sul tema “vino e salute” con il pubblico e con alcuni fra i migliori produttori di Amarone, Brunello di Montalcino e Sangiovese rubicone.

 

Il programma del 16 luglio

Giornata dedicata al vino quella del 16 luglio, a partire dall’appuntamento delle 12 sulle Marche: dalle olive all’ascolana al ciauscolo, passando per eccellenze come il Verdicchio Docg; alle 14 Il Wine comics incontra il Friuli, con il prosciutto San Daniele, i vini bianchi del consorzio Barbera d’Asti e i vini del Monferrato accompagnati dalle prelibatezze Dop di Assopiemonte: durante l’evento disegnatori e fumettisti regaleranno il loro punto di vista sulla manifestazione, ispirati dagli assaggi e dagli abbinamenti. Alle 16 è la volta di “Sicilia mon amour”, con le specialità dell’isola al centro del Mediterraneo abbinate allo spumante metodo Classico Alta Langa. Infine l’appuntamento di chiusura alle 18, tutto dedicato al Prosecco e al finger food piemontese, con le creazioni del barman Alessandro Carucci.

Infine, un evento che rientra nel programma generale di Collisioni: il 15 luglio sul palco di Barolo è atteso anche Antonino Cannavacciuolo, che presenterà il suo libro “Mettici il cuore”, un racconto sulle sue ricette preferite e i legami con la tradizione, la famiglia e l’infanzia.

Collisioni festival | Barolo (CN) | varie location | tel. 389 2985454 | dal 14 al 18 luglio 2017 | www.collisioni.it

 

a cura di Francesca Fiore

Grandi vini e piccoli produttori da scoprire in Sardegna

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Piccoli produttori e grandi vini di Sardegna. Alla scoperta di cantine che hanno iniziato a produrre da poco, puntando fin da subito sul lavoro in vigna, sul rispetto delle varietà e sulla esaltazione del territorio. E dopo qualche vendemmia, i vini hanno già espresso tipicità e unicità.

C’è chi ha studiato giurisprudenza, ma le vendemmie della vigna di famiglia non le ha mai saltate. C’è chi ha lavorato per tanti anni come architetto, ma non ha mai abbandonato l’attività contadina. C’è chi ha ereditato aziende agricole dai propri genitori, piccole o grandi, e da subito ha deciso di mettere in bottiglia la produzione vinicola. Storie diverse, accomunate da un’idea simile. La Sardegna del vino è un variegato puzzle di terreni, di microclimi e di tradizioni diverse nel fare il vino. Conoscere queste differenze significa riuscire a esaltare un territorio, metterlo in bottiglia per poi farlo arrivare ovunque nel Mondo, anche se la produzione si limita a pochi migliaia di pezzi. Solo così il vino diventa ambasciatore di una zona, di un paese, di una comunità. Le varietà utilizzate sono sempre quelle autoctone, della tradizione. Ma, anche qui, a comandare è il territorio e gli stessi vitigni riescono a dare sensazioni diverse da zona a zona.

 

Vini e vitigni: gli autoctoni rossi di Sardegna

Un emblema di questa diversità è rappresentato da Mamoiada, paese barbaricino che può vantare ancora vigne vecchissime coltivate ad alberello su disfacimento granitico, ad altitudini importanti che arrivano a 700 metri. L’uva cannonau è la protagonista indiscussa: matura molto bene per il caldo della giornata, ma la forte escursione termica notturna la conserva in tutta la sua integrità e ciò dà origine a vini strutturati ma freschi e dall’acidità balsamica. Se scendiamo un po’ più a Sud, sempre nel cuore della Sardegna, troviamo il Mandrolisai, una delle poche Doc sarde che porta esclusivamente il nome del territorio, dove il cannonau incontra altre due uve tradizionali, bovale e monica. Più a sud, nel Sarcidano, sono diverse le uve a bacca rossa, tra cui la barbera sarda, che danno origine a vini freschi ed eleganti, dalla beva scorrevole, ma sempre tipici e di carattere. Diverso il Cannonau che troviamo in Ogliastra, più sapido e marino, dai sentori di macchia, che rappresenta molto bene il rosso della costa orientale sarda.

 

Vini e vitigni: gli autoctoni bianchi di Sardegna

Ma i nuovi protagonisti dei territori del vino sardo non si fermano alle varietà rosse. In Gallura regna il vermentino, diverso dalle altre zone della Sardegna per via dei terreni a granitici che, con la complicità delle correnti marine delle escursioni termiche, offrono vini sapidi, di buona mineralità e freschezza. All’estremo Sud, invece, le uve bianche del territorio di Serdiana, grande paese del vino a pochi chilometri da Cagliari, sono uniche e crescono perlopiù su terreni calcareo-argillosi. Anche qui c’è il vermentino, affiancata dalle tradizionali nasco (ideale per la produzione di vini dolci, ma non solo) e nuragus. Quest’ultima fino a pochi anni fa veniva considerata un’uva di serie b, ma ora, grazie alla scommessa di alcuni produttori, sta ritrovando una sua giusta dimensione. Il segreto sta sempre nel trovare il giusto terreno per l’impianto. Perché troppo spesso si sente ripetere che il vino si fa in vigna, ma poi è la cantina a dettare legge. Salvo poi trovare alcune cantine che fin dalle prime annate hanno grande considerazione del territorio. Nonostante molte di queste siano piccole e alcune fanno per ora poche migliaia di bottiglie i vini sono già grandi: la loro bontà risiede tutta nell’essere specchio della terra che li ha generati.

una panoramica sulle vigne dell'azienda gungui in Mamolad

Le vigne dell'azienda Gungui in Mamolada

Mamoiada

Una vigna di 20 anni, ad alberello, di un ettaro e mezzo. È da qui che nel 2015 nasce il Berteru (sincero, in lingua sarda), un Cannonau di Sardegna che incarna in pieno il terroir di Mamoiada. Artefice di tutto ciò Luca Gungui, giovane mamoiadino, con un passato nel mondo dell’amministrazione pubblica, ma da sempre con la passione di famiglia, coltivare la terra, produrre vino. La vigna la eredita dai nonni che hanno sempre prodotto lo sfuso. La vinificazione è semplice, usa solo l’acciaio, con l’idea di far emergere – in questa prima annata – tutte le caratteristiche primarie dell’uva cannonau, in un territorio unico dove i terreni a disfacimento granitico sono molto acidi. La differenza qui la fa l’altitudine (siamo a 650 metri) che regala finezza e leggiadria a un vino a cui di certo non manca il corpo. Le bottiglie prodotte in questa prima annata sono 1.200 e ora si guarda ai prossimi millesimi: a giugno è usscita la 2016, mentre a dicembre uscirà la Riserva 2015, frutto di un invecchiamento in botte grande. Ma c’è anche un’altra novità: Luca ha preso in affitto una vecchia vigna di 60 anni che darà vita alle future riserve. Il percorso è appena iniziato, ma la strada – quella giusta – sembra essere già segnata.

 

Cannonau di Sardegna Berteru ’15

Dal colore rosso rubino brillante, il Berteru è un vino che affascina fin da subito per le note olfattive, molto fini e pulite. Ribes, fragolina di bosco, ciliegia e prugna anticipano un sorso incredibile per scorrevolezza e semplicità di beva. Il naso si completa con tocchi floreali, di rosa, e non manca un tocco balsamico. Perfetto nell’equilibrio tra acidità e tannino, è vellutato e cremoso, caldo, ma sempre vibrante e dinamico. Finale elegante e fine, profondo. Una grande prima annata che fa salire le aspettative per i prossimi millesimi e per la Riserva frutto di questa stessa vendemmia.

 

Luca Gungui | Mamoiada (Nu) | c.so Vittorio Emanuele 21 | tel. 347 332075 \ cantinagungui@tiscali.it

 

una foto dell'azienda carboni in sardegna

Azienda Carboni 

Mandrolisai

Il Mandrolisai è una subregione al centro esatto della Sardegna. Bellissima dal punto di vista paesaggistico, rappresenta uno dei territori del vino storici in Sardegna. Nei primi anni ottanta è stata istituita la Doc Mandrolisai, una delle poche nell’Isola che punta tutto sul territorio senza menzionare le uve. Bovale, cannonau e monica, sono le varietà che compongono i vini e, storicamente, l’assemblaggio viene fatto in vigna con l’utilizzo di almeno il 35% di bovale sardo (localmente chiamato muristellu) a cui si aggiungono le altre due uve in parti uguali. L’allevamento è perlopiù ad alberello e sono tante le vigne vecchie che compongono la superficie vitata.

Carboni è un'azienda fondata da Giuseppe, ma ora sono i figli Gian Nicola ed Elisa a occuparsene. 14 ettari in tutto per 4 etichette. Tre classificate come Igt e una come Mandrolisai Superiore, frutto di un’unica vigna molto vecchia di ben 80 anni situata a 700 metri sul livello del mare: un vero e proprio cru che rappresenta in pieno un territorio unico che andrebbe valorizzato sempre di più.

 

Balente ’14

Il Balente è un rosso ottenuto da bovale sardo, cannonau e monica. Pur essendo un assemblaggio che potrebbe rientrare nella Doc Mandrolisai, qui si decide di uscire come Igt. Altra scelta è quella di vinificare solo con l’uso dell’acciaio per esaltare al meglio le caratteristiche primarie che le tre uve regalano. I profumi spaziano dal frutto rosso maturo alle resine, dalla rosa passita al sottobosco. La bocca è calda, morbida, ma scandita da buona acidità.

 

Mandrolisai Sup. Balente ’13

È il vino più importante della gamma prodotta, porta lo stesso nome dell’etichetta Igt (Balente), ma qui c’è la Doc Mandrolisai a dettare le regole. La versione è quella Superiore, frutto delle migliori uve che provengono da un unico vigneto di 80 anni, posto a 700 metri slm. Il territorio del centro Sardegna si riconosce subito grazie ai profumi di macchia, frutto rosso maturo, corteccia e sottobosco, che anticipano un sorso deciso e caldo, dove la struttura non manca, ma è aiutata dall’acidità che equilibra la beva e spinge il vino in un finale profondo e saporito.

 

Carboni | Ortueri (NU) | via Umberto, 163 | tel. 0784 66213 | vinicarboni.it

 

Vini ella cantina Soi in sardegna

I vini dell'agricola Soi 

Sarcidano

Stefano Soi è un architetto, che ama la sua professione e la affronta con dedizione e amore. Ma la sua passione non riguarda solo l’architettura. Da sempre la campagna, la vigna, il vino hanno fatto parte della sua vita e i ricordi dei vigneti di famiglia nel Parco dell’Uccellina in Maremma sono sempre stati presenti nella sua mente. E grazie a quei ricordi che qualche anno fa Stefano decide di comprare alcuni ettari di terra a Nuragus, nel Sarcidano, per impiantare delle vigne: sceglie le marze da altri territori vocatissimi in Sardegna (nessun acquisto di barbatelle da vivai) e inizia a coltivare cannonau, bovale sardo, cagnulari, monica e barbera sarda. Quattro ettari di vigna in tutto, posti su terreni ricchi di scheletro, formato da pietrame e arenarie. Tre i vini per ora proposti per un totale di 12mila bottiglie: il Soi, un Cannonau di Sardegna vinificato solo in acciaio, il Lun, Igt ottenuto da assemblaggio delle altre varietà presenti in azienda e, ultimo nato, un passito da uve cannonau frutto della vigna più vecchia, impiantata su terreni sabbiosi e ricchi di ciottolame di fiume.

 

Cannonau di Sardegna Soi ’14

Porta il nome del fondatore dell’azienda il Cannonau di Sardegna del Sarcidano. Dal colore rosso rubino brillante si caratterizza per dei profumi di mora e ribes, ciliegia e tabacco. L’annata 2014 regala un palato freschissimo, dalla beva vibrante e tonica. Tutto è giocato su un equilibrio magistrale tra acidità e tannino, morbidezza e sapidità. Il finale, pulito e fresco, è profondo, lungo e giocato sul riemergere delle note olfattive.

 

Lun ’14

Il Lun è il rosso di casa Soi frutto dell’assemblaggio di tutte le uve presenti in azienda. Barbera sarda, cannonau, monica e cagnulari offrono un rosso di buon corpo, dal naso complesso e articolato. I profumi ricordano la frutta matura, le resine nobili, le spezie e il sottobosco, mentre in bocca è fitto, dal tannino presente e maturo e marcato da una buona sapidità che segna la beva e spinge il vino in un bel finale saporito.

 

Agricola Soi | via Cucchesì, 1 | Nuragus (Ca) | tel. 0782 818262 | agricolasoi.it

 

i vigneti dell'azienda gregu

Panorama sulle Tenute Gregu

Gallura

La famiglia Gregu, di origine fonnese ma trasferita a Olbia una quindicina di anni fa, ha fondato di recente una bella realtà vitivinicola guidata dal giovanissimo Raffaele Gregu. Trenta ettari in tutto divisi in due corpi, per la maggior parte allevati a Vermentino: in uno troviamo le vigne impiantate quindici anni fa, nell’altro gli impianti più giovani da qualche anno in produzione. I vigneti si trovano in un areale molto vocato per la produzione vinicola, tipico del territorio gallurese: terreni a disfacimento granitico, posti a 450 metri sul livello del mare, tra i comuni di Monti, Telti e Calangianus. Una zona piuttosto interna, in cui non mancano le correnti del mare che, unite alle forti escursioni termiche garantiscono vini di grande freschezza e mineralità. La prima annata è stata la 2014 e già la qualità (forti anche di una bellissima vendemmia) si è notata subito. Con la 2015 arriva la certezza che la strada intrapresa è quella giusta, grazie a vini che rappresentano bene il terroir del nord est della Sardegna.

 

Vermentino di Gallura Sup. Selenu ’15

C’è tutta la Gallura in questo Vermentino Superiore Selenu al secondo anno di produzione. L’ottima annata 2015 regala un vino di buona aromaticità, dove le note principali riconducibili al vitigno si sommano alle tipicità del territorio. Agrume e mimosa si percepiscono subito, seguite da sentori di erbe aromatiche, agrumi e iodio. In bocca è fresco, dalla buona acidità, leggermente aromatico e contraddistinto da un finale sapido che armonizza la beva e regala profondità.

 

Cannonau di Sardegna Animosu ’15

Non solo bianchi nelle Tenute Gregu. L’animosu è un Cannonau di Sardegna che trasmette molto bene le tipicità dei suoli galluresi nei vini rossi. Freschissimo fin dai profumi caratterizzati da piccoli frutti di bosco e arancio e ciliegia. In bocca è fresco e scorrevole, dalla beva morbida scandita da un tannino maturo e dolce. Bel finale, profondo e ritmico.

 

Tenute Gregu | loc. Giuncheddu | Calangianus (OT) | tel. 348 0364383 | tenutegregu.it

 

Sulcis

Il Sulcis è un territorio unico nel panorama viticolo sardo. Ci troviamo nel sud ovest dell’Isola, in una porzione di terra dove il protagonista indiscusso è il carignano, uno dei grandi vitigni autoctoni sardi. Qui lo scenario è ancora dominato da vigne vecchissime, coltivate ad alberello su sabbia. La coltivazione su terreni molto vicini al mare ha permesso a molte piante di resistere alla fillossera e alcune viti superano gli ottant’anni di età. L’azienda Bentesali, nel 2016 la terza vendemmia, è una realtà fondata dai fratelli Basciu, vignaioli da generazioni, che solo nel 2014 hanno deciso di imbottigliare con una loro etichetta anziché continuare a conferire le uve. Le vigne si trovano a Sant’Antioco, a due passi dal mare, e nel 2015 hanno prodotto in tutto 4500 bottiglie, frutto esclusivamente di vecchi impianti a piede franco. Molto lavoro in vigna e tanta manualità hanno assicurato un vino sincero e tipico. Per ora si appoggiano alla Cantina Giba per la vinificazione, ma presto saranno autonomi con la produzione che conta di arrivare intorno alle 6mila bottiglie per il millesimo 2016.

 

Carignano del Sulcis Bentesali ’15

C’è tutta la tipicità del Sulcis e di Sant’Antioco nel Carignano firmato Bentesali. A partire dalle note olfattive che fanno capire subito che ci troviamo vicini al mare. Iodio, macchia mediterranea, spezie e frutto maturo caratterizzano un naso particolare e complesso. La bocca ha un attacco morbido e cremoso, avvolgente, con la struttura tipica del carignano che gioca un ruolo importante. Il ritmo e la beva sono dati dalla parte sapida che, unita a un tannino maturo regala una grande piacevolezza di beva. Finale saporito e lungo, giocato sul riemergere di note speziate e di frutto maturo.

 

Bentesali | tel. 330 739519 | Sant’Antioco (CA) | vignebentesali.it

 

Ogliastra

L’Ogliastra è un territorio che si affaccia sulla costa orientale sarda. Da un lato il Tirreno, dall’altra il versante est del Gennargentu. Le vigne sono collocate ad altitudini spesso ridotte, ma qui la vera differenza la fanno i venti marini e i terreni. Roberto e Lorenzo Pusole sono due giovani viticoltori che, credendo negli aspetti territoriali che caratterizzano i vini, lavorano cercando di valorizzare il più possibile la singola varietà coltivata in un preciso terreno. Gli ettari vitati di proprietà sono otto, di cui quasi tutti impiantati a cannonau. Nel resto si trova vermentino e cannonau bianco, una varietà antica ma poco presente nell’Isola. Il cannonau è impiantato su terrazze alluvionali, alcune molto antiche, altre più recenti. Diverso il terreno del cannonau destinato al rosato, dove lo scisto è il protagonista, ideale anche per il cannonau bianco. Infine il vermentino è coltivato su sabbione di granito. Tutto ciò da origine a una produzione di 20mila bottiglie circa, divisi in 5 vini, tipici e affascinanti fin dalle prime vendemmie.

 

Cannonau di Sardegna Pusole ’15

Se l’obiettivo era quello di fare un Cannonau rappresentativo dell’Ogliastra e della costa orientale, sicuramente i fratelli Pusole ci sono riusciti col rosso che porta il loro nome. Nonostante la calda annata 2015 si è fatta sentire, il vino – vinificato solo in acciaio – regala profumi di rosa passita, prugna, frutti di bosco e non manca un leggero tocco speziato. In bocca è molto elegante, fresco, dal tannino morbido e fine. A fronte di un’acidità (percepita) contenuta la forza e l’equilibrio arrivano dalla sapidità che fa pensare subito a un vino marino e mediterraneo. Finale in grande stile per profondità, pulizia e un’aromaticità tutta scandita dalle note avvertite al naso.

