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Il cartone della pizza anti umidità di Apple: l'idea è di un italiano

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Un contenitore per la pizza rotondo, pensato per evitare che la condensa renda troppo umido il prodotto. Il brevetto è di Apple, che sta sperimentando il packaging nella caffetteria del nuovo Apple Park di Cupertino.

Dai Mac al cartone per la pizza, passando per la shopping bag

Pensate che Apple brevetti solo iPad, Mac e iPhone? Vi sbagliate. Sette anni fa, il gigante della tecnologia ha brevettato un cartone per la pizza rotondo, che ha cominciato a sperimentare sul campo con l'apertura di Apple Park, il nuovo campus con sede a Cupertino. Segno che la Mela vuole applicare i progressi della progettazione e del design anche agli oggetti quotidiani, che esulano dal settore specifico dell’I-Tech, come già aveva fatto con la paper bag, una borsa per lo shopping fatta quasi completamente con materiali riciclati. Nel caso del contenitore in sperimentazione alla caffetteria del nuovo campus, l’obiettivo è quello di migliorare l’esperienza dei lavoratori in pausa pranzo e rendere sempre più confortevole il lavoro d’ufficio.

 

Come è fatto il nuovo contenitore

L’idea è del 2012 ed è stata dedicata alla vita di Steve Jobs - un vero amante della pizza - venuto a mancare l’anno precedente. È stato un italiano a crearla, Francesco Longoni, che adesso è a capo del team di ristorazione di Apple. “L’obiettivo” si legge nella presentazione del brevetto,“è quello di diffondere un packaging strutturalmente stabile per contenere un prodotto che viene fruito in modi molto vari, e che sia anche ecologico”. Il contenitore, infatti, non ha solo la proprietà - banale ma finora poco sperimentata - di essere della stessa forma del prodotto, ma permette all’umidità di uscire. Come? La pizza è elevata dal fondo grazie a uno strato rinforzato, e una serie di buchi sul coperchio consentono un ricircolo d’aria rigorosamente studiato per evitare sia la formazione della condensa che un eccessivo raffreddamento. “Gli anelli concentrici che formano il contenitore”, continua la presentazione, “supportano la base della pizza, fornendo uno spazio d'aria tra esso e il fondo della scatola. Le clip applicate nella parte inferiore del coperchio, inoltre, garantiscono l'integrità della parete laterale, fondamentale per evitare che il prodotto venga schiacciato durante il trasporto”.

Un oggetto che finora non ha avuto grande visibilità perché la casa madre non l’ha ancora pubblicizzato, data la sperimentazione in corso. A scoprirlo però ci ha pensato il magazine Wired, accolto all’interno dell’Apple Park per un’ “ispezione” alla nuova sede: un edificio circolare che conta quasi un milione di metri quadrati di superficie in cui il big di Cupertino ha investito quasi 5 miliardi di dollari. Chissà se a breve catene molto famose come Domino’s Pizza decideranno di mandare in pensione il tradizionale contenitore quadrato per sperimentare la nuova creatura Apple.

www.theguardian.com/technology/2017/may/16/that-one-time-apple-patented-pizza-box

 

a cura di Francesca Fiore


Apre a Chicago il Nutella Cafe. Ferrero alla conquista del mercato americano

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Dopo il successo dei corner dedicati all’interno degli store statunitensi di Eataly, Ferrero punta a consolidare la sua presenza sul mercato americano con un format indipendente, totalmente centrato sull’appeal del suo prodotto di punta: la Nutella. Il locale sarà bar e ristorante, e offrirà ai fan della crema alla nocciola spalmabile un’esperienza che va oltre la tavola. Sin dal design dello spazio, pensato come un gigantesco barattolo di Nutella.

Il mondo della Nutella. A Chicago

La Nutella è una di quelle cose che non si può fare a meno di amare. È più o meno questo il messaggio che da qualche settimana rimbalza da una testata all’altra negli Stati Uniti, specie tra la stampa locale di Chicago, che si prepara ad accogliere il primo Nutella Cafe dedicato alla crema alle nocciole più famosa nel mondo. Del resto un brand corazzato come quello che identifica il prodotto di punta della Ferrero, che in America e nel mondo vanta già diversi corner dedicati (tra i primi esperimenti quello all’interno di Eataly New York), ben si presta ad assecondare la moda degli specific place, locali monotematici che sulla vendita e l’appeal di un unico prodotto sperano di fondare il proprio successo. E il caso del Nutella Cafe, operativo dal prossimo 31 maggio, non fa che confermare la bontà della strategia. Tutti pazzi per la Nutella, dunque, che nel restaurant-bar di Chicago sarà protagonista assoluta, dal design del locale all’elaborazione di menu studiati per ogni momento della giornata. Perché del resto, si sa, in questi casi, più di ciò che arriva in tavola, il segreto per conquistare schiere di clienti adoranti che si prevede faranno a gara per entrare nel locale di MIllenium Park Plaza sta nell’enfatizzare quel fenomeno di identificazione e condivisione dell’esperienza su cui la strategia marketing di Ferrero ha sempre puntato. Ecco perché lo spazio, a vederlo da fuori, dovrebbe essere ispirato a un gigantesco barattolo di Nutella, diventato un’icona per gli amanti del genere.

Bar e ristorante. Il menu dolce e salato

Sviluppato su due piani, l’ambiente su strada avrà l’anima di una caffetteria open space, con bancone per gli ordini a portar via – per snack come gelato o crepes, waffle e crostata con mele e crema di nocciole – e tavoli informali; al piano superiore, invece, troverà spazio una dimensione più intima, con divani rossi e camini, dove fermarsi ad approfondire la conoscenza del menu, in gran parte composto, al capitolo salati, da pietanze semplici come pasta fredda e panini con lo speck. Ma i più coraggiosi potranno azzardare anche una “panzanella” rivisitata, con frutta immersa nello yogurt e generosa dose di Nutella a coprire. Bando al timore di scadere nel kitsch, in tavola come nella caratterizzazione degli spazi, tra lampadari a forma di fiore di nocciola e soffitti color cioccolato.

Ferrero sul mercato americano. Diffidate dalle imitazioni

Dal punto di vista imprenditoriale, l’operazione segna un traguardo importante per il marchio piemontese, che sulle sponde del lago Michigan tenta per la prima volta la strada della ristorazione: Ferrero curerà personalmente la gestione dell’attività, contando sul fascino di un brand di “sfondamento” come Nutella, che tre anni fa festeggiava i suoi primi 50 anni salda al comando dei prodotti Made in Italy più esportati nel mondo, presente in 100 Paesi per un fatturato annuale di 1.7 miliardi di euro. E anche l’inaugurazione - alle 10 della mattina si apriranno le porte del Nutella Bar - sarà un momento di spettacolo, con regali e sorprese per i primi 400 avventori. Così Ferrero punta a riconquistare il primato di un fenomeno che in passato ha rischiato di sfuggire al suo controllo: l’apertura di Nutella Bar, infatti, non è nuova per gli americani. Proprio nell’anno dei festeggiamenti per il 50esimo anniversario di Nutella, l’azienda di Alba ha dovuto prendere le distanze da chi cercava di sfruttarne il nome e l’appeal per conquistare il mercato di New York. Ma la Nutelleria di Brooklyn– presto ribattezzata Nuteria per non incorrere nelle procedure legali minacciate da Ferrero – non ha avuto il successo sperato, e dopo appena un anno ha chiuso i battenti. Diverso il caso di Toronto, dove dalla fine del 2015 è ancora in attività il Nutella Cafè all’interno del centro commerciale Sobeys Urban Fresh, tra bombe ripiene, waffle e cioccolate calde.

La strategia d’espansione

Ma ora in casa Ferrero i tempi sono decisamente maturi per prendere in mano le redini della questione. Appurato il successo della formula corner bar, già apprezzata anche all’interno di Eataly Chicago, solo due mesi fa Ferrero International annunciava l’acquisizione di Fannie May, celebre produttore statunitense di cioccolato (per i marchi Fannie May e Harry London), e Giovanni Ferrero, Ceo del gruppo di Alba, non mancava di rimarcare l’importanza strategica dell’operazione: “Gli Stati Uniti rappresentano un importante mercato con un grande potenziale di crescita per Ferrero e siamo entusiasti dell’opportunità di poter supportare lo sviluppo di una grande marca americana, mentre accresciamo la nostra presenza in questo mercato (dove Ferrero opera dal 1969, quando presentò le sue Tic Tac, ndr)”. E non è un caso che proprio dove un tempo sorgeva uno degli store di Fannie May – brand nato a Chicago nel 1920 – aprirà i battenti il primo (di una lunga serie?) Nutella Cafe. Appuntamento al numero 151 di Michigan Avenue.

 

a cura di Livia Montagnoli

Soave Preview report. I migliori assaggi dell'annata 2016

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Da Soave Preview assaggi e riflessioni su alcuni nodi cardine dell'enologia: dal concetto di mineralità al risultato della zonazione con il riconoscimento delle vigne storiche, all'allevamento a pergola che segna il profilo delle colline.

Si è appena conclusa l’anteprima della nuova annata del Soave, con un programma di degustazioni e seminari particolarmente interessante. L’evento, organizzato dal Consorzio di Tutela del Soave, nelle giornate del 18 e 19 maggio, ha visto la partecipazione di 62 aziende e la presenza di ben 134 etichette ai banchi d’assaggio. Quest’anno Soave Preview è stata l’occasione non solo per degustare i vini del millesimo 2016, ma anche per affrontare alcuni temi legati al territorio della denominazione, come la storia e il futuro del sistema di coltivazione a pergola, la recente creazione di una mappa dei Grandi Cru e la discussione sull’ambiguo e sfuggente concetto di “mineralità” dei vini.

 

I numeri del Soave

L’area della denominazione Soave si estende su una superficie vitata di circa 7000 ettari, suddivisi tra circa 3000 aziende di varie dimensioni, che spaziano da piccole realtà familiari a grandi gruppi e cantine sociali. La produzione annua di bottiglie si attesta sui 50 milioni, per un valore complessivo dell’intera filiera di 250 milioni di euro. Il vino Soave è consumato per un 20% in Italia, mentre 80% viene esportato all’estero. I mercati europei ne assorbono circa il 60%, con in testa Germania, Inghilterra e paesi del Nord Europa. Il restante 40% dell’export è destinato ai paesi extra europei, con una quota del 20% degli Stati Uniti.

i cru di soaveMappatura dei cru di Soave

 

I cru di Soave

Seguendo la tendenza di altre denominazioni italiane, con la recente modifica del disciplinare, anche Soave ha introdotto una classificazione dei migliori cru del territorio.È il frutto finale di un lungo lavoro di zonazione, che ha impegnato il Consorzio per quasi 20 anni. Un passo importante per riconoscere e dare valore alle parcelle storicamente più vocate della denominazione e per mettere in luce le differenze tra i vini provenienti da diverse zone. I cru di Soave corrispondono ad aree coltivate con vigne storiche, che presentano caratteristiche assolutamente peculiari per microclima, esposizione, altitudine, composizione e origine geologica dei terreni. L’introduzione nel disciplinare delle menzioni geografiche aggiuntive, così sono chiamati i cru nel nostro linguaggio burocratico, è stata anche l’occasione per degustare 12 vini provenienti da alcuni dei Grandi Cru più famosi e per assaporare nel bicchiere le differenze tra le varie zone del territorio del Soave.

 

La pergola tra passato e futuro

Basta uno sguardo alle splendide colline di Soave per notare che ci si trova di fronte a un paesaggio vitato dalle caratteristiche particolari, segnato in modo evidente dalla presenza di vigne coltivate con il metodo tradizionale della pergola. Proprio di quest’antico modo di coltivare la vite si è parlato a Soave Preview. In Italia l’allevamento della vite a pergola rappresenta solo il 10%, ma a Soave quasi l’85% dei vigneti continua a essere condotto con questo sistema. Una peculiarità che ha sicuramente ragioni storiche, ma non solo. L’origine della pergola affonda le sue radici nell’antichità, quando la vite era allevata in simbiosi con alberi o tutori, che ne consentivano un ampio sviluppo, non solo verticale, ma anche parallelo al terreno. L’intervento del professor Attilio Scienza, dell’Università di Milano, ha sottolineato gli aspetti legati alla genesi storica della pergola, come sviluppo della vite maritata alle piante.

Tuttavia, la sopravvivenza della pergola all’avanzata della moderna viticoltura a spalliera, non è dovuta solo alla tradizione. La dottoressa Federica Gaiotti ha evidenziato alcuni vantaggi della pergola rispetto al guyot, soprattutto in relazione ai cambiamenti climatici degli ultimi decenni. L’aumento delle temperature medie e soprattutto la presenza di frequenti picchi termici duranti i mesi estivi, sembrano giocare a favore della vecchia pergola. Le situazioni climatiche estreme sono causa di stress intensi per la pianta e portano a maturazioni sempre più rapide, accelerando il ciclo fenolico della garganega di un paio di settimane rispetto a 30 anni fa. Un cambiamento che può avere come conseguenza una degradazione rapida degli acidi e una presenza elevata di zuccheri, con produzione di uve poco bilanciate. I vigneti a guyot sembrano accentuare queste tendenze, anche con frequenti bruciature delle foglie, della buccia degli acini e con il rischio di una surmaturazione dei grappoli. La forma d’allevamento a pergola, invece, può contribuire a mitigare gli effetti del cambiamento climatico, garantendo una buona copertura dall’irraggiamento solare, con temperature delle uve più basse di 3-4 °C rispetto al guyot. A parità di grado d’acidità, le uve provenienti da vigneti a pergola contengono meno zuccheri, hanno profili aromatici più complessi e regalano vini freschi ed eleganti. Tutte buone ragioni per continuare a preservare la tradizione della pergola, che oltre a fornire vini di alta qualità, contribuisce a conservare intatta l’identità storica e paesaggistica del territorio di Soave.

 

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La mineralità, questa scononosciuta

Il termine mineralità è tra più usati e abusati nel mondo della comunicazione del vino. Il seminario, provocatoriamente intitolato Does minerality exist?, condotto da Alessandro Brizi con l’enologo Salvo Foti e John Szabo, autore del libro Volcanic Wine, ha cercato di fare chiarezza su un concetto spesso sfuggente. L’utilizzo della parola mineralità è recente. È stata introdotta nell’area anglosassone negli anni ’80 e ’90. Il suo successo è stato però immediato, perché poteva essere usata per descrivere una serie di sensazioni che non rientravano nei marcatori dei profumi e degli aromi classici.

È difficile però dare una definizione univoca di un termine così generico. Con l’aiuto di una degustazione di 12 etichette provenienti da territori vulcanici di tutto il mondo, si è tentato di identificare una serie di elementi caratteristici che si possono riassumere in una sensazione al palato di viva freschezza, unita a un gusto decisamente sapido, a volte accompagnato da sentori di pietra focaia o idrocarburo. Si tratta sostanzialmente di caratteristiche che si ritrovano generalmente in vini prodotti da vigne coltivate su suoli vulcanici o comunque molto ricchi di sostanze minerali, con vitigni ricchi di norisoprenoidi e caratterizzati da ph tali da trasmettere sensazioni di vibrante acidità. Altro elemento che potrebbe avere una certa influenza sulla presunta mineralità è l’età avanzata delle vigne, che grazie a un apparato radicale particolarmente sviluppato e profondo, sono in grado di raccogliere i sali minerali dal terreno e di trasferirli poi al frutto. Resta comunque difficile dare una definizione precisa a una sensazione, ma se la mineralità esiste, certamente i vini provenienti da territori vulcanici sono tra i più adatti a trasmettere al palato questa particolare percezione gustativa.

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L’annata 2016, migliori assaggi

L’annata 2016 arrivava dopo due millesimi opposti ed estremi. A un 2014 caratterizzato da vini sottili, di grande finezza ed eleganza, freschi e verticali, ha fatto seguito un millesimo come il 2015, contrassegnato da una ricchezza quasi opulenta, con vini maturi, fin troppo densi di frutto e non sempre ben bilanciati sulle acidità. L’annata 2016 è cominciata con un inverno non particolarmente freddo e un buon inizio di primavera, che ha favorito un avvio ottimale della fase vegetativa e del germogliamento. A un giugno piovoso e problematico da un punto di vista fitosanitario, ha fatto seguito un’estate dal clima regolare, con buone escursioni termiche fino a tutto settembre, che hanno contribuito a una maturazione graduale e ottimale della garganega.

L’andamento climatico classico ed equilibrato dell’annata ha trovato perfetta corrispondenza nei vini, la degustazione di una settantina di etichette del 2016 ha confermato la bontà del millesimo. In generale i vini sono caratterizzati da profili olfattivi eleganti e intensi, bella struttura, con frutto sempre ben bilanciato da una vivace acidità, che rende il sorso piacevolmente dinamico. Vini di grande equilibrio, che seppur giovani, denotano già un bel potenziale d’evoluzione. Tra gli assaggi che ci hanno particolarmente convinto, segnaliamo le seguenti etichette:

 

Soave Classico Doc “Ca’ Visco” - Coffele

Soave Classico Doc Monte di Fice - I Stefanini

Soave Doc - Tamellini

Soave Classico Doc - Gini

Soave Doc - Suavia

Soave Classico Doc Monte de Toni - I Stefanini

Soave Classico Doc “Castelcerino” - Coffele

Soave Classico Doc - Balestri Valda

Soave Classico Doc “La Capelina” - Franchetto

Soave Doc Classico San Michele – Ca’ Rugate

 

 

 

a cura di Alessio Turazza

 

Positano – Stati Uniti e ritorno. Le Sirenuse raddoppia a Miami

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Dalla Costiera Amalfitana a Miami, il leggendario Le Sirenuse ha portato un po' del fascino di Positano in Florida. E anche un po' della sua cucina. Ecco come ci è riuscito.

