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Libri. 11 imperdibili volumi sulla cucina, gli chef e le grandi storie di cibo

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La cucina piacentina e quella nascosta nelle pagine delle fiabe per bambini, le ricette piacentino e quelle vegetali italiane e non solo. 11 volumi per gli appassionati di cucina.

Direct Food

I prodotti alimentari locali sono diventati il segmento più dinamico del mercato in tutti i paesi, e ciò attraverso il moltiplicarsi di nuovi canali distributivi basati su un rapporto diretto produttore-consumatore. Canali che … hanno cominciato ad essere una vera significativa alternativa al sistema distributivo dominante”. Il libro descrive come il consumo del cibo torna ad essere un atto di socializzazione: in molti modi e canali, si avvicinano produttori e consumatori. Il rapporto diretto produttore-consumatore non è più limitato a un’élite di agricoltori “piccoli” e di consumatori “responsabili”: diventa un’opzione valida per tutte le imprese agricole.

Direct Food | Flaminia Ventura, Antonio Schiavelli e Pierluigi Miloni | Donzelli | pp. 196 | euro 19,00

 

I quaderni di Archestrato Calcentero

I Quaderni di Archestrato Calcentero desiderano raccontare alcuni aspetti della cucina siciliana aristocratica e conventuale ma anche del gusto attraverso l’evoluzione di alcune celebri ricette presenti nelle cucine isolane sin dal XVII secolo. Una monografia di carattere storico ma senza alcuna volontà di salire sulla cattedra, con un passo narrativo che pur rimanendo nel solco del rigore scientifico riesca ad incuriosire e a coinvolgere ogni lettore” afferma l’autore. Ma il titolo? “Archestrato Calcentero è un gioco di parole” confessa lo studioso “un vezzo da classicista che non ama prendersi sul serio. Archestrato, siciliano, scrisse nel IV a. C. quella che può essere considerata (con un po’ di fantasia) come la prima guida gastronomica che la storia ci abbia tramandato. È un uomo che utilizzava il verso del poema epico per raccontare il cibo” Calcentero invece è una specie di scherzo: significa più o meno stomaco di bronzo: “ho pensato che potesse essere il soprannome più adatto per me che non mi fermo dinanzi ad alcuna pietanza”.

I quaderni di Archestrato Calcentero | Marco Blanco | Mémoire di Carlo Ottaviano e Simonetta Agnello Hornby | ed. Bonfirriato | pp. 276 | euro 23

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Il Parmigiano Re. Grandi scrittori per un grande formaggio

Alla ricerca del Parmigiano Reggiano: un viaggio tra le righe delle pagine dei grandi libri della storia. Da Anna Karenina di Lev Tolstoj al Decamerone del Boccaccio passando per L’isola del tesoro di Stevenson. Una caccia al tesoro, o se preferite una spy story tra la grande letteratura di tutti i tempi e il nostro formaggio più famoso. Un'occasione per saperne un po' di più di un protagonista così importante delle nostre tavole e leggere o rileggere i grandi scrittori del passato.

Il Parmigiano Re. Grandi scrittori per un grande formaggio | Paolo Brogi | Compagnia Editoriale Aliberti | pp. 125 | euro 15

 

L’osteria dei passi perduti. Storie di zingare di strade e sapori

Non è un libro da leggere, questo. Semmai da annusare nelle sue fragranze, da assaporare nei suoi aromi, da perlustrare, setacciare e gustare appieno per i sobbalzi con cui scuote la memoria del lettore, per le scintille con cui illumina contorni geografici, cromatismi paesaggistici, emozioni dell’anima” scrive Paolo Patui sul Messaggero Veneto. Sono 14 storie di umanità e solitudini che si portano addosso l’odore della cucina, la meraviglia e lo stupore dell’incontro. Paesaggi, sapori, abbuffate, lacrime, sghignazzi e baci: tutto si mescola in un abbraccio che racchiude schegge di Friuli, Slovenia, Istria, Carinzia e Veneto.

L’osteria dei passi perduti. Storie di zingare di strade e sapori | Angelo Floramo | Bee | pp. 192 | euro 15

 

La cucina piacentina. Storie e ricette

Un libro ricchissimo di ricette (dall’anguilla alla zuppa di pane), ma anche l’incontro con un territorio ricco di prodotti della tradizione contadina: un incontro felice ricco di atmosfere, personaggi e vocaboli dialettali come mariola o chizzöla o ancora fasôlon...

I tre piatti-simbolo della città sono la bomba di riso (a base di piccione), i tortelli con la coda e i pisarei e fasô, piatto della cucina povera tradizionale, costituito da gnocchetti di pangrattato e farina, che richiamano piccoli attributi dei bambini, accompagnati da fagioli. Un libro da cucinare, ma anche da leggere!
La cucina piacentina. Storie e ricette | Andrea Sinigaglia e Marino Marini | Tarka | pp. 256 | euro 16,00

 

Meglio di stagione

Prediligere cibi di stagione ha effetti positivi anche sul piano psico-fisico: un appagamento sensoriale – gusto, vista, olfatto” si spiega nel volume, illustrando anche il motivo di tale piacere“che deriva dalla genuinità, dalla freschezza e dalla bellezza dei colori di prodotti colti nel momento ottimale del loro ciclo annuale di vegetazione, e che ben si combina con il piacere di cucinare e condividere piatti in grado di esaltare il meglio di ogni momento dell’anno...” Il libro è firmato da Cortilia, giovane azienda che punta a rivoluzionare il modo di far la spesa, prediligendo la stagionalità e la filiera corta.

Meglio di stagione | Cortilia | Nomos | pp. 128 | prezzo 17,50

{gallery}libri maggio2{/gallery}

Prima l’Insalata! 7 passi e 50 ricette per stare bene

Basta con gli insegnamenti che arrivano dall’Oriente: per nutrirci bene e in modo sano, possiamo fare anche da soli. Partendo dalla dieta mediterranea, facendo il punto sui tanti studi scientifici, possiamo dare una svolta più sana allo stile alimentare che portiamo avanti ogni giorno. Ci sono cibi che fanno bene all’anima e soprattutto al corpo che soddisfano il morale e rispettano il nostro fisico, anche nella nostra alimentazione. Perché come dicono Sergio Chiesa e Laura Faggian: “Nutrirsi bene è di fatto un problema di equilibri: bisogna intuire quali sono le scelte fondamentali e armonizzarle tra di loro”. Basta iniziare sempre dalla verdura… anzi, dall’insalata.

Prima l’Insalata! 7 passi e 50 ricette per stare bene | Sergio Chiesa e Laura faggian | Terre di Mezzo | pp. 442 | euro 14

 

Ricette da fiaba

C'era una volta... il pan di Spagna di Hansel e Gretel. E le triglie al pomodoro di Pinocchio. O la focaccia di Cappuccetto Rosso. Sono tante le ricette rintracciabili nelle fiabe popolari e tanto interessante è il loro ruolo magnetico all'interno delle storie. Saggio e ricettario, la bella e nutrita antologia di Ricette da Fiaba è frutto di un'attenta ricerca filologica nella tradizione favolistica italiana ed europea. Con molti spunti per conoscere e preparare piatti letteralmente magici.

Ricette da fiaba | Elisa Piccinini e Camillo Bacchini | Illustrazioni Francesca Rossetti | Elliott | pp. 158 | prezzo 17.50 euro

 

The devil in the kitchen

Un decennio fa Marco Pierre White scrive la sua autobiografia. Non la semplice vita di un cuoco, non l'agiografia di un mondo bucolico di sapori, nonne e contadini. Un romanzo di formazione, il racconto di un'esistenza a tratti normale a tratti incendiaria, quasi da divo del cinema (e in effetti del libro Ridley Scott si è affrettato ad assicurarsi i diritti per produrre un biopic). Nato a Leeds, padre cuoco e madre italiana, che scompare quando ha solo 6 anni, White fagocita esperienze e tappe nella Londra frizzante degli anni '80. È lui il più giovane a ricevere Tre Stelle Michelin, è lui a rivoluzionare la figura dello chef e a farne una celebrità. È sempre lui a ispirare cuochi di fama planetaria come Gordon Ramsay, suoi prim dscepolo. Nel volume, tradotto da Sara Reggiani per Giunti, anche un capitolo (scritto appositamente per l'edizione italiana) sul presente, fatto di imprenditoria e tv, dopo il ritiro ufficiale dalle cucine, avvenuto nel 1999.

The devil in the kitchen | Marco Pierre White |Giunti | pp.412 | prezzo 24 euro

 

{gallery}libri maggio 3{/gallery}

Un’imprenditrice in cucina

Lei è la vice presidente di Irinox, azienda leader nel freddo che ha portato l’alta tecnologia della sua azienda dal Veneto agli Usa. Nel tempo libero ama “riscoprire” se stessa: la cucina è un momento di questa riappropriazione. E ovviamente dell’abbattitore di temperatura non può fare a meno, così unisce ricette quotidiane, cibo sano e semplice, all’uso del freddo, tecnologia che ha rivoluzionato già la cucina professionale e che sta rivoluzionando (cambiandola in meglio) anche il modo di mangiare domestico.

Un’imprenditrice in cucina | Katia Da Ros | Linea edizioni | pp. 126 | euro 20

 

Una minestra al giorno

Una volta la minestra era il piatto quotidiano, oggi invece è spesso snobbato a favore di piatti più consistenti. Eppure la cucina tradizionale (non solo italiana) è ricchissima di zuppe e minestre: a base di legumi o di verdure, con o senza pasta e cereali; a base di pane o con pezzi di carne e pesce, oppure uova e formaggio. L’autrice ha raccolto le più diverse ricette delle cucine contadine e cittadine, le ha divise per tipi, ingredienti e varianti, ne ha messo in evidenza similitudini e differenze proponendoci di riscoprire e reinserire nella nostra alimentazione un piatto così versatile che nutre, idrata, consola, conforta e può anche essere dietetico e dimagrante. Con 100 ricette da tutto il mondo.

Una minestra al giorno | Diletta Poggiali | tecniche Nuove | pp. 128 | euro 9,90


Countdown al Refettorio Felix. Il progetto di Massimo Bottura inaugura a Londra il 5 giugno: come sarà

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I lavori per il nuovo refettorio londinese procedono in vista dell’inaugurazione prevista per l’inizio del London Food Month, quando al fianco di Massimo Bottura si avvicenderanno oltre 50 chef. Obiettivo: cucinare con gli scarti per garantire un pasto caldo a chi ne ha bisogno, nello spazio rinnovato del St.Cuthbert’s Centre. 

Verso il Refettorio Felix. Le premesse

A St. Cuthbert’s, West London, senzatetto e persone bisognose d’aiuto si ritrovano da oltre 20 anni, in cerca di cibo, assistenza e beni di prima necessità dispensati dal centro di accoglienza che tra qualche settimana inaugurerà il nuovo Refettorio Felix. Del progetto refettorio, e della volontà di replicarlo in giro per il mondo come impegno concreto nella lotta per il diritto al cibo (e alla bellezza), abbiamo parlato a lungo. E proprio nei giorni scorsi, Milano – dove tutto è iniziato con Expo 2015 – ha ospitato la presentazione ufficiale del film (per la regia di Peter Svatek) che la storia del Refettorio la racconta sin dai primi passi, ricostruendo per immagini il sogno di Massimo Bottura diventato realtà, con le testimonianze di chi ha aderito dalla prima ora, rendendo possibile il “miracolo a Milano” del Refettorio Ambrosiano. Anche a Rio, terminate le Olimpiadi, il centro costruito nella favela di Lasa continua a lavorare, gestito dall’associazione Gastromotiva. Ed entro il prossimo anno, con il sostegno economico della Rockefeller Foundation, i refettori si moltiplicheranno pure in America, nelle principali città statunitensi.

The Felix Project

Ma ora è il momento di concentrare gli sforzi su quell’oasi di “felicità” che sarà il Refettorio di Londra, che lo chef modenese inaugurerà in occasione del London Food Month di giugno, in partnership con l’associazione The Felix Project, che nella capitale inglese si impegna a raccogliere il surplus alimentare di produttori e commercianti, redistribuendolo a una rete di 60 centri solidali di Londra. Lavorando così per la riduzione dello spreco alimentare, e consentendo al contempo l’accesso al cibo – frutta, verdura, cereali, pasta – a chi difficilmente riuscirebbe a portare un pasto in tavola (ammesso che una casa e un tavolo ce l’abbia). Nello specifico, anche quando il primo periodo sotto i riflettori sarà terminato, la onlus provvederà a rifornire il Refettorio Felix di cibo in arrivo da Marks&Spencer, Natoora, Mash, Whole Foods, Fortnum and Mason, Harrods, Sainsbury’s, Paul and Gail’s Bakery. Mentre lo spazio è stato riprogettato dalla designer Ilse Crawford, con il team dello studio londinese Studioilse, per fornire la mensa da 100 posti di un’atmosfera confortevole e curata, come da desiderata di Massimo Bottura, che per l’occasione ha “assoldato” anche Charles Wainwright, progettista d’esperienza per condurre i lavori di ristrutturazione (ancora in corso) che garantiranno l’installazione di una nuova cucina professionale.

Gli chef

Qui, dal 5 giugno e per tutto il mese, si avvicenderanno gli ospiti illustri dello chef della Francescana, tutti i colleghi e gli amici che ancora una volta hanno scelta di aderire al progetto che vuole “nutrire il corpo e l’anima”, restituire dignità all’uomo, favorire l’aggregazione della comunità. La mensa sarà operativa a pranzo (ma visitabile durante una fascia pomeridiana, 16-17), dal lunedì al venerdì con l’obiettivo di servire 2000 pasti durante il London Food Month, gli chef si impegneranno a riutilizzare gli scarti a disposizione. L’elenco dei partecipanti è nutrito, e comprende oltre 50 chef, puntualmente citati sul sito web del refettorio operativo da qualche ora; tra loro Alain Ducasse, Bruno Loubet, Anna Hansen, Brett Graham, Clare Smyth, Alberto Crisci, Claude Bosi, Daniel Boulud, Isaac McHale, Giorgio Locatelli, Francesco Mazzei, James Lowe, Nuno Mendes, Sat Bains, Roberto Ortiz, Jonny Lake. Praticamente gli chef più rappresentativi della ristorazione locale, con incursioni significative dall’estero, compresa la partecipazione di fratelli Roberto ed Enrico Cerea.

E mentre parte il countdown per scoprire il nuovo spazio, il Refettorio Felix è in cerca di volontari per servire il pranzo e aiutare nella gestione delle attività (l’application form è online sul sito di riferimento); ma si può contribuire anche con una donazione in denaro o in surplus alimentare. E a servire ai tavoli ci saranno anche i detenuti coinvolti nel progetto di riabilitazione The Clink Charity, promosso nelle carceri dallo chef Alberto Crisci da diversi anni a questa parte. Quando si dice che solo chi fa del bene può mettere in moto un circolo virtuoso.

 

Refettorio Felix | Londra | St. Cuthbert’s Centre, 51 Philbeach Gardens | dal 5 giugno 2017 | www.refettoriofelix.com

 

a cura di Livia Montagnoli

 

Il Trentino Alto Adige in 9 biscotti tradizionali e la ricetta dei frollini al mais del Panificio Moderno

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Farina gialla, coriandolo, limone, ma anche cannella, cioccolato e tanto burro. Sono gli ingredienti dei biscotti del Trentino Alto Adige, dolcetti che le popolazioni delle valli custodiscono da tempo immemore. Vi raccontiamo 9 specialità di questa regione, tutte da replicare a casa, con la ricetta dei frollini al mais del Panificio Moderno.

Non è raro, in Trentino Alto Adige, trovare dei cibi che ricordano, nel nome come negli aromi, quelli tedeschi. E questo anche nei dolci: tanti, dal gusto rustico e speziato, si contendono le preferenze dei golosi con specialità di stampo più mediterraneo e dai sapori più delicati. Per la rubrica sui biscotti tradizionali, vi raccontiamo 9 biscotti di questa regione. In fondo, anche la ricetta dei frollini al mais del Panificio Moderno, che ha ricevuto Una Torta nell’edizione 2017 della guida Pasticceri&Pasticcerie.

 

Basin de Trent

Una specialità del XVI secolo molto amata dall’aristocrazia locale, che consumava questi biscotti in occasione delle feste, a fine pasto. Sono baci simili a quelli piemontesi e umbri: come sempre la base è la mandorla, che sia tritata, “a petalo” o ridotta in pasta. La particolarità dei bacini di Trento è la presenza del coriandolo, che regala loro un aroma tutto particolare. 

Si preparano con mandorle sbucciate, albumi, zucchero, farina, cannella, vaniglia, coriandolo e cioccolato per la farcia. Per prima cosa tritare le mandorle e macinare i semi di coriandolo. In una pentola antiaderente unire zucchero e albumi, facendoli scaldare a 40 gradi e mescolando continuamente, badando che l’albume non si rapprenda troppo velocemente. Far raffreddare il composto e aggiungere mandorle e semi di coriandolo. Infine, la farina setacciata e il resto degli aromi. Una volta che gli ingredienti si sono amalgamati, con una sac à poche creare dei cerchietti, direttamente sulla carta forno o su una placca imburrata e infarinata, e cuocerli a 180 gradi per 15 minuti circa. Nel frattempo sciogliere a bagnomaria il cioccolato. Quando i dolcetti sono pronti, ma non ancora freddi, stendere uno strato di cioccolato sul lato piatto e poi unirli a coppie.

 

Basin de Trent- Taste TrentinoBasin de Trent- Taste Trentino

 

Biscotti Nostrani di Storo

La farina gialla di Storo, abitualmente impiegata per la polenta, si presta anche a preparazioni dolci. Con questa, che molti chiamano anche farina nostrana, si producono infatti i Biscotti Nostrani di Storo. Nella ricetta, oltre alla farina gialla (il cui colore è dato dai chicchi rossastri del grano Marano), anche farina 00, tuorli d’uovo, burro, zucchero a velo, cannella e un pizzico di sale. In alcune versioni è presente anche l’aromatizzazione al rum.

La procedura per prepararli a casa è semplice: setacciare lo zucchero e ammorbidire il burro a temperatura ambiente, montarli insieme alle uova fino a ottenere un composto spumoso. A questo punto unire le farine setacciate e mescolare bene, poi aggiungere il pizzico di sale e la cannella. Verso la fine, a piacere, arricchire con mezzo bicchierino di rum (e in questo caso aumentare leggermente la dose di farina).

Mettere il composto nella sac à poche e creare dei biscotti rotondi dal diametro di 3 centimetri circa, da cuocere a 180 gradi per 10-15 minuti, o fino a completa doratura.

 

Cornetti o gipfeln

Aromatizzati alla vaniglia - in tal caso vengono chiamati vanillegipfeln - oppure al cioccolato, ovvero schokogipfeln, sono biscotti preparati con farina 00, burro, mandorle grattugiate (o farina di mandorle per una consistenza meno rustica), zucchero, tuorli d’uovo, un pizzico di sale, cui si aggiungono vaniglia o cioccolato fondente, secondo i casi. Per realizzarli si dispone la farina già setacciata a fontana e si aggiungono le mandorle, lo zucchero, il burro a pezzetti, i tuorli e il pizzico di sale. Si impasta fino a ottenere una massa liscia che deve riposare in frigo per un’ora almeno, avvolta in una pellicola trasparente. Trascorso questo tempo, si impasta di nuovo leggermente e si formano dei biscottini a forma di ferro di cavallo, da infornare a 170 gradi per 10-12 minuti. 

