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Di che pasta sono fatti gli italiani? Un'analisi di mercato sul prodotto più tipico del made in Italy

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Alla scoperta del prodotto italiano per antonomasia: è stata presentata all'Università di Bologna, l'analisi di mercato Last Minute Market sul consumo di pasta in Italia. Ecco i risultati.

Il progetto

Di che pasta sono fatti gli italiani? È questo il titolo dell'indagine portata avanti dall'Università di Bologna, in particolare dal Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari, guidato dal professore Andrea Segrè. Uno studio che prende in esame i maggiori produttori di pasta italiani e le abitudini dei consumatori, facendo luce sul prodotto più rappresentativo della tavola tricolore. Perché il 2017 sembra essere proprio l'anno dei cereali, che vanta un raccolto invidiabile per quantità e qualità. E sono stati presentati proprio all'Università di Bologna, i risultati dell'analisi di mercato Last Minute Market, realtà da sempre impegnata nella lotta allo spreco, in collaborazione con SWG. A raccontare al pubblico la sua esperienza, Massimo Mancini dell'omonimo pastificio artigianale della provincia di Fermo, nelle Marche, che ha svelato al pubblico tutti i trucchi del mestiere, spiegando le differenze fra grani, macine e tecniche di lavorazione. Oggi Mancini Pastificio Agricolo fattura 2,5 milioni di euro, a fronte di un investimento iniziale di 1,5 milioni, ha moltiplicato per dieci la resa economica di ogni ettaro coltivato, dà lavoro a 25 persone e 40 agenti in Italia, ed esporta il 25% della pasta prodotta. La sua pasta è utilizzata, tra gli altri, da Enrico Crippa, Annie Féolde e Riccardo Monco, Nadia e Giovanni Santini. Cuore pulsante della ricerca però è lo spreco alimentare, emergenza all'ordine del giorno, approfondito da Matteo Guidi, AD di Last Minute Market durante il seminario “Chi butta la pasta?”.

I risultati: il dominio della pasta industriale e il prezzo

Interviste a 1300 campioni casuali di diversa fascia di età e provenienza, condotte dal 20 al 24 aprile 2017: su questo sondaggio si basano i risultati dell'analisi, che evidenziano un consumo di pasta elevato, nonostante la diminuzione registrata nell'ultimo decennio. Gli spaghetti sono ancora un prodotto cardine della dieta mediterranea e vantano una media di consumo di quasi 5 volte la settimana. A dominare la scena è la pasta industriale, che rappresenta il 93% delle scelte delle famiglie italiane, un dato rilevante che deve rappresentare per i produttori artigianali di nicchia uno stimolo per puntare ancora di più sulla promozione e aumentare le vendite.

Integrale, di semola, all'uovo, secca, corta, lunga, trafilata al bronzo, biologica e molte altre le linee di pasta attualmente in commercio fra cui scegliere. Ma quali sono i parametri con cui gli italiani acquistano questo prodotto? In termini di priorità, le caratteristiche che maggiormente vengono osservate sono la tenuta in cottura e il rapporto qualità-prezzo. Il costo, dunque, è fondamentale ma, ci tengono a precisare i ricercatori, “questo non può essere mai disgiunto del tutto dalla qualità”. Risparmio sì, ma con gusto. C'è, infatti, una certa disponibilità a spendere per un prodotto sano, circa 1,60 euro per 500 g di pasta, prezzo intermedio tra quello delle paste più economiche e i prodotti di alta fascia. Resta invece marginale nella scelta il procedimento di lavorazione, ancora poco conosciuto, così come la materia prima e la sua provenienza. Luogo d'acquisto per eccellenza? Rimane il supermercato, “la pasta artigianale deve quindi collocarsi in questo ambito per raggiungere e farsi conoscere dal consumatore”.

Lo spreco

Un prodotto che per gli italiani rappresenta molto di più di un semplice alimento: la pasta è sinonimo di famiglia, convivialità, parte della nostra storia e di antiche tradizioni culinarie. Gli italiani, infatti, cercano di sprecarla il meno possibile: dati gli elevati numeri di consumo, però, lo spreco generale risulta comunque notevole. Motivo principale di questo fenomeno è la dimenticanza, “le famiglie tendono ad acquistarne quantità eccessive in continuazione, e l'utilizzo del prodotto è quasi sempre inferiore alle previsioni”. Confezioni di spaghetti dimenticate nella credenza finiscono così per superare la data di scadenza e vengono gettate. Finisce nella pattumiera, poi, anche gran parte della pasta già cotta, sempre “a causa delle grandi quantità”.

a cura di Michela Becchi


Bererosa 2017. A Roma il festival dedicato ai vini rosati

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Torna uno degli eventi più attesi dagli amanti del buon bere. A Roma, Bererosa è un appuntamento fisso dell'estate, quest'anno in scena il 6 luglio, per la sua sesta edizione.

L'Italia dei rosé

È ancora una volta Palazzo Brancaccio con il suo giardino nel centro della città a ospitare oltre 200 etichette di vini rosé in degustazione per una delle manifestazioni più attese dell'estate romana. Il prossimo 6 luglio torna Bererosa, festival giunto alla sua sesta edizione, ideato da Cucina & Vini per celebrare i migliori vini rosati nazionali, fermi e spumanti. L'obiettivo? “Rafforzare l'immagine e la conoscenza dei rosati italiani”, ha spiegato Francesco D'Agostino, direttore di Cucina & Vini, che anno dopo anno si impegna a promuovere questa tipologia di prodotti per farne cogliere al pubblico tutte le potenzialità che dentro i confini italiani sono ancora poco sfruttate e che invece all'estero trovano maggiori sbocchi. “Ancora oggi il rosato fatica a essere presente in maniera capillare nelle enoteche e nelle carte dei ristoranti nazionali; eppure, avanza il livello di gradimento specialmente fra i Millennials e tra i social addicted che si informano su internet, condividono e esprimono opinioni a colpi di hashtag all'insegna del rosa”. A farla da padrone sulla scena internazionale dei consumi, resta infatti l'Europa, con Francia, Germania, Regno Unito, Italia e Spagna che ne consumano oltre il 70% assieme agli Stati Uniti. La nostra Penisola copre attualmente il 4% dei consumi globali, soprattutto attraverso le vendite nella grande distribuzione, dove i rosati registrano un +1,3% in volume e un +3% in valore con 51,2 milioni di euro ad aprile 2017. Numeri che per la sola tipologia spumante salgono addirittura a +10,3% in volume e +7,4% in valore, per un totale di 11,5 milioni di euro.

L'evento

Tante le bottiglie made in Italy in assaggio durante l'evento, prodotti che negli ultimi anni hanno visto una crescita dei consumi mondiali stimati sui 25 milioni di ettolitri nel 2018 secondo le previsione Euromonitor International. Ecco perché Bererosa è un appuntamento imperdibile per enoappassionati e tutti i consumatori più curiosi in cerca di un vino leggero, fresco e ideale per il caldo estivo, versatile e adatto a tutti. Dal Piemonte alla Calabria, passando per Emilia Romagna, Toscana, Marche, Lazio, Campania, Puglia e tante altre regioni d'Italia, la manifestazione passa in rassegna etichette biologiche, naturali, convenzionali, bollicine e fermi, tutte rigorosamente en rose.

Fondamentale è poi il legame dei rosati con il cibo, che a Bererosa trova ampio spazio nell'area street food: quattro postazioni fra cui scegliere dove poter assaggiare e acquistare vari prodotti da abbinare ai vini in degustazione, con proposte declinate sul pesce, crudo e cotto, sul maritozzo romano rivisitato in versione salata, sui fritti della tradizione marchigiana e gli immancabili salumi e formaggi. Fra i protagonisti dell'area gastronomica, Meglio Fresco Pescheria Arturo & Mary, che porterà una selezione di crudi, il Maritozzo Rosso, La Bottega dell'Oliva Ascolana, e Le Strade della Qualità, società specializzata in distribuzione e selezione di prodotti di alta gastronomica guidata dal giovane Mirko Giannella.

Bererosa 2017 | Roma | viale del Monte Oppio, 7 | 6 luglio 2017, ore 17.00 – 23.00 | www.cucinaevini.it/bererosa-2017/

A seguire nel mese di luglio, ancora un festival dedicato ai vini rosati: I Drink Pink del Gambero Rosso

a cura di Michela Becchi

Pepe in Grani sul podio della Top 100 European Gourmet Casual 2017 di Opinionated about dining

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Per il pizzaiolo di Caiazzo un riconoscimento che dimostra quanto la pizza sia universalmente riconosciuta come portabandiera del vero made in Italy gastronomico. E Pepe in Grani continua la sua ascesa tra le destinazioni più apprezzate dai gourmet di tutto il mondo. In top 100 anche Armando al Pantheon e il Cibreo. 

Le classifiche di OAD. Come funzionano

Pepe in Grani, la struttura-concept creata dal maestro pizzaiolo Franco Pepe a Caiazzo (CE), si classifica al terzo posto nella Top 100 Gourmet Casual 2017 di OAD – Opinionated About Dining, presentata di recente a Copenhagen.

Opinionated About Dining è un sito nato nel 2004 come blog che raccoglieva le esperienze culinarie del fondatore, Steve Plotnicki. Tre anni dopo, OAD si trasforma in uno spazio di confronto aperto a professionisti e appassionati gourmet, invitati a rilasciare un punteggio, accompagnato da minirecensioni, sui ristoranti che frequentavano in tutto il mondo. Accanto ai 150 top voter, in 10 anni OAD ha raccolto le opinioni di 5mila persone e più di 16mila ristoranti di tutto il mondo.

La classifica così stilata tiene conto di diversi parametri: dalla qualità delle recensioni (positive o negative) al “livello” di esperienza dell’utente che rilascia il proprio voto, alla quantità di visite ricevute in un anno dal locale. Così è stato, qualche settimana fa, per l'ultima edizione della Top 100 Europa, la classifica più attesa dagli chef del Vecchio Continente, che per il secondo anno consecutivo ha incoronato Alain Passard e il suo Arpege; primi tra gli italiani (in schieramento abbastanza nutrito) Massimiliano Alajmo(9) e Massimo Bottura (10). E nel mese di aprile, secondo una scansione articolata in molteplici liste tematiche, per la top 100 dedicata alle migliori tavole classiche, quelle che tengono alta la bandiera della ristorazione d'autore da almeno 25 anni. Tra i nomi tante insegne a gestione familiare, e l'Italia presente con 15 tavole, Nadia Santini in testa.

 

Franco Pepe sul podio

Pochi giorni fa, invece, sulla base delle recensioni lasciate nell'ultimo anno dagli utenti, è stato elaborato l'algoritmo che assegna il punteggio finale per la Top 100+ Gourmet Casual, classifica che raccoglie le migliori strutture che propongono menu a meno di 75 euro a persona. E Pepe in Grani è entrato in top 3, aggiudicandosi la medaglia di bronzo per le pizze diventate celebri tra i buongustai di tutto il mondo. Si conferma così il buon periodo del maestro campano, che prosegue con successo l'esperienza al Nord, nel suggestivo spazio circondato dal verde dell'Albereta, dove la Filiale nel bosco ha finalmente esaudito i desideri di tanti appassionati della pizza d'autore che con più difficoltà raggiungerebbero Caiazzo. Proprio nell'ambito delle sperimentazioni de La Filiale, in collaborazione con lo chef dell'Albereta Fabio Abbattista, da qualche settimana è nata Nativa, una pizza ad alta digeribilità a base di farina di grano monococco Shebar, in collaborazione con Molino Piantoni (BS) e l'Università degli Studi di Brescia. L'ennesimo risultato di una ricerca sul prodotto e sugli impasti che testimonia la volontà di Franco Pepe di proporsi come ambasciatore della pizza contemporanea, che affonda le radici nella tradizione campana, senza per questo porre limiti alla sperimentazione. Proposta in esclusiva all'Albereta, la pizza Nativa è pure vegana, con topping di pomodoro, hummus con avocado e ceci di Cicereale, germogli di rucola selvatica.

 

Gli altri italiani in Top 100

Oro e argento della Top 100 Gourmet Casual 2017 spettano invece alla Spagna, con il primo posto del tapas bar Ganbara di San Sebastian e il secondo a premiare la proposta gastronomica di Barcellona, con El Quim de la Boqueria, all'interno di uno dei mercati più celebri d'Europa. In top 10 ancora tanta Spagna e Francia – Parigi piazza ben 4 insegne, da Abri (6) al Clown Bar (9) – e un decimo piazzamento per il Manfred's di Christian Puglisi, a Copenaghen. Per trovare nuovamente l'Italia, invece, bisogna scendere al numero 35, con la Trattoria Sostanza di Firenze. Mentre al 42 si classifica un grande classico della tradizione romana, la tavola di Armando al Pantheon. E ancora il Cibreo di Fabio Picchi (Firenze) al 54, Diego Rossi con Trippa (Milano) al 62, il Ratanà di Cesare Battisti al 71, ancora a Milano. In top 100 anche Alle Testiere di Venezia (80) e Manna di Matteo Fronduti a Milano (85); di poco fuori l'Osteria Fernanda di Davide Del Duca (Roma), al numero 109, ma pure il Consorzio di Torino (116) e Roscioli a Roma (117).

 

La Top 100 Gourmet Casual 2017. Tutti i risultati

Viaggio tra i vitigni autoctoni: il montonico bianco

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Rappresenta un piccolo patrimonio storico del territorio della costa ionica, che solo recentemente è tornato a suscitare l'interesse di agricoltori e consumatori. È il montonico: l'autoctono a bacca bianca della Locride.

Storia e territorio

Il montonico (chiamato anche mantonico) è un antico vitigno autoctono calabrese a bacca bianca. Le sue origini restano ancora piuttosto misteriose. Potrebbe trattarsi di una varietà introdotta in Italia all’epoca della prima colonizzazione ellenica della Locride o forse domesticata in epoca remota nell’area dell’antica Enotria. Le origini greche sembrerebbero confermate dal nome del vitigno, la cui radice potrebbe derivare dal termine grecoΜαντισιος (divinatorio-profetico), legato a un antico uso del vino a scopo cerimoniale e propiziatorio. Oggi è coltivato soprattutto lungo il litorale ionico della Calabria, nel tratto di costa che dalla Valle del Neto, Locri e Palizzi scende verso Bianco. Si tratta di una regione collinare, caratterizzata da terreni calcareo-argillosi, particolarmente vocati per le uve bianche. Il clima è mediterraneo, con estati molto calde e secche, mitigate dalle brezze del mare.Il montonico è un vitigno che rappresenta un piccolo patrimonio storico del territorio calabrese, per lungo tempo dimenticato e che solo negli ultimi anni si comincia finalmente a valorizzare, anche grazie a un rinnovato interesse verso gli autoctoni.

 

Caratteristiche

Secondo l’antica consuetudine greca, il montonico è ancora oggi allevato prevalentemente ad alberello, anche se nelle nuove vigne non mancano impianti a spalliera. La pianta produce grappoli di medie dimensioni, con acini dalla buccia piuttosto spessa, che arrivano a maturazione con un colore giallo dorato. È una varietà a maturazione tardiva e il clima secco della Locride, unito alla presenza di una buccia resistente, hanno favorito la consuetudine di far appassire le uve su graticci prima di procedere alla fermentazione, in modo da ottenere vini dolci e concentrati. Sono vini da dessert dal colore dorato, con riflessi ambra, molto apprezzati per gli aromi floreali e agrumati, uniti a note di miele e frutta secca.

