Quantcast
Channel: Gambero Rosso
Viewing all 5335 articles
Browse latest View live

Gelaterie d'Italia 2017. Miglior gelato gastronomico: Greed Avidi di Gelato di Frascati

$
0
0

Un territorio che vanta molti ottimi prodotti, quello che gravita attorno al comune di Frascati, dalla pasta al vino, dall'extravergine ai dolci. Per il gelato, l'insegna migliore è quella di Greed Avidi di Gelato, entrata a pieno titolo fra gli indirizzi più validi della Penisola seconda la guida del Gambero Rosso.

La guida

Un nuovo titolo si è recentemente aggiunto al lungo elenco delle guide del Gambero Rosso: Gelaterie d'Italia. Il volume, presentato in occasione dell'ultimo Sigep di Rimini e ora disponibile anche in edicola, prende in oggetto le migliori espressioni di uno dei prodotti simbolo del made in Italy, negli ultimi anni oggetto di una vera rinascita, il gelato. Un prodotto che ha fatto la storia della gastronomia tricolore e che, ora più che mai, ha iniziato a far (ri)parlare di sé, grazie allo studio sempre più intenso e attento dei grandi artigiani della Penisola, impegnati a valorizzare il gusto del gelato, quello naturale di una volta, applicando tecniche e conoscenze moderne. Diverse le tipologie di gelato oggi disponibili, dal più classico e cremoso a quello pensato per rispondere alle diverse esigenze alimentari, senza mai rinunciare al gusto.

Fra i premi speciali della guida, ce ne è uno che premia il gelato gastronomico, quello che gioca con materie prime e sapori salati, studia ricette come per un piatto d'alta ristorazione, magari rielaborando la tradizione in cono o coppetta. A vincere il titolo è Greed Avidi di Gelato di Frascati, in provincia di Roma.

L'attività

Ha solamente 10 anni Dario Rossi quando assaggia per la prima volta un gelato artigianale, 100% naturale, realizzato con ingredienti di prima scelta. A ideare la ricetta, due maestri d'eccezione: i suoi genitori, che per garantire freschezza e gusto nell'alimentazione del figlio, comprano una gelatiera da casa e cominciano a preparare personalmente il gelato. “Sono cresciuto mangiando sano, e non sono più riuscito a smettere”, racconta. Il piccolo Dario cresce, comincia a uscire con gli amici e provare coni gelato della zona, ma nessuno sembra essere all'altezza di quello fatto da mamma e papà. “Rimanevo sempre deluso, perché il gusto era sintetico. Così ho continuato a prepararlo da solo”.

Non c'è da stupirsi se, una volta cresciuto, il ragazzo di Zagarolo, ha scelto di aprire lui stesso una gelateria, a Frascati. Ma prima si è fatto un giro fra le migliori insegne della Capitale per capire come si lavora dentro il laboratorio: “Sono rimasto di stucco. Niente panna, latte fresco, uova... Solo tanti scaffali straripanti di barattoli e bustine”. Perché a quel tempo, nel 2004, l'idea di artigianalità era ormai passata e quella del recupero delle tradizioni di una volta ancora lontana: “Per me è stata una sfida. Non potevo accettare l'idea che quello a base di semi-preparati fosse l'unico gelato disponibile. Ho aperto poco dopo, intenzionato a percorrere una strada diversa”. Non è l'unico: nel frattempo, infatti, San Crispino a Roma inizia a proporre gelato naturale, “è stato lui ad aver dato il la a tutti quelli che sono venuti dopo”. Dario si lancia in questa nuova avventura ai Castelli Romani.

Il gelato senza glutine e la stagionalità

Fin dall'inizio mi sono specializzato nelle intolleranze alimentari. Ho ripreso in mano i libri, mi sono consultato con dei medici nutrizionisti e ho creato il mio gelato senza glutine”. Dopo poco tempo arriva anche quello senza lattosio, e poi il vegano, anche senza uova. Non mancano i gusti classici, sempre a base di prodotti stagionali, freschi e quasi tutti privi di uova: “Non sono vegetariano, ma la ricerca sull'alimentazione mi ha portato a limitare notevolmente il consumo della carne e a cominciare una mia battaglia personale contro gli allevamenti intensivi. Sono molto sensibile alle scelte di vita dei vegani, per cui – zabaione e crema a parte – tendo a non utilizzare le uova nei miei gusti”. Una filosofia, quella di Dario, che ha come primo obiettivo di informare i consumatori su ciò che mangiano: “Sulla lavagna a muro segniamo i gusti disponibili, ma anche la stagionalità di frutta e verdura, perché è fondamentale far capire al pubblico che la natura non può offrirci i prodotti che vogliamo tutto l'anno”. Inizialmente non è stato facile educare i consumatori, abituati a un altro gusto e soprattutto un approccio diverso: “Tanti clienti chiedono la fragola a febbraio o le ciliegie a novembre. Mangiare in questo modo non è possibile”.

Il recupero della tradizione

Le materie prime arrivano tutte dai territori circostanti, dal sedano bianco di Sperlonga alla carota di Maccarese, dal finocchio di Tarquinia al peperone di Pontecorvo, e sono prodotte da aziende di nicchia che lavorano secondo metodi biologici, biodinamici o naturali. L'amore per gli ingredienti locali e le tradizioni della cucina del territorio si percepiscono, anche nei gusti: “Ho voluto fare luce sui piatti antichi, rivisitandoli e interpretandoli nella versione gelato”. E quindi spazio a cacio e pepe, baccalà alla romana, il celebre ricotta di pecora con fiori di zucca e alici e la panzanella, “una delle specialità della casa” che riprende tutti gli elementi tipici della ricetta: pomodoro “locale”, basilico, olio extravergine di oliva di Paola Orsini di Priverno (Latina) un monocultivar di itrana, “la mia varietà preferita”, da anni insignito con le Tre Foglie, il massimo riconoscimento della guida Oli d’Italia del Gambero Rosso. Come nella migliore tradizione laziale, il gelato di pomodoro va assaporato su una fetta di pane casareccio, quello di Lariano per la precisione. L'obiettivo? “Vorrei che questo della panzanella-gelato con il pane diventasse il rito romano per antonomasia, un po' come la brioches con la granita in Sicilia”.

Il gelato funzionale

Un gelatiere così attento alla qualità non poteva che dedicarsi allo studio delle proprietà nutraceutiche del prodotto, per sottolineare una volta per tutte il tanto declamato binomio gusto/salute: “Nei gelati senza latte, sono solito inserire l'inulina, una sostanza ricavata dalla cicoria o dall'avena in grado di ripristinare la flora batterica. Inoltre, uso molto l'olio di lino, che contiene una buona percentuale di omega3, e la canapa, che reputo l'alimento più completo attualmente in circolazione. Lo studio di questi principi nutritivi mi ha spinto a chiedere aiuto all'Università di Tor Vergata”. Dove Dario ha presentato un progetto di ricerca messo a punto insieme all'associazione Gelatieri per il Gelato, nata per volontà dei maestri CarloPozzie LucaCaviezel, “due nomi importantissimi del nostro settore”, e volta a promuovere la cultura del gelato artigianale italiano. Il progetto riguarda il gelato funzionale, ovvero un prodotto in grado di racchiudere diverse proprietà nutraceutiche fondamentali per il nostro organismo. “Insieme all'Università cominceremo questo percorso di studi per porre l'accento sui benefici che possiamo trarre dal consumo quotidiano di un gelato ben fatto”.

Il panorama delle gelaterie romane

Una crescita continua, quella di Dario ma più in generale di tutto il settore delle gelaterie capitoline e italiane. Se quando ha cominciato, 13 anni fa, il maestro gelatiere lamentava una scarsa attenzione da parte di consumatori e addetti ai lavori, oggi la scena romana è molto diversa. O no? “In realtà i passi in avanti fatti non sono ancora sufficienti. Le gelaterie di qualità dovrebbero essere molto di più a questo punto; è stata un'evoluzione lenta”. Lenta, vero, ma anche costante. “Non nego comunque che ci sono diverse insegne valide in città ora, a cominciare da Otaleg per finire con la Gelateria dei Gracchi, e anche qualche gusto di Fata Morgana, ma spero veramente che a breve il settore crescerà ancora”.

Intanto, fuori Roma...

In pieno fermento è invece il panorama gastronomico di Frascati e dintorni, dalle cantine alle aziende agricole. “Il territorio sta crescendo e questo è un bene, perché siamo in una terra molto fertile. Io stesso ho un piccolo appezzamento dove coltivo gelsi, lamponi, fichi, e altri frutti che poi utilizzo anche nei miei gusti”.

Fondamentale per i prodotti Greed è il lavoro dell'azienda agricola biodinamica Carlo Noro di Labico: “Sono molto legato alla filosofia biodinamica, che rispecchia a pieno il mio concetto di alimentazione. Dalle materie prime di Carlo prendo ispirazione per il mio gelato, al punto che sono riuscito a creare anche il gusto insalata, a base di estratto di lattuga romana. I suoi prodotti sono unici”. L'azienda fa anche formazione sull'extravergine e i principi dell'agricoltura biodinamica, la viticoltura e l'orticoltura. “Sono dei professionisti a tutti gli effetti, da cui c'è tanto da imparare”.

E ancora il Panificio Fiasco, forno storico di Castel San Pietro Romano che realizza da sempre i celebri giglietti di Palestrina, biscotti a base di farina, zucchero e uova entrati di diritto a far parte dell'elenco dei presidi Slow Food: “Quando ho conosciuto le signore del panificio sono rimasto estasiato. Da 60 anni si svegliano all'alba per preparare queste specialità simbolo di un territorio, senza sosta e senza mai perdere l'entusiasmo. È un racconto che commuove”.

Fra le realtà del cuore di Dario ce ne è una anche nella sua Zagarolo: è Meraviglie in Pasta, laboratorio di pasta all'uovo gestito da Angela Fiorini e le sue figlie Valentina e Eleonora Euganei, di cui vi avevamo già parlato in maniera dettagliata qui. “La loro storia è molto simile alla mia. Hanno cominciato anche loro nel 2004, proponendo un prodotto di nicchia ancora sconosciuto in paese. Hanno subìto anche loro la diffidenza dei consumatori e il passaggio così limitato di clienti”, fino a che la qualità non ha avuto la meglio, premiando tutti gli sforzi di questi professionisti appassionati. “Offrire specialità rare è possibile anche fuori dalle grandi città, se si lavora bene e si cura la parte della comunicazione”.

La comunicazione e gli eventi

Ed è proprio quello che Dario fa: “In negozio sono solo con mia madre e la mia fidanzata, che spesso mi danno una mano. Curo personalmente la parte della comunicazione sui social ma devo ammettere che è un lavoro che richiede molto tempo”. L'operazione che il gelatiere fa è quella dello story-telling, racconto di produttori e materie prime, della nascita degli ingredienti, delle idee e il loro sviluppo: “Mostro spesso tutta la crescita dei frutti, dalla gemma al momento della raccolta, per poi far vedere al pubblico la loro trasformazione in laboratorio. In questo modo i consumatori sono più curiosi e invogliati ad assaggiare il gelato”.

Ma Dario si propone di valorizzare anche tutti i colleghi del territorio più preparati: “Ho intenzione di organizzare diversi eventi, fra cui 'Il sabato del produttore', un pomeriggio dedicato ad agricoltori, viticoltori, olivicoltori e tutti gli artigiani da cui mi riforniscono, a cui vorrei offrire la possibilità di far conoscere la propria storia, realizzando ogni volta un gusto studiato appositamente per esaltare i loro ingredienti”. In cantiere anche l'idea per il progetto dedicato alla canapa, “con la partecipazione di un nutrizionista, un giornalista specializzato e tanti produttori”. E ancora il 'Gelato firmato', festival dedicato agli chef locali con cui Dario preparerà insieme una ricetta d'autore che sarà disponibile in gelateria, “e perché no? Anche nel loro ristorante”.

Greed Avidi di Gelato | Frascati (RM) | via Cernaia, 28 | tel. 347 6236679 | www.facebook.com/greedavididigelato/

a cura di Michela Becchi

Gelaterie d'Italia | Gambero Rosso, 2017 | pp. 208, 8,90 euro | disponibile anche on line

Per saperne di più: Gelaterie d'Italia 2017 del Gambero Rosso. La classifica e i premiati


Ikea Bootcamp. L'azienda svedese investe sull'innovazione: borse di studio per le food start up

$
0
0

La prima edizione del progetto di accelerazione di impresa che il colosso svedese avvierà a settembre non fa che confermare l'interesse sempre più puntuale di Ikea per il settore alimentare, la ristorazione e lo sviluppo di nuovi prodotti. Ecco come partecipare al Bootcamp in Svezia: c'è posto per 10. 

Ikea, l'industria alimentare e la ristorazione

L'ultimo anno ha visto Ikea sempre più lanciata su un terreno che fino a qualche tempo fa gli apparteneva solo marginalmente, e più che altro per il folclore di una ristorazione veloce in stile scandinavo che ha plasmato l'immaginario di un fast food alternativo a quello a stelle e strisce, tutto polpette con salsa ai frutti di bosco e salmone al vapore. Un'attività di supporto al core business dell'azienda, insomma, la più celebre e capillare rivendita di mobili e soluzioni d'arredo (made in Sweden) del mondo. Eppure le cronache degli ultimi mesi parlano di uno sforzo significativo per portare l'attenzione sul rinnovato interesse per una proposta di ristorazione a firma Ikea che possa brillare di luce propria, intercettando i trend gastronomici internazionali e costruendo una strategia di comunicazione ad hoc che possa accrescere l'appeal del brand anche quando si tratta di considerare il cibo in tavola (e non solo i piatti in cui è servito, o il tavolo intorno a cui ci si riunisce). Si pensi alle formule pop up inaugurate in diverse capitali internazionali, al restyling degli spazi di ristorazione all'interno di molte filiali, alle iniziative improntate sul modello del social eating, ai proclami per il futuro. Ma c'è di più, e i primi a rendersene conto saranno, dopo l'estate, i primi ammessi al Bootcamp che Ikea sta sviluppando come acceleratore d'impresa per start up giovani e innovative.

Ikea Bootcamp. Obiettivo: innovazione. Anche a tavola

Il progetto prenderà forma in Svezia, ad Almhut, in collaborazione con Rainmaking, con l'obiettivo di “costruire un futuro migliore per tutti”. Di fatto la selezione delle dieci fortunate start up ammesse alla prima edizione del campus passerà per una ricerca che premia chi sarà in grado di risolvere i “big problems” individuati da Ikea. Ed ecco che, accanto a soluzioni d'avanguardia per logistica, customer experience ed energia sostenibile, si fa strada una chiamata specifica per i potenziali innovatori del cibo. Food innovation è la sezione che riunisce gli ambiti di ricerca presi in considerazione dai selezionatori di Ikea: urban farming, sviluppo di nuovi prodotti e ingredienti, sistemi innovativi di conservazione del cibo, packaging all'avanguardia, sostenibilità alimentare, healthy food, realtà virtuale applicata all'esperienza gastronomica. Un pacchetto completo degli orientamenti più pertinenti in materia di innovazione alimentare (e a proposito di food tech segnaliamo la sede romana di Startupbootcamp, che, con la collaborazione del Gambero Rosso, sta per avviare la seconda edizione).

Le candidature (su scala internazionale) sono già aperte: l'ultima data utile è il 6 agosto. Poi, nel corso del mese, si procederà alla scrematura; il bootcamp si protrarrà per tre mesi, dal 18 settembre all'8 dicembre 2017. Le startup vincitrici lavoreranno allo sviluppo del concept sotto la guida di mentori e tutori nelle aule e laboratori dell'Ikea Range and Supply Democratic Design Center. E ognuno riceverà 20mila euro per l'avvio dell'attività. Ikea, che non chiede di partecipare agli utili, si riserva la possibilità di investire nella start up qualora i risultati fossere particolarmente interessanti. Chiaramente, la vetrina che il colosso svedese è in grado di offrire ai potenziali innovatori rappresenta la posta in gioco più allettante, vista la diffusione globale del brand e l'agenda dei contatti commerciali che Ikea sarà in grado di condividere con i suoi “protetti”: una rete di investitori da oltre 40 Paesi del mondo.

 

http://ikeabootcamp.rainmaking.io/

 

a cura di Livia Montagnoli

 

MIT ha stampato la pasta animata del futuro

$
0
0

L'Institute of Technology del Massachusetts (MIT) ha combinato la stampa 3D con la gastronomia molecolare. Il risultato? Una pasta che si muove e cambia forma da sola, una volta immersa in un liquido.  

I ricercatori Wen Wang e Lining Yao hanno progettato una pasta fatta di gelatina e amido, che cambia forma e reagisce una volta messa in acqua. L'obiettivo è quello di ridurre i costi di spedizione dei prodotti alimentari e portare, perché no, nuovi ingredienti nelle cucine degli chef.

La nascita del progetto

Wang e Yao stavano lavorando a un progetto per l'Institute of Technology del Massachusetts con dei batteri sensibili all'umidità, quando hanno iniziato a giocare con i materiali commestibili. Da qui hanno preso vita le tagliatelle composte da strati sottili di gelatina caratterizzati da diverse densità. Dove lo strato superiore è più denso, e dunque assorbe l'acqua piegandosi sopra lo strato inferiore meno denso e creando un altro formato di pasta. I tentativi prima di ottenere un buon risultato sono stati svariati: in principio furono i maccheroni, in seguito i rigatoni, ma nessuno di questi formati sembrava essere adatto per il progetto. Insieme allo chef Matthew Delisle del ristorante L'Espalier di Boston Wang e Yao hanno iniziato a lavorare su diverse versioni del prodotto, dai dischi di pasta trasparenti aromatizzati al plancton all'inchiostro di seppia alle strisce di fettuccine realizzate con due strati di gelatina fusi insieme a temperature diverse. Il gruppo di ricerca ha analizzato tutti i modelli di cellulosa e le diverse strutture e dimensioni che questa può avere, testando sul campo la loro resistenza e tenacia. Tanti i test di laboratorio e altrettante le informazioni raccolte dalla squadra, che alla fine ha optato per strisce di amido e cellulosa ottenute mediante la stampa 3D, con le quali si è ottenuto il formato finale. Insieme allo chef Delisle, i due ricercatori hanno, inoltre, scelto di produrre un video di presentazione.

 

 

Gli obiettivi

Ovviamente, oltre all'estetica e all’aspetto giocoso, il principale obiettivo dello studio è quello di creare una pasta piatta, che sia più comoda e più economica da trasportare, e che limiti la quantità di imballaggi. “Secondo un calcolo semplice semplice, nelle confezioni di pasta normale il 67% del volume è composto da aria”, ha dichiarato Wang, “mentre con questo nuovo tipo di pasta, l'imballaggio si presenterebbe piatto, con un notevole risparmio di spazio”. Per i più curiosi esiste già un dabase con i modelli di pasta stampabile in 3D, e in futuro il team darà la possibilità a chiunque di creare e ordinare online il proprio formato di pasta personalizzato. Una domanda sorge però spontanea, a maggior ragione per noi italiani: ma questa pasta è buona? Non proprio, dato che per ora si presenta sotto forma di gelatina. Aspettiamo dunque il seguito della ricerca, che in parte è finanziata dall'incubatore Target's Food + Future.

 

news.mit.edu

 

Bollicine da vitigni autoctoni. I bianchi di Valle d'Aosta e Piemonte

$
0
0

Negli ultimi anni assistiamo a un continuo fiorire di nuove etichette di bollicine. E non solo dai classici vitigni internazionali tradizionalmente impiegati per il Metodo Classico, ma anche da autoctoni che per loro caratteristiche si prestano particolarmente alla spumantizzazione. Iniziamo con i vitigni a bacca bianca di Valle d'Aosta e Piemonte.

Nel mondo del vino sempre più spesso si sente parlare di vitigni autoctoni e di tipicità territoriale. L’Italia può contare su circa 400 varietà locali, capaci di rappresentare e raccontare la tradizione e la cultura di ogni singolo terroir. Tuttavia le denominazioni italiane più importanti della spumantistica (Franciacorta, Trento Doc, Oltrepò Pavese Metodo Classico e Alta Langa) utilizzano vitigni internazionali, principalmente chardonnay e pinot noir. Il successo negli ultimi anni delle cosiddette “bollicine”, ha spinto molti produttori a realizzare spumanti Metodo Charmat e Metodo Classico con uve autoctone. 

Peraltro in Spagna gli spumanti Cava sono prodotti soprattutto con i vitigni locali: macabeo, xarel-lo, parellada, malvasía, garnacha tinta, monastrell, trepat oltre agli immancabili chardonnay e pinot noir. Se poi pensiamo all’Appellation francese Crémant, troviamo un’ampia varietà di uve, oltre alle classiche della Champagne. In Alsazia pinot blanc, pinot gris e riesling; in Borgogna aligotè e gamay; nella Loira chenin blanc, sauvignon blanc, cabernet sauvignon, cabernet franc e pineau d’aunis; nello Jura savagnin, poulsard e trousseau; a Limoux mauzac e chenin blanc; a Die la clairette blanche; a Bordeaux cabernet franc, cabernet-sauvignon, carmenère, colombard, côt, malbec, merlot, muscadelle, petit verdot, sauvignon blanc, sémillon e ugni blanc.