 

Vermentino di Sardegna Pusole ’15

Non solo Cannonau in casa Pusole. Il Vermentino di Sardegna ‘15 sorprende per dei profumi di lime e cedro, di mimosa e erbette aromatiche. Leggermente buccioso e dai lievi sentori di cereale percepiti in un secondo momento, il vino regala un sorso sapido e ritmico, vibrante e fresco. Bel finale pulito e invitante, profondo e scorrevole.

 

Pusole | loc. Perda ’e Cuba | Lotzorai (NU) | tel. 333 4047219 |

 

Le vigne e la Cantina_AudaryaLa cantina Audarya

 

Serdiana

Audarya è una realtà giovanissima, guidata dai fratelli Salvatoree NicolettaPala. La 2016 è la loro terza vendemmia, anche se la produzione vitivinicola è presente da sempre nella loro vita: fu il nonno Salvatore (scomparso a dicembre scorso all’età di 93 anni) a fondare un’azienda che negli anni è diventata un vero e proprio simbolo della viticoltura di Serdiana. Ora Salvatore e Nicoletta possono contare su 37 ettari vitati, ma per ora solo le uve di 15 ettari danno origine all’imbottigliato che nel 2016 è arrivato a 120mila bottiglie. Sette le etichette prodotte finora, tutte da singola varietà: un Cannonau, un Monica, un Bovale per i rossi, due Vermentino, un Nuragus, un Nasco per i bianchi.

Le vigne si trovano in prevalenza in agro di Serdiana e i terreni sono perlopiù calcarei, argillosi con alcune presenze di sabbie. In generale terreni poveri che danno origine a vini molto sapidi, dalla buona freschezza e caratterizzati da finezza olfattiva e da una beva scorrevole e profonda. La vinificazione, molto semplice, si avvale per ora solo di tini in acciaio. Solo il Bovale Nuracada affina in barrique di rovere francese. Ma l’azienda non smette mai di sperimentare, sempre nel rispetto della vigna e dei vitigni che da sempre sono i protagonisti a Serdiana e in tutto il Parteolla.

 

Vermentino di Sardegna Camminera ’15

Il Camminera rappresenta la selezione massima di uve vermentino presenti in azienda. Tipicità e complessità gusto olfattiva sono garantite da una vinificazione che vede il bianco di casa Audarya sostare sulle bucce per alcune ore. Ora, dopo un anno circa di bottiglia, il 2015 è alla sua massima espressione e ciò lo si nota da un naso variegato e affascinante che offre note di cedro, anice, rosmarino, frutto bianco e scorza di limone. La bocca è sapida, scorrevole e fine, si avverte una leggera percezione tannica che dà ritmo e bevibilità. Finale saporito, marino, iodato, ma soprattutto profondo.

 

Nuragus di Cagliari ’16

Il Nuragus di Cagliari frutto dell’ultima vendemmia ci offre una delle prime prove che l’annata 2016 sarà ottima, specie per i bianchi del Sud Sardegna. Nonostante l’estrema gioventù, il vino offre un naso pulito e nitido, dai sentori di limone, erbe mediterranee e fiori di campo. La bocca è pulita, di buona acidità e la sapidità spinge il sorso in un bel finale fresco e asciutto.

 

Serdiana | Audarya | s.s. 466 | Serdiana (Ca) | tel. 070 740437 | http://www.audarya.it/

 

 

a cura di Giuseppe Carrus

 
 

Licenze del cibo in Italia. Tutti vogliono aprire ristoranti e gelaterie: i dati

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La ricerca sul mercato delle licenze di Immobiliare.it conferma i numeri in crescita esponenziale di ristoranti, bar, take away che affollano le nostre città, e spesso sono destinati a chiudere. Tra le attività commerciali in vendita, sono proprio ristoranti, gelaterie e pasticcerie i più richiesti. Male invece le panetterie. E intanto cresce il livello d'eccellenza delle imprese alimentari, che sbaragliano tutti. 

Il boom dei ristoranti in città

Per i distratti che ancora non si fossero accorti del proliferare indiscriminato di insegne di ristorazione e somministrazione di cibo nelle principali città italiane, le ultime settimane hanno snocciolato dati poco confortanti. Che, da un lato avvalorano il grido di allarme di chi denuncia l'esercito sempre più minaccioso di bar, take away, fast food e ristoranti e l'affastellarsi di tavolini e tendoni ovunque resti uno spazio vitale, dall'altro confermano che, delle imprese di settore nate a partire dal 2011, tre su quattro hanno già chiuso i battenti. C'è chi corre ai ripari, limitando – quando non addirittura vietando, come nel caso di Firenze – la concessione di nuove licenze nei centri storici, col rischio però di innescare l'effetto bolla speculativa: chi oggi possiede una licenza, di fronte al costante aumentare della domanda non ci pensa due volte a farla pagare a caro prezzo. Evidentemente, però, il fenomeno è difficile da arginare, a scapito peraltro della qualità media, che risente di una gara di concorrenza al ribasso: su una piazza di proposte pressoché identiche, chi offre il prezzo migliore la spunta. E da qualche parte (la qualità della materia prima? I contratti di lavoro?) bisogna pur tagliare. Una classifica delle città più afflitte dalla moda del consumo di cibo compulsivo l'ha pubblicata recentemente Repubblica: il podio se lo aggiudica Bologna, che per inseguire la domanda di universitari e turisti, in quattro anni ha praticamente raddoppiato il numero delle attività di ristorazione, al netto delle chiusure; nel 2016 erano 931. Seguono Milano, Firenze Napoli. E se consideriamo il dato nazionale di Unioncamere l'aumento di bar e ristoranti si attesta su una percentuale media del 10%.

 

Il mercato delle licenze. La ricerca di Immobiliare.it

Un riscontro diretto arriva dall'ultima ricerca promossa da Immobiliare.it, celebre portale online per locazione e vendita di immobili. Prendendo in considerazione il segmento commerciale, la ricerca ha analizzato tutti gli annunci di attività e licenze in vendita sul territorio nazionale, evidenziando che proprio i locali destinati alla ristorazione sono i più gettonati, per numero di contrattazioni e pure per prezzo d'offerta. Nell'ultimo anno, infatti, la richiesta di ristoranti è cresciuta del 7,5%, a fronte di un'offerta in calo del 3,5%, che ha determinato l'aumento del prezzo di vendita del 2,5%. Tutti vogliono aprire un ristorante, ma la corsa al business del cibo traina anche pasticcerie e gelaterie, con una domanda in crescita rispettivamente del 3% e 5%. Tengono, a sorpresa, anche le licenze per i negozi di alimentari (+3% la domanda, -2% i prezzi).

Diversa la sorte delle panetterie: l'attività commerciale è considerata la meno appetibile del comparto gastronomico, e la richiesta cala del 6% negli ultimi 12 mesi. Stessa sorte per le pizzerie, che però contengono i danni, con un calo dello 0,5%. Il mercato (la compravendita) delle licenze, dunque, è sempre più vivace, al contrario di quanto è avvenuto, nel decennio della crisi economica, in molti altri settori commerciali, dove i piccoli esercizi sono scomparsi, costretti a svendere le proprie licenze o a chiudere definitivamente i battenti. Solo il settore wellness (palestre, spa e affini) riesce a tenere testa.

 

Le imprese eccellenti d'Italia operano nel food

Gli imprenditori del cibo, invece, hanno di che esultare: l'ultimo rapporto Istat sulle vendite al dettaglio registra rispetto al 2016 un +4,1% per i prodotti alimentari. Di pari passo, e stavolta il dato è molto più solido rispetto al quello che inquadra la bolla effimera della ristorazione, nel Paese cresce il numero di aziende eccellenti che operano nell'alimentare. Anzi, tra le piccole e medie imprese che tengono alto il nome del made in Italy, la maggior parte operano proprio nella filiera del cibo: con il 16% sul totale, la categoria Alimenti e Bevande sorpassa persino la Meccanica, ferma al 15%. Che significa questo? Che il comparto è in grande ascesa (nel 2016 era terzo), come conferma l'Osservatorio Pmi di Global Strategy. Le caratteristiche premianti sono una buona propensione al rischio, all'innovazione e all'internazionalizzazione dell'attività, nonostante spesso si parli di imprese a conduzione familiare. Quello che manca ancora, invece, è la capacità di unire le forze, per spingere sempre più in alto una filiera che può contare su molte eccellenze, ma fa ancora fatica a brillare come dovrebbe.

 

 

Il mercato delle licenze del comparto alimentare (prezzo, offerta, domanda)

 

Negozi alimentari: -2%, +3%, +3%

Bar: -2,5%, +1,5%, +2%

Gelaterie: +1,5%, - 4%, +5%

Pasticcerie: +2%, - 4,5%, +3%

Panetterie: -8%, +3%, -6%

Pizzerie: - 4,5, +6%, -0,5%

Pub: - 4,5%, -7%, -2,5%

Ristoranti : +2,5%, -3,5%, +7,5%

Rosticcerie: -8%, -5%, +0,5%

 

a cura di Livia Montagnoli

Cucinare d'estate. Ricetta dei peperoni ripieni in 3 varianti

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Sono versatili, perché si prestano a mille ricette e abbinamenti diversi. Ripieni, poi, si possono preparare in tantissimi modi. Sono i peperoni. Uno dei prodotti simbolo dell'estate e della buona tavola. Oggi vi diamo tre ricette dei peperoni farciti, interi o a falde, con carne e spezie, riso o alici. Gli ingredienti possono variare in base ai gusti e dalle preferenze di ognuno. Fateci sapere le vostre!

Per la loro forma, i peperoni si prestano a essere farciti. Per questo si trovano un po' in tutta Italia preparati in modo diverso: le varianti infatti sono pressoché infinite. L'importante è avere una ricetta base da cui partire e poi modificarla secondo l'estro del momento. Noi qui abbiamo scelto tre versioni, una con la carne, una con il riso, la terza con acciughe, per queste ultime due abbiamo voluto una procedura diversa in cui il peperone non viene semplicemente aperto e farcito. Il procedimento è un po' più laborioso perché bisogna prima spellare gli ortaggi e poi usarli, interi o tagliati a falde. Una procedura che consente di avere delle fettine carnose e saporite da arricchire secondo i propri gusti per realizzare un contorno gustoso o un piatto unico golosissimo da preparare anche in anticipo. Fateci sapere quale è la vostra ricetta preferita.

 

Peperoni ripieni. La ricetta

Acciughe, capperi, olive: tre prodotti che sposano alla perfezione i peperoni. Sono gli ingredienti di un contorno robusto, ideale per chi ama i sapori forti. Lo prepara Max Mariola.

 

Peperoni ripieni di Simone Rugiati. La ricetta

Carne, mortadella, pistacchi, spezie. La ricetta di Simone Rugiati consente di avere un secondo piatto ricco di sapori e aromi.

 

Peperoni ripieni di riso. La ricetta 

Un piatto unico che può risolvere le serate estive: i pomodori ripieni di riso sono una ricetta gustosissima che richiede un po' di tempo per essere completata, ma si può preparare in anticipo perché l'ideale gustarla fredda, o tiepida. Ma i risultato non vi deluderà.

 

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Il Luogo di Aimo e Nadia apre in Sardegna. Agosto in trasferta al Forte Village per Pisani e Negrini

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Imponente l'offerta ristorativa del resort di Santa Margherita di Pula, prima struttura nel mondo per standard di ospitalità. E oltre al ventaglio di ristoranti stabili, l'estate 2017 offre un ricco programma gastronomico sotto il cappello delle Notti dei grandi chef. Posto d'onore per la cucina di Aimo e Nadia, dal 1 al 20 agosto.   

Ristorazione e ospitalità esclusiva . La formula del Forte Village

Qualche giorno fa, all'inizio di luglio, tra le piscine vista mare dell'esclusivo Forte Village Resort, Santa Margherita di Pula (40 km da Cagliari), è arrivato persino Gordon Ramsay. E del resto il sodalizio dello chef con uno dei complessi alberghieri più prestigiosi della Sardegna (e d'Italia) è consolidato da tempo. L'imponente offerta ristorativa che la struttura mette a disposizione dei suoi danarosi ospiti si compone di un gran numero di insegne, cucine, e pop up, specie durante la stagione estiva: all'appello, da 8 anni, anche il ristorante italiano targato Ramsay e lo spazio Hell's Kitchen - che proprio dal celebre format televisivo della star chef inglese prende le mosse – sotto l'egida di chi la guida della cucina infernale di Endemol l'ha presa in carico nella variante italiana, Carlo Cracco. Anche lo chef milanese, prossimo al trasloco del suo ristorante in Galleria, è ospite benvoluto del Forte: nel 2016, per tutto il mese di agosto, si è alternato tra serate gourmet e cooking class, quest'anno di nuovo protagonista della serata Ramsay & Friends andata in scena il 1 luglio sulla Terrazza del Forte.

 

Da Gordon Ramsay alla cucina regionale

Una charity dinner che ha riunito intorno a chef Gordon anche Emanuele Scarello (Agli Amici di Udine) e Giuseppe Mancino (Il Piccolo Principe, Viareggio). Tema: Il bello e il buono, dal tuorlo fritto in brodo d'estate di Cracco, che l'uovo simbolo della sua ricerca gastronomica non lo lascia mai a casa, al tortello di ricotta di bufala con menta, brodo di agrumi, salsa all'aragosta di Ramsay, in omaggio alla cucina della Penisola. E ricavato a favore del Great Ormond Street Hospital di Londra. Una serata di gala con tanti riflettori puntati per il tenore dei protagonisti e lo spirito dell'iniziativa, ma solo una goccia nel mare dei progetti estivi del Forte, che anche nel 2017 non si smentisce, conscio che un'offerta gastronomica di livello (e di tendenza) contribuisce a consolidare quel primato nel settore dell'ospitalità che la struttura detiene da ben 19 anni, sempre medaglia d'oro nella classifica dei World's Leading Resort, per un giro d'affari di 72 milioni di euro all'anno (la proprietà, dal 2014, è dei fratelli ceceni Musa e Mavlit Bzhaev, ma qualche mese fa voci di corridoio davano per imminente una cospicua offerta di magnati cinesi). Solo qualche ora fa, per esempio, si è conclusa la XXI Settimana enogastronomica italiana dell'Associazione i Ristoranti della Tavolozza, che presso il Forte Village ha trovato ospitalità, radunando un gran numero di chef e protagonisti del settore, all'insegna di cucine regionali e proposte tematiche, come il menu a base di erbe aromatiche e la tavola mediterranea.

La cozza farcita del Luogo di Aimo e NadiaCozza farcita, Il Luogo di Aimo e Nadia (Foto Brambilla/Serrani)

Le Notti dei grandi chef. Aimo e Nadia in trasferta

Tra le rassegne più longeve del resort, invece, anche quest'estate si ripetono Le Notti dei grandi chef, con i grandi protagonisti della ristorazione italiana e internazionale pronti a esibirsi in Terrazza o presso il Forte Gourmet. Una tournee estiva che molti volti noti del settore amano concedersi, e infatti anche per le prossime settimane la lista è lunga. Dalla fine di giugno sono già passati per Santa Margherita Oliver Glowig, Terry Giacomello, Andrea Berton; tre sere a testa per raccontare in trasferta la propria idea di cucina; il mese di luglio vedrà arrivare, tra gli altri, anche Lionello Cera (11-13), il sardo Roberto Petza (il 16), Massimiliano Mascia (22-24), Claudio Sadler (29-31). E tra fine agosto e inizio settembre arriveranno anche gli ospiti stranieri, Pierre Rigothier, Jens Rittmeyer, Theodor Falser. Ma nel 2017 la residenza estiva spetta ad Alessandro Negrini e Fabio Pisani, anima contemporanea del Luogo di Aimo e Nadia, a Milano. La coppia di chef sarà protagonista al Forte dal 1 al 20 agosto trasferendo di fatto il ristorante meneghino in Sardegna, con l'idea di ricreare l'atmosfera di Aimo e Nadia a Santa Margherita. In carta i piatti storici dell'insegna, dalla Zuppa Etrusca agli Spaghettoni col cipollotto, ma anche nuove proposte, come la Pasta e Patate con battuta di gamberi e ricci, o il Dentice alla milanese con carote di Polignano all'aceto di lampone e crema di mandorla. E chiaramente i prodotti dell'isola – bottarga di Carloforte, mirto, le cozze del mercato di San Benedetto a Cagliari - che presteranno il fianco a nuove creazioni. Per i fortunati ospiti del Forte, ecco il primo menu estivo di Aimo e Nadia in trasferta, anche in versione vegetariana:

 

 

LE DELIZIE DEL LUOGO DI AIMO E NADIA

 

Il pane e pomodoro

 

Cozza farcita con ricotta di bufala

 

Cicerchie con seppia, il suo nero

e latte di scamorza affumicata

 

Pasta e patate

Pacchero con frutti di mare e crostacei, all'erba lippia e bottarga di muggine

 

Dentice del Mar Tirreno 'alla milanese'

con carote e crema di mandorle

 

Fassone piemontese in crosta al mirto,

con cedro e melanzana marinata al miele di girasole

 

Fior di fragola

 

Black lemon: crema ai limoni, spuma al lime

e polvere di 'loomi', con latte di mandorle

 

 

MENU VEGETARIANO

 

Pane e pomodoro

 

Cialda di grano saraceno con melanzane al miele

 

Cicerchie in crema con marasciuolo, mosto cotto di fichi,

lampascioni e olive Nolche

 

Spaghettoni di grano duro di Benedetto Cavalieri 

al cipollotto fresco e peperoncino con filo d'olio e basilico ligure

 

Carote di Polignano all’aceto di lamponi e profumo di cardamomo

con crema al pecorino fiore sardo

 

Fior di fragola

 

Black lemon: crema ai limoni, spuma al lime

e polvere di 'loomi', con latte di mandorle

 

 

Forte Village Resort | Santa Margherita di Pula (CA) | Il programma delle Notti dei grandi chef | www.fortevillageresort.com/it/

Il Luogo di Aimo e Nadia | Milano | via Montecuccoli, 6 | www.aimoenadia.com

 

a cura di Livia Montagnoli

Le 8 migliori gelaterie artigianali e naturali di Milano

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Milano da bere, ma anche da mangiare, dall'antipasto al dolce. Per la pausa merenda, soprattutto quando il caldo si fa insopportabile, non c'è niente di meglio di un buon gelato rinfrescante: ecco quali sono le 8 migliori gelaterie della città.

