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“Giovani, investite sull’extravergine. Si può”. Quando il ritorno alla terra ripaga

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Dall’Umbria un oliveto modello, sintesi di tradizione, territorialità e di avanzate tecnologie. Protagonisti due giovani fratelli di Trevi e un agronomo. Obiettivo: meno costi, più qualità, più olio per le famiglie… 

Non è facile trovare chi è disposto a investire in 20 ettari di oliveto nuovo, tutto da impiantare. Eppure, i due giovani fratelli Gaudenzi, Stefano e Andrea, hanno deciso di puntare tutto sull’olio extravergine di oliva. Certo, loro sono figli d’arte, ma Francesco – il papà – si occupa prevalentemente del frantoio, uno dei più blasonati nell’agro di Trevi (anche quest’anno hanno avuto le Tre Foglie nella guida Oli d’Italia 2017). Loro due hanno preso in mano l’azienda agricola e si sono messi a coltivare olivi. L’extravergine è un prodotto tradizionale, antico, ma come lo conosciamo oggi, come possiamo assaggiarlo oggi non è mai esistito nella storia dell’umanità.


Tradizione e hi-tech

Stefano e Andrea, pur nell’alveo della tradizione olearia umbra, puntano proprio a questo: fare sempre meglio, avere un olio sempre più buono, percorrere un percorso fatto di rispetto massimo per l’ambiente, sostenibilità e alta tecnologia. Questo per avere olive migliori, ma anche per avere più produzione senza scalfire – anzi aumentando – la qualità del prodotto. E per qualità si intende un olio assolutamente privo di difetti, vivo e vitale, con un bel carico di biofenoli e dal profilo organolettico importante. Insomma, olio umbro, ma di nuova generazione. A partire dalla possibilità di non entrare quasi per niente nell’oliveto con mezzi meccanici, limitare al massimo le emissioni di CO2, gestire il controllo delle piante e dei cicli vegetativi da remoto (tramite sensori e computer), utilizzare bioindicatori importanti per prevenire anziché correre a curare. Un grande investimento che i due fratelli, insieme all’agronomo Andrea Sisti, ci raccontano dal loro stand presso il Sol di Verona.

 

a cura di Stefano Polacchi


GasTrOnomica al Salone del Libro di Torino 2017. Buono da mangiare... E da pensare

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Dal 18 al 22 maggio il Lingotto ospiterà la trentesima edizione della manifestazione dedicata all'editoria internazionale e al piacere della lettura. All'esordio il format di Slow Food su racconti di cibo, biodiversità, cultura alimentare e consapevolezza a tavola. Gli appuntamenti. 

Leggere (e parlare) di cibo

Dove la bibliodiversità incontra la biodiversità, recita lo slogan di GasTrOnomica. E allora cominciamo a contestualizzare, cogliendo i riferimenti più espliciti: si parlerà molto di libri, garantendo spazio a una pluralità di opinioni e pensieri in libertà; e altrettanto di cibo buono, da mangiare e da pensare. Un intreccio fruttuoso tra dimensione letteraria e tavola di qualità per presentare al Salone del Libro di Torino – la 30esima edizione si apre al Lingotto tra pochi giorni, dal 18 al 22 maggio – la migliore editoria gastronomica, chiamando a raccolta tante personalità del settore che “condividono l’idea che il cibo debba essere sostenibile lungo tutta la sua filiera, da chi lo produce a chi lo consuma”. Il format esordisce quest'anno nell'ambito del più importante appuntamento italiano dedicato a chi ancora coltiva il piacere della lettura, con un nutrito calendario di incontri rivolti al pubblico generalista e ai professionisti. L'area dedicata troverà spazio all'interno del Padiglione 1, articolata in due zone tematiche complementari: Cultura Gastronomica e Officina Gastronomica. La prima delle due sarà piazza per riflettere su sostenibilità e tutela della biodiversità, agricoltura innovativa e filiera consapevole. Temi legati al consumo alimentare spiegati dagli addetti ai lavori, chef, pizzaioli, osti e imprenditori in un confronto diretto con gli autori, da Philippe Daverio Carlo Petrini, da Dario Bressanini Giovanni Nucci, a Simran Sethi. L'Officina, invece, è riservata ai professionisti che vogliono aggiornarsi su temi e problemi dell'editoria gastronomica: l’analisi delle tendenze, del successo di trasmissioni televisive legate al mondo del cibo, dall’importanza dei libri illustrati ai blog di ricette. Ma ci sarà spazio anche per i laboratori didattici, dedicati a bambini, scolaresche e famiglie. E per non dimenticare la manifestazione che ospita il format, Gastronomica sarà pure contenitore di una Libreria gastronomica internazionale che mette in fila una rappresentanza dei più importanti editori di settore dal mondo, con nuove uscite e best seller da sfogliare e acquistare. Per l'Italia Slow Food Editore (che supervisiona il progetto e presenterà al Salone la nuova collana Slow Life, ricettari attenti a stagionalità, salute, sicurezza alimentare), Gribaudo, Guido Tommasi, Gambero Rosso, Giunti, Edt.

 

L'agenda. Appuntamenti da non perdere

Tra gli appuntamenti in programma, giovedì 18 si parla di Geometria del Panino con Alessandro Frassica, Alberto Capatti e Anna Prandoni, ma pure di Pasta e Pizza senza confini in compagnia di Eleonora Cozzella, Marzia Buzzanca, Tania Mauri, Alessandra Guigoni, Matias Perdomo e Antonio Puzzi. Alle 12 il laboratorio per bimbi dai 6 ai 10 anni Alla scoperta delle api. E alle 15 il Ritratto del cuoco giovane con Marco Bolasco, Stefano Cavallito, Alessandro Lamacchia, Anna Morelli, Paolo Vizzari.

Venerdì 19 si riflette sullo spreco alimentare con il Banco Alimentare del Piemonte e Comieco, e nel pomeriggio l'Officina ospita un focus su fermentazioni e cottura a bassa temperatura. Ma si parla anche di viaggi e cibo, ristorazione collettiva intelligente, cucina mediterranea e terapie oncologiche.

Nella terza giornata, sabato 20, editori a confronto sul palco, degustalettura con Adriano Giannini, il dialogo tra narratori che amano il cibo, lo scrivono e lo descrivono con Matteo Codignola, Sara Porro, Luca Iaccarino, Giovanni Nucci.

Domenica 21 è il giorno delle sante pietanze, della digressione sul mondo del vino con Tiziano Gaia, Luigi Moio e Fabio Pracchia per imparare nuovi modi di degustare, del binomio cibo e arte accompagnati dalla narrazione di Philippe Daverio.

Si chiude lunedì 22 con la critica “ a km 0”, il laboratorio per conoscere e degustare il burro, il Trattato sui vini di Arnaldo da Villanova, ricettario alchemico per l'elisir di lunga vita.

 

Gastronomica al Salone del Libro | Torino | Lingotto, Padiglione 1 | www.salonelibro.it/it/salone-2017/gastronomica.html

 

a cura di Livia Montagnoli

Sourced Market a Londra. Storytelling e produttori indipendenti per il farmer's market con cucina di città

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Dal 2009 a oggi Ben O'Brien e i suoi soci hanno aperto quattro punti vendita in città, tutti dedicati all'honest food, prodotti di qualità selezionati con uno scouting serrato tra i produttori indipendenti di Londra e dintorni. La storia comincia in tempi non sospetti alla stazione di St. Pancras, fino alla recente apertura di Barbican, che conferma il modello vincente dello store con cucina dell'orgoglio gastronomico inglese. Modello Eataly? 

Il mercato “contadino” di St. Pancras

Per risalire alle origini del progetto bisogna tornare indietro al 2009, quando ancora la soglia di sensibilità verso filiera corta e biodiversità alimentare era piuttosto bassa. Tempi pioneristici. E l'orizzonte di produzioni bio e politiche di educazione alimentare decisamente limitato. Eppure il primo Sourced Market, a Londra, intercettava un fenomeno destinato a crescere in modo esponenziale, sfruttando come trampolino di lancio il palcoscenico di una delle più importanti stazioni ferroviarie cittadine. E anzi rispondendo proprio all'esigenza di centinaia di pendolari in transito ogni giorno tra scale mobili e pensiline: poco tempo a disposizione, un panino al volo, due o tre acquisti per la cena da mettere in tavola dopo una giornata di lavoro. L'idea, dunque, quella di riunire in un unico spazio il meglio delle produzioni locali: prodotti freschi, conservati e bevande di qualità, etici e sostenibili, sugli scaffali di un food market urbano ispirato ai mercati contadini. Prima tappa la stazione di St. Pancras, con vendita al dettaglio e somministrazione di cibo e bevande, caffè, birre artigianali e vini naturali, panini e piatti leggeri per una pausa pranzo veloce.

Sourced Market. L'idea

Il progetto, in realtà, risale al 2007, quando tre soci in arrivo dall'industria della musica – Ben O'Brien è il motivatore del gruppo -  muovono i primi passi nel settore del cibo di qualità, ispirati da produttori (e prodotti) del Borough Market. E allora perché non portare i piccoli produttori indipendenti inglesi su nuovi palcoscenici, al cospetto di una platea assai più trasversale? Seguono due anni di lavoro intenso, ricerca e studi di fattibilità che portano allo sviluppo del format inaugurato a St. Pancras nell'estate 2009. Nel 2016 lo store contadino replica a Marylebone Lane (con uno spazio indipendente dal design curato, grande isola centrale per la somministrazione, cantina, beershop e tap room al piano interrato) e Victoria (in Buckingham Palace Road, con isole tematiche per zuppe e stufati, charcuterie, birra alla spina), fino all'ultima inaugurazione di Barbican, poche settimane fa, dirimpetto al Barbican Centre su Goswell Road.

 

Prodotti e produttori

Come i precedenti, il nuovo arrivato si prefigge il compito di aiutare i consumatori a scoprire i prodotti di realtà indipendenti: a Barbican si servono le birre di Beavertown e il caffè di Origin (a St. Pancras arrivano anche le miscele di The Barn Coffee da Berlino, piccola concessione extraconfine per intercettare un prodotto di alta gamma), i salumi di Cobble Lane, miele da apicoltura urbana e formaggi di produzione locale, zuppe e proposte veg con ortaggi e frutta di stagione. Ma anche prodotti decisamente insoliti, come i marshmallow artigianali di Mellow and Marsh. Con la consapevolezza che molte delle realtà coinvolte, all'epoca della prima apertura, erano ancora sconosciute ai più, alla prima fornitura importante; e oggi, in un contesto decisamente più favorevole all'organic food, hanno spiccato il volo sulla scena londinese. Il menu cambia ogni giorno, a colazione si sceglie tra il latte vaccino in arrivo dalle campagne di Bristol, latte di capra o di mandorla, secondo preferenza. O, in alternativa, succhi e frullati, e la gamma di sodati stagionali di Square Root, al rabarbaro, limone, mirtilli, fiori di sambuco. Dolci e lieviti arrivano dalla Yeast Bakery, il pane dalla Bread Ahead Bakery del Bourough Market. Stessa attenzione per chi vuole fermarsi a pranzo o cena, come per chi preferisce una food box a portar via.

Ma il progetto non si esaurisce qui, perché molto del lavoro di sensibilizzazione verte sulla presentazione dei singoli produttori coinvolti, che sul sito web di Sourced Market sono raccontati uno per uno, con indicazioni utili per reperirli in uno o più punti vendita della catena o contattarli ai recapiti diretti. Chiudono il cerchio gli eventi stagionali e gli incontri con i produttori, masterclass e degustazioni guidate, e un magazine online. Cibo locale e storytelling, dunque... Vi ricorda qualcosa?

 

www.sourcedmarket.com 

 

a cura di Livia Montagnoli

Mangiare lungo la via Francigena. Seconda tappa: da Verrès a Vercelli

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Siamo alla seconda puntata sulla via Francigena, che porta i viaggiatori da Verrès a Vercelli. Un itinerario meno impegnativo dal punto di vista fisico rispetto alla prima tratta, ma ricco di spunti culturali e caratterizzato da paesaggi suggestivi.

 

La seconda tappa: da Verrès a Vercelli

La tappa che stiamo per affrontare contiene al suo interno 5 percorsi, alcuni dei quali più brevi, ideali per chi è meno allenato. Si parte da Verrès e si arriva a Pont Saint Martin (14,8 km), da qui ci si dirige verso Ivrea (21,5 km), oltrepassando il confine regionale. Terzo tragitto è quello che da Ivrea va a Viverone (20,1 km), poi da Viverone a Santhià (16,7 km) e infine da Santhià a Vercelli (26,8 km). Non è un itinerario particolarmente insidioso, per cui è adatto a ogni tipo di camminatore.

 

Da Verrès a Pont Saint Martin, fino a Ivrea

Ultimo tratto della Francigena che percorre la Valle d’Aosta è quello che porta da Verrès (dove finisce la prima tappa) a Pont Saint Martin. Proseguendo da Verrès lungo il tracciato della Dora Baltea, si arriva ad Arnad, dove c’è la chiesa parrocchiale dedicata a San Martino di Tours, in località Arnad-le-Vieux: è una delle architetture religiose più importanti della regione, grazie anche al prezioso ciclo di affreschi antichi custoditi al suo interno. Vale sicuramente una visita. Più avanti, superato il ponte di Echallod, la vista sarà catturata dal maestoso forte di Bard, che domina il piccolo villaggio, uno tra i Borghi più belli d’Italia. Il forte, il cui primo insediamento si presume risalga agli ostrogoti, fu fatto riedificare nel XIX secolo da Casa Savoia sulla rocca che sovrasta il villaggio. Dopo un lungo periodo di abbandono, è stato restaurato negli ultimi anni con interventi ispirati al design e al recupero conservativo e attualmente ospita esposizioni e rassegne fotografiche, oltre a essere sede di tre percorsi permanenti (Il museo delle Alpi, Alpi dei ragazzi e Le prigioni) più un quarto in corso di completamento (Il museo del Forte).

Da Bard si cammina fino all’ingresso di Donnas, lungo la strada romana delle Gallie, prima di arrivare Pont Saint Martin, che prende il nome dal massiccio ponte dedicato a San Martino di Tours, che con i suoi 31 metri di lunghezza attraversa il torrente Lys. Costruito nel I secolo a.C., per quasi 2 mila anni ha consentito il passaggio dalla regione di Eporedia (l'attuale Ivrea) verso la Valle d'Aosta. Sempre a Pont Saint Martin si trovano le rovine dell’omonimo castello, chiamato anche Castellaccio, il castello - quasi intatto - di Baraing e quello di Suzery.

Una volta attraversato il confine regionale, il territorio si addolcisce, con pendenze e dislivelli meno impegnativi. Prima di arrivare ad Ivrea si costeggiano il borgo di Montestrutto e il Castello di Montalto.

 

Pont Saint Martin, AostaPont Saint Martin

 

Da Ivrea a Viverone

Ivrea è una cittadina molto antica: fu fondata intorno al V secolo a.C. dai salassi (un popolo d'origine celtica stabilitosi nel canavese)e chiamata Eporedia, toponimo che potrebbe derivare dalla divinità celtica Epona, tuttora usato dai suoi abitanti. Vale la pena visitare la città ed è immancabile una visita al centro storico, con la sua piazza Ferruccio Nazionale, rinominata così nel secondo dopoguerra per ricordare il partigiano qui impiccato nel 1944. Da visitare anche Piazza del Duomo di Santa Maria, la vicina Chiesa di San Nicola da Tolentino e la piccola Chiesa di San Gaudenzio, in stile tardo barocco. Infine, consigliamo anche una sosta al Santuario di Monte Stella, per ammirare la splendida Cappella dei Tre Re.

Lasciando la cittadina si passa per la Serra di Ivrea, una formazione morenica risalente al Neozoico, che indica la direzione ai viaggiatori. Continuando si superano Bollengo e Palazzo Canavese, fino al suggestivo villaggio di Viverone. Da qui si può già ammirare lo splendido panorama sul lago di Viverone, il posto ideale per fare una sosta rinfrancante.