Al palato esprimono una suadente morbidezza gustativa, unita a gradevole freschezza e grande persistenza finale. Le versioni vinificate in secco, mettono in luce struttura e un buon corredo aromatico, con note d’agrumi, frutta matura, pesca, albicocca, che con il tempo tende ad arricchirsi d’eleganti sentori di pietra focaia e cera d’api. Gli aromi fruttati sono sempre sostenuti da una viva vena acida, che conferisce al vino scorrevolezza e bevibilità. Nel caso di una breve macerazione sulle bucce, il vino acquisisce una leggera ruvidità tannica, molto caratteristica e piacevole al palato.

 

Produttori

Tra le versioni vinificate in purezza sono molto interessanti il Val di Neto Efeso di Librandi e il Calabria Mantonico Statti, due vini di grande personalità, che stanno evidenziando anche il buon potenziale d’invecchiamento del montonico. Più spesso è vinificato in blend con una piccola percentuale di altre uve del territorio. È il caso del Calabria Chora de L’Acino, prodotto con montonico, guarnaccia bianca e greco e del Marasà Bianco di Santino Lucàrealizzato con montonico e guardavalle. Per quanto riguarda la versione Passito, segnaliamo il Val di Neto Mantonico Passito Le Passule di Librandi, il Locride Mantonico Passito di Santino Lucàe Locride Mantonico Passito di Maria Baccellieri.

 

a cura di Alessio Turazza

foto: Librandi

 

 

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Addio a Paolo Villaggio. Tic, mode e manie degli italiani a tavola raccontate dal ragionier Fantozzi

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Genovese, classe 1932, l'attore si è spento al Policlinico Gemelli di Roma, all'età di 84 anni. In lotta con la bilancia nella vita di tutti i giorni, è il suo personaggio più celebre ad aver rappresentato l'italiano medio a tavola attraverso il suo controverso rapporto con il cibo: compulsione, moda, consolazione per le difficoltà di una vita mediocre, status symbol. 

L'uomo medio italiano è anche quello che lotta con la bilancia, annaspa tra le regole di un'etichetta bon ton che non gli appartiene al tavolo della dirigenza tra portate che irridono la nouvelle cuisine (nel senso deleterio del termine), si abbuffa davanti alla tv. È certo l'epopea fantozziana il ciclo che resterà più impresso nella memoria cinematografica collettiva. Perché il contributo di Paolo Villaggio al racconto di un'epoca, di una condizione umana che ci accomuna tutti, di una società che ride di se stessa filtrata dalla voce antiretorica, dissacrante e provocatoria di quel personaggio talmente caricaturale da essere brutalmente vero, si spinge ben oltre la macchina da presa. E celebrare quella comicità che per decenni ha concentrato in sé tutte le frustrazioni di un uomo come tanti, nel giorno (triste) della scomparsa di chi le ha dato un volto – e un'anima – è un atto dovuto. Ma anche un piacere velato dall'ombra della nostalgia, mentre sullo schermo scorrono gli spezzoni di un'antologia fatta di scene memorabili (quanti ne conoscono ogni battuta a memoria?).

 

Mode e manie a tavola

Molti di quegli sketch hanno a che fare col cibo, uno degli elementi che il ragionier Fantozzi mette in scena per esprimere il suo disagio esistenziale. Goffo e ingordo, sin dalla fisicità appesantita che immediatamente lo caratterizza, così fuori posto intorno alla tavola compassata di casa Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare (nel Secondo Tragico Fantozzi) o malamente agghindato al ristorante giapponese all'ultimo grido per compiacere la signorina Giuliani, in veste di improbabile intenditore di sake e “triglie alla livornese”: è il 1975, e la pellicola capostipite della saga di Fantozzi anticipa quella mania per la cucina esterofila e orientale che avrebbe imperversato in Italia nei decenni a seguire. A rimetterci la pelle sarà l'amatissimo pechinese della Signorina, Pier Ugo:

 

Fantozzi e la dieta

Del resto il ragioniere ci prova pure a rimettersi in forma, sul campo da tennis all'alba di un giorno di gennaio col fido ragionier Filini, fino agli estremi rimedi della dieta forzata presso la clinica-prigione Le Magnolie. Di nuovo il cliché di una società ossessionata dal cibo, ma perennemente in lotta con i chili di troppo, dove la forma fisica diventa uno status symbol, da pagare a caro prezzo, e non solo in termini di parcella: dieci giorni di digiuno assoluto, la tortura olfattiva, il vitto di contrabbando notturno. Finisce con due porzioni di pappardelle al sugo di lepre pagate in cambiali già compilate:  

E in crescendo, con la mitica scena delle “polpette di Bavaria”, da guardare senza poter assaggiare. Come Fantozzi si ingegna per rubarle lo ricorderanno tutti i cultori della commedia all'italiana:

 

Cibo consolatorio

Nel cibo Fantozzi annega le delusioni della vita familiare e professionale: una fame compulsiva che è gratificazione illusoria e al contempo alienazione dal mondo difficile che lo aspetta all'esterno. Ecco allora le abbuffate sul divano, con gli occhi fissi sulla tv: la mitica frittatona di cipolle, gli spaghetti, la birra ghiacciata. Quando mette piede fuori di casa, invece, le situazioni imbarazzanti che lo aspettano diventano sempre più tragicomiche. E nel migliore dei casi lo ritroviamo con un vassoio di lenticchie rovesciato sulla testa, durante il veglione di Capodanno. O mentre cerca di trovare rimedio alla “tragica caratteristica” di un pomodorino a 18mila gradi:

Insomma, è la dimensione farsesca quella che più gli appartiene, una parodia ai limiti del surreale, ma lucidissima analisi della realtà, con la sveglia puntata alle 7.51, i tre secondi “per bere il maledetto caffè della signora Pina a tremila gradi fahrenheit” e il “caffelatte con pettinata incorporata” nell'ingranaggio calcolato che lo accompagna al timbro del cartellino, croce e delizia dell'Italia impiegatizia degli anni Settanta:

Alla fine il ciclo si articolerà in dieci episodi, a testimoniare il successo di un'invenzione senza tempo. Ma Paolo Villaggio, scomparso da poche ore all'età di 84 anni presso il Policlinico Gemelli di Roma dov'era ricoverato – peraltro anche nella vita sempre in conflitto con il cibo, bulimico, lui che era gravemente malato di diabete: “era un cialtrone con il cibo, capace di mangiare dopo un dolce anche un piatto di aglio e olio o pasta e ceci” ricorda con affetto stamattina Lino Banfi, intervistato da La Repubblica - è stato anche molto altro. Attore (recitò per Fellini, Olmi, Monicelli) e caratterista (c'è anche il Fracchia che lavora nell'azienda che produce merendine), certamente, ma anche scrittore, autore di canzoni, pensatore. Mercoledì 5 luglio alla Camera Ardente in Campidoglio lo saluteranno per l'ultima volta in moltissimi. Ma la sua comicità grottesca continuerà per sempre a raccontare i tic di un'epoca. Anche a tavola.  

 

a cura di Livia Montagnoli

Peter Brunel. Ecco come cambia il Borgo San Jacopo di Firenze

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In una città sempre più ricca di novità e belle aperture, un momento di riflessione per Peter Brunel, chef dei ristoranti degli alberghi della Lungarno Collection e resident del BSJ, appena riaperto dopo 6 mesi di ristrutturazione. Ecco come si presenta oggi la proposta gastronomica dell'hotel?

Arrivato a Firenze una manciata di anni fa, Peter Brunel è oggi saldamente alla guida dell'offerta di Lungarno Collection, il gruppo di hotel della famiglia Ferragamo, che include 3 indirizzi nel capoluogo toscano, più 3 appartamenti e un albergo a Roma.

Il nuovo Borgo San Jacopo

Punta di diamante, nella collezione, il Lungarno, recentemente riaperto dopo una ristrutturazione durata sei mesi che lo ha portato da 4 a 5 stelle. Meno camere (oggi 65 dalle 78 preesistenti) e più comfort: nuove family room e nuove suite, tutte con un affaccio magnifico sui capolavori del Rinascimento e sull'Arno. “Un salotto per vivere l'armonia dell'ospitalità toscana” così Michele Bönan, architetto e interior designer che ha firmato il restyling racconta l'hotel. Che ha mantenuto il segno distintivo di quel blu che fa da richiamo ai riflessi che la luce crea sull'acqua del fiume.

 

Le opere d'arte

Oltre 400 opere di artisti del '900: Sironi, Cassinari, Guidi, Bueno, via via fino a Picasso e Cocteau. Ospitati, questi ultimi, nella lounge a loro intitolata. Si chiama infatti Picteau il bar, un nome che celebra l'incontro tra i due grandi artisti. Le altre opere sono distribuite un po' in tutto l'albergo, dal salotto alle stanze, dai corridoi alle suite. Una collezione che si può visitare anche virtualmente, dal bel sito che consente una visione approfondita di opere e percorsi guidati.

 

I due colori della patata

Lo chef e la proposta food

Trentino, poco più che quarantenne, un'esperienza che dalle montagne lo porta verso il mare di Ravello e da lì ancora verso il nord. Nel suo percorso il Garda, gli stage in Francia, e poi ancora in Trentino, dove affina tecnica e stile per definire una cucina vivace, innovativa, ironica, ma rigorosa e salda su basi e tecniche. Una cucina di pochi elementi e molta precisione. Nel corso degli anni spesi lungo l'Arno, ha assorbito suggestioni e indirizzato la creatività su due binari che corrono via veloci. Da una parte la cucina di tradizione locale (oggi protagonista di un degustazione dei classici toscani), ineludibile in un albergo che attrae una clientela internazionale, dall'altra la creatività che si è rivelato appieno, un paio di stagioni fa, nel rischio - calcolato - di un menu tutto declinato su un solo ingrediente, la patata. Un menu divertente, molto tecnico, dove compaiono piatti come gli spaghetti di patate alla carbonara

Brunel firma tutta la proposta food degli alberghi di Lungarno Collection, e differenzia menu e linee gastronomiche da un indirizzo all'altro: c'è il gourmet BSJ, il Borgo San Jacopo dell'Hotel Lungarno (Due Forchette per la guida Ristoranti d'Italia 2017 del Gambero Rosso e 1 Stella Michelin) che in più conta sulla collaborazione, per i dolci, della pastry chef Loretta Fanella. Ci sono poi la proposta classica del Picteau dello stesso hotel, la fusion di ispirazione nipponica, nikkei e mediterranea di The Fusion Bar del Gallery Hotel Art, e la proposta regionale italiana del Caffè dell'Oro, bistrot dell'Hotel Portrait dagli interni vagamente rétro.

Trota rosa salata e affumicata

 

Il 1 giugno ha riaperto il ristorante Borgo San Jacopo o BSJ: quali sono le novità?

Esatto! Il ristorante Borgo San Jacopo ha riaperto a inizio giugno e le novità non mancano. Il BSJ si trasformerà sempre di più nel luogo dove avrò il piacere di far vivere a tutti i miei ospiti vere e proprie esperienze orchestrate da me.

 

In che modo?

L'obiettivo è strappare agli ospiti un sorriso, vederli sgranare gli occhi quando vedono uno dei miei piatti… e poi rassicurarli con i miei sapori, smuovere qualcosa in loro, fargli vivere reminiscenze tutte personali oppure anche solo condividere le mie, far loro imparare qualcosa di nuovo.

 

Spiegaci meglio come pensi di riuscirci

Questo è possibile grazie ai 3 menu degustazione, nei quali accompagno i miei ospiti in veri e propri viaggi: La mia Toscana,Variazione sul tema patatae il menu Ortaggi.Rimangono anche i piatti à la carte, ma sono ridotti a 2 antipasti, 2 primi e 2 secondi. E poi la carta dei dolci, con 4 dessert a firma di Loretta Fanella e 4 firmati da me, 3 dei quali fanno parte dei menu degustazione.

 

E tutti i piatti che erano in carta fino alla stagione passata che fine fanno?

Tutti i piatti più classici che fino allo scorso anno avevo deciso di lasciare in carta del BSJ (mi riferisco a cose come il minestrone o la tagliata) adesso li lascio in eredità al Picteau Lounge, il nuovo nome del bar dell’Hotel Lungarno, prima aperto solo a pranzo, ma ora anche a cena, in grado di offrire una lista semplice e classica, per quelle sere in cui non si ha voglia di sperimentare, ma solo di comfort food di ottima qualità.

 

Più di 5 mesi di chiusura ma non sei certo stato con le mani in mano: come è cambiata la ristorazione all’interno degli alberghi Lungarno Collection?

Lo stile non cambia e io continuerò a declinarmi in veste asian-fusion al The Fusion Bar (The Gallery Hotel Art), in veste bistrot italiano al Caffè dell’Oro (bistrot italiano del Portrait) e in veste gourmet al Ristorante Borgo San Jacopo. In questi mesi ho studiato tanto, viaggiato e poi sono tornato a casa, sulle mie Alpi. I viaggi arricchiscono sempre, ma anche il ritorno a casa lo trovo fortemente ispirazionale. L’obiettivo è sempre uno: guardare verso l’alto e crescere.

 

Quali piatti faranno parte del nuovo menu?

Al Borgo San Jacopo ci tengo a citare il mio nuovo menu degustazione Ortaggi…ma attenzione a non chiamarlo vegetariano! Certamente lo è, ma il mio scopo in questo menu non è stato quello di creare qualcosa di vegetariano, bensì di indagare e far conoscere alcune tra la famiglie dei nostri amati ortaggi, dedicando a ognuna di loro un piatto: radici e legumi, bulbo, tubero, foglia, fiore, stelo, frutto. Vi ho incuriositi?

 

Riprenderà Spoon, la manifestazione che ha visto coinvolti giornalisti e cuochi amici?

A settembre saremo pronti, ma al momento la lista è ancora top secret. Solo un indizio: la rassegna sarà più scintillante che mai!

 

BSJ | Lungarno Hotel | Firenze | Borgo San Jacopo, 14 | tel. 055 27261 | https://www.lungarnocollection.com/it/

 

a cura di Leonardo Romanelli

 

Viaggio tra i vitigni autoctoni: il mantonico bianco

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Rappresenta un piccolo patrimonio storico del territorio della costa ionica, che solo recentemente è tornato a suscitare l'interesse di agricoltori e consumatori. È il mantonico: l'autoctono a bacca bianca della Locride.

Storia e territorio

Il mantonico è un antico vitigno autoctono calabrese a bacca bianca. Le sue origini restano ancora piuttosto misteriose. Potrebbe trattarsi di una varietà introdotta in Italia all’epoca della prima colonizzazione ellenica della Locride o forse domesticata in epoca remota nell’area dell’antica Enotria. Le origini greche sembrerebbero confermate dal nome del vitigno, la cui radice potrebbe derivare dal termine grecoΜαντισιος (divinatorio-profetico), legato a un antico uso del vino a scopo cerimoniale e propiziatorio. Oggi è coltivato soprattutto lungo il litorale ionico della Calabria, nel tratto di costa che dalla Valle del Neto, Locri e Palizzi scende verso Bianco. Si tratta di una regione collinare, caratterizzata da terreni calcareo-argillosi, particolarmente vocati per le uve bianche. Il clima è mediterraneo, con estati molto calde e secche, mitigate dalle brezze del mare.Il mantonico è un vitigno che rappresenta un piccolo patrimonio storico del territorio calabrese, per lungo tempo dimenticato e che solo negli ultimi anni si comincia finalmente a valorizzare, anche grazie a un rinnovato interesse verso gli autoctoni.

 

Caratteristiche

Secondo l’antica consuetudine greca, il mantonico è ancora oggi allevato prevalentemente ad alberello, anche se nelle nuove vigne non mancano impianti a spalliera. La pianta produce grappoli di medie dimensioni, con acini dalla buccia piuttosto spessa, che arrivano a maturazione con un colore giallo dorato. È una varietà a maturazione tardiva e il clima secco della Locride, unito alla presenza di una buccia resistente, hanno favorito la consuetudine di far appassire le uve su graticci prima di procedere alla fermentazione, in modo da ottenere vini dolci e concentrati. Sono vini da dessert dal colore dorato, con riflessi ambra, molto apprezzati per gli aromi floreali e agrumati, uniti a note di miele e frutta secca.