Nel ’53 Le Sirenuse sbarca in America in un racconto di John Steinbeck in viaggio a Positano. Lo scrittore si era deciso al viaggio su suggerimento di Alberto Moravia “Perché non andate a Positano, sulla costa amalfitana? disse; è uno dei più bei posti d’Italia”. Steinbeck ne rimane stregato. “Andammo alle Sirenuse, una vecchia casa padronale trasformata in albergo di prim’ordine, immacolato e fresco, con una pergola sopra i tavoli all’aperto. Ogni stanza ha il suo piccolo balcone e spazia sul mare azzurro fino alle isole delle Sirene, dove quelle signore cantavano cosi dolcemente. Il proprietario dell’Hotel Sirenuse è un nobile italiano, il marchese Paolo Sersale, che è il sindaco di Positano: un bell’uomo sulla cinquantina, che veste come un pescatore e ha un monte di daffare come sindaco. La storia della sua nomina è divertente, archeologo, filosofo e sindaco, comunista per scelta, tra elettori monarchici”.

le sirenuse positano

Le Sirenuse Positano

 

Oggi quel racconto di sessanta anni fa suona come una promessa: portare Le Sirenuse in America. Antonio Sersale, ci pensava da tanto, il suo sogno si è appena realizzato.

A Miami, nel bel mezzo del nuovo distretto extralusso The Surf Club di Four Seasons, a firma Richard Meier & Partners, ha incastonato una gemma, stesso nome stessa identità. Insomma, Le Sirenuse Restaurant ora è anche oltreoceano. Prende posto negli spazi di sala da ballo e loggia del vecchio club anni ’30, avamposto di architettura coloniale riportato a nuova vita.

Sirenuse appartiene alla collezione Leading Hotels of the World, gruppo fondato nel 1928, che raccoglie hotel di lusso autentici, fuori dal comune, speciali per il modo in cui rappresentano cultura e stile di vita dei luoghi in cui nascono.

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Una bella sfida provare a trasferire tra i grattacieli di Miami un’icona di stile che appartiene alla Costiera Amalfitana. Ulisse salpa l’oceano sedotto dal canto delle sirene?

All’inizio mi davano del matto, mi dicevano che vedevo Le Sirenuse in ogni angolo del mondo. Nei miei progetti c’era Miami. Ero attratto dal contrasto tra due luoghi così diversi: la costa frastagliata di Amalfi, le strade tortuose con i panorami mozzafiato a ogni curva e la linea piatta delle spiagge infinite di Miami, frastagliata sì, ma dai grattacieli. Ero pronto a salpare.

 

Tovaglie di lino da lavare e stirare ogni giorno, posateria d’argento da lucidare, ogni giorno, e i delicatissimi bicchieri d’arte di Carlo Moretti in cristallo di Murano soffiato a bocca. A Positano accesso bandito all’illuminazione artificiale, il ristorante è illuminato da 450 candele, da accendere (e spegnere) ogni sera. Come si fa a coinvolgere gli americani nelle nostre tradizioni più antiche?

Ero pronto alla negoziazione più strenua, ho lottato, pianto e urlato per proteggere un progetto in cui credevo. In Italia la trattoria più sperduta non aprirebbe senza prima apparecchiare i tavoli con le tovaglie. Il giorno in cui abbiamo alzato la bandierina del Sirenuse al Surf Club ho capito che ne era valsa la pena.

 

Le Sirenute - Gennaro Russo. Foto di Roberto Salomone

 

Come è stata l'accoglienza in America?

Quando hanno cominciato a chiedermi dove mai si trovasse “Le Sirenuse” ho realizzato che era venuto il momento di dar conto di tutto quanto avevo portato qui, ma come fai a spiegare Positano a parole? La sua gente, la bellezza di svegliarti con quella luce, su quel panorama? Eppure era questa la sfida: ispirare le persone per farle avvicinare a quel mondo, che è uno stile di vita. Sarà dura riuscire a far pronunciare correttamente Le Sirenuse, ma capisco anche che chi non è stato a Positano può non vedere la ragione per cui pronunciarlo con accento italiano.

 

A Positano chef Gennaro Russo è ormai il piccolo grande saggio de Le Sirenuse. Curriculum pluristellato a Parigi da Lasserre e L’Ambroisie. Gavetta da Don Alfonso e poi al fianco di Massimo Bottura all’Osteria Francescana di Modena, prima di tornare a La Sponda come titolare. Com’è andata la sfida ai fornelli a Miami?

Sapevamo bene cosa volevamo, il punto era riuscire a replicarlo a Miami con gli stessi standard, in forma autentica, non in copia. A Positano Gennaro Russo ha riconfermato la Stella Michelin presa in consegna da Matteo Temperini. Con lui c’è un’intesa perfetta, fatta di rigore, disciplina e conoscenza profonda della tradizione, elementi imprescindibili per esprimere creatività in questo settore. Personalmente sono spesso in cucina, e spesso Gennaro vuole il parere mio e di mia moglie Carla, sulle novità allo studio, come è capitato ieri, con le alici costierane farcite al pane, guazzetto, e rete di aglio nero.

 

le sirenute miamiLe Sirenute Miami

 

E in Florida?

Per Miami cercavo la stessa sintonia creativa, ho realizzato di averla trovata quando ho assaggiato il primo piatto di spaghetti al pomodoro di chef Antonio Marmolia. La cucina non era ancora completata, in giro operai che urlavano e le prove antincendio in corso, insomma non di certo un buon momento per concentrarsi sulle emozioni del palato. È stato invece in quel preciso istante che un’esplosione di sapore ha prevalso su tutto e ho capito che Positano e Miami, due luoghi così diversi e lontani, avrebbero preso posto uno accanto all’altro, nel mio cuore.

 

Le Sirenute Miami antonio mermoliaLe Sirenute Miami Antonio Mermolia

 

Quale è la relazione tra i due posti?

I due chef restano indipendenti ma sempre in collaborazione. Quando occorre, Gennaro viaggia con Antonio Sersale a Miami per testare nuovi menu insieme a chef Mermolia. Sirenuse Miami si genera per talea da Positano e prende vita propria esportando il mediterraneo al sole della Florida. Insieme ai sapori in cucina lo stile Sirenuse approda oltreoceano e un po’ di tropico arriva anche in Costiera Amalfitana.

 

Sirenuse Positano | Positano (SA) | Via Cristoforo Colombo, 30| tel. 089 875066http://sirenuse.it/it

Sirenuse Le Sirenuse At The Surf Club | USA | Miami Surfside, FL 9011 Collins Avenue | tel. +1 (786) 482-2280http://sirenusemiami.com/en

LHW Leading Hotel of the World http://it.lhw.com/

 

a cura di Emilia Antonia De Vivo

 

Paolo Cuccia al 4PRIMA Stakeholder Forum. Si parla di innovazione e sostenibilità nell'agroalimentare

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Va in scena all'Università di Siena la giornata di incontri dedicati alla piccola e media impresa italiana e dell'area mediterranea sensibile alle soluzioni sostenibili della ricerca in ambito agroalimentare. E interviene anche Paolo Cuccia, portando l'esperienza e l'impegno del Gambero Rosso, come realtà di riferimento del settore agroalimentare. 

Per un agroalimentare sostenibile nel Mediterraneo

Il 22 maggio, a Siena, si incontrano i principali attori industriali del panorama italiano e internazionale per rispondere alle sollecitazioni della ricerca e dell'innovazione euro-mediterranea sui temi alimentari e idrici. L'occasione è il 4PRIMA Stakeholder Forum (l'acronimo PRIMA indica in inglese la collaborazione per la ricerca e l'innovazione nell'area mediterranea), che l'Università degli Studi di Siena organizza ogni anno per rafforzare il legame tra ricerca, innovazione e know how industriale, con particolare attenzione alle imprese mediterranee del settore agroalimentare. E infatti il forum poggia le basi sulla collaborazione con SDSN, la rete di soluzioni per lo sviluppo sostenibile, con l'intento di fornire le linee guida per una distribuzione e approvvigionamento razionale delle risorse alimentari e idriche che possono contribuire a migliorare il benessere delle comunità, agire positivamente sullo sviluppo economico di un territorio, implementare la competitività aziendale. Condizioni essenziali, si legge nella mission del progetto, per il progresso sostenibile delle società del Mediterraneo. E infatti l'appuntamento senese, con il patrocinio della Regione Toscana, sarà solo il primo stimolo in vista della partecipazione delle aziende coinvolte ai progetti che saranno lanciati nel 2018. All'incontro, che per tutta la giornata si articolerà presso il Santa Chiara Lab, partecipano quindi i rappresentanti delle piccole e medie imprese del settore agroalimentare, giovani ricercatori e associazioni di categoria, consumatori e istituzioni politiche e finanziarie.

Il forum. E la tavola rotonda con Paolo Cuccia

E il programma dei lavori affronta temi che spaziano dall'agricoltura di precisione all'acquaponica, all'innovazione dei processi produttivi in ambito alimentare. A conclusione anche la presentazione dei cortometraggi finalisti al Visionaria International Short Film Festival, indirizzato a premiare le pellicole che trattano il tema della sostenibilità alimentare e idrica. Ma prima, dalle 16.30, la tavola rotonda con i rappresentanti del PRIMA Stakeholder Board, che vedrà la partecipazione di Paolo Cuccia, in qualità di presidente del Gambero Rosso, realtà di riferimento nel settore agroalimentare, a livello nazionale e internazionale. Non a caso, Gambero Rosso aderisce al Board di controllo per favorire il dialogo tra ricerca e aziende di settore, così da sollecitare lo sviluppo dei progetti del PRIMA, garantendone la diffusione sul territorio nazionale. Tema della tavola rotonda – che vedrà partecipare ancheMaria Cristina di Domiziodella Federazione Italiana dell'Industria Alimentare, Sara Guerrini, El Sharkawi, Bugrahan Akcay, Josè Santos, Amr Helal, Carlos Lopes de Sousa, ognuno in rappresentanza dei Paesi del Mediterraneo coinvolti, con la moderazione di Angelo Riccaboni, chair di PRIMA – sarà il dialogo tra piccola e media impresa e mondo accademico, con particolare attenzone sui fattori utili ad agevolare la partecipazione delle aziende alle iniziative del programma PRIMA, a supporto dell'introduzione di innovazioni sostenibili nel settore.

 

www.prima4med.org

Nuove aperture a Milano. Il Vietnam di tendenza di Saigon, i cocktail di Ideal e un salto nella Toscana di ToscaNino

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Sempre movimentata la scena gastronomica milanese, che continua a battezzare nuove formule di pizzeria – l'ultima è la pizza biscottata gourmet – e intanto alimenta l'intrattenimento delle serate in città. A ognuno la scelta più congeniale: la cucina etnica di Saigon o la miscelazione di qualità di Ideal? 

Ancora pizza gourmet. Biscottata

Mentre la prima, attesissima, apertura della catena anglo-orientale Wagamama, sposta i riflettori su Bergamo e lo scalo di Orio al Serio (ma presto, fanno sapere dalla Percassi, sarà individuato anche lo spazio giusto per inaugurare a Milano), anche il capoluogo lombardo non si fa mancare qualche allettante novità per movimentare la già congestionata – al tempo stabilire chi resisterà - ristorazione cittadina. E se è vero che la pizza ha giocato un ruolo da leone per tutta l'ultima annata – tra le new entry ormai acquisite l'esperimento dedicato all'olio di Gino Sorbillo, con Olio a Crudo, e la pizza con abbinamento miscelato di Garage in corso Sempione, ma pure il raddoppio di Dry in viale Vittorio Veneto, modello indiscusso del format pizza e cocktail – su farine e lievitazioni c'è ancora tanta voglia di scommettere. Anche in versione “pizza biscottata”, un brevetto di Carlo Samuelli che da qualche settimana dispone di uno spazio tutto suo in via Pisacane, zona Porta Venezia, con il laboratorio gastronomico della Pizza Biscottata Gourmet. Insomma, ancora una volta Milano si conferma piazza privilegiata per chi ha voglia di sperimentare su un prodotto altrove imbrigliato nei canoni di tradizioni radicate, e vincolanti. E invece, in sei varianti, il locale di chef Samuelli propone pizze biscottate da lunga lievitazione divise in quattro spicchi e condite a guisa di pizza gourmet, con ingredienti aggiunti fuori cottura. E prima della pizza l'amouse bouche del giorno, variazioni sul tema con la pasta lievitata. Si mangia al tavolo (anche nel dehors su strada), o al banco, in uno spazio che non evoca l'immaginario di una pizzeria tradizionale (e del resto non è questo l'obiettivo), ma è comunque rilassato e informale. Da bere birre artigianali, carta dei vini, bollicine italiane.

 

Saigon. Cucina vietnamita, di tendenza

Ma oltre alla pizza c'è di più, mutuando un celebre ritornello di inizio anni Novanta. Come il chiacchieratissimo Saigon, ristorante vietnamita in attività da una settimana appena solo per gli addetti ai lavori, e già sotto i riflettori. La proposta, lo dichiara l'insegna, si orienta sui piatti tradizionali del Sud Est asiatico, intercettando una tendenza trasversale per riversarla in un ristorante con bar in stile coloniale decisamente pensato per diventare ritrovo alla moda delle serate meneghine. A scommetterci è Luca Guelfi, già proprietario del messicano Canteen (ma pure del discusso Ricci, il ristorante di Belen, per intenderci), che in via Archimede ci riprova con zuppe di Pho e noodle, che gli appassionati di cucina orientale potranno sperimentare a partire dal 6 giugno, primo giorno di apertura al pubblico. In sala piante tropicali e grandi tele di artisti asiatici alle pareti, con complementi d'arredo che strizzano l'occhio allo stile coloniale francese della prima metà del Novecento, con tanto di ventilatori a soffitto d'epoca importati dall'India, luci soffuse e tappezzerie importanti alle pareti. Dal menu una serie di suggestioni più o meno attinenti all'originale, come la Pho Bo con noodle in brodo di carne, i ravioli di tapioca con gambero rosso, la tartare di manzo in stile Saigon, l'insalata di anatra laccata. Da accompagnare con cocktail della casa, anche questi d'ispirazione orientale. Per una spesa media intorno ai 60 euro e apertura fino a tarda notte, con djset dalle 22.30 (mentre la cucina è aperta fino a mezzanotte).

 

Ideal. La tripletta di The Botanical Club

Di miscelazione di qualità, invece, si parla da un paio di giorni in via Salutati, dove la squadra di The Botanical Club ha appena inaugurato il suo terzo locale in città: Ideal. Un nuovo progetto per Alessandro Longhin e Davide Martelli, che negli ultimi due anni si sono imposti come punto di riferimento per gli amanti del gin (che distillano nel primo locale di Isola, con l'etichetta Spleen et Ideal). Un piccolo spazio, con la grande bottigliera che recupera una libreria ottocentesca, luci soffuse, atmosfera intima e preziosa - "sofisticato, ma inclusivo" lo definisce Alessandro -  che si discosta dunque dalle aperture precedenti, sin dalla strategia di posizionamento geografico, non più nella movida di Isola o Tortona, ma in zona Vercelli, quartiere residenziale della città: "L'abbiamo pensato come il luogo ideale dove bere in tranquillità, magari per un appuntamento di lavoro, senza necessariamente doversi rifugiare nel bar di un hotel, che ha un'impostazione più classica. A noi piace mantenere la nostra attitudine ricercata, con una nota un po' punk". Un posticino nascosto, dunque, ma no respingente. La dimensione è quella giusta per sorseggiare un drink al banco (20 persone al massimo, tra sgabelli e qualche tavolino): oltre al gin della casa e alla lista dei cocktail creativi, anche una carta di 12 Martini, che si rinnoverà di continuo per creare una sorta di Bibbia del Martini, raccontato a partire dal rapporto percentuale tra gin e vermouth, "perché a Milano manca un posto dove si beve gin da religiosi". Niente cucina, "per tutelare al massimo il lavoro del cocktail bar", ma snack generosi per accompagnare i drink, dai pomodorini secchi alle chips di verdure essiccate. Dalle 19 alle 2. Mentre il duo del gin si riserva di regalare presto altre sorprese.

Ma dal 24 maggio (opening ufficiale dalle 18) gli amanti della miscelazione troveranno rifugio anche in zona Porta Romana, al The Spirit Unique and Magic Cocktail Bar, che nasce dalla collaborazione tra Fabio Bacchi – nome di riferimento del bartending milanese, già capo barman dell'Hotel Principe di Savoia di Milano - e Carlo Simbula. Nel piccolo locale in stile Liberty di via Piacenza, tra specchi e giochi di luce, si mixeranno distillati rari e cocktail inediti.  

 

ToscaNino. Vetrina toscana a Milano

Mentre tornati in zona Porta Venezia, è attesa a brevissimo l'inaugurazione di ToscaNino, format nato con il patrocinio del Comune di Firenze e della Regione Toscana per lanciare i prodotti dell'eccellenza regionale nelle principali capitali del mondo (otto le mete individuate, oltre a Milano anche Londra, Amsterdam, Barcellona, Berlino, Bordeaux, Bruxelles e Dubai). Una vetrina per prodotti e produttori toscani (350 da 120 realtà, oggettistica compresa; dietro c'è lo scouting della Galateo Ricevimenti di Simone Arnetoli) che a Milano ha già preso forma in via Lambro, dove si potrà sperimentare la formula cucina e bottega, anche per un pranzo take away. E con apertura dalla colazione al dopocena, compresa una proposta di cocktail a peritivi con distillati toscani.