È nato da queste considerazioni il desiderio di faree il punto sugli spumanti prodotti in Italia con sole uve autoctone, restringendo il campo solo ai vini elaborati con Metodo Classico. Un percorso per verificare se, a parte certe derive modaiole e qualche accanimento legato a un’esaltazione aprioristica dell’autoctono, ci sono vitigni ed etichette capaci d’esprimere eccellenze. Bottiglie che possono sostituire le denominazioni di Metodo Classico più famose quando si ha voglia di bere qualcosa di diverso o di privilegiare un abbinamento cibo-vino legato al territorio. Cominceremo il nostro viaggio da con gli autoctoni a bacca bianca di Valle d’Aosta e Piemonte, certi che non mancheranno le sorprese.

Morgex

Prié Blanc

Partiamo dalla vetta più alta d’Italia: il Monte Bianco. Nella zona di Morgex e La Salle, sui terrazzamenti che salgono fino a 1200 metri troviamo le vigne di prié blanc. Un’uva che si è adattata benissimo ai terreni rocciosi e al freddo dell’altitudine, anche grazie a un ciclo vegetativo molto breve. È coltivata in un ambiente dal clima estremo, che però ha il vantaggio di richiedere pochi trattamenti e di poter ospitare viti ancora a piede franco.

Il vino è caratterizzato da note delicate d’agrumi, fiori ed erbe di montagna, da un’acidità molto elevata e da un tenore alcolico contenuto. Caratteristiche che lo rendono adatto per produrre spumanti Metodo Classico. Gli assaggi hanno confermato l’eccellenza degli spumanti Valdostani, nel segno della finezza espressiva e della freschezza minerale. Un Metodo Classico perfetto per antipasti di pesce, sushi o per abbinamenti territoriali, ad esempio con il lardo di Arnad.

 

Tra le aziende più importanti del territorio troviamo la cooperativa Cave Mont Blanc de Morgex et La Salle, che propone più versioni di prié blanc Metodo Classico. Il Valle d’Aosta Blanc de Morgex et La Salle Extra-Brut Extreme, come denuncia già il nome, è il più estremo, semplice e diretto. La base svolge la fermentazione solo in acciaio, a differenza dei vins clairs delle altre etichette, che in parte maturano in legno. Il breve affinamento sui lieviti, di circa 18 mesi, regala un vino schietto con freschi profumi di fiori bianchi, note minerali e sferzante acidità citrina.

Il Valle d’Aosta Blanc de Morgex et La Salle Pas Dosé Glacier,si affina per 20/24 mesi sui lieviti e grazie al dosaggio zero, conserva l’essenzialità cristallina e l’acidità tagliente del priè blanc. Un vino nitido, lineare, con aromi di mela verde, agrumi e una spiccata mineralità, per puristi.

Il Valle d’Aosta Blanc de Morgex et La Salle Brut Blanc de Blancssosta sui lieviti per circa 20/24 mesi prima del dégorgement. Armonioso, con un attacco al palato meno aggressivo. Esprime un bouquet di delicati aromi di fiori di campo e frutta bianca, sostenuti da una vivace freschezza agrumata.

Infine il Valle d’Aosta Blanc de Morgex et La Salle Cuvée du Prince, la versione più matura ed evoluta del prié blanc, affinata 48 mesi sui lieviti. Pur mantenendo una viva freschezza, ha note più complesse, con profumi di fiori di tiglio, frutta bianca e lievi sentori tostati. Al palato si distende su delicati aromi fruttati, di frutta secca e miele di montagna. La chiusura è fresca, con sensazioni quasi pietrose.

erbaluce

Erbaluce

L’erbaluce è coltivato nell’area del Canavese, dove è presente da secoli sulle colline d’antica origine morenica. È un’uva molto versatile, che grazie alla finezza del bouquet, all’elevata acidità e alla longevità, è adatta alla spumantizzazione, alla produzione di vini fermi e passiti. Tra gli autoctoni piemontesi, è tra i più vocati per realizzare un buon Metodo Classico. La viva acidità anche a piena maturazione, consente di vendemmiare con un anticipo minimo, selezionando all’interno dei vigneti le parcelle con microclima più fresco. Per questo i Metodo Classico da erbaluce sono particolarmente interessanti e le degustazioni ne hanno confermato il valore. Ottimo per accompagnare un menù di pesce, nelle versioni più evolute si abbina anche a carni bianche delicate.

 

Partiamo con uno spumante semplice, fresco e fragrante, frutto di un affinamento sui lieviti che non supera i 20 mesi: l’Erbaluce di Caluso Metodo Classico Millesimato di Ilaria Salvetti.Si apre con eleganti profumi di fiori bianchi e delicate note fruttate, unite alla piacevole e nitida acidità tipica del vitigno.

Il Caluso Metodo Classico Cuvée Tradizione di Orsolani è prodotto con le uve delle vigne coltivate nelle zone dal microclima più fresco. La base si affina in acciaio e riposa poi sui lieviti per 36 mesi. I profumi ricordano freschezze agrumate, sentori di fiori di campo ed erbe officinali. Al palato si distende con ricchezza espressiva, vibrante acidità e finale minerale.

Un vero classico l’Erbaluce di Caluso San Giorgio di Cieck, il primo vino prodotto dall’azienda nel 1951. È uno spumante di grande finezza, con delicate note floreali, fruttate e leggeri sentori di crosta di pane. Il sorso è molto piacevole, aromaticamente ricco e di grande freschezza.

Più maturo e complesso l’Erbaluce di Caluso Calliope della stessa azienda, che fermenta parzialmente in legno e si affina come il San Giorgio per 36 mesi sui lieviti. Il bouquet è armonioso e ricco, con aromi di frutta bianca, cenni tropicali e un tocco di vaniglia. In bocca è profondo e persistente, con corpo ampio, attraversato da intatta freschezza.

Interessante il Erbaluce di Caluso Metodo Classico Incanto di Crosio.Il dosaggio zero esalta fin da subito la freschezza dell’erbaluce con raffinate note d’agrumi, fiori di campo, frutta bianca e nuances tostate. Il sorso è dritto, essenziale nella sua purezza espressiva, con elegante rigore sapido e minerale. Riposa sui lieviti per 36 mesi prima del dégorgement. L’Erbaluce Metodo Classico Millesimato Masilé di La Maseraè uno spumante dal profilo olfattivo complesso ed evoluto con profumi floreali, di frutta bianca, leggere sensazioni tostate e di crosta di pane. Al palato si distende con armoniosa ricchezza e profondità, verso note di frutta matura e nuances di mandorla. Affinamento sui lieviti di circa 36 mesi.

L’Erbaluce di Caluso Brut La Torrazza di Ferrando matura per 36/48 mesi prima del dégorgement.Il bouquet è elegante, con delicate note fruttate, cenni floreali e sentori evoluti su toni grigliati. Palato armonioso, fresco e dinamico, con aromi intensi e nuances di frutta secca.

L’Erbaluce Metodo Classico Brut Rigore Santa Clelia nasce dal desiderio di cogliere l’essenza del vitigno erbaluce nella sua espressione più pura e sincera. Si affina almeno 48 mesi sui lieviti, per raggiungere una maturità che si traduce in aromi freschi e raffinati di fiori bianchi e agrumi. La bocca è ricca e intensa ben equilibrata dall’acidità, che sul finale regala eleganti e nitidi sentori minerali.

Il Metodo Classico Erbaluce Brut della Tenuta Roletto siapre su nitidi sentori minerali, accompagnati da ricordi di miele d’agrumi e da una leggera tostatura. La bocca è cremosa, ricca e armoniosa, con freschezza intensa e profonda, che sfocia in un finale minerale. Uno spumante di bella stoffa e persistenza, anche grazie all’affinamento sui lieviti di circa 60 mesi.

IlCaluso Metodo Classico Brut Cuvée Tradizione Riserva di Orsolani fermenta parte in acciaio e parte in legno e si affina per 60 mesi. Il bouquet è complesso e maturo con aromi tostati, sentori di crosta di pane ed erbe aromatiche. In bocca spicca per una nitida vena acida e minerale, che si stempera in armoniose note di miele e frutta secca.

Chiudiamo con un interessante millesimato che matura sui lieviti almeno 6/7 anni prima del dégorgement: l’Erbaluce Metodo Classico Brut San Michele di Cella Grande. Nasce nelle vigne coltivate sulle colline moreniche affacciate sul lago di Viverone.Al naso esprime aromi maturi e complessi, con profumi di frutta gialla, ananas, frutti tropicali, su un sottofondo di miele d’agrumi. Il sorso è importante, ampio, aromaticamente ricco e succoso, con corpo armonioso, sostenuto da una decisa vena minerale e da un’equilibrata freschezza. Il finale è lungo e persistente.

Arneis

L’arneis è un vitigno autoctono coltivato da secoli nel Roero. Ha un buon corredo aromatico, che regala vini con note floreali, fruttate, cenni tropicali e un finale leggermente ammandorlato. L’acidità non è mai troppo elevata, prevalgono piuttosto l’armonia e l’equilibrio. Le sue caratteristiche non ne fanno una varietà naturalmente vocata alla spumantizzazione. Per preservare l’acidità, si scelgono le parcelle con esposizioni a nord, spesso non si pratica la defogliazione e la vendemmia avviene con un anticipo di qualche settimana. Sono poche le vigne adatte a essere destinate al Metodo Classico, con una produzione marginale. Un elemento importante è la durata dell’affinamento sui lieviti: se troppo breve l’arneis tende a esprimere un bouquet dal frutto ancora piuttosto esuberante e non particolarmente fine, al contrario i tempi molto lunghi rischiano di compromettere la freschezza. A vantaggio dell’arneis gioca invece il terroir, che con il tempo porta in primo piano note minerali e sapide, che vanno a supportare la tensione acida del vino. La ricchezza fruttata e la scarsa acidità, orienta quasi tutti i produttori verso la scelta di dosaggi zero o comunque molto bassi. I risultati sono alterni, ma non mancano alcune bottiglie interessanti.

 

Partiamo con due etichette improntate alla valorizzazione del bouquet fruttato del vitigno. Il Metodo Classico Roero Arneis Brut Accordo della Cantina Marsaglia propone una versione con affinamento sui lieviti di 24 mesi. La fragranza aromatica e il dosaggio brut esaltano soprattutto la morbida e croccante piacevolezza delle note di frutta matura.

Il Metodo Classico Roero Arneis Pas Dosé For You di Demarieviene prodotto solo nelle annate favorevoli esi affina per 36 mesi sui lieviti. La raccolta dell’uva, anticipata solo di una settimana, dona al vino un profilo caratterizzato da aromi ricchi e succosi. È un Metodo Classico che gioca sull’ampiezza aromatica, ma che pecca un po’ in acidità.

Più equilibrato il Metodo Classico Roero Arneis Pas Dosé Elena di Stefanino Morra.Nasce da una vendemmia anticipata di una delle migliori parcelle della tenuta, scelta per i suoli sabbiosi e l’esposizione a nord-ovest. Il vino riposa sui lieviti per circa 36 mesi. È un Metodo Classico dai freschi aromi floreali e fruttati, sostenuti da una giusta acidità e con finale piacevolmente minerale. Si fa apprezzare soprattutto per il buon equilibrio e la finezza espressiva.

IlMetodo Classico Roero Arneis Brut di Viglione, rappresenta un po’ la riserva di famiglia, realizzata in un numero limitato di bottiglie. Una produzione quasi artigianale, caratterizzata da 4/5 anni di affinamento sui lieviti. Il bouquet esprime note minerali con delicati cenni floreali e di mela, la bocca è armoniosa ed evoluta, con frutto maturo, ben equilibrato da freschezza e sapidità.

Interessante ilMetodo Classico Roero Arneis Pas Dosé Giovanni Negro di Angelo Negro e Figli. Prodotto con uve di vigneti vendemmiati con un paio di settimane d’anticipo. Il vino base è in parte affinato in legno e prima del dégorgement rimane sui lieviti per 72 mesi. La scelta di una vendemmia anticipata e il lungo affinamento, regalano un metodo classico elegante e complesso, caratterizzato da aromi minerali, di crosta di pane e sentori leggermente tostati. Il sorso è appagante, profondo e persistente, con finale su note sapide tipiche del terroir.

Il Metodo Classico Roero Arneis Brut 2010 di Lorenzo Negro nasce da una vendemmia precoce dei migliori cru aziendali, coltivati su terreni sabbiosi d’origine marina, particolarmente ricchi di minerali e situati nelle zone più alte e fresche della Tenuta. I vini base maturano in legno e dopo il tiraggio riposano sui lieviti per circa 5 anni. Il risultato è un Metodo Classico dal profilo evoluto e complesso, con note di frutta bianca, scorza d’agrume e nuances tostate. Il sorso è intenso, ampio, profondo, sapido e minerale. Bella la persistenza finale.

Di particolare finezza il Metodo Classico Roero Arneis Faiv della Tenuta Ca’ de Russ, che arriva al dégorgement dopo ben 8/9 anni sui lieviti. Le vigne sono coltivate su marne calcaree del Roero in regime di agricoltura biodinamica. È la prova che con le giuste acidità, l’arneis può raggiungere ottimi risultati in termini di longevità ed equilibrio. Ha un profilo raffinato ed elegante, che unisce sentori minerali, note d’agrumi canditi e pane tostato con intatta freschezza.

Cortese

Storicamente diffuso nell’Alessandrino, il cortese ha trovatoil suo territorio d’elezione nell’area di Gavi. Da questa uva si produce un vino elegante, con profumi floreali, di frutta bianca, agrumi e sentori minerali tipici del terroir. La finezza, la buona acidità e la naturale longevità, lo rendono adatto alla produzione di Metodo Classico. Non a caso è stato utilizzato per le prime prove di spumantizzazione già sul finire dell’800. La vendemmia avviene con qualche settimana d’anticipo, per avere basi non troppo alcoliche e giustamente acide. Un Metodo Classico molto adatto per accompagnare antipasti e piatti di pesce.

 

Alcune versioni, come il Gavi Metodo Classico Brut dei Produttori di Gavi e il Gavi Metodo Classico de La Smilla, elaborate con un affinamento sui lieviti di circa 18 mesi, risultano semplici ed esprimono un bouquet con morbidi e fragranti aromi fruttati, sostenuti da buona acidità.

Il Gavi Metodo Classico Brut di Magda Pedrini, è prodotto con uve vendemmiate con tre settimane d’anticipo e matura sui lieviti per circa 24 mesi. È delicato ed elegante. Il profilo olfattivo è fine e fresco, con note floreali, d’agrumi, frutta bianca e crosta di pane. Una piacevole acidità e una bella vena minerale danno vitalità e slancio al sorso, che chiude su sensazioni sapide.

Anche il Gavi Metodo Classico Brut Blanc de Blancs di Villa Sparina, si distingue per la finezza del bouquet delicato e minerale, che si distende in bocca con bella intensità aromatica e vivace acidità. Sullo stesso stile il Gavi Metodo Classico Brut di Soldati La Scolca.

Nasce dalle uve provenienti da una singola parcella della tenuta, che garantisce da sempre le acidità più elevate, il Gavi Metodo Classico Millesimato La Mesma. Il lungo affinamento sui lieviti regala un bouquet evoluto con profumi di fiori bianchi, frutta matura e delicate note tostate, armonioso, equilibrato, con buona complessità e profondità gustativa.

Sulle stesse note espressive si muovono il Gavi Metodo Classico Millesimato Il Poggio e il Gavi Metodo Classico Cuvée Marina di La Ghibellina, due etichette affinate circa 36/48 mesi sui lieviti, che fanno del buon equilibrio fra aromi varietali e note evolutive la caratteristica principale, con piacevole freschezza e buona persistenza finale.

Interessante il Gavi Metodo Classico Extra-Brut Millesimato di Ottosoldi. Prodotto in un numero limitato di bottiglie, è elegante e complesso, e coniuga le note evolutive del cortese con una buona acidità. Alla vendemmia anticipata di qualche settimana, segue poi un affinamento sui lieviti per circa 36/48 mesi. Il bouquet è fine ed elegante, con freschezza floreale e agrumata, impreziosita da sentori tostati e minerali.

Lunghi affinamenti, che arrivano anche a 6/7 anni per il Gavi Metodo Classico Brut di Broglia. Ha buona struttura e complessità aromatica, con note minerali, fruttate e nuances tostate, ben equilibrate da freschezza e finale salato.

Bell’etichetta il Gavi Metodo Classico Brut Millesimato di Soldati La Scolca, che vede la luce solo dopo 72 mesi d’affinamento sui lieviti. Il profilo olfattivo è ricco, con note di crosta di pane, sentori di frutta esotica e morbidezza mielata. La bocca è ampia e articolata, con aromi di frutta matura, mandorla, nocciola tostata e finale minerale di bella freschezza.

Chiudiamo con il Gavi Metodo Classico Brut d’Antan di Soldati La Scolca, una Riserva affinata per 10 anni sui lieviti. Spumante opulento, ampio e armonioso, con prevalenza d’aromi terziari e note tostate su fondo di miele e spezie. La freschezza è tenuta viva da una bella vena minerale.

 

a cura di Alessio Turazza

 

Ventimetriquadri Specialty Coffee. A Napoli, la prima caffetteria innovativa della città

$
0
0

L'associazione fra Napoli e caffè è immediata. Ma il nuovo bar Ventimetriquadri Specialty Coffee ha intenzione di rivoluzionare lo storico scenario della caffetteria partenopea con una nuova proposta tutta dedicata alla qualità dell'oro nero.

La cultura del caffè a Napoli

L'espresso a Napoli è molto più di una bevanda. Quello della 'tazzulella' è un rituale a tutti gli effetti, un momento di convivialità, gesto ripetuto più volte al giorno che porta con sé una storia che si perde nella notte dei tempi. I bar partenopei sono prima di tutto un luogo di ritrovo, un punto di incontro fra amici, coppie, colleghi, spazio unico dove scambiare battute veloci con chi è dietro e di fronte al bancone. Perché quello del barista è un ruolo che non ha eguali nella vita cittadina: è il confidente, un amico, una persona che ogni mattina accoglie concittadini e turisti, strappando loro un sorriso con il tipico spirito napoletano. Tante le regole e i rituali che accompagnano la liturgia dell'espresso in Campania, a cominciare dalla temperatura (bollente) per finire con l'estrazione (solitamente ristretto). Una storia, quella dell'espresso alla napoletana, che ha portato alla creazione di un vero e proprio mito che, se da una parte ha contribuito a rendere ancora più goliardica e folcloristica l'immagine di una città tutta da gustare, dall'altra ha limitato lo sviluppo e l'evoluzione del settore caffeicolo.

Rinnovare la tradizione: il coraggio di cambiare

Così Napoli è rimasta per tanto (troppo?) tempo fedelmente ancorata all'immagine della tazzina di una volta, ma ora – proprio come sta accadendo in tante altre città italiane – è pronta a voltare pagina, o meglio, ad aggiungerne un'altra, diversa e moderna, al volume della storia della caffetteria napoletana. Lo abbiamo visto già in altre località, da Genova a Palermo, da Torino a Bologna e molte altre ancora, senza dimenticare Roma, uno dei panorami più difficili per la qualità dell'oro nero: i caffè specialty, chicchi altamente selezionati e tostati a puntino per esprimere al meglio tutte le sfumature del caffè, e più in generale materie prime di qualità, unite a tecniche e conoscenze più approfondite, hanno iniziato a invadere le grandi città (e non solo) della Penisola. Un Paese che, come abbiamo ripetuto più volte, ha fatto della sua memoria storica del caffè un punto di debolezza anziché di forza, che per anni ha rappresentato un ostacolo per l'innovazione di settore, per quella rivoluzione che nei Paesi stranieri – Australia, Stati Uniti e Nord Europa in particolare – è avvenuta già un decennio fa.

Ma oggi stiamo assistendo a un Rinascimento del caffè in Italia? Le scuole di pensiero al riguardo sono diverse, ma un dato è certo: i primi passi sono stati mossi, grandi e piccole realtà hanno cominciato a rinnovarsi e tanti ragazzi giovani hanno scelto di percorrere questa strada, quella più difficile. Una via che ripaga dopo tempo ma che – ne siamo certi – non tarderà a dare i suoi frutti. Perché quando la passione per un prodotto, e più in generale una storia che si snoda dalle piantagioni dei paesi equatoriali fino ai banconi nostrani, si fa bruciante, allora è tempo di agire e tentare di cambiare lo scenario contemporaneo. Anche laddove sembra impossibile, dove il terreno non è ancora fertile e i consumatori non ancora pronti. Perché non esiste un momento opportuno per rischiare, ma ci sono le occasioni giuste per provarci.