Al palato esprimono una suadente morbidezza gustativa, unita a gradevole freschezza e grande persistenza finale. Le versioni vinificate in secco, mettono in luce struttura e un buon corredo aromatico, con note d’agrumi, frutta matura, pesca, albicocca, che con il tempo tende ad arricchirsi d’eleganti sentori di pietra focaia e cera d’api. Gli aromi fruttati sono sempre sostenuti da una viva vena acida, che conferisce al vino scorrevolezza e bevibilità. Nel caso di una breve macerazione sulle bucce, il vino acquisisce una leggera ruvidità tannica, molto caratteristica e piacevole al palato.

 

Produttori

Tra le versioni vinificate in purezza sono molto interessanti il Val di Neto Efeso di Librandi e il Calabria Mantonico Statti, due vini di grande personalità, che stanno evidenziando anche il buon potenziale d’invecchiamento del mantonico. Più spesso è vinificato in blend con una piccola percentuale di altre uve del territorio. È il caso del Calabria Chora de L’Acino, prodotto con mantonico, guarnaccia bianca e greco e del Marasà Bianco di Santino Lucàrealizzato con mantonico e guardavalle. Per quanto riguarda la versione Passito, segnaliamo il Val di Neto Mantonico Passito Le Passule di Librandi, il Locride Mantonico Passito di Santino Lucàe Locride Mantonico Passito di Maria Baccellieri.

 

a cura di Alessio Turazza

foto: Librandi

 

 

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Michelin Singapore 2017. Due locali italiani entrano in guida, Robuchon unico tristellato

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La guida gommata presenta la seconda edizione dedicata alla ristorazione di un Paese gastronomicamente sempre più allettante. E fotografa la varietà della città-stato asiatica: 38 ristoranti stellati, 12 new entry, tra cui due locali di cucina italiana.

La ristorazione di Singapore

Centrando l'obiettivo di censire una delle scene ristorative universalmente considerata tra le più in crescita degli ultimi anni, anche la Rossa è arrivata ormai da due anni nella città-stato del Sud Est asiatico per decretare le tavole più intriganti e gli chef più preparati. Una guida che ha fatto scuola nel mondo della critica gastronomica internazionale, e che continua a migliorarsi e ampliarsi: è prevista per il prossimo dicembre 2017 la prima edizione della Michelin dedicata a Bangkok. Chef con una mentalità imprenditoriale, che continuano a investire in progetti significativi e sviluppare nuove realtà: questi i protagonisti che stanno contribuendo ad accrescere il livello dei locali di Singapore, ma non solo. Fondamentale è anche il ruolo degli abitanti del luogo e dei turisti, “sempre alla ricerca di nuove esperienze culinarie”, come ha spiegato Michael Ellis, direttore internazionale della Michelin. “L'atmosfera di Singapore”, aggiunge, “rende la città una destinazione con grande potenziale gastronomico. È molto eccitante per chi fa il mio mestiere”.

I premiati: la cucina italiana a Singapore

Sono 38 i ristoranti insigniti con la Stella, incluse 12 new entry che confermano ancora una volta il dinamismo e l'alta qualità del panorama ristorativo della città. Mantiene tre macaron il ristorante Joël Robuchon, unico premiato con il massimo punteggio la scorsa edizione, mentre ai 6 bistellati del 2016, si aggiunge una nuova insegna: è Waku Ghin dello chef Tetsuya Wakuda, che ha portato nella città-stato la cucina giapponese contemporanea basata sugli ingredienti locali e di stagione. Gli altri 30 indirizzi segnalati, invece, vantano una Stella ciascuno: di questi, 11 sono stati premiati per la prima volta quest'anno, e rappresentano “un riflesso della città, che è un vero crocevia di industria e commercio: stili culinari ricchi e diversi compongono l'articolato panorama cittadino, che comprende le tradizioni più disparate, da quella dei Peranakan a quella australiana, dalla francese all'italiana”. Braci, locale gestito da singaporesi tutto dedicato al barbecue, ma che non rinuncia a una cucina più classica di stampo italiano, dai risotti ai crudi di pesce, e poi Garibaldi, che propone piatti della tavola tricolore rivisitati e reinterpretati secondo il gusto della clientela locale: questi i due ristoranti che rappresentano la cultura gastronomica del Belpaese a Singapore. Manca invece all'appello Terra, che l'insegna identifica come “Tokyo-Italian restaurant”, il locale dello chef giapponese Seita Nakahara che aveva fatto della pasta fresca il suo marchio di fabbrica, tanto da conquistare una Stella nella prima edizione.

Le new entry

Ancora fra le novità di questa edizione, l'australiano Cheek by Jowl, il cantonese Chef Kang's, Labyrinth, dove lo chef Han Li Guang rivista la tradizione singaporiana in chiave contemporanea. E poi un'altra insegna australiana, Whitegrass, il francese Saint Pierre, Imperial Treasure Fine Teochew Cuisine, che offre la possibilità di degustare i piatti della tradizione di Teochew, Meta, un mix di influssi coreani e giapponesi, e infine Iggy's, ristorante moderno che basa il suo successo su prodotti di prima scelta, locali e di stagione. Confermata ancora una volta la Stella alle due insegne di street food che hanno fatto notizia lo scorso anno, Hill Street Tai Hwa Pork Noodle e Hong Kong Soya Sauce Chicken Rice and Noodle, entrambe votate alla preparazione di pietanze popolari, da mangiare in loco o a portar via. Non mancano, infine, gli indirizzi Bib Gourmand (38 in tutto, di cui 9 new entry), ovvero quelli che si sono distinti per il loro rapporto qualità/prezzo, principalmente locali di cibo di strada di diverse nazionalità.

Per la lista dei premiati guide.michelin.sg/

a cura di Michela Becchi


Estate Romana 2017. La Trattoria Temporanea di Baldassarre a Villa Ada, lo street food di Romeo a piazza Vittorio

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Per la quarantesima edizione dell'Estate Romana sono molti gli appuntamenti in città, all'insegna di musica, intrattenimento e buon cibo. Sul laghetto di Villa Ada arrivano Tordomatto e il Sorì, al cinema di piazza Vittorio la flotta di Romeo. Ma c'è anche il take away di Banco a Trastevere. E tanti altri spazi temporanei per vivere l'estate capitolina all'aperto. 

La Trattoria Temporanea a Villa Ada

Villaggi possibili è il tema della 24esima edizione dello storico festival dell'estate romana, nel parco di Villa Ada con il nutrito cartellone di Roma Incontra il mondo. Possibili nonostante i ritardi nell'assegnazione, che quest'anno – fino all'ultimo secondo – hanno generato non poca confusione, premiando in extremis l'Arci, che si è aggiudicata l'organizzazione della manifestazione dopo gli anni di conduzione affidati a Viteculture (che nel frattempo ha trovato una nuova casa all'Ex Dogana, dove fino al 30 settembre andrà in scena la prima edizione del Viteculture Festival, offrendo di fatto due grandi rassegne musicali alla città). E la kermesse già scalda i motori in vista della prima giornata on stage, con Ani DiFranco a battezzare il palco con vista sul lago nella serata inaugurale del 4 luglio. Poi il festival si protrarrà fino al 14 agosto, con un parterre ricco di ospiti, dai Baustelle a Nada, da Sabina Guzzanti a Marco Travaglio, tra concerti e serate di approfondimento. Lo spazio, com'è noto agli abituee del festival, ben si presta all'allestimento di un'area relax, dedicata soprattutto al cibo. E anche quest'anno la proposta gastronomica di Villa Ada saprà accontentare i romani in cerca di una valida tavola all'aperto, per contrastare la calura estiva. Sulla scia del consolidato binomio tra street food e cucina d'autore, l'area food garantirà un buon numero di alternative veloci per chi ha premura di conquistare un posto in prima fila sotto al palco e una tavola decisamente più rilassata sotto l'insegna di Trattoria Temporanea. A rappresentare la tradizione del cibo di strada hanno risposto alla chiamata Stefano Callegari - che stavolta si presenta in veste inedita, con una proposta di pizzette a portafoglio -  e i ragazzi di Pastella, che proporranno una selezione dei fritti che li hanno resi celebri in città.

Il menu di Baldassarre, i vini del Sorì

Ancor più interessante il discorso legato al pop up che prenderà forma sotto la supervisione di Paky Livieri, alias Il Sorì, e con la collaborazione di Adriano Baldassarre, chef patron del Tordomatto (tra i miglior qualità/prezzo per la guida Roma 2018 del Gambero Rosso). A loro il compito di animare la Trattoria Temporanea, 80 coperti in tutto: il Sorì curerà la carta dei vini, con una quarantina di proposte al calice per chi ama bere bene senza spendere un occhio della testa (con particolare attenzione ai vini naturali e agli champagne, selezionati tra piccoli produttori, alcuni serviti esclusivamente al bicchiere), mentre al menu provvederà lo chef di via Pietro Giannone, con proposte che spaziano da proposte semplici e fresche come l'insalata di polpo e la panzanella ai classici della tradizione estiva come lo “spaghetto a vongole”, pasta e patate con provola e basilico, il pollo con i peperoni, la parmigiana di melanzane, l'abbacchio al forno con le patate, i fagioli all'uccelletto. Con prezzi per tutte le tasche, che variano dai 4 euro per le “svojature” da aperitivo (frittura di alici, acciughe e burrata) e i panini (ciriola e porchetta, pizza e mortadella) a un massimo di 14 euro per i secondi. Una ristorazione, quindi, molto legata al territorio e alle tradizioni romane, per esplicita volontà di Baldassarre, qui alle prese con una cucina più semplice rispetto all'approccio sofisticato del Tordomatto. Ma non è esclusa la possibilità di impostare un'offerta gourmet calibrata sulle esigenze di un pubblico eterogeneo, con l'idea di coinvolgerlo in serate speciali all'insegna del cibo d'autore. Inaugurazione ufficiale il 6 luglio, la Trattoria sarà già operativa in soft opening da stasera, in concomitanza con l'apertura del festival, dalle 18 alle 2.

 

Street food d'estate. Il cinema all'aperto con Romeo

Per chi invece si trovasse a passare in zona San Lorenzo, per una o più date del cartellone di Viteculture all'Ex Dogana (dove oggi inaugura pure il nuovo Planetario), l'offerta gastronomica di riferimento è quella del Condominio San Lorenzo, un cortile sociale a ingresso gratuito con food corner affidato al catering mobile di Fuori di Mente. O, in alternativa, lo street food del Molo Nuovo Market nell'area concerti, con eventi a tema per tutti i gusti, dall'american bbq al cibo di strada della tradizione laziale, alle proposte vegan, diversi chioschi di street food e i cocktail del team de Le Mura.

A piazza Vittorio, intanto, inaugura la rassegna Notti di Cinema a piazza Vittorio: due maxi schermi e 3-4 proiezioni ogni sera dal 4 luglio al 10 settembre. Qui la proposta gastronomica sarà affidata alla flotta di Romeo Chef&Baker, con l'ape street food che i romani hanno imparato a conoscere negli ultimi anni, i gelati di Frigo, i pop corn da sgranocchiare durante il film. Mentre a Trastevere, già da qualche settimana, va in scena il cinema gratis sotto le stelle di piazza San Cosimato, fino al 1 agosto. Per la vicinanza all'Arena estemporanea, gli indirizzi di riferimento per fare rifornimento di generi di conforto sono la boulangerie di Giuseppe Solfrizzi, Le Levain, e il fast good di Banco Trastevere con le sue proposte take away – ultimi arrivati i sandwich vegan e chicken – e gadget speciali ideati proprio per i cinefili incalliti.

Il Magick Bar

Temporary e pop up

Proseguiamo con una breve rassegna dei pop up all'aperto che si animano in occasione dell'estate romana. Dell'esordio di Hotel Butterfly al Guido Reni District abbiamo già parlato. Mentre di formula consolidata parliamo per il Magick Bar di Fabio Colicchi, Nanni Clerici, Paolo Colapietro e Alberto Capanna, che ripropongono sulle sponde del Tevere la terrazza ristorante con cucina di stampo mediterraneo e influenze sudamericane. Quest'anno la gestione dello spazio sul Lungotevere Oberdan è affidata a Daniele Napoli, Nanni Scardina, Max Strike, e per il format si profila anche l'esordio in trasferta sull'isola di Ibiza, sulla spiaggia di Platja d'en Bossa. In cucina lo chef argentino Gracian Daniele, in abbinamento alla proposta di miscelazione.

Terrazza Yugo a San Pancrazio

Conferme anche dalla Terrazza San Pancrazio al Gianicolo – quest'anno in collaborazione con Yugo, che cura il menu sushi e raw, con tartare, ceviche e cocktail - e da Feria sul tetto al Lanificio di Pietralata, dalle 18.30 alle 2 per tutta l'estate con cocktail bar e sfizi gastronomici, ma anche piatti unici e taglieri. New entry, invece, il Terrazzo delle Officine Farneto (aperto dal mercoledì alla domenica dalle 19.30 in poi) e lo spazio pop up sul Tevere di Le Carre Francais, L'Ephemere.

Il temporary restaurant dedicato alla cucina francese è stato curato da Studio Archea, che ha fatto largo impiego di legno ed elementi vegetali per ricreare uno spazio quanto più possibile integrato con l'affaccio sul Tevere, che tenga fede alla suggestione trasognata dell'insegna, “l'effimero”. Da mangiare ostriche, foie gras, tapas provenzali, croque monsieur e madame, formaggi, e calici di champagne a volontà: la formula è sostanzialmente quella di un bar-a-huitre e Champagneria. Di fronte all'isola Tiberina, fino all'inizio di settembre.

 

Trattoria Temporanea | Roma | Villa Ada Roma Incontra il mondo | via di Ponte Salario 28 | tutti i giorni dalle 18 alle 2, dal 4 luglio al 14 agosto | per prenotazioni 348 1528467

Viteculture Festival | Roma | Ex Dogana | viale dello Scalo di San Lorenzo, 10 | fino al 15 settembre | www.viteculture.com

Notti di Cinema a piazza Vittorio | Roma | piazza Vittorio | dal 4 luglio al 10 settembre | www.aneclazio.it

Trastevere Rione del Cinema | Roma | piazza San Cosimato | fino al 1 agosto | www.trasteverecinema.it

The Magick Bar | Roma | lungotevere Oberdan, 2 | dalle 18 | www.facebook.com/themagickbar/

Terrazza Yugo a San Pancrazio | Roma | via di Porta San Pancrazio, 32 | dalle 19 alle 2 | info 335 5944863

Ferio sul Tetto al Lanificio | Roma | via di Pietralata, 159a | info 392 9163156 | www.lanificio.com

Terrazzo Officine Farneto | Roma | via dei Monti della Farnesina, 77 | info 334 3779419 | www.officinefarneto.it

L'Ephemere | Roma | lungotevere Ripa, 3b | fino al 5 settembre | 06 64760625 | www.cfr-international.fr

 

a cura di Livia Montagnoli

I consigli dell'oste. Rinaldo Merola del ristorante Angiolina e le alici di Menaica

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Il viaggio alla scoperta di prodotti e produttori selezionati dagli osti più bravi d'Italia, premiati dalla nostra guida Ristoranti d'Italia 2017 con i Tre Gamberi, fa tappa in Cilento. Luogo con una storia millenaria e un paesaggio unico, ricco di prodotti esemplari, tra cui le alici di Menaica.

