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Al ristorante nel faro. Con Valore Paese il Demanio aggiudica 15 nuovi fari al turismo sostenibile

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Ospitalità, ristorazione, attività culturali e ricreative: destinazioni d’uso compatibili con la storia e il valore paesaggistico dei fari messi al bando dall’Agenzia del Demanio un anno fa. Dopo le prime concessioni, pochi giorni fa sono arrivati i nomi dei vincitori della seconda tranche. Ecco cosa faranno. 

Turismo sostenibile tra fari e case cantoniere

Un bando via l’altro, procede l’iniziativa Valore Paese che l’Agenzia del Demanio promuove con i ministeri interessati per valorizzare un patrimonio pressoché sterminato di edifici storici, culturali e di rilievo paesaggistico di proprietà demaniale. Proprietà dislocate in tutta la Penisola e abbandonate per lungo tempo a se stesse, che, con la concessione a privati, torneranno a vivere offrendo molteplici opportunità di fare impresa. Compatibilmente però con la destinazione culturale e il pregio paesaggistico degli spazi in questione. A ottobre 2015 era arrivato il primo bando che censiva alcuni dei più suggestivi fari italiani: nove quelli assegnati l’estate scorsa a giovani imprenditori, imprese locali e investitori stranieri; tra questi ricordiamo gli esempi più legati al mondo dell’ospitalità e della ristorazione – come il Faro Capo Grosso sull’Isola di Levanzo a Favignana, Murro di Porco a Siracusa, o il celebre Punta Imperatore a Forio d’Ischia - dal momento che proprio la garanzia di un’offerta gastronomica territoriale e di qualità costituiva requisito importante per la concessione. Nel frattempo sono arrivate le case cantoniere, e - più di recente – la messa a bando di un centinaio di edifici posti lungo i sentieri pedonali di interesse storico-religioso e le ciclovie (la pubblicazione del bando Cammini e Percorsi, in realtà, ancora si attende, ma è già disponibile l’elenco delle strutture interessate). Mentre a settembre 2016, forte del successo della prima campagna, il Demanio aveva bandito 20 nuove opportunità di fare turismo sostenibile all’interno di un faro.

Valore Paese – Fari. La seconda tranche

Tra gli immobili coinvolti molti edifici di grande valore storico, come lo Stand Florio di Palermo, con il chiostro in stile moresco, e il convento seicentesco di San Domenico Maggiore Monteoliveto. E poi il Faro di Capo Zafferano e quello di Punta Spadillo, entrambi in Sicilia, o il Faro del Po di Goro, alla foce del Po. Com’è finita? Qualche giorno fa l’apertura delle buste ha rivelato i vincitori del bando: fino a 50 anni di concessione per ognuno dei 15 aggiudicatari (15 su 20 le strutture assegnate, per un valore di 8 milioni di euro che finiscono nelle casse del Demanio). Si calcola che l’intervento dei privati produrrà investimenti per 11 milioni di euro, generando pure 200 nuovi posti di lavoro: lo Stato incasserà da ognuno 420mila euro di canone annuo. Tra i concessionari torna il nome della società tedesca Floatel GMbH, specializzata proprio nella valorizzazione di fari, che già un anno fa si aggiudicava Punta Imperatore a Ischia e San Domino alle Tremiti: ora si occuperà della riqualificazione del Faro Spignon di Venezia. Il Faro del Po di Goro, invece, sarà trasformato dalla società Dieci Cento Mille Pensieri in hotel con ristorante, raggiungibile anche dalla Laguna, e alla ristorazione sarà destinato anche il Faro delle Formiche sull’isola toscana di Formica Grande. Stessa sorte per il Faro della Guardia a Ponza: 4 suite, un piccolo teatro e un ristorante per riaprire al pubblico una delle strutture più suggestive dell’isole al largo di Formia, nel Basso Lazio. E sempre ristorazione di qualità all’Elba, per il Faro di Punta Polveraia, aggiudicato ad Alfa Promoter. E ancora show cooking allo Stand Florio di Palermo, workshop di cucina e fotografia a Punta di Libeccio, sulle isole Egadi, style hotel a San Domenico Maggiore Monteoliveto, suite esclusive a Punta Spadillo, Capo Milazzo e Capo Faro (dove Top Cucine realizzerà anche una bottega del gusto con ristorante), che sorvegliano le acque siciliane.

Un bel traguardo per il fortunato progetto Valore Paese, che non si ferma qui: in autunno partirà il terzo bando, con una selezione che interesserà nuove regioni rispetto alle precedenti, con l’idea di creare una rete di valorizzazione nazionale diffusa. Avanti così.

 

I fari e le società aggiudicatarie

Faro Spignon, Isola di Spignon (Venezia), a Floatel GmhB

Convento di San Domenico Maggiore Monteoliveto, Taranto, a Dea Gest srl

Torre Castelluccia Bosco Caggioni, Pulsano (Taranto), a Consorzio Marina di Pulsano

Faro di Capo Zafferano, Santa Flavia (Palermo), a Top Cucina Eventi srl

Padiglione di Punta del Pero, Siracusa, a Circolo Velico Magister Marine

Stand Florio, Palermo, a Servizi Italia Soc. Coop

Faro del Po di Goro, Goro (Ferrara), a Dieci Cento Mille Pensieri srl

Faro delle Formiche, Isola di Formica Grande (Grosseto), a Sea Turtles Friends

Faro della Guardia, Isola di Ponza (Latina), a NewsFari srl

Faro di Punta Polveraia, Marciana Marina, Isola d'Elba (Livorno), a Alfa Promoter srl

Faro di Punta Libeccio, Isola di Marettimo, Favignana (Trapani), a Mavi di Vincenzi Nadia & C.

Faro di Punta Spadillo, Pantelleria (Trapani), a Hera Gestioni Alberghiere srl

Faro di Capo Mulini, Acireale (Catania), a D.G. & partners srl

Faro di Capo Faro, Isola di Salina (Messina), a Capo Faro srl

Faro di Capo Milazzo, Milazzo (Messina), a Giesse Costruzioni srl

 

a cura di Livia Montagnoli

 


Gambero Rosso e Bohemia Kvetna1794 insieme per l'eccellenza enogastronomica italiana

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Siglato l'accordo tra Gambero Rosso e il gruppo della Repubblica Ceca che da oltre due secoli realizza prodotti in vetro soffiato di qualità, esportando in oltre 90 Paesi del mondo. La partnership prevede l'utilizzo dei prodotti Bohemia Kvetna1794 in occasione di eventi organizzati da Gambero Rosso Italia. 

Il vetro soffiato di Bohemia Kvetna. Da più di due secoli

Da oltre due secoli, il Gruppo Crystalite Bohemia Kvetna 1794, tra le più prestigiose realtà imprenditoriali della Repubblica Ceca, lavora il vetro soffiato in due impianti industriali; uno per i prodotti in vetro soffiato a bocca con lavorazioni  interamente manuali e l’altro per produzioni in vetro soffiato a macchina, impiegando oltre 1000 risorse umane. Una realtà solida, che oggi esporta in oltre 90 Paesi del mondo, e detiene per questo la leadership del settore vetrario. Già presente in Italia tramite canali differenti, da oggi il gruppo sigla una partnership con Gambero Rosso tramite la sua divisione italiana Bohemia Kvetna1794. L’intesa, dal forte valore strategico per entrambe le aziende, ha come finalità lo sviluppo di attività di marketing rivolte al modo delle cantine produttrici, dell’enogastronomia  e al mercato dei consumatori: partnership con  la Guida Vini d’Italia 2018, partecipazione alla manifestazione Gourmet Food Festival e collaborazione con le scuole della Città del gusto di Roma per corsi ed eventi. E contempla quindi l'utilizzo dei prodotti in cristallo di Bohemia in appuntamenti selezionati ed organizzati da Gambero Rosso in Italia.

 

Un accordo strategico

Soddisfazione da entrambe le parti, con l'ad Lenka Kosikova che ribadisce la naturale propensione di Bohemia Kvetna a collaborare con il mondo della ristorazione di qualità: “Abbiamo fortemente voluto la partnership con il Gambero Rosso per portare, come naturale complemento,  i prodotti in cristallo di Bohemia nel mondo del vino e nel settore della ristorazione dell’Hospitality italiana. Tutta la storia e la tradizione con l’innovazione necessaria a garantire i più elevati standard di brillantezza, trasparenza e resistenza del nostro cristallo al Titanio, senza piombo e nocivi metalli pesanti, per apprezzare al meglio le eccellenze italiane rappresentate negli eventi organizzati dal Gambero Rosso,  attraverso tutti i canali di informazione e nei corsi di formazione della Città del Gusto di Roma.” Soddisfatto anche Paolo Cuccia, Presidente di Gambero Rosso, che ha commentato:“Siamo entusiasti per questa intesa con Bohemia Kvetna 1794, azienda leader nel mondo nel settore vetrario. Il nuovo accordo si aggiunge alle numerose collaborazioni strategiche con partner che si distinguono per professionalità, competenze e capacità di innovazione”.

Bollicine da vitigni autoctoni. I rossi di Valle d'Aosta e Piemonte

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Negli ultimi anni assistiamo a un continuo fiorire di nuove etichette di bollicine. E non solo dai classici vitigni internazionali tradizionalmente impiegati per il Metodo Classico, ma anche da autoctoni che per loro caratteristiche si prestano particolarmente alla spumantizzazione. Iniziamo con i vitigni a bacca rossa di Valle d'Aosta e Piemonte.

Lo abbiamo già detto, e ripetuto: è un momento d'oro per le bollicine. Tutti, oggi, vogliono bere vini spumanti, si tratti di grandi classici o di chicche da scoprire. Piccole o piccolissime produzioni, esperimenti o riscoperte: ce ne è davvero per tutti i gusti. Per gli appassionati del genere, c'è qualcosa assolutamente da (ri)scoprire: le bollicine prodotte a partire da uve autoctone. Noi abbiamo deciso di concentrarci su quelle realizzate con Metodo Classico. Per la prima tappa siamo approdati tra Valle d'Aosta e Piemonte, per presentarvi gli spumanti prodotti con vitigni autoctoni a bacca bianca, oggi è il turno di quelli prodotti con uve rosse autoctone.

Bottiglie spumante nebbiolo

Nebbiolo

Il vitigno simbolo delle Langhe, padre dei celebri Barolo e Barbaresco, grazie alla buona acidità di base, alla finezza del corredo aromatico, alla struttura e alla longevità, è un’uva adatta per realizzare Metodo Classico. La sua spumantizzazione ha secoli di storia alle spalle, anche se solo negli ultimi decenni è stata riscoperta da molti produttori di Langhe, Roero, Alto Piemonte e Valle d’Aosta. La vendemmia è effettuata in anticipo per limitare il potenziale alcolico è preservare l’acidità. I vini base sono ottenuti con pressature molto soffici.

Per i rosé il contatto con le bucce è limitato al minimo indispensabile, in modo da evitare l’estrazione dei tannini. Il nebbiolo non solo si presta a lunghi affinamenti, ma come il pinot noir, comincia a esprimere il suo potenziale proprio dopo 36/48 mesi sui lieviti. Le versioni più giovani spesso rischiano di non sfruttare al meglio le sue caratteristiche. La sua struttura ne fa un Metodo Classico particolarmente adatto agli abbinamenti gastronomici, da bere a tutto pasto anche con menù importanti di pesce o carni bianche.

Il Metodo Classico Brut Rosé VillaNova della Cantina dei Produttori di Carema, nasce nelle splendide vigne terrazzate al confine con la Valle d’Aosta. Dopo una breve macerazione e una pressatura soffice, il vino base si affina per 12 mesi sui lieviti, conservando fragranti note fruttate, unite a lievi sentori di crosta di pane e nuances speziate. La bocca è ricca e croccante, con piacevole freschezza.

Dalla collina Cerretta in Serralunga arriva il Metodo Classico Brut Rosé Rosanna di Ettore Germano,che si fa apprezzare per l’intensità delle note floreali, di piccoli frutti di bosco e per il sorso armonioso, fresco e fragrante. L’affinamento sui lieviti è di circa 18 mesi.

Bouquet semplice, floreale e fruttato, per uno spumante di buona struttura, dal frutto succoso e croccante: il Nebbiolo d’Alba Brut Rosé DOC Neboise di San Silvestro. Si affina per 24 mesi sui lieviti prima del dégorgement e conserva caratteristiche tipicamente varietali.

Il Metodo Classico Brut Rosè di Luigi Giordano è prodotto con uve coltivate sul versante nord-ovest di Barbaresco. Privilegia un profilo fragrante, con aroma di lampone, ribes e frutta rossa. Il sorso è di buon corpo, caratterizzato da un’equilibrata freschezza. L’affinamento sui lieviti è di 24 mesi.

Morbido e armonioso il Nebbiolo d’Alba Brut Rosé DOC di Cuvage, con profumi di piccoli frutti rossi maturi e nuances di spezie. Anche al palato conferma un’avvolgente piacevolezza fruttata, che lo rende adatto a chi ama spumanti non troppo austeri e verticali. Matura sui lieviti per 24 mesi.

È un Rosè de Saignée dal frutto ricco e profumato, con note di fragoline e frutti di bosco il Metodo Classico Brut Rosé Valsellera di Francone.Nasce da vigne giovani coltivate sulla collina Gallina di Neive e gioca piacevolmente sugli aromi freschi e fragranti, conbuon corpo e struttura, che lo rendono adatto ad abbinamenti gastronomici con piatti semplici. Affinamento sui lieviti di 24 mesi.

Il Nebbiolo d’Alba Spumante Brut Rosé DOC di Josetta Saffirio è un Metodo Classico che si apre su profumi varietali, floreali e di frutti rossi. Al palato è armonioso con un buon equilibrio tra morbidezza del frutto e freschezza. Chiude su piacevoli note sapide.

È prodotto con le uve delle vigne coltivate nel cuore delle Langhe il Metodo Classico Pas Dosé Rosé di Enzo Boglietti. I vini base maturano in legno e l’affinamento sui lieviti è di circa 30 mesi. Il bouquet è intenso con note di piccola frutta rossa. Il sorso è di buona struttura e mette in luce un corpo armonioso con aromi freschi e viva acidità.

Bottiglia interessante l’Erpacrife, nome che nasce dall’acronimo dei quattro giovani produttori. Parziale fermentazione in legno e successivo affinamento di 24/36 mesi sui lieviti. Un rosé con freschi profumi di ribes, pesca bianca e lampone. Al palato si manifesta tutta la struttura del nebbiolo, che si distende verso un bel finale sapido e persistente.

Dallo splendido territorio delle colline novaresi arriva il Metodo Classico Millesimato Hallé Rosé di Enrico Crola. Un’azienda giovane, nata nel 2006, che si è affacciata al mondo del Metodo Classico nel 2010, tra le prime in assoluto in Alto Piemonte. Profumi freschi e delicati, con note leggermente agrumate e di frutti rossi. Sorso ricco ed elegante, sostenuto da struttura e vivace freschezza, che chiude con bella persistenza. L’affinamento sui lieviti è di 24/36 mesi.

Il Metodo Classico Brut Rosè Maria Teresa di Antica Cascina dei Conti di Roero si affina almeno 36 mesi sui lieviti. È un vino dal profilo sottile, fresco e minerale, con delicate note floreali, fruttate e nuances di crosta di pane. Bella la struttura e la lunghezza espressiva. Il finale è piacevolmente sapido.

È prodotto solo in poche bottiglie formato Magnum, con affinamento di 36 mesi, il Nebbiolo d’Alba Pas Dosé DOC di Casina Bric. Le vigne sono coltivate nella zona più alta del comune di Barolo, a 460 metri sul livello del mare e il vino esprime un bouquet fine, fresco e austero, con un buon corpo, struttura profonda, attraversata da una piacevole vena acida e minerale.

Nel cuore del Roero, Cascina Chicco produce due interessanti versioni di Metodo Classico, entrambe affinate 36 mesi sui lieviti. La Cuvée Zero Extra-Brut è un Blanc de Noirs elegante, fresco e minerale, che si fa apprezzare soprattutto per la finezza del sorso, essenziale, secco e persistente. La Cuvée Zero Rosé Extra-Brut ha unraffinato profilo floreale con lievi note di crosta di pane. Anche in bocca gli aromi sono delicati e prevale una piacevole sensazione di freschezza sapida e minerale.

Il Metodo Classico Brut di Parusso ha la particolarità di essere elaborato utilizzando per il tiraggio del mosto di passito di nebbiolo. Il bouquet è intenso, fruttato e maturo con bocca ampia e armoniosa, sostenuta da una nitida vena acida. Il sorso è di buon corpo e leggermente vinoso. L’affinamento sui lieviti è di 36 mesi.

Fermenta in barriques e si affina poi per ben 60 mesi prima del dégorgement il Metodo Classico Maria Elisa Brut Rosé di Angelo Negro. È un vino di bella stoffa, che conserva gli aromi del frutto, uniti a una profondità aromatica dai sentori più maturi e leggermente speziati, sempre sostenuti da un buon nerbo acido. Da gustare a tutto pasto anche con abbinamenti importanti.

Molto interessante il Metodo Classico Faiv Brut Rosè della Tenuta Ca’ de Russ, che nasce in Roero a Castellinaldo d'Alba, da vigne coltivate in regime biodinamico. Il lungo affinamento sui lieviti di 8/9 anni regala uno spumante raffinato ed elegante, dai profumi sottili, freschi, con note floreali, di ribes e spezie. Al palato porta in primo piano le sensazioni minerali e sapide tipiche del terroir, che si distendono con bella profondità e persistenza.

Metodo Classico Nebbione

Il progetto Nebbione nasce da un’idea dell’enologo Sergio Molino e si basa sull’utilizzo delle punte dei grappoli tagliati in diradamento per realizzare basi spumante. L’alta acidità e il basso grado zuccherino delle punte sono caratteristiche perfette per dei vins clairs. Il disciplinare prevede un periodo minimo d’affinamento sui lieviti di 40 mesi. Al progetto Nebbione hanno aderito diverse aziende di Valle d’Aosta e Piemonte e i risultati sono decisamente interessanti.

Nasce a Barbaresco, nella pregiata zona di Roncaglie, il Metodo Classico Dosaggio Zero di Socré che si distingue per un profilo olfattivo piuttosto austero, buona struttura e grande freschezza.

Il Metodo Classico Extra Brut Rosé Traverse della cooperativa valdostana La Kiuva denota una spiccata personalità fin dal colore rosa aranciato. L’affinamento di 60 mesi sui lieviti, oltre alle note tipiche del nebbiolo, regala sentori di scorza d’agrumi e cenni speziati. I delicati aromi fruttati trovano equilibrio nella vivace freschezza minerale del sorso.

Il barolista Franco Conterno produce a Monforte d’Alba il Metodo Classico Extra Brut na Punta. Un interessante Blanc de Noirs creato con vini base parzialmente affinati in legno e con l’uso del mosto in fase di tiraggio. La sosta sui lieviti dura circa 50/60 mesi e regala un vino dal bouquet complesso ed evoluto con note di fiori, frutta bianca, e sentori tostati. Gli aromi sono ricchi, armoniosi, persistenti, con acidità verticale.

Con le uve coltivate nelle vigne di Serralunga d’Alba, Enrico Rivetto produce il Metodo Classico Extra Brut Kaskal, un Blanc de Noirs dal profilo ricco di sfumature, con aromi floreali e fruttati, cenni di mandorla e crosta di pane. Un vino elegante, con un sorso ricco, profondo e persistente.

Il Metodo Classico Punte dei Tre Ciabot di Cascina Ballarin è prodotto con le punte dei grappoli destinati al Barolo Tre Ciabot delle vigne di La Morra, Monforte e Novello. Il vino base matura parzialmente in legno per sei mesi e l’affinamento sui lieviti è di almeno 48 mesi. Un nebbiolo vinificato in bianco che si apre con profumi raffinati di piccoli frutti di bosco, agrumi e nuances di lieviti. In bocca svela una bella struttura, con grande freschezza e sapidità finale.

Chiudiamo con il Metodo Classico Extra-Brut Nebolé di Travaglini. Una bellissima etichetta che nasce sui suoli rocciosi e ricchi di minerali di Gattinara, in Alto Piemonte. Un terroir che regala un Blanc de Noirs di essenziale e austera finezza minerale, con delicati e freschi profumi agrumati, di frutta bianca e sentori leggermente tostati. Il sorso è strutturato e complesso, con aromi armoniosi ed evoluti, percorsi da una viva acidità. Un vino elegante e persistente da godersi a tutto pasto.

Barbera e pelaverga

Infine, segnaliamo qualche metodo classico prodotto con uve barbera, che grazie all’acidità, può fornire vivaci basi spumante. IlMetodo Classico Extra-Brut Rosé Belen Ferdinando Principiano si affina per circa 10 mesi sui lieviti e il tiraggio è effettuato con il mosto della barbera. È uno spumante dai profumi fruttati e fragranti, volutamente giovane e immediato, che conserva il brio tipico degli aromi varietali della barbera e la sua caratteristica verve acida. Sullo stesso stile anche il Metodo Classico Brut Rosé Hollborn di Giovanni Brignolio.

Diversa l’impostazione del Metodo Classico Barbera Incanto di Sant’Anna dei Bricchetti. La vinificazione è in bianco e per il tiraggio viene usato il mosto di moscato. È un Metodo Classico per sottrazione, che mette in luce soprattutto la grande freschezza della barbera. Il naso è delicato, con leggere note floreali, al palato l’acidità dona al sorso uno slancio profondo e verticale. Inatteso e sorprendente.

Chiudiamo conil Metodo Classico Pelaverga Brut Rosé S-ciopet del Castello di Verduno. Il vino riposa 20 mesi sui lieviti prima del dégorgement. Si apre al naso con eleganti aromi floreali, di piccoli frutti rossi ed eleganti note speziate. La bocca è fresca e dinamica con bell’equilibrio tra frutto e acidità.