 

La Pizza Biscottata Gourmet | Milano | via Pisacane, 55-57 | tel. 02 29519815

Saigon | Milano | via Archimede, 53 | tel. 02 70101966 | dal 6 giugno

Ideal | Milano | via Coluccio Salutati, 17 | dalle 19 alle 2 | chiuso il lunedì

The Spirit | Milano | via Piacenza, 15 | tel. 02 84570635 | www.thespirit.it 

ToscaNino | Milano | via Lambro, 7 | prossima apertura | www.toscanino.com

 

a cura di Livia Montagnoli

Oli d'Italia 2017. Olivicoltore dell'anno: Frantoio Franci di Castel del Piano

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Un'azienda nata alla fine degli anni '50 che si è sviluppata nel tempo diventando un punto di riferimento per tutti i produttori appassionati. La storia di Frantoio Franci, del suo percorso nel settore olivicolo, e i suoi nuovi progetti.

Tutto ha inizio con un fienile nel comune di Castel del Piano, in provincia di Grosseto. Due fratelli con la passione per la campagna e un pallino per l'olio buono. Una piccola azienda agricola che oggi rappresenta una delle più importanti realtà olivicole della Penisola. Le etichette di Frantoio Franci sono da anni riconosciute dalla nostra guida Oli d’Italia come alcune fra le migliori del panorama nazionale, e nell'edizione 2017 sono valse all'azienda e al suo team il titolo di Olivicoltore dell'anno.

Le origini

Nel '58 mio padre, Fernando, insieme a mio zio, Franco, decisero di acquistare un fienile e un piccolo uliveto”, racconta Giorgio Franci, attuale proprietario. “Col tempo, il fienile è stato trasformato in un frantoio e si è iniziato a lavorare per conto terzi”. Una piccola produzione con poche ambizioni, questo almeno fino al '95. “Stavo studiando architettura a Firenze quando, per motivi familiari, sono dovuto tornare a casa ad aiutare in frantoio per qualche mese”. Un periodo di tempo breve, una piccola collaborazione che si è trasformata poi nella passione di una vita. “Dopo i primi giorni ho iniziato a vedere l'attività con occhio critico e mi sono chiesto: perché non cominciamo a confezionare olio creando un mercato nostro?”. Niente da fare, ci hanno già provato ed è andata male”, è stata la risposta della famiglia. Ma il giovane Giorgio ormai aveva le idee chiare, un obiettivo preciso e una scintilla di entusiasmo crescente verso questo mondo. Così, un anno dopo viene presentata al Vinitaly la prima etichetta a marchio Franci: “Dopo aver saputo il prezzo – 15mila lire per una bottiglia da mezzo litro e 20mila per una da 750ml – il primo cliente mi disse che a quelle cifre non sarei mai riuscite a vendere olio”. Ma alla fine si convinse e lo acquistò, “forse solo per gentilezza”. O forse no. “Ancora oggi è uno dei nostri clienti più affezionati”. Dopo le prime esperienze, per il giovane olivicoltore l'extravergine diventa la priorità principale: “Mi ha preso sempre più la mano, al punto che credo di non essermi mai preso un giorno di ferie da più di 10 anni a questa parte”. L'interesse si trasforma in passione, la passione in amore e l'amore in rispetto, per la natura e i suoi frutti: “Mi sono lanciato a capofitto in questa avventura, un po' per caso, un po' per fortuna. Il mio obiettivo è quello di realizzare oli buoni”.

Le prime etichette e i concorsi

In principio fu il Villa Magra, “un olio molto intenso, forse troppo”, un blend di frantoio, moraiolo e leccino.

 

Villa Magra

Qualche anno dopo l'azienda inizia a produrre un fruttato leggero a base di olivastra seggianese “con cui abbiamo cominciato a partecipare ai concorsi”. Arrivando secondi al premio di Legambiente e ricevendo una gran menzione per il Leone d'oro. Era il '97 e le competizioni olearie erano ancora lontane dall'acquisire il ruolo rilevante che hanno oggi. Ma per i più lungimiranti, queste rappresentavano un'occasione unica di confronto e crescita, specialmente in un tempo in cui la comunicazione sull'extravergine era molto limitata. “I concorsi per me sono stati fondamentali”. L'anno dopo, nel '98, ci riprova con il Leone d'oro, classificandosi secondo: “Uno dei giudici mi prese da parte e mi fece i complimenti. Per me fu uno stimolo per migliorare ancora”. E vincere l'anno seguente con Le Trebbiane, un blend di frantoio, moraiolo, leccino e olivastra seggianese. Un premio che riecheggia in tutto il territorio: “La stampa locale pubblicò diversi articoli al riguardo e così, gradualmente, il nostro lavoro - ma più in generale il settore olivicolo - iniziava a far parlare di sé”. Con grandi difficoltà e tempi molto lunghi, almeno fino al 2005. “Dai primi anni 2000 lo scenario è cambiato: i clienti cominciavano a venirci a cercare e questo accresceva la passione ma anche la pressione durante la stagione produttiva”.

La crescita e gli altri prodotti

A quelle prime etichette se ne sono aggiunte altre poco dopo. “Cerchiamo di avere una selezione ampia, in grado di soddisfare chiunque, dall'esperto che ricerca un olio elegante e sofisticato alla signora Maria che ha bisogno di un olio meno complesso e più versatile da utilizzare tutti i giorni in cucina”. Una linea base, dunque, che comprende un Igp Toscano, un Igp Toscano biologico e altre tre blend, le selezioni, con il Villa Magra, Le Trebbiane, l'Olivastra Seggianese e il Delicate, blend di frantoio, moraiolo e leccino. E infine i cru: il Villa Magra Gran Cru, monocultivar di frantoio, il Moraiolo e il Rose Grand Cru.

 

Franci, selezione

Una produzione ampia, realizzata con circa 15mila piante che si estendono per 65 ettari di terreno, “a cui se ne aggiungeranno presto altri 10, prevalentemente di varietà frantoio”. Per un totale di circa 1200/1300 quintali di olio prodotti durante l'ultima campagna olearia.

L'olivastra seggianese

La più rappresentativa delle cultivar è l'olivastra seggianese, “molto complessa e difficile da gestire”. Ma perché? “Somiglia molto a un ulivo selvatico. Ha una vigoria maggiore ma inizia a produrre più tardi. Bisogna attendere oltre 10 anni prima che la pianta dia i suoi frutti”. Inoltre, è una pianta “permalosa, come dicono gli agricoltori più anziani del luogo”, perché va potata ogni 3-4 anni circa. Quando viene effettuata, inoltre, la potatura deve essere “più drastica”, a partire dai polloni (rami che si sviluppano sul tronco o ai piedi della pianta) dopo il periodo di allegagione (passaggio da fiore a frutto). I frutti vanno raccolti quando ancora verdi o a inizio invaiatura, “solitamente fra l'ultima decade di ottobre e la prima di novembre”. Il prodotto che si ottiene è “molto stabile, al punto che spesso un olio dell'anno passato viene scambiato per uno della campagna in corso”. Perché riesce a durare più a lungo nel tempo conservando – se pur in forma più lieve – aromi e profumi. Questo discorso, naturalmente, vale solo per poche etichette e di qualità ed esclusivamente a patto che la bottiglia sia stata conservata in maniera adeguata, ovvero lontano da fonti di luce, calore e ossigeno, con il tappo sempre ben avvitato e in un luogo fresco e asciutto.

Professione olivicoltore

Ma qual è il primo passo per avere delle piante sane e vigorose? “La primavera è un periodo molto delicato per gli ulivi; è adesso che vanno prese le decisioni più importanti”. Un esempio? “Lo scorso anno le piante avevano una grande vigoria, le foglie erano strutturate bene e avevamo avuto un inverno molto piovoso”. Gli ulivi, quindi, si stavano preparando alla fioritura, “che prometteva molto bene” e così Giorgio ha scelto di non intervenire con la potatura e procedere con la sola concimazione, “abbiamo voluto lasciar fare alla pianta il proprio corso, senza effettuare tagli”. Perché non sempre, in natura, si possono fare delle scelte calcolate, “alle volte bisogna saper osservare il terreno, ascoltarlo e comprendere”.

 

campo

Quest'anno invece, dopo la raccolta abbondante della scorsa campagna, c'è stato un inverno con poche piogge che ha comportato una scarsa riserva idrica alle piante. “Abbiamo deciso di effettuare una potatura più spinta per alleggerire gli alberi”, tutti tranne l'olivastra seggianese, “alla quale abbiamo lasciato una chioma abbondante, tagliando solo i polloni e gli elementi assurgenti che gli vanno a togliere energia. Speriamo che la pioggia arrivi presto. Confidiamo nei nostri alberi”.

 

Olive

Tutte le lavorazioni meccaniche, dalla concimazione alla trinciatura delle potature vengono svolte da Giorgio e il suo team, composto da circa 15 persone, mentre la parte della potatura – manuale - a tutti gli effetti è in mano a una squadra specializzata che lavora da tempo sul territorio. “Non riusciremmo a gestire tutti i terreni da soli. L'olio è un lavoro di squadra che richiede l'impegno di tante persone”. Prima e durante la raccolta, anche questa manuale con l'aiuto di piccoli agevolatori.

Il frantoio e l'importanza dell'esperienza

Una volta raccolte, le olive passano in frantoio. La macchina di Franci è una Pieralisi che lavora con 30 quintali di drupe l'ora. “L'impianto è molto flessibile e possiamo regolare le varie fasi di lavorazione a seconda delle necessità”. Ovvero?“Un bravo frantoiano è quello che ha esperienza. Solo il tempo può insegnare a gestire i macchinari e utilizzarli al meglio a seconda delle condizioni del frutto e del prodotto che si vuole ottenere”. Il frantoio lavora a due o tre fasi, “due nel caso dell'olivastra seggianese” che passa circa 30 minuti in gramola a una temperatura, “parametro fondamentale”, che si aggira attorno ai 26-27°C. Sono tante le accortezze che bisogna avere in questa fase: “È davvero difficile definire dei parametri standard e delle regole fisse. Quando si tratta di prodotti della natura, tutto è variabile”. Variabile sì, ma anche controllabile se si ha “un buon occhio per le olive”, dato, ancora una volta, dall'esperienza:“Basta uno sguardo per capire dove e come intervenire”.

 

Frantoio

Oltre ai tempi di gramolazione, variano anche quelli di frangitura e non solo: “Cambia la pezzatura della pasta delle olive, il settaggio del frangitore, la velocità di lavorazione”. Quest'ultima, per esempio, va modificata a seconda del grado di maturazione delle drupe, del loro livello di idratazione e del carico della pianta. E ogni fase è fondamentale: “È vero che il momento della frangitura è determinante per la formazione di aromi e profumi, ma è altrettanto vero che la gramolazione e tutto ciò che avviene dopo contribuisce a concludere l'intero processo”.

La vendita e la comunicazione

Un prodotto d'eccellenza, per essere apprezzato, deve essere comunicato al meglio. E l'olio non fa eccezione. “È importante far passare il concetto che l'extravergine è un elemento basilare per la nostra dieta e la cucina”. Un messaggio che, paradossalmente, arriva in maniera più immediata all'estero che in Italia. “Vendiamo un po' ovunque, in particolare in Giappone, Cina, Corea, Norvegia, Svezia e gran parte del Nord Europa”. E nel Belpaese? “Fortunatamente, l'attenzione dei consumatori italiani sta crescendo, grazie soprattutto alle guide specializzate, l'editoria di settore e tutti i corsi di assaggio”. E non solo: “Anche i commercianti ricoprono un ruolo importante perché fanno da tramite fra produttore e consumatore”. Per questo gli oli di Franci sono disponibili presso diverse oleoteche e negozi specializzati, gli store di Eataly, La Rinascente e anche in qualche supermercato: “La gdo non va esclusa. I consumatori medi fanno la spesa al supermercato, dove deve essere possibile acquistare anche un prodotto buono”. Passo fondamentale per comunicare in maniera semplice e diretta è poi l'assaggio, “nel punto vendita aziendale mostriamo sempre ai clienti come degustare l'olio”.

L'olio nella ristorazione

Un altro modo per arrivare ai consumatori è quello di entrare nel settore della ristorazione, che però fatica ancora a comprendere il ruolo dell'extravergine a tavola. “Mi capita spesso di andare in ottimi locali dove servono materie prime eccellenti, condite poi con oli di pessima qualità”. Nonostante le difficoltà, l'olio buono sta gradualmente iniziando a destare l'attenzione degli chef. “Vendiamo a diversi ristoranti, in Toscana e anche in altre regioni e paesi, molti locali gourmet ma anche trattorie tradizionali. Quello che conta è che seguano la nostra stessa filosofia incentrata sulla ricerca”.

Gli abbinamenti

Parlando di olio nei ristoranti, non si può trascendere dal tema dell'abbinamento. “Tempo fa abbiamo organizzato una degustazione di diversi monocultivar di frantoio”, stessa varietà declinata in modi diversi,“e ognuno di questi aveva caratteristiche specifiche che si prestavano a piatti differenti”. Per cui il tipo di cultivar conta ma non è l'unico parametro da tenere in considerazione: “Bisogna ricordarsi sempre che non si sta abbinando una varietà ma una bottiglia, un olio di un particolare produttore realizzato secondo certi parametri e in una determinata annata”. L'anno seguente, la stessa etichetta potrebbe essere più indicata su piatti diversi e così via. “Come sempre, è importante sapere assaggiare”.

 

Degustazione

E la degustazione è proprio ciò su cui Giorgio vuole puntare: “Abbiamo intenzione di ampliarci un po'. Vogliamo creare uno spazio più grande dove organizzare cene a tema, incontri, seminari, eventi e tante degustazioni, oltre a dei tour guidati in azienda e in frantoio”. L'obiettivo? “Sempre lo stesso”. Quell'unico scopo con cui da anni l'olivicoltore porta avanti il suo lavoro con impegno e sacrificio, con fatica e passione, senza sosta e senza mai perdere l'entusiasmo. Lo stesso che 22 anni fa lo ha spinto a prendere in mano le redini delle attività e iniziare questo percorso:“Diffondere la cultura dell'extravergine di qualità”.

Frantoio Franci | Castel del Piano (GR) | via A. Grandi, 5 | tel. 05 64954000 | www.frantoiofranci.it

a cura di Michela Becchi

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Guida Oli d'Italia 2017. Ecco tutti i premi speciali

Oli d'Italia 2017. Azienda dell'anno: Agrestis di Buccheri

Oli d'Italia 2017. Frantoio dell'anno: Nicolangelo Marsicani di Morigerati

Oli d'Italia 2017. Miglior monocultivar: Doria di Cassano Allo Ionio 

Olio extravergine di oliva. Glossario essenziale per conoscere l'oro verde

Il debutto di Care's a Salina, tra escursioni e foraging

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Ancora una volta, dopo l’invernata in Alta Badia, 18 chef da tutto il mondo si incontrano per scambiarsi e raccontare la loro scelta etica in cucina. Ecco come è andata la prima giornata di Care's a Salina. 

A Salina si parlerà per i prossimi tre giorni di etica e sostenibilità, non solo in cucina, ma allargando lo sguardo a nuovi orizzonti, e declinando il tutto in tre tematiche principali: terra, mare, energia (qui il programma). Con il coinvolgimento di diciotto chef, internazionali e italiani, a iniziare da chi vive a Salina, come Martina Caruso dell’hotel Signum e Ludovico De Vivo del Capofaro Resort. Tutti per portare il proprio contributo alla causa etica che ci chiama a impegnarci per un futuro migliore. Durante la prima giornata di Care's si è parlato di foraging.

Il foraging

È la tendenza delle cucina e della gastronomia mondiale, che in poco tempo si è affermata nel mondo, anche grazie a René Redzepi e al Noma. In poche parole indica la raccolta di erbe e frutti selvatici spontanei per utilizzarli in cucina. Nessuna novità: fino agli '60 costituiva uno dei metodi di approvvigionamento alimentare più diffuso. Anche a Salina. Ce lo racconta la guida Emanuele Bottari, che ci accompagna lungo il sentiero che porta da Malfa a Lingua, un piccolo borgo caratterizzato dalla spiaggia di ciottoli formata da una colata lavica. D'altra parte a Salina si sopravviveva con la terra, quindi con l'agricoltura e la raccolta: per gli eoliani il mare è pericoloso. “Solo a Lipari c'è una comunità di pescatori ma sono catanesi, quindi della terra ferma”. E in generale sono pochi gli animali, perché qui mancano cibo e acqua per la maggior parte di loro. “Il verde dell'isola è dovuto solo all'acqua piovana e alle rocce laviche porose che fungono da spugna e raccolgono (o custodiscono per i periodi critici) l'acqua”. Ma veniamo alle erbe che abbiamo incontrato lungo il tragitto, dal finocchietto alla nepitella, dall'asparago selvatico alla pulicara, “usata per tenere lontani gli insetti, ma anche come cerotto naturale, o in casa per pulire gli angoli dalla polvere e, bruciata, per eliminare gli odori dai forni”. E poi c'è il sedano selvatico, “un mistero il fatto che sia stato abbandonato per quello dell'orto. La causa probabilmente è stata lo spopolamento, che ha vissuto un picco dopo il caso fillossera, arrivata con un ritardo di circa dieci, quindici anni rispetto al resto d'Europa, che poi ha creato un disastro. All'epoca gli eoliani erano ricchissimi perché erano gli unici in Europa a fare l'olio e il vino”. Dopodiché in molti si sono trasferiti, soprattutto in Australia “a Melbourne ci sono 25000 eoliani. Pensate che in ogni casa, qui, c'è l'immagine della Sidney Opera House!”.