La scommessa di un imprenditore napoletano

È il caso di Vincenzo Fioretto, imprenditore partenopeo che ha inaugurato ieri, 31 maggio 2017, Ventimetriquadri Specialty Coffee, il primo bar specialty di Napoli, nel quartiere del Vomero. “Nella vita facevo tutt'altro” racconta, “il caffè ha sempre ricoperto un ruolo fondamentale della mia quotidianità, come per ogni buon napoletano che si rispetti”, ma non era certo nei suoi piani lavorativi. Finché l'estate scorsa non conosce, a Positano, una ragazza australiana in gita in Italia per seguire un corso d'arte a Firenze: “Mentre era in Toscana è andata a visitare Ditta Artigianale”, fra le prime caffetterie/torrefazioni a spianare la strada degli specialty in Italia, “e mi ha suggerito di provare il loro caffè”. Napoletano doc, Vincenzo è poco incline a prodotti diversi dal celebre espresso napoletano e per tempo quel sacchetto di caffè che la ragazza gli regala resta chiuso. “Un giorno mi sono deciso a provarlo e ho scoperto un nuovo mondo di aromi e profumi che prima non avevo mai percepito”. Il resto della storia è la stesso che accomuna tutti gli appassionati di caffè: la curiosità iniziale, lo stupore, la voglia di saperne di più e il desiderio di andare più a fondo. Vincenzo si mette in viaggio, va a trovare Francesco Sanapo, torrefattore, barista e patron di Ditta Artigianale. Scopre che esistono metodi alternativi di estrazione all'espresso, e capisce che il caffè filtro non è solo una bevanda annacquata e soprattutto che ogni chicco è diverso, ogni tazzina un mondo a sé.

Il bar e il pubblico napoletano

Poi l'idea: “Con altri tre soci abbiamo deciso di provare a portare questo concetto di caffetteria anche a Napoli, chiedendo aiuto agli esperti del settore”. È Matteo Strano, giovane barista romano (che fra le altre consulenze ha curato l'avviamento di Faro – Luminari del caffè) a occuparsi della formazione del personale a Napoli: “Mi occupo principalmente della consulenza sui macchinari e della preparazione dei ragazzi che staranno dietro al bancone”. Al suo fianco, Marco Travaglione, “un ragazzo napoletano che ha vissuto e lavorato a Londra per 9 anni”. Il caffè è quello di Ditta Artigianale, “ma abbiamo intenzione di inserirne anche altri per valorizzare le torrefazioni italiane”. Non mancherà, accanto a espressi e cappuccini, il caffè filtro estratto con diversi metodi, dal v60 all'aeropress.

Un rischio azzardato e una scelta imprenditoriale di rilievo. O no? “Sono molto fiducioso”, commenta Vincenzo. E aggiunge: “In fin dei conti anche io ero scettico all'inizio, ma una volta assaporato il vero gusto del caffè ho cambiato immediatamente idea”. Perché gli specialty sono così: una volta provati, difficilmente si torna indietro. “Di fronte alla qualità non c'è storia che regga, Napoli o non Napoli: se un prodotto è buono i consumatori a lungo andare se ne renderanno conto”. Anche attraverso serate a tema, eventi “e soprattutto degustazioni e sessioni di cupping pensati per coinvolgere e incuriosire il pubblico”. E mostrare che un altro modo di bere caffè è possibile. Anche a Napoli. “Provare per credere”.

Ventimetriquadri Specialty Coffee | Napoli | via Bernini, 64 a | tel. 345 5328421 | www.facebook.com/Ventimetriquadri-Specialty-Coffee-1780568172254975/?hc_ref=SEARCH

a cura di Michela Becchi

Aromi aggiunti. Il tabù è giustificato?

$
0
0

Abbiamo chiesto a Dario Bressanini del blog La Scienza in cucina, ad Angela Bassoli, la chimica che da anni studia i recettori del gusto e dell'olfatto, e al padre della gastronomia molecolare Hervé This che cosa sono gli aromi aggiunti, a cosa servono e se fanno male. Ecco cosa ne è emerso.

Non sempre lo spettro aromatico di un cibo che consumiamo è quello che, spontaneamente, quel cibo produce. A volte si ricorre a dei piccoli aiuti, che rendono il prodotto più appetitoso: sono gli aromi aggiunti. Ci sono infatti aziende in grado di costruire in laboratorio molecole che danno aromi complessi. Alcuni, per esempio, possono essere prodotti dalla fermentazione di un batterio. È frutto dell'evoluzione, ovvio, ma, posto che non facciano male, come consumatori abbiamo il diritto di conoscere cosa stiamo mangiando. Eppure quasi nessuno ne parla. Di mezzo ci sono questioni legate al sentire comune (quanto fascino perderebbe un dolcetto se fosse ben chiaro che quel sentore di buccia di arancia così invitante è aggiunto ex novo?) ma anche dinamiche connesse alle strategie industriali: chi riesce a riprodurre un aroma molto buono tende a custodirne il segreto. Noi abbiamo cercato di approfondire la questione.

Cosa sono gli aromi

La norma Europea che regola il settore degli aromi è il Regolamento (CE) 1334/2008, entrato in vigore il 20 gennaio 2009. Ove si legge: “Per 'aromi' si intendono i prodotti non destinati a essere consumati nella loro forma originale, che sono aggiunti agli alimenti al fine di conferire o modificare un aroma e/o sapore. Oppure fabbricati con o contenenti le seguenti categorie di sostanze: sostanze aromatizzanti, preparazioni aromatiche, aromi ottenuti per trattamento termico, aromatizzanti di affumicatura, precursori degli aromi o altri aromi o miscele di aromi”.

Entriamo nel dettaglio. Le preparazioni aromatiche sono aromi ottenuti mediante appropriati processi fisici, enzimatici o microbiologici a partire da materiali di origine vegetale, animale o microbiologica che si trovano allo stato grezzo del materiale o che sono stati trasformati per il consumo umano. Ad esempio il legno di rosa, i trucioli di legno di quercia e le foglie di fragola, non sono utilizzati nella produzione di alimenti, ma vengono usati nella produzione di aromi. In questo caso non occorre sottoporle alla valutazione o alla procedura di autorizzazione per usarle negli alimenti.

Gli aromi ottenuti per trattamento termico derivano da alimenti oppure da materiali diversi, ma quel che è certo è che scaturiscono da una miscela di ingredienti che non hanno necessariamente di per sé proprietà aromatizzanti, di cui almeno uno contiene azoto e un altro è uno zucchero riduttore. Concetto simile per il precursore di aroma, che viene aggiunto intenzionalmente al solo fine di produrre un aroma mediante scomposizione o reazione con altri componenti durante la trasformazione degli alimenti.

Venendo invece agli aromatizzanti di affumicatura, sono i prodotti ottenuti mediante il frazionamento e la purificazione di un fumo condensato.

Classificazione degli aromi secondo il tipo di estrazione

Una volta fatta chiarezza sui diversi tipi di aromi che si possono trovare negli alimenti in commercio, è opportuno capire come individuarli in etichetta. Sempre secondo il Regolamento (CE) 1334/2008, possono essere utilizzati negli (o sugli) alimenti solo gli aromi che, in base ai dati scientifici disponibili, non presentano un rischio per la salute dei consumatori e quelli il cui uso non induce in errore il consumatore.

Partiamo da questo secondo punto, affrontando la questione “etichetta”, dove si fa una distinzione tra gli aromi naturali, ottenuti medianti processi fisici, e quelli derivanti da procedimenti chimici. Facciamo l’esempio di uno yogurt alla fragola. In etichetta ci può essere scritto “Aroma naturale di fragola” quando la parte aromatica proviene almeno per il 95% da un estratto del frutto. In questo caso siamo nel campo dei processi fisici. Come spiega Dario Bressanini, del blog La Scienza in cucina: “Due processi tipici sono l'estrazione alcolica o la liofilizzazione”. Stesso discorso, con percentuali differenti, per la dicitura “Aroma naturale di fragola con altri aromi naturali. Significa che l’aroma naturale estratto dalle fragole risulta inferiore al 95% e viene miscelato ad altri, ma il gusto dell’aroma rimane quello di fragola. Altra possibilità è semplicemente “Aroma naturale” quando il gusto di fragola è ottenuto da un insieme di componenti naturali “che possono essere prodotti dalla fermentazione di un batterio, di un fungo o di un lievito” oppure quando nello stesso prodotto ci sono più gusti, come per esempio può essere uno yogurt mela e cannella. Sul mercato, però, la maggior parte dei prodotti presenta in etichetta soltanto la dicitura “Aroma”, quella prevista quando – lo dice sempre il Regolamento (CE) 1334/2008 - “gli aromi sono ottenuti con procedimenti chimici ricostruendo le cellule di un ingrediente esistente in natura in laboratorio, comprendente tutti gli aromi ottenuti per sintesi chimica o isolati a mezzo di procedimenti chimici”. È importante però specificare che la dicitura “Aromi” può essere utilizzata anche quando si usa un mix di aromi - naturali e non - ma il produttore non intende indicare sull’etichetta le voci specifiche previste dalla norma, per una questione di comodità o di costi elevati.

Perché si usano

Spesso vengono usati per compensare la perdita di sapori durante la lavorazione e lo stoccaggio di alimenti”. Spiega Angela Bassoli, docente di chimica organica nel Dipartimento di Scienze per gli Alimenti, l'Ambiente e la Nutrizione dell'Università degli Studi di Milano, che da anni studia i recettori del gusto e i meccanismi che li regolano. Ma non è solo questa la motivazione: “Altrettanto spesso, gli aromi vengono impiegati lì dove la materia prima è impoverita. Mi spiego: nel corso del tempo, tra i vegetali, sono state selezionate varietà con una maggiore resistenza e produttività a scapito della qualità. Le mele oggi sono più belle, ma dal punto di vista aromatico hanno perso tanto. Così, gli aromi che si è deciso di eliminare a monte, li si integra in un secondo momento. Sembra assurdo, ma è così”. È il frutto di una selezione che ha seguito le regole del mercato, perdendo per strada non solo molta biodiversità ma anche il patrimonio di aromi. A questo danno si è cercato di rimediare ricorrendo agli aromi aggiunti, con risultati talvolta sorprendenti, al punto da non essere riconoscibili. Ma questi aromi fanno male?

Fanno male?

Bisogna necessariamente fare una premessa: dal punto di vista chimico gli aromi naturali e quelli ottenuti mediante processi chimici sono equiparabili”. Spiega Dario Bressanini, che aggiunge: “È inutile demonizzare i secondi e santificare i primi, anche perché il discrimen sta sempre nella quantità che si assume. Per esempio il metileugenolo contenuto nel basilico in alte quantità è tossico, eppure l'EFSA (Autorità europea per la sicurezza alimentare) non ci vieta di mangiare il pesto”. Ma vieta l'uso del metileugenolo come aroma aggiunto. “E ben venga! Mentre per alcune sostanze si riesce a individuare una quantità definita 'di sicurezza', sotto la quale non ci sono effetti visibili sulla salute, per altre (come il metileugenolo) non è così. In questo caso l'EFSA ne vieta l'utilizzo”.

Infatti la Commissione europea tiene un registro degli aromatizzanti presenti sul mercato dell’UE, comunicati dagli Stati membri, che può modificare e scremare qualora l’EFSA ne riscontri problemi quanto a sicurezza. È capitato (e probabilmente ricapiterà) che l'EFSA abbia riscontrato che alcuni aromi sono genotossici, e che questi successivamente siano stati ritirati dal mercato. “È un bene che le autorità definiscano norme più stringenti di quello che è necessario, ma un conto è essere ragionevoli, un conto è creare inutile allarmismo come fanno certe trasmissioni...”. 

L'evoluzione degli aromi e la cucina Note by note

Sul versante gastronomico, molti chef e pasticceri utilizzano gli aromi naturali (ovvero ottenuti mediante procedimenti fisici, enzimatici o microbiologici da un materiale di origine vegetale, animale o microbiologica). Ma c'è un nuovo tipo di cucina che usa invece solo alcuni dei “composti odoranti” che creano un aroma, in pratica scavalcando a pie' pari il prodotto originale e rivolgendosi direttamente all'aroma di riferimento, isolato dagli altri composti. Il creatore è Hervé This, fisico e gastronomo presso l’INRA (Institut National de la Recherche Agronomique) nel Collège de France di Parigi. I cui attuali ambasciatori sono Andrea Camastra, chef del Senses di Varsavia, e Davide Scabin, chef del Combal.Zero di Rivoli.

Stiamo parlando della cucina Note by note. “Un aroma è per definizione l'odore di un prodotto aromatico, come il timo o il basilico. Generalmente, però, l'odore di una pianta aromatica è dovuto a centinaia di composti, di cui una o al massimo due dozzine sono importanti. Nella Note by note usiamo solo alcuni composti, quelli che riteniamo per l'appunto importanti. Questi li otteniamo attraverso metodi di estrazione diversi. Ad esempio, il limonene lo ricaviamo strizzando la buccia degli agrumi e purificando il composto ottenuto. Mentre per gli altri composti, come la vanillina, procediamo chimicamente”. E la natura che fine fa? “Ricordatevi: la parola 'naturale' è generalmente sbagliata perché, secondo il dizionario, qualcosa è naturale se non implica alcun intervento da parte dell'uomo. Dunque, anche quando cucini, non fai qualcosa di naturale, ma entri a gamba tesa nel campo dell'artificiale”. Con la Note by note, lo chef ha dunque un ventaglio di composti odoranti infinito con il quale sbizzarrirsi, come fosse un pittore che può attingere da una tavolozza infinita di colori. O meglio, per rimanere coerenti con il nome, un compositore di musica elettronica che ha a disposizione un numero di note illimitato. “Con la Note by note si possono comporre sapori che in natura non esistono”.

Foto di Alberto BlasettiFoto di Alberto Blasetti

Ha un senso?

Angela Bassoli è categorica: “Premettendo la stima nei confronti di Hervé This, secondo me la direzione che dovrebbe prendere la scienza è un'altra. Rimanendo all'interno della metafora musicale: riabituiamoci ad ascoltare la musica etnica, di tutto il mondo”. E le ragioni non sono legate a un'aspirazione bucolica, come può essere il ritorno alla natura, ma sono prettamente scientifiche: “Nonostante in teoria sia vero che la scienza sia in grado di isolare tutti gli infiniti componenti che compongono un aroma, in pratica risulta difficilissimo e costosissimo”. Quindi per quanto la scienza continui su questa strada, emergono molte perplessità. In sintesi: tutto questo lavoro di ricerca gastronomica sugli aromi ha un senso? “Visto che gli aromi sono percepiti dall'apparato olfattivo, non possiamo prescindere dalla sua funzionalità. È infatti un sistema che funziona in modo combinatoriale, ovvero quando arriva lo stimolo, questo non va su un singolo sensore, ma ne colpisce contemporaneamente diversi e quel che il nostro cervello percepisce come stimolo è la combinazione. Scientificamente è dunque assurdo pensare di avere un'unica molecola che dà un unico segnale. È come se il pianoforte lo si suonasse usando note singole, un po' come fanno i bambini, e non con gli accordi”. Il nostro olfatto testimonia la nostra evoluzione ed è strettamente connesso alla nostra sopravvivenza come specie. È uno strumento molto raffinato ma piuttosto trascurato. E forse il punto nodale sta tutto qui.

(Ri)allenare l'apparato olfattivo ci salverà

Abbiamo un apparato olfattivo estremamente efficiente, pensato per l'animale primitivo che doveva procacciarsi da mangiare, quindi dobbiamo solamente riabituarci ad usarlo nel modo corretto, anche per recuperare quelli che chiamiamo sapori negletti”.Un invito che potrebbe sgomberare il campo dall'invasione degli aromi aggiunti. Stiamo perdendo l'abitudine ad alcuni sapori, come l'amaro, per esempio, che segnala che l'alimento contiene una serie di sostanze che fanno bene, dai terpeni, ai polifenoli, ai glucosinolati. “Trovo assurdo che i nostri giovani reputino amari gli spinaci!” è solo un esempio, ma indicativo. Continua poi Angela Bassoli“Cerchiamo di recuperare le funzionalità del nostro apparato genetico, prima di tutto perché così impariamo a mangiare meno zucchero e meno sale (evitando il rischio obesità o diabete) e poi perché così potremo essere in grado di distinguere facilmente un aroma naturale da uno artificiale (posto che se ne senta il bisogno). Cosa che oggi è impensabile, anche perché spesso mancano proprio i punti di riferimento”. Un naso ben allenato ci salverà.

 

a cura di Annalisa Zordan

 

 

Ciro a Mammà. Ciro Scamardella: lo chef e la cucina della mamma. In tv

$
0
0

C'è un nuovo protagonista su Gambero Rosso Channel, e con sé porta tutta la famiglia e i sapori di casa, dal mare di Bacoli. Alla tavola di mamma Regina, Ciro guarda con rispetto e nostalgia, anche se oggi è uno chef affermato. Conosciamolo meglio, in attesa di guardarlo in tv. 

A casa comanda Regina

Questo sono io, mi chiamo Ciro, Ciro Scamardella. E sono uno chef professionista”. Diretto, efficace, semplice. E un po' guascone, mentre si muove per le strade di Bacoli – poco meno di 30mila abitanti dirimpetto all'isola di Procida, sulla propaggine nord del Golfo di Pozzuoli - dov'è nato e cresciuto, prima di spiccare il volo alla volta di grandi cucine. Perché in fondo il chiodo fisso di Ciro, 28 anni appena e tante esperienze alle spalle da raccontare, è sempre stato uno, la cucina. E buona parte del merito è di mamma Regina, appassionata cuciniera, come tante se ne incontrano nelle case del Sud: “La questione più importante per mia mamma era sempre quella: cosa posso mettere in tavola oggi? Che stessi male o si presentassero ospiti dell'ultimo secondo, era fondamentale sapere cosa avremmo mangiato”. Lì è nata la passione, e da quella casa, con la tavola a pochi passi dal tinello e dal regno di mamma Regina (mai nome fu più indovinato), comincia l'avventura di Ciro su Gambero Rosso Channel, protagonista con famiglia al seguito del nuovo programma in onda sul canale da giovedì 8 giugno: Ciro a Mammà. Un po' sitcom, un po' scuola di cucina, ma soprattutto racconto informale di un giovane chef di talento che per qualche giorno sveste i panni del professionista gourmet per lasciarsi ispirare dai sapori di casa: la terrazza assolata che domina il golfo, i battibecchi scanzonati intorno a un tavolo, la famiglia che l'accoglie a braccia aperte quando torna a Bacoli, dove neanche un figlio che fa lo chef può toccare i fornelli di Regina. “Perché ti piace cucinare?” Quando glielo chiedono, Ciro ha una sola risposta, la più istintiva: “Mamma ha sempre cucinato”.

Giovane e di talento. Uno chef che pensa in grande

Certo la scuola alberghiera è stata importante - “ho avuto la fortuna di incontare un professore che credeva molto nel suo lavoro” - dalle ore di laboratorio allo stage presso la Città del gusto di Napoli il passo è stato breve: “Ho cominciato a fare il tutor delle aule, lì passava il mondo, e io assorbivo come una spugna. Fino a quando è arrivato Paolo Barrale: mi si è accesa una lampadina”. Così un giovanissimo Ciro segue lo chef ai Feudi di San Gregorio, ci resta per più di un anno; poi lo stage con Cannavacciuolo, l'esperienza a Capri con Gennaro Esposito. E un desiderio che si fa strada sempre più prepotente, la voglia di esplorare il mondo: “Quasi per scherzo, con un amico, inviammo il curriculum a Martin Berasategui. E lui rispose! Non riuscivamo a crederci, dopo tre mesi eravamo nella sua cucina”. Il primo impatto con i grandi numeri e una brigata 'oliata' per girare “come un ingranaggio perfetto” ha un che di rivelatore: “Eravamo 55 persone per 35 coperti a pranzo e altrettanti la sera. È un'esperienza che ti fa capire se sei predisposto al sacrificio, se davvero ti piace questo lavoro. Ma è soprattutto una fortuna, e se sei bravo riesci a farti notare: da semplice stagista, mi sono trovato alla stufa, tenevo una squadra, ero il motivatore... Con il cucchiaio andavo da Martin a fargli assaggiare i piatti, la mano tremava”. Risultato: tre partite in 7 mesi, una proposta allettante per spostarsi in Repubblica Dominicana, in uno dei ristoranti del gruppo, e il ricordo indelebile “di una bellissima persona, l'allenatore per eccellenza, sempre al centro della cucina con giacca e grembiule. E la sera, a fine servizio, tutti devono passare a salutarlo: lui infonde la carica”.

Quando Ciro rientra in Italia approda a Roma, al Pagliaccio, con Anthony Genovese. Ci resta 9 mesi e poi si sposta da Metamorfosi, con Roy Caceres: “Mi piaceva la sua filosofia di cucina, si liberava un posto da junior sous chef, ho accettato”. Sono passati più di tre anni, e dalla fine del 2016 Ciro è sous chef in una brigata di 9 elementi. Poco prima, a settembre, era arrivato il riconoscimento come Chef Emergente 2016. Una bella iniezione di fiducia.