 

a cura di Alessio Turazza

 

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Perseo&Medusa. Dal Giglio il vino più costoso d’Italia: 330mila euro per la bottiglia finita a Shanghai

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Viticoltura eroica, la chiamano, per la difficoltà di coltivare terreni impervi, come quelli a picco sul mare dell’isola del Giglio. Qui, 4 anni fa, nasceva il progetto di Pier Paolo Giglioni: produrre il vino più costoso d’Italia. Solo 600 bottiglie l’anno, da destinare a fondi di investimento. 

Perseo&Medusa. L’idea

Non sono poche le regioni vinicole d’Italia che vantano l’appellativo di viticoltura eroica. La qualità che condividono si deve alla tenacia dell’uomo che ha saputo strappare terre difficili e impervie all’abbandono, addomesticando una natura selvaggia ai limiti dell’inospitale per valorizzare le peculiarità di terroir vocati. È così che sull’isola del Giglio, al largo della costa Toscana, un pugno di viticoltori ha ricavato sui pendii scoscesi raggiunti dalla brezza del Tirreno una serie di terrazzamenti, oggi ridisegnati da filari di vite ordinati. E al mito di Perseo che lotta con Medusa – l’uomo che con tenacia si oppone all’imbattibilità della natura divina, e vince, entrando nell’Olimpo degli eroi – si è ispirato Pier Paolo Giglioni quando ha scelto di avviare la sua attività in un piccolo fazzoletto di terra a picco sul mare. Una produzione di nicchia, da vitigno autoctono Ansonica vinificato in purezza, e raccolto a mano secondo l’antica tradizione del Giglio (del resto l’utilizzo di mezzi meccanici è reso impossibile dalle caratteristiche del terreno), con la collaborazione di due produttori locali, Giovanni e Simone Rossi de La Fontuccia.

Nessun sostegno chimico in vigna, ma solo il giusto mix tra salsedine e siccità, gli opposti che si completano. Poi un passaggio in acciaio e 24 mesi di affinamento in bottiglia, per una produzione che non supera le 600 unità all’anno. E infatti il segmento di mercato cui aspira Perseo&Medusa è quello della bottiglia da investimento: ogni confezione contiene due bottiglie, una da bere, l’altra da collezione. Ma c’è di più: solo una parte è destinata alla clientela privata, mentre il canale privilegiato è quello dell’hedge fund, il mondo della finanza. Con l’idea di presentare ai potenziali investitori un prodotto made in Italy che celebra artigianalità, design e stile, proponendo il vino più costoso mai offerto sul mercato.

Il vino più costoso d’Italia

Un progetto ambizioso, dunque, che proprio nei giorni scorsi – a 4 anni dall’idea dell’imprenditore di Montepulciano, arrivata mentre Giglioni passeggiava su un sentiero che da Castello porta a Capel Rosso, come ha raccontato lui stesso – ha prodotto i primi risultati importanti. All’asta organizzata per coinvolgere 600 wine club di tutto il mondo collegati in streaming, una delle bottiglie della prima vendemmia 2014 è stata aggiudicata a un investitore di Shangai per 330mila euro (di fatto l’offerta più alta mai avanzata per un vino italiano, e tra le più alte somme mai spese per un bianco nel mondo). Ma le offerte di rilievo erano fioccate da molti compratori internazionali, da Hong Kong a Miami, a Dubai, in un appassionato gioco al rialzo, che ha finito col premiare la Cina. E intanto Giglioni tratta con Jp Morgan e Morgan Stanley, celebri gestori finanziari, per piazzare il 50% della produzione in un fondo di investimento. Mentre proprio in occasione dell’asta, la bottiglia numero 1 è stata donata al Comune dell’Isola del Giglio, cui andrà anche il 10% del fatturato, tramite una fondazione nata per tutelare le tradizioni e le produzioni dell’isola. Sempre, e soprattutto, con un occhio di riguardo al profitto, perché la passione non esclude la voglia di produrre guadagno e contribuire alla fama dell’isola (e della viticoltura italiana) nel mondo.

 

www.perseoemedusa.com

 

a cura di Livia Montagnoli

I 140 di Barilla: le origini, lo sviluppo, l'espansione di una grande famiglia italiana

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Tutto ha inizio oltre un secolo fa, con una piccola bottega di pane e pasta artigianale a Parma, nel 1877. In principio fu Pietro Barilla a piantare i primi semi per quella che sarebbe diventata, di lì a pochi anni, un punto di riferimento per la pasta in Italia e nel mondo. Oggi, l'azienda festeggia 140 anni.

Le origini

Era un guerriero, un uomo sensibile e capace, intraprendente. Ma prima ancora un padre generoso”. A parlare è Luca Barilla, uno dei tre fratelli attualmente alla guida del colosso italiano della pasta. Il protagonista, l'anima dell'azienda ancora oggi è però papà Pietro Barilla, che nel 1947 ha preso in mano le redini dell'attività insieme al fratello Gianni, contribuendo in modo significativo e impattante alla crescita del marchio in Italia e nel mondo. A cominciare quest'avventura esattamente 140 anni fa però fu un altro Pietro, il bisnonno di Luca, che nel 1877 aprì la prima bottega di pane e pasta nel centro di Parma. Inizia così la storia della famiglia che ha poi esportato la pasta italiana nel mondo, con un piccolo negozio passato nel 1912 a Gualtiero e Riccardo Barilla. Una linea familiare tutta al maschile, nella quale un ruolo fondamentale lo gioca una donna, la moglie di Riccardo, Virginia, “forte e sicura di sé, credeva nell'azienda e nella qualità del prodotto: è stata lei a spingere nonno Riccardo a iniziare quell'espansione che ha caratterizzato l'attività fino ai giorni nostri”.

L'azienda attraverso le crisi storiche e sociali

La svolta arriva alla fine degli anni '40, con l'ingresso dei fratelli Gianni e Pietro, cresciuti da sempre fra spighe di grano e pacchi di pasta. Sono loro a dover affrontare la crisi del '52 dovuta alla riduzione della produzione, che aveva già visto susseguirsi due guerre mondiali. A quel tempo però, il marchio si era già diffuso in tutta la città e più in generale in Emilia, e godeva di una buona reputazione, una fama che ha permesso all'azienda di continuare ad andare avanti. Quelli fra il '52 e il '67 sono anni di sviluppo: i due fratelli fanno un primo investimento di rilievo, dando vita allo stabilimento di Pedrignano, ancora oggi la più grande fabbrica di pasta al mondo. La pasta Barilla approda anche nelle altre regioni d'Italia, diventando il simbolo per antonomasia dei pranzi in famiglia, da Nord a Sud. Ma le difficoltà storiche e sociali da affrontare non sono ancora finite: il movimento operaio e studentesco del '69 ha un impatto determinante sulle vendite, al punto da portare Gianni, due anni più tardi, a vendere l'azienda a una multinazionale americana. “Mio zio e mio padre erano molto diversi fra loro: Gianni era più arrendevole, mentre mio padre era testardo e motivato”. E fu proprio la passione di Pietro per la pasta, e il rispetto per le tradizioni, a permettergli di riprendere il controllo dell'azienda.

Pietro Barilla: “Tutto è fatto per il futuro, andate avanti con coraggio”

Nel '76 mio padre decise di riacquistarla, ma per farlo doveva comprare anche il 50% appartenuto a mio zio, che invece non era intenzionato a tornare sui suoi passi”. A quel tempo Pietro possedeva due case, quella di famiglia e una delle vacanze in montagna: “Decise di 'giocarsi' entrambe le case, disse agli imprenditori americani che, nel caso avesse fallito e non fosse riuscito a recuperare l'attività e riportarla al massimo in Italia, avrebbe ceduto loro le proprietà”. Nessuno era d'accordo, né gli amici, né i colleghi, meno che mai la famiglia. Tranne i suoi tre figli, Luca, Paolo e Guido, che accompagnarono il padre a firmare l'accordo: “Avevo 19 anni, non capivo bene cosa stesse succedendo, ma sapevo quanto contasse la pasta per mio padre, e per questo gli rimasi vicino”. E la scelta azzardata di Pietro si rivelò quella giusta. Il marchio Barilla tornò in mano al suo proprietario, che continuò a lavorare duramente fino alla fine, “passava sempre almeno mezza giornata in azienda, era presente in ogni decisione, e lo è ancora adesso”. Nell'83 Pietro lascia la famiglia, “una perdita a cui non eravamo pronti”, e i tre fratelli, attuali titolari, si ritrovano al comando di una realtà già consolidata. “Mio papà ci aveva lasciato un'eredità compatta da continuare a sviluppare”. Da lì, la celebre frase, “Tutto è fatto per il futuro, andate avanti con coraggio”.

“Dai alle persone il cibo che daresti ai tuoi figli”

La presenza di Pietro è ancora percepibile in ogni lavoro, ogni scelta aziendale: “Con i miei fratelli ci chiediamo sempre cosa avrebbe fatto papà al posto nostro, e immediatamente sappiamo cosa fare”. Tre personalità diverse ma tanto lavoro di squadra, e una grande missione, da sempre la stessa, dare alle persone“il cibo che daresti ai tuoi figli”. E infatti il celebre spaghetto numero 5, prodotto di punta di Barilla, è ancora preparato nello stesso modo, “naturalmente sono cambiate le tecniche e le conoscenze, ma gli ingredienti e la preparazione sono pressoché identici”, aggiunge Paolo. Poche materie prime, acqua e semola. Di tutta l'ampia produzione di pasta, solo l'1% è certificata biologica, prodotto immesso da poco nel mercato italiano, ma i responsabili ci tengono a precisare che la differenza con i prodotti convenzionali è minima, quasi nulla: “Abbiamo fatto analizzare la pasta non bio in laboratorio e non c'erano tracce di elementi chimici”.

Buono per te, buono per il pianeta

Perché lo slogan di Barilla è da anni lo stesso, “Buono per te, buono per il pianeta”, e si riflette in tutta l'ampia gamma di prodotti, dalla pasta ai sughi – realizzati nello stabilimento di Rubbiano – senza dimenticare i prodotti da forno Mulino Bianco, che comprendono biscotti, merendine, snack e pane in cassetta.

 

sughi

L’olio di palma, per esempio,“è stato eliminato per via dei grassi saturi da ogni prodotto, un piano di sostituzione iniziato nel 2010 e che abbiamo accelerato negli ultimi tempi”; e ci sono anche “la linea gluten free e quella senza glutine, oltre alla pasta integrale”. Quello della sostenibilità, invece, è un concetto ben radicato nella famiglia, “dal 2010 a oggi abbiamo intensificato lo studio sull'impatto ambientale della filiera che si snoda dal campo alla tavola, e ridotto le emissioni di anidride carbonica del 28%”. Un'industria dai grandi numeri, Barilla, che non può basarsi solamente sul grano italiano, che rappresenta comunque il 70% della produzione totale, ma deve affidarsi anche a quello estero, “che acquistiamo solo dopo aver valutato diversi parametri e aver stretto un rapporto con gli agricoltori locali: non scendiamo a compromessi sulla qualità”.

 

spaghetti

I progetti

Un colosso, in Italia e non solo, una realtà che rappresenta da 140 anni il gusto della tavola italiana (chi non ricorda le pubblicità del Mulino Bianco con le famiglie riunite o quelle della pasta incentrate sul senso di convivialità?), e che si impegna da anni per la crescita del settore alimentare tricolore: con la Fondazione Barilla, per esempio, creata nel 2009, un Center for Food and Nutrition che si occupa di intraprendere progetti di ricerca con l'obiettivo di promuovere il cibo come elemento chiave della qualità della vita e dell'ambiente, con un occhio di riguardo per la sostenibilità e il consumo consapevole. E poi ancora con l'Academia Barilla, scuola di cucina e di formazione dove i giovani aspiranti chef possono imparare i trucchi del mestiere, e tanti eventi e manifestazioni specifiche volte a valorizzare il made in Italy nel mondo. Fra le ultime iniziative, anche l’accordo con Gambero Rosso, che ha visto la grande degustazione di vino del tour Tre Bicchieri 2017 ospitata al New York Metropolitan Pavillion, insieme ai cuochi dell'Academia. Senza tralasciare, infine, la serie di ristoranti firmati Barilla che l'azienda ha aperto all'estero, in America e poi anche negli Emirati Arabi dove, lo scorso novembre 2016, ha aperto i battenti il primo locale a Dubai. In cantiere, attualmente, non ci sono nuove acquisizioni e nessun ingresso in Borsa, “vogliamo rimanere un'azienda a conduzione familiare”. Una grande famiglia italiana di 140 anni che mantiene ben saldo il legame con la sua storia: “Siamo i titolari, è vero, ma l'azienda appartiene al suo passato, e al suo futuro”. A cui, proprio come voleva papà Pietro, i tre fratelli vanno incontro con coraggio.

a cura di Michela Becchi

Mangiare all'aperto a Roma nell'estate 2017. 17 indirizzi da non perdere

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Terrazze, giardini, cortili o piccoli dehors. Le novità dell'estate 2017 per chi vuole mangiare all'aria aperta. Come abbiamo selezionato questi 17 angoli di paradiso gastronomico e paesaggistico? Semplice: dovevano essere dotati di begli spazi all'aperto, ma al contempo dovevano presentare qualche novità o perché nuovi, o perché con uno spazio nuovo, o perché con un cuoco nuovo.

Mangiare all'aperto godendo della brezza e della luce del tramonto è un valore aggiunto caapace di rendere ogni cena, ancora più memorabile. Abbiamo voluto segnalare le novità dell'estate 2017, e per novità intendiamo nuovi indirizzi, nuovi chef, o restyling che hanno trasformato significativamente gli ambienti. Alberghi con terrazze mozzafiato o bistrot dai cortili graziosi, giardini tematici o tavole vista mare. 

 

dom

Achilli al D.O.M Hotel 

Recentissimo il cambio di guardia alla guida della cucina del D.O.M. di via Giulia. Al comando oggi c'è Massimo Viglietti, chef dell'Enoteca Achilli al Parlamento, uno dei luoghi storici per gli amanti del vino a Roma, da qualche anno in pista, con grinta e personalità, anche sul versante cucina. Il ristorante al piano terra ha anche uno spazio all'ultimo piano, con vista sui tetti della città. A Massimo Viglietti, per mano di Andrea Fiducia e Alessio Tagliaferri, va la cura della parte food, modulata secondo le tendenze più contemporanee con le sfiziose “pillole”, bocconi d'accompagnamento a vini e cocktail per l’aperitivo. Si sceglie tra l’ostrica al cucchiaio con mousse di gorgonzola e confettura d’arance e la polpetta di seppia con panatura alle mandorle e finta maionese al nero, il gambero di Mazara crudo affogato al gin e il mini medaglione di sogliola, più qualche proposta di terra; (con una degustazione di 5 pillole a 20 euro). Per la cena più ricercata c'è una piccola carta tra crudi e cotti, e mare e terra con cose come panzanella di baccalà e foie gras con marmellate e sali, triglia con caponata alla senape e riduzione di vino rosso, e il secreto di Pata Negra con spuma di patate e carbone. Sulla carta dei vini la firma della casa non lascia spazio a sorprese, come sul servizio dell'albergo, già ad alto tasso di professionalità.

Achilli al D.O.M Hotel | Roma | via Giulia, 131 | tel. 06 6832144 | www.domhotelroma.com

 

acquolina

Acquaroof al The First Luxury 

Le “gocce” sono la formula scelta dal team Troiani per la depandance all'ultimo piano del nuovo Acquolina, ormai saldamente in mano ad Alessandro Narducci. Dopo una decina di anni al quartiere Fleming, Acquolina si sposta in pieno centro, nei locali che furono di All'Oro. Mentre al piano terra va in scena la proposta del gourmet, sulla terrazza, chiamata Acquaroof, si è preferito optare per una proposta più semplice e stringata, a completare una vista mozzafiato sui tetti del centro, un vero paradiso per le serate estive. Oltre alle gocce, versione prêt-à-porter della cucina marinara, fresca e mediterranea distintiva di Acquolina, quattro proposte di pasta, solo tagliolini: al burro, pomodori e basilico, crema di scampi, pesto alla genovese. Completano la carta un paio di insalate, plateau di crostacei e molluschi, ostriche, tre dessert. Da accompagnare a 60 etichette di vino (di cui 8/9 in mescita) oppure cocktail e spirits curati dal bar manager Luca Moroni. Light dinner (per tutto il tavolo) a 45 euro: cocktail o bollicina italiana, snack, 4 gocce, 1 pasta, 1 dolce. Panorama incluso nel prezzo.

Acquaroof in The First Luxury Art Hotel | Roma | via | del Vantaggio, 14 | tel. 06 45617070 | www.acquolinaristorante.it

 

alloro

All'Oro all'hotel The H'All 

All'Oro 3.0: è quello che è approdato, poche settimane fa, nel piccolo (solo 14 stanze) e curatissimo albergo di proprietà, in un palazzetto storico a un passo da Piazza del Popolo: The H'All. Che senza troppi giri di parole i proprietari definiscono come “l'investimento della nostra vita. L’ambiente è moderno e ricercato, e da pochissimo è stato inaugurato anche il giardino interno, ravvivato da lucine che si accendono dopo il tramonto e che creano un'atmosfera sospesa. A comporre un'esperienza completa che, dalla colazione alla colazione del giorno successivo, è firmata dalla coppia Riccardo Di Giacinto e Ramona Anello. La cucina di Di Giacinto è golosa, saporita, con frequenti riferimenti ai piatti tradizionali riproposti in veste contemporanea e personale. Il risultato è un percorso gustoso e appagante, sintetizzato in quattro degustazione, tra classici come il memorabile sushi di fassona con tartufo, aceto balsamico, parmigiano e nocciole o i cappelletti in brodo asciutto con parmigiano, zafferano e limone. Poi ci sono le novità, come lo spaghettone con crema di aglio, peperoni (dolci e cruschi) e canocchie o il pollo alla cacciatora dalla cottura esemplare, accompagnato da purè di patate, asparago bianco e olive. Non mancano opzioni per celiaci e un menu per vegani.

All'Oro dell'Hotel The H'All | Roma | via G. Pisanelli, 23 | tel. 06 06 97996907 | www.ristorantealloro.it

 

teatro opera

Caffè dell'Opera Roma

Legato a doppio filo al Teatro del'Opera di Roma, di cui occupa un lato del piazzale d'ingresso, è uno spazio che nasce per opera del team di Marzapane (Alba Esteve Ruiz ai fornelli, Mario Sansone e Michel Magoni tra sala e cantina), che cura anche la crostaceria e il caffè interno. Si tratta di un grosso passo avanti per dotare (finalmente) uno dei più prestigiosi luoghi culturali romani di un'offerta gastronomica adeguata, con piatti di impostazione classica, ma rinnovati dalla mano della chef: amatriciana, o pasta con le vongole, lasagna con zucchine, pesce spada e bufala affumicata, ma anche polpo rosticciato con rapa rossa al sesamo e Tagliata d’agnello con cicoria ripassata. Da bere qualche cocktail e una piccola selezione di vini (curata dalla vicina Enoteca Trimani). Il caffè è aperto dalla prima mattina, per la colazione (firmata Antico Forno Roscioli) al dopoteatro.

Caffè dell'Opera Roma | Roma | piazza B. Gigli, 7 c/o Teatro dell'Opera | tel. 06 48160504

 

giuda ballerino

Giuda Ballerino! dell'Hotel Bernini Bristol 

Altro albergo, altro restyling, altra tavola con vista, da e sulla cucina. Stavolta è quella del Bernini Bristol dove da un paio di anni Andrea Fusco ha spostato il suo Giuda Ballerino! che oggi vanta uno sguardo su Roma ancora più suggestivo. Cucina a vista, con affaccio diretto sulla città, sul lato destro della sala; bancone dello chef con 5 posti (serviti direttamente dalla brigata con un menu degustazione realizzato ad hoc), e una terrazza che (se possibile) è ancora più piacevole. Senza contare l'arrivo del cocktail bar, a cura del barman Marco Martines, e a breve pure di un comparto pasticceria a vista. La proposta, seppur rinnovata, è quella che Fusco ci ha fatto conoscere in molti anni di attività, tra Tuscolano e Centro Storico. Signature dish come la cacio e pepe con polvere di cozze e menta fritta o i gamberoni in pasta phillo si accompagnano alle proposte del nuovo menu Altitudini del Lazio, disponibile in 5, 7 o 9 portate in cui ognuna racconta un ingrediente principale, individuato in base alla sua posizione rispetto al livello del mare. I piatti? Abissicon il gambero viola e gamberi gobbetti con acqua di cavolfiore fermentato (che diventa blu) e alghe disidratate, Scoglicon triglia, orata e cozze e maionese d’ostrica, Pinetacon il risotto con essenza di pino e lumache croccanti e così via passando per spiaggia, città, campagna, montagna. A pranzo c'è invece formula veloce e golosa con tapas e un piatto principale a un prezzo contenuto.