Protagonisti immancabili di questa escursione all'insegna del foraging, i capperi, piante ermafrodite il cui fiore bellissimo è chiamato orchidea delle isole Eolie, il cui frutto è il cucuncio, che bisogna staccare altrimenti la pianta non rifiorisce. “Era un lavoro di famiglia, dopo scuola si andava con la nonna a raccogliere i capperi e i cuncuncili, purtroppo si sta perdendo tutto questo perché difficilmente le famiglie che hanno i cappereti assumono persone per fare questo lavoro”. Eppure è una pianta bellissima, simbolo e vanto di Salina.

Lo sgombro a beccafico di Martina Caruso

I primi assaggi

Il territorio siculo (e i capperi) entrano prepotenti negli assaggi della giornata inaugurale di Care’s, tra la cena di benvenuto al Resort Capofaro e il pranzo all’Hotel Ravesi di Malfa. La prima tappa, sulla strada per Care’s, è animata dalla cucina del patron di casa Ludovico De Vivo (Capofaro Malvasia & Resort, Malfa), Giuseppe Biuso (Il Cappero, Lipari), Accursio Capraro (Ristorante Accursio, Modica), Martina Caruso (Hotel Signum, Malfa), Nino Graziano (fino al 2004 alla guida de Il Mulinazzo alle porte di Palermo, oggi a Mosca ha fondato un impero alla guida della catena l'Accademia e patron de La Bottega Siciliana, ed è da poco approdato a Roma, in pieno centro città, con un bistrot d'autore da 40 coperti) Tony Lo Coco (I Pupi, Bagheria), Massimo Mantarro (Principe Cerami, Taormina) e Giovanni Santoro (Shalai, Linguaglossa). Gli assaggi che ci hanno convinto di più sono quelli di Montanari, la Tipica ghiotta di pesce stocco alla messinese, quello di Capraro, Pane&Cipolla, e il tiramisù fatto anche con i capperi del patron di casa. Buonissimo.

Il cous cous dolce di Corrado Assenza

Ma l’orgoglio di questa regione d’Italia, così ricca di storia, brilla nuovamente nel pranzo dell'indomani, con lo Sgombro a beccafico di Martina Caruso, Memoria Visiva (ovvero tonno alalunga, con aglio e prezzemolo che evocano il mare, sale e semi di limone) di Pino Cuttaia e il cous cous dolce di Corrado Assenza dove la presenza di ananas e mela non stona affatto, grazie alla preponderanza delle mandorle, quelle di Noto, e delle scorze d'arancia. È la rivincita del territorio.

 

Care’s | Salina | dal 21 al 24 maggio | www.care-s.it

 

a cura di Annalisa Zordan

 


Morto Felice Marino. Partigiano a mugnaio, alla guida di Mulino Marino dagli anni Cinquanta

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Aveva 94 anni, Felice Marino, più di 50 trascorsi tra le macine (rigorosamente in pietra) del mulino acquistato alla metà degli anni Cinquanta a Cossano Belbo, alla fine della guerra, dove aveva combattuto con coraggio da comandante della seconda compagnia della Brigata Belbo. Ma la sua fama, e quella della sua famiglia, oggi è legata soprattutto alla produzione di farine biologiche, esportate in tutto il mondo.

Da partigiano a mugnaio

Nonno Felice, semplicemente, lo chiama Gabriele Bonci ricordando affettuosamente Felice Marino a poche ora dalla sua scomparsa. E già, sulla pagina Facebook del panificatore romano, campeggia la foto di quel signore gentile, la tempra di un uomo d’altri tempi, che durante la guerra fondò la seconda compagnia della Brigata Belbo, e più tardi, verso la metà degli anni Cinquanta, riportava in attività un vecchio mulino acquistato a Cossano Belbo, nel cuneese, dove tutti lo ricorderanno per sempre come comandante partigiano. Ma pure come “mugnaio etico”, per dirla sempre con le parole di Bonci, in riferimento all’azienda produttrice di farine che oggi è gestita dai figli Ferdinando e Flavio, con i nipoti Fausto, Fulvio e Federico (sette effe in tutto, inclusa la farina, come il nome di una delle miscele del mulino, ai sette cereali). Si spegne a 94 anni, Felice, dopo una vita intensa e i giorni sul campo di battaglia, in trincea, di cui restava vivo il ricordo, tra imboscate, fucilazioni e rastrellamenti. Quando la guerra cessò, insieme a sua moglie, Felice si mise a produrre farina (prima faceva il commerciante di bestiame), rilevando il mulino per la macinazione a pietra naturale e a cilindri.

Il successo di Mulino Marino

E sulla macinazione a pietra naturale, Mulino Marino costruirà la sua fortuna, di contro alla diffusione di quel mulino a cilindri che all’epoca era simbolo di modernità, e piaceva ai panificatori per la facilità di lavorazione. E invece, in casa Marino, l’obiettivo è sempre stato quello di preservare la semplicità del prodotto, macinando a pietra cereali antichi provenienti da coltivazione biologica: “I contadini erano un po’ diffidenti all’inizio” ricordava in un’intervista di qualche anno fa Felice Marino, ma le analisi del grano locale avevano restituito chiara e forte l’immagine di coltivazioni afflitte dai diserbanti, “veleno per noi”, ed era necessario che qualcuno invertisse la rotta. E la passione per il mestiere, a Cossano Belbo, si tramanda di padre in figlio, insieme al segreto fondamentale di un buon mugnaio: “battere la pietra” (la cosiddetta martellatura per ravvivare la pietra francese delle macine). Mentre il Mulino Marino esporta farine in tutto il mondo, con la garanzia che il grano utilizzato sia prima sottoposto a controlli rigorosi.

L’addio a Felice arriva a poche ore dalla celebrazione della Festa degli In, “incantesimi di sapori, storia e cultura”, che come ogni anno ha gremito il paese e il cortile del Mulino di produttori e prodotti dell’eccellenza enogastronomica (con la partecipazione di Gabriele Bonci). Mentre in ricordo di Nonno Felice, proprio al Mulino si reciterà il Rosario, prima dei funerali in programma per la giornata di mercoledì 24 presso la chiesa parrocchiale di Cossano Belbo.

 

a cura di Livia Montagnoli

Estate fiorentina al “giardino” della pizza della Buoneria. O sulla terrazza del Plaza Lucchesi con gli sfizi di Simone Cipriani

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Tante proposte per trascorrere le sere d'estate all'aperto, nel verde del Parco delle Cascine con le pizze di Antonio Starita, o al tramonto, con vista mozzafiato sulla città, dalla terrazza dell'hotel Plaza Lucchesi, che fino a luglio incrocia le cucine di Essenziale e della Tenda Rossa. 

L'estate fiorentina. Proposte gastronomiche

L'estate si avvicina a grandi passi, e a Firenze si cerca refrigerio lungo l'Arno o sulle terrazze con vista sulla città. Già da qualche settimana è partita la proposta di Molo5 sul Lungarno Colombo, che fino alla metà di settembre riunirà in un unico spazio all'aperto lo street food e i cocktail di cinque realtà ben note in città: il lampredotto di Lorenzo Nigro, la cucina giapponese di Koto Ramen, la pizza bio di Simbiosi, i panini di pesce del Polpaio e i drink del bar Rex. Poco più in là, verso il Lungarno del Tempio, la cittadella estiva de La Toraia replica il successo dell'anno scorso, ogni giorno dall'ora di pranzo fino alla mezzanotte, in compagnia di Panino Tondo, Pesce Pane e i gelati di Carapina. Ma la vera novità dell'estate 2017 promette di metterla a segno un'insegna tra le più giovani arrivate a movimentare il panorama gastronomico cittadino, la Buoneria, con l'inaugurazione di un giardino della pizza circondato dal verde del Parco delle Cascine (non distante dalla stazione di Santa Maria Novella).

Il parco della pizza della Buoneria

La pizzeria inaugurata lo scorso marzo al Fosso Bandito porta la firma di un campione della pizza napoletana del calibro di Antonio Starita, arrivato a rivitalizzare un'insegna già esistente, in nome della verace pizza napoletana, sulla scia del successo fiorentino di Giovanni Santarpia. Così, da qualche mese, il metodo Starita ha conquistato fiorentini e turisti, con la proposta di una quindicina di pizze tradizionali e stagionali – dalla Margherita alla marinara rivisitata con pecorino, alla bianca con provola e pomodorino giallo del Piennolo, cornicione alto e impasto leggero - e qualche sfizio fritto alla partenopea, zeppole ripiene e montanarine della famiglia Tutino. E in cucina lo chef Francesco Morra per i piatti del giorno, di mare e terra. Consolidata l'attività quotidiana, tra qualche giorno la Buoneria si appresta a raddoppiare gli sforzi con “il più grande spazio italiano dedicato alla pizza”, si legge sulla nota introduttiva all'evento. In poche parole una piazza all'aperto al Fosso Bandito numero 4 con quattro forni Valoriani che lavoreranno all'unisono per sfornare quattro differenti tipologie di pizza, dalla verace napoletana a quella sottile alla romana, fino alla pizza a taglio alla pala. E prima la mitica montanara di Starita a Materdei. Gli ingredienti, come da consuetudine della casa, arrivano in gran parte dal circuito campano di qualità: la Latteria Sorrentina per la mozzarella e i formaggi, le farine del Molino San Felice, i pomodori La Carmela, in abbinamento ai prodotti di filiera corta e del territorio toscano. Ma il giardino della Buoneria alle Cascine sarà aperto anche all'intrattenimento serale, con il calendario musicale delle Sere d'Estate, dal tramonto fino alla mezzanotte. In programma l'arrivo di grandi ospiti della scena musicale italiana e internazionale, dal rock al jazz, all'elettronica. Di fatto, lo spazio di Sere d'Estate diventerà porta d'accesso all'area di Firenze Rock. E c'è da scommettere che pochi sapranno resistere al richiamo di una pizza appena sfornata sotto le stelle. Aperitivi e cocktail after dinner compresi.

Essenziale e Tenda Rossa all'Empireo Sunset Experience

Tutt'altra atmosfera, dal tramonto, su una delle terrazze più ambite della città - l'Empireo Sunset Experience - che l'Hotel Plaza Lucchesi mette a disposizione degli ospiti e dei clienti in arrivo dall'esterno, per godere di una vista mozzafiato sulla città. L'offerta gastronomica per l'estate in terrazza si avvarrà della collaborazione fra la Tenda Rossa ed Essenziale, Maria Probst Simone Cipriani.

Ogni domenica, fino alla fine di giugno, il giovane chef che ha trovato la sua dimensione (molto apprezzata) al numero 3 di piazza del Cestello, proporrà un aperitivo in Food Box con snack e sfizi estratti dal menu Fast and Casual di Essenziale (sette stuzzichini assemblabili a piacere), in abbinamento a un cocktail a scelta tra signature del barman Enrico Cascella. Mentre la Tenda Rossa curerà due appuntamenti più articolati, il 22 giugno e il 13 luglio, con Cena al Sacco concertata dalla squadra di Cerbaia.

 

La Buoneria | Firenze | via del Fosso macinante, 4 | dal 25 maggio | tel. 055 365500 | www.buoneria.com

Empireo Sunset Experience | Firenze | Hotel Plaza Lucchesi, terrazza Empireo, lungarno della Zecca Vecchia, 38 | dalle 19 alle 24 | tel. 055 26236

 

a cura di Livia Montagnoli

Meraviglie in Pasta. Un laboratorio artigianale d'eccezione a Zagarolo

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La storia di una boutique di pasta all'uovo di qualità, ma ancora prima quella di una famiglia. Una mamma con due figlie che si reinventano attraverso il cibo e la cucina nella provincia romana, a Zagarolo.

La famiglia

Niente riesce a rappresentare bene la tipica tavola italiana e il senso di convivialità come un piatto di pasta, specialmente se fatta in casa. Non è un caso quindi che Angela Fiorini abbia scelto proprio questo prodotto per lanciarsi nel mondo della gastronomia. La sua passione per la cucina nasce in Ciociaria, dove è nata e cresciuta fra i fornelli e l'orto in campagna di famiglia, ma è a Zagarolo, in provincia di Roma, che l'aspirante sfoglina riesce a trovare un laboratorio in vendita per realizzare il suo sogno. Insieme alla figlia maggiore, Valentina Euganei, a cui poi si è aggiunta anche la seconda, Eleonora. Ce ne è anche una terza più piccola, “ma va ancora a scuola”. Le mani in pasta, dunque, sono di queste tre donne, unite nel sangue ma soprattutto nell'amore verso la produzione artigianale. La storia familiare inizia tredici anni fa, grazie alla passione di mamma Angela e ora comincia a far parlare di sé, per lo stesso motivo. Una passione condivisa che nel tempo ha fatto da collante e stimolo per continuare, nonostante gli ostacoli.

 

Angela Fiorini e le figlieMamma Angela con le figlie Eleonora (a sinistra) e Valentina (destra)

Gli inizi

Ma partiamo dal principio. 2004, Zagarolo. Angela acquista lo spazio, lo chiama Meraviglie in Pasta, e inizia a realizzare pasta nella maniera più tradizionale, “proprio come la facevo a casa mia”. Trascorrono i primi anni e Valentina inizia a informarsi, studiare i prodotti, ricercare le materie prime. “Abbiamo iniziato a utilizzare farine macinate a pietra, uova fresche solo da galline allevate a terra e abbiamo cambiato i fornitori”. Farine di kamut, sostituite poi con quelle di grano Senatore Cappelli e infine con quelle di grani antichi siciliani: “A un certo punto Valentina soffriva di problemi allo stomaco e un mio amico nutrizionista mi ha detto di miscelare farine diverse in determinate proporzioni, e soprattutto di qualità. Da allora è cambiato tutto e mia figlia ha smesso di stare male”. E non solo: “Per un periodo Eleonora si era messa a dieta e allora ho pensato, perché non creare una pasta proteica adatta agli sportivi o le persone che stanno seguendo un regime alimentare particolare?” e così ha continuato a sperimentare, studiare, provando ingredienti sempre nuovi. Oggi si affidano a Molini del Ponte, “e a un altro qui in zona per una seconda linea che abbiamo, più tradizionale”.

La produzione

Le tre donne ricercano, si informano, conoscono professionisti del settore e cominciano una nuova selezione. Oggi, si riforniscono da Officine del gusto per la carne e da Il Ghiottone per i formaggi. L'olio extravergine di oliva, prodotto fondamentale per il lavoro di Meraviglie in Pasta, è il blend di Principe Pignatelli di Monteroduni (Tre Foglie guida Oli d'Italia 2017), mentre la carne di cavallo è della macelleria locale Pacifici. La pasta viene preparata in una macchina con trafilatura al bronzo, “tranne gli gnocchi, che impastiamo a mano”.

 

Fettuccine al basilico, macchinaMacchina con trafilatura al bronzo

Una produzione piccola, che si aggira attorno ai 30/40 chilogrammi al giorno quando ci sono anche delle consegne da fare, ma che è arrivata a sfiorare i 200 kg nel periodo di Natale: “Lo scorso 23 dicembre siamo state in laboratorio dalle 5,30 di mattina all'1,15 del mattino successivo per preparare la pasta per tutti. È stato faticoso ma ci ha dato tante soddisfazioni”, racconta Angela sorridendo commossa.

La crescita

Sì, perché l'attività non è decollata subito. Anzi, sono stati diversi gli ostacoli che la famiglia ha incontrato sul suo cammino. A cominciare dalla crisi economica che si è abbattuta sull'Italia proprio durante i primi anni del laboratorio, “una crisi che ha avuto ripercussioni spropositate sulle realtà piccole come la nostra”. Ma mamma Angela con le figlie continuano a impastare giorno e notte, “iniziamo alle 5.30/6.00 del mattino, apriamo i battenti alle 8,30 e poi chiudiamo alle 20, rimaniamo a pulire e sistemare tutto”. Senza sosta e senza mai perdersi d'animo. Almeno fino a un certo punto. “Al di là della crisi, i primi tempi è stato davvero difficile farsi conoscere, in paese ma anche fuori. Due anni fa abbiamo pensato di chiudere”. A parlare stavolta sono le figlie, che per tempo hanno cercato di convincere Angela a lasciare la bottega. “Lavoravamo tanto e vendevamo poco. Così poco che spesso dovevamo regalare la pasta, per non sprecarla”.Ma la mamma, cuore e anima del laboratorio, non ce l'ha fatta a vedere tutti i loro sacrifici svanire: “Volevo rimanere. Ho sempre lottato per questo posto e continuerò a farlo”. E ha fatto bene, perché a distanza di poco tempo da quei momenti difficili, la fatica e la tenacia cominciano a dare i loro frutti.

I primi eventi e l'ingresso nella ristorazione

La nostra prima fiera è stata Il Simposio a Roma, organizzato da Daniele De Ventura. Ero così emozionata!”, un primo evento che consente ad Angela di farsi conoscere e di scoprire un universo nuovo, complesso e articolato: “Non avevo mai partecipato a un festival prima, non sapevo come funzionasse. E non immaginavo neanche ci fosse niente di simile”. E ora sarà la volta di Vinòforum, dove la pastaia presenterà diverse ricette: cannelloni di carne al pistacchio conditi con pomodorini freschi, raviolo al formaggio Blu61 de La Casearia Carpenedo, “per il quale non abbiamo ancora scelto la salsa” e poi le sue famose tagliatelle, specialità della casa, “che condirò con ragù di cinta senese”.Ma la pasta di Angela è approdata nella Capitale anche attraverso i ristoranti, Gustando & Degustando, “fra i primi clienti”, L'Asino d'Oro e L'Arcangelo: “L'incontro con Dandini è stato unico”, racconta Valentina, “non ce l'aspettavamo. Speriamo di poter entrare presto anche in altri locali”.