Ciro a Mammà. Il format

Però quando torna a Bacoli Ciro riveste i panni del ragazzo scanzonato, in strada tutti lo conoscono, per le verdure c'è il fruttivendolo di fiducia, il pesce va a prenderlo dai pescatori che tornano in porto. E la cucina di mammà è quella rassicurante e generosa di sempre: la parmigiana di melenzane, le polpette al sugo, i peperoni 'mbuttunati, le cozze ripiene, la genovese di polpessa, la pastiera napoletana. Ricette popolari riviste - “e per favore non diciamo 'rivisitate', che il termine oggi è abusato!” - in chiave creativa, con intelligenza: “Dio benedica la tradizione. Girando le cucine del mondo mi sono reso conto che ovunque non facciamo altro che riprendere cotture ancestrali: le stiamo solo ripulendo per portarle nel mondo professionale”. Ogni puntata (otto in tutto) prende spunto dal pranzo in famiglia: ci sono papà Antonio, e Alessia – la sorella di Ciro – con il suo fidanzato, Danilo, che studia medicina. È lui – a digiuno di cucina gourmet e scettico per natura, col suo approccio scientifico alla vita e quelle domande che chi non capisce di cucina avrebbe sempre voluto porre a uno chef - la spalla perfetta per gli esperimenti in terrazza di Ciro. Lì, una dopo l'altra, le ricette di casa Scamardella prendono nuove strade: “Per il programma ho elaborato ricette inedite, coniugando i sapori di casa con gli spunti che mi circondano ogni giorno in cucina. Quando ho ripensato i fagioli con le cotiche, per esempio, ho voluto ispirarmi a Roy, con cotiche soffiate e leche de tigre. Guardando il Messico, l'ho chiamata”. Ma ci saranno anche la Spuma di patate, cozze e la sua polvere, la Cipolla cotta alla cenere, ostrica e teriyaki, le Baby melanzane con glassa di melanzane e basilico.

 

Ma come ha convinto mammà a mettersi davanti alla telecamera? “È stata comica, l'ho chiamata... Mamma andrò in tv, le ho detto. Felicissima, mi ha chiesto di più. E io a lei: 'Sei tu la protagonista'. È impazzita, ma si è subito ripresa... 'Devono venire a Bacoli? Ok, inizio a cucinare!”. Quando si dice televisione verità. Insomma, per qualche settimana Ciro e la sua famiglia faranno compagnia al pubblico di Gambero Rosso Channel.

 

Progetti per il futuro

Ma se, rivestiti i panni da chef, Ciro dovesse pensare al suo futuro? “Forse farei la pazzia di tornare a Bacoli per aprire un posto mio. Non sarebbe facile, è una piccola realtà, ma per lavorare bene devo stare nella mia dimensione: ogni tanto si può essere profeti in patria”. Come immagina il suo ristorante? “Tradizione, certo, e una cucina pulita, diretta, senza troppi fracesismi”. Con un asso nella manica da non sottovalutare: “Da quando sono sous chef ho il compito di gestire i fornitori. La cartella degli ordini di Metamorfosi fa spavento: andiamo da un minimo di 15 fino a 30 fornitori a settimana. Bisogna fare l'analisi di mercato, rispettare le scadenza, confrontare i prezzi. Un ristorante è guadagno”. Sognare sì, ma con i piedi per terra. E tanta spontaneità, tutta campana.

 

Ciro a Mammà | Gambero Rosso Channel, canale 412 di Sky | dall'8 giugno, alle 21.30, ogni giovedì

 

a cura di Livia Montagnoli

Dove comprare Frutta e verdura a Firenze. 9 ortolani raccomandati dagli chef

$
0
0

Banchi dei mercati, aziende agricole, botteghe di selezionatori. Dove comprare frutta e verdura di qualità a Firenze? Abbiamo chiesto consiglio ai ristoratori.

A Firenze il grosso lo fa il mercato di Novoli, vero polmone di smercio per l'ortofrutta che serve non solo l'area cittadina ma gran parte delle zone limitrofe. Anche se, nel capoluogo toscano, la campagna praticamente entra dentro il tessuto cittadino con i suoi orti. Non è così raro trovare prodotti made in Firenze, ce lo suggerisce Fabio Picchi, che sta seguendo degli orti a Pian dei Giullari e altri produttori che sono, praticamente, in città. Dunque, Firenze, alla richiesta di ortofrutta di qualità, riesce a dare una risposta decisa. E alla nostra richiesta di conoscere i migliori ortolani fiorentini abbiamo avuto, dai ristoratori, un bell'elenco di nomi, tutti legati ai mercati. Segno che, a differenza di quanto accade in altre città, questi riescono ancora a sancire il legame dei consumatori con agricoltori.

 

Agricoltori del mercato di Sant'Ambrogio

Sant'Ambrogio è un mercato fantastico, il più attivo di Firenze” esordisce così Fabio Picchi e aggiunge “è un mercato di quartiere evoluto che ha saputo dare una risposta alla città”, tant'è che è proprio qui che lui ha preso la sua macelleria. È il suo punto di riferimento quando non va direttamente in campagna, il Picchi, per soddisfare le esigenze di quell'organismo sempre più articolato nato intorno al Cibreo, che include persino un'insegna tosco-orientale, il Cibleo. E se gli chiedi qualche nome per l'ortofrutta, parte subito a elencare i suoi fornitori, tutti scelti tra i coltivatori diretti che condividono lo spazio con gli ortolani che fanno mercato a Novoli. “Pure loro molto bravi”, aggiunge il Picchi. Di quelli, spiega, che curano i clienti e seguono davvero le stagioni, che riconoscono i prodotti veri. Tra i suoi fornitori, quelli che lavorano la terra, ci sono Leonardo Roselliche proprio oggi mi ha dato le ultime due cassette di carciofi cresciuti all'ombra degli ulivi dell'Arno” e Giorgio Casilliil più anziano del mercato. Sono uno accanto all'altro, non si fanno concorrenza ma sono un bel pezzo di mercato, molto solidale”. Non finisce qui: “C'è la Graziella Baggiani che ha cose fantastiche. Le ciliegie, i pisellini dolcissimi, tutte le volte mi meraviglia, mi dà delle cose e lì veramente senti il prodotto. Cose che trovi per7 giorni, mica per 7 mesi”. Molti di questi banchi non sono aperti tutti i giorni: “per esempio Graziella la trovi solo dal giovedì a sabato che gli altri giorni è a lavorare la terra”.

Mercato Sant'Ambrogio | Firenze | Mercato Sant'Ambrogio | Piazza Lorenzo Ghiberti

Cibléo | Firenze | via Andrea del Verrocchio, 2r | tel. 055 2341100

Cibrèo | Firenze | Via Andrea del Verrocchio, 8r | tel. 055 2341100 | http://edizioniteatrodelsalecibreofirenze.it/

Cibrèo trattoria (detta il Cibrèino) | Firenze | via de' Macci, 122r

Caffè Cibrèo | Firenze | via del Verrocchio, 5r | tel. 055 2345853

 

Boccalini

Lo ha conosciuto ai tempi de Santo Graal, e oggi al suo Essenziale, Simone Cipriani (che vedremo presto su Gambero Rosso Channel) continua ad avere, come fornitore di riferimento per la frutta e la verdura, ancora Boccalini, “Una classica bottega” spiega “ogni mattina va al mercato ortofrutticolo di Novoli e seleziona i prodotti”. Il motivo del suo attaccamento? La disponibilità. “fa ricerca con noi. Gli chiediamo quello di cui abbiamo bisogno e lui ce lo trova, qualsiasi cosa”, si tratti dei tuberi che gran parte hanno nel menu invernale, o delle verdure fresche primaverili.

Boccalini | Firenze | Via Romana, 24| tel. 055 233 7432|

Essenziale | Firenze | Piazza di Cestello, 3R| tel. 055 247 6956| http://essenziale.me/

 

La Bottega della Frutta

I fratelli Paolo e Andrea Gori sono l'anima dell'Osteria da Burde, rispettivamente in cucina e alla cura di sala e in cantina di questo locale che mantiene intatti i caratteri della tipica bottega fiorentina. La proposta, tra salumi e piatti tipici, rispecchia in tutto e per tutto i classici cittadini. Per frutta e verdura in genere vanno direttamente a Novoli, al mercato ortofrutticolo, ma per qualcosa di speciale si spostano verso il centro. “Alla Bottega della Frutta andiamo quando cerchiamo qualcosa di più particolare” spiega Paolo “qualche primizia, i baccelli o le erbe di campo. E poi” aggiunge “quando cerchiamo qualcosa di misura minore”.

La Bottega della Frutta | Firenze | Via dei Federighi, 31R | tel. 055 239 8590 | https://www.facebook.com/La-Bottega-della-Frutta-393945310670529/

Osteria da Burde | Firenze | Via Pistoiese, 6/R | tel. 055 317206| http://www.vinodaburde.com/

 

Mercato di Sant'Ambrogio - Simone Biagioni

Andiamo al mercato di Sant'Ambrogio, da Simone” dicono alla Bottega di Parigi. Il mercato è un punto di riferimento per i fiorentini, e il banco numero 24 lo è per il bel locale che non ha mai fatto mistero di prediligere piccoli produttori per mettere a punto una cucina stagionale che unisce sapori locali e suggestioni d'oltralpe. “Prendiamo da Simone tuta la verdura, da quella base, patate cipolle e aglio che ci servono sempre, ai prodotti di stagione: baccelli bietole cipollotti e frutta. Si tratti di una ribollita o di un altro piatto, le verdure sono le sue: abbiamo un rapporto di amicizia e di fiducia ormai di lunga data”.

Simone Biagioni | Firenze | Mercato Sant'Ambrogio | Piazza Lorenzo Ghiberti | posteggio numero 24 | tel. 3396416121

Bottega di Parigi | Firenze | Via del Terzollina, 3/R | tel. 055 658 1047 | tel. 0550944388 | http://www.labottegadiparigi.com

 

 

Gheri

Sapori nipponici con prodotti italiani. Il concept di KotoRamenè questo. E non si tratta propriamente di fusion ma di incontro di sapori, che non si mixano, piuttosto si esaltano. Il cuore della proposta è dichiarato sin dal nome: la tipica minestra giapponese con noodles e molti ingredienti. Tra questi ampia parte è riservata alle verdure, soprattutto in questa stagione. Perché i ramen non sono tutti uguali, ma variano mese dopo mese (oltre che regione dopo regione) e qui da noi il trascorrere del tempo è segnato dall'avvicendarsi di verdura nell'orto e sui banchi del mercato. Quello di Sant'Ambrogio, nel caso di KotoRamen. Che si rivolge a Gherida cui arrivano tutti i prodotti di stagione: cipollotti, bietole, spinaci. “Tra poco entrerà il menu estivo” spiegano “e per quello e per il ramen freddo, verranno inseriti anche pomodorini datterini”. Mentre per quanto riguarda la frutta ci sono le banane impiegate per il nuovo semifreddo alle banana con cioccolato shichimi.

Gheri Frutta e Verdura | Firenze | Mercato Sant'Ambrogio | Piazza Lorenzo Ghiberti | tel. 055 2341010

Koto Ramen | Firenze | Via Giuseppe Verdi, 42r | tel. 055 2479477| http://kotoramen.it/

 

Vettori

Si trova in pieno centro, Vettori, a Borgo San Jacopo. Un bel vantaggio per i ristoranti della zona che riescono ad avere un rapporto diretto con il loro fornitore. Per esempio il Santo Bevitore, che si rifornisce da loro per tutto quel che riguarda l'ortofrutta, in questo momento baccelli, rapini, aglio orsino e i primi pomodori. Stesso indirizzo anche dal Konnubio, il locale – aperto dal mattino per le colazioni al dopo cena – che riserva sempre molta attenzione al pubblico vegetariano e vegano e che sceglie la bottega per la stagionalità e la provenienza locale dei prodotti, ma anche lo chef Gabriele Andreoni di Gurdulù lo sceglie, soprattutto per il servizio tailor made: “ci cerca i prodotti che ci servono, e della qualità che vogliamo noi”. Dal mercato di Novoli a destinazione: “riesce a trovarci anche cose più particolari, si tratti di crescione o altro”. Per avere uno spettro più ampio di prodotti, però, si rivolge anche a Euroforniture“ che nonostante il nome è sempre un ortolano” così da avere più scelta per i suoi piatti.

Vettori | Firenze | Borgo San Jacopo , 63/R | tel. 055 212797

Euroforniture | Firenze | via dell'Orto, 3 | tel. 055 2337396

Santo Bevitore | Firenze | via di Santo Spirito, 64r | tel. 055 211264 | http://www.ilsantobevitore.com/

Konnubio | Firenze | Via dei Conti 8r | tel. 055 238 1189 | http://www.konnubio.it/

Gurdulù | Firenze |  14R, Via delle Caldaie, 12 | tel. 055 282223 | http://www.gurdulu.com/

 

a cura di Antonella De Santis

 

Leggi anche Dove comprare frutta e verdura a Milano. 7 ortolani raccomandati dagli chef

Leggi anche Dove comprare frutta e verdura a Roma. 18 ortolani raccomandati dagli chef

 

 

 

 
 

#EatMantua: l’estate di gusto di Mantova. Guida a tutto quel che succederà

$
0
0

Nell'ambito delle iniziative di Ea(s)t Lombardy, Mantova ospiterà per tutta l'estate un calendario di appuntamenti gastronomici, tra storia e intrattenimento. Tanti gli appuntamenti che coinvolgono Palazzo Te e i suoi giardini, dal festival della pasticceria all'incontro con Gualtiero Marchesi, alle visite delle Fruttiere. 

C’è sempre un buon motivo per raggiungere Mantova, la città-palazzo dei Gonzaga, gioiello storico e artistico che insieme a Sabbioneta, per la bellezza unica e irripetibile, è iscritta al Patrimonio Mondiale Unesco. Quiilciboelacucinasonodasempreidentità e storia. Qui ivaloridellasua terra si tramandano di generazione in generazione sulle tavole, esprimendo il lavoro, ma anche il talento ai fornelli. Dopo un 2016 di successo, anno in cui la città virgiliana è stata scelta come Capitale della Cultura, non si spengono i riflettori e nel 2017 Mantova (insieme a Bergamo, Brescia e Cremona) è stata eletta Regione Europea della Gastronomia.

Da giugno a settembre sarà quindi protagonista di un’estate di gusto, grazie al progetto #EAT MANTUA, che trasformerà Palazzo Te in una piazza d’elezione per la grande cucina e farà rivivere quell’atmosfera di convivialità tanto cara alla corte rinascimentale, calamita per artisti e intellettuali da tutta Europa.

Tre gli eventi imperdibili del programma, promosso dal Comune di Mantova, il Centro Internazionale d’Arte e di Cultura e il Museo Civico di Palazzo Te, come parte integrante del cartellone di eventi dedicati a Ea(s)t Lombardy, European Region of Gastronomy.

 

La storia gastronomica della città

Si comincia venerdì 23 giugno (ore 18) nel Cortile d’Onore di Palazzo Te, con uno dei massimi esperti della storia rinascimentale cittadina, Giancarlo Malacarne, che illustrerà al pubblico la riedizione del volume Cucina Mantovana di Principi e di Popolo (Skira), scritto nel 1963 da Gino Brunetti, pseudonimo di don Costante Berselli, prete intellettuale scampato a Dachau, che ha ispirato il titolo della rassegna. Alle 19 seguirà il talk La cucina mantovana e l’Europa, insieme al gastronauta Davide Paolini, che dialogherà con cuochi ed esperti delle tradizioni culinarie mantovane, compreso lo chef stellato Gualtiero Marchesi, che regalerà un racconto sulla cucina italiana del Novecento e Antonio Santini del ristorante Dal Pescatore, che racconterà i segreti della sua cucina mantovana contemporanea. Infine Luca Marchini, presidente italiano dei JRE, spiegherà il rapporto tra cuochi in erba e cucina italiana. Per cena il prelibato banchetto, ispirato ad antiche ricette, sarà a cura dell’Accademia Gonzaghesca degli Scalchi, con le proposte del Consorzio Vini Mantovani (ingresso libero e aperto a tutti).

La mini sbrisolona della Pasticceria Antoniazzi

 

Il Festival della Pasticceria, con Iginio Massari

Secondo appuntamento dedicato ai dolci in agenda sabato 24 giugno: è la giornata del Festival della Pasticceria Tradizionale Mantovana. A partire dalle 10, a Palazzo Te, otto pasticcerie, fra cui Antoniazzi di Mantova e la Pasticceria Atena di Sabbioneta, allestiranno un ricco buffet di dessert e lievitati tipici e “dimenticati” da far assaggiare gratuitamente a golosi grandi e piccini: la scommessa è riscoprire ricette ottocentesche e dei primi anni del Novecento ormai sparite dalle tavole,come il Talismano della Felicità, la crocchetta fritta di crema o la torta di Bocca di Dama. Immancabile l’incontro, alle 11 nella Sala Polivalente, per la tavola rotonda L’Originalità della pasticceria mantovana nella storia della pasticceria italiana, a cui parteciperanno il Maestro e fondatore dell’Accademia dei Maestri Pasticceri Italiani, Iginio Massari, con Gaetano Martini del ristorante Il Cigno e Carlo Dal Ceré della pasticceria La Deliziosa.

Fra le novità che Mantova offre nel 2017 c’è anche l’arcipelago Ocno, chiamato così in onore del mitologico fondatore della città: inaugurata a maggio, questa nuova passerella sull’acqua permetterà ai turisti e locali di godere di un originale scorcio della città e di raggiungere suggestive piattaforme circolari, che ospiteranno eventi e serate musicali sotto le stelle, comprese degustazioni, cene e banchetti (La Gazzetta di Mantova ha pubblicato il programma dell’estate di Ocno su: www.scribd.com/document/348639084/Il-programma-di-Ocno#from_embed).

Alla scoperta delle Fruttiere di Palazzo Te

Terzo e ultimo appuntamento multiplo sarà la minirassegna Il Giardino Dei Sapori. Dal 26 agosto al 10 settembre, i visitatori potranno scoprire le Fruttiere di Palazzo Te, che ospiteranno una video installazione, con il racconto dell’enogastronomia della città dei Gonzaga e dei suoi grandi protagonisti di ieri e oggi, svelando tecniche e segreti della sua centenaria cucina. Nei tre weekend poi, il giardino dell’Esedra si trasformerà in una grande piazza dedicata allo street food: infatti ognifine settimana un giovane cuoco del gruppo Jeunes Restaurateurs interpreterà piatti e prodotti tipici, realizzando originali cene a tema, da gustare all’aperto con sottofondo musicale e speciali cocktail show.

 

Il programma completo su www.mantova2017.it/it-ww/eatmantua-programma.aspx

 

a cura di Valentina Castellano Chiodo 

In copertina Risotto con pescegatto e piselli, con vista sul Lago Superiore

Anelletti Days, l’iniziativa di beneficenza degli chef siciliani

$
0
0

Oltre 30 locali di Palermo e della provincia proporranno, dal 1 al 10 giugno, piatti e creazioni a base di anelletti, il tipico formato di pasta locale. L’obiettivo è supportare la realizzazione del giardino dell’Ospedale dei bambini: per ogni piatto ordinato, infatti, saranno donati 50 centesimi. Inoltre, nel giorno della consegna delle somme raccolte, a cucinare per i piccoli ricoverati saranno tre noti chef.

Gli anelletti palermitani e l’iniziativa di beneficenza

Un formato di pasta tipico può diventare simbolo della cucina di una città: non solo tortellini o canederli, ma anche più a Sud, nell’assolata Sicilia. È la storia degli anelletti palermitani che, da preparazione dedicata alle gita fuori porta, sono diventati un classico della cucina locale, tanto da spingere anche grandi marchi come Barilla a sperimentarli e alcuni chef a metterli in menu, rivisitando la ricetta che li vuole cotti a mo’ di pasta al forno e conditi con un ragù a cui sono stati aggiunti i piselli, besciamella e altri ingredienti come prosciutto, mozzarella, pecorino o provola.

Questa piccola pasta a forma di anello, della grandezza di circa un centimetro e con uno spessore simile a quello del bucatino, è adesso al centro di un’iniziativa di beneficenza messa in piedi da Cronache di Gusto, gli Anelletti Days, che vuole da un lato diffondere ulteriormente il formato, “suggerendolo” anche per piatti di alta cucina, dall’altro sostenere l’Ospedale dei Bambini di Palermo, con la costruzione di un giardino dove i piccoli pazienti possano giocare.

 

Ristoranti e piatti protagonisti

Oltre 30 ristoranti di Palermo e non solo sperimenteranno dunque ricette create ad hoc, che saranno inserite nei menu dal 1 al 10 giugno. Per ogni piatto ordinato, all’ospedale andranno 50 centesimi, destinati ai lavori per l’area verde. Inoltre, una cena di chiusura dell’iniziativa vedrà 3 chef cucinare per i bambini: Patrizia Di Benedetto del Bye Bye Blues di Mondello, che preparerà un timballo di anelletti e ragù di polpo, Giuseppe Costa, del Bavaglino di Terrasini, che invece li farà risottati, insieme alla Vastedda del Belice, basilico e pomodoro. Infine, Tony Lo Coco de I Pupi di Bagheria, che proporrà una pasta al forno “nascosta” condita con ragù di tonno.