Giuda Ballerino dell'Hotel Bernini Bristol | Roma | piazza Barberini, 23 | tel. 06 488933288 | www.giudaballerino.com

 

hotel butterfly

Hotel Butterfly

Al Guido Reni District, nell'ex caserma che per due anni consecutivi ha ospitato un festival di street art, fa ora capolino l'Hotel Butterfly, uno spazio polifunzionale dall'aria sognante, che comprende addirittura un barbiere, un tatuatore e un record store. Due gli spazi esterni: la Corte, con musica dal vivo, e un Giardino Incantato riservato alla miscelazione e alla proposta gastronomica, che parte dalle 11 con la prima colazione e continua con il pranzo e la cena, fino all’1 di notte. La squadra è quella di Madeleine: Valerio Lamorgese, in cucina, e Federico Leone alla supervisione del cocktail bar. La proposta del primo è semplice e va dalle tartare di carne e di pesce, alla pizza proposta in formato piccolo, con farine selezionate e lievito madre. Sul versante drink, nel corso della stagione la barlady Dafne Kesmiris ospita i più importanti bartender del panorama romano, come Patrick Pistolesi, Daniele Gentili o i ragazzi de La Punta Expendio de Agave. Per creare dei cocktail che hanno anch’essi nomi di farfalle declinati in diverse lingue, dal Papillon al Mariposa, dal Rama-rama al Borboleta.

Hotel Butterfly | Roma | via Guido Reni, 7 | tel. 389 877 8814 | https://www.facebook.com/hotelbutterfly/

 

eden

Hotel Eden

I cinque comandamenti di Fabio Ciervo (innovazione, benessere, ingredienti, gusto e arte)ora trovano una cornice tutta nuova in cui esprimersi, una supercucina con un incredibile affaccio sui tetti di Roma: 200 metri quadrati per 16 isole di lavoro. Ma i 18 mesi di restyling sono serviti per rinnovare e rendere ancora più spettacolare tutta la struttura parte del gruppo Dorchester Collection e non solo il ristorante di punta La Terrazza. Più moderno, ma senza per questo perdere neanche una punta di quella classe che lo ha sempre contraddistinto, più arioso e ricco di servizi per i clienti. Il fine dining all'ultimo piano ha una vista strepitosa, e una proposta gastronomica all'altezza, che declina i suddetti cinque comandamenti, in direzione di una cucina molto pulita. Fatta di incontri di ingredienti, consistenze, sapori, dove la tecnica è a servizio delle materie prime e della piacevolezza del piatto. Un esempio? Gli spaghetti cacio e pepe del Madagascar profumati ai boccioli di rosa o la triglia croccante, tartare di alghe marine e olive kalamata. Al Giardino, invece, menu all day con pizza, opzioni vegane e mixology serale incluse, prezzi che vanno dai 4,50 ai 40 euro. Da poco c'è anche con Salad Bar, con una proposta di insalate gourmet per il pranzo durante la settimana. Tutto, quasi per magia, diventa spazio all'aperto grazie ad una peculiare tecnolgia che consente alle finestre di sparire trasformando la sala in un dehors.

Hotel Eden | Roma | via Ludovisi, 49 | tel. 06 47812752 | www.dorchestercollection.com

 

maxxi

Linea al MAXXI

Una piazza restituita ai romani: l'area antistante il MAXXI si configura sempre più come uno spazio pubblico aperto agli abitanti del quartiere e ai molti che qui approdano non solo per visitare le mostre del Museo del XXI secolo, ma per ascoltare musica, gironzolare tra i banchi del mercatino, partecipare a incontri o, semplicemente, godere del cortile e dell'area verde. È proprio di fronte al Guido Reni District, dove ha appena aperto l'Hotel Butterfly, a definire i contorni di una cittadella delle arti e dell'intrattenimento che ha, come terzo polo, il vicino Auditorium Parco della Musica. In quest'area, da sempre parca di indirizzi interessanti per quanto riguarda l'offerta gastronomica, ora un tassello importante lo mette il nuovo assetto del punto ristoro, con una triplice proposta: quella gourmet firmata da Cristina Bowerman che affianca, nel ristorante Linea (dall'altra parte del cortile rispetto al museo progettato da Zaha Hadid), una più quotidiana e informale, e quella di Typo, la caffetteria che affaccia su via Guido Reni che punta sui prodotti di Romeo.

MAXXI | Roma | via Guido Reni, 4a | www.fondazionemaxxi.it

 

raphael

Mater Terrae dell'Hotel Raphael 

Forse non è stato dato abbastanza risalto all'arrivo a Roma di Pietro Leeman, l'avanguardista del mangiare veg che, a Milano, da decenni mette a segno la variante green dell'alta cucina. Lui è il creatore del Joia, avamposto gourmet dell'alta ristorazione sin da quando in Italia di questo non si parlava proprio. Oggi tutto ciò è approdato a Roma, con Mater Terrae, la nuova tavola dell'Hotel Raphael (Realais &Châteauxe Bio Resort, impostato totalmente su cruelty free e biosostenibilità) affidato alle cure dello chef italo-svizzero, che ha impostato il menu e mandato un suo allievo, Ettore Moliteo, a dirigere i fuochi. Nella sala interna o in terrazza, la proposta etica e d'autore accoglie, incuriosisce e soddisfa tutti, onnivori inclusi. I piatti hanno nomi poetici come Passeggiata nel bosco(terrina di giovani carote, funghi e maggiorana con germogli e maionese senza uova), Il piacere della tradizione (ravioli fatti in casa di ricotta e spinaci con salsa leggera di pomodoro datterino, ricotta lievemente affumicata e basilico), o PellegrinoArtusi (parmigiana tradizionale di melanzane con la "pommarola" di datterini, scamorza affumicata e basilico), per finire con Il pensiero di Ettore (millefoglie alla siciliana con ricotta, sorbetto di lampone e menta e salsa all’arancia). La carta dei vini focalizzata sulle produzioni bio, e il personale competente e preparato chiudono il cerchio.

Mater Terrae dell'Hotel Raphael | Roma | largo Febo, 2 | tel. 06 682831 | www.raphaelhotel.com

 

mirabelle

Mirabelle dell'Hotel Splendide Royal 

Tavoli ampi e distanziati, tovaglie bianche, servizio attentissimo ma discreto, illuminazione soffusa e credenze preziose, e poi la vista, e se siete fortunati il tramonto. Che dalla terrazza al settimo piano con prospettiva su Villa Borghese, vi toccherà il cuore. Soprattutto ora, dopo il restyling. Ma non basta, perché il Mirabelle offre una solidissima cucina che, fuori da eccessivi clamori, porta avanti con costanza una proposta, firmata da Stefano Marzetti, degna della migliore ristorazione d'albergo, così come si concepisce oggigiorno: serenamente in equilibrio fra fantasia e colpi sicuri, note d'autore e rivisitazioni tranquille della tradizione, su base stagionale e di materie prime di qualità. Qualche esempio? Rocher di carciofi, cremoso d'uovo, robiola biologica, agretti e limone candito; vellutata di patate al burro di Normandia, porri caramellati e capesante alla camomilla; spaghetti, pesto trapanese e aliciotti freschi; pezzogna in guazzetto mediterraneo, scarola brasata e patate novelle allo zafferano. La cantina, quest'anno in una nuova veste, più moderna e con tavolo dedicato, è un tassello di pari peso della suggestiva esperienza che questo come pochi altri posti in città riesce a offrire.

Mirabelle dell'Hotel Splendide Royal | Roma | Via di Porta Pinciana, 14 | tel. 0 42168838 | www.mirabelle.it

 

pacifico

Pacifico dell'Hotel Palazzo Dama 

Pacifico è arrivato a Roma: per chi ama le contaminazioni di Jaime Pesaque, che già hanno conquistato Milano (dove si trova la casa madre omonima), è una notizia di quelle che si fanno ricordare. Se poi ci si aggiunge il fascino della location, a pochi passi da Piazza del Popolo, con tanto di Pisco Bar e tavoli a bordo piscina per una sosta ancora più glamour, il gioco è presto fatto. This must be the place, per chi ama il genere. La formula si può sintetizzare così: cucina contemporanea e internazionale, in cui una personale lettura della tradizione Nikkei fa leva su materie prime eccellenti e si arricchisce del tocco d'autore. Quello di Jaime, appunto (qui per mano di un suo allievo). Il pezzo forte sono i ceviche (per esempio salmone, leche de tigre asiatico, avocado, cipollotto, won ton e arachidi), affiancati dai tiradito, anche di Wagyu, dai dim sum (buono quello con gamberi ed erba cipollina thai) e dagli anticuchos (il Criollo è con polpo, marinatura di aji panca, salsa di ocopa e chimichurri). Da bere sakè oltre a una piccola selezione di bollicine, bianchi e rossi. Ma non perdetevi un Pisco sour prima o dopo cena, ne vale la pena.

Pacifico dell'Hotel Palazzo Dama | Roma | l.Tevere Arnaldo da Brescia, 2 | tel. 06 3207042 | www.wearepacifico.it

 

Piano Strada, Roma

Pianostrada

Una delle versioni più azzeccate, rilassanti e curate dello stile vintage-informale, a Roma, si trova in questo locale. Lasciati alle spalle gli spazi ridottissimi della vecchia sede, rimane invariato quel che ne ha decretato il successo: un marchio di fabbrica che può essere preso a emblema del più moderno pink power, vuoi perché questo spazio è frutto dell'opera di quattro donne, vuoi perché lo stile, dal servizio ai molti tocchi garbati, dal menu ai dettagli che si rincorrono in ogni angolo, rivela una mano femminile. I piatti sono molto godibili, centrati, semplici ma non banali e si accompagnano a una scelta di vini, birre e altri drink. Da gustare anche nel cortile interno, come il resto del locale deliziosamente arredato con oggetti di recupero, vasi, fiori che creano un ambiente fiabesco e molto piacevole.

Pianostrada | Roma | via delle Zoccolette, 22 | tel. 06 89572296 | pianostrada.com

 

voodoo

Voodoo bar 

2000 metri quadrati all'aria aperta, in quell'angolo di Roma che guarda il Colosseo e si arrampica fino al rione Monti. È qui che, per l'estate 2017, si è voluto creare un parco relax, con suggestioni esotiche a definire un mondo magico, dove musica, cibo, drink e attività collaterali tra massaggi shiatsu e yoga raccontano di luoghi lontani tra suggestivi labirinti di piante, vasi, arbusti. Il tema è il benessere: fisico e spirituale, e ogni dettaglio richiama un angolo di Paradiso. Che nel centro di Roma, ma lontano dal traffico, è ancora più magico e straniante. In cucina la proposta sta in bilico tra fusion e semplicità: poche pretese, prezzi abbordabili e atmosfera sciolta e rilassata. Sarà una delle mete dell'estate.

Voodoo bar | Roma | via delle Terme di Traiano, 4 | tel. 392 6045465

 

waraku

Waraku 

Ne è passato di tempo e ne è passata di strada dalla prima sede semi-clandestina, seminascosta sul retro di una palestra del Pigneto, a questa nuova a via Prenestina. Da quella palestra Maurizio di Stefano e sua moglie per anni hanno promosso l'autentica cultura del ramen,ben prima che ne esplodesse la mania, con una proposta che si rifà alle Izakaya (le osterie frequentate dai giapponesi dopo il lavoro). Il nuovo locale ha un bel dehors, in cui gli irriducibili dello zuppone nipponico possono trovare soddisfazione in ogni stagione, ma non mancanookonomiyaki (frittelle con verdura e salsa agrodolce), gyoza (ravioli di carne o verdure), pollo teriyaki con salsa home made o wafu hambagu, l'hamburger che molti giapponesi consumano a casa. Solo a pranzo troverete i takoyaki, le golosissime frittelle di pastella con polpo. Sul versante dolci, ottimo il tiramisù al tè verde e azuki e i caratteristici dorayaki e mochi a pasta di riso (pancake ripieni di anko, una salsa dolce di fagioli rossi). Da bere sakè, tè o liquori del Sol Levante. È raccomandata la prenotazione.

Waraku | Roma | via Prenestina, 321a | tel. 06 21702358 | warakuroma.webs.com

 

Fuori Roma

 

coqui

Coqui 

Quando pensi alla proposta gastronomica del litorale capitolino, certo non ti aspetti questo sodalizio inedito: Stefano Callegari e Flavio De Maio (rispettivamente Sforno & Trapizzino con tutte le varie succursali e Flavio al Velavevodetto). I due non avevano mai incrociato i fuochi, prima d'ora, ma per la riapertura dello stabilimento Coqui Beach sotto l'egida di Rosario Malapena (Albos Club) battezzano un originale connubio con due menu complementari a pranzo e a cena, più i trapizzini per uno spuntino in spiaggia: pizza d'autore (tra classiche e specialità di Callegari) e fritti, e repertorio romanesco tra polpette di bollito con cicoria, primi generosi, involtini, maialino al forno, insalata di polpo e spaghetti alle vongole, fettine panate e frittura di calamari e gamberi. Tutto questo al mare (ma non solo nel periodo strettamente estivo), nella luminosa sala vetrata o sotto al patio.

Coqui | Fregene (RM) | lungomare di Levante, 72 | tel. 06 6680975 | www.coquibeachfregene.it

 

plinius

Plinius 

Buone nuove per gli amanti della pizza e del mare: ora anche a Ostia c'è un'insegna di pregio. È quella firmata da Pier Daniele Seu, giovane talento dell'arte bianca tra i più luminosi attualmente in circolazione, impiegato anche al Mercato Centrale. Che, allo stabilimento Plinius di Ostia Lido, a partire da inizio giugno ha acceso i forni e messo in cantiere una proposta molto semplice, di pizze tonde (5 classiche e 5 creative), bruschette e fritti. A fare da contropartita la gastronomia curata da Antonio Gentile, chef del ristorante Red Fish con cui firma anche una pizza, la Gentile vs Seu. La formula piace, tanto che già ha fatto registrare frequenti tutto esaurito, a conferma di quanto si sentisse la mancanza di una proposta di qualità sulla pizza in questa zona. Senza contare il fascino di una cena vista mare.

Plinius | Ostia (RM) | Lungomare Duilio, 17 | 06 56304554

 

posta vecchia

The Cesar dell'Hotel La Posta Vecchia

La location è da lasciare senza parole: un’esclusiva villa seicentesca che ha una storia incredibile, tra magnati americani e reperti archeologici trasformati in un bel museo(fatevela raccontare!), dotata di suite raffinate e di un rilassante centro benessere. La terrazza sul mare da sola vale il viaggio, in pieno contrasto con una zona che – poche centinaia di metri più in là – non si fa ricordare per la bellezza dell'intervento dell'uomo. L'ambiente è sontuoso: marmi, arredamenti d’epoca e varie opere d’arte raccolte. Sul fronte cucina, lo chef dopo l'uscita di scena di Michelino Gioia è Antonio Magliulo, oggi a pieno regime nella cucina. E la sua proposta si basa su tecnica precisa e chiara impronta mediterranea. Che tradotto significa: piatti comprensibili, che coniugano forma e sostanza, stagionalità e ottime materie prime, con un accento marcato sui sapori dell’orto di proprietà e sulle pietanzevegetariane. Tra le proposte il gambero rosso con lamponi, foie gras e fichi secchi e il goloso cannolo di genovese di coda, grue di cacao, provolone del monaco e caramello di Aleatico. Ma anche risotto mantecato alle erbe selvatiche con tartare di tonno rosso, lime e stracciatella affumicata; e il rombo chiodato con melanzane affumicate, mozzarella liquida, scarola e pomodorini confit. Tra i dolci, spicca il Mananka, a base di nocciole pralinate, ciliegia e crema Chantilly al tè Sakura. E poi c'è la cheesecake esotica, opera della nuova pastry chef. La carta dei vini contiene una panoramica esaustiva della produzione nazionale con qualche referenza d’Oltralpe e un ampio capitolo Champagne.

Cesar dell'Hotel La Posta Vecchia | Ladispoli (RM) | Palo Laziale | tel. 06 9949501 | www.lapostavecchia.com

 

a cura di Antonella De Santis

 

Piuarch, l'orto sul tetto degli uffici di Brera. Fare agricoltura urbana a Milano

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Continua a crescere il fenomeno dell'agricoltura urbana nel Belpaese. È la volta dell'orto sul tetto, nato dall’idea di un gruppo di architetti intraprendenti di Milano.

Agricoltura urbana in Italia e all'estero

Avamposti che consentono di godere a pieno delle trasformazioni urbane, e ammirare il tessuto storico della città: i tetti possono rappresentare un luogo speciale, spazi dove trascorrere una serata in compagnia, o da ripensare nel segno della creatività. Fra le ultime idee, spicca quella di un gruppo di architetti e ingegneri milanesi, che ha realizzato un orto sul tetto, ispirandosi al movimento internazionale dell'urban farming, l'agricoltura urbana, molto diffusa nei Paesi stranieri ma approdata già da tempo anche in Italia.

Il primo orto ad alta quota, dunque, ma di certo non l'unico in città. Sono 18 milioni, infatti, gli orti urbani attualmente stimati in Italia, un fenomeno in crescita che, se portato avanti con criterio e impegno, potrà portare un giorno al recupero di aree verdi abbandonate e all'educazione ambientale di tutti i cittadini. Proprio per incentivare i giovani imprenditori, lo scorso febbraio nasceva Città d'Orti, un'iniziativa che si propone di divulgare il modello degli orti domestici su larga scala attraverso una scuola itinerante. E non solo: sempre nel 2017, a marzo, le Città del Vino lanciavano l'Urban Food Planning, un sistema pensato per riorganizzare le città e i territori a vocazione enogastronomica. Iniziative che riprendono modelli esteri già collaudati, come il GrowTo Urban Agriculture Action Plan di Toronto, un piano d'azione che ha l'obiettivo di riunire gli stakeholder coinvolti nell’agricoltura urbana della città e individuare opportunità di sviluppo socio-economico e soluzioni politiche per la crescita di questo settore. O ancora il Food Policy Councilnato a Bristol nel 2011, pensato per evidenziare punti di forza e vulnerabilità del sistema alimentare urbano, suggerendo una serie di azioni politiche.

Lo studio

A ospitare il progetto il tetto dello studio di via Palermo, nel cuore di Brera, sopra gli uffici di Piuarch, realtà nata nel '96 per idea di Francesco Fresa, Germán Fuenmayor, Gino Garbellini e Monica Tricario, con l'obiettivo di occuparsi di architettura a tutto tondo, dai complessi residenziali agli interventi di recupero. Nel 2013, il gruppo vince il premio “Architetto Italiano dell'anno”, oltre a ricevere due medaglie d'oro per Menzione d'Onore alla Triennale di Milano. Un nome noto nella scena architettonica meneghina, che oggi conta 40 tra architetti e ingegneri e si propone di incrementare le attività connesse all'orto urbano.

Il progetto

Così, sopra agli uffici ora c’è un orto a cielo aperto che sfrutta un sistema modulare di pallet, ottenendo un insieme di percorsi e slarghi dove i visitatori possono sostare per prendere il sole o passeggiare fra le verdure coltivate. Ma non solo frutta: accanto ai vegetali, saranno piantati anche fiori ed erbe aromatiche, per impreziosire ancora di più la struttura e renderla una sorta di attrazione per la città, punto di ritrovo per giovani e adulti. A curare l’estetica dell'orto, il paesaggista Cornelius Gavril, in collaborazione con Verde Vivo, punto di riferimento per l'agricoltura biologica. L'orto pone l'accento ancora una volta sul concetto di Km0, filiera corta, ma soprattutto certa, e non finisce qui: lo spazio è dedicato anche alla formazione dei più piccoli, che potranno imparare, attraverso dei laboratori didattici, a curare e gestire le piante, toccando con mano come arrivano in tavola le verdure che mangiano.

www.piuarch.it

a cura di Michela Becchi

Latodolce: la pasticceria italiana che ha conquistato Berlino

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Attenzione alla materia prima, gusto e un ambiente grazioso che si distingue dalle molte caffetterie perché si tratta di un forno, semplice e verace, e non di una bakery.

Kreuzberg è una zona storicamente abitata da turchi, più recentemente anche da francesi, americani e da persone di diverse nazionalità, un angolo multiculturale nella multiculturale Berlino. Quella città che negli ultimi 15 anni ha saputo trasformarsi nel paradigma di una società aperta e creativa, affamata di novità e testimone della crescita di un'imprenditoria snella e diversificata. Proprio in questo contesto si è inserito, da un paio di anni, Latodolce. Una pasticceria che si rifà a quelle italiane, dove il forno e il laboratorio si trovavano proprio alle spalle del bancone e non di rado era possibile vedere i pasticceri all'opera. Con il profumo fragrante dei dolci appena sfornati che invade lo spazio e invita all'assaggio. Un posto familiare, quasi domestico, in cui la bontà dei prodotti suggerisce una cura affettuosa. Lo ha creato Natalia Giordano, alle spalle studi alla scuola Espaisucre di Barcellona

latodolce

 

Chi sono i suoi clienti?

Sicuramente italiani, che ritrovano in Latodolce qualcosa di familiare, gusti e tradizioni. Sapori regionali, legati ai propri ricordi. Ma soprattutto freschezza e qualità. E sicuramente tedeschi, che trovano qualcosa di abbastanza insolito per loro, per esempio pasticcini e biscotti. E poi gli stranieri. Siamo a Kreuzberg nella zona storicamente turca, ma ormai abitata da francesi, americani etc.. Anche questi ultimi attirati dalla qualità e sapori vari.

 

Fa solo dolci da banco o anche dolci per la ristorazione?

Prevalgono i dolci da banco e per i catering. In questo momento il pubblico che si rivolge a noi per eventi è legato soprattutto alla scena dell'arte contemporanea delle gallerie.

 

Lei lavora anche con aziende: è una cosa frequente in Germania affidare la comunicazione di un marchio a delle pasticcere? Ha anche altre collaborazioni?

È un aspetto che m'interessa sviluppare. Per ora due le collaborazioni piccole, ma interessanti: una con il cinema, abbiamo prodotto dei pasticcini con il logo del film Toni Erdmann. E un'altra con un famosissimo negozio solo di liquirizie, per cui abbiamo prodotto dei cantucci alla liquirizia, gusto molto popolare e richiesto qui, e da allora abbiamo continuato a produrli.

 

Da parte di attività di somministrazione italiane, invece?