Le alici di Menaica, la cui pesca avviene gettando le reti a mano durante le notti tra aprile e luglio, quando il mare è calmo, sono uno dei prodotti tipici di Pisciotta, nel Cilento. Non a caso a consigliarcele è Rinaldo Merola, patron di Angiolina, ristorante premiato con Tre Gamberi nella guida Ristoranti d'Italia 2017, che si trova proprio in questo piccolo paese, un tempo borgo di pescatori.

Il Cilento e il ristorante Angiolina

È una regione a sé il Cilento, luogo con una storia millenaria e un paesaggio unico, a cavallo tra le montagne e il mare. Terra dal sapore antico dove è nata quella che tutti conoscono come Dieta Mediterranea, messa a punto negli anni '50 dall'americano Ancel Keys che nell'alimentazione locale - pasta fresca, ortaggi e legumi, olio di oliva, formaggio, frutta, vino - trovò la ricetta di una vita lunga e sana. L'immagine di questi luoghi resta tutt'oggi legata a certi stereotipi di vita slow, di acque cristalline, di placidi porticcioli, di ritmi rilassati. E c'è un posto rassicurante che questi stereotipi li incarna tutti: è il ristorante Angiolina. La cui storia comincia alla fine degli anni ’50, quando Pisciotta era ancora un piccolo borgo di pescatori, una manciata di case affacciate sul mare, pochi abitanti e di turisti neanche a parlarne. Lo scenario si modifica proprio in quel periodo, con l’inizio dei lavori per il raddoppio della linea ferroviaria e centinaia di operai che arrivano velocemente da ogni angolo d’Italia. Il locale nasce così, come semplice punto di ristoro per quella moltitudine di lavoratori. Da allora molte cose sono cambiate, a cominciare dalla crescita di questo bellissimo spicchio di Campania come meta turistica di rilievo, per arrivare al cambio di guardia nel ristorante, quando mamma Angiolina ha ceduto il passo al figlio Rinaldo Merola. Ma una cosa è rimasta tale e quale: una volta entrati nel cortile di Angiolina ci si lascia andare ai ritmi lenti e naturali di questo luogo profumato dalle piante che lo circondano e inondato di brezza dalle onde a pochi passi.

Alici_ScapaceAlici alla scapece

Le alici di Menaica

Una volta giunti in questo paradiso, affidatevi ai consigli di Rinaldo, che porta avanti con passione la lunga tradizione di famiglia. In tavola, neanche a dirlo, il protagonista è il Cilento, con i suoi prodotti genuini e sinceri e con il suo mare generoso. Dalla ciauledda preparata con fagiolini, melanzane, peperoni, zucchine e patate stufate con pomodoro e cipolla, ai ravioli con ricotta, mozzarella e cacioricotta, passando per le zuppe di pesce, le alici mbuttunate con uova, ricotta e pomodoro, o quelle alla scapece. Ma le alici compaiono in molti altri piatti, come il tortino, la pasta, il cauraro (zuppa di verdure e alici) o le briciole di frisella con ricotta di bufala e, per l'appunto, alici. Sono quelle di Menaica, straordinario prodotto tipico di Pisciotta. “Il nome viene dalla rete tradizionale che permette la pesca selettiva degli esemplari più grandi”. Spiega il patron di Angiolina. “È un'arte di origine antica, tramandata di padre in figlio. Da aprile in poi, secondo le condizioni atmosferiche e fino a quando il caldo non diventa eccessivo, i pescatori escono in mare ogni notte sperando in una pesca fortunata. Io mi affido all'esperienza di una grande produttrice, Donatella Marino, che a sua volta si affida ai pescatori della zona, compreso il marito, che si spingono al largo con il solo aiuto di un piccolo motore, spostandosi a remi e scrutando il cielo”. Sanno che le alici emergono e si pescano bene quando compaiono alcune stelle...

pesca_delle_alici_di_Menaica

L'arte della pesca e della conservazione

Solo l'esperienza e la capacità di leggere i segnali del cielo e del mare permettono di individuare l'altezza e la direzione in cui nuotano i pesci”. Racconta Donatella Marino, produttrice di alici di Menaica dal 2001. “Tutto può essere un indizio: la temperatura dell'acqua, il rumore del mare, ossia l'impercettibile suono dei pesci in movimento a poca profondità, o le stelle nel cielo”, che i pescatori della zona hanno ribattezzato con un pragmatismo non senza poesia: “Le Pleiadi sono 'a puddicinara', Orione è 'pollara', Venere è 'u stellone', ed è l’ultima a comparire prima dell’alba, a indicare quando devono essere calate le reti”.

Certo così la pesca è ben più impegnativa e meno proficua, ma quello che rende uniche queste alici è ciò che avviene dopo la pesca: mano a mano che la rete viene tirata su, i pescatori staccano le alici una a una e, anziché essere metterle nel ghiaccio, le privano della testa per conservarle poi in grossi cesti di legno, le trezarole, o in contenitori di coccio in cui si alternano a strati di sale, di una grana a metà tra il sale grosso e quello fino, che un tempo veniva macinato a mano dalle donne. “In questo modo perdono tutto il sangue - da qui il tenue colore rosato e il gusto delicato della carne - ma mantengono tutte le proprietà nutrizionali”.

Alici_MenaicaAlici di Menaica

Valori nutrizionali e confezionamento

A dirlo sono le analisi effettuate sin dal 2010, con l’impegno dei medici veterinari ASL di Villammare e la collaborazione dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno. Queste dimostrano che fino a 13 mesi di salagione le alici mantengono tutte le qualità organolettiche che risultano al momento della pesca, evidenziando che l’assenza di sangue nei tessuti blocca la produzione di ossido che si avrebbe a contatto con il sale. Donatella Marino si occupa anche del confezionamento. “Le alici vengono poi trasferite in vasetti più piccoli e da fine agosto sono pronte per la vendita fino all'esaurimento delle scorte. Si tratta di quantità limitate che rendono ancor più prezioso ciò che si conquista. Ma se si viene qui nel periodo di pesca, capita di poter assaggiare direttamente sul porto le alici fresche. Appena pescate e condite solo con un filo di olio locale e di limone, sono una delizia”.

 

Angiolina | Marina di Pisciotta (SA) | via Passariello, 2 | tel. 0974 973188 | www.ristoranteangiolina.it

Alici di Donatella Marino | Marina di Pisciotta (SA) | via Stazione Vecchia, 3 | tel. 347 4439102 | www.alicidimenaica.it

 

a cura di Annalisa Zordan

 

I consigli dell'oste

Michele Vallotti e i salumi di Vanni Forchini

Gherra e Vergano del Consorzio di Torino e la carne della Macelleria Brarda

Giovanni Milana di Sora Maria e Arcangelo e i formaggi di Marzia Molinari

Luca Casablanca di Tischi Toschi a Taormina e le conserve ittiche di Adelfio

Daniele Minarelli dell'Osteria Bottega e la mortadella di Ennio Pasquini

Sergio Circella della Brinca e i prodotti dell'Azienda Agricola Rue de Zerli

Gennaro D’Ignazio della Vecchia Marina e l'olio di Valentini e del Frantoio Montecchia 

 

 

Mosella, la dolce Germania del Riesling

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La regione vitivinicola più famosa e apprezzata della Germania si distende tra Trier e Koblenza lungo le sinuose anse della Mosella e dei suoi due affluenti principali Ruwer e Saar. Un'area tutta da scoprire, come i suoi vini.

 

Alcuni vini dei territori citati in questo articolo sono acquistabili su Tannico.it, l’enoteca online partner di Gambero Rosso. 


Da sempre nel cuore dei più esperti e appassionati wine lover per la qualità e la longevità dei suoi Riesling, la Mosella - dopo la crisi degli anni Ottanta - sta rapidamente riguadagnando posizioni sui mercati mondiali grazie anche al lavoro di alcuni produttori attenti e lungimiranti come, per citarne qualcuno, Ernst Loosen, Egon Muller e Markus Molitor che al momento giusto hanno saputo investire sia nelle loro aziende, rendendole più competitive, sia nella promozione dei loro vini sui grandi mercati internazionali. Si è messo così in moto un circolo virtuoso che nell’ultimo decennio ha fatto prepotentemente tornare sulla scena mondiale i Riesling tedeschi che sino agli anni Sessanta erano ricercati (e costosi) come e più dei vini di Bordeaux, persino in Francia.

Una regione due filosofie produttive

Una regione in grande movimento, non priva di problemi, primo tra tutti quello del reperimento della mano d’opera specializzata per lavorare in vigneti dalle pendenze elevatissime che il fondo di ardesia rende ancora più impegnativi da gestire. Ma anche una regione dove si confrontano filosofie e stili di produzione differenti, ma che finalmente sembra aver superato la crisi della fine del secolo scorso e che marcia compatta per riconquistare, anche tra il grande pubblico, il primato di regione sovrana nel mondo per la produzione di grandi vini bianchi da invecchiamento.

Abbiamo trovato una regione in grande fermento dove nel massimo rispetto delle opinioni si fronteggiano principalmente due diverse filosofie produttive: da un lato ci sono produttori più legati alle vinificazioni tradizionali, dall’altro quelli che invece spingono verso vini più secchi e addirittura senza nessun residuo zuccherino; stesso discorso per la Botrytis: ci sono quelli che la rifuggono e quelli che invece sostengono che senza il suo apporto i vini perderebbero in equilibrio e complessità generale.

Botrytis sì, Botrytis no

SofiaThanisch, pronipote della leggendaria Katharina che nel 1895, ereditata la cantina a soli 29 anni seppe farla diventare uno dei punti di riferimento dell’intera Mosella, dice che normalmente Botrytis cerca di evitarla ricorrendo, quando è il caso, all’acinatura per selezionare gli acini più concentrati. Anche Markus Molitor preferisce vinificare senza Botrytis, “così che i vini esprimano al meglio il carattere intrinseco del vitigno, del terroir e dell’annata. È importantissimo”dice Markus “lavorare bene in vigna, a cominciare dalle potature che devono essere delicate in modo da lasciare una grande parete fogliare a difendere l’uva sia dal caldo che dal freddo”.

Replica Thorsten Melssheimer, giovane produttore di Reil: “È complicato vinificare senza Botrytis perché seppur in percentuale minima si sviluppa comunque anche nelle annate migliori” e continua “per fare grandi vini il vignaiolo deve essere quanto più possibile in armonia con la naturaper questo sono un convinto sostenitore della biodinamica che, esaltando al meglio il carattere delle singole vigne, mi aiuta a trovare il giusto stile per ogni vino”. Martin Müllen ha invece ancora un’altra ricetta per valorizzare al meglio le sue vigne: dai suoi quattro ettari di riesling, in gran parte ceppi centenari e a piede franco, ogni anno produce dai 25 ai 30 vini diversi. “Solo vinificando vigna per vigna”ama ripetere Martin “si esalta il terroir e si esaltano le peculiarità dei singoli cru. Nelle vigne a piede franco, ad esempio, la speziatura è più marcata e anche se le piante sono meno vigorose, grazie alla superiore qualità delle uve, si ottengono vini più eleganti e profondi”.

 

Sostenibilità

Olivier Haag dal 2005 dirige la cantina fondata da papà Fritz: i suoi sono Riesling dal carattere delicato ed elegante alla costante ricerca dell’integrità del frutto e destinati a durare a lungo nel tempo, e sono tra i più ricercati della regione. Convinto assertore di un approccio in armonia con l'ambiente pratica un’agricoltura sostenibile. “Lavoro la vigna in modo artigianale, facciamo a mano anche la vendemmia. Solo così”sostiene Oliver “si può avere un controllo e una gestione ottimale dei tempi di maturazione e raccolta e un miglioramento complessivo della qualità delle uve. Anche in cantina interveniamo il meno possibile lasciando che i mosti fermentino spontaneamente e senza l’uso di lieviti aggiunti”.

Loosen

Archeologia del vino

Innovare ispirandosi al passato, questa la filosofia di Ernst Loosen che da studente in archeologia non a caso è diventato il produttore più famoso di Germania. La prima intuizione di Ernst è quella incrementare il vigneto aziendale comprando a tappeto vecchie vigne, spesso centenarie, tra quelli che una famosa carta del 1908, anche se non in maniera ufficiale, classificava come gran cru. In cantina, facendo sue le teorie del nonno che nei primi decenni del 1900 produceva solo vini secchi a Urzig, comincia a vinificare i Riesling semplicemente lasciandoli il più a lungo possibile sulle fecce senza far altro sino all’imbottigliamento. In questa filosofia rientra il suo ultimo visionario progetto, produrre un Riesling destinato ad affinare sulle sue fecce fini per 20 anni proprio come teorizzava il nonno. Il suo successo internazionale è stato consolidato nell’ultimo decennio dall’avvio di due partnership negli USA, con Chateau S. Michelle nello stato di Washington e Jay Somerson in Oregon e dall’acquisto della tenuta Villa Wolf nel Pfalz.

 

Le ultime vendemmie: 2015 e 2016, due belle annate

Nel 2016 non ci sono stati particolari problemi legati al gelo come in altre parti d’Europa: dopo una primavera e un inizio estate caratterizzati da pioggia e umidità, finalmente in agosto e settembre è arrivato il bel tempo ad aggiustare un’annata che sembrava volgere al peggio. Anche se si è raccolto qualcosa in meno rispetto al 2015, le uve comunque hanno comunque raggiunto una buona maturazione mantenendo un bel grado di acidità.

L’annata 2015 è da annoverarsi tra le migliori degli ultimi anni, anche se in luglio e agosto le temperature sono state abbastanza alte la pioggia di settembre ha mitigato l’effetto del caldo estivo, mentre ottobre e novembre sono stati belli, la vendemmia è andata liscia e si è conclusa prima delle piogge invernali. I vini del 2015 sono in perfetto equilibrio tra frutto maturo e acidità, destinati ad un’ottima evoluzione nel tempo.

 

Vini & vigne: Le sigle in etichetta

La classificazione dei vini tedeschi si basa sulla misurazione del grado Oechsle (Oe) che conteggia di quanti grammi un litro di mosto superi il peso di un litro di acquapartendo dal principio che la differenza sia lo zucchero presente nel mosto.

Kabinett: non inferiore a 73° Oe.

Spatlese: non inferiore a 85° Oe (da vendemmia tardiva).

Auslese: non inferiore a 90° Oe da vendemmia manuale di grappoli molto maturi che possono anche essere stati colpiti da Botrytis Cinerea.

Beerenauslese: non inferiore a 125° Oe da vendemmia mediante acinatura delle uve (surmature) colpite da Botrytis Cinerea.

Trockenbeerenauslese: non inferiore a 150° Oe acini (botritizzati, passiti o surmaturi) selezionati a mano.

Eiswein:non inferiore a 125° Oe da vendemmia effettuata con una temperatura non superiore a -7° di grappoli non colpiti da Botrytis Cinerea.

Trockenvino secco con al massimo 9 grammi/litro di zuccheri residui

Halbtrocheno Feinherbvino semi secco con al massimo18 grammi/litro di zuccheri residui.

Le classificazioni dei vigneti fatte dalla Vdp (Verband Deutscher Prädikatsweingüter): l’Associazione dei viticoltori tedeschi di qualità fondata nel 1910; è la più antica al mondo.

 

Vdp. Gutswein: indica i vigneti alla base della piramide produttiva (devono essere di proprietà e rispettare i rigidi protocolli dell’associazione).

Vdp. Ortswein:buoni vigneti in zone particolari (simili alle Denominazioni Comunali in Borgogna).

Vdp. Erste Lage:nella classificazione dei vigneti che si sono dati i produttori della Vdp indica i cosiddetti vigneti di prima classe (assimilabili ai Premier Cru di Borgogna).

Vdp. Grosses Lage: nella classificazione dei vigneti che si sono dati i produttori della Vdp indicano i vigneti migliori (assimilabili ai Gran Cru di Borgogna).