Il gelato a Milano

La scena gastronomica milanese è da anni in pieno fermento, fra format originali e soluzioni nuove pensate per una clientela sempre più eterogenea, multiculturale ed esigente. L'offerta sotto la Madonnina è dinamica, sfaccettata e comprende le proposte più disparate, dallo street food all'alta cucina, dalle cucine etniche a quelle vegane, e non mancano gli indirizzi d'eccezione anche sul versante dolce, fra pasticcerie classiche e moderne, caffetterie d'avanguardia e bakery di stampo anglosassone. Durante i mesi più caldi, il gelato di qualità è sempre la soluzione migliore, e anche per quanto riguarda l'arte fredda la città inizia a far parlare di sé: tante insegne valide, tutte incentrate sulla qualità dei prodotti, la freschezza delle materie prime e la lavorazione attenta. La guida Gelaterie d'Italia del Gambero Rosso, in particolare, ne ha individuate 8 che si distinguono, alcune storiche, altre di apertura più recente.

 

Paganelli – Tre Coni

Una gelateria storica: avviata nel 1930 da Ugo Paganelli, da oltre vent'anni è nelle mani del nipote Francesco, artigiano appassionato che ha portato il nome di famiglia nel punto più alto del panorama del gelato milanese, con cura nella selezione degli ingredienti e grande tecnica e creatività. Ogni giorno, infatti, nel locale si può gustare qualcosa di nuovo, dai sorbetti con i vini del giorno alla frutta di stagione, perché qui i gusti cambiano di continuo a seconda della disponibilità delle materie prime e della fantasia del gelatiere. Specialità della casa è il gusto Principe, cioccolato venezuelano aromatizzato al caffè con anice stellato e cardamomo, ma non mancano anche le classiche creme. Fra gli abbinamenti più originali, pistacchio e peperoncino, e mascarpone con fichi caramellati.

 

Pavé – Gelati & Granite – Tre Coni

La gelateria rappresenta una delle attività di Diego Bamberghi, Giovanni Giberti e Luca Scanni, i tre soci ideatori del bar Pavé, uno dei bar migliori della città per format e offerta. Pavé – Gelati & Granite è la seconda tappa imprenditoriale dei tre amici che, dopo il successo dell'insegna di via Casati, hanno deciso di scommettere sul gelato artigianale di qualità. In laboratorio è Simona Carmagnola a realizzare i prodotti, gustosi e leggeri: dopo un'esperienza di quasi dieci anni presso la Gelateria de' Coltelli di Pisa, l'artigiana ha scelto di tornare nella sua città natale per affiancare i ragazzi in questo nuovo progetto. I gusti variano periodicamente e riprendono alcuni dei cavalli di battaglia della pasticceria classica come la sbrisolona, il pane burro e marmellata, e la tarte tatin. Ad affiancarli, gli intramontabili pistacchio, vaniglia, nocciola Igp, proposta sia in versione gelato che sorbetto. Il locale offre anche granite di vario genere, dal caffè agli agrumi di Sicilia, oltre a tavolette di cioccolato maison, biscotti secchi e altre prelibatezze firmate Pavé.

 

Artico – Due Coni

Nel quartiere Isola, un bel locale con pareti di mattoncini e il laboratorio a vista dietro la grande vetrata dove operano Maurizio Poloni e il suo team, con rigore nella produzione e fantasia nei gusti. Ci sono il pistacchio siciliano, la noce, la mandorla, ma anche la crema di zucca con amaretti e il caffè con cardamomo e meringa: un'ampia scelta fra sapori classici e moderni, frutta – di stagione e locale – e creme. Nessun conservante o colorante aggiunto: il gelato qui è completamente naturale, dalla consistenza cremosa e il corpo pieno. Da provare il cioccolato Araguani monorigine al 72%, uno dei gusti più golosi realizzati nel laboratorio a vista dietro la vetrina.

 

Ciacco – Due Coni

L'insegna nasce a Parma, ma bissa presto con altri indirizzi anche a Milano e Bergamo; per tutte le sedi, Ciacco ha un'unica filosofia che si basa da sempre sullo stesso motto: “Gelato senz'altro”, ovvero senza utilizzo alcuno di addensanti, coloranti, conservanti e aromi. Zero additivi artificiali e ingredienti di prima scelta caratterizzano i gusti della gelateria, leggeri e facili da digerire. Sono le creme a fare la parte del leone, in particolare quelle alla mandorla, al pinolo e al caffè, ma anche la cheesecake – a base di robiola e confettura di lamponi – e la noce. Per i vegani o gli intolleranti al lattosio, Ciacco offre poi una linea interamente priva di latte, come, per esempio, il sorbetto alle arance rosse di Sicilia, o alla fragola della Basilicata, ma anche tutte le granite di frutta. Ci sono poi frappé, torte e semifreddi, personalizzabili secondo i gusti del cliente.

 

Gelato Giusto – Due Coni

Vittoria Bartolazzo, appassionata di gastronomia e diplomata in pasticceria al Cordon Bleu di Londra, cura con amore ogni singola preparazione di Gelato Giusto, uno degli indirizzi più gettonati del gelato milanese. Gusti equilibrati, leggeri e cremosi, a base di ingredienti freschi di stagione e materie prime d'eccezione. Fra le creazioni dell'artigiana, ci sono zenzero e lime, fico, ricotta e nocciola, zucca e amaretti, il sorbetto di banana, e noci e cioccolato. Non mancano poi anche le classiche creme a base di frutta secca, come il pistacchio e la nocciola, e tutti i gusti alla frutta.

 

Gusto 17 – Due Coni

Un locale che ha basato il suo successo sul concetto di “agrigelateria”, ovvero sull'attenzione particolare riservata al reperimento degli ingredienti, provenienti direttamente dai produttori della zona. Ogni settimana spuntano nuovi gusti, che vanno ad aggiungersi ai grandi classici come il pistacchio salato 100% Sicilia. Sempre fissi, poi, la crema bianca al bergamotto, la In..zuccata, una crema di zucca con pan di Spagna aromatizzato al San Marzano e granella di mandorle. Nella stagione autunnale, punta di diamante della gelateria è il melograno, insieme all'abbinamento vincente cacao e castagna.

 

LatteNeve – Due Coni

Aperta nel 2014, la gelateria LatteNeve ha scelto di puntare tutto sugli ingredienti biologici, a partire dallo yogurt della Valtellina, per finire con le nocciole Igp del Piemonte. Pistacchio di Bronte, cioccolato (anche senza latte e fondente), vaniglia del Madagascar sono solo alcuni esempi dei gusti classici disponibili al bancone. Ma ci sono anche le proposte più estrose, come la ricotta di bufala, il mascarpone aromatizzato allo zenzero, il caffè al cardamomo e lo yogurt greco al miele, senza zucchero. I gusti alla frutta sono semplici e golosi, dalla pesca alla fragola, dal mango al cocco, ma la vera specialità della casa è la panna montana, fresca e soffice, omaggio dei gelatieri all'acquisto di un cono che, su richiesta, può anche essere gluten free.

 

Rigoletto – Due Coni

Nella zona di lusso fra Wagner e Buonarroti, 20 anni fa apriva il primo Rigoletto, una gelateria che nel tempo ha saputo replicare l'offerta in altre tre sedi. Nasce come bottega di quartiere ma diventa ben presto un punto di ritrovo per tutti gli amanti dell'arte fredda, grazie alla qualità delle materie prime e la cura nella lavorazione. Fra i gusti di sempre, le tante variazioni di cioccolato: fondente, bianco, all'arancia, ma anche il variegato all'amarena, e poi malaga, menta, e pinolo. Ci sono infine dei prodotti più stagionali: da maggio a settembre, sono le granite a fare la parte del leone, tutte a base della frutta fresca estiva più succulenta. Gelato a parte, qui è possibile acquistare anche semifreddi d'asporto, torte e biscotti col gelato, oltre alla linea di barrette di cioccolato artigianali di produzione propria.

 

Artico | Milano | via L. Porro Lambertenghi, 15 | tel. 0245 494698 | www.articogelateria.com/

Ciacco | Milano | via Spadari, 13 | tel. 0239 663592 | www.ciaccogelato.it/

Gelato Giusto | Milano | via San Gregorio, 17 | tel. 0229 510284 | gelatogiusto.it/

LatteNeve | Milano | via Vigevano, 27 | tel. 0239 811258 | www.facebook.com/Gelateria-Latteneve-783293678378154/

Paganelli | Milano | via Adda, 3 | tel. 0267 02751 | www.facebook.com/Gelateria-Paganelli-196886880490693/

Pavè Gelati e Granite | Milano | via Cesare Battisti, 21 | tel. 0294 383619 | www.pavemilano.com

Rigoletto | Milano | via San Siro, 2 | tel. 0249 81820 | www.gelateriarigoletto.it/

 

a cura di Michela Becchi

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Giappo Academy. A Napoli nasce una scuola di cucina giapponese professionale

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Dalla partnership tra la Città del gusto Napoli di Gambero Rosso e Giappo Italia nasce Giappo Academy, la prima scuola di cucina giapponese professionale.  

Giappo Academy

Il progetto è ambizioso e le carte per il successo ci sono tutte. Parliamo della prima scuola di cucina giapponese professionale: Giappo Academy. Nata dalla collaborazione tra Giappo Italia, una scuola di formazione attiva dal 2009, che tra le altre cose realizza format di ristorazione giapponese, e la Città del gusto Napoli di Gambero Rosso. Le due realtà mettono assieme i rispettivi know how per diffondere la cultura giapponese, con focus (ovviamente) sulla cucina nipponica, per andare oltre ai classici stereotipi, pensiamo al sushi o al sashimi, spiegando e raccontando tutti i segreti che stanno dietro le preparazioni del Sol Levante, dalla frittura alle tecniche alternative alla cucina tradizionale. L'academy, aperta sia ai professionisti del settore che agli appassionati, si occuperà anche di inserire i partecipanti nel mondo del lavoro. Un tassello, che va a completare il percorso di formazione, molto spesso sottovalutato, soprattutto in Italia.

Il corso Professione Chef Giapponese a partire da settembre

Inaugura le attività della Giappo Academy, il corso Professione Chef Giapponese, rivolto a tutti coloro che stanno per intraprendere l’apertura di realtà imprenditoriali, ma anche a professionisti che vogliono semplicemente approfondire le proprie conoscenze e agli aspiranti chef che desiderano specializzarsi in questo segmento di mercato. Un corso, della durata di 60 ore, che prevede un intenso programma di attività teoriche e pratiche, per offrire una formazione completa. Invece, per tutti gli appassionati, sono previsti corsi dedicati, che includono degustazioni ed eventi. Tutti i docenti sono selezionati dalla Gambero Rosso Academy, uno di questi è Hirohiko Shoda. Conosciuto come Hiro, lo chef giapponese è un noto volto televisivo di Gambero Rosso Channel e Rai Uno, con un'esperienza decennale alle spalle. Prima in patria e poi in Italia: ricordiamo la sua permanenza a Le Calandre, al fianco di Massimiliano Alajmo. Un'esperienza, la sua, che metterà a disposizione degli iscritti al corso Professione Chef Giapponese.

 

Giappo Academy | Napoli | via Orazio, 80 | Il corso Professione Chef Giapponese comincia a settembre, ma le iscrizioni sono aperte | tel. 081 2404302 | Per maggiori info: scuola@giappo.com


Bocuse d'Or. Per le olimpiadi della cucina gli chef italiani sollecitano la politica

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Risorse, sostegno, allenamento e grandi opportunità. Come per le Olimpiadi, anche il Bocuse d'Or rappresenta un'occasione incredibile per il nostro territorio ma richiedono uno sforzo costante e congiunto, anche delle istituzioni. Finora non c'è stato e no siamo andati oltre il quarto posto. Che questa sia la volta buona?

Il sogno del Bocuse d'Or e le ragioni di risultati incerti

Il sogno? Superare quel quarto posto conquistato nell’ormai lontano 2001 con il piatto di pesce firmato da Paolo Lopriore… non è possibile che l’Italia il paese nel quale il cibo ha valore culturale e turistico come in nessun altro luogo al mondo non sia mia riuscita a vincere il Bocuse d’Or, il problema è che il primo a credere in questo che è il più importante concorso culinario al mondo, l’Olimpiade della cucina, dovrebbe essere lo Stato, lo dovrebbe sostenere come fa con i grandi eventi sportivi, il meccanismo è lo stesso, c’è una preparazione che dura tre anni… Si è mai chiesta perché nazioni come l’Islanda e l’Ungheria, paesi senza storia gastronomica rispetto al nostro siano riusciti a vincere? Perché dietro c’era lo Stato in tutto e per tutto, così diventa più facile anche trovare sponsor”, a lanciare il grido di dolore è Luciano Tona, ex direttore di ALMA, ora direttore dell’Accademia Bocuse d’Or Italia e nel 2001 coach di Lopriore.

 

Lo sfogo l’abbiamo raccolto oggi prima del via della conferenza stampa di presentazione ufficiale della finale italiana del premio internazionale, svoltasi al Mercato Centrale di Roma. Quando gli è toccato prendere la parola sul palco per presentare, assieme al presidente dell’Accademia Enrico Crippa, lo chef di Piazza Duomo e miglior cuoco al mondo per l’Academie Internationale de la Gastronomie (che gli ha assegnato quest’anno all’unanimità il Grand Prix de l’Art de la Cuisine), i quattro chef (Paolo Griffa, Giuseppe Raciti, Roberta Zulian, Martino Ruggieri) che il 1 ottobre si contenderanno ad Alba il posto per la finale europea, gli occhi gli brillavano “dopo quello che ho sentito, questo potrebbe essere davvero l’anno buono, è vero io sono un’ottimista a vita, però da oggi ci spero un po’ di più…”.

Paolo Griffa, Giuseppe Raciti, Martino Ruggieri, Roberta Zulian. I quatto finalisti itaiani del Bocuse d'OrPaolo Griffa, Giuseppe Raciti, Martino Ruggieri, Roberta Zulian. I quatto finalisti itaiani del Bocuse d'Or

Opportunità e istituzioni in campo per il Bocuse d'Or

Certamente a fargli vedere il futuro più roseo ha contribuito la presenza dell’assessore alla Cultura e al Turismo della Regione Piemonte, Antonella Parigi che ha sottolineato la grande opportunità che ha quest’anno l’Italia come paese ospitante della finale europea: tocca a noi indicare gli ingredienti principali che i concorrenti dovranno utilizzare per il concorso: fra i papabili per ora ci sono riso, gorgonzola e carne fassona. Un’ulteriore occasione per promuovere le eccellenze italiane.

Ancor più stimolante, in questo senso, l’intervento del Vice Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, Andrea Olivero, che ha visto nel concorso una grande opportunità per la valorizzazione in generale del cibo come patrimonio culturale e parte integrante dell’offerta turistica del nostro paese, lasciando aperta più di una possibilità all’interessamento delle istituzioni, a partire dal Ministro Martina e dal Ministro Franceschini che, tra l’altro, a giugno, ha proclamato il 2018 anno del cibo italiano.

 

Le prossime tappe

Il sostegno al candidato italiano che il 11 e 12 giugno 2018 a Torino, nell'ambito di Gourmet Expoforum, sfiderà gli altri 19 cuochi di altrettante nazioni, per conquistare un posto alla finale mondiale del Bocuse d’Or di Lione a gennaio 2019, potrebbe essere il primo atto con li quale le istituzioni “certificano” il valore della cucina come patrimonio nazionale. I cuochi da parte loro, facendo squadra (Crippa durante la conferma stampa ha più volte sottolineato l’importanza del sostegno di tutti i colleghi invitati a mettere a disposizione le loro esperienze internazionali per dar man forte ai candidati, e la presenza di Anthony Genovese, Francesco Apreda e Cristina Bowerman, dà già un’idea dei calibri in campo) e non trascurando alcun particolare a cominciare dal fatto di aver costruito un box identico a quello nel quale si lavorerà a Lione: “l’Accademia è nata per prendere a braccetto il candidato e sostenerlo in tutto: preparazione culturale, design del piatto, stress fisico e mentale… il Bocuse d’Or è un concorso che può cambiare la vita ma richiede dedizione totale ed enormi investimenti ma è un’occasione unica per il cuoco e per l’Italia”, ha concluso sempre Crippa. Più chiaro di così.

 

 

a cura di Laura Mantovano

 

 

A Berlino il primo contest sullo street food europeo

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Una competizione che dura da mesi e che vedrà sul podio il miglior street food europeo. Sono gli European Street Food Awards (ESFA), la prima gara fra trucker in Europa, con finale prevista per settembre a Berlino. 

Aggiornamento 13/07/2017: L'organizzazione degli ESFA ci fa sapere che la finale italiana dello scorso maggio è stata invalidata già due settimane fa. Quindi, fino al prossimo settembre (quando a Bergamo si svolgerà la nuova e definitiva finale nazionale dall'8 al 10) non conosceremo il nome del finalista italiano. Prendiamo le distanze da qualunque dichiarazione mendace rilasciata in precedenza. 

Il primo contest sul cibo di strada europeo

Cambiano le tendenze, cambia il modo di mangiare e quello di scegliere sapori e pietanze. Così lo street food si fa strada e conquista i consensi anche dei palati più tradizionalisti, proponendo spesso ricette antiche riportate a nuova luce e scardinando la gerarchia dei pasti. E come ogni settore che si rispetti, anche in questo caso arriva un contest a certificare le migliori creazioni: sono gli European Street Food Awards (ESFA), il primo contest che mette in mostra il meglio del cibo di strada europeo. Una gara che si svolgerà nei Paesi d’origine per le prime fasi e si concluderà con la finale di Berlino, in programma dal 30 settembre al 1 ottobre: a partecipare saranno cuochi e cuoche da Danimarca, Germania, Paesi Bassi, Spagna, Italia, Svezia, Francia e Regno Unito. Per eleggere il migliore di tutti: il cibo di strada più goloso d'Europa.

Lo street food è diventato così popolare perché è un modo di cenare intrigante e a basso impegno” ha raccontato Richard Johnson, fondatore degli European Street Food Awards. “Questa nuova frontiera del pasto gira tutta intorno al trovarsi insieme e condividere del cibo. In un mondo come è ora il nostro, non può che passare un messaggio positivo”.