C'è moltissima curiosità e richiesta da parte di bar e ristoranti italiani.

 

Avete scelto la cucina a vista, come mai?

Latodolce è una "stanza di lavoro" completamente a vista, che vuole rimandare la fragranza e il gusto dei forni italiani e dove laboratorio e vetrina stanno insieme.

 

Come sono le pasticcerie a Berlino?

La pasticceria tedesca a Berlino è caratterizzata per lo più dalla produzione di grosse torte, influenzate dal gusto americano. Popolarissimi sono cheese cake, carrot cake, crumble in versione gigante. Difficile, invece, trovare il famoso strudel. Le pasticcerie italiane invece sono pochissime. Questo per due motivi: difficoltà burocratiche e perché il concetto di pasticceria come lo intendiamo noi non è molto diffuso.

 

Ma c'è l'abitudine di consumare bevande e dolci...

Sì, sono numerosissimi bar, caffetterie e bakery, ovvero panifici ma senza forno, cioè si tratta per lo più di negozi che vendono pane, ma che sono riforniti da grossi rivenditori. Di scarsissima qualità. Manca il forno che sforna!

 

Come mai la scelta di non servire caffè o tè?

Non volevo una caffetteria, qui ce ne sono tantissime, ma qualcosa di meno scontato. Abbiamo solo caffè da asporto, fa eccezione l'estate perché abbiamo anche dei tavolini all'esterno.. Ma comunque con un caffè italiano che arriva dalla Calabria insieme a quello alla liquirizia (un gusto qui molto apprezzato) e all'anice.

 

Cosa ha di particolare Latodolce?

Le nostre particolarità sono tre: la possibilità di vedere l'intero processo di lavorazione sia da fuori che dal piccolo corner di vetro, lo spazio di vendita che ospita la vetrina dei pasticcini. Lo spazio è interamente destinato al laboratorio. La vetrina all'interno viene riempita di volta in volta i prodotti appena preparati. I clienti possono assistere all'attività di laboratorio, scegliere e ordinare. Questo li spinge spesso a chiedere, a seconda delle loro esigenze, prodotti specifici, che non produciamo quotidianamente. La seconda particolarità è che vengono prodotti tutti petit fours, nell'accezione moderna del termine, quindi dal pasticcino, al biscottino, al marshmallow alla gelatina etc...fino ai petit four semifreddi.

 

E la terza particolarità?

Cerchiamo di avere un'attenzione particolare nell'esaltazione del sapore. I clienti fanno l'esperienza di un'esplosione in bocca di sapori spesso in contrasto tra loro che si accentuano a vicenda. E in questo senso la scuola di Espaisucre a Barcellona è stata fondamentale. È una scuola di formazione che prepara all'utilizzo di tecniche diverse: da quella tradizionale del plum cake a quella della pasticceria molecolare, alla combinazione di prodotti e gusti diversi, come le verdure nei dolci, le spezie, i distillati. Importantissima è stata anche la formazione con Leonardo di Carlo.

 

Ci sono differenze nell'approccio alla pasticceria tra Italia e Spagna?

Do un giudizio come cliente, e devo dire che tra Italia e Spagna ci sono molte più similitudini di quanto pensiamo, soprattutto livello di prodotti tradizionali regionali. D'altronde siamo paesi entrambi mediterranei, che hanno accesso a prodotti simili, come per esempio la mandorla.

latodolce

Quale è la proposta di Latodolce? E quali sono i dolci che riscuotono più successo?

Abbiamo tre linee di prodotti: pasticcini, tortine da forno e biscotti. La clientela tedesca conosce diversi prodotti, soprattutto dolci di origine meridionale come per esempio i cannoli, ma sono popolarissimi sono anche i cantucci. E la fa da padrone il tiramisù.

 

Pasticceria contemporanea o tradizionale?

Entrambe: Latodolce è una pasticceria italiana che nasce dall'idea di portare prodotti regionali italiani come canestrelli, torta della nonna, cannoli siciliani, babà, ma anche prodotti legati alla tradizione e ad alcune occasioni particolari come zeppole a San Giuseppe, pastiere a Pasqua, chiacchiere di carnevale, fino ad arrivare all'offerta di cremolate siciliane e semifreddi in estate. Allo stesso tempo, però, cerchiamo di offre anche una pasticceria contemporanea attraverso le mini tortine moderne o la scelta di gusti più attuali o di moda, come il matcha, lo yuzu.

 

Quale è la reazione di chi entra da voi?

In generale è cresciuta la tentazione di assaggiare tutto e tutti i gusti, dopo un primo momento di diffidenza e di spaesamento. Berlino credo sia una piazza particolare, non sono abituati né alla grossa quantità, né alla varietà di gusti. Col tempo le preferenze della nostra clientela si stanno facendo sempre più variegate. Apprezzano un po' tutto, a seconda della stagione. Ma biscotti e pasticcini sono richiesti in maniera costante.

 

Come è stata accolta la sua attività?

Èsubito partita: abbiamo riempito un vuoto, il locale è molto attrattivo dal punto di vista estetico, un ambiente accogliente e se assaggiano è fatta! E comunque Berlino è molto giovane, openmind e ricettiva, questo rende tutto rapido e divertente.

 

Avete lavorato sulla comunicazione? e in che modo?

Ci sono tante iniziative collaterali. Quindi abbiamo ricevuto immediata attenzione dai blog molto popolari qui e da parte della stampa, per esempio il Tagespiegel.

 

Lei organizza anche dei corsi nella sua pasticceria: quali sono i più richiesti?

Si tratta di corsi amatoriali, i più richiesti ma anche divertenti sono sui biscotti italiani e i pasticcini. e quelli per i bambini.

 

Ci sono stati cambiamenti dalla vostra apertura a oggi? Quali sono le difficoltà maggiori che tuttora incontra?

Siamo giovanissimi, appena 2 anni di vita, e ancora in cambiamento. Non parlerei di difficoltà, ma di una sfida quotidiana, che consiste nel proporre e far conoscere prodotti nuovi e quindi intervenire sul gusto. Allo stesso tempo è talvolta difficile abituare il cliente a pagare la qualità più alta.

 

Quante persone siete? E come è organizzata l'attività?

Siamo in tre, io gestisco le varie attività, mentre un pasticcere italiano e una pasticcera giapponese lavorano alla produzione.

 

Quali sono le difficoltà nell'aprire un'attività in Germania dal punto di vista burocratico e organizzativo?

C'è una burocrazia un po' insidiosa. Qui per aprire devi essere quello che per noi è un maestro, titolo che qui si raggiunge dopo 5 anni di formazione, raggiungendo quindi un livello infinitamente più basso del Maestro Pasticcere italiano.

 

Come è la scena gastronomica a Berlino?

Dal punto di vista gastronomico è una città in crescita, ci sono realtà interessantissime a livello di qualità e sperimentazione.

 

All'estero sembra che l'attenzione all'estetica dei locali e delle confezioni sia molto più che in Italia e anche a vedere il suo locale ci sono molti dettagli curati. È davvero così indispensabile?

Vero, ma il peggio è che è tutto packaging, bellissimo ma a scapito di quantità e qualità. Il mio è basato sulla trasparenza, una finestra trasparente. Figurati che qua mi hanno già detto che è troppo semplice!

 

Ha dovuto adeguare qualche prodotto ai gusti tedeschi?

No, non ce n'è stato bisogno

 

Parliamo di materia prima: italiana o locale? Ed è difficile reperire gli ingredienti necessari? Cerco i prodotti migliori in termini di qualità, per cui qui per esempio panna burro sono migliori che in Italia. La cioccolata è belga. Ma ovviamente molti prodotti sono italiani, come pasta di pistacchio. Reperirli più che difficile, è costoso.

 

Quanto si conosce in Germania la nostra gastronomia? E cosa piace?

I tedeschi sono grandi amanti dell'Italia e della gastronomia italiana. Rimangono affascinati e divertiti.

 

Lei frequenta locali di colleghi italiani? Quali sono i posti che secondo lei stanno portando avanti un discorso di qualità del made in Italy?

Le pasticcerie, come ho detto sono poche, moltissime le gelaterie, oltre 600 solo qualche anno fa, e dalla qualità alta. Ci sono poi ottimi ristoranti, per lo più legati alla tradizione regionale, con pasta fatta in casa e altre proposte. Ormai ci sono tanti fornitori con prodotti scelti e freschi,e la gastronomia ne ha giovato.


Latodolce Pasticceria italiana | Germania | Berlino | Graefestrasse 11 | tel. 0049 1735937573 - 0039 3479334805 | www.latodolce.com

 

a cura di Antonella De Santis


NutriBees. La dieta personalizzata arriva a domicilio, pronta da scaldare. Con i consigli del nutrizionista

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La start up italiana è nata da qualche settimana, dall'esperienza di due 27enni con un passato alla Bocconi e nelle file di Rocket Internet. L'idea? Consegnare pasti bilanciati e personalizzati per tutta la settimana, in tutta Italia. E per l'utente c'è il test gratuito online. 

L'idea

Mario Villani Giovanni Menozzi. Due ragazzi italiani, uno barese, l’altro di Parma. Entrambi tante esperienze alle spalle: per il primo una carriera avviata all’estero, a Giacarta e Singapore dopo una laurea in Economia alla Bocconi e un master in Amministrazione e Finanza; e dalla Bocconi, con un passato in Rocket Internet (potente gruppo di e-commerce berlinese, sempre più attivo sul mercato food&grocery) e Boston Consulting, proviene anche il secondo. Altri punti in comune: classe 1989 e idee chiare sul proprio futuro. Sono loro gli ideatori di NutriBees, start up lanciata qualche settimana fa con l'idea di fornire un servizio di food delivery personalizzato e bilanciato secondo esigenze nutrizionali. Su tutto il territorio nazionale. Tramite app il servizio consegna la fornitura settimanale elaborata da uno chef in collaborazione con il nutrizionista: si comincia con la raccolta dei dati del cliente (tramite test online), dallo studio delle sue esigenze alimentari fino all'elaborazione di un menu personalizzato. All'utente non resta che sottoscrivere un abbonamento per ricevere entro il venerdì della settimana precedente piatti consegnati sottovuoto e realizzati utilizzando una tecnologia innovativa, che permette la conservazione a temperatura controllata fino a 30 giorni. Le ricette sono concertate con Anna Villarini, biologa nutrizionale di riferimento, che per NutriBees ha studiato piatti che comprendano sempre un cereale integrale, una proteina buona (pesce, carni bianche, legumi) e una verdura, secondo la logica del piatto unico. Al bando carni conservate e zuccheri in eccesso, molto contenuta la proposta di carne rossa (e comunque in arrivo da allevamenti di bestiame alimentato a foraggio).

Come funziona

Ecco perché il servizio si rivolge non solo a chi vuole rispettare la dieta senza l'incombenza di organizzare spesa e pasti prestabiliti, ma pure a chi ha voglia di sperimentare una tavola equilibrata e sana senza mettersi ai fornelli. E il menu prevede anche pietanze vegetariane e vegane, o proposte per gli allergici, oltre a una sezione di snack salutari pensati per spezzare la fame (chips di verdure disidratate, barrette di riso gli Aironi, semi misti tostati, barrette alla frutta). Insomma, tutto quello che si vorrebbe da un nutrizionista, ma a domicilio. Una volta riposte in frigo, sarà sufficiente scaldare in forno, al microonde o a bagnomaria le pietanze del giorno, secondo consigli dell'esperta. Attenzione però, a non confondere gli ambiti: Il test nutrizionale che proponiamo – spiega Mario Villani - replica una visita virtuale ma non la sostituisce. In presenza di patologie è importante che ciascuno si rivolga al suo medico. Noi siamo comunque disponibili verso ogni tipo di problema”.

 

Il menu

Per i primi mesi la piattaforma supporterà un numero di abbonamenti limitati, per rodare l'attività. Ma i costi? Con 10-12 euro si può ricevere a casa un pasto completo, indicando al momento dell'acquisto fino a 3 ingredienti non graditi, e modulando secondo esigenza il proprio pacchetto: all'aumentare delle settimane diminuisce il prezzo per singolo piatto. Qualche proposta già in carta? Paella di quinoa alla curcuma con piselli, daikon e carote, Bocconcini di pollo al timo e curcuma, riso rosso integrale e cime di rapa, polpettine di miglio con broccoletti e piselli, Salmone in crosta di mandorle con asparagi e riso integrale. Il progetto, così com'è concepito, si ispira direttamente a esperienze americane, ma anche in Italia abbiamo incontrato in passato l'esperienza di Feat Food a Milano , pur con minor possibilità di personalizzazione, e Diet to go, nata sempre a Milano, nel 2016, e oggi operativa anche a Roma. E nella Capitale ricordiamo anche l'esperienza di Andres Upegui per Alchimia Food Lab: anche in questo caso il nutrizionista sostiene lo chef nell'elaborazione di ricette studiate per le esigenze di chi deve rispettare una dieta. La differenza è che Andres può contare su un piccolo laboratorio gastronomico aperto al pubblico a pranzo e cena, in via Vercelli. Ma l'idea è quella di implementare il servizio a domicilio di piatti già pronti, sottovuoto, da scaldare nell'arco della settimana.

 

www.nutribees.com

 

a cura di Livia Montagnoli

 

Basque Culinary World Prize 2017. Niko Romito e Intelligenza Nutrizionale nella decina finalista

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Rivelati a San Sebastian i candidati al riconoscimento che premia la capacità rivoluzionaria della cucina e dei suoi ambasciatori, impegnati a migliorare il mondo attraverso progetti sociali e culturali. Come Niko Romito, tra i finalisti con il progetto a sostegno della ristorazione collettiva in ospedale. Tutti i protagonisti, in attesa della premiazione, il 18 luglio. 

Il premio

Seconda edizione per il Basque Culinary World Prize che si propone di premiare lo chef che con il suo operato agisce positivamente sulla comunità e la società che lo circondano. Il riconoscimento, che l’anno scorso finiva in Venezuela, per premiare la costanza e l’impegno di Maria Fernanda Di Giacobbe a supporto della locale microeconomia femminile legata alla produzione di cacao, si avvale del supporto di una commissione d’eccellenza, che fa capo al Basque Culinary Center di San Sebastian. E per l’edizione 2017 ha ricevuto 230 candidature – il 25% in più rispetto al 2016 – che, dopo una prima scrematura, hanno portato a stilare un elenco di 110 potenziali finalisti da 30 diversi Paesi del mondo. Al Comitato tecnico, presieduto da Elena Arzak, il compito di selezionare i 10 finalisti, rivelati qualche ora fa al Palacio Miramar di San Sebastian. Ora spetterà alla giuria guidata da Joan Roca, che riunisce i membri del Consiglio internazionale del Basque Culinary Center e nomi prestigiosi del mondo della letteratura e della ricerca, premiare lo chef che più degli altri ha dimostrato di poter fare bene fuori dalla sua cucina. Al vincitore, anche quest’anno, andrà un premio in denaro di 100mila euro, da destinare al finanziamento di un progetto sociale che evidenzi la forza della cucina e la sua capacità di cambiare il mondo. Ma per conoscere il suo nome bisognerà aspettare fino al 18 luglio, quando in Messico sarà proclamato il Basque Culinary World Prize 2017.

Niko Romito è in finale

Per ora la soddisfazione più grande arriva scorrendo la lista dei 10, che – per il secondo anno consecutivo – vede la presenza di uno chef italiano. Nel 2016 era toccato a Massimiliano Alajmo, per l’impegno dimostrato negli ultimi anni con l’associazione Tavoli Trasparenti; oggi sotto i riflettori c’è Niko Romito, sempre più protagonista sul palcoscenico internazionale (ricordiamo il balzo in avanti nella classifica dei World’s 50 Best Restaurants 2017, con un meritato 42esimo piazzamento), che sul tavolo della giuria porta la concretezza della sua Intelligenza Nutrizionale. Del progetto, sviluppato in collaborazione con l’Università La Sapienza di Roma, abbiamo già parlato diffusamente (qui e qui), evidenziandone le qualità rivoluzionarie a vantaggio di un gran numero di persone – per ora i pazienti degli ospedali coinvolti nella sperimentazione, ma la dote principale del protocollo è proprio la sua replicabilità – che pur in condizioni di disagio (problemi di salute e ricoveri prolungati) possono contare sul supporto di una dieta buona e sana. Per ripensare la logica del catering ospedaliero, Romito ha applicato tecniche e competenze maturate in anni di sperimentazioni al Reale, in grado di privilegiare valori nutrizionali e qualità organolettiche dei pasti serviti in corsia senza gravare sui costi.

Gli altri finalisti e i loro progetti

Con lui, si contenderanno il premio i colleghi di altri 7 Paesi del mondo, dagli statunitensi Anthony Myint e Dan Giusti– il primo fondatore del sistema ZeroFoodprint, per misurare l’impronto di carbonio del cibo, il secondo impegnato con Brigaid, di nuovo rivolto a migliorare la ristorazione collettiva, ma nelle mense scolastiche – al brasiliano David Hertz, fondatore di Gastromotiva e più recentemente partner di Massimo Bottura per il Refettorio di Rio. Sempre negli Stati Uniti, in California, opera il duo Daniel Patterson e Roy Choi, candidati insieme per il progetto Locol, una catena di fast food a prezzi accessibili che guarda alla qualità delle materie prime e si propone di portare spazi sicuri di aggregazione nei quartieri più disagiati delle grandi città.

Mentre statunitense d’adozione è lo spagnolo Josè Andres, già eletto tra gli uomini più influenti del pianeta dal Times per la sua capacità imprenditoriale, ma impegnato su più fronti per promuovere la valenza sociale della cucina e l’importanza dell’educazione alimentare (in passato al fianco dell’amministrazione Obama, oggi in aperto disaccordo con Trump). Nella decina figura anche un terzetto femminile: la chef turca Ebru Baybara Demir, che per i rifugiati siriani di Harran ha concepito l’Harran Gastronomy School Project, nel Sud Est del Paese; la colombiana Leonor Espinosa per il sostegno ai piccoli produttori locali e alla rete del cacao sostenibile, attraverso l’associazione Funleo; l’australiana Melinda McRostie, impegnata in Grecia per l’emergenza umanitaria dei campi profughi. Chiude, dal Messico, Ricardo Munoz Xurita, autore del Dizionario Enciclopedico della Gastronomia Messicana, che conferma il suo impegno per riabilitare e tramandare il patrimonio gastronomico tradizionale del Messico, e la sua biodiversità. Che vinca il migliore, noi facciamo il tifo per l’Italia.

 

www.basqueculinaryworldprize.com

 

a cura di Livia Montagnoli

Beneficenza e cucina d'autore. Da Capolavori a Tavola a OFF, a Più Stelle Meno Sbarre. Oltre 100 chef impegnati

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Archiviata l'edizione 2017 di Festa a Vico, nei prossimi giorni si moltiplicano cene ed eventi solidali che coinvolgono tanti volti noti della ristorazione italiana. E nel Casentino c'è un motivo in più per partecipare: la festa della cucina italiana nel mondo, che durante Capolavori a Tavola si candiderà all'Unesco. 

Facendo un conto approssimativo, il numero di chef, pasticceri e pizzaioli che dal prossimo fine settimana si ritroverrano coinvolti in grandi feste gastronomiche buone e solidali supera quota cento. Alle spalle l'ultima edizione di Festa a Vico – forse l'appuntamento più celebre del genere, soprattutto perché pionieristico - uno schieramento dei migliori rappresentanti della ristorazione italiana, seppur a distanza di centinaia di chilometri da Nord a Sud della Penisola, animeranno appuntamenti affini nelle premesse – cucinare tanto, e bene, con i prodotti d'eccellenza del territorio – e per gli obiettivi che si prefiggono: sposare la buona causa di associazioni benefiche e progetti di integrazione sociale.

Capolavori a Tavola da Simone Fracassi

Il 20 giugno, la valle del Casentino ospita la 16esima edizione di Capolavori a Tavola, che un anno dopo l'altro celebra la storica attività della macelleria Fracassi a Rassina (Arezzo), reduce dai festeggiamenti per il suo novantesimo compleanno. Un'opportunità per ripercorrere insieme a Simone Fracassi e ai suoi ospiti le vicende di una delle più autentiche realtà artigianali del territorio toscano, sottoscrivendo al contempo una campagna di beneficenza che stavolta prende una piega insolita. Le donazioni (la quota di partecipazione alla cena è di 100 euro a persona, su prenotazione) confluiranno nelle casse dell'ICW, l'Italian Cuisine in the World Association, impegnata dal 2011 a promuovere la cucina italiana nel mondo. E proprio in concomitanza con la manifestazione, dal 18 al 20 giugno, la valle ospiterà la sesta edizione dell'Italian Cuisine in the World Forum, con cuochi, ristoratori e professionisti del settore che l'enogastronomia tricolore la rappresentano in giro per il mondo.

 

Cucina italiana nel mondo. E se l'Unesco la tutelasse?