 

Forte di BardForte di Bard

 

Da Viverone a Vercelli, passando per Santhià

Lo scorcio sul lago di Viverone non abbandonerà i viaggiatori prima di Roppolo, primo paese fuori da Ivrea, sovrastato dal suo castello. Si prosegue in discesa verso Cavaglià - l’unico tratto caratterizzato da una decisa pendenza - fino ad arrivare al Santuario di Nostra Signora del Babilone, struttura del XVII secolo in stile tardo rinascimentale. All'interno, un importante gruppo ligneo della prima metà del XIII secolo, raffigurante L'Adorazione dei Magi.

Tranquille strade di campagna adornate di vigneti portano fino a Santhià, con il suo bel centro storico risalente al ‘600, attraversato dall’antica Viae Longae. Qui si può visitare la Collegiata di Sant’Agata, con la facciata in stile neoclassico, le sei colonne e le volte affrescate da Luigi Hartmann. Di particolare importanza l’antica cripta di Santo Stefano e il campanile in stile tardo romanico, entrambi dichiarati patrimonio nazionale.

 

Vercelli, risaie

Proseguendo il cammino verso Vercelli si attraversano pianure caratterizzate da risaie e specchi d’acqua, oltre da diverse specie di uccelli rari. Gran parte della tappa si svolge su tratturi e strade campestri, fino alle porte di Vercelli, città custode di un ricco patrimonio artistico ed architettonico. Dall’imponente Cattedrale metropolitana di Sant’Eusebio, Duomo della città in stile neoclassico, alla Basilica di Sant'Andrea, vero simbolo di Vercelli, considerata un capolavoro del gotico italiano. Fra le altre, suggeriamo anche una visita alla Chiesa di San Cristoforo, che custodisce un patrimonio di opere pittoriche del '500 di inestimabile valore, e alla Chiesa di San Marco, progettata dal Vittone nel 1754 e diventata uno spazio espositivo. Annesso alla chiesa, il chiostro di fattura gotica e il complesso monastico ora sede del Museo di Arte Civico. Infine, sempre per gli appassionati di arte c’è la ex Chiesa di San Marco, una struttura in stile gotico anch’essa trasformata in spazio per mostre ed eventi, Arca, che ha ospitato le opere di diverse epoche delle Collezioni Guggenheim da tutto il mondo: è in corso attualmente la mostra di Stefano Bressani “Picasso Re Loaded. Verso il Cielo”, che si concluderà a fine maggio 2017..

 

Con Vercelli si conclude la nostra seconda tappa della via Francigena, che ci porterà fino a Roma. Il cammino spirituale, oggi particolarmente battuto da viandanti appassionati di un turismo slow. Ci troveremo per la terza tappa nei prossimi giorni.

 

CONSIGLI DALLA GUIDA RISTORANTI D’ITALIA 2017

Giardinetto (Vercelli)

Da 25 anni alla guida di questa insegna, la famiglia Siviero è una garanzia per chi vuole assaggiare le ricette locali, con una cucina semplice e senza fronzoli, che valorizza i prodotti della filiera corta con un menu a rotazione. L’ambiente è piacevole, il personale efficiente e pronto a esaudire le richieste dei clienti. Cantina limitata, ma ben strutturata sulla proposta gastronomica.

 

Ramo verde (Carema)

Quasi 100 anni di attività per questo ristorante, una vera e propria istituzione di Carema e dintorni. Da 30 anni alla guida c’è Fabrizio Vairetto, chef e patron, che propone una cucina prevalentemente di terra, dove la tecnica è asservita al sapore, ma che non manca mai di creatività. Sono le carni e le verdure locali a farla da padrone, materie prime freschissime personalmente selezionate da Vairetto. Dalla cantina bottiglie regionali a prezzi onesti e qualche chicca d’Oltralpe. Due Gamberi nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

 

Paolino (Vercelli)

L’osteria di Paolo Talarico, immersa nei vicoletti del centro storico di Vercelli, ha uno stile retrò, con mobili e complementi d’arredo recuperati e ristrutturati. Dalla cucina un menu in perfetto equilibrio fra terra e mare, con piatti dai sapori precisi e curatissimi nei dettagli. Ottimi i dolci della casa, fantasiosi e golosi. Cantina ampia, con un buon rapporto qualità prezzo e referenze da diverse zone d’Italia. Due Gamberi nell’edizione 2017 della guida Ristoranti d’Italia.

 

CONSIGLI DALLA GUIDA PIZZERIE D’ITALIA 2017

Da Pupetta (Vercelli)

Dal 1963 Alfonso e Isidoro Giorgio sono un punto di riferimento per il quartiere. Qui la tradizione sposa la ricerca, con gli impasti classici che convivono con le novità, come la pizza con farina di riso o il mix creato ad hoc per la variante al tegamino. Lievitata 48 ore, la pizza è soffice, fragrante e profumata. Dal menu soprattutto proposte tradizionali, ma c'è spazio anche per qualche variazione sul tema. Buona la cantina, con selezione di vini e birre artigianali di produzione locale.

 

La Piedigrotta (Vercelli)

Un giro immenso, quello della famiglia Tagliafierro, che li ha portati da Tramonti, provincia di Salerno, fino in Venezuela, poi negli States e infine a Vercelli. Qui, da 44 anni propongono la loro pizza all’italiana con impasto sottile e croccante e, allo stesso tempo, molto digeribile. I condimenti sono di ottima qualità, quasi sempre declinati nei gusti classici, ma con qualche variazione più fantasiosa, secondo la stagione e l’estro del pizzaiolo. Da bere birre alla spina e una piccola selezione in bottiglia. Due Spicchi nell’edizione 2017 della guida Pizzerie d’Italia.

 

CONSIGLI DALLA GUIDA PASTICCERI & PASTICCERIE

Balla (Ivrea)

Famoso soprattutto per la Torta 900, il cui brevetto è custodito dalla famiglia fin dal 1972, Balla è un grande classico della pasticceria locale. Ma qui si possono assaggiare anche altre specialità come pasticcini, bignè, brioches fragranti e semifreddi. Punto di forza della pasticceria, oltre alla linea di torte, sono le ricette locali come le polentine dolci, gli eporediesi al cioccolato e gli arduini al liquore. Una Torta nell’edizione 2017 della guida Pasticceri & Pasticcerie.

 

Maghi infarinati (Ivrea)

Una famiglia tutta votata alla ristorazione, quella dei Vicina: Claudio è chef del ristorante Casa Vicina a Eataly di Torino, Stefano fa il maître, mentre Corrado ha deciso di dedicarsi alla pasticceria. Un sapiente mix di amore per la tradizione e voglia di stupire lo guidano: qui si possono trovare specialità locali dalle ricette antiche, accostate a creazioni uniche, provenienti soprattutto dal reparto torte. Non perdete le proposte sul cioccolato, declinato in praline, tavolette e tartufi. Due Torte nell’edizione 2017 della guida Pasticceri & Pasticcerie.

 

 

CONSIGLI DALLA GUIDA BAR D’ITALIA 2017

 

Bar Gelateria Ivrea (Ivrea)

Un po’ fuori dal centro, un grande e luminoso locale che serve colazioni già dalle prime ore del mattino, con caffè e cappuccini profumati e intensi, da accompagnare a una grande varietà di lievitati: cornetti con lievito madre, burrosi croissant, fagottini, girelle, sfoglie, crostatine e così via. A pranzo un’ampia scelta con tramezzini, panini, bruschette ma anche piatti freddi e insalatone. Interessante la merenda, con tè e infusi abbinati a biscotti e pasticcini, oppure con una coppa di gelato artigianale. Due Chicchi e Due Tazzine nell’edizione 2016 della guida Bar d’Italia.

 

Bijoux Cafè (Vercelli)

Con la sua atmosfera giovane e informale, il Bijoux Cafè accoglie i clienti a tutte le ore del giorno. Le proposte sono scritte sulla lavagna e il personale è allegro e professionale. Si parte dalla colazione, con caffè aromatici e ben estratti, così come i cappuccini, da accompagnare a brioches con farciture di vario tipo. A pranzo piatti freddi e insalate, ad eccezione della domenica, giornata del ricco e invitante brunch d’ispirazione anglosassone. Si conclude con l’aperitivo: una discreta selezione di cocktail ben preparati, vini al calice e tanti stuzzichini salati. Due Chicchi e Due Tazzine nell’edizione 2016 della guida Bar d’Italia.

 

Taverna & Tarnuzzer (Vercelli)

Un locale storico, aperto fin dal 1830, che ha visto passare generazioni di gestori e fiumi di clienti. Dal 1889 lo guida la famiglia Methier, custodendo la sua storia anche grazie agli arredi originali. Tanta attenzione ai sapori di un tempo, alle preparazioni tradizionali e alle ricette storiche: qui potrete assaggiare dolci come la bicciolana, la tartufata, i biscotti di riso. Il tutto da accompagnare a caffè robusti e armonici e cappuccini cremosi e ben montati. Importante anche l’aperitivo, da consumare nel dehors durante i mesi più caldi, sorseggiando un calice di vino o un cocktail accompagnato da una lunga lista di snack salati. Due Chicchi e Due Tazzine nell’edizione 2016 della guida Bar d’Italia.

 

 

indirizzi

Balla | Ivrea (TO) | corso Re Umberto, 16 | tel. 0125 641327 | www.torta900.com

Bar Gelateria Ivrea | Ivrea (TO) | via Strusiglia, 24 | tel. 0125 615403 | www.facebook.com/pasticceriaivrea

Bijoux Cafè | Vercelli | corso Libertà, 14 | tel. 0161 215300 | www.facebook.com/bijouxcafevc/?rf=141367452577971

Da Pupetta | Vercelli | corso Libertà, 29 | tel. 0161 257784 | www.facebook.com/Da-Pupetta-202366616761686/?rf=263200487113348

Giardinetto | Vercelli | via Luigi Sereno, 3 | tel. 0161 257230 | www.ilgiardinettovercelli.it

La Piedigrotta | Vercelli | corso Libertà, 87 | tel. 0161 254818 | www.facebook.com/La-Piedigrotta-Ristorante-pizzeria-681457111953180/?rf=150364508334536

Maghi infarinati | Ivrea (TO) | corso Botta, 30 | tel. 0125 641112 | www.maghiinfarinati.it

Ramo verde | Carema (TO) | via Torino, 42 | tel. 0125 811327 | www.facebook.com/pages/Trattoria-Ramo-Verde/122126231283222

Paolino | Vercelli | piazza Camillo Cavour, 5 | tel. 0161 214790 | www.facebook.com/Trattoria-Paolino-151834898219402

Taverna & Tarnuzzer | Vercelli | piazza Camillo Cavour | tel. 0161 253139 | www.pasticceriatavernaetarnuzzer.com

 

 

a cura di Francesca Fiore

 

 

Leggi anche Mangiare lungo la via Francigena. Prima tappa

 

 

 

Cena Itinerante Faenza. Tre giorni, 56 cucine estemporanee, arte e cibo a braccetto

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Dal 19 al 21 maggio l’happening gastro-artistico che anima il centro di Faenza festeggia 10 anni con un weekend affollato di cuochi, cucine di strada, artisti e performer. Ecco cosa si mangia e come partecipare, mappa alla mano, alla rassegna emiliana.

Il format. Tra cibo e arte

Una Cena Itinerante che si fa in tre col sostegno di una città che vuole rendere omaggio al proprio patrimonio artistico e gastronomico. Del resto se Faenza può vantare un Distretto ad Alta Densità Artistica (tra corso Saffi, corso Garibaldi, piazza del Popolo e le mura della città), perché non sfruttare questa vocazione per fare spettacolo? La rassegna coordinata da Distretto A Faenza Art District con il patrocinio del Comune e della Regione Emilia Romagna quest’anno festeggia la decima edizione, dimostrazione che scommettere sulla cultura può ripagare degli sforzi. E per il secondo anno consecutivo l’appuntamento si ripete nella formula weekend (che nel 2016 aveva attirato 5mila presenze), dal 19 al 21 maggio, affrontando il tema della Trasparenze, con percorsi “privatamente pubblici” tra arte e cibo. Il motivo del corto circuito tra pubblico e privato è presto svelato: l’itinerario gastronomico si snoderà tra case e giardini privati, laboratori e studi di architettura, ma pure negozi e piazze. Tutti parteciperanno alla festa del buon cibo e della creatività, ospitando postazioni di cucina improvvisate, eventi gastronomici e performance artistiche. A ogni spazio sarà associato uno chef, ospite con una cantina o un birrificio abbinato (tra le realtà più interessanti del territorio), per animare la festa di piazza che prenderà forma in 56 spazi aperti per l’occasione, dalle 19.30 del venerdì.

Cucine estemporanee. Cosa si mangia

Al pubblico il compito di orientarsi mappa – già disponibile online - e bicchiere alla mano, a piedi (o con navetta elettrica) per le vie del centro pedonalizzate: 44 i ristoratori chiamati a rifocillare i “viandanti”, molte vecchie conoscenze della manifestazione e diverse new entry (e spunta anche l’insegna forlivese di Benso, prossimo progetto di Pier Giorgio Parini), oltre agli abituée del Postrivoro, ai Senegal Boys e al pasticcere Sebastiano Caridi. E, tra gli altri, O Fiore Mio, Akami, l’Amburgheria creativa, l’Osteria La Campanara, la Locanda di Bagnara. In ogni tappa un piatto della tradizione o una variazione sul tema: cappelletti al ragù da passeggio, passatelli fritti, crescioni di farina di canapa, piadina con melanzane in porchetta, lardo fuso e mazzancolle arrosto, il bombolone al forno ripieno di ragù di asparagi, raviggiolo e coniglio, il calamaro che si credeva un tortellino, le trasparenze dell’Adriatico e le polpette di selvaggina; ma anche tacos, cous cous e polpettine di maiale all’orientale, con noodle in salsa di lime e chili. E la pizza Dotta di O Fiore Mio: fiordilatte, crema di ceci, mortadella di Bologna.

Incontri, visite d’arte e la colazione della domenica

Il giorno dopo, dalle 18.30, si prosegue con la giovane cucina italiana, quella più promettente: ospiti sul palco Gianluca Gorini e Nikita Sergeev (chiamati anche a proporre un piatto ciascuno), in compagnia degli autori del libro Giovani e Audaci, Paolo Vizzari, Stefano Cavallitto, Alessandro Lamacchia. A seguire aperitivo per tutti con i sommelier a domicilio di NeverWineAlone, e poi le attività della serata, un percorso parallelo tra intrattenimento culturale – con la Notte dei Musei – e cibo di strada, con food truck itineranti, dalla roulotte L’Acciuga alla Beer Ambulance, al Cinemadivino. Chiusura domenicale con la colazione della pasticceria Fiorentini alla Lucero’s House, visite guidate ad atelier, musei e studi di architettura. Evento nell’evento, il concorso social Un quartiere in un bicchiere, dedicato agli utenti di Instagram: chi avrà scattato la migliore foto attraverso la lente di ingrandimento di un calice di vino?

Cena Itinerante Faenza | A Faenza Art District | dal 19 al 21 maggio | www.distrettoafaenza.wordpress.com

Conoscere Asolo attraverso i suoi vini

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Asolo e il tempo quieto della bellezza, le dolci colline e i boschi fitti. Un panorama tutto da gustare a ritmo lento, con l'aiuto di una guida enologica che sa raccontare, zona per zona, ogni angolo di questa regione attraverso i suoi vini.

Viaggiare significa ignorare i fastidi esterni e lasciarsi andare completamente all'esperienza, fondersi con tutto quello che ci circonda, accettare tutto quello che ci succede e così, in questo modo, fare finalmente parte del paese che si attraversa. E questo è il momento in cui si avverte che la ricompensa sta arrivando”. La frase è di FreyaStark, scrittrice inglese, ma soprattutto uno delle più grandi esploratrici del Novecento, che decise di trascorrere ad Asolo l’ultima parte della sua vita. Quell’atmosfera calma e rilassata fatta di vigne, di boschi fitti e colline dolci, con il borgo a misura d’uomo, è “la ricompensa” che Asolo regala ai suoi visitatori insieme al buon mangiare e al buon bere. Da Caterina Cornaro, regina spodestata di Candia, all’attrice Eleonora Duse, dal poeta Robert Browning al compositore Gian Francesco Malipiero, alla scrittrice Ada Negri, fino ad arrivare a Freya Stark: sono davvero tanti ad aver subìto il fascino di questo territorio. Dal 1300, quando passò sotto Venezia, divenne un’area privilegiata non solo per la produzione di vino e di ortaggi ma anche “buen retiro” per la nobiltà che, a partire dal 1500, fece costruire importanti dimore - ville, barchesse, casini di caccia - chiamando famosi architetti (Canova, Palladio, ecc.) che contribuirono ad arricchire ulteriormente il fascino del paesaggio.