 

Gli European Street Food Awards e il candidato italiano

Durante i mesi estivi ogni Paese in gara lancerà i propri eventi per la conquista dei titoli nazionali: in alcuni casi, come l’Italia, la competizione ha già dato i suoi risultati. Per la Penisola, infatti, è stato selezionato Porcobrado, dopo una sfida tenutasi a giugno a Milano, a cura di Streeat - European food truck festival: a incantare il pubblico la saporita carne di cinta senese allevata dalla famiglia Polezzi a Cortona, e affumicata con legno di ciliegio sul truck, per finire all'interno di un panino a lievitazione naturale. In aggiunta salse homemade, per un prodotto che ha sbaragliato i concorrenti del Carroponte alla fine di maggio, e ora dovrà conquistare la platea internazionale.

Una volta superate le rispettive selezioni nazionali, i cuochi in gara si sottoporranno al giudizio di critica e pubblico nella finale berlinese: il pubblico può votare già dalla conclusione delle gare nazionali, tramite l’app rilasciata a maggio e disponibile gratuitamente, che contiene - oltre alle descrizioni di piatti e prodotti usati - anche le ultime notizie pubblicate da team di giornalisti esperti di street food e, naturalmente, dettagli su come votare.

Oltre ai finalisti, al Bite Club di Berlino - dove sono previsti anche un party finale con dj e bar galleggianti - ci sarà anche qualche “jolly”: un piatto speciale, una pietanza che ha in qualche modo colpito l’immaginario e il palato della giuria.

 

www.europeanstreetfood.com

a cura di Francesca Fiore

Mozzarella di bufala campana Dop ora anche congelata. Intervista al Consorzio

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È il direttore Pier Maria Saccani a riassumere le posizioni del Consorzio in merito alla proposta di modifica del disciplinare di produzione e commercializzazione della mozzarella di bufala a marchio Dop, che negli ultimi giorni ha alimentato le polemiche. Il punto più discusso sulla mozzarella abbattuta. 

Frozen sì o no? E con quali svantaggi a scapito del prodotto? Da quando il Consorzio della mozzarella di bufala campana ha avanzato la proposta di modifica del disciplinare che regola la Dop, la polemica imperversa, specialmente tra gli addetti ai lavori. Convinti sostenitori di una politica che favorirebbe gli interessi economici dei consorziati e l’espansione di un mercato potenziale per la bufala all’estero da un lato, scettici e puristi dall’altro, fermi assertori della necessità di andarci con i piedi di piombo nel momento in cui si tratta di ripensare le regole di produzione e commercializzazione del prodotto tutelato dalla Dop. A questo proposito, per dir la verità, occorre dirimere un punto essenziale, che al di là del caso specifico può essere utile nel formulare un giudizio: il marchio Dop – come le altre denominazioni territoriali - non è necessariamente sinonimo di eccellenza, limitandosi a definire un’origine territoriale e il rispetto di un disciplinare di produzione comune da parte di chi si riunisce sotto il suo cappello. Questo non significa che tutti alla fine dei giochi immettano sul mercato un prodotto di qualità. E in questo senso regolare casi specifici, come il discusso processo di abbattimento del prodotto (a volte già operato sottobanco), potrebbe soddisfare la causa della trasparenza al consumatore finale.

Ma il pacchetto di modifiche proposto dal CdA del Consorzio, per quanto ancora tutto da spiegare (abbiamo cercato di fare il punto qualche giorno fa), ha comunque agitato le acque, mettendo in subbuglio specialmente Confagricoltura e la Federazione degli allevamenti bufalini. Di fatto l’iter di approvazione sarà ancora lungo, e siamo convinti che i punti più discussi, trattandosi di aspetti intrinsechi alla produzione, andrebbero ulteriormente approfonditi, prima di emettere una sentenza. Noi qualche domanda a riguardo l’abbiamo rivolta direttamente al mittente, interpellando il Consorzio nel tentativo di fare chiarezza, e offrirgli pure diritto di replica davanti alla scetticismo condiviso da molti. Ci ha risposto Pier Maria Saccani, direttore del Consorzio, e riportiamo integralmente l’intervista, chiamando a replicare chiunque sentirà di poter aggiungere qualcosa a un dibattito che, proprio nell’interesse del consumatore e del mercato made in Italy, auspicheremmo fosse quanto più lineare e meno “urlato” possibile. Fantascienza?

Pier Maria Saccani, direttore del Consorzio mozzarella di bufala campana dop

Ripartiamo dall'iter: che probabilità c'è che le modifiche proposte dal CdA siano approvate? 

Le proposte di modifiche al disciplinare sono state approvate alla fine dall’assemblea generale del consorzio che raggruppa allevatori e caseifici. Ora attendiamo fiduciosi l’iter.


Chi e con quali tempi deve approvarle?

L’iter comunitario prevede adesso che le Regioni interessate emettano un parere al Ministero delle politiche agricole che sta esaminando le richieste di modifiche.


Non è necessario anche il passaggio all’Ue? 

Una volta concluso l’esame a livello nazionale, il Mipaaf invierà il dossier a Bruxelles per l’esame e la successiva pubblicazione sulla gazzetta ufficiale dell’Unione Europea.

 

Il punto più discusso riguarda l'introduzione della dicitura Frozen, qualcuno sostiene sia un modo per aggirare la modifica già proposta qualche anno fa e bocciata, sulla possibilità di utilizzare latte congelato. Cosa risponde il Consorzio?

Le richieste di modifiche devono essere viste nel complesso non singolarmente. La prima delle modifiche, a cui in questi giorni non è mai stata data rilevanza, riguarda la richiesta di inserire in disciplinare la possibilità per i caseifici iscritti alla Dop di utilizzare esclusivamente latte bufalino della zona e certificato. Si tratta di un grande passo in avanti per la valorizzazione del comparto zootecnico. Per ciò che riguarda il “frozen”, si tratta di una modalità di conservazione del prodotto che non incide sugli aspetti produttivi. 

 

Ma da un punto di vista tecnologico non c'è il rischio che la mozzarella congelata sia penalizzata per gusto e consistenza nel processo di scongelamento?

Assolutamente no. Al contrario tutte le modifiche sono volte a garantire ed elevare gli standard qualitativi per i diversi utilizzi di prodotto. Basti pensare che oltre il 35% della mozzarella di bufala campana Dop viene utilizzata come ingrediente di prodotti trasformati (canale Ho.Re.Ca, si pensi alle pizzerie e ai ristoranti). Per questi canali è utile pensare un prodotto dedicato.

 

Come dovrebbe essere regolato il processo di congelamento? Ogni azienda potrebbe gestirlo in autonomia? Avete ipotizzato dei parametri comuni?

I disciplinari di produzione sono documenti che non possono essere modificati in tempi brevi (sicuramente tempi molto più lunghi rispetto alle rapide dinamiche dei mercati moderni). Non si parla, in generale, nei disciplinari di tecnologie specifiche perché queste potrebbero evolversi in poco tempo e li renderebbero inapplicabili. Ma stiamo lavorando con diversi enti di ricerca, università e istituto zooprofilattico di Portici proprio per definire tutti i parametri.

 

Chi assicurerà il controllo della catena del freddo? La logistica non può rappresentare un problema?

Per quanto riguarda la logistica ci sono vettori internazionali specializzati nella gestione della logistica a temperature negative, che garantiscono un processo molto più delicato rispetto alle normali dinamiche di quelle realizzate a +4°C.

 

Anche l'assenza di acqua di governo è un punto discusso, perché peculiare per la conservazione e il mantenimento del gusto di una bufala. Una volta scongelata oltreoceano, dunque, la mozzarella si presenterà avulsa dal suo "habitat" naturale. Non c'è uno svantaggio per chi la consuma? 

Come già detto, sono diversi gli usi applicabili alla mozzarella di bufala campana Dop. In alcuni casi il liquido di governo e l’alta umidità (il disciplinare prevede l’umidità massima del prodotto) costituiscono un problema. L’importante è la trasparenza nei confronti dei consumatori, che poi sono liberi di compiere una scelta consapevole.

 

Gli allevatori protestano, preoccupati che il costo del latte subisca un netto ribasso: è vero? Economicamente chi e come è avvantaggiato dalle modifiche proposte? 

Gli allevatori sono soci del Consorzio e hanno votato le modifiche al disciplinare di produzione. La prima modifica è relativa proprio all’utilizzo esclusivamente del latte di bufala certificato Dop per i caseifici iscritti al sistema, come dicevamo. Inoltre le diverse tipologie di prodotto che si vorrebbero introdurre, avendo dei tempi di conservazione più lunghi rispetto al prodotto attuale, consentirebbero una migliore valorizzazione del latte prodotto durante i mesi invernali, periodo in cui c’è un minor consumo di mozzarella Dop. 

 

Ci saranno significative differenze di prezzo finale? Il prodotto congelato costerà meno?

Sarà il mercato a definire gli equilibri (se così non fosse interverrebbe l’Antitrust!). Ma le diverse tipologie di prodotto si riferiscono a segmenti differenti per cui difficilmente potranno influire sui rispettivi prezzi. Resta il fatto che produrre una mozzarella di bufala campana Dop ha dei costi elevati e questi dovranno essere tenuti presente per tutti i canali.

 

Sono favorevoli tutti i consorziati? 

Le modiche sono state votate a larghissima maggioranza. Inoltre siamo l’unico Consorzio in Italia a contemplare un Comitato Paritetico, composto appunto in maniera paritetica da 3 allevatori e 3 caseifici, che è l’unico soggetto abilitato a proporre modifiche al disciplinare. Il Comitato Paritetico ha dunque scritto e proposto al Cda del Consorzio le modifiche che poi sono state sottoposte al voto dell’assemblea generale.

 

Non temete che possa uscirne danneggiato il prestigio della Dop? E non c'è il rischio di auto cannibalizzarsi (se il prodotto posso averlo congelato, perché comprarlo fresco a prezzo maggiore anche se la distanza lo consente)? 

La segmentazione delle produzioni c’è in tutti i comparti merceologici. Inoltre i canali distributivi della mozzarella di bufala campana Dop sono molto variegati. C’è un’alta percentuale di vendita presso gli spacci aziendali annessi ai caseifici (oltre il 14% dell’intero volume di prodotto che, si ricorda, nel 2016 è stato poco inferiore alle 45mila tonnellate per un fatturato complessivo di oltre mezzo miliardo di euro). Ci sono poi i negozi specializzati, i canali della distribuzione tradizionale e la GDO. Il canale Ho.Re.Ca. assorbe una buona fetta della produzione. Si è introdotta la tipologia Artigianale proprio per valorizzare le piccole realtà territoriali.

 

L'obiettivo dichiarato è quello di far crescere la Dop. Che tipo di investimento avete previsto per il prossimo triennio? Quali sono le direttrici privilegiate?

Innanzitutto proseguiremo con la strada già intrapresa di sinergia con il comparto dei beni culturali. Abbiamo accolto con grande entusiasmo il progetto dei Ministri Martina e Franceschini, che hanno annunciato il 2018 come anno della Cultura e dell’Agroalimentare. Noi, con la nostra nuova sede alle Cavallerizze della Reggia di Caserta, possiamo dire di aver anticipato i tempi. Se poi il disciplinare sarà approvato dovremo presentare ai diversi interlocutori commerciali le nuove tipologie introdotte. 

 

a cura di Livia Montagnoli

 

Chi è Ritu Dalmia, la chef star indiana che apre il ristorante Cittamani a Milano

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Nata a Calcutta, prima dei 20 anni Ritu Dalmia era già innamorata dell'Italia e della sua cucina, di cui si è fatta ambasciatrice in India dopo numerosi viaggi alla scoperta di prodotti e ricette. Oggi gestisce un impero della ristorazione: 7 locali, catering esclusivi e programmi di cucina. A Milano arriva a settembre con Cittamani.  

La cucina contemporanea indiana esiste

Il più celebre interprete della cucina indiana contemporanea nel mondo è Gaggan Anand, ragazzone d'esperienza saldo in vetta alla classifica dell'Asia's 50 Best Restaurants da tre anni a questa parte. Perché, non dimentichiamocelo, nonostante la cucina di Gaggan sia il fiore all'occhiello dell'alta ristorazione thailandese, con sede a Bangkok, lo chef che l'ha concepita, e portata al successo internazionale, è originario di Calcutta, e dalle tradizioni del suo Paese ha preso le mosse per costruire un percorso gastronomico sorprendente e all'avanguardia, memore pure delle fascinazioni delle sperimentazioni occidentali. In Italia, invece, quando parliamo di cucina indiana continuiamo a ragionare di pakora e pollo tikka masala, associando il genere – una delle cucine etniche di maggior suggestione per varietà del bouquet di spezie, colori e sapori, da cui pure qualche chef di casa nostra ama farsi ispirare (si veda la ricerca di Francesco Apreda) – a ristoranti di grande semplicità, porzioni generose e prezzi contenuti, senza particolari guizzi creativi. Ma il prossimo autunno, ancora una volta da Milano, la riscossa della cucina indiana d'autore potrebbe partire dall'inaugurazione di Cittamani, primo locale in trasferta della celebre chef Ritu Dalmia, la “diva” della ristorazione indiana, che in patria si divide tra il gruppo Diva Restaurants (sette locali uno diverso dall'altro, e circa 200 persone impiegate), una fiorente attività di catering di lusso per vip e tycoon e svariate apparizioni televisive.

gli ingredienti e i colori della cucina indiana

Etnico di qualità. A Milano si può

Insomma, dopo il Perù – che ora vanta a Milano due tavole di livello, Pacifico e Quechua – e la recente fiammata della cucina vietnamita con Saigon (anche se, in questo caso, è tutta da confermare l'effettiva qualità della proposta dietro al fenomeno di tendenza), il capoluogo meneghino si conferma la piazza italiana più adatta per valorizzare proposte etniche di qualità, anche al di fuori dei soliti circuiti fusion o giapponesi. Dall'inizio di settembre, in piazza Carlo Mirabello (Brera), Cittamani sarà “ristorante di lusso contemporaneo indiano con mixology corner”, come si legge sugli annunci prontamente pubblicati in rete per reperire un Head Barman e un Restaurant Manager. Dietro il progetto c'è l'investimento di Leeu Collection, società dell'imprenditore indiano Analjit Singh, che opera nel settore dell'ospitalità a 5 stelle, tra il Sudafrica e l'Europa. In Italia la società ha già avviato i lavori per la realizzazione di Villa Querce, a Firenze: 70 camere e giardini per una struttura esclusiva che sarà completata solo nel 2021. Intanto però la scommessa si appunta sulla cucina moderna, contaminata, internazionale e creativa di Ruti Dalmia.

Ritu Dalmia in cucina

Ritu Dalmia. Chi è e perché è innamorata dell'Italia

La chef, 44 anni e originaria di Calcutta, in India è una donna di successo (dichiaratamente omosessuale in una società che ha tardato a riconoscerne i diritti) e personalità di spicco della vita culturale del Paese; il primo ristorante l'ha aperto a Delhi nel 1993 (si chiamava MezzaLuna, cercava di servire autentico cibo italiano: “Un fallimento, dovevo creare cibo originale, non limitarmi a copiare chi sapeva fare meglio”, racconta oggi Ritu), dopo un inizio di carriera trascorso a seguire gli affari di famiglia, attiva nel commercio di marmo. E proprio all'Italia deve il suo innamoramento per la cucina: i suoi primi viaggi nella Penisola, alla scoperta dell'enogastronomia locale, ne hanno formato gusti e personalità gastronomica (la storia ricorda quella di un'altra celebre chef innamorata del Belpaese, e ambasciatrice della cucina italiana nelle Filippine, Margarita Fores), e oggi tra i suoi ristoranti spicca il Diva Italian, oltre alla caffetteria che gestisce presso il Centro Culturale dell'Ambasciata Italiana di Chanakyapuri, a Delhi. E sempre in Italia ha girato tre serie per il format televisivo Italian Khana, serie di grande successo in India, da cui è stato tratto un libro di cucina italiana. Insomma, non è un caso che per connotare la sua attività imprenditoriale Ritu abbia scelto di ricorrere a un termine, “diva”, che evoca gli anni d'oro dell'Italia, e nemmeno che, nel 2011, sia stata insignita dell'onorificenza dell'Ordine della Stella Italiana, per la sua costante attività di divulgazione della cultura italiana nel mondo.

 

Un'imprenditrice di successo

Appartengono al pacchetto Diva Restaurants anche il Diva Spiced, il Latitude 28 del Khan Market di Delhi, il Cafè Diva al centro commerciale Sangam di New Delhi, il cocktail bar PDA Martinis And More. Tutti declinati in un linguaggio gastronomico originale e personale; a Milano, dichiara Ritu, vuole portare una visione moderna della cultura gastronomica indiana, le sue molteplici correnti culturali, con un approccio libero da dogmi categorici, e invece bendisposto a contaminazioni di ingredienti e tecniche. Con lo stesso spirito che fino a oggi ha guidato la sua divulgazione della cucina italiana in India. “La cosa che amo di più è mangiare” ha rivelato sul palco di TedX Goa l'anno scorso “e se possibile ancora di più mi piace viaggiare”. A 18 anni, in Sicilia, già scopriva le panelle e il marzapane. Un'educazione sentimentale che passa attraverso il cibo, la conoscenza di persone, la scoperta di nuove ricette e prodotti, e non può che costituire una valida premessa per la prossima apertura milanese. Anche se stavolta si tratterà di “insegnare” qualcosa sulla cucina indiana agli italiani.

 

Cittamani | Milano | piazza Carlo Mirabello, 5 | da settembre 2017 | www.facebook.com/cittamanimilano/

 

a cura di Livia Montagnoli

Pane, pizza e impasti all’avanguardia a Monza. Il Forno Del Mastro ed Era Pizza

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Due nuove insegne, due realtà all’avanguardia che valorizzano le ultime sperimentazioni nel campo della panificazione e della pizza a degustazione. Adriano Del Mastro – già con Romito, Bonci e Longoni – rileva il più antico forno di Monza, lo chef gelatiere Ivan Gorlani apre Era Pizza. 