Gli anelletti sono il ricordo di un nostro vissuto, un nostro pensiero, dei pranzi con i parenti” racconta Giuseppe Costa, “una pasta che posso riprodurre ancora oggi, ma che mi catapulta indietro di tanti anni. Certo, oggi molte cose sono cambiate, sia per quello che riguarda la pasta che le tecniche di cottura. Ma l’anelletto, nel nostro territorio non si è mai modificato, è rimasto come lo abbiamo sempre conosciuto. Credo che meriti maggiore successo, perché è la pasta che più ci rappresenta”.

Sono davvero tanti i ristoranti protagonisti dell’iniziativa, fra cui anche Buatta Cucina Popolana, Gagini Restaurant, Osteria dei Vespri e Perciasacchi.

Qui l’elenco completo dei ristoranti che aderiscono all’evento Anelletti Days.

Anelletti Days | Sicilia | varie location | dal 1 al 10 giugno 2017 | www.cronachedigusto.it/archiviodal-05042011/317-liniziativa/22195-anelletti-days1-la-nostra-nuova-iniziativa-tradizione-beneficenza-e-chef-stellati.html

 

a cura di Francesca Fiore

 

 

 

 

 

I migliori mieli d'Italia. La Margherita di Rivoli

$
0
0

Nella provincia di Torino, a Rivoli, Margherita Fogliati gestisce con amore le api che un tempo erano appartenute al padre. E con passione e costanza, porta avanti un lavoro di ricerca in campo apistico. 

Le origini

È papà Renato a inaugurare la piccola realtà apistica piemontese che dal 2006 è in mano a Margherita Fogliati, produttrice appassionata che ha ereditato dalla famiglia l'amore per il buon cibo e la campagna, facendolo suo e trasformandolo in un lavoro di ricerca attento e costante. A Rivoli, in provincia di Torino, La Margherita tiene alta la bandiera dei mieli piemontesi di qualità, prendendo il meglio da ogni angolo di territorio: l'apicoltrice, infatti, si sposta con le sue api nelle zone limitrofe per raccogliere nettari di diverse tipologie, praticando l'apicoltura nomade e riuscendo così a ottenere una gamma ampia di prodotti che rispecchiano la vasta ricchezza floreale della regione. “Sono cresciuta fra le api, prendere in mano l'attività di famiglia mi è venuto naturale”, racconta. E aggiunge: “Ho continuato a studiare e approfondire l'argomento attraverso corsi specifici e confronto con gli esperti del settore. Per cercare di contribuire così alla valorizzazione del territorio”.

L'Associazione e i presidi Slow Food

Dal 2006, infatti, l'azienda fa parte dell'Associazione miele delle vallate alpine della provincia di Torino, una realtà provvista di ferreo disciplinare che ha lo scopo di valorizzare il miele locale, fra i più rappresentativi prodotti agroalimentari piemontesi. Tutti gli alveari impiegati nella produzione devono essere localizzati all'interno delle Comunità Montane della Provincia di Torino, e il miele deve presentare parametri precisi, “come un'umidità idonea a consentirne una lunga conservazione naturale” e l'assenza di trattamenti che possono modificare le caratteristiche del prodotto. Le tipologie ammesse dal disciplinare sono rododendro, castagno, tiglio, millefiori, flora alpina. Inoltre tutti i mieli prodotti all'interno del circuito dell'associazione non devono essere pastorizzati, perché questo processo, che prevede un trattamento fra i 72 e i 78°C, “evita il rischio di fermentazione e mantiene il miele allo stato fluido, ma riduce fortemente la quantità di enzimi e vitamine, compromettendo l'armoniosa sinergia che si crea tra i vari elementi del prodotto”. Dal2012, inoltre, l'azienda è iscritta fra i produttori di presidi Slow Food Mieli di alta montagna, un titolo ottenuto grazie alla produzione di miele di rododendro e di flora alpina.

Il miele

Sono fra le 250 e le 300 le api impiegate nell'ampia produzione de La Margherita, che comprende miele di acacia, tarassaco, millefiori, flora alpina, rododendro, tiglio, castagno e melata. Una varietà di fiori e di mieli che risponde diversamente all'andamento matereologico. Quest'anno si prevede un'annata difficile. Il clima, come abbiamo potuto constatare anche con Fulvio Muttoni di Apicoltura Muttoni di Taceno (Lecco), ha causato problemi notevoli soprattutto all'acacia: “È un fiore delicato che purtroppo tende a seccarsi facilmente a causa del freddo notturno e del seguente sbalzo termico che avviene la mattina. Abbiamo perso quasi tutto il raccolto, e anche il tarassaco non promette molto bene”. Ma l'apicoltrice non demorde e continua il suo lavoro per salvare la produzione: “Con il miele è pressoché impossibile definire un quantitativo medio annuo. Tutto dipende dal clima, che ci assiste sempre di meno, e più in generale dalla natura. Speriamo che con gli altri fiori vada meglio”. Gli alveari sono tutti posizionati lontano dalle strade e da fonti di inquinamento, “le nostre postazioni principali sono nel Canavese, nel Parco Gran Paradiso, nella Val Sagone, Val di Susa e Val Chiusella”. Zone incontaminate dove predomina ancora la natura più selvaggia e dove le api possono bottinare liberamente all'aria pulita.

Gli altri prodotti

Miele a parte, l'azienda realizza anche altri prodotti, alcuni molto creativi. Specialità della casa è la crema nocciola, con nocciole Piemonte IGP (dell'azienda Nocciole d'Elite di Cravanzana, in provincia di Cuneo) e miele di acacia. E ancora il cioccolatino Margottino, una pralina dal cuore morbido di crema di miele di acacia e pasta di nocciole e ricoperta di cioccolato fondente. E poi la frutta secca – nocciole, noci e mandorle – immersa nel miele, il liquore a base di grappa e miele e l'aceto di miele, “il più antico che l'uomo conosca, usato già dagli Egizi molto tempo prima della scoperta della vite”, lavorato a crudo e senza aggiunta di additivi o conservanti.

Fra i prodotti principali dell'alveare, al primo posto troviamo il polline, raccolto dalle api bottinatrici durante i voli e poi miscelato al nettare contenuto nella loro sacca melaria e posizionato in apposite sacche a lato delle zampe posteriori. Prima della commercializzazione deve essere trattato con cura, “un'operazione delicata durante il processo è l'essiccazione, realizzata attraverso la de-umidificazione del polline con un getto di aria calda”. È un concentrato di proteine e proprietà rivitalizzanti, al punto che può essere considerato “una valida alternativa naturale agli integratori multi-vitaminici che si trovano in commercio”. Non manca, infine, la propoli, “fonte di proprietà antibiotiche, anestetiche, cicatrizzanti, antinfiammatorie e antimicotiche, oltre a essere un ottimo alleato contro le infezioni della cavità orale, dalle carie alle gengiviti”.

La vendita e la formazione

Tutte queste prelibatezze sono acquistabili direttamente nel punto vendita aziendale, oppure presso diversi negozi specializzati sparsi per la Penisola, “principalmente al Nord Italia”, botteghe che hanno un occhio di riguardo per i prodotti artigianali di qualità. “Siamo presenti anche in qualche supermercato selezionato del territorio, ma si tratta di pochi indirizzi”. L'azienda vende anche all'estero, in particolare negli Stati Uniti, ma non direttamente, “ci affidiamo a degli esportatori di prodotti italiani di qualità”. La presenza alle fiere e manifestazioni di settore è limitata, “partecipiamo quasi esclusivamente al Salone del Gusto di Torino, perché cerchiamo di rimanere focalizzati sul territorio e soprattutto perché a lavorare in azienda siamo solo io e mia sorella, e l'attività è densa di impegni”.

Fra i progetti futuri dell'azienda c'è quello di ampliarsi, “vogliamo continuare a crescere e aumentare la linea di prodotti”, ma anche quello di inserirsi nel settore della formazione: “Attualmente non tengo alcun corso, ma sto lavorando per iniziare un progetto didattico con i bambini”. Per insegnare ai più piccoli come funziona il lavoro delle api, quanto la natura influisce sul prodotto finale e tutta la fatica che si cela dietro un vasetto di miele: “Mi piacerebbe partire dalle basi e poi organizzare dei laboratori per fargli toccare con mano il lavoro apistico”.

La Margherita | Rivoli (TO) | via Brofferio, 18 | 338 4971274 – 338 8094502 | www.apicolturalamargherita.it/Default.aspx

a cura di Michela Becchi

I migliori mieli d'Italia. Giorgio Poeta di Fabriano

I migliori mieli d'Italia. Carlo Amodeo di Termini Imerese

I migliori mieli d'Italia. Delizie dell'Alveare di Tornareccio

I migliori mieli d'Italia. Apicoltura Bianco di Guardiagrele

I migliori mieli d'Italia. Mariangela Prunotto di Alba

I migliori mieli d'Italia. Mieli Thun di Vigo di Ton

I migliori mieli d'Italia. Mario Bianco di Caluso

I migliori mieli d'Italia. Adi Apicoltura di Tornareccio

I migliori mieli d'Italia. L'Ape Operosa di Nettuno

I migliori mieli d'Italia. Apicoltura Muttoni di Taceno

Conoscere e capire il miele: glossario essenziale

 

I festival gastronomici di giugno. Gli appuntamenti da non perdere

$
0
0

A metà fra primavera ed estate, giugno offre tanti eventi enogastronomici interessanti, grazie alle lunghe giornate dalle temperature miti. Dalle birre artigianali di Fermentazioni e Birra del Borgo, ai formaggi di montagna di Erbe del Casaro, dal pesce dell’adriatico di Easy Fish a pizza e cucina gourmet di Festa a Vico, passando per i vini di Vinòforum: 9 eventi da non perdere questo mese.

Birra del Borgo Day (Borgorose)

Iniziamo con il 12esimo compleanno di Birra del Borgo che festeggerà la ricorrenza a Birra del Borgo Day, dal 1 al 4 giugno. 130 le spine allestite per l’evento, per un totale di circa 30 birrifici (da Opperbacco a Birradamare, da Turbacci a Montegioco Mukkeller), tante le degustazioni e gli assaggi che permetteranno a chi partecipa di scoprire da vicino il mondo della produzione brassicola. L’area food, quest’anno, prevede una lista di nomi del calibro di Daniele Usai (Il Tino), Luigi Nastri (Stazione di Posta e il nuovo Eit), Franco Franciosi (Mammarossa), Roberto Liberati (Bottega Liberati), Stefano Callegari (Trapizzino) e Gabriele Bonci (Pizzarium), che delizieranno gli appassionati di birra con creazioni pensate ad hoc. Non solo birra e cibo a Borgorose, ma anche spazio per la musica, con 15 concerti previsti, fra cui anche quello della Bandabardò. L’ingresso è gratuito, mentre le consumazioni si pagano in gettoni.

Birra del Borgo Day | Borgorose (RI) | Villa Comunale | dal 1 al 4 giugno | www.birradelborgo.it

 

Easy Fish (Lignano Sabbiadoro)

Sarà il pesce del mar Adriatico, giacimento inestimabile di risorse da secoli, il protagonista assoluto di Easy Fish 2017, la manifestazione enogastronomica dedicata alle specialità agroalimentari del Friuli Venezia Giulia e dell’Alto Adriatico, che si tiene a Lignano Sabbiadoro, dal 15 al 18 giugno. Un weekend lungo di degustazioni, laboratori, cooking show ed eventi gratuiti, con molti protagonisti della ristorazione d’autore della Penisola. Oltre alla location di Terrazza a mare, un vero e proprio simbolo della cittadina friulana, sul lungomare Trieste, una grande vetrina a cielo aperto ospiterà le specialità dello street food, le migliori aziende agricole e alimentari, cantine e birrifici artigianali non solo legati al Friuli Venezia Giulia, ma da tutto il territorio nazionale.

Tanti i protagonisti che animeranno l’evento con le loro creazioni:Franco Favaretto, Oscar Iuri, Alessandro Businaro, Emanuele Scarello, Giancarlo Perbellini, Chiara Selenati, Diego Bongiovanni, David Povedilla, Giacomo della Pietra, Mattia e Michele Vacca, Norbert Niederkofler, Ezio Marinato, Max Mariola, Stefano Buttazzoni, Silvia e Saba Sapienza, Moreno Cedroni.

Sono a “entrata libera” tutti i cooking show che si terranno sul lungomare, mentre per quelli previsti a Terrazza a mare è necessaria la prenotazione.

Easy Fish 2017 | Lignano Sabbiadoro (UD) | Terrazza a mare | lungomare Trieste, 5 | tel. 0431 71300 | dal 15 al 18 giugno 2017 | www.easyfish.info

 

Eat Prato (Prato)

Nel weekend del 10-11 giugno Prato si trasforma e diventa città del gusto, con un fitto calendario di eventi dedicati alle sue eccellenze agroalimentari, cooking show, seminari, laboratori aperti e anche una sessione di trekking urbano dedicata all’arte della panificazione. È Eat Prato, il festival dedicato alla tradizione gastronomica e alle produzioni che ruotano intorno alla cittadina toscana. L’iniziativa, giunta alla seconda edizione, si tiene a palazzo Banci Buonamici, ma coinvolgerà anche i locali pratesi che riserveranno un’attenzione particolare ai prodotti certificati del territorio - dalla mortadella di Prato ai biscotti di Prato, dal pane di Gran Prato al vino di Carmignano - inserendoli nei propri menu. Fra gli ospiti attesi Leonardo Romanelli, Giulia Scarpaleggia, Eleonora Cozzella, Andrea Gori. La gran parte degli eventi sono gratuiti, mentre i percorsi di degustazione costano fra i 5 ei 10 euro (con prenotazione).

Eat Prato | Prato | palazzo Banci Buonamici e altre location | via Bettino Ricasoli, 19 | dal 9 all’11 giugno 2017 | www.facebook.com/events/1122270521253029/?fref=ts

 

Erbe del casaro (Bergamo)

Bitto, Formai de Mut, Taleggio, Branzi, Storico Ribelle, Strachitunt, Agrì di Valtorta, Stracchino all’Antica: sono solo alcuni fra i tanti formaggi della Val Brembana, Bergamo, che saranno celebrati a Erbe del Casaro, dal 2 al 4 giugno. Non solo formaggi: il festival è dedicato anche alle erbe spontanee di montagna, fondamentali per creare uno spettro di sapori e aromi più o meno ampi, secondo il tipo di prodotto da realizzare. Sono undici i comuni coinvolti dalla rassegna diffusa - Averara, Cassiglio, Cusio, Mezzoldo, Olmo al Brembo, Ornica, Piazza Brembana, Piazzatorre, Piazzolo, Santa Brigida e Valtorta - dove si terranno assaggi, laboratori aperti, escursioni alla ricerca delle erbe, ma anche visite ai caseifici e attività d’animazione per i più piccoli. Fra gli appuntamenti più interessanti i pranzi e le cene con i produttori, che creeranno insieme a 8 ristoranti di zona dei menu elaborati appositamente per esaltare i formaggi selezionati.

Erbe del casaro | varie location in Val Brembana (BG) | tel. 3481842781 | dal 2 al 4 giugno 2017 | | www.erbedelcasaro.it

 

Fermentazioni (Roma)

Un festival nato per raccontare la birra artigianale in chiave innovativa e giunto ormai alla sua quinta edizione. È Fermentazioni 2017, previsto dal 9 all’11 giugno al Guido Reni District di Roma. A farla da padrone oltre 30 birrifici provenienti da tutta Italia, fra produttori affermati e realtà emergenti, che porteranno le loro migliori creazioni, da assaggiare e abbinare: daOpperbacco a Birradamare, da Birrificio Pontino aBirrificio del Doge, passando per Canediguerra, BrewFist, Birra Perugia, Lambrate e molti altri ancora. Ampio spazio anche al cibo di strada, con cartocci di pesce fritto, panini gourmet, monoporzioni di cacio e pepe o amatriciana e piatti vegetariani. Inoltre, laboratori tematici in cui scoprire i migliori abbinamenti birra-cibo e interessanti seminari di approfondimento. Il biglietto d’ingresso costa 10 euro, ma quest’anno è stata introdotta una novità: pagando la prima giornata, nei giorni successivi sarà possibile accedere gratuitamente a ogni iniziativa arrivando entro le ore 18.

Fermentazioni | Roma | Guido Reni District | via Guido Reni, 7 | dal 9 all’11 giugno | www.fermentazioni.it

 

Festa a Vico 2017 (Vico Equense)

Più di 300 chef, una ventina di pizzaioli e maestri pasticceri, produttori e artigiani del made in Italy, tantissimi appassionati e turisti. È Festa a Vico - la Repubblica del Cibo, l’evento ideato da Gennaro Esposito e giunto ormai alla 15esima edizione, in programma dal 4 al 6 giugno.

Lo slogan scelto per questa edizione è “Non siamo di un altro mondo”: un modo per dire ai giovani che - nonostante la visibilità mediatica degli ultimi anni metta in mostra lo chef quasi come fosse un alieno - per fare bene questo lavoro serve “solo” impegnarsi, approfondire le proprie competenze, cercare di migliorare costantemente.

Tanti gli appuntamenti da non perdere, fra cui la cena di beneficenza prevista per lunedì 5 giugno, realizzata da più di 20 chef per 200 commensali: nomi del calibro di Chicco Cerea, Moreno Cedroni, Nino Di Costanzo, Domenico Stile, Salvatore Elefante, Oliver Glowig, Valentino Marcattilii, Giancarlo Perbellini, Nino Graziano, Giuseppe Mancino, Valeria Piccini, Fabio Pisani e Alessandro Negrini, Emanuele Scarello, Maurizio e Sandro Serva, Francesco Sposito e, naturalmente, il padrone di casa Gennaro Esposito, mentre il dessert a buffet sarà realizzato a cura dall'Accademia Maestri Pasticceri Italiani.

Fra i pizzaioli presenti, invece Pizzeria Da Michele I Condurro, 50 Kalò di Ciro Salvo, Pizzeria SALVO Francesco&Salvatore, Gino Sorbillo, Franco Pepe di Pepe in Grani.

Festa a Vico - La Repubblica del Cibo | Vico Equense (NA) | dal 4 al 6 giugno 2017 | www.festavico.com/festavico2017

 

Gola Gola Festival (Parma)

Arriva la seconda edizione di Gola Gola - Food People Festival, dopo il successo dell’anno scorso, sempre a Parma, dal 2 al 4 giugno. Un evento diffuso in tutta la città che mira a valorizzare il patrimonio gastronomico italiano, con l’obiettivo di stimolare un confronto tra culture, stili di vita, relazioni di genere, produzioni artigianali, tradizioni industriali e pratiche di solidarietà, attraverso la prospettiva del cibo. Diverse le sezioni del festival: i talk, le degustazioni, il mercato, l’angolo food kids, lo street food, la sezione “vivi bene vivi buono” dedicata all’alimentazione green e poi le “piazze”, quella dei birrai, dei gelatai, del pane ma anche delle scienze e della parola. Tanti i cooking show organizzati da Alma, la scuola internazionale di cucina, ma non solo, fra cui anche quelli di Carmine Migliaro, Joyce Escano, Bruno Cossio, Andrea Ruisi, Giuseppe Sardi, Matteo Malpeli, Luca Zanga. Diversi anche i momenti di approfondimento con docenti e intellettuali comeMarino Niola, Vittorio Sgarbi, Simonetta Agnello Hornby, Francesca Barra. Alcuni degli eventi sono a ingresso gratuito, mentre altri a pagamento (online o in loco).

Gola Gola - Food and people festival | Parma | varie location | dal 2 al 4 giugno 2017 | www.golagolafestival.it

 

Vinoforum (Roma)

Siamo alla 14esima edizione per Vinòforum, una delle manifestazioni enogastronomiche più

apprezzate della Capitale: le migliori cantine nazionali, grandi chef e maestri pizzaioli metteranno insieme le forze per una dieci giorni di cene, degustazioni e cooking show nei temporary restaurant di Cucine con Vista, sul lungotevere Maresciallo Diaz.

Oltre 2500 vini in degustazione, 40 ristoranti, 60 chef e 20 laboratori dedicati a grandi e piccini saranno il cuore del festival, che quest’anno per la prima volta dedica spazio anche alla mixology, con bartender professionisti impegnati a preparare cocktail da abbinare ai piatti proposti. Fra i ristoranti che animeranno l’iniziativa, L'Arcangelo di Roma, Meraviglie in Pasta di Zagarolo, La Masardona di Napoli, Osteria 140 di Roma, La Taverna dei Corsari di Roma,Qqucina di Catania, Le Parule di Napoli, Gli Scacchi di Caserta Vecchia, Yugo di Roma,Il Fritto di Torrente di Cetara, L'Osteria del Leone di Siena, Gagini di Palermo, Smor di Roma, Antica Moka di Modena e molti altri ancora.