 

I Colli Asolani e il Montello

Si tratta di una superficie di circa 20.000 ettari; nelle aree collinari i paesaggi sono più scoscesi e a tratti in forte pendenza, con elevate capacità di drenaggio mentre nelle zone di raccordo della pianura, prevalgono le giaciture marnose e argillose di origine alluvionale. Le differenze di altitudine e di esposizione, un clima temperato con forti escursioni termiche notturne e una piovosità ben distribuita durante l’anno, costituiscono delle condizioni ottimali per la coltivazione di cabernet sauvignon, cabernet franc, carmenere e merlot, tra le uve rosse più importanti, e glera, bianchetta, pinot bianco e chardonnay, tra le bianche. Oltre a queste varietà, sono da segnalare, considerando gli elevati risultati qualitativi che possono raggiungere, sia l’incrocio Manzoni 6.0.13 (bianco) e soprattutto la recantina, un’uva rossa autoctona, da pochi anni recuperata alla produzione.

 

Rocca di AsoloRocca di Asolo

 

Vigneti e vini tipici

In questo quadro l’Asolo Prosecco Superiore Docg occupa un posto a parte. Pur essendo di dimensioni assai limitate (1340 ettari di vigneto) rispetto al vicino Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore (circa 7.000 ettari) e ancor di più al confronto con il Prosecco Doc (circa 23.000 ettari) offre caratteri distintivi assai pronunciati e alcune specificità, tra cui le produzioni di Extra Brut (cioè un Prosecco Superiore con un contenuto zuccherino inferiore a 6 grammi/litro)e la versione Col Fondo (Sur lie) cioè un Asolo Prosecco frizzante ottenuto con la rifermentazione in bottiglia e senza la sboccatura dei lieviti, da cui dipende la leggera velatura del vino.

Il Montello Rosso Docg (18 mesi di invecchiamento di cui 9 in legno) e il Montello Superiore Docg (24 mesi di invecchiamento di cui 12 in rovere) viene prodotto nei medesimi comuni dell’Asolo Prosecco Superiore ma le uve, in questo caso, sono le classiche cabernet sauvignon, cabernet franc, carmenere, merlot da cui si ottengono rossi di buona struttura, piacevoli, a volte con dei sentori vegetali più pronunciati. Attualmente è in corso un progetto per lo Studio e selezione di lieviti autoctoni per la valorizzazione del territorio dell’Asolo Prosecco Superiore, patrocinato dal Consorzio. Inoltre nel corso del 2017 è stato condiviso il Protocollo viticolo di Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore che abbraccia tutti gli aspetti della gestione del vigneto, partendo dal presupposto che la difesa della vigna non possa prescindere dalla gestione del terreno e della pianta con l’obiettivo di salvaguardare l’ambiente e nella direzione della sostenibilità.

 

Asolo, vignetiAsolo, vigneti

 

Dove assaggiare e dove mangiare

Da consigliare La Bottiglieria Al Moretto in Piazza Garibaldi, 77 (tel. 340 9099766 - Asolo). Partner del Consorzio Vini Asolo Montello, offre una vasta gamma di vini della zona in degustazione

Per abbinare vini e cibi, Trattoria Moderna Due Mori in Piazza D’Annunzio, 5 (tel 0423 950953- Asolo). Lo chef Stefano Lorenzi (JRE) propone un’ampia scelta di piatti stagionali seguendo la tradizione veneta, pesce, frutti di mare, faraona. Splendido panorama grazie a una parete di cristallo.

 

COSA ASSAGGIARE

 

La recantina, un’uva e un vino da scoprire

Giacomo Agostinetti nel suo libro Cento e dieci ricordi che formano il buon fattor di villascritto nel 1697, cita la recantina tra le migliori varietà coltivate nel trevigiano. Una fama che è durata per tutto l’Ottocento, poi nel Novecento, probabilmente per l’effetto distruttivo della fillossera, se ne perdono quasi completamente le tracce. Ora da qualche anno, alcuni produttori che ne avevano conservato qualche vecchio ceppo, lo stanno riproponendo e anche i vivaisti si sono attrezzati per fornire le barbatelle. Se ne parlerà.

 

Montello Colli Asolani Recantina 2014 Alc. 13% Pat del Colmèl

Rosso rubino, ha profumi di piccola frutta rossa e note di confettura di mirtillo; in bocca il sapore è speziato/fruttato, assai piacevole e lungamente persistente. La famiglia Forner è stata la promotrice, in tempi moderni, della riscoperta e della valorizzazione della recantina. Il vino, in queste caso passa 15 mesi in botte di rovere francese.

 

Recantina Augusto 2015 Alc. 13,5 Giusti dal Col

È un rosso rubino intenso con profumi - lievemente speziati - di prugna e di mora su uno sfondo floreale; in bocca è bello pieno, strutturato, tannini dolci, piacevole anche per l’acidità. Persistenza lunga e fruttata. Le uve recantina vengono raccolte nella prima decade di ottobre e vinificate in acciaio con un contatto tra buccia e mosto-vino di circa 15 giorni. Poi affinamento in legno per almeno 12 mesi.

 

Incrocio Manzoni bianco 6.0.13.

A parte il nome, non particolarmente accattivante, fa riferimento all’inventore il prof. Luigi Manzoni, preside della Scuola Enologica di Conegliano che lo creò per incrocio negli anni Trenta. Il significato di 6.0.13 richiede una spiegazione: il “6” indica il numero progressivo del filare all’interno del vigneto sperimentale di proprietà dell’Istituto enologico Cerletti, lo "zero" identifica la seconda fase degli esperimenti, avvenuta tra il 1930 e il 1935, condotti dal prof. Manzoni, e infine il “13” corrisponde al numero della pianta di vite compresa nel sesto filare. È un vino secco, aromatico, con un’ottima acidità, che può essere vendemmiato tardivamente per ottenere maggiore struttura oppure precocemente per la spumantizzazione. Regge bene l’invecchiamento. È diffuso in tutta Italia ma i risultati migliori vengono dal nord est.

 

Montello e Colli Asolani Manzoni bianco 2015 alc. 13.20 Cantina Cirotto

Paglierino verdolino, aromatico, leggermente speziato, intenso, in bocca ottima struttura, lungamente persistente e con una bella freschezza d’insieme.

 

Incrocio Manzoni 6.0.13 Igt Colli Trevigiani Alc. 13,5% Ida Agnoletti

Paglierino con note di frutta esotica e punte aromatiche di salvia, in bocca è strutturato, sapido, persistente, di beva accattivante e persistente.

 

La Villa di Maser di Andrea PalladioLa Villa di Maser di Andrea Palladio

 

Il ColFondo

È uno vino nato prima dell’invenzione delle autoclavi quando dopo la pigiatura dell’uva, il freddo delle cantine stoppava la fermentazione che proseguiva quando la temperatura risaliva a 10-12°C. Per questo si deve imbottigliare a Pasqua, prima che la primavera e i suoi tepori, si facciano sentire. La base del vino però deve essere perfetta perché una volta messo in bottiglia non può più essere modificato (sboccato o dosato) e solo i lieviti e l’anidride carbonica, svolgono un’azione protettiva.

 

Asolo Prosecco Docg ColFondo 2015 Bele Casel

Un Prosecco profumato e saporito che presenta la caratteristica velatura del colore. Profumi di pera, di pesca bianca, ottenuto da uve glera e vecchie varietà tipiche dei Colli Asolani quali la bianchetta, perera, rabbiosa, marzemina bianca coltivate in regime biologico.

 

Asolo Prosecco Superiore Docg ColFondo Il Brutto 2015 Alc. 11% Montelvini

Versione molto equilibrata dai profumi e sapori, ricchi di sapidità. La sua dote migliore è senza dubbio la beva piacevole grazie anche all’alcolicità e al tenore zuccherino contenuto

 

Asolo Prosecco Superiore Docg Brut Tenuta Amadio

Paglierino con spiccati sentori di mela e note agrumate sul fondo; in bocca molto piacevole, armonico, piacevole ed equilibrato.

 

Asolo Prosecco Superiore Docg Extra Brut Millesimato 2015 Alc. 11% Montelvini

Appena 5 grammi litro di zuccheri, è uno spumante da tutte le ore. Delicatamente profumato ha sentori di mela e fiori bianchi; in bocca è leggero e piacevole e alla fine lascia un gusto fruttato.

 

Asolo Prosecco Superiore Docg Extra Dry Alc 11% La Gioiosa

Certificato Biodiversity Friend, un metodo di controllo che vuole tutelare la biodiversità in campagna, è un Prosecco delicato con note di mela, di acacia e di glicine bianco; in bocca è leggero, morbido e beverino.

 

Villa Spineda Gasparini Loredan di Venegazz nel MontelloVilla Spineda Gasparini Loredan di Venegazz nel Montello

 

Montello Rosso

 

Montello Colli Asolani Rosso Doc San Carlo 2012 Case Paolin

Rosso rubino classico con profumi di ciliegia matura e frutta rossa con note di spezie e di tabacco scuro assai piacevole; in bocca pieno, strutturato, complesso ma di beva piacevole. Da uve cabernet sauvignon 60%, cabernet franc 20% e merlot 20%. Affinamento in barriques per 12-14 mesi di cui almeno 50% nuove.

 

Montello Venegazzù Superiore Capo di Stato 2012 Loredan Gasparin

Un classico grande rosso della zona del Montello. Ricco, opulento, strutturato da uve Cabernet sauvignon, Merlot, Cabernet franc e Malbec. E’ vellutato, con tannini morbidi e dolci, frutti di bosco e spezie.

 

Per info su Asolo vedi www.asolo.it

 

a cura di Andrea Gabbrielli

 

Dead Rabbit at Claridge's. A Londra, il miglior bar del mondo apre per una settimana

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Eletto bar numero uno nel mondo dalla World's 50 Best Bars 2016, il Dead Rabbit è un punto di riferimento per il bere miscelato nella Grande Mela. E ora si prepara ad aprire un locale a Londra, capitale europea della mixology, ma solo per una settimana ad agosto.

The Dead Rabbit Grocery & Grog

Lo scorso ottobre 2016 ha conquistato i giudici della World's 50 Best Bars, classifica che segnala i 50 migliori cocktail bar del mondo. Il Dead Rabbit del duo già consolidato a Belfast Sean Muldoon/Jack Mcgarry è, senza alcun dubbio, il bar per antonomasia di New York, metropoli avanguardista nel mondo dei cocktail che, prima di ogni altra grande città, ha saputo valorizzare la cultura del bere miscelato. Fra i tanti indirizzi della Grande Mela però, quello di Water Street si distingue per le proposte di alta qualità, lo standard elevato delle materie prime, dai distillati alla frutta, la cura maniacale per il dettaglio, nei cocktail ma anche nel design e negli arredi. Un locale originale, dal carattere definito e unico, che si ispira liberamente ai pub irlandesi di antica tradizione, dei quali conserva l'accoglienza, la familiarità e il senso profondo della convivialità, reinterpretando però l'offerta, che si fa sempre più ampia e differenziata. Lo stesso nome fa riferimento a una nota banda criminale irlandese attiva durante la seconda metà dell'Ottocento a Lower Manhattan, e lo stile a fumetti che caratterizza la lista dei cocktail si propone di raccontare la storia del leader della gang, John Morissey, conosciuto anche come Old Smoke. Son of a Gun, Man on the Dancefloor: sono solo alcuni fra i più celebri cocktail del Dead Rabbit, ospitato all'interno di uno storico edificio di Lower Manhattan a tre piani risalente al 1828, ma a rendere il locale una delle insegne più interessanti della città è anche l'offerta gastronomica basata su ricette semplici, piatti minimal ben presentati e una selezione di ingredienti di prima scelta.

Il temporary bar a Londra

Se New York detiene il primato del cocktail bar migliore del mondo, leader indiscusso del bere miscelato secondo l'ultima edizione della classifica è Londra, con 22 locali segnalati fra i primi posti. Ed è proprio nella capitale britannica che i proprietari del Dead Rabbit hanno deciso di aprire un temporary bar in occasione della stagione estiva. Più precisamente a Mayfair, uno dei quartieri più di tendenza della città, dove il locale statunitense di stampo irlandese approderà per la settimana del 15-22 agosto prossimi. Dead Rabbit at Claridge's è il nome scelto dalla dinamica coppia di soci, che per la loro avventura britannica hanno optato per uno degli hotel più lussuosi della capitale, il Claridge's. Psycho Killer, Irish Coffee e tutti gli altri signature drink verranno riproposti al pubblico londinese, alcuni con la stessa ricetta di sempre, altri rivisitati per l'occasione e ripensati per una clientela nuova. Non mancherà, naturalmente, anche la parte della cucina, dai rustici con salsicce di Cumberland allo stufato di agnello irlandese. E poi musica reggae, musica dal vivo e lo stesso menu a fumetti, marchio di riconoscimento del bar.

Dead Rabbit at Claridge's | Londra | Brook St. | dal 15 al 22 agosto 2017 | www.claridges.co.uk/mayfair-restaurants-bars/bars/the-dead-rabbit-at-claridges/

a cura di Michela Becchi

Fivi e il Mercato dei Vini in 19 assaggi da non perdere

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Quella della Fivi, Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti, è una bella storia Italiana ed Europea in cui politica, territorio, dignità del lavoro e coraggio trovano una dimensione specifica ed una capacità d’azione ideale.

Nata il 17 luglio 2008 dall’iniziativa di alcuni Vignaioli italiani sostenuti e incoraggiati dai colleghi francesi, i Vignerons Indèpendants, riuniti da molti anni nella Cevi (Confédération Européenne des Vignerons Indépendants), oggi può contare su 1100 produttori associati, da tutte le regioni italiane, per un totale di 11.000 ettari di vigneto, per una media di circa 10 ettari vitati per azienda agricola. Quasi 80 milioni di bottiglie commercializzate e un fatturato totale che si avvicina a 0,7 miliardi di euro, per un valore in termini di export di 280 milioni di euro. Mentre, per quanto riguarda l’aspetto più strettamente agricolo, è interessante notare la ripartizione della gestione degli 11.000 ettari di vigneto, condotti per il 51 % in regime biologico/biodinamico, per il 10 % secondo i principi della lotta integrata e per il 39 % secondo la viticoltura convenzionale.

La Fivi promuove da sempre molte iniziative in vari ambiti del mondo del vino. Tra le più recenti troviamo quella sulla semplificazione del nuovo disegno di legge sull'enoturismo: una materia fondamentale, che necessita di avere una normativa, ma senza inutili complicazioni. Ci sono poi quella sull'obbligo per i Consorzi che si avvalgono dell'erga omnes di fornire una rendicontazione separata per le azioni di promozione della Denominazione e per finire la discussione sui decreti attuativi del nuovo Testo Unico sulla viticoltura e la produzione del vino.

Insomma quello della Fivi è un vero e proprio gruppo capace di viaggiare a passo sicuro in una realtà sempre più grande, importante e complessa come il comparto vitivinicolo italiano ed europeo; con un modus operandi molto chiaro: favorire la semplificazione burocratica e salvaguardare la figura del vignaiolo artigiano dalla speculazione industriale del comparto agro-alimentare.

Il Mercato dei Vini

L’assiduo impegno politico fuori e dentro il parlamento è coadiuvato da un format di successo che è proprio quello del Mercato dei Vini in cui la vera formula vincente (testata in questi anni con molto successo presso la fiera di Piacenza) è rappresentata dal rapporto diretto che i vignaioli possono instaurare con i visitatori. La possibilità di acquistare direttamente i vini assaggiati a un prezzo concorrenziale può essere motivo di interesse, ma non è cero il solo: infatti è proprio in questo tempo e spazio, il mercato appunto, che spesso il nostro paese ha avuto modo di appropriarsi e valorizzare il proprio patrimonio culturale. Il Mercato in Italia è un momento che ha un suo valore antropologico, un luogo fisico dove è ancora possibile praticare una condivisione reale e popolare.