Da Niko Romito a Longoni, passando per Bonci

Adriano Del Mastro ha 29 anni. Un giovane di belle speranze, si potrebbe azzardare senza conoscerlo a fondo. Uno di quei talenti emergenti di cui la scena gastronomica italiana, per fortuna, non è affatto avida. Ma le cose non stanno proprio così. Di talento, per carità, ce n'è in abbondanza. Quello che non ci si aspetta in prima battuta, invece, è di trovarsi davanti a un panificatore navigato, uno che in cucina – perché di cucina parliamo, e pure di un certo calibro – c'è entrato a 13 anni, quando voleva fare lo chef. Originario di Campo di Giove, pochi abitanti sulle montagne in provincia dell'Aquila, il suo battesimo del fuoco è avvenuto al fianco di Niko Romito: 8 anni al Reale, con la giacca da cuoco all'inizio, ma ben presto folgorato da panificazione e pasticceria. Passione che, preso tutto ciò che poteva dall'esperienza con Romito, l'ha portato anche a Roma, due anni al fianco di Gabriele Bonci al panificio di via Trionfale. E poi ancora, più di recente, a Milano, nel team di Davide Longoni, prima nel laboratorio di Monza, poi direttamente in città, con la qualifica di capo panificatore, ancora nei primi mesi del 2017. La svolta è arrivata quasi per caso, “anche se l'idea di aprire un'attività in proprio è sempre stata un sogno” racconta Emanuela Di Loreto, compagna di Adriano nella vita e sul lavoro. Galeotto, neanche a dirlo, un corso sulle farine biologiche, che ha messo in contatto i due giovani abruzzesi – stabilmente a Monza da tre anni – con gli ultimi proprietari di uno storico panificio cittadino, aperto in via Cavour dal 1930: “Il forno è sempre stato in attività, è uno dei più antichi della città. Con le ultime gestioni però le cose non stavano andando benissimo. La proposta di rilevarlo ci è sembrata una grande opportunità, nel giro di un mese abbiamo fatto tutto”.

Il banco del Forno del Mastro a Monza

Il nuovo laboratorio nel più antico forno di Monza

Quindi, nell'ordine, Adriano lascia la squadra di Longoni, il locale viene completamente rinnovato, senza intaccare l'atmosfera da forno di provincia, “che vogliamo mantenere, nonostante la nostra offerta segni uno stacco netto con la tradizione di panificazione precedente. Però, per esempio, non abbiamo voluto creare un angolo caffetteria: il nostro resta un laboratorio del pane”. E non solo, meglio precisarlo. La nuova gestione, sotto l'insegna Forno Del Mastro, ha inaugurato lo scorso 5 giugno, e già garantisce un bel ventaglio di scelta ai clienti che si avventurano oltre l'uscio, incuriositi dalla bella novità. Tra l'altro, spiega Emanuela, che al negozio si occupa della vendita, “nel giro di un mese la clientela è già cambiata. Usiamo prodotti certificati, lievitazioni 100% da lievito madre, abbiamo regalato una nuova immagine al forno. E la risposta per ora è stata molto positiva!”.

I dolci del Forno Del Mastro a Monza

Pane, pizza, lieviti ed ingredienti locali

I prodotti disponibili al banco? Si parte con 9 tipologie di pane, dall'integrale al pane di campagna, al casareccio, al farro o al millesemi; le farine sono quelle umbre bio di Molino Silvestri. Poi c'è la pizza, quella in teglia alla romana (“qui proprio non la conoscono, in giro si trova un impasto alto e soffice, tutt'altro genere”), eredità importante del maestro Bonci: impasto da farina di segale, farro e grano tenero tipo 2, farciture varie, per il momento proposte semplici, con verdure di stagione, pomodoro e mozzarella, pomodorini, zucchine e alici. Gli ingredienti, neanche a dirlo, sono tutti eccellenti: extravergine e passata arrivano dall'Abruzzo, la mozzarella è un fiordilatte di Agerola, prosciutto cotto e crudo sono di Marco d'Oggiono (Lecco), le verdure delle campagne locali. In vendita anche i vini dell'azienda di famiglia a Tuorlo (provincia di Chieti), birre artigianali abruzzesi e locali, le confetture di Marco Colzani, artigiano laureato in agraria ed enologo, che dal 2016 ha un laboratorio tutto suo a Carate Brianza, per nettari, creme, marmellate e cioccolato. Golosi anche i dolci: lieviti per la colazione (cornetti, veneziane, girelle), la torta paesana a base di pane, biscotti secchi con nocciole delle Langhe. E per Natale si preannuncia l'arrivo del panettone. Il forno è aperto dalle 7.30 alle 19.30, con orario continuato (sabato fino alle 15), e mette a disposizione dei clienti che vogliono fermarsi per uno spuntino anche qualche tavolo.

la pizza a degustazione di Era Pizza a Monza

La pizzeria a degustazione di Monza

Ma che Monza stia vivendo un periodo di grande fermento sul fronte di impasti e lievitazioni (stato di grazia che condivide con Milano), lo conferma anche l’apertura di Era Pizza, pizzeria a degustazione nata meno di un mese fa dall’iniziativa di un gelatiere ben noto nel panorama lombardo: Ivan Gorlani. Il gelatiere è proprietario a Brescia della Gelateria Mille (Un Cono sulla guida Gelaterie d’Italia del Gambero Rosso), e in qualità di chef “scienziato”, come l’hanno ribattezzato bonariamente gli amici, ha deciso di cimentarsi anche con la pizza, forte dell’apprendistato con Nerio Sirani, perfezionando un progetto che parla molto di territorio e sapori antichi, ma anche di sperimentazione e tecniche all’avanguardia.

La pizza Mc Era di Era Pizza a Monza

Presidi, ingredienti locali, ricerca sugli impasti

Il locale di via Magenta (circa 80 coperti a breve distanza dal Duomo), progettato da studio Mabb in uno spazio settecentesco, segue il filone avviato proprio al Nord da maestri pizzaioli come Simone Padoan, Renato Bosco, Massimiliano Prete. E già ha fatto parlare di sé per la pizza viola servita con tempura di baccalà, cipolla caramellata di Tropea, mais soffiato e biancoperla, e cavolo riccio, che il colore insolito dell’impasto lo deve all’utilizzo delle more di gelso, tipiche dell’area brianzola. E tanti sono gli ingredienti valorizzati in collaborazione con aziende e piccoli produttori locali, dalla luganega di Viganò al caprino della cascina Bagaggera, alla bresaola della macelleria Da Pinuccio. Evidente anche la voglia di sperimentare sugli impasti (Era è l’acronimo per Evoluzione, Ricerca e Attinenza), per ottenere l’effetto “nuvola”: una fetta ariosa, croccante fuori e morbida dentro, da farine integrali e fibra di baobab, guarnita a crudo con gli ingredienti freschi. In carta 25 proposte, tra le più originali la Mc Era (farcita con hamburger Cazzamali, quadrello di bufala, pomodoro Paglione, cicoria, cipolla di Tropea, maionese dello chef), ma anche abbinamenti tradizionali, realizzati però con Presidi Slow Food lombardi e nazionali, dal crudo di Mora Romagnola ai succhi di Colzani, ai formaggi di Marco Vaghi. Si chiude con il gelato della casa, con i gusti retrò che hanno reso celebre la Gelateria Mille, in primis quello dedicato a Stendhal. Aperto solo la sera, dall’aperitivo al dopocena.

 

Forno Del Mastro | Monza (MB) | via Cavour, 3 | tel. 039 6774724 | dalle 7.30 alle 19.30, chiuso la domenica | www.facebook.com/fornodelmastro/

Era Pizza | Monza (MB) | via Magenta, 16 | tel. 039 389092 | dalle 18.30 all’1, chiuso il lunedì | www.erapizza.it

 

a cura di Livia Montagnoli

 

Dove mangiare da Piombino a Livorno, 18 indirizzi imperdibili della costa degli Etruschi

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Un viaggio fra le spiagge di uno dei litorali più affascinanti della penisola, da Piombino a Livorno: è la costa degli Etruschi. È qui che andiamo, alla scoperta degli scorci e degli anfratti più suggestivi e naturalmente dei migliori posti dove mangiare, bere e prendere un buon caffè.

La costa degli Etruschi

Tra tutte le coste toscane, quella vicino Livorno è sicuramente la più varia: tratti rocciosi e spiagge lunghe si alternano a isole con piccole calette e arenili attrezzatissimi, per la gioia di ogni tipologia di turista balneare. Ma questa zona non offre solo splendidi tramonti sul mare: è un’area ricca di storia e archeologia, che prende il nome dal popolo che più di tutti ne ha segnato la storia antica, gli Etruschi. Vi raccontiamo questo litorale, con i migliori indirizzi per mangiare a Livorno e provincia.

 

Fare un bagno a Piombino

“La mia piccola Parigi”, così chiamava Piombino Elisa Bonaparte Baciocchi, sorella dell’imperatore francese, letteralmente ammaliata da questo borgo. Una città che conserva numerose tracce del suo passato glorioso, dalle origini etrusche al Principato di Piombino, di cui era capitale (signoria dal 1398 al 1594 e poi stato indipendente fino al 1814). Partite dalla vista del Torrione, l’antica porta di ingresso alla città, risalente al 1200 e chiamata anche Porta di Sant’Antonio, e non mancate una visita al castello, costruito agli inizi del XIII secolo e poi divenuto fortezza medicea, tra il 1552 e il 1557, per volere di Cosimo I de' Medici.

 

panorama sul mare da PiombinoPiombino - foto di Hotel Sabatino 

Un panorama mozzafiato da non perdere è quello che si gode da Piazza Bovio, una sorta di balcone con vista sull’isola d’Elba, costruita su uno sperone di roccia a picco sul mare. Da qui potrete vedere le varie spiagge di Piombino: Calamoresca, tratto dalla vegetazione rigogliosa e protetta da un promontorio che scende dolcemente verso il mare; Salivoli, uno dei pochi arenili di Piombino completamente di sabbia; Pirelli, una spiaggia libera dove praticare sport d’acqua; Buca delle Fate, caratterizzata da rocce che si tuffano quasi a strapiombo nel mare, con una sottile lingua di sabbia.

 

Da Populonia e San Vincenzo, il cuore della Maremma livornese

A pochi chilometri a nord di Piombino c’è Populonia, importantissimo centro prima etrusco e poi romano, che ancora oggi conserva una necropoli etrusca interamente visitabile e immersa in un parco protetto, il Parco archeologico di Baratti e Populonia. Da visitare anche la sua fortezza, risalente al XII secolo, da cui si può ammirare la vista sul Golfo di Baratti.

 

Rocca di Populonia, provincia di Livorno Rocca di Populonia - foto di Italia in detttaglio

Proseguendo verso nord si arriva a San Vincenzo, una delle località turistiche e balneari più rinomate della zona, con i suoi 12 chilometri di spiagge, tutte molto curate e attrezzate. Immerso nella vegetazione mediterranea del Parco naturale di Rimigliano, San Vincenzo offre posti come la Spiaggia della conchiglia, quella della principessa o quella di Rimigliano, senza dimenticare la dog beach, dedicata ai bagnanti a quattro zampe.

 

Mare e natura fra Castagneto Carducci e Cecina

Castagneto Carducci è un borgo medievale che in passato fece la sua fortuna, come altri comuni della zona, grazie alle vicende della famiglia Della Gherardesca: il nome originale è Castagneto Marittimo, poi cambiato in Castagneto Carducci in onore di Giosuè Carducci, che da bambino abitò qui per alcuni anni.

 

Spiaggia di Cecina, provincia di Livorno Spiaggia di Cecina, provincia di Livorno -foto di Sette muse

Una ventina di chilometri più a nord si trova Cecina, altro comune di fondazione etrusca, portata al massimo splendore dal granduca Leopoldo II di Toscana che a metà dell’800 fece bonificare tutta l’area circostante. Cecina oggi è una cittadina molto dinamica, che vive in parte di turismo, ma anche di eventi culturali: naturalmente dà il massimo di sé durante i mesi più caldi, quando i bagnanti scelgono le coste della Marina anche per la folta pineta che le circonda e che regala un po’ di fresco.

 

Da Rosignano a Livorno

Penultima tappa del nostro viaggio sulla costa degli Etruschi è Rosignano Marittimo, con la sua frazione Rosignano Solvay, fondata nei primi del '900 e sviluppatasi intorno allo stabilimento chimico della Solvay: il borgo novecentesco è stato man mano ampliato dalla società belga secondo la filosofia dellacittà giardino sviluppata a partire dagli scritti di William Morris e dai progetti di Raymond Unwin.

Lasciato Rosignano, percorsi pochi chilometri verso nord sarà visibile la Torre di Calafuria, un'antica postazione d'avvistamento che faceva parte di un complesso più ampio costruito fra la fine del XVI e l'inizio del XVII secolo. Qui c’è uno dei tratti di litorale più belli e particolari di tutta la zona, con scogli dai colori iridescenti che si tuffano in un mare blu cristallino e pieno di vita, per questo meta di professionisti e appassionati di immersioni subacquee. Subito dopo Calafuria si aprono le porte di Livorno, città dalla storia antica, in posizione strategica per il commercio e la difesa marittima, ma abitata anche da grandi letterati, musicisti e artisti come Pietro Mascagni e Amedeo Modigliani. Il centro urbano, visitabile in un giorno, conserva ancora la struttura creata dai Medici fra il XV e il XVII secolo, con gli imponenti bastioni a formare un massiccio pentagono che tutelò la popolazione per secoli.

 

Il canale di LivornoLivorno - foto di Toscana inside

 

Uno dei luoghi più suggestivi è Terrazza Mascagni, uno scenografico belvedere con una balaustra formata da oltre 4 mila colonnine che si affaccia sul mare: costruita nel 1925, poi rasa al suolo durante la seconda guerra mondiale e ricostruita grazie ai restauri effettuati nella seconda metà del ‘900. La pavimentazione a scacchiera è frutto dell’accostamento di circa 34.800 piastrelle bianche e nere. Ma a Livorno, per chi ama l’arte e l’architettura, c’è l’imbarazzo della scelta: dal Duomo di San Francesco alla chiesa di Santa Caterina (celebre per un dipinto ad olio del Vasari), passando per il Santuario di Montenero e i tanti palazzi nobiliari. Oggi un interessate progetto di recupero del sistema mercatale ne fa un centro perfettamente in linea con le tendenze internazionali dei mercati gastronomici, frutto di una strategia di crescita cittadina attraverso la valorizzazione del cibo.

 

CONSIGLI DALLA GUIDA RISTORANTI D’ITALIA 2017

Il bucaniere (San Vincenzo)

Una struttura essenziale e moderna, progettata da Fuksas, con ampie vetrate panoramiche e la spiaggia da cornice è il locale di Fulvietto Pierangelini (figlio del noto Fulvio) a San Vincenzo. La materia prima ittica è il filo conduttore del menu, che conta piatti dai sapori delicati, dalle cotture accennate e dalle linee pulite. A pranzo proposta più informale, mentre a cena una lista più articolata e raffinata. Lasciate spazio per i dolci, semplici ma golosi, in grado di lasciare un segno anche a fine cena. Cantina ampia, con diverse etichette interessanti.

 

Il doretto (Cecina)

Un bel casolare di campagna ospita il locale di Mirko Rossi, che propone un menu suddiviso in maniera equilibrata fra carne e pesce, proposti in abbinamenti mai banali. La grande padronanza della tecnica e lo spazio lasciato alla creatività esaltano le materie prime utilizzate, trasformate in piatti dai sapori precisi, da gustare nelle sale interne o nel grazioso dehors estivo. Dalla cantina importanti referenze e alcune rarità selezionate dal patron sia in Francia che in Italia. Due Forchette nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

 

In vernice/Lo scoglietto (Livorno - Rosignano Marittimo)

Due locali i locali di questa proprietà: il ristorante invernale a Livorno, quello estivo - Lo scoglietto - a Rosignano Marittimo, in località Solvay. La proposta si basa su una cucina territoriale che ruota attorno al mercato e alle materie prime di qualità, sulla rivisitazione dei classici della tradizionale locale, sulla precisione e cura nei dettagli. Ottimo rapporto qualità prezzo per i menu degustazione. Dalla cantina soprattutto referenze regionali con ricarichi onesti. Due Forchette nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

 

La perla del mare (San Vincenzo)

La cucina di Deborah Corsi, con vista sull’arcipelago toscano, nasce in un ex stabilimento balneare con una splendida terrazza affacciata sul Tirreno. In menu la chef sperimenta giocando su abbinamenti e rivisitazioni, inserendo tra gli ingredienti anche prodotti esotici. Interessanti i menu degustazione, a 5 o 7 portate. Carta dei vini incentrata soprattutto sui rossi del bolgherese, anche se non mancano etichette di pregio da altre zone. Due Forchette nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

 

La pineta (Bibbona)
Uno degli indirizzi più solidi e affidabili per chi ama la cucina di pesce di qualità. La pineta di Luciano Zazzeri è un trionfo della materia prima, com’è giusto che sia per un cuoco con l’anima del pescatore. Semplicità, modernità, esaltazione dei sapori e freschezza: sono queste le caratteristiche della cucina dello chef. Belli e creativi i dolci, appaganti sia per lo sguardo che per il palato. Carta dei vini brillante, curata dal figlio Andrea, con diverse etichette rare. Prenotazione obbligatoria. Due Forchette nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

 

Nonna Isola (Rosignano Marittimo)

Una trattoria con più di 30 anni di reputazione alle spalle, situata nella frazione Castiglioncello. L’eredità di nonna Isola è stata raccolta dal nipote Enrico Faccenda, ai fornelli, e dalla moglie Suzan Echen, sommelier, che guidano il locale con competenza e passione. Il menu si basa sulle ricette della tradizione rivisitate e sull’esaltazione dei prodotti locali. Buoni i dolci, golosi e fantasiosi. Dalla cantina molte etichette nazionali di livello e birre artigianali. Due Gamberi nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

 

Osteria La torre di Populonia (Piombino)

Si trova nell’antico borgo di Populonia il locale di Antonio e Maria Ciminelli. Il mare è il protagonista della proposta ma non mancano valide alternative di carne. L’esperienza di Maria si riflette in piatti precisi, dai sapori freschi e, allo stesso tempo, avvolgenti. Importante la selezione di oli del territorio, da assaggiare insieme al pane. Molto interessanti anche i dessert, lontani dai sapori classici. Cantina curatissima, frutto della costante ricerca di Antonio. Due Forchette nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

 

Osteria San Michele (Castagneto Carducci)

Sull’Aurelia vecchia, è un’osteria dall’atmosfera intima, dove l’accoglienza e la cura del cliente sono la prima regola. Ai fornelli c’è Michele Vigliotti, che propone pietanze di carne e di pesce mettendo in mostra la sua grande maestria nel trattare i prodotti: il risultato è una cucina dai sapori intensi e mai banali. Buoni i dolci della casa, più allineati alla tradizione. Carta dei vini ben strutturata e valido servizio alla mescita. Due Forchette nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

 

CONSIGLI DALLA GUIDA PIZZERIE D’ITALIA 2017

La ventola (Rosignano Marittimo)

Una vita dedicata alla pizza, quella di Antonio Polzella, che gli ha permesso di sperimentare mantenendo alta l'attenzione alle intolleranze alimentari, realizzando prodotti di alta qualità. Qui si lavora con farine semi integrali macinate a pietra e farina integrale di segale, ma c’è l’impasto senza lievito, quello cotto al vapore e il crunch. I topping sono di alto livello, con prodotti locali selezionati dal pizzaiolo. Da bere birre toscane e italiane, oltre ai vini biologici e biodinamici. Due Spicchi nell’edizione 2017 della Pizzerie d’Italia 2017.