Vdp Grosses Gewächs (Vdp GG): vini secchi ottenuti nei vigneti Vdp Grosse Lage.

Prädikat: vini dolci e/o fruttati ottenuti nei vigneti Vdp Grosse Lage.

Alte Reben: vigne vecchie.

 

a cura di Massimo Lanza

 

 

Articolo uscito sul mensile di Giugno 2017 del Gambero Rosso. Per abbonarti clicca qui 

 

Alcuni vini dei territori citati in questo articolo sono acquistabili su Tannico.it, l’enoteca online partner di Gambero Rosso. 


www.tannico.it

L'Enoteca della Serra rivive a Lessona. A guidarla un gruppo di giovani con disabilità

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L'apertura il prossimo autunno nel comune del Biellese. Degustazioni, bar, un piccolo ristorante. Si farà cultura e promozione delle eccellenze eno-gastronomiche territorio. 

L'Enoteca che rinasce

Per il rilancio dell'Enoteca regionale della Serra, fondata nel 1981, occorrerà attendere solo qualche mese. Tra fine settembre e i primi di ottobre, infatti, è previsto il taglio del nastro nei nuovi locali di via XI Febbraio a Lessona, comune di 2.800 abitanti in provincia di Biella. C'è attesa per questa apertura, dopo un periodo economicamente complicato e la decisione di trasferire le attività dal Castello di Roppolo, nei pressi del lago di Viverone, alla Casa del principe, nel bellissimo ricetto medioevale di Candelo. Protagonisti dell'iniziativa sono sei giovani con disabilità (sindrome di Down), riuniti nella cooperativa sociale “Porte Aperte”, ai quali sarà affidata la gestione: Francesco, Gualtiero, Simone, Marta, Emanuela e Cloe, tra 18 e 40 anni, sono impazienti di iniziare, coronare un sogno e, più concretamente, trovare un'occupazione.

Tra vecchio e nuovo, in questa storia di inclusione sociale, è il vino a fare da filo conduttore. Dai primi del 1900, quei locali furono sede della Cooperativa agricola consorziale lessonese, fondata su iniziativa dei viticoltori con l'obiettivo di dare aiuto ai contadini più deboli. Realtà che, tra alterne vicende, è rimasta in piedi fino al 2012, quando si decise di scioglierla e cedere tutto al Comune di Lessona vincolando però la struttura a scopi sociali.

 

Il riscatto sociale, la valorizzazione del territorio

Giuseppe Graziola, lessonese e attuale presidente dell'Enoteca della Serra, ha pensato di trovare una sintesi che coniugasse due diverse esigenze: una etico-sociale, legata all'inserimento dei giovani nel mondo del lavoro come voleva il gruppo di genitori dei ragazzi coinvolti; una economica connessa al rilancio dell'enoteca da lui presieduta. Ha così avviato il dialogo tra associazioni, Comuni e Regione. La proposta è piaciuta. Alcune precedenti iniziative di solidarietà ed eventi, avevano consentito di raccogliere fondi per la ristrutturazione dell'immobile; il Comune di Lessona ha dato il suo contributo alla start-up del progetto; è arrivato poi il placet della Regione Piemonte, che ha trovato il modo di dare nuova linfa a una delle 14 enoteche regionali, che ogni anno ospitano mediamente un milione di enoturisti.

I sei ragazzi, che hanno ottenuto i locali in comodato d'uso, seguiranno a breve una formazione specifica e saranno affiancati da due tutor. La struttura è su due livelli, con un ampio salone al piano superiore, che ospiterà l'Enoteca, ed è circondata da un giardino affacciato sui vigneti della Doc Lessona. Al piano terra, il bar/ristorantino “La Malva Rosa”. Per la parte food, è attiva una partnership con gli istituti alberghieri di Biella. Ma l'idea è di andare oltre, promuovendo cultura e aggregazione in senso ampio, col recupero dell'archivio documentale e fotografico dell'ex cooperativa agricola. Insomma, una ricca vetrina con storia ed eccellenze alto piemontesi. Il suo nome non sarà più “della Serra” e potrebbe essere scelto tra “Enoteca del Biellese” o “Enoteca dell'Alto Piemonte”. Dettagli. “Ciò che importa” afferma Graziola “è che si confermi ancora una volta la storica vocazione alla solidarietà del nostro territorio. Se poi questa si ottiene con il vino la cosa ha un sapore del tutto particolare”.

 

a cura di Gianluca Atzeni

Cioccolateria Sabadì: il recupero de Gli Orti di San Giorgio di Modica

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I giardini del Duomo San Giorgio di Modica rinascono grazie al lavoro di un artigiano appassionato. Il cioccolatiere Simone Sabaini ha scelto di investire tutto nel recupero de Gli Orti di San Giorgio, ristrutturando l'intero spazio e creando un locale d'eccezione. 

Il trasferimento a Modica

Un intrigo di viuzze e scalinate su cui si affacciano edifici e chiese, così tante da conferire al Comune il nomignolo di “Città delle Cento Chiese”, il mare a pochi passi, lo stile barocco che permea l'intera località, le grotte, la simbiosi con la natura che la circonda: uno spaccato di Sicilia fermo nel tempo, polveroso ma dinamico, imponente ma accogliente. Passare per i vicoli di Modica, in provincia di Ragusa, e non innamorarsene a prima vista è impossibile. Le chiese, almeno nel Seicento, erano in realtà “solo” 95. Tante oggi non esistono più, ma quest'angolo di Sicilia orientale nota per il suo cioccolato affascina senza riserve.

Simone Sabaini, veronese di origine ma modicano di adozione, se n'è innamorato tanti anni fa. E nel 2008 ha deciso di lasciare il mondo della finanza e cambiare vita, in cerca di ritmi più lenti, e un luogo dove poter ricominciare. Oggi, Simone è uno degli artigiani più stimati della Penisola: alla fine del 2011 nasce il laboratorio di cioccolateria Sabadì, specializzato nel prodotto dolce più conosciuto della zona, il cioccolato di Modica, friabile e dalla consistenza granulosa, che Simone rielabora in tante sfumature diverse con creatività, tecnica e gusto. Quello con Modica è stato un colpo di fulmine, che l'artigiano ha poi coltivato nel tempo, tanto da decidere di investire tutto su un nuovo progetto, ambizioso e impegnativo, pur di veder rinascere uno degli spazi più affascinanti della città.

Il recupero degli Orti di San Giorgio

Gli Orti di San Giorgio, ovvero i giardini sottostanti la chiesa madre di Modica, il Duomo San Giorgio, simbolo del barocco siciliano, degli spazi verdi abbandonati che il cioccolatiere ha deciso di recuperare e portare di nuovo al loro splendore originario. “Quei giardini sono meravigliosi, ma l'incuria li stava rovinando. Così ho deciso di proporre un progetto diverso, la realizzazione di un bar, per restituire dignità agli Orti”. È l'inizio del 2015 quando Simone propone all'amministrazione comunale di poter cominciare un'opera di ristrutturazione con tanto di costruzione dei bagni pubblici. L'offerta dell'imprenditore viene accettata, viene indotto un bando, a cui partecipa solo lui, e inizia una procedura burocratica lunga più di un anno e mezzo. A fine maggio 2017, il locale polifunzionale firmato Sabadì prende vita, in uno spazio esterno curato nei minimi dettagli e un'offerta dinamica che va dal pranzo al dopocena. Un investimento non indifferente, interamente a spese di Simone, che si è fatto carico di una parte del patrimonio culturale della città, facendo così riscoprire ai modicani la bellezza e l'anima del luogo. “Un omaggio a una città che mi ha dato tanto, e che mi sento di ringraziare a modo mio”.

L'offerta

Tavolini solo all'aperto, dunque, circondati dal verde dei giardini, per un bar polifunzionale che chiuderà solo nei mesi più freddi. Molto articolato il reparto caffetteria, con espressi, a base della miscela ouverture di Lelli Caffè, torrefazione artigianale di Bologna, e poi il caffè freddo estratto con metodo cold brew, una singola origine di Sidamo col quale vengono realizzate anche le granite fatte in casa. Ma agli Orti di San Giorgio è la cucina a fare la parte del leone: a curare le proposte, lo chef Stefano Ciotti del ristorante Nostrano di Pesaro, “mio caro amico e grande professionista”, che ha studiato piatti su misura per il nuovo locale, “ricette semplici dove la protagonista è la materia prima”. Del territorio e non solo, “ho voluto prendere il meglio da ogni regione”, dalla mozzarella di bufala del caseificio Barlotti di Paestum ai formaggi di capra girgentana, dall'olio extravergine di oliva di Frantoi Cutrera al ragusano stagionato, dalle verdure biologiche locali alla mortadella classica presidio Slow Food. E ancora formaggi de La Casera di Verbania, il prosciutto cotto di Branchi, tutto accompagnato da una selezione di vini naturali che comprende ben 70 etichette. Tra i dolci la tagliata di panna aromatizzata al lime con crumble di cioccolato al sale, la ricotta di vacca modicana mantecata con pistacchi, mandorle caramellate, frutta e cioccolato all'arancia rossa e maggiorana, e i biscotti integrali con crema al limone. E naturalmente tutta la cioccolata di Sabadì, a cui si aggiunge una linea nuova pensata per il locale: 8 diversi cioccolati da abbinare a una carta dei whisky. Si prosegue anche dopo cena, con distillati e liquori, da degustare lisci o miscelati.

La squadra

Per realizzare il locale, Simone si è affidato a Serena Ciurcina, giovane appassionata di enogastronomia che ha collaborato con lui all'avviamento dell'attività, curando la parte della startup e attualmente alle prese con il coordinando agli Orti. In cucina, sotto la supervisione di Stefano, un team valido di tre ragazzi giovani e preparati, che seguono i consigli del maestro passo dopo passo. Dietro il bancone a preparare i drink, Pietro Floridia, bartender di Modica che si è fatto le ossa nei bar di Londra e Barcellona. Simone continua a lavorare in laboratorio, ma segue anche l'attività degli Orti, controllando, “e soprattutto assaggiando”, l'intero lavoro.

Progetti futuri

Fra le novità proposte – per ora – solo agli Orti, l'aranciata di Sabadì, una bevanda a base di sciroppo realizzato con spremuta di arancia, limone e zucchero di canna, a cui l'artigiano aggiunge acqua gassata. “Non volevo bibite confezionate e industriali, tutto quello che si trova agli Orti è fatto in casa, e le bevande non fanno eccezione”. Lo sciroppo sarà presto disponibile per la vendita anche in cioccolateria, “così ognuno può riprodurre la bibita partendo dal preparato”. Nei progetti futuri di Simone, poi, c'è il trasferimento del laboratorio di cioccolata in uno spazio più ampio, sempre a Modica, ma soprattutto la continuazione di questo percorso di imprenditoria e creatività, investimenti e valorizzazione. “Per ora l'attività procede bene. Funziona molto l'offerta dell'aperitivo e del dopocena, ma il mio obiettivo è di puntare sulla cucina”. Ci saranno poi serate a tema ed eventi, a cominciare da una serie di festival musicali, “e più avanti mi piacerebbe coinvolgere gli amici produttori per delle degustazioni”. Le idee, di certo, non mancano, così come la qualità di ogni singolo ingrediente, l'originalità delle creazioni, la voglia di migliorarsi sempre. E soprattutto l'amore per una terra che non smette di stupire e che, proprio per questo, merita di essere valorizzata giorno dopo giorno. A cominciare dal cibo.

Gli Orti di San Giorgio | Modica (RG) | corso San Giorgio | tel. 393 9106902 | www.facebook.com/gliortidisangiorgio/

a cura di Michela Becchi

 

 

Ricetta per l'estate. La parmigiana di melanzane

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La parmigiana di melanzane è uno dei grandi classici dell'estate, di cui ogni regione custodisce una sua ricetta, ma cento altre ne nascono ogni giorno, più o meno fedeli. Noi ve ne proponiamo tre che l'interpretano in modo fantasioso. Fateci sapere se vi sono piaciute.

È uno delle ricette estive più amate, un piatto da preparare la mattina presto, quando le temperature non hanno raggiunto picchi infernali e accendere il forno non mette ancora così tanta paura. Anche perché, diciamolo, mangiata dopo qualche ora la parmigiana di melanzane è ancora più buona. È un evergreen che non conosce crisi, anche per la semplicità con cui si possono apportare delle modifiche alla ricetta originale. Che poi, a pensarci bene, non si può definire con certezza: ogni regione ha la sua - con prosciutto o senza, con le melanzane passate nell'uovo o solo fritte, con la besciamella oppure no – e poi ogni famiglia ha la sua versione. Non stupitevi, dunque, se osiamo reinterpretare proprio la parmigiana e iniziare così, una nuova rubrica dedicata alle ricette estive, che siano di tradizione o nuovi classici. Abbiamo cercato tra archivi di lavoro e ricettari di famiglia per proporvi, ogni settimana, tre ricette tutte da sperimentare. Con l'unica richiesta: di farci sapere, sulla nostra pagina Facebook, se le avete provate e se vi sono piaciute.

 

Cannoli di parmigiana. La ricetta

 

 

Nella prima ricetta abbiamo trasformato la classica parmigiana in un antipasto sfizioso, adatto anche a una cena più formale: un finger food al sapor di parmigiana che richiama un po' gli involtini primavera per via della pasta fillo che si frigge velocemente e rimane croccante.

 

 

Parmigiana di melanzane con crema di pesce spada affumicato. La ricetta

 

 

Per trasformare la parmigiana in un pasto unico, arricchendo ancora un po' la già ricca ricetta, abbiamo scelto il pesce spada affumicato. Lo abbiamo ridotto in crema per un'abbinata inedita.

 

 

Parmigiana di melanzane rivisitata. La ricetta

 

 

 

L'ultima proposta l'abbiamo scelta perché l'estate è la stagione dei barbecue e delle cotture all'aperto. Opportunamente rivisitata, anche la parmigiana può essere preparata sul grill. Non ci credete?

 

 

Il Mercato Centrale Firenze in tour a Venezia. Botteghe su ruote alla stazione di Santa Lucia

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Apre il 12 luglio lo spazio temporaneo del Mercato Centrale Firenze a Venezia, e resterà operativo fino alla fine di ottobre. Una conferma della fiducia accordata da Grandi Stazioni al format di Umberto Montano, che per la prima volta si cimenta con la prova food truck. Ecco chi ci sarà, tra conferme e new entry. 

Il successo del Mercato Centrale. Da Roma a I Gigli

Da un paio di mesi se ne parla come della grande novità estiva del Mercato Centrale. E di fatto l'inaugurazione che il prossimo 12 luglio esporterà a Venezia la fortunata formula ideata da Umberto Montano per il mercato di San Lorenzo a Firenze (bissata un anno fa a Roma) promette di essere una piacevole sorpresa per pendolari e turisti in transito alla stazione ferroviaria di Santa Lucia. La prima buona nuova dell'estate 2017 del Mercato Centrale, in verità, è arrivata appena un paio di settimane fa, con l'esordio di Ai Banchi al primo piano del centro commerciale I Gigli di Campo Bisenzio, subito fuori dal capoluogo toscano. Un altro modo di concentrare l'artigianalità dell'enogastronomia locale e made in Italy in uno spazio solitamente bollato come il regno dei fast food per eccellenza. E invece, in Corte dell'Oste, si può scegliere tra la pizza di Pier Daniele Seu e i Trapizzini di Stefano Callegari, i ravioli cinesi di Aghie Zou, i tartufi di Savini, e molto altro ancora. Perché squadra che vince non si cambia, fatto salvo per qualche riposizionamento del caso. A Venezia, invece, l'assetto si preannuncia ancora diverso: per la seconda volta (dopo l'apertura alla Cappa Mazzoniana di Termini) le “botteghe” del Mercato Centrale approdano in stazione, peraltro una delle più frequentate sul territorio nazionale, ma, almeno per i primi tempi, in formazione inedita, e temporanea.