In questo contesto è risultato molto interessante poter assaggiare nelle giornate di sabato 13 e domenica 14 maggio, presso il Salone delle Fontane dell’Eur, i vini dei 212 vignaioli presenti, che per la prima volta nella loro storia sono approdati nella Capitale. Una scelta giustificata proprio dalle parole del Presidente Fivi, Matilde Poggi, che ha sottolineato il valore istituzionale di questa scelta dichiarando che “spostarsi verso sud è per noi una priorità ma anche un significato simbolico. A Roma hanno sede le istituzioni ed è lì che vogliamo far sentire sempre più la voce degli oltre mille Vignaioli indipendenti di tutta Italia”.

Gli assaggi del Mercato dei Vini rappresentano sempre un’occasione unica per scoprire le molte espressioni e interpretazioni del patrimonio ampelografico italiano. Tra questi è sempre possibile trovare le conferme delle molte eccellenze vitivinicole che fanno parte della Federazione assieme a un’esaltante scoperta della novità che fa sentire i più accaniti enofili dei veri e propri Indiana Jones del gusto.

La degustazione

La degustazione ha confermato lo stato di grazia di due grandi vini bianchi italiani, Fiano e Timorasso, e di due rossi, Nebbiolo della Valtellina e il Tintilia del Molise. Molto interessanti, sotto il profilo della bevibilità, alcuni rossi pugliesi mentre il Lazio, la regione ospite, ha dato incoraggianti segnali di vitalità e precisione stilistica. Ma entriamo nel dettaglio.

Bianchi

Estremamente interessante la batteria di vini proposta da Claudio Mariotto, vignaiolo piemontese. Il Timorasso Derthona 2015 colpisce per la grande tensione fresco-sapida dell’assaggio, mentre il Timorasso Cavallina ’15 ha un naso esplosivo e una persistenza infinita di rara completezza. Molto buono anche il Pitasso 2015, floreale e morbido, mentre l’annata 2005 si presenta con una grande complessità olfattiva, note di kerosene e pietra focaia, rotondo e vibrante dai ritorni agrumati con una chiosa sapida e leggermente ammandorlata che ne esaltano il coinvolgente finale.

A Calitri, nell’alta Irpinia, a quasi 800 m slm troviamo i vini di Pierluigi Zampaglione. Il suo Don Chisciotte è un fiano 100% vinificato con macerazione sulle bucce. Due ettari di vigna che producono all’incirca 6000 bottiglie l’anno. La versione 2015 si presenta con un colore tendente al ramato, un naso intenso, agrumato e con sentori di menta mentre al palato è morbido e vellutato. La versione 2009 è un vero e proprio orange wine, complesso e saporito, da intenditori. 

Fondata nel 1996 l’azienda di Luigi Maffini non smette di stupire proponendo sempre dei vini capaci di restituire nel bicchiere la bellezza del vigneto di famiglia a Castellabate nel Parco Nazionale del Cilento. Da questi 11 ettari viene prodotto anche il Kratos 2016, un fiano in purezza: pulito, diretto ed elegante, sapido, agile ed equilibrato.

L’ex Tocaj Untitle 2015 di Villa Job è un vino friulano nell’anima e nell’equilibrio, dalle intriganti sfumature fanè, teso e piacevolmente progressivo. Non delude mai il Soave Classico Calvarino 2015 di Pieropan, in versione smagliante con una bella struttura di bocca e con una progressione al palato sorprendente.

Bollicine

Passando alle Bollicine è la Riserva pas dosé 2010 di Balter a meritare il podio. Un vino complesso e sfaccettato con una carbonica ben espressa ed un ritmo degustativo che tira dritto fino a fine palato mai scevro di avvolgenza ed equilibrio. Ottimo ed appagante.

Rossi

Sul piano dei rossi appare sempre più definita la prova dei vini ArPePe. Un nebbiolo di montagna che la famiglia Pellizzati – Perego restituisce con minuziosità e carattere. Vini golosi e complessi. Ne sono una prova Il rosso di Valtellina 2015, dalla grande bevibilità e L’Inferno fiamme antiche 2012 dal naso verticale e complesso dove note di cannella, rosa e liquirizia lasciano il passo a un sorso dalla bellissima tensione sapida e un tannino deciso ma integrato. Anice, erbe officinali,e goudron invece compongono il naso de Il Sassella Rocce Rosse 2007 Riserva, dal sorso setoso e dinamico con un tannino saporito ed un finale armonico. 

A San Felice del Molise viene realizzato Il Tintilia Macchiarossa 2012 di Claudio Cipressi. Un vino rosso scarico dai bordi granato con una naso dolce, caldo e speziato dotato di un sorso pieno di carattere e corrispondenza.Gianfranco Fino propone un ES 2012 dal naso profondo pieno di frutti rossi, spezie e note ematiche. Al palato è succoso ed equilibrato. Es più sole 2015 è un vero capolavoro, qui i toni si fanno ancora più maturi il sorso si distingue per una morbidezza iniziale che poi lascia spazio ad una freschezza che porta equilibrio e movimento a tutto il palato. Lungo e dal tannino ben levigato lascia la bocca in estasi per molto tempo.

Diametralmente opposto il carattere  de il Volere Volare 2015 di Pietraventosa. Un Primitivo fine, con una lieve nota speziata che lo rende subito capace di farsi amare per il suo carattere delicato e leggero, dalla beva travolgente. 

Il Palistorti rosso 2013 di Tenuta di Valgiano è rubino con un naso speziato e leggermente ematico. Sapido e morbido inizialmente è nel finale che mostra la sua freschezza assieme ad un tannino sornione. Un vino da avere sempre sulla tavola.

Per concludere il Lazio con due belle promesse: il Cesanese di Olevano di Ricciardi- Reale che con il Càlitro 2013 ci propone un naso onesto e mai scontato, dai tratti sapidi e speziati e dal frutto rosso croccante ben espresso con una bella dinamica e corrispondenza al palato. Mentre spostandoci nei pressi di Castiglione in Teverina, nel viterbese, si trova l’azienda Trebotti che con il suo Gocce 2014 Riserva presenta un violone in purezza con note di frutta rossa matura e speziature dolci e toni erbacei. Il sorso è pieno, diretto con un tannino deciso ed una chiusura saporita.

a cura di Emanuele Schipilliti


Swale, la Floating Food Forest sostenibile nelle acque di New York

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Una grande Floating Food Forest nelle acque del fiume Hudson e nei moli di New York. È Swale, la foresta galleggiante sostenibile al 100%, che già l’anno scorso impressionò i turisti e i newyorkesi stessi, ospitando a bordo oltre 6 mila persone.

La Swale per i canali di New York

È partita il 18 maggio dal Brooklyn Bridge Pier 6, con tutto il suo carico di piante, fiori e  sistemi innovativi per l’agricoltura, la Swale Floating Food Forest. Che navigherà nelle acque del fiume Hudson per i tre mesi estivi, attraccando in diversi moli della metropoli. A bordo, oltre alle piante, ai sistemi per innaffiare e riciclare l’acqua, o agli impianti per l’alimentazione solare, anche laboratori, lezioni aperte ed eventi di vario tipo. L’obiettivo primario del progetto è quello di produrre alimenti freschi distribuendoli gratuitamente e in alcuni casi vendendoli, per dimostrare ai newyorkesi la necessità e la bellezza di un sistema che non spreca energie, ma semmai le crea. Si tratta di diffondere il concetto di foresta urbana, spingendo le istituzioni a incorporare nei piani urbanistici sistemi ecosostenibili per l’agricoltura e la produzione di cibo, per il riciclo di acqua e per la produzione di energia elettrica.

 

Come è fatta la Floating Food Forest

Montata su una chiatta lunga 30 metri e larga 9, la Swale nasce da un’idea di Mary Mattingly, creativa americana con una notevole esperienza alle spalle in fatto di floating farm sostenibili. La costruzione della foresta galleggiante è stata finanziata nel 2016 grazie a una campagna Kickstarter (sito web di crowd funding), che ha raggiunto cifre record in pochissimo tempo. Nelle sue serre si coltivano piante come rosmarino, basilico, aglio, cipolle ma ci sono anche un frutteto sponsorizzato da Heineken, specie floreali rare a cui è dedicata un’apposita sezione e piante spontanee tipiche della flora newyorkese. Il tutto viene annaffiato sia con acqua piovana che con quella del fiume le quali, dopo questo utilizzo, vengono depurate e riusate per i sistemi delle toilette. L’energia necessaria al funzionamento della struttura è prodotta da un impianto diffuso di pannelli fotovoltaici che mirano a camuffarsi con l’ambiente della foresta. A bordo, non solo la possibilità di comprare tutto ciò che viene prodotto sulla chiatta, ma anche laboratori didattici gratuiti, workshop, incontri sui sistemi di agricoltura sostenibile e perfino concerti, il tutto 100% carbon free. Unica limitazione? Sono ammessi su Swale solo 70 visitatori per volta, per cui per partecipare a eventi e visite guidate è necessario prenotarsi con larghissimo anticipo.

www.swaleny.org/program/spring-2017-opening-event

 

a cura di Francesca Fiore

Riscoprire il Pecorino Romano Dop con Caseifici Aperti in Sardegna

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Tredici caseifici sardi aprono le porte ad appassionati, visitatori e studenti, durante il weekend del 20 e 21 maggio 2017. È  “Il mondo del pecorino romano Dop. Le origini del gusto”, un progetto che punta a far riscoprire questo prodotto attraverso assaggi, workshop e laboratori aperti.

Il mondo del Pecorino Romano Dop

All’estero il pecorino romano va forte, sul fronte nazionale un po’ meno. Per far riscoprire questo formaggio dalla storia antica e dal sapore intenso, in Sardegna 13 caseifici aprono le porte agli appassionati e agli studenti delle scuole. Un appuntamento giunto alla seconda edizione e che l’anno scorso ha registrato oltre 3 mila presenze. “Il pecorino romano può e deve diventare parte della nostra tradizione a tavola e della nostra dieta”, ha spiegato il presidente del Consorzio del Pecorino Romano, Salvatore Palitta, “e per raggiungere l'obiettivo serve un grande lavoro di approfondimento e di educazione alimentare”.

La Sardegna concorre alla produzione nazionale con il 65% del totale, ma subisce crisi cicliche che non assicurano stabilità al comparto:“Caseifici Aperti rappresenta una grande opportunità per far conoscere questo prodotto, soprattutto ai giovani” precisa Pierluigi Caria, Assessore dell'Agricoltura e Riforma agro-pastorale della Regione Sardegna, “che andranno a visitare e a conoscere i luoghi dove si produce una delle migliori eccellenze dell'agroalimentare sardo".

 

Pecorino romano prodotto in Sardegna - foto ItesnovasPecorino Romano Dop prodotto in Sardegna - foto Itesnovas

 

Caseifici aperti: quali sono e dove si trovano

Durante la due giorni ogni caseificio organizzerà in autonomia laboratori per far vedere come nasce il formaggio e proposte di abbinamenti con cantine e birrifici, visite guidate, degustazioni, concerti, mostre, iniziative per intrattenere i più piccoli e introdurli nel complesso mondo della produzione casearia. Ma quali sono i caseifici visitabili? Nella provincia di Sassari aderiscono la Latteria Sociale Sa Costera di Anela, l’Agriexport Sardegna di Chilivani, la Lait Latteria di Ittiri, il gruppo Allevatori di Mores, la Latteria sociale cooperativa San Pasquale di Nulvi, la Latteria Sociale Coop e La Concordia di Pattada. Per la provincia di Olbia-Tempio, apre le porte ai visitatori l’azienda Sardaformaggi di Buddusò, per quella di Nuoro LA.CE.SA (Latteria Centro Sardegna) di Birori e la Casearia F.O.I. di Macomer e per la nuova provincia Sud Sardegna, L’Armentizia Moderna di Guspini. Infine, la provincia di Cagliari partecipa con Formaggi Aresu di Donori, Coop. Unione Pastori di Nurri e Argiolas Formaggi di Dolianova, che oltre alle visite guidate al caseificio e al magazzino di stagionatura ha messo in calendario anche una lezione sulla caseificazione.

Caseifici aperti in Sardegna | dal 20 al 21 maggio 2017 | www.regione.sardegna.it/j/v/25?s=337545&v=2&c=35&t=1

 

 

a cura di Francesca Fiore

I consigli dell'oste. Sergio Circella della Brinca e i prodotti dell'Azienda Agricola Rue de Zerli

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Un viaggio alla scoperta di prodotti e produttori selezionati dagli osti più bravi d'Italia, premiati dalla nostra guida Ristoranti d'Italia 2017 con i Tre Gamberi. È la volta dell'Azienda Agricola Rue de Zerli, suggerita dal patron della Brica, a Ne in provincia di Genova, Sergio Circella.

Si potrebbero definire le banche dati della cucina tradizionale, ma anche dell'eccellenza contadina, o di quei piccoli e grandi produttori che continuano a tutelare e dare vita a vere chicche gastronomiche con passione e dedizione. Sono gli osti, che con umiltà nel cuore fanno una continua attività di scouting, scoprendo di volta in volta il norcino del paese affianco, il casaro di zona o quel piccolo produttore di olio che fa le cose per bene.

Sergio Circella della trattoria La Brinca

Sono sparsi qua e là per la Penisola e rappresentano dei fari preziosi per orientarsi nel mondo volubile della ristorazione. E non indicano solo direzioni ma sono vere e proprie officine dove dirigersi per imparare di cucina e di tradizioni, e uscirne arricchiti. Uno di questi si trova nell’entroterra del Tigullio, tra boschi di pini e castagni, con i bellissimi uliveti a delimitare i pendii. Parliamo della trattoria e caneva con fùndego da vin (cioè osteria con bottega e cantina come si usava dire una volta) La Brinca, alla quale si arriva lasciandosi il mare alle spalle e dopo aver percorso un tratto di strada che salendo sulla collina offre un panorama sul territorio. Meta obbligata per chi vuole saggiare l'eccellenza della cucina contadina fedele alla tradizione della Val Graveglia. Quella stessa tradizione di cui il patron Sergio Circella si fa portavoce, avendo dedicato la propria vita alla ricerca della ricetta perfetta o del produttore fidato. “Voglio parlarvi di una piccolissima azienda agricola nel nostro comune: si chiama Rue de Zerli”.

Rue in genovese significa quercia, a indicare l'imponente albero che si trova a pochi minuti dall'agriturismo. “È portata avanti da una signora che ha rilevato l'azienda agricola di famiglia, mantenendo la filosofia delle aziende di una volta, in cui si faceva un po' di tutto. E che sono diventate negli anni un patrimonio unico e raro, volto alla salvaguardia del territorio”. Alla Rue si produce olio extravergine d'oliva e vino, ma anche farina di castagne raccolte a mano nel loro castagneto, ed essiccate a fuoco lento nell'essiccatoio di casa. Con questa, Sergio, fa degli ottimi gnocchi al pesto “preparato solo al mortaio”, la Panella, castagnaccio salato e aromatizzato con il finocchietto selvatico, o il Pan Martin, pane che si abbina benissimo ai salumi tipici. “Poi si coltivano gli ortaggi come la patata quarantina bianca genovese e la cipolla rossa di Zerli, con i quali realizziamo la Baciocca, la cui origine è contesa da alcuni paesi delle vicine Valli Sturla e Taro, e che nel tempo è divenuta una delle torte salate più apprezzate del nostro entroterra”.

{gallery}La Brinca{/gallery}

L'Azienda Agricola Rue de Zerli

Azienda di famiglia tramandata di generazione in generazione, la Rue de Zerli è stata rilevata nel 1992 dalla tuttofare Franca Damico,che ha fatto tesoro degli insegnamenti dei suoi, come il metodo di coltivazione della terra strutturata nei tipici terrazzamenti liguri, senza però rinunciare ai suoi desideri. Da quando è lei a gestire gli affari di famiglia, ha infatti aperto un piccolo agriturismo e si è impegnata nel recupero della patata quarantina, entrando a far parte del consorzio di tutela. Discorso diverso per la cipolla rossa, coltivata da secoli a Zerli, i cui semi li ha ereditati insieme all'azienda. “La cipolla, sotto forma di bulbo, c'è solo da giugno a fine settembre, poi comincia a rigettare. Il suo ciclo è breve e non si riesce a fermare (è la natura!) quindi con le eccedenze facciamo la confettura, perfetta per accompagnare i caprini locali”.