 

CONSIGLI DALLA GUIDA STREET FOOD 2017

Da Cecco (Livorno)

Un indirizzo storico, dove provare la celebre “cinque e cinque”, l’accoppiata pane e cecinatipica della città, da mangiare per strada o anche all’interno del piccolo locale. Qui la torta di ceci si prepara come una volta, e non manca, tra i prodotti, anche una pizza genuina e saporita, lievitata naturalmente e cotta al mattone. L’ambiente è rustico, il servizio gentile e attento.

 

Da Gagarin (Livorno)

Altro locale storico di Livorno, conosciuto dai cittadini così come dai turisti che soggiornano sulla costa livornese nei mesi più caldi. La torta di ceci della casa è molto celebre: croccante fuori e morbida all’interno, impastata a mano e cotta sui tegami di rame nel forno a legna. Da mangiare con il pane, da sola o accompagnata da verdure di stagione, appoggiati ai pochi piani d’appoggio del locale o passeggiando fra i vicoli del centro storico.

 

La Barrocciaia (Livorno)

A metà fra un’accogliente osteria e un moderno locale di street food, a La Barrocciaia si possono assaggiare golosi panini imbottiti preparati con pane di grande qualità farcito con i prodotti del mercato antistante la piazza. L'alternativa è sedervi e scegliere qualche pietanza dal menu, costruito sulla tradizione toscana. Interessante l’offerta dei vini in bottiglia, anche se non manca mai il vino della casa.

 

L’ostricaio (Livorno)

Da baracchino storico, aperta fin dal 1920, a vero e proprio ristorante con una vista che regala dei suggestivi tramonti sul mare. Qui si possono assaggiare deliziosi crudi di pesce, con piatti curati in ogni dettaglio, ma anche interessanti primi e ottime fritture, fragranti e leggere. Da accompagnare con i vini in carta, che riserva anche con importanti sorprese per chi ama i bianchi. Locale sempre affollato, si consiglia di prenotare.

 

CONSIGLI DALLA GUIDA GELATERIE D’ITALIA 2017

Le carapine (Cecina)

Il nome deriva dai contenitori in cui è conservato il gelato. Tanti i gusti tra cui scegliere - fra quelli tradizionali e quelli più creativi - tutti caratterizzati da grande freschezza, intensità di sapori, fattura di pregio e naturalità. Gli ingredienti freschi frutta, ma anche verdura, vengono da aree limitrofe. Curati anche i gusti più tradizionali. Da provare anche le cremolate. Due Coni nell’edizione 2017 della guida Gelaterie d’Italia.

CONSIGLI DALLA GUIDA PASTICCERI&PASTICCERIE

Cristiani (Livorno)

Sei metri di mignon e paste che possono soddisfare ogni desiderio dei golosi: così si presenta il bancone di Cristiani, la pasticceria più nota della città. Il locale è spazioso e luminoso, l’accoglienza cordiale: si può partire dalle brioches e dai cornetti della colazione, continuare con monoporzioni e torte di ogni tipo, fino ad arrivare al salato, con pizzette di sfoglia, panini ma anche focacce saporite e fragranti. Interessante la produzione di dolci internazionali e quelli delle feste. Due Torte nell’edizione 2017 della guida Pasticceri&Pasticcerie.

 

Conca d’oro (Campiglia Marittima)

Arrivato dalla Sicilia per portare la sua arte dolciaria in Toscana, Domenico D’Affronto ha iniziato la carriera come cioccolatiere e ancora oggi prepara 60 tipi di praline diverse, ma l'offerta nel suo locale è varia, e va da profumati lievitati e soffici brioches, fino ai dessert monoporzione, fra cui un ottimo tiramisù. Interessanti le torte classiche, raccontate anche dal pasticcere in persona tramite il grande schermo in fondo al locale. In estate gazebo con sorbetteria. Una Torta nell’edizione 2017 della guida Pasticceri&Pasticcerie.

 

CONSIGLI DALLA GUIDA BAR D’ITALIA 2017

Dàn Kafè (Cecina)

Un locale da frequentare a ogni ora della giornata, dalla prima colazione fino al dopo cena. Si parte dal caffè, con vari tipi di monorigine provenienti da Brasile, Colombia, Etiopia e Kenya, da accompagnare a una ricca proposta di croissant, brioches, muffin ma anche dolci vegani e gluten free. Interessante il buffet per pranzo, da gustare nei mesi più caldi nel curato dehors, mentre per merenda ci sono tè, cioccolate, succhi di frutta bio. Ottimo l’aperitivo, con una lunga lista di cocktail e sfizi salati. Tre Chicchi e Due Tazzine nell’edizione 2017 della guida Bar d’Italia.

 

Drupa caffè (Livorno)

Chi va da Drupa lo sa, assaggerà un grande caffè. È questo infatti il cuore di questo locale situato leggermente fuori dal centro storico, ma comunque in posizione invidiabile. Non solo espresso monorigine o da miscele, ma anche caffè turco e moka: si può infatti scegliere inoltre il metodo d’estrazione preferito. Le miscele sono fornite da Le piantagioni del caffè, nota torrefazione toscana e per ogni preparazione sono segnalati i tempi d’attesa. Ma qui si possono gustare anche brioches e cornetti, oltre a piatti salati come insalatone, cous cous di mare e gli immancabili panini. Tre Chicchi e Una Tazzina nell’edizione 2017 della guida Bar d’Italia.

 

indirizzi

Cristiani | Livorno | via di Salviano, 6 | tel. 0586 856598 | www.pasticceriacristiani.it

Conca d’oro | Campiglia Marittima (LI) | via Indipendenza, 102 | tel. 0565 855967 |www.concadorocioccolato.it

Da Cecco | Livorno | via dei Cavalletti, 2 | tel. 0586 881074 | www.facebook.com/CeccoAlessio

Da Gagarin | Livorno | via del Cardinale, 24 | tel. 0586 884086 | www.facebook.com/CeccoAlessio

Dàn Kafè | Cecina (LI) | via L. Da Vinci, 5 | tel. 347 0328639 | www.facebook.com/pg/caffetterialibreria

Drupa caffè | Livorno | via Giovanni Marradi, 147 | tel. 339 356 8676 | www.drupacaffe.it

Il Doretto | Cecina (LI) | via Pisana Livornese, 32 | tel. 0586 668363 | www.facebook.com/pages/Ristorante-Il-Doretto-Di-Rossi-Mirko/162796113731843

Il bucaniere | San Vincenzo (LI) | viale Guglielmo Marconi, 9 | tel. 335 800 1695 | www.ristoranteilbucaniere.com

In vernice | Livorno | via Sproni, 32 | tel. 0586 219546 | www.facebook.com/pages/In-Vernice/153643278002971

La barrocciaia | Livorno | piazza Felice Cavallotti, 13 | tel. 0586 882637 | www.labarrocciaia.it

Le carapine | Cecina (LI) | vicolo S. Giuseppe, 3 | tel. 0586 370138 | www.m.facebook.com/gibi.lecarapine

La perla del mare | San Vincenzo (LI) | via della Meloria, 9 | tel. 0565 702113 | www.laperladelmare.it

La pineta | Bibbona (LI) | via dei Cavalleggeri Nord, 27 | tel. 0586 600016 | www.lapinetadizazzeri.it/LaPineta

La ventola | Rosignano Marittimo (LI) | via Nuova Dei Cavalleggeri, 171 | tel. 0586 770101 | www.laventola.it

L’ostricaio | Livorno | Viale Italia, 100 | tel. 0586 581345

Lo scoglietto | Rosignano Marittimo (LI) | località Rosignano Solvay | lungomare Monte alla Rena, 13-15 | tel. 0586 767962 | www.loscogliettorosignano.it

Nonna Isola | Rosignano Marittimo (LI) | lo. Castiglioncello | via Aurelia, 558 | tel. 0586 753800 | www.nonnaisola.com

Osteria la torre di Populonia | Piombino (LI) | via S. Giovanni, 14 | tel. 0565 195 3110 | www.facebook.com/osteriatorredipopulonia.it

Osteria San Michele | Castagneto Carducci (LI) | via Vecchia Aurelia, 199 | tel. 0565 774478 | https://www.facebook.com/Osteria-San-Michele-337105709684896

 

 

a cura di Francesca Fiore

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Montalcino, Poggio Antico diventa belga. Ne abbiamo parlato con Paola Gloder

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L'azienda di proprietà sin dal 1984 della famiglia milanese Gloder, è stata ceduta all'industriale belga Marcel van Poecke, leader del gruppo Atlas Invest, attivo nel settore dell'energia e delle rinnovabili. Parla Paola Gloder, che insieme al marito Alberto Montefiori, ha fatto diventare Poggio Antico, un marchio di successo internazionale

Poggio Antico, una delle aziende protagoniste della storia di Montalcino degli ultimi 30 anni, ha ceduto a Marcel van Poecke, laureato in agraria e fondatore di Atlas Invest, la proprietà dell'azienda. Lo ha confermato al Gambero Rosso, Paola Gloder spiegando che "in azienda per ora non cambierà niente tanto che la prossima vendemmia la continueremo a seguire io, Alberto, lo staff aziendale e Federico Trost, scelto dalla nuova proprietà, che ha una notevole esperienza nel settore". A proposito di von Poecke osserva che "lo conosco da molti anni e posso assicurare che non solo si tratta di un imprenditore molto in gamba ma è anche grande appassionato di vino che ha tutto l'interesse a dare continuità all'esperienza di Poggio Antico e di migliorarla ulteriormente" e aggiunge: "Quella della continuità dal punto di vista qualitativo è una delle prime condizioni che ho posto durante la trattativa".

 

Le cifre del Brunello

Al momento non si conosce l'entità della transazione ed entrambe le proprietà, la vecchia e la nuova, non hanno voluto rilasciare commenti in proposito. È possibile però ipotizzare, in base ai prezzi correnti di mercato, che si tratterebbe di alcune decine di milioni di euro visto che le quotazioni correnti stimano il valore di un ettaro di Brunello circa 450/500.000 euro/ettaro. L'azienda si estende per 200 ettari complessivi dei quali 32,5 ettari sono vigneto (28 ettari a Brunello, 2 ettari a Rosso di Montalcino e 2,5 ettari a Cabernet) mentre la restante parte è suddivisa tra uliveti, seminativi e boschi a cui si deve aggiungere la cantina e vari altri immobili.

 

Il motivo della cessione

Abbiamo chiesto a Paola Gloder i motivi della cessione dopo tanti anni di attività "Ormai l'impegno che un'azienda come Poggio Antico richiede, era diventato molto gravoso: noi ci siamo sempre occupati di tutto, dalla vigna alla cantina alla commercializzazione. Il mio modo di lavorare, da quando 31 anni fa ho iniziato, è sempre stato lo stesso e si basa sull'impegno totale. Infatti il senso dell'azienda è sempre stata la concretezza e l'essenzialità, che corrisponde al modo di vedere e di sentire della nostra famiglia. Ora però motivi anche personali ci hanno convinto che era il momento di passare la mano".

 

Poggio Antico

Acquistata da Giancarlo e Nuccia Gloder nel 1984, l'azienda nell'arco di pochi anni si era fatta largo in un mondo locale che si stava aprendo alle novità. A cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, infatti c'erano stati molti investimenti "milanesi" che avevano creato aziende come Altesino, Caparzo, La Gerla, Santa Restituta e altre ancora che avevano contribuito alla diffusione del Brunello.

Poggio Antico è presente sulla guida Vini d'Italia sin dall'edizione del 1991 quando prese i primi Tre Bicchieri per il Brunello di Montalcino 1985. Un vino eccellente, di grande eleganza, che nasceva a 450 metri sul livello del mare, all'epoca considerata una quota assai elevata per il sangiovese. Attualmente l'azienda ha il riconoscimento della stella perché nel corso degli anni ha conquistato per almeno 10 volte i Tre Bicchieri della Guida.

Paola Gloder, che ha iniziato giovanissima a condurre l'azienda, dice di se stessa: "Sono una ragioniera (in effetti è diplomata in ragioneria) e nemmeno sommelier". Understatement a parte - si tratta di una dote sempre più rara - con la collaborazione di suo marito, Alberto Montefiori, ha costruito una delle più note e affermate aziende di Montalcino e ha saputo affermare una filosofia di produzione basata sulla chiarezza delle scelte e sull'integrità. Lontana dagli attuali fasti della comunicazione, ha saputo imporre il Brunello e l'Altero di Poggio Antico come due grandi vini, dotati di una personalità spiccata e riconoscibile. Per una "ragioniera e nemmeno sommelier" non c'è male.

 

Il ristorante

Il sinuoso viale di cipressi che porta all'azienda è una promessa di bellezza e relax, che regala panorami incredibili sulla Val d'Orcia. Paesaggi che si possono godere anche dal ristorante omonimo, il Poggio Antico, ospitato in una vecchia stalla ristrutturata con sobrietà e da sempre affidato nella cucina e nell'intera gestione a diverse figure che ne hanno determinato il successo. L'hanno aperto nel 1993 Roberto Minnetti e Patrizia Leonardi dopo l'esperienza d Pianeta Terra a Roma (dal 1984 al 1992, uno dei pochissimi ristoranti d'autore in una Roma dove la ristorazione gourmet praticamente non esisteva) che ne hanno fatto in poco tempo uno degli indirizzi di riferimento della zona; merito di una cucina di raffinata rusticità, capace di interpretare pienamente la migliore anima di certa Toscana, ma anche dellaveduta che spazia dalla vetta del Monte Amiata alle colline della Maremma fino al mare in lontananza, e all'atmosfera quieta e rilassante, circondato com'è dai vigneti dell'azienda.

 

Negli anni il bel ristorante, a una manciata di chilometri da Montalcino, ha visto succedersi alla guida Oliver Glowig, arrivato nel 2010 dopo L'Olivo al Capri Palace e prima dell'Aldrovandi di Roma, Gianluca Di Pirro e ultimo, in ordine di tempo, il giovane Sossio Perrotta, alle spalle esperienze alla Veranda di Villa d'Este a Cernobbio. Per tutti il richiamo al territorio, sapientemente mescolato a spunti creativi e ottima tecnica, è stato l'elemento trainante di una cucina solida ed elegante.

 

Come cambia il panorama di Montalcino

Con la cessione anche di Poggio Antico, Montalcino conferma che è in atto un cambiamento profondo e importante della sua struttura produttiva. Attualmente non c'è azienda medio-grande del territorio che non abbia ricevuto offerte di acquisto, più o meno allettanti, e non è storia degli ultimi mesi. Finito il tempo degli investimenti familiari, ora è la volta dei grandi investimenti finanziari. Da Biondi Santi in mano ai francesi, all'argentino Bulgheroni (Tenute Vitanza, Podere Brizio, Poggio Landi) ai tedeschi Eichbauer (Poderi Salicutti) all'americano Gary Rieschel (Cerbaiona) o al brasiliano Andre Santos Esteves (Argiano), Claudio Tipa (Poggio di Sotto), senza dimenticare lo storico investimento dei fratelli Mariani con Banfi e altri ancora, il Brunello di Montalcino si sta sempre più internazionalizzando.

Se da una parte è una grande opportunità dall'altra potrebbe rivelarsi un pericolo per Montalcino. Le piccole e medie aziende del Brunello sono profondamente inserite nel contesto produttivo e culturale del Brunello e hanno tutto l'interesse a far crescere il territorio ma non necessariamente è lo stesso interesse di chi fa degli investimenti finanziari. La discussione è aperta. E di sicuro Poggio Antico non sarà l'ultima azienda di Montalcino a cambiare proprietario in questi mesi.

 

Poggio Antico | Montalcino (SI) | Loc. Poggio Antico | tel. 0577 848044 | http://www.poggioantico.com/

 

a cura di Andrea Gabbrielli

 


Radio Alice raddoppia. La seconda pizzeria dei fratelli Aloe a Londra, nel quartiere di Clapham

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La pizza a degustazione di Berberè sembra piacere parecchio ai londinesi, e dopo soli 6 mesi dalla prima apertura di Shoreditch – che ha battezzato l'insegna Radio Alice – i fratelli Aloe inaugurano il secondo locale in città. 80 coperti nell'ex bistrot francese, e la cura per impasti e prodotti di sempre. 

La pizza di Berberè piace ai londinesi

I fratelli Aloe ci hanno preso gusto. E a quanto pare anche i londinesi passati negli ultimi mesi da Radio Alice, insegna battezzata in partnership con Emma King per dare un volto alla pizza di Berberè in trasferta. La prima fuori dall'Italia, da quando la premiata ditta Aloe ha intrapreso quella fortunata espansione imprenditoriale che, dopo il quartier generale emiliano e il consolidamento del format in quel di Bologna, nel giro di 3 anni ha già toccato Firenze, Torino, Milano e Roma, ultima arrivata in famiglia. Della genesi del progetto Radio Alice abbiamo raccontato in dettaglio, anticipandone l'apertura e poi provandola sul campo, a poche settimane dall'inaugurazione nel quartiere di Shoreditch (fine 2016), approfittando per fare il punto sulla fortunata storia della pizza a degustazione ideata nel 2010 a Castel Maggiore, hinterland bolognese. Una prova importante per i fratelli Aloe, alla prima uscita su una piazza gastronomica internazionale di prestigio.

i tavoli con gli sgabelli di Radio Alice Clapham

Radio Alice Clapham

E dopo poco più di sei mesi i fatti parlano più di tante parole: ha inaugurato il 26 giugno, senza troppo clamore, il secondo locale di Radio Alice a Londra, nato dalla ristrutturazione a cura di Studio Rizoma Architetture (con i visual dell'artista Alex Green) di un ex bistrot francese nel quadrante sud-ovest della città, nel villaggio/quartiere di Clapham, proprio di fronte al cinema di zona. Ancora una volta l'allestimento privilegia il recupero di pezzi vintage in arrivo dall'Italia, che si fonde nella sala da 70 coperti di Clapham con elementi d'arredo dell'insegna precedente, tutto riletto alla luce del design fresco e contemporaneo che caratterizza i locali del gruppo: mattoni a vista, inserti azzurri alle pareti, l'illuminazione di Soprattutto Paralumi, qualche sgabello per mangiare al banco, affacciato sul forno elettrico a vista. E un bel gioco di sedute differenti, divanetti in pelle, panche in legno, sedie e sgabelli.