 

Il Mercato Centrale Firenze. A Venezia

Nello spazio della Piazzetta Interna di Santa Lucia (lato binari regionali, 15-21, ma con accesso diretto dalla città, “superato il ponte di Calatrava, ci vedi subito”, conferma Montano) il Mercato Centrale di Firenze va in tour, con una selezione di food truck di generi diversi che servirà a sondare il terreno in vista di un progetto stanziale. Di cui appunto è tutta da verificare la fattibilità, perché l'approccio di Montano alla scalabilità del format resta lo stesso di sempre: procedere a piccoli passi per non intaccare l'autorevolezza conquistata sul campo dal brand (per dirne una, quest'anno il premio Novità della guida Roma 2018 del Gambero Rosso è finito proprio all'interno del Mercato di Termini, riconoscendo la felice intuizione di portare in un contesto inedito la cucina di Oliver Glowig). Ma ora concentriamoci su quello che succederà a Venezia tra qualche giorno, sulle finalità, e sui protagonisti di questa trasferta: “Da un anno siamo inquilini di Grandi Stazioni a Roma, e la collaborazione sta dando buoni frutti. Alla città abbiamo offerto un nuovo tetto sociale, contribuendo a riqualificare l'area con un'attività che non è prettamente commerciale, ma mirata a incentivare gli scambi culturali e sociali, integrandosi con il territorio”. Questo è quello che piace al nuovo Ad di Grandi Stazioni, Alberto Baldan, chiamato da qualche tempo a questa parte a ripensare il ruolo delle più importanti stazioni italiane, perché non rappresentino più solo un luogo di transito, ma tornino a distinguersi per valore immobiliare dei fabbricati storici, e qualità aggregative e culturali. E il progetto, appena agli inizi, ha trovato una valida sponda in Umberto Montano, che a Venezia ha accettato una sfida tutt'altro che semplice: “Solo per citare una delle difficoltà che ci siamo trovati di fronte, basti pensare alla trafila burocratica per ottenere i permessi per lo scarico in fognatura, che in città passa attraverso il Magistrato delle acque. Venezia è una città che pone nuove sfide, sotto tanti punti di vista”.

 

Lo spazio a Santa Lucia. 12 food truck e 400 posti a sedere

Anche per questo si comincia col lanciare un “messaggio temporaneo”, un mercato in movimento che prenderà possesso - dal 12 luglio fino alla fine di ottobre – di una piazzetta di mille metri quadri, all'aperto, con 400 posti a sedere, un palco per attività culturali, musica, show cooking e spettacoli (“almeno un appuntamento al giorno”), e 12 food truck. In pratica, “abbiamo preso le nostre valide botteghe di Firenze, e le abbiamo messe su ruote”. Qualcuna disponeva già di un proprio mezzo itinerante, con altri si è lavorato in sinergia per realizzare degli spazi efficienti e in linea con le esigenze del MC. Tra le conferme gli hamburger di Chianina de La Toraia, la carne di Fausto Savigni, Savini Tartufi, la pasticceria siciliana di Arà, la pasta di Raimondo Mendolia.

la pasta di Mendolia al Mercato Centrale di Firenze

E ancora il Fritto di Martino Bellincampi, la porchetta della famiglia Granieri, i tramezzini di Fabrizio Bodini, trippa e lampredotto di Giacomo Trapani. Novità sul versante della panificazione, “perché al pane teniamo moltissimo e avevamo bisogno di un grande prodotto che supportasse tutte le attività. La scelta è caduta sul Panificio Menchetti di Cortona, che produrrà per noi pane da grano Verna, un autoctono toscano”. Al laboratorio toscano anche il compito di realizzare la pizza, a taglio, con la collaborazione del giovane pizzaiolo che a Venezia, sul truck di pane e pizza, ci metterà la faccia: Gennaro Loffredo, anche lui una new entry, in arrivo dalla pizzeria romana Loffredo. In “piazza” anche due spazi fissi, che ospiteranno la birreria e la caffetteria.

Apertura, tutti i giorni, dalle 11 alla mezzanotte: “Potremmo definirlo un food truck festival firmato Mercato Centrale Firenze, con tante attività colleterali, perché il mercato che vende e basta proprio non ci piace”. Ancora qualche giorno e scopriremo come risponderà Venezia.

 

Mercato Centrale Firenze in tour | Venezia | Stazione Santa Lucia, Piazzetta interna | dal 12 luglio alle 18.30 

 

a cura di Livia Montagnoli


Oli d'Italia 2017. Miglior olio biologico: Viola di Foligno

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Produrre un eccellente extravergine biologico è possibile, nonostante le tante difficoltà delle ultime annate. Lo dimostra l'esperienza di Marco Viola, uno dei migliori produttori olivicoli nazionali che da anni porta in alto la cultura dell'olio umbro di qualità. 

L'olivicoltura in Umbria

Quello fra umbri e ulivi è un legame profondo, autentico, che va avanti da secoli. I produttori olivicoli di questa regione si impegnano giorno dopo giorno per trarre la massima espressione dai frutti degli alberi che definiscono il paesaggio collinare, realizzando prodotti d'eccezione e rispettando l'ambiente circostante da cui tutto ha origine. La famiglia Viola vive a Foligno, in provincia di Perugia, e con questa terra ha da sempre un rapporto intenso. Generazioni di olivicoltori si sono succedute per lavorare in campo a stretto contatto con le piante, con amore e pazienza, optando per l'agricoltura biologica e la riduzione al massimo di tutti i trattamenti. È per questo che una delle loro etichette si è distinta nella guida Oli d’Italia del Gambero Rosso come uno dei miglior oli biologici dell'anno, pari merito con l'azienda Marfuga.

Le origini dell'olio

La memoria storica della famiglia risale al diciannovesimo secolo, con Biagio e Lucia Viola, che trasmettono al figlio Ferdinando la passione per l'olivicoltura, tanto da spingerlo ad acquistare, a metà Ottocento, un piccolo uliveto sulle colline di Scandolaro, per contribuire all'economia familiare. È poi la volta di Diamante e dello zio Feliciano, che estendono la proprietà a oltre 30 ettari e inseriscono il frantoio aziendale all'interno del Castello di Sant'Eraclio. E ancora il figlio di Diamante, Biagio, via via fino ad arrivare a Marco Viola, attuale proprietario dell'azienda che ha completamente rivoluzionato il modo di concepire l'extravergine. Cominciano le innovazioni tecnologiche, nuovi metodi e tempi di raccolta e lavorazione che spingono il prodotto verso una qualità sempre maggiore.

La produzione dell'olio umbro

Oggi sono 15 in tutto gli ettari di proprietà della famiglia, “oltre a 80 ettari di terreno in affitto indotto che abbiamo in gestione”. Con circa 23mila piante di moraiolo, frantoio e leccino, l'azienda realizza 5 diverse etichette: Costa del Riparo bio, un blend di frantoio e moraiolo, Il Sincero, monocultivar di moraiolo, il Colleruita Dop Umbria Colli Assisi Spoleto (frantoio, moraiolo e leccino), Inprivio, blend di frantoio e leccino, “e poi un prodotto base, Tradizione”. A questi, si aggiunge poi, durante la campagna olearia, il Nuovo, olio novello “che filtriamo comunque per garantire stabilità”.

Il lavoro in campo

Per dar vita a questi prodotti, si comincia dalla cura delle piante, a partire da gennaio con la concimazione organica. Si passa poi alla potatura, e ancora alla trinciatura della potatura, e poi al trattamento, “sia convenzionale che biologico”, e di nuovo le trinciature, “in base alla piovosità”, senza dimenticare di togliere i polloni ad agosto. La raccolta inizia i primi di ottobre, mentre ora, a luglio, siamo alla fine della fase di allegagione, ovvero il passaggio da fiore a frutto: “La fioritura è stata eccellente e ci aspettavamo un'allegagione migliore, ma i frutti comunque ci sono. I precedenti mesi di siccità non hanno fatto bene alle piante, e in generale le ultime quattro campagne sono state difficoltose”. In particolare la 2014, annus horribilis dell'olio d'oliva, media la 2015 e mediocre la 2016, “speriamo nella prossima”.

La scelta del biologico

Nonostante gli ostacoli, Marco sceglie comunque di proseguire con la coltivazione biologica, almeno in parte. “L'investimento per il bio è impegnativo a livello economico e non solo, e lo diventa ancora di più nelle annate difficili”. Contro la mosca, occorre intervenire con lo spintor fly (un'esca insetticida a base di spinosad e di sostanze attrattive specifiche sviluppata per il controllo dei parassiti) o il caolino, “tutti elementi che hanno un costo elevato”. Fondamentale è sempre il monitoraggio, “controlliamo costantemente le piante da oltre un mese per prevenire un eventuale attacco della mosca”. Anche le coltivazioni convenzionali, in qualsiasi caso, non prevedono l'utilizzo di trattamenti diversi, “se non qualcuno per la mosca in casi estremi, altrimenti è sufficiente il rame”.

Perché quella del biologico non è una scelta dettata dall'esigenza di mostrare la certificazione sull'etichetta, ma una filosofia di vita, “un approccio che ho da sempre, nato dall'amore per la mia terra, che voglio mantenere integra. Vivo di territorio a 360 gradi, tutto l'anno, non posso rovinarlo proprio io”. Non è stata una scelta facile per Marco, soprattutto all'inizio, quando si è dovuto scontrare con il padre, “un uomo autorevole e autoritario. Usava molti prodotti chimici, trasportava le olive nei sacchi, raccoglieva tardi: commetteva una serie di errori che intaccavano la qualità dell'olio”. Ci è voluto tempo perché il figlio riuscisse a convincerlo a cambiare rotta, a investire nei macchinari e ad accettare la perdita di resa, “trovarsi con 8,9 quintali di olio anziché 15 come era abituato, per lui è stato uno shock”. Ma come sempre, la qualità premia, anche a distanza di anni.

Il frantoio

Col tempo, infatti, è migliorato anche il frantoio, che cambierà nuovamente pelle a breve con l'apporto di nuove tecnologie avanzate, “che stiamo impiantando proprio ora”, come lo scambiatore di temperature. Niente conto terzi, “moliamo solo le nostre olive”, e nessuna regola fissa, “è impossibile definire un parametro per la frangitura o la gramolazione”. Oltre alla cultivar, il grado di maturazione e l'annata, conta molto il livello di idratazione, “che per ogni partita è diverso e va monitorato attentamente in gramola, perché a seconda della quantità d'acqua che la pasta di olive rilascia in questa fase, andranno modificati tempi e temperature”.

La vendita e la comunicazione

Nuove tecnologie, miglioramenti in campo e in frantoio, maggiore attenzione sulla materia prima: la scena olivicola nazionale sta crescendo, e di pari passo aumentano anche le vendite. “Siamo presenti in diverse oleoteche e negozi specializzati, in qualche ristorante, e vendiamo anche all'estero, nella grande distribuzione e nei locali”. L'interesse del consumatore è maggiore rispetto al passato, e Marco ce lo può confermare, “inizialmente è stato difficile, ma col tempo siamo riusciti a far percepire la differenza tra un extravergine di qualità e uno scadente”. La strada è ancora lunga, “dovrebbe esserci un progetto olivicolo nazionale ben strutturato, curato dalle associazioni di categoria, le istituzioni e i produttori, differenziato per ogni regione”.

La formazione

Ma comunicare in maniera efficace un prodotto non è sufficiente: occorre formare consumatori consapevoli. “Abbiamo una nostra scuola dell'olio, dove invitiamo i clienti e li aiutiamo a capire meglio l'extravergine, attraverso assaggi e degustazioni mirate, in purezza ma anche in abbinamento ai cibi e all'interno dei piatti”. Soprattutto clienti stranieri, “da sempre più interessati degli italiani, che spesso si sentono eccessivamente sicuri delle loro specialità, tanto da ignorarne storia e metodo di lavorazione”. E poi visite guidate in azienda, legate anche al paesaggio, “la nostra è un'olivicoltura difficile, collinare e con climi rigidi, ma senza questa terra non andremmo da nessuna parte; va valorizzata sempre al massimo”. L'obiettivo futuro? “Rinnovare completamente la struttura, ampliarci, avere uno spazio maggiore per ridurre i costi e lavorare in serenità”. E poi estendere anche le tenute, con nuovi ulivi, per impreziosire ancora di più il paesaggio da cui tutto prende vita.

Viola | Foligno (PG) | via Borgo San Giovanni, 11/b | tel. 0742 67515 | www.viola.it/it

a cura di Michela Becchi

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Guida Oli d'Italia 2017. Ecco tutti i premi speciali

Oli d'Italia 2017. Azienda dell'anno: Agrestis di Buccheri

Oli d'Italia 2017. Frantoio dell'anno: Nicolangelo Marsicani di Morigerati

Oli d'Italia 2017. Miglior monocultivar: Doria di Cassano Allo Ionio

Oli d'Italia 2017. Olivicoltore dell'anno: Frantoio Franci di Castel del Piano

Oli d'Italia 2017. Miglior Dop: Trappeto di Caprafico di Casoli

Oli d'Italia 2017. Miglior olio biologico: Marfuga di Campello sul Clitunno

Oli d'Italia 2017. Miglior monocultivar: Sebastiana Fisicaro Oleificio Galioto di Ferla

Oli d'Italia 2017. Miglior blend: Fattoria Ambrosio di Salento

Oli d'Italia 2017. Miglior performance territoriale: Accademia Olearia di Alghero 

Olio extravergine di oliva. Glossario essenziale per conoscere l'oro verde

 

Michelin acquista il 40% di Wine Advocate, la guida dei vini firmata Robert Parker

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Dopo la partnership siglata nell'estate 2016 per l'organizzazione di eventi enogastronomici esclusivi a Singapore, Hong Kong e Macau, i due gruppi editoriali uniscono le forze, nel segno di valori e metodi di lavoro condivisi. Quali gli obiettivi nel mirino del gruppo francese?  

Movimenti importanti nel mondo dell'editoria gastronomica, che stavolta coinvolgono niente di meno che il brand di prestigio del gruppo Michelin. La Rossa ideata nel 1901, dopo oltre un secolo di onorata carriera, detiene indubitabilmente la leadership del mercato di settore internazionale, influenzando (e non poco) sorti e incassi dell'alta ristorazione mondiale. Ora però, e la conferma arriva tramite comunicato ufficiale, l'editore si muove all'attacco di un'altra firma di riferimento del comparto. Per comprendere l'importanza di Wine Advocate è sufficiente spostare l'asse di interesse sul settore vinicolo: la società che fa capo a Robert Parker (nel pacchetto anche il sito web robertparker.com) è considerata infatti una delle bibbie internazionali della critica enologica. Oggi Michelin annuncia di aver rilevato il 40% della società (già acquistata anni fa per la quota maggioritaria da investitori asiatici), per dar seguito a un'affinità fondata sul rigore del giudizio, comune agli ispettori della Rossa e al critico americano – a sostenerlo è Alexandre Taisne, Ceo Food and Travel Business de Michelin – cui si riconosce una specchiata imparzialità (per i vini “recensiti” il punteggio va dai 50 ai 100/100, dove il massimo del punteggio equivale alle Tre Stelle).