Le ricette

Pasta di vari formati, lunga e corta, ripiena e non, classica e innovativa. La produzione del pastificio è piccola ma molto varia e spazia fra tanti generi. Fra i cavalli di battaglia spicca il raviolio, invenzione nata grazie all'amicizia che lega Angela a Fabrizio Fazzi, volto commerciale dell'azienda olivicola molisana Principe Pignatelli, “è stato lui a chiedermi di realizzarlo la prima volta”. Il ripieno, come si intuisce dal nome, è a base di extravergine, “mescolato al formaggio”. La maggiore difficoltà? “I tempi di preparazione. È tutto un lavoro di squadra: ci sono delle dinamiche ben precise per inserire l'olio all'interno e poi chiudere in tempo la pasta senza rovinare il prodotto”. La ricetta però, come nelle migliori tradizioni di famiglia, resta fra le mura del laboratorio. Altra specialità sono le tagliatelle, da poco disponibili anche nella nuova versione al basilico. Un suggerimento per condirle? “Nella maniera più semplice, con pomodoro, un filo d'olio e un spicchio d'aglio”. Tanto il basilico è già nell'impasto.

 

Fettuccine al basilicoFettuccine al basilico

E poi ancora ricette antiche della tradizione contadina zagarolese, come i ravioli con salsiccia e uva, “un abbinamento molto popolare in passato durante il periodo della vendemmia, che abbiamo ritrovato in un libro sulla cucina zagarolese edito dall'associazione Amici di Zagarolo”. Ma la più tipica delle ricette locali è senza dubbio il tordo matto, un involtino di carne di cavallo che, grazie alla creatività delle tre donne, è diventato ora il ripieno di un raviolo. Questa volta è stata Valentina a insistere per recuperare il piatto storico: “Ho pensato che non potevamo esimerci dall'avere sul bancone anche un piatto della nostra tradizione”. Carne di cavallo, lardo di prosciutto e coriandolo, “o pitartima, come diciamo noi in dialetto”, questi gli ingredienti principali. “Inizialmente c'era un po' di diffidenza da parte della clientela locale, perché le persone non sono abituate ad assaggiare il tordo matto all'interno della pasta”. Ma col tempo anche questo prodotto ha cominciato a far parlare di sé, tanto da essere richiesto dall'Enoteca Regionale Palatium di via Frattina.

Progetti per il futuro

Oltre alla pasta fresca, mamma Angela e figlie propongono anche piatti pronti come le lasagne al sugo o con verdure, cannelloni e crêpes ai quattro formaggi. Una vera passione, quella per la cucina, specialmente per Eleonora, che a breve vorrebbe iniziare a frequentare un corso. Valentina invece preferisce impastare, ma tutte e tre hanno un sogno in comune: “Sarebbe bello un giorno aprire a Roma un locale dove cucinare solo primi piatti con i nostri prodotti. Ricette semplici, tradizionali e gustose”. Per ora è solo un'idea, ma chissà, “forse un giorno”. Intanto si continua a studiare, a crescere, migliorarsi, “ora che abbiamo iniziato a ingranare non possiamo fermarci, dobbiamo fare i sacrifici maggiori adesso”. Il prossimo passo? “Comprare un abbattitore”, rispondono le figlie sorridendo. Ma soprattutto continuare su questa strada, quella più difficile da percorrere. Una via fatta di difficoltà quotidiane, prove da superare, momenti difficili, anche lunghi, paure. Ma anche di forza interiore, affetto, fiducia. E un po' di sana incoscienza, quanto basta per crederci.

Meraviglie in Pasta | Zagarolo (RM) | corso Vittorio Emanuele, 101 | www.meraviglieinpasta.it

a cura di Michela Becchi

Alta ristorazione in aereo. La Swiss e i 4 Cantoni

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Aumenta sempre più l'investimento delle compagnie aeree sulla proposta gastronomica in volo. È il momento della Swiss Air che propone percorsi stagionali alla scoperta delle tipicità dei vari cantoni. Con la collaborazione di grandi chef locali.

La Svizzera ad alta quota si fa in quattro e porta il meglio della tradizione gastronomica in volo. Due progetti per due circuiti: se in Europa con Swiss Traditions i menu raccontano, attraverso il cibo, gli eventi storici e culturali dei suoi cantoni, nelle tratte intercontinentali, con Swiss Taste of Switzerland, il focus va alla cucina regionale con menu preparati da un ricco cast di chef che si passano il testimone a ritmo stagionale.

taste_of_switzerlandSwiss Taste of Switzerland

 

Un viaggio enogastronomico

Il viaggio, così, diventa anche enogastronomico e pone al centro qualità e provenienza certificata dei prodotti da gustare. Si finisce per scoprire, comodamente seduti in volo, aziende, sapori e produzioni artigianali dal territorio, come sarebbe possibile fare in un tour in bicicletta per terre svizzere. Si va dalla birra Quöllfrisch Beer, naturale del Cantone Appenzello, al gelato Mövenpick, dai formaggi Appenzeller, Gruyère e Tête de Moine, al Balik Salmon, quello affumicato nella regione di Toggenburg, secondo una ricetta secolare, una ricetta rimasta a lungo segreta, eredità della cucina dello zar Nikolaj. Immancabili bratwurst, rösti, formaggi svizzeri artigianali e cioccolatini Sprüngli, insomma una sagra di prodotti tipici, ma sulle nuvole.

busness swiss air, galantina di quagliaBusiness Class. Galantina di quaglia

I quattro cantoni

La proposta gastronomica è un gioco a quattro: quattro cantoni per quattro cicli. A ogni cambio di stagione, varia anche la proposta in cucina, con l'arrivo di un ristorante locale a farsi rappresentante della regione di quel trimestre. Il ritmo a tre mesi mette tutti d’accordo: trasporta identità territoriale in cielo dando spazio a diverse zone della Svizzera e incuriosisce, insieme, turisti locali e nuovi avventori alla scoperta dell’Europa. Una sorta di triangolazione terra-cielo-identità locale, che vede coinvolti rinomati chef, ristoranti e hotel in un progetto unico, in cui c’è spazio per tutti. Tra gli altri anche Hiltl di Zurigo, il più antico ristorante vegetariano del mondo.

Sulle tratte asiatiche il progetto si offre anche a digressioni fusion, tracciando una linea di collegamento tra oriente e occidente, in partnership con The Peninsula Hong Kong e il suo chef, lo svizzero Florian Trento, e con l'Hotel de Mikuni d Tokyo, dello chef Kiyomi Mikuni. Il mix piace molto e Swiss pensa già a nuovi gemellaggi culinari in base alle diverse tratte aeree. Ma intanto sono già state sperimentate alcune che portano, ad alta quota, chef/ristorante/regione sono: Othmar Schlegel, del Castello del Sole, per il Ticino; Pierrot A. Ayer di Restaurant Les Pérolles per Fribourg; Markus Neff del Waldhotel Fletschhorn per Valais; André Jaeger del Restaurant Fischerzunft per Schaffhausen; Heiko Niederer del Dolder Grand Hotel rappresenta Zurich; Tanja Grandits del Restaurant Stucki racconta l'anima di Basel; Dominique Gaultier dell'Hotel Beau Rivage in rappresentanza di Geneva; Silvia Manser del Restaurant Truube per Appenzell

business filetto di pesce co salsa al limoneBuniness Class - Filetto di pesce con salsa al limone

Svizzera in volo, un impegno gourmet

Il programma Swiss sbaraglia le carte della cucina in volo con una trovata geniale: portare in quota il meglio del cibo che c’è in terra. Con una selezione di prodotti locali e do chef che consentono ai viaggiatori di scoprire la varietà di un Paese dalle molte anime. Mangiare a bordo diventa così un’esperienza di conoscenza culturale e gastronomica oltre che un'esigenza da espletare.

Nelle tratte intercontinentali, l'offerta si arricchisce anche di un menu in edizione limitata. Si chiama Swiss Connoisseur Experience il terzo progetto enogastronomico offerto in esclusiva in prima classe nei voli a lunga percorrenza dalla Svizzera. Si tratta di un ulteriore affinamento degli altri, in quanto a specialità alimentari accuratamente selezionate. Proposte che si adattano alla stagione o si concentrano su una particolare delizia gastronomica, come già sono stati il Swiss Steakhouse, o i focus sui tartufi bianchi di Alba, i frutti di mare o la selezione di caviale. Swiss Connoisseur Experience viene offerto quattro volte l'anno per un periodo breve: solo due settimane e completa il programma di lunga tratta Swiss Taste of Switzerland.

Non solo: Swiss è la prima compagnia aerea al mondo a essere ufficialmente certificata da ECARF per aver soddisfatto i rigorosi criteri di selezione del centro europeo per la ricerca sull'allergia nel fornire un servizio personalizzato per i viaggiatori con sensibilità alimentari.

swiss air filetto di vitello in crosta di scalogoFirst Class - Filetto di vitello in crosta di scalogno e salsa di fagioli neri

Cosa si trova in questa stagione

Il cantone in volo nel trimestre in corso è Canton Vaud della Svizzera occidentale, con lo chef de cuisine, Stella Michelin, Thomas Neeser del ristorante gastronomico Les Saisons al Grand Hôtel du Lac di Vevey sulle rive del Lago di Ginevra. Parte del circuito Grandes Tables de Suisse, la cucina di Neeser ha una forte impronta francese interpretata con ingredienti stagionali ei prodotti locali. Nel menu a bordo si spazia tra mousse di trota affumicata e cocktail di gamberi; filetto di vitello in crosta di scalogno e salsa di fagioli neri; mousse di cocco al pompelmo col sorbetto di lampone e viola. Notevole la galantina di quaglie col purè di piselli verdi, e la mousse di fiori di sambuco, fragola e rabarbaro. Abbiamo assaggiato anche gli scampi speziati al mango, roba da standing ovation. Il volo culinario nel Canton Vaud si conclude con formaggi della regione: impossibile scegliere tra L'Etivaz o Le Praz, meglio provarli entrambi.

A ogni cambio, il cantone di turno porta anche il suo vino, e vicino a Vevey c’è il patrimonio mondiale dell'Unesco dei vigneti di Lavaux, con vini noti ben al di là dei confini del cantone Vaud e della Svizzera. La scelta è caduta, per il bianco, sul Clos du Boux e per il rosso sul Mersyca Grand Réserve; in business, invece, ci sono il locale Château de Vufflens Grand Cru o il Domaine Grange Volet rosso. Nel trimestre in corso, alla cucina a bordo si abbina anche il jazz, in occasione del Cully Jazz Festival che si svolge itinerante tra le cantine del villaggio di Cully.

Swiss airs lunch economyLunch Economy

Il viaggio parte da terra

Con l’apertura delle Tre nuove Swiss lounges il viaggio culinario comincia già in aeroporto al Terminal E di Zurigo. Dal menu à la carte è possibile ordinare in qualsiasi ora del giorno come in un ristorante d'alto rango, al banco della cucina aperta è possibile ordinare pietanze freschissime preparate al momento dai tre cuochi al servizio dei viaggiatori. Al buffet assaggi ci sono monoporzione di ogni tipo, in composizioni nutrizionali bilanciate, dalla colazione agli snacks al dolce. Al Whisky Bar della Senator Lounge, oltre 120 diverse qualità di whisky. Comodi in poltrona, il panorama delle Alpi svizzere si offre libero oltre la grande vetrata, decolli e atterraggi diventano un gioco godibile dalla terrazza, in compagnia di un Duval-Leroy Brut, accompagnato, magari, da un buon couscous di quinoa, erbe e formaggio. Svizzero, s’intende.

 

a cura di Emilia Antonia De Vivo

Premio della Stampa Orciolo d'Oro 2017. Gli extravergine preferiti dai giornalisti del food

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Assegnato il Premio della Stampa dell'Orciolo d'Oro, il più antico concorso degli oli extravergine di qualità. Il tris dei vincitori di questaedizione, nelle categorie fruttato leggero, medio e intenso, sono nell'ordine un marchigiano, un umbro e un pugliese.

Orciolo d'Oro. La parola alla stampa

In una primavera che già profuma di estate si celebra il Premio della Stampa, costola ultima nata dell'Orciolo d'Oro, il più antico concorso dedicato agli oli extravergine di qualità. “Un premio pensato e creato otto anni fa per coinvolgere il mondo dei media e della comunicazione, chiamando giornalisti del food a esprimere il proprio giudizio” confida sorridendo Marta Cartoceti, mente, testa e cuore della storica competizione nata 26 anni fa, e presidente di EnoHobby Club dei Colli Malatestiani.

Il 20 maggio, nella splendida Gradara, borgo fortificato medievale sulle colline marchigiane prossime alla Romagna, stretto intorno al famoso castello che la leggenda popolare lega all'amore di Paola e Francesca, sono stati eletti gli oli vincitori del Premio della Stampa 2017, al termine di una degustazione “bendata” che ha messo in fila una selezione degli extravergine finalisti delle altre categorie dell'Orciolo d'Oro. La giuria, guidata da Giulio Scatolini, capo panel Unaprol e delle altre sezioni del concorso, eracomposta da Laura Placenti (Rai Linea Verde), Daniela Capogna (Olivatessen Magazines by Mercacei), Mara Nocilla (Gambero Rosso), Francesco Ranieri (Rai Cultura), Luigi Diotallevi e Claudio Salvi (Il Resto del Carlino), Maurizio Ranucci (Gustando Magazine), e con la partecipazione di Leonardo Vissone, tecnologo alimentare.

 

I premiati

Questo il tris degli oli primi classificati: il fruttato leggero Capolavoro della Natura dell'oleificio Guzzini di Recanati (MC), delicatissimo e floreale (scelto all'unanimità da tutti i membri del panel); il fruttato medio Emozioni, monocultivar di moraiolo, dell'azienda agraria Decimi di Bettona (PG), esuberante e giovanile; il fruttato intenso Affiorato del frantoio Intini di Alberobello (BA), potente e rotondo.

Tutti i premi verranno consegnati nel corso di una cena di gala all'Hotel Excelsior a Pesaro sabato 10 giugno, al termine di una tavola rotonda (ore 18) che ha come argomento la designazione di origine e la promozione del territorio, dall'allargamento della Dop Cartoceto al riconoscimento della Igp Marche.

 

 

Tutti i premi dell'Orciolo d'Oro 2017

26° Concorso Nazionale - Oli Extravergini di Oliva

 

Fruttato leggero

1° Idra | Fattoria Ambrosio | Castelnuovo Cilento (SA)

2° Danae | Azienda Agricola Depalo Luigi | Giovinazzo (BA)

3° Tenuta del Monsignore | Azienda Tenuta del Monsignore | San Giovanni In Marignano (RN)

 

Fruttato medio

1° Caieta | Azienda Agricola Cosmo Di Russo| Gaeta (LT)

2° Olisir 1000+| Azienda Agraria Le Tre Colonne di Salvatore Stallone| Giovinazzo (BA)

3° Spalià| L’Olivaio Frantoio Oleario| Castelleone di Suasa (AN)

 

Fruttato intenso

1° Rupe | Azienda Agricola Pietrabianca| Casalvelino (SA)

2° Posta Locone| Azienda Agricola Fratelli Ferrara| Foggia

3° Trefort| Paolo Bonomelli Boutique Olive Farm| Torri del Benaco (VR)

 

18° Concorso Nazionale - Oli Extravergini di Oliva Biologici

 

Fruttato leggero

1° Monocultivar Dritta| Azienda Agricola Persiani| Atri (TE)

2° Orsini| Azienda Biologica Paola Orsini| Priverno (LT)

3° Terre di Siena Bio Dop| Azienda Agricola Carraia di Franco Bardi| Petroio (SI)

 

Fruttato medio

1° Viride| Azienda Agricola Nicolangelo Marsicani| Morigerati (SA)

2° L'Affiorante| Azienda Agricola Marfuga| Campello sul Clitunno (PG)

3° Villa Pontina| Azienda Villa Pontina di Lucio Pontecorvi| Sonnino (LT)

 

Fruttato intenso

1° Superbo| Azienda Agricola Biologica Quattrociocchi Americo| Alatri (LT)

2° Trappèto di Caprafico Dop biologico| Azienda Agricola Tommaso Masciantonio| Casoli (CH)

3° Podere Ricavo Dop Terre di Siena Biologico| Az. Agr. Buoni o Del Buono Maria Pia| Cetona (SI)

 

9° Concorso Nazionale - Oli Extravergini di Oliva Dop e Igp


Fruttato leggero

1° Marfuga, Umbria Colli Assisi Spoleto Dop| Azienda Agricola Marfuga| Campello sul Clitunno (PG)

2° Don Pasquale, Colline Pontine Dop| Azienda Agricola Cosmo Di Russo| Gaeta (LT)

3° Podere Ricavo Bio Dop, Terre di Siena Dop| Az. Agr. Buoni o Del Buono Maria Pia| Cetona (SI)

 

Fruttato medio

1° Monovarietale Drizzar, Garda Orientale Dop| Paolo Bonomelli Boutique Olive Farm| Torri del Benaco (VR)

2° Algoritmo 2016, Cilento Dop| Azienda Agricola Nicolangelo Marsicani| Morigerati (SA)

3° Olivicoltori delle Colline del Cetona, Terre di Siena Dop| Società Agricola Olivicoltori delle Colline del Cetona| Cetona (SI)

 

Fruttato intenso

1° Olio Iannotta, Colline Pontine Dop| Azienda Agraria Lucia Iannotta| Sonnino (LT)

2° Tenuta Torre di Mossa, Terra di Bari Bitonto Dop| Azienda Agricola De Carlo| Bitritto (BA)

3° Trappèto di Caprafico biologico, Colline Teatine Dop| Azienda Agricola Tommaso Masciantonio| Casoli (CH)

 

19º International Competition of extravirgin olive oils northern hemisphere

 

Fruttato leggero

1° Hacienda Guzmán Organic| Empresa Agricola Guzmán S.L.| La Rinconada – Sevilla (Spagna)

2° Cladium| Aceites Aroden Hispania S.L.| Carcabuey - Cordoba (Spagna)

3° Oliveira da Serra Oliveirinha| Empresa Sovena Portugal Consumer Goods S.A.| Algés (Portogallo)

 

Fruttato medio

1° Rincon de la Subbetica| Empresa Almazaras de la Subbetica| Carcabuey - Cordoba (Spagna)

2° Bravoleum - Selecciòn especial de aceites Hacienda El Palo Varietad Picual| Empresa Explotaciones Jame S.L.| Villagordo - Jaén (Spagna)

3° Auténtico| Empresa Calidad y Naturaleza S.A.| Quesada - Jaèn (Spagna)

 

Fruttato intenso

1° Oro Bailen Reserva Familiar Picual| Aceites Oro Bailén Galgón 99 S.L.| Villanueva de la Reina - Jaén (Spagna)

2° Palacio de Los Olivos| Empresa Olivapalacios S.L.| Madrid (Spagna)

3° Partida Real| Casas De Hualdo S.L.| Madrid (Spagna)

 

8° Concorso Nazionale – Premio della Stampa

 

Fruttato leggero

1° Capolavoro della Natura | Oleificio Guzzini | Recanati (MC)

 

Fruttato medio

1° Emozioni, Monocultivar Moraiolo | Azienda Agraria Decimi | Bettona (PG)

 

Fruttato intenso

1° Affiorato | Frantoio Intini | Alberobello (BA)

La guerra delle accise. Ecco cosa sta davvero succedendo in Russia

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Mentre l'export agroalimentare italiano verso Mosca si riavvicina valori pre-embargo, arriva una nuova minaccia: un decreto male interpretato rischia di mandare in bancarotta l'80% degli importatori russi di alcolici. Ma se fosse solo una tempesta in un bicchiere di vino?