Nel paniere dell'azienda, anche marmellate di fragole, lamponi, albicocche, prugne, pesche, fichi. E ancora, mele “con le quali preparo anche i Bidulli, ho chiamato così le nostre mele essiccate da usare nelle tisane”, o castagne, corbezzoli e cachi in autunno. Poi ci sono le erbe aromatiche: “L’origano (ndr. la curnabuggia)è la migliore delle nostre erbe, cresce spontaneo nei campi ed è profumatissimo. Viene raccolto quando è fiorito, legato ed essiccato all’ombra, sbriciolato a mano e setacciato”. Tra gli aromi, si annoverano anche il timo,“che cresce nel terreno pietroso dei nostri monti”, il rosmarino e l'alloro.“Da poco ci siamo messi a produrre anche miele d'acacia, ma ancora dobbiamo perfezionarci. Abbiamo cominciato con una casetta (ndr. arnia) e stiamo pian piano capendo come prenderci cura delle nostre api, insetti delicati ma riconoscenti. Ogni giorno impariamo cose nuove”. E noi le abbiamo imparate da Franca.

 

La Brinca | Ne (GE) | via Campo di Ne, 58 | tel. 0185 337480 | www.labrinca.it

Rue de Zerli | Ne (GE) | Località Zerli, 51 Strada per Gòsita | tel. 0185 339245 - 348 8263560 | www.ruedezerli.com

 

a cura di Annalisa Zordan

 

I consigli dell'oste

Michele Vallotti e i salumi di Vanni Forchini

Gherra e Vergano del Consorzio di Torino e la carne della Macelleria Brarda

Giovanni Milana di Sora Maria e Arcangelo e i formaggi di Marzia Molinari

Luca Casablanca di Tischi Toschi a Taormina e le conserve ittiche di Adelfio

Daniele Minarelli dell'Osteria Bottega e la mortadella di Ennio Pasquini 

 

 

Vinòforum 2017. A Roma grandi vini, degustazioni e chef da tutta Italia

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Giunge alla quattordicesima edizione il festival capitolino del Lungotevere Maresciallo Diaz. Dal 2 al 12 giugno 2017 un programma ricco di degustazioni, cene d'autore, abbinamenti cibo/vino, occasioni di intrattenimento e business. E tanti ospiti da tutta Italia.

L'evento

Come sempre da 14 anni a questa parte, alla soglia dell'estate torna nella Capitale una delle manifestazioni più apprezzate dagli appassionati di enogastronomia. Ancora una volta, Vinòforum chiama a raccolta le migliori cantine nazionali, ristoranti selezionati e grandi chef e maestri pizzaioli per una dieci giorni di cene, degustazioni, assaggi e showcooking. Oltre 500 aziende vitivinicole, più di 2500 vini in degustazione, 40 ristoranti, 60 chef e 20 laboratori dedicati a grandi e piccini: questi i numeri dell'evento in scena dal 2 al 12 giungo prossimi. A ospitare la manifestazione sarà ancora una volta il grande spazio all'aperto a ridosso del Foro Italico di Roma, tra i pini marittimi del Lungotevere Maresciallo Diaz.

Il programma

Si continua a scommettere sulle proposte a piccoli prezzi dei temporary restaurant e sul connubio pizza d'autore e alta cucina. Cuore pulsante dell'evento è infatti il Cucine con Vista - Temporary Restaurant, che raduna 40 diversi ristoranti che si alterneranno ogni due giorni proponendo le loro specialità, dalla carne al pesce, dai piatti tradizionali a quelli fusion, dallo street food alla pizza, classica e fritta. Tre diverse portate per ogni ristorante per un totale di 120 piatti diversi, da abbinare alle varie etichette di vino presenti fra i banchi d'assaggio. Un'occasione unica per sperimentare e scoprire nuovi accostamenti, con il vino e non solo. Alta attenzione, infatti, anche alla mixology, che in questa edizione guadagna per la prima volta uno spazio dedicato con bartender professionisti impegnati a preparare cocktail ad hoc da gustare a tutto pasto. Ancora buon cibo con The Night Dinner, evento nell'evento che coinvolge 10 diversi chef che realizzeranno dei menu degustazione studiati su misura, disponibili solo su prenotazione. Fra i protagonisti in cucina, L'Arcangelo di Roma, Meraviglie in Pasta di Zagarolo, La Masardona di Napoli,Osteria 140 di Roma, La Taverna dei Corsari di Roma, Qqucina di Catania, Le Parule di Napoli, Gli Scacchi di Caserta Vecchia, Yugo di Roma,Il Fritto di Torrente di Cetara, L'Osteria del Leone di Siena,Gagini di Palermo, Smor di Roma, Antica Moka di Modena e molti altri ancora.

Ma non finisce qui: per i più impazienti, dal 27 maggio al 2 giugno prossimi, con il fuori salone sarà possibile partecipare a incontri in città dedicati alla cultura del cibo e del vino italiano, che avranno luogo presso ristoranti, scuole, librerie, enoteche, boutique, gallerie d'arte, scuole di cucina e tante altre location, unite per promuovere il buon gusto e valorizzare l'agroalimentare italiano.

Vinòforum | Roma | Lungotevere Maresciallo Diaz | dal 2 al 12 giugno 2017 | www.vinoforum.it

a cura di Michela Becchi

Made in Italy, certificato e di marca. È questo il vino che piace agli italiani

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Secondo l'indagine Censis per Federvini, la qualità batte il prezzo nella scelta dei consumatori. Quali strategie per la filiera? Insistere sui Millennial e sul richiamo all'italianità

Made in Italy, certificato Dop-Igp e di una marca ben precisa. L'italiano che acquista una bottiglia di vino sceglie con questi tre criteri. E, prima di ogni cosa, sceglie per la qualità rispetto al prezzo: accade nel 93% dei casi. Il profilo emerge dall'indagine Censis 2017, in collaborazione con Federvini, in cui il consumatore sembra aver reagito alla congiuntura economica negativa con un atteggiamento definito di “sobrietà post-crisi”, fatto di cauto utilizzo dei propri redditi, taglio agli acquisti (a volte anche drastico), selezione e investimento in consumi di qualità. Un trend che emerge innanzitutto dall'analisi dei comportamenti di spesa sul lungo periodo confrontati con le ultime tendenze: se, tra 2005 e 2015, la spesa delle famiglie italiane per il vino è diminuita del 21%, più di quanto fatto per i generali alimentari, in tempi recenti (triennio 2013-2015) è cresciuta del 9%, rispetto al +0,5% registrato da quella complessiva per generi alimentari. Un segnale, secondo l'analisi Censis, dell'atteggiamento più evoluto e informato del consumatore, pronto a mettere più soldi sui beni che, come il vino, hanno anche un valore immateriale. Un prodotto del made in Italy, quindi, che non attira solo per la sua dimensione organolettica ma anche per la sua valenza simbolica che incarna cultura, tradizioni locali e, in due parole, è espressione dell'italianità.

 

L'italianità, fattore decisivo ma sottovalutato

Oltre al rapporto qualità/prezzo, altri fattori determinano, come si è detto, la scelta di un vino. L'italianità è uno di questi: per il 91,2% del campione è garanzia suprema di qualità e, quindi, il criterio primo di scelta. Il settore del vino, sottolinea il Censis, deve tenere ben presente questo potenziale generatore di valore. “Sinora, l'italianità” si legge nel rapporto “è stato un moltiplicatore di valore potenziale parzialmente o totalmente inesplorato”. Per tale motivo, il Censis non risparmia una tirata d'orecchi al sistema: “Occorre mettere o rimettere al centro dell’attenzione l’importanza che ha nelle scelte di consumo il nesso tra vino e italianità. Abituati a scrutare il nesso tra territori locali, qualità e tipologia di vino, si è perso di vista nel tempo o, almeno, è stata sottovalutata la portata potenziale del richiamo all'italianità del prodotto”. Secondo fattore determinante sulle scelte di acquisto è la Dop o l'Igp: sigle che richiamano al nesso con il territorio che danno fiducia al consumatore. Terzo fattore è il marchio aziendale: sette italiani su dieci lo ritengono fondamentale. Il vino è uno dei settori del food, dove l'infedeltà di marca è inferiore rispetto ad altri comparti. L'italiano vuole il vino di un certo brand perché incarna aspettative materiali e immateriali precise; e tra queste c'è anche la qualità.

 

Il ruolo dei Millennial

Nel 2016, sono oltre 28 milioni gli italiani consumatori di vino, bevanda che, osserva il Censis, accompagna in maniera variegata tutte le persone nel loro ciclo di vita. Lo scorso anno lo ha consumato il 54,6% degli ultra 65enni, il 58,4% di chi è tra 35 e 64 anni, e il 48,6% dei Millennial (giovani tra 18 e 34 anni). Quest'ultima categoria, rispetto alle altre, è quella in cui i consumi si sono ridotti di meno nell'arco di dieci anni. Questo significa che i Millennial possono essere considerati consumatori non seriali, piuttosto orientati a un consumo di qualità. Pertanto, se il vino è una componente del pacchetto dei consumi tipico della categoria “la loro propensione al consumo altamente selettiva diventerà ancora più importante per il settore”. I dati Istat, analizzati dal Censis, dicono anche che, nel decennio 2006-2015, la generale tendenza al calo dei consumi di vino ha rallentato con l'aumentare dei livelli di scolarizzazione e non si è ridotta drasticamente all'interno dei gruppi sociali con più alta condizione socio economica. Uno di quelli ad alta fruizione di questo bene è, per l'appunto, formato da dirigenti, imprenditori e liberi professionisti (dal 74,7% del 2006 al 72,5% del 2015). Rileva il Censis: il maggiore coinvolgimento nel tempo dei ceti più abbienti conferma che il vino è la classica “bevanda degli italiani”, è trasversale rispetto alle età e ai ceti sociali ed è inserito all'interno di un consumo critico e consapevole. In altre parole, si sta affermando, tra i consumatori, un approccio al vino che evita le banalizzazioni dell'uso quotidiano e, soprattutto, evita la deriva del prezzo più basso. E a determinare i consumi futuri saranno proprio i Millennial, categoria evoluta, consapevole, non compulsiva, con forte propensione a considerare le dimensioni immateriali del vino, interpreti della cosiddetta “neosobrietà”. Quelli italiani, dice il Censis nella sua indagine, sono più virtuosi, maturi, propensi al consumo di pregio rispetto ai coetanei più a Nord, orientati maggiormente a un consumo intenso, concentrato e molto elevato di alcol. E, in quanto portatori di nuovi modelli di consumo, i Millennial giocheranno un ruolo primario nel trainare verso l'alto il valore del vino.

 

Recuperare il valore perduto

Ecco allora che, dal lato dei produttori, la spinta autolesionistica verso il prezzo più basso, che ha caratterizzato in modo particolare la prima fase dell'internazionalizzazione, è controproducente e rischiosa. Per il Censis, invece, l'Italia può riprendere terreno, intercettando un valore potenziale finora mancato. L'Italia è primo esportatore mondiale di vino con 20,6 milioni di ettolitri, ne produce oltre 50 milioni, con un valore unitario in ettolitri di 191,4 euro/ettolitro, inferiore alla Francia (316,6 euro/ettolitro) e persino alla Germania (207,7 euro/ettolitro). Certamente è difficile esportare agli stessi valori per ettolitro francesi (in questo caso il valore potrebbe passare da 5,6 a 12 miliardi di euro), ma è quantomeno possibile avvicinarsi a quelli della Nuova Zelanda che porterebbero l'export italiano a 9 miliardi di euro, oppure a quelli degli Usa, con un export teorico di 6,7 miliardi.

 

Il monito di Federvini

Il vino italiano, come ha sottolineato l'appena riconfermato presidente di Federvini, Sandro Boscaini, gode di “buona salute” considerando che è l'unico paese ad aver incrementato volumi e valori nel 2016. L'Italia è, ad oggi, dietro la Spagna a volume e dietro la Francia a valore, ma tra gli operatori del settore c'è ottimismo anche se “è necessario uno scatto in avanti per colmare il gap con la Francia. Certamente” ha rilevato Boscaini in riferimento ai ritardi nell'assegnazione delle risorse Ocm vino “queste vicende non hanno aiutato, limitando la possibilità di investire nei paesi extra Ue”. E si fanno sentire anche gli effetti della burocrazia: il progetto Re.Te., la telematizzazione dello sportello unico doganale, avrebbe dovuto eliminare la doppia contabilità elettronica e cartacea “ma a un anno dall'avvio l'Agenzia delle dogane non ha ancora approvato i regolamenti attuativi e quindi le imprese devono fare un doppio lavoro”. Inoltre, il comparto della federazione degli industriali attende l'abbassamento del livello di accisa promesso dal governo, dopo il +30% registrato tra 2013 e 2015. All'estero, gli ostacoli derivano in Ue da difficoltà interpretative, come il tema delle indicazioni nutrizionali in etichetta. Fuori dall'Ue, restano i problemi legati alle nuove registrazioni negli Usa, alle certificazioni sanitarie in Cina, alle discriminazioni fiscali in India o alle norme doganali in Russia. “Luci ed ombre” conclude il presidente Boscaini “che non impediscono una ragionevole fiducia nel futuro. Dobbiamo guardare ai mercati internazionali, è lì che incontriamo il nostro sviluppo e il nostro successo, portando chiaramente l’impronta del territorio di origine”.

 

Boscaini, nuovo biennio alla guida di Federvini

Nel corso dell'Assemblea Federvini a Roma, Sandro Boscaini, veronese, classe 1938, presidente di Masi Agricola, è stato riconfermato per i prossimi due anni alla guida di Federvini nRinnovate le altre cariche statutarie: Pietro Mastroberardino è stato rieletto presidente del “Gruppo vini”; Micaela Pallini, vice presidente e ad di Pallini spa, ha ricevuto la nomina di presidente del “Gruppo spiriti”; Sabrina Federzoni, guiderà il “Gruppo aceti”. In questi due anni, Boscaini ha dato un deciso impulso alla campagna #Beremeglio, coinvolgendo i bartender nella comunicazione del bere responsabile.

 

a cura di Gianluca Atzeni

foto di Zoltan SzarvasPixabay

Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 18 maggio

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Roma Cocktail Week 2017. Tre giorni dedicati al bere miscelato alle Officine Farneto

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Format che vince non si cambia. Ed è così che torna a Roma la Cocktail Week. Appuntamento alle Officine Farneto il 17, 18 e 19 giugno.

Dal 17 al 19 giugno torna in città la terza edizione della Roma Cocktail Week, una tre giorni tutta dedicata alla miscelazione, all'insegna di ricette, create ad hoc per l'occasione, e distillati di qualità, coinvolgendo i banconi più celebri della Capitale. Un ricco calendario di eventi che si terranno alle Officine Farneto, con la direzione artistica di Massimo D'Addezio, saggio giramondo chiamato barman e volto noto di Gambero Rosso Channel (Sky 412) grazie a Spirits, I maestri del cocktail, in onda in questi giorni con le nuove puntate della seconda serie.

Gli appuntamenti

Sei tra i migliori cocktail bar di Roma coinvolti, cinque scuole di bartending, oltre cinquanta drink creati per l’occasione, masterclass, abbinamenti drink-food, sfide tra bartender, ma anche concerti, djset e la novità di quest’anno: una mostra mercato, per l'esposizione e la vendita al pubblico. È ricco il palinsesto di questa terza edizione della Roma Cocktail Week, progetto nato dal format Spirits, ideato e curato da Nufactory in collaborazione con Smash e Woow, che si pone come obiettivo quello di diffondere la cultura del bere miscelato e soprattutto responsabilmente, perché quel che conta, fanno sapere gli organizzatori è “saper bere bene”. Un invito rivolto a tutti, dai semplici curiosi agli amanti dell’arte della miscelazione di qualità. Che alle Officine Farneto possono gustare i drink creati appositamente per l'occasione dai più bravi bartender di Roma, ciascuno specializzato in una linea di prodotto, dalla vodka al gin, dal vermouth alla tequila, al whisky o al rum; nell’ottica del tailor made e della sperimentazione. Per i più impazienti, c'è la possibilità di provarli in anteprima, dal 5 al 16 giugno, nei sei Leader Bar (per ora hanno confermato: Bootleg, Banana Republic, Pimm's Good). Basta chiedere del Signature Cocktail, un drink speciale ad un prezzo speciale creato ad hoc per chi parteciperà all'evento.