Il prodotto, invece, è lo stesso di sempre, un impasto a lunga lievitazione da pasta madre e farine semi-integrali, con ingredienti stagionali che determinano variazioni costanti in carta (11 proposte per stagione, molte le alternative vegetariane). Tanti i prodotti in arrivo dall'Italia, selezionati tra contadini e allevatori nazionali che lavorano con professionalità, come l'associazione Libera Terra, storico partner di Berberè. A questo proposito, proprio a Clapham, una speciale promozione estiva (fino al 30 luglio) finanzierà le attività del progetto di Don Ciotti: acquistando due pizze, la seconda costerà solo 1 pound, destinato a Libera Terra.

Il nuovo Radio Alice dispone pure di un dehors su strada con 24 sedute. Del quartiere, i fratelli Aloe hanno subito amato lo spirito di buon vicinato che si respira nella comunità di Clapham, affine alla filosofia di Berberè (che intanto, a settembre, si rifarà il look nella sede bolognese di via Petroni, con un restyling che renderà gli interni più luminosi e colorati, in linea con gli altri locali italiani).

 

Radio Alice Clapham | Londra | 67, Venn Street | solo a cena | www.radioalicepizzeria.co.uk

 

a cura di Livia Montagnoli

Foto di Carol Sachs

Il prosciuttificio Galloni di Langhirano riapre dopo l'incendio

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A luglio dello scorso anno un vasto incendio ha causato danni ingenti al prosciuttificio Galloni, con una perdita di circa 2.500 prosciutti di Parma e la quasi totale distruzione dell'edificio centrale dell'azienda. Oggi, esattamente un anno dopo, la F.lli Galloni S.p.A. riparte a pieno regime.

La cantina del prosciuttificio Galloni, dove avviene la  stagionatura

La ripresa del prosciuttificio Galloni

La famiglia ha mantenuto la promessa fatta pochi giorni dopo il disastroso evento che il 14 luglio 2016 ha distrutto buona parte dello stabilimento di via Roma e bruciato migliaia di prosciutti di Parma. Una sfida quasi impossibile, considerato che solo per la demolizione sono serviti cinque mesi, ma vinta senza fare vittime sacrificali: nessun licenziamento, non un giorno di cassa integrazione.“Una sorta di piccolo miracolo in cui la mia famiglia e tutti i collaboratori hanno creduto fortemente”. Racconta Carlo Galloni, Presidente della storica azienda di Langhirano. Più che di miracolo, una storia di volontà, sacrificio, fiducia, unita alla lungimiranza della famiglia Galloni, che aveva dislocato la produzione in altri due edifici e ha prontamente deciso di utilizzare le scorte destinate a un progetto che coinvolgeva l'estero “per non rallentare la distribuzione e per rispettare i tempi di consegna di tutti gli ordini ricevuti”. E alla tempestività delle autorità locali: “Ci siamo trovati di fronte, fortunatamente, a una burocrazia snella, dove gli amministratori locali hanno fatto tutto quello che potevano fare, in tempi rapidi. Ovviamente devo ringraziare anche i dipendenti, che hanno avuto una capacità reattiva incredibile, e i colleghi, che durante il primo periodo hanno ospitato i prosciutti che eravamo riusciti a salvare dall'incendio”. Così, in pochi mesi, è stato ricostruito lo stabilimento di 12mila metri quadri, quelli danneggiati, e oltre duecento persone interessate, tra dipendenti e artigiani, sono potute tornare a lavorare come prima, o per certi versi anche meglio.

La salagione fatta a mano nel prosciuttificio Galloni

La produzione dell'azienda Galloni

Stiamo creando le condizioni per il cambio di passo, attraverso un nuovo modo di lavorare, che include anche l'Internet of Things, migliora i processi e dimezza i rischi. Nonostante questo, la Galloni resta un’impresa familiare”. Un'industria del prosciutto di Parma (visto i numeri che macina), ma tra le migliori senza ombra di dubbio. Il suo crudo è lavorato con cura partendo da cosce selezionate di suino pesante provenienti dal circuito della Dop, presso allevamenti di fiducia. E la lavorazione è in gran parte manuale: selezione, salagione, pre riposo, riposo, lavaggio, passaggio nell'essiccatoio, sugnatura, toelettature, pre-stagionatura: tutte operazioni seguite con grande attenzione. Per finire la stagionatura in cantina, che è più lunga rispetto alla media, e va da un minimo di 15 o 16 mesi, fino a riserve di addirittura tre anni. L'azienda propone anche un Parma stagionato in barrique, ottenuto da cosce di maiali particolarmente grandi e maturi, di circa 12 mesi di età, che completano la maturazione in botti di rovere.


F.lli Galloni S.p.A. | Langhirano (PR) | via Roma, 84 | tel. 0521 354211 | www.galloniprosciutto.it

 

a cura di Annalisa Zordan

 

Mangiare all'aperto a Milano nell'estate 2017. 11 consigli da provare

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In una Milano sempre più da mangiare, dove grandi cucine e spazi curatissimi sono all'ordine del giorno, non mancano locali con spazi esterni. Si tratti di giardini verdi o terrazze dall'affaccio memorabile. Noi abbiamo selezionato i più nuovi, aperti (o rinnovati) nell'ultimo anno, o poco più.

Il nostro tour alla ricerca degli indirizzi più nuovi in cui mangiare all'aperto, dopo Roma  e Napoli, fa tappa a Milano. Anche stavolta abbiamo voluto offrirvi una selezione delle novità o dei locali che si sono affacciati da poco tempo sul paorama meneghino o che, nell'ultimo anno, hanno rinnovato, in parte o del tutto, la loro offerta.

 

Il cortile di Bulk all'hotel Viu

Bulk and bar 

Dalla mattina fino alla sera tardi, il Bulk è la caffetteria bistrot dell'Hotel Viu, dove da pochi mesi è arrivato Giancarlo Morelli a firmare una doppia linea di cucina, da una parte il gourmet che porta il suo nome, dall'altra la formula più easy del Bulk. Insegna che omaggia il Deposito Bulk, centro sociale che per anni ha occupato l'area che oggi ospita l'albergo. Il bistrot ha una proposta complementare a quella del ristorante principale del 5 stelle, con un'ampia carta dei cocktail firmati daMattia Pastori e Ivan Patruno, qualche proposta di birra e vini, e una scelta di panini, sandwich, taglieri, piccoli sfizi – come crostoni di pane con burro di Bretagna e alici del Cantabrico o pollo croccante - da accompagnare ai drink, ma anche primi e secondi semplici e gustosi. Cose come ceviche, spaghetti al pomodoro mozzarella di bufala e basilico, riso ai pistilli di zafferano, midollo e riduzione al vino rosso, galletto. Tutto da consumare anche nei tavoli esterni.

Bulk | Milano | Hotel Viu | via Aristotile Fioravanti, 4 | tel. 02 80010918 | http://www.hotelviumilan.com/giancarlo-morelli-mixology-lounge-bar-bulk-restaurant-milano/

 

Un tavolo nel giardino della triennale

Caffè in Giardino con Vista Triennale

Lo spazio, firmato dallo studio OBR, è un bonus di cui non si può non tenere conto: un cubo in vetro trasparente sospeso su Parco Sempione. Da qui la vista è meravigliosa, con il Castello Sforzesco e il profilo meneghino a fare da sfondo. Ma oggi non vi parliamo della terrazza, quartiere generale milanese di Stefano Cerveni (e il contributo dell'head barman Luis Hidalgo) dove piatti d'autore si mescolano in un felice connubio con proposte di cucina più classica. Stavolta scendiamo nello tranquillo giardino al piano terra dove il caffè - con una nuova gestione - sta acquistando una sua identità, tutta volta al mangiare facile e informale, che a pranzo si declina in hamburger di chianina, polpo e vegetale, insalate, focacce ripiene con verdure, i dolci di Stefano Casati. Da gustare sotto il pergolato o nel tavolo sociale, la sera aperitivo con cocktail, dai classici alla piccola lista di gin tonic di Marco Muratori, ad accompagnare le serate che d'estate si vestono di musica.

Caffè in Giardino con Vista Triennale | Milano | via Alemagna, 6 | tel. 02 724341

 

Il giardino verticale del cortile di canteen

Canteen

L'impatto, una volta giunti al ristorante, è notevole. Per via dell'ingresso nascosto da una singolare facciata in corten, per gli arredi ricercati, per il lussureggiante giardino verticale: una cura del dettaglio che ne fa uno di quei posti di tendenza, decisamente modaioli, animati e affollati. Un posto suggestivo che ricrea un angolo di Messico nel centro di Milano, con musica non proprio di sottofondo e un contorno di chiacchiere e cocktail a girare. Uno di quei locali dove andare anche per guardare e farsi guardare, oltre che per gustare una buona cucina latina. La proposta è: Mexican Kitchen & Tequila Bar. Dalla cucina arrivano quindi appetizer di ogni tipo - dai nachos ai ceviche - e tacos, le fajitas della casa (il meglio, per noi) e "platos fuertos" per tutti i palati. Da mangiare anche nel cortile racchiuso tra palazzi coperti di edera, un luogo affascinante e pieno di piante.

Canteen | Milano | via Archimede, 10 | tel. 02 546 3732 | https://www.lucaguelficompany.com/ristorante-canteen-milano/

 

Alcuni piatti di Dry

Dry2. Pizza, cocktail e pasticceria

Dietro al successo di Dry c'è un gruppo capitanato da Andrea Berton, Tre Forchette nel ristorante che porta il suo nome, con una serie di altre insegne che accolgono e rilanciano la sfida della ristorazione informale di oggi. Dry è il format che unisce pizza e cocktail aperto ormai da qualche anno a via Solferino, che solo pochi mesi fa ha raddoppiato gli indirizzi con una nuova sede con 200 coperti e un piacevole dehors. La proposta è quella consolidata del primo locale, con una cocktail list firmata da Guglielmo Miriello che accontenterà gli appassionati del bere miscelato e una scelta di pizze ben realizzate. Di nuovo c'è, però, l'offerta di dolci provenienti dalla pasticceria interna.

Dry2 | Milano | viale Vittorio Veneto, 28 | tel. 02 63471564 | www.drymilano.it

 

la veranda nel verde di al fresco

Al Fresco 

Come dopo aver varcato una porta spazio-temporale, entri da Al Fresco e pensi di trovarti in Provenza, con il glicine sul pergolato, le grandi finestre, ma anche le piante tropicali, i piccoli graziosi dettagli che decorano l'ambiente e quell'atmosfera sospesa e rilassata che invita soste tranquille. Un posto dove mangiare immersi in un giardino verde anche quando si sceglie un tavolo interno, per via del bellissimo bow window che guarda fuori. Da qualche tempo un cambio di guardia ha accolto alla guida della cucina il romano Nicola Delfino. La proposta è gustosa, con qualche richiamo capitolino e spunti più originali, ma senza eccessi. Quindi all'immancabile amatriciana si affiancano cose come gamberi rosa con burrata e olio di bottarga o il filetto di vaca vieja alla brace mediterranea o il polpo arrosto con le patate al limone e chimichurri. Tra i dolci grandi classici in veste nuova, come il cannolo senza cannolo o il babà caramellato alla crema pasticcera.

Al Fresco | Milano | va Savona, 50 | tel. 02 49533630 | http://www.alfrescomilano.it/

 

La terrazza co vista sul duomo di Lo Basso

Lo Basso Restaurant del TownHouse Duomo 

L'affaccio è di quelli da cartolina: vista Duomo a distanza ravvicinata dalla Madonnina, che si ammira dalla sala, ma ancora di più dalla terrazza proprio sulla piazza. È qui che, da poco più di un anno, officia Felice Lo Basso. Pugliese di nascita e di cucina, non dimentica le recenti esperienze in Alto Adige, prova ne sia il fletto di cervo al profumo di montagna, crema di mirtilli e cavoletti al formaggio di capra. Per il resto, però, è tutto un trionfo di sapori e memorie della sua Puglia, pur rinnovata con tecnica e sapienza contemporanee: ditalini in zuppa di pesce con gambero rosso, ricotta di bufala e puntarelle; branzino, carciofi e spuma al nero; gelato al vin cotto di fichi, cremoso alle mandorle e cartellata. Solo per citare qualche esempio.

Felix Lo Basso restaurant | Milano | piazza Duomo, 21 | tel. 02 49528914 | www.felixlobassorestaurant.it

 

gli interni di Lùbar, con vista sul giardino

Lùbar

La linea gastronomica è quella nata come progetto di ristorazione mobile, una manciata di anni fa. Uno “slow street food” di matrice siciliana che, dopo un certo girovagare tra Italia ed Europa, ha trovato una sede stabile nel capoluogo lombardo, prima nel mezzanino della Stazione Centrale, con un'apetta color beige, e ora in forma più stanziale dentro la Villa Reale, che ospita la Galleria d'Arte Moderna. Un luogo magico, sia nelle sale interne, che nel dehors. La caffetteria occupa il portico sud, un tempo area di transito per le carrozze, e la limonaia, oggi giardino d'inverno ricco di piante e di fascino retrò, un po' orangerie e un po' casa colonica. Un luogo sospeso in cui i toni chiari dialogano con il verde del giardino e la luce che penetra dalle finestre a tutta altezza. La proposta dei tre fratelli Lucilla, Lucrezia e Ludovico Bonaccorsi è semplice e gustosa. E mescola i sapori della Trinacria con ispirazioni eterogenee: cannoli di ricotta, granite alla frutta e latte di mandorla (cosa c'è di più rinfrescante in previsione dei caldi pomeriggi d'estate milanesi?), e ovviamente gli arancini al ragù, ma anche rivisitati con carciofi e speck, gamberetti e pistacchio o alla norma.

Caffetteria della Galleria d'Arte Moderna di Milano LùBar | Milano | via Palestro, 16 | tel. 02 83527769 | https://www.lubarstreetfood.com/via-palestro-16/

 

La corte interna del mandrin bar

Mandarin Bar & Bistrot

Se al ristorante Seta il comando è solidamente in mano ad Antonio Guida, per quanto riguarda il comparto cocktail c'è una novità nella proposta del Mandarin. A curare il Mandarin Bar & Bistrotarriva Matteo Rizzolo, che qualcuno ricorderà al fianco di Dario Comini al Nottingham Forest e non solo. La lista dei drink, in parte elaborata con Antonio Guida, è pensata per creare una sinergia con le proposte studiate dallo chef per il secondo spazio del Mandarin: piccoli assaggi d'autore, piatti italiani, insalate, sandwich, con una proposta che mixa inspirazioni nostrane e internazionali: si va dagli stuzzichini per l'aperitivo come mondeghili di vitello e mortadella, arancini di riso, baccalà mantecato al nero di seppia e wasabi e salmone marinato agli agrumi e alga nori, ai piatti per pranzo e della cena, invece, Antonio Guida propone un menu che racconta la tradizione italiana in maniera semplice ma innovativa. Il cortile interno, con divani, tavoli e luci soffuse, sa dare ristoro a chi approda all'hotel extralusso che ha saputo cambiare le traiettorie dei gourmet cittadini.

Mandarin Bar & Bistrot | Milano | Via Andegari, 9 | tel. 02 87318898 | http://www.mandarinoriental.it/milan/

 

Il cortile interno di Da Noi In al Magna Pars

Da Noi In dell'Hotel Magna Pars Suites 

Lo spazio esterno del Da Noi In è un cortile nascosto nell'hotel Magna Pars Suites, l'hotel in zona Tortona che proprio in questi giorni ha registrato un cambio di guardia alla guida della cucina. Lascia infatti Fulvio Siccardi dopo 4 anni, sostituito da Giuseppe Postorino, cresciuto proprio al fianco dello chef piemontese sin dall'apertura dell'hotel. La cucina dell'hotel 5 stelle rimarrà, almeno nei primi tempi, sulla scia di quella che abbiamo potuto testare in questi anni, divisa tra proposte di mare e classici cittadini. Sulla carta delle pietanze un simbolino segnala i piatti dello chef, a differenziare la proposta e rispondere alle esigenze di una clientela variegata, interna ed esterna dell'hotel. Tra i piatti cose come il merluzzo nero marinato, zucchine saltate, salsa al miso agrumata o i ravioli ai 5 crostacei con pomodorino fresco e olio di basilico. Formule più easy per il pranzo con proposte vegetariane, e il valet parking per risolvere il problema del posto auto completano l'offerta e rendono ancora più piacevole la sosta.

Da Noi In | Magna Pars Suites | Milano | via Forcella, 6 | tel. 02.8338371| www.magnapars.it

 

Proposte di cibi in liea di un posto a base

Un Posto a Base

Si chiama Un Posto, come quello “a Milano” che a Cascina Cuccagna è uno dei punti di riferimento per gli amanti del relax e della buona tavola in veste easy. Un Posto a Base ne rappresenta il fratellino minore, ancora più informale e disinvolto, con una proposta food da gustare senza posate, “in linea” come dicono loro, ovvero con gli ingredienti – tutti a chilometro vero, cioè provenienti da piccole aziende agricole italiane – gustati in forma di spiedino. Lo street food italiano e internazionale è un riferimento ineludibile, e in un contesto così, di recupero dell'ex spazio Ansaldo dove il design è argomento diffuso e l'atmosfera vivace, sostare è un piacere, anche perché l'estate le serate sono movimentate da un ricco calendario di iniziative culturali.