 

Wine Advocate. Dagli inizi all'accordo con Michelin

La carriera di Parker è cominciata nel lontano 1978, oggi il gruppo conta uffici a Singapore, Napa Valley, Monkton (Maryland), e il sito che ne divulga l'incessante attività di degustazione contiene circa 300mila schede; ogni anno, dal 1992, la guida The Wine Advocate raccoglie gli assaggi degli ultimi mesi, orientando il mercato vinicolo. Ma la società di Parker si preoccupa anche di organizzare eventi a tema per enoappassionati in tutto il mondo. E proprio così, nel 2016, è nata la partnership con Michelin in occasione di un calendario di appuntamenti enogastronomici che ha messo insieme le competenze reciproche per gli ospiti di Singapore, Hong Kong e Macao, invitati a prendere parte alle cene degli stellati Michelin, con abbinamento delle etichette consigliate da Robert Parker. Valori e metodi simili, dunque, ma anche una prova di collaborazione che ha prodotto i risultati sperati, come conferma ora Lisa Perrotti-Brown, caporedattore di Robert Parker Wine's Advocate: “ I nostri valori e i nostri metodi di lavoro sono simili. È subito apparso che l’avvicinamento delle due società sarà un mezzo incredibile per offrire ancora altro agli appassionati di gastronomia e di vino di tutto il mondo”. E Parker in persona fa eco al suo caporedattore, spostando l'accento sul valore di un'operazione che vedrà dialogare i due comparti, superando le barriere che a lungo hanno visto viaggiare su binari separati critica gastronomica ed enologica. All'insegna di valutazioni indipendenti, imparziali, intelligenti”.

 

Si comincia dunque dal mercato asiatico, e in Nord America, per poi puntare alla roccaforte Michelin, l'Europa, entro il 2019, con l'idea di consentire “ai nostri clienti che visitano grandi ristoranti e amano i grandi vini di poter godere di esperienze uniche”. Come? Banalmente, “sviluppando servizi ancora migliori” chiosa il comunicato. Sconosciuti i costi dell'operazione. Quali saranno le prime mosse? Davvero Michelin si contenterà a lungo di stare in minoranza se gli affari inizieranno ad andar bene per davvero? E quanto è importante questa operazione nel quadro della strutturazione operativa di Michelin che, dopo anni da guida tradizionale, si è mossa negli ultimi mesi per trasformarsi in una media company con uno sguardo attento sul digitale (sito, app) e sull’e-commerce (Michelin Days)? Senz’altro la convergenza tra vino e cibo e tra i due approcci alla valutazione e alla critica non è una novità: Gambero Rosso, tanto per fare un esempio a caso, opera sui due ambiti da decenni.

Gianfranco Pascucci e la cucina di pesce. Su Gambero Rosso Channel con Com'è profondo il mare

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Su Gambero Rosso Channel il nuovo programma “condotto” da Gianfranco Pascucci. Con lo chef del Porticciolo di Fiumicino alla scoperta dei prodotti del mare, ogni puntata dedicata a una diversa fascia di profondità. E tante ricette da replicare, nel rispetto di una straordinaria materia prima. 

Gianfranco Pascucci e il mare

Se quando qualcuno fa riferimento alla “periferia iodata” il pensiero corre immediatamente alle spiagge del litorale laziale, in vista del piccolo porto turistico di Fiumicino, il merito è soprattutto di Gianfranco Pascucci, che la definizione l'ha coniata per raccontare molto di sé, della sua vita, del suo lavoro. Lui, tra le barche di quel porticciolo a mezz'ora di macchina dalla Capitale, ci passa ogni giorno, da quando all'inizio degli anni Duemila guida la cucina di una delle più appaganti tavole di mare dell'alta ristorazione italiana, Il Porticciolo, per l'appunto. Un'insegna intuitiva nella sua semplicità per uno chef che non ama il clamore, e preferisce trascorrere le giornate tra il windsurf e il suo ristorante, la sala luminosa e candida con accensioni turchesi che accoglie gli ospiti in cerca di straordinarie materie prime – una vera ossessione per il Pascucci che ama il mare e vuole rispettarlo, ancor prima che per il cuoco – grande sapienza tecnica, e verità. A Fiumicino, tra tante insegne delle vecchia guardia (e tavole “emergenti” che disegnano da qualche anno un panorama molto dinamico), Gianfranco ha saputo costruire una nuova identità gastronomica cucita addosso alle caratteristiche della pesca locale, alla valorizzazione di un territorio che offre tante ricette della tradizione, certo, ma non impedisce di azzardare, per ricostruire nel piatto percezioni visive, olfattive, tattili. Gustative. Mai banali. E i clienti premiano gli sforzi, il lavoro di sala, la generosità dello chef patron, impegnato in prima linea per raccontare l'idea di un territorio che sa fare tesoro delle sue caratteristiche di marginalità.

Gianfranco Pascucci nella sua cucina

Com'è profondo il mare su Gambero Rosso Channel

È questa la spinta che un anno fa valeva al Porticciolo la conquista delle Tre Forchette sulla guida del Gambero Rosso, puntualmente riconfermate qualche giorno fa, con l'edizione Roma 2018. E allora perché non accendere i riflettori su questo spaccato di vita di mare, guidati dalla passione dello chef alla scoperta dei segreti del litorale e di una cucina di pesce moderna, ma facilmente replicabile? Come è profondo il mare, per “rubare” le parole al titolo di una bellissima canzone di Lucio Dalla, è il nuovo format approdato sulle frequenze di Gambero Rosso Channel (canale 412 di Sky), in onda ogni lunedì alle 21.30, dal 26 giugno scorso. E proprio la profondità è stato il discrimine per suddividere la grande famiglia del pescato (e della cucina di mare) in fasce diverse, “dalla prima passeggiata sulla spiaggia alla curiosità di immergersi fino a 100-200 metri di profondità”, per poi concentrarsi, nuovamente vicino alla riva, sulle zone salmastre. Ogni puntata, quindi, passa in rassegna i prodotti di una fascia specifica, per concludersi in cucina tra uno spaghettino con lo scorfano e una spigola in foglia di limone. Ad accompagnare la narrazione c'è sempre Gianfranco Pascucci, che sale in barca con i pescatori e fa la spesa in pescheria, dispensa consigli e suggerimenti per l'acquisto, cucina con la naturalezza di chi del mestiere ha scelto di fare la sua vita.

Gianfranco Pascucci in spiaggia, con un piatto di mare

In barca e in pescheria con lo chef

Come quando, sulla spiaggia, spadella gli spaghetti con le telline, solo olio extravergine, acqua, e niente sale, per mantecare alla perfezione la pasta... “Evviva il mare”, è la considerazione che Gianfranco non può trattenere. E la sua ricchezza, che è bene saper riconoscere in pescheria. Tra i 15 e i 50 metri di profondità, per esempio, il mare offrirà pesce da spina, di tante specie diverse: la gallinella, lo scorfano, l'orata; e la pesca da posta garantisce di trovare il pesce in negozio già la mattina seguente. La grande freschezza, se la catena ha funzionato a regola d'arte, è una qualità importante di questi prodotti. Una puntata dopo l'altra, Come è profondo il mare offre l'opportunità di scoprirla da vicino, la grande biodiversità marina; conoscere le specie ittiche che popolano i fondali, le tecniche di pesca – dai pattini ai pescherecci – scoprire nuove ricette, che privilegiano il rispetto della materia prima e l'utilizzo di tanti prodotti diversi de litorale tirrenico, dal pesce povero al tonno, dai crostacei ai molluschi.

Non perdetelo, l'estate è il momento migliore per cimentarsi con una ricetta di pesce a regola d'arte!

 

Come è profondo il mare | Gambero Rosso Channel, canale 412 di Sky | ogni lunedì, alle 21.30

 

a cura di Livia Montagnoli

Mangiare lungo la via Francigena, la quarta tappa: da Pavia a Fidenza

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La quarta tappa della rubrica Mangiare sulla via Francigena porta i camminatori dal basso pavese verso l’Emilia Romagna, in una terra dominata dal Po. Come sempre, vi diamo i migliori indirizzi per fare una sosta golosa e rinfrancante lungo il cammino.

Siamo al quarto tratto del cammino lungo la Via Francigena, percorso che permetterà ai camminatori di scoprire il territorio della pianura padana agricola, con l’appennino ligure e quello tosco-emiliano a fare da scenografia. Un itinerario abbastanza vario, con tratti pianeggianti, parti più impegnative e un attraversamento in battello sul Transitum Padi, predisposto appositamente per i pellegrini. All’interno le tratte Pavia - Santa Cristina (28 km), Santa Cristina - Orio Litta (16 km), Orio Litta - Piacenza (22 km), Piacenza - Fiorenzuola (31,6 km) e Fiorenzuola - Fidenza (22,3 km).

 

Da Pavia a Orio Litta

Conclusa la terza tappa, si riparte alla volta del basso pavese, attraversando i terrazzi fluviali caratteristici di San Lazzaro, Belgioioso e di Santa Cristina e Bissone. Il percorso si snoda costeggiando i rilievi ricchi di vigneti della collina di San Colombano fino a superare Miradolo Terme: da qui si iniziano a scorgere le imponenti linee del Castello di Chignolo Po, primo monumento interessante di questo itinerario. Costruito intorno al 1200, nel 1700 diventa una residenza di importanti personalità: qui soggiornarono Papa Clemente XI, Napoleone Bonaparte e Francesco I d'Austria. La parte più antica è la sua torre, che fungeva da fondamentale presidio sul Po e sulle vie di collegamento tra l’Italia e i paesi europei.

Proseguendo verso est si attraversa il Lambro e si entra nella provincia di Lodi, dove il cammino della via Francigena segue prima un tratto del fiume e poi gli argini delle risaie, fino a giungere a Orio Litta da cui si gode una suggestiva vista della campagna lodigiana, soprattutto nelle prime ore del mattino, quando regala ai viaggiatori mille sfumature di verde che si riflettono sugli specchi d’acqua delle risaie.

 

Castello di Chignolo Po, Pavia, tappa del percorso sulla via Francigena - foto di Luca GiarelliCastello di Chignolo Po - foto di Luca Giarelli

Orio Litta è un comune di circa 2 mila abitanti che ospita una maestosa villa in stile tardo – barocco: Villa Litta Carini, da poco restaurata e aperta al pubblico. Anche in questo caso è la torre l’elemento più antico, struttura che comprende due stanze per il riposo dei pellegrini: da qui, ogni viaggiatore può godere di una magnifica visuale sull’argine del Lambro.

 

Da Orio Litta a Piacenza

Lasciata Orio Litta un breve tratto porterà i pellegrini verso il Transitum Padi, il guado di Sigerico, dove è predisposto uno speciale traghetto - da prenotare con un giorno di anticipo - proprio per i camminatori impegnati sulla via Francigena. Il guado è intitolato all’arcivescovo di Canterbury, Sigerico appunto, che nel 990 d. C. compì un pellegrinaggio di 1.600 chilometri verso Roma per andare in visita da papa Giovanni XV: al suo ritorno, stilò un diario delle 79 tappe del suo cammino: il primo vero racconto di viaggio della via Francigena. 

 

Guado di Sigerico - battello per oltrepassare il Po, percorso della via FrancigenaGuado di Sigerico - battello per oltrepassare il Po, percorso della via Francigena

 

Preso il battello si approda sulla sponda opposta, nella località Soprarivo, che si trova già in terra emiliana: da qui in poco tempo si raggiunge Ponte Trebbia, collegato da una corsia ciclopedonale a Piacenza. 

Soprannominata “la primogenita”, perché prima firmataria dell’annessione al Regno di Sardegna nel 1849, Piacenza è una città ricca di arte e storia. Il suo centro storico, racchiuso nelle mura rinascimentali, è visitabile in una giornata: si può partire dal Duomo, la Cattedrale di Santa Maria Assunta e Santa Giustina (1122-1233), uno dei più importanti monumenti del romanico padano, con la facciata arricchita dal rosone e l’imponente campanile in cotto, sulla cui cima svetta un angelo segnavento in rame dorato.

Un altro edificio da non perdere è la Basilica di Sant’Antonio (350-375), che conserva le reliquie del patrono della città e mette in mostra la grande torre ottagonale e il curatissimo chiostro. Per chi ama lo stile gotico, due le opere da visitare: la chiesa di San Francesco (1278-1373), con il suo portale rinascimentale in marmo, e il Palazzo Comunale, in piazza Cavalli, una struttura singolare chiamata appunto “Il gotico”, costruita per metà in marmo rosa di Verona e per metà in cotto rosso decorato a motivi geometrici.

 

Piacenza, piazza Cavalli - foto di Meteo Emilia RomagnaPiacenza, piazza Cavalli - foto di Meteo Emilia Romagna

Sono davvero tante le attrattive di questa città - palazzi, chiese antiche, teatri - ma per chi volesse fare un itinerario particolare c’è la “passeggiata nel verde”, il facsal, un percorso naturalistico nel cuore del centro urbano, che costeggia le mura cittadine.

 

Da Piacenza a Fidenza

Dopo Piacenza si segue per un breve tratto la via Emilia, per poi attraversare le campagne piacentine: questa è la tappa più lunga e faticosa, a causa della corrispondenza della via Francigena con le strade asfaltate. Superato Chero si può continuare verso il guado sul torrente Chiavenna, oppure seguire il tracciato della via ciclabile, più rilassante e meno impegnativo, fino a Fiorenzuola d’Arda, uno dei centri più importanti per gli antichi pellegrinaggi verso Roma. Non sottovalutatela: anche qui ci sono diverse opere architettoniche di pregio, come la Collegiata di S. Fiorenzo, il Convento di S. Giovanni e la Chiesa della Beata Vergine di Caravaggio.

Proseguendo il cammino verso sud est si arriva ad Alseno, piccolo comune che ospita l'Abbazia Cistercense di Chiaravalle della Colomba, fondata da San Bernardo di Chiaravalle intorno al 1135: era usanza dei monaci cistercensi insediarsi in zone povere e disagiate, bonificandole e creando delle coltivazioni non solo per il monastero ma anche per la popolazione civile.

 

I bassorilievi del Duomo di FidenzaI bassorilievi del Duomo di Fidenza

 

Pochi chilometri separano Alseno da Fidenza, città dalle dimensioni contenute che racchiude diversi monumenti importanti, a partire dal suo Palazzo comunale, un edificio molto caratteristico in stile gotico, che si affaccia sulla piazza in cui al centro troneggia l’obelisco dedicato a Garibaldi. Non mancate la visita al Duomo, la Cattedrale di San Donnino, vero gioiello dell'architettura romanico-padana, costruito tra la fine dell’XI e l'inizio del XII secolo: osservate bene i bassorilievi della sua facciata dove, oltre alla narrazione per immagini di parti dell’Antico e Nuovo Testamento e del martirio di San Donnino, vengono raccontate anche le vicende di alcuni pellegrini lungo via Francigena.

Ma molto suggestivo è anche il Santuario della Gran Madre di Dio (1710-1722) in stile barocco e con il campanile in laterizio che domina la città, un complesso che comprende anche la Chiesa di San Michele.