Per completarli sciogliere a bagnomaria il cioccolato e immergervi le punte dei biscotti. Oppure premerle, ancora calde, nello zucchero precedentemente profumato con la vaniglia, lasciando per qualche giorno una stecca profumata nel barattolo dello zucchero conservato in frigo. 

 

Frollini al mais

La farina di mais è uno degli ingredienti che più caratterizzano i prodotti da forno del Trentino Alto Adige, insieme all’avena e alla segale, ed è la base di questi frollini, diffusi in tutta la regione con piccole varianti: in alcuni casi si aggiungono gocce di cioccolato, in altri casi uva passa o frutta secca. Gustosi e versatili, si consumano a qualsiasi ora del giorno, dalla colazione, alla merenda fino a dopo i pasti, con un bicchiere di vino dolce. Ma non ci dilungheremo molto su questa ricetta, perché è proprio quella che ci siamo fatti regalare dalla Panificio Moderno di Isera, Una Torta nell’edizione 2017 della guida Pasticceri&Pasticcerie, che ha appena aperto una nuova sede anche a Trento.

 

Lebkuchen

Sono i tipici dolcetti speziati dei mercatini di Natale, dalle forme varie (stelle, cuori, mezzelune) spesso decorati con frasi d’auguri. Hanno un’origine molto antica: è nel 1409, infatti, che la parolalebkuchen compare nei documenti della corporazione dei pasticceri di Norimberga, città da cui si sono diffusi in tutto il centro Europa e anche in Alto Adige. Secondo alcune fonti il termine potrebbe derivare dal latino libum, che vuol dire “schiacciata”. 

Sono moltissime le varianti locali di questa specialità, ma la ricetta originale prevede farina, marzapane (pasta di mandorle amalgamata con albume d'uovo e zucchero), frutta secca (noci, nocciole e/o mandorle), miele, uova, zucchero, agrumi canditi e soprattutto le spezie: cannella, anice, zenzero, pimento (detto anche pepe giamaicano), chiodi di garofano, noce moscata. In alcune zone della regione vengono ricoperti di cioccolato fuso o glassa bianca.

 

Lebkuchen - SchmidtLebkuchen - Schmidt

 

Linguine di gatto

Diffusi in diverse regioni d’Italia, in Trentino - dove si chiamano “linguine” - sono profumati di vaniglia e preparati con le uova intere, e non solo con gli albumi come nella ricetta piemontese. Gli altri ingredienti restano invariati: farina, zucchero, burro, un pizzico di sale.

Iniziate lavorando il burro ammorbidito a temperatura ambiente con lo zucchero profumato di vaniglia (seguite il metodo descritto per i cornetti) e il pizzico di sale. Aggiungete prima le uova intere già sbattute e poi i tuorli. Infine, incorporate anche la farina, facendo attenzione a non creare grumi. Il composto, che non dovrà essere troppo compatto, va messo in una sac à poche, per formare dei bastoncini di circa 6 centimetri di lunghezza. Cuocete a 180 gradi per 10 minuti, o fino a ottenere una leggera doratura e nel frattempo sciogliete il cioccolato a bagnomaria. Sfornate i biscotti, girateli dalla parte piatta e spennellateli con il cioccolato; prima che si freddi uniteli a due a due, sempre dal lato piatto, come si fa con i bacini. Infine, immergete la punta nel cioccolato. Quando sono freddi possono essere serviti.

 

Spitzbuben (occhi di bue)

Spitzbuben in tedesco vuol dire pressappoco “marachella”. Ed è proprio così che si chiamano questi biscotti tipici della Quaresima e diffusi in tutto il Tirolo, mentre nel resto d’Italia sono noti come occhi di bue. Il motivo è semplice: una volta preparati dalle mamme, i dolcetti sparivano in pochissimi minuti dalla dispensa. 

I loro ingredienti sono farina, burro, tuorli, lievito, zucchero semolato e zucchero e velo per la copertura, scorza di limone, marmellata di frutti rossi (di solito ribes, ma va bene anche la marmellata di albicocche). Per prepararli basta lavorare il burro ammorbidito con lo zucchero e la scorza di limone. Poi aggiungere i tuorli poco alla volta e subito dopo la farina, anche questa a piccole dosi. Impastare fino ad ottenere una massa lucida e omogenea, da far riposare in frigo per un’ora. Trascorso questo tempo, riprendere l’impasto per qualche minuto, evitando di riscaldarlo troppo, stenderlo con uno spessore di circa 5-6 millimetri e ricavare dei dischetti di 4-5 centimetri. Di questi, metà andranno forati con un levatorsoli o un tappo di bottiglia. Cuocere a 180 gradi per circa dieci minuti. Una volta raffreddati, farcire i dischi con la marmellata e spolverate le parti forate con lo zucchero a velo. Infine, fate aderire le due parti, prima che i biscotti si raffreddino completamente.

 

Stelle di neve

Cannella e limone sono gli aromi caratteristici di questi biscotti, chiamati anche zimtsterne, diffusi in tutto il centro Europa e onnipresenti nei mercatini di Natale insieme ai lebkuchen, che si preparano spesso nelle scuole in vista delle festività. 

Per riprodurli nella cucina di casa servono mandorle, albumi, zucchero a velo, succo di limone, cannella e un pizzico di sale. Montare a neve gli albumi con la presa di sale e unire le mandorle tritate finemente, aggiungendo anche la cannella, lo zucchero a velo e il succo di limone. Ricavare dall’impasto una sfoglia di circa 3 millimetri e, da questa, dei biscottini a forma di stella. Cuocerli in forno per 30 minuti a circa 170 gradi facendo attenzione alla superficie, che non deve dorare ma restare bianca. Spolverizzare con zucchero a velo. Prima di mangiarli, per tradizione, si fanno raffreddare per una notte intera.

 

Stanitzeln

È una ricetta semplice e leggera della Val Sarentino, che prevede solo 3 ingredienti: farina, uova e zucchero a velo. Per prepararli lavorare le uova con lo zucchero senza montarle e poi aggiungere la farina poco per volta. L’impasto deve essere liscio e non troppo compatto. Stendere una sfoglia sottile e ricavare dei dischetti da circa 10 centimetri, da infornare a 180 gradi per 15 minuti, dopodiché lasciarli raffreddare.  

Si servono abbondantemente coperti di panna montata. In alcune occasioni speciali, all’impasto dei biscotti vengono aggiunte anche mandorle o noci tritate. Si mangiano a fine pasto, accompagnati a un vino dolce o a un liquore locale.

 

La ricetta dei frollini al mais con perle di cioccolato del Panificio Moderno di Isera

 

Ingredienti

800 g di farina tipo 2    

200 g di farina di mais

550 g di burro

430 g di zucchero semolato 

350 g di uova

4 g di sale fino 

5 g di lievito per dolci

1 arancia biologica 

400 g di perle di cioccolato fondente

 

Procedimento

Biscotto preparato con una base di frolla montata. Prima di iniziare, setacciare tutte le farine, scaldare leggermente il burro in modo da renderlo morbido (fare molta attenzione a non scioglierlo, la consistenza deve essere cremosa) e grattugiare la buccia dell’arancia. 

Montare in una planetaria burro, zucchero e sale. Aggiungere successivamente a filo le uova e le farine. Quando l’impasto sarà ben amalgamato aggiungere a mano le perle di cioccolato. 

L’impasto finale deve risultare morbido: utilizzando una sac à poche formare i biscotti direttamente sulle teglie da forno imburrate, con forma e dimensione a piacimento (consigliamo di fare porzioni da 10-20 grammi massimo a biscotto). Infornare a 180 gradi per 12 minuti. 

 

Consigli

Nel laboratorio del Panificio Moderno si preparano due varianti del frollino al mais: con perle di cioccolato o con uva sultanina. Il procedimento rimane invariato, si sostituiscono 400 grammi di uva sultanina al cioccolato fondente. 

 

 

Panificio Moderno | Isera | via al Ponte, 10 | tel. 0464 436196 | www.panificiomoderno.net

Panificio Moderno | Trento | piazza Lodron, 21 | tel. | www.panificiomoderno.net

 

a cura di Francesca Fiore

 

 

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A cena con il tuo vicino musulmano, l’iniziativa dell’ex concorrente di Masterchef USA

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Metti una sera a cena un musulmano, un ebreo e un cristiano. Quello che sembra l’inizio di una barzelletta è invece un’iniziativa che sta riscuotendo successo nel cuore di Seattle. Lei si chiama Amanda Saab, è un’ex concorrente di Masterchef che ha deciso di invitare a cena perfetti sconosciuti per raccontare la cultura e la vita di un musulmano americano attraverso il cibo.

“A cena con il tuo vicino musulmano”

È proprio così che si chiama l’iniziativa: “Dinner with your muslim neighbor”. È l’idea di Amanda Saab, cuoca-blogger ed ex concorrente di Masterchef USA, che attualmente vive e lavora a Seattle.“Una volta in un alimentari ho pagato 295 dollari. Quando la commessa mi ha chiesto perché facessi quel volume di spesa le ho risposto che era per una cena. E poi l’ho invitata a venire”. Perché è proprio questo l’obiettivo di Amanda, invitare dei perfetti sconosciuti a cena e raccontare loro attraverso il cibo la vita, le regole, le credenze e le aspirazioni di una “musulmana americana qualunque”.

 

L’esperienza di Masterchef e i pregiudizi anti Islam

Non avevo mai subito discriminazioni per la mia abitudine di portare l’hijab” racconta Amanda al Washington Post.“Durante Masterchef in molti mi avevano scritto per congratularsi della mia partecipazione, erano contenti che una musulmana velata potesse essere rappresentata in tv”. Lei, che viene da Detroit - una delle città americane con il maggior numero di abitanti con fede islamica - ha capito quanta confusione ci fosse intorno alla figura delle donne musulmane solo dopo la trasmissione. “Hanno iniziato a scrivermi chiedendomi se per partecipare avessi avuto bisogno del permesso di mio marito Hussain, o se il mio velo fosse frutto di una costrizione. Allora ho capito che dovevo fare la mia parte per spazzare via questi inutili stereotipi”.

 

Le elezioni del 2016 e l’idea delle cene con gli sconosciuti

Le elezioni per la presidenza che si sono svolte a fine 2016 hanno cambiato molte cose negli Stati Uniti: per la prima volta Amanda ha sentito il velo come un simbolo chiaro delle sue scelte e quanto queste scelte fossero osteggiate dagli abitanti della sua stessa città.Così Amanda organizza, un po’ per gioco, la sua prima cena: un fatto insolito per Seattle, ambiente urbano in cui è difficile fare nuove amicizie, tanto che i suoi abitanti hanno coniato anche un modo di dire per descrivere questa “distanza” fra i cittadini, il Seattle Freeze.

 

Amanda Saab nella sua cucina

 

A tavola ci sono lei e il marito, due invitati di origine e fede ebraica e altre due persone che avevano partecipato alla veglia dopo l’attentato alla discoteca Pulse di Orlando (avvenuto nella notte tra l'11 e il 12 giugno 2016).“Era Pasqua e dovevo informarmi sulle regole della cucina ebraica in un periodo così importante per loro. Così sono andata a fare compere nei pressi delle abitazioni dei miei invitati, chiedendo direttamente ai negozianti di spiegarmi le regole per cucinare”. Com’è andata quella prima cena? “È stata un vero successo: abbiamo spiegato i piatti e come sono stati cucinati, ci siamo raccontati storie legate a quelle pietanze, abbiamo chiarito parti delle nostre vite incomprensibili l’una all’altro, ci siamo anche commossi”. Dopo le entusiaste recensioni dei primi invitati, il successo delle cene è stato garantito, tanto che Amanda e Hussain ormai ne organizzano una a settimana.

Non è ancora chiaro se l’iniziativa si trasformerà in lavoro, dato anche l’esborso dovuto per ogni appuntamento. “Le cene stanno diventando sempre più numerose e pensavamo di fondare un’associazione e mettere a punto un kit di regole per far sì che ognuno, nel mondo, a qualunque fede appartenga, possa creare eventi del genere. Il cibo e le storie legate ad esso sono uno strumento molto potente di mediazione culturale: basta sfruttare questo punto di forza con intelligenza”.

 

www.amandasplate.com

www.washingtonpost.com/lifestyle/food/a-muslim-cook-wanted-to-stop-the-hate-so-she-started-inviting-strangers-to-dinner/2017/05/05/370b96ca-30f2-11e7-9534-00e4656c22aa_story.html?utm_term=.da6ffc6942fd

 

a cura di Francesca Fiore

 

 

 

 

 

 

Vino, internet e social network. Ecco chi fa meglio nel 2017

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Quarta edizione della ricerca FleishmanHillard sulla presenza online delle più grandi cantine italiane. Facebook il più usato, cresce Instagram; vitigni autoctoni e sostenibilità i temi più sviluppati; ancora scarso l'uso dell'e-commerce. Tutti i trend di quest'anno. 

Come se la cavano i big italiani del vino con la comunicazione via internet? Ce lo dice la quarta edizione dell'indagine FleishmanHillard Italia sulla presenza online delle prime 32 aziende vinicole per fatturato (secondo la rilevazione di Mediobanca). La tendenza generale è confermata: il settore guarda alla digitalizzazione, presidia internet e le principali piattaforme, con una frequenza di aggiornamento “in lenta ma costante crescita”, come spiega Massimo Moriconi, general manager & partner della società di consulenza, attiva in oltre 30 Paesi. Ma come è cambiata la classifica 2017 rispetto a un anno fa? Sul gradino più alto del podio si conferma il brand toscano Frescobaldi, seguito da Antinori che guadagna due posizioni rispetto allo scorso anno, poi Masi Agricola, stabile al terzo posto. Sale al quarto Cavit (una posizione in più) mentre perde tre posizioni Mezzacorona (quinta), poi Banfi (+2 posizioni), le due new entry Mionetto e Villa Sandi, in calo Zonin (nono posto) e Santa Margherita (decima). In coda alla top 32, ci sono due new entry: Gruppo Terra Moretti, Quargentan e la quotata Iwb-Italian wine brands.

Facebook il più usato, cresce Instagram

Facebook il social network più usato (25 aziende su 32: primeggia per fan la Fratelli Gancia), seguito da YouTube (20 su 32, il primato degli iscritti è di Frescobaldi), Instagram (17 su 32, guida Antinori) e Twitter (16 su 32, con Mionetto in testa). E poi c'è Instagram, che viene definito una vera rivelazione, per via della crescita del 23%. Le cantine italiane preferiscono usare immagini e video, rispetto ai contenuti puramente testuali, ritenuti meno efficaci. Un trend confermato dall'analisi della frequenza di aggiornamento sia di Instagram sia di Facebook: oltre il 70% delle aziende pubblica contenuti con cadenza almeno settimanale. Più del 43% scrive un tweet ogni giorno e un 35% di cantine pubblica video su YouTube almeno una volta al mese. Anche Wikipedia è in crescita, con le aziende che migliorano la visibilità Serp, creando pagine dedicate alla propria storia (37,5% nel 2017 contro l'11,5% del 2016).

Territorio e sostenibilità i temi gettonati

Sul fronte dei contenuti, tre aziende su quattro (75%) comunicano il proprio territorio, mentre poco più della metà (53%) parla dei vitigni autoctoni e delle loro caratteristiche. Sui siti aziendali cresce il riferimento a enoteche, degustazioni e canali commerciali consigliati: la percentuale passa in un anno del 31% al 47%. Visto il crescente interesse dei consumatori per la sostenibilità, 12 aziende su 32 (37,5%) si occupano di questo tema, spiegando le politiche virtuose in tema di agricoltura sostenibile.

 

Ancora scarso l'uso dell'e-commerce

Quasi la totalità delle cantine analizzate (31 su 32) è dotata di siti internet in almeno due lingue (italiano e inglese); una su tre ha inserito il tedesco; il cinese è usato da 2 cantine su 32. Peggiora il quadro legato ai siti esterni che rimandano a quello aziendale (link-in). Su questo terreno, ovvero in ottica Seo, i margini di miglioramento, secondo lo studio, ancora sono molto ampi.  Assenti anche le chat in tempo reale, utile strumento per chiarire i dubbi degli utenti in tema di visite guidate, eventi, prodotti. E c'è da migliorare ulteriormente in materia di e-commerce, dal momento che appena tre aziende sulle 32 analizzate sono dotate di piattaforme di vendita sul proprio sito. “L'e-commerce viene esternalizzato e affidato a intermediari, portali dedicati oppure online shop specializzati. Questo trend” spiega Moriconi “rappresenta sia un'opportunità sia una minaccia secondo la maturità dei mercati. In quelli più maturi come gli Stati Uniti, potrebbe ridurre alcuni prodotti a mere commodity poiché l'acquisto sarà guidato solo dal prezzo e non anche dal valore della marca e del territorio. In mercati emergenti come la Cina, invece, si delinea un ruolo rilevante per i portali e-commerce più conosciuti in loco. Essi potrebbero aiutare a svolgere, da subito, vera educazione sul valore del vino italiano, integrando il mix di promozione che il nostro comparto sta conducendo sugli altri canali”.

 

Le raccomandazioni di FleishmanHillard

Nel complesso, le cantine devono continuare a educare il consumatore sul valore dei prodotti associati alla cultura del territorio, facendo leva sulle opportunità di dialogo che offre il digitale e creando contenuti su percorsi esperienziali: “La velocità del ritorno sugli investimenti è legata alla maturità dei diversi mercati e alla capacità di fare sistema”.

I risultati della classifica derivano dal punteggio assoluto raggiunto da ogni azienda, che è stata valutata (tra 7 e 28 aprile) per uso delle piattaforme social, numero di fan e iscritti, frequenza di aggiornamento, ranking di Google, numero dei link-in (i collegamenti esterni che rimandano al sito), fruibilità del sito, lingue utilizzate, iniziative sulla sostenibilità, riferimento agli autoctoni, contenuti relativi alla promozione del territorio.

 

a cura di Gianluca Atzeni

I migliori mieli d'Italia. L'Ape Operosa di Nettuno

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Una realtà apistica interamente biodinamica nel cuore di Nettuno, sul litorale romano. L'Ape Operosa produce mieli nel pieno rispetto delle api e della natura, del ciclo delle stagioni e quello delle fioriture spontanee. Tutta la storia.