Un Posto a Base | Milano | via Bergognone, 34 | http://base.milano.it/ |  http://base.milano.it/bar/

 

Vista Darsena, i tavolini con affaccio sull'acqua

Vista Darsena 

Non è un'apertura di quest'anno, lo ammettiamo, ma c'è di nuovo un riallestimento della cucina a vista sotto la terraazza laterale, che permette di ampliare l'offerta che oggi spazia dalla colazione, in stile ligure, con la focaccia a fare la parte del leone, e il lunch informale che sceglie piatti freddi o grandi classici contemporanei dell'estate, insalate, burrata, ma anche cose come il riso venere con i gamberi o il polpo tiepido con olive taggiasche, pomodorini e chips di patate, spiedini di pollo thai in salsa Satay e altre proposte sviluppate da Stefano Cerveni, eminenza grigia dietro questo spazio. A completare il tutto l'affaccio sul molo che fa tanto nord Europa e un ricco calendario di attività, dai dj set ai concerti di musica. 

Vista Darsena | Milano | Viale D’Annunzio, 20 | https://www.facebook.com/vistadarsena

 

a cura di Antonella De Santis

 

Mangiare all'aperto a Roma nell'estate 2017. 17 consigli da provare

Mangiare all'aperto a Napoli nell'estate 2017. 11 consigli da provare

 

Tutto sulle pesche: proprietà, storia, varietà. E una ricetta del pasticcere Dario Nuti

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Scopriamo le proprietà e i benefici del classico frutto dell'estate. Con un focus su come riconoscerne le diverse varietà e come utilizzare le pesche in cucina, grazie a una ricetta del pastry chef Dario Nuti.  

Una pesca fa subito estate. Ma quali sono le varietà che si possono ancora trovare nei banchi dei mercati? E quali, invece, quelle ormai scomparse? Come riconoscerle in base all'aspetto? E quale è il periodo giusto per comprarle? A queste e molte altre domande ci hanno risposto gli esperti del, Centro di ricerca Olivicoltura, Frutticoltura e Agrumicoltura di Roma e Forlì.

L'origine del pesco e le diverse varietà

Il Prunus Persica, questo il nome scientifico, ha una storia antica, risalente a più di cinquemila anni fa. Originario della Cina, giunge in Europa attraverso la Persia, arrivando fino agli Stati Uniti. L'albero, che fiorisce in primavera regalando uno spettacolo unico, nel paese originario è simbolo di immortalità, tant'è che i frutti vengono regalati come buon augurio per una vita lunga e prospera. Ma come riconoscere le diverse varietà, per una spesa oculata? Ci risponde Alessandro Liverani, esperto del CREA-OFA di Forlì. “Innanzitutto, il consumatore (ma anche lo stesso fruttivendolo) non è in grado di riconoscerle perché l'aspetto esteriore di varietà differenti è simile. Riesce solamente a discernere tra una pesca, una nettarina (ndr. comunemente conosciuta come pescanoce) o una piatta. Quest'ultima, tra l'altro, sta avendo un certo successo perché è facilmente riconoscibile e il consumatore sa cosa si sta portando a casa, ovvero un frutto con bassa acidità, un alto tenore zuccherino e una polpa molto gustosa e aromatica”.

Un pesco in fiore

Le pesche acide e le pesche dolci

Quindi, a parte le piatte che sono tradizionalmente a polpa bianca, ci sono pesche nettarine a polpa bianca e gialla e pesche da industria denominate percoche, tutte a polpa gialla. Queste ultime sono destinate alla trasformazione industriale, ma possono essere anche consumate fresche in quanto molto aromatiche o sciroppate a livello casalingo. Sotto queste macro categorie ci sono centinaia di varietà, “considerate che ogni anno vengono introdotte nel mercato dalle 100 alle 200 varietà, per rispondere sempre meglio a esigenze di mercato, che vuole pesche più attraenti, più resistenti, più anticipate o più tardive rispetto al calendario tradizionale che contempla principalmente i mesi di luglio e agosto”. Oggi ci sono infatti varietà che maturano a inizio giugno, pensiamo alla Saggitaria, o a settembre, come per esempio la Tardibelle o la Sweet Juana. In questo mare magnum di varietà, si può fare un po' di ordine differenziandole in due tipologie ben precise: “Quella di pesche e nettarine dal gusto tradizionale, in cui prevale l'acidità, e quelle con un gusto dolce (subacido),caratterizzate non tanto da un contenuto di zuccheri più elevato rispetto ai frutti tradizionali, quanto da una acidità da 2 a 3 volte inferiore”. La domanda, però, rimane quella iniziale: come distinguerle? “Con il nostro centro CREA stiamo tentando di sensibilizzare la catena distributiva e commerciale, affinché informino il consumatore finale magari attraverso dei cartellini esplicativi o un diverso packing in funzione del gusto”.

Il miglioramento genetico

Oggi ci sono centinaia di varietà, e quelle che vanno per la maggiore sono le tipologie più dolci. Ma come potrete immaginare non è sempre stato così. “Nella storia del miglioramento genetico, alcune cultivar possono essere considerate pietre miliari, in quanto hanno consentito un salto in avanti in termini di innovazione. La prima di queste è probabilmente Elberta, capostipite di una lunga serie di pesche a polpa gialla che hanno costituito la base della peschicoltura USA del primo '900. Una seconda pietra miliare è invece la pesca Redhaven, che in breve tempo si e diffusa in tutti i principali paesi peschicoli per la sua notevole adattabilità ambientale”. Queste sono due tipologie cosiddette acide.

Si devono aspettare gli anni '90 del secolo scorso per veder comparire nel mercato le prime cultivar a bassa acidità, con un sapore dolce o dolcissimo. “Appartengono a questa categoria la pesca gialla Royal Glory e la nettarina gialla Big Top, caratterizzate da frutti molto belli ed estesamente colorati di rosso”. L’ultima novità in termini temporali è il frutto a forma piatta. “In realtà queste pesche erano note da tempo: già nell’800 e ‘900 le platicarpe erano diffuse in alcune aree peschicole della Sicilia e della Spagna. Tuttavia non erano adatte ai mercati moderni, dato che i frutti erano di aspetto poco attraente e facilmente deteriorabili. Solo nel 2000 sono tornate in auge, perché iniziano a essere disponibili con caratteristiche merceologiche competitive rispetto alle cultivar a frutto rotondo e idonee alle richieste del mercato”. Dalla storia del miglioramento genetico, sfatiamo dunque una leggenda metropolitana: non è assolutamente vero che le pesche (e in generale tutta la frutta) di una volta erano più dolci di quelle di adesso. “Semplicemente i consumatori apprezzavano e cercavano quelle acide”. Si tratta dunque di una differenza solo percepita, legata al fatto che negli anni è cambiato il gusto, oggi molto più orientato verso il dolce, come spiegato anche dalla dottoressaa Angela Bassoli. Ma non è solo il gusto a orientare la selezione, ci sono anche logiche di mercato: “Le pesche dolci si possono raccogliere anche non mature, tanto la dolcezza si percepisce ugualmente. Cosa che non può accadere con quelle acide, le quali se vengono raccolte prima della maturazione sono praticamente immangiabili”.

Pesca tagliata dalla polpa gialla

Perché alcune varietà stanno scomparendo

È assodato che di varietà ce ne sono moltissime, eppure alcune stanno pian piano scomparendo, come la Bella di Cesena, la Sant'Anna Balducci o la Buco Incavato, che oggi sono produzioni di nicchia. Dinamiche di mercato, questa la causa, che accontentano l'industria, con i suoi parametri quantitativi e tecnologici, e i consumatori che a quanto pare privilegiano i frutti belli da contemplare e molto dolci. Dunque se non esiste più la frutta di una volta, è perché non esistono più i consumatori di una volta. “Oggi la maggior parte di noi compra la frutta al supermercato, perché più comodo indubbiamente, ma così facendo si alimenta il mercato di frutta e verdura con caratteristiche di conservazione in frigo eccezionali”. Ci spiega Marco Greggio, agronomo e analista sensoriale per il CREA di Roma.“E siccome è cambiata anche la filiera che porta la frutta dai campi alle nostre case, questi prodotti devono resistere ai lunghi viaggi”. In questa lotta per la sopravvivenza, i frutti e le varietà meno inclini a “durare” hanno segnato il passo.

Le proprietà nutrizionali

Ricche di acqua e fibre, purché consumate con la buccia, le pesche sono in generale (possono cambiare sensibilmente alcuni parametri a seconda della varietà) poco caloriche e prive di grassi. Nel dettaglio, per ogni cento grammi, contengono all’incirca quasi 89 grammi di acqua, 1 grammo circa di fibre e quasi 10 di zucchero (fruttosio), per un totale di circa 39 kilocalorie. Come tutti i frutti, hanno proprietà antiossidanti e contengono vitamine e minerali. I minerali più presenti sono potassio e fosforo, poi, in quantità più ridotte sono presenti anche magnesio e calcio. Tra le vitamine, a farla da padrone è la vitamina C, anche se sono presenti pure la vitamina E e il beta-carotene, dal quale il nostro organismo produce la vitamina A o retinolo.

La ricetta di Dario Nuti: Una pesca Melba a Roma

La ricetta di Dario Nuti: Una pesca Melba a Roma

Completiamo il nostro excursus sulle pesche con una ricetta di Dario Nuti, chef pasticcere al fianco di Francesco Apreda al neo triforchettato Imago dell'Hotel Hassler di Roma. “È una mia rivisitazione della Pesca Melba, un dolce inventato a Londra dallo chef francese Georges Auguste Escoffier in onore della cantante d'opera australiana Nellie Melba. È piaciuto molto ai clienti dell'Imago”.

Sciroppo pesca

50 g di polpa lampone

50 g di succo pesca

100g di acqua

20 g di zucchero semolato

30 g di miele

1 g di vaniglia semi

1 pesca noce

Portare a ebollizione la polpa di lampone, il succo pesca, l’acqua, lo zucchero semolato, il miele e la vaniglia; poi abbattere. Dividere la pesca in due metà perfette, quindi pelare, togliere il nocciolo e scavare mantenendo uno spessore di circa mezzo centimetro. Imbustare la pesca con lo sciroppo, mettere sottovuoto e cuocere a vapore a 95° C per 30 minuti, poi abbattere in acqua e ghiaccio.

Bavarese alla vaniglia

320 ml di latte

320 ml di panna semimontata

100 g di zucchero semolato

80 g di tuorlo pastorizzato

8 g di colla pesce

1 bacca di vaniglia

Scaldare il latte con i semi di vaniglia, a parte mescolare i tuorli con lo zucchero, quindi unire i due composti continuando a mescolare. Portare a 85° C quindi togliere dal fuoco e abbattere a 30° C. Sciogliere la colla di pesce e unirla alla crema poi aggiungere la panna semimontata mescolando dolcemente dal basso verso l’alto. Versare in una sacca da pasticceria e tenere in frigorifero per 24 ore.

Finitura della pesca

250 g di cioccolato Ivoire 35%

75 g di olio di semi di arachidi

25 g di polvere pesca disidratata

Sciogliere il cioccolato con l’olio e la polvere di pesca. Asciugare le due metà della pesca, quindi riempirle con la bavarese e congelarle. Una volta congelate, unire le metà e congelarle di nuovo. Prima di servire: immergere la pesca ricomposta (da Imago, Dario la chablona con il cioccolato cioccolato colorato per dare un effetto realistico).

Montaggio dessert

Salsa di lampone

Lamponi ripieni di salsa mou

Foglie di menta

Lamelle di mandorla tostate

Con della panna montata, al centro di un piatto, formare un cilindro dello spessore di 2 cm poi adagiarvi sopra la pesca, versare in cerchio della salsa lampone, aggiungere qualche lampone ripieno di salsa mou, qualche foglia di menta e dei petali di mandorla tostati.

Nettarine della varietà Big TopNettarine della varietà Big Top

Elenco tassonomico delle varietà citate

Bella di Cesena. Varietà di pesco che matura a luglio e dà frutti piccoli, rotondi ma leggermente asimmetrici. La buccia è sfumata e punteggiata di rosso e la polpa è bianca. Il sapore è acido e leggermente aromatico.

Big Top. Varietà di nettarina che matura a luglio e frutto rotondo regolare, con la buccia dal colore di fondo giallo intenso con sovracolore rosso brillante sul 100% della superficie. La polpa è gialla e dal sapore subacido molto buono.

Buco Incavato. Varietà di pesco a maturazione medio tardiva e frutto di forma rotonda, con la buccia dal colore rosso intenso.La polpa è bianca verde di sapore equilibrato nel contenuto di zuccheri e acidi.

Royal Glory. Varietà di pesco che matura a luglio e frutto rotondo regolare, con la buccia dal colore di fondo giallo con sovracolore rosso scuro sul 100% della superficie. La polpa è di colore giallo intenso e dal sapore dolce.

Sagittaria. Varietà di pesco a maturazione precoce e frutto di media pezzatura pressoché rotondo e simmetrico, con buccia a fondo giallo con sovracolore rosso intenso, semiluminoso, distribuito sul 90-100% della superficie. Sapore dolce e polpa molto consistente di colore giallo venata di rosso.

Sant'Anna Balducci. Varietà di pesco che matura a luglio e frutto rotondo ma leggermente asimmetrico. La buccia è sfumata verde rosa e la polpa è bianca verde e dal sapore acido.

Sweet Juana. Varietà di pesco a maturazione tardiva ed elevata produttività. Frutto di forma rotonda, colore di fondo giallo con sovracolore rosso brillante sul 100% della superficie; polpa gialla intensa, aderente e consistente, e sapore dolce.

Tardibelle. Varietà di pesco a maturazione tardiva e frutto a forma rotonda regolare, colore di fondo giallo intenso con sovracolore rosso scuro sul 100% della superficie. Sapore equilibrato e polpa giallo intensa, molto consistente.

 

a cura di Annalisa Zordan

Impossible Burger: l’hamburger del futuro prodotto nei laboratori della California

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Il sapore viene riprodotto con l’eme, consistenza e sostanza con le proteine di grano e patate, i grassi provengono dall’olio di cocco e dalla soia: è l’Impossibile Burger, l’hamburger 100% vegetale prodotto in laboratorio dalla Impossibile Food, startup che promette di rivoluzionare il futuro della carne.

Un hamburger 100% vegetale, l’Impossibile Burger

Non sono alimenti per vegetariani, ma per tutti: l’hanno spiegato già diverse volte Patrick Brown e Josh Tetrick, i due ideatori di Impossible Food, l’azienda di Redwood City, California, che vuole “eliminare una colossale inefficienza”: quella della carne ottenuta da animali che hanno mangiato piante. E passare, così, “direttamente dalle piante alla carne”, bypassando l’allevamento.

In un articolo apparso sul Venerdì di Repubblica l’inviato Riccardo Staglianò sperimenta in prima persona l’assaggio, raccontando il processo che ha portato a ideare l’Impossible Burger. Pat Brown e Josh Tetrick spiegano: “Non vogliamo fare proselitismo per il veganesimo, ma dare a tutti la possibilità di mangiare carne prodotta in laboratorio, con tutte le caratteristiche della carne vera, ma con un notevole taglio all’inquinamento e allo spreco di risorse”. Il primo è un 60enne biologo di Standford, fondatore della start up; il secondo è un 35enne ex borsista Fullbright, proprietario della Hampton Creek, azienda con cui ha prodotto in laboratorio il “neouovo”, creato con preparati prodotti a partire da proteine del pisello giallo canadese e da una varietà statunitense di sorgo: un esperimento che ha attirato diverse critiche in passato.

Non sono certo i primi a intraprendere questa strada: l’idea di produrre cibo a impatto ridotto annovera diversi esempi, fra cui Modern Meadow, che stampa in 3D le bistecche sintetiche, Beyond Meat, Bright Farms, Unreal Candy, Nu-teck Salt. Una prospettiva, quella di ricreare in laboratorio sapori, consistenze e aromi, perseguita anche dalla cucina Note by note, che però al momento, si limita al campo degli aromi.

 

Gli ingredienti dell’Impossible Burger

Ma com’è fatto esattamente l’Impossible Burger? Il primo ingrediente fondamentale per riprodurre la consistenza di un hamburger sono le proteine che vengono estratte dal grano e dalle patate, mentre per riprodurre sapore e, in particolare la parte di emoglobina che contiene ferro, si usa l’eme: dà al burger il colore rosso e il tipico sapore metallico derivato dal sangue dell’animale. Proprio questo uno degli aspetti più criticati: l’eme, infatti, viene estratto da batteri che vivono in simbiosi con alcune piante - il giornalista del Venerdì fa l’esempio degli agretti - ed è modificato in laboratorio a livello genetico per aumentare la concentrazione e modificarne la consistenza.

 

L'impossible burger della Impossible food: un burger 100% vegetale creato in laboratorio, identico a quello tradizionaleL'impossible burger 

 

Nell’elenco degli ingredienti base compaiono ancora emulsionanti come xantano e konjac, per ricreare la compattezza delle fibre, e infine i grassi, quelli che fanno “sfrigolare l’hamburger durante la cottura”, riprodotti a partire da cocco e soia. E Staglianò non si fa mancare la degustazione: al primo assaggio non percepisce differenze, al secondo però qualcosa nell’armonia del prodotto si incrina, tanto da spingere il giornalista a descriverne il sapore come “stonato”, senza riuscire però a spiegare bene perché (“l’unica cosa che mi ricorda è il dado per il brodo, ma è un’approssimazione”, racconta sul Venerdì).

I proprietari della startup promettono che riusciranno a scardinare i “vecchi sistemi” per produrre carne, ma sono diverse le critiche piovute in questi anni su progetti simili: troppo enfatici rispetto ai risultati, troppo distanti dalle esigenze di alimentazione quotidiana, di difficile realizzazione a livello economico.

Ed è proprio qui che si apre la voragine del dubbio: mettendo da parte le caratteristiche organolettiche - sicuramente migliorabili - e il discorso etico che vede la cucina come deposito di un patrimonio inestimabile - si pensi alle ricette antiche, alle pratiche rurali di macellazione, ai legami e alle relazioni che la cultura della carne ha creato - la cosa evidente è la sproporzione fra intenti dichiarati dagli ideatori e realtà effettiva. Lo scopo dichiarato della startup, infatti, è cambiare le abitudini della gente, “impiegando il 95% di terra e il 75% di acqua in meno” per produrre carne, e farlo con due elementi decisivi: “quello del sapore e quello del costo”. E dato che, attualmente, l’hamburger viene venduto alla modica cifra di 18 dollari, ci sembra che i risultati raggiunti fin ora siano ben lontani dagli obiettivi prefissati.

Un’ultima considerazione: siamo davvero sicuri che creare carne per una popolazione mondiale in costante crescita a partire dalle piante sia davvero così sostenibile, in un’ottica di equilibrio globale delle risorse prodotte sul pianeta?

 

a cura di Francesca Fiore

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