Ma c'è di più: il 20 giugno, nella mattinata al Palagio Fiorentino di Stia partirà la candidatura a patrimonio immateriale dell'Unesco della cucina italiana fuori dai confini nazionali (ricordiamo, a questo proposito, la prossima uscita di Top Italian Restaurants, prima edizione della guida che il Gambero Rosso dedica alle migliori insegne italiane nel mondo). 2500 gli chef firmatari, che pur al lavoro ai quattro angoli del pianeta rivendicano un senso comune di appartenenza culturale e sociale, sancito dalla valorizzazione delle tradizioni del Belpaese: competenze tecniche e artigianali da un lato, regole non scritte e consuetudini radicate nell'identità nazionale dall'altro. A questo scopo nascerà la Fondazione omonima, che avrà sede nel Casentino, in rappresentanza di tante preziose aree rurali d'Italia. E allora torniamo alla festa della valle e di Fracassi: in arrivo 90 artigiani del gusto, come gli anni della macelleria, protagonisti domenica e lunedì a Rassina e Bibbiena, tra pizza, pasta e creazioni d'autore; martedì, dalle 19 alle 23, la cena di gala di Borgo Corsignano, a Pioppi. Qualche protagonista? Valeria Piccini, Paolo Teverini, Luciano Zazzeri, Vincenzo Guarino, Peppe Guida, Paolo Gramaglia, Gaetano Trovato, Filippo Saporito, Marco Stabile, i pasticceri Paolo Sacchetti, Gino Fabbri, Loretta Fanella, Antonino Maresca e i pizzaioli Giovanni Santarpia, Ciro Salvo, Gino Sorbillo, Gennaro Nasti, Renato Bosco, Simone Padoan. E per l'ultima serata di Poppi anche il gelato di Sergio Dondoli, Palmiro Bruschi, Claudio Cassia Vetus, Carlo Viti.

OFF. Ottaviano Food Festival

Più a Sud, al Palazzo Mediceo di Ottaviano, l'appuntamento con Chef a Corte, apre la seconda edizione dell'Ottaviano Food Festival, più semplicemente OFF, alle pendici del Vesuvio. Il ricavato, anche quest'anno, andrà in beneficenza alla onlus SOS Sostenitori Ospedale Santobono. Pay off indicativo: Un legame tra gusto e cuore. Hanno risposto alla chiamata dello chef Alfonso Crisci, ideatore della rassegna, 50 suoi colleghi, molti in arrivo dalla Campania della ristorazione d'autore. Domenica atmosfera informale al Palazzo Mediceo: 15 euro per l'ingresso e 3 piatti chef con 3 degustazioni. Lunedì 19, invece, cena di gala all'ISIS De Medici (100 euro, su prenotazione): allievi dell'alberghiero e chef insieme in cucina. Tra i protagonisti Luigi Salomone, Peppe Stanzione, Cristian Torsiello, Giuseppe Iannotti, Alfonso Iaccarino, Francesco Sposito, Giuseppe Di Iorio, Iside de Cesare.

Più Stelle, Meno Sbarre a Torino

Torniamo a Nord per la terza edizione di Più Stelle Meno Sbarre, la cena evento organizzata da Sapori Reclusi (associazione nata da un'idea del fotografo Davide Dutto), che fa lavorare affiancati chef e detenuti lavoratori del ristorante del carcere di Torino di Liberamensa. Il 19 giugno sarà l'AC Hotel by Marriott a ospitare l'appuntamento di beneficenza (145 euro, su prenotazione). Il ricavato finanzierà il progetto Face to Face, costola delle attività di Sapori Reclusi, impegnata per restituire dignità agli emarginati. In azione, ancora una volta, volti noti del panorama gastronomico piemontese e italiano, dai fratelli Costardi ad Aimo Moroni, da Andrea Larossa Pino Cuttaia: 10 chef per 7 portate con abbinamento vini, dal Raviolo di calamaro di Pino Cuttaia al Carnaroli in abito da sera dei Costardi, a La Tinca in Piemonte di Alessandro Levo.

 

Capolavori a Tavola e Italian Cuisine in the World Summit | Casentino /AR) | dal 18 al 20 giugno | www.capolavoriatavola.it

Ottaviano Off Festival | Ottaviano (NA) | 18 e 19 giugno | info e prenotazioni arcobalenovesuviano@hotmail.com

Più stelle meno sbarre | Torino | AC Hotel By Marriott, via Bisalta, 11 | il 19 giugno, alle 20 | per info e prenotazioni 347 4715190, stefania@salconsulting.org

 

a cura di Livia Montagnoli

Mangiare lungo la via Francigena. Terza tappa: da Vercelli a Pavia

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Siamo giunti alla terza tappa del percorso sulla via Frangicena, un itinerario che porta i camminatori alla scoperta della campagna pavese, zona di risaie, lumache e rane, ma anche di architetture antiche, monasteri e affascinanti percorsi naturali.

La terza tappa: da Vercelli a Pavia

La terza tappa del cammino lungo la via Francigena attraversa il cuore della Lomellina, in provincia di Pavia. Un percorso non particolarmente impegnativo, che costeggia in parte il fiume Sesia e si snoda lungo risaie e campi coltivati, allungandosi fino al Parco del Ticino. All’interno le tratte Vercelli - Robbio (18,6 km), Robbio - Mortara (14,3 km), Mortara - Garlasco (20,7 km) e Garlasco - Pavia (25,5 km).

 

Da Vercelli a Robbio

Lasciata Vercelli, l’ultimo tratto della via Francigena piemontese si articola lungo l’argine del fiume Sesia, tra pioppi e risaie, per oltrepassare il confine con la Lombardia fra Barola e Palestro. Fondato intorno al 999 d.C., Palestro fu un centro di importanza fondamentale in epoca romana, grazie alla sua posizione strategica: nel cuore della cittadina si trova la chiesa barocca di san Giovanni Battista, risalente al XVII secolo, ma anche la chiesa di san Martino di Tours, che nel tempo ha subìto diverse modifiche e rimaneggiamenti, sino all'attuale estetica neogotica.

 

Da Vercelli a Robbio, cartello di indicazioni sulla via FrancigenaLa via Francigena da Vercelli a Robbio

Continuando il cammino verso sud est si giunge a Robbio, chiamato Redobium in epoca romana, come raccontato da Plinio il Vecchio nel suo Naturalis Historia. È famoso per il Palio dell’Urmon, una particolare gara dedicata a un albero, il grande olmo storico simbolo del paese, chiamato appunto Urmòn dal dialetto robbiese. Dopo 220 anni di vita, nel corso degli anni ‘70 del ‘900 un processo degenerativo dovuto ad un fungo rese il grande albero sempre più debole, finché non fu abbattuto, a malincuore, dalle istituzioni del borgo. Per celebrare il suo legame con i robbiesi, oltre a distribuire alcune sezioni del tronco ai cittadini, fu indetta una giornata celebrativa durante la quale 8 contrade si sfidano in diverse attività sportive. In questo centro è possibile visitare anche la chiesa di San Pietro, costruita tra il 1125 e il 1150 e considerata un gioiello dell’arte romanica.

 

Da Robbio a Garlasco, passando per Mortara

Lasciando Robbio, una serie di stradine sterrate alternate a risaie accompagnano i viaggiatori fino Nicorvo, zona molto interessante dal punto di vista naturalistico. Qui si trova la cosiddetta Agogna Morta, un’area particolarmente umida dove sono state collocate delle piante rare, in parte autoctone in parte estranee alla flora locale, così da diventare una sorta di laboratorio naturale a cielo aperto. Proseguendo verso sud e lasciando sul lato est il piccolo borgo di Ceretto Lomellina si arriva a Mortara, località di cui parla anche Ludovico Ariosto ne I Cinque Canti (1518-1519). Tra le molte architetture da visitare in questa zona, la Basilica di San Lorenzo, in stile gotico lombardo, che conserva opere pittoriche e scultoree dei secoli XV, XVI e XVII (tra cui i lavori di Paolo da Brescia, Gaudenzio Ferrari, Bernardino Lanino, Lorenzo da Mortara), e l'Abbazia di Sant'Albino, appena fuori dal centro abitato, che secondo la leggenda fu fondata da Carlo Magno nel 773. Fra le opere civili, invece, suggeriamo una visita Teatro Vittorio Emanuele II, edificato nel 1846 su progetto dell'architetto Celestino Braccio.

 

Agogna Morta, Robbio - via FrancigenaAgogna Morta, Robbio

Da Mortara, una serie di strade costellate da cascine, con qualche piccolissimo dislivello, conducono a Garlasco, dopo aver oltrepassato il piccolo borgo di Tromello. Di fondazione pre-romana, Garlasco ospita la chiesa di Santa Maria Assunta, costruita in stile corinzio fra il 1715 e il 1783, e l’affascinante Santuario della Madonna della Bozzola (1465). La frazione Bozzola si estende all’interno dell'area protetta del Bosco del Vignolo, zona caratterizzata da una notevole biodiversità, grazie anche alla presenza di numerose risorgive e fontanili.

 

Da Garlasco a Pavia

Subito dopo Garlasco il tracciato della via Francigena si sovrappone a quello interno al Parco del Ticino, in particolare al sentiero E1, da cui si gode di splendidi panorami sul fiume, sui fitti boschi di pioppi, salici e ontani. È questa una zona riccamente popolata da uccelli, pesci e mammiferi di piccola taglia.

 

Certosa di PaviaCertosa di Pavia

Appena entrati nel parco si giunge a Gropello Cairoli, edificata lungo una strada medievale, che ospita le chiese di San Rocco e San Giorgio Martire. Superata Villanova d'Ardenghi, un tempo possedimento del monastero di Santa Maria Teodote di Pavia, dopo pochi chilometri si arriva nei pressi del Ponte Coperto, chiamato anche Ponte Vecchio, che porta nel cuore di Pavia. La città vanta un grande patrimonio artistico e culturale e coloro che decidono di soggiornarvi avranno dunque l’imbarazzo della scelta sulle mete delle loro visite. Dalla celebre Certosa, fondata nel 1396 e considerata uno dei monumenti più importanti del Rinascimento, al Duomo dedicato a Santa Maria Assunta e al proto martire Santo Stefano, un imponente edificio con pianta a croce greca e una maestosa cupola ottagonale in muratura, tra le più grandi d’Italia per altezza ed estensione. Un'altra architettura che vale la pena visitare è la Basilica di San Michele Maggiore, considerato un capolavoro dello stile romanico lombardo, famosa anche per aver ospitato, nei secoli, sfarzose cerimonie e incoronazioni, tra cui anche quella di Federico I Barbarossa, nel 1155.

 

Pavia, la lavandaia - foto di Michele CassaniPavia, la lavandaia - foto di Michele Cassani

Con Pavia si conclude la terza tappa della via Francigena, viaggio che ci porterà alla scoperta dei percorsi più suggestivi e delle migliori tavole lungo questo itinerario storico, che porta fino a Roma. Ci troveremo per la quarta tappa nei prossimi giorni.

 

CONSIGLI DALLA GUIDA RISTORANTI 2017

Guallina (Mortara)

Oltre 25 anni di storia per questa trattoria dall’aria informale ma curata, situata nell’omonima frazione del comune di Mortara. Il menu ruota intorno alle ricette locali e cambia secondo la stagionalità e la disponibilità di prodotti. Piatto di punta da sempre è l’oca, cotta al forno e accompagnata dalle immancabili patate, ma anche le portate che vedono protagoniste rane e lumache sono celebri fra gli avventori. Interessanti proposte dal carrello dei formaggi. Carta dei vini non molto ampia ma che ben si abbina alla proposta gastronomica. Due Gamberi nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

 

Ressi (Pavia)

Una trattoria elegante e raffinata a pochi metri dall’orto botanico di Pavia. Il menu di Cristina Falavigna si divide fra i classici della gastronomia pavese e proposte più creative. In sala Marco Bortolotti accoglie i clienti suggerendo i migliori abbinamenti, grazie anche a una cantina piccola ma zeppa di etichette di qualità. Buoni i dolci della casa, fantasiosi e golosi. Un Gambero nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

 

CONSIGLI DALLA GUIDA PIZZERIE D’ITALIA 2017

 

Cascina Vittoria (Rognano)

Un indirizzo di riferimento per la pizza napoletana nei dintorni di Pavia. Il locale è una cascina ristrutturata e arredata con colori caldi, dotata di orto esterno che rifornisce la cucina. La pizza, fragrante e molto digeribile, ha un cornicione alto e morbido, proposto anche in versione ripiena. Farine macinate a pietra, lievitazioni di 48 ore e topping realizzati con ingredienti di qualità fanno il resto. In menu anche piatti della tradizione e ottime carni alla brace. Uno Spicchio nell’edizione 2017 della guida Pizzerie d’Italia.

 

Da Pupetta (Vercelli)

Un occhio alla tradizione e uno alla creatività, per questo locale che propone pizza all’italiana nel cuore di Vercelli. Oltre agli impasti classici e integrali, diverse le sperimentazioni, come quello con farina di riso o il mix creato per la specialità al padellino. Lievitazioni lunghe rendono il prodotto soffice e fragrante allo stesso tempo, mentre i condimenti sono realizzati con materie prime del territorio. Ampio il menu, con una trentina di proposte fra quelle classiche e quelle più fantasiose. Buona la cantina, con selezione di vini e birre artigianali della zona. Uno Spicchio nell’edizione 2017 della guida Pizzerie d’Italia.

 

La Piedigrotta (Vercelli)

Da oltre 40 anni al timone di questa pizzeria di Vercelli, la famiglia Tagliafierro propone una pizza all’italiana sottile, croccante e molto profumata. Le farine sono selezionate con cura, i prodotti utilizzati sono di aziende locali e i gusti piuttosto classici, anche se non manca qualche variazione, soprattutto nel periodo estivo. In menu anche piatti di pesce e qualche ricetta della cucina vercellese. Da bere birre alla spina e una piccola selezione in bottiglia. Due Spicchi nell’edizione 2017 della guida Pizzerie d’Italia.

 

CONSIGLI DALLA GUIDA PASTICCERI&PASTICCERIE 2017

 

Barbieri (Pavia)

Una produzione dolciaria non ampissima ma di grande qualità per questa pasticceria nel cuore di Pavia. Cavallo di battaglia è il Lattemiele, un bignè farcito con crema chantilly e ricoperto da granella di zucchero. Ma qui si possono assaggiare anche ottime brioches, cornetti semplici o farciti, tartellette alla frutta e alla marmellata. Interessante il reparto torte, con la torta ticinese a farla da padrona, così come quello dei semifreddi. Una Torta nell’edizione 2017 della guida Pasticceri&Pasticcerie.

Vigoni (Pavia)

È la pasticceria più antica di Pavia, fondata da Enzo Vigoni nel 1878. Gli arredi in stile liberty e l’eleganza delle linee caratterizzano il locale, così come la torta paradiso, inventata dal titolare nel secolo scorso e fatta sempre a regola d’arte. Ampio il reparto di biscotteria classica, dai krumiri ai baci di dama, passando per gli ovis mollis farciti. Piccolo angolo bar per la colazione, con brioches fragranti e arricchite da marmellate di vario tipo. E ancora cannoncini di sfoglia, crostate e ventaglietti. Una Torta nell’edizione 2017 della guida Pasticceri&Pasticcerie.

 

CONSIGLI DALLA GUIDA BAR D’ITALIA 2017

Caffè Janko (Pavia)

Un paradiso per gli amanti del caffè, tappa imperdibile per gli appassionati di questa bevanda. Tante le proposte, con specialità da ogni angolo del mondo, dai prodotti più aromatici ai più delicati, in diversi gradi di tostatura per soddisfare ogni esigenza. Ampia l’offerta anche dei dolci, in particolare sui biscotti classici e sulle tavolette di cioccolato, ma molto varia anche l'offerta di torte e crostate. Punto di forza del locale le caramelle artigianali in diversi gusti. Tre Chicchi e Due Tazzine nell’edizione 2017 della guida Bar d’Italia.

 

indirizzi

Caffè Janko | Pavia | corso Strada Nuova, 19 | tel. 0382 32289 | www.janko.it

Cascina Vittoria | Rognano (PV) | via Roma, 26 | tel. 0382 923772 | www.cascinavittoria.it

Barbieri | Pavia | corso Strada Nuova, 3 | tel. 0382 300135

Da Pupetta | Vercelli | corso Libertà, 29 | tel. 0161 257784 | www.facebook.com/Da-Pupetta-202366616761686/?rf=263200487113348

La Piedigrotta | Vercelli | corso Libertà, 87 | tel. 0161 254818 | www.facebook.com/La-Piedigrotta-Ristorante-pizzeria-681457111953180/?rf=150364508334536

Guallina | Mortara (PV) | fraz. Guallina | via Molino Faenza 19 | tel. 0384 91962 | www.trattoriaguallina.it

Ressi | Pavia | via Adeodato Ressi, 8 | tel. 0382 20184 | www.ristorantetrattoriaressi.it

Vigoni | Pavia | corso Strada Nuova, 110 | tel. 0382 22103 | www.tortavigoni.com

 

 

a cura di Francesca Fiore

 

 

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Dove mangiare il gelato a Bologna. Le migliori 6 gelaterie della città

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È tra le merende preferite da grandi e piccini, il dolce in grado di mettere tutti d'accordo: il gelato in estate (e non solo) è un piacere unico, ma dove gustare il migliore? Ogni città ha i suoi indirizzi d'eccezione, a cominciare da Bologna, che vanta ben 6 insegne d'autore.

Il gelato a Bologna

La dotta, la rossa, ma soprattutto la grassa. Della storia gastronomica di Bologna si sa moltissimo. Ma la città dei portici ha tanto da offrire in materia di cibo, non solo quello di tradizione, specialmente negli ultimi tempi, quando abbiamo assistito a una rivoluzione della ristorazione cittadina, con nuove aperture, format intriganti e soluzioni innovative. Ci sono i grandi classici di questa zona, dalla lasagna ai tortellini, dalla torta di riso alle tagliatelle, ma oltre alle specialità emiliane, durante un viaggio a Bologna non può mancare la pausa gelato. Il capoluogo emiliano è, infatti, uno dei più interessanti di tutta la Penisola per quantità e qualità dell'offerta, con ben 6 diversi indirizzi d'eccezione dove poter gustare un ottimo gelato artigianale. Da quello biologico ai gusti più insoliti, dal gelato di tradizione a quello più contemporaneo, la proposta è ampia e variegata, in grado di accontentare tutti. La nostra guida Gelaterie d'Italiaha decretato le insegne migliori della città, individuando 3 locali eccellenti, premiati con i Tre Coni (massimo riconoscimento) e altri 3 ottimi, premiati con i Due Coni.

Cremeria Santo Stefano– Tre Coni

In pieno centro città, in via Santo Stefano, è il gelatiere Mattia Cavallari a deliziare il palato di bolognesi e turisti. Ad aprire il laboratorio invece, è stato papà Gianni, 10 anni fa, insieme alla moglie Marzia. Alla base di tutto c'è il latte fresco del Sud Tirolo, affiancato da quello di una piccola latteria della zona. L'offerta è ampia e comprende gusti classici e altre specialità della casa nata dalla creatività del giovane Mattia, come il Teobroma, un sorbetto al cioccolato con massa pura 100%, acqua, zucchero di canna e miele, o ancora il Chai a base di spezie e il tè Matcha. Ma i gusti qui cambiano di continuo in base alle stagioni e i frutti che offre la terra. Accanto al gelato, si preparano anche focaccine, pain au chocolat, croissant al burro e grandi lievitati con lievito madre, oltre alle creazioni in cioccolato durante il periodo invernale.

Cremeria Scirocco– Tre Coni

Più periferico invece è l'indirizzo di via Barelli, dove risiede uno dei migliori gelatieri d'Italia, Andrea Bandiera, che a Bologna ha creato un vero tempio del gusto. Sono stati i viaggi in Sicilia a spingere l'artigiano ad approfodire questa eccellenza italiana, riproponendola con uno stile personale. Un gelato ispirato alla tradizione siciliana, dunque, ma fortemente influenzato dalle origini emiliane di Andrea. Punto di forza della bottega sono i gusti salati, fra cui alici e pinoli, peperone, carota e aceto balsamico, ricotta e mortadella, fiordilatte con anice stellato, chiodi di garofano e composta di cipolle caramellate. Non manca ovviamente, l'offerta dolce, basata sull'utilizzo esclusivo di latte crudo di una fattoria locale e tanti ingredienti freschi selezionati scrupolosamente dal gelatiere. Un amante della cultura siciliana come lui non può, infine, esimersi dalla preparazione delle granite.

Stefino –Tre Coni

Stefano Roccamo, patron di Stefino (insegna da due anni presente anche nella Capitale) si dedica da tempo alla preparazione di gelati per chi soffre di intolleranze alimentari, ma non solo. Un prodotto buono, genuino, etico: quello di Stefino è un gelato in grado di rispondere alle diverse esigenze alimentari e si basa interamente su prodotti certificati bio. Per realizzarlo, il gelatiere si serve inoltre di un sistema eco-sostenibile in grado di recuperare l'acqua di raffreddamento dei frigoriferi e dei pozzetti, facendo così sempre attenzione all'impatto ambientale. Eco-sostenibile è poi anche il packaging, realizzato con materiali riciclabili. I prodotti invece, sia gelati che sorbetti, sono privi di glutine, grassi idrogenati, emulsionanti e stabilizzanti, e realizzati a partire da latte di Pezzate Rosse che pascolano allo stato brado, oppure di capra, pensato per gli intolleranti al lattosio, oltre a quello di riso germogliato, adatto anche ai vegani. La frutta è tutta di stagione gli unici addensanti sono quelli naturali come il kuzu (pianta selvatica rampicante originaria del Giappone) e il baobab. Fra i gusti più originali spiccano il wasabi, il sorbetto di mosto d'uva di Morro d'Alba, Indie e fondente al pistacchio.

Galliera 49 –Due Coni

Piccolo ma dalla proposta ampia, il locale di Maurizio, Jacopo, Valerio e Fabio, i quattro amici che nel 2012 hanno deciso di lanciarsi in una nuova avventura a tutto gusto, è oggi una delle insegne più apprezzate in città. Pistacchio di Bronte Dop, nocciole Piemonte Igp dell'Alta Langa, mandorle siciliane biologiche di Mazzarino, mango e pompelmo rosa dalla Sicilia, mirtilli neri dell'Appennino modenese: la ricerca delle materie prime è alla base del lavoro, uno studio approfondito sui prodotti a cui i soci si dedicano nei mesi invernali, da novembre a fine febbraio, durante i quali la gelateria rimane chiusa. Niente addensanti o semilavorati, e attenzione anche agli zuccheri: gli unici ammessi da Galliera 49 sono quello di canna equo solidale e quello di cocco. Il latte invece arriva dall'Alto Adige, e accanto al gelato è possibile gustare le focaccine d'autore del maestro pasticcere Gino Fabbri.