L'introduzione dell'accisa agevolata

In questi giorni si fa un gran parlare, sulla stampa specializzata e non, della presa di posizione del Ministero delle Finanze russo, il quale parrebbe intenzionato a eliminare lo sconto sulle accise dei vini di importazione, addirittura con effetto retroattivo al gennaio 2016. Ma andiamo con ordine, altrimenti rischiamo di non capire il perché di una presa di posizione che appare, al minimo, assurda, anche perché in questa commedia gli attori sono tanti e non tutti recitano a copione.

Nell’ambito della riorganizzazione del mercato degli alcoolici, devastato da importanti numeri di produzione illegale e/o falsa, il Governo russo ha varato il programma di controllo elettronico denominato Egais, che in pratica controlla, direttamente dall’apparato cassa del venditore, la legalità delle operazioni doganali di importazione, o di transazione commerciale intervenute fino al retail. Sembra funzioni bene e sicuramente ha un po’ limitato l'illegalità. Con l’occasione erano state riviste anche le aliquote delle accise sui vini, introducendo un’accisa agevolata sui vini Dop e Igp. Questo, non solo sulla spinta della lobby dei produttori della Russia del Sud (soprattutto Regione di Krasnodar e Crimea), ma anche e soprattutto per incentivare la produzione interna, che nonostante i cospicui aiuti varati negli ultimissimi anni stenta a decollare. Fu quindi stabilito che, dal 1 gennaio 2016, sui vini fossero applicate accise di 9 rubli/litro (a quel tempo circa 11 cent.) e sugli spumanti 26 rubli/litro (a quel tempo circa 32 cent.). Queste accise, per i vini etichettati Dop e Igp, venivano ridotte rispettivamente a 5 e 13 rubli/litro, quindi alla metà.

 

L'interpretazione sbagliata

La strada dell’inferno è sempre lastricata di buone intenzioni”, recita un vecchio proverbio: nessuno si preoccupò di tradurre in parole chiare una giustificabile agevolazione (aiutare i produttori interni), ragion per cui anche gli importatori se ne avvalsero subito, riempiendo gli scaffali di vini con improbabili etichette a denominazione. Dopo un anno e mezzo, anche al Ministero delle Finanze si sono accorti di quello che avevano combinato, ottenendo addirittura l’effetto contrario alle intenzioni. Infatti, secondo le statistiche doganali nel 2016 le importazioni di vino fermo sono aumentate del 4,5% (174,73 milioni di litri) e quelle di vini spumanti del 4,8% (34,85 milioni di litri), mentre la produzione di vini nazionali, al contrario, è scesa rispettivamente del 7,7% e dell’8%.

Ma non solo, ai conti dell’erario mancano diversi miliardi di rubli rispetto alle previsioni. Di qui la rilettura “attenta” di questa legge con il verdetto: “si doveva capire che l’agevolazione era da intendersi solo per il prodotto nazionale”. Ma non è tutto: gli stessi che hanno combinato il pasticcio - forse per riabilitarsi - sostengono che a questo punto gli importatori dovranno pagare l’aliquota intera, con effetto retroattivo, dalla data dell’entrata in vigore della tassazione.

Per inciso, nell’anno in corso le accise sono state aumentate a 18 rubli/litro (oggi circa 30 cent.) e sugli spumanti 36 rubli/litro (oggi circa 60 cent.), mentre per Dop e Igp sono rimaste rispettivamente a 5 rubli/litro (oggi circa 8 cent.) e sugli spumanti 14 rubli/litro (oggi circa 23 cent.). Quindi l’eventuale conto per gli importatori si farebbe ancora più salato.

 

A rischio l'80% degli importatori

Si parla di cifre molto importanti. Da alcuni conteggi, pare che qualche grosso importatore debba pagare cifre superiori ai 100 milioni di rubli (al cambio odierno pari a oltre 1,6 milioni di euro). Questo fatto determinerebbe il fallimento e la conseguente uscita dal mercato di quasi l’80% degli operatori (anche se c'è chi giura che sarebbero sostituiti in un baleno!). C'è da dire che la cosa è poco credibile, dato che la lobby degli importatori di alcoolici è molto potente e, se non ha santi in paradiso, sicuramente conta su un cospicuo e agguerrito manipolo alla Duma.

Riflessi sul mercato interno e sulle importazioni? Non troppo pesanti: si stima che su una bottiglia di vino medio (prezzo allo scaffale fino a 500 rubli – circa 8 euro), l’aumento sarà contenuto fra il 5 ed il 10% massimo. Per i vini di livello medio-alto, il costo dell'aumento delle accise non avrà un impatto significativo.

 

Verso la fine dell'embargo sui prodotti agroalimentari?

Mentre il vino italiano sta col fiato sospeso per capire cosa succederà con il caos accise russe, il premier Paolo Gentiloni ha incontrato nei giorni scorsi a Sochi Vladimir Putin,in vista del prossimo G7 di Taormina. Possibile ripresa dei rapporti? Secondo Coldiretti il ritorno al dialogo, creerebbe le premesse per chiudere una guerra commerciale che ha provocato una perdita complessiva stimata di 850 milioni di euro per le esportazioni di Made in Italy. Sono ormai passati tre anni da quando Mosca ha deciso di chiudere le frontiere all'agoralimentare da Ue, Usa, Canada, Norvegia ed Australia, in risposta alle sanzioni statunitensi ed europee. “Ancora una volta” ribadisce l'associazione “il settore agroalimentare è divenuto merce di scambio nelle trattative internazionali. Si tratta di un costo insostenibile per l’Italia e l’Unione Europea che è importante riprendano la via del dialogo”.

 

Export Made in Italy in ripresa

E intanto arrivano buoni segnali dalle performance italiane in Russia: nel primo trimestre dell’anno l’export agroalimentare Made in Italy verso Mosca cresce del 45% annuo, superando i 100 milioni di euro e - come evidenziato dalla Cia-Agricoltori Italiani – si riavvicina ai valori pre-embargo. Ad aumentare, in particolare, sono le vendite di vino, che hanno superato gli 11,5 milioni di euro, con una crescita tendenziale del 75%; e quelle dell'olio d'oliva che, nei primi due mesi del 2017 sono aumentate del 107% annuo.

 

a cura di Gianguido Breddo

 

 

Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 18 maggio

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Giornata mondiale delle Tapas. I ristoranti che aderiscono a Roma e Napoli, nel segno della cucina spagnola

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Il 15 giugno, in tutto il mondo, torna l'iniziativa che l'Ente del Turismo spagnolo dedica alla sua specialità gastronomica più celebre: le tapas. E l'Italia partecipa, a Roma e Napoli, con una serie di insegne chiamate a proporre per un giorno la propria tapa, in omaggio ai sapori spagnoli. Ecco come funziona. 

Il rito del tapear. Dalla Spagna nel mondo

Il nome deriva dall’abitudine di coprire il bicchiere di vino che funge da accompagnamento, con un piattino, come se fosse un tappo (tapa). Ma tra i piatti simbolo dell'identità gastronomica di un Paese, le tapas sono forse la specialità più conosciuta, apprezzata (spesso mal imitata) nel mondo. E il termine spagnolo ha finito per entrare nel gergo internazionale ogni qual volta si tratta di caratterizzare un pasto veloce e informale che punta sulla varietà e la praticità dell'offerta: piccoli assaggi di ricette tradizionali o prodotti tipici della cultura spagnola – dall'jamon serrano tagliato a coltello alla tortilla di patate e cipolle, al fritto di chipirones (piccoli calamari croccanti), alle patatas bravas con peperoncino o tabasco – accompagnati da un buon bicchiere di vino bianco, rosso, oppure da Cava. Ogni “tasca” (tapa bar) ha le sue ricette e all'ora dell'aperitivo fare il giro dei locali con gli amici, mangiando e bevendo, è uno dei modi più piacevoli per iniziare la serata. La tradizione è diffusa anche nei Paesi Baschi e in particolare a San Sebastian, dove le tapas si chiamano “pintxos”, letteralmente gli stuzzicadenti con cui gli assaggini vengono serviti. Le tapas si mangiano quasi sempre in piedi di fronte al bancone dove è esposta l'infilata delle diverse preparazioni, oppure appoggiandosi a piccoli tavolini mentre si chiacchiera del più e del meno. La convivialità infatti è un elemento essenziale del gusto delle tapas.

 

Una giornata dedicata alle tapas

E ogni anno (nel 2017 si festeggia la terza edizione) la Spagna celebra la propria cultura gastronomica omaggiando la sua usanza più celebre con una Giornata mondiale delle Tapas, che accompagna i commensali di tutto il mondo in un viaggio attraverso i sapori della penisola iberica. Quest'anno l'appuntamento è fissato per il 15 giugno, quando la “cucina in miniatura” di lingua spagnola sarà proposta da bar, ristoranti e locali delle principali capitali internazionali, che per l'occasione proporrano anche degustazioni, laboratori e concorsi a tema. In Italia aderiscono 39 insegne – 38 a Roma e una a Napoli, che per la prima volta prende parte alla manifestazione – selezionate dalla Consiglieria di Turismo dell'Ambasciata di Spagna in Italia, che organizza la giornata sul territorio nazionale in collaborazione con Saborea España. Sarà dunque la Capitale il centro di riferimento per godere di una serata all'insegna della condivisione a tavola, gustando specialità della cucina spagnola anche fuori dalle rotte consuete. Questo perché, oltre alle insegne di cucina iberica in città – da Toros y Tapas a La Taberna de Pedro – anche diverse realtà legate a una proposta tradizionale italiana o alla moderna cucina capitolina hanno accettato la sfida, e per un giorno si cimenteranno con ingredienti e piatti insoliti. Qualche esempio? Caffè Settembrini proporrà i gamberi croccanti con maionese al lime, mentre la Beveria Monteverde presenterà un piatto di polpette (albondigas) al sugo; alle Tre Zucche, invece, anelli di calamaro ripieno di broccoletti e olive su carote gialle e zenzero, e da Marzapane – con la supervisione di Alba Esteve Ruizcostillas de cerdo al bbq con habas fritas. Intanto a Napoli, il Milagros gastrobar proporrà sgombro e finocchio in escabeche citrico, con limoni di Sorrento.

Potete scoprire tutti i locali aderenti e i piatti protagonisti di ogni appuntamento sulla sezione dedicata del sito del Gambero Rosso, partner dell'iniziativa.

www.gamberorosso.it/it/giornata-mondiale-tapas

 

 


Care's a Salina 2017: si parla di terra, mare ed energia

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Sul palco di Care’s Talk, la rassegna di cucina etica, salgono relatori che sommano profili diversi, dalla biologa marina al cuoco, dal professore di chimica all'esperto di trend; tutti concentrati sul futuro del pianeta in relazione alle urgenze più incombenti: l’impatto delle produzioni agroalimentari, la sovrapesca, l’effetto serra, la riduzione degli scarti.

Norbert Niederkofler, chef altoatesino e uno degli ideatori di Care's, ha messo insieme una squadra di cuochi in grado di raccontare, nei piatti e negli intenti, il senso etico dell'alta gastronomia. E lo ha fatto lontanissimo dalla sua Alta Badia, quasi a sottolineare l'universalità di questo tema. Con un unico obiettivo: dimostrare che la cucina può essere punto di incontro, stimolo per riflettere sul futuro che verrà, sulle esigenze del territorio e sulla necessità di fare sistema. Già perché l’etica passa necessariamente attraverso la sostenibilità, la cura del territorio e la tutela dell’ambiente.
 

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Terra e mare. Dall'identità del cibo alla gestione sostenibile delle risorse marine

Si parte con il primo dei tre incontri, moderato da Lisa Casali. Il focus è la terra, ma ben presto si arriva a parlare di mare, già perché il tema della sostenibilità (tema inflazionato se vogliamo, ma che qui è affrontato in maniera concreta) unisce un po' tutti gli ambiti. “La globalizzazione favorisce la mobilità (imprevedibile e ingestibile) dell'uomo, che porta con sé animali e vegetali del territorio da cui proviene, creando dei cambiamenti genetici. La natura incontaminata non esiste più, è sempre contaminata dall'attività dell'uomo”. Si entra subito nel merito del problema con Luigi Spagnolli (Comitato di Gestione del Parco Nazionale dello Stelvio), che porta sul palco di Care's la realtà dei fatti: non si può più parlare solo di “prodotti di territorio”. E fa degli esempi concreti: I nostri cervi rossi sono geneticamente minacciati dal cervo giapponese sika, importato per formare allevamenti, che si incrocia con i nostri creando degli ibridi. Per non parlare del salmerino alpino che sta colonizzando anche i laghi dall'altra parte delle Alpi”. In un contesto di “contaminazioni” qual è il ruolo dello chef? E cosa può fare per l'ambiente?“Sicuramente valorizzare queste specie ibride attraverso nuovi tipi di preparazioni”. Della stessa opinione Monica Francesca Blasi (Rappresentante di Filicudi Wildlife) e la biologa marina Mariasole Bianco, entrambe spiegano come il pesce pappagallo stia colonizzando il Mar Mediterraneo perché non è commercializzato. “Sollecitiamo lo sviluppo di nuovi piatti” aumentandone così l'impiego. Rincara la dose Mariasole: “Chiediamo agli chef di prestare attenzione ai pesci sostenibili, ovvero quelli che sono frutto di una pianificazione, di quella che in gergo si chiama Area Marina Protetta”.
 

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Le Aree Marine Protette

Lo spiega meglio: “L'80% delle specie viventi vivono nell'oceano, che tra le altre cose rappresenta il nostro polmone, dato che il 50% dell'ossigeno viene dalle alghe che vi abitano e che assorbono anidride carbonica. L'oceano è stato finora la nostra spugna, assorbendo il 93% del calore prodotto in più. Ora però le cose stanno cambiando, e le conseguenze si stanno facendo sentire, penso al riscaldamento delle acque o all'acidificazione degli oceani. Ma anche al fatto che l'80% delle specie che vi abitano sono sovrasfruttate: peschiamo di più di quella che è la capacità del pesce di riprodursi”.

Quindi a fronte di una crescente domanda, l'offerta di pesce sta pian piano diminuendo. Secondo dati Fao, nel 2050 non avremmo più pesce commercializzabile. La soluzione? “Garantiamo delle aree in cui il pesce possa riprodursi. La risposta sono le aree marine protette, che rappresentano la nostra polizza per il futuro”.

Ed è quello che stanno cercando di fare concretamente le biologhe del Progetto Aeolian Islands Preservation Found e, in un'ottica più globale, gli studiosi di Blue Marine Foundation. Che hanno dimostrato concretamente, nel villaggio Lyme bay, come una gestione corretta di queste aree possa rappresentare una svolta anche in termini economici per i pescatori. Punto primo: se gestite in maniera corretta, nelle aree protette il pesce aumenta anche fino al 166% (e di conseguenza aumenta anche il pescato), gli esemplari sono più grossi e producono più uova. Punto secondo: aumenta il valore del pesce (e di conseguenza il guadagno dei pescatori). È quel che si dice un minimo sforzo per una massima resa. Un assunto che ora è certificato.