Vinòforum | Roma | Lungotevere Maresciallo Diaz | dal 2 al 12 giugno 2017 | www.vinoforum.it

 

Vinointorno 2017 (Olevano Romano)

Ci spostiamo di nuovo in provincia, questa volta quella di Roma, per una manifestazione che ha l’obiettivo di valorizzare vini e prodotti tipici della zona del Cesanese. Un festival che chiama a raccolta oltre 100 cantine da tutto il territorio nazionale, ma anche i protagonisti della cucina locale, le migliori botteghe gastronomiche e lo street food. Venerdì 16 e sabato 17 giugno appassionati e curiosi avranno la possibilità di scoprire non solo materie prime e produttori nuovi, ma anche il paesaggio naturale che dà vita alle produzioni agroalimentari della zona. Inoltre, convegni e dibattiti dedicati alla promozione delle specialità italiane, in un confronto aperto e diretto fra produttori e consumatori. Fra i protagonisti del reparto gastronomico, l'Antica Norcineria Sebastiani, il ristoranteIl Boschetto, Panificio Bonci, l'osteria Sora Maria e Arcangelo, le conserve di Terramata, le carni di Minori Fausto, le marmellate di Case Caiano, tanto per citare alcune insegne laziali, e ancora Fracassa Salumi e Formaggi dall'Abruzzo e la norcineriaDavid Salumi dall'Umbria.

Vinointorno | Olevano Romano (RM) | via Roma | 16 e 17 giugno 2017 | www.facebook.com/Vinointorno-582408758573915

 

 

a cura di Francesca Fiore

 

Apre la Pizzeria Agricola di Rosolina. Giacomo Carlizza, da Bonci al litorale veneto

$
0
0

Dopo sei anni al fianco di Gabriele Bonci, Giacomo inaugura un progetto solista nella piccola località balneare del rodigino. Pizza a trancio, di scuola romana, con servizio al tavolo, percorsi di degustazione e centralità degli ingredienti: puliti, etici e stagionali. Alla pasticceria Diletta Maria Grasso, trascorsi con Massari, Bonci, Radicioni. 

La scuola di Gabriele Bonci

Fino a qualche mese fa, Giacomo Carlizza, è stato al fianco di Gabriele Bonci. E per ben sei anni chi ha varcato la soglia di Pizzarium in cerca della più celebre pizza in teglia della Capitale l'ha trovato lì, nel laboratorio di via della Meloria, tra farine, forni e verdure dell'orto. Braccio destro, anzi sous chef, del maestro degli impasti, che di allievi ne ha formati tanti; molti sono tornati nelle proprie città, per raccontare a un pubblico nuovo l'idea di panificazione e pizza sostenibile professata dal pizzaiolo romano. Pensiamo ai ragazzi di Forno Brisa, a Bologna, o al giovane Stefano Vola, che il suo lavoro di ricerca su prodotti del territorio e materie prime di qualità lo prosegue a Santo Stefano Belbo, tra le colline delle Langhe, dopo un folgorante stage romano. Giacomo, invece, è romano di nascita, ma dalla fine del 2016 si è trasferito a Rosolina a mare, in provincia di Rovigo, sul litorale veneto: 80 abitanti d'inverno, 60mila presenze con l'indotto turistico, in alta stagione. Una dimensione nuova, fin quasi straniante, per chi è abituato al via vai continuo di Pizzarium. Ma anche una bella sfida: “Qui il nostro progetto è del tutto inedito, arriviamo per fare pizza a trancio, 'alla romana', dove l'idea di pizzeria è ancora legata al prodotto al piatto”. Certo, la relativa vicinanza con realtà d'eccellenza come I Tigli di Simone Padoan e Saporè di Renato Bosco – che sulla sperimentazione e la ricerca puntano molto – fa ben sperare che un giorno non troppo lontano nuovi potenziali clienti decidano di fare un'ora di macchina per raggiungere Rosolina, e scoprire la Pizzeria Agricola.

L'idea. B&B, bar... E pizzeria

L'idea è decollata in qualche mese, prendendo forma all'interno dell'albergo storico della località balneare, in attività dal 1954: “Con Silvana (Marangon) che lo gestisce ci siamo incontrati a Roma, lei frequentava qualche corso amatoriale da Gabriele. Quando mi è stato consigliato di spostarmi al mare per problemi di salute, mi ha raccontato del suo progetto”. A novembre 2016 sono iniziati i lavori: la struttura già ospitava un bar – il Gattaccio – e un ristorante. All'indomani dell'inaugurazione, solo qualche ora fa, al posto del ristorante c'è una pizzeria: 40 coperti e servizio al tavolo per una proposta a trancio, con tanto di percorsi degustazione per un massimo di dodici persone. Ma si può anche ordinare al banco, a portar via, come da propensione naturale di una pizza in teglia. L'avventura, in realtà, l'hanno sposata in due: con Giacomo è arrivata a Rosolina anche Diletta Maria Grasso, la sua fidanzata, che è pasticcera di grande esperienza, nonostante la giovane età. Nel suo passato Iginio Massari, stage al San Domenico di Imola e da Mammà a Capri; e poi a Roma, un anno e mezzo con Bonci per padroneggiare i dolci da forno, la pasticceria da colazione, i grandi lievitati. Nel frattempo un passaggio da Marco Radicioni, il maestro del gelato di Otaleg. A Rosolina Diletta lavora già da qualche mese per le colazioni e i lievitati del Gattaccio, operativo dalle 6.30 fino alle 2 di notte, con una piccola scelta di pizza per il pranzo - “è stato il nostro primo banco di prova, con una linea più semplice, la rossa con basilico, la bianca, qualche sfizio salato per l'aperitivo” - la miscelazione serale e il servizio di caffetteria e gelateria all day long.

La Pizzeria Agricola

La Pizzeria Agricola, però, è l'impegno che entrambi aspettavano: “La scuola è quella di Bonci, facciamo molto lavoro di ricerca sugli ingredienti, tanti li abbiamo scelti tra gli allevatori e gli artigiani del territorio che credono nel lavoro pulito, ed etico”. Le verdure le coltivano personalmente nell'orto di proprietà di Silvana, ma tra i fornitori locali c'è anche l'azienda agricola Mantovani: sulla pizza – una sola tipologia di impasto da farine Mulino Marino – finiscono gli ortaggi di stagione, secondo disponibilità giornaliera: “La definirei una pizza d'istinto, sono sempre pronto a inventare qualcosa di nuovo, senza stravolgere la materia prima: 2 o 3 ingredienti buoni fanno un gran prodotto”. I formaggi arrivano dal Caseificio Morandi, la mozzarella di bufala è trevigiana, la produce Borgoluce, “dobbiamo fare i conti con la difficoltà di far arrivare i prodotti fin qui”. Poi c'è il prosciutto cotto di Vallebelbo, dal Piemonte, il pesce invece arriva diretto dall'asta del porto. Si spazia, dunque, dal pesce alla carne, senza dimenticare la proposta vegetariana: “I percorsi degustazione cambiano ogni giorno. Dal campo è l'opzione vegetale e vegana, dal mercato è la proposta di carne e pesce. Il cliente sceglie la quantità, 3 o 5 tranci 10x10, al resto penso io”. Altrimenti al banco ruotano 4 teglie sempre diverse, una per categoria: orto, pomodoro, affettato e crostino.

Da bere birra Antoniana, vini naturali, cocktail in arrivo dal bar. I dolci li segue Diletta, dal forno e al cucchiaio. Si apre solo la sera, dalle 18. Tra le prime creazioni, Baccalà mantecato con carpaccio di baccalà, sesamo nero e salsa di prezzemolo o Cece nero, fave e pomodorino. Le altre proposte dovrete scoprirle da soli, di passaggio a Rosolina (Venezia dista solo 50 minuti di macchina): “Fino alla fine di settembre saremo aperti tutti i giorni, con la speranza di lavorare 10 mesi l'anno”.

 

Pizzeria Agricola | Rosolina (RV) | piazza San Giorgio | www.facebook.com/PizzeriaAgricola/?fref=ts

 

a cura di Livia Montagnoli

I sapori della costa: miniguida gastronomica al Golfo di Taranto

$
0
0

Lunghe spiagge sabbiose si alternano a tratti rocciosi e impervi, splendide cittadine risalenti alla Magna Grecia, parchi naturali ricchi e lussureggianti. È il Golfo di Taranto, una zona dalla bellezza mozzafiato e dai paesaggi molto vari. Ve la raccontiamo, con i migliori indirizzi in zona per mangiare, bere e prendere un buon caffè.

Il Golfo di Taranto

Un tratto di litorale compreso fra Punta Mèliso e Punta Alice: oltre 90 chilometri di splendide coste, che alternano tratti rocciosi e impervi a zone caratterizzate da sabbia sottilissima e da un’intensa macchia mediterranea. È il Golfo di Taranto, territorio dalla grande ricchezza paesaggistica che abbraccia le spiagge di ben 3 regioni, una “baia storica” (come sancito anche da un decreto presidenziale) che racchiude veri e propri angoli di paradiso terrestre.

 

Da Santa Maria di Leuca a Gallipoli

Partiamo da Punta Mèliso, la zona più a sud della Puglia, per fare un viaggio attraverso borghi, riserve naturali, porzioni di lungomare che, in pochi chilometri, cambia completamente aspetto. Procedendo verso nord, la prima località che si incontra è Santa Maria di Leuca, frazione di Castrignano del Capo, in provincia di Lecce. L’abitato è diviso in due: la parte superiore, in cui si trovano la basilica di Santa Maria de Finibus Terrae e il faro, e la parte inferiore, Marina di Leuca, ai piedi del promontorio. È una delle località più suggestive della zona - oltre che per le sue antiche architetture, fra cui la monumentale scalinata che collega la basilica al sottostante porto - anche per il fenomeno della “convergenza delle acque”, quelle del mar Ionio e del mar Adriatico, che si “incontrano” proprio nelle acque di Marina di Leuca, creando correnti di due colori diversi.

 

Santa Maria di Leuca - foto di Vivi SalentoSanta Maria di Leuca, l'incontro fra correnti - foto di Vivi Salento

 

Risalendo la costa le prime distese di sabbia bianca che si incontrano sono quelle di Torre Vado, Torre San Giovanni e Torre Pali, da cui partono frequenti escursioni per visitare le tante grotte della costa fra Leuca e Gallipoli. Tutto intorno, la bellezza della macchia mediterranea, ulivi secolari e qualche trullo visibile in lontananza.

A circa 50 chilometri da Leuca c’è Gallipoli, la perla dello Ionio, una cittadina dalle origini antichissime, oggi rinomata meta turistica pugliese, non solo per le sue spiagge ma anche per le numerose chiese - oltre 20 - e per gli affascinanti palazzi nobiliari che custodisce. Visitato il centro storico, è possibile fare il bagno in una spiaggia particolare, quella della Purità, che si trova nel cuore dell’abitato: è una piccola insenatura incastonata tra i bastioni della cittadina. I 20 chilometri della riviera gallipolina sono idealmente divisi in due: la parte nord, caratterizzata da coste basse e rocciose, è particolarmente adatta agli sport acquatici; quella più a sud, con l’arenile di sottilissima sabbia bianca, ospita gli stabilimenti più rinomati. Da non perdere, in particolare, le acque cristalline di Punta Pizzo e Punta della Suina.

 

GallipoliGallipoli

 

Da Gallipoli a Taranto

Superato il tratto roccioso a nord di Gallipoli la vista si apre su un’insenatura che racchiude alcune fra le più belle località di mare del Sud Italia: si parte dall’area marina protetta di Porto Cesareo, dove si possono ammirare piante e animali rari, per scoprire Torre Chianca, Torre Lapillo, Torre Castiglione e Punta Prosciutto, dove la costa selvaggia è contornata da dune di sabbia che si alternano a fitti cespugli di macchia mediterranea.

 

Punta Prosciutto, foto di FlickRiverLa spiaggia di Punta Prosciutto - foto di FlickRiver

 

Per coloro che desiderano fare il bagno in una località più selvatica, con la spiaggia quasi completamente libera da strutture balneari e lidi, consigliamo quella intorno a San Pietro in Bevagna: appena oltrepassato il litorale cambia, diventando sempre meno aperto e alternando i tratti impervi a piccole insenature.

Circa 20 chilometri dopo Marina di Leporano, si arriva a Taranto, centro urbano la cui storia affonda le radici nella Magna Grecia e che negli anni si è guadagnata tantissimi soprannomi: città spartana, perché fondata da coloni provenienti da Sparta, città dei delfini, grazie alle colonie di cetacei che vivono nelle sue acque,città dei due mari, perché punto di unione fra il “Mar grande”, le vere e proprie acque del golfo, e il “Mar piccolo”, cioè le acque formatesi dalla doppia insenatura a nord delle abitazioni, che definoscono una sorta di lago salato tutto interno.

 

Taranto, centro storico - foto di Bianchi BandinelliTaranto, centro storico - foto di Bianchi Bandinelli

 

Taranto ha un profilo architettonico molto vario: qui convivono il gotico della Chiesa di San Francesco da Paola e il barocco delle chiese e dei palazzi signorili della città vecchia, il romanico della Chiesa di San Domenico Maggiore e i palazzi rinascimentali del Borgo Umbertino, i resti degli edifici medievali come la Torre del Gallo e le strutture in stile liberty e neoclassico. Numerose anche le cripte, i monasteri e i santuari, oltre a opere spettacolari come il ponte girevole, nome ufficioso del Ponte di San Francesco di Paola, la cui costruzione risale al 1887.

 

Taranto, Castello aragoneseTaranto, Castello aragonese

 

Da Marina di Ginosa a Trebisacce

Usciti da Taranto, l’ultima località da visitare entro i confini pugliesi è Marina di Ginosa, dove sorge un lago costiero retrodunale, il Salinella, sede di importanti sessioni di birdwatching, grazie agli uccelli rari che lo abitano. Pochi chilometri più avanti si oltrepassa il confine con la Basilicata, per arrivare a Metaponto, introdotta alla vista dal suo contesto naturale colmo di frutteti, vigneti e agrumeti. La fascia costiera riprende l’estetica delle spiagge salentine, con sabbia bianca e sottile, e si arricchisce via via dei profumi e dei colori dei gigli. Questo tratto è adatto non solo a chi ha voglia di rilassarsi, ma anche agli amanti degli sport acquatici come vela e pesca sportiva. Tante le località di mare da visitare qui, da Scanzano Jonico a Policoro, fino a Nova Siri, ultimo lembo di terra lucana.

 

Roseto Capo Spulico - foto di PanoramioRoseto Capo Spulico - foto di Panoramio

 

Proseguendo lungo la fascia costiera e superando il confine con la Calabria si arriva a Roseto Capo Spulico, con il suo suggestivo castello a picco sul mare risalente al XIII secolo, il Castrum Petrae Roseti, per poi approdare a Marina di Trebisacce, con le sue rive di microscopici sassolini che si alternano alla sabbia, e il mare di un blu intenso, diverso da quello “tropicale” e dalle sfumature verde-azzurro, tipico del Salento ionico. Anche questa zona, chiamata Costa degli Achei, è meta di appassionati di sport acquatici dalla vela alle immersioni, passando per kite e windsurf.

 

Da Trebisacce a Punta Alice, passando per Corigliano Calabro

Continuando sul litorale verso sud, a una ventina di chilometri c’è Sibari, una frazione di Cassano allo Ionio e una delle città più importanti della Magna Grecia, le cui radici storiche si confondono con il mito della lussuria dei suoi abitanti. Oggi Sibari è una rinomata località turistica, sia per le sue spiagge - che qui tornano a essere sabbiose, dopo la zona ciottolosa fra Rocca Imperiale e Roseto Capo Spulico - ma anche per la ricchezza della sua piana, riscoperta solo negli anni ‘60 grazie a monumentali opere di bonifica. Allontanandosi pochi chilometri dal centro abitato, infatti, ci si ritrova tra decine di aree archeologiche, all'interno delle quali sono state rinvenute tracce di insediamenti risalenti alle età del bronzo e del ferro. Oltre al turismo, gli agrumeti, gli oliveti e le risaie dislocate lungo la piana sono la principale fonte di sostentamento di questa porzione della Calabria.

 

Sibari - foto di Arca EnelSibari - foto di Arca Enel

 

Prima di arrivare a Punta Alice, estremo limite sud del Golfo di Taranto, vi consigliamo una visita a Corigliano Calabro, una cittadina immersa nel ricco paesaggio del Parco naturale della Sila, da cui partono numerose escursioni. La sua zona marina ospita la spiaggia di Schiavonea e, poco più a sud, il Lido di Sant’Angelo di Rossano, con la sua splendida torre a soli 150 metri dal mare.

 

CONSIGLI DALLA GUIDA RISTORANTI D’ITALIA 2017

Al Gatto Rosso (Taranto)

A pochi passi dal lungomare, Al Gatto Rosso richiama clienti da oltre 60 anni, con la sua atmosfera a metà fra il vintage e lo stile moderno. La cucina è tutta centrata sul pesce freschissimo, con buon mix tra ricette tradizionali e piatti creativi, il tutto condito da una cura maniacale dei dettagli. Interessanti anche i dolci, semplici ma golosi. Dalla cantina molte referenze regionali e non solo, inoltre una buona selezione di birre artigianali. Due Gamberi nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

 

Dattilo (Strongoli)

Una decina di anni fa la famiglia Ceraudo, nota per le produzioni di vino e olio di qualità, decide di dedicarsi anche alla ristorazione: oggi possono affermare che la sfida è stata decisamente superata. Caterina – alle spalle la scuola di Niko Romito - attrae appassionati di cucina gourmet da ogni angolo d’Italia, grazie alla sua cucina basata sulle materie prime biologiche dell’azienda di famiglia e sempre tesa alla ricerca di accostamenti nuovi e sorprendenti. Interessanti i menu degustazione, tutti a prezzi abbordabili. Anche la cantina è una vetrina sul territorio, con diverse scelte al calice. Due Forchette nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

 

L’Aquila d’oro (Cirò)

La cucina tipica calabrese a soli 7 chilometri dalla costa, realizzata in maniera impeccabile dalla famiglia Vizza, veri e propri maestri nell’arte dell’accoglienza. Qui si viene per gustare sia i sapori del mare, che le specialità dell’entroterra, in una zona con una decisa vocazione vinicola. Due le sale, una interna e una esterna, dove assaggiare la proposta gastronomica del locale, che eccelle in piatti abbondanti ma sempre curati. Ottimi anche i dolci della casa, meno legati alla tradizione regionale. Dalla cantina etichette locali ma anche qualche referenza da altri territori. Due Forchette nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

 

La Cuccagna (Crispiano)

Per chi volesse assaggiare i piatti dell’entroterra e, in particolare, la carne cotta “al fornello”, l’indirizzo della famiglia Marsella è un solido punto di riferimento. Aperto dal 1962, propone pietanze dai sapori decisi realizzati con i migliori prodotti locali, personalmente selezionati dallo chef, oltre alle carni di alta qualità che il cliente può scegliere dal grande bancone all’entrata del locale. Dalla cantina vini di zona, ma anche etichette nazionali e francesi. Due Gamberi nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

 

La Locandiera (Bernalda)

A 10 chilometri circa dal lido di Metaponto, nel cuore di Bernalda, le sorelle Maria e Clara Gallotta hanno dalla loro una reputazione di tutto rispetto, costruita grazie al perfetto equilibrio fra la costante valorizzazione della cucina povera lucana e la ricerca di accostamenti nuovi. In sala Maria e il più piccolo della famiglia, Francesco - formatosi fra la Francescana e Piazza Duomo - raccontano in maniera impeccabile i piatti di Clara, consigliano i clienti, suggeriscono gli abbinamenti più appropriati. La cantina è una delle migliori della regione, ampia e ben concepita, con prezzi davvero convenienti. Tre Gamberi nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

 

La Strega (Palagianello)

Pizzeria e tavola gourmet di livello guidata da Michele Caramia, patron affabile sempre pronto a dispensare consigli ai clieti. Ai fornelli c’è Vito Netti, con la sua cucina moderna e tesa alla sperimentazione, ma che sa valorizzare anche i prodotti del territorio senza snaturarli. Ampio spazio alla pasta fresca, realizzata con grande tecnica e creatività, in un menu che alterna con equilibrio portate di carne e di pesce. Carta dei vini ampia con ricarichi contenuti e una vasta scelta fra etichette regionali, nazionali e francesi. Due Forchette nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

 

CONSIGLI DALLA GUIDA PIZZERIE D’ITALIA 2017

La Mimosa (Corigliano Calabro)

Una pizza napoletana dal cornicione alto e arioso per il locale della famiglia Plastina, che a Corigliano Calabro è garanzia di qualità da oltre 30 anni. Gli impasti sono leggeri e digeribili, i topping realizzati con materie prima di alta qualità. In menu sia proposte classiche che creative, che ruotano secondo la disponibilità dei prodotti. Da bere birre artigianali e qualche buon vino del territorio. Due Spicchi nell’edizione 2017 della guida Pizzeria d’Italia.