Il Gelatauro –Due Coni

È il '98 quando Giovanni Figliomeni inaugura la sua gelateria, oggi trasferita al piano terra di uno palazzo ottocentesco, in un locale con accoglienti arredi d'epoca. Il Gelatauro propone gusti classici e semplici, dal sapore autentico, come vuole la tradizione: c'è il pistacchio di Bronte, la nocciola Igp Piemonte, ma ci sono anche alcune creazioni originali dell'artigiano, come il Regno delle due Sicilie con pistacchio, mandorle e pan di Spagna al liquore, zucca e cannella, e lo zenzero candito bio. La frutta proviene dai mercati contadini della città, a eccezione del mango e dell'anona, un frutto esotico che ricorda la pera, che arrivano dalla Sicilia. Imperdibile il sorbetto al cioccolato, realizzato a partire da un'antica ricetta del 1912 ritrovata in un volume di Giuseppe Grifoni, maestro gelatiere bolognese che in passato deliziava il palato di Giosuè Carducci.

Sorbetteria Castiglione –Due Coni

Un punto di riferimento per gli amanti del gelato a Bologna. Sorbetteria Castiglione nasce nel '94 per opera di due appassionati: Marina Marchiori e Giacomo Schiavon, che si erano precedentemente fatti le ossa presso la storica gelateria Pino. Gusti naturali e che cambiano di volta in volta, assecondando il ritmo della natura, nessun utilizzo di grassi vegetali, coloranti o glutine. Gelato a parte, da Sorbetteria Castiglione ci si va anche per gustare le paste di pistacchi siciliani e, naturalmente, i sorbetti (tutti senza lattosio), i semifreddi, le torte gelato e le brioche. Fra i gusti più apprezzati il cachi, la crema al limone, la cassata e il cioccolato, che si è aggiudicato la medaglia di bronzo al Campionato del mondo di gelateria nel '96. La gelateria conta oggi tre sedi, quella storica in via Castiglione, una in via Murri, appena fuori Porta Santo Stefano, e una in via Saragozza.

Cremeria Santo Stefano | Bologna | via Santo Stefano, 70 | tel. 051227045 | www.facebook.com/CremeriaSantoStefano/

Cremeria Scirocco | Bologna | via Barelli, 1 d | tel. 0516010051 | www.facebook.com/cremeriascirocco/

Galliera 49 | Bologna | via Galliera, 49b | tel. 051246736 | www.facebook.com/GelateriaGalliera49/

Il Gelatauro | Bologna | via San Vitale, 98 b | tel. 051230049 | www.facebook.com/pages/Il-Gelatauro/203460259704363

Sorbetteria Castiglione | Bologna | via Castiglione, 44 d – via Murri, 81 c – via Saragozza, 83 | tel. 051233257 | www.lasorbetteria.it/

Stefino | Bologna | via San Vitale, 37 a | tel. 0515874331 | www.stefino.it/

a cura di Michela Becchi

Birròforum 2017, le birre artigianali e il fritto misto all’italiana protagonisti a Roma

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Uno spazio open air di oltre 6mila metri quadrati dedicato alle migliori produzioni brassicole del Paese. È Birròforum, la rassegna dedicata alla birra artigianale, dal 15 al 18 giugno a Roma. Un week end lungo di degustazioni, laboratori e seminari sui processi di birrificazione, ma ricco anche di specialità gastronomiche, grazie alla nuova partnership con Fritto Misto.

Birròforum 2017, protagonisti e novità

Una full immersion per conoscere più da vicino il mondo dei birrifici italiani, i migliori abbinamenti, ma anche le tecniche di produzione e conservazione della birra. Torna come ogni anno Birròforum, il festival dedicato alla bevanda di Cerere e alle aziende artigianali dello Stivale, con 20 birrifici protagonisti di questa edizione. Negli oltre 6mila metri quadri all’aperto del Lungotevere Maresciallo Diaz, appassionati e curiosi potranno assaggiare le specialità di Birra 100 Venti, Sti Malti, Birradamare, Oxiana , Insieme Birra, Birra Losa, Casa Veccia, Turbacci, Ibeer, Picobrew, Birra Troll, Birrificio Nadir, Birrificio Babylon, Alta Quota, Il Mastio, Itineris, East Side Brewing, Birra Irias, Birra Ravello, Bcr Beer Company.

Ma la birra non sarà la sola star del festival: novità di quest’anno è il gemellaggio con Fritto Misto, il festival dedicato alla frittura che si svolge ogni anno nel centro storico di Ascoli Piceno. Per la prima volta, la rassegna marchigiana che presenta le tradizioni del “fritto misto all’italiana” ha deciso di “emigrare” nella Capitale, per fare il paio con le specialità della produzione brassicola. Via libera dunque a golosità da tutta la penisola, dalle alici fritte ai filetti di baccalà, dagli arancini ai panzerotti, passando per lo gnocco fritto modenese, i maccheroncini di Campofilone e la paranza. Inoltre, qualche chicca dallo street food estero come tacos e involtini primavera.

 

Il programma

Lungi dall’essere un semplice festival godereccio, Birròforum propone tanti momenti di approfondimento dedicati a coloro che vogliono conoscere il mondo della birra da una prospettiva più tecnica e specialistica. Sotto l’etichetta “4 chiacchiere con il mastro birraio” diversi eventi accompagneranno gli appassionati nel mondo della produzione vera e propria, ma anche dell’analisi sensoriale e del pairing. Fra gli appuntamenti, da non perdere i seminari sulle birre a bassa fermentazione, sui prodotti a lunga maturazione, sulla degustazione consapevole, ma anche laboratori geografici sulle specialità inglesi e belghe.

Inoltre, la sezione “Birretta da Chef”, in collaborazione con la Cinegustologia di Marco Lombardi: 4 cene che avranno come protagonista l’arte culinaria e brassicola insieme al grande cinema. Fra gli chef coinvolti nella rassegna Massimo Viglietti (giovedì 15 giugno), Susanna Spioni (venerdì 16 giugno), Arcangelo Dandini (sabato 17 giugno), Davide Scabin (domenica 18 giugno).

Il biglietto d’ingresso alla manifestazione costa 8 euro ed è comprensivo di bicchiere da degustazione, sacchetta portabicchiere e partecipazione gratuita agli eventi, mentre per le cene di “Birretta da chef” il prezzo è variabile ed è necessaria la prenotazione.

Birròforum | Roma | Lungotevere Maresciallo Diaz - Zona Farnesina | dal 15 al 18 giugno 2017 | dalle ore 19:00 alle 02:00 | biglietto di ingresso €8 | www.birroforum.it

 

 

a cura di Francesca Fiore

 

Scoprire Gioia del Colle. Dal Primitivo alle ciliegie Ferrovia, passando per olio e formaggi

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La Murgia è un altopiano carsico dove accanto alle viti che narrano una storia lontana di trasmigrazioni dell'Adriatico, si coltivano delle saporite ciliegie dal colore rosso vivo, a forma di cuore

Il Primitivo di Gioia del Colle è una delle aree e delle denominazioni di maggiore interesse, nell'ambito del panorama vinicolo pugliese. L'uva primitivo con circa 11.000 ettari di vigneto totali, è una delle più diffuse della regione e ha due poli di riferimento: il primo, nel tarantino con la Doc Primitivo di Manduria e la Docg Primitivo di Manduria Dolce Naturale (3140 ettari) e il secondo nella Murgia barese (1000 ettari) proprio con la Doc Primitivo di Gioia del Colle. La restante parte della superficie vitata a primitivo (6860 ettari), è spalmata nel resto del territorio regionale e in altre denominazioni tra cui Gravina, Lizzano, Terre d'Otranto oltre che nelle sei Igp regionali.

gioia del colle

Castello di Gioia del Colle

 

Un territorio carsico

Gioia del Colle, il comune in provincia di Bari che ha dato il nome alla denominazione, sorge sull' altipiano della Murgia (toponimo derivato dal latino murex, roccia aguzza), un territorio carsico, a 365 metri sul livello del mare. Qui, a metà strada tra l'Adriatico e lo Ionio, le aziende e i vigneti, oltre a Gioia, sono distribuite in diversi altri comuni (Acquaviva, Adelfia, Casamassima, Cassano, Castellana Grotte, Conversano, Grumo, Noci, Putignano, Rutigliano, San Michele di Bari, Santeramo, Turi ed in parte Altamura). La caratteristica saliente è la pietra calcarea che qui, dopo aver bonificato i terreni per renderli adatti alle coltivazioni, serve per la costruzione dei muretti a secco, dei trulli e delle casìdde, le tipiche costruzioni rurali. Sono suoli poco fertili, magri, con presenza di terre rosse, dovute alla trasformazione del calcare, dove le radici delle viti si fanno spazio con difficoltà, spesso aggirando o penetrando le screpolature dello strato roccioso sottostante. Nella Murgia non ci sono corsi d'acqua superficiali ma solo sotterranei. In generale il clima della Bassa Murgia è del tipo caldo-arido con una piovosità molto variabile – tra gli 800 e 400 millimetri annui- per lo più concentrata nel periodo autunnale invernale. A Gioia le temperature in inverno oscillano tra -2 e +12°C. mentre in estate variano tra +18 e +35°C., con un'elevata percentuale di umidità.

 

Un primitivo diverso

In questo contesto il primitivo, se opportunamente allevato e raccolto al momento giusto, tra la fine di agosto e i primi di settembre, non ha quella tendenza alla surmaturazione così spiccata come in altri areali e riesce a conservare l'acidità. Per il resto i caratteri sono quelli del primitivo cioè un ricco tenore zuccherino a cui corrisponde un altrettanto elevato grado alcolico, concentrazione importante, profumi fruttati (ciliegia, marasca, ecc.) e di confettura (prugna, frutti rossi, ecc.) ma anche i toni speziati. Il Primitivo di Gioia del Colle, grazie a questa sensazione di maggiore freschezza, si differenzia dal primitivo degli altri areali.

 

Il Consorzio Tutela Vino Doc Gioia del Colle

La produzione è quasi interamente rappresentata nel Consorzio (fondato nel 2001) e attualmente presieduto da Vito Donato Giuliani. Gli associati sono una quarantina, 16 dei quali sono produttori-imbottigliatori. Attualmente il Consorzio è in attesa di ottenere dal Mipaaf, l'incarico per esercitare l'erga omnes. Presto, inoltre, si aggiungerà un nuovo produttore. L'azienda Leone De Castris infatti ha destinato 5 dei 50 ettari della Masseria Donna Nicoletta in Comune di Noci al Primitivo di Gioia.

 

Un vitigno di successo

L'uva deve il suo nome alla maturazione precoce, dal latino “primativus” e dall'italiano antico “primaticcio” (entrambi nel significato di “primo a maturare”). Fu un canonico di Gioia del Colle appassionato di botanica, Filippo Francesco Indellicati, nella seconda metà del Settecento, il primo a denominarlo così. In precedenza, i nomi erano diversi. A Manduria, il vitigno approdò nel 1881, grazie ad alcune barbatelle portate in dote da Gioia del Colle dalla contessa Sabini di Altamura, andata in sposa al nobiluomo Tommaso Schiavoni Tafuri. L'espansione da Manduria a tutto il tarantino, fino a costituirne uno degli assi portanti dell’economia locale, avvenne dopo il 1920. Sempre in quegli anni il vitigno si estese all’area del Salento e oltre e arrivò anche a Mondragone, in provincia di Caserta, nello stesso territorio dove in epoca romana si produceva il celeberrimo Falerno.

 

Una storia intricata che solo l'analisi del Dna ha chiarito

Il mistero dell'origine del vitigno è durato sino a qualche tempo fa. Inizialmente, nel 1967, un ricercatore dell'Università di Davis (California) durante un viaggio in Puglia rilevò la somiglianza dell'uva e del vino Primitivo con lo Zinfandel americano, vitigno importato in California, da una collezione varietale austriaca intorno al 1820. Solo nel 1994 però, l'identità genetica tra i due fu definitivamente accertata. Poi nel 2001 ulteriori ricerche dimostrarono la parentela del Primitivo con il Crljenak Kastelanskj, un vitigno croato – imparentato anche con il Plavac Mali (Dingač) - di cui sono rimasti pochi ceppi sulla costa e su alcune isole dalmate. Adesso, in base ai riscontri, possiamo affermare con certezza una sostanziale identità genetica tra il Primitivo pugliese, lo Zinfandel americano ed il Crljenak Kastelanskj croato. Quindi è altamente probabile che il Primitivo sia approdato in Puglia dall'altra sponda dell'Adriatico anche se non sappiamo in quale periodo sia avvenuto: se millenni fa, sulla scia delle migrazioni greche e illiriche oppure nel XV° o XVI° secolo quando le popolazioni slave e greco albanesi (gli schiavoni) si rifugiarono in Puglia sfuggendo alle persecuzioni turco ottomane. Un mistero, quello del quando, destinato a durare.

 

Le etichette da non perdere assolutamente

Gioia del Colle Primitivo 17 2013 Polvanera; Gioia del Colle Primitivo Muro Sant'Angelo Contrada Barbatto 2013 Chiaromonte; Gioia del Colle Primitivo Riserva 2013 Cantine Tre Pini; Gioia del Colle Primitivo Senatore 2010 Coppi; Gioia del Colle Primitivo Baronaggio Riserva 2013 Giuliani; Gioia del Colle Primitivo Riserva di Pietraventosa 2011 Pietraventosa; Gioia del Colle Primitivo Plantamura Riserva 2013 Plantamura; Gioia del Colle Primitivo Marpione Riserva 2013 Tenuta Viglione; Gioia del Colle Primitivo Drumon 2013 Agricola Cannito.

 

turi ciliegie ferrovia

Non solo uva. Le ciliegie Ferrovia

L'area in cui si alleva l'uva primitivo coincide con la zona di produzione di un altro prodotto tipico: una specifica varietà di ciliegie rosse, dolci, succose e a forma di cuore. Si tratta di una produzione importante che supera, in Puglia, i 500.000 quintali di ciliegie l'anno, su circa 17.000 di ettari coltivati. L'80% nasce nella zona sud est della provincia barese cioè quasi gli stessi comuni (Acquaviva delle Fonti, Alberobello, Casamassima, Conversano, Castellana Grotte, Gioia del Colle, Noci, Putignano, Sanmichele, Turi) dove nasce anche il Primitivo di Gioia. Le tre varietà principali coltivate sono Bigarreau, Giorgia e Ferrovia ma è soprattutto quest'ultima la più legata al territorio. Le sue origini risalirebbero tra gli anni 40 e 50 dello scorso secolo quando le caratteristiche di serbevolezza la resero più adatta di altre varietà, al trasporto ferroviario – da qui il nome Ferrovia. La qualità del frutto, la polpa dura, il sapore dolce e intenso, la forma a cuore, favorirono la sua diffusione. Solo a Turi, la superficie coltivata raggiunge i 3700 ettari da cui si ottengono 100.000 quintali di ciliegie. Il Comune fa parte dell'Associazione nazionale Città delle Ciliegie, con sede a Marostica (VI) a cui aderiscono 60 comuni di una dozzina di regioni italiane. L'obiettivo condiviso, la promozione delle tante proprietà - depurative, disintossicanti, diuretiche, antireumatiche, ricche di vitamine A e C - delle ciliegie.

 

Ulivi e olio, l'oro verde di Puglia

Ma la Puglia è anche, storicamente, zona di ulivi e, conseguentemente di olio, con tantissime aziende di grande qualità e una produzione che per quantità la caratterizza come uno dei territori olivicoli più importanti al mondo. Il valore di questa regione, nel panorama dell'extravergine di oliva, è perciò sempre molto alto, con un fenomeno particolare: la tendenza a vendere direttamente le drupe, commercializzandole in pianta (o appena raccolte) e quindi non trasformate nel prezioso oro verde.

Sempre a seguire le tracce della zona di produzione del Primitivo e delle ciliegie Ferrovia, troviamo diverse aziende e cultivar. Ad Acquaviva delle Fonti, l'azienda Chiaramonte, tra le più importanti per quanto riguarda il Primitivo, produce anche un monovarietale di coratina (da circa 4mila ulivi di proprietà), entrato quest'anno per la prima volta nella guida Oli d'Italia con Due Foglie (su una valutazione massima di Tre Foglie). Non manca, nell'azienda, anche un ciliegeto.

Ad Alberobello c'è PietroIntini: 9 etichette e 5 cultivar, tra cui la Cima di Mola e la Coratina che quest'anno ha vinto il premio come Miglior Fruttato Intenso nella guida Oli d'Italia 2017. Grande lavoro in campo, conoscenza approfondita delle varietà locali e grande abilità in frantoio: si potrebbe tratteggiare così il profilo di questo produttore che ogni anno si assesta su livelli qualitativi di grande rilievo.

 

for di latte

Produzione casearia: formaggi freschi a pasta filata

Il clima secco e il territorio arido e pianeggiante fanno della Puglia una regione difficile per il foraggio, ma in questa striscia di terra l'allevamento, del resto questi erano gli approdi della transumanza, che spostava il bestiame dall'Abruzzo fino qui, in cerca di pascolo. La produzione casearia raggiunge livelli di grande pregio, soprattutto nei formaggi freschi a pasta filata, fior di latte, trecce, nodini e stracciate. Prodotti nelle masserie, oggi recuperate a punteggiare il panorama rurale di monumenti in pietra che celebrano la vita contadina. Vogliamo concentrarci sui fior di latte, a torto considerati fratelli minori della mozzarella, con cui condividono aspetto e tecnica di lavorazione. Meno richiesti delle Dop di bufala, ma che – in caso di prodotti realizzato artigianalmente con cura - non hanno nulla da invidiare ai prodotti bufalini. Il sapore è più delicato e amabile, fresco e piacevolmente acidulo, meno selvatico e robusto della mozzarella di bufala e dalla consistenza più morbida.

 

 

INDIRIZZI

 

B&B Giardino dei Ciliegi | Turi (BA) | Strada Sammichele 73 | tel. 080 8910055- 329 1741256 | www.ilgiardinodeiciliegituri.com

Il Giardino dei Ciliegi oltre ad essere un B&B immerso nel verde, è anche sede di una azienda agricola biologica, di 3 ettari e mezzo condotta dalla proprietaria, Antonella Masi. Si producono in prevalenza olio d’oliva e ciliegie di varia qualità tra cui Bigarreau, a polpa tenera e carnosa, la Giorgia, leggermente acidula, la Ferrovia, ricca e saporita. In stagione albicocche, pesche, percoche,fichi, fioroni, noci,cachi, pere.

Masseria Montepaolo | Conversano (BA) | C.da Montepaolo, 2 | tel. T. +39 080 4955087 // +39 335 1331586 | http://www.montepaolo.it/it/

La masseria è una dimora di charme a 3 km dalla città d'arte di Conversano. Dimora di caccia del XVI° sec. dei Conti Acquaviva D’Aragona, fu acquistata nel 1857 da un antenato di Ninì Bassi Metta che gestisce la struttura dotata di 10 camere e di un ristorante. Racchiusa da un muro a secco, ha un bel giardino, piscina e una chiesetta rurale con affreschi del 1642. La costruzione, tutta in pietra locale, conserva intatto il fascino medioevale e domina su un parco naturale protetto dal WWF.

 

Pashà Ristorante | Conversano (BA) | Via Morgantini 2 | tel. 080 495 1079 - 373 800 2809 | www.ristorantepasha.com

Antonello Magistà è il patron del ristorante che in cucina vede sua madre la chef Maria Cicorella. Nei locali sottostanti all'ex seminario, proprio accanto, alla piazza del paese, si può gustare una cucina innovativa con saldi legami territoriali. A partire dall'antipasto di pesce crostacei e riso e limone cipollato alle orecchiette al ragù bianco di pecora, verdure novelle e fondente di caciocavallo. Secondo di maialino, pane alle acciughe e maionese alla senape. Lista dei vini regionale con ampia scelta nazionale. Da mettere in conto circa 60 euro.

In Alto Vineria | Bari | piazza Mercantile, 62 | tel. 080 8806531 | https://www.facebook.com/inaltovineria/

Buoni vini regionali oppure birre artigianali in pieno centro di Bari, insieme a tutte le specialità delllo street food pugliese. Taralli, focacce calde, panini, taglieri di salumi o di formaggi. Si può scegliere di mangiare all'aperto oppure all'interno. Ambiente accogliente, servizio gentile, conto misurato.

 

Visita alla città di Turi e ai suoi monumenti

Informazioni presso L'Associazione Il Viandante tel. 338 3043398- mail: ass.ilviandante@live.it

 

Bari sotterranea

È un itinerario, con il supporto didattico e scientifico degli archeologi, nel sottosuolo della città vecchia che permette di andare indietro nel tempo sino all’età romana, per poi poi proseguire nell'epoca bizantina e con gli scorci urbani di mille anni fa. I percorsi prendono avvio dal Castello Normanno Svevo per proseguire nella Cattedrale romanica e si concludono nell'area archeologica di Palazzo Simi.

Tel. 3409546476 | segreteria@eventidautore.it

 

 

a cura di Andrea Gabbrielli

 
 
 

Vota il tuo Bar illy 2018. Il preferito dai consumatori entrerà in guida Bar d'Italia 2018

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Dalla collaborazione tra Gambero Rosso e illy nasce il contest Bar illy 2018, che chiede ai consumatori di sostenere il proprio bar preferito, votandolo online per garantirgli l'accesso alla guida Bar d'Italia 2018. Ecco come partecipare. 