Le origini

Quella di Roberta Pascali è un'apicoltura stanziale e casalinga. Non fa nomadismo, è lei a seguire le api. Non rincorre le fioriture ma le stagioni seguendo i principi biodinamici di Rudolf Steiner. Tutto nasce nel 2005, quando Roberta ritrova nella cantina del nonno di suo marito un'arnia. “Si era sempre occupato di agricoltura, e in passato era molto comune per i contadini tenere anche degli alveari per una piccola produzione di miele per la famiglia”. Comincia così, insieme al marito, a realizzare i primi i mieli, e si appassiona talmente tanto che nel 2008 decide di fondare un' azienda tutta sua a Nettuno, lungo la costa laziale alle spalle di Anzio. “Quello biodinamico è un approccio che abbiamo adottato fin dall'inizio. Sono laureata in filosofia, per cui conoscevo già Rudolf Steiner, e il suo pensiero mi aveva sempre incuriosita”. Fra i vari argomenti di ambito agronomico trattati dal fondatore dell'antroposofia c'è anche l'apicoltura: “Degli amici dei tempi dell'Università, venuti a sapere dell'attività, mi hanno regalato il libro 'Le Api' di Steiner. È stata la lettura di questo volume a convincermi definitivamente a iniziare un percorso diverso”.

 

La produzione biodinamica

Niente trattamenti, neanche quelli consentiti nel disciplinare biologico, a eccezione di quelli omeopatici: Roberta lascia alle api il miele di scorta per assicurarne la sopravvivenza ed evitare di somministrare surrogati a base di glucosio e saccarosio. Tisane a base di miele ed erbe rinforzanti come equiseto, echinacea, tarassaco, camomilla: sono questi i preparati naturali con cui l'apicoltrice nutre i suoi insetti, seguendo sempre scrupolosamente il calendario delle semine di Maria Thun – pioniera e promulgatrice della biodinamica - basato sugli influssi delle costellazioni e il transito della Luna. “Le api reagiscono secondo i tempi stabiliti dal calendario. Anche per i trattamenti omeopatici, attendiamo il momento propizio consigliato da Maria Thun”. Ma cosa comporta questa scelta? “Con il biodinamico si ha una produzione minore, ma la qualità è alta perché l'utilizzo di pesticidi, diserbanti, disinfettanti non naturali contamina il prodotto, e di conseguenza le sue proprietà nutraceutiche vanno perdute. Con l'allevamento biodinamico tutto questo non accade”.

 

La produzione

Una quantità contenuta, dunque, ma di livello: ogni anno, con le sue 50 arnie, L'Ape Operosa produce fra i 700 e i 900 chilogrammi di miele. Due i prodotti principali, millefiori di primavera e millefiori estivo, più una piccola selezione di miele di melata LINK. Le api bottinano liberamente per i terreni limitrofi, “ci teniamo che il processo produttivo avvenga in maniera quanto più naturale possibile” e la raccolta di diverse tipologie di nettare contribuisce a rendere gli insetti più immuni alle varie malattie. Per questo, secondo Roberta, il miele millefiori è la scelta migliore per la salute della api, “non solo perché garantisce loro l'apporto nutritivo di cui hanno bisogno, ma perché gli consente di trarre dalle tante tipologie di piante le diverse proprietà nutraceutiche di cui hanno bisogno. In questo modo, la raccolta di nettare per gli insetti funge anche da fitoterapia, ovvero una cura naturale attraverso erbe e fiori”. Il millefiori di primavera si compone principalmente di acacia, borragine, trifoglio, mentre quello estivo di eucalipto e rovo. Mieli a parte, l'azienda produce anche propoli, polline, balsamo per le labbra e saponi, ma niente pappa reale “perché in contrasto con la nostra filosofia”. Ci spieghi meglio“La pappa reale è il prodotto di una secrezione delle ghiandole ipofaringee e mandibolari delle api nutrici, e per ottenerlo l'apicoltore deve utilizzare e orientare ai propri fini alcuni meccanismi biologici dell'alveare. Questo sistema contrasta troppo con il nostro principio di base, ovvero di produrre solo secondo natura”.

 

Vendita, formazione, progetti

Un miele particolare, quello di Nettuno, disponibile solamente presso negozi specializzati in zona, come Radice Quadrata oppure l'Enoteca Del Gatto di Anzio, gli store di Eataly e i Mercati della Terra, oltre che nel punto vendita aziendale, aperto solo su appuntamento. Poche manifestazioni o fiere di settore, “purtroppo non abbiamo molto tempo per partecipare agli eventi. In azienda sono sola, con l'aiuto di mio marito, ma il lavoro da fare è tanto e costante”. Un prodotto del genere, però, va comunicato al meglio, soprattutto attraverso la formazione dei consumatori: “Tengo dei corsi di assaggio al Master of Food di Slow Food, e a breve organizzerò una serie di lezioni sulla biodinamica, per spiegare a consumatori e addetti ai lavori come funziona questo tipo di lavoro”. Fra i progetti per il futuro, c'è anche quello di ampliare la produzione, inserendo la coltivazione di grani antichi: “Abbiamo selezionato tre diversi grani e preso un casale in gestione, dove ci occuperemo della molitura. Il nostro obiettivo è di realizzare farine di qualità, un po' per noi e un po' destinate alla vendita”. Nel frattempo, si lavora per la nuova annata, che sembra promettere bene, “ancora è presto per dirlo ma per ora il clima ci sta assistendo e tutto sembra procedere al meglio”.

 

L'Ape Operosa | Nettuno (RM) | via Terminillo, 25 | tel. 338 9931037

 

a cura di Michela Becchi

Festa a Vico 2017, la 15esima edizione della Repubblica del Cibo dal 4 al 6 giugno

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Più di 300 chef, una ventina di pizzaioli e maestri pasticceri, produttori e artigiani del made in Italy, tantissimi appassionati e turisti. È Festa a Vico - la Repubblica del Cibo, l’evento ideato da Gennaro Esposito e giunto ormai alla 15esima edizione, in programma dal 4 al 6 giugno.

Festa a Vico, “Non siamo di un altro mondo”

È questo lo slogan scelto per la prossima edizione di Festa a Vico, un modo per dire ai giovani che - nonostante la visibilità mediatica degli ultimi anni metta in mostra lo chef quasi come fosse un alieno - per fare bene questo lavoro serve “solo” impegnarsi, approfondire le proprie competenze, cercare di migliorare costantemente. È il cuore della Repubblica del Cibo di Gennaro Esposito, lo chef della Torre del Saracino di Seiano che, come ogni anno, utilizzerà il ricavato dell’evento per finanziare cinque progetti benefici.

 

Il programma

Si parte con la Repubblica del Cibo, la festa di piazza dedicata ai cuochi emergenti, con oltre 130 giovani chef che, domenica 4 giugno dalle 18 in poi, animeranno le vie del centro di Vico Equense, in location insolite come le boutique, i fiorai, le botteghe di artigianato, le edicole del borgo.

Lunedì 5 giugno invece si terrà la cena di beneficenza, realizzata da più di 20 chef per 200 commensali. Nomi del calibro di Chicco Cerea, Nino Di Costanzo, Salvatore Elefante, Valentino Marcattilii, Giancarlo Perbellini, Valeria Piccini, Fabio Pisani e Alessandro Negrini, Emanuele Scarello, Francesco Sposito, Mauro Uliassi e, naturalmente, il padrone di casa Gennaro Esposito, mentre il dessert a buffet sarà realizzato a cura dall'Accademia Maestri Pasticceri Italiani.

Infine, martedì 7 giugno sarà ancora una volta “La notte delle stelle”, con piatti di oltre 100 chef stellati, la pizza dei maestri pizzaioli - fra cui le creazioni di Pizzeria Da Michele I Condurro, 50 Kalò di Ciro Salvo, Pizzeria SALVO Francesco&Salvatore, Gino Sorbillo, Franco Pepe di Pepe in Grani - e lo street food. A chiusura della serata e del festival, le performance dolci di oltre 20 chef pasticceri tra i migliori della ristorazione italiana.

 

Come partecipare alla raccolta

Dare il proprio contributo durante Festa a Vico è facilissimo, basta un'offerta minima di 20 euro presso uno dei punti di raccolta delle Onlus coinvolte, che dà diritto a 5 piatti (con bottiglia d’acqua e caffè) oppure a 4 piatti + un calice di vino (sempre con bottiglia d’acqua e caffè).

Per chi volesse partecipare alla cena di beneficenza, invece, la donazione minima è di 250 euro: è necessario però prenotare, dato i posti limitati. Oppure si può optare per la terza serata, con un’offerta di 120 euro, che saranno destinati sempre alle Onlus partecipanti.

Festa a Vico - La Repubblica del Cibo | Vico Equense (NA) | dal 4 al 6 giugno 2017 | www.festavico.com/festavico2017

 

 

a cura di Francesca Fiore

 

 

Santa Pietanza. Racconti di gusto e ricette tra minne di Sant'Agata e San Giuseppe frittellaro. Il libro

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A raccontare l'ultima uscita della collana Parole in Pentola, edita da Guido Tommasi, è Lydia Capasso, che con Giovanna Esposito (e le illustrazioni di Gianluca Biscalchin) firma il ricettario col gusto del racconto dedicato a miracoli, superstizioni e aneddoti che affollano il calendario religioso d'Italia e del mondo. E influenzano la nostra cucina da secoli. 

Di santi, leggende... E banchetti

Che Sant'Antonio Abate sia tradizionalmente associato al maiale, nell'iconografia religiosa come nel folclore popolare, è proprio uno scherzo del destino. In onore del santo, dedito all'ascetismo e particolarmente morigerato in quanto ad abitudini alimentari ma presto ribattezzato “del purcel”, il 17 gennaio si sprecano sanguinacci e sontuose preparazioni a base di maiale. Due le motivazioni storiche e leggendarie, entrambe ereditate dal Medioevo: all'epoca il grasso dell'animale era l'antidoto più utilizzato per lenire l'herpes zoster, più noto come fuoco di Sant'Antonio; e proprio i monaci antoniani furono tra i primi a ripristinare l'allevamento di maiali, in barba al tabù che l'animale lo voleva simbolo del demonio. Fatto sta che oggi il santo è considerato patrono di salumieri e macellai. Ma Sant'Antonio, nel bresciano, è pure “mercante di neve”, in memoria di una nevicata copiosa che arrivò il giorno del santo di molti secoli fa a minacciare i paesi del Basso Garda. E superstizione vuole che per evitare il crollo dei tetti sotto il peso della neve tutte le massaie, il 17 gennaio, debbano sfornare un chisol, ciambella dolce a base di farina, uova e zucchero: “per sant'Antóne chisöler, chi no fa la turta ghè burla zó 'l solér”, recita la filastrocca popolare. Di pietanze e ricette legate al culto dei santi, a ben indagare tra i diari delle nonne e le vulgata popolare di tanti piccoli borghi d'Italia, la tradizione gastronomica della Penisola abbonda.

 

Le sante pietanze

Spesso legate a vicende mitiche ed eventi favolosi, quando non a episodi testamentari (perché San Giuseppe è detto frittellaro? Sembra che durante la fuga in Egitto si fosse improvvisato friggitore per sfamare la “sacra” famiglia. E allora, seppur in tempo di Quaresima, il 19 marzo largo a zeppole, frittelle e calderoni d'olio bollente), le “sante pietanze” costituiscono un capitolo assai ricco del ricettario italiano. E Santa Pietanza, edito da Guido Tommasi per la collana Parole in Pentola, si propone di raccoglierle in un libro che non vuole prendersi troppo sul serio, ma “sfruttare le ricette per narrare una storia, tante storie, privilegiando il gusto del racconto per mettere insieme pagine piacevoli da leggere”, sottolinea Lydia Capasso, che con Giovanna Esposito è autrice del libro. Il tono generale, dunque, è quello leggero di un libro laico che si addentra tra sacro e profano, tra miracoli e aneddoti della devozione popolare, patroni e consuetudini caritatevoli, feste di piazza e usanze antiche talvolta sepolte dal tempo, o soppiantate da varianti più diffuse: “Io e Giovanna siamo entrambe napoletane, puoi immaginare la sorpresa quando abbiamo scoperto la ricetta di un dolce, una sorta di biscotto al limone morbido legato a San Gennaro, di cui proprio ignoravamo l'esistenza. Il 19 settembre erano le suore ospedaliere dell'Ospedale del santo a prepararlo per gli ammalati e gli sdentati. Non siamo proprio riuscite a ritrovare la ricetta, l'abbiamo ricostruita con una pasticceria di Sanità secondi le descrizioni dell'epoca”.

Le illustrazioni di Gianluca Biscalchin

 

Il ricettario “santo”. Tra sacro e profano

Sì, perché prima di dare alle stampe Santa Pietanza, Lydia e Giovanna hanno provato ogni ricetta (126 quelle che troverete nel libro, facilmente replicabili), per fortuna loro spesso confortate dall'esistenza di un testo di riferimento, “scovato in archivio, richiesto agli enti locali, ricercato sul web e tramite passaparola, fin nei centri abitati più piccoli d'Italia: i ravioli sardi, una delle molteplici varianti, ce li hanno raccontati in un paese di appena 85 anime”. L'approccio al tema, tra pagine in cui cucina e narrazione si intrecciano per diventare l'una nutrimento dell'altra, è quello già apprezzato ai tempi de Gli Aristopiatti (2015), che due anni fa indagava tra le cucine di corti e palazzi italiani: “L'idea allora era nata con Gianluca, per riscoprire l'origine di tanti piatti che ancora oggi portiamo in tavola, spesso senza farci troppe domande sulla loro storia”. Gianluca Biscalchin, prolifico illustratore gastronomico, allora come oggi ha realizzato tutte le illustrazioni che accompagnano i testi, impegnato stavolta a produrre un'inedita iconografia religiosa, che dalle rappresentazioni tradizionali prende spunto per arrivare a una sintesi ironica, dal tratto immediatamente riconoscibile. E se Gli Aristopiatti erano stati un fortunato caso editoriale, l'auspicio è quello di bissarne il successo: “Tutto è cominciato dalla ricetta di un dolce di San Michele diffuso in Bassa Romagna. Poi si è aperto un mondo, e la ricerca si è estesa anche oltre i confini nazionali, con racconti e tradizioni gastronomiche dalla Polonia alla Grecia, alla Germania”. Con plauso convinto per le fonti interpellate all'estero: “L'unico rammarico è la difficoltà di comunicare con gli enti locali e gli uffici turistici italiani, spesso latitanti e poco disponibili. All'estero sono stati tutti molto felici di aiutarci nella ricerca, ben contenti di raccontarci la propria storia gastronomica”.

Minne, pane, gnocchi e polpette

Alla fine dei conti, scremando molto e cercando di districarsi tra le molteplici varianti regionali - “anche questo un bel rischio, quando si parla di ricette della tradizione le campane si moltiplicano all'infinito!” - Santa Pietanza si articola in 16 capitoli, tra quelli dedicati ai santi più venerati (pure in cucina, da Francesco ad Antonio, a Giuseppe e Martino) e le raccolte tematiche, per esempio sulle ricette legate alle parti del corpo: le minne di Sant'Agata, gli occhi di Santa Lucia, i pani di San Calogero nell'agrigentino per la processione del santo che durante la peste chiedeva ai ricchi per dare ai poveri, ricevendo in cambio forme di pane lanciate dalle finestre. E poi un capitolo su moda e accessori, o l'ultimo pensato come calendario della sante pietanze: per ogni mese una ricetta legata a una festa religiosa. Tanti, come prevedibile, i dolci, ma a sorpresa anche gnocchi e polpette, cui è dedicato un capitolo: “Di polpette al Sud e gnocchi al Nord ne abbiamo trovati moltissimi, probabilmente perché si tratta di cibo di recupero, molto diffuso sulle tavole popolari”. Il resto scopritelo nel libro.

O, in compagnia delle autrici, al Salone del Libro di Torino alle porte (dal 18 al 22 maggio) per Gastronomica: appuntamento il 21 maggio alle 18 con A Tavola tra sacro e profano, con la partecipazione di Luca Iaccarino Petunia Ollister.

 

Santa Pietanza | di Lydia Capasso e Giovanna Esposito, illustrazioni Gianluca Biscalchin | Guido Tommasi Editore | 2017 | pp. 208 | 16 euro

 

a cura di Livia Montagnoli


Intervista ad Alain Passard. La rivoluzione verde, l'arte, L'Arpège di Parigi

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Incontro con Alain Passard. Il leggendario chef de L'Arpège di Parigi racconta la sua rivoluzione verde e il suo rapporto con le arti.

Di sé come cuoco dice che ha avuto la fortuna di vivere due vite: una con la carne e una con i vegetali. Quando, già all'attivo 3 Stelle Michelin, percepì “di aver scritto la sua ultima pagina” con un certo tipo di cucina capì che era giunto il momento di cambiare, e aprire la finestra sul mondo vegetale. “Sentivo la stanchezza, avevo sempre più difficoltà ad approcciare agli animali, a farli entrare nella mia cucina”. Così Alain Passard (Il cuoco che – come emerso dalla guida Le 100 Chefs 2017 - gli chef del mondo indicano come una tappa ineludibile per ogni gourmet che si rispetti) si racconta all'Accademia di Francia di Roma-Villa Medici in un incontro con la direttrice dell'Accademia Muriel Mayette-Holtz. Un appuntamento del ciclo I Giovedì della Villa curato da Cristiano Leone, che mira a tracciare un collegamento tra la gastronomia e le arti figurative.

Alaiin passard

Alain Passard: la terra, l'arte e la cucina

Passard, da 30 anni alla guida de L'Arpège, colleziona premi e primati: 3 Stelle dal 1996, primo ne Le 100 Chefs 2017, 12° nella 50 Best e premio alla carriera nel 2016 assegnatogli sempre dalla guida San Pellegrino, premio alla carriera anche per il Diners Club Award 2016, miglior ristorante d'Europa secondo Opinionated About Dining 2016, protagonista di una seguitissima puntata di Chef Tablesu Netflix. Lui è il padre putativo di tutta una generazione di cuochi che ha saputo affondare le mani nella terra per rivelarne tesori nascosti. È quello che ha trasformato prodotti di contorno in protagonisti assoluti. Tra i più influenti personaggi del mondo, e non solo della ristorazione. Protagonista di mostre (fino al 16 luglio 2017 al Palais des Beaux-Arts di Lille per il progetto Open Museum che lo vede tessere un tracciato originale nel museo individuandone i temi nodali del suo percorso di chef: la natura, i giardini, la stagionalità e la sollecitazione dei sensi), fumetti (In cucina con Alain Passard, con le illustrazioni di Christophe Blain. Ed. Bao Publishing), così lucido nell'intendere lo spettacolo che la cucina e la sala ospitano ogni giorno, autore egli stesso di collage e opere in bronzo come la famosa aragosta tagliata in due, ormai simbolo stesso di quel suo ristorante che, tra i molti punti di nota, detiene anche quello del prezzo: 390 euro il degustazione serale. Tra i più costosi al mondo.

 

alain passard

La rivoluzione vegetale

È uno che ama dire: “a un certo punto, mi sono lasciato sedurre dalla magia del giardino”. Al punto di decidere lui stesso di avere un orto, poi un altro e poi un altro ancora. Ben tre che servono il suo locale non lontano dalla Torre Eiffel, creati man mano che si compiva il suo secondo apprendistato come cuoco.“La scuola è determinante” spiega, “continuare a imparare, trovare un gesto sempre più incisivo, conoscere i prodotti, lasciarsi incantare” e poi “poter correggere una salsa senza neanche avere bisogno di assaggiarla”. E così ha scoperto di nuovo il modo vegetale.