 

L'etichetta che misura la sostenibilità

Esiste infatti un'etichetta, dal nome Viva, che certifica la sostenibilità, e per ora solo del vino. Lo spiega Ettore Capri (Professore di chimica agraria, Università del Sacro Cuore): Attraverso SOStain intendiamo promuovere un’agricoltura rispettosa dell’ambiente, dando degli strumenti concreti ai consumatori, come per esempio un'etichetta che indica la qualità off grid. Per noi rappresenta una grande opportunità per le aziende”. Sia quelle “obbligate” alla sostenibilità come quella dei capperi di Sapori Eoliani rappresentati sul palco di Care's da Maurizia De Lorenzo - “la raccolta dei capperi deve essere fatta a mano, uno a uno, con il caldo, il sole, e tutte le difficoltà del caso. È un lavoro faticosissimo, ma che deve essere fatto così perché impossibile da meccanizzare” - o come la produzione di malvasia. Sia quelle “virtuose per scelta” come per esempio quella delle Cantine Ferrari, la cui produzione di Trento Doc ha ottenuto una certificazione bio, frutto di un percorso durato vent'anni. È il business della green economy? La risposta univoca è “ben venga”

 

Che significa sostenibilità per i cuochi?

Non ce ne andiamo, però, prima di cercare, ancora una volta e ancora di più, di capire qual è il ruolo del cuoco. Risponde stavolta Corrado Assenza: “Il nostro ruolo, in generale, è riconsegnare alle generazioni future un territorio che abbiamo semplicemente preso in prestito. Dal punto di vista di cuochi e pasticceri significa incentivare i piccoli produttori”. Tralasciando il km zero. “Sono per il km buono, dove si possono anche macinare, i chilometri, per andare a conoscere il casaro piemontese che fa la robiola come la voglio io o per incontrare, a L'Aquila, il produttore di zafferano adatto alle mie preparazioni”. Il pensiero gastronomico nasce in cucina, ma la fonte è la campagna e la destinazione finale il consumatore.
 

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Gli assaggi. Storie da condividere e da raccontare

Si può dire, infine, che Care’s con Salina ha centrato il suo obiettivo etico anche nei piatti presentati: gli ingredienti sono al 90% siciliani, dalle verdure alla frutta, dalla carne al pesce pescato con metodi sostenibili. Una sintesi di Trinacria interpretata attraverso talenti diversi provenienti da luoghi diversi. Si comincia la cena al Resort Capofaro con San Pietro, spugnole, acetosella e ketchup di cetriolo di Anatoliy Kazakov (Selfie, Moscow), per passare al Coniglio in brodo di melanzane con piselli, chips di mais ed erbe della costa di Thorsten Probost (Burg Vital Resort, Oberlech) e Code di gamberi, crema di mandorla affumicata, lattuga di Andrea Berton (Ristorante Berton, Milano). Si continua con Pacote all'isola verde e ricciola di Ludovico De Vivo (Capofaro Malvasia & Resort, Malfa), Agnello alle erbe di Salina, ciliege sciroppate, purea di piselli e scarola alle foglie di cappero di Giancarlo Morelli (Giancarlo Morelli a Milano e Pomireau a Seregno) e Limone, cioccolato, olio, capperi, pomodoro, lampone e mandorle di Diego Crosara (Chef Pâtissier, Agrimontana). Una storia che merita di essere raccontata è quella del piatto di Pino Cuttaia (La Madia, Licata): Memoria Visiva. Che racconta di una finta fettina, “quella che ti dava la mamma quando sembravamo magri o ammalati. Era una fettina sottile e tenerissima, quasi non masticabile, condita solo con un po' di olio e limone. Un piatto semplice e nutriente”. Piatto che Cuttaia agli ospiti del Capofaro Resort prepara sostituendo la carne con un tonno alalunga, ma poco cambia: “È un omaggio all'amore delle nostre mamme. Dove il simbolo più forte è il seme del limone (lasciato appositamente al centro della fettina di alalunga), ovvero la perfezione imperfetta del gesto domestico...Mai una mamma lo avrebbe tolto, mai una mamma lo avrebbe fatto mancare”.
 

St. Hubertus | Rosa Alpina | San Cassiano in Badia (BZ) | strada Micurá de Rü, 20-| tel. 0471.849500 | www.rosalpina.it/

Selfie | Russia | Mosca | Novinsky Blvd., 31 | tel. +7 495 995-85-03 | http://selfiemoscow.ru/

Burg Vital Resort | Austria | Oberlech | 568, 6764 Lech| tel.  +43 5583 3140 | www.burgvitalresort.com/en/

Ristorante Berton | Milano | viale della Liberazione, 13| tel. 02.67075801 | www.ristoranteberton.com/it/

Capofaro Malvasia & Resort | Salina (MS) | Malfa | Via Faro, 3| tel. 090 984 4330 | http://capofaro.it/it/

Giancarlo Morelli | Milano | Hotel Viu, via Aristotile Fioravanti, 6 | tel. 02 80010910 | www.hotelviumilan.com

Pomiroeu| Seregno (MB) | Via Giuseppe Garibaldi, 37| tel. 0362 237973 | www.pomiroeu.com/

La Madia |Licata (AG)| Corso Re Capriata F., 22 | tel. 0922 771443 | http://ristorantelamadia.it/

 

Care’s | Salina | dal 21 al 24 maggio | www.care-s.it

 

a cura di Annalisa Zordan

 

Acquolina a Roma. Oltre 10 anni di storia e di cucina di mare secondo i fratelli Troiani

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Perché non facciamo una vera trattoria di mare?” Con questa idea i fratelli Troiani hanno aperto oltre 10 anni fa Acquolina, che trattoria non lo è stata mai. Ma è stato un riferimento per la cucina di pesce cittadina. Ora che si sposta nel centro di Roma, al The First Hotel nei pressi di Piazza del Popolo, Massimo Troiani e lo chef Alessandro Narducci ci raccontano come è andata.

Pensa che all'inizio volevamo fare una trattoria di pesce...” racconta Massimo Troiani, insieme ai fratelli Angelo (in cucina) e Giuseppe (con Massimo tra sala e cantina) alla guida de Il Convivio Troiani e di Acquolina Hostaria. “Cucina semplice e così pure mise en place, sala e servizio, uno di quei posti in cui neanche ordini: ti arriva a tavola quel che c'è nei vassoi e poi ti servi da solo”. E poi? “Quel lavoro non lo sappiamo fare” ammette candidamente “già prima di aprire, alle prime prove, ci siamo resi conto che non era cosa e siamo tornati a quella che è la nostra storia, Il Convivio”. Che significa una tavola importante, con bicchieri e apparecchiatura di livello. E poi i piatti: costruiti, con contrappunti di sapori e consistenze, note vegetali, impiattamenti accurati. Insomma: alta cucina, ma di mare. Altro che vassoi da portata. “Ci piaceva l'idea di fare qualcosa di diverso, era uno stimolo e una sfida”. Come quella della scelta della cucina: “le persone che non mangiano pesce sono più di quante si immagini, fare solo pesce taglia fuori una fetta di clientela, a meno di non avere almeno qualche proposta di carne, come fanno molti colleghi”. Invece voi? “Nulla, proprio niente: i nostri animali non mangiano erba”. E questo, che poteva essere un limite, è diventato il canone con il quale percorrere nuovamente la loro esperienza di ristoratori.

Massimo Angelo Giovanni TroianiMassimo, Angelo e GIovanni Troiani

Il Convivio

Traducendo quello che, da quasi 30 anni, fanno nella loro prima insegna, quel Convivio Troiani che ha saputo coniugare tradizione romana e alta ristorazione. Aperto nel 1990, il Convivio – tre eleganti sale in pieno centro storico, a vicolo dei Soldati – è un riferimento sicuro: qualità della materia prima, grande cantina, servizio di alto livello, ambiente caldo e curato, e una cucina solidissima, immediata e sincera, dalla famosa amatriciana ad altre riletture di piatti locali fino alle creazioni più originali. Che non trascurano mai la gola a favore di ragionamenti gastronomici troppo astratti. Centrando in pieno quel che, non troppo velatamente, è il loro obiettivo: inventiva, sì, ma a servizio del gusto. E la fedeltà a una tradizione di famiglia fatta di ottimi prodotti e di qualità, di piatti veraci e gustosi. Nel lungo percorso di questo ristorante ci sono stati momenti diversi e diverse fasi. Quel che non è mai mancato è il favore di un pubblico equamente distribuito tra clientela affezionata e turismo di alta fascia, che trova, qui, calore e sapori italiani e perfettamente riconoscibili, concretezza e una cantina che capace di dare parecchie soddisfazioni. Un'interpretazione dell'alta ristorazione mai algida, molto affettuosa.

 

Baccalà e patate

Gli inizi con Giulio Terrinoni

Da quella prima idea di trattoria di pesce sono passati 12 anni, e molte cose sono cambiate. “Quando abbiamo aperto eravamo sei soci, sei amici. Volevamo fare praticamente tutto da noi, essere indipendenti dai dipendenti” scherza Massimo “ma poi ci siamo resi conto che ci serviva il personale giusto. Noi dovevamo seguire il Convivio” e Acquolina, che osteria non lo era mai stata se non nel nome, aveva bisogno di persone capaci in sala oltre che in cucina. “Nell'arco di un anno siamo rimasti noi tre e Giulio”. Giulio sarebbe Giulio Terrinoni, per quasi 10 anni alla guida della cucina di Acquolina, oltre che socio. “Fino ad allora non aveva mai lavorato in un ristorante di solo pesce, insieme ad Angelo hanno definito la linea di cucina”. Non era facile. “Volevamo proporre dei piatti che fossero nuovi, ma prima di tutto buoni. La bontà deve essere la prima cosa”. E allora iniziano, Angelo Troiani e Giulio Terrinoni, a mettere a punto quello stile che diventerà, poi, così identificativo con quel quinto quarto di pesce che ha fatto epoca e ancora – nonostante non sia più così raro – a Roma riconduce direttamente a loro. Trippa di rana pescatrice, lingua di baccalà. Ma come vi sono venti in mente? “La cucina è un po' come la vita” riflette Massimo “spesso le cose le scopri per caso, può succedere ovunque, al mercato o in un ristorante indiano: vedi qualcosa che ti rimane impresso e da lì nascono i piatti”.

 

La scuola

A pochi passi da Acquolina c'è il Coquis, la scuola di cucina firmata Troiani. L'evoluzione di quella grande fucina di talenti che è stata ed è tuttora il Convivio. “Abbiamo sempre pensato che la grande difficoltà dei ristoratori fosse trovare personale qualificato” e loro, di cuochi che avrebbero preso il volo, ne hanno tenuti a battesimo parecchi:“Cristina Bowerman, Davide Del Duca, Davide Cianetti, lo stesso Giulio” per fare solo qualche nome. “Ne avevamo formati tanti al Convivio, allora ci abbiamo creduto” e hanno messo a sistema quell'attitudine e creato la loro scuola, forti delle esperienze di Angelo in altre strutture come Gambero Rosso e Alma. “C'era la voglia di fare da traino, di tramandare questa cultura, di non insegnare solo ricette ma tecnica e pensiero di cucina”. La scuola va “il 99% dei ragazzi che escono da una scuola importante trovano lavoro, come una volta era per ragioneria o geometra. Aesso ci sono le scuole di cucina dove inizi il tuo percorso, solo pochi mesi, certo, ma il buongiorno si vede dal mattino”.

 

trippa ranaTrippa di rana pescatrice

La cucina romana è mamma

C'era pure il gusto di fare qualcosa che non si era ancora fatto, ma non era quello il primo obiettivo”. Non l'innovazione a tutti i costi né la conservazione immobile della tradizione. “La cucina romana per noi è mamma, anche perché stiamo a Roma e a Roma siamo legati” spiega, forte dell'esperienza al Convivio, “ma non c'è un solo tipo di cucina. O meglio c'è: la grande cucina. C'è quella e basta, quella buona con una grande materia prima, qualsiasi sia il genere; la cucina è evoluzione”. Anche un'amatriciana può essere un grande piatto insomma. “E può cambiare. 10 anni fa nessuno pensava a rinnovarla, invece lo abbiamo fatto. Al Convivio come da Acquolina, noi speriamo solo di fare grandi piatti. Di sostanza ma eleganti. È questo il nostro obiettivo”. Così sono nate le carbomare, la bistecca di tonno, il famoso fritto di Acquolina e la torta di patate e baccalà. In quel locale in una stradina un po' nascosta a Collina Fleming.

 

ingresso

L'ingresso della veccha Acquolina

L'importanza della zona

Il quartiere? Conta tantissimo” dice Massimo “Fleming è stato per Acquolina una scelta sbagliata. Pensavamo che Roma Nord potesse assicurarci una buona clientela, avevamo anche il richiamo di un nome importante come Troiani. Ma questo non basta mica”. Perché a essere decentrati si perde il passaggio, i turisti, la clientela internazionale, quella che dal grande albergo vuole andare a un ristorante di livello, ma in centro città. “Siamo contenti, ma inutile dire bugie: il successo è un'altra cosa. Successo è quando hai la lista d'attesa e devi rifiutare le prenotazioni, quando hai persone da tutto il mondo e non solo 20 gourmet”. Anche perché americani o tedeschi possono fare la differenza, in termini di incasso. “Siamo l'unico stellato di pesce di Roma, questo negli anni ci ha convinto che il nostro pensiero di ristorazione era valido anche declinato su un ristorante di solo pesce: alta qualità per la cucina, la cantina, il servizio e la location”. La location era l'elemento debole. Era, perché tra pochi giorni Acquolina riaprirà. Questa volta a un passo da Piazza del Popolo.

 

tataki ricciola

Tataki di ricciola

Il cambio sede

Cerchi le occasioni, e quando capitano speri di fare la cosa giusta. Ma lo sai solo dopo se è così”. E per i fratelli Troiani, l'occasione si è presentata quando Riccardo Di Giacinto e Ramona Anello si sono trasferiti con il loro All'Oro alThe H'All Tailor Suite. Ancora una sfida, perché insieme a un nuovo spazio i tre, con Alessandro Narducci in cucina (successore di Terrinoni quando ha deciso di giocare – e alla grande – da solista con Per Me) e il restaurant manager Andrea La Caita in sala (suo è La Sibilla e sua quel Vesta che illuminò, per pochissimo, Tivoli di luce gourmet), hanno preso in gestione tutto il food and beverage dell'hotel. “Dalle colazioni al dopo cena, e man mano metteremo mano a tutto”. Praticamente dalle 6 di mattina alle 2 di notte. Impegnativo? “Sì, ma quando vedi Roma - quella Roma - dall'alto, lo spettacolo vale il biglietto”. La terrazza al sesto piano The First stordisce per la vista che offre. Ed è sede dell'AcquaRoof, un distillato di Acquolina. Lo spazio informale (e già aperto) che declina in veste più easy, la cucina di casa. Il fulcro della proposta gira su piccoli assaggi da spizzicare, le gocce, sorta di tapas (crudi di pesce, pata negra, ostriche) che affiancano un menu ridotto, semplice e solido: tagliolini al pomodoro, al basilico, burro e parmigiano, oppure preparazioni alla griglia: galletto, entrecote e via così. Semplicità ai massimi livelli. Per i drink Luca Moroni sta studiando una lista di cocktail che possano accontentare i due spazi, il gourmet al piano terra e l'AcquaRoof, mentre la base della cantina è quella di Acquolina, un punto di partenza di livello.

acquoinaRavioli 3.0

L'era Narducci

Ho due spazi diversi in una location incredibile per esprimere il concetto di Acquolina” dice Alessandro Narducci, 28 anni, da un paio alla guida della cucina. Arrivato dopo Terrinoni, alle spalle due anni con Heinz Beck a Dubai (cui deve l'organizzazione maniacale, l'idea del coordinamento come mezzo indispensabile per raggiungere il risultato) e prima ancora al Convivio. “Subentrare alla guida di Acquolina mi metteva molta ansia. Ma la famiglia Troiani non solo mi ha dato fiducia, ma mi ha aiutato a focalizzare gli obiettivi”.

Inizia mantenendo il vecchio menu e poi, pian piano aggiunge la sua impronta: “il primo pensiero è stata la materia prima. Quel che dice Giulio è un comandamento: al mare si pesca e non si fa la spesa, siamo il megafono di quel che fanno i produttori”. Inizia quindi dal lavoro sui fornitori. “Poi sono andato a sviluppare il mio concetto: per me quella di Acquolina è una cucina in movimento, bella e buona, mai ferma”. E sembra di sentire parlare Massimo Troiani quando dice: “Elegante, anche un po' ruffiana a tratti, perché deve essere golosa. Buona: da soggettivamente buona deve essere oggettivamente buona”. Certo, tecnica e design fanno la loro parte, come nel Tataki di ricciola e panzanella come a Roma e Linguine con vongole e radice quadrata di prezzemolo che rileggono il classico, con la lattuga di mare e il vegetale ad aggiustare la sapidità, e la nota aromatica della clorofilla di prezzemolo che accende anche di colore il piatto. Poi la scintilla è scoccata: “mi sono innamorato del progetto Acquolina, è diventata la mia prima ragione. L'ho sentita mia” e non solo in senso simbolico dato che è anche lui tra i soci. Il team di cucina oggi conta 16 giovani cuochi, tra cui, in pasticceria, Lorenzo Sfavone che era con Narducci a Dubai. “Ho la voglia di far crescere questo posto, la fame di riuscire” dice, e aggiunge che è quello l'ingrediente segreto: “la fame, l'acquolina. Quando cucino con la fame ho uno stimolo forte, come se avessi un senso in più e un contatto diverso con il piatto”.