 

Non solo pizza (Taranto)

Non solo pizze, appunto, ma anche panzerotti, calzoni e tanti fritti di qualità per questo rinomato locale nel cuore di Taranto. Qui è la fantasia a farla da padrona, con un menu che cambia spessissimo in base alla stagionalità ma soprattutto all'estro del pizzaiolo. Via libera dunque a sperimentazioni e abbinamenti creativi, da testare spesso insieme ai clienti, oltre alle proposte classiche, sempre presenti in carta. Buoni anche i dolci della casa, leggeri e saporiti. Da bere una piccola selezione di birre in bottiglia. Due Spicchi nell’edizione 2017 della guida Pizzeria d’Italia.

 

Trattoria Max (Cirò Marina)

Una trattoria che di sera si trasforma in pizzeria, con uno scenografico forno a legna che ben si armonizza con gli interni curati ed eleganti. Farine selezionate, maturazioni lunghe e ricerca dei migliori ingredienti locali sono le caratteristiche dell’offerta gastronomica, che ruota intorno alle pizze classiche più 3-4 proposte di fantasia. Interessanti anche gli antipasti, in particolare i taglieri di salumi e formaggi locali. Da bere una selezione di vini calabresi e diversi distillati di qualità, oltre alle birre artigianali. Uno Spicchio nell’edizione 2017 della guida Pizzeria d’Italia.

 

CONSIGLI DALLA GUIDA PASTICCERI&PASTICCERIE

Bernardi (Taranto)

Una pasticceria ospitata nel maestoso palazzo Ameglio e circondata dal Castello aragonese, dal ponte di pietra e da un orizzonte mozzafiato. Aperta sin dalle prime ore del mattino per brioches e croissant fragranti, passando per la merenda di metà mattina con torte di frutta fresca, tartellette e pasticceria mignon. Fiori all’occhiello dell’insegna sono le crêpes e i tortini al cioccolato, disponibili a tutte le ore del giorno. Da bere cioccolata calda, tè e tisane, ma anche vini fermi e bollicine in orario aperitivo. Due Torte nell’edizione 2017 della guida Pasticceri&Pasticcerie.

 

Caffè Tarentum (Taranto)

Un’offerta che spazia dal dolce al salato, e che sa accontentare i gusti di tutti i clienti. Qui si possono mangiare ottimi krapfen, cornetti e ciambelle per la prima colazione, oppure optare per una focaccia croccante. Punto di forza del locale le sfogliatelle napoletane, sfornate a ritmo continuo ma anche cassate, profitterol e semifreddi. Nel tardo pomeriggio ricco aperitivo con sfizi di ogni tipo, accompagnati da vini locali. Due Torte nell’edizione 2017 della guida Pasticceri&Pasticcerie.

 

Murrieri (Racale)

A pochi chilometri da Torre Suda, la pasticceria-laboratorio di Ilario Murrieri aè rinomata per i dolcetti di marzapane e gli spumoni, veri cavalli di battaglia, ma meritano una sosta anche le torte, le millefoglie agli agrumi o le tante brioches della colazione. E ancora i mignon, colorati e invitanti, i semifreddi e le crostate, sia di frutta fresca che farcite con marmellate artigianali. Infine i gelati della casa, con una scelta di circa 15 gusti. Due Torte nell’edizione 2017 della guida Pasticceri&Pasticcerie.

 

CONSIGLI DALLA GUIDA BAR D’ITALIA 2017

Caffè italiano (Taranto)

Nel cuore della movida tarantina, il Caffè italiano è una garanzia a ogni ora del giorno. Lo stile è moderno, con arredi raffinati e una bella vetrata. I caffè sono intensi e aromatici, i cappuccini vellutati e cremosi, si accompagnano bene alle molte brioches, ai cornetti e alle crostate di marmellata e frutta fresca. Ma qui si viene anche per l’aperitivo, con rustici, focacce, tartine e bruschette, abbinati a cocktail e vini locali. In estate gelati e granite artigianali. Tre Tazzine e Due Chicchi nell’edizione 2017 della guida Bar d’Italia.

 

Denny Heart Cafè (Corigliano Calabro)

Un locale che si distingue per qualità dell’offerta, in una zona da sempre votata al turismo di massa. Caffè e cappuccini, preparati con maestria, dal sapore robusto e dalle spiccate note di cacao, si abbinano perfettamente a ciambelle, brioches, cannoli e pasticcini di vario tipo, ma anche agli ottimi semifreddi e gelati artigianali. Specialità della casa i dessert della tradizione calabrese, come la pitta ‘mpigliata. Due Tazzine e Due Chicchi nell’edizione 2017 della guida Bar d’Italia.

 

Royal bar (Taranto)

Un locale aperto dal 1963 con una splendida vista sul mare di Taranto. Il profumo di pasticceria accoglie subito i clienti, mentre dal bancone arrivano caffè con miscela Arabica robusti e intensi. Buoni anche i cappuccini, ben montati e dal gusto avvolgente, da abbinare a croissant, sfogliatelle, muffin, ciambelle e crostate. Ottimi anche i krapfen e i semifreddi, così come la pasticceria mignon. Di livello anche il salato, da provare in orario aperitivo insieme alle birre, ai vini e ai cocktail proposti. Tre Tazzine e Due Chicchi nell’edizione 2017 della guida Bar d’Italia.

 

indirizzi

Al Gatto Rosso | Taranto | via Cavour, 2 | tel. 340 533 7800 | www.ristorantegattorosso.com

Bernardi | Taranto | via Niccolò Tommaso D'Aquino, 1 | tel. 099 453 2624 | www.facebook.com/bernardichocobistrot

Caffè italiano | Taranto | via d'Aquino, 86/A | tel. 099 452 1781 | www.facebook.com/grancaffeitaliano

Caffè Tarentum | Taranto | via Anfiteatro, 97 | tel. 099 453 3956

Denny Heart Cafè | Corigliano Calabro (CS) | via Provinciale per Schiavonea, 274 | tel. 0983 857825 | www.facebook.com/Denny-Heart-Café-283722713234

Dattilo | Strongoli (KR) | c.da Dattilo | tel. 0962 865613 | www.dattilo.it

L’Aquila d’oro | Cirò (KR) | Via Sant'Elia | tel. 0962 38550

La Cuccagna | Crispiano (TA) | c.so Umberto I, 168 | tel. 099 616087 | www.lacuccagnagirodivite.com

La Locandiera | Bernalda (MT) | c.so Umberto I, 194 | tel. 0835 543241 | www.facebook.com/TRATTORIA-OSTERIA-La-Locandiera-137037736370196

La Mimosa | Corigliano Calabro (CS) | c.da Cardame | tel. 0983 886731

La Strega | Palagianello (TA) | via Fratelli Bandiera, 61 | tel. 099 844 4678 | www.facebook.com/Ristorante-la-strega-190994974339980

Murrieri | Racale (LE) | via Mazzini, 26 | tel. 0833 553311 | www.facebook.com/PasticceriaMurrieri

Non solo pizza | Taranto | c.so Italia, 110 | tel. 392 708 9497 | www.facebook.com/nonsolopizzataranto

Royal bar | Taranto | viale Virgilio, 57/d | tel. 099 330447 | www.royalbar.it

Trattoria Max | Cirò Marina (KR) | via Pola | tel. 0962 373009 | www.trattoriamax.it

 

 

a cura di Francesca Fiore

 

Leggi anche Miniguida alla Riviera di Ulisse

 

 

 

Accursio Radici apre a Modica, con piatti della tradizione e prezzi democratici

$
0
0

Bottega della tradizione con cucina, quella di Accursio Craparo. A prezzi accessibili. Inaugura proprio di fronte al ristorante gourmet di Modica il nuovo progetto dello chef siciliano. Nel segno di una Sicilia golosa e democratica.

Sono tanti gli chef, di prima e lunga esperienza, che si cimentano con un'idea di ristorazione fruibile da tutti, non esosa, dai più definita con il termine (forse un po' fuorviante e onnicomprensivo) “street food”. Pensiamo ad Arcangelo Dandini con Supplizio, a Pietro Parisi con Boccacciello Bistrot del Boschetto o a Igles Corelli, che si accinge ad aprire nel cuore della Capitale Mercerie, un format informale che propone piccoli assaggi replicabili a prezzi contenuti. Questa ondata di ristorazione volta a sperimentare nuove formule più democratiche e decisamente meno ingessate, approda anche in Sicilia, a Modica (ma ricordiamo, per prossimità, anche il modello de I Banchi di Ciccio Sultano, apertura all day long, forno, caffetteria, bottega e cucina d'autore a prezzi accessibili). Con il nuovo progetto di Accursio Craparo.

Accursio Radici

C'è sempre stata l'idea di sperimentare una formula democratica che viaggiasse in parallelo ad Accursio Ristorante, con una cucina più ordinaria che si misurasse con le regole della tradizione e che sapesse avvicinare quel pubblico meno propenso alle novità, guidandolo un passo alla volta al gusto della curiosità e dell’esplorazione”. Un'idea rimasta rinchiusa per anni in quel che doveva essere il magazzino del ristorante, e che ora si è concretizzata nella bottega Accursio Radici. “Non poteva che essere così, dato che quel magazzino, di fronte al ristorante e quindi nel pieno centro storico di Modica, era sprecato”. La piccola bottega, inaugurata l'1 giugno, siamo certi conquisterà turisti e siciliani che vogliono assicurarsi a tutte le ore un valido take away da gustare sulla scalinata del Duomo di San Pietro o passeggiando tra i vicoli stretti nella quiete del quartiere antico.

La proposta

Dall’arancina allo sfincione, dalla caponata al panzerotto, passando per il pane cunzato, il timballo di anelletti e l'insalata di sgombro sott'olio fatto da loro, nella cucina del ristorante. O ancora l’immancabile granita con brioche, i cannoli riempiti al momento e il gelo di mellone. La proposta di Accursio Radici parla siciliano.“Volevo completare la mia idea di cuoco, collegando l'alta cucina, che vive nella contemporaneità, alla cucina di tradizione. Recuperando i tipici profumi e sapori, ma anche quei gesti e movimenti che esprimono familiarità e rassicurano”. È la quadratura del cerchio, di un cuoco la cui cucina è da sempre un omaggio alla Sicilia. Da qui, l'idea di dedicare questo locale a chi preferisce scegliere una cucina semplice e schietta. “Il cibo di strada è per me una chiave di accesso a questo pubblico: a chi viaggia, avrò il piacere di far assaggiare una cucina tipica di qualità, a chi mi sta sempre attorno quello di suggerire, di tanto in tanto, un’incursione oltre i limiti del conosciuto e per di più a un prezzo contenuto”. Che poi può essere un trampolino di lancio per incoraggiare le persone a fare un'esperienza più gourmet. Il suo ristorante è dall'altra parte della strada.

 

Accursio Radici | Modica | via Grimaldi | www.accursioristorante.it

 

a cura di Annalisa Zordan

 

 


Studenti da Miami a Roma. La scoperta della Carbonara alla Città del gusto di Roma

$
0
0

Una delegazione di aspiranti chef da Miami, alla scoperta della tradizione gastronomica italiana. Alla Gambero Rosso Academy, con chef Andrea Golino, si sono cimentati con la preparazione di piatti mai provati prima. Ecco cos'è venuto fuori da questo insolito omaggio.  

Il prof che li accompagna non riesce a contenere l’entusiasmo: “Per noi è stata un'esperienza unica, davvero. A Miami non sarebbe stato possibile fare una simile immersione nella cucina italiana”. Jose Casals, assistente al Miami Culinary Institute, esprime tutto l’entusiasmo del gruppo di studenti che ha accompagnato in Italia a fare uno stage di tre giorni presso le scuole della Gambero Rosso Academy di Roma, sotto la guida di Andrea Golino, talent chef di Gambero Rosso Channel e di Mario Piccioni, resident chef dell’Academy.

Davanti a una giuria composta da Tiina Eriksson (responsabile degli Eventi Esteri del Gambero), Camilla Carrega (direttrice dell’Academy), Indra Galbo (vice curatore della guida Oli d’Italia), Marco Castaldi (tutor presso l’Academy) e Stefano Polacchi (caporedattore del mensile Gambero Rosso e curatore di Oli d’Italia) – oltre agli chef coinvolti – i ragazzi hanno presentato i loro piatti: sette preparazioni dedicate e ispirate alla cucina italiana realizzate in coppia.

 

La carbonara di Miami

Al primo piatto, i due ragazzi americani hanno stupito tutti: una carbonara eseguita alla perfezione. Tanto che resisterà a tutti gli altri piatti presentati aggiudicandosi il primo posto. “Siamo andati noi stessi ad acquistare gli ingredienti al mercato”– sorridono i due ragazzi del Miami Culinary –“la cosa più difficile? trovare le giuste consistenze sia per la cottura della pasta che per l’uovo”. Risultato: una carbonara eseguita alla perfezione, con la giusta cremosità e una cottura al dente da manuale.

Per loro” – afferma Golino –“è stato come imparare a giocare a calcio a 30 anni! Si tratta di procedure e consistenze mai tentate prima, mai conosciute. Questi ragazzi, in cucina si sono dimostrati molto preparati e attenti. E anche molto attivi e dinamici: sanno muoversi molto bene e non stanno ad aspettare che qualcuno dica loro cosa fare”.

 

Bruschetta, risotto, mozzarella in carrozza

Poi, tocca alla Bruschetta, realizzata da Joseph e Jose: “È una interpretazione molto americana della cucina italiana”, mette le mani avanti Golino. Ma se l’impatto è strano, in realtà il piatto regge bene alle critiche e alla prova del gusto: in realtà è una interpretazione della pappa al pomodoro attraverso un must italiano, la bruschetta. Una fetta di pane scavata al centro in cui viene inserita una perfetta pappa al pomodoro e la parte del pane tagliata via utilizzata come bruschetta con una dadolata di pomodoro fresco, olio di oliva, mozzarella e un finferlo fresco. Una sorta di pappa al pomodoro destrutturata “dal vivo”. Un piatto, questo, che resisterà fino alla fine al secondo posto. Anche perché se la preparazione può sembrare straniante per un italiano, vista da Miami, in realtà, costituisce una chiave di lettura per un piatto che parla di Mediterraneo e di Italia a 360°.

È la volta del risotto con asparagi e chips di San Daniele, realizzato da Tania e Damelys. Le due ragazze hanno addirittura chiesto, acquistando il prosciutto al mercato di San Giovanni di Dio, che fosse loro consegnata anche la cotica: “Per utilizzarla nel brodo”sorridono le ragazze. E fanno bene. La difficoltà maggiore? “Seguire i cambiamenti di scaletta nel presentare i piatti” – spiegano le due studentesse – “abbiamo iniziato tre volte a preparare il risotto”. Fa loro eco Golino: “È una situazione che si presenta spesso nelle cucine di un ristorante: il panico è il peggior ingrediente! ma le due ragazze se la sono cavata benissimo: riso cotto al dente, perfetto. Forse mancava un po’ la spinta degli asparagi: hanno messo nel brodo le bucce e poi hanno mantecato il risotto con delle rondelle. meglio se avessero spinto di più l’ortaggio e utilizzato un Parmigiano vero invece di un formaggio ovino a pasta molle”.

 

Tortellini, ravioli, lasagne

Osmel e Cameron hanno deciso di fare invece una mozzarella in carrozza dopo averla vista qualche sera prima durante un tour gastro-cittadino insieme allo chef. Risultato: niente male. Così come i tortellini alla panna fatti da Keke e Daniela: volevano riempirli con i gamberi, ma poi Golino ha fatto cambiare loro idea. Allora, approfondendo la tradizione italiana, le due studentesse hanno deciso di realizzarli con un classico ripieno di carne e di condirli «alla bolognese» (sorride Golino), con panna, burro e Parmigiano. Forse qualche piccolo problema con il ripieno e con la pasta, ma il gusto c’è tutto ed è anche molto schietto e definito. Se invece di tortellini fossero stati ravioli, sarebbe andata molto meglio. Così è stato per i ravioli verdi di Fabian e Nick. I due volevano cimentarsi su una pasta ripiena e hanno cominciato a sbirciare su internet, ma trovavano nella gran parte dei casi lasagne e cannelloni. Quando si sono imbattuti nei sardi colurgiones, è stata una folgorazione. E continuando a studiare, sono arrivati a una decisione: realizzare una sfoglia verde con spinaci, riempirla di patate, formaggio e menta, e condirli con… Ecco, qui comincia il problema. I ragazzi pensavano alla salsa di pomodoro. Ma Golino li avverte: non sarà troppo banale? E poi si rischia di annullare il sapore dei ravioli. I ragazzi, continuando a ispirarsi su internet, pensano a una salsa di melanzane. Golino li asseconda, “però bruciate la buccia, in modo che la salsa abbia un aroma leggermente fumé e dia nerbo al piatto”.

È la volta dell’ultima ricetta: la presentano Yacaterina ed Ermenegildo. È una lasagna. E da dove viene? Lo spiega Yacaterina, venezuelana: “La mia famiglia è in parte spagnola, ma la ricetta è tradizionale del Venezuela dove l’immigrazione italiana è stata fortissima: così uno dei piatti caratteristici del Natale sono proprio queste lasagne”, spiega la ragazza. Una buona mediazione tra la tradizione emiliana e quella calabrese. Un piatto che noi italiani facciamo un po’ fatica a codificare, ma che alla fine strappa un meritato terzo posto.

 

 

 

 

 

 

 

Pascual Startup. Dalla Spagna il concorso che premia i migliori progetti del settore gastronomico

$
0
0

Una competizione volta a valorizzare le giovani startup del mondo del cibo: è Pascual Startup, progetto che si propone di radunare i più promettenti imprenditori del momento, che si sottoporranno al giudizio della giuria popolare del web. Tutti i finalisti.

Il concorso

Un nuovo spuntino che coniuga guacamole e nachos, un sostituto sano della pasta a base di verdure, una torta spray, uno strumento che aiuta i commercianti a capire il comportamento dei clienti: sono solo alcuni dei progetti presentati lo scorso 18 maggio in occasione del Pascual Startup Day, giornata di avviamento dell'iniziativa spagnola Pascual Startup, impegnata a fare luce su tutti i giovani imprenditori desiderosi di contribuire al settore dell'alimentazione con idee innovative e originali, formule nuove e soluzioni intelligenti. Durante la giornata di presentazione, Pascual ha annunciato i nomi delle startup in gara per vincere il titolo di progetto dell'anno, premio che verrà attribuito dalla giuria popolare del web il prossimo 4 giugno. Tutti i finalisti hanno avuto l'opportunità di esporre la propria idea a imprenditori, professionisti del settore e rappresentanti della pubblica amministrazione, che hanno suddiviso il contest in due categorie: “Nutrizione e Salute” e “Retail”.

I finalisti

Per la sezione “Nutrizione e Salute” è Guaca&Go! a conquistare l'attenzione del pubblico, un nuovo spuntino che unisce due dei prodotti più rappresentativi della cucina Centro e Sud americana, nachos e guacamole, un abbinamento unico in grado di fare gola a grandi e piccini. L'idea nasce dallo studio di una certa tendenza da parte degli spagnoli a consumare snack di vario genere durante il corso della giornata: infatti, circa il 79% delle persone sottoposte al sondaggio ha ammesso di cedere alla fame fra un pasto e l'altro, concedendosi il piacere di una merenda, mentre la restante percentuale ha dichiarato di rinunciare agli spuntini per motivi di salute. Guaca&Go! si propone come snack salutare, gustoso e ricco di nutrienti: il guacamole, infatti, è a base di avocado, frutto entrato a pieno titolo nella lista sei super food, fonte di potassio e di vitamine A, E, K e D. Altro prodotto originale è Spaveggi, un'alternativa alla pasta che sostituisce il grano con le verdure: carote, barbabietole, patate dolci e rape sono i protagonisti degli insoliti spaghetti, adatti ai celiaci, vegetariani e vegani. E ancora Upcake, una torta spray da preparare nel microonde in grado di facilitare il lavoro dei pasticceri amatoriali e ridurre i costi.

Nella categoria del retail invece è Cubelizer a raccogliere l'entusiasmo della giuria, uno strumento dotato di intelligenza artificiale pensato per i supermercati e centri commerciali, in grado di raccogliere dati sul comportamento della clientela, elaborarli e mostrarli ai responsabili. C'è poi DelectaMe, un sistema B2B per leggere blog di cucina e ricette e immagazzinare tante informazioni alla volta per creare un database di nozioni e informazioni utili sul settore gastronomico ideato per analizzare le tendenze e gli sviluppi del mercato. Non mancano, inoltre, startup dedicate agli chef e i ristoratori: Mycheftool offre la possibilità di creare piatti e menu con relativi dati tecnici (allergeni, gluten free, vegan) attraverso uno strumento elettronico in grado di tenere traccia di tutte le entrate e uscite delle comande e della distribuzione dei tavoli, aiutando i responsabili di sala a gestire al meglio i loro ordini, che possono essere tradotti in 6 lingue diverse.

www.pascualstartup.com/

a cura di Michela Becchi

La focaccia e i suoi derivati. 5 specialità delle Marche e la ricetta della crescia sfogliata

$
0
0

Per la seconda puntata sulle focacce regionali andiamo nelle Marche, il regno della crescia. Ma non solo: la cucina locale annovera diverse specialità, tutte da scoprire e rifare a casa. Ve ne raccontiamo 5, con la ricetta della crescia sfogliata di B.A.C., locale di Civitanova Marche.