Il rischio di perdere le 3 Stelle c'era, e molto concreto, quando al posto di piccione, manzo e fondi di carne, sono comparsi in menu carote, rape e porri. “Dedicherò la mia cucina alle verdure” fu la sua decisione. Per l'epoca una rivoluzione che poteva trascinarlo giù dall'Olimpo della ristorazione. Così non è stato. “Ho usato le tecniche abitualmente impiegate per le carni, agli ortaggi: affumicature, marinature, cotture arrosto, fondi e salse”. Tutto compiuto con quel rituale di attesa che il rispetto delle stagioni porta con sé, “non mi stanco mai” spiega “perché ho una cucina che cambia e si muove ogni 3 mesi” fa, e aggiunge: “Siamo tutti braccati dalla stanchezza”. Il rinnovamento è la chiave che mette in circolazione memoria, freschezza, stagionalità, naturalezza, “mi piace quando un cliente mi dice che ha ritrovato il piacere di un tempo in un mio piatto”.

Ha fatto così capire al mondo intero che la natura mette a disposizione, negli orti, una varietà e un legame con le stagioni che non concede con gli animali. “Il più bel libro di cucina lo ha scritto la natura” dice, raccontando come la sua tavola degli elementi cambi di stagione in stagione, con 15 referenze da mescolare e la possibilità di aggiungerne altre se le sue terre dovessero accogliere bene prodotti di altre regioni. “Voglio mantenere la curiosità” aggiunge “far lavorare i giardinieri in modo diverso se dovesse servire” e lo dice mentre si lascia incantare dai racconti di quanto vari e territoriali siano i prodotti al di qua delle Alpi.

 

Stupirsi sempre

Racconta dei primi anni in famiglia, in Bretagna, dove la nonna elaborava una cucina di grandi cotture arrosto, “non c'erano i termostati, allora” scherza. E spiega così il valore del gesto e della conoscenza: “Si cucinava a orecchio” e racconta di carni, di conchiglie ed erbe aromatiche. Di una cucina autentica e ricca di sapori e cultura.

Ancora oggi mi piace arrostire, fare una bella salsa vegetale, con i succhi degli ortaggi che hanno tantissimo sapore”. Quei sapori che oggi nascono nei suoi leggendari orti. Da dove, ogni mattina, arrivano le materie prime appena raccolte, “così ogni giorno è il primo giorno: la sera non deve rimanere nulla in frigo”. E quei prodotti freschissimi (che si possono anche ordinare per casa propria, sul modello dei Gas) formano la sua cucina “invito i miei 10 giardinieri ad assaggiare e assaggio io stesso” pronto a stupirsi come per un ultimo, disarmante abbinamento di spinaci al burro con rabarbaro.

E per sottolineare la centralità del suo orto, ha allestito un ambitissimo spazio dove mangiare, dopo aver visitato i giardini. Un tour che da Parigi arriva fino ai suoi terreni. 10 ettari che nel 2017 produrranno più di 50 tonnellate di ortaggi, tutti coltivati in modo naturale. “Se ho creato degli orti è per dare qualcos'altro”, e preservare colori sapori e consistenze di ogni cosa, tutelare l'ecosistema e gli animali che ci vivono. Questa è la via dell'armonia di questo 3 Stelle Michelin.

 

Parliamo della Francia. Cosa è accaduto in quest'ultimo anno, gli attentati e l'allarme terrorismo hanno avuto un impatto sulla ristorazione?

Sì, e l'influenza è molto forte: le persone rimangono di più a casa, e c'è stato un impatto negativo soprattutto sul turismo. Noi abbiamo una grossa fetta di clientela asiatica che si è molto ridotta.

 

E questa situazione ha condizionato anche la ristorazione e la cucina?

Sì, il contesto ha un impatto diretto sul mio modo di cucinare, sulla mia creatività, questo dolore che si percepisce in città mi ha come stimolato: ho voglia di andare ancora più lontano, di fare una cucina migliore e portare un po' di felicità ai clienti, proprio in reazione a questo stato di inquietudine diffuso.

 

Le elezioni con la vittoria di Macron possono influenzare la ristorazione? Ci sono delle politiche messe in atto?

Il risultato delle ultime elezioni è stato un vero regalo dal cielo perché è stato eletto un grande uomo, un personaggio che fa tanto per le imprese, fa tanto per la ristorazione e in linea generale fa tanto per la creatività.

 

È già venuto a mangiare da lei?

No, non ancora

 

Ha dichiarato più volte che vuole avere un unico ristorante e non moltiplicare le sue attività. La pensa sempre così?

Sì, per il momento voglio continuare così, e mettere tutta la mia energia e la mia creatività in un solo ristorante. Mi piace stare a casa mia, che cambia e si rinnova continuamente. Io amo stare lì, non credo sarei capace di avere più ristoranti. Voglio preservare L'Arpège.

 

Un indirizzo e tre orti, però

Ho una casa ma è come se avessi quattro ristoranti. Perché se vieni a L'Arpège in primavera è una cosa, se vieni in autunno è una cosa diversa, e così in estate o inverno. Il mio locale cambia completamente evolvendo con la natura. In questo senso ho un libro a 4 pagine da sfogliare.

 

Lei ha aperto le porte dell'alta ristorazione al mondo vegetale, non teme mai che sia diventato una moda?

Per uno chef è favoloso che molti altri chef riprendano lo stesso lavoro, è veramente il più bel complimento che gli si possa fare.

 

Vede, tra i giovani, qualcuno in cui si riconosce?

Tutti i miei allievi, perché nel mio ristorante posso formare tanti giovani.

 

Secondo lei nell'alta cucina si va sempre più verso la completa eliminazione degli alimenti di origine animale?

Penso che la carne animale ci sarà ancora, ma con una qualità sempre maggiore. Aumentano le esigenze, di conoscenza, innanzitutto. La carne, quando ci sarà, avrà la sua carta d'identità, un passaporto che dice, di ogni animale, cosa ha mangiato e come è stato allevato. Si chiederà un savoir fare più alto per tutto, per gli animali ma anche per i vegetali. Il saper fare artigiano avrà un ruolo sempre maggiore e dovrà essere sempre più alto. Tutto per andare verso l'eccellenza.

 

L'alta cucina può essere etica? Può avere un impatto sociale e ambientale oppure le sue dinamiche l'allontanano da questo percorso?

L'attenzione per l'impatto ambientale è qualcosa che si imporrà a tutti nell'alta ristorazione, credo. Il rispetto per la natura passa per il rispetto per le stagioni, per gli agricoltori e il territorio. Secondo me questo si affermerà poco a poco. Deve affermarsi.

 

Quale è la cosa più importante in un piatto?

La stagionalità.

 

Le 3 Stelle di oggi hanno la stessa importanza di 20 anni fa?

Sì, è sempre la stessa importanza. Sì, la guida Michelin ha sempre un impatto fortissimo, gli ispettori passano regolarmente, visitano i ristoranti e sono molto attenti. Sempre in incognito.

 

Cosa pensa in generale delle guide? Quale è il ruolo che svolgono?

La cosa più importante è il passaparola della clientela, è quello il messaggio più importante, che contribuisce a far conoscere un ristorante. Ma il ruolo delle guide e delle classifiche è fondamentale. Noi siamo presenti in 50 Best, e in molte altre classifiche. Ma ci sono anche altri modi di parlare di cucina e tutti sono importantissimi. Penso a cose come Chef Tables di Netflix che ha un impatto fortissimo, per la sua capacità di raggiungere un'incredibile quantità di persone.

 

Perché secondo gli altri chef il ristorante da provare assolutamente è il suo?

Credo ci siano stati diversi elementi che hanno giocato a favore: per aver portato la rivoluzione vegetale, che mi ha reso famoso, per il fatto di essere quasi sempre lì al L'Arpège, per cui “si va da Alain Passard”, e poi perché è anche una scuola.

 

La stagione della bistronomia è terminata?

No no, Parigi è ancora molto dinamica da questo punto di vista. La bistronomia serve a molti come passaggio iniziale, cominciano con un bistrot per poi evolversi e fare qualcosa di più alto livello.

 

Gli italiani a Parigi vanno davvero così bene?

Sì, a volte si può mangiare meglio al bistrot che non al ristorante gastronomico.

 

Mangia ancora carne?

Sì, ma dietro deve esserci un allevatore, in casa mia ogni prodotto deve avere una storia. Un tempo si andava al mercato - che è un magnifico luogo d'ispirazione - e ci raccontavano tutto su un prodotto, chi e cosa c'è dietro. Questa storia si è persa ed è un peccato. Bisogna ritrovare questo artigianato e questa scuola dei sensi perché dietro a tutte queste cose, c'è la mano, la bellezza del gesto, la mano dell'artigiano. E allora mi piace poter dire: assaggio del pollame, e ho il mio allevatore di riferimento che ha il migliore, di razze antiche che stanno anche 7 mesi nell'aia. Lo stesso anche per i vegetali, prima di mettere una carota in una pentola dobbiamo sapere da dove proviene.

 

Cosa rimane di quest'incontro a Villa Medici? Il senso della cucina come opera d'arte contadina. Se ancora Passard si lascia stupire dal sapore di un ortaggio e da un abbinamento nuovo, è nel gesto che l'intrinseca bellezza trova un compimento. “La cucina non è un mestiere, è un'avventura” dice ispirato, e spiega come la mano del cuoco sia una mano artistica. “In cucina ci sono i gesti, alcuni molto semplici”, come tagliare il prezzemolo, che ha appreso a 14 anni. “Ma se in questo gesto ci si mettere grazia, può diventare un gesto artistico, e allora la giornata di lavoro cambia”. Sta tutto lì. “La scuola del gesto è una bellissima scuola: un buon cuoco è uno che ha una bella mano”. In cucina come nelle arti. Spiega. E sembra volare lontano dai fuochi e dalle padelle, e rimanere vicino a quell'attitudine artistica che lo porta a creare e creare: collage, sculture, ma anche a musica e parole. Ma se poi gli chiedi cosa conta di più: la bellezza di quel che c'è nel piatto o l'occhio del cliente, risponde senza esitazioni: “il bel sapore” perché, spiega: “il mio progetto è il fondo della casseruola e il fondo del piatto”.

Foto di Douglas-McWall

 

L'Arpège | Francia | Parigi | 84 Rue de Varenne | tel. +33 1 47 050906 | http://www.alain-passard.com/en/

 

 

a cura di Antonella De Santis

foto: www.alain-passard.com/en/

Tales of the Cocktail. Fra le migliori riviste di cocktail, la giuria di New Orleans ne seleziona una napoletana

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Ogni anno, l'evento Tales of the Cocktail di New Orleans celebra la cultura della mixology assegnando premi speciali ai periodici che si occupano di trattare in maniera approfondita il tema dei cocktail. Fra i selezionati di questa edizione, c'è anche una rivista napoletana, BarTales. 

Tales of the Cocktail

New Orleans, 2002. Un gruppo di appassionati di cocktail e addetti ai lavori, spinto da una passione smodata per la mixology e il mondo dei bar, si riunisce per condividere idee e opinioni sulle ultime tendenze del settore. Da questi incontri, nasce l'idea di creare un evento interamente dedicato ai drink, Tales of the Cocktail, manifestazione che ogni anno chiama a raccolta baristi, bartender, produttori di distillati, professionisti degli spirits e consumatori da tutto il mondo per promuovere e valorizzare il complesso universo della mixology. Attraverso seminari, laboratori, degustazioni, forum e attività pensate per coinvolgere un pubblico ampio e divulgare informazioni orrette sulle bevande alcoliche. Cuore pulsante dell'evento è la premiazione delle riviste di settore di livello internazionale che con costanza si impegnano a diffondere la cultura del bere bene.

BarTales

La prossima edizione del festival andrà in scena durante l'estate, dal 18 al 23 luglio, ma gli organizzatori hanno già annunciato i nomi dei periodici in gara per il titolo di Spirit Award for the Best Cocktail&Spirit Publication (Premio per la miglior pubblicazione su cocktail e distillati). E fra i selezionati, c'è anche un mensile napoletano, BarTales. Una rivista indipendente nata nel 2013, inizialmente solo in lingua italiana, oggi anche in inglese, gratuita e che parla esclusivamente di bartending: a dirigerla è Melania Guida, mentre a occuparsi di tutta la parte grafica è Cinzia Marotta. Un mensile online che, ogni tre mesi, viene pubblicato anche in versione cartacea e distribuito su abbonamento. L’obiettivo? Elevare l’immagine del bartending italiano e promuovere l’eccellenza di prodotti e realtà aziendali bisognosi di uno strumento che li metta in contatto con consumatori e operatori. Più 50mila download mensili e 200mila visite per i numeri archiviati: questi i numeri del sito che si propone di raccontare “tutto quello che avviene dietro il bancone del bar e non solo”, come ha spiegato il direttore. Come si intuisce dal nome (Racconti di bar), la rivista si impegna a far luce su tutto ciò che si cela dietro a un cocktail, dalla preparazione dei bartender alla selezione delle materie prime, dalle tipologie di distillati alla comunicazione degli stessi. Non possiamo che auspicare che l'editoria italiana – specialmente quella indipendente – riesca a farsi conoscere a livello internazionale, ricevendo i meritati riconoscimenti.

 

a cura di Michela Becchi

 

 

I risultati del Concours Mondial de Bruxelles e l'annuncio della Cina come sede dell'edizione 2018

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A poco meno di una settimana dalla conclusione della 24° edizione del Concours Mondial de Bruxelles vengono presentati i risultati del grande concorso internazionale. Buona performance per l'Italia con 384 vini premiati su circa 1300 campioni inviati.

La 24a edizione dell’unico Concorso dei Vini Mondiali itinerante si è conclusa e il podio ha premiato Spagna, Francia e – terza classificata – l'Italia. Più di novemila i campioni provenienti da diverse nazioni del Mondo, assaggiati in tre giorni a Valladolid, in Spagna, che quest’anno ospitava l’iniziativa. Un successo enorme che testimonia la continua crescita qualitativa dei vini della Penisola.

Ora si pensa già all’edizione 2018: per la prima volta il Concorso itinerante nato 25 anni fa a Bruxelles esce dall’Europa e si trasferisce in Cina. Destinazione distretto di Haidan, Pechino.

Bruxelles

I premiati

Le medaglie totali sono state 2642, di queste 384 attribuite all’Italia. In testa la Spagna con 619 titoli, seguita dalla Francia 614 e dall’Italia, al terzo posto per numero di riconoscimenti tra tutte le nazioni partecipanti. Le Gran Medaglie d’Oro italiane sono state 13 (esattamente come lo scorso anno), mentre sono 46 i riconoscimenti nazionali attribuiti a vini biologici e biodinamici – dato che viene messo in risalto per la prima volta quest’anno dagli organizzatori del concorso – un primato assoluto per la nostra nazione. Tra le regioni italiane più premiate il Veneto con 85 medaglie, seguito da Puglia (78) e Sicilia (63). Sono 5, infine, i vini italiani catalogati dal concorso come rivelazione 2017, ovvero le etichette che hanno ottenuto i punteggi più alti nella loro rispettiva categoria.

Tutti i risultati possono essere consultati quiattraverso la pagina ufficiale del concorso (http://results.concoursmondial.com/index.php)

 

sindaco di Valladolid, Oscar Puentes, con la consegna del grande calice di vino ufficiale a Mingjie Chen, vicesindaco del distretto di Haidian, Baudouin Havaux, Presidente del Concours Mondial de Bruxelles consegna il grande calice di vino ufficiale a Mingjie Chen, vicesindaco del distretto di Haidian

 

La prossima edizione

Sarà la Cina a ospitare il concorso nel 2018: gli organizzatori hanno scelto il distretto di Haidian, Pechino, per la 25ª edizione. Per la prima volta il concorso itinerante ha scelto un paese ospite extraeuropeo e la decisione è stata annunciata durante la cerimonia di chiusura dell’edizione 2017, dal sindaco di Valladolid, Oscar Puentes, con la consegna del grande calice di vino ufficiale a Mingjie Chen, vicesindaco del distretto di Haidian, a Pechino. “La Cina è senza dubbio il paese in cui il settore vino si sviluppa più rapidamente in termini di produzione e di consumo" ha commentato Baudouin Havaux, Presidente del Concours Mondial de Bruxelles "un paese diventato la prima destinazione export di alcuni tra i maggiori paesi produttori del mondo”. Ma come è cambiata la situazione in Cina negli ultimi anni? “Numerose sono le organizzazioni professionali oramai presenti nella nazione, con uffici regionali che aprono appositamente per stabilire reti commerciali. I tassi di crescita sono i più alti di qualsiasi altro mercato. In più con 847.000 ettari di vigneti, la Cina si è ormai assestata al secondo posto al mondo per superficie vitata, preceduta dalla Spagna”. Un interlocutore da tenere in considerazione, dunque: “Il posto di primo piano che occupiamo tra le competizioni internazionali ci obbliga a mantenerci sempre aggiornati sulle tendenze del mercato” conclude Baudouin Havaux “e avendo osservato lo sviluppo dinamico del mercato cinese, abbiamo deciso che era giunto il momento di arrivare qui”.

 

Il ruolo della Cina al Concorso di Bruxelles

Il vicensindaco del distretto di Haidian a Pechino, Mingie Che, ha supportato il Concorso sin dall’inizio delle negoziazioni che vedevano la Cina tra i possibili paesi ospiti dell’evento. “Sarà la più grande degustazione mai organizzata in questo paese” afferma “e sarà la prima volta che un concorso di questa importanza si svolgerà in Asia. Il Concorso, con questa tappa cinese, permetterà ai partecipanti di scoprire il mercato vinicolo più dinamico del pianeta, aprendosi, al tempo stessoa nuovi orizzonti culturali”.

Come già evidenziato, nel 2017 il numero di campioni cinesi iscritti al concorso ha fatto un balzo del 112,5% rispetto al 2016 e del 250% dal 2015. Haidian è un distretto di innovazione scientifica e tecnologica con una popolazione residente di 3.590.000 persone; sede di diverse università, il distretto gode di una reputazione mondiale come polo per l’insegnamento superiore e per gli istituti di ricerca scientifica. Situato nel cuore del settore cinese delle nuove tecnologie dell’informazione, esso è riconosciuto come modello imprenditoriale e di innovazione. Haidian registra, attualmente, 1.107 imprese la cui cifra d’affari annua supera i 100 milioni di dollari.

 

I numeri del vino cinese

Secondo l’Organizzazione internazionale della Vigna e del Vino (OIV), la superficie vitata cinese è in continua progressione (+17.000 ettari tra il 2015 e il 2016) ed è ormai considerato il principale polo di crescita del vigneto mondiale. Anche i consumi sono in crescita, la Cina è il quinto paese consumatore di vino a livello mondiale (dopo gli Stati Uniti, la Francia, l’Italia e la Germania), è il quinto paese importatore di vino in termini di volume e il quarto in termini di valore (riducendo lo scarto con la Germania). In più la domanda sempre crescente di vino interna cinese ha contribuito maggiormente alla crescita degli scambi commerciali nel 2016.