I luoghi: il bar centrale, l'area food e lo spazio dedicato alle lezioni individuali

Ospiti della manifestazione, le migliori scuole di Roma per barman professionisti. Che nel bar centrale si sfideranno a colpi di shaker. La competizione valuta le scuole concorrenti non solo sulla preparazione e sulla bontà dei cocktail, ma anche sulla loro capacità di relazionarsi con i clienti, rispondendo alle esigenze di target sempre diversi, nell'arco di due interi giorni di "servizio". Questa nuova formula nasce dall’esigenza di veicolare i due capisaldi della Roma Cocktail Week: il tailor made e la cultura del cocktail intesa come ospitalità e riguardo nei confronti del cliente. In un’area dedicata sarà possibile, previa prenotazione, diventare barman per un giorno, apprendendo i segreti del mestiere in mezz’ora di lezione individuale. Per quanto riguarda le lezioni collettive, invece, sabato 17 e domenica 18 sono rivolte al pubblico, mentre lunedì 19 giugno sono dedicate al trade e agli addetti. A completare l'offerta un’area food, nella quale domenica 18 giugno verrà organizzata una cena con menu e drink list speciali.

 

Roma Cocktail Week 2017 | Officine Farneto, via Monti della Farnesina, Roma | Dal 17 al 19 giugno | Biglietto singolo: 6 euro, Abbonamento per due giorni: 25 euro (comprende 2 cocktail e una consumazione food) | www.spiritsevent.com

I Leader Bar confermati

Bootleg | Roma | viale Gottardo, 23 | tel. 06 94847485

Banana Republic | Roma | via Giovanni Bettolo, 3 | tel. 06 3723291

Pimm's Good | Roma | via di Santa Dorotea, 8 | tel. 06 9727 7979 | www.pimmsgood.it

 

a cura di Annalisa Zordan

 

 

Extravergine. Da Civita di Bagnoregio al Mondo. ConCarma: qualità global del Triangolo dell'Olio

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Viaggio nel Triangolo dell’Olio tra Lazio, Umbria e Toscana, insieme a Giulio Figarolo di Groppello, socio (insieme a Giovanni Bulgari e a Gianluca Pizzo) di ConCarma, la società che unisce Tenuta di Carma a Bagnoregio, Podere dell’Ermellino a Corbara e Formica Alta a Podernuovo a Palazzone (San Casciano ai Bagni).

Immersi nella Valle dei Calanchi, con la suggestiva rocca di Civita di Bagnoregio a dominare il paesaggio, pensi che qui ci sia tutto, che non esista altro, che il mondo si esaurisca nella contemplazione di questo scenario unico sulla terra. Ma da qui al mondo ci devi comunque arrivare, se vuoi vendere il fantastico prodotto di queste colline a due passi dal bacino del Lago di Bolsena. E se non ci riesci tutta la bellezza di cui godi qui, non ha senso: devi chiudere, vendere la terra, vendere lo splendido frantoio Mori che ha solo due anni, lasciar perdere gli olivi e i quattro asini che aiutano nel lavoro quotidiano tra balze scoscese e terrazzamenti olivetati.

 

Il Triangolo dell'Olio

Siamo nel cuore della Tenuta di Carma, nucleo iniziale del Triangolo dell’Olio che vede protagonisti Giulio Figarolo di Groppello (anima finanziaria e commerciale), Giovanni Bulgari proprietario con il padre Paolo dell’azienda Corbara, in Umbria, a pochi chilometri da Bagnoregio (che produce Podere dell’Ermellino) e della Tenuta Podernuovo a Palazzone (nella vicina San Casciano ai Bagni) produttrice di Formica Alta, e Gianluca Pizzo, l’uomo sul campo che cura gli olivi nelle tre aziende e sovrintende al frantoio: sono loro i tre soci di ConCarma, progetto dedicato all’olio extravergine di oliva made in Italy di alto profilo che esporta il 60% della produzione.

Trasformazioni e miglioramenti dalla struttura al prodotto

Passeggiando tra gli olivi, Giulio Figarolo spiega come abbiano dovuto aspettare ben otto anni per iniziare a ristrutturare il podere e tirarne fuori un agriturismo in grado di avere qualche stanza per gli ospiti e una piscina (che già esisteva da molti anni anche se non condonata dal precedente proprietario). Ma a questo punto le pratiche dovrebbero essere espletate e i lavori sono in via di conclusione.

La prima cosa da capire – da parte nostra che seguiamo i loro prodotti da quando hanno presentato l’olio per Oli d’Italia (ovvero dall’edizione 2011) – è stata come abbiano fatto a passare da punteggi non esaltanti e valutazioni invece molto alte nel giro di un paio di anni. “Semplice” sorride Giulio mentre apre la porta del nuovo frantoio Mori, tutto interrato e aperto sulla campagna con una vetrata in vetro-cemento trasparente “Abbiamo seguito la strada che aveva intrapreso il vino a Podernuovo. Ovvero: abbiamo cominciato a raccogliere e a molire per lotti omogenei. È stato come passare dalla notte al giorno”. Due Foglie dal 2012 al 2014 e Tre Foglie nelle ultime due edizioni. Oltre al premio che 100% Carma – l’etichetta di punta, blend delle migliori frangiture delle tre aziende – ha ottenuto a Parigi al 15° concorso internazionale “Oli dal mondo” organizzato dalla AVPA (Agenzia per la valorizzazione del patrimonio agricolo).

Il Triangolo e il controllo della filiera

Riusciamo a incastrarci con i tempi e le lavorazioni gestendo da qui, da Bagnoregio, tutto il calendario di raccolta e lavorazione e il monitoraggio sulle piante e le maturazioni delle olive, oltre che sulla loro sanità” spiega Gianluca Pizzocalcolando gli spostamenti e i tempi di raccolta, cerchiamo di avere in lavorazione le olive a una temperatura bassa, mai oltre i 20 gradi, così che poi il controllo del freddo in lavorazione possa avere efficacia. Non è facile, occorre una grande organizzazione e l’apertura mentale giusta per affrontare casistiche ed esigenze diverse e anche imprevisti. Ma è anche un lavoro che dà le sue soddisfazioni”.

Ci si sposta a vedere gli altri lati del Triangolo dell’Olio che comprende le tre aziende tutte sul confine tra Lazio, Umbria e Toscana. Si arriva a Corbara, proprio sopra alla diga e al corso del Tevere, di fronte al borgo di Baschi. Qui ha la casa Giovanni Bulgari, qui sono circa 4 gli ettari di piante di Frantoio circondate da oltre 200 ettari di bosco e macchia e da un altro centinaio di ettari di seminativi, tutti in regime biologico. Il terreno è più magro rispetto a Bagnoregio, anche il clima è un po’ più estremo. Il mondo sembra davvero lontano, eppure Giulio – che passa la vita a fare a pugni con il jet lag tra Asia, Europa e Africa – non smette mai di essere connesso col mondo, pur godendosi i pochi momenti che riesce a trascorrere qui. Anzi, la visione globale sembra permettergli di vivere più intensamente anche il bello di questi luoghi.

 

Nel mondo c’è fame di qualità

A un certo punto esce dai suoi pensieri: “Sai, in Italia produciamo poco più di 300mila tonnellate di extravergine, ma ne mettiamo in commercio circa il doppio con marchio italiano. Il che significa che nel mondo gira tanta monnezza!” Vero. Ed è ciò su cui lanciano l’allarme gli agricoltori che producono olio di oliva in Italia, di ciò si accusa la Politica: di non tutelare il made in Italy. “Però” sorride Giulio “Immagina che effetto possa fare un extravergine serio, vero, fatto bene in chi è abituato a quelle schifezze. All’estero impazziscono!”. Ecco: un modo un po’ diverso dal comune di vedere il bicchiere mezzo pieno e non solo mezzo vuoto. Ed è un ragionare per provare a trasformare alcune debolezze in una forza.

Le aziende italiane sono piccole o al massimo medie. Non riescono ad andare all’estero. Non riescono a fare sistema. Questo è il più comune dei mantra che si sente girando per le nostre campagne. “È vero” fa Giulio Figarolo di Groppello “Ed è esattamente ciò che non fa la Francia. Anche in Borgogna le aziende sono piccole, pure molto piccole. Ma fanno sistema. Qui ci si fa la guerra. E la responsabilità parte essenzialmente dallo Stato, dalla politica, quella con la P maiuscola che non dà l’esempio: anzi, offre il modello esattamente opposto”.

 

Magari ci comprasse la Francia!

Che dire? Continuiamo a sperare in un’Europa politica che ci aiuti a superare l’assurdo laccio burocratico in cui la Politica continua a volerci tenere imbrigliati? “Mah” sorride il manager-contadino“In realtà io spererei che ci comprasse la Francia!” Una battuta, ma mica tanto. E fa l’esempio di Bulgari, azienda familiare con cui lavora da tempo. “Era un’azienda che funzionava, fatturava 1,2 miliardi di euro l’anno. Poi Paolo fece la scelta giusta: cessione a LVMH (Louis Vuitton, Moët, Hennessy) del marchio e dell’azienda in cambio di azioni LVMH. In neppure 4 anni il fatturato è salito a 1,6 miliardi. E l’azienda, la sua filosofia, non è cambiata, anzi. È aumentata la capacità di impatto sul mercato. Il far sistema, appunto”.

 

L’opportunità global

Certo, le speranze che l’Italia superi questa fase di gravissimo scollamento della politica dalla società reale, questa fase di decadenza, sono poche… “Anche perché siamo vecchi noi” butta là Giulio “I giovani, le generazioni dopo la nostra credo che abbiano molte più chance di noi. Noi avevamo dei modelli, delle aspettative e viviamo come fallimento la realtà attuale. Loro, i nuovi giovani, ci sono nati e cresciuti dentro, sanno come usare leve e possibilità meglio di noi” continua e passa a esempi concreti “Pensa a internet, al digitale. Per noi è ancora una fatica, per loro è già quasi roba vecchia! Oggi, se uno ha prodotti seri da vendere, può arrivare al mondo, può arrivare al cliente finale senza intermediazioni. Questo cambia di molto il quadro di riferimento. Certo, occorre sapere usare i mezzi e le tecnologie, sapere cosa si vuole e dove si punta. Ma le opportunità sono molto, ma molto più ampie di quelle che avevamo noi”. Si può essere o meno d’accordo, ma sicuramente è un punto di vista differente dal pessimismo dilagante senza però negare l’evidenza di ciò che non va. Del resto, è singolare che lui – abituato a trattare con il mondo, con i più grandi colossi finanziari, a districarsi tra grandi marchi mondiali – abbia scelto l’extravergine di oliva come campo di azione del suo business.

 

Il rapporto con la terra

In realtà il mio contatto con la terra comincia dall’infanzia. Sono cresciuto con i nonni, ma soprattutto con i contadini dei nonni in Val di Chiana” racconta Giulio Figarolo “Ho fatto tante raccolte, tante mietiture, ho respirato fino in fondo quella cultura, quelle atmosfere e mi piacevano molto. Poi, però, ho capito che dovevo uscire, che non potevo restare chiuso lì”.

E allora che è accaduto? “Così ho fatto il mio percorso, anche se non ho mai dimenticato la campagna. Tanto che a 21 anni ho preso a girare in un raggio di 100 chilometri da Roma per cercare la mia campagna. Sono approdato a Lubriano, a pochi chilometri da Bagnoregio. Ho conosciuto Gianluca e suo padre: ci conosciamo, ci frequentiamo e ci stimiamo da quasi quarant’anni. E pian piano la storia è andata avanti, è cresciuta. Ho cominciato con 50 olivi…”.

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Incroci di vita, di terra e di idee

Il resto lo hanno fatto la vita, le relazioni, i rapporti, le conoscenze e le capacità. L’alta finanza e il mondo del business del lusso lo hanno portato a frequentare il mondo e ad aprire la mente. Fondamentale, poi, il rapporto con Paolo Bulgari che da sempre aveva la tenuta a Corbara. Quando il gioielliere ha acquisito Podernuovo e ha chiesto al figlio Giovanni di occuparsene lui in prima persona, il rampollo della dinastia Bulgari ha accettato, ma a condizione che accanto a lui ci fosse Giulio. E Giulio non avrebbe mai fatto a meno di Gianluca.

Insomma, un Triangolo territoriale, ma anche un triangolo amicale: teste giovani, aperte, brillanti. Certo anche capitali a disposizione, ma soprattutto un progetto concreto. Tanto più con l’ingresso di Paolo Bulgari – dopo aver ceduto il suo marchio – in Sarment Wine, il più prestigioso marchio di importazione e distribuzione del vino di alta gamma in Asia.

A questo punto il gioco si è fatto davvero interessante e intrigante. “Ed è stato possibile anche mettere in movimento energie e idee nuove e giovani” spiega Giulio “per esempio, abbiamo cercato i due sommelier di due Tre Stelle Michel in nel mondo: a cosa potevano aspirare come crescita di carriera? A 25 anni erano già al top. Sarment gli ha chiesto di lavorare per lei: girare il mondo ad assaggiare e scoprire i migliori vini, le migliori etichette del pianeta. Cosa c’è di più soddisfacente e gratificante di questo per un appassionato? È il massimo”.

 

Gli ulivi come le vigne

Torniamo all’olio “Certo… ma le cose che ho raccontato del vino valgono anche per l’olio. Io ci credo nell’extravergine” spiega Giulio “Io credo fermamente che l’extravergine di qualità abbia un futuro e anche importante. E che a breve ci sarà anche il riconoscimento del giusto prezzo per un prodotto di altissimo livello. Vedremo chi ci sarà, in quel momento”.

Una cosa è certa: Carma e gli altri prodotti (Podere dell’Ermellino in Umbria e Formica Alta in Toscana) dal vino hanno imparato molto, sia in campo e sia nel mercato globale. I vini di Podernuovo hanno nel mondo il 92% del mercato: sono essenzialmente Vermentino, Sangiovese e Cabernet Franc, espressione perfetta (ed elegantemente stilizzata: come lo è la concretezza del cemento della struttura che unito ai pigmenti di terra magra del luogo riesce a far da ponte ideale tra la moderna e tecnologica cantina e il paesaggio circostante) di un terroir più selvaggio della limitrofa Val d’Orcia, terra di confine da sempre e ancora oggi in equilibrio tra Umbria, Lazio e Toscana come secoli addietro lo fu tra la Toscana dei Medici e lo Stato della Chiesa.

Se il nostro olio riuscirà a seguire il vino anche nell’export” sorride Giulio “magari riusciremo a farci carico anche di quegli olivi abbandonati che sopravvivono sotto ai calanchi di Civita e che nessuno penserà mai di accollarsi per la fatica e i sacrifici che richiede lavorarli. Ma i nostri asinelli che ci aiutano a tener puliti gli oliveti e a spostarci in quelle coste scoscese possono acquisire nuovi amici e aiutarci a lavorare anche quelle di piante”.

Perché sono gli agricoltori i primi difensori e tutori del territorio. “Lo sanno bene in Austria o in Francia, dove i governi danno contributi agli allevatori perché restino piccoli e riescano così a gestire e curare il loro spazio traendone reddito, a portare le bestie in alpeggio mantenendo quindi la montagna, tenendo puliti terreni, canali e fossi, curando glia alberi. Ma avendo anche la possibilità di ricavarne un giusto reddito”.

 

Carma Srl | Bagnoregio (VT) | Località Podere, 6| tel. 39 0578 56056| http://concarma.com/

 

a cura di Stefano Polacchi


La Sicilia in 10 biscotti tradizionali e la ricetta delle paste di mandorla della pasticceria Ernesto

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Mandorle, agrumi, sesamo, ma anche strutto, cacao e pepe. Sono le specialità siciliane, una lunga lista di biscotti dalle ricette antiche. È qui che andiamo per l’ultima puntata della rubrica sui biscotti regionali. Vi raccontiamo 10 dolcetti tipici e, alla fine, la ricetta delle paste di mandorla della pasticceria Ernesto di Catania.