 

CONSIGLI DALLA GUIDA RISTORANTI D’ITALIA 2017

San Giovanni (Piacenza)

Un locale luminoso e accogliente nel cuore di Piacenza. La cucina è sostanziosa, ispirata alla tradizione emiliana e basata su materie prime di qualità. Interessanti le selezioni di salumi e formaggi locali, ma anche i primi piatti, punto forte della cucina. Dolci classici ma golosi. In cantina vini del territorio, oltre a qualche etichetta nazionale e internazionale. Due Gamberi nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

 

Osteria di Fornio (Fidenza)

Un’osteria storica attiva fin dagli anni ‘20 del ‘900. Qui ci si può accomodare nelle intime salette, nel dehors ma anche nella cantina dove cenare tra salumi appesi e grandi bottiglie, sia italiane che francesi. Il menu è una vetrina delle eccellenze emiliane, con un occhio di riguardo per i prodotti che vengono dalla provincia di Parma; i sapori sono puliti e linee nette ed eleganti. Ampia la sezione dolci della casa. Menu degustazione con un ottimo rapporto qualità prezzo. Due Gamberi nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

 

Osteria Santo Stefano (Piacenza)

Una cucina molto legata al territorio piacentino per questo locale rustico ma curato in ogni dettaglio. In menu prevalentemente piatti tradizionali reinterpretati e realizzati con i prodotti della filiera corta, personalmente scelti dagli chef. Da non perdere la giardiniera, ma anche la selezione di salumi e formaggi Dop. Dalla cantina soprattutto vini biologici e biodinamici. Due Gamberi nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

 

Trattoria dai Sibani (Fidenza)

Indirizzo dall’atmosfera calda e accogliente, capace di far sentire a casa anche il commensale più restio. Questo è il regno della pasta fresca, realizzata in molte varianti e con ripieni sia classici che creativi, ma antipasti e taglieri non sono da meno. Interessanti anche i secondi, legati alla gastronomia parmense, ma con qualche exploit fantasioso. Dalla cantina soprattutto Lambrusco. Due Gamberi nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

 

CONSIGLI DALLA GUIDA PIZZERIE D’ITALIA 2017

Tosello (Piacenza)

Una pizzeria con uno stretto legame con la città: aperta nell’immediato dopoguerra, ancora oggi si trova nella location originale, il pian terreno di un convento del 1400. Attualmente è la famiglia Beltrami a gestire il locale: la loro pizza all’italiana è bassa e fragrante, altamente digeribile e realizzata con farine biologiche e topping di prima qualità. Interessanti anche i piatti del menu, tutti incentrati sui sapori piacentini Da bere birre artigianali.

 

CONSIGLI DALLA GUIDA PASTICCERI&PASTICCERIE

Barbieri (Pavia)

Un indirizzo sicuro in centro città, che non cede alle mode del momento e riesce a tenere sempre alta l’asticella della qualità. L’offerta è contenuta ma interessante, con brioches, croissant, bignè e tartellette di frolla in prima linea. Ma la vera specialità del locale è il Lattemiele, un bignè farcito con crema chantilly e ricoperto di granella di zucchero. Anche la classica ticinese va a ruba, così come le torte più moderne. Una Torta nell’edizione 2017 della guida Pasticceri&Pasticcerie.

 

Falicetto (Piacenza)

La “scuola piemontese” seguita da Aldo Gaglia è presente in ogni preparazione di Falicetto, pasticceria di sicuro approdo per cittadini e turisti. I clienti arrivano da lontano, per commissionare dessert ad hoc o assaggiare le creazioni uniche del pasticcere. Biscotti, torte, frolle alla frutta o alla crema, ma anche una vasta scelta di praline e tavolette di cioccolata. E poi ancora le ricette della tradizione rivisitate e arricchite, realizzate con ingredienti di qualità elevata. Due Torte nell’edizione 2017 della guida Pasticceri&Pasticcerie.

 

Vigoni (Pavia)

La pasticceria più antica di Pavia, un locale storico arredato in stile Liberty elegante e curato. A Enzo Vigoni, fondatore della pasticceria, si deve la creazione della torta Paradiso, un classico della tradizione dolciaria italiana. Ma qui si possono assaggiare anche ottimi biscotti artigianali come krumiri e ovis mollis, cannoncini di sfoglia, croissant e brioches, il tutto accompagnato da caffè e cappuccini preparati nell’angolo bar. Una Torta nell’edizione 2017 della guida Pasticceri&Pasticcerie.

 

CONSIGLI DALLA GUIDA BAR D’ITALIA 2017

Caffè fratelli Repetti (Piacenza)

Locale frequentatissimo dalla prima colazione fino all’aperitivo. Buoni i caffè, aromatici e persistenti, ma anche i cappuccini, realizzati con maestria, da accompagnare a cornetti, brioches e fette di torta. Si può anche pranzare, con panini imbottiti di prodotti Dop e insalatone creative. Interessante anche l’aperitivo, con un’ampia selezione di cocktail e di sfizi salati. Due Tazzine e un Chicco nell’edizione 2017 della guida Bar d’Italia.

 

Mirabilia (Piacenza)

Lo chiamano, a ragione, il “regno dei tramezzini”, dato che se ne contano oltre 50 tipologie. Indiscussa la qualità delle creazioni ad hoc, dal soffice pane in diverse versioni, agli ingredienti per le farce, tutti freschissimi e di qualità elevata. Ma qui si fanno anche ottimi caffè e cappuccini o, in alternativa, tè e cioccolate calde, da abbinare a torte e croissant provenienti dalle migliori pasticcerie della città. Servizio cortese e attento alle richieste dei clienti. Due Torte e Due Chicchi nell’edizione 2017 della guida Bar d’Italia.

 

Pasticceria confetteria Galetti (Piacenza)

Storica pasticceria di Piacenza, fondata nel 1881. Situata nel cuore della città, è molto frequentata per le colazioni e le merende di metà mattina, a base di caffè ben estratti e cappuccini vellutati, accompagnati da brioches e cornetti farciti in vario modo. Ampio il ventaglio delle torte, quasi tutte di stampo classico, golose e invitanti. Pausa pranzo con piatti della tradizione e insalate sfiziose, ma anche un buon aperitivo con vini locali, cocktail e taglieri di salumi e formaggi. Un Chicco e Una Torta nell’edizione 2017 della guida Bar d’Italia.

 

indirizzi

Barbieri | Pavia | corso Str. Nuova, 3 | tel. 0382 300135 

Caffè fratelli Repetti | Piacenza | via XX Settembre, 110 |  tel. 0523 331488 | www.facebook.com/pages/Bar-Pasticceria-Repetti/157750710916321

Falicetto | Piacenza | via IV Novembre, 170/172 | tel. 0523 452422 | www.falicetto.it

Mirabilia | Piacenza | viale Dante Alighieri, 21 | tel. 0523 452241 | www.tramezzinimirabilia.it

Osteria di Fornio | Fidenza (PR) | località Fornio, 78 | tel. 0524 60118 | www.osteriafornio.it

Osteria Santo Stefano | Piacenza | via Santo Stefano, 22 | tel. 0523 327802 | www.osteriasantostefano.it

Pasticceria confetteria Galetti | Piacenza | corso Vittorio Emanuele II, 62 | tel. 0523 324758 | www.facebook.com/pages/Galetti/156859187680067

San Giovanni | Piacenza | corso G.Garibaldi, 49 | tel. 0523 321029 | www.trattoriasangiovanni.net/sito/?page_id=24

Tosello | Piacenza | via Francesco Daveri, 10 | tel. 0523 324824 | www.tosellopiacenza.com

Trattoria dai Sibani | Fidenza (PR) | frazione Ferranda Chiusa, 4 | tel. 0524 522492 | www.facebook.com/TrattoriaDaiSibani

Vigoni | Pavia | corso Strada Nuova, 110 | tel. 0382/22103 | www.tortavigoni.com

 

 

a cura di Francesca Fiore

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Pescaria apre Tomarito. Il successo della panineria di mare di Polignano, tra nuovi format e sogni di gloria

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Tomarito ha aperto da qualche giorno nel vecchio spazio di via Roma, personalizzando l'idea di bar a pescado: tacos, ceviche e tequila. Ma la macchina da guerra è Pescaria, la “panineria” osannata sui social, che punta a crescere. Migliorando il servizio, ottimizzando gli sforzi e conquistando nuove città. 

Da Pescaria a Tomarito

Taco di mais, polpo al vapore, tartufo, creme fraiche, insalata di fagioli, cipolla, pomodoro. E un bicchiere di Margarita Twist. Il divertissement estivo firmato Pescaria si chiama Tomarito. Un'insegna che non si prende troppo sul serio, evoca atmosfere tropicali ma cerca di tenersi lontana dai clichè. Anche perché, sebbene la fonte d'ispirazione dichiarata sia quella del tiki bar importato dalle spiagge caraibiche (e fin troppo abusata in contesti che non le competono), a Polignano il segreto del successo che ha letteralmente sommerso gli ideatori della più celebre paninoteca di mare d'Italia sembra risiedere proprio nell'identità estremamente personale che Domingo Iudice, Lucio Mele e Bartolo L'Abbate hanno cucito addosso alla propria creatura. A due anni dall'apertura - con la prima piccola sede di via Roma e poi il trasloco in piazza Aldo Moro l'estate scorsa, e il raddoppio in trasferta a Milano all'inizio di settembre 2016 – Pescaria è un caso di studio che appassiona chiunque voglia scavare un minimo nei meccanismi del marketing. Un esempio di imprenditoria applicato alla ristorazione veloce che si ammanta del bollino made in Italy e dalla celeberrima località turistica pugliese è riuscito a intercettare l'interesse del web, nell'epoca in cui essere fotogenici e stimolare il tam tam della rete (per dirla brutalmente andare forte sui social) regala raccolti copiosi. A patto, però, che non sia tutto un bluff.

Il panino di Pescaria con catalana di astice

Un format di successo. Perché?

E infatti Pescaria, che vi raccontavamo già un anno fa intuendone la potenzialità di crescita esponenziali, è soprattutto prodotto freschissimo e certificato, filiera controllata e logistica in costante miglioramento per foraggiare la scalabilità del format, creatività gastronomica applicata a una proposta apparentemente semplice – panini, crudi, freselle, panzerotti e sfizi di pesce – con la supervisione di uno chef che tra le materie prime del territorio e accostamenti sempre più arditi sembra divertirsi parecchio (la mascotte della casa resta ancora il panino con tartare di tonno, burrata, pomodorini e pesto di basilico, “ma la new entry con gambero, melanzana fritta, bacon delle Santorine e patate rischia di scalzarlo!” racconta Domingo).

Ma Pescaria, da quando tutti vogliono provarla (a oggi i follower della pagina Fb hanno superato quota 125mila, per il locale di Milano sono quasi 75mila), è anche qualche difficoltà di gestione che nei mesi scorsi ha creato non pochi problemi in via Bonnet, a Milano, e impone una riflessione necessaria prima di continuare a crescere: “A Milano lo startup è stato traumatico, nel primo mese abbiamo venduto 14mila panini, dopo tre mesi avevamo fatturato 300mila euro. Non ce l'aspettavamo, il locale è risultato subito troppo piccolo. E sono cominciate le lamentele”. Insomma, il progetto iniziale che guardava a una rapida diffusione del brand tramite piccoli corner strategici in città d'Italia e d'Europa si è rivelato insostenibile: “Così com'è diventato oggi, Pescaria non si presta a spazi inferiori ai 250-300 metri quadri”. Torneremo a parlarne tra poco.

I drink a base di tequila e frutta di Tomarito

Tomarito, bar a pescado. Pesce e tequila

Perché prima riaccendiamo i riflettori sul nuovo arrivato, Tomarito, che nasce proprio “dal desiderio di riappropriarci dello spirito goliardico dell'inizio, senza nessuna ambizione dichiarata di replicare altrove (ma questo è presto per dirlo, ndr), piuttosto con la voglia di dimostrare che il prodotto pesce si può reinventare ancora”. La stoccata di Domingo alle brutte copie di Pescaria non è poi così velata: “C'è tutto un filone di ristorazione casual e veloce che ha preso spunto da noi, fin quasi al plagio. Abbiamo persino creato una pagina dove chi ci conosce può segnalare le imitazioni più o meno riuscite!”. E allora si rilancia con Tomarito, che da un lato torna alle origini – gli spazi sono quelli di via Roma, vestiti da bar a pescado: dominante verde e gialla, locandine ispirate a Frida Kahlo, Super Nacho, slogan d'ordinanza – e dall'altro inventa un nuovo modo di proporre il pesce, prevalentemente crudo, in modo veloce e informale. Tre le proposte, da consumare in piedi o sugli sgabelli del locale, senza troppi fronzoli, tutte in versione tapas: i tacos, il ceviche servito in bicchierini, le chips aromatizzate. Stesso prezzo per tutte: 2.50 euro al pezzo, per un taco con gamberone al vapore, salsa cesar, guacamole e germogli di rucola, come per un ceviche di orata con mango, finocchio, olive, arancia e aneto; o una porzione di patate con maionese di caviale, bottarga di muggine e prezzemolo fresco. Cinque proposte per tipo in carta, più lavagna di proposte del giorno, “e una linea di crudi in abbinamento a tequila e mezcal, di pezzatura più pregiata rispetto a quello che serviamo da Pescaria, da una violetta di seconda allo scampone bagnato nella tequila”.

I cocktail di Vito Spagnolo

I cocktail, infatti, sono l'altra faccia della medaglia di Tomarito: “Per trovare l'idea abbiamo lanciato un concorso online, il suggerimento più gettonato ci ho portato sul connubio tacos e margarita”. E allora mentre la cucina di Lucio Mele si contaminava con spezie, aromi e frutta tropicale, per la miscelazione si è scelto di coinvolgere Vito Spagnolo, barman Aibes ed esperto sensorialista di caffè, che per Tomarito ha ideato due proposte a base tequila: on the rocks con estratti di frutta fresca e flash blend, drink frullati al momento con pezzi di verdura e frutta fresca, dolcificati con sciroppo d'agave. “Una proposta alcolica non troppo impegnativa, per l'aperitivo o il dopocena, con prezzo per drink fisso a 5 euro”. Dalle 17 all'1.

Uno dei panini del giorno di Pescaria, con ombrina, cipolle e zucchine

Pescaria. Migliorare per crescere

Intanto però si lavora sull'evoluzione di Pescaria, che a Polignano ha trovato la sua stabilità: “Abbiamo corretto il tiro, offrendo la possibilità di prenotare un certo numero di posti, in base alla stagione. E introdotto il servizio It's ready: l'ordine avviene online, e si arriva in negozio per ritirare. Questo è quello che faremo presto anche a Milano, per coinvolgere anche un pubblico più adulto, in cerca di una pausa più rilassata. E gestire i flussi con meno stress”. Da poco, in via Bonnet, è attivo anche il servizio a domicilio (grazie alla partnership con Glovo), ma l'assalto costante al locale indica che la strada da perseguire è una sola: aprire un nuovo punto in città. “Stiamo vagliando uno spazio, comunque sono diverse le zone che ci interessano, da Cordusio a Porta Ticinese, a Tortona e via Solario. Non è escluso si possano aprire 3 o 4 punti, per distribuire la richiesta”. Contemporaneamente si lavora sulla qualità: “Vogliamo cominciare a produrre il nostro pane fresco a Milano, stiamo testando un nuovo gestionale di magazzino per ingegnerizzarlo, e pensare al futuro”. Che presto potrebbe concretizzarsi a Firenze - “nonostante il problema delle licenze, che di fatto sta generando una bolla speculativa, la città si presta molto” - e in altre città del Nord, Rimini, Bologna, Modena. Perché non Roma? “La logistica è più semplice da Roma in su. Noi inviamo prodotto fresco ogni 48 ore e al tempo stesso abbiamo bisogno di mantenerci competitivi sul prezzo. Nella Capitale è difficile essere competitivi facendo qualità”.

Poi c'è l'estero, “ci arrivano proposte da tutto il mondo, ogni giorno, ma prima del 2018 non se ne parla. Vogliamo perseguire il modello diretto, ma non escludiamo il franchising, però non vogliamo vendere solo il brand, ma il know how. E c'è bisogno di tempo”. Intanto il marchio è già stato registrato in Russia, Canada, Stati Uniti, perché la prudenza non è mai troppa, e i ragazzi di Pescaria – che oggi conta 65 dipendenti tra Polignano e Milano – amano sognare in grande.

 

Pescaria | Polignano (BA) | piazza Aldo Moro, 6-8 | tel. 080 4247600 | www.pescaria.com

Pescaria | Milano | via Bonnet, 5 | tel. 02 6599322

Tomarito | Polignano (BA) | via Roma, 29 | tel. 080 424088 | www.tomarito.it

 

a cura di Livia Montagnoli

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