Il futuro

Tra pochi giorni aprirà anche Acquolina, dopo il dovuto restyling: cantina a vetri climatizzata nella sala, luci più calde, tavoli e sedie importanti, ceramiche e mise en place di design. “La cucina sarà quella di Acquolina di prima”: grandi crudi, fritture molto delicate. Ma con qualcosa in più, e di diverso, già dalla carta. Dimenticate la classica scansione tra antipasto, primo e secondo. Ci saranno, semplicemente, degli elementi, da gustare nell'ordine e nei modi che ognuno vuole. “Magari dal sapore più intenso a quello più delicato, o da quello con una salsa calda al crudo” spiega Narducci, e aggiunge. “Ogni piatto ha la sua autonomia”. Quindi, sospesi sul menu, si leggono voci come: pasta lunga, friggere, zuppa prima e dopo. A seguire le tracce della gastronomia mediterranea, italiana nello spirito, nell'eleganza, in quei sapori ben distinti. Mediterranea nelle molte suggestioni che l'Italia ha accolto ed elaborato nei secoli, tutte quelle delle culture che affacciano su questo mare chiuso: araba, turca, greca. “La cucina italiana è incredibile, cambia tutto a distanza di 100 chilometri. Quello che rimane uguale è l'approccio, la personalità e l'armonia dei sapori”. Rimane quell'attenzione alla materia prima nostrana, l'attaccamento ai prodotti. “Ho chiuso gli occhi e ho capito che per raggiungere grandi obiettivi e grandi risultati dovevo fare qualcosa che fosse veramente mio” spiega “altrimenti se non trasmetto memoria ed emozioni non posso trasmettere nulla realmente, e questo posso farlo solo con quel che conosco davvero, perciò dovevo estrapolare la grande di cucina italiana”.

 

Acquolina Hostaria | Roma | The First Luxury Art Hotel| via delVantaggio, 14 | tel. 06 4561 7070| http://acquolinahostaria.strikingly.com/

Il Convivio Troiani | Roma | Vicolo dei Soldati, 31 | tel. 06.6869432 | http://www.ilconviviotroiani.com

 

a cura di Antonella De Santis

 
 
 

Etichette a semaforo. Sicurezza o allarmismo? Il no delle associazioni della ristorazione riunite

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Introdotto nel Regno Unito diversi anni fa, oggi arrivato anche in Francia, il sistema di etichettatura con codice colore – rosso, giallo o verde – potrebbe danneggiare i prodotti di qualità made in Italy. A sostegno del ministro Martina, contrario al provvedimento, le associazioni della ristorazione italiana diramano una lettera: “Il semaforo? Sta bene solo in strada”. 

L’etichetta a semaforo. L’origine, il metodo

Ambasciatori del Gusto, Chic, Euro-Toques Italia, FIC, JRE e Le Soste. Tutti insieme per un obiettivo comune: sostenere il Mipaaf contro l'introduzione del cosiddetto schema di etichettatura “a semaforo”, quello basato sul codice colore già adottato da tempo nel Regno Unito. Uno schieramento interforze, dunque, che si propone di contrastare con forza “un sistema intuitivo ma altrettanto semplicistico nella classificazione nutrizionale, che penalizza molte eccellenze italiane”. È questo uno dei punti focali della lettera diramata oggi dai rappresentanti delle diverse associazioni di chef e ristoratori della Penisola, che riuniscono le personalità più influenti del panorama gastronomico italiano. Ma facciamo un passo indietro per addentrarci nelle pieghe di un regolamento introdotto oltre la Manica nel 2013, attribuendo ai prodotti alimentari bollini e colori in base alla concentrazione di zuccheri, sale, grassi e calorie presenti in 100 grammi di prodotto. Di fatto, il temibile bollino rosso interviene quando l’alimento in questione supera determinate percentuali di concentrazione per tali sostanze. Negli altri casi, se le quantità restano sotto la soglia d’attenzione, il bollino sarà giallo, o verde nella migliore delle ipotesi. Classificazione intuitiva, come si diceva, e immediatamente riconoscibile.

I rischi per il made in Italy

Eppure il ministro Maurizio Martina ha espresso tutta la sua perplessità davanti ai Commissari preposti dell’Unione Europea. Perché? L’esempio lampante è ben riassunto nella lettera congiunta delle associazioni: se la riduzione degli zuccheri è ok, mentre l’eccessiva concentrazione di grassi (senza distinzioni di sorta tra grassi buoni e cattivi) costituisce uno spauracchio da cui girare alla larga, “c’è il serio pericolo di ritrovarsi davanti al paradosso di un bollino verde assegnato a una bibita gassata con dolcificante e di un bollino rosso per il nostro extravergine di oliva”. E lo stesso può dirsi per formaggi, salumi, insaccati e specialità artigianali della tradizione italiana – dal Parmigiano Reggiano al Prosciutto di Parma, alla mozzarella di bufala - che certo non si segnalano per il profilo light del tabellino nutrizionale, ma sono indubitabilmente un vanto della cultura gastronomica tricolore, perché prodotti con ottimi ingredienti. E, ci sembra opportuno sottolineare, più salutari e genuini di una bibita gassata dolcificata.

I bollini colorati. Pro e contro

Intanto, dopo alcuni mesi di sperimentazione, anche la Francia ha approvato il suo sistema di etichette nutrizionali a semaforo, secondo una duplice classificazione a lettere e colori, che tiene conto anche dei “buoni” (proteine e fibre) per attribuire un punteggio agli alimenti (mentre il Regno Unito considera solo i “cattivi”). In entrambi i casi, il criterio di semplificazione delle etichette è stato premiato dall’Oms, che appoggia il sistema del semaforo. E pure le grandi multinazionali, da Coca Cola a Nestlè, spingono perché il sistema diventi uno standard europeo. Nel mezzo c’è chi sostiene l’utilità delle etichette a semaforo solo in presenza di alimenti trasformati (come avviene in Francia), e a supporto dell’elenco degli ingredienti comunque riportato sulla confezione. Diverso invece il caso degli alimenti “puri”: pasta, farina, olio, e tanti prodotti a marchio Dop e Igp che sono motivo d’orgoglio – e di indotto economico – per l’Italia, che rischiano di essere ingiustamente messi in cattiva luce. Netta è invece l’opposizione delle associazioni di categoria riunite, che con “azione sincronizzata e di sistema” si schierano per “rimuovere questo elemento distorsivo e altamente dannoso del mercato”, seguendo l’esempio di Confindustria, che un paio di mesi fa accusava il sistema a semaforo di “massificare e appiattire i consumi alimentari”.

 

Ecco il testo integrale della lettera:

Il semaforo? Sta bene solo in strada

L’Associazione Italiana Ambasciatori del Gusto, CHIC, Euro-Toques Italia, la Federazione Italiana Cuochi (FIC), Jeunes Restaurateurs Italia (JRE) e Le Soste si schierano a favore e a supporto dell’azione del Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali Maurizio Martina che ha espresso un “no” convinto al Commissario Europeo per la Salute e la sicurezza alimentare e al Commissario Europeo per l'agricoltura e lo sviluppo rurale sullo schema di etichettatura nutrizionale basato sul "codice colore" già adottato nel Regno Unito.

Nel giugno 2013 il Regno Unito ha introdotto un sistema a bollini colorati in etichetta, la cosiddetta "etichettatura a semaforo", bollini e colori che vengono assegnati in base alle calorie, ai grassi, agli zuccheri e al sale presenti in 100 grammi di prodotto. Quindi, quando in un alimento uno di tali aspetti è presente oltre determinante percentuali di concentrazioni, sulla confezione viene apposto un bollino rosso. Altrimenti il verde o il giallo.

Riteniamo si tratti di un sistema intuitivo ma altrettanto semplicistico nella classificazione nutrizionale che penalizza molte eccellenze italiane, nonostante non siano affatto pregiudizievoli per la salute dei consumatori.

Con questo meccanismo, c’è il serio pericolo di ritrovarsi davanti al paradosso di un bollino verde assegnato a una bibita gassata con dolcificante e di un bollino rosso per il nostro extra vergine di oliva.

Sono i prodotti agroalimentari del nostro Paese più richiesti al mondo (formaggi, salumi, olio, vino etc.), che utilizziamo quotidianamente per le creazioni dei piatti, motivo di vanto e di successo dell’arte culinaria italiana.

Con questa azione sincronizzata e di sistema tutti noi vogliamo evidenziare la nostra indiscutibile posizione e il supporto a tutti gli organi governativi nel richiedere l'intervento della Comunità Europea e la cooperazione del Regno Unito per rimuovere questo elemento distorsivo e altamente dannoso del mercato.

Ambasciatori Del Gusto – CHIC – Euro Toques Italia – FIC – JRE – Le Soste

 

a cura di Livia Montagnoli

Emporio Armani Ristorante e Caffè a Bologna. La ristorazione della maison arriva in Galleria Cavour

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Dopo Milano, Tokyo, New York e Dubai arriva anche nel cuore dello shopping esclusivo bolognese la proposta di ristorazione della maison meneghina, che in Galleria Cavour ha inaugurato in sordina ristorante e bar. Per una cucina classica, ma contemporanea, e di territorio, affidata a Ivan Poletti. Intanto Vincenzo Vottero trasloca all'ex Biavati e apre ViVo. 

Sessant'anni di Galleria Cavour

Alla fine degli anni Cinquanta, sotto il Pavaglione di piazza Cavour, l'apertura dei primi negozi sancisce il ritorno alla normalità di un Paese che ha vivo il ricordo della guerra, ma è già proiettato verso quel boom economico che porterà alla ripresa commerciale e sociale di molte città. Bologna compresa. E l'allora nascente Galleria Cavour, polo d'aggregazione che attraversa la vita commerciale del capoluogo emiliano fino ai giorni nostri, rappresenta la voglia di ricostruire: sin dall'inizio lo spazio ricavato al piano strada dei palazzi storici a cavallo tra piazza Cavour e il centro storico all'ombra delle Due Torri attira grandi firme dell'epoca, molte legate al mondo dello sport, della calza, del guanto. E col tempo la Galleria diventa il luogo deputato al fashion luxury di Bologna, tra affreschi e pavimenti ottocenteschi in marmo. Oggi si calcola che il centro commerciale sia in grado di attirare ogni anno circa 3 milioni di visitatori, che attraversano la Galleria sfilando tra le vetrine di Bulgari e Bottega Veneta, Brunello Cucinelli, Tiffany, Prada e Saint Laurent. E mentre da Ascom-Confcommercio arrivano buone nuove circa la riqualificazione della piazza antistante (tre anni e oltre 40mila euro di stanziamento per i lavori), con l'obiettivo di rivitalizzare l'area a tutto vantaggio del passaggio in Galleria (oggi di proprietà della famiglia Sassoli De Bianchi), tra le vetrine più esclusive della città si concretizza il progetto di ristorazione di casa Armani, annunciato da tempo e operativo da una decina di giorni.

Ristorante e caffè by Armani

L'Emporio Armani Caffè e il ristorante, sul modello di altre capitali internazionali – Milano unica italiana – avrebbero dovuto inaugurare già lo scorso febbraio, occupando due locali temporary, di pertinenza della celebre maison, affacciati su via Massei. I lavori, affidati al bolognese Paolo Castelli (che ha curato pure il design degli interni), si sono prolungati per qualche mese in più. Ma ora il risultato è sotto gli occhi di tutti, specie dei tanti bolognesi che ricordano con nostalgia i tempi del Bar Viscardi, insegna storica dell'ammezzato, che diversi anni fa ha chiuso i battenti. E il progetto ristorativo di Armani, seppur modulato su standard differenti, potrebbe colmare il vuoto lasciato in Galleria sul fronte dell'offerta gastronomica. L'allure, però, è quella di una destinazione esclusiva, garbata nellarredo degli spazi e nell'uso dei colori, come consuetudine sulle passerelle della maison: mise en place essenziale, senza tovaglia, parquet in legno chiaro e illuminazione curata. Ristorante e bar, uno di fronte all'altro, attirano già molti curiosi; l'idea è quella di valorizzare le filiere produttive del territorio, la stagionalità e le eccellenze agroalimentari emiliane, che sono tante. La filosofia, quella più volte rimarcata da Giorgio Armani in sartoria come sulla tavola dei ristoranti del gruppo, spinge l'offerta gastronomica verso un approccio contemporaneo, ma classico. E per rendere giustizia al progetto, al comando della brigata, è arrivato Ivan Poletti, reduce dall'esperienza alla Cantina Bentivoglio (e pure da uno stage presso Gino Fabbri, di recente, per approfondire la conoscenza con dolci e lievitazioni).

La cucina. Classica, ma contemporanea

Si apre a pranzo e cena, dal lunedì al sabato, il bar, invece, accoglie i clienti no stop dalle 8.30 alle 22.30. In menu anche una sezione dedicata ai Gusti dell'Emilia Romagna, la selezione dei salumi, le tagliatelle e la cotoletta alla bolognese, il fiordilatte con caramello. Dalla carta, invece, si spazia tra un bignè al tartufo nero a la Tartara Emporio Armani, con fonduta al Parmigiano, uovo di quaglia e tartufo, il Cappuccino di crostacei e i triangolini di pasta verde ripieni di vitello con zabaione di Parmigiano Reggiano e riduzione di balsamico. Ma c'è anche l'iconico Risotto Armani Milano (zafferano e Parmigiano 24 mesi). Tra i secondi sogliola alla mugnaia o maialino da latte con mele speziate, galletto alla griglia o tonno scottato con zucchine in crema. Il conto, alla fine, si aggira sui 60 euro per un pasto completo. Ma si può ripiegare anche sulle insalate, il Club sandwich, o l'hamburger con pane artigianale. Ancora un progetto ambizioso, dunque, nel cuore storico della città, che solo un paio di mesi fa ha visto rinascere Palazzo Bega grazie all'operazione Bottega I Portici, destinata però alla fruizione di un pubblico più trasversale.

 

Vincenzo Vottero inaugura ViVo

Nel frattempo anche Vincenzo Vottero, che si appresta a inaugurare una “spiedineria” molto particolare in via Santo Stefano (di Stix vi abbiamo parlato qui), rilascia al Corriere di Bologna le prime indiscrezioni sul grande progetto che prenderà forma in piazza di Porta Saragozza, all'ex Biavati. Di fatto, tra qualche settimana (il 2 giugno si inaugura), lo chef dell'Antica trattoria del Reno (che resterà di sua proprietà, in cucina Enrico Bigi e una nuova proposta di grill e bbq, nuova inaugurazione l'11 giugno) sposterà il suo quartier generale nel nuovo locale che porta il suo nome: ViVo, Vincenzo Vottero Taste Lab. Con lui tutto lo staff di cucina e di sala dell'Antica trattoria, e il socio Ugo Nazzarro. Tra le proposte di ricerca più ambiziose, una miscelazione che scommette su tecniche all'avanguardia per l'abbinamento con i piatti e una linea di panificazione e pasticceria di alto livello. Lo spazio (con giardino/cocktail bar), del resto, è grande, anche se accoglierà solo una settantina di coperti al massimo.

 

Emporio Armani Ristorante e Caffè | Bologna | Galleria Cavour, 1/V | tel. 051 268747 | http://armanirestaurants.com//bologna-emporio-armani-ristorante

ViVo | Bologna | piazza di Porta Saragozza, 6 | tel. 051 334568 | www.vivoristorantebologna.it

 

a cura di Livia Montagnoli

L'Arte del sushi. Un viaggio nella cultura gastronomica giapponese attraverso la penna di 8 grandi esperti

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L'ultimo libro di Stefania Viti completa una trilogia dedicata alla tradizionale pietanza giapponese che ha avuto fortuna in tutto il mondo e riunisce i contributi di noti critici e giornalisti enogastronomici. L'incontro con l'autrice alla presentazione del volume. 

Lo possiamo definire il primo libro di cultura gastronomica giapponese in lingua italiana e il merito di questa opera va tutto alla curatrice Stefania Viti che con L'Arte del Sushi ci regala un percorso fatto di storia, aneddoti e incontri con chef nostrani. Il volume fa parte di una trilogia dedicata al tipico piatto giapponese e in occasione della presentazione a Roma abbiamo scambiato due chiacchiere con l'autrice, che già sta preparando una pubblicazione incentrata sul ramen che uscirà in ottobre. Tra le pagine del libro sono presenti i contributi di otto tra esperti di cultura del Sol Levante, ma anche critici e giornalisti enogastronomici tra cui Davide Oltolini, scomparso la scorsa estate. Attraverso la loro penna si sviluppa un percorso che coinvolge storia, rituali, tradizioni della gastronomia giapponese, ma anche arti come la letteratura e il cinema.

L'opera, che è una versione ampliata del primo volume edito da Feltrinelli che uscì nel 2013 con il dvd “Jiro e l'arte del sushi”, non contiene però ricette, in quanto, spiega l'autrice, non ci si è voluti concentrare sulla preparazione del piatto, ma si è voluto usare quest'ultimo per spiegare l'approccio culturale dei giapponesi al cibo. Praticamente parliamo di un viaggio gastroculturale nel mondo del sushi fatto di splendidi manga originali, ma soprattutto di importanti contributi. Oltre al già citato Davide Oltolini, infatti, hanno contribuito Allan Bay per quanto riguarda la prefazione e, per i saggi, Pio D’Emilia, Miciyo Yamada, Niccolò Geri, Stefano Carrer, Associazione Culturale Giappone in Italia, Paola Scrolavezza, Graziana Canova Tura. Nel libro anche un’intervista a Minoru “Shiro” Hirazawa di Stefania Viti.

L'autrice, Stefania Viti, è una giornalista che collabora con molte importanti testate nazionali, è membro dell’AISTUGIA (Associazione Italiana per gli Studi Giapponesi) e ha vissuto in Giappone per una decina d'anni. Chi meglio di lei può condurci alla scoperta del sushi?

 

L'Arte del Sushi | Stefania Viti | Gribaudo | pp.168 | 12,90€

 

a cura di Indra Galbo

 

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