Il prossimo autunno, come ogni anno, porterà con sé una nuova edizione della guida Bar d'Italia del Gambero Rosso, che da 18 anni racconta l'evoluzione di caffetterie e bar della Penisola, con tanti indirizzi che danno conto di un settore dinamico, informale, vivace. Concentrando l'attenzione sul luogo privilegiato di tanti momenti della giornata tipo di ogni italiano. Ecco perché, dalla partnership con illy, fedele alleato di tante edizioni, nasce il desiderio di coinvolgere chi ogni giorno frequenta i bar della sua città, offrendo a tutti la possibilità di votare l'insegna preferita. Il bar più votato sarà inserito nella guida Bar d'Italia 2018 come Bar illy 2018. Ma come si può partecipare?

C'è tempo fino al 30 giugno 2017 per esprimere la propria preferenza online tra i bar illy coinvolti nell'iniziativa: al link dedicato gli utenti saranno chiamati a compilare un form, indicando in quale regione e città si trova il proprio bar preferito, prima di selezionare il nome prescelto. Pochi minuti per completare la votazione, indicando pure il motivo della scelta: per l'offerta proposta, per la qualità del servizio, per la qualità dell'ambiente. Tra i consumatori che parteciperanno al contest, a chiusura della votazione, sarà estratto il fortunato che avrà la possibilità di accedere alla serata di premiazione della guida Bar d'Italia 2018. Che aspettate a votare?

 

Vota il tuo bar illy preferito

L'arte del togliere e del concentrare: conversazione con Niko Romito

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Può una cucina all’apparenza estremamente lineare regalare al palato emozioni così forti da renderla indimenticabile? Sì se la mano del cuoco riesce sublimare a tal punto la materia prima da farne la protagonista assoluta del piatto. La sfida tutta italiana di Niko Romito

L'Abruzzo in marcia

È difficile parlare dell’Abruzzo, sconquassato da una serie di eventi catastrofici da cui sempre la gente di qui si rialza con determinazione. Ed è anche difficile parlarne in termini entusiastici legati al piacere della tavola, anche se pare di intuire qualche segnale di rinnovamento. Più d'un lumicino che in queste ultime stagioni sembra segnare la strada. Il confronto con Niko Romito, però, è molto di più: lascia intravedere una speranza viva e vitale, le sue parole, le sue riflessioni, anche in termini di piatti e di sperimentazioni ai fornelli, hanno una forza propulsiva incredibile.

In un anno circa”spiega lo chef abruzzese “almeno cinque ragazzi usciti dalla scuola di formazione di Casadonna hanno aperto dei loro locali dopo aver fatto qualche esperienza in giro: a Pescara e Acri, a Roccaraso, Rivisondoli e Teramo. Credo sia un segnale molto positivo: ci sono giovani, forze fresche, che ci credono, che investono e che stanno invertendo quella che era la tendenza classica di un Abruzzo di qualche anno fa: i cuochi non vanno più fuori a cucinare, non devono per forza espatriare, possono investire qui e lo fanno, portando sul nostro territorio molte persone”.

Cambiando, di fatto, la direzione di un percorso che, fino a poco tempo fa, era a senso unico:“l’Abruzzo sta diventando una regione in cui vale la pena venire a conoscere territori ricchi, a scoprire sapori antichi e nuovi allo stesso tempo. Non è un caso che nonostante la crisi e le tragedie degli ultimi mesi, qui sia il vino che l’agroalimentare e la ristorazione diano segnali positivi, forse gli unici in questo momento”.

Maialino croccante con purea di patate all'olio

 

Niko Romito e la tradizione

Uno dei protagonisti di questa rinascita è sicuramente lo spazio formativo che Niko ha costruito a Castel di Sangro: non solo “scuola professionale di cucina”, ma pratica viva del territorio, lavoro sulle tradizioni e sulle prospettive della cucina italiana fondata su ciò che la distingue da tutte le altre, ovvero l’estrema ricchezza e varietà delle materie prime. “Mi dispiace vedere che molti ragazzi usciti da diverse scuole puntino più sugli insegnamenti di cucine non italiane: penso a quella del Nord Europa o alla Spagna. E che non vedano invece quanta ricchezza e quante possibilità avrebbero a concentrarsi sulle nostre produzioni e tradizioni”. Detto da un cuoco che ha fatto dello stravolgimento dei modi di percepire ingredienti tradizionali, un segno distintivo, sembra quasi una provocazione. Come apparvero una provocazione il suo carciofo del 2013 o i tortelli di pollo serviti tal quali, senza alcuna salsa nel piatto.

 

Proprio perché faccio una cucina tutta centrata sulla materia e sugli ingredienti è la tradizione la mia fonte principale di ispirazione,”sorride Niko “la mia emozione di base. La verza nasce dalla verza e patate classica dell’Abruzzo. Il carciofo idem: un carciofo quasi alla romana. I tortelli di pollo anche: partono dal pollo alla cacciatora. Poi, certo, vado avanti nella ricerca, nell’alleggerimento e nella concentrazione, nella nettezza dei sapori. Pensate agli spezzatini, alle carni stufate… il mio tortello di pollo parte dall’intingolo del pollo alla cacciatora. La cucina francese, ad esempio, parte invece più dalle salse, dai fondi. L’intingolo è parte specifica del piatto nel suo nascere e nel suo farsi”.

Liquirizia aceto e cioccolato bianco. Foto Roberto Sammartini

Comprensibilità e astrazione

Vista dal punto di osservazione concreto dei piatti, la cucina di Niko esprime un senso di estrema semplicità: sembra una cucina scarna, dove il togliere è preoccupazione maggiore dell’abbinare, dell’aggiungere. In bocca la musica cambia completamente: resta la centralità monumentale dell’ingrediente – sempre più spesso un vegetale – che però parla un linguaggio finora sconosciuto. I suoi piatti sono così essenziali tanto quanto poi sono complessi e profondi al palato. E sono di una leggerezza assoluta: pochissimi, e molto spesso assenti, i grassi aggiunti; pochissimo e quasi inesistente il sale aggiunto; idem per gli zuccheri. E sempre più ingredienti lavorati a crudo, a freddo, proprio per mantenerne il più possibile integre le caratteristiche sia organolettiche che nutraceutiche. “Anche se non è questa la molla principale della mia ricerca”spiega il cuoco, arrivato ai vertici della nuova ristorazione italiana d’autore partendo da una mancata laurea in economia (mancavano solo 4 esami) e percorrendo la difficile strada dell’autodidatta. “Il mio scopo, che poi è la mia passione e il mio profondo interesse, è lo studio approfondito dell’ingrediente e dare alla materia la sua massima espressione e la massima centralità. Poi, certo, uno dei risultati è la salubrità dei piatti. E un altro risultato è che la mia cucina non piace solo ai critici, ai gastronomi, agli appassionati e ai palati addestrati: anche i neofiti, chi non ha mai avuto esperienze gastronomiche importanti, non restano intimoriti dalle mie portate perché le riconoscono, capiscono perfettamente di cosa si tratta, sia visivamente che gustativamente. Il carciofo è il carciofo, la verza è verza”.

Nio e Cristiana romitoNiko e Cristiana Romito. Foto Alberto Zanetti

L'arte del levare

Togliere, quindi, alleggerire, limare, sottrarre. Ma se l’ingrediente protagonista è riconoscibile in maniera assoluta, è anche vero che per loro complessità le preparazioni di Niko hanno quasi la forza e lo spessore delle grandi tele astratte del Novecento in cui il tono su tono amplifica le possibilità del colore. E quindi, il lavoro non consiste solo nel togliere: ma probabilmente nel togliere le cose “sbagliate”. “Probabilmente”continua Niko “io aggiungo per poter ottenere un risultato di sottrazione: è un punto di arrivo dopo una fase molto complessa, anni e anni di prove attraverso fasi diverse. Di sicuro, a me non piacciono i piatti troppo complicati, sono per le cose semplici: se mangio verza, voglio verza allo stato puro”.

E ripercorre la genesi e l'inseguirsi dei suoi piatti “Già dal 2000 ho cominciato a lavorare sulle estrazioni, poi sulle concentrazioni e ancora dopo sulla stratificazione, ingrediente su ingrediente per accentuarne il gusto. Il carciofo, che nasce nel 2013, non era una provocazione: era semplicemente un piatto centrato, preciso, tutto concentrato sull’ingrediente. Poi è stata la volta della melanzana, e ancor di più la verza: qui cambia anche la forma in cui si presenta e in cui l’abbiamo sempre conosciuta”. Tappa dopo tappa, a percorrere una strada coerente e conseguente “La prima è l’assoluto di cipolla, poi viene il carciofo, quindi la melanzana e infine la verza. L’assoluto era la pura estrazione dell’ingrediente. Poi, col carciofo, l’estratto viene concentrato e diventa una sorta di vernice di carciofo che va a laccare, a condire, a spennellare il protagonista: si parte sempre dall’estrazione, la struttura rimane quella classica del carciofo. Con la melanzana, invece, si cambia forma e struttura: diventa un cubo e la sua consistenza si fa più importante. La verza è la sintesi ultima di tutto questo lavoro: si concentra, si stratifica, si cambia struttura, si mangia con forchetta e coltello. E si introduce la fermentazione che apporta complessità. Così, si riconosce immediatamente la verza: uno degli ortaggi più comuni, tradizionali e poveri diventa protagonista assoluto del piatto. Io ho sempre lavorato con ingredienti che tutti conosciamo: non ho mai tentato abbinamenti strani. La mia è una cucina molto italiana, molto nostra”.

 

A parlare di “sottrazione” e di cura assoluta per la materia prima, in Italia, è stato Gualtiero Marchesi negli anni ’80: pietra miliare il suo libro La mia nuova cucina italiana. Come si rapporta Niko l’autodidatta con quel tipo di insegnamento? “Non mai frequentato Marchesi, anche se ho studiato a fondo i suoi piatti, i suoi libri, le sue idee. Ma non sono certo un marchesiano. Certo, alcuni suoi piatti sono di una modernità e attualità eccezionali. Prendi il suo spaghetto freddo con caviale: è esplosivo e modernissimo”.

Ma poi ritorna a raccontare la sua, di cucina: “La mia semplicità parte sempre dagli ingredienti, che devono essere di altissima qualità, ma si avvale di tecniche e tecnologie nuove e diverse. E poi, per me, il vegetale è sempre più protagonista, diventa sempre più il centro di interesse. Lavorare sul concetto di semplicità, significa anche rispettare molto di più la filiera produttiva. La materia prima che un produttore ti consegna dopo averci lavorato per anni, dà al cuoco una responsabilità in più: quegli ingredienti devono essere studiati, conosciuti e rispettati, non stravolti. Non puoi sporcare il frutto della vita di una persona che ci ha messo l’anima per produrlo”.

 

Reale | loc. Casadonna | piana Santa Liberata snc | Castel di Sangro (AQ) | tel. 0864 69382 | www.ristorantereale.it

 

a cura di Stefano Polacchi

foto di copertina Alberto Zanetti

 

Articolo uscito sul mensile di Marzo 2017 del Gambero Rosso. Per abbonarti clicca qui

http://www.gamberorosso.it/it/abbonamenti

 

 

Pizza e Panelle. A Napoli piacerà la pizza in teglia?

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Al Nord imperversano gli ambasciatori della pizza napoletana, da Franco Pepe a Gino Sorbillo, all'ultimo arrivato a Milano, Giuseppe Vesi. Mentre Napoli scopre la pizza in teglia con la nuova insegna di Chiaia: pane, pizza al trancio, ingredienti di qualità, produzioni virtuose del territorio. 

Pizza napoletana... A Milano

Della pizza napoletana, quella verace che sa stare al passo con i tempi, Milano sembra non poter più fare a meno (su nomi e indirizzi facevamo il punto un anno fa). È di un paio di giorni fa l'inaugurazione nel cuore di Isola – a via Ugo Bassi – di Pizza Gourmet, che segna l'esordio in città di Giuseppe Vesi. Il pizzaiolo campano che ha saputo proporre un'idea molto personale di pizza napoletana, ripartendo da farine di tipo 1 e di tipo 2, per la prima volta si cimenta con una piazza che non è la sua; a Napoli, invece, proprio un anno fa aveva raddoppiato la fortunata insegna del Vomero, aprendo il secondo locale sul lungomare di via Caracciolo.

Ora, con l'aiuto di suo figlio Simone - stessa voglia di lavorare bene, con ingredienti di qualità, lieviti naturali e farine macinate a pietra – gestirà anche lo spazio milanese: 120 coperti e un dehors che può ospitare fino a 80 commensali. Del resto, in città, sta per aprire i battenti anche la quarta insegna di Gino Sorbillo, che all'ombra della Madonnina sta tirando su un piccolo impero della pizza. Dopo Lievito al Duomo, Zia Esterina, Olio a Crudo arriva in via Victor Hugo Pizza Gourmand, ancora una volta in centro città, per coniugare tonda e pizza fritta. Inaugurazione prevista tra pochi giorni.

 

Pizza in teglia... A Napoli

E mentre il Nord è ben felice di farsi “contagiare” dall'avvento della pizza napoletana (non ultimo l'arrivo di Franco Pepe all'Albereta), nel capoluogo campano inaugura Pizza e Panelle, che la pizza la tratta come street food sì, ma discostandosi dalla canonica proposta a libretto e dalla pizza fritta della tradizione locale. L'idea del nuovo forno di Riviera di Chiaia? Far scoprire ai napoletani quanto può essere buona la pizza in teglia, che in altre città (Roma in testa) ha conosciuto negli ultimi anni un'evoluzione profonda, all'insegna della qualità degli impasti e della serietà di chi ricerca ingredienti ed elabora ricette. Niente a che vedere, insomma, con le pizzerie a taglio che replicano un modello scadente, ormai superato. Dietro il progetto c'è l'investimento di quattro imprenditori napoletani, Genny De Martino, Alessandro Tene, Michele e Giorgia Aversano, con la consulenza di Maurizio Cortese, per l'elaborazione di un concept che coniuga pane e pizza in teglia. Rigoroso lo studio sulle farine, per l'una e l'altra tipologia di offerta, cottura in forno elettrico per la pizza, ideale per l'asporto o il consumo sul posto. Si parte dalle proposte più tradizionali, Margherita, marinara con pacchetelle e origano di montagna, bianca con la mortadella (Pasquini), per arrivare agli abbinamenti più articolati: salmone (Up stream) e patate, caponata, parmigiana di melanzane.

I prodotti

Solo prodotti di stagione e tanta ricerca sul territorio (il pomodoro è il San Marzano di Danicoop, oltre al pomodorino del piennolo di Tenuta Manna, il fiordilatte di Agerola), con una piccola selezione esposta nel locale, e un'attenzione in più alle produzioni virtuose, come le confetture della cooperativa E.V.A., che sostiene percorsi di inclusione sociale, aiutando le donne vittime di violenza (il progetto, nello specifico, è stato ribattezzato Le Ghiottonerie di Casa Lorena e recupera un bene confiscato alla criminalità a Casal di Principe). Le marmellate, tra l'altro, si prestano perfettamente all'idea di riscoprire la merenda all'italiana, pane, burro e marmellata; e il pane è quello della casa, realizzato nel laboratorio a vista in molteplici varianti, dal multicereali al pane di farro con olive, a quello arricchito con noci. Apertura lunga dalle 9 alle 23, per intercettare un pubblico quanto mai diversificato, in una zona della città che raccoglie il bacino di uffici, residenti e napoletani in uscita serale. L'inaugurazione ha raccolto una folla di partecipanti curiosi (con la benedizione del sindaco De Magistris). Vedremo se la calorosa accoglienza si confermerà nei prossimi mesi.

 

Pizza Gourmet | Milano | via Ugo Bassi, 8 | www.pizza-gourmet.com

Pizza Gourmand | Milano | via Victor Hugo | prossima apertura | www.sorbillo.it

Pizza e Panelle | Napoli | Riviera di Chiaia, 215 | tel. 081 4976247 | www.pizzaepanelle.it

 

a cura di Livia Montagnoli

Foto di apertura Raffaele Cantelmo

 

Refugee Food Festival, le iniziative di Milano, Firenze, Roma e Bari

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Smontare i luoghi comuni attraverso il cibo, cambiando l'opinione comune sui rifugiati, grazie al loro talento. È quello che fa il Refugee Food Festival, partito da Parigi l’anno scorso ed esteso a tutto il territorio europeo per l’edizione 2017. Nel programma anche l’Italia, con eventi e cene a Milano, Firenze, Roma e Bari.

Il Refugee Food Festival

Quando si pensa a un rifugiato, spesso si tende a inquadrarlo esclusivamente come una persona bisognosa, ignorando il suo passato, la professione che faceva nel suo Paese d’origine, le competenze e le sue aspettative. Distogliere dal pregiudizio comune è un’operazione complessa, ma il cibo può diventare uno strumento di comunicazione molto potente: ed è su questo fattore che punta il Refugee Food Festival, ideato dalla ong Food Sweet Food insieme a UNHCR (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) e partito da Parigi l’anno scorso. Dopo il successo della prima edizione, in cui 11 ristoranti hanno aperto la propria cucina ai cuochi rifugiati, per il 2017 il festival coinvolgerà tutto il territorio europeo, compresa l’Italia. “Il cibo può essere un mezzo di comunicazione potentissimo, che riesce a connettere culture diverse” ha spiegato Marine Mandrila, una delle fondatrici del festival. “La crescita dell'evento in molte città europee viene dal desiderio di molti cittadini di relazionarsi e dare il benvenuto ai rifugiati nel loro Paese. In questo modo, i rifugiati hanno l'opportunità di mostrare le loro doti e presentare le loro ricette tradizionali, mentre gli altri possono scoprire nuove culture tramite la cucina”.

 

Le iniziative italiane per il Refugee Food Festival

Da Madrid ad Atene, passando per Parigi, Lione, Bordeaux, Lille, Bruxelles e Amsterdam, sono tantissimi i ristoranti che hanno deciso di aderire all’iniziativa del Refugee Food Festival. L'Italia organizza eventi in quattro città, dal 16 al 30 giugno: a Milano, Roma e Bari, in collaborazione con Eataly, a Firenze, invece, insieme all'associazione Festina Lente. Vediamoli nel dettaglio.

 

Milano

Le iniziative del capoluogo meneghino si concentreranno nella sede di Eataly Milano Smeraldo. Due gli appuntamenti per questa edizione del festival: il primo è previsto per il 16 giugno dalle 18.30 alle 20, con uno show cooking gemellato fra Alganesh, chef rifugiata etiope del ristorante Africa Experience a Venezia, e Viviana Varese, chef di Alice Ristorante, che rivisiteranno insieme un piatto della tradizione etiope. Il secondo evento è previsto per il 20 giugno dalle 19 alle 23,quando quattro rifugiati di diversi Paesi cucineranno presso altrettanti ristoranti di Eataly Smeraldo.

 

Firenze

Nutrito il programma fiorentino, con 5 eventi dal 26 al 30 giugno, in cui diversi ristoranti della città apriranno il loro menu ai piatti cucinati dagli chef rifugiati, in particolare provenienti da Etiopia, Afghanistan e Pakistan. Si parte il 26 giugno con la Libreria Brac, che vedrà ai fornelli lo chef pakistano Raza, mentre il 27 giugno la tradizione etiope sarà protagonista presso il ristorante Quinoa, grazie alle ricette della chef Sara. Si prosegue il 28 giugno ancora con la cucina pakistana, con la cena dello chef Asif presso Zenzero Biocatering e il 29 giugno con la cucina afghana di Massoud, presso Culinaria De Gustibus Bistro.

Chiusura a Borgo San Lorenzo (FI), il 30 giugno, presso il centro di accoglienza Villaggio La Brocchi, nel Mugello, con una cena nella quale cucinerà nuovamente la chef Sara, rifugiata etiope del ristorante Ethnos, assistita da due ragazzi togolesi.

 

Roma

Unico appuntamento per la Capitale, ospitato da Eataly Roma Ostiense. Il 20 giugno una cena a buffet a partire dalle ore 20.30, permetterà ai commensali di fare un viaggio tra i sapori e le tradizioni di diversi Paesi nel mondo: il tutto realizzato dallo staff del ristorante Altrove affiancato da tre chef rifugiati. Per questo evento è consigliata la prenotazione.

 

Bari

Anche il capoluogo pugliese partecipa al Refugee Food Festival con un’iniziativa unica che si terrà il 18 giugno dalle 18.30 alle 21, presso Eataly Bari. Sarà dunque un aperitivo il mezzo per scoprire le specialità afghane, in abbinamento ai cocktail da gustare sulla terrazza dell’edificio. I piatti saranno realizzati dalla chef Ana Estrella dell’associazione Origens: per partecipare è necessaria la prenotazione.

www.refugeefoodfestival.com

 

a cura di Francesca Fiore

 

indirizzi

Culinaria De Gustibus Bistrot | Firenze | piazza Torquato Tasso, 13r | tel. 055 229494 | 29 giugno 2017 | www.de-gustibus.it/culinaria-bistrot-de-gustibus

Eataly Milano Smeraldo | Milano | piazza Venticinque Aprile, 10 | tel. 02 49497301 | 16 e 20 giugno 2017 | www.eataly.net/it_it/negozi/milano-smeraldo

Eataly Roma Ostiense Roma | piazzale 12 Ottobre 1492 | tel. 06 90279201 | 20 giugno 2017 | www.eataly.net/it_it/negozi/roma

Eataly Bari | Bari | lungomare Starita, 4 | tel. 080 6180401 | 18 giugno 2017 | www.eataly.net/it_it/negozi/bari

Libreria Brac | Firenze | via dei Vagellai, 18 | tel. 055 0944877 | 26 giugno 2017 | www.libreriabrac.net

Quinoa | Firenze | vicolo di Santa Maria Maggiore, 1 | tel. 055 290876 | 27 giugno 2017 | www.ristorantequinoa.it

Zenzero Biocatering | Firenze | via del Ponte Sospeso, 22 | tel. 055 265 8299 | 28 giugno 2017 | www.zenzerocooperativa.it/biocatering

Villaggio La Brocchi | Borgo San Lorenzo (FI) | località La Brocchi-Canicce | strada Faentina, km 28 | tel. 055 845 0268 | 30 giugno 2017 | www.progettoaccoglienza.org/index.php?id_text=220

 

 

 

 

 

 

 

Appunti di degustazione. Piaggia, il Carmignano Riserva di Mauro Vannucci

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Mauro Vannucci e sua figlia Silvia, a Poggio a Caiano, in venti vendemmie hanno creato un classico tra i rossi toscani: Piaggia, Carmignano Riserva.