 

a cura di Giuseppe Carrus

Top 100 Europa di Opinionated About Dining. Ancora Alain Passard, Alajmo e Bottura nei primi 10

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La classifica del blog di Steve Plotnicki raccoglie ogni anno le recensioni dei commensali avvezzi al fine dining, ordinandole per numero di preferenze. Risultati opinabili, dunque, che comunque raccontano l’alta ristorazione europea. Trio di testa con Passard, Caminada, Nilsson. Italia ben rappresentata, Alajmo nono, Bottura decimo. 

Le migliori tavole secondo i clienti

Nel 2016 Alain Passard si confermava pilastro della ristorazione internazionale facendo man bassa di consensi e riconoscimenti ufficiali. Compreso lo scettro di miglior chef d’Europa nella Top 100 stilata dal sito Opinionated About Dining, il blog di Steve Plotnicki che da qualche anno a questa parte ordina le insegne più apprezzate del Vecchio Continente per numero di preferenze ricevute dagli utenti (secondo un algoritmo che privilegia gli assidui e affidabili frequentatori di tavole gourmet). Un anno fa, dunque, all’Italia non solo era negato il podio, ma l’intera top 10 risultava sprovvista di nomi che rendessero giustizia alla ristorazione tricolore.

L’Italia in top 10

Un anno dopo, a pochi giorni dalla parentesi romana del maestro Alain Passard (ve la raccontiamo qui), la cerimonia di premiazione 2017 si sposta a Parigi, ma la situazione resta più o meno invariata, se non fosse per quel nono e decimo posto strappato rispettivamente dai fratelli Alajmo e da Massimo Bottura, con l’Osteria Francescana - ben più fortunata nella competizione dei World’s 50 Best Restaurants, seppur privata della medaglia d’oro – sorpassata da Le Calandre di Rubano (nel 2016, invece, a parti invertite, erano 14 e 15). Due cucine comunque ritenute eccellenti dai lettori di OAD, l’una “progressive”, l’altra “contemporary”, secondo un ragionamento non necessariamente condivisibile. Mentre il maestro francese de L’Arpege e la sua cucina vegetale si confermano campioni indiscussi, bissando il gradino più alto del podio. Lo segue uno chef in decisa ascesa – lo svizzero Andreas Caminada col ristorante omonimo di Furstenau – mentre arriva la medaglia bronzo per Magnus Nilsson e il suo Faviken, tra le nevi di Jarpen (nel 2016 era toccato al belga Kobe Desramaults, prima che In de Wulf chiudesse definitivamente i battenti). Per il resto, nelle prime posizioni, si conferma l’apprezzamento diffuso per la cucina d’autore iberica – nei primi 10 Azurmendi, Extebarri e Quique Dacosta – con incursioni nella vecchia (De Librije, Zwolle, Olanda) e nuova (Kadeau Bornholm, Danimarca; solo al 52, invece, la sede di Copenaghen) scuola nordica. Ma c’è anche tanta Francia, da L’Astrance a La Marine, al Flocons de Sel e Pierre Gagnaire, e non sempre quella più sbandierata, come il Sa.Qua.Na di Alexander Bourdas a Honfleur (23).

Gli altri italiani. Best New European Restaurant è Lume

Solo quindicesimo El Celler de Can Roca, comunque in salita, mentre rientra al 19 il Fat Duck di Heston Blumenthal dopo la riapertura. Per la Spagna scende Diverxo (dall’8 al 27) e a incalzarlo arrivano i catalani Oriol Castro ed Eduard Xatruch, con Disfrutar (29). Subito dietro Enrico Crippa e il suo Piazza Duomo, al numero 30. Ancora Italia al 34, con Antonio Guida e la cucina di Seta al Mandarin Oriental di Milano, e di nuovo al 42, con Niko Romito e il suo Reale. Entra al 45 Lume, ancora Milano per approdare alla tavola di Luigi Taglienti, che porta a casa anche il premio come Best New European Restaurant, assegnato in occasione della cena alla Maison Blanche di Parigi. Allo chef ligure d’adozione milanese, che nell’estate 2016 rientrava in cucina da protagonista, il merito “di fondere le tecniche culinarie moderne con la cucina tradizionale milanese”secondo Plotnicki.

Seguono tra le tavole tricolore la Torre del Saracino di Gennaro Esposito al 57, Uliassi al 62, Villa Crespi al 67, La Madia di Pino Cuttaia al 72, Lido 84  e Riccardo Camanini al 76, Combal.Zero al 79, Agli Amici di Udine- nell’anno del 130esimo anniversario - con Emanuele Scarello all’81, Enrico Bartolini al Mudec all’88 e subito sotto La Peca di Nicola Portinari. Numero 100 tondo per Ciccio Sultano e il Duomo di Ragusa, primo escluso della Top 100 Matteo Baronetto: Dal Cambio è 101 (Il Pagliaccio si piazza al 105 e Cracco al 110). Chi viene e chi va in una classifica difficilmente prevedibile. L’ennesima, da prendere con le pinze.

 

Top 20

1 L’Arpège, Alain Passard (Parigi, Francia)

2 Andreas Caminada, Andreas Caminada (Fürstenau, Svizzera)

3 Faviken, Magnus Nilsson (Järpen, Svezia)

4 Azurmendi, Eneko Atxa (Larrabetzu, Spagna)

5 De Librije, Jonnie Boer (Zwolle, Paesi Bassi)

6 Etxebarri, Victor Arguinzoniz (Axpe, Spagna)

7 Kadeau Bornholm, Nikolai Nørregaard (Bornholm, Danimarca)

8 Restaurant Quique Dacosta, Quique Dacosta (Dénia, Spagna)

9 Le Calandre, Massimiliano Alajmo (Rubano, Italia)

10 Osteria Francescana, Massimo Bottura (Modena, Italia)

11 L'Astrance, Pascal Barbot (Parigi, Francia)

12 La Marine, Alexander Couillon ( Noirmoutier, Francia)

13 Daniel Berlin, Daniel Berlin (Skane Tranas, Svezia)

14 Sant Pau, Carme Ruscalleda (Sant Pol de Mar, Spagna)

15 El Celler de Can Roca, fratelli Roca (Girona, Spagna)

16 Vendome, Joachim Wissler (Bergisch Gladbach, Germania)

17 Schloss Berg, Christian Bau (Perl, Germania)

18 Flocons de Sel, Emmanuel Renaut (Megeve, Francia)

19 Fat Duck, Heston Blumenthal (Bray, Inghilterra)

20 Geranium, Rasmus Kofoed (Copenaghen, Danimarca)

Tutta la Top 100 2017

 

a cura di Livia Montagnoli

(In foto Lume, Milano)

Dalle bollicine ai bianchi, dai rosati ai rossi di bassa gradazione alcolica. 11 vini per l'aperitivo

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Sbocconcellando uno snack o mangiando qualcosa di più sostanzioso: oggi il momento dell'aperitivo è cambiato e accanto ai classici bocconcini si trovano, sempre più di requente, veri e propri piattini. Ma quale vini scegliere? Ecco 11 proposte per iniziare la serata con gusto.

Alcuni vini delle cantine citate in questo articolo sono acquistabili su Tannico.it, l’enoteca online partner di Gambero Rosso. 


C'è il rosso, c'è il bianco e il rosato; c'è il metodo classico per i palati più sofisticati o il prosecco per chi cerca un vino versatile e dalla bassa gradazione alcolica. Un'offerta completa da proporre per un aperitivo in compagnia quando la bella stagione e le giornate calde lo richiedono. Un tempo l'aperitivo era propedeutico al pranzo o alla cena, ora invece non è un'abitudine ma una moda in voga tra i giovani (e non solo loro) che si trattengono per lunghe soste corredate da interessanti offerte gastronomiche sempre più ricercate e varie.

Ai numerosissimi cocktail e al classico vermouth che ha dato il via a questa piacevole tradizione si affiancano i vini da aperitivo poco strutturati, gradevoli, adatti all'estate, dai sentori fruttati e floreali e dalla grande bevibilità. E allora sceglieremo un bianco, un rosato o uno spumante con degli appetizer di verdure o di pesce e un rosso se preferiamo richiedere piatti a base di formaggi o salumi per cominciare la serata. Di seguito una breve proposta per rendere piacevole la vostra pausa gourmet.

 

Bollicine

 

Franciacorta Nature – Enrico Gatti

Lorenzo e Paola Gatti portano avanti con passione ed entusiasmo l’azienda fondata oltre quarant’anni fa dal padre Enrico, con la preziosa collaborazione di Enzo Balzarini, il marito di Paola. I Gatti lavorano solo le uve delle loro belle vigne: si tratta di 17 ettari, tutti in Erbusco, fattore questo che dona particolare struttura, pienezza, opulenza di frutto e un notevole nerbo acido a tutte le loro cuvée. IlNature è la cuvée (85% chardonnay, 15% pinot nero) che meglio rappresenta lo stile aziendale: ricco di polpa fruttata ma allo stesso tempo dotato di una bella verticalità che nasce da una vena acida fuori del comune. Questo regala a un vino altrimenti molto ricco quella snellezza e piacevolezza di beva che ne sono le doti più evidenti.

 

Nature – Monsupello

L’azienda di Pierangelo e Laura, gli eredi del mai dimenticato Carlo Boatti, uno dei primi uomini a credere nella qualità dei vini oltrepadani, resta punto di riferimento costante dell’enologia del territorio. Guidata in cantina con capacità non comuni dall’enologo Marco Bertelegni, fa della spumantistica il suo principale punto di forza, come dimostrano i premi raggranellati copiosamente nel corso degli anni. Tuttavia quest’azienda a conduzione familiare è capace di sfornare anche vini bianchi e rossi fermi e frizzanti senza mai sbagliare un colpo.Per l'aperitivo vi consigliamo il loro Nature, un pinot nero metodo classico pieno, ricco, fresco, vibrante e vigoroso grazie a una sferzante vena acida che profuma di piccoli frutti rossi e si affida a un finale di estrema pulizia.

 

Valdobbiadene Rive di Colbertaldo Dry Vign. Giardino '15 – Adami

Tra i vini consigliati per l'aperitivo non potevamo non inserire un Prosecco. In un momento di grande fermento per il territorio storico di questo fondamentale spumante italiano, i fratelli Adami tengono saldamente la barra del timone, cercando la miglior qualità possibile ma anche l'espressione fine e al tempo stesso intensa che solo queste colline sanno infondere alla delicata varietà trevigiana. Il Vigneto Giardino è lo storico vigneto di famiglia e da qui provengono le uve per un morbido Rive di Colbertaldo Dry, uno spumante che ai profumi intensi di frutta matura e fiori fa seguire una bocca dall’impatto morbido e dalla chiusura piacevolmente asciutta.

 

Bianchi

 

Collio Friulano V. Valeris '15 – Muzic

I giovanissimi Elija e Fabijan Muzic sono ormai pronti a raccogliere il testimone dal padre Giovanni, in luogo meglio conosciuto come Ivan, vero artigiano del vino e amante dei lavori all'aria aperta. I due si sono diligentemente suddivisi i compiti e operano ormai da tempo in perfetta sinergia. La supervisione costante di mamma Orieta è il valore aggiunto al gruppo familiare, che fa della coesione l'arma vincente, protagonisti nel fitto repertorio di aziende modello regionali. In una gamma di alto livello, spicca il Valeris, un friulano in purezza che fa della pulizia e dell'eleganza il suo marchio di fabbrica. Erbe e fiori di campo, delicate sfumature di pera, accenni lievi di mandorla su una bocca croccante e di bella tensione.

 

Offida Pecorino Artemisia '15 – Tenuta Spinelli

Simone Spinelli è un giovane vigneron piceno che, nonostante la fatica di condurre tutto in prima persona, è sempre più innamorato del suo lavoro. Una passione cieca che l'ha portato a piantare vigne in altura, strappando alle rocce del Monte dell'Ascensione porzioni di terreno coltivabile, impiantando il pecorino in un appezzamento a 600 metri di quota. Un territorio difficile e per certi versi di potenzialità inesplorate. La sua tenacia e l'esperienza dell'enologo Pierluigi Lorenzetti hanno reso l'Artemisia un piccolo cult che nella versione 2015 aggira tutte le insidie dell'annata caldissima e offre profumi sfaccettati e cristallini; al palato ha attacco perentorio, flette su ricordi di frutta estiva e si slancia nel finale con il suo nerbo vibrante.

 

Falanghina del Sannio Taburno '15 – Fontanavecchia

Fontanavecchia è una delle aziende più solide e costanti della viticoltura sannita, un punto di riferimento del beneventano. Libero Rillo, che oltre a guidare l'azienda è anche presidente del Consorzio dei vini del Sannio, ha saputo dare un contributo importante per il rilancio della zona, riuscendo a costruire un clima costruttivo tra i produttori della zona. La cantina si trova alle falde del Monte Taburno e può contare su 14 ettari vitati di proprietà, più alcuni appezzamenti in fitto. La Falanghina del Sannio ’15 ha una progressione gustativa ben modulata, dal profilo maturo e il passo sicuro. Dosa una ricchezza fruttata e piglio acido, il finale è lungo, fresco e continuo.

 

Rosati

 

Bardolino Chiaretto Cl. '15 – Vigneti Villabella

Nel corso degli anni l'azienda delle famiglie Cristoforetti e Delibori ha saputo ritagliarsi un ruolo da leader nel comprensorio gardesano. Più di duecento ettari di vigneto disseminati nel territorio, con la preziosa tenuta che circonda Villa Cordevigo, un'oasi di vigneti condotti nel massimo rispetto per l'ambiente, che forniscono le uve per i vini più prestigiosi. Lo stile ha sempre ricalcato un profilo sottile e raffinato e oggi i vini sanno conquistare anche per profondità e classe.Il Chiaretto '15 esprime fragranti e intensi profumi floreali e di piccoli frutti di bosco. In bocca è la sapidità a reggere il sorso, che si fa asciutto, agile e appagante.

 

Lambrusco di Modena Brut Rosé M. Cl. '12 – Cantina della Volta

Christian Bellei firma vini sempre più precisi e raffinati con una gamma aziendale impressionante per affidabilità e qualità complessiva. Si lavora sul Sorbara e si lavora sulle alte colline modenesi dove sono stati messi a dimora 8 nuovi ettari di pinot nero e chardonnay sui terreni scuri di Riccò di Serramazzoni, una piccola enclave produttiva che ha dimostrato negli anni vocazione e affidabilità nella produzione delle basi per i Metodo Classico.Il Rosé ’12, lambrusco di Sorbara in purezza, è sottile e delicato, ricco di energia e ritmo. Il naso è pieno di dettagli, la bocca è trascinante e agrumata, verticale e sapida. Si chiude su fiori e frutta bianca.

 

Cerasuolo d'Abruzzo '15 – Cirelli

Il vino è solo uno dei tanti prodotti di eccellenza proposti dal marchio Cirelli, azienda certificata biologica situata sui calanchi di Atri, cuore delle Colline Teramane affacciate sull'Adriatico. Una piccola realtà da cinque ettari, cresciuta esponenzialmente nelle ultime vendemmie tanto sul livello medio della gamma quanto sulla personalità dei vini più ambiziosi. Di particolare interesse le selezioni Amphora di Montepulciano, Cerasuolo e Trebbiano, dal profilo un po' anarchico e bizzoso in gioventù, ma sempre più affidabili nel medio invecchiamento. Per un aperitivo goloso, vi consigliamo il Cerasuolo d'Abruzzo '15, dal profilo aromatico intenso di piccoli frutti rossi e lieve mandarino, disteso, fresco, brioso ed equilibrato in bocca.

 

Rossi

 

A. A. Lago di Caldaro Scelto Sup. Bischofsleiten '15 – Castel Salleg

Giunti nel cuore del piccolo borgo di Caldaro, dalla piazzetta di Rottemburg si può ammirare un vigneto cinto da mura che risale in direzione del castello. Il breve sentiero che lo attraversa permette di vedere tutte le uve coltivate in Alto Adige, per giungere infine nel cortile dell’azienda, il castello dei Conti Kuenburg. Dallo storico vigneto Bischofsleiten giunge un fragrante e speziato Lago di Caldaro, un rosso fine e sottile, dai profumi di ribes e lamponi, mandorla e una leggera nota di viola, un vino che conquista per la tensione del sorso e la raffinatezza della beva.

 

Morellino di Scansano '15 – Col di Bacche

Alberto Carnasciali conduce un’azienda modello, capace di imporsi con decisione nel mondo enologico maremmano. La storia, eppure, è relativamente breve, visto che i primi vigneti sono stati impiantati nel 1998 e i primi vini sono arrivati sugli scaffali nel 2004. Oggi, il posto di rilievo che l’azienda è riuscita a raggiungere è ormai più che solido e, anzi, sta diventando decisamente autorevole. Certamente tra imigliori Morellino di Scansano ’15, quello dell’azienda di Cupi; tratti intriganti nel naso che gioca su note di frutta rossa fresca e sentori speziati di pepe nero. La bocca possiede una struttura compatta, un frutto croccante e non banali caratteri tendenzialmente minerali, il tutto fuso in un sorso godibile e del tutto piacevole.

 

A. A. Lago di Caldaro Scelto Sup. Bischofsleiten '15 – Castel Salleg

Giunti nel cuore del piccolo borgo di Caldaro, dalla piazzetta di Rottemburg si può ammirare un vigneto cinto da mura che risale in direzione del castello. Il breve sentiero che lo attraversa permette di vedere tutte le uve coltivate in Alto Adige, per giungere infine nel cortile dell’azienda, il castello dei Conti Kuenburg. Dallo storico vigneto Bischofsleiten giunge un fragrante e speziato Lago di Caldaro, un rosso fine e sottile, dai profumi di ribes e lamponi, mandorla e una leggera nota di viola, un vino che conquista per la tensione del sorso e la raffinatezza della beva.
 

Alcuni vini delle cantine citate in questo articolo sono acquistabili su Tannico.it, l’enoteca online partner di Gambero Rosso. 


www.tannico.it

Foro di Gastronomia Mediterranea 2017. Report del festival della cucina di Ibiza

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È tutta all'insegna del recupero dei piatti della tradizione la quinta edizione del Foro di Gastronomia Mediterranea, manifestazione annuale ibizenca volta a far conoscere alla stampa specializzata le ricchezze gastronomiche dell'isola. Con chef, seminari e showcooking.

Il congresso

Un intero mese di festa per il palato in una delle mete più gettonate dell'estate, specialmente dai più giovani. Locali di tendenza e spiagge mozzafiato a parte, Ibiza fonda parte del suo fascino anche sulla cucina e l'antica tradizione gastronomica. Da 5 anni a questa parte, un evento dedicato si impegna a far conoscere questo aspetto dell'isola, spesso viene dimenticato in favore della sua movida notturna. Con l'obiettivo di far luce sulle prelibatezze isolane, Ibiza Sabor raduna ogni primavera gli chef migliori del territorio, coinvolgendoli in una serie di degustazioni guidate e menu speciali pensati appositamente per valorizzare il gusto dei prodotti locali. Perché la cucina ibizenca è tutta da scoprire, così come la sua rigogliosa tradizione agricola e ittica.