Strutto, pepe, pecorino, aglio. Ma anche canditi, vaniglia e uva passa. Sono gli ingredienti delle focacce marchigiane, specialità dalle origini antiche. Ve ne raccontiamo 5, con la ricetta della crescia sfogliata di B.A.C., locale di Civitanova Marche che, insieme al “fratello” La Crescia, è stato selezionato dall’edizione 2017 della guida Street Food.

 

Cacciannanze

Partiamo da un prodotto di Ascoli Piceno, la cacciannanze. Nel dialetto locale è la contrazione di “cacciata innanzi”, ovvero sfornata prima del pane: una focaccia che serviva, appunto, per testare la temperatura del forno. La base è quella del pane, che poi viene condita con aglio, rosmarino, sale, olio extravergine e cipolla (facoltativa), e “pizzicata” sui bordi esterni. La forma può essere rotonda o rettangolare, mentre sulla superficie vengono create delle fossette in modo che, una volta insaporita la superficie con un filo d’olio, il liquido si raccolga all’interno degli incavi.

Tradizionalmente la cacciannanze veniva mangiata durante il primo giorno di produzione del pane, in modo da conservare più a lungo le scorte di quest’ultimo. Oggi è diventata parte immancabile dell’aperitivo ascolano, insieme alle famose olive ripiene: viene servita a spicchi e accompagnata con del vino cotto, altro prodotto tipico di questo territorio.

 

Calcione di Treia

Ci spostiamo a Macerata per raccontare il calcione, una focaccina dal sapore particolare, dolce nella parte esterna, salata all’interno. È tipica di Treia, paese della provincia, di quasi 10 mila abitanti, in cui è celebrata anche da una sagra annuale.

La particolarità di questo prodotto è il ripieno, fatto con il pecorino locale, gli albumi, la scorza di limone, zucchero e vaniglia. La pasta, invece, è realizzata con farina, uova intere, zucchero e strutto. Una volta tirata la sfoglia, si ricavano dei cerchi dal diametro di 10 centimetri, da farcire con il composto a base di pecorino e poi da richiudere su se stessi, a mo’ di mezzaluna, o in alternativa, a saccottino. Poi si inforna il tutto, per una ventina di minuti, a 180-200 gradi.

Ci sono diverse varianti della ricetta di base: c’è chi rimpiazza il pecorino con la ricotta, ottenendo così un prodotto dal sapore più delicato, chi li trasforma in un primo piatto, sostituendo alla pasta una sfoglia simile a quelle delle crêpes, e infine chi li frigge.

 

Calcione di Treia - foto Destinazione MarcheCalcione di Treia - foto Destinazione Marche

 

Chichiripieno

Da Treia facciamo un salto a Offida, borgo a metà strada fra Ascoli Piceno e San Benedetto del Tronto, dove si fa ilchichiripieno, una focaccia farcita con peperoni rossi e gialli, olive verdi, alici, tonno, carciofini e a volte capperi. La parola chichì nel dialetto offidese vuol dire pizza e, per la precisione, era il pezzettino di impasto che veniva dato ai bambini per farli giocare. Ma questa ricetta vanta origini antiche: sembra che sia stata importata dal Medioriente grazie ai viaggi di esploratori e commercianti.

La base può essere l’impasto della pizza o, più raramente, quello del pane, che viene steso in due sfoglie da sovrapporre. All’interno, viene spalmata la crema realizzata tritando finemente gli ingredienti già citati e mescolandoli a lungo: nelle versioni moderne questa operazione viene sostituita dal lavoro del mixer. Una volta richiusa, la si bucherella in superficie con una forchetta e la si condisce con un filo d’olio extravergine, per poi infornarla fino a completa doratura.

Oggi, oltre ad essere celebrata da una sagra che si svolge nell’ultima settimana di agosto, è usata come antipasto dai ristoranti locali, ma anche come piatto unico per le gite fuori porta o come aperitivo, accompagnata da un vino locale.

 

Chicchiripieno - foto Piceno PassChicchiripieno - foto Piceno Pass

 

Crescia

“Crescia e acqua al mattino, polenta o erbe alla sera”: è il tradizionale detto del contadino marchigiano, che faceva di questa specialità la “regina” della dieta quotidiana, secondo quanto scriveva il periodico cattolico “L'eco del Giano" (1906). Ma non fatevi ingannare: malgrado sia da sempre considerata una pietanza povera, veniva servita anche sulle tavole delle famiglie nobiliari, a conferma della sua “trasversalità”.

Gli ingredienti di base sono farina (di grano duro o di mais), uova, acqua, sale, pepe e spesso anche lo strutto. È diffusa in tutte le province della regione e conta numerose varianti locali, alcune della quali rivisitano completamente la ricetta: noi vi forniamo quella di B.A.C. (Bere a Colori), locale di Civitanova Marche che, insieme al “fratello” La Crescia, è stato selezionato dalla guida Street Food 2017. È dunque la versione sfogliata, di cui parleremo più avanti, in questo caso particolarmente leggera perché fatta con pochissimo strutto. La farcitura che va per la maggiore da B.A.C. è quella fatta con salsiccia arrostita e cicoria “strascinata” (cioè cotta in padella).

 

Varianti locali e diffusione

Nella zona tra Fano, Pesaro e Urbino, la crescia viene spesso chiamata piadina: è fatta con la pasta del pane e una grande quantità di strutto, cosa che dona al prodotto un sapore più intenso. Anche in questo caso, esistono due tipologie: la crescia vonta e crescia sfojeta (“unta” e “sfogliata”). La prima è molto spessa e, una volta cotta, viene unta con il lardo di maiale e rimessa per qualche secondo sulla griglia o, in alternativa, farcita con i cavoli ripassati in padella. La crescia sfogliata è invece formata da una pasta che viene stesa diverse volte, poi ripiegata su se stessa e infine stesa nuovamente con il mattarello, in modo da ottenere più strati. La sfogliata viene fatta in particolare a Urbino e dintorni, dove viene chiamata anche crostolo e mangiata calda insieme a salsiccia, verdure di campo, prosciutto o formaggio. Variante della variante è il crostolo di Urbania, che prevede la farina di mais al posto di quella di grano duro. Anche a Jesi e Ossimo si utilizza il mais, ma in questo caso la focaccia viene praparata con gli avanzi di polenta già cotta, da ripassare poi sulla piastra.

 

Crescia di Pasqua al formaggio - foto Mascia delicatezzeCrescia di Pasqua al formaggio - foto Mascia delicatezze

 

Ad Ancona viene spesso cotta sotto la cenere della brace, in particolare a Fermignano e nell’Alta Valle dell'Esino, e si mangia sa' le foje, insieme alle erbe, ma anche con salumi come lonza o salame. Nella zona di Offagna, a 10 km da Ancona, esiste addirittura un’Accademia della Crescia, che tutela il prodotto e organizza rivisitazioni storiche in stile medievale.

Anche nel maceratese questa specialità è preparata con la pasta del pane, ma l’aspetto è più simile a quello della schiacciata toscana ed è poi condita con sale, olio, cipolla e rosmarino. In alcuni casi all’impasto vengono aggiunti i ciccioli di maiale, chiamatigrasselli o sgriscioli.

Nella stessa zona, a Caldarola, è impastata invece con un mix di grano e mais, tagliata a spicchi e usata per accompagnare il sangue del maiale cotto.

Ultima tipologia da raccontare è quella della crescia brusca, cioè condita con il formaggio, solitamente pecorino, a pezzi oppure grattugiato.

 

Crescia di Pasqua

Un paragrafo lo dedichiamo alle versioni dolci, fra cui la crescia di Pasqua o pizza pasquale, citata anche da Giacomo Leopardi nelle lettere alla sorella Paolina. La tradizione regionale vuole infatti che la colazione della mattina della Resurrezione sia composta da uova sode, crescia, ciauscolo, coratella e altri salumi locali, a seconda della zona. La focaccia nominata da Leopardi si fa sia in versione dolce che salata: quella dolce è farcita con zucchero, canditi e uva passa, mentre la tipologia salata è caratterizzata dalla presenza massiccia nell’impasto di pecorino, parmigiano e pepe nero.

L’aspetto della variante dolce è molto simile a quella del panettone, grazie all’uso del lievito. Probabilmente, il nome della specialità viene proprio da questa tipologia, piuttosto che da quella salata: la parola crescia, nel medioevo, si riferiva soprattutto ai prodotti molto lievitati che risultavano ben gonfi dopo la cottura (da crescia, crescita).

Ma quella pasquale non è l’unica focaccia dolce della gastronomia regionale: nell’elenco ci sono anche lapizza sfogliata di Fiuminata, in provincia di Macerata, preparata con la farina di granturco e, sempre nel maceratese, quella condita con mele, uvetta noci, zucchero, fichi secchi, mistrà e marmellata.

 

La ricetta della crescia sfogliata di B.A.C., Civitanova Marche

 

Ingredienti

550 g di farina biologica

2 uova

50 ml di acqua

10 g di sale

3 g di pepe

 

Procedimento

Mescolare le uova con l’acqua, poi aggiungere la farina poco per volta, il sale e il pepe. Continuare a impastare per qualche minuto e poi formare delle strisce larghe circa 10 centimetri e lunghe circa 50. Ungere le strisce con un velo di strutto e arrotolarle su se stesse. Formare delle girelle di circa 150 grammi l’una. Stendere ogni girella con il mattarello e, dopo aver formato di nuovo le sfoglie, cuocerle su una piastra rovente da entrambi i lati, fino a completa doratura. Farcire a piacere.

 

B.A.C. | Civitanova Marche | corrso Umberto I | tel. 0733 770919 | www.facebook.com/baccresceria

La Crescia | Civitanova Marche | via Martiri di Belfiore, 83 | tel. 0733 773545 | www.facebook.com/pizzerialacrescia/?rf=129339410551301

 

 

a cura di Francesca Fiore

 

 

Leggi anche La focaccia e i suoi derivati: 6 specialità tipiche della Liguria e una ricetta

 

 

 

Champagne? No grazie: i consumatori inglesi scelgono il Prosecco

$
0
0

I cittadini britannici amano il Prosecco. Non solo lo amano ma, negli ultimi anni, lo preferiscono allo Champagne: a confermarlo è il giornale The Independent, sulla base di dati dell’International Wine and Spirit Research. E il magazine inglese spiega anche perché.

L’ascesa del Prosecco in UK

Che il Prosecco sia un prodotto di qualità gli italiani lo sanno da tempo, ma questo dato di fatto è meno diffuso all’estero, dove per anni è stato considerato - a torto - il “cugino povero” dello Champagne. Ma da qualche tempo la tendenza si è invertita, quantomeno per i cittadini della Gran Bretagna: a dirlo è un articolo pubblicato dal magazine The Independent.

Secondo la giornalista Olivia Blair, che ha analizzato i dati dell’International Wine and Spirit Research (Iwsr) - ma anche quelli sulle vendite che le principali case produttrici hanno effettuato nei negozi e dagli store digitali - dal biennio 2013-2014 a oggi il consumo di Prosecco nel Regno Unito è raddoppiato. Il colosso del commercio al dettaglio inglese Sainsbury, ad esempio, ha aumentato del 40 per cento all’anno le vendite del Prosecco Conegliano DOCG Superiore. Ma anche Tesco mostra dati importanti: non solo l’impennata delle vendite iniziata ormai 5 anni fa, ma anche i numeri attuali, che mettono in evidenza come nei primi mesi del 2017 le vendite siano aumentate del 26% rispetto all’anno precedente, surclassando quelle dello Champagne.

L'ascesa di questo prodotto è più evidente in Gran Bretagna che in qualsiasi altro Paese europeo: sempre secondo i dati di Iwsr, il Regno Unito è il più grande consumatore di Prosecco dopo l’Italia, oltre a essere un grande importatore di spumanti da tutto il mondo. Ma quali sono i motivi della rinnovata passione degli inglesi per il Prosecco?

 

Le ragioni del successo del Prosecco

Sono diversi i motivi, individuati dal magazine insieme all’analista dell’Iwsr Ania Zymelka, che spiegano il recente successo del Prosecco tra gli inglesi. La prima causa - probabilmente la più importante in termini di incidenza - è il vuoto commerciale che il Prosecco è riuscito a riempire. “Per anni c’è stato un gap nella categoria ‘vino spumante’: lo Champagne era troppo lussuoso e insostenibile dal punto di vista economico per un consumo settimanale o per proporlo come bevanda per piccoli eventi” ha spiegato Zymelka. “Il Prosecco, che non ha mai avuto una forte comunicazione in UK, è piano piano diventato l’alternativa economica allo Champagne. Ma, qualche anno dopo, i dati ci dicono che questo prodotto si sta emancipando anche dal ruolo subalterno affibbiatogli: avendolo a disposizione, i consumatori hanno iniziato a riconoscere le sue caratteristiche specifiche”. Avere delle bollicine di livello a un prezzo accessibile è stato il motivo trainante dell’aumento delle vendite del Prosecco. Ma non l’unico: la natura mutevole degli eventi mondani ha fatto la sua parte.

Secondo Zymelka, la tendenza a bere frizzante è aumentata notevolmente negli ultimi anni, permettendo ai consumatori di associare l’idea delle bollicine a quella di “lusso accessibile”. Come confermato anche da Andy Barr, esperto di branding management della società 10 Yetis, che ha spiegato come la gran parte dei consumatori che partecipano a feste ed eventi mondani preferiscano questa tipologia di prodotto, senza essere necessariamente orientati alle categorie premium ma, al contrario, optando per marche considerate “medie” per fascia di prezzo.

Proprio il rapporto fra prezzo e qualità, infatti, è un fattore fondamentale nell’ascesa del prosecco in UK, soprattutto tra i consumatori più giovani. Allo stesso tempo, sembra rappresentare un ostacolo all’affermazione di prodotti di qualità superiore rispetto a quelli della fascia media.“I tentativi di creare un mercato solido per il prosecco 'premium' sono stati finora molti limitati” spiega Zymelka. “I consumatori non sono fedeli alla marca, e considerano la parola Prosecco come marchio in sé. La tendenza è quella di acquistare il prodotto in promozione, piuttosto che sondare la qualità dei produttori e questo rende complesso per i fornitori operare una differenziazione”. Ma il trend potrebbe subire ulteriori cambiamenti - e resta dunque sotto osservazione - a causa dell’impatto che la Brexit potrebbe avere sulle importazioni dall’Italia.

 

www.independent.co.uk/life-style/food-and-drink/prosecco-italian-sparkling-wine-how-beat-champagne-france-a7751971.html

 

a cura di Francesca Fiore

 

 

 

 

 

Borough Market, Londra. Messaggi di dolore e speranza dal mercato che vuole tornare a vivere

$
0
0

Ancora una volta la strategia del terrore colpisce un luogo di svago, tra i simboli più celebri della vita gastronomica cittadina, affollato in un sabato sera qualunque di primavera. L’indomani il mercato è chiuso, in segno di lutto e rispetto, ma tutti gli esercenti – un bel mix di tradizioni e culture diverse – sono pronti a ripartire. Il terrore non vincerà. 

La strategia del terrore

Il Borough Market è una comunità affiatata, e non permetteremo all’azione di pochi violenti di impedirci di continuare nella tradizione di cui andiamo fieri, servendo il miglior cibo inglese”. Così scrive a meno di 24 ore dall’ultimo attacco terroristico che ha colpito Londra nel cuore di un sabato sera di svago come tanti, il Roast Restaurant di Borough Market. Un messaggio di speranza e orgoglio affidato a Twitter, come tanti se ne contano all’indomani dell’ennesima azione violenta e imprevedibile di un commando di tre uomini armati fino ai denti, che hanno generato il panico tra London Bridge e il celeberrimo mercato londinese, lasciando sul campo 7 vittime e instillando il virus del terrore in città. Sì, perché la strategia ormai perfettamente manifesta degli attentatori è proprio quella di spezzare la serenità di un’uscita con gli amici, seminare il panico durante una cena in famiglia, portando morte e dolore nei luoghi dello svago cittadino. Così a Parigi nella sera del Bataclan, quando i bistrot della zona avevano offerto rifugio agli avventori in fuga dalla furia omicida, come a Nizza, sul lungomare in festa dell’estate scorsa (è già passato quasi un anno, era il 14 luglio 2016). Questa volta, per la prima volta, il terrore si scaglia proprio su uno dei luoghi-simbolo della gastronomia londinese. Borough è, infatti, assieme al Chelsea Market di New York e alla Boqueria di Barcellona l’esempio di come può evolvere nella contemporaneità un mercato rionale tradizionale. Oggi tuttavia, pur essendo uno dei luoghi più importanti al mondo per quanto riguarda la gastronomia, diventa noto a livello globale per ben altre motivazioni.

Cordoglio e speranza

E così a Londra gli esercenti di uno dei mercati più grandi e affollati della città – nel distretto di Southwark, giusto sotto la ferrovia del London Bridge – si uniscono contro il terrore e la diffidenza, esprimendo solidarietà alle vittime tramite i social network, ma pure ribadendo la voglia di non farsi scoraggiare: “we are all safe”, scrive la maggior parte di loro la notte stessa dell’attentato, ringraziando la prontezza di spirito degli staff al lavoro in un sabato sera affollato, e il comportamento esemplare dei clienti barricati nel mercato (ora c’è persino chi torna per saldare il conto lasciato in sospeso sabato sera). Partecipano ai “ringraziamenti” il Miller Pub e l’insegna italo-inglese Padella, l’Elliot Cafè e il Borough Wines and Beers, la taqueria El Pastor inaugurata alla fine del 2016 dal team di Barrafina (uno dei locali presi di mira, “siamo scioccati e profondamente addolorati per quanto successo; l’ammirazione e il rispetto per il nostro staff è incommensurabile, e il nostro pensiero va a tutti i vicini e le famiglie che hanno condiviso con noi quei momenti di terrore”), Fish – che condivide la scritta “take courage”: “Non vincerete, non lo permetteremo” - e Pulia, l’angolo delle specialità pugliesi all’interno del mercato, che ospita un bel mix di tradizioni gastronomiche internazionali, l’una accanto all’altra, com’è caratteristico di una grande capitale che non ha mai chiuso le porte a usanze e consuetudini di tante culture straniere che convivono pacificamente in città (dall'Italia, per esempio, ha trovato spazio Matteo Borea, di cui vi raccontavamo un anno fa). Fa eco anche Brindisa, coinvolto direttamente nell'attacco, che prega per le vittime della tragedia e auspica il ritorno alla normalità: la bottega gastronomica con cucina ispirata ai tapas bar spagnoli è in attività all'interno del mercato dal 1998 (il ristorante invece ha inaugurato nel 2004), vende in città prodotti iberici di qualità e in passato ha tenuto a battesimo lo chef Josè Pizzarro, cofondatore del brand e oggi alla guida di diversi format di ristorazione.

 

Borough Market. La storia

Da più di mille anni – la fondazione si fa risalire al 1014 – il Borough Market accompagna la storia della città. Ma è nella Londra degli anni Novanta che le prime manifestazioni orientate allo street food di qualità e ai prodotti da filiera corta restituiscono nuova spinta al mercato, che comincia a popolarsi di appassionati gourmet in arrivo da tutta la città. E presto si affacciano tra i banchi in fermento anche i turisti. Oggi si va al Borough Market per fare la spesa, assaggiare prodotti nuovi, scovare ingredienti di nicchia e scoprire sapori diversi (molti dei commercianti sono loro stessi produttori). Ma pure per mangiare, fra degustazioni guidate, eventi, street food di qualità, piccoli caffè e insegne caratteristiche.

 

Una comunità unita

Borough Market è il cuore di una comunità forte, creativa, improntata alla diversità” ribadisce il responsabile del mercato Donald Hyslop Una comunità che si supporta e unirà le forze per mostrare solidarietà davanti all’attacco spietato. Ringraziamo le forze dell’ordine e continueremo a collaborare con loro”. Ecco perché il messaggio congiunto che arriva dal mercato a lutto, ma non fiaccato nello spirito – sebbene chiuso per 24 ore dopo la tragica nottata, e ora vestito di fiori e messaggi di chi vuole partecipare al cordoglio – è importante per rompere il silenzio di una Londra tramortita, e spaventata com’è comprensibile e giusto che sia. Perché l’auspicio di tutti è che presto Stoney street, la strada affollata di pub e locali tra il mercato e il fiume, torni a essere semplicemente uno dei punti nevralgici della movida cittadina, con un bicchiere di birra in mano in una tranquilla sera d’estate.

 

a cura di Livia Montagnoli

Viewing all 5335 articles
Browse latest View live