Cuddrireddri di Delia, mustazzoli di Erice, biscotti algerini, biscotti di San Martino, scaurati, anicini. Questi sono solo alcune delle specialità che, per esigenze di lettura, abbiamo dovuto tralasciare. Perché la biscotteria siciliana è davvero ampia e ricca. Per l’ultima puntata della rubrica sui biscotti regionali vi raccontiamo 10 dolcetti tipici di questa terra, con la ricetta delle paste di mandorla della pasticceria Ernesto di Catania, premiata con Due Torte nell’edizione 2017 della guida Pasticceri&Pasticcerie.

 

Bersaglieri

Iniziamo con questa specialità dell’area etnea e della Sicilia orientale, solitamente preparata per la ricorrenza del 2 novembre, insieme ai vari tipi di ossi di morto. I bersaglieri sono biscotti dal cuore morbido, ricoperti con glassa al cacao, che in questa zona chiamano liffia. Molto simili a questi sono i biscotti regina, che però non prevedono l’uso del cacao nella ricetta, sostituito dal succo di limone. Spesso vengono venduti insieme, a coppia.

Per prepararli servono farina, zucchero, strutto (sostituito dal burro nelle versioni moderne) lievito, latte e vaniglia, più cacao, zucchero e acqua per la glassa.

Per prima cosa impastare su una spianatoia la farina già setacciata, lo zucchero, lo strutto ridotto a pezzetti, le uova e l’aroma di vaniglia. Man mano aggiungere prima il lievito e poi il latte, fino a ottenere una pasta liscia e omogenea, ma non elastica. Formare una palla e lasciarla riposare in frigorifero per almeno 60 minuti, avvolta dalla pellicola.

Trascorso questo tempo, staccare dei tocchetti e modellarli a forma di girella, arrotolandoli. Cuocere in forno a 200 gradi per circa 10 minuti e poi a 150 gradi per altri 15. Nel frattempo creare la glassa da cospargere sui bersaglieri prima che si raffreddino completamente.

 

Biscotti di Monreale

Dalla forma a esse e i caratteristici decori con ghirigori di zucchero, sonno dolcetti tipici di Monreale, la suggestiva cittadina alle porte di Palermo conosciuta per il suo splendido Duomo. Furono creati nel XVI secolo dalle monache benedettine dell’ormai scomparso Monastero di San Castrense, riscuotendo immediatamente un grande successo, tanto da guadagnarsi, secoli dopo, una citazione nel romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo. Si consumano quasi sempre a colazione o con il tè. Sono preparati con farina 00, latte, strutto, zucchero, tuorli d’uovo, lievito, mentre per la glassa occorrono zucchero a velo, succo di limone e albume d’uovo. Sono molto simili ad altri biscottini dalla stessa forma, che si trovano un po' in tutta la Sicilia con minime differenze.

 

Biscotti di Monreale- Be shoppingBiscotti di Monreale- Be shopping

 

Cucchie di Petralia

In nome deriva dall’espressione dialettale ‘ncuchiare che vuol dire “unire, mettere insieme”, e infatti questi dolcetti sono composti da due ovali di pasta biscottata che racchiudono un ripieno di frutta secca aromatizzata alla cannella e al limone. Ricordano molto il buccellato, un dolce al forno tipico del periodo natalizio, diffuso un po’ in tutta la Sicilia e diverso da quello lucchese. Le cucchie vengono da Petralia Sottana, un comune di poco più di 2 mila abitanti della provincia di Palermo, che fa parte del Parco delle Madonie. Per realizzarle occorrono farina di grano duro, strutto, zucchero, uova, Marsala, lievito, un pizzico di sale, cannella e scorza di limone, per la pasta, mentre il ripieno è realizzato con uva passa, pinoli, pistacchi e mandorle tritate, fichi secchi, zucchero, gocce di cioccolato, cacao amaro, zucca candita a pezzetti e acqua. 

 

‘Nzuddi

Tipici del catanese e del messinese, sono stati creati dalle suore vincenziane di Catania, da cui prendono l’appellativo; ‘nzuddo è infatti il  vezzeggiativo dialettale di Vincenzo. A Catania si mangiano per le celebrazioni del 2 novembre, come dolcetti di fine pasto, mentre a Messina si preparano per la festa della Madonna della Lettera, il 3 giugno. 

Gli ingredienti non sono molti: farina, zucchero, mandorle tostate, miele, albume d’uovo, lievito, scorza d’arancia e cannella. E anche il procedimento è piuttosto semplice: mescolare in una terrina la farina, lo zucchero, le mandorle tritate finemente (mettete da parte una piccola quantità di mandorle intere per la decorazione), la scorza d’arancia candita, il lievito e la cannella. Montare, a parte, l’albume d’uovo e aggiungerlo al composto, insieme al miele. Impastare il tutto con acqua aggiunta a filo, poco per volta, fino a ottenere un composto dalla consistenza abbastanza soda ma un po’ appiccicosa.

A questo punto dalla massa formare delle palline un po’ schiacciate, dallo spessore di circa un centimetro. Metterle in una teglia rivestita di carta da forno e completare ognuna con una mandorla intera. Cuocere a 200 gradi per 10 minuti circa e poi a 100 gradi per altri 10 minuti, in modo da farli asciugare bene all’interno.

 

'Nzuddi - pasticceria hobby'Nzuddi - pasticceria hobby

 

Paste di mandorle

Un vero simbolo della biscotteria siciliana, i dolcetti di pasta reale biscottata diffusi su tutto il territorio regionale, chiamati anche fiocchi di neve, fior di mandorle o paste secche. La ricetta, con le dovute varianti locali, prevede mandorle spellate, zucchero semolato e a velo, albumi d’uovo, miele, succo di limone (facoltativo). 

È proprio questa la ricetta che ci siamo fatti dare dalla pasticceria Ernesto di Catania, Due Torte nell’edizione 2017 della guida Pasticceri&Pasticcerie: il procedimento lo trovate in fondo all’articolo.

 

Pipareddi messinesi

Biscotti originari della provincia di Messina, molto simili ai quaresimali, chiamati così sia per la presenza del pepe nella ricetta che per l’usanza di cuocerli nelle stufe a legna, “sbuffanti” come delle pipe. La cottura tradizionale, sostituita oggi da quella in forno, prevedeva che fossero tenuti a 50 gradi per due giorni interi: per questo motivo i pipareddi venivano cotti in comune fra due o tre nuclei familiari, in modo che tutti i parenti potessero scaldarsi con la stufa dei vicini.

Sono dolci molto aromatici, preparati con farina, mandorle, zucchero, miele, uova, strutto, lievito, pepe macinato, cannella, scorza di limone, chiodi di garofano, un pizzico di sale e acqua. Si parte montando a neve gli albumi con il sale e metà dello zucchero. Poi si versa la farina, il resto dello zucchero, la cannella e le mandorle tritate finemente, tenendone da parte un po’ intere. Infine, si mettono la scorza di limone e i chiodi di garofano macinati. Quando il composto è ben amalgamato si aggiungono le mandorle intere, si impasta un altro po’ per distibuirle bene e si crea un filone largo circa 3 centimetri. Si cuoce a 200 gradi per 15-20 minuti e, una volta tiepido, si deve suddividere in tante fette oblique da 1 centimetro ciascuno da ripassare in forno per altri 15 minuti a 150 gradi, girandole a metà cottura.

 

pipareddi messinesi - turin mammapipareddi messinesi - turin mamma

 

Reginelle o sesamini

Anche in questo caso una specialità che ha diversi nomi: reginelle, sesamini, viscotta ‘nciminati, cimini. Molto diffusi nell’area palermitana, sono interamente coperti da semi di sesamo, segno evidente dell’impronta araba sulla cucina locale. L’ingrediente dà al biscotto un equilibrio particolare, con la dolcezza interna che viene smussata dal tostato dei semi. Si mangiano prevalentemente a colazione, ma non è raro vederli serviti insieme ad un vino dolce. Si preparano con farina, zucchero, strutto o burro, semi di sesamo, uova, latte, scorza di limone, un pizzico di sale e uno di zafferano (non sempre presente nelle ricette), lievito.

In una ciotola si mescolano farina, zucchero, zafferano e il lievito già sciolto nel latte. Poi si aggiungono lo strutto o il burro, le uova, la scorza di limone e il sale. Ottenuto un composto abbastanza consistente si fa riposare l’impasto per 60 minuti in frigorifero o in un locale freddo, un tempo era la cantina.

Stendere una sfoglia spessa 15 millimetri circa e ritagliare dei tocchetti da ripassare nel sesamo prima di cuocerli a 200 gradi per circa 10-15 minuti, o finché la superficie non risulti dorata. A questo punto abbassare la temperatura a 150 gradi e lasciare in forno ancora per 10 minuti circa.

 

Squisiti 

Un nome, una garanzia: gli squisiti. Sono biscotti da colazione a forma di esse, tpici di caratterizzati da una particolare dolcezza e dall’aroma di limone. Anche se esistono diverse varianti: in alcune zone della provincia di Ragusa vengono preparati senza uova, sostituite dal latte, in altre al posto dell’aroma di limone c'è quello della cannella e dell’arancia. 

La ricetta classica prevede farina, zucchero, strutto o burro, lievito, uova, scorza di limone. In una ciotola si mescolano la farina e lo strutto ammorbidito, fino ad ottenere un composto dalla consistenza granulosa. Si aggiungono le uova, lo zucchero, la scorza di limone grattugiata e, in un secondo tempo, il lievito. Si amalgama bene, finché la massa non risulta liscia e abbastanza umida. Si fa riposare in frigo per almeno un’ora e poi si lavora su una spianatoia in modo da ricavare dei bastoncini lunghi circa 7-8 centimetri da modellare a forma di esse e poi cuocere in forno a 200 gradi per 15-20 minuti circa o finché non risultano dorati.

 

squisiti - Arucisquisiti - Aruci

 

Tetù e teiò

“Uno a te, uno a me”: è questo il significato del nome di questa specialità tipica della ricorrenza del 2 novembre, che oggi si può trovare in qualsiasi pasticceria siciliana tutto l’anno. Sono dei biscotti “svuota dispensa”, fatti con una base di farina, mandorle macinate e strutto, a cui poi si aggiungono diversi ingredienti, secondo la specifica zona di provenienza. Non aspettatevi dunque lo stesso sapore: quelli catanesi sono diversi da quelli palermitani, così come quelli trapanesi da quelli prodotti a Messina e così via. 

Oltre ai 3 ingredienti sopra citati, in questi dolcetti dalle dimensioni contenute potrete trovare anche pezzetti di pan di spagna avanzati, frammenti di cialde, pasticcini ormai induriti e sbriciolati, frutta secca di vario tipo, miele, aroma di cannella, scorze di agrumi e canditi.

In genere, i tetù sono rivestiti con glassa al cacao, mentre i teiò sono ricoperti di glassa di zucchero semplice.

 

Treccine

Semplicissimi, dal sapore delicato, sono i biscotti che ogni siciliano ha mangiato a colazione almeno una volta da bambino. La base è una pasta frolla siciliana, cioè preparata con lo strutto, arricchita con miele e, in alcune zone, aromatizzata con la scorza di limone. Gli ingredienti sono farina, zucchero, strutto, uova, latte, miele, lievito e un pizzico di sale.

Si parte lavorando su una spianatoia la farina già setacciata, lo zucchero, il sale, lo strutto tagliato a pezzetti, le uova, il miele e il lievito. Si aggiunge il latte un po’ per volta, fino a ottenere un impasto liscio e consistente a cui si dà la forma di una palla, si fa riposare in frigo per almeno 60 minuti avvolta da una pellicola.

Trascorso questo tempo, prelevare dei tocchetti di pasta e formare dei bastoncini dello spessore di 7-8 millimetri lunghi tra i 20 e i 30 centimetri ciascuno. Piegarli a metà in modo da fare combaciare le estremità, e attorcigliarli a forma di treccina.

Una volta create le treccine, trasferirle su una teglia imburrata e spennellarle con un po’ di albume d’uovo, o con del latte. Cuocerle in forno per 15-20 minuti a 180 gradi circa. Aspettare che si raffreddino completamente prima di mangiarli.

 

 

La ricetta delle paste di mandorle della pasticceria Ernesto di Catania

 

ingredienti per 40 biscotti

1 kg di mandorle di Avola sgusciate

1 kg di zucchero semolato

100 g di miele

250 g di albume

vaniglia

zucchero a velo

 

procedimento

Unire le mandorle con lo zucchero e il miele, mescolando. Mettere il composto nella planetaria e aggiungere l’albume già montato a neve in precedenza, continuando a impastare a velocità media.

Nel frattempo cospargere un piano di lavoro con lo zucchero a velo e lavorarvi sopra il composto, fino a ottenere un filone ben imbiancato. Tagliarlo a tocchetti a cui dare la forma di esse oppure dei tondini un po’ schiacciati. Se necessario ripassarli nello zucchero a velo. 

Cuocerli in un forno statico preriscaldato a 220 gradi per 20 minuti, avendo cura di metterli distanziati sulla teglia, ricoperta da carta da forno, in modo che non si attacchino durante la cottura. Prima di servirli, attendere che si siano completamente raffreddati.

Pasticceria Ernesto | Catania | via Ruggero Di Lauria, 91/93 | tel. 095 491680 | www.facebook.com/Ernesto-Gelateria-e-Pasticceria-Catania-226237350786616

 

 

a cura di Francesca Fiore

 

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Bugs. Dalla Danimarca il documentario sugli insetti nella cucina del futuro

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Un film documentario sull'entomofagia, ovvero la dieta a base di insetti. Diretto dal regista danese Andreas Johnsen, Bugs uscirà nelle sale italiane il 29 maggio 2017, con l'obiettivo di fare luce su un nuovo sistema alimentare.

L'entomofagia

Sono stati definiti novel food e, secondo il vecchio regolamento del Parlamento europeo, si tratta di “tutti quegli alimenti, ingredienti e tecniche di produzione alimentari per i quali non è dimostrabile un consumo significativo” (CE 2558/97). Una categoria che comprende gli insetti, ma anche ingredienti costituiti a partire da microrganismi, funghi e alghe e tutti quei prodotti che sono stati sottoposti a un processo di produzione generalmente non utilizzato. Questo regolamento, vecchio di vent'anni, è stato giudicato obsoleto e inadatto al compito di normare la produzione dei novel food dal Parlamento europeo, che nel 2015 ha votato per un rinnovo del testo. Così, dal 1 gennaio 2018 anche sulle tavole e nei ristoranti italiani sarà possibile servire insetti e alimenti a base di farine proteiche (da grilli e cavallette), ma solo se l'Efsa – Agenzia Europea per la Sicurezza alimentare – riconoscerà la qualità del prodotto, ammettendolo tra i novel food.

Un tema caldo, quello dell'entomofagia, che continua a suscitare l'interesse (e anche tante critiche) da parte di addetti ai lavori e consumatori. Tanto da essere diventato il tema dell'ultimo libro edito da Phaidon, On eating insects (Mangiare gli insetti), un volume dedicato a uno dei tabù alimentari più diffusi in Occidente, che chiama in causa esperti come i professionisti delNordic Food Labdi Copenaghen e Mark Bomford, direttore del Yale Sustainable Program, e soprattutto un testo che invita i lettori ad abbandonare i pregiudizi e ad aprirsi culturalmente verso una rivoluzione alimentare.

Il film

Questo nuovo modo di concepire la tavola diventa protagonista anche dell'ultimo film di Andreas Johnses, regista danese fondatore della Rosforth Films e autore di diversi documentari sull'arte, la musica e la gastronomia. Il prossimo 29 maggio, nelle sale cinematografiche italiane arriva Bugs: 75 minuti di viaggio alla scoperta degli insetti che mangeremo nel futuro in Europa, un percorso che comincia ancora una volta in Danimarca con il team del Copenaghen Nordic Food Lab. Josh Evans, Ben Reade, Roberto Flore e tanti altri chef e ricercatori della squadra danese che sono passati dall'Uganda al Giappone fino ad arrivare in Australia per assaggiare, valutare e schedare tutti i bruchi, le termiti, cavallette, escamoles, grilli disponibili. Uno studio durato ben 3 anni, durante i quali sono state coinvolte 2 miliardi di persone che, sparse ai quattro angoli del mondo, già oggi si cibano di insetti. Attraverso le esperienze, le conversazioni sul campo e in laboratorio, le visite agli allevamenti e le conferenze internazionali, durante la ricerca del gruppo danese sono cominciate a emergere alcune domande impegnative: se gli insetti fossero prodotti a livello industriale, risulterebbero così buoni e sani come quelli che troviamo nei diversi ecosistemi del mondo? Chi trarrebbe beneficio dalla crescita di questo settore? Possiamo considerare gli insetti come lo specchio che riflette gli errori del nostro sistema alimentare o la soluzione a questi sbagli? A questi e altri dubbi si propone di rispondere Johnses con il suo film, che uscirà in anteprima nel cinema Stensen di Firenze il prossimo 23 maggio.

www.bugsfeed.com/film

a cura di Michela Becchi

Alla Design Week di New York il primo Honey Bar

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Un progetto internazionale di salvaguardia delle api, Urban Bee Hives, e il primo Honey bar di New York: succede alla Design Week che ogni anno a maaggio anima le strade, i musei e i locali della città. L’iniziativa è della storica dell’arte e botanica Claudia Zanfi, in collaborazione con Atelier del Paesaggio.