Cuore pulsante di Ibiza Sabor è il Foro di Gastronomia Mediterraneo, congresso pensato per la stampa specializzata e gli addetti ai lavori che quest'anno ha visto coinvolti 20 chef di Ibiza e territori limitrofi, più tanti altri professionisti del settore, dai pescatori ai produttori di formaggio, dai professori agli ingegneri agricoli. Tutti raccolti ieri, 15 maggio 2017, all'Hotel Gran Ibiza nel centro della città, struttura di lusso che ha ospitato il festival nel giardino esterno. A impreziosire il congresso, una serie di banchi di assaggio di diversi produttori locali: dal vino biologico al formaggio, dai dolci tipici alle verdure, dai liquori all'olio extravergine di oliva.

 

Turismo enogastronomico: la nuova punta di diamante dell'isola

Sono stati Julia Pérez e José Carlos Capel Vicent Torres a presentare i cuochi spagnoli, gli stessi organizzatori di uno dei più importanti congressi gastronomici a livello internazionale, Madrid Fusion. “Ibiza vanta una serie di materie prime uniche e eccezionali. Purtroppo, l'intenso turismo legato all'industria dell'intrattenimento spesso impedisce ai visitatori di apprezzare l'altra anima dell'isola, quella culinaria. Ma è tempo per Ibiza di puntare sulla sua gastronomia e cominciare a conquistare gli stranieri con i suoi sapori”. Comincia così il Foro di Gastronomia Mediterranea, con le parole di José, che invita i visitatori a essere più curiosi nei confronti delle specialità territoriali. “Attraverso il racconto degli chef, che si impegnano ogni giorno in prima linea per valorizzare i prodotti locali, auspichiamo di fornirvi un'idea del concetto di cucina ibizenca”, aggiunge Julia. Una tavola che pesca dalle tradizioni più disparate, quella della Penisola iberica in primis, ma anche quella del Nord Africa, unite a una serie di influssi differenti per ogni locale: tanti dei ristoranti della Isla Blanca, infatti, sono gestiti da chef di altre città o paesi, che nei loro piatti reinterpretano la tradizione inserendo un tocco personale di scuola diversa. “È tempo di superare i pregiudizi” continua Julia “e andare oltre lo stereotipo che associa Ibiza solo a divertimento sfrenato e alcol. Perché non c'è modo migliore e più immediato del cibo per comprendere l'identità di un luogo”. Una cucina, quella ibizenca, che si contraddistingue per carattere e personalità, basata su pochi ingredienti, che nelle ricette della tradizione mantengono tutto il loro gusto originale.

Ibiza - Piatto di chef bonet (stufato piselli e fave) Stufato piselli e fave di José Miguel Bonet

 

Il recupero delle specialità territoriali

Materie prime uniche, quelle dell'isola, che grazie al lavoro degli chef più giovani e appassionati stanno gradualmente recuperando i meritato posto d'onore sulle tavole ibizenche. “Negli ultimi decenni, tanti prodotti hanno rischiato di scomparire a causa della lenta ma costante perdita di interesse da parte dei consumatori". Come il blat de xeixa, una varietà antica di grano tenero che i fornai Vicente Cardona (panificio Can Blay) e José Luis Riera Coves (panificio Can Coves) si sono impegnati a recuperare. “È un grano facile da molire che dà origine a farine leggere e versatili, ideali per fare pasta e pane, ma che si prestano bene anche per i dolci”, racconta Vincente. E come lui, tanti altri artigiani del territorio stanno da tempo ricercando i grani antichi autoctoni, per restituire valore alle varietà storiche dell'Isola e riscoprire i sapori di una volta. “Il cibo è emozione ed è uno strumento in grado di raccontare delle storie” aggiunge Julia, “recuperare i prodotti del passato ci aiuta a metterci in comunicazione con noi stessi”.

ibiza - Insalata di pane di turInsalata di pane di Miquel Tur

Le ricette antiche

Sono ingredienti quasi dimenticati e ora tornati alla ribalta. Così come le ricette, che attraversano generazioni, scompaiono alle volte perché non più al passo con i gusti contemporanei, per poi tornare ancora una volta a deliziare il palato di chi le mangiava già e chi le assaggia per la prima volta. Sono piatti dal carattere identitario solido e indistruttibile, in grado di riportare alla memoria collettiva un ricordo, un momento della vita in cui la tavola era il centro della convivialità, fulcro della famiglia e delle relazioni affettive. Gli ibizenchi ritrovano il sapore della propria terra nella ensalada de crostes, un'insalata di pane simile a quella calabrese o alla panzanella toscana, a base di pane raffermo bagnato nell'acqua, olio di oliva, pomodori, basilico e cipolla rossa. Per Miquel Tur, chef del ristorante Zebra (Sant Antoni de Portmany), questo piatto rappresenta “l'intera cultura culinaria dell'isola” perché parla della tradizione contadina del luogo, della tavola più povera che trova negli ingredienti semplici e più accessibili un modo per mangiare con poco ma senza rinunciare al gusto. Il piatto dello chef 'Crostes y galletta forta' si compone di pochi prodotti: pane, olio, fior di sale di Ibiza - specialità isolana 100% naturale raccolta a mano nella riserva del Parc natural de ses Salines d’Elvissa - pomodori “di piccoli agricoltori locali”, cipolla rossa e un mix di erbe mediterranee. Un sapore autentico, inconfondibile, schietto e immediato. “La ricetta è molto antica e per diverso tempo era completamente scomparsa da qualsiasi menu. Ora la si trova facilmente nei ristoranti di tradizione, ed è perfetta per inaugurare un pasto”.

 

I piatti dell'infanzia

Ci sono i piatti dimenticati, dunque, e poi quelli del ricordo, che portano alla memoria la cucina di casa, quella della mamma, i pranzi in famiglia e tutto l'universo più candido dell'infanzia. Joan Escandell del ristorante 2.000 de Benirràs di Sant Joan de Labritja, nelle Isole Baleari, nella sua cucina cerca costantemente il gusto della fanciullezza, recuperando i piatti che sua madre era solita preparare. Fra questi, il più significativo per lo chef è la minestra di semola, “una farina molto utilizzata in casa mia, il cui profumo mi trasporta immediatamente ai tempi andati”. La ricetta si chiama semplicemente 'Sèmola', “per sottolineare ancora una volta il ruolo di protagonista assoluto dell'ingrediente” e , oltre alla farina, prevede l'utilizzo di cereali, “che variano a seconda della disponibilità” e verdure, “sempre e solo di stagione”. Il risultato è un composto soffice e compatto, delicato ed equilibrato.

 

Come spesso accade, anche a Ibiza molti dei ristoranti tradizionali sono a conduzione familiare e basano i loro menu su ricette tramandate di generazione in generazione. È il caso di Es Ventall, locale storico di Sant Antoni de Portmany, attualmente in mano al giovane José Miguel Bonet. “Mio padre ha aperto il ristorante nell'82 con l'aiuto di mia madre, proponendo piatti semplici realizzati con gli ingredienti dell'orto di famiglia”. Ancora oggi, il papà si reca tutti i giorni in campagna a raccogliere i frutti della terra che José trasforma nella sua cucina. Cresciuto tra i fornelli, il cuoco ha fatto tesoro dei consigli preziosi dei genitori, studiando le tecniche e le ultime tendenze culinarie, reinventando così l'offerta del ristorante, pur mantenendo intatto il gusto originale della tradizione. Fra i suoi piatti forti c'è il 'Bullit de pèsols i fave', stufato di piselli e fave che lo chef impreziosisce con fiori eduli. “Devo tutto a mio padre”, si affretta ad aggiungere, “senza di lui non avrei mai avuto una base su cui potermi evolvere come cuoco”.

 

ibizaFormaggi

Formaggi: il ruolo del caglio naturale

Alta attenzione anche al mondo caseario, uno dei settori più affascinanti del territorio che desta sempre di più l'attenzione degli chef. In particolare, sono i formaggi realizzati a partire da caglio di origine vegetale derivato dal fiore del cardo, a incuriosire i cuochi più attenti. Fra questi, Álvaro Sanz del ristorante Es Tragón, uno degli indirizzi più interessanti della città di cui avremo modo di parlarvi più approfonditamente in seguito. 'Il formaggio come innovazione' è il titolo che lo chef ha voluto dare al suo showcooking, perché “i latticini sono elementi fondamentali di tante cucine e sono fra i prodotti più antichi e consumati di sempre”. Raccontano la storia di un luogo, della sua fauna e anche della sua flora, delle tradizioni storiche rimaste impresse nel tempo. Formaggio di capra e carciofi, gli ultimi della stagione, sono gli ingredienti protagonisti del piatto di Álvaro, che utilizza anche il germoglio della pianta. Mentre si dedica alla preparazione della sua spuma di formaggio, sottolinea l'importanza del caglio vegetale: “Nel mio ristorante cucino carne e pesce ma ci sono tanti piatti basati esclusivamente sulle verdure, adatti anche a vegani e vegetariani. Personalmente non seguo nessuna dieta particolare ma sono molto attento al consumo della carne, che deve essere limitato, e al rispetto del territorio e dell'ambiente circostante”. E aggiunge: “Amo l'idea di un'alimentazione sostenibile e quanto più naturale possibile, a cominciare dai piccoli dettagli su cui spesso nessuno si sofferma, come il caglio per esempio”. Foglia di carciofo fritta ripiena di risotto, spuma di formaggio di capra e un'emulsione di carciofo, cardo ed erbe del territorio: un piatto con pochi fronzoli, ben presentato, dritto al sapore e “con un occhio di riguardo per la natura”.

 

ibizaVino Can Rich

I banchi di assaggio

Formaggi con caglio vegetale sono stati presentati anche dai produttori locali presenti ai banchi di assaggio. Ses Cabretes è uno dei marchi più rappresentativi della produzione casearia ibizenca, nato nel 2014 con l'idea di recuperare il lavoro artigianale del passato. Un progetto volto a valorizzare le usanze del luogo iniziato per volontà di 8 amiche appassionate della buona tavola. Nessuna precedente esperienza nel settore, solo la voglia di ritrovare un legame con le proprie radici e tanta ricerca. L'azienda conta oggi 100 capre e solo due delle imprenditrici che hanno cominciato questa avventura. Due prodotti di punta: semi-stagionato e fresco, entrambi a latte pastorizzato realizzati a partire da caglio vegetale.

Latticini a parte, durante il congresso è stato possibile assaggiare anche altre specialità dell'isola, dalle mandorle, che qui sono presenti in più varietà che si differenziano fra loro per colore, forma, grandezza e gusto, allo Hierbas Ibicencas, liquore tipico a base di anice ed erbe spontanee che conclude solitamente tutti i pasti ibizenchi, dalla sobrassada - salume a base di carne di maiale, paprika e sale che conta solo il 30% di grasso totale - al fior di sale. Non sono mancati, naturalmente, anche i vini: dai rossi, principalmente a base di cabernet sauvignon, merlot, syrah, tempranillo e monastrell, varietà autoctona per eccellenza, ai bianchi, soprattutto chardonnay e malvasia, l'uva più popolare fra gli abitanti dell'isola. Fra le aziende presenti, ruolo da protagonista l'ha giocato Can Rich, realtà biologica a conduzione familiare di Sant Antoni di Portmany nata nel '97 e da anni punto di riferimento per chef e consumatori appassionati che vogliono ritrovare nel calice il gusto del territorio.

Ma della storia di Can Rich, dei suoi vini ispirati all'antica tradizione fenicia, del pane tradizionale ripieno di sobrassada, dei formaggi di capra, dello Hierbas Ibicencas e dei ristoranti dell'isola dove poter assaporare a pieno le prelibatezze del territorio avremo modo di raccontarvi a breve in maniera più dettagliata.

 

Zebra | Spagna | Ibiza | Sant Antoni de Portmany | Av. d'Isidor Macabich, 9A, | tel. +34 971 347867 |

zebra-ibiza.com

2.000 de Benirràs | Spagna | Ibiza | Sant Joan de Labritja | Cala Benirras, 07815 | tel. +34 971 33 33 13 |

Es Ventall | Spagna | Ibiza | Sant Antoni de Portmany | Carrer de Cervantes, 22 | tel. +34 699 84 68 54| http://restauranteesventall.com/

Es Tragón | Spagna | Ibiza | Sant Antoni de Portmany | Ctra. Cap Negret, s/n | tel. +34 971 34 64 54| http://estragonibiza.com/

 

Foro di Gastronomia Mediterranea | Spagna | Ibiza | Paseo Juan Carlos I, 17 | 15 maggio 2017 | www.ibizasabor.es/

 

 

a cura di Michela Becchi

 

Nasce ad Alba l’Accademia Bocuse d’Or Italia per preparare e allenare gli chef

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Nasce ad Alba, nel cuore delle Langhe, l’Accademia Bocuse d’Or Italia, con l'obiettivo di formare e preparare il Team Italia che sfiderà l’Europa alla selezione di Torino 2018, in occasione di Gourmet Expoforum. E il resto del mondo alla finale di Lione 2019.

Il Bocuse d'Or

Nato nel 1987 per volontà di Paul Bocuse, leggenda della ristorazione francese, padre della Nouvelle Cuisine e detentore delle Tre Stelle per ben cinquant'anni consecutivi nel suo ristorante a Collonges-au-Mont-d'Or. È diventato negli anni il mondiale della cucina, con tanto di tifosi sugli spalti, in cui 24 chef di altrettante nazioni si sfidano a colpi di ricette per convincere la selezionatissima giuria, composta da dodici chef e un presidente di giuria che non vota, ma interviene in caso di parità. Un evento che si ripete ogni due anni (negli anni pari ci sono le selezioni continentali, con Bocuse D’Or Europe, Bocuse D’Or America Latina e Bocuse D’Or Asia, e quelle nazionali) e che in Italia ha preso piede solo negli ultimi tempi. Prima, grazie a Luigi Cremona e Lorenza Vitali di Witaly, che hanno ridato lustro alla manifestazione organizzando le selezioni italiane. Ora con la novità di questi giorni: la nascita ad Alba dell'Accademia Bocuse d’Or Italia.

L'Accademia Bocuse d’Or Italia

L’Accademia presieduta da Enrico Crippa, chef tristellato del ristorante Piazza Duomo (Tre Forchette in Ristoranti d’Italia 2017 del Gambero Rosso), e diretta da Luciano Tona, che per dieci anni è stato Direttore della formazione di ALMA, ha come obiettivo la formazione del Team Italia che sfiderà l’Europa alla selezione di Torino 2018, in occasione di Gourmet Expoforum, e il resto del mondo alla finale di Lione 2019. Lo scopo è fornire ai candidati gli strumenti e il supporto alla preparazione tecnica necessari per arrivare preparati a una sfida di altissimo livello quale è il Bocuse d’Or, rendendo finalmente onore all'Italia sotto la guida di Crippa, che spiega:“Per uno chef partecipare a un concorso come il Bocuse d’Or è motivo di orgoglio e una grande opportunità che cambia la vita se ne esci vincitore. L’Italia, in questa prestigiosa competizione, non ha mai raggiunto posizioni rilevanti. Il ruolo della nuova “Accademia Bocuse d’or Italia” è quello di supportare, in ogni campo, gli chef italiani e prepararli al meglio al concorso. La tradizione gastronomica in Italia non ha eguali; il mio obiettivo è dunque di renderle merito e portarla sul podio internazionale”. Una strada buona e giusta, la stessa intrapresa vent'anni fa dalla pasticceria, e che ha portato a grandi risultati.

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I prossimi appuntamenti

Rimaniamo dunque in attesa della selezione del Bocuse d’Or Italia l'1 ottobre ad Alba, con 4 giovani chef sfidanti: Giuseppe Raciti, del Ristorante Zash nel Country Boutique Hotel di Riposto, in provincia di Catania; il piemontese Paolo Griffa, impegnato in Francia presso il due stelle Michelin Restaurant Serge Vieira a Chaudes-Aigues; Martino Ruggieri, attualmente Head Chef presso il tre stelle Pavillon Ledoyen di Parigi; Roberta Zulian, chef presso l’Alpen Suite Hotel di Madonna di Campiglio. Che da oggi, fino a ottobre, si prepareranno sul modello di concorso del Bocuse d’Or, che prevede la preparazione di due piatti in 5 ore e 35 minuti. Dopo la selezione di Alba, l’Accademia ospita lo chef vincitore insieme al suo commis, per allenarlo in vista della finale europea che si svolgerà a Torino, in occasione di Gourmet Expoforum, l’11 e 12 giugno 2018. In caso di qualificazione, il Team Italia tornerà ad allenarsi ad Alba per preparare al meglio la finale mondiale di Lione 2019. In bocca al lupo a tutti.

 

www.accademiabocusedoritalia.it

 

a cura di Annalisa Zordan

 

 


Il Movimento Gente di Lago. Riscoprire le acque dolci con Marco Sacco. In cucina e non solo

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Lo chef del Piccolo Lago di Mergozzo è promotore del neonato Movimento che unisce chef, pescatori, ittiologi e comunità lacustri a partire dal limpidissimo bacino piemontese. L'obiettivo? Restituire vitalità al lago e al suo ecosistema. Anche in cucina. Si comincia con la cena d'autore dedicata alla trota. 

Biodiversità lacustre. Un ecosistema da riscoprire

Da (più di) qualche anno a questa parte, Marco Sacco è tra gli chef più rappresentativi di una ristorazione nazionale che sa offrire alternative molteplici, al passo con quella biodiversità territoriale che oggi, finalmente, sentiamo il bisogno di difendere. Un patrimonio collettivo, tra i molti privilegi che l'Italia può offrire, eppure non sempre valorizzato a dovere. Spesso perché sconosciuto ai più. Quanti sanno, per esempio, che il lago di Mergozzo vanta il primato di lago più incontaminato d'Europa grazie a un peculiare ecosistema chiuso che garantisce acque pulitissime in ogni periodo dell'anno? E che per questo ricercatori da tutto il mondo lo raggiungono perché assicura un'analisi chimica delle precipitazioni pressoché perfetta? La nascita di un movimento, solitamente, risponde proprio all'esigenza di sensibilizzare l'opinione pubblica: portare a conoscenza di un tema un pubblico più ampio, con il contributo di chi la materia la padroneggia, perché la vive ogni giorno. E questo è l'obiettivo del neonato Movimento Gente di Lago, promosso da Marco Sacco per riunire una comunità di cuochi, pescatori, ittiologi, acquacoltori, produttori in difesa di un ecosistema complesso e poco conosciuto: quello delle acque dolci. Del resto il sistema lacustre a cavallo tra Piemonte, Lombardia e Trentino è il più importante d'Italia per estensione, indotto economico e potenzialità turistiche.