 

Alcuni vini della cantina citata in questo articolo sono acquistabili su Tannico.it, l’enoteca online partner di Gambero Rosso. 


Non è facile emergere in un panorama affollato come quello dell’enologia toscana. Ma Mauro Vannucci non è un personaggio timido. Tutt’altro. Piaggia e il suo vino nasce quasi per caso, come spesso accade. Mauro, imprenditore in tutt’altro settore, cercava un terreno per costruire casa. Era il 1975, e sull’appezzamento che scelse, a Poggio a Caiano, c’era anche una vigna, che per qualche anno fu data in comodato d’uso. Poi, nel ’91, la voglia di fare un po’ di vino per casa, i ricordi dell’infanzia e delle vendemmie in famiglia, nel vicino Montalbano, lo spingono alla sua prima vinificazione. Il risultato era confortante, e così poco a poco è nata l’azienda. “Il punto di svolta fu nel 1993, quando conobbi Alberto Antonini. Assaggiò il mio vino a Verona, durante Vinitaly. A lui piacque il vino e a me piacque lui”.

Iniziò così, dalla vendemmia ’94, una collaborazione fruttuosa, che non s’è mai interrotta. Vigna dopo vigna Mauro, che ha una sua idea di qualità e non si accontenta facilmente, è arrivato a 20 ettari, scelti con attenzione estrema con Federico Curtaz, che cura la parte agronomica di Piaggia. “Siamo in un territorio vocato, ma le vigne vanno piantate con cura nei posti giusti. Le nostre hanno una densità tra le 5.500 piante e le 6.000. Di più, qui da noi, sarebbe controproducente, e con meno piante non si sfrutterebbe il potenziale del terroir. Ho scelto belle posizioni collinari, terreni galestrosi, drenanti, tra i 190 e i 230 metri di quota, ben esposti. Le vigne le ho piantate io, una per una, con criteri qualitativi. Se non si parte dalla vigna”.

piaggia

La Docg Carmignano

Carmignano è il nome di un comune tra Firenze e Prato: dà il nome al vino Docg che si produce nel territorio del comune e della vicina Poggio a Caiano, entrambi comuni in provincia di Prato. La base di vinificazione è sangiovese che deve essere presente almeno al 50%; è ammesso anche il canaiolo nero fino al 20%; il cabernet (franc e sauvignon) dal 10 al 20%; il trebbiano toscano, il canaiolo bianco e la malvasia del Chianti fino ad un massimo del 10%. Sempre da disciplinare, i vigneti devono essere in terreni collinari e derivati da calcari marnosi di tipo alberese e scisti argillosi (eocene) e arenarie (oligocene) a un’altitudine non superiore ai 400 metri. È vietata ogni pratica di forzatura ed è consentita l'irrigazione di soccorso. Il vino richiede un invecchiamento almeno fino al 1º giugno del secondo anno successivo a quello di produzione delle uve e deve essere effettuato in botti di rovere e/o di castagno, per almeno otto mesi. Tutte le operazioni di vinificazione, invecchiamento e imbottigliamento, debbono essere effettuate nella zona Docg.

 

Il Carmignano di Vannucci

Mauro sa quello che vuole esprimere nei suoi Carmignano. Potenza, ricchezza e struttura, senz’altro, ma figlie di un frutto sano e di perfette maturazioni fenoliche; e allo stesso tempo anche finezza e beva. E non ha paura di confrontarsi con i migliori. Come gli è capitato qualche anno fa a Château Margaux, dove in visita disse a Paul Pontallier “Il suo vino è molto buono, ma anche il mio...”. L’enologo – storico direttore della cantina deceduto un anno fa – incuriosito, gli chiese chi fosse e che vino facesse. Senza scomporsi Mauro tirò fuori una bottiglia di Piaggia e la fece assaggiare. La leggenda (che tale forse non è...) vuole che Pontallier si complimentasse con lui e glie ne chiedesse una bottiglia da bere quella sera con alcuni colleghi. Diable d’un Italien!

Di strada, in vent’anni, ne abbiamo fatta molta noi a Piaggia, ma anche tutto il territorio”continua Mauro “La zona è cresciuta, sono nate nuove aziende, sono arrivati enologi competenti, e il mercato ha cominciato a conoscerci. Il Carmignano piace sempre di più, con il suo profumo di Supertuscan”. La sua formula? “70% sangiovese, un 20% tra cabernet franc e sauvignon, merlot per il restante. Legno nuovo di buona qualità, e una cura estrema in ogni particolare, dall’igiene ai tappi, alla scelta dei fornitori dei legni, tutto deve essere monitorato ed analizzato. I rischi sono dietro ogni angolo, e le distrazioni si pagano...“.

piaggiaLa barricaia

L'azienda: un affare di famiglia

Da qualche anno accanto a lui, a costituire quest’azienda prettamente familiare, c’è sua figlia Silvia, oltre al cognato Paolo (che segue la cantina) e alla moglie Rita. Silvia, messa nel cassetto la laurea in giurisprudenza, s’è dedicata con passione a Piaggia e allo sviluppo dei mercati. “Abbiamo costruito una bella squadra di lavoro, completata da Emiliano Falsini, enologo. La gamma delle etichette è cresciuta insieme alle vigne, e oggi siamo a più di 80mila bottiglie. Accanto al Piaggia, Carmignano Riserva, il nostro grand vin, c’è il Carmignano del Podere Il Sasso, e poi il Poggio de’ Colli, un Cabernet Franc in purezza che ha raccolto un grande consenso di pubblico e di critica. Il Pietranera invece è un Sangiovese dal taglio più fresco e spigliato che nasce dalle vigne più giovani”ci racconta Silvia.

 

L'aspetto commerciale

A questo punto della nostra storia il problema non è vendere il vino, ma distribuirlo bene nel mondo. E questo è il lavoro che mi appassiona, e mi porta tutto l’anno dal Giappone a New York, dalle Hawaii a Londra senza trascurare Chicago e Canada. Il 60% della produzione lo vendiamo nel mondo, e pian piano cresceremo. L’importante”aggiunge Silvia, che è stata anche presidente del Consorzio del vino Carmignano“è inserirlo nei posti giusti, nelle più belle enoteche e nei migliori ristoranti del mondo”. Quali sono i margini di crescita? “Quantitativamente”ammette Silvia “trovando con Curtaz le vigne giuste, potremmo superare le 100mila bottiglie nei prossimi anni, seppure non di molto”. Qualitativamente? “Mio padre ha una sua idea di vino, ma anch’io. Viaggiando visito aziende e assaggio molto. Mi piace confrontarmi con i colleghi di tutto il mondo, e riporto queste esperienze a casa. Anche al babbo piacciono le sfide, e per lui ogni aspetto è perfettibile. Siamo sempre in discussione, assaggiamo, sperimentiamo per migliorare, anno dopo anno, nell’interpretazione del territorio, delle vendemmie, del gusto del consumatore. È lo spirito di Piaggia: mai accontentarsi!”.

 

Piaggia | Poggio a Caiano (PO) | www.piaggia.com

 

Carmignano Riserva Piaggia -la degustazione

 

2013

Rubino cupo dai bei riflessi violacei sull’unghia, è profondo e fitto fin dal colore. Al naso, giovanile e lontano dall’essere risolto, offre note di frutti rossi e neri maturi, con la mora, la marasca e la prugna in primo piano, che virano poi su note speziate, mediterranee, con un delicato tono boisé. Al palato è grasso, ricco e fitto, ma ha anche gran nerbo, freschezza, una polpa integra e offre accattivanti nuance di mora, cioccolato, ribes nero e mirtillo. Fa mostra di tannini levigati e risolti, ha grande integrità di frutto. Ancora indietro nello sviluppo, ha bisogno di maturare qualche anno per esprimere tutto il suo potenziale. Lunga e fascinosa chiusura sul frutto nero e sulle note balsamiche.

Valutazione: 93

 

2012

Rubino cupo, fitto, limpido, bel naso d’inchiostro e frutti rossi e neri, una venatura balsamica e di macchia mediterranea, intenso, ancora indietro, quasi crudo... La bocca è densa e tesa... Un vino materico che non è estrattivo, di grande equilibrio, con tannini levigati e morbidamente astringenti. Un racconto del terroir, un frutto rosso turgido, gran nerbo, lunga persistenza aromatica. Potente e davvero seducente.

Valutazione: 94

 

2011

Rubino cupo, quasi nero, il naso è intenso, ricco, folto di frutto rosso e nero con la classica vena balsamica, e netta una nota di mora. In bocca è denso e fitto, polposo, grasso, ha note di cioccolato e fumé, ma la bocca si risolve fresca e tonica, di bella spinta acida, integro. Un vino articolato, sapido, equilibrato anche se assertivo, potente e ricco. Bel finale morbido e lungo, sul frutto, con una tannicità importante ma finissima. E la mora che ritorna... Grande equilibrio di legni.

Valutazione: 93

 

2010

Bel rubino intenso e ricco, naso di prugna perfettamente matura, sfumature di melograno e macchia, mora di rovo... Il vino inizia a trovare una sua dimensione. Ricco, polposo, materico ma con una silhouette che si allunga e snellisce in un dialogo tra frutti rossi e neri e una decisa vena acida che si traduce in un finale persistente di mora e ribes nero, dove il caffè e il tostato sono ancora solo un’idea. Riassaggiato è uno dei più ricchi, completi e complessi. Un naso strabiliante e persistente. Appassionante.

Valutazione: 95

 

2009

Rubino cupo, intenso, profondo. L’unghia ancora non cede. Un naso mediterraneo che sa delle erbe e dei fiori della campagna toscana, del profumo della terra arsa dal sole estivo, ma anche delle note dolci della mora e della prugna mature. Un bouquet ricco d’erbe officinali, la bottega dell’erborista... Poi un’idea di cacao amaro, una sfumatura di liquirizia. In bocca la consueta impalcatura maestosa, ma con un equilibrio che il tempo inizia a conferire. Note di frutto rosso, di torrefazione, un tocco appena di liquirizia e pepe, a rendere ancora più affascinante e complesso il mix. Di lunga persistenza, è austero e serioso, ancora un po’ marcato dal legno.

Valutazione: 92

 

2008

Rubino cupo e fitto. Ciliegia e marasca fresche e turgide al naso, un vino di grande vitalità, dalle sfumature di tabacco, di cioccolato amaro e liquirizia dolce, appena appena accennate. Il frutto ancora domina, e la bocca è ampia, serica, ricca e tesa. Ha tannicità importante ma di vellutata eleganza. È sapido, progressivo, avvolgente. Ci fa capire che Piaggia è un vino che vale la pena aspettare. Un filo forse di astringenza, ma una bella e grande materia. Profondo, carnoso, mai pesante, chiude sulle note lunghe del bouquet garni e della vaniglia.

Valutazione: 91

 

2007

Rubino carico, fitto e teso, è denso e ricco al naso, dove espone note calde di terra asciutta e arsa, note di fieno, sfumature boisé e di legni tostati, toni di caffè appena avvertiti. Bocca strutturata e calda, frutto maturo e dolce, all’insegna di marasca, mora e prugna, poi erbe aromatiche, fieno e fiori di prato estivo. Un rosso che approccia la maturità, elegante fruttato, solido, con bella chiusura astringente e imperiosa, nessuna sgranatura o cedimento, fitto, ricco di polpa. I tannini sono dolci e levigati. Note di pepe e liquirizia. Legni di livello, mai troppo insistiti. Struttura poderosa senza essere troppo muscolare o estrattiva. L’annata è calda ma il vino esprime succosità di polpa. Bei toni, in chiusura, di legno e spezia. Un vino possente ma anche dolce di frutto, equilibrato.

Valutazione: 91

 

2006

Vino elegante e disteso, dove l’unghia ancora non cede. Note di frutto, incenso e balsamico, introducono a una bocca più ampia e soave delle annate più recenti. All’attacco il palato è meno travolgente, ma trova subito ritmo e misura, e compare un’impressione di sottobosco e fungo porcino; nerbo e freschezza a sorreggere il tutto. Vino più fresco, che evoca i primi venti autunnali. Suggestivo e raccolto, è un racconto più intimo. Grande classe. Riassaggiato migliora, e si delinea armonico, lungo, di bell’equilibrio.

Valutazione: 93

 

2005

Rubino cupo e fitto. Spettacolare. Sembra un’annata recentissima per forza espressiva e vitalità. Elegante teso e concentrato all’attacco, è armonico ed ampio. È la prima di queste annate ad avere un carattere equilibrato di vera e vitale maturità. Frutto rosso e nero in primo piano, maturi ma non troppo ancora, con mora, mirtillo, lampone e marasca in successione. Bel sottofondo boisé, non ipertrofico e tostato, bella densità, offre polpa, dall’attacco alla delicata ma perentoria nota finale, che dalla marasca finalmente accenna al caffè e alla liquirizia con una certa decisione. Elegante, pieno, ricco lungo. Una delle migliori annate di Piaggia di sempre.

Valutazione: 95

 

2004

Rubino cupo, ancora. E fitto e pieno. Naso intenso, toscano, terroso e minerale. Fieno fresco, erbe di campo sotto il sole, compaiono poi la prugna matura, il pane sfornato, un accenno di caffè e la confettura di ciliegia. Bella bocca sapida e muscolare, una coloritura di pelliccia e caffè, sasso rovente, ma anche inchiostro e scorza di china, e una delicata e nobile nota amaricante. Il vino è sapido, teso, nervoso, ancora tanta la polpa di frutto rosso e nero. Poi ecco la crostata di ciliegia e i dolci da forno, il caffè e il goudronche compaiono sullo sfondo. Vino tonico, di grande spinta, ha equilibrio e un finale importante di frutto, erbe aromatiche e pepe. Legno perfettamente integrato.

Valutazione: 93

 

2003

Rubino cupo con un accenno d’evoluzione sull’unghia. Naso di cioccolato e spezia, erbe aromatiche e china, che introducono alla confettura di prugna e marasca. Poi toni più cupi, di caffè e speziati, di camino e legni aromatici. La bocca è ben espressa, ampia, calda, avvolgente e progressiva. Annata calda ma interpretata con classe e misura, senza sacrificare beva ed equilibrio. Sapidità, tannini eleganti, una vena astringente misurata e armonica, che si traduce in un finale lungo di spezia , balsamico ed equilibrato, con note di pepe e sottobosco estivo. Ancora integro e teso.

Valutazione: 90

 

2002

Rubino cupo, leggero riflesso evoluto sull’unghia. Il primo... Naso elegante di piccoli frutti, di macchia mediterranea ma anche sottolineato dalla vaniglia. Annata sorprendentemente soave e snella nella storia di questo vino. Non manca di concentrazione, ma oggi si offre deliziosamente distesa, in “minore”, ma con invidiabile equilibrio e promesse di longevità. Al palato note speziate, fini, eleganti. Legni misurati, senza cesure, con una bella ritmica cadenza che sottolinea le peculiarità dell’annata. Chiude soavemente lungo su note di ciliegia, fieno ed erbe aromatiche. Maturo ma nemmeno troppo. Andatura da marciatore, inarrestabile.

Valutazione: 92

 

2001

Impressionante. Nero, cupo, profondo. Un vino che sprigiona potenza ed energia impensabili per l’età. Concentrazione e struttura ai limiti dell’arroganza... È potente, vibrante, concentrato. Veramente muscolare, polposo, intenso. Potrebbe essere la débacle di una formula desueta, invece è la glorificazione d’una bella annata e di un terroir eccezionale. E d’una cura vignaiola che non trascura una sola pianta della vigna. Un grande rosso italiano tout court, potente, avvolgente, complesso, e finalmente ricco delle sfaccettature dell’età che agli altri ancora mancano. Impressionante per eleganza e solare mediterraneità, è uno degli acuti della giovane storia di questa grande azienda. Ai limiti dell’indimenticabile.

Valutazione: 97

 

2000

Classico colore rubino cupo fitto, elegante, intenso. Naso polposo e complesso di spezia e bei legni, nitido e armonico. Frutta rossa e nera matura all’attacco, e di grande integrità. Anche se il millesimo è caldo e ha maturato il frutto al limite, ha equilibrio e finezza. La freschezza acida e l’estrazione misurata dei tannini ne fanno un benchmark dell’annata. Erbe officinali, bouquet garni, toni di marasca e arrosto d’agnello, per descrivere un rosso fitto, elegante, ritmico. Tannini maturi, mai polverosi, e chiusura su un frutto opulento e maturo, sul pepe bianco. Una grande interpretazione di annata calda. Armonico. Equilibrato e dinamico. Caffè, nocciola, liquirizia, tostato in fine bocca.

Valutazione: 94

 

1999

Toni mentolati, liquirizia, china, tabacco di sigaro cubano, ci introducono a un vino elegante, teso, muscolare che si porge con grazia, armonia e sorprendente persistenza. Un gioiello di potenza e armonia. Fitto ma disteso, propone una qualità del tannino seducente, carezzevole e morbido. Al palato è davvero lungo, persistente, con un finale di tabacco e ancora menta, timo e maggiorana, che incantano nel mix di ciliegia e mora. Una delle annate più seducenti ed eleganti. Balsamico, complesso, empireumatico ma ancora turgido e teso nel frutto.

Valutazione: 95

 

1998

All’attacco ciliegia marasca ed erbe officinali, per un naso disteso, elegante e fitto, dai toni di scorza di china, di porcino e sottobosco, che vira sul bouquet garni, in bocca è materico, polposo, elegante nel frutto sapido e teso, nitido armonico e fresco. Mediterraneo, caldo e avvolgente, ha calore densità e fittezza, è polposo e delicatamente astringente, con tannino assolutamente levigato e carezzevole. Cioccolato chuao, caffè dell’Ecuador, mora di rovo e ciliegia di Vignola. Vitale, dinamico, armonico. Una delle prove che il tempo regala solo eleganza a questo vino. Rigoroso nell’equilibrio e nel ritmo, straordinariamente appagante.

Valutazione: 92

 

1997
Figlio d’una annata calda, è un vino dai toni evoluti e delicatamente terziari. Sottobosco, fungo porcino e tartufo, una vena acida a sorreggere un’impalcatura che qua e là qualche fessura inizia a mostrare. Il vino oggi ha un bel tono autunnale, all’insegna del sottobosco, e uno spigolo acido che emerge. Per anni ha tenuto botta per concentrazione, alcolicità e ricchezza, ma sulle lunghissime distanze le vampe del caldo agostano di quel millesimo hanno sacrificato l’equilibrio e l’integrità del frutto. Bella prova, che ha l’unico inconveniente di confrontarsi con altri millesimi dello stesso vino.

Valutazione: 88

 

1996

Elegante, maturo, fresco fruttato, polposo e fitto. Un vino di vent’anni in condizioni ideali di evoluzione e sviluppo. Ha un frutto ancora tonico, un carattere appena evoluto, ma è pieno sapido e fitto, d’una cremosità e una freschezza sorprendenti. Mora e prugna, spezie ed erbe aromatiche fresche ne sottolineano il carattere mediterraneo, elegante e armonioso. Toscano, sicuramente, ma con un tono internazionale. Bellissimo gioco di legni, grande freschezza e ritmo espressivo, tannini vellutati e avvolgenti, è nitido, polposo e ancor fresco al palato. Ha una delicata eleganza, una potenza rassicurante e tonica, una ricchezza di sfumature che solo l’età poteva dare e che finalmente sta regalando. Vent’anni. Meravigliosi.

Valutazione: 94

 

1995

Cioccolato liquirizia, spezie, corteccia di pino, note balsamiche all’olfatto. Dolce, morbido, carnoso e ricco, in bocca è ricco ma con equilibrio. Sfumature di caffè, arancia candita, cioccolato amaro e confettura di ciliegia e mora lo rendono complesso e intrigante. Rotondo, compiuto, è succoso, polposo, morbido. Tannini vellutati e una vena di fresca acidità a sorreggere il frutto. Vino integro che spinge ancora, con un finale elegante e polposo, morbido e fine. Una bella sorpresa.

Valutazione: 90

 

1994

Trama, fitta armonica, elegante. Ha frutto, polpa, freschezza e finezza. Note terziarie su un colore ancora compatto e integro, una meravigliosa armonica eleganza. C’è struttura, un uso attento del legno, un bouquet complesso di spezia, torrefazione ed eleganti sfumature balsamiche. Tutto alla fine si risolve in un’armonia ricca e non ostentata, in una misura ritmica costante e senza inceppamenti, in un finale caldo, appagante e solare che parla di Toscana, di Carmignano e di Piaggia. Lungo, pieno e rigoroso, ma anche piacevolmente carezzevole. Bravi.

Valutazione: 90

 

a cura di Marco Sabellico

 

Alcuni vini della cantina citata in questo articolo sono acquistabili su Tannico.it, l’enoteca online partner di Gambero Rosso. 


www.tannico.it

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