Cos’è Green Island

Green Island è un progetto ideato da Claudia Zanfi ben 16 anni fa: l’obiettivo è quello di creare eventi culturali, iniziative espositive e programmi di educazione alla sostenibilità dedicati alla biodiversità urbana. All’interno di Green Island è nato Alveari Urbani: Urban Bee Hives, un percorso che si concentra sulla salvaguardia delle api e sulla valorizzazione dei territori. In occasione della Design Week newyorkese, Green Island ha lanciato un invito ai creativi della Grande Mela, allo scopo di ripensare a tutto ciò che riguarda il mondo dell’apicoltura. Da questo lavoro di networking internazionale è nato il primo Honey Bar della metropoli, che mette in mostra una linea di oggetti dedicati al miele e ideati dallo studio Design Group Italia. Dove? A Brooklyn, negli spazi di Industry City - Wanted Design District.

 

L’Honey Bar alla Design Week di New York

All’interno dell’Honey Bar, per tutta la durata della settimana del design, si potranno ammirare e provare utensili come l’HoneyBulb, modello di arnia creato attraverso l'accostamento di piccoli esagoni; Nido, oggetto per la raccolta del miele con geometrie iconiche e uno studio ergonomico del manico; DipperBall, cucchiaio che si divide in due parti – bulbo e manico - unite tra loro attraverso un magnete che “fluttua” all'interno del vaso, evitando così di sprecare il nettare e di dover pulire l'oggetto dopo ogni suo utilizzo. Oppure, In-Honey, ispirato al tradizionale infusore, ma ripensato come strumento per contenere il miele e immergerlo direttamente nella bevanda calda, così da farlo sciogliere in modo omogeneo. Il concept del bar è stato realizzato grazie allo studio del fotografo Paul Clemence, che si è concentrato per anni nella documentazione di strutture e dettagli architettonici che riprendono l’idea dell’arnia. È sua la gigantografia che avvolge l’intero spazio Green Island/Urban Bee Hives all’interno di Industry City: un insieme di alveari che danno l’impressione di “invadere” pareti e pavimento.

 

I sistemi Bee Hive Park 

Sempre all’interno del progetto c’è anche Bee Hive Park by Capoco + Crozier Design: una serie di installazioni di arnie i-tech chiamate Sky Hives. Il duo di designer newyorkesi ha creato dei sistemi in legno, dai colori naturali, che supportano un impianto Solar Power LED. Le arnie del futuro sono inserite all’interno di una “cascata floreale” - cosa che rappresenta il ciclo dell’impollinazione - che si accende durante la notte, mettendo in evidenza il simbolo dell’ape impresso su ogni alveare.

 

Gli assaggi per scoprire il mondo del miele

Per chi volesse scoprire le produzioni di miele locale attraverso l’assaggio delle diverse tipologie, sono due gli appuntamenti che si terranno durante le giornate del 20 e 21 maggio negli spazi dedicati presso Industry City. Inoltre, per coloro che volessero approfondire, è possibile partecipare a diversi workshop sulla produzione di miele in ambito urbano ideati da Atelier del Paesaggio e tenuti dall'organizzazione non profit Growers di New York.

New York Design Week - Wanted Design | Industry City | Brooklyn | 220 36th St #2-A | www.industrycity.com/wanteddesign-brooklyn

 

a cura di Francesca Fiore

 

 

 

Oenovideo 2017. In Francia il festival dedicato ai film a tema vinicolo

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Non solo Cannes. A Bordeaux, dal 1 al 4 giugno 2017, è di scena il festival dedicato a film, cortometraggi e documentari che raccontano l'articolato universo del vino.

Il festival

Dalla Palma d'oro di Cannes (il festival per eccellenza è tra l'altro in corso in questi giorni) al Grappolo d'Uvadi Bordeaux. In Francia, da 24 anni esiste un altro red carpet di primavera dedicato al cinema, che per questa edizione si tiene in uno dei comuni d'oltralpe più noti per la sua produzione vitivinicola. Si chiama Oenovideo-Internationl grape&wine film festival e va in scena a Bordeaux dal 1 al 4 giugno prossimi, con il patrocinio dell'Oiv (Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino). Quest'anno sono 24 i film, tra cortometraggi, documentari e fiction, selezionati dalla giuria per un totale di 15 ore di proiezione. E per la prima volta, i protagonisti della scena cinematografica dedicata all'enologia sfileranno sul tappeto rosso nel cuore della Cité du Vin di Bordeaux, un museo nato un anno fa con l'intenzione di celebrare il vino in tutte le sue sfumature. A presiedere la giuria, Yves Rousset-Rouard, enologo, politico e produttore di diversi film come Les Bronzés, A cena con il diavolo, Una piccola storia d'amore, Le Père Noëlest une ordure, tanto per citarne alcuni. Tanti gli appuntamenti che punteggiano le quattro giornate della fiera, dai forum ai seminari, dai dibattiti ai convegni, tutti mirati a far interagire i visitatori con produttori e registi, per (ri)scoprire il fascino e la ricchezza di Bordeaux, dei suoi vigneti, i tesori della sua terra e la sua storia. Un incontro dal respiro internazionale fra il mondo del cinema e quello del vino, che chiama a raccolta appassionati di tutto il mondo.

I film

La lista dei film è vasta e abbraccia vari temi, come la tradizione bordolese (Le vignoble bordelais des grands crus entre tradition et modernité), la difficoltà di giudicare e descrivere un vino (Défend Beaujolais), l'immancabile vino naturale (Vin Nature, Vin Vivant), l'industria del vino in Sud Africa e lo sfruttamento degli agricoltori locali (Bitter grapes - Slavery in the Cape Winelands), l'importanza dell'assaggio e il ruolo dei sommelier (Au Pif). Una forte predominanza di pellicole francesi, qualcuna spagnola e canadese, e anche due italiane: The duel of wine di Lino Pujia e Nicolas Carreras, il racconto di un famoso sommelier caduto in disgrazia a seguito di una momentanea perdita di gusto. E Rotari Metodo Classicodi Nosio Spae Filip Milenkovic , la storia della celebre bollicina trentina e della tecnica di spumantizzazione. Tutte le proiezioni avverranno, secondo calendario, a partire da giovedì 1 giugno e saranno disponibili solo su prenotazione, mentre l'annuncio della classifica e del vincitore avverrà domenica 4 giugno. Parallelamente, andrà in scena anche Terroir d'Images, una mostra fotografica dedicata alla vite durante la quale saranno esposte opere di professionisti e fotografi amatoriali. Per l'edizione 2017 è il legame fra vino e paesaggi il filo conduttore di tutte le immagini, che potranno essere ammirate in accompagnamento a vini da tutto il mondo. Su 1500 opere, sono 100 in tutto le fotografie selezionate dalla giuria e, fra queste, solamente una si vedrà assegnato il titolo di Gran Premio Internazionale di Fotografia della Vigna e del Vino.

Oenovideo | Bordeaux | Quai de Bacalan, 134 | dal 1 al 4 giugno 2017 | www.oenovideo.com/

a cura di Michela Becchi

Sala e accoglienza: nasce Intrecci, la scuola firmata dalla famiglia Cotarella

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Quando si entra in un ristorante, il primo benvenuto che si riceve è quello del personale di sala, e sempre la sala provvederà al benessere e alla riuscita della cena. Ecco perché è importante trovare bravi camerieri. Ed ecco perché è nata la scuola Intrecci.

Solo un vero signore può essere un bravo servitore” recita un vecchio adagio. E ci vuole forse qualcuno che ha molta familiarità con le grandi cantine e i ristoranti più importanti, per formare personale davvero competente per il servizio di sala. È un'idea che potrebbe risolvere quello che si conferma, sempre più, la bestia nera del comparto della ristorazione italiana – la mancanza di bravi camerieri - e che paga, e non poco, lo scotto di una professione ancora molto sottovalutata, messa in ombra dalla potenza mediatica degli chef. Il risultato? Tanti i candidati ai (pochi) posti liberi in cucina, nessuno o quasi a rispondere alle più numerose offerte di lavoro in sala. Perché sono in pochi a presentarsi e ancor meno quelli che hanno le competenze necessarie, che sono di diversa natura. Alcune molto tecniche, come quelle legate alla scienza dell'alimentazione, alle mansioni tipiche dell'F&B Manager alle tecniche di servizio; altre intangibili, ma fondamentali: grazia, garbo, eleganza nei gesti e nella voce, cultura generale, discrezione, professionalità. Tutto quello che può rendere la visita in un albergo o in un ristorante un'esperienza memorabile ma che è difficile tradurre in insegnamenti. Chi ha la fortuna di avere buoni collaboratori se li tiene stretti. Strettissimi. Tutti gli altri cercano chiedendo anche ai produttori di vino che, per lavoro, frequentemente si trovano ad avere a che fare con operatori del settore.

Enrica_Dominga_e_Marta_CotarellaEnrica Dominga e Marta Cotarella

“Le” Cotarella

È la cosiddetta “Emergenza sala”, di cui si è parlato molto e di cui ancora si parlerà. Ora, a tentare di colmare questo vuoto di personale qualificato ci pensano “le” Cotarella: Dominga, Marta ed Enrica, cugine, figlie dei fratelli Renzo e Riccardo, esponenti di una famiglia tra le più importanti nel mondo del vino e oggi, rispettivamente, direttore marketing e commerciale, responsabile delle attività di pianificazione e controllo, responsabile della comunicazione dell'azienda di famiglia. A loro si deve la creazione di Intrecci, una scuola di formazione sulla sala che si propone di “formare personale qualificato per l'accoglienza e il servizio nella ristorazione e nell'ospitalità alberghiera secondo lo stile italiano”. Una scuola elaborata sul modello dei campus anglosassoni dove la didattica in aula sposa la pratica e l'avviamento professionale, e lo fa in un contesto curato, che ingloba spazi per la formazione e per l'alloggio degli allievi, con camerate, mensa, foresteria, aree ricreative e di studio con attrezzature didattiche digitali e tradizionali.

 

L'idea

L'idea è stata di Dominga” spiega Enrica Cotarella “lei ha sempre tantissimo entusiasmo, è capace di trascinarci e trasmetterci la sua energia”. L'origine di questa idea è da cercare nei rapporti che la famiglia ha, da sempre, con i ristoranti. “Ci chiedono continuamente se conosciamo qualcuno di bravo per la sala e” racconta “a un certo punto abbiamo pensato che, dato che una scuola mancava, potevamo farla noi”. Forti di un'esperienza nella formazione, anche se finora solo in ambito enologico, e di una frequentazione assidua di grandi ristoranti in tutto il mondo. Da lì in poi è stato un lavoro febbrile per sviluppare il progetto, dalla definizione della didattica, agli aspetti burocratici, dalla scelta e l'adeguamento degli spazi dedicati alla formazione e all'ospitalità degli allievi, alla creazione delle sinergie con ristoranti, università, istituzioni, alla definizione del corpo docente.

Ci vorrà ancora un po' perché la scuola sia operativa - l'inizio dei corsi è previsto per gennaio 2018 - ma intanto l'idea prende forma. Ed è la prima esperienza del genere in Italia: un campus per 20 allievi che verranno preparati per il lavoro di accoglienza con un percorso di studi multidisciplinare dove, ovviamente, l'aspetto enologico avrà un ruolo importante ma non sarà l'unico né quello centrale. Perché, quello dell'accoglienza è un lavoro complesso, fatto di tante cose, su tutte: Carattere, Classe, Calore. Con la maiuscola non solo per sottolinearne l'importanza, ma anche per tracciare un ideale legame con il cognome delle tre artefici di questo progetto.

 

La scuola nell'ex oleificio di Castiglione in Teverina

Gli spazi e gli obiettivi

Inizialmente l'idea era di ospitare la scuola in uno degli spazi dell'azienda, a Montecchio, ma poi è venuto fuori che era disponibile l'ex oleificio di Castiglione in Teverina, uno stabile di proprietà del comune:“siamo andate a vederlo e abbiamo capito che quello di fronte al Muvis, il Museo del Vino e delle Scienze Agroalimentari, era il posto ideale”. Detto, fatto. E via a mettere a punto la didattica e i percorsi formativi. Il primo, e più articolato, dura un anno con la formula 6+6. Ovvero 6 mesi di teoria in aula e altrettanti di pratica, con stage in diverse strutture in Italia e all'estero. Proprio quelle (ma non solo) che erano andate in cerca di nomi validi. Perché il lavoro in sala richiede moltissime competenze: eseguire perfettamente il servizio di cibi e vini non basta, occorre saper risolvere ogni possibile imprevisto, conoscere vini, distillati, piatti, prodotti e tecniche di preparazione, parlare con gli ospiti in modo corretto e in diverse lingue, gestire l'immagine del ristorante, ma anche alcuni aspetti economici, districarsi in situazioni difficili o imbarazzanti.

 

La didattica

A chiedere a Enrica come si sono mosse per definire i corsi, risponde: “A sviluppare il percorso formativo e individuare le materie di insegnamento ci ha aiutato Matteo Zappile del Pagliaccio di Roma e dell'associazione NoidiSala”, la prima a dare visibilità e definire l'accoglienza professionale. Poi, ovviamente, intervengono le competenze di ognuna delle tre cugine Cotarella. “Avevamo una visione d'insieme, ma ci serviva il supporto di esperti del settore, ecco perché abbiamo voluto la presenza di NoidiSala, oltre a quella di professionisti nei vari settori”. Il risultato? Nei 6 mesi di aula saranno affrontate diverse materie, alcune più specialistiche, per esempio agronomia, enologia, antropologia della vite e del vino, economia e gestione delle attività ristorative (dal magazzino alle prenotazioni, dalla comunicazione all'organizzazione di eventi, dalla sicurezza sul lavoro alla gestione del personale), scienza degli alimenti, cultura agroalimentare con focus su produzioni tradizionali e sperimentali. Poi ci sono inglese e francese, tecniche di comunicazione e accoglienza, psicologia, public speaching, postura e dizione (per i quali sono stati chiamati docenti provenienti dal mondo del cinema e dl teatro), moda e stile. Con in più masterclass e visite in strutture ristorative e alberghiere, aziende alimentari o vitivinicole. E già a partire dal terzo mese ci sarà la pratica nel ristorante didattico di casa Cotarella.

Nell'offerta formativa anche corsi post lauream della durata di 3 mesi, e focus e masterclass su specifiche materie, pensati anche per chi già lavora.

 

Tra burocrazia e opportunità

A curare la didattica professionisti dei vari settori, imprenditori, professori universitari “il progetto è stato sposato da alcune Università che saranno partner per alcune materie di studio”. L'obiettivo è di creare un istituto di formazione riconosciuto a livello nazionale, per ora sono avviate le pratiche per l'accreditamento regionale. Un passo dopo l'altro, tra i molti in campo in questi giorni.

La retta, per il corso di un anno, è di 8mila euro, incluso vitto e alloggio, con diverse opzioni a scalare, e la possibilità di usufruire di borse di studio. “Stiamo lavorando anche su quello: abbiamo già stretto accordi con aziende, banche, e stiamo in contatto con diverse regioni, per le borse di studio e i bonus studenti” che consentirebbero agli allievi di pagare il corso dopo la fine della scuola, una volta ottenuto un contratto.

 

Intrecci | Castiglione in Teverina (VT) | piazza del Poggeto, 12 | www.intreccialtaformazione.com

 

a cura di Antonella De Santis

 
 
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