Il lago di Mergozzo

E il lago di Mergozzo, alla propaggine occidentale del lago Maggiore, è una piccolissima realtà incuneata all'imbocco delle Alpi Lepontine, nella provincia del Verbano-Cusio-Ossola. Stretto tra il più celebre fratello “Maggiore”, da cui dista un paio di chilometri appena, e il lago d'Orta, il bacino di Mergozzo (solo 6 chilometri per completare l'intero perimetro) non è propriamente un'attrattiva nota. Ma, come dicevamo, all'avanguardia per sistema di depurazione e controllo dell'inquinamento. Tra le eccellenze che valgono il viaggio, sotto il profilo gastronomico, il Piccolo Lago (Due Forchette del Gambero Rosso e Due Stelle Michelin) vanta oltre quarant'anni di storia, e Sacco ha saputo traghettarlo tra le tavole più interessanti della ristorazione moderna. Partendo proprio dalla conoscenza del lago dove è nato e cresciuto: “Da quando ero bambino molto è cambiato, il lago ha smesso di essere vissuto come un tempo, io voglio riscoprirlo in prospettiva futura. Coniugando la mia esperienza di vita con la professione di chef”. Il primo ostacolo da superare? Tenere alta l'attenzione: “Abbiamo laghi puliti, ma statici”. E quindi, d'ora in avanti, il movimento avrà il compito di discutere di ecosostenibilità e ripopolamento, ma il coinvolgimento degli chef farà da traino al progetto, tanto in fase di ricerca e sperimentazione sulla lavorazione del pesce di lago che per l'organizzazione di appuntamenti ludici, aperti al pubblico, per finanziare le iniziative future.

Il pesce di lago. Una sfida per lo chef

Sacco, la sua “sfida” alla cucina lacustre l'ha già vinta in passato: “Un tempo il pesce d'acqua dolce si mangiava frequentemente, poi, con gli anni '80 e '90, si è aperto un periodo di pesca non prolifica, e intanto l'alta ristorazione si assoggettava alla moda di capesante e gamberi. Io ho seguito la mia strada, negli anni Duemila sono arrivate le stelle. Nulla di scontato: il pesce di lago deve essere sostenuto, necessita di una lavorazione maggiore”: Eppure intorno le cose cambiavano repentinamente: “Negli anni Settanta a Mergozzo 130 famiglie vivevano di pesca, oggi sono rimasti in 11. Ma d'altro canto il mondo dell'acquacoltura si è evoluto alla ricerca di una qualità del prodotto sempre maggiore: alleviamo pochi pesci in grandi vasche d'acqua pulita, il gusto paltoso che molti associano al pesce d'acqua dolce è praticamente sparito”. Materia prima d'eccellenza, dunque, ma non bisogna sottovalutare l'ecosistema che cambia, “per assurdo l'estrema pulizia delle acque sfavorisce tante specie ittiche che non sanno di che nutrirsi”.

Non solo lavarello. Pescare e mangiare a Mergozzo

E se la pescosità diminuisce, è altrettanto vero – e forse pochi lo immaginano – che il tabellone delle specie ittiche che popolano un lago può andare incontro a evoluzioni continue: “è importante tracciare l'arrivo di pesci non autoctoni, imparare a regimentarli, a utilizzarli in cucina con l'aiuto dei pescatori. A leggere il lago in modo dinamico. Stiamo pensando anche a sviluppare nuove ricette da riunire in un ricettario del movimento”. Cosa si pesca oggi a Mergozzo? Lavarelli, certo, e trote - “ma sono diminuite; la Regione ha già varato un ripopolamento all'avanguardia, anche a monte delle dighe” - ma anche pesci siluro e gardon, “un pesce non pregiato, ma perfetto per la carpionatura e la marinatura, nel primo appuntamento lo proporremo in versione street food, con una focaccina da passeggio”. Specie meno note, “che un cuoco appassionato del lago ha il compito di valorizzare”. Spinto dalla curiosità, Marco ci ha provato persino con le cozze lacustri, “ma il risultato lascia a desiderare, decisamente non sono commestibili. Però sono filtri naturali all'inquinamento: uno studio sul lago d'Orta ha dimostrato che in due anni le colonie di cozze sono capaci di purificare l'acqua”. E poi c'è tutto quello che cresce sulle sponde e intorno al lago, ugualmente prezioso in cucina: “Le erbe spontanee, il topinambur che cresce sulla piana del Toce, il crescione di ruscello, asparagi e finocchio selvatici”. Insomma, un cuoco di lago non si annoia mai.

I progetti. Le cene d'autore

E il Movimento vuole raccontare anche questo: “Il progetto nasce da qui, ma vuole crescere. Iseo e Garda hanno già dimostrato interesse, e quando avremo le idee più chiare andremo anche all'estero, magari per imparare dai Paesi del Nord”. Intanto si comincia con tre appuntamenti a tavola, al Piccolo Lago, ognuno dedicato a un pesce diverso. L'esordio è affidato alla Trota, il 18 maggio, seguiranno carpa (6 luglio) e storione (12 ottobre). Tre serate che riuniscono colleghi e amici, “e non solo chef che tutti i giorni si confrontano con il pesce d'acqua dolce, la contaminazione fa bene a tutti”: Per la cena inaugurale il parterre conta, oltre al padrone di casa, i fratelli Cerea, Mauro Elli, Leandro Luppi e Federico Beretta. In menu la Trota cotta a bassa temperatura ed accompagnata da un prato di crescione con ribes, piselli ed asparagi crudi di Marco Sacco, il Risotto Carnaroli al ragù di lago con agrumi ed erbette dei Cerea; e ancora Anguilla bbq e Cipolla ripiena di lavarello e aglio orsino. Mentre Luppi proporrà un'insolita Trota marinata con zuppetta di cioccolato e cren. Costo per partecipare 100 euro, in parte devoluti al Movimento. È solo l'inizio.

 

La Trota | Mergozzo (VB) | Piccolo Lago, via Turati, 87 | il 18 maggio, alle 20.30 | costo 100 euro | tel. 0323 586792 | www.piccololago.it

 

a cura di Livia Montagnoli

La rinascita di piazza del Plebiscito. A Napoli ristoranti e botteghe sotto il colonnato

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Si è conclusa la procedura di concessione dei locali sotto il colonnato di San Francesco da Paola che mira a riqualificare una delle piazza più suggestive d'Italia all'insegna dell'artigianato gastronomico e artistico. Ecco chi ha vinto, in attesa della riapertura dell'area ipogea. 

Nuova vita al colonnato. Il bando

Alla fine di gennaio il Comune di Napoli annunciava la volontà di restituire piazza Plebiscito ai napoletani con un progetto di riqualificazione varato in collaborazione con l'Agenzia del Demanio e il fondo Edifici di Culto. Il rilancio di una delle piazze più grandi e suggestive d'Italia, nello specifico, passava dalla messa a bando di dodici locali commerciali affacciati sul colonnato della Basilica di San Francesco da Paola, che abbraccia lo sguardo enfatizzando la caratteristica cupola dell'edificio. Qualche settimana dopo il bando è arrivato puntuale (efficienza incredibile, chapeau), e ora, la pubblicazione dell'elenco degli aggiudicatari della procedura fa sperare nell'imminente ripristino dello spazio, un tempo salotto bene della città e oggi desolatamente abbandonato a se stesso, specie dopo il tramonto. La proprietà dei locali resta alla Direzione centrale per l'amministrazione del fondo Edifici di culto, ma presto i vincitori del bando prenderanno possesso degli spazi, nell'ottica di ripopolarli all'insegna della valorizzazione del patrimonio artigianale ed enogastronomico partenopeo, secondo le tipologie commerciali richieste: ristorante delle arti e caffè letterario.

 

Cucina povera, pasticceria take away e vini del territorio

In particolar modo, i lotti al civico 11 e 12 (poco meno di 200 metri quadri a disposizione) vedranno la nascita di un nuovo format di somministrazione di alimenti e bevande con prodotti locali, affidato alla supervisione del Gran Caffè Marika di Luigi Iengo; al civico 14, invece, arriverà la Pasticceria Altamura (attiva a Volla dal 2010), con un progetto di pasticceria tradizionale partenopea, seppur in pochi metri quadri, meno di 50: dolci take away, caffè corretto, vini passiti, liquori e marmellate. E pure in piazza Carolina (che collega la piazza a via Chiaia), in soli 26 metri quadri di spazio, si parlerà di cibo e cucina della tradizione, con un progetto di ristorazione povera e vini del territorio. A questi si sposa l'idea dell'associazione artistico-culturale Terramiart, che proporrà al civico 1 artigianato storico-artistico locale, ma pure un bar gestito dal ristorante Pastamore e Chiatamone (una locanda a breve distanza dal lungomare, specializzata in piatti della tradizione). Poco più in là, civico 5, i presepi di Maurizio Riccio, mentre due aggiudicazioni sono andate deserte, e saranno nuovamente bandite nelle prossime settimane. Per le realtà già coinvolte, invece, il contratto di locazione si protrarrà per sei anni rinnovabili. E intanto si lavora per ripristinare la fruibilità dell'area ipogea, che nelle intenzioni dell'assessore all'urbanistica Carmine Piscopo e dell'amministrazione comunale dovrebbe trasformarsi nel Guggenheim napoletano (del resto, per il “salotto” in superficie qualcuno aveva avanzato nei mesi scorsi il parallelo con piazza San Marco), forse con qualche proclama trionfale di troppo.

 

Napoli sotterranea

Fatto sta che la concessione dello spazio sottostante la basilica sarà bandita entro il mese di luglio, poi l'aggiudicatario si preoccuperà del restyling, approntando una sede espositiva sotterranea pronta ad accogliere grandi mostre, eventi culturali e viaggi nella Napoli nascosta. Con la possibilità di aprire un collegamento con i tunnel della Galleria Borbonica. E proprio i due locali ancora da assegnare sotto il colonnato serviranno da porta d'accesso a questa nuova porzione della Napoli sotterranea. Quando il progetto sarà completato, dunque, arte, storie e tradizione gastronomica dialogheranno l'un l'altra, garantendo un nuovo circuito turistico di prestigio alla città, in forte ascesa tra le capitali d'Europa e del mondo più apprezzate dai visitatori internazionali.  

 

a cura di Livia Montagnoli

Emergenza maltempo. Duro colpo all'annata 2017, ma per molti vitigni si spera in una ripresa

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Un primo monitoraggio Assoenologi in tutto lo stivale dopo la gelata del 18-21 aprile parla di conseguenze molto gravi sul piano produttivo. Il presidente Cotarella: “Evento eccezionale, effetto dei cambiamenti climatici”. Ecco la mappa dei danni regione per regione

L'Italia dovrà molto probabilmente mettere da parte l'idea che l'annata 2017 possa essere di quelle da ricordare. O meglio, lo sarà di sicuro, ma per l'inaspettata gelata verificatasi tra martedì 18 e venerdì 21 aprile che, per la prima volta dopo molti anni, e in modo particolarmente anomalo, ha interessato la maggior parte delle regioni italiane. In poche si sono salvate dagli effetti di un freddo invernale piombato sul vigneto italiano dopo un periodo di temperature miti come quelle di marzo. L'Assoenologi ha attivato da subito le sezioni territoriali, effettuando una ricognizione negli ultiimi giorni di aprile, dalla quale è emerso un quadro molto preoccupante per la viticoltura nazionale.

 

Un fenomeno di dimensioni europee

Nessuna stima complessiva in termini numerici, ma il bollettino provvisorio stilato dall'associazione presieduta da Riccardo Cotarella parla di “conseguenze sul piano produttivo molto gravi”, evidenziando l'unicità del fenomeno, che ha avuto dimensione europea, dal momento che anche Francia, Spagna e Inghilterra sono state colpite: “Molto raramente” nota Assoenologi “si associano gli effetti di un raffreddamento dovuto allo spostamento di grandi masse fredde dall'Artico, con quelli della perdita di calore dal suolo per irradiamento e, in molti casi, per la caduta di aria fredda lungo le pendici verso le zone più basse”.

Il gelo, e in alcuni casi la grandine, hanno colpito in un momento favorevole al germogliamento delle viti, specialmente nei terreni a fondovalle e pianeggianti, ma anche nei nuovi impianti, particolarmente sensibili. Una fase cruciale per la vite che è stata di fatto interrotta. Preoccupa la situazione in alcuni distretti viticoli particolarmente vocati all'esportazione, come le aree più basse del Prosecco. Gli interventi agronomici per il recupero della produzione dell'annata in corso si prospettano “molto aleatori e potranno essere valutati solo dopo la risposta delle piante, tra qualche settimana. È opportuno invece” spiega Cotarella “che le scelte dei viticoltori si orientino verso il ripristino della struttura produttiva per la prossima annata”.

 

Il parere dell'esperto

Una gelata mai vista quella del 2017. Non una “brinata” convenzionale, ben diversa da quella storica del 1985, quando le viti furono danneggiate dalle basse temperature dopo un'abbondante nevicata. “Questa è stata caratterizzata da venti gelidi che hanno colpito a fasce”, afferma Flavia Zenari, coordinatrice del gruppo fitopatologico dell'area della Doc Soave. Come reagirà la vite a questo stress? “È una pianta generosa. Quando sente il freddo si ferma e fornisce degli impulsi a quattro tipi di gemme: le dormienti, di controcchio, di corona e latenti. Ha bisogno di vivere, fare fotosintesi, sviluppare le foglie”. Cosa accade allora? “Dopo alcune settimane dalla gelata si rimette in moto. Nascono nuove gemme, che danno grappoli più piccoli di quelli danneggiati, perché frutto di una seconda fase. Ma la pianta non è compromessa. E si potranno sviluppare i tralci per il prossimo anno. Non sarà, certo, un'annata al 100% ma possiamo avere una buona annata”.

Cosa non bisogna fare dopo una gelata del genere? “È importante non fare potature, non concimare, attendere che crescano le foglie e solo in quel momento usare un po' di concime fogliare. In generale a circa 20 giorni dalla gelata si capisce se avremo nuovi frutti. Ovviamente, proprio per questo, la pianta andrà seguita con più attenzione mediante trattamenti di difesa contro le fitopatie, oidio e peronospora”.

 

Ecco il quadro a livello regionale

 

 

Piemonte

Il 5-8% degli ettari di vite risultano colpiti in questa regione, con una perdita media stimata del 3-5%. In particolare, a Gavi è stato colpito il 10-15% degli ettari con danni dal 5% al 100% con una perdita media complessiva del 7-10% della produzione. A Nizza Monferrato, Agliano e Mombaruzzo (zona Barbera d'Asti) il freddo ha colpito anche in collina, con stime per l'8-10% della produzione. A Barbaresco, la grandine ha colpito Neive il 16 aprile ma per il Nebbiolo non ci sono grandi problemi; la sezione Piemonte di Assoenologi prevede un calo del 5-7% della produzione e segnala gelate a macchia di leopardo in zona Barolo.

 

Lombardia

La Franciacorta è stata colpita in modo sensibile, con un interessamento per il 40-50% dei germogli dei tre vitigni principali soprattutto in pianura. Il lago ha limitato i danni nelle aree del Lugana e della Doc Garda: 10-12%. Limitati i problemi in Valcalepio; in Oltrepò il 20% dei germogli ha subito il calo termico, con percentuali del 90-95% nelle vallate. La Valtellina ha subito pochissimi danni, solo in vigneti situati in zone poco soleggiate.

 

Liguria

La regione ha subito danni ai germogli soprattutto in prossimità dei fondovalle, con una perdita stimata compresa tra 10 e 15%.

 

Trentino

Circa 2.400 dei diecimila ettari della provincia di Trento sono stati in vario modo colpiti dalla gelata tra 19 e 20 aprile. Mille ettari registrano danni consistenti, anche se è difficile stimare gli effetti reali sulla produzione, in quanto la risalita delle temperature e le piogge hanno consentito una leggera ripresa vegetativa delle piante. In particolare, le aree vitate di Ala, la piana di Rovereto e la Valle dei Laghi sembrano essere le più colpite; va meglio a nord di Trento e in val di Cembra, con i sistemi a guyot che hanno avuto la peggio rispetto a quelli a pergola trentina.

 

Alto Adige

Il 10% della superficie vitata altoatesina è risultato colpito, secondo il monitoraggio della sezione locale: 530 ettari su 5.350 totali. La stima complessiva è di danni per il 5-8%. Valle Isarco e Oltreadige le zone viticole più in difficoltà.

 

Veneto

La prima regione produttrice in Italia è stata colpita nel settore centro orientale in modo irregolare. In alcune zone si registrano danni da gelo, in altre si è verificato solo un arresto della fase vegetativa. Prematuro, secondo la sezione regionale dell'Assoenologi, quantificare i danni, perché la vite ha ancora il tempo per recuperare. Sarà decisivo l'andamento delle temperature nelle prossime settimane. Nella zona occidentale, i produttori ricordano le gelate di metà anni Ottanta ma questa di aprile 2017 è diversa per il modo in cui è arrivata. C'è prudenza nel giudicare i danni alle viti. Se a pochi giorni dalla gelata la situazione è apparsa drammatica, nei giorni successivi la vite ha ripreso la cacciata ed è probabile che non si riuscirà a fare una vendemmia di quantità, salvaguardando però l'aspetto qualitativo. Nessun problema viene segnalato nelle zone più alte e nelle colline del Veronese e del Vicentino; diversa, e più complicata, la situazione nelle zone basse della Valpolicella, nella zona est della pianura di Soave, e in zona Arcole; interessate, più a nord, anche le aree di Lonigo, Meledo, Brendola e Montebello.

 

Friuli Venezia Giulia

L'ultima grande gelata risale qui all'aprile 1981. Duemila gli ettari interessati dalla gelata, circa il 10% del vigneto regionale. Il freddo è arrivato a macchia di leopardo, dopo un inverno mite e siccitoso e un aprile che, prima del 19, aveva regalato temperature alte anticipando la fase vegetativa. Il brusco calo termico c'è stato in particolare a valle e per le varietà Pinot grigio, Glera, Refosco e Verduzzo. Si attende di capire la reazione della pianta.

 

Emilia Romagna

In Emilia, con un danno medio tra 20 e 30% della superficie, i vitigni che hanno sofferto di più sono l'Ancellotta (che viene usata nel vino Lambrusco) e le uve bianche in generale. Danni significativi nel Bolognese, ma presto per fare stime. Prevalentemente colpiti (90%) gli impianti a spalliera rispetto ai sistemi a Belussi. In Romagna, le alte temperature hanno favorito un anticipo vegetativo, poi è seguita la pioggia ma anche due grandinate molto forti tra il 15 e il 17 aprile. Le colline faentine, quelle imolesi e la pianura bolognese sono state colpite in modo grave. Tra 20 e 21 aprile il termometro è sceso sotto zero facendo il resto. In totale, si stima un interessamento di 4 mila ettari su 27 mila. Assoenologi Romagna attende ora le fasi di fioritura e allegagione per capire gli effetti sulla produzione.

 

Toscana

In modo schematico, Assoenologi fa la conta dei danni a seconda delle zone vitate: Chianti 25-30%; Chianti Classico 20%; San Gimignano 20%; Montalcino 10-15%; Montepulciano 20-25%. Praticamente salve le zone più collinari, ma anche Bolgheri e la bassa Maremma. In alcuni areali i germogli sono stati di fatto “bruciati” si legge nel report “compromettendo in modo significativo la produzione 2017”.

 

Marche

Limitati i problemi in questa regione. Si arriva a un danno massimo del 10% a Pesaro e Urbino, Ancona, nelle zone del Verdicchio e del Conero. Diversa la realtà a Matelica (altra culla del Verdicchio) dove si registrano danni fino al 40% a seconda delle aree. Ad Ascoli e Fermo, nei fondovalle, in qualche caso le perdite hanno raggiunto il 50%. Il freddo ha ritardato i germogliamenti delle varietà tardive (Montepulciano, Trebbiano e Passerina).

 

Lazio e Umbria

In queste due regioni il freddo è arrivato, assieme al vento, tra 20 e 22 aprile. Nel Lazio, sui Castelli Romani (Doc Frascati) la stima sulle perdite è del 10-15%, ma si spera in un recupero. In provincia di Latina, danni dal 10% al 50%, sempre nei fondovalle. In Umbria, in pianura hanno sofferto le varietà a bacca bianca registrando il 60% delle perdite. Il freddo ha interessato la Docg Sagrantino anche ad altitudini di 300 metri: si stima un 30% di perdite.

 

Abruzzo

Chardonnay, Pecorino, Pinot grigio e Passerina: sono questi i vitigni maggiormente interessati dal gelo. Si tratta di varietà precoci. Trebbiano e Montepulciano non hanno avuto problemi significativi, secondo l'Assoenologi. Già un anno fa la temperatura scese a -3/-5 gradi nelle province dell'Aquila e nelle colline del Pescarese, ma con effetti inferiori al 2017 visto che le gemme non erano ancora schiuse. Si attende il completo germogliamento per capire l'effetto sulla raccolta.

 

Campania

In tutta la regione si prospettava un'annata ottimale con un gennaio freddo e piogge abbondanti. Il successivo innalzamento termico di febbraio e di marzo ha favorito lo sviluppo anticipato della vite. Pertanto, la gelata tra 18 e 21 aprile ha gravemente condizionato la fase vegetativa, più nei vigneti giovani rispetto a quelli vecchi. Il danno complessivo stimato è pari al 15-20%.

 

Puglia, Basilicata e Calabria

In Puglia, il bollettino dei danni è significativo soprattutto nel centro nord della regione: colpite la Valle d'Itria (40-50%), l'area tra Cerignola e Minervino Murge (10-20%), e l'area settentrionale (5-10%) al confine con il Molise. Il Salento è stato pressoché trascurato dal fenomeno delle gelate che hanno colpito tra 20 e 23 aprile. Per quanto riguarda la Calabria e la Basilicata i danni risultano “molto limitati”.

 

Sicilia

La Sicilia risulta indenne dall'abbassamento delle temperature dello scorso mese. Qui i danni stimati dalla sezione territoriale sono pari all'1% della produzione.

 

Sardegna

La sorte non è favorevole per la Sardegna e, soprattutto, per i distretti della Docg Vermentino di Gallura, del Cannonau ogliastrino, ai territori di Orgosolo e Mamoiada, di Dorgali, fino all'Oristanese e al Sulcis Iglesiente, patria del Carignano. I danni alla produzione vanno dal 100% al 20-50% nelle aree meno toccate. L'isola è stata colpita dal gelo sia nei fondovalle sia ad altitudini vicine ai 650 metri, per una superficie totale di 3 mila ettari.

 

L'Assoenologi, a giugno, prevede un ulteriore check del vigneto italiano, come annuncia il presidente Cotarella: “Siamo l'unica categoria che può effettuare questo tipo di stime e, con le nostre 4 mila antenne sparse sul territorio, vedremo se il verde che rinasce dalle piante potrà portare un po' di frutto, rimediando in qualche modo a questo fenomeno eccezionale, quanto irrazionale, legato ai cambiamenti climatici che andrà attentamente studiato dal punto di vista scientifico”.

 

a cura di Gianluca Atzeni

 

Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 11 maggio

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L'ABC di Enos. Progetto didattico tra alimentazione, culture e vite

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Metti insieme una food writer ex ristoratrice e una produttrice di vino, e avrai un'iniziativa per e con i bambini. Per permettere loro di conoscere il valore dell'alimentazione e dello scambio

Ci sono due progetti diversi che si intrecciano in ABC di Enos. Quello di integrazione culturale attraverso il cibo, ABC (che sta per Bambini tra Alimentazione e Culture), e quello che ha come obiettivo riuscire a orientare i più piccoli nel mondo della viticoltura attraverso un personaggio immaginario: nonno Enos, che poi troppo immaginario non è dato che prende le mosse all'interno dell'azienda Falesco. Dove Dominga Cotarella, vertice commerciale dell'azienda oltre che figlia di Riccardo e nipote di Renzo - due assi dell'enologia italiana - ha creato questa figuretta che, dal 2014, gira con la sua bussola “per aiutare i più piccoli a trovare la strada della passione che spinge e guida tutti gli altri sensi”, facendo conoscere ai bimbi i segreti della campagna e dei suoi frutti, primo tra tutti la vite. Così dall'unione di ABC, progetto nuovo di zecca di Catia Sulpizi, e di Enos, nasce una nuova iniziativa con e per i bambini per permettere loro di crescere e scoprire, giorno dopo giorno, il valore della conoscenza, dell'alimentazione, dello scambio e dell'amicizia. Il risultato? Bambini tra Alimentazione e Culture accompagnati da nonno Enos.

Le prime tappe del progetto

Troppo in una cosa sola? Non si direbbe a guardare la prima uscita del progetto, durante Internazionali BNL d’Italia fino al 20 maggio 2017 al Foro Italico di Roma, che ha colonizzato alcune aree intorno ai campi con spazi per giochi e laboratori tutti dedicati alla cultura, al cibo e alla conoscenza dell'altro. “Le attività sono per i bambini a partire dai 5 anni” spiega Catia Sulpizi “laboratori di cucina in cui, insieme alle ricette, si spiega quel che significano e da dove nascono. Così i piatti indiani, con tutte le loro spezie, sono un'occasione per raccontare un po' di storia e di cultura di quel Paese, e lo stesso per quella cinese, dove bacchette e sapori sono stati il veicolo per scoprire una cultura molto diversa dalla nostra, che si esprime nella scrittura attraverso gli ideogrammi” e aggiunge, “i bambini hanno anche imparato a scrivere il loro nome in cinese”.

Identità culture e colture

Si parte dalla nostra identità, che è quella legata alla terra e alla campagna, al cibo e alla tavola” spiega ancora Catia Sulpizi, “per arrivare alla conoscenza dei nostri vicini di casa, con i quali ormai si condivide tutto e in ogni luogo: al parco, a scuola e, ovviamente, a tavola”. E questa spinta all'integrazione e alla conoscenza reciproca è la stessa che si trova anche nei laboratori di casa Cotarella. Per questo, tra le varie comunità di Roma, se ne sono individuate quattro (Cinese, Indiana, Giapponese, Peruviana) diventate protagoniste di questa iniziativa. Quattro “micro etnie”, come le chiamano in questo progetto che ruota tutto attorno al valore del cibo come sintesi di tradizioni e territorio, nutrimento e salute, ma soprattutto come base di “un'integrazione tra culture attraverso la cultura dell'alimentazione”.

Così, per esempio, imparare a realizzare una ricetta con il pomodoro, è la scusa per farne conoscere la pianta, la sua stagionalità, la campagna e il territorio in cui nasce, e anche un po' di quella storia che porta con sé nel suo viaggio dalle Americhe fino a casa nostra.

L'incontro dei bambini con la campagna rivela un valore educativo fondamentale per lo sviluppo dei più piccoli “come già Maria Montessori aveva intuito nel secolo scorso”. Elemento centrale - in questo percorso rivolto ai più piccoli - la vite, che custodisce il valore dell'attesa, dalla cura e dell'impegno che portano buoni frutti, del rito e di un significato simbolico potentissimo nella vita dell'uomo. In queste lezioni "dalla terra alla tavola e oltre", verrà insegnata l'importanza del cibo e il suo valore materale e immateriale, materia prima preziosa, nutrimento di corpo e anima che non deve essere sprecato. È un itinerario che porta a una maggiore consapevolezza dei consumatori di domani.

 

Un percorso su un doppio binario

Il progetto lavora su due binari: da una parte un ciclo di appuntamenti per grandi e piccini presso lo spazio Incontri in Cucina di Roma. Con l'obiettivo, ancora una volta, di unire la conoscenza del cibo con quella dell'altro: lezioni di cucina dove i ragazzi, oltre a mettere le mani in pasta e realizzare delle ricette, avvicineranno il mondo in cui sono nate. Nascono così gli appuntamenti del ciclo “Oggi scopriamo...” che di volta in volta porteranno virtualmente i partecipanti in Paesi diversi, dal Sudamerica all'Estremo Oriente.

Accanto a questi, alcuni eventi di più ampia portata, che trasporteranno i laboratori all'interno di altre manifestazioni o in spazi diversi, nei quali creare delle sinergie tra la didattica, i bambini e i luoghi che li ospitano. Stand, laboratori e percorsi studiati ad hoc per riunire insieme i bimbi di ogni nazionalità ed etnia intorno al tavolo e non solo. Tra gli eventi, una grande Festa di Primavera ad aprile 2018 e, prima, la Vendemmia in Costume, che si terrà domenica 10 settembre 2017 nella cantina Falesco a Montecchio (TR). Un appuntamento in cui i più piccoli potranno "imparare-facendo: un'occasione per giocare e sporcarsi, correre e sudare, gridare e stancarsi”, pienamente partecipi del progetto ABC di Enos, che li porta alla scoperta della propria identità, non solo gastronomica, mediante il cibo. In programma stand e laboratori, giochi e attività educative che permetteranno di conoscere e incontrare le abitudini alimentari dei romani e di chi è arrivato a Roma da lontano, “i nostri vicini di casa”, e stimolare la conoscenza e la curiosità di tutti. “I laboratori affronteranno temi delicati, come il riciclo, l’educazione al consumo, la filiera alimentare, le allergie, i cicli produttivi, per sensibilizzare al rispetto per la propria cultura e per quella altrui. E lo faranno con un linguaggio adatto ai più piccoli.

Del progetto fa parte integrante la creazione di un portale interattivo, con tutte le informazioni e il racconto del percorso che, tappa dopo tappa, i bambini potranno seguire.

www.abcdienos.com

a cura di Antonella De Santis

TerroirMarche: due giorni alla scoperta del vino delle Marche (con uno sguardo alla Borgogna)

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Per il terzo anno consecutivo i vignaioli naturali marchigiani si riuniscono per raccontare il loro territorio e viniviticoltura, con uno sguardo al patrimonio artistico e culturale della regione duramente colpita dal terremoto del 2016. Non mancano approfondimenti enologici sul vino delle Marche e quello della Borgogna

Partiamo dall'inizio e da un pulmino che dalle Marche si muove alla volta di Montpellier, diretto a Millesime Bio, tra le più importanti manifestazioni enoiche d'Oltralpe riservate alle produzioni biologiche. Su quel pulmino c'è un gruppo di amici, proprietari di aziende vitivinicole marchigiane, che accudisce i propri vigneti nel più totale rispetto dell'ambiente: Aurora, Fiorano, La Distesa, La Marca di San Michele e Pievalta. Siamo nel 2013 e sulla lunga strada tra l'Italia e la Francia si inizia a covare un'idea: perché non riunirsi in un'associazione di vigneron che abbia come scopo un'agricoltura etica, la tutela del territorio e il rispetto del lavoro?

Da 5, quelle aziende oggi sono diventate 16 (negli anni si sono aggiunte Cavalieri, Col di Corte, Di Giulia, Failoni, La valle del Sole, Moroder, Malacari, Pantaleone, Paolini&Stanford, Peruzzi e Vigneti Vallorani) e si sono riunite sotto un Consorzio, TerroirMarche. Ma TerroirMarche è anche il nome del Festival che, giunto alla sua terza edizione, si terrà il 20 e il 21 maggio a Macerata e che vedrà protagoniste le aziende associate.

Vivere la regione

Corrado Dottori è il proprietario de La Distesa e su quel pulmino c'era. Insieme ai suoi colleghi oggi coordina il fitto programma della manifestazione, che nelle precedenti edizioni si è tenuta ad Ascoli Piceno e che quest'anno ha cambiato location. “Dentro l’idea della fiera c’era la volontà di esprimere il legame con la storia, la cultura, i paesaggi della nostra regione. Dopo i due splendidi anni ad Ascoli Piceno abbiamo sondato alcune ipotesi, l’amministrazione comunale di Macerata ci ha proposto spazi davvero bellissimi e abbiamo accettato con entusiasmo” spiega Corrado “Chi viene a TerroirMarche non assaggerà solo dei vini ma vivrà pienamente la regione: Macerata è un piccolo gioiello e gli Antichi Forni, il Teatro della Società Filarmonico Drammatica, Palazzo Buonaccorsi - i tre luoghi della fiera, tutti nel centro storico – sono esempi diversi dell’architettura e della storia locale. Vi era poi fin dall’inizio la volontà di restare in una zona che fosse prossima ai luoghi del terremoto per dare un sostegno concreto e mostrare la voglia di reagire che si respira nel territorio: il maceratese, specie nelle aree interne montane, è stato duramente colpito dagli eventi sismici del 2016, ma contro tutto e tutti si prova a ripartire. Nel nostro piccolo, speriamo di contribuire con questo evento alla ripartenza”.

 

Lo spirito della manifestazione rimarrà quello che ha guidato le precedenti edizioni, ma quest'anno ci sarà qualche novità in più. Infatti, con la collaborazione del Comune di Macerata, si è pensato di spingere maggiormente sul lato culturale dell’evento, grazie alla partnership con Macerata Racconta, con Macerata Musei, con il San Severino Blues Festival: in questo modo le attività enoiche verranno inserite in un più ampio programma che vedrà davvero il “territorio” al centro del discorso: le foto di Mario Dondero, la presentazione del libro I sapori del vino di Fabio Pracchia edito da Slow Food, il concerto di Francesco Pìu di sabato sera, le visite guidate alla città, sono momenti cui teniamo tanto quanto i banchi d’assaggio”.

Gli approfondimenti: dalla viticultura regionale, un ponte con la Borgogna

Oltre alla degustazione libera presso la Galleria Antichi Forni, aperta dalle 11 alle 20, TerroirMarche sarà un fondamentale momento di approfondimento della vitivinicoltura marchigiana. Il programma dei laboratori, che si terranno presso il Teatro della Società Filarmonico Drammatica e che saranno condotti da prestigiose firme del giornalismo enoico (Veronica Crecelius, Simon Woolf, Armando Castagno, Monica Coluccia, Giampaolo Gravina, Alessio Pietrobattista) andrà a declinare le varie sfaccettature dei territori regionali e dei vitigni, con una piccola deviazione verso la Borgogna.

Infatti, proprio i gemellaggi con alcune zone vitivinicole straniere sono tra i punti di forza della manifestazione e offrono spunti davvero interessanti: “TerroirMarche, lo dice il nome stesso, crede che la reale e concreta conoscenza del terroir stia alla base di tutte le grandi zone vitivinicole mondiali. Da questo punto di vista in Italia, salvo pochi esempi virtuosi, siamo ancora indietro. Questa è la ragione per cui vogliamo confrontarci con altri terroir, per attivare forme virtuose di scambio, di contaminazione e – perché no? – di lotta”.

Lo scorso anno, grazie anche allo storico gemellaggio fra le città di Ascoli e di Treviri, è sembrato naturale ospitare alcuni viticoltori della Mosella. “Inoltre”spiega ancora Corrado “quella regione tedesca, producendo principalmente bianchi, ha rappresentato un banco di prova interessante per le Marche che – negli ultimi anni – si è affermata principalmente come regione a vocazione bianchista”. E stavolta tocca al Mâconnais, l'estremità meridionale della Borgogna. “L'idea dietro la scelta di questa regione è stata voler entrare dritti nella storia e nella cultura di chi il “terroir” lo studia da centinaia di anni. Grazie a Giampaolo Gravina, che da anni frequenta quei luoghi, abbiamo compiuto un bellissimo viaggio per impostare la partnership con una associazione che sentiamo molto affine, gli Artisan Vigneron de Bourgogne du Sud. A fine ottobre alcuni di noi vi torneranno per partecipare alla loro fiera cui siamo stati invitati: crediamo che in Francia finalmente si inizi a parlare di vino italiano e a conoscerlo. In larga misura ciò è dovuto soprattutto all’esplosione dei vini naturali lì da loro, come qui da noi”.

 

Ma come si entra a far parte di questo Consorzio? “Ci sono due vincoli: il primo è fare tutta la filiera, essere cioè 'vignaioli' veri, non comprare uve o vino ma vinificare le proprie uve. In secondo luogo richiediamo la certificazione bio. La certificazione deve essere considerata come un 'livello minimo', nel senso che in realtà molti di noi sono già molto oltre il semplice biologico: troppo spesso anche il bio viene interpretato in modo 'industriale' e 'produttivista'. Noi siamo per la naturalità e la sostenibilità autentiche. Ed è per questo che abbiamo sentito l'esigenza di creare questa nuova realtà”. C'era bisogno di un'iniziativa come questa? I Consorzi non bastano? “Oramai sono venuti meno alla loro primitiva funzione di 'tutela'. Con l’avvento delle Dop sono più che altro diventati delle agenzie di promozione e tutelano un marchio, più che un territorio. Sentivamo il bisogno di un luogo collettivo dove una testa valga un voto, dove si possano fare delle lotte ambientali, dove ci sia un reale mutualismo contadino, dove i soldi investiti possano andare anche in ricerca e sviluppo e non solo in promozione e commercio”. A che punto siamo? “La strada da fare è ancora tanta; abbiamo molte idee per il futuro e alcune di queste riguardano proprio l’estero. Vorremmo, ad esempio, trovare il modo di esportare il format dei nostri laboratori in qualche capitale straniera ma per il momento quello che abbiamo fatto in questi quattro anni ci riempie di orgoglio”.

 

TerroirMarche | Macerata | 20 e 21 maggio | Antichi Forni - Teatro della Società Filarmonico Drammatica - Palazzo Buonaccorsi | http://www.terroirmarche.com

 

 

Aurora (Offida – AP) http://viniaurora.it/

Fiorano (Cossignano – AP) http://www.agrifiorano.it/

La Distesa (Cupramontana – AN) http://www.ladistesa.it/

La Marca di San Michele (Cupramontana – AN) http://www.lamarcadisanmichele.com/

Pievalta (Maiolati Spontini – AN) http://www.pievalta.it/

Cavalieri (Matelica – MC) http://www.cantinacavalieri.it/it/

Col di Corte (Montecarotte – AN) http://www.coldicorte.it/it/

Di Giulia (Cupramontana – AN) http://www.digiulia.it/

Failoni (Staffolo – AN) http://www.failoni.it/

La Valle del Sole (Offida – AP) http://lavalledelsoleoffida.com

Moroder (Ancona) http://www.moroder.wine/

Malacari (Offagna – AN) http://www.malacari.it/

Pantaleone (Ascoli Piceno) http://www.pantaleonewine.com/

Paolini&Stanford (Offida – AP) http://www.pswinery.it/

Peruzzi (Monteroberto – AN) http://www.spumantebio-peruzzi.it/

Vigneti Vallorani (Colli del Tronto – AP) http://www.vignetivallorani.com/

 

a cura di William Pregentelli

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